Capitolo 1 Teoria quantistica della materia: introduzione e principi fondamentali 1. La visione classica Per comprendere la struttura della materia microscopica è necessario conoscere come atomi e molecole si muovono in risposta alle forze a cui sono soggetti. Fino alla seconda metà del 19° secolo si pensava che posizioni e traiettorie delle particelle fossero univocamente definite dalle equazioni di Newton o principi della dinamica (~1660) 1) L’energia è costante in assenza di forze esterne 1 2 p2 E = mv = 2 2m 2) (ricordando che p = mv) Il tasso di variazione del momento p eguaglia la forza agente sulla dV particella, F = − dx dp d2x F= =m = ma 2 dt dt 3) (meno rilevante) A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria Infatti, la prima equazione di Newton (in assenza di potenziali esterni: V(x)=0), può essere scritta come 1/ 2 dx 2 E = dt m (equazione differenziale del 1° ordine) una cui soluzione è data da 1/ 2 2E x(t ) = x(0) + m t Il momento lineare è costante: 1/ 2 dx 2E p(t ) = mv(t ) = m = m dt m per cui, se conosciamo la posizione e il momento iniziali, possiamo predire esattamente velocità e posizione in ogni istante successivo. Conclusioni della fisica classica 1) Una particella in moto segue una traiettoria lungo la quale ricopre ad ogni istante una posizione determinata e possiede una velocità determinata (conclusione deterministica). 2) Qualsiasi tipo di moto è suscettibile di essere eccitato ad uno stato di energia arbitraria. 2. La sistemazione a fine ‘800 (cenni) Definiamo l’operatore “energia totale”, o Hamiltoniano, come 1 2 p2 H = Ecin + E pot = mv + V (r ) = + V (r ) 2 2m e introduciamo i concetti di coordinata generalizzata, q, e momento generalizzato, p. L’operatore Hamiltoniano assume allora la forma pi 2 H =∑ + V (q1 ,..., q n ) m 2 i i • Meccanica: Equazioni di Hamilton dpi ∂H =− ∂qi dt dqi ∂H = dt ∂pi • Elettromagnetismo: Equazioni di Maxwell ⇒ r divD = ρ teorema di Gauss per il campo elettrico r divB = 0 teorema di Gauss per il campo magnetico r rotH = j legge della circuitazione (Biot-Savart) r r ∂B rotE = − ∂t legge di Faraday-Neumann-Lenz Unificazione campo gravitazionale/campo elettrico F ∝ r -2 3. Il fallimento della fisica classica Tra fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo alcune evidenze sperimentali fecero sorgere alcuni dubbi sulla validità generale delle conclusioni della fisica classica. In particolare, ricordiamo: 1) la radiazione di corpo nero, 2) l’andamento del calore specifico a bassa temperatura, 3) l’effetto fotoelettrico, 4) la diffrazione degli elettroni. 3.1 I livelli dell’energia 1) La radiazione di corpo nero Era già noto da tempo che un corpo caldo emette radiazioni elettromagnetiche e che innalzando la temperatura si va verso la parte blu dello spettro visibile (calor rosso → calor bianco). Si definisce corpo nero un emettitore ideale capace di emettere ed assorbire tutte le frequenze in modo uniforme (approssimazione: contenitore a temperatura costante con un piccolo foro). L’analisi dei dati sperimentali aveva condotto alla formulazione di alcune relazioni empiriche: a) Legge di Wien (1893) Tλmax = 0.29 cm K b) Legge di Stefan-Boltzmann (1879) E= c) E = aT 4 V Legge di Rayleigh-Jeans (densità di energia) Restava tuttavia da spiegare l’andamento della distribuzione di energia emessa in funzione della lunghezza d’onda. Lord Rayleigh cercò di studiarla da un punto di vista classico, utilizzando il modello degli oscillatori e il principio di equipartizione dell’energia. La presenza di una radiazione di frequenza ν (e quindi di lunghezza d’onda λ=c/ν) era quindi dovuta all’eccitazione di un oscillatore a quella particolare frequenza. Modello degli oscillatori: • Energia di un oscillatore a temperatura T E = kT • Densità di energia tra λ e λ + dλ dE(λ) = kTdN(λ) = ρ(λ)dλ dove ρ(λ) è la densità degli oscillatori a lunghezza d’onda λ. Il valore della quantità ρ fu calcolato con l’aiuto di James Jeans e risultò dato da: ρ = 8πkT λ-4 ⇓ CATASTROFE ULTRAVIOLETTA !!! SOLUZIONE Un tentativo di riconciliare la visione termodinamica con il dato empirico venne compiuto da Max Planck sulla base della seguente ipotesi: L’energia radiante di un oscillatore di frequenza data non può variare ad arbitrio, ma deve essere circoscritta a valori discreti. ⇒ un oscillatore a frequenza ν emette secondo multipli di hν E =nhν (n = 0, 1, 2,…) h = 6.626 × 10-34 Js (costante di Planck) ⇓ QUANTIZZAZIONE DELL’ENERGIA Sotto queste ipotesi, l’espressione della densità di energia diviene hc 8πhc e λkT 8πhc dλ = dλ dE(λ) = ρ(λ)dλ = hc 5 hc λ − 1 − e λkT λ5 e λkT − 1 − • L’effetto della quantizzazione consiste nell’eliminare il contributo degli oscillatori a frequenza più alta. • Per lunghezze d’onda grandi la distribuzione di Planck coincide con quella di Rayleigh-Jeans. • Le leggi di Wien e Stefan-Boltzmann si ottengono per derivazione e integrazione, rispettivamente. 2) La capacità termica a volume costante Classicamente, la capacità termica molare a volume costante, CV,m = (∂U / ∂T )V , dei solidi monoatomici (es.: metalli) è data dalla legge di Dulong e Petit (primi del’800), che è indipendente dalla temperatura CV,m ≅ 25 J K-1 mol-1 La derivazione, in termini della fisica classica e del principio di equipartizione dell’energia, è semplice: • L’energia vibrazionale totale di un atomo in tre dimensioni vale 3kT • L’energia interna vibrazionale molare totale di un solido vale quindi Um = 3NA kT = 3RT • Da cui, per la definizione di capacità termica molare a volume costante, si ha ∂U CV , m = m = 3R = 24.9 J K -1mol −1 ∂T V Misure a bassa temperatura mostrarono che l’andamento della capacità termica si discosta sensibilmente da quanto previsto dalla legge di Dulong e Petit. In particolare, si mostrò che CV,m → 0 per T → 0. SOLUZIONE Nel 1905, Einstein assunse che ogni atomo fosse in grado di vibrare attorno alla sua posizione di equilibrio secondo una sola possibile frequenza ν. Secondo l’ipotesi di Planck, ciò corrispondeva a dire che l’energia di una oscillazione poteva assumere solo valori discreti nhν con n intero. Sulla base di queste ipotesi, Einstein calcolò l’energia vibrazionale molare del metallo ottenendo hν 3 N A nh e kT = Um = 3N A nh hν hν − 1 − e kT e kT − 1 − La differenziazione rispetto a T consentì di ottenere la relazione di Einstein per il calore specifico molare a volume costante θE 2 Cv,m = 3Rf f = θE e 2T T θE T − 1 e dove θ E =hν/k (temperatura di Einstein) è un modo per esprimere la frequenza di oscillazione degli atomi in termini di una temperatura (=a alte frequenza corrispondono elevati valori di θ E ). Quindi, la relazione di Einstein spiega la diminuzione di CV,m a basse temperature. La ragione fisica consiste nel fatto che a basse temperature solo pochi oscillatori posseggono energia sufficiente per oscillare in modo significativo. Ad alte temperature, per contro, tutti i 3N oscillatori contribuiscono e CV,m approssima il suo valore classico. In realtà, la relazione di Einstein è corretta dal punto di vista dell’andamento, ma l’accordo con i dati numerici non è buono. Questo è dovuto al fatto che Einstein assunse che gli atomi oscillassero con la stessa frequenza mentre, in realtà, essi possono oscillare in un intervallo di frequenze da 0 a un valore massimo νD. Occorre quindi mediare su tutte le frequenze presenti e il risultato finale è noto come relazione di Debye Cv,m = 3Rf 3 T θ D / T x 4e x f = 3 dx ∫ 2 θ D 0 ex −1 dove è nota come temperatura di Debye. ( ) θD 3) Spettri atomici e molecolari La più stringente prova della quantizzazione dell’energia, tuttavia, proviene dall’osservazione degli spettri atomici e molecolari. SO2 atomi ferro Le linee spettrali sono dovute a salti tra i livelli energetici: 3.2 Il dualismo onda-particella 3) L’effetto fotoelettrico (Einstein, 1905) Emissione di elettroni da parte di metalli colpiti da luce ultravioletta Osservazioni sperimentali • Qualunque sia l’intensità della radiazione, non si verifica emissione di elettroni se la frequenza della luce incidente non supera un certo valore di soglia, caratteristico del metallo in esame • L’energia cinetica degli elettroni emessi varia linearmente con la frequenza della luce incidente, ma è indipendente della sua intensità. • Anche se l’intensità della luce incidente è bassa, se la frequenza è superiore a quella di soglia si registra immediatamente l’emissione degli elettroni. Tutto ciò suggerisce che l’effetto fotoelettrico corrisponde all’estrazione di un elettrone causata da un urto con una particellaproiettile. Se supponiamo che il proiettile sia un fotone di energia E = hν, dove ν è la frequenza della radiazione incidente, il principio di conservazione dell’energia richiede che l’energia cinetica dell’elettrone estratto sia ½ mv2 = hν -Φ dove Φ è la funzione lavoro (potenziale di estrazione) del metallo. ⇓ NATURA CORPUSCOLARE DELLA LUCE 4) La diffrazione elettronica La diffrazione di elettroni da parte di un cristallo fu osservata (in modo quasi casuale) nel 1925 da Davisson e Germer. Quasi in contemporanea, Thomson, in Scozia, osservò che un fascio di elettroni era diffratto dopo l’attraversamento di una sottile foglia d’oro. ⇓ NATURA ONDULATORIA DELLE PARTICELLE IL CUORE DELLA FISICA MODERNA Su scala atomica, i concetti classici di onda e particella si fondono insieme: le particelle assumono proprietà delle onde e viceversa. Una indicazione in questo senso era già stata fornita nel 1924 da Louis de Broglie, il quale (nella sua tesi di laurea) suggeriva che ad ogni particella (non solo ai fotoni) con momento lineare p fosse associata una lunghezza d’onda, λ, data da λ = h/p ⇓ DUALISMO ONDA-PARTICELLA Il concetto di dualismo onda-particella colpisce a fondo la struttura della meccanica classica, che vede onde e corpi come entità completamente distinte. Ciò si aggiunge all’altro elemento di rottura costituito dalla quantizzazione dell’energia. E’ necessaria una nuova meccanica.