Anno 8 - n. 1 - Febbraio 2005 RIVISTA BIMESTRALE D’INFORMAZIONE SCIENTIFICA POSTE ITALIANE - SPEDIZIONE IN A.P. - 70% - BRESCIA a cura dell’Osservatorio Epidemiologico Veterinario della Regione Lombardia Regione Lombardia Direzione Generale Sanità - Servizio Veterinario Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale - Via Bianchi, 9 - 25124 Brescia S ommario Anno 8 - n. 1 - Febbraio 2005 RIVISTA BIMESTRALE D’INFORMAZIONE SCIENTIFICA POSTE ITALIANE - SPEDIZIONE IN A.P. - 70% - BRESCIA a cura dell’Osservatorio Epidemiologico Veterinario della Regione Lombardia 3 A ricordo del dottor Angelo Pecorelli 4 Clamidiosi animali zoonotiche Regione Lombardia Direzione Generale Sanità - Servizio Veterinario Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale - Via Bianchi, 9 - 25124 Brescia S. Magnino, V. Sambri Direttore responsabile Cesare Bonacina Diarrea Bovina Virale - Malattia delle mucose: stato dell’arte - 1ª parte 8 C. Nassuato Direttore scientifico Ezio Lodetti Redattore Giorgio Zanardi 15 Comunicazione e formazione 16 Notizie da Internet Responsabile comitato redazione Giorgio Zanardi Comitato di redazione M. Astuti, P. Cordioli, M. Domenichini, P. Antoniolli, L. Gemma, C. Genchi, G. Gridavilla, A. Lavazza, A. Palma, V.M. Tranquillo Hanno collaborato a questo numero S. Magnino, V. Sambri, C. Nassuato Segreteria di redazione M. Guerini L. Marella Stampa Editrice Vannini - Gussago (BS) Editore Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna “Bruno Ubertini” Via Bianchi, 9 - 25124 Brescia Tel. 03022901 - Fax 030225613 Tutti coloro che vogliono scriverci, devono indirizzare le lettere al seguente indirizzo: “L’OSSERVATORIO” rubrica “La posta dei lettori”, via Bianchi, 9 - 25124 Brescia - tel. 030 2290259-235; oppure utilizzare la posta elettronica: [email protected] L’Osservatorio e i numeri del precedente Bollettino Epidemiologico possono essere consultati anche sul sito web http:\\www.oevr.org A ricordo del dottor Angelo Pecorelli Il dottor Angelo Pecorelli dopo una brevissima malattia ci ha lasciato il 22 gennaio 2005. Aveva da poco raggiunto il traguardo del secolo di vita, traguardo di per sé ragguardevole raggiunto con una mente lucidissima ed un fisico ancora in perfetta forma. Giunto a Brescia nel lontano 1924 per assumere l’incarico di Segretario della Scuola Agraria Pastori di Viale Bornata; aveva lasciato la natia Fabriano e gli affetti più cari per approdare nella nostra città. Figura fulgida ed autorevole al servizio, nella sua centenaria esistenza, dell’agricoltura bresciana, della quale ha incarnato ed alimentato i valori più autentici. Insieme al prof. Bruno Ubertini è stato protagonista indiscusso dell’affermazione in campo nazionale ed internazionale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna "Bruno Ubertini" ed artefice della Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche, da Lui fondata per sostenere studio e ricerca scientifica per la difesa sanitaria del bestiame oltre alla formazione culturale e professionale dei giovani veterinari. E’ stato protagonista con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Brescia della nascita del Centro Miglioramento del Latte, della Scuola per la Ricerca Scientifica, fiori all’occhiello dell’eccellenza delle Scienze Veterinarie e Zootecniche. Nel libro a Lui dedicato da parenti ed amici, in occasione del centesimo compleanno, intitolato “Un secolo di irrequietezza”, traspare la Sua propensione alla libera iniziativa del singolo, la sensibilità sociale ed il riconoscimento della importanza delle Istituzioni. Non è un caso che l’impegno costante nel quale ha profuso il meglio delle proprie energie sia stato legato alla formazione. Non solo quando ad occuparsi di scuola era ovviamente il lavoro principale del Segretario della Pastori ma, soprattutto quando, Segretario Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Brescia, delle Istituzioni Agrarie Raggruppate e, più tardi, della Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche, ha voluto che proprio l’assetto formativo costituisse il fulcro di iniziative che sono rimaste pietre miliari nel campo veterinario, zootecnico ed agroalimentare. Dalla scuola per casari, alle miriadi di corsi e seminari per gli addetti ai lavori, fino ai punti di eccellenza toccati con le Scuole di Specializzazione a tempo pieno per laureati in Medicina Veterinaria realizzate in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna "Bruno Ubertini" e le Università di Milano, Parma e Bologna, l’attività del dr. Angelo Pecorelli è sempre stata quella di un amministratore che guardava al futuro e che sapeva con certezza che il futuro sarebbe stato migliore se i giovani fossero stati preparati per renderlo migliore. Per l’opera da Lui svolta durante 65 anni d’attività dirigenziale in Enti ed Istituti d’interesse medico veterinario e zootecnico, l’Università di Messina ha conferito al dr. Angelo Pecorelli, già laureato in Scienze Economiche nel 1937 a Torino, la laurea ad honorem in Medicina Veterinaria. Alle già numerose onorificenze si aggiunse la medaglia d’oro al merito della Sanità Pubblica, conferitagli nel gennaio 1972 dall’allora Ministro alla Sanità On.le Mariotti. I Veterinari tutti ne ricordano le spiccate qualità umane, il radicato senso d’appartenenza ai valori del lavoro e dell’innovazione, l’apertura delle vedute e la lungimiranza nelle scelte, l’attività e l’impegno professionale che, con la sua inesauribile curiosità intellettuale, hanno lasciato un segno indelebile nel mondo della Veterinaria Italiana e nel mondo agro-zootecnico. I Veterinari italiani di più di una generazione si erano abituati a Lui, al Suo modo di fare, ai Suoi progetti per il futuro. A cent’anni guardava ancora avanti ed era uno stimolo per tutti. Ora che non c’è più, resta solo l’opportunità di far tesoro dei Suoi insegnamenti e continuare la Sua opera con altrettanto entusiasmo. Prof. Ezio Lodetti L’OSSERVATORIO 3 Clamidiosi animali zoonotiche S. Magnino1, V. Sambri2 Chlamydia psittaci è l'agente eziologico di una malattia infettiva dei volatili e zoonosi batterica conosciuta dalla fine del XIX secolo, la psittacosi, nota in medicina umana anche con la denominazione di ornitosi a seconda che siano fonte di infezione per l'uomo rispettivamente i pappagalli o altri uccelli da compagnia o di allevamento. Nel 1999 per questo microrganismo è stata proposta la nuova denominazione di Chlamydophila psittaci e la creazione di altre specie (Chlamydophila abortus, C.felis, C.caviae) considerate in precedenza sotto la denominazione unica di Chlamydia psittaci. Questa modifica nella classificazione riconosce per alcune clamidie di interesse veterinario una sostanziale specificità d'ospite ma non è stata accettata da molti ricercatori che preferiscono mantenere la sola denominazione in uso prima del 1999. L'infezione da C.psittaci è largamente diffusa nel mondo animale a livello mondiale; l'uomo è solo un ospite accidentale del microrganismo e si infetta nella maggior parte dei casi documentati a seguito del contatto con uccelli, in particolare pappagalli, altri volatili d'affezione (fringillidi, canarini, cardellini, piccioni), volatili d'allevamento (tacchini, anatre, oche), selvaggina allevata (fagiani, colino della virginia, coturnice) e animali a vita libera (piccioni in ambito urbano, rapaci). Altri casi di malattia nell'uomo derivano dal contatto con alcuni mammiferi infetti: pecore, capre e gatti, mentre informazioni frammentarie sono disponibili ad oggi riguardo alla trasmissione del contagio da parte di bovini, suini e equini. Oltre ad essi, il recente ritrovamento di clamidie in rettili e anfibi (camaleonti, serpenti, tartarughe e rane) fa sospettare che anche questi animali mantenuti in cattività per fini di ricerca o come animali d'affezione possano talvolta trasmettere l'infezione all'uomo. La trasmissione delle clamidie avviene per contatto diretto tra gli animali e tra animale e uomo, per lo più tramite inalazione di aerosol contaminati, tra i quali particolarmente insidiosi sono quelli che si sviluppano a seguito di essicazione delle feci e loro sollevamento come polvere negli ambienti. Segni clinici e sintomatologia nei volatili affetti, sia da compagnia sia da reddito, variano in rapporto alla Sanità animale virulenza della clamidia, all'età dell'ospite - i soggetti giovani manifestano forme più gravi - e ai diversi fattori stressanti che insistono sugli animali, quali la stessa riduzione in cattività nel caso dei volatili sottratti al loro habitat naturale, i trasporti in condizioni disagiate, il sovraffollamento, i cambi di alimentazione e le malattie intercorrenti. Accanto a segni di carattere generale quali abbattimento, anoressia e ipertermia, i quadri clinici osservabili rivelano il coinvolgimento dell'apparato respiratorio con scolo nasale, dispnea, tosse, starnuti e dell'apparato digerente con la comparsa di diarrea. In alcune specie in particolare anatidi e piccioni - anche il rilievo della congiuntivite può essere caratteristico. Alla necroscopia si rilevano spesso epatosplenomegalia e sierositi fibrinose (aerosacculite, pericardite, periepatite). Il decorso può variare da iperacuto, con morte degli animali in poche ore, a cronico con progressiva emaciazione dei soggetti malati. Tra i volatili sono molto diffuse anche le infezioni asintomatiche, e i portatori sani di clamidie sono una pericolosa fonte di contagio per gli animali conviventi e per l'uomo - poiché eliminano il microrganismo nell'ambiente in modo intermittente, risultando per questo anche di difficile identificazione. Per la terapia farmacologica degli animali malati, risultano attive le tetracicline per via orale miscelate all'alimento o all'acqua in trattamenti di massa, o somministrate per via parenterale in formulazioni a ridotta istolesività. Per il trattamento individuale, praticabile essenzialmente nei volatili d'affezione, è stato di recente proposto anche l'utilizzo dell'azitromicina e della difloxacina, farmaci appartenenti alla famiglia dei macrolidi e dei chinoloni. Tutti i farmaci hanno azione batteriostatica, quindi per la guarigione risultano determinanti la buona efficienza del sistema immunitario dei volatili e un'adeguata terapia di supporto. La prevenzione della malattia nei volatili si basa in generale su misure igieniche, sull'identificazione dei soggetti portatori sani e sul controllo di tutti i fattori stressanti. Negli allevamenti dei volatili da reddito è anche importante impedire l'accesso ai volatili selvatici, talvolta portatori di clamidie. L'efficacia di 4 L’OSSERVATORIO una profilassi farmacologica nei volatili è invece contestata da parte di alcuni autori e da valutare opportunamente caso per caso. Al momento non è possibile una profilassi vaccinale, per la mancanza di vaccini registrati per le specie aviari; sono tuttavia allo studio preparazioni che potrebbero trovare applicazione in un prossimo futuro. Alcune raccomandazioni per il controllo della clamidiosi nei volatili diversi dal pollame in importazione nei Paesi dell'Unione Europea, anche in rapporto alla protezione della salute umana, sono riportate in un recente documento approvato nel 2002 dallo SCAHAW (Comitato Scientifico per la Sanità Animale e il Benessere Animale) della UE, dal titolo "Avian chlamydiosis as a zoonotic disease and risk reduction strategies". Il testo è disponibile in Internet a l l ' i n d i r i z z o all’indirizzo: http://europa.eu.int/comm/food/fs/sc/scah/out73_en. pdf. La profilassi nell'uomo si basa sul controllo della malattia negli animali, sull'applicazione di misure igieniche negli allevamenti, nei negozi di animali, nei macelli e nei laboratori di ricerca anche mediante l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine) da parte degli operatori e di sostanze disinfettanti. Nelle pecore e nelle capre la clamidiosi è un'importante causa di aborto e natimortalità e provoca gravi danni economici negli allevamenti; l'agente eziologico della malattia, in precedenza denominato C.psittaci come l'agente della clamidiosi aviare, è oggi classificato come Chlamydophila abortus e viene comunemente trasmesso nell'ambito delle due specie di mammiferi. Tuttavia, anche clamidie di derivazione aviare appartenenti alla specie C.psittaci possono occasionalmente infettare i piccoli ruminanti e indurre malattia. La comparsa della clamidiosi in un gregge si manifesta in modo caratteristico con la comparsa di aborti fin nel 30-40% delle pecore nella prima e seconda stagione riproduttiva, con una riduzione fino al 5-15% negli anni successivi in assenza di trattamenti. Anche per la terapia in queste specie animali, le tetracicline sono il farmaco di scelta e trovano utilizzo anche ai fini della prevenzione dell'aborto, se somministrate nel corso della gravidanza, anche se non eliminano l'infezione dal gregge. A differenza dei volatili, la profilassi vaccinale nei piccoli ruminanti è possibile e applicata, con buoni risultati. Anche la clamidiosi delle pecore e delle capre è una zoonosi, particolarmente insidiosa per il personale femminile che accudisce le greggi infette o che viene a contatto con organi e tessuti infetti di animali al macello, dato che le clamidie agenti di aborto nei piccoli ruminanti possono infettare la donna e provocare aborto. In questo caso, le occasioni di contagio più rischiose sono proprio il contatto con La clamidiosi aviare è conosciuta in medicina umana con la duplice denominazione di psittacosi e ornitosi, in riferimento all'identificazione della fonte di contagio rispettivamente in pappagalli e in volatili in genere. Tra le clamidiosi zoonotiche, l'infezione da C.psittaci è l'unica, ad oggi, ad essere stata descritta clinicamente in modo compiuto. L'esordio clinico nell'uomo segue ad un periodo di incubazione di 1-2 settimane, ed è caratterizzato da una notevole variabilità della gravità dei sintomi. Il quadro clinico che vi può essere riferito con maggiore frequenza è quello di una polmonite con grave risentimento generale, ma la malattia può anche presentarsi, più banalmente, come lieve forma simil-influenzale. Spesso è necessario il ricovero in ospedale del paziente, ma la prognosi è generalmente benigna se viene intrapresa una terapia antibiotica specifica con i farmaci del gruppo delle tetracicline o dei macrolidi. La malattia si manifesta in prevalenza in alcune categorie professionali a rischio quali allevatori e rivenditori di volatili, doganieri, guardie forestali, addetti alla rimozione dei nidi e del guano degli uccelli insediatisi in ambiente urbano, operatori ai macelli, veterinari e laboratoristi; a questi vanno naturalmente aggiunti i proprietari di volatili d'affezione. In ambito urbano, la comune presenza di un gran numero di piccioni infetti indagini in diverse città italiane hanno rilevato portatori nel 13-42% della popolazione pone interrogativi di salute pubblica per la possibile trasmissione delle clamidie all'uomo; a questo proposito, va notato che spesso ma non sempre - il piccione è portatore di clamidie caratterizzate da virulenza per l'uomo inferiore a quelle veicolate da pappagalli, altri volatili d'affezione e tacchini. La trasmissione interumana diretta, benché possibile, è un evento estremamente raro. L’OSSERVATORIO 5 Sanità animale animali infetti nel gregge e l'inalazione di aerosol infetto prodottosi durante l'assistenza degli animali al parto. A confronto dei casi di zoonosi trasmessa dai volatili, i casi segnalati al mondo sono molto pochi e soprattutto documentati nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti e più di recente in Svizzera, ma la gravità delle manifestazioni cliniche suggeriscono di adottare particolari cautele a protezione della salute umana. Anche il bovino, il suino e l'equino possono essere infettati dalla stessa specie di clamidia dei piccoli ruminanti (C.abortus) e manifestare anch'essi problemi riproduttivi, ma non risultano segnalazioni certe del passaggio dell'infezione da questi animali all'uomo; solo per il bovino, il rilievo di sieropositività in alcune mandrie e allevatori negli Stati Uniti e in Francia ha fatto sospettare il contagio umano. Nel gatto, le clamidie determinano un quadro di malattia caratterizzato da una forma di congiuntivite che compare più spesso in soggetti giovani, solitamente non è grave e talvolta è associata a rinite. Sono noti alcuni casi occasionali di trasmissione della malattia all'uomo, con manifestazioni generali riferibili a una congiuntivite acuta, ma sono segnalati anche rarissimi casi di coinvolgimento di altri distretti dell'organismo. Si ritiene che in generale la malattia sia più diffusa di quanto riportato e che talvolta non venga neppure indagata dato il suo carattere transitorio e clinicamente assolutamente benigno. Altre specie di clamidie (Chlamydophila pecorum e Chlamydia suis, secondo le nuove proposte di denominazione) sono agenti di diversi quadri clinici osservati talvolta anche nei ruminanti e suini di allevamenti italiani: si tratta di metriti, congiuntiviti, encefalomieliti, artriti, polmoniti e enteriti che pur non avendo un'immediata importante rilevanza sanitaria e economica negli allevamenti quanto l'aborto, rappresentano spesso un problema cronico e ricorrente di non facile gestione. Il potenziale zoonotico di queste infezioni non è attualmente conosciuto. La diagnostica delle clamidiosi animali viene eseguita su tutto il territorio nazionale in ambito pubblico dai laboratori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali e di alcuni istituti universitari delle Facoltà di Medicina Veterinaria. Diverse tecniche vengono utilizzate per il rilievo diretto delle clamidie nei tessuti e nei secreti/escreti animali, e per il ritrovamento di anticorpi specifici nel sangue dei soggetti sospetti d'infezione. Su tutto il territorio nazionale, mediante questa attività vengono rilevati ogni anno diversi casi di malattia in pappagalli, in altri volatili d'affezione d'importazione o di proprietà e in piccioni, oltre a casi di aborto nei ruminanti e di congiuntivite nei gatti. Il Centro di Referenza Nazionale per Clamidiosi, istituito presso la Sezione di Pavia dell'IZSLER con il D.M. del 4 ottobre 1999 “Centri di referenza nazionali nel settore veterinario”, svolge attività diagnostica in ambito veterinario nel territorio delle regioni Lombardia e Emilia Romagna, offre un servizio di consulenza e informazione sui diversi aspetti delle clamidiosi animali, conferma le diagnosi effettuate da altri laboratori, raccomanda le metodiche di analisi in Tabella 1. Paesi di provenienza e positività dei pappagalli importati esaminati presso il CRN per Clamidiosi – IZSLER Sezione di Pavia (periodo Novembre 2003 – Ottobre 2004) Numero di lotti importati Numero totale di animali nei lotti Numero di lotti trovati positivi per Clamidia 12 2.273 2 Repubblica Ceca 5 1.971 2 Guyana 4 811 0 Singapore 4 143 0 Senegal 3 900 1 Camerun 3 300 0 Mali 2 1.200 0 Repubblica Sudafricana 2 82 0 Perù 1 725 1 Pakistan 1 2.033 0 Cina 1 680 0 Nuova Zelanda 1 72 0 Paese Argentina TOTALE Sanità animale 39 11.190 6 6 L’OSSERVATORIO Tabella 2. Paesi di provenienza e positività di volatili non psittacidi importati esaminati presso il CRN per Clamidiosi – IZSLER Sezione di Pavia (periodo Novembre 2003 – Ottobre 2004) Numero di lotti importati Numero totale di animali nei lotti Numero di lotti trovati positivi per clamidia Senegal 2 3.140 0 Pakistan 1 2.225 0 Guyana 2 16 0 TOTALE 5 5.381 0 Paese previsione di una loro standardizzazione e promuove l'esecuzione di prove interlaboratorio. Nel periodo Novembre 2003 - Ottobre 2004 le positività rilevate nel laboratorio di Pavia nei pappagalli - 22 soggetti positivi in totale - hanno riguardato in 10 casi volatili sottoposti ai controlli sanitari previsti dalla legge all'importazione nel nostro Paese, e in 12 casi hanno riguardato pappagalli di proprietà di privati. I lotti di pappagalli in importazione controllati sono stati 39 in provenienza da 12 Paesi; il numero totale di animali che componeva i lotti stessi è stato di poco superiore alle 11.100 unità. I risultati sono riassunti in Tabella 1. Positività per clamidia sono state rilevate in volatili provenienti da 4 Paesi e hanno riguardato Myiopsitta monachus (parrocchetto monaco), Poicephalus senegalus (you-you), Nymphicus hollandicus (calopsitte), Platycercus sp. (rosella) e Aratinga mitrata (conuro mitrato) importati da Repubblica Ceca, Senegal, Argentina e Perù. Gli esami eseguiti su campioni prelevati da lotti di pappagalli appartenenti ad altri generi e specie (Agapornis sp., Amazona sp., Ara sp., altre specie di Aratinga, Cacatua sp., Eolophus roseicapillus, Glossopsitta concinna, Melopsittacus undulatus, Neophema bourkii, Pionites melanocephala, Pionus sp., altre specie di Poicephalus, Psephotus haematonotus, Psittacula krameri, Psittacus erythacus, Trichoglossus sp., Lorius sp.) e provenienti da altri Paesi hanno avuto invece esito negativo. La ricerca della clamidia è inoltre risultata negativa in tre lotti di volatili d'affezione non psittacidi. I volatili controllati, importati da 3 Paesi per un totale di 5 lotti e in numero di poco eccedente le 5.300 unità, sono stati in prevalenza colombiformi e passeriformi (fringillidi) e in minor numero piciformi (tucani). I risultati sono riassunti in Tabella 2. Per quanto riguarda i controlli eseguiti su volatili di proprietà allevati da privati, tra gli psittacidi sono state rilevate positività per clamidie in diverse specie: Ara L’OSSERVATORIO ararauna, Myiopsitta monachus (parrocchetto monaco), Psittacus erythacus (pappagallo cenerino) e Melopsittacus undulatus (cocorita). Tra i volatili non psittacidi di proprietà (canarini) non sono state rilevate positività. Tra gli altri volatili esaminati, sono state rilevate positività (6/16) nei colombi cittadini, che ospitano spesso clamidie in ambito urbano. Inoltre, anche una cornacchia grigia e alcune (3/24) pernici e coturnici a vita libera sono risultate infette. Nelle pecore e capre sono stati controllati 34 feti appartenenti a greggi di province sia lombarde (Bergamo, Como, Cremona, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio, Varese) sia emiliane (Piacenza, Forlì, Rimini) dove si erano manifestati aborto e natimortalità. Le positività (5/34) sono state rilevate in greggi della Lombardia (province di Bergamo, Mantova, Sondrio) e dell'Emilia Romagna (provincia di Forlì). In questi episodi la specie ritrovata è stata identificata come Chlamydophila abortus, noto agente dell'aborto enzootico ovino. Infine, nonostante il ridotto numero di campioni (7) prelevati a gatti, la clamidia è stata evidenziata in un soggetto affetto da congiuntivite. Per quanto riguarda la notifica secondo il D.M. 15 dicembre 1990 “Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive”, l'ornitosi-psittacosi è classificata tra le malattie della “classe V”, che comprende le malattie infettive e diffusive notificate all'unità sanitaria locale non comprese nelle prime quattro classi (I-IV), e le zoonosi indicate dal Regolamento di Polizia Veterinaria 320/54 (vedi oltre). Le unità sanitarie locali sono tenute a comunicare annualmente il riepilogo dei casi alla regione, e questa al Ministero, salvo che si verifichino focolai epidemici che vanno segnalati alla regione e da questa al Ministero, all'Istituto Superiore di Sanità e all'ISTAT tramite modello 15. I dati di prevalenza sono riassunti a livello nazionale dal Ministero della Salute e sono riferiti alla diagnosi di polmonite da psittacosi, riferita come tale o con complicazioni specificate o non specificate. 7 Sanità animale Secondo i dati riportati nel sito Internet del Ministero aall’indirizzo: l l ' i n d i r i z z o http://www.salute.gov.it/programmazione/sdo/ric_inf ormazioni/sceltadia.jsp, nel 2001 sono state ricoverate con questa diagnosi in regime di ricovero ordinario e day hospital e successivamente dimesse 21 persone, e 27 nel 2002. Il numero di casi riportato ogni anno è tuttavia da ritenere fortemente sottostimato, principalmente perché in molti casi la malattia non viene segnalata. Anche le informazioni su episodi sporadici e epidemici sono di difficile reperimento e i pochi casi di malattia notificati in Italia sono diagnosticati in proprietari di volatili, mentre non sono mai stati segnalati aborti nel personale che ha assistito pecore e capre risultate infette, né casi di congiuntivite in proprietari di gatti risultati affetti da clamidiosi. In ambito nazionale, il Regolamento di Polizia Veterinaria 320/54 riporta la psittacosi-ornitosi all'Art. 5 e prevede l'obbligo della segnalazione reciproca tra Servizio Veterinario e Servizio di Igiene Pubblica dell'ASL a seguito di insorgenza di casi di malattia negli animali e nell'uomo. Nella legislazione UE, la Decisione 2000/666/CE della Commissione sulla modalità di importazione da Paesi Terzi dei volatili diversi dal pollame, prevede che in caso di sospetto o conferma di psittacosi negli psittacidi importati messi in quarantena, tutti i volatili del lotto vengano trattati e la quarantena sia prolungata per almeno due mesi dopo l'ultimo caso accertato. La recente Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003 del Consiglio e del Parlamento ha inoltre compreso le clamidiosi animali sotto la denominazione di “psittacosi e relativi agenti zoonotici” nell'Allegato I, parte B tra le zoonosi e gli agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica del territorio di ciascuno Stato Membro. Infine, secondo la classificazione degli agenti biologici del bioterrorismo proposta nel 1999 dai Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti, C.psittaci appartiene alla categoria B, che comprende microrganismi che possono essere disseminati in modo moderatamente facile, provocano morbilità moderata e bassa mortalità e richiedono specifiche capacità per la diagnosi di laboratorio e per il controllo dell'infezione. Maggiori conoscenze sulle zoonosi da clamidie potranno derivare in futuro anche dalle ricerche intraprese nell'ambito di un progetto europeo coordinato dall'agenzia COST (European Cooperation in the field of Scientific and Technical Research) recentemente avviato in 12 Paesi dell'Unione Europea e 3 Paesi confinanti dal titolo "Animal chlamydioses and the zoonotic implications" e per il coordinamento del quale sono delegati nazionali gli autori di questa comunicazione. Sanità animale Nell'ambito della ricerca, che durerà fino al novembre 2007, si stanno discutendo in modo approfondito molti aspetti di queste malattie in un contesto internazionale, con uno scambio di informazioni e esperienze pratiche tra medici, veterinari, biologi e altri operatori dei relativi settori. Le linee di ricerca che verranno indagate da specifici gruppi di lavoro saranno cinque: nuove metodiche diagnostiche, indagine di campo e validazione, aspetti zoonotici delle clamidiosi, ricerca sulla patogenesi, sviluppo di vaccini. Riguardo a questi argomenti, verrà organizzato a Siena il prossimo 22-23 settembre 2005 un incontro per discutere in particolare l'utilizzo dei metodi diagnostici per il rilevamento delle clamidie, la caratterizzazione dei fattori di virulenza e i meccanismi molecolari operanti nella patogenesi delle clamidiosi umane e animali, l'epidemiologia delle infezioni zoonotiche da clamidie, la vaccinazione e il controllo della malattia. Per informazioni sulle attività in corso relative alla ricerca, sono disponibili informazioni in Internet a l l ' i n d i r i z z o all’indirizzo: http://cost.cordis.lu/src/action_detail.cfm?action=85 5 e possono essere contattati direttamente gli autori di questa comunicazione. 1. Centro di Referenza Nazionale per Clamidiosi, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna (IZSLER), Sezione Diagnostica di Pavia ([email protected]) 2. Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale, Sezione di Microbiologia, Università di Bologna, Policlinico S. Orsola, Bologna ([email protected]) 8 L’OSSERVATORIO Diarrea Virale Bovina - Malattia delle Mucose: stato dell’arte 1ª parte C. Nassuato1 Premessa Il complesso diarrea virale bovina- malattia delle mucose (BVD-MM) costituisce un quadro patogenetico articolato, la cui conoscenza, a tutt'oggi incompleta, ha richiesto anni di esperienze e di studi a partire dalla prima comparsa nei lontani anni '40 in Canada e dai primi tentativi di inquadramento come 'malattia X'. Il problema fondamentale fu, da principio, riuscire a collegare le due forme cliniche. La cosiddetta 'malattia X' era caratterizzata da un variegato complesso di segni clinici quali ipertermia, diarrea acquosa e sanguinolenta, disidratazione, tenesmo, tachicardia e tachipnea, scolo nasale e comparsa di lesioni ulcerose a livello mucosale e cutaneo, con riscontri autoptici di lesioni erosive ed emorragie petecchiali diffuse. A seguito del successo di alcuni studi sperimentali di riproducibilità della malattia, venne reinquadrata ed identificata come 'diarrea virale bovina' (BVD). Negli anni '50 in Iowa comparve una forma con scolo nasale mucopurulento, associata a lesioni erosive ed emorragiche del tratto intestinale e con un corollario di altri sintomi alquanto variabile che, nonostante la evidente somiglianza con la BVD, venne ritenuta una forma distinta e denominata 'malattia delle mucose' (MM). Seguirono dei lavori di isolamento e crescita dei virus in colture cellulari, che rivelarono caratteristiche di citopatogenicità di un isolato di virus della BVD e di non citopatogenicità di un isolato di virus della MM. Nel 1960, a seguito dell'isolamento di un virus citopatico (cp) da un caso di BVD (lo storico 'Oregon C24V'), vennero condotti diversi studi di caratterizzazione delle proprietà fisiche ed antigeniche del ceppo, che consentirono non soltanto di rilevare la notevole somiglianza presente tra il virus della BVD e quello della MM, ma più in generale con i virus bovini correlati con il virus del 'colera suino' e cioè dell'attuale peste suina classica. Verso la fine degli anni '60, sebbene le lesioni principali riscontrabili in BVD e in MM fossero sovrapponibili, nelle due forme cliniche apparivano ancora differenze sostanziali. In particolare, la BVD era considerata una malattia enzootica con focolai sporadici con elevata morbosità, ma bassa mortalità. Al contrario, la MM sembrava prediligere soggetti in giovane età, manifestandosi con una bassa morbosità e con una mortalità quasi vicina al 100%. I primi tentativi di riprodurre sperimentalmente L’OSSERVATORIO la trasmissione del virus della MM fallirono e quando i ricercatori tentarono di riprodurre la MM con isolati di virus cp ottennero un quadro sintomatologico sovrapponibile ad una forma lieve di BVD. Questo risultato insieme alle analogie riscontrate a livello di esame autoptico e di quadro microscopico, indussero finalmente ad avanzare l'ipotesi che le due forme costituissero un unico complesso nosologico. Studi sperimentali successivi consentirono, non solo di evidenziare la stretta relazione esistente tra disordini riproduttivi ed episodi abortivi, nascita di soggetti mummificati e disvitali ed infezioni intrauterine da virus della BVD, ma anche di constatare che vitelli congenitamente infetti, cioè infettati nel periodo fetale, risultano persistentemente infetti (PI). Negli anni '80 ebbe buon esito uno studio sperimentale, nel quale si tentò di riprodurre la sintomatologia della malattia delle mucose inoculando un soggetto PI con uno stipite citopatico del virus. Convinzione dell'epoca fu pertanto che la MM si potesse verificare solo in soggetti persistentemente infetti a seguito di superinfezione con stipiti cp di virus della BVD, antigenicamente simili al ceppo ncp, che aveva dato luogo alla condizione di immuno-tolleranza. In alternativa, si accettava la possibilità di mutazione del medesimo ceppo ncp a cp. Il virus della diarrea virale bovina venne quindi classificato come un Pestivirus, insieme al virus della Border Disease ed a quello della Peste suina classica, appartenente alla famiglia Togaviridae. In base alle convinzioni correnti, le forme cliniche gravi ad esito letale da sovrainfezione cp su ncp vennero per convenzione indicate come 'malattia delle mucose', mentre quelle più lievi da ncp con elevata morbosità e bassa mortalità come 'diarrea virale'. L'importanza dei virus ncp venne riconosciuta nei termini della capacità di diffondere e permanere in allevamento tramite soggetti PI, ma non mediante trasmissione secondaria. Tuttavia, la comparsa nei tardi anni '80 di una sindrome emorragica molto grave rimise in discussione le teorie affermatesi in precedenza. Infatti, da questa forma caratterizzata da una marcata trombocitopenia con febbre, diarrea sanguinolenta, epistassi ed emorragie petecchiali mucosali e che interessò animali in diverse fasce di età, fu possibile isolare un ceppo ncp di virus della BVD. Negli anni '90 si ebbero altri episodi di forme cliniche similari, anch'esse determinate da ceppi ncp. Questi 9 Sanità animale ceppi sono risultati genotipicamente differenti da quelli classici della diarrea virale bovina ed attualmente sono raggruppati sotto la denominazione di BVD II. qualora determinino la capacità del virus di esprimere la proteina NS3, che è un marker di patogenicità. Un medesimo individuo PI si troverà quindi ad albergare virus ncp e cp (si tratterà di una 'reinfezione endogena'), identici in tutto fuorchè per NS3 e quindi a presentare la sintomatologia riferibile alla MM. Esistono inoltre tutta una serie di possibili mutazioni coinvolgenti altre zone del genoma, nella fattispecie mutazioni che interessano la regione E2 che contiene una zona-iper variabile, che possono portare alla creazione di nuove 'quasispecie'. 'Quasispecie' è un termine utilizzato in analogia con quanto avviene nel virus dell'epatite C, dove le varie mutazioni possibili grazie al peculiare processo replicativo dei virus ad Rna, portano alla continua creazione di nuove quasispecie, che competono tra loro all'interno dell'ospite ed a seconda delle diverse pressioni ambientali esterne. Alla luce di queste scoperte, risulta evidente che, se la patogenicità del virus è strettamente legata ad una zona altamente variabile del genoma di BVDv, ci si può attendere la più svariata gamma di gravità dei sintomi dati da BVDv. Considerando poi i riscontri di ceppi ncp altamente patogeni quali quelli che determinano la forma emorragica, è ragionevole pensare che vi siano altri fattori di patogenicità da scoprire oltre alla proteina NS3, che potrebbero anch'essi essere espressi da zone altamente variabili del genoma. Eziologia Il virus della BVD-MM fa parte del genere Pestivirus, appartenente alla famiglia Flaviviridae insieme ai generi flavivirus ed epatiteC-like. I Pestivirus sono ad RNA monocatenario non segmentato a polarità positiva e sono provvisti di envelope. Esistono due genotipi distinti di BVDv: I e II. Il genoma del BVDv, lungo circa 12.5 Kb, consiste di una lunga sequenza ORF (open reading frame) affiancata da due regioni UTR ('untranslated', non codificanti). La regione 5'UTR è una zona molto conservata ed è in base ad essa che vengono distinti i genotipi I e II. Recentemente, sono state sequenziate altre zone altamente conservate esistenti sul genoma del BVDv, che hanno consentito di rilevare notevoli differenze tra i due ceppi e di identificare una serie di sottospecie classificate in due gruppi, facenti riferimento ai due ceppi principali. In realtà i due genotipi possono venire differenziati anche mediante l'impiego di anticorpi monoclonali. Con la tecnica PCR è possibile tipizzare il virus direttamente da campioni di sangue. La distinzione in cp e ncp e cioè in biotipi non è invece sovrapponibile alla distinzione in genotipi. Questi ultimi possono infatti presentarsi con entrambi i biotipi. La regione ORF del genoma virale viene tradotta in un unico polipeptide (450kDa) il quale viene successivamente sottoposto a clivaggio da parte di proteasi cellulari e virali, dando origine a proteine virali strutturali e non strutturali. Il genoma del virus della BVD è organizzato in maniera tale da presentare i geni codificanti le proteine strutturali, e cioè il capside e le tre glicoproteine costituenti l'envelope, al terminale 5' della sequenza ORF ed i geni codificanti le proteine non strutturali sui restanti due terzi dell'ORF. Nei ceppi non citopatici esistono sei proteine non strutturali sulla sequenza ORF; di esse è noto il coinvolgimento nel meccanismo di replicazione virale. Nei Pestivirus, in quanto virus non segmentati, è possibile riscontrare episodi di ricombinazione o di mutazione, che possono influenzare non solo l'aspetto fenotipico di un virus, ma anche alterarne le caratteristiche antigeniche, l'infettività, la velocità di replicazione e quindi la patogenicità. Una mutazione può presentarsi come una mutazione puntiforme o una delezione. Nei virus ad Rna le mutazioni puntiformi sono estremamente frequenti. Anche i fenomeni di ricombinazione sono stati ben documentati. Alcune mutazioni, al di là del meccanismo specifico tramite il quale lo consentono, possono causare la trasformazione di un ceppo ncp in un ceppo cp, Sanità animale Patogenesi Il virus penetra a livello delle mucose orale e nasale e dà origine ad una fase viremica della durata variabile tra i 3 e i 14 giorni all'interno dei linfociti B e T con grave leucopenia. Successivamente, esso raggiunge i propri organi bersaglio e cioè il tessuto linfoide di timo, milza e linfonodi e le cellule epiteliali di apparato digerente e respiratorio. Le forme emorragiche determinate dal genotipo II sono caratterizzate da intensa trombocitopenia, ma non è chiaro il meccanismo patogenetico diretto o indiretto che la induce. Quando l'infezione interessa una vacca in gestazione, essa evolve in maniera diversa a seconda del momento di infezione e del tipo di ceppo coinvolto: in genere nei primi 100 giorni per il 30% circa dei feti l'infezione si risolve in morte; i soggetti che sopravvivono, infettati tra il 120° ed il 150° giorno di gestazione, sono invece destinati ad essere soggetti viremici immunotolleranti, persistentemente infetti. L'infezione intrauterina può aversi anche in vacche immuno competenti sieropositive. Infatti, sebbene il contatto con BVDv sia in grado di stimolare la produzione di anticorpi, che forniscono protezione crociata nei confronti di ceppi eterologhi, tuttavia, a causa della facilità con la quale il virus della BVD attraversa la placenta e va in contro a modificazioni, il feto può 10 L’OSSERVATORIO rimanere suscettibile all'infezione nonostante l'immunità crociata. I soggetti PI sono individui con presenza costante del virus nel torrente circolatorio e che eliminano con continuità grandi quantità di virus tramite secreti ed escreti. Essi presentano una peculiare immuno tolleranza specifica nei confronti del virus della BVD. Questi vitelli PI sono immuno competenti per tutti gli altri virus, poiché l'immuno tolleranza specifica consegue al fatto che l'infezione avviene nel periodo dello sviluppo del sistema immunitario del feto, quando si attua il processo di riconoscimento del 'self' rispetto al 'non self'. La capacità di determinare la nascita di soggetti PI è ristretta esclusivamente ai ceppi non citopatici (ncp). I ceppi cp, infatti, anch'essi in grado di passare la barriera placentare, determinano, quasi sempre, aborto. Vitelli che si infettino successivamente, già immuno competenti, risulteranno siero positivi alla nascita, prima dell'assunzione del colostro. Feti infettati tra il 100° ed il 150° giorno possono anche manifestare episodi di teratogenesi come ipoplasia cerebrale e retinopatie. Se animali PI, che sopravvivono fino alla maturità sessuale, vengono impiegati per rimontare i riproduttori, i vitelli che nascono sono anch'essi persistentemente infetti. carico di mucose e cute. Di solito i casi di malattia delle mucose sono relativamente infrequenti. Il virus della BVD-MM può inoltre comparire in sindromi respiratorie dove abbia esercitato un'azione immuno depressiva facilitante l'ingresso di altri agenti eziologici quali BHV-1 o il virus respiratorio sinciziale. La velocità e l'intensità di diffusione del virus della BVD, qualora si presentino queste sindromi respiratorie, aumentano notevolmente grazie all'incremento di escrezione imputabile a scoli, tosse e starnuti. Infine, l'infezione può colpire i tori che presentano, non solo alte quantità di virus nel seme, ma anche diminuzioni di fertilità, che acuiscono i già noti problemi riproduttivi determinati da BVDv. Epidemiologia Sebbene i vitelli PI in genere rappresentino solo l'1% della popolazione bovina, essi sono considerati i principali responsabili del mantenimento e della diffusione del virus in allevamento poiché, come si è accennato in precedenza, essendo immuno-tolleranti al virus, sono costantemente viremici ed escretori continui di virus mediante secreti ed escreti. Supponiamo di seguire un allevamento indenne e che nessun animale PI (vivo o morto) vi venga introdotto; l'unica via di ingresso all'infezione risulta quella dell'esposizione, diretta o indiretta, di un soggetto nel primo terzo di gravidanza e suscettibile all'infezione. Questo animale, a seguito dell'infezione intrauterina, diviene portatore di un feto infetto. Sino al parto (o all'aborto), una volta esauritasi l'infezione transitoria della vacca, non si ha quindi più alcuna diffusione del virus nell'allevamento. Si ha, cioè, un periodo di 'latenza' dell'infezione, di circa sei mesi, sino al parto del soggetto PI, o più breve in caso di aborto, cui segue una fase di trasmissione orizzontale del virus agli altri individui dell'allevamento. L'efficienza di trasmissione agli altri animali dell'allevamento dipende, a questo punto, non solo dalla durata della sopravvivenza, e quindi della diffusione del virus, dei soggetti PI, ma soprattutto dalla possibilità di contatto, che a sua volta dipende dal tipo di stabulazione, con questi ultimi. Infatti, una considerazione importante ai fini della diffusione intra-allevamento riguarda la concentrazione degli animali in un unico ambiente confinato. E' stato riscontrato che, nei casi di animali allevati in un unico ambiente, un soggetto PI può infettare più del 90% degli altri bovini presenti in allevamento prima del raggiungimento dei 3-4 mesi di età. Al contrario, la trasmissione risulta assai rallentata quando i gruppi di animali sono allevati separatamente, ad esempio in edifici diversi. Se in tale allevamento si verifica compresenza dei PI con vacche gravide e suscettibili, il ciclo si perpetua ed eventualmente l'infezione si amplifica. In questo Sintomatologia Si è già accennato alla molteplicità di sintomi che il virus della BVD-MM può determinare; un range così ampio va in parte imputato alle peculiarità di un virus ad Rna suscettibile di mutazioni, ma anche alla ben nota interazione agente- ospite- ambiente. Le manifestazioni cliniche variano, infatti, in relazione allo stato immunitario ed all'età dell'animale, all'eventuale stato gravidico, alla dose infettante, alla possibile sovrapposizione di agenti eziologici di ingresso secondario, facilitati dalla leucopenia ed il loro esordio è strettamente legato alla situazione manageriale. In genere, l'infezione acuta è asintomatica o paucisintomatica con ipertermia, linfopenia, inappetenza, diarrea e calo della produzione lattea. Se l'animale infettato è gravido si possono avere morte embrionale, riassorbimento fetale, mummificazioni, malformazioni fetali, aborto, natimortalità, nascita di soggetti disvitali o di soggetti asintomatici persistentemente infetti. Le forme trombocitopeniche sono caratterizzate da diatesi emorragica e raggiungono una mortalità del 20%. La MM, invece, colpisce vitelli PI tra i 6 mesi e i 2 anni di età, insorgendo rapidamente e presentando decorso breve e fatale; talvolta però ha decorso cronico e dura anche alcuni mesi. Si manifesta con anoressia, dolore acuto addominale, diarrea profusa e deperimento, che si accompagnano alle caratteristiche lesioni erosive a L’OSSERVATORIO 11 Sanità animale modo, l'infezione, che assume un caratteristico andamento intermittente, si mantiene e diffonde all'interno dell'allevamento. Anche soggetti in fase acuta sono in grado di eliminare e diffondere il virus, ma in maniera decisamente meno efficiente in quanto limitata per intensità e durata (circa tre settimane a fronte della vita intera). I riscontri recenti di allevamenti infetti per periodi relativamente lunghi in assenza di individui PI, sono piuttosto da imputare all'incapacità di individuare questi ultimi quando siano abortiti, morti precocemente o commercializzati prima di raggiungere l'età minima per sottoporli al test oppure a re- introduzioni del virus in allevamento, non soltanto dall'esterno ma anche da altre unità dello stesso allevamento. Le esperienze di campo suggeriscono che, in genere, il virus cessa di circolare quando gli individui PI vengono eliminati e che individui con infezione transitoria rappresentano un fondo cieco. Le possibili situazioni riscontrabili in un'azienda nella quale non si effettua la vaccinazione, possono essere ricondotte a cinque fasi di infezione: fase A. allevamenti con infezione recente in assenza di animali PI; spesso, solo una piccola parte dell'allevamento è siero positiva; fase B. allevamenti infetti con animali PI di età inferiore ai 4 mesi di età. La maggior parte degli animali va incontro ad infezione acuta, che diffonde con velocità diversa a seconda della stabulazione degli animali; fase C. allevamenti infetti con animali PI di età superiore ai 4 mesi di età. Di norma più del 90% degli animali risulta siero positiva; fase D. allevamenti precedentemente infetti, nei quali gli animali PI sono stati rimossi di recente. Il gruppo degli animali giovani, di età compresa tra i 6 e gli 8 mesi, si presenta siero negativo a seguito dell'esaurimento della protezione anticorpale materna . Le vacche rimangono siero positive. fase E. allevamenti precedentemente infetti nei quali i soggetti PI sono stati rimossi un certo numero di anni prima. L'intero gruppo dei vitelli (fatta eccezione per gli animali, di età inferiore ai 6-8 mesi, che recano anticorpi colostrali), e un discreto numero di primipare risultano siero negativi. Alla fine l'allevamento può raggiungere una situazione di completa siero negatività. E' possibile esaminare un piccolo campione di vitelli per predire la presenza o assenza di animali persistentemente infetti, quando l'allevamento si trovi in condizioni di positività sierologica diffusa nel gruppo degli animali giovani o, al contrario, di completa siero negatività (come si ha nelle fasi C,D ed E). La medesima modalità non si rivela invece di grande aiuto in caso di allevamenti recentemente infetti o in presenza di animali PI di giovane età (fasi A Sanità animale e B). Tuttavia, in queste situazioni, è sufficiente ritestare gli animali a sei mesi di distanza per evitare di classificare allevamenti con soggetti PI come fossero negativi. La misurazione del livello anticorpale nel latte di cisterna fornisce, invece, un'indicazione della prevalenza delle vacche siero positive dell'allevamento. Questo test non è in grado di distinguere allevamenti in fase C e in fase D, mentre risulta di particolare utilità qualora si voglia effettuare una sorveglianza su allevamenti riconosciuti indenni o su allevamenti con basse siero positività, in assenza di soggetti PI e quindi impiegato nelle fasi tardive di un piano di eradicazione. Il virus può venire trasmesso anche per via iatrogena mediante aghi infetti. Episodicamente la trasmissione può inoltre avvenire mediante insetti ematofagi, quali vettori meccanici. Non è ancora chiaro se invece sia possibile la trasmissione mediante embryo-transfer; alcuni Autori sostengono, infatti, che l'infezione vada attribuita all'utilizzo di siero fetale bovino infetto nei terreni nutritivi, mentre altri riconoscono un'infezione dell'oocita. Un problema di contaminazione di materiale biologico analogo si può avere per le colture cellulari nel qual caso va poi considerata la possibilità che si verifichino mutazioni in assenza di selezione immunologica, con eventuali cambiamenti antigenici o fenotipici che possono influenzare la patogenesi di BVDv. Diviene pertanto essenziale un controllo di 12 L’OSSERVATORIO qualità di tale materiale biologico. E' ancora incerta invece la possibilità di trasmissione virale attraverso l'aria; alcuni Autori sostengono che sia possibile per pochi metri di distanza. Una tale possibilità giustificherebbe la incomprensibile, da un punto di vista limitato al contatto diretto ed indiretto, rapidità di diffusione del virus all'intero allevamento dopo la nascita di un soggetto PI. Il virus può essere infine albergato anche da suini, ovi-caprini e ruminanti selvatici come cammelli, cervi e bisonti. E' difficile però definire il ruolo epidemiologico di questi ospiti secondari ai fini del mantenimento del virus nella popolazione bovina. caratteristiche di antigenicità diverse, a causa delle mutazioni insorte sul genoma del virus originario nella regione E2. E' nei confronti di questo 'nuovo' virus che il sistema immunitario dell'animale produce gli anticorpi, che ne determinano la sieropositività come fosse un'infezione eterologa. Un altro problema, di cui non soffre la ricerca con rtPCR di Rna virale, è rappresentato dalla presenza degli anticorpi colostrali, che normalmente si esaurisce entro il sesto mese di vita, e che maschera la presenza di virus. Negli animali con infezione acuta, invece, l'isolamento del virus, possibile in fase viremica (da 4 a 8 settimane dopo l'infezione), è ostacolato dall'azione degli anticorpi neutralizzanti, che vanno a contrastare il virus circolante. Nel caso di animali con infezione acuta, pertanto, è più significativo il riscontro di siero conversione. In alternativa è sinonimo di infezione acuta il riscontro post-mortem di virus mediante isolamento o rt-Pcr a livello di vari organi quali milza, fegato, polmone, reni o linfonodi periferici. Nel caso di malattia delle mucose, la sede di elezione per l'isolamento in colture cellulari, è rappresentato da aree con lesioni del piccolo intestino e dalle placche del Peyer. Con l'isolamento e la rt-Pcr è possibile anche identificare il genotipo del virus, cosa che può essere utile per la valutazione della risposta vaccinale. Un problema della rt-Pcr è che l'elevata variabilità del virus rende particolarmente difficile identificare i primers adeguati ad amplificarne tutti i diversi ceppi. Nonostante sia consigliabile far uso di più set di primers, la regione 5'UTR, che è molto conservata, è quella più adatta a questi fini. Un vantaggio di questa metodica sta nel fornire informazioni epidemiologiche, patogenetiche ed antigeniche importanti. L'utilità della rt-PCR può essere sintetizzata nella possibilità di identificare soggetti persistentemente infetti quando il virus sia neutralizzato dalla presenza degli anticorpi materni, di rilevare la presenza di virus in campioni di sangue di animali con infezione acuta, così come di esaminare campioni biologici non utilizzabili su colture cellulari. Tra le altre cose, la rt-PCR consente di rilevare la presenza eventuale di contaminazioni in colture cellulari da utilizzare a scopo diagnostico o per la preparazione di vaccini. Diagnosi Prima di descrivere le varie metodiche disponibili ed attribuire un significato ai risultati che si possono ottenere, è necessario fare una premessa. Il valore predittivo del risultato di un test, che descrive la probabilità che gli animali che sono diagnosticati come positivi o negativi da un test, abbiano davvero o meno la malattia, non dipende unicamente dalla qualità del test, ma anche dalla sensibilità e dalla specificità del test e dalla prevalenza della malattia nella popolazione. Tests di nuova introduzione dovrebbero sempre essere valutati in confronto con i test di riferimento riconosciuti ('gold standard'). Per la BVD-MM i gold standards sono l'isolamento virale e la sieroneutralizzazione, metodiche che richiedono entrambe l'impiego di laboratori specializzati. Per questo motivo l'ELISA è un test che rappresenta una valida alternativa in termini di attuabilità e di costi. Isolamento virale e ricerca di Rna virale L'isolamento del virus ed il riscontro di Rna virale mediante rt-Pcr rappresentano dei test di notevole importanza ai fini dell'identificazione di una infezione da BVDv. Per il test ante-mortem è possibile effettuare la ricerca su buffy coat ottenuto da campioni di sangue. Questo tipo di indagine consente l'identificazione di soggetti PI o con infezione acuta. La discriminazione del biotipo è possibile solo mediante isolamento virale associato ad immuno fluorescenza o a colorazioni immuno enzimatiche. Va considerato che la presenza di un biotipo cp tende di solito a mascherare la compresenza del biotipo ncp. Quindi, il riscontro di un ceppo ncp in presenza di siero negatività, sarà indicativo di infezione persistente da BVDv, mentre quello di un ceppo cp in presenza di siero negatività identificherà un animale con MM. Tuttavia non è raro il caso di un animale PI siero positivo. Tale condizione si verifica quando l'animale già PI subisce l'infezione da parte di un virus antigenicamente diverso, frutto di mutazioni emerse in fase di replicazione del primo virus. In altre parole, si tratta semplicemente di un'infezione da parte di una quasispecie nuova con L’OSSERVATORIO Sierologia In genere, al fine di acquisire informazioni sullo stato sanitario dell'allevamento, si effettuano esami per la ricerca di anticorpi o di antigeni su campioni di sangue e, nel caso di allevamenti di bovine lattifere, di latte. Gli animali immuno competenti presentano anticorpi al BVDv da 3 settimane a diversi anni dopo l'infezione. Gli anticorpi possono essere distinti, in relazione al determinante antigenico verso il quale 13 Sanità animale vengono prodotti, in due gruppi funzionali: quelli indotti dalle glicoproteine virali (soprattutto verso E2 o gp53) e quelli prodotti contro la proteina NS3/2-3. I primi sono anticorpi in grado di bloccare l'infettività del virus o di neutralizzarlo e sono quindi fondamentali per la reattività dell'ospite. Inoltre sono in grado di dare protezione crociata nei confronti di altri ceppi virali, variando solo per intensità dei titoli. I secondi sono anticorpi precoci non neutralizzanti, importanti ai fini di una rapida identificazione dell'infezione. La metodica ELISA è una tecnica molto versatile, che può essere utilizzata per la ricerca di anticorpi o di antigeni ed impiegata come screening di massa su pool di sieri, di sangue o di latte. Offre il vantaggio di richiedere tempi tecnici di poche ore. La sua specificità è soggetta alla purezza ed al tipo di antigeni o di anticorpi impiegati. Sono disponibili sul mercato diversi kits ELISA, per l'identificazione di soggetti PI, che rilevano antigeni di BVDv nei leucociti del sangue periferico. L'ultima generazione di tests ELISA con cattura dell'antigene è in grado, invece, di rilevare antigeni di BVDv sia nel sangue sia in campioni di plasma o di siero. In generale, valori di sensibilità e specificità caratteristici di un'ELISA eccellente per BVDv possono essere rispettivamente del 97 e 99%, il che significa che il 3% dei soggetti PI presenti in una popolazione, in genere, non viene identificato. Pertanto, quando i test per la ricerca di anticorpi ed antigeni, applicati in combinazione, identificano un animale siero negativo non viremico contemporaneamente a 30 soggetti siero positivi e ad un soggetto siero negativo viremico, è lecito ritenere quel soggetto un potenziale candidato ad appartenere a quel 3% di animali PI non rilevati dal test. Infatti, un numero elevato di positività tra gli individui giovani indica che c'è stata una trasmissione del virus intraallevamento particolarmente efficiente, proprio come avviene in caso di presenza di un individuo PI. Il soggetto sospetto falso negativo, pertanto, andrebbe ritestato, preferibilmente mediante un'analisi in rtPCR o mediante isolamento in coltura cellulare. Tra gli altri tests sierologici, per la BVD sono stati impiegati l'immuno diffusione in gel di agar, la fissazione del complemento, l'immuno fluorescenza indiretta ed il western blotting. L'immuno diffusione in gel di agar identifica principalmente gli anticorpi verso la proteina NS2-3, ma possiede bassa sensibilità e pertanto risulta adeguata solo come test di screening. Il test di fissazione del complemento è utile nell'identificazione precoce degli animali che sieroconvertono. Il test di immuno fluorescenza indiretta è troppo dispendioso in termini di tempo se confrontato con un test ELISA. Il western blotting è invece simile ad alcune tecniche ELISA ed è in grado di fornire informazioni sulla specificità molecolare degli anticorpi. 1. Veterinario borsista Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale Lombardia c/o IZSLER Brescia Tabella 1. In tabella sono presentati i risultati che si possono ottenere a seguito della combinazione di test per la ricerca di anticorpi e di presenza virale in allevamenti non sottoposti a vaccinazione. (tratto da T. Sandvik / Veterinary Microbiology 64 (1999) 123-134 ) categoria anticorpi virus commenti a. animali non infetti, animali vergini --- --- b. animali con infezione acuta --- +/- c. animali immuni dopo infezione acuta + --- d. vitelli con immunità passive materna + --- e. animali PI --- + f. vitelli PI da vacche immuni + -/+ anticorpi riscontrabili per 4±10 settimane +/- anticorpi neutralizzanti +/++ --- titoli anticorpali elevati in tarda gravidanza + --- il seme può contenere virus g. casi di malattia delle mucose h. vacche gravide di feti PI i. tori immuni Sanità animale -/+ 14 titoli anticorpali contenuti di breve durata anticorpi rilevabili per 5±9 mesi L’OSSERVATORIO Comunicazione e formazione Workshop nazionale di Epidemiologia Veterinaria Il 9-10 giugno 2005, si terrà presso l’Istituto Superiore di Sanità a Roma il workshop su la formazione in epidemiologia applicata (PROFEA), priorità d’intervento e fonti di dati quali strumenti per la pianificazione in sanità pubblica veterinaria, organizzato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana, l’Istituto Superiore di Sanità/Profea, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Umbria e Marche. Il programma preliminare è il seguente: Giovedì 9 Giugno 2005 (ore 15.00- 18.00) - Priorità e nuove sfide della Sanità Pubblica Veterinaria - Valutazione delle priorità in Sanità Pubblica Veterinaria - Valutare per agire: ottimizzazione delle risorse e strategie d’intervento Venerdì 10 Giugno 2005 (ore 9.30-14.00) - L’informazione nella gestione della Sanità Pubblica Veterinaria - Le fonti d’informazione: sorveglianza e monitoraggio - Organizzazione e valutazione dei sistemi di sorveglianza - Sorveglianza delle zoonosi: la situazione attuale e l’esigenza d’integrazione medico-veterinaria Il workshop si propone di: 1. presentare le attività del Programma di Formazione in Epidemiologia Applicata – PROFEA, un programma che sviluppa l’epidemiologia “di campo”, e forma competenze in epidemiologia applicata e nella progettazione ed esecuzione di interventi in sanità pubblica e veterinaria. Le varie attività svolte durante il corso, in collaborazione con varie strutture del SSN, e con esperti nazionali ed internazionali, hanno riguardato valutazione di sistemi sanitari attivi a livello nazionale, acquisizione di informazioni in settori di rilievo della sanità, sviluppo di nuove iniziative di sanità pubblica e possono essere di interesse per esempi e discussioni. 2. fornire un aggiornamento sulla programmazione e sulla valutazione degli interventi in sanità pubblica veterinaria, attraverso la presentazione di metodi per la valutazione delle priorità e della sorveglianza e considerando gli aspetti socio-economici degli interventi in SPV e la collaborazione medico-veterinaria. Il workshop è rivolto a veterinari e biologi delle strutture del SSN (ISS, IZS, servizi veterinari di ASL e Regioni) e dell’Università, che operano nel campo della sorveglianza e della sanità pubblica veterinaria. Per ulteriori informazioni rivolgersi alla segreteria organizzativa (Susan Babsa, [email protected]; fax: 0649387077, indirizzo: Dipartimento di Sanità Alimentare e Animale, Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 299, 00161 Roma). Quarta Conferenza Internazionale su Mycobacterium bovis - Dublino, Irlanda, 22-26 agosto 2005 Nonostante i progressi in corso, l’infezione da Mycobacterium bovis rimane un pericolo significativo per la salute animale ed dell’uomo in molti paesi. Questa conferenza, arrivata alla quarta edizione a livello internazionale, si propone di agevolare la condivisione delle conoscenze e delle idee tra i ricercatori scientifici e le autorità che prendono le decisioni in politica sanitaria, con lo scopo di evidenziare i problemi ancora esistenti che contrastano il pieno controllo e l’eradicazione della tubercolosi negli allevamenti. I temi delle sessioni prevederanno: - prospettive internazionali; - l’attuale stato dell’arte e recenti sviluppi; - gli approcci al controllo della tubercolosi nel bestiame (prospettive a livello di azienda e nazionali) - gli approcci al controllo della tubercolosi da Mycobacterium bovis nei reservoirs selvatici - programmazione strategica per il futuro La conferenza si terrà nel Castello di Dublino e sarà organizzata dal Centro per l’Epidemiologia Veterinaria e l’Analisi del Rischio (CVERA) del College Universitario di Dublino, sotto l’egida del Dipartimento Irlandese dell’Agricoltura & Alimenti e del Dipartimento dell’Agricoltura & Sviluppo Rurale dell’Irlanda del Nord.. Il website ufficiale della conferenza, www.4icmb.org, è il riferimento per i futuri dettagli organizzativi. L’OSSERVATORIO 15 Sanità animale Notizie da Internet Queste notizie sono tratte dalla lista elettronica di epidemiologia ProMED-mail (Http//www.healthnet.org/programs/promed.htlm) L’influenza aviaria in Asia rimane una minaccia costante L’influenza aviaria ad alta patogenicità tipo A (H5N1) ha colpito il pollame allevato in 8 paesi dell’Asia (Cambogia, Cina, Indonesia, Giappone, Laos, Sud Corea, Tailandia e Viet Nam), nel periodo fine 2003 inizio 2004, con oltre 100 milioni di volatili tra morti per la malattia e abbattuti. Dal 30 dicembre 2003 al 17 marzo 2004, in Tailandia erano stati confermati 12 casi umani influenza aviaria tipo A (H5N1) e 23 in Viet Nam, per un totale di 23 morti. Dalla fine di febbraio 2003, comunque, il numero dei nuovi casi umani da H5 denunciati in Tailandia e Viet Nam era diminuito e per poi arrestarsi. Al tempo, non era stata trovata alcuna evidenza conclusiva circa la trasmissione dell’infezione da uomo a uomo. Alla fine di giugno del 2004, sono stati denunciati nuovi focolai letali da H5N1 tra il pollame allevato in diversi paesi dell’Asia: Cambogia, Cina, Indonesia, Malaysia (per la prima volta), Tailandia e Viet Nam. Non ci sono state recrudescenze di influenza aviaria in Corea del Sud e in Giappone, mentre non si conosce l’ammontare del numero di focolai da H5N1 negli altri paesi. L’aggiornamento dell’OIE circa i focolai di influenza aviaria tipo H5 in Asia, inclusi tutti i reports ricevuti dai paesi asiatici da dicembre 2003, è disponibile su http://oie.int/downld/AVIAN%20INFLUENZA/A_AI-Asia.htm La tabella, aggiornata al 28 gennaio, è accompagnata da un grafico che presenta il numero cumulativo di focolai notificati in ciascun paese: Cambogia - 13; Cina - 50; Hong Kong - 0 (infezione registrata solo negli uccelli selvatici); Indonesia - 169; Giappone - 5; Corea - 19; Laos - 1; Malaysia - 10; Tailandia – 1.051; Vietnam – 1.764. Ai nuovi focolai da H5N1 nei polli in Asia si sono succeduti sporadici rilievi di casi umani infetti con H5N1 in Viet Nam e Tailandia all’inizio di agosto 2004. Di particolare interesse è un caso di probabile trasmissione da uomo a uomo, occorso in Tailandia nel Settembre 2004. Nel periodo 28 gennaio 2004 – 17 febbraio 2005, l’OMS ha comunicato che si sono verificati 55 casi umani di influenza aviaria tipo A (H5N1) nell’Asia dell’est, 17 in Tailandia, 37 in Viet Nam e 1 in Cambogia, per un totale di 42 morti. Ulteriori informazioni sulle infezioni da H5N1 nell’uomo, sono accessibili per la consultazione nel sito web della Organizzazione Mondiale della Sanità (http://www.who.int/csr/disease/avian_influenza/country/en/). BSE in una capra in Francia L’evenienza del primo caso di BSE in una capra in Francia è stato confermato il 28 gennaio 2005 da una giuria di esperti scientifici di laboratori specializzati della UE, che include il laboratorio di referenza dell’OIE per la BSE, l’Agenzia dei Laboratori Veterinari a Weybridge nel Regno Unito. Le autorità veterinarie francesi hanno informato l’OIE nel novembre 2004 che l’animale dell’età di due anni e mezzo al tempo della sua macellazione nel 2002, faceva parte di un gregge di 600 capre di cui 300 adulti. A quel tempo, l’intero gregge fu abbattuto e le capre adulte controllate per scrapie con esito negativo; tutte le carcasse furono distrutte. L’isolato dalla capra infetta fu sottoposto a ulteriori test diagnostici tramite inoculazione di topi transgenici, test di referenza per distinguere la BSE dallo scrapie. La necessità di attendere diversi mesi per concludere la diagnosi spiega il ritardo nella conferma del caso.. Per capire meglio questo caso, l’OIE ha organizzato un meeting internazionale con esperti di BSE nel quartier generale di Parigi il 17-18 marzo 2005. In occasione del meeting sarà discussa la possibile esistenza di fenotipi di BSE, che includono quello delle capre e l’impatto potenziale della BSE nelle capre sulla salute pubblica, sebbene qualsiasi tipo di rischio per i consumatori sia al momento trascurabile, a causa della prevalenza estremamente bassa delle encefalopatie spongiformi nelle capre e delle misure di sanità pubblica in essere nella UE. Gli esperti discuteranno anche la possibilità di modificare gli standards internazionali su BSE e Scrapie alla luce della nuova situazione. Nella sessione generale dell’OIE nel maggio 2005, gli outcomes del meeting saranno discussi dai paesi membri dell’OIE. L’OSSERVATORIO