Il Medioevo è infinito
- Marina Montesano, 02.04.2014
Ritratti. Muore a novant'anni Jacques Le Goff. Per lo studioso francese, non erano mai esistiti i
secoli bui né la storia della modernità era cominciata con il Rinascimento. Fra le sue opere capitali,
«La nascita del Purgatorio»
Ha suscitato qualche focolaio di polemica anche agli inizi del 2014, Jacques Le Goff, ormai
novantenne, quando è uscito un suo breve libro (Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches?,
per ora pubblicato solo in Francia) nel quale riproponeva un concetto che era andato sviluppando in
tanti anni di studi: quello di un «medioevo lungo» che rovesciava le categorie storiografiche
dell’Ottocento, epoca nella quale il suo conterraneo (e peraltro ammirato) Jules Michelet aveva
«inventato» il termine Renaissance, «Rinascimento», presunta cesura fra il millennio dei secoli bui e
la nostra modernità; concetto che sarebbe stato ripreso, ampliato, portato al suo massimo sviluppo
dal grande Jakob Burckhardt nella sua monumentale Civiltà del Rinascimento in Italia.
La lunga durata
Dalle pagine del Corriere della Sera, in quell’occasione, uno studioso legato a una visione
essenzialmente storicista qual è Giuseppe Galasso aveva ribadito che intorno al Quattrocento una
cesura, un inizio di ciò che chiamiamo modernità c’è effettivamente stato, mentre Franco Cardini,
storico italiano fra i più vicini alla visione antistoricistica delle Annales, sosteneva con Le Goff la
necessità di superare questa idea e cogliere nella storia la lunga durata (altra espressione venuta
fuori dal circolo delle Annales e da un altro dei suoi massimi esponenti, Fernand Braudel) di tanti
fenomeni che siamo abituati a pensare come prettamente «medievali» o come esclusivamente
«moderni».
Non che Jacques Le Goff, nato nel gennaio 1924 e scomparso ieri, fosse estraneo alla visione
ottocentesca del Medioevo; magari di quello eroico, cavalleresco e romantico, se è vero che uno dei
suoi primi approcci con quest’epoca gli giunse grazie alla lettura dell’Ivanhoe di Walter Scott. Ma la
sua esperienza di storico in formazione è venuta proprio da quella prima metà del Novecento, tanto
drammatica sotto il profilo politico, sociale e militare quanto feconda per gli studi storici in generale
e medievistici in particolare.
Nel 1929 Marc Bloch e Lucien Febvre avevano dato vita alla rivista Annales d’histoire économique et
sociale, attorno alla qualle si preparava il terreno per una grande rivoluzione sul piano del metodo
storiografico. Le Goff non poté conoscere direttamente Bloch, fucilato nel 1944, ma fu allievo di
alcuni grandi nomi che partecipavano al rinnovamento di quegli anni, avendo studiato e discusso la
sua tesi con Charles-Edmond Perrin, Maurice Lombard, lo stesso Braudel, nonché con lo storico
belga Henri Pirenne.
Questi primi passi, compiuti nella Francia di Vichy, li ha ricordati lui stesso nell’intervista-biografia
Una vita per la storia, uscita in Francia nel 1996 e poi tradotta anche in Italia per Laterza. Si
apprendono i suoi trascorsi universitari a Praga, a Oxford e a Roma, la sua convivenza non sempre
facile con l’Accademia, il suo approdo nel 1969 alla pestigiosa direzione delle Annales, condivisa con
Emmanuel Le Roy Ladurie e l’ingresso con compiti direttivi nell’École des hautes études en sciences
sociales a partire dagli anni Settanta; ossia in quella fucina di idee e di studi che ampliavano la
visione storiografica verso nuovi lidi e nuove espressioni: la storia seriale, la storia materiale, la
storia quantitativa, la storia delle mentalità, l’antropologia storica.
I risultati che ne sarebbero usciti ci possono sembrare appartenere a indirizzi diametralmente
opposti, ma sono comunque il portato di un unico, collettivo sforzo di ripensamento del modo di fare
storia. Dall’intervista si apprende anche la storia di un uomo profondamente laico e profondamente
francese, che ha trascorso l’esistenza a interessarsi con passione di un’epoca in cui la cultura
religiosa è ovunque, cercando di guardarla in una prospettiva globale, mai localistica.
Modelli colti e popolari
La storia delle mentalità e l’antropologia storica sono senz’altro i settori nei quali ha operato Jacques
Le Goff, raro esempio di specialista che riesce a giostrare fra tematiche ed epoche anche lontane tra
loro. Ai primi decenni della sua carriera appartengono opere come Gli intellettuali nel medioevo
(prima edizione 1957), La civiltà dell’Occidente medievale (prima edizione 1964), la direzione con
Pierre Nora dell’opera collettiva Fare Storia. Una pietra miliare è, nel 1981, il volume La nascita del
Purgatorio, monografia nella quale sembra confluire tutto ciò che Le Goff ha realizzato fino a quel
momento.
Da una parte la straordinaria conoscenza delle fonti del medioevo latino e volgare, della cultura
teologica di quell’epoca, dei suoi modelli «colti»; dall’altra il tentativo di andare oltre tutto questo
per comprendere i grandi fenomeni culturali condivisi, il modo in cui gli uomini e le donne di
un’epoca hanno plasmato la società in base a determinate idee, e in che modo tali idee hanno poi
condizionato la società. In tal senso, quella di Le Goff è stata una vera antropologia storica, secondo
la migliore lezione di Marc Bloch che invitava a calarsi nel passato come un antropologo si calerebbe
in una civiltà «altra» rispetto alla sua.
La storia delle mentalità, espressione oggi poco apprezzata e piuttosto passata di moda, era il
tentativo di cogliere questa complessa fenomenologia. In particolare, un tema che allo studioso
francese stava a cuore, così come a molti altri tra anni ’60 e ’70, era il rapporto tra società e cultura,
tra stratificazione sociale e motivi culturali, in sintesi tra cultura dotta e popolare: un tema che una
parte della storiografia pure cresciuta in seno alle Annales, ma con una più forte influenza marxiana,
tendeva a risolvere in termini di dicotomia, lì dove Le Goff preferiva prestare attenzione alla
circolazione di modelli (secondo la lezione mai dimenticata di Jakobson e Bogatyriev) tra ceti sociali.
Vedeva nella cultura popolare una delle fucine creatrici, in particolar modo per secoli quelli del
medioevo centrale nei quali la cultura scritta era appannaggio dei chierici e i laici, anche quelli dei
ceti elevati, partecipavano di idee, concezioni, modi di pensare legati a quella che viene chiamata
«cultura folklorica».
L’Europa sorgiva
Negli anni più tardi, Jacques Le Goff non ha mai abbandonato queste passioni; in fondo, anche la
monumentale biografia su San Luigi (uscita nel 1996) aveva alle spalle già degli scritti sul tema
precedenti di un paio di decenni. Ma la sua produzione più recente mostra anche un’attenzione agli
sviluppi della storiografia contemporanea (si vedano i suoi lavori sulla concezione del corpo), nonché
un interesse per gli sviluppi della società tout court: a questo secondo filone appartengono le
riflessioni sull’Europa e le sue radici, che era poi soprattutto una riflessione per i suoi esiti politici
presenti e futuri.
Aveva cominciato la sua vita accademica (e non solo) in un momento in cui l’Europa si dibatteva fra
le guerre, ha fatto in tempo a sognare insieme a molti un’Europa diversa, si è spento quando questo
sogno pare ormai sulla via del tramonto.
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