COORDINAMENTO PEDAGOGICO PROVINCIALE FORMAZIONE NEUROSCIENZE PROF. VINCENZO ANTONIO PICCIONE [email protected] 4 – 5 NOVEMBRE 2010 1. Le neuroscienze propongono contenuti significativi quanto meno in termini di: • strategie, metodi, tecniche, azioni possibili all’interno di tutti i setting educativi, ovvero tradizionali e scuola parallela; • strumenti utilizzabili in ogni setting educativo; • uso delle delle strategie cognitive che ogni individuo, normodotato o con handicap, possiede; • uso delle percezioni sensoriali delle quali ogni individuo, normodotato o con handicap, si serve per leggere ed interagire con la realtà; ma non impongono un cambiamento: • del senso del ruolo e della funzione dell’adulto significativo accanto ad ogni individuo che cresce; • delle ragioni per le quali in ogni setting educativo vengono promosse e perfezionate competenze formali, non formali ed informali. 1. Indicazioni preliminari Dettagli importanti: • il significato del contributo che ogni setting educativo è in grado di proporre all’individuo in crescita; • l’impatto che qualsiasi contesto educativo co-determina in relazione alla maturazione cognitiva, emotiva, affettiva, espressiva, sociale, psicomotoria; • le ragioni per le quali sostengo che le categorie del tempo e dello spazio vengono percepite dalle nuove generazioni in termini di intensità e orientabilità invece che come durata e distanza; • le ragioni per le quali sembra scomparsa la categoria della stabilità o, meglio, la garanzia della stabilità in termini professionali, geografici, emotivi ed affettivi, ma non scompare il bisogno umano di stabilità; le ragioni per le quali compare invece la categoria della migrabilità fra mestieri, professioni, luoghi, lingue, contesti sociali, relazioni affettive; • il significato della riduzione del ciclo di vita dei saperi e l’incremento esponenziale dei saperi in termini quantitativi; e, dunque, soprattutto, per bambini e adolescenti in crescita: • la necessità di una disponibilità al cambiamento e di duttilità, di una elevata flessibilità delle competenze, in particolare di una percezione di sé competente nell’affrontare la riduzione delle distanze e dei tempi di azione e riflessione. 3. Premesse: per le nuove generazioni attuali, come mai è accaduto nella storia dell’uomo, esiste un sapere, quello tecnologico, a proposito del quale le generazioni adulte non sono uniche e totali detentrici, né in termini di contenuti, né di procedure d’uso, né di significato, né di strategie cognitive impegnate nella loro manipolazione, né di linguaggi specifici; per le nuove generazioni attuali, come mai è accaduto nella storia dell’uomo, un sapere ha in sé una potenzialità strumentale supplementare: l’uso delle tecnologie può permettere l’accesso a tutti gli altri saperi senza che la presenza dell’adulto sia indispensabile; per le nuove generazioni attuali, lo spazio del virtuale è diventato spazio d’azione, ambiente all’interno del quale l’esperienza umana è possibile, tanto da imporre la trasformazione della percezione della realtà corporea e fisica. Gli effetti di queste premesse ricadono sia all’interno dei setting educativi non scolastici, o della scuola parallela, sia nei setting educativi tradizionali. Soprattutto permettono di intravedere la necessità di nuovi approcci educativi e formativi, di nuovi metodi e strategie educative e formative, poiché chiedono il superamento dei confini ancora esistenti fra loro sulla base della necessità di integrare competenze formali, non formali ed informali, della necessità di scoprire le relazioni fra contenuti, nozioni e significati, insomma richiedono la scelta di strategie interdisciplinari, l’adozione di strumenti di osservazione raffinati, azioni e collaborazioni in rete, di spostare definitivamente l’attenzione sull’individuo che apprende, soprattutto di agire in termini di educabilità e progettualità educativa. 4. Contenuti All’interno di tutti i setting educativi, gli effetti del cambiamento permettono di rilevare un impatto significativo sui processi e sulle relazioni fra gli attori. La disponibilità al cambiamento sembra globale per le nuove generazioni, più legata al ruolo e alla dimensione etica per l’adulto educatore. A. La disponibilità al superamento dei confini Il virtuale L’ambiente virtuale, la possibilità di reperire nuovi e ulteriori spazi di azione, le possibilità ulteriori di interloquire con individui e gruppi, nonché la possibilità di nuovi linguaggi e comparazioni, incrementano le dimensioni simboliche e culturali del “movimento attraverso” nuove soglie e nuovi accessi, nuove forme di sorpresa e aspettative, nuovi riti e limiti, nuove narrazioni e procedure, nuovi comportamenti e atteggiamenti, nuove percezioni e concretezze, così come nuovi ostacoli e difficoltà, nuove familiarità e ignoti, nuove negoziazioni ed elaborazioni. L’ipertesto Il semplice fatto di scrivere testi secondo procedure diverse di rapida modificabilità e riusabilità non elimina la necessità di un soggetto che scrive, di uno strumento per scrivere e di un supporto sul quale scrivere. E nemmeno annulla l’azione di sistemi diversi, poiché quelli percettivo-motorio, sensoriale, muscolare, cognitivo, nervoso continuano ad essere impegnati e a richiedere l’uso di strategie cognitive che coinvolgono e richiedono l’azione dell’analisi, della sintesi, della codificazione, della decodificazione, della rappresentazione, della sequenzialità logico-argomentativa. Semmai, la possibilità di scrivere testi modificabili e riusabili richiede un diverso impegno delle competenze mnestiche e procedurali che con tutte quelle strategie sono in costante interazione processuale. Non viene azzerato il contributo dello strumento utilizzato per scrivere, perché, come tutti gli altri strumenti utilizzati dall’uomo nella storia, ha sue peculiari caratteristiche concrete, rituali, procedurali e simboliche di maneggevolezza, affidabilità, efficacia, soprattutto partecipa all’elaborazione del pensiero ed ha modalità diverse di interromperne il flusso e la scorrevolezza. E nemmeno può essere percepito come la penna ed i suoi antenati, puri e concreti prolungamenti della mano, che sono o sono stati strumenti di • una linearità descrittiva e monodirezionale del flusso narrativo o argomentativo; • una sequenzialità logica (legame tra premesse e conclusione, tra antecedente e conseguente, tra soggetto e predicato); • una compiutezza (il testo ha un inizio e una fine); • una chiusura: il testo è sigillato, non ammette interventi del lettore o di un altro autore, neppure rapporti con altri testi non previsti dall’autore nella stesura originaria. In contrasto, la scrittura elettronica si definisce in termini di non-linearità, nonconsequenzialità, non-compiutezza e non-chiusura. Il libro a stampa è lineare, rilegato e standard; l’ipertesto è associativo e, potenzialmente, illimitato. II libro a stampa è esclusivo e autonomo; l’ipertesto è inclusivo e relazionale. Il libro a stampa è un prodotto; l’ipertesto un processo. Il primo si presta ad essere posseduto, il secondo è adatto ad un accesso temporaneo. Nel libro a stampa c’è un autore proprietario dei suoi pensieri e delle sue parole. Nell’ipertesto non sempre è possibile individuare i confini fra il contributo di uno e quello di molti. Dunque, non vengono modificate le strategie e le procedure cognitive impegnate nell’elaborazione, nella codificazione e nella decodificazione, e nemmeno quelle sollecitate dai sistemi mnestici; certo, le necessità di integrare connessioni e link, di rappresentare e categorizzare sinteticamente le direzioni narrative, di ragionare in termini di relazioni collettive, modificano profondamente sia la percezione del sé individuale e del sé sociale, sia le relazioni sistemiche esistenti fra memoria, reminiscenza, mente. Non scompare la qualità del contributo emotivo proposto da ogni autore ed ogni lettore, così come non scompare la narrazione del privato personale. Ma cambiano, soprattutto, tre dimensioni. La prima: la memoria individuale e la memoria collettiva diventano pubbliche, integrate, rappresentative, sintetiche di processi cognitivi ed elaborativi diversi. La seconda: la possibilità che l’autore ed il lettore siano visibili, possano incontrarsi o essere incontrati in tempo reale, ne modifica la percezione, la rappresentazione, la distanza, l’identità. La terza: si trasforma la percezione dello spazio della scrittura, del luogo al quale può accedere chiunque, ovunque sia, poiché i suoi riferimenti topografici sono del tutto diversi da quello della scrittura. B. La disponibilità al superamento dei confini: insegnanti, educatori, mediatori Quello che a noi, in quanto educatori o pedagogisti o adulti, dovrebbe interessare è: la responsabilità personale, professionale, etica, è costretta a maturare rapidamente e a riacquisire il vero ruolo di ogni professionista dell’educazione, ovvero quello di sollecitare interesse, motivazione, piacere di apprendere e di confrontarsi, perché le competenze e le consapevolezze richieste a chi trova interessante sapere sono molteplici. In secondo luogo, si riafferma il valore ed il senso delle grandi narrazioni, in termini di partecipazione e promozione delle appartenenze. Riappropriarsi dei contenuti e del senso delle grandi narrazioni deve avere il significato del superamento dei confini opposti dalla standardizzazione di nozioni e fonti del sapere. La ragione per la quale le grandi narrazioni confermano nella contemporaneità di avere un valore ed un significato profondamente rinnovati, proprio per la possibilità di elaborare ipertesti e di prevedere la presenza di coautori, è nel fatto che esse diventano biografie, autobiografie, sociobiografie e psicobiografie. La narrazione collettiva si fa orientamento oltre che elaborazione di testi, diventa lettura del sé e del noi oltre che interpretazione, diventa “racconto filmico” invece che “racconto fotografico”, diventa consapevolezza immediata di una partecipazione significativa invece che contributo da consegnare alla storia delle micronarrazioni, diventa “sede di progettualità plurale” invece che “racconto di una istantanea”. La narrazione collettiva è in grado di promuovere competenze primarie perché sollecita una riflessione sul senso dell’identità, sull’immagine del sé; e sostiene il perfezionamento di competenze secondarie, perché richiede nuovi strumenti comunicativi, sociali, rielaborativi, progettuali. In sostanza, richiede processi del tutto diversi, quanto meno analitici, sintetici, metacognitivi, orientativi, valoriali, riflessivi. 5. Prime considerazioni conclusive A. Le parole chiave del lessico pedagogico non cambiano, perché continuano ad essere responsabilità, creatività, intenzionalità, scelta, autonomia, partecipazione, senso della cittadinanza, mediazione, affidabilità. B. Non sono i contenuti da apprendere al centro dei processi di apprendimento, ma gli obiettivi educativi e formativi, le strategie ed i metodi impegnati per permettere l’acquisizione di competenze funzionali all’apprendimento. C. La possibilità di definire connessioni tematiche, di costruire reti tematiche, ripropongono con forza la necessità della interdisciplinarità e la necessità di sapere per comprendere, narrarsi e narrare. D. I bambini hanno bisogno di appartenere alla loro contemporaneità, di conoscerne gli strumenti. Hanno il diritto di socializzarne i contenuti e le tecniche d’uso, ma non di possederli; hanno il diritto di essere guidati dalle generazioni adulte. E. Soprattutto, i bambini hanno il diritto di essere accompagnati nella costruzione di un’identità che può avere le caratteristiche delle identità di confine, ovvero di identità che non solo percepiscono e vivono la cultura, le conoscenze, i linguaggi, il lessico, il confronto, le consapevolezze, le appartenenze, le sicurezze che esistono al di qua e al di là della soglia, ma percepiscono e vivono la ricchezza di ulteriori stimoli, opportunità, consuetudini, significati, valori, principi, curiosità, confronti, comparazioni, trasformazioni, non percepiscono lo spazio da attraversare come vuoto, sospensione o assenza. F. Di conseguenza, le competenze, le preferenze, gli stili personali e comunicativi, di partecipazione e relazioni sociali, di autonomia, di percezione di sé e dell’altro da sé, di oggetti e strumenti culturali, dell’uomo con la “testa ben fatta” dovranno permettere al bambino e all’adolescente di - vivere il maggiore coinvolgimento reso possibile dalle reti e dalla loro interdipendenza processuale; - percepirsi significativi online ed impegnati a corrispondere e relazionarsi attraverso processi contemporaneamente cognitivi, sociali e comunicativi; - agire in maniera consapevole, fluida e diversificata a seconda di interlocutori e contesti; - riflettere su più palcoscenici, all’interno di sceneggiature individuali e collettive; - partecipare, collaborare, assumendo nuovi standard etici; - utilizzare il pensiero sistemico, organizzato; - essere consapevole del valore del pensiero dell’altro; - essere consapevole delle sue capacità creative, respirare fiducia sociale, empatia, rapporti di intimità con gli altri, con la consapevolezza del ruolo della cultura per la conservazione della civiltà; - accedere per apprendere, percepire per apprendere, interagire per apprendere. G. Pensare all’uso delle tecnologie come strumenti, ad esempio, come strumenti di scrittura (la penna e la matita possono ben essere accompagnate da tastiera, mouse e laser; anzi, insieme potrebbero potenziare le opportunità formative non solo di coloro che le generazioni del passato hanno escluso dalla scuola e dall’educazione, ma anche dei particolarmente dotati), significa pensare a strumenti che amplificano possibilità visuospaziali, motorie, percettive, cognitive, neuropsicologiche, narrative, che permettono la percezione della realtà in termini di connessioni sistemiche, in termini di connessioni di spazi e tempi interiori ed esterni. H. In sostanza, per riprendere quanto è stato detto, alla formazione dell’uomo vengono offerte opportunità importanti: – scompaiono i confini fra i luoghi dell’accesso al sapere, – scompaiono i confini fra i luoghi nei quali perfezionare competenze formali, non formali ed informali; – scompaiono i confini fra i luoghi nei quali sperimentarsi come individui e individui sociali; – si riafferma la necessità del ruolo educativo sistemico dell’adulto; – si conferma la necessità di una pedagogia della cura, di una pedagogia per obiettivi, di una pedagogia capace di crescere e di diventare modello. 6. Un tassello ulteriore, da verificare Se, fino ad ora, abbiamo considerato l’impatto che i contenuti complessivi delle neuroscienze esercitano sugli stili di insegnamento e di apprendimento, è necessario rilevare un ulteriore aspetto innovativo, che potrebbe essere capace di integrare elementi trascurati nel passato. Concretamente, in sintesi: la scoperta del funzionamento dei neuroni mirror impone la riconsiderazione dei ruolo che i meccanismi dell’imitazione potrebbero avere a partire dai primi mesi di vita. A. L’imitazione Nell’infanzia, in particolar modo, l’imitazione è fondamentale per apprendere il significato dei comportamenti; per acquisire una coscienza di sé, il bambino ha bisogno di realizzare scambi relazionali con le figure di riferimento le quali, a loro volta, gli restituiscono risposte imitative funzionali alla crescita. In altre parole: sembra che la natura umana ci abbia fornito una codificazione comune che unisce il sé con gli altri e ci permette di percepire le azioni degli altri grazie alla nostra esecuzione di movimenti e comportamenti. Questa codificazione sarebbe, perciò, alla base dell’abilità di imitare perché connetterebbe i comportamenti percepiti all’esterno con i comportamenti equivalenti interni; sembra che i neonati siano in grado addirittura di imitare fin dalle prime ore di vita. Una delle ipotesi di lavoro più affascinanti è che l’origine dell’evoluzione delle capacità simboliche, indispensabili ad esempio per lo sviluppo del linguaggio, possa essere rintracciata ai processi imitativi. B. I risultati della ricerca Un’ipotesi importante elaborata di recente propone che i neuroni specchio si correlino all’abilità di attribuire stati mentali agli altri. Non solo possiamo comprendere gli altri imitandoli, ma possiamo individuare gli scopi delle azioni che vediamo compiere. Il riferimento ovvio è alla lettura della mente. È grazie ad essa che gli individui sanno che gli altri umani hanno proprie credenze e intenzioni: in altre parole, prevediamo, imitiamo e contro-imitiamo le azioni in modo intelligente perché selezioniamo l’azione da replicare attraverso la lettura della mente. Specificamente e concretamente La scoperta dei neuroni specchio, nelle aree motorie del cervello, sta offrendo un contributo importante al tentativo di spiegare i processi corticali coinvolti nell’imitazione, e, in modo più specifico, il processo di trasformazione dei dati senso-motori, addirittura una complessiva rivisitazione delle nostre convinzioni sul funzionamento del sistema motorio. Il sistema specchio è costituito da un gruppo di cellule, probabilmente localizzate in una precisa parte del cervello (zona fronto-parietale), e oggi si crede che possano costituire il fondamento neurofisiologico dell’imitazione. Essi sono stati scoperti più di una decina di anni fa presso il laboratorio diretto da Giacomo Rizzolatti all’Università di Parma, ma solo negli ultimi anni siamo riusciti a definire nel dettaglio il loro funzionamento. I primi esperimenti furono eseguiti sulle scimmie. Si era notato che alcuni neuroni si attivavano sia quando la scimmia compiva un’azione (come, ad esempio, portare con la mano alla bocca un acino d’uva), sia quando essa osservava la medesima azione effettuata dallo sperimentatore: data la loro capacità di attivarsi “riflettendo” le azioni degli altri, a queste cellule della corteccia premotoria è stato dato il nome di neuroni specchio. Le ipotesi di lavoro formulate sula base della scoperta del sistema specchio mettono dunque in discussione il ruolo delle aree corticali motorie e uditive, e gettano una nuova luce sul loro modo di attivarsi, che è, appunto, attivo e non passivo. Come i neuroni motori, anche questi neuroni si attivano in modo specifico a seconda dell’azione. Diventa fondamentale lo scopo dell’azione altrui come criterio per classificare queste cellule nervose (ad esempio, in “neuroni-afferrare”, “neuroni-tenere”, “neuroni-lasciare”). In altre parole, siamo in possesso di un sistema condiviso di percezione ed esecuzione degli atti, al quale ricorriamo per codificare e memorizzare un insieme di comportamenti motori riconoscibili e riconosciuti. Solo una decina d’anni fa i neuroscienziati e gli psicologi avrebbero attribuito la nostra comprensione delle azioni degli altri, e specialmente delle loro intenzioni, ad un rapido ragionamento, più o meno identico a quello che usiamo per risolvere un problema logico. La scoperta è affascinante perché spiega il modo in cui gli esseri umani riescono a compiere le azioni in modo fluido. Tale fluidità è determinata dalla codificazione dell’intenzione in catene di neuroni, e quindi dalla codificazione di movimenti che sembrano più adatti, in base ad un contesto, a produrre in maniera fluida l’azione necessaria a raggiungere un particolare obiettivo piuttosto che un altro. Nel caso dell’imitazione facciale, ad esempio, che fa la sua comparsa tra gli 8 e i 12 mesi di vita, i bambini possono compiere imitazioni facciali di espressioni che osservano negli altri. Mostrare la lingua è la più comune tra le imitazioni facciali, ma anche i movimenti di labbra, testa e mani vengono spesso replicati. Fin da età piuttosto precoci e con progressivi accomodamenti, il bambino è in grado di seguire l’orientamento dello sguardo della madre e condividere con lei l’attenzione visiva, con vari gradi di precisione in relazione all’età: affinché nei bambini piccoli possa esserci un’imitazione, è dunque importante che sia presente un prerequisito importante, cioè la capacità di condividere l’attenzione. Sulla base di esperimenti in atto, è stato in sostanza dimostrato che i bambini della fascia d’età che ci interessa imitano atti nuovi; imitano utilizzando la memoria e non solo quanto proviene da fonti sonore; possono imitare anche i significati; dunque, non si limitano all’emulazione; imparano dagli altri ad agire e ad espandere le loro azioni; possono correggersi anche quando il modello scompare; possono comprendere quando sono imitati. Altri studi ancora hanno dimostrato come la compromissione dell’imitazione possa costituire un fattore predittivo negativo per lo sviluppo del linguaggio: in altre parole, è stato rilevato un collegamento strettissimo tra gioco, comportamento imitativo e linguaggio, come se esistesse una sorta di grammatica dei movimento coerente con una grammatica delle azioni ludiche ed una del linguaggio (questi aspetti aprirebbero nuovi percorsi di ricerca e di comprensione in relazione a problemi anche disparati, ad esempio, all’apprendimento precoce di una seconda lingua o ai comportamenti autistici). Da una parte appare semplice correlare un problema culturale ad un tema generale: l’imitazione è un meccanismo fondamentale di trasmissione culturale; si tratta di una trasmissione comune, in natura, tra le specie. Ciò che ci distingue da tutte le altre specie è l’insieme delle capacità particolari, tra cui la capacità di osservare e imitare in modo complesso, sulla base di processi che per l’educatore non necessariamente devono essere spiegati attraverso l’innatismo o il costruttivismo. L’imitazione non è emulazione né mimica. Trasmettere cultura di generazione in generazione significa tramandare, a livello sociale, comportamenti convenzionali abituali, segni rituali e simbolici, gesti, linguaggi, regole che riguardano l’uso di oggetti, situazioni, comportamenti, credenze. L’imitazione è lo strumento operativo di una sorta di memoria storica che fa sì che le informazioni appartenenti ad una generazione vengano trasmesse, intenzionalmente e non, a quella successiva. D. Un esempio ulteriore per definire le implicazioni A livello cognitivo, all’autistico mancano tre capacità: la capacità di relazione intersoggettiva, la capacità di rappresentare lo stato mentale altrui e la capacità di imitare. Egli, in genere, presenta cioè 1) difficoltà sociali; 2) inadeguatezza delle abilità linguistico-comunicative; 3) gamma limitata di repertori comportamentali che manifestano, per di più e spesso, rigidità e ripetitività. Le anomalie dello sviluppo sociale, nello sviluppo comunicativo e nel gioco di finzione sarebbero il risultato del mancato sviluppo della lettura della mente (mindreading) e costituirebbero la ragione per la quale il bambino autistico è “cieco” ai pensieri degli altri: è incapace di comprendere le credenze e i desideri degli altri, la simulazione e la finzione, gli stati mentali, le prospettive, le motivazioni e le intenzioni altrui; gli sfuggono lo humour, i presupposti, l’ironia, le metafore, il sarcasmo, i doppi sensi, le locuzioni idiomatiche; non riesce a interpretare i segnali sociali, ha deficit nel meccanismo dell’attenzione condivisa, non comprende i drammi, i miti, le leggende, le favole e tutto quanto richiede la capacità di immedesimarsi nei personaggi e di seguire intrecci complessi; non riesce a decodificare il linguaggio sociale, che abitualmente è ricco di sottointesi, di allusioni, di “detti e non detti”; fermandosi al solo linguaggio letterale, non può andare oltre le parole udite in una conversazione, né cogliere l’intenzione del parlante, né fare previsioni su un suo possibile comportamento. Il deficit autistico potrebbe dipendere dal deficit imitativo causato a sua volta da un deficit del funzionamento dei neuroni mirror.