Spira mirabilis - Società del Quartetto di Milano

Martedì 13 dicembre 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Spira mirabilis
Lorenza Borrani violino
Ursina Braun violoncello
Miriam Caldarini clarineto
Michele Fattori fagotto
Timoti Fregni violino
Simone Jandl viola
Antonio Lagares corno
Antonio Mercurio contrabbasso
Focus Schubert - II
Ottetto per fiati e archi in fa maggiore op. post. 166 D 803
6
Di turno
Mario Bassani
Alberto Mingardi
Consulente Artistico
Paolo Arcà
Con il contributo e il patrocinio di
Franz Schubert
(Vienna 1797 - 1828)
Ottetto in fa maggiore per 2 violini, viola, violoncello, contrabbasso,
clarinetto, corno e fagotto op. post. 166 D 803 (ca. 75’)
I. Adagio - Allegro II. Adagio III. Scherzo. Allegro vivace IV. Andante
V. Menuetto. Allegretto VI. Andante molto
l Anno di composizione: 1824
l Anno di pubblicazione: 1851
L’autocitazione è un elemento poetico caratteristico del mondo labirintico di
Schubert, che spesso confondeva con tortuosi percorsi le tracce della sua
inquietudine interiore. L’Ottetto nasce all’interno di un genere minore, la musica
d’intrattenimento. Nel canone della musica strumentale dell’epoca, in cima alla
piramide artistica stavano la sinfonia, il quartetto e la sonata, poi venivano le
varie forme imparentate con l’antico genere del divertimento e della serenata,
alla quale apparteneva appunto il lavoro di Schubert. Questa natura minore,
per quanto possa sembrare assurdo, ha pesato a lungo sul giudizio critico
dell’Ottetto, considerato per molto tempo di scarso valore artistico. La prima
edizione dell’Ottetto, pubblicato a Vienna nel 1851 dall’editore C.A. Spina come
op. 166, venne infatti ridotta “nel letto di Procuste della struttura ortodossa in
quattro movimenti”, come scrive Maurice J.E. Brown, espungendo due interi
movimenti, quello delle variazioni e il successivo minuetto, vale a dire le parti
più legate alla forma del divertimento settecentesco. Il goffo tentativo di
nobilitare il lavoro di Schubert rivela la difficoltà per la cultura dell’Ottocento
di concepire strade diverse dall’immagine monumentale ed eroica della musica
strumentale legata alla figura di Beethoven. La difficoltà di mettere a fuoco
correttamente la personalità artistica di Schubert non appartiene solo al
passato remoto, ma ha influenzato il giudizio critico in pratica fino ai giorni
nostri. Basta considerare che il primo studio completo sul rapporto tra Lied e
le forme della musica strumentale in Schubert è apparso solo nel 1997.
Il manoscritto autografo dell’Ottetto reca la data 1 marzo 1824. Il primo
biografo di Schubert, Heinrich Kreißle von Hellborn, sostiene che all’origine
del lavoro ci fosse un membro dell’alta nobiltà viennese, il conte Ferdinand
Troyer, un clarinettista dilettante di talento, il quale desiderava che Schubert
scrivesse un’opera sul modello del popolare Settimino di Beethoven. Il conte
partecipava occasionalmente agli incontri musicali che si tenevano in casa di
Sonnleithner, dove l’Ottetto fu eseguito per la prima volta. La prima esecuzione
in pubblico avvenne in ogni caso a Vienna il 16 aprile 1827, in un concerto della
serie organizzata dal violinista Ignaz Schuppanzig. Il programma comprendeva
anche musiche di Beethoven, il ciclo An die ferne Geliebte op. 98 e il Concerto
per pianoforte op. 73, in una trascrizione per quartetto d’archi e due pianoforti.
Il Settimino, scritto nel 1799, è rimasto a lungo una delle opere più amate dal
pubblico, tanto che persino lo stesso Beethoven era diventato insofferente per
questa sua troppo fortunata creatura. Schubert scrive una puntuale parodia del
lavoro di Beethoven. L’Ottetto ricalca il numero e l’ordine dei movimenti del
Settimino, l’organico strumentale (con l’aggiunta, però, di un secondo violino),
persino la fisionomia dei temi. Nel IV movimento, però, Schubert decide di
usare come tema per le variazioni un frammento tratto dal proprio Singspiel
Die Freunde von Salamanca, composto nove anni prima, nel 1815, su testo
dall’amico Johann Mayrhofer. Si tratta di un duetto tratto dall’Atto II,
“Gelagert unter’m hellen Dach”, cantato da due personaggi secondari della
commedia, Diego e Laura. In questa scena, i due giovani s’innamorano ed
esprimono la gioia della loro felicità. Il modo in cui avviene questo fulmineo
corteggiamento è però un po’ particolare. Il testo della commedia è perduto, ma
esiste un resoconto della trama, riassunta da J. Fuchs nell’introduzione al
Singspiel pubblicato nella prima edizione degli Opera omnia. Nella scena
precedente, Diego incontra un mulattiere, che gli porge il suo strumento per
cantare il suo struggente desiderio d’incontrare una donna da amare. Il duetto
si trasforma quindi in una piccola scena idilliaca di questo tipo. Diego, che
ancora non ha visto Laura, canta una tipica canzone pastorale. Laura, nascosta
tra i cespugli, corrisponde i sentimenti del giovane, conquistata dall’incanto
della musica. L’incontro si trasforma in un fulmineo amore a prima vista tra i
due giovani, che dispiegano il loro canto d’amore nella strofa finale. Nella prima
parte del duetto, dunque, lo spettatore assiste a una scena in cui un personaggio
dell’opera canta un Lied, una specie di “musica al quadrato”. Diversi particolari
nel modo di strumentare il movimento, inoltre, dimostrano che Schubert avesse
bene in mente la struttura del numero, quando compose l’Ottetto. Il testo del
Lied di Diego recita: «Disteso all’ombra delle fronde,/ accanto al ruscello
argentino,/ il pastore si strugge per il Bello/ e si lamenta con accenti sognanti».
Il Lied corrisponde al classico stereotipo pastorale, come mostrano le litografie
di Johann Peter Lyser raffiguranti Beethoven, sdraiato accanto al fiume, sotto
le fronde degli alberi, mentre compone la “Scena al ruscello” della Pastorale.
Questa iconografia beethoveniana, ormai affermata già negli anni Venti,
potrebbe suggerire un’interpretazione diversa di una lettera di Schubert a
Leopold Kupelweiser, spesso menzionata, in cui si parla dell’Ottetto: «Ho fatto
poco di nuovo nel Lied – scriveva il 31 marzo 1824 – dal momento che mi sono
dedicato a pezzi per più strumenti. Ho composto 2 Quartetti [la minore D 804 e
re minore D 810] e un Ottetto, e voglio scrivere ancora un Quartetto, soprattutto
mi voglio incamminare in questa maniera sulla strada della grande Sinfonia».
L’affermazione di Schubert stabilisce dunque l’esistenza di un rapporto tra
questa serie di opere, in cui è inserito anche l’Ottetto, e il genere sinfonico. Due
elementi sono importanti da considerare, dunque, per comprendere la scelta di
questa autocitazione. Il primo riguarda la provenienza teatrale del tema, il
secondo l’argomento pastorale del Lied.
Schubert sognava di diventare un compositore d’opera di successo, ma non
riuscì mai a sfondare nel mondo del teatro. Il fallimento di questa aspirazione
fu un’esperienza amarissima per Schubert, che prese coscienza della sua
sconfitta nei mesi precedenti alla stesura dell’Ottetto, con la cancellazione dal
cartellone del Teatro di Porta Carinzia dell’opera Fierabras. Fu anzi qualcosa
di peggio che una cancellazione, dal momento che Schubert aveva composto
l’opera senza un incarico preciso, ma solo sulla base della vaga promessa di una
rappresentazione. L’ultima illusione teatrale di Schubert svanì semplicemente
nel nulla, colando a picco nell’indifferenza di una città completamente ubriaca
della musica di Rossini.
Schubert reagì a questa sconfitta con una violenta ondata di creatività, riversata
sulla musica da camera. Una lettera di Moritz von Schwind a Schober, scritta ai
primi di marzo, descrive uno Schubert in preda a una febbrile attività. La
strada verso la grande sinfonia era lastricata di cocente delusione per la perdita
del suo luogo dell’anima, il teatro. Osservata in questa prospettiva, la citazione
di una musica del suo primo teatro assume un carattere fortemente nostalgico,
tanto più in un ritorno al passato così ambiguo come suggerisce la situazione del
duetto, con l’allusione all’innocenza perduta e al Lied come veicolo dell’illusione
amorosa. Per inciso, al mondo del teatro appartengono anche altre autocitazioni
schubertiane di quel periodo, in particolare l’Intermezzo per il dramma con
musica Rosamunde, Fürstin von Cypern, il cui tema fu impiegato da Schubert
sia per il Quartetto in la minore che per l’Improvviso in si bemolle op. 142 n.3.
L’altra questione riguarda l’argomento pastorale, come si è detto. Qual è il
significato esatto dell’affermazione di volersi “incamminare in questo modo
sulla strada della grande sinfonia”? Quale aspetto di un lavoro come l’Ottetto
poteva soddisfare in qualche modo questa aspirazione? In apparenza la forma
dell’Ottetto ha ben poco a che spartire con l’architettura di una sinfonia classica.
La presenza di due minuetti, l’impiego di un movimento con variazioni,
l’introduzione lenta dell’ultimo movimento sono tutti elementi che riportano a
uno stile ormai caduto in disuso, alla musica “di carattere” del Settecento.
Esisteva tuttavia un modello importante, per collegare l’aspetto antico della
forma con il linguaggio sinfonico moderno, la Sinfonia Pastorale di Beethoven.
Il percorso poetico di Beethoven non è facile da leggere, perché implica
un’interpretazione attenta delle “stranezze” di cui è costellata la Pastorale. In
particolare è difficile ridurre a una griglia unitaria il famoso episodio del
temporale, che contraddice l’ideale classico della forma con l’irrompere del
pittoricismo nel linguaggio sinfonico. La rappresentazione musicale del
temporale introduce un elemento di natura psicologica nel flusso del tempo,
portando con sé il predominio della coscienza e l’allusione a una simbologia
morale estranea agli ideali della sinfonia classica.
Il ponte tra l’Ottetto e la Sinfonia Pastorale poggerebbe su pilastri ben fragili,
se si fondasse solo su una corrispondenza poetica. I rapporti musicali che
stabiliscono un legame tra i due lavori sono molto evidenti: in primo luogo la
tonalità di fa maggiore, poi la fisionomia dell’“Adagio”, attraversato dalla
pulsazione incessante delle semicrome in tempo di 6/8, la presenza di un
movimento in forma di variazioni. Un luogo, tuttavia, acquista una particolare
rilievo nel determinare una relazione tra le due musiche, la stupefacente
introduzione “Andante molto” al finale. Il passo, in cui non a caso Hugo Wolf
sentiva risuonare “un rombo di tuono”, ha notevoli somiglianze con la scena del
temporale della VI Sinfonia. Il carattere sovrannaturale per così dire della
tonalità di fa minore, trova un ulteriore riscontro in una piccola, seminascosta
autocitazione che Schubert inserisce nell’introduzione, tratta da un Lied su
testo di Goethe, Die Götter Griechenlands. Sopra l’agitato tremolo degli archi,
alla massima distanza con il pedale di fa tenuto dal contrabbasso, risuona una
cellula melodica, resa ancor più tagliente dal ritmo puntato, che corrisponde
alle parole del Lied Schöne Welt, wo bist du (O mondo di bellezza, dove sei?). Il
messaggio di Schubert, per chi fosse in grado di comprendere, era chiaro ed
esplicito. La strada della grande sinfonia era seminata di perdite e delusioni.
Oreste Bossini
Beethoven compone la “Pastorale”, litografia di Johann Peter Lyser (1803 – 1870)
Settimino e Ottetto
«Al mondo ci dovrebbe essere un mercato d’arte, dove l’artista non dovesse far
altro che consegnare le sue opere per averne in cambio tutto il denaro di cui
ha bisogno. Ma, così come stanno le cose, un artista deve anche essere in un
certo senso un uomo d’affari» (Beethoven, lettera all’editore Hoffmeister, 1801).
Questa la consapevolezza lucida del musicista che, forse per primo, interpretò
e in parte diresse il proprio tempo e i suoi cambiamenti, tra idealismo e senso
di realtà.
Tra Settecento e Ottocento, il mondo si trasformava radicalmente e le rivoluzioni – francese e industriale – erano i segnali conclamati di un processo che
divenne svolta. Il ristretto e monotono mondo delle corti fu a forza dischiuso a
un universo più ampio e complesso. La borghesia conquistava, dopo il potere
economico, anche quello politico e culturale. Non cambiava solo lo sfondo sociale, ma la nuova realtà diveniva cultura e si vestiva di una propria arte, con un
volto e una consapevolezza inediti.
Nasceva l’estetica come riflessione disinteressata sul bello. L’arte si emancipava
dall’utile, l’artista dall’artigiano. Non si screditava la maestria (l’ars), ma la s’investiva di un diverso impegno.
Nasceva il binomio tra musica d’arte e musica d’uso: l’opera non era più solo
uno dei tanti esemplari di un genere, destinato a una certa funzione (la liturgia,
il ballo etc.), ma ambiva a essere un capolavoro, unico e irripetibile. Il musicista
non era più un maestro di cappella al servizio di una corte o della chiesa ma,
per vivere da libero professionista, doveva interpretare il doppio volto della musica: affermarsi come intellettuale e come “uomo d’affari”. Fiorivano i concerti
pubblici e a sottoscrizione, il mercato degli strumenti e dell’editoria musicale.
Il tranquillo borghese Biedermeier si “dilettava” con la musica, la praticava in
casa (Hausmusik), la ascoltava in salotto (Salonmusik) o nei caffè, e così fino
all’avvento del fonografo. La musica strumentale si affermava insieme a questo
nuovo pubblico, la solida borghesia mercantile. Il celeberrimo Gewandhaus di
Lipsia, sede dei primi concerti pubblici del genere, era letteralmente un “emporio di stoffe e tessuti”. La musica da camera, in particolare, era erede di quella mondanità privata che, per definizione, l’aveva contrapposta alla musica da
chiesa.
In questo contesto, la Vienna, che aveva acclamato e poi ignorato un precoce
intraprendente Mozart, glorificava ora Beethoven e trascurava Schubert - al
punto che un omonimo musicista di Dresda era addirittura più noto agli editori
di quanto non lo fosse il nostro.
La storia della ricezione del Settimino di Beethoven e dell’Ottetto di Schubert
racconta emblematicamente di questo rapporto. Con il loro accostamento di fiati
e archi e la successione libera di movimenti, sono entrambi eredi, nella dimen-
sione privata della musica da camera, di quella spensierata musica en plein air
del Settecento (divertimenti, cassazioni, serenate...), che aveva trovato la sua
massima espressione in Mozart e continuava a essere coltivata ancora da diversi
compositori nei primi decenni dell’Ottocento (Hummel, Spohr, Ries, Reicha…).
Le numerose trascrizioni e riduzioni del Settimino si rivolgevano esplicitamente all’ambiente biedermeier: «I dilettanti si getterebbero come api sul miele, e
sono sicuro che ne sarebbero assai soddisfatti» (Beethoven).
Ed è proprio un clarinettista dilettante, conte Ferdinand Troyer, a commissionare a Schubert l’Ottetto nel 1824, su esplicito modello del Settimino, con il raddoppio del violino. Enorme il successo editoriale del primo, pubblicazione postuma dell’Ottetto, edito completo soltanto nel 1872. Questa la cifra della fortuna
opposta dei due compositori, diverso l’atteggiamento nei confronti degli editori.
Beethoven dettava le proprie condizioni - «Per il momento Le offro le seguenti
composizioni: un Settimino [...] 20 ducati» -, Schubert elemosinava attenzione:
«Egregi signori, nella speranza che il mio nome non vi sia completamente sconosciuto, vi scrivo con la massima umiltà per chiedervi se siete disposti ad accettare, a condizioni ragionevoli, alcune delle mie composizioni, dato che sono molto
desideroso di farmi conoscere in Germania quanto più è possibile» (lettera all’editore Breitkopf & Härtel, 1826).
È ormai leggendaria la sua poca fortuna di musicista in vita, schiacciato dall’ombra incombente di giganti come Beethoven e Rossini, padroni incontrastati delle
sale da concerto e dei teatri d’opera. Molte le spiegazioni addotte: una vita breve, un carattere introverso, una musica difficile.
Forse, con un po’ di suggestione, potrebbe essere proprio Beethoven a suggerire una risposta.
Insofferente del successo del suo Settimino, intuì precocemente quella contraddizione tra fortuna e valore artistico dell’opera, che divenne poi stigma del martirio dell’artista romantico: «c’è molta fantasia nel mio Settimino, ma così poca
arte...», commenterà. Con la sua autorevolezza, Beethoven investiva anche la
musica da camera di impegno e complessità, traghettandola dalla dimensione
privata a quella pubblica della sala da concerto. I suoi ultimi avveniristici quartetti vennero tacciati dai contemporanei di essere astrusi e troppo complessi, e
vennero assimilati – musicalmente e concettualmente – solo molti decenni più
tardi.
Tale contraddizione, però, più che essere connaturata al destino infelice dell’artista incompreso che profetizza al vento, è forse insita nella dimensione borghese dell’arte. Il successo di per sé non è né menzognero né garanzia di qualità. «...
ed io mi auguro che, se le opere d’arte possono procurare dei guadagni, questi
vadano ai veri, autentici artisti piuttosto che a semplici mercanti» (Beethoven).
Maria Grazia Campisi
Allieva del Biennio di musicologia del Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Spira mirabilis
Spira mirabilis è un ensemble che nasce nel 2007 da un progetto affascinante
e innovativo, all’interno della nuova generazione di musicisti europei. Prende
il nome dalla “spira mirabilis”, una figura geometrica che, per le leggi
matematiche che la definiscono, gode di una particolare proprietà: di
qualunque dimensione essa sia, risulta sempre sovrapponibile a se stessa.
L’idea della violinista Lorenza Borrani, spalla della Chamber Orchestra of
Europe, e subito sposata da moltissimi colleghi sparsi nelle migliori orchestre
di molti Paesi, è stata quella di ritrovarsi a cadenza regolare con l’unico scopo
di studiare assieme e di approfondire il repertorio di musica da camera e
sinfonica senza l’obiettivo specifico di produrre concerti. La concertazione dei
brani scelti è condivisa democraticamente tra tutti i musicisti. Il piccolo
comune di Formigine, in provincia di Modena, ha offerto loro una residenza
stabile.
Tappe fondamentali sono i progetti su repertorio classico su strumenti
originali e le master class con esperti del linguaggio barocco e classico
(Lorenzo Coppola, Malcom Bilson, Jörg-Andreas Bötticher) e romantico
(Heinz Holliger) volti alla creazione di un bagaglio di conoscenze comune a
tutti i musicisti.
Dalla sua fondazione Spira mirabilis si è rapidamente affermata sulla scena
musicale come un fenomeno unico, e ha già all’attivo 60 progetti con residenze
in Italia, Germania, Spagna, Francia, Inghilterra, e concerti a Londra (Shell
Series alla Queen Elizabeth Hall), a Brema (Musikfest Bremen), Amburgo
(Elbphilharmonie Konzerte), Roma (Accademia Filarmonica Romana),
Parigi (Salle Pleyel, Cité de la Musique), Essen, Istanbul, Berlino, Aldeburgh
Music Festival.
Nel 2010 l’Orchestra ha meritato il “Förderpreis Deutschlandfunk”, premio
delle radio tedesche per la migliore promessa del panorama musicale, ed è
stata nominata “Ambasciatrice della cultura europea” per l’anno 2012. Il
documentario “La Spira” realizzato da Ideal Audience ha vinto il premio per
il miglior Educational Film al trentesimo FIFA Awards in Montréal.
Nel 2014 Spira mirabilis ha allargato il suo repertorio anche alla musica
contemporanea grazie alla collaborazione e amicizia con il compositore Colin
Matthews che gli ha dedicato la composizione di “Spiralling”, su commissione
del Festival di Aldeburgh in Inghilterra, dove è avvenuta la prima esecuzione.
Nella primavera del 2015, con l’esecuzione della Nona Sinfonia, Spira mirabilis
ha completato il ciclo delle sinfonie di Beethoven, un ciclo durato otto anni e che
di fatto ha costituito la spina dorsale del percorso musicale del gruppo.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Prossimo concerto:
Martedì 20 dicembre 2016, ore 20.30
Basilica di San Simpliciano
Amsterdam Baroque Orchestra & Choir
Ton Koopman direttore
Matha Bosch soprano
Maarten Engeltjes alto
Tilmann Lichdi tenore
Klaus Mertens basso
Bach per il Natale: dall’Oratorio e altre Cantate
- Cantata “Jauchzet, frohlocket, auf preiset die Tage”
dall’Oratorio di Natale BWV 248/I
- Cantata “Darzu ist erschienen der Sohn Gottes” BWV 40
***
- Cantata “Sie werden aus Saba alle kommen” BWV 65
- Cantata “Herrscher des Himmels, erhöre das Lallen”
dall’Oratorio di Natale BWV 248/III
Il tradizionale concerto di Natale del Quartetto è affidato quest’anno a un
compagno di strada di lunga data della nostra Società, Ton Koopman, che torna a
Milano con la sua formazione storica. La musica di Bach, scelta tra le Cantate
scritte per le feste natalizie, aiuterà a ricordare anche un altro nostro compagno di
strada, il fotografo Vico Chamla, che ci ha lasciato qualche settimana fa e a cui il
concerto è dedicato. Vico ha lasciato innumerevoli ritratti di Ton Koopman, di cui
era amico fraterno, nel corso di tanti anni di concerti tenuti al Conservatorio, nelle
Chiese e al Monastero di San Maurizio. I suoi scatti riuscivano a cogliere la gioia
del far musica e l’amore per il mondo di Bach che Koopman ha sempre comunicato
nelle sue esecuzioni, che quest’anno sono accompagnate dagli auguri per un
nuovo anno di pace e serenità per tutti.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24
20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - [email protected]