28/2 INTRODUZIONE AL CORSO Differenza tra: • Istituzioni di diritto privato: nel corso si studiano le nozioni fondamentali della materia, affrontando quasi tutto il diritto privato con un taglio generico ed “orizzontale”. • Diritto civile (dc): esame “verticale”, dove si studiano solo uno o due argomenti in modo puntuale e specifico. Compravendita di eredità. Una cinquantina di anni fa nel corso di diritto civile della nostra facoltà si studiava la compravendita di eredità, argomento molto puntuale e specifico, ma di rarissima applicazione pratica. Distinzione forse non più attuale. La distinzione tra istituzioni di diritto privato e dc nacque con la formazione degli ordinamenti delle facoltà di giurisprudenza nella prima metà del ‘900, distinzione che oggi potrebbe suscitare qualche dubbio quanto alla sua attualità, infatti: • Diritto domestico. La suddetta distinzione era figlia di un modo di concepire l’ordinamento come un sistema tendenzialmente nazionale, a cui poco interessava ciò che avveniva al di là dei confini. • Scarsa rilevanza della pratica. Al tempo gli studiosi di diritto costruivano idee, concetti e categorie dedicando poca attenzione al mondo degli operatori. Oggi tutto ciò non è più vero: • Il nostro diritto non vive più di sole fonti nazionali: o L’80% degli atti aventi forza di legge ha matrice comunitaria. o Convenzioni internazionali regolano fenomeni sovranazionali. → Il nostro non è più un ordinamento chiuso. • La rilevanza della giurisprudenza è crescente: molto più spesso gli studiosi si confrontano con quanto avviene nel mondo attraverso il filtro della giurisprudenza. Il filtro della giurisprudenza non è aggiornato, poiché decide avvenimenti accaduti diversi anni prima (il tetto massimo di un processo tollerabile si dice che sia 3 anni per grado). Rimane il corso di diritto civile forse per la centralità del tema, ciò è confermato dal fatto che in Italia solo l’8% degli avvocati sono penalisti. Argomenti del corso. Oggi non studiamo più la compravendita di eredità perché è un argomento di scarsa applicazione pratica ed è rigidamente domestico. Il corso si concentrerà su 2 figure contrattuali tipiche che sono tra le più diffuse ed importanti: • 1° modulo: contratto di vendita, • 2° modulo: contratto di locazione. Ragioni della scelta di questi due argomenti. • Rilevanza concreta: si tratta di contratti che hanno una rilevanza significativa nella pratica, cioè in termini economici. • Rilevanza in termini scientifici e didattici: 1) sono contratti regolati da una pluralità di fonti; dunque non si guarderà solo a quanto dice il cc secondo una visione “municipale”. o VENDITA: cc (fonte interna), codice del consumo (fonte di matrice comunitaria), convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (fonte sovranazionale). o LOCAZIONE: c’è una pluralità di fonti, ma è modesta la fonte sovranazionale poiché le locazioni sono molte collegate al bene, solitamente immobile. Ma anche sul piano interno vi è un sistema di fonti variegato: cc. serie ricchissima di leggi speciali (es. locazione di immobili ad uso abitativo e non) provvedimenti di natura regolamentare. 1 2) Inoltre la disciplina della vendita non interna è interessante perché è costituisce probabilmente la futura disciplina del contratto di vendita, e forse anche del contratto in generale, a livello europeo. Esercitazioni su 2 filoni: costruzione di testi contrattuali e visita all’ufficio tavolare. Materiale: • cc. (De Nova, Zanichelli). • Convenzione di Vienna (abbr. cdv): da studiare anche in inglese (all’esame sarà richiesta la traduzione in italiano partendo dalla lettura degli articoli in inglese), • Manuale di Privato, • Per il 1° modulo: Luminoso, “La Compravendita”, VI edizione. Ricevimento il lunedì dalle 17 alle 20. 2/01 La scelta del tema “vendita” è dovuta da una molteplicità di ragioni, vediamole in modo più analitico. 1) RILEVANZA ECONOMICA DEL FENOMENO: • non solo nel senso che la vendita è un contratto frequente, • ma anche che la figura contrattuale della vendita ha una molteplicità di oggetti potenziali. La vendita può avere ad oggetto: • beni mobili • beni immobili • crediti. Il credito può essere oggetto di una cessione, che di principio è libera perché il creditore può sempre trasferire la propria posizione soggettiva attiva a terzi, e il trasferimento del credito può avvenire a titolo di vendita. Si tratta di una figura molto frequente nella pratica soprattutto riguardo a crediti che non sono esigibili nell’immediato ma che diverranno esigibili in un momento futuro. La vendita è un contratto che si applica insieme alle norme sulla cessione dei crediti (libro IV cc., artt. 1260 e ss). • partecipazioni societarie. Le norme sulla vendita si applicano anche alla circolazione delle partecipazioni societarie, ad es. si può trasferire una partecipazione al capitale di una società, soprattutto se incorporata in un’azione o se corrisponde ad una quota di una srl. • diritti su beni immateriali, ad es. si possono vendere i diritti patrimoniali per lo sfruttamento di un’invenzione (alla vendita dei brevetti si applica una disciplina singolare in parte dettata dal codice sulla proprietà industriale). Molteplicità di discipline. La varietà di oggetti implica che vi sia una molteplicità di discipline, essendo ragionevole che in relazione ai singoli beni vengano dettate discipline singolari o speciali. La molteplicità dei caratteri attesi, sperati dall’acquirente, esige una molteplicità di strumenti di tutela. → Insomma tanti beni, tante aspettative, tanti strumenti di tutela. APPROFONDIMENTO CIRCA LA CIRCOLAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI SOCIETARIE. Al riguardo la nostra disciplina sulla vendita presenta delle criticità. Nel vendere partecipazioni societarie: • Sul piano giuridico si trasferiscono partecipazioni di un capitale, cioè la qualità di socio → sul piano formale l’oggetto (immediato) della vendita è la partecipazione. • Nella realtà sostanziale molto spesso quando si trasferisce la partecipazione di controllo di una società si intende trasferire l’insieme di beni compresi nel patrimonio della società (l’azienda che fa capo alla società) → sul piano sostanziale l’oggetto (mediato) del trasferimento è l’insieme dei beni che corrispondono all’azienda della società. In altre parole se la società è proprietaria di un albergo, se io vendo le mie partecipazioni di 2 maggioranza al capitale di quella società nella sostanza trasferisco il controllo sull’albergo. La nostra disciplina sulla vendita di beni (in generale, non relativa alle partecipazioni societarie) attribuisce al compratore alcune tutele, ad es: • Garanzia per evizione: il compratore deve essere garantito se il bene non è proprietà del venditore (tu mi vendi una cosa che non è tua, se scopro che non è tua dovrai in qualche misura rispondere nei miei confronti). • Disciplina dedicata ai vizi della cosa: se la cosa venduta presenta dei vizi occulti, cioè sconosciuti al compratore, e che hanno una qualche rilevanza, l’acquirente ha diritto a chiedere una riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Questi rimedi che hanno per oggetto la garanzia per vizi nel nostro ordinamento sono costruiti secondo uno schema che deriva dalla tradizione romanistica. Vi sono dei termini molto stretti per: o prima la denuncia dei vizi → entro 8 giorni dalla scoperta (termine di decadenza) o e poi per l’azione in giudizio → entro 1 anno dalla consegna della cosa (termine di prescrizione). Differenza tra: • Decadenza: corrisponde al mancato acquisto di un diritto a causa di un’inerzia (io non acquisto un diritto perché poltrisco). Non è soggetta né a cause di interruzione né a cause di sospensione. • Prescrizione: causa di estinzione di un diritto di cui si è già titolari perché si poltrisce. Regola pratica per distinguere i due istituti: i termini fino ad 1 anno sono di decadenza, dall’anno in su sono di prescrizione. Tornando alla circolazione di partecipazioni sociali. Cosa succede se chi compra l’80% della società che è proprietaria di un albergo dopo qualche mese scopre che esso è privo dell’agibilità (ad es. mancano dei permessi sanitari) e deve chiudere l’albergo? Che tutele può invocare il compratore? • Il compratore può pensare che, poiché il bene che è nel patrimonio della società è viziato (l’albergo è inidoneo all’uso), siano viziate di conseguenza anche le partecipazioni sociali, e dunque penserà di ricorrere alle tutela del compratore nella vendita. • La Corte di Cass. è di diverso avviso, perché l’oggetto della vendita erano le partecipazioni, non il bene che faceva parte nel patrimonio della società. La srl è un soggetto dotato di individualità e con autonomia patrimoniale perfetta. • Nella prassi questo problema si risolve ricorrendo all’autonomia privata (la quale conosce i contratti atipici e a fortiori anche le condizioni atipiche rispetto ai tipi contrattuali): si prevedono delle garanzie convenzionali nel contratto di vendita che si aggiungono alla struttura tradizionale. In forza di tali garanzie convenzionali il venditore si impegna a garantire i beni facenti parte del patrimonio della società risponde a determinati requisiti. È un problema molto complicato sul piano dell’operatività delle garanzie: bisogna determinare che cosa si garantisce, a quali condizioni, per quanto tempo, in presenza di quali presupposti ecc. • Atteggiamento singolare della giurisprudenza di fronte alle garanzie convenzionali: sostiene che alle garanzie convenzionali si applicano i termini di decadenza e prescrizione di cui sopra quanto alla denuncia del vizio e quanto all’azione. → Anche se ho una garanzia convenzionale circa le qualità dei beni compresi nel patrimonio della società dovrei denunciare la scoperta entro 8 giorni e agire entro 1 anno. Soluzione molto discutibile, sbagliata secondo Padovini, ma che due anni fa è stata applicata dalla Corte d’Appello di Milano. 2) RILEVANZA NEI RAPPORTI INTERNAZIONALI. La vendita ha rilevanza anche perché è un contratto molto frequente nei rapporti internazionali, mentre quello di locazione ha rilevanza prevalentemente domestica. 3) MOLTEPLICITÀ DI FONTI. Le principali fonti della disciplina dedicata alla vendita sono: 3 • • • • • • Codice civile, artt. 1470 - 1547: o Artt. 1470 - 1509: norme generali tendenzialmente applicabili a tutti i contratti di vendita; o Artt. 1510 - 1536: vendita di cose mobili; o Artt. 1537 - 1541: vendita delle cose immobili; o Artt. 1542 - 1546: vendita di eredità. Codice del consumo: contiene agli artt. da 128 a 135 una disciplina analitica dedicata alla vendita dei beni di consumo. Convenzione di Vienna in materia di vendita internazionale dei beni mobili. o Sottoscritta nell’aprile 1980. o Legge di autorizzazione alla ratifica nel 1985. o Entrata in vigore il 1° gennaio 1988. Differenza tra: o Sottoscrizione: rappresenta l’adesione del nostro Stato in termini di rapporto sul piano internazionale, o Ratifica: dopo un’apposita legge di autorizzazione alla ratifica, questa consiste nel deposito di un atto con il quale il governo dice che “sta bene” la sottoscrizione in precedenza operata. o Entrata in vigore: si intende l’entrata in vigore della convenzione internazionale, che avviene solitamente quando è raggiunto un certo numero di sottoscrizioni e ratifiche previsto nella convenzione stessa. Leggi speciali che regolano singole figure/sottotipi di vendita, ad es. il d.lgs. 122/2005 detta una disciplina specificamente pensata per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti degli immobili da costruire. La disciplina è pensata all’acquirente nel senso di compratore o promissario acquirente, e vuole tutelare in modo forte chi stipula un contratto preliminare di acquisto immobiliare o un contratto di compravendita, per l’ipotesi che egli versi i suoi acconti e non si veda trasferita la proprietà del bene. Singole norme che toccano l’uno o l’altro profilo della vendita o che richiamano l’uno o l’altro profilo di questo contratto. o Norme della legge fallimentare dedicate alla vendita. Tale legge si occupa anche dei rapporti pendenti al momento del fallimento, cioè di cosa succede di un contratto che non sia integralmente eseguito da entrambe le parti: l’art. 72 fissa il principio generale secondo cui il rapporto pendente si sospende per effetto del fallimento, potendo il curatore decidere se subentrare e proseguire o sciogliere il rapporto. L’art. 73 è invece specificamente dedicato alla vendita con riserva della proprietà. o Norme del cc non etichettate come “norme sulla vendita”, che tuttavia incidono in modo diretto sulla sua disciplina, sono cioè norme che postulano la vendita e si applicano alla vendita: NORME SUI CONTRATTI CON EFFETTI REALI (contratti che hanno efficacia traslativa), le quali fissano il principio consensualistico (artt. 1376 - 1378). NORMA DEDICATA AL TRASFERIMENTO DEL RISCHIO DEL PERIMENTO DELLA COSA VENDUTA (art. 1465), norma che non si trova nella vendita, bensì tra le norme sui contratti in generale, in particolare in materia di risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Da ricordare che esistono tre forme di risoluzione: per inadempimento, per eccessiva onerosità e per impossibilità sopravvenuta. Le prime due di principio operano solo con l’intervento del giudice, cioè è necessaria la pronuncia giudiziale, mentre la terza opera automaticamente, di diritto. Norme circa figure contrattuali tipiche che si integrano con la disciplina della vendita. Cioè la vendita ha una capacità espansiva, si applica anche a tipi contrattuali diversi che la richiamano (e che dunque si ritrovano regolati sia da norme specifiche sia da quelle sulla vendita). Es. contratto di somministrazione: contratto di durata con cui il somministrante si obbliga a fronte 4 • • di un prezzo a eseguire a favore dell’altra parte prestazioni periodiche o continuative di cose o di servizi (es. contratto con cui ENI fornisce il gas). Gli artt. 1559 - 1570 in tema di somministrazione si occupano per lo più delle singolarità di questo contratto, regolando in particolare i profili della durata (es. si prevede il recesso se è a tempo indeterminato, sono previsti meccanismi di sospensione in caso di pericolo di inadempimento, ecc.), e l’art. 1570 prevede che “si applicano alla somministrazione, in quanto compatibili con le disposizioni che precedono, anche le regole che disciplinano il contratto a cui corrispondono le singole prestazioni”. → Se la somministrazione ha ad oggetto cose specificamente individuate si applicano anche le norme sulla vendita (in materia di trasferimento della proprietà, consegna, garanzia per vizi ecc.). I cd. contratti di fornitura che vengono conclusi tra le imprese altro non sono che contratti di somministrazione. Es. permuta: contratto con cui si scambia la proprietà di due o più cose. Ex art. 1555 le norme sulla vendita si applicano alla permuta in quanto compatibili. Norme dedicate ad altre figure contrattuali che richiamano singole discipline della vendita (cioè non si limitano a dire che si applicano insieme le norme della vendita in quanto compatibili). Es. nelle società i soci sono tenuti a eseguire i conferimenti (prestazioni eseguite dai soci a fronte delle quali si acquista la qualità di socio, e la somma dei valori dei conferimenti rappresenta il capitale della società). I conferimenti possono essere in denaro, beni o servizi. Se il conferimento ha per oggetto beni (es. il conferente trasferisce la proprietà di un immobile) si pone un problema di garanzia per i vizi della cosa conferita, e qui la legge stabilisce che al conferimento in piena proprietà di un bene si applica la disciplina dettata dalla vendita in materia di garanzia e di rischi. Fonte consuetudinaria. L’uso è frutto di una fonte-fatto (contrapposta alla fonte-atto), ed è un comportamento tenuto nel tempo con la convinzione di adempiere ad un dovere giuridico. Le camere di commercio curano delle raccolte di usi ogni quinquennio. L’inserzione di una consuetudine nella raccolta determina una presunzione di esistenza e di vigenza della consuetudine; si può provare l’intervenuta desuetudine e che esiste una consuetudine ulteriore. Le consuetudini sono tantissime in materia di vendita, molte in materia di locazione. Ex art. 8 Prel. gli usi si applicano nelle materie non regolate dalla legge, che in pratica non ci sono, o dove da questa richiamati. o Integrazione degli effetti del contratto. Gli usi sono richiamati in termini generali dalle norme sul contratto dall’art. 1374 cc. in materia di integrazione degli effetti del contratto, ma è soprattutto la disciplina sulla vendita a fare un richiamo intenso alla consuetudine. o In materia di effetti della garanzia per vizi: ex art. 1492 cc. certi effetti possono essere regolati oppure no dagli usi. o La vendita degli animali è regolata da leggi speciali o da consuetudini (art. 1496). o In materia di pagamento del prezzo l’art. 1498 prevede che gli usi possano individuare il momento del pagamento del prezzo. o Consegna del bene. Gli usi possono individuare il luogo della consegna del bene venduto ex art. 1510. o Garanzia di buon funzionamento. Gli usi possono configurare una garanzia di buon funzionamento nel tempo della cosa venduta al di fuori di pattuizioni espresse (art. 1512). 4) DUPLICITÀ DI MODELLI. I modelli di vendita posti alla base delle singole discipline (cioè le idee di chi ha concepito la disciplina sulla vendita) sono essenzialmente due nel nostro ordinamento. • Modello storico, tradizionale, quello che risale alla tradizione romanistica che troviamo nel Code civil, e dunque nel codice civile italiano unitario (1865) e in quello attuale (1942). Il modello storico che si ispira all’idea della vendita individuale, cioè alla vendita intesa come la vendita di un bene singolo, singolarmente individuato (es. il gioiello che viene prodotto apposta per l’acquirente). 5 • Modello moderno, opposto, seguito dal cod. del consumo e dalla cdv. Tal modello ha per oggetto principalmente: o beni individuati solo nel genere o o beni singolarmente individuati frutto di una produzione di massa (es. se compro un cellulare compro uno tra le migliaia di esemplari esistenti di quel modello). La principale differenza tra i due modelli riguarda la disciplina della garanzia per vizi: • il modello tradizionale (dove si compra il singolo bene per la singola occasione) prevede come strumenti di tutela del compratore solo: o riduzione del prezzo o o risoluzione del contratto, ma non prevede la riparazione (es. è difficile immaginare di riparare un gioiello singolo, che non ha prodotto il venditore). • il modello moderno invece prevede come strumento principale in caso di vizi la riparazione del bene venduto Tendenze. La disciplina sulla vendita diventa un modo per conoscere le tendenze del nostro ordinamento, cioè “dove va” il diritto privato; nel senso che nel corso studieremo sia la regola tradizionale sia la regola moderna e del futuro. In altri ordinamenti il sistema moderno (quello della cdv e del cod. del consumo) è diventato il sistema generale. Ad es. in Germania all’inizio degli anni 2000 si è realizzata la cd. modernizzazione del diritto delle obbligazioni, modificando radicalmente tutta la disciplina sulla vendita (che era simile alla nostra) adottando il modello della cdv come modello generale. 7/3 Tante sono le fonti concorrenti che disciplinano la vendita, dunque bisogna affrontare il tema dei rapporti tra le singole discipline: rapporti tra cc e cod. cons., cc. e cdv, cc. e leggi collegate. Questo tema si intreccia con l’altro tema dell’ambito di applicazione di ciascuna fonte. L’ambito di applicazione potrà essere tendenzialmente generale e illimitato o viceversa confinato entro determinati ambiti. Il principio generale è quello in virtù del quale la disciplina speciale prevale sulla disciplina di tipo generale, cioè laddove concorrono a disciplinare la stessa fattispecie sia una fonte generale sia una regola specifica di principio prevale la regola speciale. → La regola fondamentale in tema di rapporto tra fonti è che la regola generale prevale sulla regola speciale. Cc: ha un ambito di applicazione tendenzialmente illimitato, non contiene di principio limitazioni di tipo oggettivo al suo ambito di applicazione, e cioè di principio il cc si applica a tutte le vendite qualunque ne sia il bene concretamente utilizzato. Sul piano soggettivo il cc è ispirato all’idea di uguaglianza formale, e ciò significa che tutte le norme si applicano tendenzialmente a tutti i soggetti (uomini e donne ecc.). Tema delicato, ad es. la Corte di giustizia di recente ha affermato in tema di assicurazioni si è posto il problema se è legittima una differenziazione tariffaria che tenga conto del sesso, la Corte ha detto che la statistica non interessa per nulla, e che sono importanti i valori, dunque il principio di non discriminazione, e dunque ora tutti devono pagare uguale. Il cc. contiene norme di applicazione genericamente illimitata, cioè contiene una disciplina che si applica sempre senza limiti intrinseci, dunque corrisponde ad una disciplina di portata generale la quale può essere superata solo dinanzi ad una disciplina di tipo speciale. In realtà questo principio secondo cui le norme del cc si applicano sempre salvo non via sia una norma speciale è un’affermazione non del tutto corretta perché la stessa disciplina sulla vendita del cc. si suddivide in 4 sezioni: 1) disposizioni generali sulla vendita, e queste sono sì norme che si applicano tendenzialmente a tutti i contratti di vendita 2) vendita di beni mobili 3) vendita di beni immobili 4) eredità .Queste sono normative di applicazione tendenzialmente generale, senza limiti, ma con riguardo ai beni che intendono governare. 6 Molto diverso è la disciplina dettata dal cod. del consumo, che dedica alla vendita pochi artt., dal 128 al 135, dedicate alla garanzia di conformità per i beni di consumo. Questa disciplina presenta una serie di precisi ambiti di applicazione, sia sull’ambito soggettivo che oggettivo, dunque questa disciplina non si applica a tutte le vendite e non si applica a tutte le vendite quali ne siano le parti. Ambito oggettivo: art. 128 cod. cons. dice che questa disciplina si applica ai beni di consumo, ma qui i beni di consumo corrisponde una definizione data al 2° comma: “beni di consumo è qualsiasi bene mobile”, quindi la disciplina dettata dal cod. cons. ha di base un’applicazione limitata ai beni mobili. Lo stesso art. 128 dice che questa nozione di beni mobili non sono tutti oggetto di questa disciplina perché ci sono alcune eccezioni, che sono singolarmente individuate perché per una parte trovano la loro ragione nel contenuto del bene, altre volte l’esclusione dall’ambito di applicazione deriva dalle modalità di vendita. Art. 128.2 a) nn. 2 e 3 escludono dalla nozione di bene mobile ai fini di questa disciplina l’acqua e il gas quando non siano confezionati, nonché en. elettrica. L’idea è che questa disciplina si applica ai beni mobili corporali, cioè che hanno una corporalità immediata. Inoltre non sono beni di consumo i beni che sono oggetto di vendita forzata ad opera dell’autorità giudiziaria qualsiasi sia la modalità di esplicazione della vendita forzata (vendita forzata con o senza incanto, procedura concorsuale ecc.). Sono beni mobili di consumo anche i beni usati, la disciplina si applica anche ai beni di seconda mano con una limitazione (art. 128.3): tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo limitatamente ai difetti non derivanti dall’uso normale; si intende che si applica questa disciplina solo ai vizi rilevanti, non quelli derivanti dalla vetustà. Stanno fuori tutti i beni immobili. Sul piano soggettivo tutta la disciplina del cod. cons. su un piano generale non si applica a qualunque interlocutore ma solo ai cd. contratti b2c (business to consumer), in altri termini la disciplina si applica ai contratti tra professionisti e consumatori. La nozione di professionista e consumatore è una definizione tendenzialmente generale che si applica a tutta la disciplina dettata dal cod. cons. e si trova tra le disposizioni generali dal cod. cons., art. 3, che individua le definizioni dei termini utilizzati dal cod. cons. Qui c’è la definizione di consumatore: “persona fisica che agisce per scopi estranei ad una attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Il primo requisito è che si tratta di persona fisica, dunque non sono consumatori i soggetti diversi dalla persona fisica che non sono imprenditori (comitati, fondazioni e associazioni). Questi enti privati anche se non svolgono attività commerciale non sono consumatori. Dunque l’idea è che la protezione deve tutelare la persona fisica, non il gruppo di persone fisiche comunque organizzato. Inoltre occorre l’estraneità all’attività di impresa o professionale, cioè rileva sia qualsiasi attività d’impresa (agricola o commerciale, grande o piccola impresa) ed è altrettanto esclusa l’attività professionale (si intende l’attività del libero professionista). È una nozione molto ampia di impresa o di lavoro autonomo. La definizione di professionista (art. 3): professionista non è solo il libero professionista, ma è la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale. Cioè il professionista è chiunque svolga attività di impresa o libero professionale in forma individuale o in forma organizzata collettiva. Si parla di persona giuridica, ma si intende sicuramente ente privato con o senza personalità giuridica. Dunque il cod. cons. non si applica ai rapporti tra consumatori , né di principio si applica ai rapporti tra professionisti. A questa disciplina generale corrisponde una disciplina speciale quanto ad ambito di applicazione che è dedicata specificamente alla vendita. L’art. 128 in materia di vendita quanto ad ambito, cioè quanto ad ambito di beni cui si applica questa disciplina, contiene anche una regola circa l’ambito soggettivo di applicazione. Art. 128.2 b) la qualità di venditore rilevante è riconosciuta a qualsiasi persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale utilizza contratti di vendita. Cioè la nozione di venditore che individua l’ambito soggettivo di applicazione di questa disciplina corrisponde alla nozione di professionista contenuta all’art. 3. Per la verità la lettera b) art. 128.2 è diversa dall’art. 3 cod. cons. perché non richiama l’attività commerciale e artigianale, ma si tratta di una mera questione di mancato allineamento normativo, perché la locuzione “commerciale, artigianale” che si trova all’art. 3 c) è stata introdotta nel 2007 con una novella al cod. cons. con cui il legislatore si è dimenticato dell’art. 128, ma non ci sono dubbi nel senso che la nozione di venditore corrisponde alla nozione di professionista. La disciplina del cc. sulla vendita ha due limitazioni quanto ad ambio di 7 applicazione: sul campo oggettivo si applica solo ai beni mobili con le precisazioni di cui sopra, sul campo soggettivo si applica solo ai rapporti tra professionista e consumatore. L’oggetto di questa disciplina è un oggetto relativamente limitato: questa disciplina si occupa in sostanza dei vizi della cosa venduta, cioè difetto di conformità della cosa venduta e dei rimedi a favore del consumatore. Per quello che il cod. cons. non regola si applica la disciplina generale del cc., anzi il cod. cons. precisa che la disciplina da esso dettata non è alternativa alla disciplina dettata dal cc., in realtà la disciplina dettata dal cod. cons. non è una disciplina che esclude l’applicazione delle regole generali del cc., qui cioè il principio di specialità non vale ad escludere - nemmeno dove il cc detti una disciplina per lo stesso fenomeno - l’applicazione del cc. Questo è detto in modo inequivoco dall’ultima norma dettata dal cod. cons. in materia di vendita, art. 135, che contiene due commi, che corrispondono a due regole dedicate ai rapporti con il cc. Art. 135.2: per quanto non previsto dal presente titolo si applicano le disposizioni del cc in tema di vendita, cioè tutto ciò che non è garanzie per i vizi della cosa è regolato dal cc in virtù di un espresso riconoscimento operato dall’art. 135 . Art. 135.1: le disposizioni del presente capo non escludono né limitato i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell'’ordinamento giuridico: ciò significa che la disciplina del cod. cons. ha carattere aggiuntivo rispetto alla disciplina dettata dal cc e da altre norme dell’ordinamento. Vi è un concorso di norme le quali regolano contemporaneamente la stessa fattispecie, cioè significa che il consumatore può scegliere tra lo strumento codicistico e lo strumento dettato dal cod. cons. cioè il consumatore può avvalersi, invocando le norme del cc., di tutti gli strumenti di tutela risarcitoria per i danni che egli ha subito. Il codice del consumo vuole costruire una tutela aggiuntiva e più forte a vantaggio del consumatore. Tra la disciplina del cc e quella del cod. cons. non vi è un regime di reciproca esclusione bensì la disciplina del cod. cons., laddove si applica, concorre o non escluda l’applicazione dei rimedi codicistici. Da notare che nel cod. cons. la nozione di vendita è una nozione particolarmente ampia perché la vendita del cod. cons. non è solo il contratto di scambio tra cosa ed un prezzo, ma sono equiparati alla vendita ex art. 128.1 secondo periodo i contratti di permuta, di somministrazione, di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo. Dunque la nozione di vendita in questo ambito è particolarmente ampia, non limitata al caso di cosa contro prezzo. Ambito di applicazione della cdv sulla vendita internazionale di beni mobili. Il tema è trattato in tema espressa dalla cdv che individua in modo abbastanza chiaro quali sono gli ambiti di applicazione oggettivo e soggettivo della disciplina che essa detta. Sul piano oggettivo la cdv regola la vendita dei beni mobili, trascurando i beni immobili. Ciò è evidente perché è difficile che un bene immobile si sposti da uno Stato all’altro. In realtà l’ambito di applicazione non è dedicato alla vendita di tutti beni mobili, poiché l’ambito di applicazione è dalla stessa cdv limitato; agli artt. 2 e 3 individuano una nozione di vendita che in sostanza individua o limita l’ambito di applicazione della disciplina. Come spesso succede nelle norme di conio recente non vi è sempre una lucidità cartesiana nella costruzione delle regole. L’art. 2.1 dice che la disciplina non si applica questa disciplina alle vendite di beni mobili acquistati per uso personale, familiare o domestico, il che significa che la disciplina si applica ai beni di beni mobili estranea all’ambito delle vendite che riguardano consumatori, dunque siamo nel b2b. Cdv, art. 1 si parla di beni mobili all’art. 2 si individuano le vendite a cui le discipline non si applica, la prima categoria è quella dei beni mobili acquistati per uso personale. Inoltre sono escluse le vendite di beni eseguite all’asta o pignoramento o altro atto giudiziario (dunque nell’ambito di una procedura di esproriazione forzata), sono anche esclusi l’en. elettrica, titoli di credito, navi, battelli e aeromobili (che sono beni mobili, talvolta registrati). La cdv si applica alla vendita di beni mobili, nozione intesa in senso restrittivo, nel senso che non si applica alle vendite di beni mobili che sono compiute su un pianoa soggettivo a favore di persone fisiche per uso non commerciale e con una serie di limitazioni appena segnalate. Questo è il primo criterio dell’individuazione dell’ambito di applicazione. Il secondo criterio è soggettivo, individua l’internazionalità della vendita, cioè questa disciplina si applica alla vendita internazionale di beni mobili. Ed è la stessa cdv ad indicare cosa s’intenda per “internazionale”. Si tratta di vendite tra soggetti che operano in stati diversi. L’art. 1 dice che la vendita è internazionale quando le parti della vendita (compratore e venditore) hanno sedi di affari che si trovano in Stati diversi. L’internazionalità si misura sull’appartenenza delle sedi di affari delle parti del contratto a due ordinamenti distinti. Si parla di sedi d’affari, cioè rileva un dato oggettivo in termini fattuali, cioè quello che per noi 8 potrebbe essere il domicilio, non rileva la sede formale delle parti ma come spesso succede in convenzioni internazionali rileva la condizione di fatto in cui opera un soggetto. In altre parole non rileva la nazionalità delle parti ex art. 1.3, dunque la cdv si applica anche a due soggetti che hanno la sede legale nel medesimo Stato ma che operano come sedi d’affari in due stati diversi. La cdv si applica sulla base di questi 2 criteri, il primo riguarda i beni mobili, il secondo internazionalità. Ovviamente occorrerà che gli Stati diversi dove si trovano le sedi d’affari corrispondano a stati contraenti la cdv oppure che si tratti di Stati la cui legge si applica in forza di una regola di diritto internazionale privato. Insomma deve essere uno Stato che o è direttamente contraente o è uno Stato la cui legge si applica in virtù di una regola di diritto internazionale privato. La cdv si applica soltanto ai rapporti internazionali e solo con riguardo ai beni mobili. Quanto alle materie trattate la cdv, come il cod. cons. non si occupa di tutta la disciplina della vendita ma solo di alcune frazioni di disciplina. La cdv si occupa essenzialmente di formazione del contratto, cioè regole sul perfezionamento del contratto, e soprattutto si occupa di diritti e obblighi che gravano sulle parti, intesi come diritti ed obblighi delle parti in senso proprio e anche come rimedi a tutela dell’una o dell’altra parte in caso di inadempimento dell’una o dell’altra parte. La parte più importante è quella relativa ai rimedi, che presenta una disciplina articolata e per tanti profili innovativa rispetto al nostro ordinamento. Questo, in negativo, significa che la disciplina non regola le questioni di validità/invalidità del contratto, quindi non si occupa né dei vizi che possono inficiare il contratto in quanto vizi che determinano la nullità, cioè non si occupa dell’illiceità del contratto, forma del contratto ecc. soprattutto non si occupa delle regole sul trasferimento della proprietà che rimane un tema estraneo alla cdv. Singolarmente la cdv non si occupa dell’effetto traslativo, non dice come e quando avviene il passaggio della proprietà. La cdv si occupa di un problema collegato, che riguarda il trasferimento del rischio in caso di perimento della cosa venduta. Es. la cdv si occupa di cosa succede se la bora a 220 km/h trascina in mare un bene venuto da un italiano ad un tedesco, ma non si occupa di quando il tedesco diventa proprietario. Questa è una soluzione che si fonda sulla diversità degli ordinamenti sul tema e delle regole che i vari ordinamenti adottano, quindi è una scelta un po’ pilatesca. L’art. 4 cdv dice in maniera inequivoca che essa regola esclusivamente la formazione del contratto di vendita, e i diritti e gli obblighi del venditore e del compratore che sorgono da tale contratto. In particolare salvo disposizione contraria essa non riguarda la convenzione, la validità del contratto e delle singole sue cause, degli usi, degli effetti che possono derivare sulla proprietà dei beni vendute. Quindi è una disciplina anch’essa speciale che non si applica a tutti i profili della vendita, anche qui avremo un concorso tra regole dettate dalla cdv e regole dettate dal diritto interno. Nell’esperienza concreta si è posto un problema di quale sia il rapporto che nell’ambito del nostro ordinamento si deve individuare tra regole di diritto interno e regole dettate dalla cdv. Per es. se io imprenditore con sede d’affari in Italia vendo un tir di mattonelle ad uno con sede d’affari in Germania, entrambi paesi che hanno sottoscritto e ratificato la cdv, questo rapporto tra i due imprenditori è regolato da quale legge? La risposta che oggi la giurisprudenza inizia, correttamente, a dare, è che la cdv si applica con prevalenza rispetto alla legge applicabile sulla base delle regole del diritto internazionale privato, che nel caso nostro sarebbe stata quella con la quale vi è l’ordinamento più stretto del contratto, cioè la legge dell’ordinamento a cui appartiene il soggetto che esegue la prestazione caratterizzante, che nel caso della vendita è il venditore perché il denaro non è caratterizzate, la mattonella sì. Dunque in una compravendita internazionale si applica la cdv anche se le regole del diritto internazionale privato condurrebbero a ritenere applicabile la legge italiana o una legge straniera, e questo per le materie disciplinate dal cdv e sulla base del principio di specialità. In Italia per anni si è detto che il diritto internazionale privato italiano dovesse prevalere sulla cdv. Tema collegato in materia di fonti: vincolatività delle fonti. Queste tre grandi fonti presentano dei gradi di vincolatività e imperatività che sono sicuramente diversi. Il cc è il codice della libertà dei singoli, dunque dell’autonomia privata. Il cc. contiene un riconoscimento espresso dell’autonomia privata, all’art. 1322 dà spazio alla cd. autonomia contrattuale, la quale si applica su 3 piani, tutti e tre riconosciuti dal cc. Il primo piano riguarda il piano del decidere se contrarre o no, il secondo piano riguarda il piano del decidere con chi contrarre, il terzo piano riguarda il che cosa contrarre, cioè l’an, il quocum e il quomodo (se, con chi e come). Queste tre forme di espressione dell’autonomia 9 contrattuale conoscono dei limiti, che hanno carattere eccezionale. Il limite alla libertà di decidere se contrarre è rappresentato degli obblighi legali a contrarre (es. monopolista legale, art. 2597, chi esercita un’impresa in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque). Il limiti alla autonomia contrattuale quanto alla scelta del contraente è rappresentato dalla prelazione legale. Es. in materia di comunione ereditaria, se un coerede intende alienare la quota di coeredità deve offrila in prelazione agli altri coeredi. Norma che si applica anche in materia di impresa familiare, dove l’imprenditore capo dell’impresa familiare che intende alienare l’impresa familiare deve offrirla in prelazione ai suoi collaboratori. Libertà di decidere il contenuto del contratto: i limiti sono rappresentati da norme che introducono regole, divieti quanto a contenuti specificamente individuati. Tutti questi limiti all’autonomia privata rimangono norme di natura eccezionale. La disciplina dettata dal cc è di principio derogabile salvo i limiti appena indicati. Questi limiti però, soprattutto circa il contenuto, hanno un rilievo anche in materia di vendita, cioè esistono norme inderogabili anche quanto al contenuto della vendita, ce ne sono di norme inderogabili costruite nell’ambito della disciplina in senso stretto sulla vendita, ci sono altre norme che stanno in ambiti di disciplina diversi ma collegati. Es. il cc contiene una disciplina sui vizi della cosa venduta, che prevede che il venditore garantisca che la cosa venduta sia immune da vizi, questa garanzia dettata dalla legge può essere esclusa pattiziamente dalle parti. Questa garanzia può essere esclusa, però ex art. 1490.2 il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in malafede taciuto al compratore i vizi della cosa. La norma sulla garanzia per vizi diventa inderogabile in caso di malafede del venditore . Regola questa che rappresenta una manifestazione specifica della disciplina dettata in materia di clausole di limitazione od esonero della responsabilità. Sono ammissibili siffatte clausole, con un solo limite: sono vietate ex art. 1229 quando implicano esonero della responsabilità per dolo o colpa grave, cioè mi posso esonerare dalla responsabilità solo per colpa; sarebbe infatti contraddittorio assumere un impegno che sarei libero di non osservare perché sono esonerato da qualsiasi ragione di responsabilità. In materia di vendita il cc conosce il patto di riscatto, cioè ammette che il bene sia venduto con una clausola che contenga un patto di riscatto, che consente al venditore di riavere la proprietà della cosa restituendo il prezzo. Es. io vendo un bene oggi, ricevo il prezzo oggi, ma entro un certo lasso di tempo, se pattuisco un patto di riscatto, posso riavere la proprietà restituendo il prezzo che ho ricevuto. Il nostro legislatore si preoccupa che questo patto non nasconda un finanziamento a condizioni squilibrate (cioè usurarie), quindi è previsto che il patto di riscatto non sia lecito se il prezzo da restituire è superiore a quello pattuito per la vendita,altrimenti il surplus permetterebbe una speculazione in danno del venditore. Questo divieto è inderogabilmente fissato dall’art. 1500.2. Il legislatore fissa un termine massimo entro il quale si può pattuire il patto di riscatto: questo non può essere esercitato entro la soglia di 2 anni nella vendita di beni mobili, 5 anni di beni immobili. Anche questo limite è dettato da una norma imperativa contenuta all’art. 1501. Nella vendita di beni mobili è dedicata una disciplina particolare alla vendita con la riserva della proprietà, che si ha quando un soggetto vende un bene ad un altro soggetto ma il trasferimento della proprietà avviene con il pagamento dell’ultima rata del prezzo (vendita a rate con patto di riservato dominio). Il legislatore si occupa dell’inadempimento del compratore, regolando la risoluzione del contratto. Si prevede che se il compratore è inadempiente, il venditore può risolvere il contratto e a ciò segua la restituzione del bene da una parte e del prezzo dall’altra. Nella prassi è molto diffusa la cd. clausola della ritenzione delle rate. Cioè si dice nel contratto che io vendo a rate, se tu sarai inadempiente potrò risolvere il contratto, mi restituirai il bene e io non restituirò le rate. Questa clausola non è lecita, l’art .1526.2, norma imperativa del cc dice che in questo caso il giudice può ridurre l’entità della somma che il venditore può trattenere. Per cui la clausola di ritenzione delle rate non è valida, o meglio, è suscettibile di riduzione. Come in generale è suscettibile di riduzione la penale che sia eccessiva (art. 1384). 9 marzo 10