The Lab`s Quarterly Il Trimestrale del Laboratorio

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The Lab’s Quarterly
Il Trimestrale del Laboratorio
2009 / n. 2 / aprile-giugno
Laboratorio di Ricerca Sociale
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
Direttore:
Massimo Ampola
Comitato scientifico:
Roberto Faenza
Paolo Bagnoli
Mauro Grassi
Antonio Thiery
Franco Martorana
Comitato di Redazione:
Stefania Milella
Luca Lischi
Alfredo Givigliano
Marco Chiuppesi
Segretario di Redazione:
Luca Corchia
ISSN 2035-5548
© Laboratorio di Ricerca Sociale
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
The Lab’s Quarterly
Il Trimestrale del Laboratorio
2009 / n. 2 / aprile-giugno
POLITICHE SOCIALI
Massimo Ampola
Nota introduttiva.
La povertà: rilevanza e identità del problema
101
Rachele Benedetti
Una questione aperta: il sistema di welfare tra sfide e
nuovi rischi sociali
115
Marco Chiuppesi
Multidimensionalità: un approccio fuzzy
155
Sabiana Pagliuca
Le politiche della regione Toscana sulla povertà.
Il problema alimentare e il caso di Viareggio
169
SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
Annalisa Buccieri
Soggettività virtuali tra unione e divisione:
guardando alle community on line
209
Irene Psaroudakis
Multiculturalismo e processi comunicativi: alcune riflessioni sul saggio di Daria Coppola
247
RECENSIONI
Paolo Pasquinelli
Silvia Cervia
Nota sulla termodinamica dei sistemi complessi viventi
Su Evolutionary Essays: A Thermodinamic Interpretation
of the Evolution, di Sven E. Jorgensen
Su The thermodynamic Machinery of Life, di Michal
Kurzynski
Su Diritti di cittadinanza, qualità della vita,
(Bandecchi&Vivaldi, Pontedera, 2009)
Laboratorio di Ricerca Sociale
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
255
259
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SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
MULTICULTURALISMO E PROCESSI COMUNICATIVI:
ALCUNE RIFLESSIONI SUL SAGGIO DI DARIA COPPOLA
Irene Psaroudakis
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
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The Lab’s Quarterly, 2009, 2
MULTICULTURALISMO E PROCESSI COMUNICATIVI:
ALCUNE RIFLESSIONI SUL SAGGIO DI DARIA COPPOLA
Il carattere dell’identità personale deriva dalla cultura e dal modo stesso in cui
è strutturata la società. Il problema della soggettività si costruisce in particolar
modo nell’interazione con gli altri, e di conseguenza si proietta al livello
dell’alterità, dell’incontro e dello scambio. Gli individui, infatti, sono animali sociali e culturali: la cultura è acquisita dalla vita sociale mediante processi cognitivi, è come una sorta di software che ha la funzione di programmare un hardware
già fornito biologicamente.1 In definitiva, come affermato da Geerz, non esiste
natura umana indipendente dalla cultura, ma l’individualità è sempre un prodotto
dell’organizzazione culturale.
Questi temi, assieme ad altri di carattere più specificamente educativo, didattico e glottodidattico, sono ampiamente trattati nel volume “Parlare, comprendersi, interagire. Glottodidattica e formazione interculturale”, curato da Daria Coppola per Felici Editore, con interessanti spunti interdisciplinari che abbracciano
ambiti di indagine differenti (dalla linguistica alla sociologia, dalla psicologia alla pedagogia e didattica delle lingue e della matematica).
La questione dell’identità e del multiculturalismo è però più ampia, e attiene
alla distinzione tra “cultura una”, relativa a collettività sociali differenti, e “pluralità di culture”. Forse la terminologia più appropriata deriva dalle riflessioni sul
concetto di “metacultura”: sono presenti frames culturali appresi in società, i
soggetti attingono a significati che vanno oltre la contingenza del dato personale
per organizzare il mondo, ed in base a ciò interpretano le particolarità culturali
della propria biografia.
L’organizzazione delle diversità culturali appare un mosaico globale di unità
circoscritte, ma con l’aumento costante delle comunicazioni ed interconnessioni
(i media sono il veicolo principale di produzione e distribuzione culturale) i vari
significati circolano e non possono essere costretti territorialmente. Di conseguenza, nel momento in cui si constata che la cultura diviene socialmente acquisita, le differenze in seno alla collettività emergono in maniera problematica2. Il
sistema-mondo che ne deriva è perciò costituito dall’interscambiabilità, dalle interazioni determinanti l’organizzazione della cultura, che nella sua totalità ricorda
l’Ecumene degli antichi greci3. I singoli soggetti, esseri propriamente culturali e a
loro volta portatori di cultura, sono influenzati e costituiti da questa totalità, che
attiva le percezioni ed i processi cognitivi e che può fornire una riserva costante
d’idee e soluzioni ai problemi. Dove è presente cultura, c’è necessariamente acquisizione culturale e gli uomini in base a questa interagiscono costruendo se stessi.
In un’epoca post moderna, i popoli si mescolano, dando forma ad un modello
pluralistico di rapporti che favorisce l’insorgere di culture nuove e lo scontro tra
1
U. Hannerz, La diversità culturale, Bologna, il Mulino, 2001, p. 9.
Ivi, p. 10.
3
Per i Greci l’ecumene designava l’intero mondo abitato da loro conosciuto.
2
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Irene Psaroudakis
249
quelle precedentemente consolidate. Oggi la maggior parte dei paesi è dunque caratterizzata da intrinseca diversità culturale, al punto che le minoranze e le maggioranze etniche e nazionali si scontrano sempre più spesso su tematiche quali i
diritti linguistici, le politiche per l’immigrazione ecc.: non a caso, nelle sue più
recenti interpretazioni, il multiculturalismo è inteso come prodotto del conflitto
esteso tra comunità e società diverse.
La ricerca illusoria di modelli unici e interconnessi finisce quindi per dover essere abbandonata a favore delle singole identità frammentarie che cercano sì di
amalgamarsi, in armonia le une con le altre, ma che allo stesso tempo tendono a
voler mantenere un’integrità culturale di fondo. Di conseguenza le identità tendono a costruirsi differenziate, composte da altrettanti sé plurali. Una tale trasformazione reca nuove possibilità, in prima istanza il senso d’interculturalità che
attraversa tutto il globo. L’altro lato della medaglia nasce però dalla formazione
di legami disinvolti, frammentari, che rendono difficoltoso un pieno integrarsi tra
le realtà più piccole ed il mondo inteso come tutto. L’interpretazione stessa delle
culture ne emerge complicata, e l’identità che ne deriva è complessa, aperta, flessibile, incerta, e si costruisce e ridefinisce continuamente.
Primo segnale dirompente di tale “deriva” è l’esigenza di comprensione ed interazione linguistica tra i singoli frammenti delle etnie e delle culture che interagiscono; conseguentemente si delinea la necessità di una formazione interculturale che miri a preservare l’identità specifica dei soggetti coinvolti, integrandoli in
un frame condiviso. La molteplicità culturale si manifesta, infatti, a diversi livelli, ed in particolar modo si caratterizza nella dimensione linguistica, essendo il
linguaggio la prima tra le possibilità simboliche di cui l’uomo dispone.
Il termine “multiculturale” è oggi perciò molto popolare, e rimanda alla complessità del termine cultura. Secondo un’accezione più localizzata e comune, la
cultura si esprime come insieme di consuetudini, di punti di vista, dell’ethos di
un gruppo. La cultura sociale tende ad essere territorialmente concentrata e a basarsi su una lingua comune.4 La cultura è, infatti, espressione del sociale proprio
perché implica la condivisione di ricordi e valori, e soprattutto di istituzioni e
pratiche: il vocabolario sociale della vita quotidiana (fatto di tradizioni e consuetudini) si incarna nelle prassi che contraddistinguono la maggior parte delle attività umane, e la comunicazione ne è l’espressione più evidente. La credenza circa
il valore di una pratica è una questione di significati attribuiti dalla cultura stessa.
Di conseguenza, i legami linguistici e culturali sono così forti per la maggior parte delle persone proprio in virtù del ruolo giocato dall’appartenenza culturale nella costruzione dell’identità soggettiva.
La metafora della creolizzazione – così si definiscono le lingue miste, derivate
dall’originale combinazione di più lingue, e che presentano tratti distintivi che
non sono stati ereditati da nessuna di esse – viene utilizzata da Hannerz per il fenomeno della globalizzazione, la quale, allo stesso modo della lingua creola, è
data da un insieme di diversità e d’interconnessioni che rispecchiano la pluralità
di identità tipica delle società complesse. La rappresentazione scritta della lingua
4
W. Kymlicka, La cittadinanza multiculturale, Bologna, il Mulino, 1995.
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creola diviene unica, ma non cancella la presenza continuativa della gamma di
dialetti che la compongono. Così l’Ecumene globale si caratterizza per i processi
culturali che travalicano i rigidi confini territoriali, e che sono la risultante di elementi provenienti da diversi ambiti.
Tutto ha a che fare con un’ottica di “habitat di significato” flessibile, in cui chi
agisce opera e produce trovando intorno a sé risorse a cui attingere: nell’ambito
di una Global Ecumene è possibile condividere habitat diversi di senso, che
coincidono o con singoli individui o con collettività. La similitudine è con un dipinto di Kokoschka, in cui la confusione dei diversi punti di colore è tale che non
si distinguono i particolari, ma complessivamente il quadro denota una struttura
precisa: allo stesso modo dei singoli tratti, anche i distinti gruppi sociali si legano
tra loro in relazioni significative, spesso proprio grazie all’uso del linguaggio5.
Così i significati culturali si organizzano in base a cornici più ampie, quali le
forme-di-vita (il quotidiano), lo stato, il mercato, il movimento.
La presenza in comunità di rapporti interculturali può però, in maniera ambivalente, essere portatrice d’istanze pacificatrici come di conflittualità più o meno
espresse6. La diversità, infatti, può spesso comportare reazioni di resistenza culturale. Ne deriva, come asserisce Bauman, una concezione protettiva della comunità d’appartenenza, la “comunità gruccia” caratterizzata dal senso di rassicurazione e difesa della propria identità. Se la libertà personale tende costantemente
ad aumentare, si verifica, parallelamente allo scioglimento dei vincoli e dei legami, una riduzione dei vincoli sociali di sicurezza: conseguenza ne è una sorta
di “insicurezza cronica”, per cui gli individui affrontano i problemi sociali individualmente, ma contribuendo così ad indebolire la condizione del soggetto7. Si
ha una tendenza a rifugiarsi nella propria identità, affidando alla “comunità gruccia” gli spazi e i meccanismi adatti ad arginare le paure, le ansie, le insicurezze
(sono strumenti le proprie tradizioni, gli usi e costumi, la cultura d’appartenenza,
la lingua). Paradossalmente, il risultato è una sempre maggior parcellizzazione
della conflittualità, opposta alla condizione di libertà posta dalla società odierna.
Tale prospettiva ben s’inserisce nel volume di Daria Coppola. La domanda che
attraversa longitudinalmente tutti i contributi che lo compongono, peculiari in
quanto del tutto interdisciplinari, sta proprio nel comprendere le dinamiche della
costituzione di un sé culturale (e interculturale) nonché sociale: la risposta è nella
capacità di dialogo e comprensione reciproca tra soggetti appartenenti a differenti
sfere sociali, in particolar modo tra “diversi” per lingua e cultura.
Lo strumento indicato è la capacità di una formazione finalizzata all’interculturalità, ad una comunicazione di stampo multietnico, che permetta di trasformare le singole soggettività in un attore collettivo che sia sociale nella sua
dimensione più profonda, ovvero che sia fondato sul legame con l’alterità,
sull’interazione reciproca. Come afferma Geerz, «culture, popoli o gruppi etnici
non sono ammassi definiti dai confini del consenso, ma varietà di partecipazione
5
U. Hannerz, La diversità culturale, cit., p. 105.
Ciucci R., La comunità inattesa, Pisa, SEU, 2006, p. 7.
7
Ivi, p. 34.
6
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ad una vita collettiva, che si svolge contemporaneamente ad una dozzina di livelli
diversi e in una dozzina di dimensioni e ambiti diversi».8 L’identità deve essere
quindi intesa come pratica quotidiana che si esprime attraverso un campo di differenze culturali, che tutte insieme rendono possibile la vita sociale stessa. Per
poter sopravvivere, tali singoli campi devono integrarsi in maniera considerevole,
completandosi ed arricchendosi a vicenda. Ed il linguaggio, quale sistema di
simboli appresi, deve essere inteso come la chiave di volta dell’identità culturale:
attraverso la lingua e la comunicazione si è introdotti all’esperienza collettiva
della società, ed è permesso di dare un significato al mondo circostante.
Punto di partenza è quindi il rapporto dialogico con l’Altro, tema tra i più noti
degli studi di Lévinas: è nell’ambito del discorso che deve essere colta l’essenza
dell’interazione, intesa come potenzialità del ricevere dall’Altro. Se non è possibile superare la frattura irriducibile tra sé e l’Altro, per cui l’incontro appare anche come una tentazione di negazione assoluta, si può invece comprendere
l’alterità, assimilandola a sé ed espropriandola proprio della sua “diversità”. Attraverso tale rapporto comunicativo prioritario, che include reciprocamente la
prospettiva altrui, si costruisce il rapporto tra il sé ed il mondo.
Come riflette Coppola, all’interno dello spazio condiviso comunicativo può
positivamente prendere forma una comunicazione interculturale quale processo,
prassi di negoziazione e scambio continuo d’attribuzione di senso e significato.
La relazione si svolge a differenti livelli: dal più semplice, legato ad una mera esigenza di sopravvivenza, alla presa di coscienza dell’alterità, alla conseguente
capacità di riflessione e comprensione della cultura differente, ad una vera e propria “interiorizzazione” dell’altro. La realtà viene conseguentemente decodificata
in relazione a tali dimensioni, nella messa in gioco degli asset culturali e dei valori di riferimento, dei codici verbali e non verbali, della definizione di un contesto comunicativo.
Punto focale è l’attenzione sempre rivolta ai singoli soggetti e alle loro relazioni che rendono possibile il costituirsi di uno spazio comune all’interno del
quale può prendere forma il riconoscimento reciproco, presupposto della comunicazione interculturale.
Abitare lingue differenti, come afferma Brandi, è sinonimo di vivere in luoghi
diversi: le percezioni sensoriali del situarsi in un dato spazio implicano un preciso modo di attribuire significato a culture, desideri, bisogni. La cognizione sociale è dunque intrecciata all’intersoggettività, e con questa è direttamente coinvolta
nello sviluppo cognitivo e nell’acquisizione del linguaggio. L’attribuzione di
senso agli stimoli è frutto sia della conoscenza trasmessa socialmente, sia della
propria particolare biografia personale: la definizione e negoziazione continua
delle soluzioni deve quindi necessariamente essere posta in un rapporto biunivoco con l’altro, che è irripetibile ed altro di per sé, ma che condivide il comune
mondo intersoggettivo ed interculturale. Il proprio sé, perciò, è «ugualmente e intrinsecamente una congerie di ‘diversi/e’, e si tratta del dialogo fra diversità in
8
Geerz C., Mondo globale, mondi locali, Bologna, il Mulino, 1998, p. 68
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continuo inter-divenire».9 Il dare differenti significati al reale pone infatti una
conflittualità perenne con l’alterità, che impone un riposizionamento ed una crescita reciproca espresse nelle pratiche, nelle percezioni, nel “gioco” delle lingue.
Allo stesso modo, la narrazione del flusso d’informazioni che si riceve, e che
rappresenta nel suo insieme il senso che si dà all’esperienza vissuta, deve confrontarsi e interagire con le narrazioni altrui. Tale processo deve essere valorizzato già nell’ambito della formazione scolastica, per poter considerare le differenze
quale potenziale di risorse e arricchimento reciproco.
La scuola e le metodologie educative – intese come processo di co-costruzione
di un patrimonio condiviso – sono, secondo Paolicchi, i luoghi privilegiati per
favorire le relazioni interculturali e la cooperazione verso scopi comuni10, nel
contrasto di stereotipi e pregiudizi. Spesso a tal fine può rivestire un ruolo fondamentale il “mediatore culturale”, che attraverso opportune competenze comunicative aiuti insegnanti, genitori ed alunni a condividere una cultura
d’appartenenza. L’interculturalità, sottolinea Coppola, può quindi diventare il
“nuovo paradigma educativo”11, servendosi di procedure metodologiche e didattiche che nella scuola promuovano il dialogo ed il confronto, ponendo al centro
la persona e la sua relazione con la diversità.
I vari contributi - in tutto undici suddivisi in due sezioni, una più teorica
(“Comunicazione e formazione interculturale”) e una più di tipo glottodidattico
(“Glottodidattica e italiano L2”), e come si evince altresì dalle sedici schede della sezione III (“Schede didattiche e di approfondimento”), dedicate
all’approfondimento delle parole chiave della comunicazione interculturale e ad
esperienze d’insegnamento di italiano L2 – prefigurano l’identità del sé come elemento cangiante e mutevole. Linea comune è dunque la possibilità di riflessione e di dialogo come presupposto d’ogni interscambio, del racconto di sé e
dell’ascolto, al fine di una possibile intesa: l’espressione comune della necessità
di ricercare una nuova organizzazione del significato dell’agire che fornisca una
forma di coesione nell’attuale società multietnica12.
L’insegnamento delle lingue, la glottodidattica, secondo Coppola, deve tener
conto dei processi d’interazione tra diversi come reciproca influenza e modifica
delle parti coinvolte, all’interno di un processo di insegnamento/apprendimento
che tenga conto della macro cornice lingue/cultura/comunicazione. La didattica e
l’apprendimento diventano le due facce della stessa medaglia che concorrono alla
costruzione del sapere, mediante un procedimento circolare e pluridirezionale,
9
L. Brandi, Tra lingue, culture, e singolarità: la formazione di identità soggettive in divenire, in
D. Coppola (a cura di), Parlare, comprendersi, interagire. Glottodidattica e formazione interculturale, Pisa, Felici Editore, 2009, p. 47.
10
P. Paolicchi, Comunicare e cooperare in contesti scolastici multietnici, in Coppola D. (a cura
di), Parlare, comprendersi, interagire. Glottodidattica e formazione interculturale, Pisa, Felici
Editore, 2009, p. 60.
11
D. Coppola, Formare all’interculturalità: percorsi educativi e buone pratiche per la scuola
multietica, in Id. (a cura di), Parlare, comprendersi, interagire. Glottodidattica e formazione interculturale, cit., p. 70.
12
Hannerz U., La diversità culturale, cit., p. 7.
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Irene Psaroudakis
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evolutivo e preminentemente relazionale. Il processo in ultima istanza si sviluppa
sempre a partire da dinamiche interne ed esterne influenzate dalla soggettività
degli individui coinvolti, dai docenti e dagli apprendimenti. La lingua ed il suo
apprendimento non possono essere astratti dal contesto di riferimento: sia
l’aspetto comunicativo che quello culturale sono indispensabili perché
l’acquisizione linguistica non risulti meccanica ed astratta13; la lingua, infatti, è
sempre e comunque un binomio lingua/cultura.
Ma la lingua/cultura è anche comunicazione, per cui l’interazione in generale,
e in particolare l’interazione didattica, viene ad essere intesa quale «attiva costruzione di uno spazio comune al cui interno è possibile realizzare, negoziare
un’intesa, che è frutto della capacità dialogica e relazionale dei partecipanti».14 In
tale ottica, trova il suo habitat ideale la comunicazione interculturale, il cui presupposto è proprio il superamento d’approcci etnocentrici, verso un arricchimento che solo l’incontro con l’altro può offrire.
“Parlare”, dunque, per comprendere l’altro, al fine di “interagire”, raggiungere
uno scambio reciproco basato sull’empatia che possa accogliere il punto di vista
altrui. Solo il dialogo può conferire alla comunicazione un valore intrinseco, relativo al mutuo riconoscimento, e sviluppare negli individui sia la consapevolezza
della comune responsabilità dell’agire sia la continua ridefinizione culturale del
sé nell’incontro intersoggettivo.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Bauman Z., Dentro la globalizzazione, Roma-Bari, Laterza, 2002.
Bauman Z., Il disagio della postmodernità, Milano, Bruno Mondadori, 2002.
Bauman Z., Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006.
Ciucci R., La comunità inattesa, Pisa, SEU, 2006.
Coppola D. (a cura di), Parlare, comprendersi, interagire. Glottodidattica e formazione
interculturale, Pisa, Felici Editore, 2009.
Geerz C., Mondo globale, mondi locali, Bologna, il Mulino, 1998.
Habermas J., Taylor C., Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Milano, Feltrinelli, 2008.
Hannerz U., La diversità culturale, Bologna, il Mulino, 2001
Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Bologna, il Mulino, 1995.
Levinàs E., Dall’altro all’io, Roma, Meltemi, 2002.
Robertson I., Sociologia, Bologna, Zanichelli, 1998.
Robertson R., Globalization: social theory and global culture, London, Sage, 1992.
Toscano M.A. (a cura di), Introduzione alla sociologia, Milano, Franco Angeli, 2006.
13
Coppola D., L’inter-azione glottodidattica: un approccio dialogico, in Coppola D. (a cura di),
Parlare, comprendersi, interagire. Glottodidattica e formazione interculturale, cit., p. 106.
14
Ivi, p. 112.
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