Filippo Lippi (Firenze 1406 circa-Spoleto 1469) Madonna dell’Umiltà con sei angeli e i santi Anna, Angelo di Licata e Alberto da Trapani (Madonna Trivulzio) 1430-1432 circa tempera su tavola trasportata su tela cm 91,7 x 169,9 Milano, Raccolte d’Arte Antica, Pinacoteca del Castello Sforzesco, inv. 551 La tavola fu acquistata dal Comune di Milano nel 1935 dalla collezione Trivulzio, dove era pervenuta nel 1831 per il matrimonio fra Giorgio Trivulzio e Marianna Rinuccini. Nel 1971 fu trasportata su tela. La superficie pittorica è assai sofferta e mostra i segni di due grandi spaccature orizzontali, la superiore dovuta probabilmente alla commettitura di due assi. Nel corso del restauro condotto da Carlotta Beccaria in occasione di questa mostra, si è potuto rilevare che due listelli di legno larghi 5 cm, erano stati applicati lungo i due spioventi della tavola, con conseguenti ridipinture che hanno sbordato sul fondo originale. Questo, dipinto di azzurro chiaro, con luminosità naturale anche se non propriamente atmosferica, tale da presagire l’effetto a cammeo delle robbiane, era dunque in origine più ristretto, sì da esaltare per contrasto lo sbalzo plastico della figurazione, adattata al particolare formato e ora annegata in un eccesso di vacuo. La consunzione ha reso più inconsistente una figurazione che doveva essere altrimenti corposa e turgida, essendo concepita come un vero e proprio rilievo in “stiacciato”, di ispirazione donatelliana, pur impreziosito dalla luce che striscia le creste dei panneggi di lato, evidenziandone le increspature nervose, fino al virtuosismo delle mani di sant’Anna che emergono sotto a un velo trasparente. La forma del tutto insolita è quella dei low gabled dossals della fine del Duecento, cui si conformò ancora Giotto nella Morte della Vergine di Ognissanti, ora a Berlino. È probabile che il pittore abbia dovuto adeguarsi in maniera programmatica a un modello così antico. Quest’opera è un caposaldo per la ricostruzione della giovinezza di Filippo Lippi prima del soggiorno a Padova nel 1434, intrisa di suggestioni masaccesche ma già percorsa da inquieti fremiti espressivi, ricostruita a partire dagli studi degli anni Trenta del XX secolo. La data probabile è a valle dell’affresco del Carmine a Firenze con la Mitigazione della regola e della tavola del Museo della Collegiata di Empoli, ma prima del soggiorno padovano. È molto verosimile che l’opera provenga dal convento carmelitano di Firenze, dove Filippo è ricordato dal 1421 al 1432 e dove giovanissimo conobbe Masaccio. Sulla destra sono raffigurati i due santi moderni più popolari dell’ordine carmelitano, sant’Angelo di Licata, con la spada confitta in capo con cui fu martirizzato, e sant’Alberto da Trapani, con uno stelo di gigli. La santa anziana sulla sinistra, già identificata con la rarissima sant’Agnese di Boemia, è più verosimilmente sant’Anna, cara ai carmelitani anche per la credenza che i suoi genitori sarebbero vissuti sul Monte Carmelo, sì da giustificare per la Vergine Maria l’epiteto di flos Carmeli. La Madonna è racchiusa nel manto come una piramide, una sigla masaccesca temperata dalla bizzarria umorale dell’invenzione di Gesù, che pare un pupattolo di pezza mentre si sporge in avanti a cogliere una rosa, e delle sei figure di adolescenti che fanno esedra, come in una composizione donatelliana, ma si agitano in maniera scomposta. Definiti talvolta come «giovanetti», sono più verosimilmente degli angeli, raffigurati apteri come nella Cantoria di Luca della Robbia, variamente caratterizzati in quanto maschili o femminili come nell’opera eponima del Maestro di Figline. Si è ipotizzato che questo dossale adornasse uno dei due altari addossati al tramezzo della Chiesa del Carmine a Firenze, dedicati ai santi Angelo e Alberto. Più suggestiva è l’idea che possa venire dalla compagnia di Sant’Alberto, fondata nel 1419, che aveva un oratorio annesso alla chiesa, presso il cimitero sul lato sinistro e di cui erano membri anche «fanciulli». La luce da sinistra, assai evidenziata, è coerente con l’orientamento della stessa chiesa verso meridione, qualificandosi come luce da Oriente. Testo liberamente tratto dal catalogo, scheda di Andrea De Marchi