diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle forze di polizia

DIRITTO DI ACCESSO E PRIVACY:
IL CONTESTO APPLICATIVO
DELLE FORZE DI POLIZIA
di Fabrizio Mari *
D
A strong debate is still under way after
the amendments introduced by Italian law
11 February 2005 n.15, concerning the
question of the appropriate definition of
the right to access administrative
documentation within the present juridical
order. In particular the need to balance this
right with interests opposed to this such as
the right to privacy are subject to close
scrutiny. Lawmakers have stepped in,
approving changes and integrations to law
241/90 and aiming to review the rules
regulating the right of access, by trying to
make it more compatible with the right to
privacy. Hence the sensitive issue as to how
to reconcile public interest for transparency
with the activity of administration and the
individual rights linked to privacy.
opo le modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005
n.15,1 sempre attuale è la questione relativa al corretto inquadramento, all’interno dell’ordinamento giuridico, del
diritto di accesso ai documenti amministrativi ed in particolare del suo
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* Vice Questore Aggiunto Forestale
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Dopo le modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005 n.15, sempre attuale è la questione relativa al corretto
inquadramento, all’interno dell’ordinamento giuridico, del diritto di accesso ai
documenti amministrativi ed in particolare del suo equilibrato bilanciamento
con gli opposti interessi sottesi al diritto
alla riservatezza. Il legislatore è intervenuto, apportando modifiche ed integrazioni alla legge 241/90 e cercando di rivedere la disciplina del diritto di accesso,
rendendola più compatibile con il diritto
alla riservatezza. Da qui il delicato problema di come conciliare l’interesse pubblico alla trasparenza dell’attività amministrativa ed i diritti della personalità
correlati alla privacy.
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equilibrato bilanciamento con gli opposti interessi sottesi al diritto alla
riservatezza.
Com’è noto, il legislatore, sia a livello nazionale che comunitario, ha
inciso, negli ultimi tempi, in maniera rilevante sul modus operandi della
P.A., attraverso un insieme di norme che la rendono più consona ai canoni propri di un pubblico potere all’interno di uno Stato democratico.
Tali interventi, ed in particolar modo la legge 7 agosto 1990 n. 2412 mira ad informare l’operato della P.A., oltre che ai principi costituzionali
di legalità, imparzialità e buona amministrazione, anche al nuovo principio di trasparenza; principio che, reso realtà vivente ed operativa all’interno dell’ordinamento, avrebbe dovuto dare una nuova configurazione al rapporto con i cittadini.
Questi ultimi attraverso la possibilità concessa dalla legge di controllare la conformità dell’attività amministrativa all’ordinamento ed all’interesse pubblico, possono divenire compartecipi dell’azione amministrativa. Ciò ha comportato una profonda rivoluzione, sia sul piano
soggettivo dei rapporti fra cittadini ed amministrazione che su quello
oggettivo dei modelli organizzativi dell’attività della stessa amministrazione; infatti, si è delineato un totale mutamento di prospettiva ed un
capovolgimento radicale nell’ambito del rapporto tra segretezza e pubblicità dell’azione amministrativa: la pubblicità viene posta come regola, mentre la segretezza è divenuta l’eccezione.
Il cittadino, presente in modo attivo e partecipe nel procedimento,
può così promuovere ed assicurare l’imparzialità e il buon andamento,
nonché l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa. Tale capillare controllo dal basso dell’attività amministrativa, in linea con una concezione democratica dei rapporti tra cittadino e P.A., garantisce correttezza ed imparzialità.
La previsione del diritto di accesso agli atti amministrativi si confronta, però, con l’esistenza e la rilevanza di situazioni soggettive individuali e collettive altrettanto degne di tutela, quale la riservatezza dei
soggetti coinvolti nelle vicende che, di volta in volta, possono divenire
oggetto di conoscenza o divulgazione. Il legislatore, pertanto, è nuovamente intervenuto in materia, apportando modifiche ed integrazioni alla legge 241/90 e cercando di rivedere la disciplina del diritto di acces-
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so, rendendola più compatibile con il diritto alla riservatezza.
È indubbio che i due diritti si pongono in rapporto potenzialmente
antitetico nel momento in cui uno tutela la trasparenza e pubblicità dell’attività amministrativa, garantendo il diritto di accesso agli atti amministrativi da parte dei soggetti interessati, l’altro si pone a difesa della riservatezza e non divulgazione dei dati attinenti alla sfera personale degli amministrati. Da qui il delicato problema di come conciliare l’interesse pubblico alla trasparenza dell’attività amministrativa ed i diritti
della personalità correlati alla privacy.
Il diritto di accesso3 ai documenti amministrativi viene espressamente introdotto dalla legge n. 241 del 1990 al fine “di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale”.
Di rilievo è poi la qualificazione del diritto di accesso,4 quale principio generale dell’attività amministrativa imparziale e trasparente, preordinato al perseguimento di finalità di interesse pubblico e, soprattutto,
attinente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, II
comma lettera m), della Costituzione”. Viene, dunque, chiaramente affermata, attraverso il collegamento con l’art. 117 Cost., la rilevanza costituzionale del diritto di accesso in sé considerato e non in ragione dell’interesse ad esso, volta per volta, sotteso e bisognoso di tutela.
L’accesso agli atti, ove esercitato, consente la conoscenza del concreto svolgimento della funzione pubblica e la P.A., in caso di rigetto dell’istanza, deve fornire una valida giustificazione motivando il diniego
con la necessità di proteggere, mediante il segreto, uno o più interessi
legislativamente previsti. Il segreto,5 quindi, perde la valenza di principio generale informatore dell’operato della P.A. e diviene un’eccezione
alla regola della trasparenza: è possibile invocare la necessità del segreto
solo nei casi in cui vi sia l’esigenza obiettiva e reale di tutelare particolari e delicati interessi pubblici; esigenza che, tra l’altro, deve essere normativamente prevista e ritenuta prevalente sul diritto di accesso.6
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1. Inquadramento del diritto di accesso
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Dunque, la trasparenza rappresenta la regola generale dell’azione amministrativa, e l’accesso ai documenti consente di rendere conoscibile la
stessa da parte di chiunque vi abbia interesse.
Di qui la duplice valenza del diritto di accesso: posizione soggettiva
che da un lato garantisce al privato la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti nei confronti della P.A., e che dall’altro è, allo stesso tempo,
funzionale ad assicurare la concretizzazione dei principi generali di imparzialità e trasparenza amministrativa.7
Il diritto di accesso trova, oggi, riconoscimento nell’ordinamento,
anche se con qualche limitazione maggiore del passato. L’art. 22 della
legge 241/90 nel suo nuovo testo, infatti, da una parte attribuisce agli
interessati, e cioè a tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di
interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, “il diritto… di prendere
visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”; dall’altra prevede
un’ampia formulazione di documento amministrativo nonché di pubblica amministrazione.8
La richiesta in parola deve, inoltre, consentire di individuare
l’estensione dell’accesso, poiché richieste generiche, da una parte, sottoporrebbero l’amministrazione ad una ricerca defatigante, incompatibile con la funzionalità dell’apparato pubblico, dall’altra, si rivelerebbero in palese contrasto con i principi di economicità ed efficienza
dell’amministrazione.9
Di conseguenza, i documenti ai quali si intende accedere devono
essere specificamente individuati nella richiesta, anche se, nei casi in
cui il richiedente non sia nella condizione di conoscere l’esistenza di
specifici atti effettivamente adottati, la giurisprudenza ha ammesso la
possibilità che l’istanza di accesso non rechi l’indicazione puntuale dei
singoli atti richiesti.
Ad ulteriore specificazione della necessaria determinatezza da parte
della istanza di accesso, si pone ora, altresì, il nuovo comma 3 dell’art.
24 laddove statuisce che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate
ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.
Come si è detto con le incisive modifiche del febbraio 2005, il nuovo
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articolo 2210 della legge n. 241/1990 riporta una serie di definizioni
che spiegano che cosa debba intendersi per diritto di accesso, per soggetti interessati, per controinteressati, per documento amministrativo
e per pubblica amministrazione. Queste definizioni, che hanno spesso
accolto orientamenti giurisprudenziali e che apportano modifiche sostanziali alla precedente disciplina, chiariscono, ad esempio, che controinteressati sono quei soggetti, individuati o facilmente individuabili,
che dall’esercizio del diritto di accesso vedrebbero compromessa la
propria riservatezza.
La legge individua così i soggetti che in un eventuale giudizio instaurato ex art. 25 legge n. 241/1990, devono essere considerati parti necessarie del processo, assumendo il ruolo di “controinteressati”, ed ai quali il ricorrente deve notificare il ricorso (o, meglio, ad almeno uno di essi) a pena di inammissibilità dello stesso. Peraltro, dalla norma citata
emerge che ai controinteressati la notifica deve essere effettuata solo
qualora essi siano individuati o facilmente individuabili. Non sempre,
infatti, i controinteressati sono facilmente individuabili dal ricorrente,
perché, ad esempio, si tratta di persone che sono menzionate nei documenti amministrativi di cui è stato negato l’accesso. Ne consegue che in
siffatti casi il contraddittorio dovrebbe essere integrato dal giudice.
Dalla definizione di “interessati” apprendiamo che l’accesso non viene più riconosciuto “a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti” (come previsto dall’originario art. 22 della legge n.
241/1990), ma che per poter accedere è necessario avere “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (così recita il nuovo art. 22
della legge n. 241/1990).
Dunque, si può accedere soltanto a quei documenti che abbiano un
riflesso “diretto” sulla posizione del richiedente. L’accesso, cioè, deve
ritenersi consentito solo a coloro ai quali gli atti, di cui si domanda
l’ostensione, si riferiscono e che se ne possono avvalere per la tutela di
una propria posizione soggettiva giuridicamente rilevante. In altre parole, l’interesse deve essere personale, non essendo ammissibile l’accesso proposto per il conseguimento di un vantaggio di un terzo.
Inoltre, l’interesse a visionare il documento deve essere “attuale”,
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deve cioè sussistere al momento della proposizione dell’istanza, e non
può essere permesso l’accesso quando l’interesse o la lesione arrecata
dal provvedimento che si chiede di conoscere sia futura.
Infine, l’interesse deve essere “concreto”, nel senso che l’accesso deve essere consentito solo qualora il richiedente possa avvalersi dei documenti dei quali chiede l’esibizione o l’acquisizione per la tutela di una
posizione giuridicamente rilevante. La posizione soggettiva del richiedente deve essere, cioè, astrattamente idonea a rendere utile la conoscenza del documento, di modo che un’eventuale diniego dell’istanza di
accesso realizzi un fatto lesivo nella sfera giuridica dello stesso.
Anche nella nuova formulazione dell’art. 22 non si richiede che la
posizione soggettiva tutelata assuma necessariamente la consistenza del
diritto soggettivo o dell’interesse legittimo; si deve trattare però di una
situazione in qualche modo tutelata dall’ordinamento giuridico (si pensi, ad esempio, agli interessi procedimentali, alle aspettative tutelate, e
così via) e collegata al documento per il quale è chiesto l’accesso.
La nuova formulazione dell’art. 22, legge n. 241/1990, appare a prima vista più restrittiva rispetto a quella usata dall’originaria versione
dell’art. 22, con la conseguenza che sembrerebbe restringersi il novero
dei soggetti legittimati ad accedere ai documenti amministrativi. A ben
vedere, però, non ci saranno, di fatto, grossi cambiamenti, poiché la
norma non fa altro che recepire degli orientamenti già largamente presenti nella giurisprudenza. L’accesso, infatti, era già ammesso dai giudici amministrativi solo in presenza di un interesse concreto e personale,
immediatamente riferibile al soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificamente inerente alla situazione da tutelare.11 Inoltre,
alcune prescrizioni non sono del tutto sconosciute nel nostro ordinamento, in quanto sembrerebbero già contenute in norme regolamentari: così, ad esempio, leggendo il nuovo art. 22 cit. la mente corre all’art.
2 del d.p.r. n. 352 del 1992, che circoscrive lo spettro dei soggetti legittimati ad accedere a coloro che hanno un “interesse personale e concreto”.
Peraltro, giova segnalare che il ventaglio dei soggetti legittimati ad
accedere è significativamente ampliato da alcune normative di settore,
tra le quali spiccano l’art. 3 del D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 39, che impone alle autorità pubbliche di rendere disponibili le informazioni rela-
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tive all’ambiente “a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse”12 e l’art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267
(T.U. enti locali), il quale - dopo aver affermato il principio che tutti gli
atti degli enti locali sono pubblici ad eccezione di quelli riservati per
espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del Sindaco o del Presidente della provincia che ne vieti l’esibizione qualora la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla
riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese - dispone che i regolamenti degli enti locali debbano assicurare a tutti i cittadini, singoli o
associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi.
Nel formulare la definizione di “interessati”, il nuovo art. 22, al co.
1, lett. b), precisa che tali sono “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi”. Letteralmente intesa questa norma parrebbe escludere la possibilità che dei soggetti pubblici possano formulare
un’istanza di accesso a documenti amministrativi tenuti presso altre
amministrazioni pubbliche. In realtà, l’acquisizione di documenti da
parte di soggetti pubblici è disciplinata dal successivo co. 5, ove si chiarisce che detta acquisizione, qualora non rientri nella previsione di cui
all’art. 43, co. 2, del DPR 28 dicembre 2000 n. 445, deve informarsi al
principio di leale cooperazione istituzionale.
La successiva lett. e) dell’art. 22 cit., nel darci la definizione di “pubblica amministrazione” ci svela che il diritto di accesso si esercita nei
confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico, nonché nei confronti
dei soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Si recepisce, dunque, in una norma di legge quell’orientamento giurisprudenziale che ai fini dell’accesso equipara gli atti provenienti dai soggetti
privati agli atti amministrativi, considerandoli però suscettibili di
ostensione solo se ed in quanto utilizzati ai fini dell’attività amministrativa, ovverosia allorché abbiano avuto un’incidenza nelle determinazioni amministrative.
Il co. 6, dell’art. 22, cit., infine, precisa che il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.
1.1. I limiti al diritto di accesso - L’art.24 della legge 241/90, è stato for-
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temente innovato dalla legge 15/05 che, dettagliando e specificando in
maniera più esaustiva la normativa precedente, ha previsto vari livelli di
limitazioni al diritto di accesso. Un primo livello di limiti è previsto dalla legge stessa.
Infatti, l’art. 24 al primo comma, esclude il diritto per tutti i documenti coperti dal segreto di Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di
legge e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente
previsti dalla legge o dal regolamento governativo di attuazione.
A tali materie, per le quali già il vecchio art. 24 prevedeva l’esclusione del diritto di accesso, la legge 15/05 ha aggiunto nuove materie, per
cui l’accesso è stato ulteriormente escluso:
• nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari
norme che li regolano;
• nei confronti delle attività della P.A. dirette all’emanazione di atti
normativi, atti amministrativi generali, di programmazione e pianificazione, che restano soggette alla loro disciplina particolare;
• nei procedimenti selettivi, quando vengono in rilievo documenti
contenenti informazioni di natura psico-attitudinale relativi a terzi.
Quando vengono in rilievo queste materie, le singole amministrazioni (Ministeri ed altri enti) debbono individuare, con uno o più regolamenti, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti
nella loro disponibilità sottratti all’accesso per le esigenze di salvaguardia degli interessi indicati nel comma 1.
Fuori da queste ipotesi (quelle cioè indicate dal nuovo art. 24 co. 1),
il nuovo comma 6 dell’art. 24 enuncia la regola di principio secondo cui
il diritto di accesso può essere escluso per l’esigenza di salvaguardare:
a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;
b) la politica monetaria e valutaria;
c) l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;
d) la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi,
imprese ed associazioni con particolare riferimento agli interessi di
natura epistolare, sanitaria, finanziaria, industriale e commerciale;
e) l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli
atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.
In tali casi, la disciplina concreta è rimessa ad un regolamento dele-
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gato al Governo,13 emanato nella forma del D.P.R. ai sensi del secondo
comma dell’art. 17 legge 400/1988 (c.d. delegificazione della materia),
al quale è demandato di disciplinare non solo le modalità di esercizio
del diritto ma soprattutto i casi di esclusione nel rispetto dei principi e
criteri direttivi dettati dalla legge (c.d. di delega).
La legge attribuisce però alla P.A. anche uno specifico potere discrezionale, che le fonti secondarie possono disciplinare più dettagliatamente: il potere di differire l’accesso ai documenti richiesti, ossia di negare l’accesso solo per un periodo di tempo determinato (il nuovo
comma 4 disciplina il potere di differimento più genericamente di
quanto facesse in passato il vecchio comma 6 che condizionava l’esercizio del potere di differimento alle ipotesi in cui la conoscenza del documento poteva impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa).
Non vi è dubbio che, anche alla luce della nuova disciplina, i regolamenti possono prevedere ipotesi specifiche di differimento, fissandone
la durata (in tal caso non si configurerebbe un potere discrezionale in
capo alla P.A. procedente).
È poi previsto che la P.A. non può negare l’accesso ai documenti
nelle ipotesi in cui sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.
In definitiva quindi la nuova formulazione dell’art. 24, dopo aver direttamente previsto delle ipotesi generali di esclusione per il diritto di
accesso, stabilisce quali sono le casistiche per le quali potrà essere sottratto l’accesso con apposito regolamento del Governo. Tale formulazione, rispetto alla precedente,14 è sicuramente più in linea con la disciplina dettata dal codice della privacy.
Nella vecchia formulazione, infatti, mentre le prime tre categorie in
essa previste indicavano dei limiti tassativi, tali da introdurre delle vere
e proprie ipotesi di esclusione dall’accesso ai documenti, estremamente
generico si rivelava il limite costituito dall’esigenza di tutelare la riservatezza dei terzi, atteso che solo quest’ultimo veniva temperato dalla necessità di garantire, comunque, agli interessati “la visione degli atti relativi
ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”.
In pratica, nella previsione della limitazione stessa, si cercava di con-
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ciliare e salvaguardare i due diversi interessi giuridici in competizione,
con la conseguenza che la riservatezza non rappresentava più un vero e
proprio limite, ma, più che altro, un ostacolo da armonizzare con le esigenze dei soggetti aventi un interesse all’accesso. In tal modo, la riservatezza costituiva l’eccezione alla regola dell’accessibilità ai documenti
amministrativi, eccezione vieppiù passibile a sua volta di deroga (con
conseguente riespansione del principio di accessibilità agli atti) qualora
la conoscenza dei documenti, oggetto di richiesta, fosse preordinata alla cura o alla tutela degli interessi giuridici dell’istante.
La giustificazione a tale diversificata disciplina, veniva rintracciata nella profonda diversità degli interessi tutelati, coinvolti o confliggenti sottesi alle varie fattispecie. Le prime tre ipotesi, infatti, riguardavano categorie
poste a tutela di interessi “propri” dell’amministrazione intesa in senso
ampio; tali interessi erano, per così dire, “interni” alla stessa P.A., per cui
lo scontro si svolgeva e si esauriva interamente tra l’amministrazione che
intendeva tutelare col segreto tali interessi superiori e l’istante che chiedeva di conoscere l’attività posta in essere dal soggetto pubblico.
La nuova formulazione della norma in commento, recependo almeno in parte i suggerimenti derivanti dalle interpretazioni dottrinarie e
giurisprudenziali effettuate sotto la vigenza del vecchio testo, da una
parte, sgancia la previsione normativa secondo cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi
giuridici” dal solo limite della riservatezza, per trasformarlo in una esigenza di salvaguardia all’accesso riferita a tutti i possibili limiti posti in
materia dall’Esecutivo, dall’altra, offre all’interprete, in qualche modo,
degli elementi normativi sulla base dei quali operare la comparazione
delle esigenze in conflitto, ricercare un possibile loro contemperamento o stabilire l’interesse prevalente.
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2. L’evoluzione normativa sulla privacy
I numerosi interventi legislativi che si sono succeduti nella disciplina
dei diritti di accesso e riservatezza, si sono caratterizzati per la loro
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mancanza di organicità ed omogeneità. Tale sovrapposizione di normativa, ha avuto inevitabili ripercussioni nell’evoluzione dottrinaria e
giurisprudenziale, volta inevitabilmente alla ricerca di un difficile contemperamento tra le varie discipline. A questo proposito si è soliti individuare tre fasi dell’evoluzione a partire dalla legge 241/90 fino al
Codice della Privacy approvato con il D.L.gs 196/03.
La prima fase racchiude l’arco temporale intercorrente tra la legge
241/90 e la legge 675/96, caratterizzato dal fatto che, mentre il diritto
di accesso ha ormai ricevuto una disciplina compiuta, la tutela del diritto alla riservatezza trova ancora fondamento e tutela esclusivamente
nell’art. 2 della Costituzione in tema di diritti della personalità.
Il diritto alla riservatezza, tuttavia, risultava presente nella legge
241/90, la quale, sia pure senza fornirne una definizione o disciplina, lo
poneva all’art. 24, co. 2 let. d), tra i limiti al diritto di accesso agli atti
amministrativi. La normativa in commento conteneva un mero riferimento alla necessità di tener conto dell’esigenza di riservatezza dei terzi, assegnando, comunque, una priorità al diritto di accesso, nel momento in cui garantiva comunque “agli interessati la visione degli atti relativi
ai procedimenti amministrativi”.
Non si è mancato, a tal proposito, di porre in evidenza le differenze
emergenti dal combinato disposto degli artt. 22 e 25 da un lato e dall’art. 24 dall’altro: mentre, infatti, per il primo gruppo di norme è “riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi” da esercitarsi “mediante
esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi”, per l’art. 24, invece,
è semplicemente garantita “agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
loro interessi giuridici”.15
Dottrina e giurisprudenza avevano elaborato al riguardo varie tesi,
un filone interpretativo era rappresentato dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 5/97.
Tale pronuncia partiva dall’assunto secondo cui il bilanciamento tra
interessi contrapposti era già stato in origine operato dal legislatore. Le
stesse disposizioni normative, infatti, stabilivano che il diritto di accesso, derogando al principio di pubblicità, nel conflitto con il principio di
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riservatezza, soccombeva. Tuttavia, nel caso in cui il diritto di accesso
venisse esercitato su atti la cui conoscenza è necessaria per la cura o difesa di interessi giuridici, il diritto di accesso va consentito nella sola
forma della visione. La tutela cd. modale preclude al richiedente la possibilità di estrarre copia o di trascrivere il contenuto del documento, salvaguardando il diritto alla riservatezza dai possibili pregiudizi che la copia o la trascrizione potrebbe cagionare. Ecco dunque il bilanciamento
tra i due diversi interessi contrapposti: da un lato si consentiva l’accesso
e, dall’altro, si evitava al terzo il pregiudizio che deriverebbe dalla maggiore diffusione del contenuto dell’atto, oltre che visionato, anche trascritto o copiato. In questa prima fase, quindi, la giurisprudenza aveva
confermato la prevalenza del principio di pubblicità rispetto a quello di
tutela della riservatezza, forse anche al fine di respingere, subito dopo
l’emanazione della legge 241/90, i tentativi di alcune pubbliche amministrazioni di enfatizzare le esigenze di tutela della riservatezza in modo
da sostituire quasi, con il ricorso a tale principio, il tradizionale segreto
d’ufficio, ormai in via di tendenziale superamento proprio per effetto
della legge suddetta.
La seconda fase dell’evoluzione è segnata dall’approvazione della
legge n. 675 del 1996. Tale legge sembra far salve le norme in tema di
diritto di accesso ai documenti amministrativi. Stabilisce, comunque,
che “la comunicazione e la diffusione di dati personali da parte dei soggetti pubblici
a privati o ad enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge
o di regolamento” (art. 27, co. 3).
Specifica, poi, per il trattamento dei dati cosiddetti sensibili, che esso
“è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale siano
specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite” (art. 22, co. 3).
In giurisprudenza, come già detto, si ritiene che la legge 241/90, in
tema di accesso ai documenti amministrativi, nel delineare il limite oggettivo della tutela della riservatezza, non abbia fornito alcuna idonea
descrizione normativa del contenuto di detto limite, per cui appare del
tutto logico che tale carenza possa essere colmata dall’esame della disciplina dettata dalla legge n. 675 del 1996, in materia di dati personali.16
Tale orientamento giurisprudenziale ha, dunque, aperto le porte a
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quello che è stato definito “un regime a doppio binario”, in virtù del
quale occorre distinguere l’ipotesi in cui la domanda di accesso riguarda
documenti contenenti dati personali non sensibili rispetto al caso in
cui, invece, la domanda abbia per oggetto dati sensibili.
Nella prima ipotesi trova applicazione il previgente art. 24, co. 2 let.
d), della legge 241/90 ed il contrasto tra diritto di accesso e tutela della
riservatezza trova composizione secondo i principi posti dalla decisione 5/97 dell’Adunanza Plenaria.17 Nel secondo caso, invece, in assenza
di una legge che specificamente consenta l’accesso, l’esigenza di tutela
della riservatezza prevale in modo rigido ed assoluto anche sul diritto
alla difesa in giudizio garantito dall’art. 24 della Costituzione.18
Lo schema interpretativo su esposto è stato riveduto e, per così dire,
“aggiustato” a seguito dell’emanazione del decreto legislativo n. 135 del
11 maggio 1999. L’art. 16 di tale normativa, infatti, da una parte ha qualificato come “di rilevante interesse pubblico” i trattamenti di dati “effettuati
in conformità alle leggi e ai regolamenti per l’applicazione della disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi” e, dall’altra, ha chiarito che quando la richiesta ha quale oggetto determinati dati sensibili e, precisamente, quelli idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è
consentito solo se il diritto da far valere o difendere nella difesa in sede
amministrativa o giudiziaria, “è di rango almeno pari a quello dell’interessato”.
Secondo alcuni, in realtà, tale norma non riguarderebbe il diritto
di accesso che continuerebbe ad essere assoggettato alla disciplina
originaria della legge 241/90. La giurisprudenza amministrativa, invece, si è orientata nel senso di ritenere che la disposizione, applicata
alla materia dell’accesso ai documenti amministrativi, rimette all’amministrazione ed al giudice la ponderazione comparativa tra il diritto
alla riservatezza dei dati riguardanti la salute o la sfera sessuale e l’interesse sotteso alla domanda di accesso. E il bilanciamento degli opposti interessi, in tal caso, non va effettuato in astratto, bensì in concreto in modo tale da evitare il rischio di soluzioni generalizzanti
fondate su di una mera comparazione gerarchica dei diritti in conflitto che, prescindendo da specifiche circostanze di fatto relative alle
singole fattispecie concrete, si riduce ad una sterile ed improduttiva
teorizzazione.19
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2.1. IL CODICE DELLA PRIVACY
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Prima del nuovo testo unico sulla privacy, quindi, la tutela del diritto
di accesso era molto forte e determinava la soccombenza del diritto alla
riservatezza rispetto alle esigenze di ostensione per la cura e la difesa di
interessi giuridici.20
Il nuovo codice sulla privacy, introduce, il diritto di chiunque “alla
protezione dei propri dati personali”. Tale normativa prevede, inoltre, che,
senza il consenso dell’interessato, il trattamento dei dati da parte della
P.A. possa avvenire esclusivamente per lo svolgimento di funzioni istituzionali e che il solo trattamento dei dati non sensibili possa realizzarsi
anche senza un’espressa previsione normativa.
I dati sensibili e giudiziari sono sottoposti allo stesso regime già previsto dall’art. 22 della legge 675/96 dopo la riforma del ‘99. Tuttavia,
sotto il profilo del bilanciamento tra diritto di accesso e diritto alla privacy, appare chiaro che il legislatore non abbandona l’impostazione
giurisprudenziale affermatasi sotto il vigore dei precedenti interventi
normativi in materia.
L’art. 59 del codice prevede espressamente, infatti, sia per i dati personali in genere che per quelli sensibili e giudiziari, che il diritto di accesso trovi la sua disciplina nella legge 241/90 e successive modifiche e
nelle altre leggi in materia e relativi regolamenti di attuazione; quindi,
per i dati personali sensibili il legislatore sembra ancora rimandare al bilanciamento tra contrapposti interessi ex legge 241/90, come sostenuto dall’Adunanza Plenaria n. 5/97 e confermato dalla successiva giurisprudenza.21 L’unica vera novità è rappresentata dall’art. 60 del codice,
che pone una tutela differenziata e specifica per i c.d. dati super sensibili, vale a dire per i dati relativi alla vita sessuale ed alla salute. La disciplina dettata da tale norma si pone come una vera e propria eccezione rispetto alla scelta della c.d. tutela modale prevedendo una valutazione
comparativa in concreto tra esigenze contrapposte.
Infatti, secondo quanto prescritto dall’art. 60 del codice, i dati supersensibili possono essere oggetto del diritto di accesso solo se l’istanza
sottenda una situazione giuridica di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
3. Il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Il proliferare delle reti informatiche ha accresciuto il pericolo che
un’enorme quantità di “tracce” e di dati sul cittadino, vengano cattura-
Anno II - n. 6
libertà fondamentale e inviolabile. Appare chiaro, quindi, come anche in
questa fase, in realtà, nulla sia cambiato e come il regime di pubblicità
dell’azione amministrativa permetta comunque di superare le esigenze
di riservatezza dei terzi interessati, i quali godono in generale solo di una
tutela modale, che li mette al riparo dai pregiudizi che potrebbero derivare loro da una più ampia diffusione dei dati, se copiati o trascritti.
In definitiva le limitazioni al diritto di riservatezza derivano dal fatto
che esso non è posto dall’ordinamento né in termini assoluti, né in maniera chiara.
Malgrado, infatti, il codice sancisca che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”, precisa poi che “i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla
legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di
legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in
esecuzione di una richiesta di accesso” (art. 59).
Il successivo art. 60 pone poi una importante eccezione legislativa
alla disciplina prevista in generale, relativamente ai dati sensibili idonei
a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, prevedendo in tal caso che
“il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende
tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno
pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un
altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”. La norma, tuttavia, non
chiarisce se il bilanciamento tra i diversi interessi in gioco debba essere
effettuato in astratto, sulla base di una ricostruzione delle norme costituzionali e legislative, o se lo stesso possa essere risolto caso per caso,
tenendo conto, oltre che degli indici normativi, di tutte le circostanze di
fatto rilevanti nelle varie fattispecie.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Anno II - n. 6
ti in modo incontrollato da gestori di informazioni pubblici, para-pubblici e privati.
Nel moderno Stato di diritto, lo stoccaggio ed il trattamento dei dati
del cittadino deve essere dunque regolato da norme tassative e limitato
alle ipotesi in cui ciò sia necessario per tutelare beni/interessi di rilievo
costituzionale superiore a quello della riservatezza.
È, ad esempio, il caso delle banche dati costituite al fine di garantire
l’operatività degli organi di investigazione e dunque di mantenere un
accettabile livello di sicurezza generale (es. il Centro Elaborazione Dati
presso il Ministero dell’Interno).
In tale materia, l’indispensabile esercizio della funzione di tutela della sicurezza interna dello Stato, deve coordinarsi con un adeguato livello di garanzie del privato in sé considerato rispetto ad illegittime violazioni alla propria sfera privata.
In Italia, la situazione è apparsa per anni più difficile che in altri
Paesi europei anche per l’assenza di precise disposizioni a tutela della
riservatezza del privato; tuttavia una svolta importante è derivata dall’esigenza di adeguare il nostro sistema giuridico alle normative definite
con gli accordi di Maastricht e prima di Schengen. Tali accordi, com’è
noto, prevedono una centralizzazione europea delle informazioni di
polizia e giudiziarie (Sistema Informativo Schengen - SIS ed Ufficio
Europeo di Polizia - Europol).
L’ingresso dell’Italia nel sistema informativo europeo di polizia, pur
sollevando nuovi e più complessi problemi di tutela dei diritti della persona, ha tuttavia prodotto - quale risultato più evidente e positivo - l’accelerazione dell’iter legislativo della tanto attesa normativa a tutela della
privacy.
In effetti, le norme sulla privacy hanno creato non soltanto un sistema di difesa della riservatezza del cittadino nei confronti della generalità delle persone, ma hanno rivoluzionato anche i rapporti tra singolo e
pubblica amministrazione completando il sistema di controlli e bilanciamenti introdotto con la legge n. 241/90 in materia di trasparenza
amministrativa e di diritto di accesso ai documenti.
Come si è visto il diritto di accesso incontra tutta una serie di limiti
in primo luogo tra i casi di esclusione dell’art. 24 co. 1 legge 241/90 in-
180 SILVÆ
dica i documenti coperti da segreto di Stato22 e nei casi di segreto o di
divulgazione espressamente previsti dall’ordinamento. L’art. 8 co. 2 del
D.P.R. n. 352/92 afferma che i documenti possono essere sottratti all’accesso quando sono suscettibili di recare un pregiudizio concreto.
Il divieto di accesso può essere apposto solo nei limiti in cui i documenti siano strettamente connessi ad esigenze di segretezza.23
a) Il segreto di Stato: trova fondamento nell’esigenza di tutela dell’integrità ed indipendenza dello Stato democratico, prioritaria rispetto a
quella della trasparenza dell’azione amministrativa. La P.A. dovrà valutare se, nelle situazioni concrete, il segreto di Stato sia opponibile
alla richiesta di accesso. L’art. 24 co. 6, afferma che in ordine alla sicurezza, alla difesa nazionale e alle relazioni internazionali, il
Governo può emanare dei decreti, a completamento e precisazione
di quanto già disposto dal legislatore sul Segreto di Stato.
Per quanto riguarda i rapporti o le relazioni di rappresentanti diplomatici, la riservatezza dovrà essere la regola. Inoltre l’art. 21 del
D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, prescrive che i documenti relativi
alla politica estera dello Stato, ancorché non aventi carattere riservato, diventano consultabili trascorsi cinquant’anni dalla loro data.
b) Divieto di divulgazione, altrimenti previsto dall’ordinamento o introdotto con i
decreti governativi di cui all’art. 24 co. 2:
- Il segreto militare: Il R.D. 11 luglio 1941, n. 1161, pone come prioritario l’interesse pubblico alla difesa nazionale. La legge 24 ottobre
1977, n. 801, ha abolito la distinzione tra segreto politico e militare, ed ha introdotto il cosiddetto segreto di Stato, valutabile oggettivamente sulla base di un rapporto tra divulgazione della notizia e
danno alla integrità ed indipendenza dello Stato democratico. Il
Presidente del Consiglio deve dare comunicazione della avvenuta
apposizione del segreto di Stato in sede di giudizio ad un
Comitato parlamentare di sorveglianza dei servizi di sicurezza.
- La politica monetaria e valutaria: Il segreto può essere imposto con
decreto ex art. 24 co. 6 per la necessità di mantenere il riserbo su
documenti la cui diffusione può determinare turbative nel mercato valutario o creare illecite situazioni di vantaggio.
- Ordine pubblico: La prevenzione e la repressione di attività criminose
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
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ed il mantenimento dell’ordine pubblico impongono la riservatezza
allo scopo di non compromettere la lotta dello Stato contro la criminalità. Il segreto può essere imposto con decreto ex art. 24 co. 6 .
- Il segreto industriale: L’art. 623 C.P., punisce la “rivelazione di segreti
scientifici o industriali”, compiuta dal lavoratore dipendente. Tale
disposizione del codice penale tutela anche le invenzioni non brevettate ed i diritti di know-how.
- Il segreto commerciale: la legislazione italiana ha sempre tutelato insufficientemente il consumatore riguardo alla qualità dei prodotti.
In effetti, l’unico circuito garantistico è nato ad opera della giurisprudenza e delle associazioni dei consumatori. Oggi, la legge 10
aprile 1991, n. 126, che detta “Norme per l’informazione del consumatore”, apre nuove, interessanti, prospettive in materia subordinando, la commercializzazione del prodotto ad una sufficiente
attività informativa sulle caratteristiche dello stesso.
- Il segreto professionale: si tratta del segreto, cui sono tenuti alcuni
soggetti, su notizie di cui siano venuti a conoscenza a causa della
loro attività professionale; alla stessa categoria appartiene il segreto
d’ufficio24 che si riferisce ai Pubblici ufficiali ed agli incaricati di un
pubblico servizio.
- Il segreto istruttorio: vige riguardo alle notizie relative ad un reato in
corso di accertamento (artt. 114 e 329 C.P.P.). Seppur la legge privilegia tale ipotesi di segreto rispetto al diritto di cronaca, la prassi
mitiga la rigidezza delle norme.
- La tutela della riservatezza dei privati: Il diritto alla riservatezza coinvolge la complessiva posizione della persona ed è riconducibile
nell’ambito dei principi inviolabili riconosciuti e garantiti dall’art.
2 della Costituzione.
Da notare come, l’art. 24 co. 6 lett. d) della legge 241/90 individua
“la vita privata e la riservatezza di persone fisiche e giuridiche, imprese e associazioni” tra gli altri casi di esclusione del diritto di accesso, consentendo peraltro agli interessati “l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia
necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”, salvo che per i dati
sensibili e giudiziari per i quali, tuttavia, si rimanda a quanto disposto
dall’art. 60 del D.Lgs. 196/03.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Va inoltre rilevato che sempre il suddetto art. 24 al co. 6, amplia ulteriormente le ipotesi di secretazione legittima, autorizzando il Governo
ad emanare un apposito regolamento ove potranno prevedersi ulteriori
casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi quando dalla
loro divulgazione possa derivare una lesione “alla sicurezza e alla difesa
nazionale” o quando riguardino “le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale
e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione
e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone
coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
In attesa della emanazione del nuovo regolamento sulla specifica
materia, poiché sul punto non vi sono state sostanziali modifiche rispetto al precedente articolato, è comunque utile e significativo il riferimento al vigente D.P.R. 352/92, che aveva individuato le modalità e gli
altri casi di esclusione del diritto di accesso.
Le singole amministrazioni hanno poi emanato dei regolamenti25 per
definire le categorie di documenti da sottrarre all’accesso. L’art. 13 del
D.P.R. 352/92 ha anche stabilito che nelle more dell’adozione dei regolamenti ministeriali, il diritto di accesso può essere esercitato ed il segreto può essere opposto con Provvedimento motivato del Ministro
(per le Amministrazioni dello Stato) o dell’organo che ha la legale rappresentanza dell’ente.
La valutazione dell’esistenza del limite dovrà condursi, di volta in
volta, in relazione alle fattispecie che verranno esaminate, avendo riguardo alle singole prescrizioni normative.
In tale ipotesi, come nelle altre, in cui la P.A. può valutare discrezionalmente se concedere l’informazione, il diritto di accesso si “affievolisce”, per riespandersi al venir meno dell’esigenza che giustifica il riserbo.
3.1. I DOCUMENTI INACCESSIBILI PER LA SALVAGUARDIA DELL’ORDILa funzione di tutela dell’ordine pubblico e di prevenzione e repressione della criminalità, viene presa in considerazione dalla legge sul
procedimento amministrativo come una di quelle funzioni “apicali” e
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NE PUBBLICO
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
di autoconservazione del sistema democratico. Per tale peculiare collocazione all’interno delle attività statuali, già il previgente art. 24 co. 2
lett. c) della legge n. 241/90 individuava un potere regolamentare del
Governo, in funzione limitativa del diritto di accesso ai documenti attinenti l’esercizio dei poteri di pubblica sicurezza.
Il sistema di normazione a cascata, introdotto dalla legge n. 241/90,
si è concretizzato, in materia di ordine pubblico, attraverso l’emanazione del regolamento governativo approvato con il D.P.R. 352/92, il cui
art. 8 co. 5 specifica i casi di esclusione del diritto di accesso. È, poi, intervenuta la specifica regolamentazione di settore, cui rinvia il previgente art. 24 co. 4 della legge n. 241/90, attuata con Decreto del
Ministero dell’Interno 10 maggio 1994 n. 415 per la Polizia di Stato e
con Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 5 settembre 1997 n. 392 per il Corpo Forestale dello Stato, ai quali si farà riferimento in questa trattazione in quanto entrambe Forze di Polizia ad ordinamento civile.
L’art. 8 co. 5 lett. c) del D.P.R. 352/92 individua talune categorie di
documenti sottratte al diritto di accesso per esigenze connesse ad attività di polizia, per la preservazione dei seguenti interessi:
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A) SEGRETEZZA DELLE STRUTTURE ORGANIZZATIVE: la norma fa riferimento alle “strutture, ai mezzi, alle dotazioni, al personale”.
La formulazione della norma appare, con riferimento a tale categoria, piuttosto generica e dai contorni sfumati. Soccorre al riguardo l’art.
3 co. 1 lett. d)-l) del D.M. 415/94 (Polizia di Stato), e l’art. 1 co. 1 lett.
n)-p), del D.M. 392/97 (Corpo forestale dello Stato) che specificano le
singole voci coperte da segreto:
- Strutture, mezzi e dotazioni: Sono sottratti all’accesso i documenti attinenti alla “dislocazione sul territorio dei presidi degli uffici e delle strutture delle
Forze di Polizia, esclusi quelli aperti al pubblico”; quelli concernenti la “sicurezza delle infrastrutture, la protezione e la custodia di armi, munizioni, esplosivi e
materiali classificati”; quelli di “pianificazione, programmazione, gestione e manutenzione, dismissione di infrastrutture ed aree nei limiti in cui tali documenti contengono notizie rilevanti al fine di garantire la sicurezza pubblica nonché la prevenzione e repressione della criminalità”. Viene coperta da segreto anche quel-
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
B) SEGRETEZZA DELLE MODALITÀ OPERATIVE ED INVESTIGATIVE: La
seconda parte dell’art. 8 co. 5 lett. c) del D.P.R. 352/92 ha per oggetto
“i documenti riguardanti (...) le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte”.
L’oggetto di tale vincolo di segretazione è costituito dall’“agire” dell’amministrazione di pubblica sicurezza. La specificazione delle limitazioni, in sede di decretazione ministeriale, è operata dall’art. 3 co. 1 lett.
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l’attività di “ricerca, sviluppo, pianificazione e programmazione, acquisizione, gestione e conservazione di mezzi, armi, materiali e scorte”; ed altresì le “relazioni
tecniche sulle prove d’impiego dei materiali di sperimentazione”. È inoltre prevista la secretazione della documentazione descrittiva delle strutture e del
funzionamento di “impianti industriali a rischio limitatamente alle parti la cui
conoscenza possa agevolare la commissione di atti di sabotaggio”.
- Personale: gli “atti e documenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi di polizia, ivi compresi quelli relativi all’addestramento, all’impiego ed alla mobilità del personale delle Forze di polizia, nonché i documenti sulla
condotta dell’impiegato rilevanti ai fini di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e quelli relativi ai contingenti delle Forze armate poste a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza”.
Occorre operare un raccordo tra tale disciplina e quella in materia di
segreto di ufficio.26 In effetti, l’obbligo di osservanza di tale segreto
opera in modo particolarmente vincolante per il personale delle Forze
di Polizia.
L’art. 34 del Regolamento di servizio per il personale della Polizia di
Stato (D.P.R. n. 782/85), impone l’osservanza del segreto d’ufficio in
relazione al divieto di fornire notizie relative ai servizi d’istituto o a
provvedimenti od operazioni di qualsiasi natura, anche se non si tratti
di atti segreti, nella presunzione che possa derivare danno o pregiudizio
all’amministrazione, a terzi o alla corretta esecuzione dei servizi di polizia.27 La medesima disposizione riserva ai Dirigenti degli uffici la competenza a divulgare notizie di interesse generale concernenti servizi,
provvedimenti ed operazioni.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
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a-c) del D.M. 415/94 (Polizia di Stato) e dall’art. 2 co. 1 lett. i), l) del
D.M. 392/97 (Corpo forestale dello Stato).
Sono sottratte all’accesso “le relazioni di servizio e gli altri atti o documenti” che costituiscono il presupposto per l’adozione dei provvedimenti
dell’autorità di pubblica sicurezza o che siano inerenti all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione
della criminalità. Ci si trova di fronte ad un’elencazione di attività particolarmente ampia, in quanto l’individuazione delle medesime può qui
avvenire sia secondo un criterio soggettivo (provenienza da organi dell’autorità di pubblica sicurezza), sia oggettivo (inerenza all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, indipendentemente dall’organo emanante l’atto).
Ancor più pervasiva appare l’estensione dell’area occlusa all’accesso con riguardo alle “relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o
documenti” inerenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli
relativi al contenzioso amministrativo, che contengano notizie relative a “situazioni di interesse” per l’ordine e la sicurezza pubblica. La
preclusione posta all’accesso ai documenti, appare qui non limitabile aprioristicamente.
Teoricamente, la disposizione consente di secretare gli atti e provvedimenti appartenenti a qualunque ramo della pubblica amministrazione; in particolare quegli atti istruttori inerenti provvedimenti ampliativi
della sfera soggettiva del singolo (autorizzazioni, concessioni) che questi avrebbe interesse a conoscere proprio al fine di tutelare le aspettative relative a tali interessi pretensivi.
Risulta, inoltre, piuttosto vaga la dizione “situazioni di interesse” per
l’amministrazione di pubblica sicurezza, non individuandosi per tal via
un limen minimo di qualificazione di tale interesse a partire dal quale si
renda necessaria la denegazione dell’accesso.
La lett. c) dell’art. 3 co. 1, tratta poi, degli atti e documenti attinenti
ad informazioni fornite da “fonti confidenziali”, individuate od anonime, nonché da “esposti informali” di privati, di organizzazioni di categoria o sindacali.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
C) SEGRETEZZA DELLA FUNZIONE DI POLIZIA GIUDIZIARIA: si fa
espresso rinvio “all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”
(art. 8 co. 5 lett. c, D.P.R. 352/92). Si individua qui l’attività di polizia svolta post delictum ed immediatamente connessa allo svolgimento della funzione giurisdizionale di repressione dei reati. Non vi è un autonomo corpo di P.G., ma sezioni di amministrazioni operanti presso le Procure della
Repubblica, non denotate in via esclusiva dall’esercizio di tale funzione.
Entrambi i decreti ministeriali in questione, non affrontano specificamente la questione della segretezza degli atti di P.G. In effetti, la funzione investigativa preordinata all’acquisizione degli elementi occorrenti affinché il Pubblico Ministero possa iniziare e proseguire l’azione penale, risulta già regolamentata - anche con riferimento agli aspetti di segretazione - dalle norme del Codice di Procedura Penale. Il C.P.P. distingue tre livelli di segretazione. Vi sono gli atti assolutamente segreti,
assimilabili a quelli investigativi; tali atti restano coperti dal segreto investigativo interno, fino alla chiusura delle indagini preliminari (art. 329
co. 1 c.p.p.).28
Vi sono poi, atti relativamente segreti, la cui segretezza non risulta
opponibile all’inquisito. Risultano, invece, pubblici tutti gli atti compiuti
in udienza pubblica (art. 471 c.p.p.) nonché quelli delle indagini preliminari ritenuti utilizzabili in sede dibattimentale (art. 114 co. 3 c.p.p).
Sia l’art. 4 del D.M. 415/94 (Polizia di Stato) che l’art. 4 del D.M.
392/97 (Corpo forestale dello Stato), individuano una lunga e tecnicamente complessa serie di ipotesi di tutela della riservatezza dei terzi. In
alcuni casi si fa riferimento a tutta l’attività di reclutamento e di progressione in carriera del personale di pubblica sicurezza, sottraendo all’accesso “i rapporti informativi sul personale dipendente nonché le notizie sugli aspiranti all’accesso nei ruoli della Polizia di Stato”, “le notizie attinenti alle selezioni psico-attitudinali”,29 “gli accertamenti medico-legali”, la “documentazione attinente ai lavori
delle commissioni di avanzamento e alle procedure di passaggio alle qualifiche superiori, fino alla data di adozione dei relativi decreti di promozione”, la “documentazione
caratteristica, matricolare e concernente situazioni private dell’impiegato”.
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3.2. GLI ATTI INACCESSIBILI PER MOTIVI DI RISERVATEZZA
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Vi sono poi una serie di documenti inerenti al profilo disciplinare del
personale, e più in particolare “la documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari”, quella attinente ad “inchieste ispettive sommarie e formali”,
ed ai “provvedimenti di dispensa dal servizio”; inoltre i “i rapporti alla procura
generale e alle procure regionali della Corte dei Conti” nonché le azioni di responsabilità di fronte a queste ultime e all’autorità giudiziaria.
La tutela è, inoltre, estesa ai privati estranei al personale di Pubblica
Sicurezza; e specificamente, ai “documenti relativi alla salute delle persone ovvero concernenti le condizioni psicofisiche delle medesime”; è oggetto di segreto
anche la “documentazione relativa alla corrispondenza epistolare di privati, all’attività professionale, commerciale e industriale, nonché alla situazione finanziaria,
economica e patrimoniale di persone, gruppi ed imprese comunque utilizzata ai fini
dell’attività amministrativa”.
Risultano coperti da secretazione tutta una serie di atti relativi alla situazione dei rifugiati. In particolare sono inaccessibili i verbali e la documentazione istruttoria relativa al riconoscimento dello status di rifugiato, gli “atti della commissione centrale per il riconoscimento”, le istanze, i resoconti delle audizioni dei richiedenti, i verbali delle sedute, le decisioni
della Commissione notificate ai richiedenti.
3.3. I DOCUMENTI SOTTRATTI ALL’ACCESSO PER LA SICUREZZA E
LA DIFESA NAZIONALE
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Vi sono una serie di documenti che, secondo la classificazione tradizionale, rientrerebbero tra i casi di c.d. Segreto di Stato, ma che il D.M.
415/94 individua specificamente, quali “la documentazione relativa agli accordi intergovernativi stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, approvvigionamento e supporto comune di programmi per la collaborazione internazionale di polizia” (art. 2 co. 1 lett. a); ad esclusione di tale ultimo riferimento, le altre ipotesi appaiono contigue più alla materia della difesa
nazionale che a quella di competenza del Ministero dell’Interno.
L’art. 2 co. 1 lett .b) fa poi riferimento alle “dichiarazioni di riservatezza
(..) dei documenti archivistici concernenti la politica estera ed interna”. Tali documenti possono essere resi pubblici dopo un periodo di segretazione pari a cinquant’anni.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Sono esclusi dall’accesso le “relazioni ed i rapporti inerenti le zone di confine ed i gruppi linguistici minoritari” e la “documentazione relativa ai procedimenti
di concessione, acquisto e riacquisto della cittadinanza” la cui conoscenza possa
pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali (art. 2 co. 1 lett. c-d).
In tale categoria il D.M. 392/97 richiama solamente i “documenti tecnici la cui divulgazione possa arrecare pregiudizio alle decisioni di politica agricola,
agroalimentare, forestale e della pesca, nazionale e comunitaria”.
Già la legge n. 675/96 affermava all’art. 27 che “il trattamento dei dati
personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle
funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti” e all’art. 22
co. 3 consentiva il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici soltanto ove autorizzato da espressa disposizione di legge nella
quale siano specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni
eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite. Tale ultima disposizione, così come introdotta dal legislatore del 1996, individuava una “riserva di legge rinforzata” per ciò che concerne l’autorizzazione al trattamento di dati sensibili da parte di enti pubblici; il legislatore qui non soltanto imponeva la disciplina della materia ad opera della
legge, ma stabiliva anche il contenuto minimo dell’articolato normativo
al fine di garantire un risultato utile in termini di tutela della persona.
L’art. 41 co. 5 della legge n. 675/96 ha autorizzato, fino al 7 maggio
1998, un regime transitorio tale da consentire alle pubbliche amministrazioni di trattare i dati sensibili anche in assenza delle leggi di cui all’art. 22 co. 3, ritenendosi sufficiente - fino a quella data - la sola comunicazione al Garante dell’inizio del trattamento. Con i D.Lgs. 135/98 e
389/9830 il termine stabilito dall’art. 41 co. 5 della legge n. 675/96 è stato prorogato, consentendo il trattamento dei dati sensibili nella forma
semplificata fino al 7 maggio 1999.
È doveroso ricordare che, i decreti legislativi sopra enumerati sono
stati emanati sulla base della delega contenuta nell’art. 2 della legge n.
675/96 che consentiva al Governo fino alla data dell’8 novembre 1998,
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3.4. LE DISPOSIZIONI SULLA PRIVACY IN MATERIA DI BANCHE DATI
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l’emanazione di uno o più decreti delegati recanti disposizioni correttive della legislazione in materia di tutela della persona e di altri soggetti
rispetto al trattamento dei dati personali. Il legislatore ha determinato,
nel fissare la delega - ai sensi dell’art. 76 Cost. - tra i criteri direttivi vincolanti per il legislatore delegato, il rispetto dei principi e della impostazione sistematica della legislazione in materia di tutela delle persone e
di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, consentendo
l’introduzione delle sole correzioni necessarie per realizzarne pienamente i principi o per assicurarne la migliore attuazione o per adeguarla
all’evoluzione tecnica del settore.
Ciò ha consentito al Governo di emanare il D.Lgs. 11 maggio 1999
n. 135, che avrebbe dovuto integrare le disposizioni della legge 675/96
sul trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici.
L’effetto prodotto dal decreto delegato è stato, invece, dirompente
rispetto ad uno dei principi che il legislatore aveva posto a fondamento
dei rapporti tra persona e pubblica amministrazione in materia di trattamento dei dati sensibili: si tratta della più sopra enunciata “riserva rinforzata di legge” che avrebbe dovuto individuare - essa soltanto - i dati
oggetto del trattamento, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di
interesse pubblico perseguite.
L’art. 5 del D. Lgs. 135/99 così rivoluziona tale materia:
a) Nel caso in cui esista una espressa disposizione di legge che indichi i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le
rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite, il trattamento dovrà
essere effettuato sulla base di tali indicazioni.
b) In mancanza di espressa disposizione di legge - e fino all’emanazione della stessa - il Garante indicherà, a fronte di una richiesta delle
singole amministrazioni, quali attività (tra quelle facenti parte delle funzioni tipiche dell’amministrazione richiedente) perseguano rilevanti finalità di interesse pubblico e per le quali è autorizzato il trattamento dei
dati. La norma non lega tale regime transitorio ad un termine ad quem,
per cui si ha ragione di temere il radicamento di una prassi in cui il
Garante diverrà una sorta di legislatore sub-delegato e porrà dei criteri
che difficilmente saranno modificati nel prosieguo.
c) Se vi è una legge, ma la stessa indica soltanto la finalità di rilevante
190 SILVÆ
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
interesse pubblico, e non specifica i tipi di dati e le operazioni eseguibili, le pubbliche amministrazioni identificano e rendono pubblici, secondo i rispettivi ordinamenti, i tipi di dati e di operazioni strettamente
pertinenti e necessari in relazione alle finalità perseguite nei singoli casi,
aggiornando tale identificazione periodicamente.
Tale ultima ipotesi, indica come il D.Lgs. 135/99 sia veramente il
frutto di un’infelice tessitura normativa e di come in tale disposizione si
confonda in un unico soggetto (la pubblica amministrazione) il ruolo
di destinatario di una norma, di creatore di nuove disposizioni e di soggetto tenuto ad osservarle, in un miscuglio in cui residua ben poco dei
principi propri dello Stato di diritto.
Con l’emanazione del D.Lgs. 196/03 - Codice della privacy - è stata
fatta finalmente chiarezza prevedendo, all’art. 180, l’adozione di misure
minime atte a garantire la sicurezza dei dati trattati conformemente al
disciplinare tecnico (Allegato B) entro il 31.12.2005. In particolare per i
dati sensibili e giudiziari trattati con l’ausilio di strumenti elettronici,
viene prevista la redazione del “Documento programmatico sulla sicurezza” con cadenza annuale, contenente una serie di informazioni riguardanti: l’elenco dei trattamenti di dati personali; la distribuzione dei
compiti e delle responsabilità nell’ambito delle strutture preposte al
trattamento dei dati; l’analisi dei rischi; le misure da adottare per garantire l’integrità dei dati e la loro custodia; la formazione degli incaricati
del trattamento.
Il Corpo forestale dello Stato ha redatto tale documento31 effettuando preliminarmente tutte quelle necessarie attività di analisi e verifica
interna anzidette.
DATI PRESSO IL
MINISTERO
Il Centro elaborazione dati presso il Ministero dell’Interno (CED) è
stato istituito dall’art. 8 legge n. 121/81, per raccolta, classificazione, analisi e valutazione di informazioni e dati in materia di tutela dell’ordine e
della sicurezza pubblica, di prevenzione e repressione della criminalità, e
loro diramazione alle Forze di Polizia (art. 6 co. 1 let. a) della l. 121/81).
Anno II - n. 6
3.5. IL CENTRO ELABORAZIONE
DELL’INTERNO
SILVÆ 191
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Anno II - n. 6
L’art. 9 della legge n. 121/81 consente all’autorità giudiziaria, agli ufficiali di polizia giudiziaria, agli ufficiali di pubblica sicurezza nonché
agli agenti di polizia giudiziaria delle forze di polizia a ciò autorizzati,
l’accesso ai dati ed alle informazioni esistenti presso gli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati del Ministero dell’Interno. La legge
vieta la circolazione di tali informazioni all’interno della pubblica amministrazione e le decisioni giudiziarie fondate esclusivamente su elaborazioni automatiche di informazioni.32
Il CED, prima dell’avvento della legge sulla privacy, costituiva il soggetto cui notificare l’esistenza di archivi magnetici nei quali fossero inseriti dati o informazioni di qualsiasi natura concernenti cittadini italiani previsto dall’art. 8 u.co. legge n. 121/81, poi abrogato dall’art. 43
della legge n. 675/96 e dall’art. 183 co. 3 lett. i) del D.Lgs. 196/03.
Il Codice della privacy ha stabilito come deve avvenire il trattamento
dei dati personali effettuato dal CED o da parte delle forze di polizia
per finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, prevenzione,
accertamento o repressione dei reati, purché effettuato in base ad
espressa disposizione di legge che preveda specificatamente il trattamento (art. 53).
In tal caso non si applicano le disposizioni del codice relative a:
• modalità di esercizio dei diritti (art. 9);
• riscontro alla richiesta di esercizio dei diritti (art. 10);
• codici di deontologia e buona condotta (art. 12);
• obbligo di informativa (art. 13);
• cessazione del trattamento (art. 16);
• principi applicabili a tutti i trattamenti effettuati da soggetti pubblici
(artt. da 18 a 22);
• notificazione del trattamento e relative modalità (art. 37 e art. 38 co.
da 1 a 5);
• obblighi di comunicazione e richieste al Garante, nonché trasferimento di dati all’estero (artt. da 39 a 45);
• tutela relativa all’esercizio dei diritti relativi ai dati personali trattati
(artt. da 145 a 151).
Inoltre l’art. 54 del Codice, nel fissare le modalità di trattamento,
prevede che l’acquisizione di dati, informazioni, atti e documenti da al-
192 SILVÆ
tri soggetti può essere effettuata anche per via telematica, attraverso la
stipula di convenzioni con gli organi ed uffici interessati.
Precisa inoltre che i dati trattati per le suddette finalità sono conservati separatamente da quelli registrati per finalità amministrative che
non richiedono il loro utilizzo, e che gli organi, uffici e comandi di
Polizia verificano periodicamente le modalità del trattamento e i requisiti dei dati nel rispetto delle regole generali fissate dall’art. 11.
Sulla necessità di tenere aggiornati gli archivi, già in precedenza era
intervenuto il Garante con comunicazione del 3 giugno 2002, dove precisava che gli uffici e comandi di Polizia devono verificare periodicamente che i dati contenuti nei loro archivi, specie di quelli cartacei, siano esatti e aggiornati. Devono, se necessario, modificare, integrare o
cancellare i dati in loro possesso sulla base dei diversi esiti processuali.
Le Forze di Polizia devono, inoltre verificare che le operazioni effettuate sui dati personali, raccolti nel corso della loro attività, corrispondano
ai requisiti di liceità e correttezza previsti dal Codice della privacy.
Tuttavia, vi è anche da richiamare la medesima norma (art. 57) che
nel fissare le modalità di acquisizione e trattamento dei dati, rimanda all’emanazione di un successivo Decreto del Presidente della Repubblica,
sulla base dei principi introdotti dal Codice, il quale dovrà prevedere:
• la raccolta dei dati correlata alla specifica finalità perseguita, in relazione alla prevenzione di un pericolo concreto o alla repressione di reati in particolare per quanto riguarda i trattamenti effettuati per finalità di analisi;
• l’aggiornamento periodico dei dati;
• i presupposti per effettuare trattamenti per esigenze temporanee
o collegati a situazioni particolari;
• l’individuazione di specifici termini di conservazione dei dati in relazione alla loro natura e agli strumenti utilizzati per il trattamento;
• la comunicazione ad altri soggetti anche all’estero o per l’esercizio
di un diritto o di un interesse legittimo;
• l’uso di particolari tecniche di elaborazione e di ricerca delle informazioni.
Per la sua intrinseca delicatezza, i controlli sul CED previsti dalla
legge n. 121/81, sono i seguenti:
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
SILVÆ 193
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Anno II - n. 6
1) Controllo amministrativo (art. 8, co. 1, l. 121/81): era prevista una
commissione tecnica che operava soprattutto un controllo tecnicooperativo;
2) Controllo parlamentare (art. 10 l. 121/81): il Comitato di controllo
sui servizi di cui alla legge n. 801/77 procedeva al controllo sul CED,
attraverso due modalità:
a) art. 10 co. 1: verifiche a campione;
b) art. 10 co. 4: l’autorità procedente, ove nel corso di un procedimento amministrativo o giurisdizionale, rilevava l’erroneità, incompletezza o illegittimità dei dati, ne dava notizia al Comitato parlamentare
per i provvedimenti del caso;
3) Controllo giudiziario (art. 10 co. 5 l. n. 121/81): l’interessato che nel
corso di un procedimento amministrativo o giudiziario fosse venuto a
conoscenza dell’erroneità, illegittimità, incompletezza dei dati, avrebbe
presentato istanza al tribunale penale che decideva con ordinanza.
Viene qui individuata una competenza ratione materiae del giudice penale, difficilmente riscontrabile in altre fonti del nostro ordinamento.
Andando ora a vedere i controlli sul CED introdotti dall’art. 175 del
D.Lgs. 196/03 riscontriamo:
1) CONTROLLO AMMINISTRATIVO
a) Commissione tecnica: permane il controllo di tale Commissione, ma il
DPR n. 378/82, istitutivo della medesima andrà modificato sulla base
delle indicazioni fornite dal D.Lgs. 196/03 .
b) Ufficio per il coordinamento e la pianificazione presso il Dipartimento di P.S.
(art. 5 legge n. 121/81): La notevole innovazione introdotta con l’art. 10
co. 3-4 del D.Lgs. 196/03 è costituita dalla possibilità, per l’interessato,
di richiedere a tale Ufficio la conferma dell’esistenza di dati personali
che lo riguardano, la loro comunicazione e, ove vi sia illegittimità, la
cancellazione o trasformazione in forma anonima. L’Ufficio deve rispondere entro 30 giorni; può omettere di rispondere soltanto per non
pregiudicare azioni (concrete) a tutela dell’ordine e della sicurezza, dando in tal caso notizia al Garante.
2) CONTROLLO DEL GARANTE: È previsto dall’art. 10 co. 1 nuova
formulazione della legge 121/81 che il controllo sul CED sia esercitato
dal Garante per la tutela dei dati personali; quando nel corso di un pro-
194 SILVÆ
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
cedimento amministrativo o giurisdizionale viene rilevata l’erroneità, illegittimità o incompletezza, l’autorità procedente dà notizia al Garante
per gli opportuni provvedimenti.
3) CONTROLLO GIUDIZIARIO: chiunque (anche non in corso di un
procedimento giurisdizionale o amministrativo) viene a conoscenza
dell’esistenza di dati trattati in violazione di legge o di regolamento,
può chiedere al Tribunale Civile di compiere gli accertamenti necessari
e di ordinare la rettifica, l’integrazione, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima dei dati medesimi. Viene meno, dunque, la
competenza del Giudice penale - precedentemente prevista dalla legge
n. 121/81 -, in favore del tribunale civile del luogo ove risiede il titolare
del trattamento.
In realtà, esaminando la legge 121/81, istitutiva del CED presso il
Ministero dell’Interno, si può constatare che, nonostante le positive
modifiche introdotte dal D.Lgs. 196/03, essa individua in modo ampio
ed indeterminato il tipo e la fonte delle informazioni immagazzinabili
nel CED. L’oggetto dello stoccaggio è costituito da “notizie risultanti da
documenti che siano conservati dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici, o
risultanti da sentenze o da provvedimenti dell’autorità giudiziaria” (art. 7 legge
121/81).
La scarsa tassatività delle disposizioni in materia, è causa di un’incerta delimitazione del confine tra poteri di acquisizione delle informazioni da parte degli attori istituzionali e tutela della privacy che la legge sulla privacy ha inteso garantire.
In una prospettiva di sintesi occorre rilevare che dal raffronto tra le
più recenti normative in tema di accesso e riservatezza si profila un regime diverso a seconda che i dati personali contenuti nei documenti
amministrativi siano: a) comuni; b) super sensibili (id est: idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale); c) sensibili o giudiziari; d) psicoattitudinali. Nel primo caso, qualora si tratti di tutelare una propria situazione giuridica, che non necessariamente deve essere di diritto sog-
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4. Sintesi del raffronto tra accesso e privacy
SILVÆ 195
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
gettivo o di interesse legittimo, il soggetto istante può sempre accedere:
è stato lo stesso legislatore che, con la legge sulla trasparenza, alla quale
l’art. 59 del Codice rinvia espressamente, ha risolto una volta per tutte il
bilanciamento tra i due opposti interessi a favore del diritto di accesso.
Nelle altre due ipotesi indicate nelle lettere b) e c), invece, il ventaglio
dei soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso è più ristretto, il
che trova piena giustificazione nel fatto che il sacrificio richiesto al titolare del diritto alla riservatezza è maggiore rispetto alle ipotesi in cui
non siano coinvolti dati sensibili. Infine, nell’ultima ipotesi (quella relativa a documenti contenenti dati psico-attitudinali relativi a terzi nei
procedimenti selettivi), l’accesso parrebbe essere sempre escluso.
In ogni caso, stante la complessità e la delicatezza delle valutazioni
richieste all’amministrazione quando si trova a bilanciare i contrapposti
interessi tra accesso e riservatezza, è ragionevole ritenere che non possano trovare applicazione le previsioni sull’accesso informale di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 352/1992, atteso che in tali casi una cognizione
sommaria rischierebbe di compromettere in modo irreversibile il diritto alla riservatezza.
Volendo, a conclusione del discorso, abbozzare un quadro riepilogativo, esso, per esigenze di chiarezza espositiva ed anche a rischio di
qualche forzatura, può essere così schematizzato:
1. Accesso a dati personali che riguardano il soggetto istante: in
questo caso trova applicazione il Codice che, agli artt. 7 e ss., garantisce
un’ampia possibilità di accesso ai propri dati personali, con procedure
alquanto semplificate. Occorre però precisare che, secondo la nostra ricostruzione, l’ambito di operatività dell’art. 7 cit. è circoscritto alle ipotesi in cui la richiesta di accesso riguardi informazioni di carattere personale relative all’interessato in qualsiasi forma detenute dalla P.A., ma
non si estende anche ai casi in cui l’istanza di accesso abbia ad oggetto
documenti amministrativi (v. infra il successivo punto 2).
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2. Accesso (esoprocedimentale ed endoprocedimentale) a documenti amministrativi contenenti dati personali propri del richiedente: quando l’istanza di accesso ha ad oggetto documenti ammini-
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
strativi, ancorché contenenti dati personali propri del richiedente, in
forza del rinvio operato dall’art. 59 del Codice si rientra sempre nel
campo di applicazione della legge sulla trasparenza amministrativa.
3. Accesso (esoprocedimentale ed endoprocedimentale) a documenti amministrativi contenenti dati personali di soggetti terzi: anche in questa eventualità si deve far riferimento, in linea di massima, alla
disciplina contenuta nella legge n. 241 del 1990 (v. però infra il punto 3.2
sui dati super sensibili). Questa ipotesi, a sua volta, si scinde in quattro ulteriori questioni, concernenti la prima l’accesso a dati personali comuni,
la seconda l’accesso a dati personali super sensibili, la terza l’accesso a dati sensibili e giudiziari, e la quarta l’accesso a dati psico-attitudinali:
3.1. Richiesta di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali comuni: questa prima fattispecie deve essere ulteriormente suddivisa in due ipotesi:
3.1.2. Richiesta di accesso a documenti amministrativi la cui
conoscenza non sia necessaria per curare o difendere gli interessi
giuridici del richiedente: in questa ipotesi, al contrario, la riservatezza prevale sull’accesso, giacché con regolamento governativo si possono prevedere casi di sottrazione all’accesso di
documenti amministrativi che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, im-
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3.1.1. Richiesta di accesso a documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere gli interessi giuridici del richiedente: in questo caso l’interesse alla riservatezza
recede sempre a vantaggio dell’accesso, nei limiti però in cui
quest’ultimo sia necessario per tutelare l’interesse giuridico del
richiedente. Va precisato, altresì, che l’interesse giuridico da tutelare dell’istante non necessariamente deve consistere in un
diritto soggettivo o in un interesse legittimo, fermo restando
che non basta un interesse emulativo o riconducibile a mera
curiosità.
SILVÆ 197
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
prese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi
epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e
commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi
dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si
riferiscono (v. il nuovo art. 24 della legge n. 241/1990).
3.2. Richiesta di accesso a documenti amministrativi contenenti dati super sensibili: nel caso di accesso a documenti contenenti dati
super sensibili dovrà essere effettuata dall’amministrazione (e,
in caso di controversia, dal giudice) una comparazione e ponderazione fra gli interessi in gioco, per verificare se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con il diritto
di accesso sia di rango almeno pari ai diritti del soggetto controinteressato titolare del diritto alla riservatezza. Ne consegue
che la situazione giuridica sottostante che si vuole salvaguardare con la richiesta di accesso dovrà avere la consistenza di un
diritto fondamentale ed inviolabile. Peraltro, in questa ipotesi
si torna ad avere una ingerenza parziale della disciplina contenuta nel Codice: difatti, il diritto di accesso verso dati super
sensibili è regolato, oltre che dalle disposizioni contenute nella
legge sulla trasparenza, anche dall’art. 60 del Codice (al quale il
nuovo art. 24, co. 7, della legge n. 241 del 1990, rinvia espressamente).
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3.3. Richiesta di accesso a documenti amministrativi contenenti dati sensibili e giudiziari: in tale ipotesi l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile. È inoltre plausibile
ritenere che, per poter accedere a documenti contenenti dati
sensibili e giudiziari, sia necessario essere titolari di una situazione giuridica soggettiva sottesa all’istanza di accesso che abbia la consistenza (almeno) di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo.
3.4. Richiesta di accesso a documenti contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relative a terzi nei procedimenti selettivi:
198 SILVÆ
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
dopo la novella del 2005, l’accesso ai documenti amministrativi
contenenti siffatti dati parrebbe essere sempre escluso.
Dall’analisi dei vari interventi normativi che si sono succeduti, sia a
livello nazionale che comunitario, nell’intento di introdurre nell’ordinamento giuridico delle forme di tutela volte a garantire da un lato il diritto di accesso ai documenti amministrativi e dall’altro il diritto alla riservatezza, emerge che, in realtà, non si è proceduto all’adozione di una
disciplina organica, capace di creare un bilanciamento appagante tra le
diverse esigenze costituenti oggetto di tutela delle singole normative.
Si è imposto, quindi, un delicato compito da parte degli operatori
pratici, nella ricerca di criteri direttivi e linee guida capaci di dar vita ad
un giusto equilibrio tra le contrapposte esigenze di trasparenza e riservatezza, di accesso agli atti e privacy. Solo le pronunce giurisprudenziali
più recenti, anche sulla base degli elementi normativi che di volta in
volta venivano introdotti al fine di amalgamare e rendere tra loro compatibili normative nate a disciplinare le diverse esigenze, manifestano,
in effetti, una maggiore attenzione nella ricerca di strumenti e criteri capaci di contemperare e salvaguardare i contrapposti interessi sottesi alle
domande di giustizia.
Le soluzioni, infatti, non sembrano più adottate sulla base di una
prevalenza astratta del diritto di accesso o del diritto a questo opposto,
costruendo una scala gerarchica di diritti ed interessi tra loro potenzialmente confliggenti, ma analizzando la situazione sostanziale, valutando i concreti interessi contrapposti, le esigenze che si intendono
salvaguardare nella fattispecie concreta e ricercando le possibili modalità pratiche che possano conciliare le opposte esigenze. Non più,
quindi, una prevalenza assoluta di uno dei diritti contrapposti con sacrificio totale del diritto giudicato recessivo, ma la ricerca di un contemperamento dei vari interessi in gioco, magari ricercato nelle modalità attraverso cui concedere l’esercizio del diritto riconosciuto prevalente nella singola fattispecie.
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5. Considerazioni conclusive
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
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Oltre che alla giurisprudenza, poi, questo sforzo teso a ricondurre
ad unità il sistema è stato richiesto soprattutto alle amministrazioni, prime destinatarie delle istanze di accesso e, pertanto, coinvolte in via immediata e diretta nell’ardua impresa di ricercare un corretto equilibrio
tra accesso e riservatezza. Sono proprio le amministrazioni, infatti, a
giocare un ruolo centrale in tale materia, prima ancora della stessa giurisprudenza. La natura degli interessi che di volta in volta vengono in rilievo è tale che l’intervento giurisprudenziale potrebbe risultare inidoneo e, comunque, destinato ad intervenire in un momento in cui l’aggressione al diritto, specie qualora in sede amministrativa sia stata sacrificata la privacy, si è ormai già consumata. Inoltre, in tali casi, data la valenza degli interessi coinvolti, non rappresentano un rimedio appagante
neppure le tutele risarcitorie. Pertanto, l’amministrazione, di fronte ad
una domanda di accesso ad un documento amministrativo contenente
informazioni che riguardino terzi soggetti, dovrebbe interrogarsi, innanzitutto, sulla fondatezza e sulla rilevanza della ragione posta a fondamento dell’istanza.
La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, a tal
proposito, ha suggerito alle amministrazioni di invitare il cittadino ad
indicare nella richiesta la ragione specifica per la quale si chiede il documento onde poi valutare se, per soddisfare l’interesse sotteso all’istanza, sia effettivamente necessario ottenere la copia del documento. Gli operatori pratici dovrebbero inoltre verificare se non esista poi,
nella fattispecie, una disciplina più restrittiva, data l’enorme congerie
di norme di settore che ampliano o riducono l’ambito di operatività
delle leggi generali.
Infine, laddove non vi sia una normativa specifica più restrittiva o liberale, comunque, l’ostensione del documento dovrebbe essere effettuata nella forma più idonea, oggettivamente, al soddisfacimento dell’interesse (che deve essere concreto ed attuale) vantato dal richiedente.
Tale valutazione si connota poi, ulteriormente, di caratteri di delicatezza e complessità con riferimento ai dati cd. super sensibili, ossia
quelli relativi all’attività sessuale ed alla salute della persona. Infatti, la
P.A., alla luce del nuovo codice sulla privacy, è tenuta, in questi casi, a
valutare e ad emettere un giudizio in ordine all’importanza, al grado
200 SILVÆ
ed alla dignità della posizione giuridica che si contrappone al diritto di
accesso.
In tal senso, la prassi operativa di alcune amministrazioni, nel duro
compito di ricercare un equilibrato contemperamento tra le diverse posizioni in conflitto si è rivelata particolarmente degna di nota. Tale
prassi prevede che la richiesta di accesso, coinvolgente dati personali di
terzi, venga tempestivamente comunicata all’interessato; che si apra
una fase in contraddittorio, nel corso della quale le parti enunciano le
ragioni a sostegno della pretesa di accesso e di quella alla riservatezza;
che, in mancanza di una soluzione concordata, l’eventuale accoglimento della richiesta di accesso sia formalmente comunicato al titolare del
dato personale; che l’esecuzione della determinazione di accoglimento
sia differita alla scadenza del termine per la proposizione del ricorso
davanti al T.A.R.; che, in caso di ricorso, l’accesso venga comunque differito fino alla decisione del Tribunale.
Nonostante risulti meritevole di apprezzamento, il tentativo posto
in essere da queste amministrazioni, al fine di trovare un giusto equilibrio tra i diversi interessi tutelati dal diritto di accesso e dal diritto alla
privacy, purtuttavia, non può essere taciuto, in questa sede, che trattasi
comunque di soluzioni non appaganti, in quanto fondate esclusivamente su “aggiustamenti” procedurali e formali, volti a porre rimedio,
in qualche modo, ad una carenza di sincronizzazione ed amalgama a livello normativo.
Le soluzioni adottate dalle varie amministrazioni possono muoversi, del resto, solo sul piano procedurale, perché una soluzione sostanziale e definitiva al problema di un corretto bilanciamento tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza può essere trovata soltanto
a livello normativo. Il tentativo di offrire una soluzione a tale carenza
è stato effettuato dal legislatore con l’approvazione del provvedimento legislativo del 2005, che mira proprio a raccordare tra loro la
disciplina dettata per il diritto di accesso e la normativa disciplinante
il diritto alla riservatezza.
L’operatore, sia esso amministrazione che giudice, ogni volta in cui
si pone la necessità di un bilanciamento tra diritto di accesso e diritto
alla riservatezza, deve operare una valutazione comparativa in concreto
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
SILVÆ 201
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
tra le esigenze contrapposte - valutazione da effettuare raffrontando la
sostanza delle posizioni giuridiche in conflitto - e di ricercare le modalità capaci di consentire l’esercizio dell’accesso senza pregiudicare il diritto alla riservatezza opposto dal terzo.
In caso accertato di inconciliabilità delle posizioni opposte, poi, dovrebbe prevalere comunque il diritto cui è sottesa una situazione giuridica, nel caso di specie, degna di maggiore tutela.
Note
In questo lavoro si fa riferimento alle nuove prescrizioni introdotte in materia di diritto di
accesso dalla legge n. 15/2005. Occorre però avvertire che, come specificato dall’art. 23, co.
3, della anzidetta legge, le disposizioni che vanno a modificare i testi degli articoli 22, 24 e 25
co. 4, della legge n. 241/1990, troveranno applicazione solo a seguito dell’entrata in vigore di
un apposito regolamento governativo diretto ad integrare o modificare le disposizioni di cui
al DPR n. 352/1992. Il termine fissato per l’approvazione del regolamento è di soli tre mesi.
Si tratta tuttavia di un termine non perentorio, sicché l’operatività delle nuove norme è di fatto rinviata ad una data indeterminata. Le altre disposizioni della legge n. 15/2005 sono invece entrate in vigore in data 8 marzo 2005.
1
La cd. legge sul procedimento amministrativo ha inserito nell’ordinamento, innanzitutto, la
responsabilizzazione e perdita di anonimato della P.A. prevedendo la figura del responsabile
del procedimento e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi; inoltre, ha introdotto istituti volti a garantire maggiore efficacia ed efficienza all’azione amministrativa
consentendo il ricorso a strumenti tratti dal diritto privato e ampliando le ipotesi di partecipazione diretta del cittadino alle scelte operate dall’amministrazione; infine, ha disciplinato il
principio di pubblicità-trasparenza dell’attività della P.A. sancendo il diritto di accesso agli atti amministrativi.
2
Differenti teorie sono emerse in ordine alla natura di diritto soggettivo (Cons. Stato, n. 191,
2001) o di interesse legittimo (Cons. Stato, n. 3602, 2000) del diritto di accesso (Cfr. in dottrina Casetta Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2002).
La tesi che inquadra tale situazione giuridica nell’ambito dei diritti soggettivi fa leva sull’art. 25
della legge 241/90, il quale prevede (anche nel nuovo testo), a tutela del diritto di accesso, un
procedimento giurisdizionale accelerato che può sfociare in un ordine di esibizione del documento, provvedimento tipico delle situazioni giuridiche di diritto soggettivo, e non nel mero
annullamento dell’atto di diniego (esito che si rivelerebbe invece più confacente alla natura di
interesse legittimo della situazione giuridica in parola). L’adesione a tale tesi comporta, dunque, come primo corollario, che il giudizio concerne non l’atto ma il rapporto e che, di conseguenza, trovano in materia applicazione le novità processuali di cui al decreto legislativo
80/1998 ed alla legge 205/2000 in tema di giurisdizione esclusiva. Inoltre, la mancata notifi3
Anno II - n. 6
202 SILVÆ
Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
ca del ricorso al terzo controinteressato determina l’obbligo di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c. e non l’inammissibilità del rimedio giurisdizionale, mentre la
mancata impugnazione del diniego nel termine di decadenza non osta alla possibilità di far
valere il diritto di accesso nel termine di prescrizione a fronte di un nuovo provvedimento
negativo, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia o meno confermativo.
La tesi che sostiene la natura di interesse legittimo del diritto di accesso si fonda sul seguente assunto: l’art. 25 della legge 241/90 prevede (ancora tuttora) che il ricorso debba essere presentato entro il termine decorrente dal provvedimento di diniego o dalla scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione dell’istanza di accesso; quindi, come nelle situazioni di interesse legittimo, vi è la previsione della possibilità di agire entro un termine di decadenza.
Aderendo a tale teoria, il diritto di accesso viene notevolmente dimensionato. Infatti, il termine di decadenza di 30 giorni dall’atto di diniego determina una preclusione assoluta, rendendo improcedibile il ricorso presentato in ritardo. Inoltre, qualora a fronte di un diniego,
non venga proposta impugnazione, ma una nuova istanza, a seguito della quale la P.A. emani
un nuovo diniego, tale ultimo provvedimento assumerà la veste giuridica di un mero atto
confermativo in relazione al quale non comincerà a decorrere un nuovo termine per l’impugnazione. Infine, non sarà applicabile in materia l’art. 102 c.p.c. bensì l’art. 21, co. 1, della legge 1034/71, per cui il ricorrente avrà l’obbligo di notificare il ricorso “tanto all’organo che ha
emanato l’atto impugnato quanto ai controinteressati”, pena l’inammissibilità del ricorso,
senza la possibilità di assegnazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio.
La querelle ha trovato soluzione nella decisione n. 16 del 24 giugno 1999 dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, che ha ricostruito il diritto di accesso quale situazione giuridica di interesse legittimo. Tale decisione si fonda, da un lato, sulla possibilità dell’interessato di
agire entro un termine di decadenza; dall’altro, sul dato normativo che riconosce la discrezionalità dell’amministrazione nel valutare l’esistenza dell’interesse all’accesso da parte dell’istante, discrezionalità ovviamente connessa all’esercizio del potere amministrativo.
L’art. 15, co. 2, dispone: “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di
favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela”.
4
L’obbligo di motivazione del segreto comporta il passaggio da una concezione soggettiva e
personale del segreto amministrativo (basata sul soggetto che detiene la notizia), ad una concezione oggettiva e reale (basata sul tipo di notizia o sul contenuto del documento amministrativo), più rispondente ai principi che devono informare l’agire dell’amministrazione in un
moderno stato di diritto.
6
In tal senso si esprimeva l’art. 24 che escludeva l’accesso “per i documenti coperti da segreto di stato ai sensi dell’articolo 12 della legge 24 ottobre 1877, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento”; principio sostanzialmente confermato, anche se meglio circoscritto e definito, dalla nuova formulazione.
7
Cfr. in dottrina Caranta-Ferraris, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2000.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Anche sotto la vigenza della vecchia formulazione di tale norma, si sosteneva che il diritto
di accesso era riconosciuto, nel nostro ordinamento, in termini molto vasti: si affermava, così, che anche se non si era dato vita ad una azione popolare - dal momento che l’accesso non
era riconosciuto a tutti, ma “a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”-, era pur sempre vero che l’ordinamento riconosceva la legittimazione a prescindere da questioni di cittadinanza o soggettività giuridica.
8
Proprio la genericità dell’istanza è stato uno dei motivi che ha indotto il T.A.R. del Lazio a
disconoscere il diritto di accesso nella decisione 308/05: “L’istanza si appalesa del tutto generica e indeterminata, sia nella sua formulazione, che nella giustificazione dell’interesse
strumentale fatto valere, proponendosi oltre il limite di tale interesse che deve essere specificato con riferimento ai singoli atti. … Risulta evidente che la esibizione di tutti gli atti…non
può ritenersi rispondente ai requisiti stabiliti per l’esercizio del diritto di accesso dagli art. 21
e ss. della legge n. 241/90”. In senso conforme, cfr. da ultimo T.A.R. Lazio, n. 153, 2005;
T.A.R. Lazio, n. 168, 2005.
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“Art. 22. (Definizioni e principi in materia di accesso).
1. Ai fini del presente capo si intende:
a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;
b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;
c) per “controinteressati”, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza;
d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad
uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività
di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro
disciplina sostanziale;
e) per “pubblica amministrazione”, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse,
costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e
di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai
sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà
delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela”…
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Tra il nutrito gruppo di pronunce giurisprudenziali che si sono orientate in tal senso si vedano: Cons. Stato, sez. IV, n. 569/2003 in www.giustizia-amministrativa.it; sez. IV, 29 aprile
2002, n. 2283, in Foro it., 2002, III, 577; sez. VI, 1 marzo 2000, n. 1122, in Cons. Stato, 2000,
I, 509; sez. IV, 24 luglio 2000, n. 4092, ibid, 1794; sez. V, 13 dicembre 1999, n. 2109, in Foro
amm., 1999, 2514.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
All’art. 4, il d.leg. n. 39/1997 sottrae all’accesso le informazioni relative all’ambiente qualora dalla loro divulgazione possano derivare danni all’ambiente stesso o quando sussista l’esigenza di salvaguardare, tra l’altro, la riservatezza commerciale ed industriale, ivi compresa la
proprietà intellettuale, nonché la riservatezza dei dati o schedari personali.
12
L’art. 24 co. 6 stabilisce che “Il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di
documenti amministrativi :
a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n.
801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza
e alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e
dalle relative leggi di attuazione;
b) quando l’accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione
e di attuazione della politica monetaria e valutaria;
c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni
strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione
della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti
di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;
d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone
giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;
e) quando i documenti riguardino l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di
lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.Deve comunque essere
garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria
per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati
sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e
nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di
dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
13
La vecchia formulazione dell’art. 24, co. 2, così recitava: “Il governo è autorizzato ad emanare… uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e
gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alle esigenze di salvaguardare: la
sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; la politica monetaria e valutaria;
l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità; la riservatezza dei terzi,
persone, gruppi ed imprese, garantendo, peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai
procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”.
14
Pozzato, “Principio di pubblicità e diritto di accesso alla luce della L. n. 241 del 1990”, in Riv. Amm.,
1994. In giurisprudenza Cons. Stato, n. 518, 1999; Cons. Stato, n. 115, 1998; T.A.R.
Campania, n. 475, 1995.
16
Cons. Stato, n. 1725, 1998; Cons. Stato, n. 193, 2001.
17
Cons. Stato, n. 1248, 1999; Cons. Stato, n. 737, 2000.
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Diritto di accesso e privacy: il contesto applicativo delle Forze di Polizia
Cons. Stato, n. 59, 1999. In dottrina Cirillo, Diritto all’accesso e diritto alla riservatezza: un difficile
equilibrio mobile, in www.giustizia-amministrativa.it
18
19
Cons. Stato, n. 1882, 2001; Cons. Stato, n. 2542, 2002.
La c.d. tutela modale delle esigenze di riservatezza, espressamente prevista dal legislatore, si
poneva come l’unica via possibile di bilanciamento tra i contrapposti interessi (eccetto che
nei casi in cui la richiesta di accesso riguardasse dati attinenti alla vita sessuale ed alla salute).
20
21
Cons. Stato, n. 14, 2004.
L’art. 24 co. 1 così recita: “Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e succ. mod., e nei casi di segreto o
di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di
cui al comma 6 e dalle P.A. ai sensi del comma 2 del presente articolo;”…
22
23
Così, Consiglio di Stato 11/1/94 n. 22 in “Il Corriere giuridico”, n. 2/94 p. 172.
L’art. 28 della legge 241/90 riformula l’art.15 del D.P.R. 3/57 sul segreto d’ufficio:
“L’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell’ambito delle proprie attribuzioni, l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall’ordinamento”.
24
Decreto 10 maggio 1994 n. 415, del Ministero dell’Interno per la Polizia di Stato, Cfr. altresì il Regolamento introdotto con D.P.C.M. 10 marzo 1999 n. 294, recante norme per la disciplina delle categorie di documenti in possesso degli organismi di informazione e sicurezza
(CESIS, SISMI, SISDE) sottratti al diritto di accesso; il Ministero delle Politiche Agricole
con Decreto 5 settembre 1997 n. 392 per il Corpo Forestale dello Stato.
25
Soriano Luigi, Note in tema di segreto di ufficio per il personale della Polizia di Stato, in “Rivista di
Polizia”, 1994, pp.544-554, sottolinea che “la disciplina del diritto di accesso rappresenta
l’eccezione ad una regola di riservatezza che tuttora vincola i pubblici impiegati come si apprende leggendo l’attuale versione dell’art.15 del T.U. degli impiegati civili dello Stato”.
26
Occorre comunque valutare cum grano salis l’assolutezza di tali disposizioni, anche alla luce
della nuova prospettiva in cui la Giurisprudenza amministrativa guarda al diritto di accesso,
in funzione di controllo diffuso sull’operato dell’amministrazione; cfr. Sentenza Consiglio di
Stato, sez.IV, 6/3/95 n.158, in “Foro amministrativo”, 1995, p. 570, ove si afferma che
“Quale che sia la fonte della legittimazione del ricorrente, il bene tutelato con il diritto di accesso è la conoscenza dei documenti amministrativi in sé considerato”.
27
Si precisa che il Ministro dell’Interno può richiedere copia di atti assolutamente segreti ed
informazioni scritte sul loro contenuto, per la repressione dei reati più gravi ed in particolare
per il traffico di stupefacenti (c.d. desegretazione interna). Inoltre, gli ufficiali ed agenti di P.G.
devono costantemente informare il personale investigativo della D.I.A. di tutti gli elementi
informativi di cui siano venuti comunque in possesso.
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29
Non constano precedenti in termini, a meno di Sentenza T.A.R. Lombardia, Sez. I,
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5/11/94 in “Foro amministrativo”, 1995, Lombardia n. 833, ove si afferma che “Ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241/90, e dell’art. 4 co. 1 lett. d) D.M. 10/5/94 n. 415, è illegittimo il diniego di accesso al provvedimento con cui è stata respinta la domanda dell’interessato per la
prestazione del servizio di leva presso il Corpo dei vigili del fuoco”.
Si tratta del D.L.vo 8 maggio 1998 n. 135, recante “Disposizioni in materia di trattamento
di dati da parte di soggetti pubblici”e del D.Lgs. 6 novembre 1998 n.389 .
30
Il Documento Programmatico per la Sicurezza (DPS) è consultabile nella rete Intranet del
C.F.S.
31
Per un esauriente commento alla disciplina della legge n. 121/81 in materia di C.E.D. presso il Ministero dell’Interno, cfr. Gallerani Monaci Paola, Il centro elaborazione dati presso il
Ministero dell’Interno. Problemi e prospettive, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”,
1984, pp. 540-570.
32
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