LA FINANZA PUBBLICA ITALIANA RAPPORTO 2011 a cura di Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi Scritti di Fabrizio Balassone, Massimo Baldini, Enza Caruso, Alberto Cavaliere, Nerina Dirindin, Daniele Franco, Silvia Giannini, Maria Cecilia Guerra, Alessandro Magi, Carlo Mazzaferro, Giuseppe Pisauro, Alessandro Scarioni, Paolo Silvestri, Stefano Toso, Alberto Zanardi, Stefania Zotteri IL MULINO ISBN 978-88-15-00000-0 Copyright © 2011 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie 4 INDICE Introduzione, di Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi p. 7 I conti pubblici: un faticoso rientro, di Giuseppe Pisauro 17 Regole per il controllo della spesa pubblica: come far sì che Achille raggiunga la tartaruga, di Fabrizio Balassone, Daniele Franco e Stefania Zotteri 43 Erosione ed evasione delle imposte: alla ricerca del gettito perduto, di Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra 71 Pensioni pubbliche e pensioni private e adeguatezza delle prestazioni: le conseguenze della variabilità dei rendimenti, di Carlo Mazzaferro e Alessandro Magi 111 Ammortizzatori sociali e spesa per assistenza: l’impatto della crisi e le risposte di policy, di Massimo Baldini e Stefano Toso 137 La sanità tra conservazione, innovazione e incertezze normative di Enza Caruso e Nerina Dirindin 161 Povera università: il governo degli atenei in epoca di tagli, di Paolo Silvestri 197 5 Federalismo fiscale: prove di attuazione, di Alberto Zanardi p. 225 Servizi di pubblica utilità e interventi infrastrutturali, di Alberto Cavaliere e Alessandro Scarioni 259 Abstract 297 6 MARIA CECILIA GUERRA ALBERTO ZANARDI INTRODUZIONE 1. La nuova struttura del volume Dopo la valutazione d’insieme delle politiche del decennio 2001-2009 contenuta nel volume dell’anno scorso, il Rapporto 2011 de «La finanza pubblica italiana» si ripropone ai lettori con una struttura modificata rispetto a quella adottata nel periodo 2004-2009. In particolare, il Rapporto intende valorizzare al meglio la sua capacità di analisi critica tempestiva, puntuale e continua delle politiche di finanza pubblica nel nostro Paese. La scelta è quindi di dare più spazio alla descrizione e alla discussione di tali politiche, coinvolgendo anche, come coautori o con contributi autonomi, apporti esterni al gruppo degli autori tradizionali. Si rinuncia quindi alla sezione monografica, mentre i capitoli dedicati a ogni settore d’intervento pubblico tradizionalmente seguiti dal Rapporto vengono ampliati. Oltre a garantire l’usuale funzione di «monitoraggio», i singoli capitoli propongono, specialmente nei comparti che non hanno registrato interventi di particolare rilievo nell’anno sotto osservazione, l’approfondimento di un tema significativo per il dibattito di politica economica o per l’evoluzione futura. In alcuni casi si illustrano i risultati di analisi quantitative ed econometriche, in altri, si fornisce un inquadramento delle politiche nazionali nel più ampio contesto internazionale. I capitoli tematici tradizionali (conti pubblici, fisco, previdenza e assistenza – ora divisi in due autonomi capitoli – sanità, federalismo e servizi di pubblica utilità) vengono affiancati, come già negli anni scorsi, da ulteriori capitoli specifici su tematiche di particolare rilevanza per l’anno esaminato. Quest’anno sono due gli approfondimenti, dedicati rispettivamente all’analisi dei pro e contro dell’introduzione di fiscal rules, principalmente dirette al controllo della spesa pubblica, 7 e ai problemi del finanziamento dell’università, anche alla luce dei tagli operati dal governo e della riforma introdotta con la legge 240 del 2010. 2. Recenti evoluzioni nel coordinamento delle politiche europee e nella programmazione degli obiettivi nazionali I contributi contenuti in questo volume sono stati consegnati dagli autori in due tranche nel periodo compreso fra metà marzo e inizio aprile 2010. Non tengono quindi conto di alcune recenti evoluzioni, che vengono richiamate sinteticamente in quanto segue. 1) Il Consiglio europeo ha approvato, il 24-25 marzo, un nuovo Patto per l’euro, denominato Euro plus pact, che ha ad oggetto un «Coordinamento più stretto delle politiche economiche per la competitività e la convergenza». Al patto hanno aderito anche Danimarca, Polonia, Bulgaria, Romania, Lettonia e Lituania. Il coordinamento fra le politiche, finalizzato al raggiungimento di obiettivi comuni sia pure lasciando all’autonomia dei singoli Stati la scelta degli strumenti più idonei per il loro raggiungimento, deve trovare una prima importante espressione nei programmi di stabilità e nei programmi nazionali di riforma che ogni Paese dovrà presentare annualmente e che dovranno essere valutati dalla Commissione, dal Consiglio e dall’Eurogruppo nell’ambito del semestre europeo. 2) Per coordinare il processo di programmazione del bilancio dello Stato del nostro Paese con i tempi del semestre europeo, si è accelerata l’approvazione delle modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196/2009. Con la legge n. 39, approvata definitivamente il 7 aprile 2011, si prevede un nuovo processo di bilancio in cui l’elemento di maggiore innovazione è dato dall’anticipo della presentazione alle Camere, entro il 10 aprile, del nuovo Documento di economia e finanza (Def) che sostituisce la Decisione di finanza pubblica. 3) Il 13 aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza 2011, che è articolato in tre sezioni. La prima riporta il Programma di stabilità dell’Italia, la seconda propone l’analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche del 2010 e sostitui8 sce, a tutti gli effetti, la Ruef, la terza espone il Programma nazionale di riforma. Nessuno di questi passaggi è stato una sorpresa. Si tratta di un’evoluzione che segue ad un approfondito dibattito di cui si dà conto nei contributi contenuti in questo volume. Neppure il Def contiene grossi elementi di novità. L’aspetto più importante, per quanto concerne il Patto di stabilità dell’Italia, riguarda il quadro programmatico di finanza pubblica per il triennio 2012-2014. Il confronto con il quadro tendenziale mette in evidenza che il governo ritiene che non siano necessari nuovi interventi di risanamento né nel 2011 né nel 2012. È invece prevista una manovra cumulata netta sul saldo primario pari, rispettivamente, all’1,2% del Pil e al 2,3% del Pil, nel 2013 e nel 2014. In altri termini, l’onere di un’ulteriore, pesante, manovra correttiva, viene rimandata alla prossima legislatura. Questa manovra dovrebbe permettere di raggiungere un livello prossimo all’azzeramento del disavanzo (–0,2%) alla fine del triennio, e di accelerare la riduzione del debito pubblico dal 119,4% del Pil atteso per il 2012 al 112,8% nel 2014, (contro un tendenziale atteso per quell’anno del 116,3%). Si specifica che gli ulteriori interventi che il governo vorrà assumere saranno concentrati sul lato della spesa primaria, determinandone una riduzione complessiva di oltre 4 punti percentuali sul Pil. Dal lato delle entrate, invece, si prevedono interventi molto contenuti, tali da permettere il mantenimento della pressione fiscale al livello raggiunto nel 2010. Viene invece meno ogni ipotesi di riduzione della stessa. Più in generale, ci si impegna a introdurre in Costituzione un vincolo di disciplina di bilancio, ulteriore rispetto a quello, già contenuto nell’art. 81, che impone la copertura delle leggi che richiedano maggiori o nuove spese. Nel Piano nazionale per le riforme viene dato più spazio alle cose già fatte, e come tali in larga parte monitorate da questo Rapporto, rispetto a quelle ancora da fare. Ci si sofferma, in particolare, sulle novità introdotte con i decreti attuativi del federalismo fiscale, con riferimento principale alla fiscalità municipale. Si considera fra le riforme fatte il collegamento fra retribuzioni e produttività, stimolato dalla detassazione delle componenti salariali decise nella contrattazione di secondo livello, l’allineamento dell’età pensionabile all’effettiva speranza 9 di vita, la riforma dell’università, le politiche volte alla «tenuta sociale», che hanno interessato in particolare gli ammortizzatori sociali. Tutte «riforme» di cui ci si occupa ampiamente in questo volume. Ad esse si aggiunge: la riforma della scuola – che è stata oggetto di approfondimento di questo Rapporto negli anni passati – l’avvio del processo dell’informatizzazione della pubblica amministrazione, e il controllo della finanza privata. Per quanto riguarda l’ampio elenco delle riforme previste, ci si limita a enunciazioni ancora molto generali. Esse riguarderanno: il meridione (per il quale si cita anche la fiscalità di vantaggio, su cui si è già intervenuti in modo contraddittorio, come si dimostra in questo volume), la semplificazione e riforma della Pubblica amministrazione, il lavoro, alle opere pubbliche, l’edilizia privata (dopo ben due piani-casa), la ricerca&sviluppo, l’istruzione e merito (su cui si è pure, almeno formalmente, già intervenuti con la riforma dell’università), l’agricoltura, il turismo, il processo civile. Un rilievo di primo piano è assegnato alla riforma fiscale, a ispirazione della quale sono ancora una volta enunciati, a 17 anni di distanza, gli stessi obiettivi programmatici (dalle persone alle cose, dal complesso al semplice, dal centro alla periferia) contenuti nel Libro bianco del 1994. 3. Gli interrogativi del Rapporto Le principali linee di analisi che percorrono, trasversalmente, i contributi proposti in questo volume sono tre: il controllo dei conti pubblici, il processo di attuazione del federalismo fiscale, le risposte delle politiche alla crisi economica. Di esse si dà una rapida e parziale panoramica in quanto segue, ponendo l’enfasi sugli interrogativi a cui i vari contributi cercano di dare risposta. 3.1. Il controllo dei conti pubblici Gli effetti della crisi economica sulla solvibilità di alcuni paesi europei, dalla Grecia all’Irlanda, al Portogallo e alla 10 Spagna, hanno messo in luce i limiti del sistema di sorveglianza e delle azioni di coordinamento delle politiche fiscali nell’area dell’euro. Ciò ha aperto un’ampia discussione e un severo confronto sulla revisione della governance europea, che interessa sia la messa a punto di modalità di coinvolgimento dell’insieme degli Stati europei a fronte di situazioni di crisi di uno di essi, sia una miglior definizione della disciplina di bilancio, in collegamento con una più attenta sorveglianza degli squilibri macroeconomici. Una riforma del Patto di stabilità e crescita, secondo le linee proposte dalla Commissione europea è sostenibile per la finanza pubblica italiana? I dati 2010 per l’Italia, confermati dal Def, mostrano un disavanzo pari al 4,6% del Pil, inferiore di circa mezzo punto rispetto alle ultime stime, e un debito pubblico invece in crescita, pari al 119,2% del Pil, ormai prossimo al suo massimo storico. Il peso che il pagamento degli interessi su un debito di tale entità pone sulle finanze pubbliche, la volontà dichiarata di non aumentare la pressione fiscale, unitamente al clima di maggior rigore ispirato dal coordinamento delle politiche a livello europeo, sollecita un’attenzione particolare al controllo della dinamica della spesa primaria. Nel corso del 2010, per la prima volta, la spesa primaria nel nostro Paese è effettivamente diminuita in termini nominali. In quale modo e misura le politiche pubbliche hanno contribuito a questo risultato? Ci si può attendere che si tratti di un risultato permanente? Quali strumenti di controllo e miglioramento dell’efficienza della spesa pubblica potrebbero essere pensati, per consolidare questo risultato? Sfruttando il ripensamento delle regole e delle istituzioni del bilancio delle singole nazioni imposto dalla riforma della governance europea e prendendo spunto dall’analisi delle migliori pratiche emerse a livello internazionale, sarebbe opportuno, nel contesto italiano, introdurre una regola che fissi un limite pluriennale alla crescita della spesa? Al contenimento della spesa ha contribuito il taglio al finanziamento dell’università: nonostante i ripensamenti in corso d’opera, il Fondo di finanziamento ordinario del 2011 è stato tagliato di 284 milioni rispetto al 2010, dopo che era già stato tagliato nel 2010 di 277 milioni rispetto all’anno precedente: un calo del 7,5% in un biennio. Le risorse attualmente stanziate sono adeguate? Solo nel breve periodo o anche nel lungo? 11 La legge 240 di riforma dell’università contiene indicazioni inadeguate e contraddittorie con il percorso, anch’esso altalenante, sin qui seguito, circa i criteri di ripartizione delle risorse stanziate fra i diversi atenei. Anche ammesso che a livello aggregato il sistema possa risultare finanziariamente sostenibile, lo saranno i tagli per le singole istituzioni? Anche gli enti decentrati hanno subito tagli rilevanti nel loro finanziamento: i trasferimenti ai comuni sono stati decurtati di 1,5 miliardi nel 2011 e di 2,5 miliardi nel 2012; per le regioni i tagli previsti sono rispettivamente di 4 e 4,5 miliardi. Di questi tagli non si sarebbe dovuto tener conto in sede di attuazione del federalismo. Le cose non sono andate esattamente in questo modo, e ciò ha trasformato le intese con le Conferenze degli enti decentrati sui decreti di attuazione del federalismo in sedi di contrattazione per recuperare parte delle risorse venute a meno. Con quali esiti? Con quali conseguenze sul disegno del nuovo assetto del finanziamento delle funzioni di comuni e regioni? Il controllo della spesa sembra avere esercitato i suoi effetti, non solo nell’ultimo anno, anche sui comportamenti tenuti dagli enti locali. Alcune scelte sono state intraprese per aggirare i vincoli del Patto di stabilità interno e potere comunque accedere agli investimenti, sia pure in periodi crisi. Quale ruolo hanno esercitato in questo contesto i contratti di Partnership pubblico- privato? Questi contratti permettono di eludere il Patto di stabilità interno poiché, essendo il finanziamento privato, non è necessario l’iscrizione a bilancio degli asset; ma permettono anche di guadagnare efficienza, ad esempio, in quanto rendono possibile l’internalizzazione, già nella fase di progettazione e costruzione, dei risparmi di costi operativi che si manifesteranno solo nella gestione del servizio e in quanto comportano la valutazione dei rischi da parte di intermediari finanziari specializzati. Quale dei due effetti, maggiore elusione o maggiore efficienza, è in grado di spiegare la forte diffusione di questi contratti in Italia, che ha in parte compensato la caduta degli investimenti in infrastrutture nell’arco dello scorso decennio? Uno dei campi in cui il contenimento della dinamica della spesa pubblica è iniziato da più tempo è quello della spesa sanitaria. Un punto di forza, a tale fine, è stato l’avvio di accordi con le regioni in difficoltà per il rientro dai disavanzi e 12 per il riordino del sistema. Quali risultati sono stati raggiunti? Quale è stato il ruolo del livello centrale di governo in questo processo? Nonostante sia già stato oggetto in passato di un insieme di riforme finalizzate a mantenere la spesa su un sentiero finanziariamente sostenibile, nel corso del 2010 altri interventi si sono susseguiti anche nel campo delle pensioni, con l’obiettivo principale di aumentare l’età media di pensionamento. Quali di questi interventi sarà più efficace nel garantire risparmi di spesa? La consapevolezza dei vincoli entro cui la finanza pubblica si trova a operare ha fatto sparire, da ultimo anche dal Def 2011, le promesse di riduzione della pressione fiscale. L’attenzione e le attese si sono spostate sulla «riforma» fiscale, annunciata dal governo, come si è detto, anche fra le priorità del Piano nazionale delle riforme. Gli interventi prospettati ruotano attorno a due assi principali, enunciati anche nel Programma di stabilità: la progressiva riduzione delle aree di elusione ed erosione delle imposte, che concorrono a ridurre il gettito, e il contrasto all’evasione fiscale. Come si conciliano questi obiettivi con l’adozione di interventi che sottraggono alla base imponibile dell’Irpef fette sempre più consistenti di gettito? In quale senso ci si muove dal «complesso al semplice», quando tre diversi livelli di governo possono intervenire a modulare la scala delle aliquote, e possono prevedere nuove detrazioni e deduzioni dall’imposta sui redditi? Quali nuovi interventi sono stati adottati/prospettati per rendere più efficace la strategia contro l’evasione? Il governo si è ricreduto rispetto alle politiche adottate nei primi mesi del suo insediamento? 3.2. Le risposte delle politiche alla crisi economica Sono mancate, nel corso degli ultimi vent’anni, quelle riforme del sistema di protezione sociale italiano che avrebbero potuto migliorarne l’efficacia nel sostenere i redditi delle famiglie di fronte alla crisi. Vi è ormai evidenza del fatto che la recente recessione ha colpito in modo più rilevante le fasce più deboli del mercato del lavoro: immigrati privi di qualificazioni e lavoratori giovani con forme contrattuali precarie e atipiche. Le politiche pubbliche hanno puntato sul potenziamento degli 13 ammortizzatori sociali. Quali sono stati i limiti qualitativi e quantitativi di questo intervento? Gli indicatori di diseguaglianza e povertà sembrano in aumento a seguito della crisi, ma la politica sociale del governo continua a essere centrata sulla lotta alla povertà assoluta. Con quale efficacia? Si tratta di una politica coerente con le indicazioni della «strategia Europa 2020», stabilita dall’Unione europea e dai suoi Stati membri? La forte diffusione di lavori precari e atipici, specialmente fra i giovani, rende sempre più problematico ipotizzare che questi lavoratori possano ottenere in futuro una pensione minimamente adeguata. Ma anche per chi ha carriere più regolari, il passaggio al regime contributivo, anche in ragione della dinamica insoddisfacente della crescita economica, pone il problema dell’adeguatezza delle pensioni. Vi sono, nel nostro paese, i presupposti per ritenere che la caduta delle prestazioni pubbliche possa essere compensata dalla previdenza privata? In quali casi e per quali tipologie di soggetti? Una tesi ricorrente è che un aiuto a fronteggiare gli esiti della crisi potrebbe venire dal ricorso a politiche di liberalizzazione nel campo dei servizi di pubblica utilità. Sono stati compiuti passi avanti significativi su questo fronte? O hanno avuto la prevalenza interventi di mera riorganizzazione delle partecipazioni nelle mani del Tesoro? Per quanto riguarda specificamente l’aumento della concorrenzialità nel mercato del gas naturale, le vie seguite con il decreto 130/2010 saranno efficaci nel medio periodo? Ci sono segnali di politiche protezionistiche a favore di Eni? 3.3. Il processo di attuazione del federalismo fiscale Nel periodo a cavallo tra il 2010 e i primi mesi del 2011 il processo di attuazione della riforma del federalismo fiscale ha mosso i primi passi. È un percorso ancora molto lungo perché, dopo l’adozione definitiva da parte del governo dei decreti legislativi che fissano le nuove regole di finanziamento e perequazione di regioni ed enti locali (da approvare entro fine 2011), la loro effettiva applicazione non andrà a regime prima di 3-5 anni. 14 Quella del federalismo fiscale è una riforma su cui una certa propaganda politica ha caricato negli ultimi anni aspettative di cambiamento strutturale certamente sproporzionate. Ma, al di là degli irresponsabili annunci di riforme epocali, quanto c’è di veramente innovativo nei provvedimenti finora approvati rispetto agli assetti attuali della finanza decentrata? I primi decreti di attuazione (in particolare quelli di maggior rilevo, sul federalismo comunale e su quello regionale) sono per molti versi insoddisfacenti, fortemente condizionati dalle restrizioni della finanza pubblica, dalla volontà dichiarata di non aumentare la pressione fiscale, dall’urgenza della Lega di incassare sul piano elettorale il «federalismo fiscale diventato realtà», dal clima politico profondamente deteriorato che domina il Paese. È mancata soprattutto una visione d’insieme che consentisse fin dall’inizio di coordinare le varie componenti (i tributi, i meccanismi perequativi, i vincoli di bilancio, gli incentivi alle amministrazioni locali) delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie. Quali sono dunque gli interventi correttivi, gli aggiustamenti, le integrazioni che a questo «primo giro di boa», a decreti legislativi quasi tutti approvati ma ancora da applicare, è opportuno introdurre? E più in generale, cosa ci possiamo aspettare dalla riforma del federalismo fiscale? Una diversa ripartizione territoriale delle risorse (in particolare tra Nord e Sud)? Un abbassamento negli standard nazionali nei servizi sociali? Una maggiore efficienza nella spesa decentrata? Una riduzione della pressione fiscale? Un contributo alla riforma fiscale promessa? Il Rapporto tenta di dare a questi interrogativi qualche risposta a partire dai molti punti ancora indeterminati della riforma e dalla totale mancanza di un quadro quantitativo ufficiale che, anche sulla base di ipotesi provvisorie, possa consentire una valutazione degli effetti finanziari e redistributivi sui diversi territori. Buona lettura! 15