Mercati 14 Mercoledì 28 Settembre 2016 LA COMPAGNIA NON PAGA L’ULTIMA TRANCHE DA 55 MILIONI PREVISTA PER L’ACQUISIZIONE Moby salta una rata per Tirrenia Il gruppo dei traghetti di Onorato ha deciso di sospendere il versamento in attesa della conclusione dell’indagine Ue sui contributi pubblici incassati dall’ex società statale. Il malumore degli investitori di Nicola Capuzzo C ome se non bastasse il ritorno al rosso di bilancio nel primo semestre di quest’anno, sulla compagnia di traghetti Moby si abbatte ora l’insoddisfazione degli investitori istituzionali per i poco rassicuranti segnali di una tranche di pagamento di Tirrenia non saldata dalla società dei traghetti di Vincenzo Onorato la scorsa primavera. Lo riferiscono a MF-Milano Finanza fonti che hanno avuto modo di partecipare all’ultima conference call di Moby per la presentazione della trimestrale, in occasione della quale i vertici della compagnia avrebbero ammesso che non è stata saldata l’ultima rata dell’acquisizione di Tirrenia. «Il management ha detto di aver ricevuto una lettera da Tirrenia, in amministrazione straordinaria, che lo scorso aprile pretendeva il pagamento di 55 milioni di una rata prevista dal contratto di acquisto di Tirrenia-Cin», ha spiegato la fonte. «La scadenza di questi pagamenti si pensava sarebbe arrivata una volta conclusa l’indagine della Commissione Ue e Moby ha risposto che i pagamenti sono da parte loro sospesi fino a che non sarà noto l’esito di questo procedimento». L’indagine in questione era stata aperta da Bruxelles nel 2012, poco prima che l’ex compagnia di navigazione pubblica passasse a Onorato e al fondo Clessidra, e riguarda i contributi pubblici dati alle società dell’ex Gruppo Tirrenia (oltre 400 mi- Prysmian, piano azioni ai dipendenti P rysmian lancia il nuovo piano di partecipazione azionaria di lungo termine riservato ai dipendenti. Il piano, denominato Yes-Your Employee Shares e giunto al quarto anno consecutivo, ha fatto sì che a oggi oltre il 40% dei circa 20 mila dipendenti sia diventato anche azionista. «Il nostro obiettivo», spiega l’ad Valerio Battista, «è di avere un nucleo di dipendenti azionisti che rappresenta l’1,5% dell’azionariato. Per una public company come Prysmian, l’allineamento degli interessi di azionisti e dipendenti è di fondamentale importanza», conclude Battista. Il piano Yes offre ai dipendenti l’opportunità di acquistare azioni Prysmian godendo di uno sconto fino al 25% rispetto al prezzo di mercato. Con l’obiettivo di favorire soprattutto la massa di dipendenti, al top management è riservato solo l’1% di sconto mentre ai manager il 15%. Il piano prevede un premio anche per chi ha già aderito e decide di rinnovare l’impegno, conferendo otto azioni gratuite. Da quest’anno anche i dipendenti provenienti da Argentina, Indonesia, Costa d’Avorio, Filippine, Nuova Zelanda e Tunisia potranno partecipare al programma. lioni di euro configurabili come aiuti di Stato) dagli anni 90 al 2011 e di cui la Commissione potrebbe imporre il recupero. Non a caso nell’estate 2012 la vendita della società era rimasta in stand-by per alcune settimane perché gli acquirenti di Tirrenia prima di procedere al closing avevano chiesto invano al governo garanzie di copertura a fronte del rischio di vedersi chiedere da Bruxelles la restituzione di centinaia di milioni. Al momento l’esito dell’indagine è ancora pendente. Ad ogni modo la questione non è piaciuta ad alcuni investitori istituzionali sottoscrittori dei bond Moby: «Questa vicenda era stata tenuta nascosta durante il roadshow», dicono. «Non era mai stato fatto alcun cenno al contenzioso aperto». Da Moby fanno però sapere Vincenzo Onorato che «nel contratto di acquisto di Tirrenia è stato previsto che, in attesa del giudizio pendente in Commissione, non venissero pagate le rate. Gli investitori sono Milkman incassa 1 milione dai venture ilkman, start-up specializzata nella logistica smart che perM mette di decidere giorno e ora nei quali ricevere a casa le spedizioni, si è aggiudicata un nuovo round di investimento da 1,05 milioni di euro, di cui 500 mila euro versati dai fondi di venture di P101 e 360 Capital Partners e il resto sottoscritto da Mike Brennan, manager e business angel statunitense. Nato a fine 2015 e lanciato sul mercato alla fine dello scorso maggio, Milkman è un progetto di Antonio Perini, cofondatore di Cortilia (a sua volta partecipata di P101) e Viamente (oggi Workwave Route Manager), e di Tommaso Baù, cofondatore di Itecs. Il servizio, gestito attraverso app, nasce per rispondere alle esigenze di chi non dispone di una portineria e non può oppure non vuole ricevere pacchi sul posto di lavoro. Il round di investimento appena siglato fa seguito al round «pre-seed» dell’acceleratore Boox di 75 mila euro del dicembre 2015 e del round seed di WorkWave da 181 mila euro dello scorso di marzo, utilizzati per sviluppare e lanciare il servizio, partito negli scorsi mesi a Milano. consapevoli di questa clausola da tempo, già dalla fase di roadshow». In realtà fonti vicine al ministero dello Sviluppo Economico fanno sapere che si dovrà ora decidere se concedere a Moby una deroga sui pagamenti (in attesa del pronunciamento Ue) o se procedere invece per ottenere il pagamento. Il 100% di Tirrenia era stato ceduto per 380 milioni, di cui 200 versati subito e i rimanenti 180 da liquidare in tre tranche da 55, 60 e 65 milioni rispettivamente ad aprile 2016, aprile 2019 e aprile 2021. Tirrenia ogni anno (fino al 2020) riceve 72 milioni di contributi pubblici stabiliti dalla convenzione con lo Stato per la continuità territoriale. Lo scorso febbraio, nell’ambito di una più ampia operazione di rifinanziamento per complessivi 560 milioni, Onorato Armatori (holding che custodisce Moby, Tirrenia e Toremar) aveva collocato un prestito obbligazionario senior secured da 300 milioni rivolto a investitori internazionali con scadenza 2023 e cedola al 7,75%. Fra gli investitori che hanno creduto in Moby serpeggia il malumore non solo per questo mancato pagamento di Tirrenia ma anche per i risultati del primo semestre, tornati in rosso a causa di una flessione dei ricavi del trasporto marittimo di merci. Tra gennaio e giugno Moby ha registrato un fatturato in calo del 13% a 216,5 milioni, un ebitda in contrazione a 29,2 milioni (dai 43,6 di un anno prima) e 18,5 milioni di perdita (contro l’utile di 973 mila euro di 12 mesi prima). (riproduzione riservata) Nidec Asi, la ex Ansaldo Sistemi Industriali torna a crescere con lo stoccaggio energetico di Carlo Brustia H a capito che il vento era girato e ha virato in tempo in modo da rimettere aria nelle vele. È quanto ha fatto Nidec Asi, la piccola multinazionale, con sede a nord di Milano, che produce motori e generatori elettrici, elettronica di potenza e sistemi di controllo e automazione per applicazioni industriali nata a inizio 2013, quando il gigante giapponese Nidec (11 miliardi di dollari di giro d’affari, quotato a Tokyo) ha comprato la Asi, ossia la storica Ansaldo Sistemi Industriali, ramo del gruppo Ansaldo finito nel corso del secolo scorso anche sotto il controllo di Fiat prima e Finmeccanica poi. Poco prima dell’arrivo dei giapponesi, nel 2011, la Ansaldo Sistemi Industriali aveva chiuso il bilancio più ricco della sua lunga storia con 288 milioni di euro di fatturato grazie soprattutto al picco raggiunto in quella fase dall’industria siderurgica mondiale. Ma, come accennato, il vento da lì a poco sarebbe girato; gran parte delle maggiori economie mondiali si sarebbe inceppata, il ciclo della siderurgia si sarebbe esaurito e l’industria petrolifera, altro settore di sbocco per i progetti e i prodotti di Nidec Asi, avrebbe incominciato a conoscere la lunga crisi che ancor oggi sperimenta a causa della caduta dei prezzi del greggio. All’azienda italiana urgeva dunque già una svolta. «Abbiamo così deciso di adottare una strategia multinicchia sia sul fronte dei prodotti, puntando sul settore delle rinnovabili con i sistemi per lo stoccaggio dell’energia e per la stabilizzazione delle reti di distribuzione, sia sul fronte geografico, puntando su mercati, come la Russia, in cui c’era spazio per le nostre soluzioni», racconta oggi Giovanni Barra, ceo di Nidec Asi. E questa strategia multinicchia pare stia funzionando, visto che l’azienda (1.600 dipendenti e 9 tra sedi e stabilimenti nel mondo) a fine marzo chiuderà il bilancio 2016-2017 con circa 380 milioni di dollari di fatturato, il 29% in più rispetto all’ultimo esercizio a perimetro costante e il 45% in più considerando l’acquisizione dell’americana Avtron. Inoltre negli ultimi due anni le commesse hanno fatto segnare un +59% e negli ultimi tre il portafoglio-ordini è triplicato. Richieste di lavori e prodotti che per il 33% oggi arrivano dalla Russia (è della scorsa primavera l’accordo da 125 milioni di euro siglato con la Russian Electric Motor per 50 grandi motori elettrici per modernizzare i sistemi di pompaggio del big petrolifero Transneft). Seguono la Germania con il 21%, l’Italia con il 16 e l’area Nafta con l’11% grazie soprattutto al Canada. Gran parte del merito del ritrovato buon andamento del business è però legato alla modifica della torta dei ricavi in base ai segmenti di applicazione, con l’oil&gas che si mantiene al 47%, con il segmento energia & rinnovabili che in questi ultimi anni è salito fino al 33% e con la siderurgia che è crollata al 9%. «L’oil&gas come segmento di sbocco dei nostri prodotti non è morto, anche se registriamo la frenata degli investimenti da parte delle compagnie petrolifere», spiega Barra. «Sul fronte della siderurgia il calo è invece più vistoso; gli ordini da quel settore per noi oggi valgono 15 milioni l’anno mentre cinque o sei anni fa viaggiavamo intorno a 115 milioni; d’altronde basti pensare che oggi in tutto il mondo ci sono solo due progetti di impianti siderurgici nuovi, uno in Iran e l’altro in Sudamerica, stop». Ma quello che prima a Nidec Asi era garantito dall’acciaio oggi arriva dalle rinnovabili, fotovoltaico in testa, e in particolare dai progetti di stoccaggio di energia e di realizzazione di micro-reti (micro smart grid). In questo campo l’accordo più grande, da 73 mi- lioni di euro, è stato siglato a fine 2015 con l’utility tedesca Steag per un sistema di stoccaggio di energia da 90 megawatt. Numerosi sono poi i nuovi progetti in tutto il mondo, da quello per Advantec ad Hokkaido, in Giappone, per 6 megawatt di fotovoltaico con stoccaggio di energia, ad altri in giro per il mondo, dal Messico all’India, dal Congo alle Maldive. E presto potrebbe arrivare un nuovo colpo in Regno Unito, di dimensioni minori ma paragonabili all’affare concluso con Steag. Dopo aver vinto la prima tranche da 12 milioni di euro con un progetto per la stabilizzazione della rete elettrica di National Grid (la Terna inglese), infatti, Nidec Asi sta per vedersi assegnato anche il secondo lotto di lavori, da quasi 50 milioni. Un’ultima spinta all’aumento dimensionale potrebbe infine arrivare dalla casamadre Nidec: il gruppo giapponese ha appena rilevato da Emerson Industrial Automation la Control Tecniques. Si tratta di uno dei principali produttori mondiali di convertitori di piccole dimensioni, mentre Nidec è specializzata in grandi inverter; un’integrazione tra le due realtà, sotto la regia del comune proprietario giapponese, sembra insomma nelle cose. (riproduzione riservata)