M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 63 Dissanguare l’economia americana: il sogno di Bin Laden diventa realtà La lotta ai simboli: distruggere le icone del capitalismo occidentale Bastano pochi istanti per decapitare un ostaggio. Un taglio netto e una vita umana finisce. Si tratta di una procedura veloce e incredibilmente pulita, che i boia jihadisti conducono con il sangue freddo di veri professionisti della morte. La decapitazione con il coltello non è un fenomeno nuovo; negli anni Ottanta, durante la jihad antisovietica in Afghanistan, i mujaheddin perfezionano questa tecnica giustiziando centinaia di soldati sovietici. Negli anni Novanta viene esportata nel Kashmir, nell’Asia centrale, in Cecenia e nei Balcani – dovunque si combatte la jihad. Video dei boia jihadisti che tagliano la testa ai loro nemici con coltelli affilati circolano liberamente nel sottobosco del terrorismo islamico; fino al 2003 se ne potevano acquistare alcune copie fuori della moschea di Finsbury Park, a nord di Londra. Questi filmati sono strumenti potentissimi di propaganda perché carichi di simbolismo. Il rito del taglio della testa è simile a quello della zi- M2_02_La morsa.qxd 64 17-03-2009 12:15 Pagina 64 La morsa bah, la tecnica di macellazione della carne halal, imposta dalla religione musulmana. Si sgozza l’animale quando è ancora vivo perché mangiare cadaveri è un atto impuro e proibito: haram, l’opposto di halal. La morte è veloce e indolore. La carcassa dell’animale viene poi appesa per farne fuoriuscire tutto il sangue, anche questo considerato haram. Dissanguare l’animale è dunque un atto di purificazione. La zibah, un rito antico, ripetuto costantemente nelle macellerie musulmane, è dunque la chiave di lettura allegorica del modo barbaro in cui vengono uccisi i nemici della jihad e al tempo stesso simboleggia l’obiettivo economico dell’11 settembre: dissanguare l’economia americana fino alla bancarotta. Nel 1998 al Qaeda inizia a prendere di mira gli interessi statunitensi in Medio Oriente e da allora, a livello macroeconomico, prende piede un rituale simile alla decapitazione degli ostaggi. Il terrorismo islamico di Bin Laden vuole annientare l’epicentro del capitalismo occidentale, vale a dire l’economia statunitense, per privarlo della ricchezza che lo tiene in vita. L’atto di «dissanguare l’America fino alla bancarotta», un’immagine ricorrente nei discorsi di Bin Laden, non è solo un momento distruttivo, mira anche a purificare i nemici dell’Islam, e cioè le corrotte élite oligarchiche che governano gran parte del mondo musulmano. Senza l’appoggio americano queste élite non avrebbero i muscoli per contrastare l’insurrezione islamica che vuole rovesciarle. Nell’immaginario collettivo jihadista, dissanguare l’economia americana fino alla bancarotta è dunque una tattica importante della guerra di liberazione economica M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 65 Dissanguare l’economia americana... 65 che, come le crociate, potrebbe coinvolgere più di una generazione. Questo in qualche misura è il prologo ideale e il progetto economico dell’11 settembre. Naturalmente, si tratta solo di retorica ed elaborazioni fantastiche; Bin Laden e la sua organizzazione non sono certo in grado di fiaccare l’economia statunitense. Paradossalmente, però, dopo l’11 settembre, questi sogni iniziano a prendere forma proprio perché ingenuamente l’America cade nella trappola ideologica tesagli dal saudita. Dopo la tragedia delle Torri gemelle costruisce essa stessa la retorica che ingigantisce il potere di al Qaeda. Con tenacia e determinazione, la propaganda americana dipinge l’avversario come un nemico vero, temibile, di grandi proporzioni e con ramificazioni un po’ dovunque, anche e soprattutto in Iraq. Nel settembre 2001 pochi sanno che tutto questo non ha alcun riscontro nella realtà. Fino a quel momento, infatti, al Qaeda è pressoché sconosciuta nel mondo musulmano. E, soprattutto, l’Iraq di Saddam Hussein non ha nessun tipo di legame con Bin Laden. Saddam, come s’è visto, teme i fondamentalisti islamici, li considera un pericoloso elemento d’instabilità e li tiene ben alla larga dal suo Paese. Ma non basta; nel giro di pochi mesi, al Qaeda viene pesantemente indebolita dagli attacchi delle forze di coalizione e degli americani stessi, dall’invasione dell’Afghanistan e dalla caduta dei talebani. La conferma ufficiale che Bin Laden ha come obiettivo la distruzione dell’economia americana, comunque, arriva nell’agosto 2004. L’Fbi scopre che prima dell’11 settembre al Qaeda si è procurata diversi filmati di ricognizione di potenziali bersagli economici negli Stati M2_02_La morsa.qxd 66 17-03-2009 12:15 Pagina 66 La morsa Uniti; tra questi ci sono la borsa di New York, la Banca Mondiale e il Fondo monetario. Sono le icone del capitalismo occidentale. L’11 settembre è dunque anche e soprattutto il tentativo di decapitare fisicamente l’economia statunitense: un colpo inflitto con professionalità e trasmesso in diretta sugli schermi del mondo intero. Il prologo della crisi attuale A livello macroeconomico l’impatto è quasi immediato. La chiusura dei mercati blocca repentinamente i flussi di capitale negli Stati Uniti. Nell’impossibilità di liquidare le loro posizioni, investitori statunitensi ed esteri subiscono consistenti perdite. I sauditi vedono scomparire 24 miliardi di dollari. Quando si scopre che quindici dirottatori su diciannove provengono dal loro Paese, molti si affrettano a rimpatriare i propri fondi nel timore che alle perdite già subite si aggiungano rappresaglie di natura personale, economica e legale. Nei due mesi successivi all’attacco fuoriescono ben 200 miliardi di dollari, circa un quarto della somma complessiva degli investimenti sauditi in America. Un anno dopo, quasi 700 miliardi di dollari hanno preso il volo verso Oriente; gran parte apparteneva a mediorientali che hanno seguito l’esempio dei sauditi. L’effetto più consistente dell’attacco arriva però a novembre 2001, quando il dollaro inizia a svalutarsi e la crescita economica statunitense rallenta. Se nel breve periodo la reazione alla guerra contro il terrorismo di Bush è positiva, e quindi il dollaro si rafforza, la risposta dei mercati nel medio e lungo termine è assolutamente ne- M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 67 Dissanguare l’economia americana... 67 gativa. Nel prossimo capitolo analizzeremo come la fuga dei grandi investitori dal dollaro sia legata anche all’introduzione del Patriot Act che, come abbiamo già visto, è una legislazione d’emergenza che impone il monitoraggio di tutte le transazioni in dollari. Ma per il momento limitiamoci a registrare il fatto che prima della fine del 2001 le piazze Affari del villaggio globale danno tutte segni di nervosismo nei confronti della politica aggressiva di Bush, non si fidano delle scelte dell’amministrazione e guardano all’Europa. L’euro, la moneta unica adottata dall’Unione europea, offre un’alternativa solida e concreta al dollaro come non era mai accaduto prima. La sfiducia nella valuta americana pone fine a un decennio di crescita economica eccezionale (5,8 per cento annuo) alimentata da un flusso continuo di capitali. Già all’inizio del 2002 l’economia americana perde colpi, o volendo usare la terminologia tanto cara a Bin Laden «inizia a dissanguarsi». Illustri economisti individuano la ragione scatenante di questo processo proprio nella guerra contro il terrorismo del presidente americano. Tra questi c’è Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, che attribuisce l’impoverimento della nazione proprio a questo conflitto. E in effetti, i dati sembrano proprio confermare tale ipotesi. Dopo l’11 settembre precipitano sia i consumi che la crescita economica nel Paese (nel 2003 il Pil scende al 3,5 per cento) e di conseguenza sale il tasso di disoccupazione. Nel corso del primo mandato di Bush più di un milione di persone perde il lavoro. Negli Stati Uniti non accadeva niente di simile dai tempi della Grande depressione. Si tratta di cifre enormi, anche se a distanza di M2_02_La morsa.qxd 68 17-03-2009 12:15 Pagina 68 La morsa qualche anno ci sembra poca cosa di fronte alla catastrofica disoccupazione creata dalla crisi del credito. E infatti tra novembre e dicembre 2008, gli ultimi due mesi del secondo mandato Bush, un altro milione di americani si è ritrovato disoccupato. Nei primi anni 2000, comunque, il rallentamento della crescita economica produce una drastica riduzione delle indennità salariali. Pur di conservare il loro posto, i lavoratori accettano i tagli, cosicché nel 2003 il reddito familiare reale diminuisce nel complesso di 1500 dollari. A intaccare ulteriormente il potere d’acquisto della nazione interviene l’impennata del prezzo del petrolio che dai 18 dollari al barile del 2001 passa ai 40 nel 2004. Secondo uno studio di Merrill Lynch, ogni aumento dell’1 per cento alle pompe corrisponde a una perdita di un miliardo di dollari per l’economia. Se accettiamo questa stima abbiamo rapidamente la proporzione di quello che in pochi anni accade all’economia statunitense. Dall’11 settembre 2001 alla fine del 2004 il costo del carburante passa da poco meno di un dollaro a due dollari al gallone; tradotto in potere d’acquisto circa 100 miliardi di dollari scompaiono dalle tasche degli americani. È il prologo della crisi del credito, ma nessuno sembra disposto ad accorgersene. Né la popolazione né Wall Street sono coscienti dell’impatto che la guerra contro il terrorismo ha sull’economia americana perché il guru della Federal Reserve, Alan Greenspan, lo neutralizza tagliando vigorosamente i tassi d’interesse. Il credito facile diventa uno stimolo possente per neutralizzare le regole dell’economia. Di fronte alla caduta dei salari e al caro prezzi la domanda dovrebbe contrarsi e invece succede esattamente il contrario. La M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 69 Dissanguare l’economia americana... 69 gente viene incitata a indebitarsi e lo fa furiosamente; le istituzioni pubbliche e private seguono l’esempio. Così s’innesca quella spirale perversa che porterà, nel 2008, allo scoppio di una delle crisi del credito più grandi della storia. Con pochissime varianti, il fenomeno prende piede in tutto l’Occidente, l’andamento delle economie europee segue quello dell’economia guida: gli Stati Uniti. Nel frattempo anche l’indebitamento dello Stato cresce, ma nessuno ci fa caso perché il debito pubblico americano viene finanziato sul mercato internazionale. Cina e Giappone, i colossi asiatici, ne diventano i maggiori acquirenti. L’economia terroristica Dal 2001 a oggi la classe politica ha cercato di farci credere che la guerra contro il terrorismo è il prezzo che bisogna pagare per distruggere una volta per tutte questo fenomeno. E anche se Barack Obama sembra intenzionato a rifiutare questo mantra e a tendere la mano al mondo musulmano, egli dovrà necessariamente fare i conti con le conseguenze disastrose di queste menzogne. Non è infatti possibile voltare pagina da un giorno all’altro. Dall’11 settembre a oggi l’economia del terrorismo ha continuato a crescere perché i gruppi eversivi hanno sfruttato sapientemente i vantaggi della deflazione e noi non siamo stati capaci di impedirlo. Anche il bombardamento dei media, che ha sostenuto la propaganda dei neoconservatori riguardo ai poteri di al Qaeda, si è rivelato vantaggioso. Naturalmente, il cittadino comune è all’oscuro di questi sviluppi. Per comprenderli è necessa- M2_02_La morsa.qxd 70 17-03-2009 12:15 Pagina 70 La morsa rio rivisitare brevemente le tappe salienti del sistema economico che poggia sulla violenza. La fine della guerra fredda permette al capitalismo occidentale di spiegare le sue potenti ali su tutto il pianeta. Negli anni Novanta, la deregulation abbatte le barriere economiche tra i mercati finanziari internazionali; capitale, merci e forza economica iniziano a circolare liberamente. Anche le organizzazioni armate approfittano della deregulation e stabiliscono contatti: e fare affari per loro diventa sempre più facile. La deregulation facilita anche l’osmosi tra la nuova economia del terrore e l’antica e consolidata economia illegale e criminale. Nasce così un sistema economico su scala internazionale che ha un fatturato di 1500 miliardi di dollari, una cifra superiore al Pil del Regno Unito, le cui componenti sono: le fughe di capitali, circa 500 miliardi di dollari che si spostano clandestinamente da un Paese all’altro senza che nessuno sembri notarlo e tantomeno denunciarlo; altri 500 miliardi di dollari che corrispondono al cosiddetto prodotto criminale lordo, soldi generati dal crimine organizzato; 500 miliardi di dollari pari all’ammontare della nuova economia del terrore, denaro prodotto dalle organizzazioni terroristiche vere e proprie. Da dove vengono i fondi alla base dell’economia del terrore? Un terzo proviene da attività lecite che vanno dalle donazioni ai salari dei membri delle organizzazioni armate. I restanti due terzi derivano da attività criminali e illegali, e come al solito la più rilevante fonte di entrate è il traffico di stupefacenti. Prima dell’11 settembre, è bene specificare, le finanze di al Qaeda sono una frazione M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 71 Dissanguare l’economia americana... 71 del fatturato annuo del terrorismo, l’organizzazione è infatti piccola rispetto a gruppi armati come l’Ira e l’Olp che hanno sviluppato un’economia fiorente nei territori da loro controllati, dando vita agli stati-guscio. Lo stato-guscio può essere definito uno stato embrionale, un proto-stato, perché possiede l’infrastruttura economica della nazione ma non il nucleo politico, non gli viene riconosciuto il diritto di autodeterminazione. È questo il caso dell’Olp e del popolo palestinese in Libano negli anni Settanta. Gli stati-guscio fioriscono nelle zone di guerra e dove c’è instabilità politica: dopo l’11 settembre l’Afghanistan e l’Iraq diventano luoghi ideali. Questi stati possono essere piccoli quanto il quartiere di una città. Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, Sadr City, un sobborgo degradato di Baghdad, si trasforma in uno statoguscio controllato dalle milizie sciite. Gli stati-guscio fioriscono anche nelle zone dove è assente l’autorità centrale. In questo senso l’esempio migliore è la regione tribale pakistana, in Waziristan, dove – non a caso – dal 2001 risiede Bin Laden e i talebani trovano appoggio e protezione. E come conseguenza, anche il distretto di Quetta, in Pakistan, controllato proprio da questi leader, si trasforma in uno stato-guscio. Il processo di formazione degli stati-guscio è presto detto. I gruppi armati s’impossessano del territorio con la forza, distruggono l’infrastruttura socio-economica preesistente e la sostituiscono con la propria. La popolazione si trova praticamente in trappola e deve sottostare alle logiche dei nuovi arrivati per sopravvivere. A Sadr City le milizie sciite pattugliano le strade e conducono operazioni di pulizia etnica – sono i responsabili degli M2_02_La morsa.qxd 72 17-03-2009 12:15 Pagina 72 La morsa attacchi alle famiglie sunnite che non si sono ancora decise a traslocare – gestiscono anche gli ospedali e le scuole. Di fatto governano l’intero territorio. Lo scopo dei miliziani è ridurre la popolazione alla dipendenza economica e sociale dall’economia di guerra e così facendo costringerla a diventarne parte integrante. In tal modo la popolazione di Sadr City si trova ad assecondare l’azione delle squadre di Moqtada al Sadr perché sono i miliziani stessi a garantire il funzionamento degli ospedali e il sussidio ai più bisognosi, esattamente come avevano fatto a suo tempo gli Hezbollah con le popolazioni del sud del Libano. Dall’11 settembre in poi gli stati-guscio si moltiplicano all’interno del mondo musulmano. La guerra contro il terrorismo destabilizza progressivamente una serie di aree chiave: dall’Iraq all’Indonesia, dal Corno d’Africa al Pakistan incluso il Medio Oriente. Naturalmente il proliferare dei nuovi gruppi armati assetati di potere implica un considerevole aumento dello sforzo militare da parte delle forze di coalizione, degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite. Si aprono molti fronti. E ancora una volta questo sforzo si traduce in una maggiore spesa pubblica e nell’impennata del debito pubblico degli stati protagonisti della guerra. Mentre la war on terror viene venduta come la virtuosa esportazione dei princìpi della democrazia in chiave occidentale, i suoi effetti reali sono disastrosi. Accanto al numero impressionante di morti civili, nel mondo musulmano troviamo l’accresciuta instabilità di alcune zone del pianeta e l’aumento sostanziale dei deficit di bilancio dei paesi occidentali. Ancora più scoraggianti sono i risultati della lotta con- M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 73 Dissanguare l’economia americana... 73 tro i finanziamenti al terrorismo. È questo infatti l’aspetto più dinamico dell’attività terroristica, quello che trae il massimo vantaggio dalla globalizzazione e che fino a oggi ha dimostrato una straordinaria capacità di adattamento alle legislazioni antiterroristiche, mutando di continuo e restando in tal modo relativamente immune alle misure adottate proprio per ostacolarne la crescita. Il miglior esempio di questo dinamismo si riscontra, non a caso, ancora una volta in Iraq e in Afghanistan. Un rapporto commissionato dal governo americano e pubblicato nel giugno 2006 dimostra che in quel momento l’insurrezione irachena era ormai riuscita a diventare autosufficiente. Bisogna tenere presente che l’espressione «insurrezione irachena» include le milizie e gli eserciti privati sciiti, i gruppi armati sunniti e i jihadisti di al Qaeda in Iraq. All’inizio del conflitto queste organizzazioni erano finanziate dall’Iran, dall’Arabia Saudita, dagli esuli iracheni, da simpatizzanti e fautori della causa jihadista e dal denaro proveniente dai forzieri di Saddam Hussein. Ciò che sconvolge è che, secondo il rapporto, nel giro di soli tre anni questa nebulosa è riuscita a produrre tra i 70 e i 200 milioni di dollari l’anno, una cifra superiore al costo dell’insurrezione. Per paradossale che possa sembrare, è proprio dalle attività della guerriglia irachena che scaturisce nuovo denaro che può essere impiegato per finanziare l’attività eversiva oltre confine. E infatti molti ritengono che una parte dei fondi impiegati da al Qaeda e dai talebani per lanciare nel 2006 la campagna di primavera in Afghanistan provenisse proprio dall’Iraq. È possibile. Ci sono conferme che nel 2005 Al Zawahiri, luogotenente di M2_02_La morsa.qxd 74 17-03-2009 12:15 Pagina 74 La morsa Osama bin Laden, chiese ad Al Zarqawi, leader di al Qaeda in Iraq, di inviare denaro in Afghanistan, ma da allora non ci sono state altre richieste. Come ha fatto l’insurrezione irachena a conquistare l’autosufficienza economica? La risposta è semplice: sfruttando l’economia di guerra all’interno di un mercato globalizzato, e cioè la proliferazione degli stati-guscio. Secondo il rapporto statunitense, le fonti di reddito principali sono tre: furto di petrolio importato, sequestri e contrabbando d’armi. Dal 2004 al 2006 l’Iraq importa tra i 4 e i 5 miliardi di dollari di petrolio l’anno, circa il 30 per cento viene rubato e rivenduto sul mercato nero interno ed estero dai gruppi eversivi e dalle bande criminali. Il rapporto parla poi di un vero e proprio boom nell’industria dei rapimenti. La maggior parte delle vittime è irachena anche se gli stranieri, soprattutto se giornalisti, vengono scambiati per somme molto consistenti. Il contrabbando di armi è la terza attività, e forse la più proficua, dell’economia eversiva irachena. Saddam Hussein non possedeva armi di distruzione di massa, ma aveva il più grande arsenale di armi convenzionali dopo quello degli Stati Uniti. Con la caduta del regime questo finisce in mano ai guerriglieri e ai criminali comuni che per settimane saccheggiano il Paese. E, grazie alla cooperazione con la criminalità organizzata, nel 2006 le armi irachene raggiungono la Somalia, il Sudan e il Libano. Lo stesso modello di autofinanziamento lo ritroviamo in Afghanistan. Anche qui il terrorismo ha sempre meno bisogno di finanziatori esterni. Dopo l’11 settembre, l’Isi, i servizi segreti pakistani, e i leader islamici della regione tribale sostengono economicamente al Qaeda e i talebani in ritirata. Paradossalmente, lo possono fare anche grazie M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 75 Dissanguare l’economia americana... 75 ai massicci aiuti esteri statunitensi concessi al Pakistan, in quanto «fedele» alleato nella guerra contro il terrorismo. Ma ben presto questi fondi diventano superflui. Dal 2002 al 2006 il ricostituito esercito talebano e al Qaeda trasformano Quetta, sede del loro quartier generale, in uno stato-guscio. I fondi provengono dalla fiorente attività di contrabbando della zona. Quetta è diventata il più importante mercato di falsi della regione e nella città si smerciano beni contraffatti d’ogni tipo. Come in Iraq anche qui i sequestri contribuiscono all’economia di guerra: nel 2006 i talebani rilasciano un giornalista italiano in cambio della liberazione di sei prigionieri appartenenti al loro gruppo e molto probabilmente di un cospicuo riscatto. L’Afghanistan ha poi una risorsa preziosissima che condiziona tutti i rapporti di forza: la droga. A sostenere la rimonta talebana è il boom della produzione di papavero da oppio. Nel 2006 il raccolto rende il 35 per cento in più che nel 2005 e nel 2008 l’Afghanistan si assicura il 92 per cento del mercato mondiale di oppio. Prima dell’11 settembre la sua quota era meno del 70 per cento. C’è poi un’ulteriore conseguenza perniciosa e inquietante legata ai vantaggi della retorica apocalittica di Bush: la drastica riduzione del costo unitario dell’attività eversiva in Occidente. Mentre l’esecuzione dell’11 settembre costa ad al Qaeda 500mila dollari, agli ideatori della strage di Madrid ne bastano 20mila e a chi ha procurato le bombe suicide londinesi meno di 15mila. Osama bin Laden non addestra più i suoi uomini nei campi in Afghanistan, cosa costosissima. La proliferazione di pagine web jihadiste supplisce alla loro chiusura, in questo modo si M2_02_La morsa.qxd 76 17-03-2009 12:15 Pagina 76 La morsa indottrina e si addestra a prezzi stracciati una nuova generazione di jihadisti. I corsi per corrispondenza degli aspiranti terroristi naturalmente hanno poca efficacia, è difficile che un bravo attentatore sia autodidatta, ma il pericolo non è la professionalità dei futuri terroristi quanto la trasformazione di al Qaeda da organizzazione armata di piccola portata in un credo ideologico antimperialista globale: l’alqaedismo. Ed è la guerra in Iraq che rende possibile questa metamorfosi. Per la nuova generazione di jihadisti, l’11 settembre diventa un evento iconico e al tempo stesso il canovaccio e il canone d’ispirazione per gli attacchi futuri. Quello che cambia ogni volta invece è la quantità di denaro a disposizione e la professionalità dei terroristi. In questa chiave gli attentati di Madrid e Londra sono repliche in scala ridotta dell’evento simbolo. L’impatto sull’opinione pubblica è comunque fortissimo e ha risonanza in tutto il mondo perché mette subito in moto la macchina propagandistica occidentale. Come vedremo nel capitolo «La politica della paura» il mantra della paura gonfia nell’immaginario collettivo l’impatto della violenza politica. A tenere alta la tensione nei periodi di calma sono la propaganda politica e la stampa. Nel 2004 e nel 2005, fonti dell’Fbi sostengono che le istituzioni simbolo del capitalismo occidentale sono ancora nel mirino di al Qaeda; naturalmente si tratta di un errore di valutazione grossolano. Dopo l’attacco subìto in Afghanistan l’organizzazione non è più in grado di ripetere un attentato di quella portata. Ciononostante scatta l’allarme a Washington e New York, edifici interi sono evacuati e le città rimangono paralizzate per alcuni giorni. M2_02_La morsa.qxd 17-03-2009 12:15 Pagina 77 Dissanguare l’economia americana... 77 A questo punto è possibile fare un bilancio delle politiche antiterroristiche utilizzando gli strumenti dell’analisi dei costi e benefici. Lungi dal pacificare il mondo, la guerra contro il terrorismo sembra aver dato vita a un conflitto asimmetrico. Mentre per gli insorti iracheni 200 milioni di dollari sono più che sufficienti per condurre una guerriglia che mette in gravissima difficoltà le forze americane, per Washington i costi di questa guerra sono astronomici. Il bilancio preventivo mensile del Pentagono per l’Iraq, votato ad agosto 2008, è di 8 miliardi di dollari, quello congiunto con l’Afghanistan è di 12 miliardi! La risposta di Washington all’escalation dei costi bellici è l’abbattimento del tasso d’interesse e la sfrenata emissione di buoni del tesoro. Ma la crisi del credito ha cambiato le carte in tavola. Il finanziamento di questo conflitto ormai compete con i piani di salvataggio dell’economia americana. Cos’è più importante: esportare la democrazia «made in America» o salvare l’America stessa? Ecco l’interrogativo che come quello di Amleto rode l’amministrazione Obama. L’eredità di Bush è proprio questa, averci lasciato da gestire un conflitto asimmetrico aperto, e cioè potenzialmente irrisolvibile, che succhia denaro allo Stato e al contribuente senza produrre nulla di buono. In epoca di seria recessione come quella che viviamo, la gestione prolungata di questa guerra può diventare fatale e compromettere le risorse necessarie per sostenere l’economia americana e quella mondiale quando ne ha più bisogno. La nuova retorica di Barack Obama non basta a risolvere questi problemi, ci vuole un cambiamento radicale di politica estera, che difficilmente il Congresso ameri- M2_02_La morsa.qxd 78 17-03-2009 12:15 Pagina 78 La morsa cano sarà disposto a intraprendere. Il presidente, va detto, è solo la punta dell’iceberg. Per quanto popolare sia, la leadership di Obama durerà dai quattro agli otto anni; chi tiene le redini del potere e detta a grandi linee la politica interna ed estera americana è il Congresso. Ma questi concetti diventeranno più chiari nel corso di questo libro. Prima è bene analizzare a fondo gli sconcertanti legami tra la guerra contro il terrorismo e altri settori dell’economia: il riciclaggio di denaro sporco e la crisi del credito.