Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Nel medioevo l’uso delle armi era privilegio della nobiltà e solo nell’epoca dei Comuni si costituirono i primi corpi armati dei cittadini, che seppero contrastare e spesso vincere le milizie feudali ed imperiali. Con la crescita del commercio, la gente occupata negli affari redditizi mal volentieri si prestò a soccorrere la propria città nei momenti difficili, disimparando in tal modo a combattere per la difesa della libertà. Nel periodo delle Signorie, anche i prìncipi preferirono non armare i disamorati sudditi, che in caso di malcontento, avrebbero potuto rovesciarli ed allontanarli. Così, assoldavano le milizie mercenarie dette compagnie di ventura, che prosperarono in Europa tra il XIV e XV secolo. Erano comandate da un capitano, detto conduttiere d’homini d’armi, a volte squattrinato e di nobile famiglia o da un popolano esperto del “mestiere”. Nel primo trentennio del XVI secolo, le milizie straniere francesi di Francesco I e le spagnole di Carlo V 1, entrambe aiutate da disparate schiere di mercenari, occuparono la nostra penisola, che divenne un campo aperto di battaglie e di razzie, non ultimo il sacco di Roma dei Lanzichenecchi del 1527. In quegli anni i Medici rovesciarono la repubblica fiorentina, condannarono al rogo Girolamo Savonarola e s’impossessarono di Firenze grazie al sostegno di Carlo V. Non solo Firenze divenne un principato manovrato dalla politica dell’impero spagnolo, ma il ducato di Ferrara, di Mantova, di Milano e la signoria di Parma e di Piacenza esistevano ancora per la prodigalità dell’imperatore spagnolo, il cui volere e opere 2 si tramandarono per secoli in Sicilia e nel Napoletano dai suoi discendenti. Carlo V nacque a Gand nelle Fiandre il 24 febbraio 1500, da Filippo il Bello d’Asburgo e Giovanna di Castiglia ed Aragona, detta la Pazza. Fin dall’adolescenza Carlo ricevette la severa educazione della zia Margherita d’Austria e l’infusione della forte religiosità d’Adriano d’Utrecht, il futuro papa Adriano VI. Alla morte del padre, Carlo ereditò i domini nella Germania sud orientale appartenuti al nonno paterno Massimiliano I d’Asburgo Imperatore del Sacro Romano Impero, i territori della Borgogna compresi quelli dell’area dei Paesi Bassi dalla nonna paterna Maria Bianca, la Castiglia, i territori dell’Africa settentrionale e l’area dei paesi caraibici e dell’America centrale della nonna materna Isabella di Castiglia; dal nonno materno Ferdinando l’Aragona, il Napoletano, la Sicilia e la Sardegna. Durante il suo regno, Carlo V affrontò tre grandi ostacoli: le guerre con la Francia che aspirava all’egemonia politica e militare d’Europa, l’agostiniano Martin Lutero (1483–1546) che lese l’unità religiosa europea con le sue 95 tesi contro la vendita delle indulgenze (a cui seguì la riforma protestante e la Controriforma con il Concilio di Trento) e Solimano arrivato con le sue ingenti truppe turche fino alle porte di Vienna. La sua vita densa d’avvenimenti militari e d’oppressioni anche sul popolo peruviano, cileno e messicano e di conquista degli staterelli italiani, ebbe termine nel 1558 nel convento spagnolo di San Giusto dell’ordine di San Girolamo, nell’Estremadura. I domini del sovrano, sul cui Impero non tramontava mai il sole, furono accaparrati dal figlio Filippo II, i cui vicerè appoggiarono i giudici della Santa Inquisizione ad attuare facili processi e condanne per eresia o per stregoneria; imputazioni spesso non comprese dagli accusati destinati al rogo. 2 L’amaro giudizio sul malgoverno spagnolo di quel periodo traspare nella Prima Filippica del contemporaneo Alessandro Tassoni (1565–1635): “Gli Spagnoli, umilissimi quando sono inferiori, superbissimi nel vantaggio, non regnano in Italia perché valgano più di noi, ma perché abbiamo perduto l’arte di 1 1 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it In quel frangente, solo la Serenissima Repubblica di Venezia si sottrasse al pericolo spagnolo tenendosi in disparte alle vicende europee. Nello stesso periodo le scoperte geografiche, l’invenzione della stampa (Giovanni Gutenberg), della bussola (Flavio Gioia) e della polvere pirica segnarono l’inizio dell’era moderna. La polvere da sparo (miscuglio esplosivo di salnitro, zolfo e carbone, conosciuta dai Cinesi e dagli Arabi che la introdussero in Europa) veniva usata per far esplodere innocui mortaretti e fuochi artificiali ed in seguito, s’impiegava come mezzo distruttivo con le armi da fuoco, che rappresentarono il più potente strumento di guerra. All’inizio, pesanti e poco maneggevoli, le armi da fuoco non parvero influire molto sull’arte della guerra, ma ben presto le fanterie comparvero sui campi di battaglia armate di moschetti e d’archibugi maneggiati da un solo fante. Le prime bombarde, che facevano più rumore che danni e che scagliavano pesanti palle di pietra, si rimpiazzavano con i sagri, precorritori del cannone, che avevano la canna e la bocca di fuoco accuratamente lavorata, ricoperta d’incisioni e di bassorilievi, dalla cui culatta, i proiettili di ferro si lanciavano a distanza considerevole. Anche Trapani offrì a Carlo V conduttori d’homini d’armi e conduttori d’armi a guerra, cavalieri di blasonate famiglie membri del braccio parlamentare baronale siciliano, tra cui i Sigerio Pepoli, i Fardella, i Branciforte 3 e gli Staiti. comandare; e non ci tengono in freno perché siamo vili e dappoco, ma perché siamo disuniti e discordi. Non durano insomma in Italia perché sieno migliori dei Francesi, ma perché sanno meglio occultare le loro passioni e i disegni loro: pagano la nobiltà italiana per poterla meglio strapazzare e schernire; stipendiano i forestieri per avere piede negli altrui Stati; avari e rapaci, se il suddito è ricco; insolenti, se egli è povero; insaziabili in guisa che non basta loro né l’Oriente, né l’Occidente; infestano e sconvolgono tutta la terra cercando miniere d’oro; corseggiano tutti i mari, tutte le isole mettono a sacco. Indarno si cerca di mitigare la loro superbia con l’umiltà. Chiamano le rapine proventi, la tirannide ragion di Stato, e saccheggiate e disertate che hanno le province, dicono di averle tranquillante e pacificate. Però se una volta ci darà il cuore di sottrarre il collo da questo giogo, quelle armi italiane che ora combattono per loro, si volteranno contro di loro”. 3 “Lo splendore della casa Branciforte di Piacenza, non hà bisogno dello scuro de miei inchiostri per far spiccarne più luminosa la sua grandezza, parlandone à bastanza il Barella libro 2° et altri appò Mugnos, et Inveges, solamente dirò ch’Obizzo Alfiere Generale dell’Imperador Carlo Magno domentre col suo esercito guerreggiava con Longobardi, ed egli portava in mano la bandiera oro fiamma, fù nel campo assalito da tre Cavalieri nemici che in un tempo stesso li mozzarono le mani per toglierli si Famoso Stendardo, ma il generoso Obizzo se lo strinse con le tronche braccia al petto in maniera che fù soccorso e liberato lo stendardo Imperiale, dal che egli diede al suo legnaggio ed il Cognome, e l’arma di Branciforte, da costui ne pervennero diversi famosi eroi delli quali la memoria ne rimane negli archivij di Piacenza e frà l’altri Arnaldo confaloniero della nuova militia occidentale eletto dall’Imperator Lotario Duca di Sassonia allora Rè dei Romani; da questo Arnaldo descende la famiglia Branciforte di Sicilia famosa per molti Cavalieri di virtù militari, trà quali Stefano Branciforti Maestro Secreto nel 1307. Raffaello antico Barone di Piazza caro à Monarchi de suoi tempi, Arnaldo Governatore di 2 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Nel 1807, Don Giuseppe Staiti e Fardella 4 fece transuntare 5 al notaio Giuseppe Renda Pellegrino un vecchio atto redatto nel 1558 dal defunto collega Pietro Valleriola, riguardo la consegna di quattro vasi sagri di bronzo rimessi al suo antenato Don Giacomo Staiti, dal magistrato Don Gaspare Ledon 6 (allora segreto 7 di Trapani) a nome della Regia Corte; transunto avallato dall’apposizione degli autografi dei notai, Mariano Fiorentino, Onofrio Maria Venza barone di Sant’Elia, Ignazio Matera Romano, Andrea Badalucco e Antonino Lamea 8. Sul finire del 1700, l’originale attestazione di Valleriola, tenuta con altri rogiti nell’archivio dei notai defunti del Senato trapanese, era estrasatta di propria mano e carattere del fù notaio Don Dionisio Maria De Blasi, conservatore generale degli atti pubblici. Con la trascrizione, il protonotaro De Blasi affermava implicitamente di aver trovato l’antica minuta totum lacerum et tarlatum ab antiquitatem temporis e forse, per preservare l’unica attestazione dei vasi sagri, Giuseppe Staiti la fece riscrivere ed allegare al transunto di Giuseppe Renda Pellegrino. L’attestazione che abbiamo scoperto costituisce l’unica testimonianza del 9 agosto 1558 pervenutaci dell’originaria scrittura scomparsa di Pietro Valleriola, il cui volume non si trova nell’archivio di Stato di Trapani. Sacca, e Conduttiere d’huomini d’armi in tempo del Rè Ludovico e Fiderico 3° la di cui figlia Agnesa si casò con Giuseppe di Sigerio de Pepuli Regio Cavaliere Senatore di Palermo nel 1344. Altri Illustri Soggetti di questa Famiglia si son diramati in più Città del Regno, dove s’è resa ricchissima di Stati possedendo li Principati di Butera, Pietra Persia, Scanforti, Villanova, le Duchee di Santa Lucia, e San Giovanne, li Marchesati di Militello, e Bonofranca, le Contee del Mazzarino, Raccuia, Cammarata, e le Signorie d’Occhialà, fiume di Nisi, et altri titoli Baronie, e feudi. Hà un grande di Spagna, hà goduto, e gode dell’habito del Tosone, hà governato la Città di Palermo, con la carica di Senatore, Capitan di Giustitia, e Pretore, il regno con il grado di Deputati, Vicarij Generali, e Maestri Rattionali di estradicò la Città di Messina. Non discorro de nodi di Parentela con le prime famiglie delli Regni di Sicilia e Napoli et in Roma, e con Donna Giovanna di Ausonia figlia di Don Giovanne dell’Imperador Carlo V essendo note a tutta l’Italia le sue rare grandezze”. (Frate Pietro Giustiniani, manoscritto degli Elogij delle Famiglie e Nobili di Sicilia imparentate con la Famiglia Sieri Pepoli della Città di Trapani). 4 Il patrizio, già capitano giustiziere, divenne senatore nel 1811–1812 e curò personalmente la gestione di 6.000 salme della Salina di Chiusa Chiusella e la porzione della Salina S. Todaro. Figlio di Girolamo Staiti Gioeni barone delle Chiuse, Giuseppe sposò Vita Nobile. Nel 1817, gli moriva tragicamente una figlia diciannovenne. 5 Transunto del 5 aprile 1807, corda archivistica 11844 – Archivio di Stato di Trapani. 6 “La famiglia Ledon originaria de Barcellona in Spagna, fù coll’Imperador Carlo quinto alla conquista del regno di Tunisi. Si stabilì in Trapani, ove esercitò le prime cariche di nobiltà”. Gaspare divenne secreto nel 1549 e 1563 e prefetto nel 1550. (Giuseppe Fardella di Torrearsa: Annali della città di Trapani – Elogio della famiglia Ledon). 7 Il segreto era il rappresentante della Secrezia, nella cui sede si attestavano i pagamenti, gli introiti, gli affari e la gestione del Regno. L’ente è stato soppresso nel 1820 e al suo posto s’istituì l’Intendenza. 8 Vedi http://www.trapaniinvittissima.it/files/biografia_dei_notai.pdf. 3 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Nono Augusti Prima Inditionis Millesimo quinquecentesimo quinquagesimo octavo Sit omnibus, et singulis notum, hac presentis apoca serie evicenter apparet manifestum, qualiter Magnificum dominum Gaspar Ledon Secretus huius Civitatis Drepani presentes coram nobis sponteas ad stipulationem et instantiam Magnifici Jacobo Stajti absentis me Notario publico, et Magnifico Antonio Stajti eius filio pro eo legittime stipulanti dixit e confessiis habuise et recepisse ab eo nomine Regiae Curiae ad literas Illustrissimi domini Proregis directam dicto Magnifico Jacobo datam Messana die vigesimotertio Julis Prima Inditionis instantiantis Sagri quattro di brunzo cum li signi infractscritti videlicet: uno Sagro octavato cum uno numero supra la culata darrere il cufone in guarismo quali dichi 1305, et in mezo li togluni et lu cofuni uno Sagro plano cum dui barri a modo di una a et supra una chinata chi guarda da dritto cum un frixo intorno di un, et de altra parte, et supra lu Liuni di San Marco, quali armi dichino essiri di Canaletto, et have la cudata laburata actorno et in mezo chi nexi uno mezo manico quanto si po’ afferare cum lu pugno, et have la bucca sublevata, e dui gidita actorno incosto uno frigio plano cum tri listuni quali fù pisato con una rometta di Sicilia, et si retrovao essere cantara sette rotula novantacinque di necto. Item similiter l’altro Sagro di brunzo tundo con una scriptura in guarismo darreri lu cufuni, la qual dichi 1550 li quali sunno scripti supra uno cornichi con uno listuni grandi, et un altro pichulo iuncto a lo dicto cofuni havi la culata a maynera de manico, et actorno di dicto manico uno cornichi relevato con una sola cum tri fogli supra la lumera, et dui palmi supra la cornichi con dui listuni et mezo palmo in suso uno Scuto in mezo di una iurlanda con li Armi, chi dichino essiri del duca di Fiorenza, e dui palmi in suso un altro cornichi con dui listuni iuncta a la bucca un altro cornichi con la bucca relevata dui digita de dicti listuni quali si pisao similmente con una romana de Sicilia et si trovao esseri cantara sette rotula cinquantatre di necto. Item etiam l’altro Sagro octavato con una rosa di tri foglii a la comera et sopra di la culata uno scripto in guarismo chi dichi 1595 cum la culata laburata actorno con uno cornichi in mezo lo manico di la culata, et a la puncta di dicto manico dui tundi a maiynera di OO uno intro l’altro laburato actorno, et dui palmi supra di la lumera uno Sacro in mezzo de una iurlanda con certi armi quali dichino essere da Firrara et dui digita luntano de la bucca uno cornichi relevato have lo labro de la bucca alto dui digita quale fù pisato con una romana di Sicilia et ritrovasi essere cantara sette rotola dieciotto. Item etiam et l’altro Sacro octavato cum la lumera senza cosa alcuna et have la culata tunda laborata con uno brazolo chi nexi di la dicta culata cum dui cornichetti l’uno in costo de la dicta culata, et l’altro più innanzi con uno Scuto quali dicono essere de Ferrara et have iuncto a la bucca uno cornichi con quactro listuni con la bucca dui digita suspisi li quali similmente fù pisato con una Romana di Sicilia et si retrovao essere cantara sette e rotola quattro di necto. Li quali quattro Sagri di supra nominati et designati lo dicto Illustrissimo Signori Vicerè in virtù di la sua lictera directa a dicto Magnifico di Staiti li commicti ordina et comanda chi dicti quattro Sacri pisati et designati ut supra quilli chi haja a consegnare a dicto Signori Secreto per haviri a serviri per la guardia e defensioni de la Città de Marsala, quali Sacri quattro ut supra nominati et designati dictus Magnificus Secretus nomine Regiae Curiae ut supra. Unde. 4 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Nell’atto si legge dei quattro cannoni di fattura e di forma diversa, che servirono per la difesa militare di Marsala, il cui litorale era soggetto da parecchi decenni alle reiterate escursioni dei legni del pirata Dragut, (Targhud Alì 1485/1565) d’Ariadeno Barbarossa (Khayr al-Dīn Barbarossa 1466/1546) e dei francesi. 9 Non abbiamo alcuna notizia intorno al primo vaso impresso con l’immagine di lu Liuni di San Marco, quali armi dichino essiri di Canaletto. Possiamo ipotizzare, invece, che il sagro realizzato nel 1550, con uno Scuto in mezo di una iurlanda con li Armi, chi dichino essiri del duca di Fiorenza 10, l’altro datato 1595 11 e l’ultimo senza data, entrambi quali dichino essere da Firrara 12 siano stati usati nella battaglia di Marciano avvenuta il due agosto 1554. Quel giorno, si scontrarono in campo aperto le truppe fiorentino– imperiali 13 e suoi alleati contro quelle franco–senesi comandate da Pietro Strozzi, difensore della Repubblica di Siena morto eroicamente in quella battaglia. Infatti, l’esigua artiglieria schierata dagli spagnoli consisteva in tutto di due mezzi cannoni e due sagri, pronti a scaricare i loro proiettili sulla massa dei fanti nemici 14. A seguito di tali scorrerie, nel corso di pochi anni i vicerè fecero costruire con proporzionale distanza l’una dall’altra, trentasette torri di avviso comunicanti, nelle quali due soldati stanziati di vedetta, che disponevano di diversi scopetti e un piccolo cannone con alcune palle di ferro, comunicavano gli avvistamenti di pirati ai colleghi delle altre torri con segnali di fumo – di giorno e di fuoco – di notte. Nel saggio: “Trapani durante il governo del viceré De Vega” di Carlo Guida (edito nel 1930) l’autore riguardo alle “torri di avviso”, riporta le istruzioni impartite dal vicerè spagnolo ai giurati (in seguito detti senatori) di Trapani: “Apparendo l’armata si faranno di giorno septi segnali di fumo continuati per tre volte. Si apparirà l’armata di notte, si avviserà la torre vicina facendo li detti segnali di lu dittu numeru e spacio però di foco. La Torre di San Teodoro (posta nel territorio di Marsala sotto la potestà di Iacobo Staiti corrispondeva con quella) di Favignana e con la turri di la Culumbara; la turri di la Culumbara (corrispondeva) con la turri di San Giuliano”. È probabile che la “tecnica del fumo” della gente delle Nuove Indie, già conquistate da Pizarro e Cortes, fosse acquisita dai dominatori che la diffusero in patria come un’utile innovazione militare. 10 Si tratta di Cosimo de Medici figlio di Giovanni delle Bande Nere. 11 L’anno 1595 è stato erroneamente trascritto dal notaio De Blasi. Infatti, la data dell’atto originario è del 1558 ed è stato redatto da Valleriola 37 anni prima del 1595, da qui, l’errata trascrizione. 12 Era Alfonso d’Este, duca di Ferrara sostenitore della politica spagnola. 13 La milizia spagnola era costituita dai 1.200 uomini della cavalleria, 2.000 fanti, 4.000 lanzi e circa 2.000 veterani di Sicilia e di Napoli, tra cui molti archibugieri. 14 La battaglia di Marciano fu vinta dalle truppe imperiali. I contadini battezzarono con il nome “Scannagallo” il fosso dove erano caduti combattendo i soldati francesi e senesi. Quel giorno, i “Galli” erano stati “scannati” davvero e con loro cadde la speranza di liberare Siena dal giogo spagnolo. 9 5 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it È probabile che Galvano e Giacomo Staiti, 15 antenati di don Girolamo, parteciparono in battaglia come capitani e conduttiere d’homini d’armi, come in altre campagne militari di Carlo V e che abbiano trasferito questi sagri a Messina, successivamente trasportati a Trapani (Piazza d’Armi) e poi a Marsala. Infatti, nel transunto successivo di pari data, don Girolamo dava la prova del valore dei suoi progenitori e i privilegi ottenuti da Carlo V, con l’esibizione di diverse lettere osservatoriali redatte nel 1521 e nel 1683. Nella lettera osservatoriale del 27 novembre 1521, Galvano (figlio di Pietro) e Giacomo Staiti della Città di Trapani attestavano che fu concesso a Giovanni e Giacomo Staiti della Città di Messina per li servitij di Giovanni Straticò di Messina e suo figlio Giacomo e loro discendenti perpetui haiano da godere con tutti li Stati di detto Serenissimo Signore Re tutto quello e quanto gode e possa godere la nazione Spagnola come fossero nati essi con tutti li suoi descendenti di detta Spagna e che in Civile come Criminale haggiano essi padri e figlio godere lo foro della guerra. In quella del 25 dicembre 1521 (giorno del Santo Natale), si dichiarava che gli stessi erano ammessi in qualunque sorte d’apportazione d’arme così offensiva come defensiva etiam quelli che sono proibiti dalle Regie e Vicerreggie Prammatiche e che possano i suoi heredi e successori tenerli in casa e portarli cossì a piede come a cavallo cossì di notte come di giorno e che possono portare in qualunque parte del Regno come anche di essere franchi d’ogni gravizia di gabella, arrendamento etiam qualunque altra cosa che solino godere quelli della nazione di Spagna che attualmente servono come soldati. Si tratta di Giacomo Staiti, padrone di nave (notaio Sesta, atto del 18 gennaio 1543) e capitano di giustizia nel 1550 (Giuseppe Fardella di Torrearsa, manoscritto). In un’attestazione del notaio Domenico Sura rileviamo il possesso del Privilegio di Re Federico e la certificazione del Padre Guardiano de Minori Osservanti del Convento di Santa Maria Gesù, il quale dichiarava che “nella real Chiesa vi è la Cappella di Santa Maria di Gesù a man sinistra dell’Altare maggiore la quale è stata dell’Illustrisima e Nobilissima famiglia Staiti ed in essa vi sono scolpiti in marmo le armi di detta famiglia consistenti in uno Scudo con un Leone rampante coronato e nel lato dentro e sinistro di detta cappella vi sono due tumuli sopra li sepulcrali pure coll’armi e in quello del lato destro l’iscrizione”. Si tratta della identica affermazione riferita dai Padri di Santa Maria di Gesù che concedono una Cappella della di loro chiesa a Giacomo Stajti à 19 Gennaro 1539, atto in notaro Pietro Vitale (Giuseppe Fardella di Torrearsa, manoscritto). Nei successivi transunti il “Padre Guardiano della Compagnia della Carità detta dei Bianchi, (detta inizialmente nel 1555 Confratia di Santa Croce) attestava che in uno dei libri ove sono depositati e colorite l’Armi gentilizie delle famiglie arruolate a detta nostra Compagnia ritroviamo la arma della famiglia Staiti”. L’ingresso degli Staiti nella Compagnia delli Bianchi avvenne nel 1556 (Giuseppe Fardella di Torrearsa, manoscritto). “Della Nobile Prosapia de Stayti di Messina, che vanta frà i suoi Illustri discendenti Giovanne Stayti col grado di Stradicò del 1300. Nel quale fù chiaro il suo Figlio Gilio Regio Cavaliere e pur stradicò, nel 1360 trahe l’origine la famiglia Stayti della Città di Trapani, poiché Giacomo, altro figlio di Giovanne, vi passò con immense ricchezze e vi fermò. La sua famiglia con haver procreato due figli Gilio Regio Cavaliere e Giovanne pur Regio Cavaliere, dal quale doppo lunga serie ne provenne Pietro Stayti Regio Cavaliere il di cui figlio Galvano si casò con preziosa Sanclemente e generò tra gli altri Giacomo barone delle Chiuse Signore di San Teodoro, Ballata, Senatore 1533 et altre volte Capitano 1529 et altre volte che diede sua figlia Preziosa Stayti à Giacomo 8’ Sieri Pepoli Signore delli Xhiggiare e Giacomo barone delle Chiuse casato con la figlia del defunto di Gaglio della Chiara casa Conteglies”. (Fra’ Pietro Giustiniani, manoscritto citato). 15 6 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it La lettera osservatoriale dell’otto ottobre 1683, riportava la notizia che in virtù di quelle l’esponente [Bartolomeo Staiti] sta godendo piazza spagnola come soldato stipendiato et assentato della Corona di Spagna [e gli si accordò] a portare l’armi col privilegio giusta la sua serie continenza e tenore, per quanto la grazia si sua Majestà tenete cara e sotto pena di onze 100 per ognuno di voi. L’osservatoria di privilegio fu presentata all’ufficio del senato trapanese di ordine e mandato di don Giuseppe Sieripepoli, don Francesco Maria Burgio, don Antonio Cipponeri, don Michele Fisicaro e Ravanal. La collectione estratta del 1807 era eseguita da Benedetto Maria Burgio, barone di Xhirinda. Nell’ultima pagina del transunto del 5 aprile 1807 si riportava la dicitura di: Osservatoria di Privilegio in persona di Don Bartolomeo Stajiti 16 consistenti ad essere franco d’ogni gabella et arrendamento, lettere estratte dalla Cancelleria del Tribunale del Real Patrimonio di Palermo. In tal modo, dopo aver letto interamente i due transunti veniamo a conoscenza che il vero scopo della loro redazione consisteva nel sottrarsi al pagamento di qualsiasi gabella o tassa equipollente; facoltà e franchigia cui ricorse, come d’uso, quasi tutta la nobiltà baronale siciliana di quel periodo. Quell’anno i collettori dell’erario borbonico riscossero gli arretrati feudali di dritti allodiali, del donativo detto del Milione di Ducati stabilito nel 1794 e 1798, 17 quello delli Due Milioni in rendita degli stessi anni; 18 l’esazione della Tassa delle Strade del regno pella nuova via di Palermo e la Tassa della mezza mesata delli miliziotti 19, essendo stata del tutto esatta la tassa per la costruzione della Strada di Toledo (Corso Vittorio Emanuele) e di Maqueda a Palermo 20. In un atto redatto dal notaio Bartolomeo Daidone, Girolamo Staiti comprovava con pubblica fede la sua nobile stirpe, risalente al 1300, che godeva del “Militar foro, non che nel Civile, che nel Criminale; giusta la forma, che lo gode la Nazzione Spagnola, appunto se fossero nativi nelle Spagne senza la menoma diminuzzione; locchè largamente rilevasi per diverse lettere osservatoriali dietro il Privilegio concesso dalla gloriosa memoria del Serenissimo Monarca Federico III a Giovanni e Giacomo Stajti Padre, e Figlio della Città di Messina, pelli Servigi prestati da essi, e precisamente quelli in qualità di Straticò [governatore] di detta Città. Diramate dette lettere osservatoriali dal regio exequatur, ottenutosi sì nel Regio Fisco, sì nel Tribunale dell’Apostolica Legazia, e Regia Monarchia; in vigor del primo furono soggetti i Nobili Secolari di detta Famiglia Stajti al Signor Uditore Generale dell’Eserciti di questo Regno, e gli Chiesastici a Monsignor Giudice della sopradetta Monarchia. Le precalendate lettere osservatoriali furono ottenute nelli seguenti anni, cioè nel 1521 da Galvano del quondam Pietro Regio Milite, e Giacomo Stajti Padre, e Figlio, e nel 1633 da Don Francesco Stajti sesto Barone delle Chiuse, nel 1683 da Don Bartolomeo Stajti, e nel 1692 dall’istesso Don Bartolomeo. Mandiamo fuori altresì in attestato la divisata Baronia nominata della Chiusa Grande, e Chiusicella esistente nel littorale di questa Città essere una delle Baronie feudali con servigio Militare, come per investitura dell’anno 1557, posseduta senza la menoma interruzione dalli suoi Antenati, e assicuriamo sulla fede publica come sopra, che la Famiglia Stajti distinta pell’Antica Nobiltà sia stata ammessa all’Abbito di Giustizia della Sovrana Regia Maestà nell’anni 1576, 1580, 1662 1669”. 17 Notizia riscontrata in un atto redatto dal notaio Francesco Guarnotti nel 1812. 18 Notizia estrapolata da un atto redatto dal notaio Angelo Maria Malato nel 1807. 19 Stessa nota come sopra. 20 Notai Bartolomeo Daidone e Domiziano Adragna, diversi atti di fine ‘700. 16 7 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Inoltre, lo stesso anno, in città si eseguirono i lavori di ristrutturazione delle fortificazioni e la costruzione di nuovi rivellini 21, il cui spesato forse ricadde su alcune famiglie nobili e probabilmente con l’introito dell’una tantum del 1809. Con questi due transunti, il patrizio riportava l’antica consuetudine d’esenzione de jure di pagare le tasse. Nello stesso modo, indirettamente, con quanto dichiarato, ci rende partecipi della sua nobile discendenza e di conoscere l’unica trascrizione dei quattro vasi di bronzo, per buona sorte giunta ai nostri giorni. Appendice e illustrazione dei quattro vasi sagri Autografo di Carlo V estratto dalla pubblicazione “Le Sale della Mostra” dell’archivio di Stato di Siena, Roma 1956. 21 Giuseppe Maria di Ferro e Ferro: “Guida per gli stranieri in Trapani”. 8 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it El rey Amados y fideles nuestros. Por lo que el Marqués de’ Terranova, Presidente y Capitàn general nuestro en esse reyno nos ha scritto, havemos ententido el amor y affeçiòn con que nos haveis servido en este postrer parlamento, lo que hos agradeçemos mucho, certificandos que para en lo que a essa çiudad cumpliere siempre se servia por nos la memoria que es razòn, y mereçe su fidelidad y serviçios, remetiendonos al dicho Marqués en lo que demàs hos hablarà de nuestra parte. Data en Brussellas a tres dias del mes de Abril año de’ M.D.XLV. Yo el Rey Nella lettera scritta a Bruxelles il 3 aprile 1545, la Cesarea Maestà Carlo V, ringraziava gli amati nostri figlioli trapanesi, che lo avevano ossequiato in occasione della sua visita con amor y affeçiòn, in occasione dell’ultimo parlamento. (Archivio del senato di Trapani, volume 1, “lettere originali”, carta 87 – biblioteca Fardelliana di Trapani). 9 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Carlo V vittorioso per le conquiste fatte sul regno di Tunisi, venendo per la prima volta in Sicilia, giunse in Trapani ai 20. di Agosto 1535. Rallegrando egli colla sua augusta presenza questa fedele popolazione, le venne anche a dare il più delizioso, e commovente spettacolo per l’umanità. Recò egli dall’Africa ventimila Cristiani, ai quali avea spezzato le barbare catene di schiavitù. Questo amabile Cesare, oltre di avere restituito a cotanti infelici la preziosa loro libertà, somminostrogli ancora i mezzi più agiati, onde ritonarsene alla patria. Egli coronò in tal guisa le sue vittorie, con un altro trionfo di sensibilità, ed entrò in Trapani come sul carro dell’Ovazione. Ella è cosa per altro sorprendente, (dice un moderno scrittore 22) che fosse riserbato al secolo decimonono, a questo secolo di fenomeni, e di spettacoli, la soppressione dell’abbominevole dritto di servaggio. Questo augusto Principe, che per tanti suoi fatti gloriosi erasi fatto degno dell’immortalità, e dell’ammirazione degli uomini; che avea dovuto star quasi sempre colle armi in mano, ed accompagnato da per tutto dalla vittoria, giunse in Trapani assai cagionevole. Le fatiche delle guerre, e i disagj di una sofferta tempesta, aveano anche renduto infermo il suo numeroso equipaggio. Il Sovrano si portò ad abitare nel palazzo degli antichi Chiaramonti, che passò indi alla distinta famiglia dei Pepoli. Questa casa è situata, dirimpetto la porta laterale della Parrocchial Chiesa di S. Nicolò, dalla parte dell’austro. Si è conservato sino a nostri dì in un angolo di essa lo stemma dell’augusta famiglia Austriaca. Le rispettose dimostrazioni di amore del popolo Trapanese, non si limitarono soltanto all’augusta persona di Carlo. Quei sentimenti, che manifestava la pubblica gioja, non erano marcati dagli sterili tributi d’un entusiasmo più di trasporto, che di saggezza. Si estesero essi ancora alla di lui armata, e coi più manifesti segni di cuor tenero, e generoso. Trapani formò all’istante un ospedale per quei soldati infermi, feriti, o affrontati da un funesto languore [ospedale di San Sebastiano]. Si videro allora quegli stranieri spalancate le porte dell’ospitalità, e si trovarono in mezzo alle largizioni, che loro prodigalizzava il popolo il più sensibile. Vennero ai medesimi apprestati gratuitamente tutti gli oggetti per la loro cura, onde preservarli da una pronta morte, o di sollevare al miglior modo possibile, quegli sventurati. (L’Imperator Carlo V avea scritto anticipatamente dal campo della Goletta 23 di Tunisi, sotto i 7 luglio 1535 ai Giurati di Trapani, di riceversi nei loro ospedali, i soldati infermi, che gl’inviava. La città segnalassi in tutta l’effusione della sua ospitalità. Il Monarca resone consapevole, volle esternare la sua compiacenza, e con sua lettera dei 12 agosto dell’anno istesso, data in quel medesimo campo dell’Africa, rese la Città i suoi benigni ringraziamenti. 24 Giuseppe Maria di Ferro allude al poeta Giuseppe Marco Calvino autore di ”Lu seculu decimunonu”, poesia dialettale tra le raccolte di “Poesie Scherzevoli”, editore Celebes. 23 Biblioteca Fardelliana, Atti del senato di Trapani, volume 1: seguì la lettera del 7 luglio 1535, carta 69. 24 Biblioteca Fardelliana, Atti del senato di Trapani, volume 2: lettera del 3 aprile 1545, carta 104. 22 10 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Grato l’Imperadore a queste dimostrazioni, regalò alla Parrocchial Chiesa di S. Nicolò un bellissimo Fonte di marmo bianco diafano, che avea portato dall’Africa. Alla Parrocchia di S. Pietro uno stendardo di broccato, e di oro, ed al Convento dell’Annunziata, due porte di legno coperte di ferro, che avea recato da Tunisi. Giurò indi nella Chiesa di S. Agostino, Duomo della Città, l’osservanza dei suoi privilegi. Quindi sotto al favore di questa grazia si pose intorno al sigillo delle armi della Città, DREPANUM CIVITAS INVICTISSIMA IN QUA COESAR PRIMUM JURAVIT (Orlandini – Descrizione di Trapani). Creò finalmente molti Regj Militi [tra i quali gli Staiti], e partì per Palermo. Uscì egli per la porta orientale, che sin da quel giorno appellassi di ordine superiore, Porta Austria. (Questa porta è inutilizzata. Vi resta tuttavia la lapide, che lo conferma, e se ne vede benissimo tutta la sua struttura. Venne ella murata nell’anno 1807 quando si dovettero costruire il novello rivellino, e le novelle fortificazioni. Era questa una porta piuttosto angusta, che per mezzo del fossato, introduceva ad un’altra tortuosa, “faux porte”, e mettea fuori del “glacis”. Questa segreta apertura, che dai Francesi chiamasi “poterne”, era la più bene ideata. Ella non iscoprivasi affatto dalla campagna. Serviva eccellentemente al suo destino, per fare uscire di soppiatto la guarnigione, quando dovea attaccare, o rispingere l’inimico). Biblioteca Fardelliana, Atti del senato di Trapani, carpetta 1: lettera del 7 settembre 1535, carta 75. Biblioteca Fardelliana, Atti del senato di Trapani, carpetta 1: lettera del 20 maggio 1535, carta 70. 27 Vedi nota 3. 28 Biblioteca Fardelliana, Atti del senato di Trapani, carpetta 1: lettera del 15 luglio 1517 da “villa de Mediabuig”, l’odierna Middelburg in Olanda, carta 21. 29 Biblioteca Fardelliana, Atti del Senato di Trapani, carpetta 1: lettera del 13 settembre 1534, carta 64. 30 “Nel maggio del 1539 Carlo subì la ferita più profonda della sua vita: la scomparsa della moglie adorata, morta di parto. Egli rimase inginocchiato per lunghe ore davanti al letto su cui giaceva la regina e infine se ne staccò con immensa fatica e dolore. Quindi si ritirò nel monastero di S. Gerolamo a La Sisla. Là rimase per sette settimane, immerso in preghiera e in meditazione”. 31 È evidente che lo scrittore sconosceva o preferiva ignorare le Filippiche di Alessandro Tassoni, e come suddito, glorificava le gesta del sovrano e imperatore Carlo V, dal quale discendeva la casata dei Borboni di Napoli. 32 È la lettera su menzionata e su esposta con immagine. Lo scrittore sbaglia la data indicando il 1555 anziché il 1545, come si evince nel documento originale. 33 “Carlo era capace di mangiare anche due o tre pasti di seguito, era avido e smodato e ingoiava arrosti di vitello, cacciagione, montone e agnello, annaffiati con pinte di vini raffinatissimi. Carlo sfogava la sua carica animale mangiando e bevendo troppo, riuscendo a tracannare quantità enormi di birra gelata (anche tre, quattro litri a pasto). Un cronista dell’epoca impressionatissimo disse: “Ogni sorso dell’imperatore equivale a una buona pinta di vino del Reno”. I medici e i cortigiani del suo entourage lo supplicavano di moderarsi, ma lui non li ascoltava affatto. Al mattino appena desto si faceva servire un cappone cotto nel latte con zucchero e forti droghe; il resto del nutrimento quotidiano era proporzionato alla robustezza della prima colazione. Si possono facilmente intuire i risultati di un simile regime: a trent’anni Carlo ebbe i primi attacchi di gotta e per tutto il resto della vita dovette lottare contro le sofferenze conseguenti. Le forti droghe e spezie, che insaporivano pesantemente i cibi dell’imperatore, avevano lo scopo principale di dare un certo gusto alle vivande che ingurgitava perché fin da bambino la mascella prominente gli aveva impedito di masticare e gustare propriamente i cibi: i forti sapori erano quindi necessari affinché Carlo potesse soddisfare la sua insaziabile golosità”. Tratto da: L’avventura di Carlo V (2). 25 26 11 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Bisogna correggere il Padre Fazello, scorta in vero non molto esatta per le memorie istoriche, e tutti gli altri scrittori ancora, che seguendolo alla cieca, son divenuti i suoi copisti. Venne egli a spacciare che quell’Imperadore siasi fermato in questa città, pel breve giro di quattro giorni. Il Sandoval, scrittore della di lui vita, ci arreca una lettera scritta al Marchese del Canneto, Vicerè di Navarra, data da Trapani, il dì 31 di Agosto. Il Giannone finalmente ci assicura, che quel Cesare vi abbia dimorato per un mese intero. Non permise l’Augusto Monarca, che alla di lui partenza rimanessero cotanti soldati a carico di questo Comune. Vi lasciò soltanto i Tedeschi, ed ordinò che gli Spagnuoli, andassero altrove ad alloggiare. Egli sin dall’anno 1521 per timore delle armate di Solimano, avea reso ben forte questa piazza importante. Dietro alla sua venuta vi fece accrescere delle opere tali, che potessero renderla munitissima. Vi fece costruire finalmente un vasto quartier Militare col trasferire altrove il Convento dei Padri Osservanti. Questo occupava in quell’epoca una parte del sito, che formano in oggi il quartiere, ed il Baluardo detto dell’impossibile. Questo Cesareo Monarca avea conceputo per Trapani la più marcata predilezione. Ebbe egli tante volte la clemenza di scrivere particolarmente a questa città sotto le date di Morreale 25, di Toledo 26, di Brusselles 27, di Valliadolid, di Zelanda 28, di Granata, e di Valenza. 29 Si compiacque perfino parteciparle il parto della Imperadrice sua sposa 30, onde rallegrarsene, e renderne grazie al Signore. Monumenti pregevolissimi, che decorano i fasti di Trapani, ed il suo pubblico archivio. Questo popolo occupato dai più sensibili sentimenti di gratitudine abbracciò le occasioni tutte, onde giustificare ad un Principe così docile, e così benefico 31 la veracità de’ suoi rispettosi omaggi. Quindi si esibirono i Trapanesi di servirlo con le loro persone, e con le loro facoltà nella guerra, che Carlo andava ad imprendere contro di Algeri. Sua Cesarea Maestà lo gradì sommamente, ed ebbe perfino la compiacenza di scrivere da Valliadolid, sotto i 4 Marzo 1542 una lettera di ringraziamento alla città, concepita nelle più energiche espressioni. Ei conchiude in essa: “y tenga puer certo, que nos tenderemos la memoria, que es razon de su fidelidad, y Buenos servitios”. Questo Imperadore venne indi reso consapevole per organo del suo Vicerè di quanto lo avessero ben servito i Trapanesi nell’ultimo General Parlamento. Egli sensibile a tante costanti testimonianze degnassi con sua lettera, in data di Brusselles, sotto i 3 aprile 1555, di ringraziarne la Città, coi più vivi sentimenti di affetto (ex Liber Rubeo Privilegium, folio 262). 32 Taccio – per amor di brevità – i tanti da lui accordatici privilegj, che potriano ben giustificare di non aver egli messo giammai in contrasto le sue parole, con le sue azioni. Trapani intanto in mezzo a questo istesso sviluppo di ospitalità, e di galanteria nudriva in quell’epoca una terribile società sotto il titolo di ”Beati Paoli”; società, che avea esteso in varj punti del regno i suoi feroci modelli. Esaminava essa col velo del segreto la condotta dei Magistrati, dei cittadini, e degli oppressori di vedove, e di pupilli. 12 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Le sue decisioni eran quasi sempre sanguinose, ed un membro della società venia incaricato della caritatevole esecuzione. Il Danese Munter, ce ne diede una ben marcata nozione, comparando egli questa crudele adunanza con la Tedesca, chiamata “Fehm gerichte”: ma con la differenza di tenersi quella dell’Alemagna coll’autorità Imperiale. Nel governo dei Viceregnanti ebbe Trapani delle frequenti occasione di riceverli, e di accogliere delle varie armate nel suo porto. Il Vicerè de Vega vi si recò più fiate, e vi dimorò per lungo tempo. Per questo motivo si rinvengono nell’ufficio del Protonotaro cotanti di lui Dispacci, marcati colla data di Trapani. Rincresciuto Carlo V delle guerre progressive, che l’aveano occupato, afflitto dai continui assalti della gotta la più dolorosa 33, e desiando l’indebolito suo spirito la calma e la tranquillità, si chiamò al suo primogenito l’Infante Don Filippo, e gli disse: “altri si rallegrano di lasciare dei regni ai loro figli. Io ho voluto togliere alla morte la gloria di farvi questo dono”. Gli rinunziò allora, cioè à 6 Gennaro 1556, la corona delle Spagne, e della Sicilia.” Brano tratto da “Guida per gli stranieri in Trapani” di Giuseppe Maria di Ferro e Ferro, da pagina 96 a pagina 102, edizione Celebes. http://www.trapaniinvittissima.it/files/gioie__e_dolori_di_antichi_nostri_signori.pdf “Carlo fù nella Città di Trapani dove giurò la prima volta l’oservanza de privileggi del Regno e poi il sudetto Reccardo hebbe l’onore di posentarlo nel suo proprio Palazzo detto con Antico vocabolo lo Steri posseduto da suoi Maggiori et in Memoria di Cid. Ai nostri tempi si vede in una cantonera del sudetto Palazzo la testa marmorea di Sua Cesarea Maestà con la Corona Imperiale dorata, e delli Signori Barone di Mongiardajini della stessa famiglia [Pepoli] si conserva la carretta medesima di detto Reccardo che servì in quella occasione l’Imperadore”. Tratto dal manoscritto di frate Pietro Giustiniani: “Elogij delle Famiglie e Nobili di Sicilia imparentate con la Famiglia Sieri Pepoli della Città di Trapani”. http://www.trapaniinvittissima.it/i_sieri_pepoli.html 13 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Scena della battaglia di Scannagallo raffigurata dal Vasari. Autografo estratto dalla pubblicazione “Le Sale della Mostra” dell’archivio di Stato di Siena, Roma 1956. 14 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Notaio Giuseppe Renda e Pellegrino, transunto del cinque aprile 1807, corda archivistica 11844 – Archivio di Stato di Trapani. (in basso, si legge la data 1595: guarismo chi dichi 1595) 15 Carlo V e i vasi sagri di Salvatore Accardi © – www.trapaniinvittissima.it Originali vasi sagri Elaborati vasi sagri con incisioni © Salvatore Accardi, gennaio 2011 16