200 ANNI 1816-2016 GUIDA AI PARCHI CITTADINI 04 PARCO DI VILLA AUGUSTA ASSESSORATO ALL’AMBIENTE E VERDE URBANO. Area XI Attività Verde Pubblico La presente collana è stata curata dai tecnici dell’Attività Verde Pubblico del Comune di Varese Dott. For. Chiara Barolo, Arch. Lorenza Castelli, Dott. Agr. Ilaria Merico, Dott. For. Pietro Cardani. Si ringrazia Silvia Motta per l’attività di ricerca bibliografica riguardante la mitologia degli alberi svolta durante il periodo di servizio di leva civica regionale. PRESENTAZIONE Cari Varesini e cari turisti, Un ringraziamento al Geom. Michele Giudici dell’Area IX - Ufficio Sistema Informativo Territoriale. Riferimenti bibliografici • Botanica Forestale – Volume Primo e secondo – Romano Gellini e Paolo Grassoni – Cedam Padova 1997; • Cottini P. - “I Giardini della Città Giardino” – Edizione Lativa – dicembre 2004; • Sulla Condizione dei Parchi Pubblici della Città di Varese – Tomo I-II-III-IV a cura del Prof. Salvatore Furia – 1978- Atti in possesso del Comune di Varese - Attività Verde pubblico . • Mitologia degli alberi – Dal giardino dell’Eden al legno della Croce, Jacques Brosse – BUR Rizzoli Saggi, 1991 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A. Milano; • La Natura ed i suoi simboli – Piante, fiori e animali – Lucia Impelluso - Dizionari dell’Arte Edizioni Varese è la nostra città-giardino. E come poterla scoprire meglio se non con queste guide e mappe, molto comode e pratiche? I parchi sono un bene prezioso che negli ultimi anni abbiamo preservato e cercato di migliorare, anche ampliandone gli spazi verdi. Varesini e turisti hanno la possibilità di scoprirne la ricchezza, dal patrimonio arboreo e botanico alle peculiarità architettoniche presenti nei giardini principali. Non mancano le info turistiche per raggiungere i sei parchi cittadini. Palazzo Estense e Villa Mirabello, Villa Toeplitz, Villa Augusta, Castello di Masnago, Villa Baragiola e Villa Mylius: le guide passano dai cenni storico-artistici alla descrizione e al posizionamento, con le mappe, degli alberi monumentali. Grazie al lavoro attento dell’assessorato al Verde pubblico, le guide sono state ampliate e ristampate. Non mi resta che augurarVi un buon giro all’aria aperta accompagnato da un’ottima lettura. Il Sindaco di Varese Attilio Fontana Cari tutti, Della stessa collana Giardini Estensi e Parco di Villa Mirabello Parco di Villa Torelli Mylius “Achille Cattaneo” Parco del Castello di Masnago (Mantegazza) Parco di Villa Baragiola Parco di Villa Toeplitz Progetto grafico e impaginazione: Magoot Comunicazione Costruttiva - www.magoot.com Stampa: Bosetti Group S.r.l. - Gorla Maggiore (VA) - Maggio 2016 In questo 2016, anno del Bicentenario dell’elevazione di Varese a Città, è un piacere avere l’opportunità di presentare al pubblico i libretti della collana, “Guide ai Parchi Cittadini” quale contributo per testimoniare la bellezza e la ricchezza della Città Giardino. Nelle guide si trovano aneddoti e cenni della storia delle famiglie che hanno creato questi parchi meravigliosi, che li hanno vissuti e che ce li hanno tramandati. Si trovano le descrizioni degli alberi autoctoni, di quelli esotici, dei più rari e più preziosi, oltre ai bellissimi alberi monumentali, tanto amati dalla Città, e alcuni vero e proprio simbolo Bosino. I Giardini sono Storia e Cultura insieme; rappresentano l’essenza della capacità e sensibilità degli uomini di plasmare il territorio nel rispetto della Natura dei luoghi, con l’obiettivo di poter godere appieno delle meraviglie che offre. Sono parchi pubblici, sono di tutti: ad ognuno di noi, quindi, il diritto di goderne appieno delle bellezze che offrono, ma anche il dovere di rispettarli e averne cura, per il presente, per il futuro. L’Assessore al Verde Pubblico e Tutela Ambientale Riccardo Santinon CENNI STORICI All’interno del perimetro dell’attuale Parco di Villa Augusta, ad inizio 1700 si rileva una modesta residenza con annessa casa del mezzadro (massaro) che si occupava di orto, prato e “aratorio vitato”. Per tutto il 1800 la proprietà fu della famiglia Baroffio di Varese che la cedette al milanese Avv. Andrea Canadelli (18661944). La villa residenziale che vediamo oggi, attuale sede dell’Azienda municipalizzata per la gestione di acqua, gas e rifiuti, è stata commissionata, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 proprio dal Canadelli, discendente da una famiglia di formazione militare della Catalogna nota sin dal ‘700. La villa e parte del giardino, di impianto informale, risalirebbero, pertanto, ai primi del Novecento come testimoniato dal confronto fra il Catasto del Lombardo Veneto, il successivo Cessato Catasto Lombardo, il Catasto d’impianto del 1905 ed il preciso rilievo aerofotogrammetrico dell’Ing. Nistri del 1934. Progettata dall’Ing. Pisoni ed in fase costruttiva nel 1901, già nel 1905 consisteva di tre piani con 32 vani. Già nel 1904 la proprietà fu rivenduta per scopi speculativi finché nel 1911 villa e giardino divennero sede prediletta per le vacanze estive dei coniugi Angelo Zamboni e Augusta Testoni, quest’ultima bolognese d’origine. Vedova fin dal 1914, la signora Augusta passò a Varese l’ultima parte della sua vita fino alla morte avvenuta nel 1949. Il giardino che vediamo oggi è frutto delle scelte estetiche della Sig.ra Augusta, al cui nome proprio fu dedicato il complesso: viali curvilinei che delimitano varie aiuole di forma irregolare, contornate da roccaglie tardo romantiche di ceppo dell’Olona (nota anche come pietra spugna), aree prative punteggiate da esemplari arborei e arbustivi le cui dimensioni rispecchiano le diverse epoche di impianto. La villa, isolata da una compatta coltre vegetale, è in posizione di rilievo rispetto al giardino, che è posto in lieve declivio, dove i diversi livelli sono collegati fra loro da numerose scalinate. La vegetazione è caratterizzata da numerosi alberi maestosi, fra i quali due cedri d’Atlante monumentali (Cedrus atlantica subsp. libani) contornanti un gazebo in stile neoclassico (probabilmente risalenti all’impianto originario), un gruppo di faggi purpurei, un monumentale esemplare di quercia da sughero, unico esponente di tale specie presente nei parchi comunali oltre a quello del parco di Villa Mylius, di più modeste dimensioni. Oltre alle numerose conifere troviamo filari di tigli e di platani nuovi che hanno sostituito degli ippocastani. Dopo un triennio di gestione da parte dell’Ospedale del Circolo di Varese al quale pervenne in donazione per volere testamentario della Testoni, dal 1952 al 1968 villa ed annesso giardino furono ceduti e gestiti dall’Istituto delle Suore Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio, con sede a Roma. Spese di gestione via via crescenti motivarono la scelta delle religiose di vendere il complesso all’Amministrazione comunale di Varese, per 230 milioni di lire, che divenne, quindi, proprietaria di uno “…dei migliori esempi d’impianti signorili d’inizio Novecento” (Paolo Cottini, in bibliografia) dal 12 dicembre del 1968. È del 27 ottobre del 1952 il Decreto del Ministro della Pubblica Istruzione che stabilisce, ai sensi della legge n° 1497/39 – Legge Bottai sulle bellezze paesaggistiche, il notevole interesse pubblico del parco “in quanto la sua ricca vegetazione, composta di pregevoli essenze arboree, di alto e basso fusto, costituisce una nota paesistica di non comune bellezza”. Nel 1969 pare che le condizioni delle piantagioni, recinzioni, attrezzature e pertinenze (serre, statue, rustici, accessi) fossero in normale stato di manutenzione come da verbali di consegna degli immobili. L’apertura ufficiale al pubblico avvenne in data 5 aprile 1970. Dopo appena 8 anni, nel 1978, il prof. Salvatore Furia (in bibliografia), definisce il paesaggio desolato e fatiscente… con serre in completo decadimento (le medesime, fotografate nel 1978, sono state demolite nel 1994 per far spazio ad un prato lungo la via N. Bixio, fuori dal disegno della Sig.ra Testoni Augusta). Il Prof. Furia descrive perfettamente i fenomeni di degrado e di deperimento che si verificano quando parchi nati per essere un Hortus caesaris o Villa di Delizia per pochi, come nel caso in esame, sono aperti al pubblico utilizzo: sovrappopolamento, costipamento e lisciviazione del terreno alla base degli alberi, atti vandalici, maleducazione, erosione dei viali, urti meccanici, contropartita inesorabile che accomuna, purtroppo, il verde collettivo. Il Prof. Furia quasi 40 anni fa: “il giar- dino sta morendo ogni giorno sotto lo sguardo che può essere indifferente, sadico, o, peggio ancora interessato ad altri scopi, a determinare consciamente o inconsciamente la distruzione”. Dal 1994 il Parco è gestito dall’Attività Verde pubblico del Comune di Varese che ne cura la manutenzione, il restauro, il risanamento arboreo sempre d’intesa con la Soprintendenza alle Belle Arti e Paesaggio. Ne è incentivato, come altrove, il ringiovanimento arboreo derivante anche dagli effetti insidiosi di condizioni climatiche anomale (come le siccità del 2003 e l’ondata di calore che causò in Europa più di 70.000 morti in eccesso e con effetti maggiori a carico delle persone di età superiore a 75 anni, residenti nei centri urbani, affette da malattie croniche, disabilità funzionale, in condizioni di solitudine e disagio socioeconomico come indicato dal Ministero della Salute nel 2014): alberi anziani, patriarchi, radicati nei centri urbani, affetti da cronici danni, vulnerabili agli effetti delle alte temperature e delle ondate di calore in funzione della «suscettibilità» individuale (stato di salute, caratteristiche ambientali) ci hanno lasciato o sono in procinto di farlo nonostante dispendiose cure. A ciò si aggiungono fortunali devastanti mai prima registrati in Varese come quello del 7 luglio 2008 e, al Parco Augusta, il turbine con grandine del 13 luglio del 2011 che spezzò un faggio rosso monumentale e sradicò alcuni cedri dell’Himalaya, prontamente sostituiti per le generazioni a venire. DESCRIZIONE BOTANICA 1. ACERO DI MONTE *Fam. Aceraceae Acer pseudoplatanus L. Albero deciduo che può raggiungere grandi dimensioni, fino a 30-40 m di altezza, a longevità elevata (300-500 anni), con fusto diritto e chioma ampia. Le foglie sono opposte (come in tutti gli aceri) sui rametti, a 5 lobi grossolanamente dentati, verdi scure sulla pagina superiore e glauche su quella inferiore; i fiori, ermafroditi, sono portati su grappoli pendenti, a foglie già emesse; le samare hanno ali disposte a V. Il suo areale si estende in tutta l’Europa media, dai Pirenei al Caucaso; in Italia è comune sia sulle Alpi sia sugli Appennini, si trova in associazione con abete bianco, abete rosso e faggio, tipico delle boscaglie prealpine. Il legno prodotto da questo albero era molto ricercato dai tornitori e dagli incisori, oggi viene utilizzato soprattutto nell’industria del mobile. 2. ACERO RICCIO *Fam. Aceraceae Acer platanoides L. L’acero riccio, albero caducifoglio, è simile all’acero di monte, da cui si distingue per le foglie a 5 lobi con apici acuti, i fiori riuniti in corimbi terminali, eretti, che compaiono prima dell’emissione delle foglie, le samare ad ali più aperte. La specie si spinge, allo stato spontaneo, più a nord rispetto all’acero di monte, arrivando fino alla Scandinavia, mentre in Italia lo si ritrova soprattutto nelle regioni settentrionali e centrali. 3. AGRIFOGLIO *Fam. Aquifoliaceae Ilex aquifolium L. Albero di medio-piccole dimensioni (non supera gli 8 m) con foglie sempreverdi, coriacee, lucide con margine diritto o, più spesso, spinoso. Questa pianta ha un accrescimento molto lento, produce legno duro adatto per lavori di ebanisteria, sculture, manici di ombrelli e attrezzi. Il frutto è una drupa lucida rossa, il suo consumo è sconsigliato perché è purgativa e provoca intossicazione. Simbolo della persistenza della vita vegetale, dovuto al verde brillante del fogliame e alla presenza dei frutti rossi in pieno inverno, per gli antichi Romani piantarne uno in casa serviva ad allontanare i malefici. Per i popoli germanici svolgeva il medesimo compito: appeso nelle case e nelle stalle teneva lontani i sortilegi, ma i rami d’agrifoglio, completi di bacche, venivano anche utilizzati nella decorazione delle dimore per rendere onore agli spiriti della foresta (usanza che viene ancora mantenuta in molte regioni francesi, in Svizzera e in Germania). Si capisce dunque che l’azione dell’agrifoglio è duplice: da una parte raffigura la sopravvivenza dei vegetali e la speranza della loro rinascita, dall’altra, grazie alle spine, caccia gli spiriti maligni. 4. ALLORO o LAURO *Fam. Lauraceae Laurus nobilis L. Arbusto o alberello sempreverde, alto fino a 12 m, con foglie lanceolate od ovali, coriacee, di colore verde scuro, lucide sulla pagina superiore, molto aromatiche; produce piccoli fiori gialli a forma di stella all’ascella delle foglie, seguiti da bacche ovali dapprima verdi e poi nerastre. Diffuso intorno al Mediterraneo, fra i boschi di leccio e di roverella. Nella Grecia antica il lauro era considerato pianta sacra ad Apollo, mentre i Romani lo adoperavano come simbolo di successo. Si parla dell’alloro in un racconto contenuto nelle Metamorfosi di Ovidio in cui è protagonista una ninfa, Dafne. Divinità minore che amava vivere libera e indipendente, percorrendo la solitudine delle foreste, fu concupita da Apollo che, vantandosi di poter sfuggire al potere di Eros, ne fu soggiogato e si innamorò di Dafne. Insensibile verso l’amore del pretendente, la ninfa chiese al padre Peneo di mutarla in un albero, l’alloro. Apollo, non potendo averla in sposa, ne fece l’albero a lui consacrato. Ritroviamo questo albero in un avvenimento prodigioso riferito da Plinio. La promessa sposa di Cesare Augusto, Livia Drusilla, si vide cadere in grembo una gallina di una sorprendente bianchezza, lasciata precipitare da un’aquila, senza che si ferisse. Nel becco portava un ramoscello d’alloro carico di bacche, evento prodigioso per cui gli aruspici (sacerdoti dediti alla divinazione) ordinarono di custodire l’animale e la sua prole, oltre che di piantare il ramo e di vegliare su di esso. Fu così che la casa di campagna dei Cesari prese il nome di Ad Gallinas (Alle Galline), luogo in cui nacque un boschetto di allori. Da quel momento l’alloro divenne la corona di Augusto e così, dopo di lui, quella di tutti gli altri imperatori. Nel Medioevo l’alloro coronava i giovani dottori che avevano discusso con buona riuscita la tesi: il termine “laurea” deriva proprio dal nome della pianta, Laurus nobilis. 5. ARAUCARIA *Fam. Araucariaceae Araucaria araucana (Mol.) K. Koch Bizzarra conifera originaria delle Ande cilene e argentine, fu introdotta in Gran Bretagna intor- no al 1840. La giovane pianta ha forma perfettamente conica, mentre con l’avanzare dell’età la parte bassa del fusto rimane spoglia facendo assumere all’albero la forma di un ombrello; può raggiungere i 25 m di altezza e oltre 1 m di diametro; le foglie sono simili a squame molto appuntite e rigide e in età matura, nella parte alta della chioma compaiono grossi coni lunghi 10-17 cm. 6. BAGOLARO o SPACCASASSI *Fam. Ulmaceae Celtis australis L. Albero di media grandezza (altezza fino a 1520 m), con corteccia grigia e liscia simile a quella del faggio, foglie lanceolate dentate ai margini, fiori poco visibili da cui si sviluppano piccole drupe nere. Il suo areale comprende una fascia lungo il Mediterraneo con limite settentrionale rappresentato dal versante sud delle Alpi; è presente anche in Caucaso, Siria e Mesopotamia; allo stato selvatico si trova sporadicamente in stazioni rupestri e nel contesto della vegetazione mediterranea. Viene assai utilizzato nelle alberate cittadine. 7. BOSSO *Fam. Buxaceae Buxus sempervirens L. Arbusto o piccolo albero sempreverde che può raggiungere anche i 10 m di altezza; ha crescita lenta ed elevata longevità, potendo arrivare fino a 600 anni di età. Ha foglie opposte, piccole (10-25 mm), a margine intero e leggermente ricurvo verso la pagina inferiore, di colore verde scuro lucente sulla pagina superiore e più chiaro su quella inferiore. Viene molto utilizzato allo stato arbustivo per la creazione di siepi e in “ars topiaria”. Il suo areale comprende le regioni del Caucaso fino a tutta l’Europa meridionale, spingendosi, lungo le coste atlantiche, fino all’Inghilterra; allo stato spontaneo lo si trova, sporadicamente, nei boschi di querce, più frequentemente di roverella. Emblema della castità per la sua caratteristica di autofecondarsi con notevole discrezione, era opposto al mirto, le cui foglie somigliano a quelle del bosso, che era invece consacrato ad Afrodite. Agli uomini era quindi vietato deporre i suoi rametti sugli altari della dea dell’amore, pena la perdita della virilità. Il suo legno durissimo rappresentava per gli antichi la fermezza e la perseveranza e, per questo motivo, ancora oggi viene utilizzato nella fattura di martelli nelle logge massoniche. Era inoltre oggetto di un culto arcaico dell’albero, dedicato ad Ade, dio degli Inferi, e soprattutto alla dea Cibele che, nel pantheon greco, incarnava la potenza selvaggia della vegetazione scaturita dalle profondità sotterranee. rosissimi, compaiono in estate, ma il polline matura in autunno, liberandosi in nuvole gialle al vento; i coni, eretti, lunghi 5-7 cm, nettamente incavati all’apice, sono costituiti da squame strettamente appressate che, a maturazione avvenuta (dopo 2 anni dall’impollinazione), si disarticolano e cadono a terra insieme ai semi. Molto utilizzato come pianta ornamentale, soprattutto nella varietà “glauca”, tollera l’inquinamento urbano. 8. CEDRO DELL’ATLANTE 9. CIPRESSO DI LAWSON o DELLA CALIFORNIA *Fam. Pinaceae Cedrus atlantica Manetti Originario delle montagne dell’Atlante (Algeria e Marocco), introdotto in Europa presumibilmente nel 1839 e in Italia nel 1842; raggiunge grandi dimensioni: altezze fino a 40 m e diametri superiori ai 150 cm, pertanto ha bisogno di molto spazio; ha forma più slanciata del cedro del Libano e cima nettamente eretta anche nelle piante adulte, oltre che rami ascendenti; aghi di 15-20 mm, piuttosto rigidi, glaucescenti, riuniti in ciuffi sui rami corti, singoli su quelli di accrescimento; gli amenti maschili, nume- *Fam. Cupressaceae Chamaecyparis lawsoniana (A. Murr.) Parl. Albero originario della costa occidentale del Nord America che può raggiungere notevoli dimensioni nel suo areale naturale: 50 m di altezza (in Europa 25 m) e 2 di diametro; è anche assai longevo, potendo raggiungere età di 500 anni. Dal portamento eretto piramidale con cima arcuata e pendente, ha foglie squamiformi lunghe 1,5 mm, opposte e appressate al ramo, strobili globosi di 8 mm di diametro rosso-bruni a maturità, formati da 8-10 squa- me (che, una volta aperte, assomigliano a chiodi) ognuna contenente 2-4 semi alati. Adatto a climi a elevata umidità atmosferica e piogge distribuite durante l’anno, con inverni miti, molto resistente al vento. È detto anche “falso cipresso” e ne esistono moltissime varietà ornamentali distinte per portamento (sono state selezionate anche forme nane e prostrate), forma e colore della chioma. 10. CORNIOLO GIGANTE *Fam. Cornaceae Cornus controversa Hensl. Piccolo albero alto fino a 13 m, originario di Cina, Corea e Giappone che, a differenza di tutte le altre specie di Cornus aventi foglie opposte, ha foglie alterne, lucide con nervature evidenti, che diventano rosso porpora in autunno, prima della caduta; la sua fioritura è assai appariscente, costituita da corimbi, larghi fino a 10 cm, di fiori bianchi, seguiti da bacche nere e lucide. 11. FAGGIO *Fam. Fagaceae Fagus sylvatica L. Albero che raggiunge i 30-35 m di altezza con diametro anche superiore a 1,5 m; normalmente può vivere sino a 150 anni di età, ma in circostanze particolarmente favorevoli può raggiungere anche 300 anni. La pianta si riconosce facilmente per la corteccia grigia e liscia, le foglie ovali dal margine intero e leggermen- te ondulato di colore verde scuro a maturità e rossastre in autunno; i frutti, detti faggiole, a maturità si aprono in 4 valve liberando 2 semi. Il faggio è una delle specie più importanti in Italia sia per l’estensione dei suoi boschi sia per l’uso del legno nell’industria del mobile, nonché per la sua bellezza ornamentale; è specie esclusiva dell’emisfero settentrionale ed è presente in tutta Europa, dalla Spagna all’Ucraina, fino alla Norvegia meridionale. Un tempo si utilizzava la corteccia del faggio, febbrifuga e tonica, anche contro la dissenteria. Il catrame del suo legno, distillato a secco, il creosoto, potente antisettico scoperto nel 1832 da Reichenbach, viene usato dall’industria farmaceutica come disinfettante dei polmoni nella composizione di molti sciroppi. La varietà Asplenifolia, ornamentale, si caratterizza per le foglie a margine molto inciso e lamina stretta; il faggio pendulo, a differenza delle altre varietà, che si distinguono per il colore e la forma delle foglie, si caratterizza per il portamento del fusto e dei rami, eretto fino a una certa altezza e poi piangente; il faggio rosso ha foglie di colore porpora al momento dell’emissione e violetto scuro a maturità. Nell’antica Roma l’esistenza di un quartiere chiamato Fagutal, che ancora prima era stato un bosco sacro di faggi (secolo I a. C.), fa pensare che in epoche remote il faggio fosse oggetto di culto. Così, anche cento anni più tardi, all’epoca di Plinio, di fianco ad un faggio sacro si trovava un tempio dedicato a Jupiter Fagutalis (dal latino fagus). In Lorena e nelle Ardenne lussemburghesi si credeva che non ci fosse folgore che potesse colpire questo albero, cosa che lo metteva in contrapposizione con la quercia e il frassino. In un settore geograficamente limitato che comprende la Francia orientale, la Svizzera e la Baviera, la naturale apparizione di esemplari dalle foglie porporine destava l’emozione popolare; si credeva fosse un segno di deplorazione divina per l’annuncio di feroci battaglie o per il sangue versato di un delitto. Ancora oggi, nella foresta di Verzy, in Francia, si possono ammirare dei vecchissimi esemplari di faggio i cui tronchi e i rami più bassi formano un ammasso confuso di linee contorte e ritorte, malformazioni dovute ad una presunta mutazione provocata dalla caduta di un meteorite radioattivo, avvenuto moltissimo tempo fa. A Terranova di Pollino, in Lucania, nel mese di giugno si svolge la festa della Pita, rito arboreo piuttosto antico celebrato in onore di Sant’Antonio da Padova. Nonostante Pita, nel dialetto locale, designi il nome dell’abete, spesso è il faggio a fare da protagonista. Si tratta della rappresentazione rituale dell’unione tra due piante, una di sesso maschile (solitamente un abete o un faggio), l’altra di sesso femminile (una “cima” generalmente sempreverde). Entrambe vengono tagliate e, mentre la “sposa” viene doverosamente ornata con fiori e nastri, il faggio “sposo”, viene pulito dai rami, dalla corteccia e levigato. Il faggio e la cima vengono poi innestati, a sigillare il loro “rudimentale” matrimonio, simbolo arcaico di rigenerazione della natura, auspicio di fertilità. In seguito vengono innalzati e i più coraggiosi, a suon di braccia, si dilettano nell’arduo tentativo di raggiungere la cima. I faggi che troviamo nei giardini ottocenteschi (“romantici”, “all’Inglese”) sono spesso delle varianti della specie selvatica (morfotipi selezionati e riprodotti a scopo ornamentale), ricercate dalle famiglie facoltose proprio per la loro diversità rispetto alla forma rurale: così s’incontrano i faggi a foglia di felce (F.s. “Asplenifolia”); a foglie profondamente e regolarmente dentate (F.s. “laciniata” o “heterophylla”); a foglie rosse (F.s. “Purpurea”); tricolori (F.s.”Tricolor”); gialle dorate (F.s. “Zlatia”); a ramificazione pendula-piangente (F.s. “Pendula”) o addirittura colonnare (F.s. “Dawyck”); nana e prostrata (F.s. “Cochleata”); a corteccia rugosa (F.s. var. “Quercoides”). Purtroppo, negli ultimi 15 anni, decine di faggi, amanti del clima oceanico, intristiscono con vistose microfillie, colpiti spesso da cancri (lesioni) alla fragile corteccia devitalizzata dal sole cocente del 2003 e del 2005 che li ha predisposti ad attacchi di parassiti secondari altrimenti confinati (carie del legno, marciumi radicali, cancri rameali etc.). “Le temperature registrate in Giugno e in Agosto sono RECORD. Anche Luglio è stato molto caldo, ma ci sono stati anni con temperature più alte. Record anche i 35° di giugno e 36° di Agosto. Nel complesso l’Estate 2003 è stata la più calda dal 1965 grazie alle temperature dei mesi di Giugno e di Agosto – Le precipitazioni totali dell’Estate hanno raggiunto i 285.7 mm - contro una media estiva in 37 anni di 415,2 lt/mq - tra le più secche dal 1965” con un deficit di 129,5 lt/mq” come da dati in possesso del Centro Geofisico Prealpino. La ancor peggiore siccità del 2005 con maggio di oltre 2 gradi più caldo della media e un deficit di acqua mensile di – 98,8 lt/mq quando la vegetazione era in pieno sviluppo; tra giugno e agosto il deficit idrico, rispetto ai dati registrati dal 1965, è di 171,7 lt/mq. Si ricorda che ad agosto 2005 vi fu l’abbassamento eccezionale del livello del lago di Varese pari a – 1,5 m dallo zero idrometrico che fece seccare molti secolari carpini bianchi sull’Isolino Virginia. Le siccità estive 20032005, alle quali si aggiunge il calore estremo di luglio 2015, sono state terribili anche per l’anziano patrimonio botanico varesino: le conseguenze sono state immediate ma si notano ancora a distanza di anni, come è normale avvenga con gli alberi: A subirne maggiormente gli effetti i soggetti anziani, patriarchi, radicati nei centri urbani, affetti da malattie croniche, vulnerabili agli effetti delle alte temperature e delle ondate di calore in funzione della «suscettibilità» individuale (stato di salute, caratteristiche ambientali), della capacità di adattamento e del livello di esposizione (intensità e durata)”. Come per l’uomo. In tutta la città di Varese, invero, è evidente che vi siano vistosi e documentabili segni di deperimento a carico di alcune specie che denotano un precoce invecchiamento multifattoriale non escluso il termine della loro vitalità e vigoria in un ambiente estraneo da migliaia di anni se non da qualche milione di anni alla zona d’origine. 12. FAGGIO ROSSO *Fam. Fagaceae Fagus sylvatica L. f. purpurea (Ait.) Schneid. Il faggio cultivar “Purpurea” ha foglie di colore porpora al momento dell’emissione e violetto scuro a maturità. Si rinvia a quanto detto per il faggio a foglia di felce per quanto riguarda i Giardini Estensi. Al parco Toeplitz un patriarca è in fase di sostituzione dopo una lenta agonia le cui ragioni sono indicate nella parte generale riguardante la specie. Miglior stato di salute mostrano due monumentali faggi rossi, uno nei pressi del Castello Mantegazza e l’altro a monte della Villa Baragiola. Discreto lo stato fitosanitario di tre esemplari del parco Augusta, perduti per sempre altri due soggetti dopo il fortunale del 13 luglio 2011 che s’abbattè su Giubiano, prontamente sostituiti con giovani piante. 13. GINKGO *Fam. Ginkgoaceae Ginkgo biloba L. Questa specie caducifoglia, unica rappresentante della sua famiglia, è originaria della Cina, dove veniva coltivata nei giardini dei templi perché considerata albero sacro, simbolo di immortalità, ed è grazie a ciò che ha potuto arrivare fino ai giorni nostri. Il botanico tedesco Engelbert Kaempfer (1651-1716) descrisse per la prima volta la specie. Si tratta di un albero antichissimo e primitivo, vivente già almeno 200 milioni di anni fa, epoca a cui risalgono i fossili ritrovati in giacimenti di carbone. Raggiunse l’apogeo di diffusione sul globo nel Giurassico e nel Cretaceo, ovvero da 200 a 65 milioni di anni fa. Il nome del genere Ginkgo pare derivi dal cinese yin kuo che significa “albicocca d’argento”. Altro nome scientifico è Salisburia adiantifolia (Smith): il genere in onore del botanico inglese R. A. Salisbury, il nome della specie ad indicare la somiglianza delle foglie con quelle del capelvenere (Adiantum capillus-veneris). Fu introdotta in Olanda intorno al 1730 ed il primo esemplare in Italia, pare, presso l’Orto Botanico di Padova; qui viene coltivata a scopo ornamentale: può raggiungere i 30 m di altezza e anche i 6 m di diametro, le foglie hanno tipica forma di ventaglio; si tratta di una specie con individui maschili e femminili; i frutti sono costituiti da un involucro carnoso, di odore molto sgradevole a maturità. Le foglie di ginkgo contengono numerose sostanze (terpeni, polifenoli, flavonoidi) utilizzate in medicina e in cosmetica. Sei esemplari di Ginkgo, ancora esistenti, sono sopravvissuti alle radiazioni prodotte dalla bomba atomica caduta sulla città di Hiroshima; questa pianta è inoltre il simbolo della città di Tokyo. Si presta ad un utilizzo in città perché tollera bene l’inquinamento, non manifesta debolezza nei confronti di patologie fungine e parassiti animali, sopporta bene la siccità e temperature invernali fino a -35°C. In Giappone i semi vengono arrostiti e mangiati come rimedio agli effetti di abbondanti libagioni. L’esemplare dei Giardini Estensi fu messo a dimora dal proprietario di allora Cesare Veratti, ovvero fra il 1850 ed il 1882. L’esemplare del Parco Mirabello è stato verosimilmente piantato fra il 1865 ed il 1875 ad opera di Gaetano Taccioli. 14. IPPOCASTANO *Fam. Hippocastanaceae Aesculus hippocastanum L. L’ippocastano nasce spontaneamente nel nord della Grecia, in Macedonia, Albania e Bulgaria. Viene chiamato anche “marrone d’India” per una sua supposta, ma errata, origine più orientale. È un albero imponente, capace di giungere oltre i 35 metri di altezza ed i 5 metri di circonferenza del tronco. Fu portato in Europa dai Bizantini: si iniziò la coltivazione nei giardini imperiali di Vienna nel 1576, quando ne furono inviati i semi da Costantinopoli da parte dell’Ambasciatore del Sacro Romano Impero, Von Ungnad. A Parigi il primo ippocastano fu portato dal botanico Bachelier che lo impiantò nel 1615. Successive sono quindi le introduzioni a Versailles e presso i Giardini del Lussemburgo di Maria de’ Medici, oggi sede del Senato francese. I primi esemplari italiani furono coltivati nell’Orto botanico di Padova già dal 1557. Il botanico naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605) chiamò la specie “Castanea equina” quando la vide nel giardino mediceo di Pratolino. Il richiamo al cavallo è duplice: la cicatrice fogliare somiglia ad uno zoccolo di cavallo; ai cavalli con malattie polmonari, febbricitanti, veniva fornito sollievo con la farina delle “castagne matte” non commestibili, ovvero il seme dell’ippocastano (il frutto è la capsula verde-marrone, spinosa e globosa che lo avvolge). I lunghi fiori in pannocchie di 20-30 cm sono bisessuali, ricordano dei candelabri. Dapprincipio i petali bianchi presentano delle macchie gialle per attirare le api e altri imenotteri; con l’esaurimento del nettare i petali assumono colore arancione e poi rosso, colore non più percepibile dagli insetti. Il seme amaro e non commestibile per l’uomo è stato utilizzato per l’alimentazione del bestiame. L’alto contenuto in saponina naturale ne ha permesso l’utilizzo per lavare la biancheria. Alla fine del XIX secolo i medici scoprirono la efficace azione della “castagna equina” nei disturbi di origine venosa, in generale come rimedio delle malattie dovute ad una circolazione difettosa. I guaritori raccomandavano di tenere in tasca un marrone dell’ippocastano per i medesimi motivi. Il legno dell’ippocastano è fragile (il peggior comportamento alla resistenza alla compressione longitudinale in campioni di legno verde pari a ca. 1,4 q.li/cmq contro i 2,8 e i 2,7 q.li/cmq della rovere e del platano), dal comportamento poco elastico prima della rottura, poco durevole. La specie è geneticamente poco incline a riparare le ferite inferte al tronco e alla chioma, ferite che diventano vie di colonizzazione di funghi da carie capaci di mangiare i tessuti legnosi e minando, in tal modo, la stabilità meccanica dell’intero albero. Per tali difetti, nel tempo, i filari ottocenteschi sono stati sostituiti da alberate composte dai più addomesticabili e resistenti tigli e platani. I più grossi esemplari del Parco Mirabello sono stati impiantati dopo la costruzione delle scuderie (ex Liceo Musicale, oggi sede di Varese Corsi), ovvero dopo il 1839, più verosimilmente fra il 1865 ed il 1875 ad opera di Gaetano Taccioli. 15. LECCIO o ELCE *Fam. Fagaceae Quercus ilex L. Albero sempreverde che può raggiungere i 25 m di altezza e 1 m di diametro, ma più spesso lo si trova come piccolo albero; è però assai longevo, potendo vivere oltre i 500 anni. Le foglie sono spesse e coriacee, di colore verde lucente sulla pagina superiore, bianco tomentose su quella inferiore; sulle piante giovani le foglie sono spesso dentate al margine, su quelle adulte sono a contorno per lo più intero. Il suo areale gravita intorno al bacino del Mediterraneo, in cui è la specie principale e più rappresentativa della macchia mediterranea, ma piccoli nuclei spontanei isolati si possono trovare in Val Padana, fra cui le coste dei laghi insubrici. In Arcadia, regione storica della Grecia meridionale, la quercia leccio era dedi- cata a Pan; divinità della natura selvaggia, il cui nome significa “tutto”, era ritenuto figlio di Driope, nome che viene da drus, la quercia, la quale probabilmente era una ninfa del leccio. In tempi remoti si credeva che fosse oracolare, così nell’Aventino si estendeva un bosco di lecci, presunta dimora di una ninfa, Egeria, la soprannaturale consigliera in scienze sacre del re Numa. Un leccio molto antico, antecedente alla fondazione della città di Roma, si innalzava sul monte Vaticano, detto anche la collina degli indovini; portava un’iscrizione etrusca in bronzo secondo la quale la pianta era stata oggetto di un culto religioso da parte dei predecessori dei Romani. Tre querce ancora più antiche erano venerate a Tivoli, presso le quali venne consacrato re l’eroe Tiburnus, fondatore della città. Albero oggetto di venerazione, assunse nel tempo un carattere funesto. In Acarnania, regione storica della Grecia occidentale, e nelle isole Ionie si narrava che, quando a Gerusalemme fu deciso di crocifiggere Cristo, tutti gli alberi rifiutarono di donare il loro legno per lo strumento del sacrilego supplizio, ma tra questi vi era un Giuda. Quando fu il momento di tagliare la croce, tutti i tronchi andarono in mille pezzi tranne la quercia leccio, che rimase in piedi lasciando che il suo tronco diventasse lo strumento della Passione. 16. LIQUIDAMBAR o STORACE AMERICANO *Fam. Hamamelidaceae Liquidambar styraciflua L. Questo bell’albero piramidale di origine americana (est degli USA), è coltivato in Europa come specie ornamentale: ha foglie palmate a 5-7 lobi con margini dentati, che assumono un’intensa colorazione dal giallo al rosso in autunno; i fiori, insignificanti, sono seguiti da caratteristici frutti globosi irti di aculei, penduli; la corteccia diventa spessa e suberosa, contenente una resina liquida, da cui il nome di “liquidambar” datole da un naturalista spagnolo che per primo descrisse la pianta, nel 1519. 17. MAGNOLIA SEMPREVERDE *Fam. Magnoliaceae Magnolia grandiflora L. Magnolia sempreverde proveniente dal sud degli USA, caratterizzata da grandi foglie ovali, coriaceee, verdi scure superiormente e di color ruggine o verde chiaro inferiormente a seconda della varietà, con grandi fiori bianco crema che sbocciano durante l’estate; ha un portamento piramidale e, nei climi abbastanza caldi, può raggiungere i 20 m di altezza. Le magnolie sono piante antichissime e vengono considerate come le prime Angiosperme comparse sulla Terra. 18. MANDORLO *Fam. Rosaceae Amygdalus communis L. / Prunus dulcis (Mill.) D.A. Webb Pianta molto longeva, raggiunge gli 8-10 m d’altezza. I rami, di colore grigiastro, portano gemme a legno e a fiore che possono essere isolate o a gruppi di 2-3 e diversamente combinate. Le foglie sono lanceolate e seghettate; i fiori, bianchi o leggermente rosati, compaiono fra gennaio e marzo, sono ermafroditi, costituiti da 5 petali, 5 sepali e da 20-40 stami. Il frutto è una drupa che presenta esocarpo carnoso, di colore verde, a volte con sfumature rossastre, spesso peloso, talvolta glabro, ed endocarpo legnoso contenente il seme, la mandorla. È originario dell’Asia centro occidentale e, marginalmente, della Cina. Venne introdotto in Sicilia dai Fenici, provenienti dalla Grecia, tanto che i Romani lo chiamarono “noce greca”. Si diffuse in seguito anche in tutti i paesi del Mediterraneo. Albero modesto, dalle dimensioni ridotte, si nota principalmente nel periodo della fioritura, ma è il suo frutto, la mandorla, ad essere protagonista di credenze e miti. La parte commestibile del frutto, racchiusa in un robusto guscio, ha fatto sì che per molti popoli diventasse simbolo dell’essenziale celato sotto l’apparenza. Così tutti gli esoterismi, da quello ebraico al musulmano, usarono proprio la mandorla per rappresentare il cuore dell’essere divino nell’uomo. Per il Cristianesimo la mandorla è il Cristo, la cui natura divina resta celata dalla natura umana, o ancora prima, nel corpo della Vergine Madre. Per questo motivo, nell’iconografia medievale, la figura sacra del Cristo e, talvolta, della Vergine, sono rappresentati nel seno della mandorla mistica, che simboleggia inoltre la luce da loro emanata, la loro aura. Secondo una tradizione ebraica è proprio ai piedi di un mandorlo che si troverebbe la via d’accesso alla misteriosa città sotterranea di Luz (“mandorla” in ebraico), dimora di immortalità, dove Giacobbe ebbe la sua famosa visione. Nel linguaggio dei mistici, così come nel folclore, la mandorla ha sempre rappresentato il segreto che è insito nell’uomo, la vita nuova che è immortalità. Troviamo la mandorla, nel mito orientale di Attis, rappresentare il seme sparso da Zeus che diede nascita all’ermafrodito Agdisti, poi castrato dagli dèi, dal cui sangue nacque un mandorlo (in altre versioni l’albero è un melograno). Il frutto di questo albero, mangiato dalla vergine Nana, fecondandola, diede origine al dio Attis. Nei tempi eroici, Fillide, figlia del re di Tracia, aspettando invano l’amato Acamante, morì di crepacuore o impiccandosi, a seconda delle versioni, e si trasformò in mandorlo per volere di Era, dea degli amori fedeli. Quando Acamante giunse, trovando la sua amata tramutata in albero, l’abbracciò e sui rami, ancor prima delle foglie, come accade per questa essenza, apparvero degli incantevoli fiori bianchi. 19. MELOGRANO *Fam. Punicaceae Punica granatum L. Piccolo albero rustico, resistente all’aridità estiva e alle temperature invernali mediterranee, è originario della Persia. Presenta foglie lucide opposte o sub opposte, strette e allungate, intere, larghe 2 cm e lunghe 4-7 cm. I fiori sono di colore rosso, di circa 3 cm di diametro; hanno tre-quattro petali (che aumentano in alcune varietà orticole, coltivate solo per i fiori i quali, in alcune varietà, sono di colore bianco o rosato). Il frutto, detto melagrana, è una bacca denominata balausta, con buccia spessa e coriacea di forma rotonda o leggermente allungata, con diametro da 5 a 12 cm. In posizione apicale (opposta al picciolo) è assai caratteristica la robusta corona a quattro-cinque pezzi, residuo del calice fiorale. L’interno della melagrana può contenere oltre 600 semi, detti arilli, a forma prismatica, che in alcune varietà sono circondati da una polpa traslucida colorata dal bianco al rosso rubino (nella varietà commestibile, dolce e profumata). Il nome deriva dal latino malum (= mela) e granatum (= con semi). In lingua anglosassone era noto con il nome di “apple of Grenada” (mela di Granada), non a caso la città spagnola di Granada ha nel suo stemma un frutto di melograno: granada, in spagnolo, come la grenade, in francese antico, significano proprio melograno. Il termine, “granata”, dà origine al sostantivo con cui viene indicata l’attuale bomba a mano, che inizial- mente era costituita da un guscio rotondeggiante contenente un gran numero di pallini di metallo. Il nome scientifico (Punica granatum L.) è legato alla denominazione pliniana: Plinio il Vecchio, scrittore latino, riteneva questa pianta originaria del Nord Africa, poiché a Roma i melograni giungevano da quei territori. Da qui “malum punicum”, ovvero melo fenicio. Albero simboleggiante sia la vita che la morte, è sacro a molte dee, in particolare ad Afrodite (Venere) che, secondo la leggenda, lo avrebbe piantato per la prima volta a Cipro, isola a lei dedicata. Il personaggio più noto legato ad esso è senza dubbio quello di Persefone (o Proserpina). Figlia di Demetra (antica divinità materna della Terra e della fertilità), fu rapita e condotta negli Inferi da Ade, che bramava d’averla in sposa. La madre, adirata, condannò la Terra all’inverno perpetuo (la morte apparente della Natura) finché Zeus, preoccupato, inviò il suo messaggero da Ade per chiedere la liberazione della dea. Il dio obbedì, ma prima che Persefone potesse fare ritorno nel mondo dei vivi, le offrì dei semi di melagrana; inconsapevolmente, mangiandone alcuni, ella acconsentì a divenire sua sposa e di conseguenza a rimanere legata anche al regno dell’oltretomba. Essa fu condannata così a dover passare metà di ogni anno nell’aldilà e metà sulla Terra, cercando di lenire il dolore di sua madre Demetra. Da questo racconto presero origine dei rituali, nei quali, nell’antica Grecia, le ateniesi erano solite mangiare il frutto e berne il succo in ono- re di Demetra, per assicurare la fecondità della terra. Un altro mito greco narra che l’albero sia stato originato dal sangue versato da Dioniso bambino, nato da una relazione clandestina tra Zeus e Semele, e smembrato dai Titani per volere di Era, adirata per l’infedeltà dello sposo. In una leggenda frigia (la Frigia è una regione storica dell’Asia Minore, attualmente parte della Turchia asiatica) si narra che il melograno trasse nuova forza dal sangue di Agdistis, indomita divinità androgina generata da Agados, la roccia, e da Zeus, dio del cielo e del tuono. Malvagio e violento, Agdistis oltraggiò tutti gli dèi al punto che un giorno Dioniso, dio dell’ebbrezza, volle vendicarsi; gli portò in dono del vino e lo accompagnò a bere in cima a un albero di melograno finché il dio androgino, ubriaco, si addormentò in bilico su di un ramo. Con una cordicella Dioniso legò i suoi genitali maschili al ramo e, una volta sceso a terra, scosse l’albero con forza. Nel brusco risveglio, Agdistis precipitò, strappandosi i genitali. Nell’istante in cui il suo sangue toccò terra l’albero divenne rigoglioso e carico di frutti. Nei giorni successivi, la dea Nana colse un frutto e lo posò sul grembo, ma esso sparì, fecondandola. Fu così generato Attis, antichissima divinità legata non solo al melograno, ma anche al mandorlo ed al pino sacro. Presso gli antichi Romani si usava ornare il capo delle spose con rami di melograno come augurio di fertilità, mentre in molte tombe lo si trovava in bassorilievo a simboleggiare la morte. In molte tombe egizie furono trovati semi e frutti, per accompagnare il viaggio dei defunti. Nell’iconografia cristiana, quando la melagrana è raffigurata in mano al Gesù Bambino, simboleggia la resurrezione, mentre in mano alla Madonna allude alla sua castità; fra le molte rappresentazioni si ricorda la Madonna del Magnificat (conosciuta anche col nome di Madonna con il bambino e cinque angeli) e la Madonna della melagrana, entrambe del pittore italiano Sandro Botticelli. Il frutto viene menzionato nella Bibbia come uno dei sette prodotti della Terra Promessa; nel Cantico dei Cantici si recita “I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti”. Ancora oggi per molte culture il frutto del melograno è considerato simbolo di fecondità, per la sua forma tondeggiante e per i molti semi contenuti in esso. In Africa e in India le donne ne bevono il succo per sconfiggere l’infertilità; in Turchia viene utilizzato come metodo divinatorio: a seconda del numero di chicchi usciti dal frutto scagliato a terra è possibile prevedere il numero di bambini che avrà la futura partoriente; in Cina la tradizione vuole che le coppie di sposi consumino il frutto la prima notte di nozze come buon auspicio. 20. PARROTIA o LEGNO DI FERRO *Fam. Hamamelidaceae Parrotia persica (DC.) C. A. Mey Questo piccolo albero caducifoglio, come dice il nome specifico, proviene dall’attuale Iran e dal Caucaso, dove può raggiungere i 15 m di altezza; nelle nostre regioni, coltivato a scopo ornamentale, rimane allo stato arbustivo. Ha foglie ovali a margine ondulato e nervature rosse, fiori con stami cremisi che compaiono prima delle foglie; queste ultime assumono una bella colorazione rossa in autunno; negli esemplari più vecchi la corteccia si desquama come quella dei platani. 21. PLATANO IBRIDO *Fam. Platanaceae Platanus x acerifolia (Ait.) Willd, sinonimo Platanus × hispanica Mill. ex Münchh. Il P. x acerifolia è un ibrido tra il P. occidentalis (di origine americana) e il P. orientalis (di origine balcanica che, in Italia, si trova allo stato spontaneo solo in Sicilia), originatosi nel 1663 nell’orto botanico di Oxford dove le due specie si incrociarono spontaneamente, da cui il nome di London plane. Grande albero di 30-40 m, che può vivere sino a 300-500 anni, il platano ibrido è il più utilizzato nei parchi e nelle alberate cittadine, in quanto, rispetto alle specie parentali, è meno esigente in umidità, più rustico, capace di fotosintetizzare da tronco e rami nei quali si scorge il verde della clorofilla. Ha maggiore capacità di tollerare le potature e resiste bene all’inquinamento delle città, grazie anche al desquamarsi della corteccia che, rinnovandosi frequentemente, offre lo spettacolo di un incomparabile ed elegante mosaico di lamine rosso-brune o verdastre su un fondo liscio e chiarissimo. R. Graves, poeta inglese (1895-1985), osserva che il platano, come il serpente, cambia pelle ogni anno: sono quindi entrambi simboli di rigenerazione. Platano deriva dal greco platanos, derivato da platus, largo e piatto, che evoca la parte piatta della mano, il palmo: le sue foglie a 5 lobi molto appuntiti ricordano infatti la mano aperta. Fra gli esemplari storici provinciali si ricordano i filari di platani che nel 1800 furono piantati ai lati della napoleonica strada del Sempione che univa Milano al valico omonimo e di cui rimangono pochissimi superstiti (Somma Lombardo, Gallarate). Negli interventi urbanistici della seconda metà del 1800, per la costruzione dei viali (Boulevards), furono impiantati soprattutto in Francia platani ibridi sotto il regno di Napoleone III e sotto la regia del prefetto Haussman: molte città europee ne seguirono l’esempio (si ricorda il Paseo del Prado a Madrid, la Rambla di Barcellona, viale Certosa e Parco Sempione a Milano, Prato della Valle a Padova, il Passeggio Dandolo e quel che rimane dell’ottocentesco boulevard di Viale Aguggiari a Varese etc.). La diffusione del platano fu iniziata ben prima dallo stesso Napoleone Bonaparte nelle città via via conquistate. Fin dall’antichità il Platanus orientalis è l’albero delle passeggiate pubbliche, che protegge dal sole e adorna le piazze e i viali, coltivato estesamente nella torrida Grecia classica. Originario delle regioni balcaniche, in Italia si trova allo stato spontaneo solo in Sicilia. Viene piantato più frequentemente nelle zone meridionali del Mediterra- neo come albero da ombra. I Romani lo introdussero in Italia nel 390 a.C.; solo nel 1561 raggiunse le Isole Britanniche, dove a partire dal 1636 subì la concorrenza del platano occidentale americano (Platanus occidentalis L.). L’ibrido fra le due specie soppiantò entrambi unendo in esso le migliori doti dei due. Il platano orientale fu un tempo albero sacro della Lidia (provincia dell’Asia minore), ai tempi del re Creso, leggendario per la sua ricchezza; il nipote Pizio offrì a Dario, re di Persia, un platano d’oro. Nell’isola di Creta il platano era venerato come appartenente alla Grande Dea (Madre Terra) rappresentata in numerose statuette col gesto benedicente della mano aperta, evocata dalla forma delle foglie della pianta stessa. Nel Peloponneso vi erano boschi di platani sacri, dedicati a Elena, moglie di Menelao, il quale ne avrebbe piantato un esemplare prima di partire per la guerra di Troia. Nell’antica Atene scrittori, filosofi e artisti conversavano sotto i platani orientali della passeggiata dell’Accademia e Socrate giurava “sul platano”. Anche i Romani li consideravano benefici perché tenevano lontani i pipistrelli di cattivo augurio; ne utilizzavano le infiorescenze sferiche nell’antidoto contro il veleno di serpenti e scorpioni. Nel Sud-Est dell’Europa e in Asia occidentale esistono ancor oggi esemplari millenari, dei quali il più celebre è quello della città greca di Cos, nell’isola omonima, i cui rami enormi, puntellati da colonne antiche, coprono tutta la piazza e il cui tronco è largo 14 m: una leggen- dai piccoli passeriformi. Ha legno molto forte ed elastico che, anticamente, veniva utilizzato per la fabbricazione di archi. Sopporta bene le potature, per cui può essere foggiato in varie sagome. Il suo areale comprende Europa, Caucaso e Himalaya; proprio della fascia montana temperata, si mescola al faggio, all’agrifoglio e agli aceri. In natura è una specie protetta, anche se diviene più frequente sulla Majella, sul Gran Sasso, sul Gargano. Insieme all’agrifoglio, è una specie relitta del periodo terziario. Protettore dei defunti, veniva chiamato albero della morte, in quanto velenoso e si credeva che chi si fosse addormentato sotto i suoi rami sarebbe morto. Distrutto quasi dovunque non solo per utilizzarne il legno per la costruzione di armi, ma anche per la tossicità delle sue foglie, è sopravvissuto fino ai tempi moderni grazie alla protezione dei morti: è proprio il suo utilizzo nei cimiteri ad avergli permesso di attraversare i secoli. Dotato di una vita prodigiosa costituiva all’opposto una promessa di immortalità. Data la longevità di alcuni esemplari rinvenuti in Francia è molto probabile che da racconta che, sotto la sua ombra, il fondatore della Medicina, Ippocrate, ricevesse i suoi pazienti 2500 anni fa. Gli esemplari più maestosi del Parco Mirabello, tutti ibridi, sono stati impiantati dopo la costruzione delle scuderie (ex Liceo Musicale, oggi sede di Varese Corsi) ovvero dopo il 1839, più verosimilmente fra il 1865 e il 1875 ad opera di Gaetano Taccioli. 22. SUGHERA *Fam. Fagaceae Quercus suber L. Albero sempreverde che raggiunge i 20 m di altezza con chioma molto espansa in larghezza. Il tronco costituisce uno dei più facili caratteri di riconoscimento, poiché presenta una scorza grigiastra, spessa parecchi centimetri che tende a staccarsi in blocchi pesanti e compatti (sughero). Come tutte le querce presenta una ghianda ovoidale che raggiunge i 3 cm di lunghezza. La scorza della sughera è l’unica fonte commerciale di sughero, nota già ai Greci e ai Romani per le proprietà galleggianti e isolanti; le più belle sughere si trovano in Sicilia, nel Lazio, nella costa meridionale della Toscana, ma soprattutto in Sardegna. Monumentale l’esemplare presente al Parco di Villa Augusta; di recente introduzione al Parco Mantegazza e al Parco Torelli-Mylius. 23. TASSO *Fam. Taxaceae Taxus baccata L. Arbusto o albero alto fino a 12-15 m, con diametri considerevoli negli esemplari molto vecchi; è specie a lenta crescita e molto longeva (può raggiungere anche 2000 anni); in Europa esistono individui di 1500 anni. Il tronco può essere indiviso o ramificato sin dalla base, la corteccia si desquama in piccole placche; le foglie sono lineari, flessibili, acute ma non pungenti. Le foglie e i semi del tasso sono altamente tossici, mentre la parte rossa del seme (arillo) dolce e gradevole è uno dei cibi preferiti il tasso sia stato anticamente oggetto di culti pagani, inoltre, essendo un albero sacro del druidismo, molti oggetti cultuali, compreso il bastone druidico, erano fatti di legno di tasso. Shakespeare lo cita sia nell’Amleto, in quanto pianta velenosa utilizzata per avvelenare il re, sia nel Macbeth, in cui le streghe inglesi utilizzavano le talee nel “calderone di Ecate”. È proprio alla dea degli Inferi che i Romani sacrificavano dei tori neri decorati con ghirlande di tasso per placare gli spiriti infernali. 24. TSUGA *Fam. Pinaceae Tsuga canadensis (L.) Carr. Proveniente dalle fredde regioni nordorientali del Nord America, questa conifera raggiunge i 25 m di altezza, con una chioma di forma piramidale e sottili rami penduli all’estremità; gli aghi sono lunghi 6-12 mm, di colore verde scuro con 2 bande grigiastre sulla pagina inferiore; i coni maschili sono piccoli, quelli femminili, lunghi sino a 2 cm, liberano in autunno i semi alati che vengono dispersi dal vento. Vinci Il Parco di Villa Augusta si trova in località Giubiano, a due passi dal centro cittadino nella zona sud-est, nei pressi dell’Ospedale Del Ponte. Via Via Ponte Filippo ny Blig F.S. Leonardo Da INFORMAZIONI TURISTICHE Piazza Biroldi Via F.S. San Via VARESE Nino G ius o nz re Pa to MILANO Via Via Salvore Bix io PORTO Via Ga lm ari ni G ra dis Via ca SIO Via Um b erto CERE Ca do re Via Via Via io Bix Nin isc a Gra d io er Via m t'I an Linee urbane Orari di apertura al pubblico Via San Giusto: C primavera/estate 8.00 - 20.00 Viale Borri: E autunno/inverno 8.00 - 18.00 lvio Ste -S Arsiero to .n ta en Via o oll C ag M Via Ca do r e Via o iag As Via