Le piante officinali e la farmaceutica Tra le risorse offerte dalla natura, una delle più importanti è senza dubbio quella delle piante officinali, ossia le piante utilizzate nelle officine farmaceutiche (sia che si tratti di piante aromatiche, utilizzate per profumi o per conferire ai preparati sapore gradevole sia che si tratti di piante medicinali vere e proprie). Ma come sono state scoperte le proprietà delle piante? E come si è evoluta la conoscenza delle loro capacità curativa? L’uomo si serve delle piante per curarsi fin dall’inizio della sua esistenza, così come fanno gli animali : probabilmente è proprio osservando questi che nella preistoria venne scoperto come alcune erbe potessero guarire alcuni malanni. Il potere guaritore di queste aveva un che di magico, o di divino, ed è così che medicina, religione e magia si intrecciarono nella storia dell’umanità: dai medici-sacerdoti egizi, che lasciarono nei papiri testimonianza delle loro conoscenze ( il più antico fino ad oggi scoperto è il papiro di Smith, che risale al 3000 a.C. e riporta la descrizione delle malattie e delle erbe medicamentose allora note, seguito dal papiro di Ebers, del 1500 a.C., che contiene più di 800 formule erboristiche basate sulla conoscenza di oltre 500 piante) , a quelli assiro-babilonesi, come testimoniano le tavolette di Ninive, a quelli greci e romani devoti al dio Asclepio o Esculapio. Fu proprio un greco, quell’Ippocrate considerato il padre della medicina, il primo a lasciare scritta una classificazione scientifica di piante medicinali, che comprende più di 200 specie vegetali, seguito poi da Dioscoride, che ne catalogò nel "De Materia medica" circa 600 e dallo studioso romano Plinio il Vecchio, che ne elencò ben mille. Anche nel Medioevo i medici utilizzavano fiori, radici, foglie e cortecce per produrre cataplasmi, tisane o unguenti medicamentosi e, nelle prime scuole mediche consideravano di grande importanza l’erboristeria e la conoscenza dei semplici, ovvero delle piante che potevano essere utilizzate singolarmente come cure per malanni di vario genere. È grazie all’opera dei monaci che la conoscenza delle erbe curative non andò persa durante il periodo delle invasioni barbariche, mentre la Scuola Salernitana (prima scuola di medicina in Europa) dette un notevole contributo al diffondersi di questa con l´opera Flos medicinae (Fiore della medicina), scritta in latino. L’idea di creare una farmacopea che avesse i requisiti dell’ufficialità nacque però a Firenze, dove nel 1498 fu pubblicato il “Nuovo Receptario Composto dal Famosissimo Chollegio degli Eximii Doctori della Arte ed Medicina della Inclita Cripta di Firenze” . in questo tempo per la prima volta sono infatti riportate non solo le virtù curative delle piante, ma anche come preparare da queste le droghe (cioè i medicinali), quando prescriverle e come somministrarle. La conoscenza delle erbe poteva però rivelarsi molto pericolosa, proprio per il persistere dell’intreccio fra medicina, religione e magia: tante di coloro che furono bruciate come streghe altro non erano che donne che sapevano curare con le erbe, cioè quelle che oggi chiameremmo guaritrici e l’unica vero pericolo che potevano far correre ai loro compaesani era quello di avvelenarli (intenzionalmente o meno) proprio servendosi delle erbe. Peraltro questo intreccio è ancora vivo oggi: basta pensare agli stregoni di quelle popolazioni che noi chiamano primitive, a come ancora oggi ci si rivolga a in caso di necessità a chi è in grado di segnare il fuoco di Sant’Antonio, o a quanti, affetti da mali che la medicina ufficiale non sa ancora curare, si affidano alle cure delle moderne “maghe”. Ed è sempre questo intrecciarsi di medicina e magia che ha reso “sospette” per lungo tempo le cure erboristiche, che dalla fine dell’Ottocento fino ad una trentina di anni fa, quando è iniziata una nuova inversione di tendenza, erano viste dalla gente comune come pozioni misteriose ed inefficaci. In realtà la scienza farmaceutica non ha mai abbandonato lo studio e l’utilizzo delle piante, poiché è da esse che si estraggono la maggior parte dei principi attivi utilizzati: basti pensare ad esempio che è l’agave a fornire la materia organica prima da cui si ottiene il cortisone. L’attuale rinascita di interesse per le cure naturali o semi-naturali ha fatto sì che nelle città e nei paesi si ridiffondessero le erboristerie e che nascessero nuove realtà volte alla coltivazione delle piante officinali, sia come integrazione alla tradizionale attività agricola che come unica attività (in questo caso, l’esempio più noto è Aboca, che semina, raccoglie e lavora le piante officinali in Valtiberina, ma esistono realtà simili anche nel grossetano e nel pisano). Molte piante officinali sono specie spontanee diffuse nei climi mediterranei, e questo non stupisce più di tanto dato che da sempre sono state utilizzate nella medicina popolare, oltre che in cucina e nell’industria dei profumi. 6.8.1 Le piante aromatiche e la fabbricazione dei profumi Le piante aromatiche sono quelle piante officinali contenenti sostanze di odore gradevole (o aromi) sotto forma di oli essenziali. Possono essere specie arboree, come l’alloro, il limone o l’eucalipto, arbustive, come la rosa o il ginepro, ma più spesso si tratta di piante erbacee come la camomilla, l’iris o la melissa. Gli oli essenziali, che le piante usano per vari scopi come attirare gli insetti impollinatori o respingere quelli dannosi, possono essere distribuiti in tutta la pianta o localizzati in determinati organi, come i semi (anice, vaniglia, ginepro, pepe, caffè, ecc.),i bulbi o radici (cipolla, aglio, iris ecc.), le foglie (tè, tabacco, ecc.) o perfino il legno (sandalo, canfora, ecc.). Sono sostanze volatili e non si sciolgono in acqua ( tendono anzi a galleggiare) ma sono solubili ad esempio in una crema neutra. Spesso gli oli contengono anche proprietà curative, oltre che aromatiche (così come piante con virtù curative possono avere proprietà aromatiche): ad esempio la canfora serve si a tenere lontane le tarme dai nostri armadi, ma anche, tramutata in pomata, per lenire i dolori articolari e muscolari. Già gli egiziani, gli assiri ed i babilonesi, che utilizzarono inizialmente i profumi soltanto per le cerimonie religiose, sapevano come ricavare le essenze facendo macerare erbe profumate in olio o a partire da resine grezze. (mirra,incenso etc.). Non utilizzavano però fiori. Con i Romani l’arte di produrre profumi si andò diffondendo in tutta Europa e raggiunse livelli altissimi: la città di Pompei fu uno dei centri più rinomati dell' "ars profumandi", fino alla sua distruzione ad opera del Vesuvio. Non era ancora diffuso in quei tempi però il processo di distillazione, forse già conosciuto 5000 anni fa nella valle dell'Indo, ma riscoperto e introdotto dagli arabi solo successivamente, per cui il profumo antico è caratterizzato da una base costituita da grasso animale e olio vegetale, dal quale deriva il nome latino di "unguentum". Gli ingredienti base dei profumi di 2000 anni fa erano rose, gigli, foglie di basilico e di mirto, ma anche gelsomino, lavanda, rosmarino etc. Le manifatture italiche dei profumi scompaiono quasi totalmente verso la fine del II sec. d.C., a vantaggio delle manifatture alessandrine delle coste della Palestina, della Fenicia e dell'Egitto: così al gelsomino, alla rosa, alla lavanda, al mirto, al timo, al garofano, alla violetta, al rosmarino, si aggiunsero l'ambra, il muschio, l'incenso, la cannella, e i legni odorosi come l'aloe e il sandalo che profumavano le moschee. L'importazione, lo studio e la coltivazione di specie orientali nella Spagna islamica, intorno all’anno mille, rappresentano la connessione con le coltivazioni e le estrazioni di piante aromatiche che poi si svilupperanno nel sud della Francia, determinando la nascita della profumeria europea. E fu in questo periodo che proprio un medico arabo, Avicenna, distillò il primo olio da un fiore: la rosa. La profumeria europea nasce nel Medioevo, quando con le crociate si importarono dall'Oriente materie prime e tecniche del profumo e gli alchimisti d'Europa scoprirono l'alcol etilico. La distillazione e la fabbricazione dei profumi si diffusero ben presto ovunque: va detto che inizialmente erano però usati a scopo medicamentoso, e non per ornamento personale. Si credeva infatti che i profumi avessero proprietà disinfettanti e proteggessero dalle epidemie. Durante il Rinascimento, segnato dalla riscoperta dell’Antichità greco-latina e dall’invenzione della stampa, un gran numero di opere tecniche in italiano ed in francese divulgano ricette di acque odorose per profumare le vesti, il corpo, le case, ma anche di profumi secchi per guanti e cinture, la cui moda, introdotta in Francia dall’Italia e dalla Spagna contribuì alla prosperità della concerie di Grasse e fece di questa città del sud della Francia uno dei più grandi centri per la fabbricazione di profumi d’Europa. Nel XVI secolo furono la diffusa carenza di igiene e pulizia personale che decretarono tra le classi della nobiltà d’Europa l’ uso smodato di profumi per nascondere la sporcizia e vincere i cattivi odori. Apparvero così le prime acque profumate quali l'Acqua d'Ungheria e, molto più tardi, l'Acqua di Colonia e nacquero le prime famose case di produzione di profumi, la cui fortuna era spesso legata all’abilità del solo proprietario. Dal Rinascimento alla prima metà del XIX° secolo, si ricorse alla profumeria secca per usi diversi: polveri per sacchetti, per il viso, per la parrucca, commercializzata alla rinfusa in grandi scatole dai decori raffinati. La profumeria ricevette un colpo funesto nel periodo appena successivo alla Rivoluzione francese, poiché si desiderava spazzare via tutto ciò che ricordava la Corte di Luigi XVI, ma tornò rapidamente in auge durante il periodo napoleonico. I profumi di oggi provengono da questa lunga tradizione, ma la scoperta dei prodotti di sintesi, alla fine del secolo scorso, ha cambiato in modo considerevole sia il modo di elaborare il profumo, sia quello di percepirlo. Non muta però la sostanza di partenza dei profumi più pregiati: si tratta sempre di un olio essenziale. Le piante officinali in Toscana Di seguito si riporta una breve descrizione delle piante officinali spontanee più conosciute, richiamandone l’origine e citandone le proprietà terapeutiche e aromatiche. L’iris fiorentina o giaggiolo Il nome giaggiolo nasce nel xv secolo.per indicare l'Iris florentinias, e deriva dal termine ghiaggiuolo o ghiacciolo: probabilmente è dovuto ala forma del bocciolo di questa pianta da fiore, che ricorda appunto un ghiacciolo anche nel colore. E' una pianta erbacea, che in Toscana cresce spontanea un po’ in tutte le aree collinari, in terreni poveri di acqua,sassosi e molto declivi,quasi sempre ai margini dei campi, con belle foglie lunghe e spesse della stessa tonalità della salvia, il fiore grande è di un colore incerto fra il viola chiaro e il celeste, il profumo è intenso e un po' acre. Nella fabbricazione dei profumi si usano i rizomi (cioè le radici) di questa pianta, che vengono raccolti da giugno a settembre, privati della corteccia (operazione che ancora oggi va eseguita manualmente), seccati per un anno intero - in passato tre anni- e triturati prima della distillazione al vapore. Il procedimento d'estrazione è lungo e complicato ed ha un rendimento mediocre:questo spiega il prezzo elevato dell’essenza ed il fatto che si usi soltanto per i profumi più ricercati. Il profumo che si ottiene è molto simile a quello della mammola. La coltivazione per scopi commerciali di questa pianta, che iniziò in maniera sistematica a metà dell'Ottocento (era infatti già praticata come coltura marginale sui balzi e sulle prode dei campi dalle massaie delle famiglie contadine, che utilizzano i soldi ricavati dalla vendita dei rizomi per integrare lo spesso misero bilancio famigliare e far la dote alle figlie) e raggiunse presto notevoli quantitativi di produzione grazie alla costante e consistente domanda da parte di aziende francesi e del nord Europa, si diffuse soprattutto nel Chianti e nell’Alto Valdarno per poi ridursi drasticamente a metà del ‘900 a causa della concorrenza di prodotti di sintesi, che svolgono la stessa funzione (o quasi) a costi notevolmente inferiori, ed al crescente diffondersi dalle meno faticose e sempre più redditizie coltivazioni di olivi e di vigneti. Rimangono a ricordo di questa tradizione solo alcuni ettari di giaggiolo coltivati ai margini dei terrazzamenti delle colline del Pratomagno e del Chianti, e la Festa del giaggiolo, che si svolge ogni anno a San Polo in Chianti in ricordo di questa importante voce dell'economia Toscana. Rosmarino (Rosmarinus officinalis) : pianta arbustiva sempreverde tipica delle aree a clima mediterraneo. Si trova spesso insieme ad altri piccoli arbusti quali il timo (Thymus capitatus), l'Erica (Erica multiflora ) e i Cisti (Cistus salvifolius, Cistus incanus, Cistus monspeliensis, Cistus creticus). Il nome Rosmarino deriva dal latino “ros”, rugiada e “marinus”, mare, perché cresceva e cresce tuttora spontaneo lungo coste. In Toscana è distribuito, quindi, un po’ ovunque lungo la fascia costiera. Forma, con le specie cui è consociato, le cosiddette garighe: comunità vegetali naturali e seminaturali composte da piante erbacee annuali, arbusti nani e cespugli sempreverdi, che occupano aree degradate a causa del passaggio di incendi o di pascolo intenso. Il Rosmarino ha una ricca tradizione medica. Già gli egiziani lo utilizzavano per curare i disturbi di stomaco come congestioni e vomito; i romani usavano bruciare dei rametti di questa specie nelle tombe perché assicurava ai morti una serena permanenza nell'aldilà; nel Medioevo veniva piantato in tutti i giardini, soprattutto in quelli dei conventi dove si coltivavano i semplici. Secondo una leggenda i fiori del rosmarino una volta erano bianchi. Divennero azzurri quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su una pianta di rosmarino (Enciclopedia delle piante). A proposito del Rosmarino, Giovanvettorio Soderini (1814) ha scritto “…pianta di terre calde o temperate…” , doveva essere , secondo lui, riparata dai venti ed esposta a “solatio”. Rigoglioso lungo “le coste e rive del mare”, il rosmarino rifuggiva i luoghi ombrosi ed umidi. I suoi fiori erano ritenuti da Soderini come “cordiali massimamente conditi con zucchero in conserva “ e colti e puliti “e in insalata mangiati” confortavano lo stomaco e rendevano “al fiato buon odore” Origano (Origanum vulgare): pianta arbustiva aromatica tipica delle regioni a clima mediterraneo, teme l’umidità e le basse temperature . In Toscana è distribuito lungo la fascia costiera e caratterizza scarpate asciutte e assolate. Lo si può trovare, allo stato spontaneo, anche in montagna, il suo nome deriva infatti dall’unione di due parole greche: “oros”, monte e “ganos”, splendore, “splendore della montagna”. L'origano ha proprietà medicinali utilizzate fin dall’antichità, specialmente nella vita dei “semplicisti”. Le sue proprietà risiedono nella cura di disturbi digestivi, nel fluidificare le secrezioni bronchiali, antisettico delle vie respiratorie, antispasmodico, sedativo, antitossico, antivirale, ecc. Il suo uso è continuato, nei secoli, soprattutto nelle regioni dell’Italia meridionale. Salvia (Salvia officinalis) : è una pianta erbacea dai rami legnosi che cresce in cespugli. E’ spontanea nelle regioni a clima mediterraneo, resiste alla siccità e privilegia i luoghi soleggiati. In Toscana è spontanea lungo tutta la fascia costiera. Il suo nome deriva dal latino ”salvus”, sano. Per i romani era una pianta sacra e veniva raccolta da persone designate che dovevano indossare una tunica bianca e stare a piedi nudi. La raccolta inoltre doveva avvenire dopo aver offerto agli Dei pane e vino e senza l’utilizzo di utensili di ferro perché era un metallo incompatibile con la pianta. Veniva usata sia per curare le malattie della psiche, sia per irritazioni e infiammazioni delle gengive e della bocca. Timo (Thymus vulgaris): è una piccola pianta aromatica perenne con un fusto molto ramoso. E’ tipica anch’essa della zona mediterranea, presente sulle colline aride molto soleggiate. Nella fascia sub-montana, a causa della rigidità del clima, è annuale e non presenta rametti legnosi, raggiungendo anche i 2.000 metri, nei pascoli montani.In Toscana cresce spontanea e abbondante lungo i litorali e le coste del mare ma anche in collina e in montagna. I suoi poteri terapeutici furono scoperti dai monaci che ne apprezzarono le funzioni antisettiche utili per disinfettare sia l'apparato respiratorio che l'intestino. Soderini scriveva di due varietà: “il nostrale e quel di Levante, maggiore quest’ultimo d’acutezza e d’odor e di sapore al gusto più pungitivo e sappiente”. “Vantaggiosissimo mêle” veniva alle api da questa minuta pianta la cui attenta osservazione da parte dell’apicoltore avrebbe fatto intuire a questi se la raccolta del prezioso prodotto sarebbe stata più o meno abbondante. Infatti, se i fiori di timo sfiorivano presto (causa spesso delle piogge), significava sicuramente una scarsità di miele; se invece la fioritura perdurava a lungo, c’era la speranza di ottenerne molto ed ottimo. Pianta amante dei terreni secchi ed asciutti, trovava largo utilizzo in cucina nelle salse, “ponendone poco” però, avvertiva Soderini, e nei cibi in genere che “si bramavano acuti”. Stessa cosa scriveva, qualche secolo dopo, Antonio Targioni Tozzetti: “serve in cucina all’effetto di aromatizzare certi cibi” e ne annunciava l’odore forte, grato ed il sapore “aromatico caldo” . Menta (Mentha sp.) : piante erbacee perenni, originarie del bacino mediterraneo. La presenza di molte varietà di menta è dovuta alla facilità di ibridazione spontanea. Riducendole in due grandi gruppi si hanno: ¾ Mente a spiga: presenti dal livello del mare fino a 1800 metri. ¾ Mente nane: presenti soprattutto nelle pianure, anche fino a 1000 metri Tipica della flora italiana, si può trovare nelle zone boschive e nei prati freschi ed umidi. Se si strofinano le sue foglie si disperde un forte odore che si avvicina a quello del limone, caratteristica dovuta alla presenza di un olio essenziale il cui aroma ricorda, appunto, quello del limone. In alcune regioni, come la Toscana, viene infatti chiamata “erba limone”. Ha proprietà antisettiche, decongestionanti e deodoranti. (Guido Bernardi, 1980) Sempre in Toscana, nel Medioevo, si riteneva che le foglie fritte di menta selvatica, se date ad una donna incinta, preservassero il neonato dalle fratture. Soderini scriveva: la “salvatica è troppo sappiente ed acuta, la domestica è delicata e gentile”. Così egli parlava del sapore della menta, pianta odorosa che nasceva in campagna la prima, negli orti la seconda. Risalendo ai tempi antichi, citava Aristotele e la ricerca da questi compiuta sul senso di un proverbio che interdiva sia di piantare, sia di mangiare menta in tempo di guerra. A tal proposito il filosofo greco era giunto alla conclusione che il senso del proverbio stava nel fatto che questa pianta debilitava i corpi “consumando il seme genitale, ove consiste la fortezza e la gagliardia”.