Immigrazione e diritti umani nel quadro legislativo attuale

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Collana di monografie
IMMIGRAZIONE
E DIRITTI UMANI
NEL QUADRO
LEGISLATIVO ATTUALE
a cura di
Pasquale Costanzo, Silvana Mordeglia
e Lara Trucco
84
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INDICE
pag.
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VII
GRAZIELLA GALLIANO, Riflessioni sulla recente mobilità spaziale in Italia e in
Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
LARA TRUCCO, Il permesso di soggiorno nel quadro normativo e giurisprudenziale
attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
ELENA FIORINI, Il ricongiungimento familiare. L’esperienza dell’avvocato . . . . .
45
SILVANA MORDEGLIA, Il ricongiungimento familiare. L’esperienza dell’assistente
sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
55
ANTONIO PAPPALARDO, Flussi migratori e devianza minorile. . . . . . . . . . . . .
69
FRANCO CATANI, Gli interventi dei centri di ascolto vicariali a favore degli
immigrati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
81
LIA MASTROPAOLO, Counselling, mediazione e lavoro di rete con i migranti . . .
89
ANNA BANCHERO, Gli interventi sociali e sociosanitari a favore degli immigrati
nella regione Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
101
ANGELA TESTI - ENRICO IVALDI, L’esercizio del diritto alla tutela della salute: accesso
degli immigrati ai servizi sanitari in regione Liguria . . . . . . . . . . . . . .
115
ROSA PALOMBO, Immigrazione e pubblica sicurezza. . . . . . . . . . . . . . . . . .
133
PAOLA BALBO, Immigrazione e asilo: differenze e commistione . . . . . . . . . . .
139
FEDERICA RESTA, Le linee della politica governativa nei settori dell’immigrazione e
dell’asilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
149
PAOLA PELLEGRINO, L’assistenza legale al richiedente asilo. Casistica. . . . . . . .
191
MAURIZIO GUAITOLI, Il riconoscimento dello status di rifugiato e del diritto di asilo.
Allegato: “Progetto per la realizzazione della rete intranet per “dublinet” tra la
Commissione Nazionale, la sezione stralcio e le Commissioni territoriali per il
riconoscimento dello status di rifugiato e per l’asilo” . . . . . . . . . . . . . .
199
GIOVANNI VESCO, Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
249
Notizie sugli autori e i curatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
259
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PREMESSA
I contributi che qui si raccolgono scaturiscono o sono stati stimolati
dai lavori svoltisi in occasione del convegno tenutosi a Genova il 30
novembre 2007, nell’ambito delle attività di ricerca e di formazione della
Laurea specialistica in Direzione sociale e servizi alla Persona dell’Università di Genova, nella quale i curatori operano in campi e con interessi
diversi.
L’attualità e la delicatezza del tema non esigono all’evidenza di essere
comprovate e certamente non mancano approfondimenti di varia natura
da parte di specialisti e pratici del settore. Da parte nostra, si è voluto
pertanto aggiungere qualche tassello al dibattito in corso, spinti sia
dall’imminenza di nuovi (ma chi sa quanto risolutivi) interventi normativi, sia soprattutto dall’esigenza di dar voce anche a quegli operatori che
più da presso e, si potrebbe dire, quotidianamente si trovano ad affrontare, anche con drammatica concretezza, le varie questioni poste dal
fenomeno migratorio e dalle domande di asilo. L’accostamento peraltro di
questi due diversi piani non dovrebbe sorprendere, considerato appunto
come in pratica sia spesso sottile il diaframma tra i diversi istituti,
spezzato il quale l’orizzonte di tutela potrebbe completamente riconfigurarsi.
Comunque sia, ci pare che ciascuno dalla sua particolare prospettiva
(il giurista, l’economista, il magistrato, l’avvocato, l’assistente sociale, lo
psicologo, il funzionario della Polizia di Stato, il funzionario delle
amministrazioni territoriali, l’esponente sindacale e quello del volontariato confessionale) abbia con professionalità e passione apportato il suo
prezioso contributo, offrendo più di un motivo per l’ulteriore ricerca sia
teorica, sia ‘sul campo’.
In questo mix di punti di vista, confrontati tra loro, sta probabilmente uno dei punti di forza delle pagine che seguono e che, dunque, sono
destinate ad una platea di persone interessate piuttosto ampia.
I CURATORI
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VIII
PREMESSA
I curatori desiderano infine ringraziare quanti, anche semplicemente
intervenendo al dibattito durante i lavori del convegno, hanno permesso
la realizzazione della presente iniziativa. Un grazie particolare è rivolto
all’Avvocato Paola Pellegrino per l’impulso e l’impegno profusi, alla
Regione Liguria (Assessorato alle Politiche dell’Immigrazione), al Banco
di Sardegna (Filiale di Genova), e alla Sezione di Diritto costituzionale
del DIPU dell’Università di Genova per il sostegno variamente apportato.
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GRAZIELLA GALLIANO
RIFLESSIONI SULLA RECENTE MOBILITA
v SPAZIALE
IN ITALIA E IN EUROPA
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. L’immigrazione in Italia e in Europa. — 3. Riflessioni
conclusive.
1.
PREMESSA.
Con grande piacere ho accettato l’invito a partecipare a
questo Convegno che tratta un argomento molto importante per
la società attuale — come è già stato osservato dai precedenti
interventi — e che rientra da tempo nel campo di ricerca delle
scienze geografiche.
La mobilità della popolazione è ritenuta da diversi studiosi il
fenomeno che più di ogni altro ha contraddistinto il secolo XX,
al di là dei grandi progressi tecnologici. In particolare, gli spostamenti migratori si sono succeduti in maniera ininterrotta
nell’arco di cento anni anche se sono cambiati i protagonisti, le
mete e i luoghi di partenza. E questo grande movimento di
uomini ha determinato o quantomeno facilitato tutti gli altri tratti
salienti del secolo: le conquiste scientifiche e la loro diffusione, la
liberalizzazione del mercato con la conseguente circolazione di
merci e di capitali, le grandi innovazioni nel campo delle comunicazioni e ha innescato i diversi problemi della globalizzazione (1).
La possibilità di spostarsi ha consentito a molti di uscire al di
(1) Per un approccio geografico all’immigrazione in Italia rinvio alla mia recente
rassegna (che non ha alcuna pretesa — né potrebbe averla — di essere esaustiva):
Religioni e immigrazioni. Una lettura geografica, Le Mani Microart’s Edizioni, 2006,
Recco, in particolare 55-91.
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2
IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
fuori di comunità nazionali per secoli rimaste chiuse al loro
interno ed ha posto alla ribalta dell’attenzione internazionale
realtà e problemi poco noti o del tutto sconosciuti. Si sono così
gettate le basi per cambiamenti che solo al giorno d’oggi cominciano a configurarsi in maniera più chiara. Se infatti la prima
generazione di quanti emigravano tendeva ad assimilarsi il più
possibile con le società ospiti, quasi rinnegando le proprie tradizioni e la propria cultura, il crescere numerico delle varie etnie sta
portando al crearsi di comunità ben salde che riscoprono e
rivendicano i loro valori culturali affianco di quelli seguiti dalla
società ospitante, reinventando e riappropriandosi degli spazi
pubblici.
Ogni emigrazione contribuisce alla diffusione della multicultura, non solo di una cultura di tipo più ampia, aperta al rispetto
delle altre culture, ma alla coesistenza di pratiche culturali diverse, talvolta tra loro contrastanti. È questo il nodo da sciogliere,
di difficile soluzione peraltro, che ci viene lasciato in eredità dal
secolo appena passato (2). La convivenza e l’integrazione nell’ambito di ormai consolidati confini spaziali di etnie diverse non sono
di facile soluzione come la storia ci insegna da tempo.
La letteratura sulla mobilità della popolazione (che coinvolge
oggi nel mondo circa 200 milioni di persone) è diventata ormai
mastodontica, poiché ad essa si sono dedicati, oltre che vari
esperti di materie giuridiche, gli storici, i demografi, gli statistici,
gli economisti, i sociologici e gli antropologi sottolineando le
convergenze teoriche e le evidenze empiriche del recente paradigma migratorio.
Le ricerche hanno via via assunto un carattere interdisciplinare e l’attenzione del geografo si è concentrata dapprima sugli
aspetti generali della mobilità spaziale per affrontare più di
recente lo studio dei meccanismi di coinvolgimento dei nuovi
(2) G. ARENA, A. RIGGIO, P. VISOCCHI (a cura di), Italia crocevia di genti.
Immigrazione al positivo: la nascita di una cultura multietnica, Atti del Convegno
(Cassino, 1997), Perugia, RUX Editrice, 1999, 9-13.
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GRAZIELLA GALLIANO
3
attori e della loro partecipazione ai progetti di sviluppo locale, di
grande rilevanza quindi nei processi di inclusione territoriale (3).
2.
L’IMMIGRAZIONE
IN
ITALIA
E IN
EUROPA.
Per una panoramica di inquadramento delle linee di distribuzione dei flussi migratori in Italia e in Europa (4) sono
fondamentali i dati riportati nell’ultimo Rapporto del Dossier
Caritas/Migrantes (5): in Italia la presenza degli stranieri, comprendente sia i residenti sia i soggiornanti, è in continua crescita:
nel 1970 sono stati rilevati quasi 144.000 stranieri, dieci anni
dopo essi erano già raddoppiati, nel 1990 quintuplicati, agli inizi
del 2000 erano quasi decuplicati ed infine lo scorso anno sono
aumentati di 25 volte, superando i 3.690.000. Il numero degli
immigrati ha così raggiunto quello dei cittadini italiani emigrati
all’estero (6).
Devo però precisare che l’ISTAT ha registrato nel 2006 solo
quasi tre milioni di residenti stranieri e che in questa sede non ho
preso in considerazione il movimento emigratorio. Sempre dai
dati ISTAT, l’Italia risulta caratterizzata da un indice di invecchiamento demografico tra i più elevati al mondo e in continua
crescita: i residenti con più di 60 anni costituiscono un quarto
(3) Si rinvia, per esempio, alla ricerca condotta da A. CORSALE, M.L. GENTILEM. IORIO, A. LEONE, A. LOI, G. SISTU, Mobilità geografica e percorsi di sviluppo
locale fra Marocco, Sardegna e Tunisia, in Geotema, 2004 (pubblicato nell’estate 2006),
24, 12-22.
(4) In questa sede viene preso in considerazione solo un aspetto della mobilità
spaziale della popolazione, quello migratorio che la letteratura distingue dalla prima
intesa come “circolazione di persone” che non comporta un cambiamento permanente
di residenza, mentre il fenomeno migratorio attua un abbandono del luogo di origine
o provenienza (R. GRUMO, Riflessione geopolitica e impatto socio-economico del fenomeno immigratorio nel territorio pugliese, Ibidem, 63). Per il vero, i manuali di geografia
classica hanno elaborato numerose altre classificazioni, alle quali tuttavia non si ritiene
qui necessario fare riferimento.
(5) CARITAS/MIGRANTES, Immigrazione. Dossier Statistico 2007, XVII Rapporto,
Roma, IDOS (Pomezia, Arti Grafiche), 2007.
(6) Questi dati sono desunti dalla ricerca di F. PITTAU E L. DI SCIULLO, Consistenza, provenienza e insediamento degli immigrati, pubblicata nel Dossier citato alla
nota precedente, 87 ss.
SCHI,
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
della popolazione italiana mentre i giovani con meno di 15 anni
solo il 14% (7). Nella dinamica demografica nazionale le correnti
immigratorie caratterizzate in prevalenza da flussi in giovane età
assumono pertanto rilevanza sempre maggiore nella formazione
delle famiglie transnazionali, nelle relazioni di genere, nella costruzione delle catene migratorie e nelle nuove reti sociali.
Pur tenendo presente che nel tempo è cambiato il sistema di
registrazione dei permessi di soggiorno, in base alle stime della
Caritas l’immigrazione dagli altri Stati europei nel nostro Paese
ha sempre rappresentato la componente maggiore pur con ritmi
e tempi differenti: il 61% nel 1970, il 53% dieci anni dopo, è
scesa al 33% nel 1990 a causa dell’incremento massiccio dell’immigrazione dall’Africa, mentre successivamente ha seguito un
trend positivo soprattutto per i flussi provenienti dall’Europa
Orientale. Va tuttavia precisato che in termini assoluti tutti i flussi
hanno registrato consistenti aumenti e che nel Dossier di Caritas/
Migrantes le statistiche sono calcolate sui permessi di soggiorno
del Ministero dell’Interno e per il 2006 sulla stima inclusiva dei
minori e dei permessi in corso di integrazione.
I motivi della presenza degli immigrati nel nostro Paese sono
in maggioranza quelli di lavoro (56%), seguiti da quelli familiari
con un’incidenza (36%) indicativa almeno in parte di progetti a
lungo termine, due caratteristiche che sono divenute pressoché
costanti nei paesi di nuova immigrazione.
Osservando la distribuzione delle presenze in Italia per macroaree si rileva che a fine 2006 più della metà si è insediata nel
settentrione (33,7% nel Nord Ovest e 25,9% nel Nord Est, in
termini assoluti circa 1 milione e 250 mila nella prima area e quasi
1 milione nella seconda); quasi un milione anche nelle regioni
centrali (26,6%) e mezzo milione in quelle meridionali (13,8%).
In sintesi, l’Italia settentrionale continua da tempo ad essere il più
rilevante polo di attrazione. Occorre mettere in evidenza l’elevata
concentrazione in Lombardia che accoglie quasi uno straniero su
4 con 851 mila stranieri pari al 23%, seguita dalle regioni Lazio
(7)
Elaborazione dati ISTAT.
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GRAZIELLA GALLIANO
5
(500 mila pari al 14%), Veneto ed Emilia Romagna che annoverano ciascuna l’11% delle presenze totali.
Molto significativo è il confronto di questi dati con quelli
rilevati dall’ISTAT sul numero dei minori immigrati soprattutto
nell’esame dei contesti provinciali, in alcuni dei quali i minori
costituiscono un quarto della popolazione straniera, come per
esempio a Rovigo dove si supera il 28%. In diversi Comuni del
Centro-Nord, che conservano vistosi segni dell’abbandono nel
paesaggio delle campagne, gli immigrati riportano vitalità nelle
dinamiche territoriali, soprattutto con la riapertura degli edifici
scolastici.
Nel Dossier Caritas citato i flussi in entrata in Liguria sono
stimati in 94.400 soggiornanti, con un incremento di un quinto
rispetto all’anno precedente; sono confermate alcune peculiarità,
come la prevalenza della componente femminile (54%) superiore
alla media nazionale (50,4%) e la massiccia immigrazione dall’Ecuador (15 mila) e dall’Albania (13 mila), seguiti da Marocco
e Romania.
Per il Comune capoluogo, l’Atlante demografico della città
pubblicato dal Comune di Genova fornisce un quadro molto
dettagliato sulla presenza dei 35.255 stranieri residenti con una
documentazione statistica e un apparato iconografico molto efficaci e di fondamentale aiuto alla ricerca (8). Quasi la metà è
originaria dell’America centro-meridionale, il 17% dell’Africa,
l’11% dell’Asia. La loro incidenza percentuale è in aumento in
tutte le 9 circoscrizioni: dopo una prima fase di concentrazione
nel Centro Ovest (Oregina, Lagaccio, Pré, Molo, Maddalena,
Castelletto, Portoria) in cui risiedeva il 37% degli stranieri residenti nel 2000, si assiste ad una nuova fase di ridistribuzione
sull’intera superficie comunale, con una concentrazione nel Centro Ovest scesa al 24%.
Riprendendo i dati della Caritas sul piano nazionale è stimata
più consistente l’immigrazione dalla Romania, con quasi 556 mila
presenze regolari pari al 15%, seguita dal Marocco con 387 mila
(8) Si tratta dell’VIII edizione (2006), a cura di P. ARVATI, L. BODRATO, E.
MOLETTIERI.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
presenze e dall’Albania con 381 mila, e in ordine decrescente da
Ucraina, Cina (186 mila), Filippine (114 mila), Moldova, Tunisia,
India (91 mila), Polonia, Serbia Montenegro, Bangladesh (77
mila).
Va messo in evidenza che la Romania rappresentava in Italia
il primo gruppo straniero ancor prima del suo ingresso nell’Unione Europea e che vi sono attive 20 mila società italiane
anche di notevole entità come Enel e Finmeccanica, nelle quali
sono occupati 6 mila italiani. Dalla Romania giunge nel nostro
Paese più di un terzo dei circa 6 mila minori non accompagnati;
inoltre, nell’Europa a 25 i Rom raggiungevano già i dieci milioni
e sono quindi la maggiore comunità senza Stato sul territorio
europeo.
Con l’ingresso della Romania e della Bulgaria, l’Europa a 27
Stati del I gennaio di quest’anno supera i 492 milioni di abitanti,
collocandosi al terzo posto sul piano mondiale, anche se a larga
distanza dopo la Cina (1 miliardo e trecento milioni) e l’India (1
miliardo e 100 milioni); tuttavia, l’alto indice di invecchiamento
della popolazione europea induce a prevedere una forte contrazione demografica (almeno 67 milioni di abitanti entro il 2050) e,
pertanto, l’immigrazione assume un ruolo sempre più incisivo
con il milione attuale di immigrati per anno che tende ad
aumentare per esigenze demografiche ed occupazionali. In base
ai dati Caritas/Migrantes nell’Unione Europea gli immigrati con
cittadinanza straniera sono circa 28 milioni (inizio 2006), ma essi
raggiungono 50 milioni se si considerano quelli che hanno ottenuto la nuova cittadinanza.
Anche se ci limitiamo a prendere in considerazione solo il
primo dato, rilevante è comunque la sua incidenza sulla popolazione alloctona, il 5,6% sul totale, con sensibili variazioni interne:
nei due Stati neocomunitari tale percentuale scende al di sotto
dello 0,5, mentre nei maggiori Stati dell’Europa a 15 è compresa
fra il 4 e l’8%. In gran parte dell’Europa Centro Orientale gli
stranieri sono meno del 3%, solo in Estonia e Lituania l’immigrazione dalle repubbliche ex sovietiche ha elevato al 20 la
percentuale. Questa tocca la punta massima nel Lussemburgo,
dove si registrano 182 mila stranieri su meno di 500 mila abitanti,
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GRAZIELLA GALLIANO
7
con un’incidenza del 40% sulla popolazione, un dato decisamente prioritario.
In futuro, le ricerche saranno agevolate dalle statistiche comunitarie elaborate sulla base di standard internazionali, come è
stato definito dal Parlamento e dal Consiglio d’Europa nella
scorsa estate (826/2007), per la necessità di informazioni sulla
professione, l’istruzione e le qualifiche degli immigrati. La Commissione incaricata, entro il 20 agosto 2012, dovrà trasmettere sia
al Parlamento sia al Consiglio una relazione su tali statistiche e in
seguito con periodicità triennale (9).
Nel 2003, la Commissione europea aveva promosso il progetto di una rete di esperti sulle migrazioni, con il supporto dei
Ministeri dell’Interno dei vari Stati membri, per la raccolta di dati
attendibili ed omogenei: in rete hanno lavorato 17 Punti di
Contatto Nazionali e 4 Stati osservatori, in attesa di una partecipazione completa. Alla Caritas Italiana/Dossier Statistico Immigrazione compete il punto di contatto italiano, tramite il Centro
Studi Ricerche Idos (10).
3. RIFLESSIONI
CONCLUSIVE.
Nel ricco quadro delle evidenze quantitative utili al monitoraggio della mobilità spaziale si evince una sostanziale diversità
fra l’Europa e l’Italia per quanto concerne le domande di asilo,
infatti sul continente, come nel mondo, esse tendono a diminuire,
mentre nel nostro Paese, pur dopo alcune flessioni, si registra un
aumento sensibile ancora negli ultimi due anni, superando le
diecimila domande.
Anche i dati relativi ai flussi in arrivo di clandestini, favoriti
dalla posizione geografica dell’Italia, segnalano un afflusso mas(9) A. D’ANGELO, L’immigrazione e la presenza straniera nell’Unione Europea a
27, in CARITAS/MIGRANTES, Immigrazione. Dossier Statistico 2007, cit., 26.
(10) Ogni Punto di Contatto cura la schedatura delle statistiche sull’immigrazione nel nostro paese e l’iter legislativo, la redazione di due rapporti annuali, una
bibliografia selezionata e gestisce il sito www.emnitaly.it (CARITAS/MIGRANTES, Immigrazione. Dossier Statistico 2007, cit., 35).
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
siccio, stabilizzatosi sui 22 mila sbarchi di stranieri negli ultimi
due anni.
Ritengo di aver quasi esaurito il tempo concessomi; mi limito
a rilevare che nel corso degli ultimi anni si è verificata una
profonda trasformazione della geografia italiana ed europea, per
i processi di diffusione e di insediamento sul territorio che si
rivelano in forte connessione con la congiuntura internazionale,
l’evoluzione del mercato del lavoro, l’origine e la provenienza dei
flussi, le strutture demografiche ed economiche dei paesi di
accoglienza. Alcuni studiosi definiscono i casi di “territorializzazione debole”, per le presenze migratorie di brevi periodi (per lo
più Africani o immigrati dell’area balcanica): i segni impressi sul
territorio sono fugaci, come per esempio nelle attività agricole,
ma sono evidenti anche forme ben più incisive definite di “colonizzazione” di quartieri o parti di superfici metropolitane, come
quelli degli immigrati dalla Cina in alcune grandi città come
Milano o le nuove mixité di Napoli o nelle aree tessili di
Firenze-Prato (11); sono ovunque in forte crescita i rioni multietnici, le bande e le nuove organizzazioni di strada, il nuovo
spazio di ibridazione e risignifìcazione dei differenti stili culturali
delle seconde generazioni (12).
(11) Per opportuni approfondimenti si rinvia a C. BRUSA (a cura di), Atti del
Convegno Immigrazione e multicultura nell’Italia di oggi, Macerata, 1998, vol. II, La
cittadinanza e l’esclusione, la “frontiera adriatica” e gli altri luoghi dell’immigrazione, la
società e la scuola, Milano, Franco Angeli, 1999; F. KRASNA E P. NODARI (a cura di),
L’immigrazione straniera in Italia. Casi, metodi e modelli, in Geotema, 2004 (pubblicato
nel 2006), 23; FONDAZIONE ISMU, Regione Lombarida, varie pubblicazioni; L. QUEIROLO
PALMAS, Prove di seconde generazioni, Milano, Franco Angeli, 2006; C. CERRETTI, N.
FUSCO, Geografia e minoranze, Roma, Carocci, 2007.
(12) L’immigrazione a Genova vanta una lunga serie di studi geografici; di
recente hanno dato un contributo fondamentale alla ricerca le indagini di carattere
prevalentemente sociologico: S. VENTO (a cura di), I latinoamericani a Genova, Genova,
De Ferrari, 2004; M. AMBROSINI, D. ERMINIO, A. RAVECCA, Primo rapporto sull’immigrazione a Genova, Genova, Fratelli Frilli, 2004; M. AMBROSINI , A. TORRE, Secondo rapporto
sull’immigrazione a Genova, Genova, Fratelli Frilli, 2005; L. QUEIROLO PALMAS, A.
TORRE, Il fantasma delle bande, Genova, Fratelli Frilli, 2005; M. AMBROSINI, L. QUEIROLO
PALMAS, A. TORRE (a cura di), Terzo Rapporto sull’immigrazione a Genova, Genova,
Fratelli Frilli Editori, 2006. Anche l’impegno da parte degli enti locali è senza dubbio
rilevante: C. NOSENGHI, D. BERETTI (a cura di), Un futuro credibile, Min. Pubbl. Istr. Uff.
Scol. Reg. per la Liguria, Centro Risorse Alunni Stranieri, 2007; REGIONE LIGURIA, Atti
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GRAZIELLA GALLIANO
9
Come ho già ribadito in diverse occasioni, i processi di
integrazione presuppongono una conoscenza reciproca che solo
in questi ultimi tempi si sta cercando di costruire e che l’entità
dell’attuale apporto migratorio rende ogni giorno più complessa
e talora anche difficile. I dati statistici possono costituire la base
per approfondimenti sistematici dei secolari problemi legati alla
convivenza e quindi all’inclusione, alla cui soluzione l’analisi
geografica offre un contributo sia per quanto attiene alle dinamiche territoriali, sia per la prospettiva che questo apre alla vita
economica e sociale del nostro Paese e dell’Europa.
Concludo lamentando l’attuale dispersione degli studi e delle
ricerche sui movimenti di popolazione e la limitata conoscenza
dei risultati raggiunti dalle diverse discipline, anche se affini. Si
avverte sempre di più la necessità di un dibattito sulle metodologie delle diverse scuole di ricerca allo scopo di pervenire alla
formulazione di principi teorici generali. Per questo motivo
ringrazio vivamente il collega Pasquale Costanzo e l’avvocato
Paola Pellegrino per l’occasione che mi è stata data.
Conferenza Immigrazione analisi e prospettive, suppl. “Io lavoro forum”, 2007. Inoltre,
una quarantina di Associazioni si occupano di immigrazione nella Provincia di Genova.
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LARA TRUCCO
IL PERMESSO DI SOGGIORNO NEL QUADRO
NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE ATTUALE
L’ESPERIENZA DELL’AVVOCATO
SOMMARIO: 1. Dai “sans papier” agli “stranieri soggiornanti”: toponomastica di un
fenomeno senza confini. — 2. Il “permesso di soggiorno” nel “Testo unico
sull’immigrazione”. — 3. La tendenza verso la “specificazione”: le “tipologie” di
permessi di soggiorno. — 4. Il “permesso di soggiorno elettronico” e l’identificazione degli stranieri.
1. DAI “SANS
PAPIER” AGLI
“STRANIERI
SOGGIORNANTI”: TOPONOMA-
STICA DI UN FENOMENO SENZA CONFINI.
Senza rievocare addirittura i “salvacondotti” di epoca medievale, può dirsi che tra i più diretti antenati del “permesso di
soggiorno” vi siano stati i “papiers”, la cui materiale disponibilità,
e con essa il fatto di poterli esibire alle autorità (dimostrando di
non essere “sans papiers” appunto…), sul suolo francese, già a
partire dalla seconda metà del XIX e poi soprattutto nel corso del
XX secolo, divenne necessario affinché gli stranieri potessero
circolare nel territorio dello Stato. Si ebbero così i cd. “carnet dei
nomadi”, voluti dalla legge francese del 16 luglio 1912, e la
predisposizione, più in generale, di vere e proprie carte “degli
stranieri” (1).
Quando, poi, si poterono incorporare i dati biometrici (in
primis la fotografia) dei titolari del documento nel supporto
materiale stesso, i papier da soli “titoli” di “viaggio” e di “soggiorno”, si trasformarono in veri e propri strumenti di controllo
(1) Ci si permette di rinviare sull’argomento a L. TRUCCO, Introduzione allo
studio dell’identità individuale nell’ordinamento costituzionale italiano, Giappichelli,
Torino, 2004, 22 e ss.
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(seppur, per così dire, sporadico e “casuale”, in quanto la tecnica
non consentiva ancora di effettuare verifiche “mirate” sulla persona “ricercata”).
La “fabbricazione” sempre più perfezionata di queste “carte”
identificative e la crescente capacità di controllo, per loro tramite,
degli organi pubblici, avrebbe avuto la propria definitiva affermazione, in ambito europeo (fatte salve alcune eccezioni), nel
Secondo Dopoguerra. Anche se, per vero, da questo punto di
vista, l’ordinamento italiano bruciò le tappe, visto e considerato
che già il “Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza” del 1926
— le cui norme, almeno in questa parte, sarebbero state mantenute in quello del 1931 —, subito prima del “Titolo VI” recante
le “Disposizioni relative alle persone pericolose per la società”,
avrebbe introdotto un intero “titolo” specificamente dedicato
agli “stranieri” (2).
Tuttavia, del “permesso di soggiorno”, si trova traccia, tra le
prime volte, nel nostro ordinamento, in un comma aggiunto
dall’art. 3 della legge 10 febbraio 1961, n. 5 alla legge 29 aprile
1949, n. 264 (avente ad oggetto “Provvedimenti in materia di
avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati”), che, già prefigurando, in qualche modo,
quella che sarebbe divenuta una delle principali tipologie di
questo tipo di documento, imponeva ai lavoratori stranieri che
intendessero iscriversi nelle liste di collocamento di essere muniti,
appunto, di « permesso di soggiorno per motivi di lavoro » (3) (a
distanza di tempo, poi, la legge 30 dicembre 1986, n. 943 —
recante “Norme in materia di collocamento e di trattamento dei
lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni
clandestine” — si sarebbe preoccupata di precisare che « La
(2) Precisamente, si trattava del “Titolo V”, composto da un “Capo I” (artt.
142-9) sul “Soggiorno degli stranieri [nel regno]” e da un “Capo II” (artt. 150-152),
intitolato: “Degli stranieri da espellere e da respingere dal territorio dello Stato.
(3) Interessante è notare come la medesima normativa avesse già all’epoca
intrapreso il “molteplice binario identificativo” che caratterizzerà gli sviluppi successivi
della materia in ambito europeo, prevedendo la possibilità per il lavoratore straniero di
esibire, in alternativa al permesso di soggiorno, un documento equipollente « previsto
da Accordi internazionali ».
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perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il
lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno »: art. 11, comma 3).
Inoltre, altre disposizioni riguardanti il “permesso di soggiorno” è possibile rinvenirle in varie leggi di ratifica ed esecuzione
di trattati “di amicizia” firmati dal nostro Paese (4), così come in
normative più particolari, come per esempio quella “sui circhi
equestri e sullo spettacolo viaggiante” contenuta nella legge n. 337
del 18 marzo 1968 (5). Tuttavia, si trattava, all’evidenza, di regolamentazioni specifiche e, per così dire, estemporanee, mentre per
una disciplina organica del “permesso di soggiorno” dovrà attendersi la seconda metà degli anni Ottanta, quando, per motivi di
ordine interno e soprattutto internazionale, legati, fondamentalmente, al mutamento del quadro geo-politico ed al conseguente
aumento dei flussi migratori verso il continente europeo (6), si rese
improrogabile per il legislatore nazionale prendersi in carico la
materia dell’immigrazione, fino a quel punto rimasta “in secondo
piano”.
In particolare, fu dapprima un decreto ministeriale del 3
aprile 1986 e poi il decreto-legge n. 416 del 1989, convertito dalla
legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. Legge Martelli), ad inaugurare,
nel nostro ordinamento, una fase di estremo fermento e di
pressoché, finora, ininterrotto “assestamento” normativo in ma-
(4) Basti qui menzionare la legge 13 febbraio 1968, n. 308 “di amicizia,
commercio e navigazione tra l’Italia ed il Panama”, che seguì all’accordo concluso a
Panama il 7 ottobre 1965.
(5) Il cui art. 8 così disponeva: « Le imprese dei circhi equestri e dello spettacolo
viaggiante di nazionalità straniera, prima di effettuare tournées in Italia, devono
richiedere al Ministero del turismo e dello spettacolo apposita autorizzazione, specificando le caratteristiche del complesso, il numero e la qualifica dei componenti, la
località e la durata della tournée stessa La concessione del permesso di soggiorno ai
componenti il complesso è subordinata al rilascio del nulla osta del Ministero del
turismo e dello spettacolo, fatte salve le disposizioni contenute nel decreto del
Presidente della Repubblica del 30 dicembre 1965, n. 1656, concernenti la circolazione
ed il soggiorno dei cittadini degli Stati membri della CEE ».
(6) V. in proposito G. GALLIANO, Riflessioni sulla recente mobilità spaziale in
Italia e in Europa, supra, p. 1.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
teria, di cui peraltro è data prova dal massiccio ricorso, fin
quando è stato “possibile” (7), alla decretazione d’urgenza (8).
Sul versante internazionale, la miglior prova dei cambiamenti
nel frattempo intervenuti, è costituita dalla stipula degli accordi
di Schengen, risultato tangibile delle “prime” politiche di cooperazione sulla “libera circolazione delle persone”, avviate a livello
intergovernativo da parte, inizialmente, solo di alcuni Stati europei (9), constatato che non c’erano le condizioni, all’epoca, in
(7) Il riferimento corre ai “limiti” alla decretazione d’urgenza sanciti dalla Corte
costituzionale con le sentenze n. 29 del 27 gennaio 1995, in Giur. cost., 1995, 278 ss.
e n. 360 del 24 ottobre 1996, ivi, 3147 ss.
(8) Significativo è notare a riguardo come durante la XII legislatura pressoché
tutte le parti politiche presentarono in Parlamento disegni di legge intesi alla modifica
della legislazione sugli stranieri introdotta dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. In
particolare, nel giugno 1995 fu presentato alla Commissione Affari Costituzionali della
Camera un testo unificato in materia, su cui, tuttavia, non si raggiunse l’accordo. A quel
punto, il Governo Dini assunse l’iniziativa di modificare la legge del ’90, introducendo
al contempo una sanatoria delle posizioni irregolari, col d.l. 18 novembre 1995 n. 489
che fu più volte reiterato (con i decreti legge n. 22 del 18 gennaio 1996; n. 132 del 19
marzo 1996; e n. 269 del 17 maggio 1996 n. 269) senza venire convertito in legge.
Nel corso del XIII legislatura il Governo Prodi agì nuovamente in vista della
possibile riforma della legge del ‘90, nonché della sanatoria dei precedenti decreti, col
d.l. 16 luglio 1996 n. 376, che sarebbe stato destinato a perpetuarsi attraverso il
meccanismo della reiterazione, se nel frattempo non fosse intervenuta la menzionata
sentenza n. 360/96, con cui la Corte costituzionale dichiarò illegittimo il meccanismo
di reiterazione dei decreti legge (v. nota n. 6). Il Governo, costretto così ad abbandonare la strada della decretazione d’urgenza, intraprese quella tout court “legislativa”,
ponendo mano alla legge n. 617 del 9 dicembre 1996 con cui, tra l’altro, furono fatti
salvi gli effetti dei decreti decaduti.
(9) È noto infatti che il 14 giugno 1985 soltanto un gruppo ristretto di Stati
(composto da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) sottoscrisse
l’accordo per la soppressione graduale tra gli Stati membri dei controlli di frontiera
sulle persone. Il numero aumentò in seguito alle adesioni di Italia (27 novembre 1990),
Portogallo e Spagna (entrambi il 25 giugno 1992), Grecia (6 novembre 1992), Austria
(28 aprile 1995); nonché, nel 1996, di due Stati (Norvegia e Islanda) non facenti parte
dell’Unione Europea, a cui, più di recente, in seguito all’approvazione del referendum
del 5 giugno 2005, si è aggiunta la Svizzera (le norme del Trattato dovrebbero entrare
per questo paese in vigore nel novembre 2008). La Gran Bretagna e l’Irlanda, invece,
pur facendo parte dell’Unione europea, hanno deciso di rimanere fuori dagli accordi di
Schengen. Da ultimo, dopo un periodo transitorio, il 21 dicembre 2007 lo spazio
Schengen si è ampliato ricomprendendo gli Stati entrati a far parte dell’Unione europea
nel 2004 (l’abolizione dei controlli, per ora riguardante le frontiere terrestri e marittime, dal 30 marzo 2008 sarà estesa alle frontiere interne aeree), ad eccezione di Cipro,
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seno alla Comunità economica europea, per giungere ad una
convergenza d’intenti in materia.
Furono proprio gli accordi di Schengen ad introdurre elementi di novità anche con particolare riguardo alla materia
dell’immigrazione. Basti al proposito menzionare l’art. 9 dell’Accordo, ai sensi del quale gli Stati si impegnarono ad intensificare
« la cooperazione fra le proprie autorità doganali e di polizia »,
specialmente nella lotta verso « l’ingresso ed il soggiorno irregolare di persone » (10). Mentre si dovrà, poi, alla Convenzione di
applicazione dei medesimi accordi (in particolare il Titolo II
deputato alla “soppressione dei controlli alle frontiere interne e
circolazione delle persone”), la previsione di tutta una serie di
norme di disciplina delle condizioni di ingresso nell’Area (art. 5),
nonché, in particolare, l’istituzione del visto uniforme per soggiorni di breve durata (art. 10), e la previsione dell’obbligo di
lasciare “senza indugio” il territorio Schengen, in mancanza delle
condizioni di soggiorno previste (art. 23).
In seguito, il Trattato di Maastricht produsse un decisivo
mutamento di prospettiva a riguardo, immettendo questa materia
all’interno del terzo pilastro dell’Unione europea, e con ciò stesso
coinvolgendo, in certa misura, per la prima volta, le istituzioni
comunitarie, a tutto svantaggio dell’approccio esclusivamente
internazionalista in punto, anche, di immigrazione. Più precisamente, l’art. K. 1 del TUE (contenuto nel Titolo VI, recante
“Disposizioni relative alla cooperazione nei settori della giustizia
e degli affari interni”), stabilì che « Ai fini della realizzazione
degli obiettivi dell’Unione », ed in particolare « della libera circolazione delle persone », gli Stati membri avrebbero dovuto
considerare come “questione di interesse comune”, tra le altre,
il cui ingresso, unitamente a quelli di Romania e di Bulgaria risultano allo stato
estremamente problematici.
(10) A tal fine, gli Stati aderenti s’impegnarono a migliorare lo scambio di
informazioni e ad intensificarlo relativamente a quelle di maggior interesse per la lotta
alla criminalità, anche grazie all’istituzione del “Sistema d’Informazione Schengen”
(SIS), ovvero sia un archivio comune contenente informazioni relative a persone ed
oggetti di rilievo per il controllo delle frontiere e per la cooperazione di polizia nel
settore della criminalità (v. l’ art. 92).
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
« la politica d’immigrazione e la politica da seguire nei confronti
dei cittadini dei paesi terzi » (punto 3), con specifico riguardo alle
condizioni « di entrata e circolazione dei cittadini dei paesi terzi
nel territorio degli Stati membri » (lett. a)); e « di soggiorno dei
cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri, compresi
il ricongiungimento delle famiglie e l’accesso all’occupazione »
(lett. b)); nonché la « lotta contro l’immigrazione, il soggiorno e
il lavoro irregolari di cittadini dei paesi terzi nel territorio degli
Stati membri » (lett. c)).
Dal canto suo, il Trattato di Amsterdam contribuì ad approfondire ulteriormente la “comunitarizzazione” della materia, stabilendo un quadro di regole (che, peraltro, sarebbe stato modificato in minima parte dal Trattato di Nizza), ed in particolare
introducendo nel Trattato CE, un nuovo Titolo III-bis (destinato
ad essere rinumerato come Titolo IV) in materia di “Visti, asilo,
immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione
delle persone”. Soprattutto, si smise in tale occasione di rivolgersi
agli Stati membri, impegnando, all’art. 73 K (v. punto 3), direttamente il Consiglio dell’UE a stabilire le « condizioni di ingresso
e soggiorno » e le « norme sulle procedure per il rilascio da parte
degli Stati membri », tra l’altro, dei « permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare » (lett.
a)), nonché le regole concernenti l’immigrazione e il soggiorno
irregolari (lett. b)) e a definire « con quali diritti e a quali condizioni » i cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmente in uno Stato
membro avrebbero potuto soggiornare in altri Stati membri (v.
punto 4). Per cui può dirsi che è stato a partire da questo momento
che si è avviato il passaggio di consegne del governo della materia
in capo alle Istituzioni comunitarie (impegnando, per converso, gli
Stati membri ad introdurre e, comunque, mantenere, normative
nazionali “compatibili” con le norme del Trattato).
2. IL “PERMESSO
ZIONE”.
DI SOGGIORNO” NEL
“TESTO
UNICO SULL’IMMIGRA-
A tali sollecitazioni il nostro legislatore ha risposto con la
legge 6 marzo 1998, n. 40, successivamente ricompresa nel “Testo
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unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (d.lgs. 25 luglio
1998, n. 286, c.d. “legge Turco-Napolitano”, nel prosieguo,
“Testo unico”) che, tenuto conto delle successive modifiche (11),
costituisce, a tutt’oggi, il quadro normativo di riferimento anche
per ciò che concerne il permesso di soggiorno.
Al proposito è opportuno precisare che l’intervenuta riforma
costituzionale del 2001 ha consolidato la competenza legislativa
statale in materia di immigrazione, nominandola espressamente
tra quelle di potestà esclusiva dello Stato all’art. 117, comma 2.
lett. b), immediatamente dopo la “politica estera” e i “rapporti
internazionali dello Stato; [i] rapporti dello Stato con l’Unione
europea; [il] diritto di asilo e [la] condizione giuridica dei
cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea” (lett. a)).
Il che, detto solo per inciso, richiederebbe di “aggiornare” il 4°
comma dell’art. 1 del T.U. che ancora prevede che « Nelle
materie di competenza legislativa delle regioni, le disposizioni del
presente testo unico costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell’articolo 117 della Costituzione », ingenerando l’idea che si
tratti di una materia di competenza concorrente.
Ad ogni modo, questo non significa che sia totalmente preclusa
ai legislatori regionali qualunque tipo di regolamentazione in materia d’immigrazione, essendo anzi chiamate, le regioni, ad intervenire con normative “integrative” ed attuative della disciplina statale. Così, del resto, è stato per la Regione Abruzzo, che ha
legiferato a “sostegno” agli immigrati; da parte del Molise, che ha
istituito appositi Osservatori per il monitoraggio del fenomeno a
livello regionale (12); nonché, da parte di Veneto, Emilia Romagna
(11) I principali interventi modificativi apportati al “Testo unico in materia di
immigrazione” sono stati introdotti, alla data in cui si scrive, dai d.lgs. nn. 380/1998 e
113/1999; dal d.l. 4 aprile 2002, n. 51; dalle leggi nn. 189/2002 e 289/2002; dal d.lgs.
n. 87/2003; dai d.l. nn. 241/2004 e 144/2005; e, da ultimo, dai d.lgs. 8 gennaio 2007,
n. 3; 8 gennaio 2007, n. 5; e 10 agosto 2007, n. 154.
(12) Cosa peraltro auspicabile tenuto conto del comma 4-ter dell’art. 21 del TU,
ai sensi del quale le regioni, entro il 30 novembre di ogni anno, “possono” trasmettere
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri un rapporto sulla presenza e sulla condizione
degli immigrati extracomunitari nel territorio regionale « contenente anche le indica-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
e Liguria, che hanno messo a punto regolamentazioni in vista dell’accoglienza e dell’“integrazione sociale” degli extracomunitari.
Per non parlare poi del ruolo-chiave che sono chiamate ad
assolvere le regioni insieme agli enti locali, sul piano amministrativo, in vista di predisporre e l’organizzazione delle necessarie
strutture e dei servizi per gli adempimenti riguardanti, in particolare, per ciò che qui più rileva, la gestione dei permessi di
soggiorno (13), conformemente agli indirizzi provenienti dai
livelli di governo superiori.
Mantenendo ora la nostra attenzione proprio su questi ultimi,
ed in particolare, ancora (cfr. supra § 1), sul livello “europeo”, è
intanto opportuno rilevare come, attualmente, per originario impulso di un’“Azione comune” (14), successivamente attuata dal
Regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio (cfr. infra § 4), posto
zioni previsionali relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla
capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo ».
(13) Al proposito, tra le novità contenute nel disegno di legge “che delega al
Governo il riesame della disciplina dell’immigrazione e delle norme sulla condizione dello
straniero” (nel prosieguo “d.d.l. delega”, reperibile sul sito del Ministero dell’Interno
http://www.interno.it/), approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 aprile 2007, vi è il
passaggio di competenze amministrative di un certo rilievo dalle autorità di pubblica
sicurezza agli enti locali, in primis, i comuni (segnale, forse, di un cambiamento di approccio giuridico in materia di non trascurabile rilievo). In particolare, il “d.d.l. delega”
prevede da subito l’istituzione di sportelli presso i Comuni per presentare le richieste di
rilascio e di rinnovo e per il ritiro del permesso di soggiorno e, “dopo una congrua fase
transitoria”, il passaggio delle competenze per il rinnovo del documento in capo ai Comuni, “adeguando e graduando la durata dei permessi di soggiorno, razionalizzando i
relativi procedimenti anche con una riorganizzazione degli sportelli unici per l’immigrazione istituiti presso le Prefetture-Uffici Territoriali del Governo attraverso forme di
supporto e collaborazione alle loro attività da parte degli enti pubblici nazionali, degli
enti locali, delle associazioni di datori di lavoro, di lavoratori, nonché di associazioni di
promozione sociale del volontariato e della cooperazione” (lett. d)).
(14) Si tratta dell’“Azione comune” 97/11/GA del 16 dicembre 1996, a cui sono
seguite le decisioni 98/243/GAI (sulla ripartizione dei costi per la creazione di master di
stampa nel modello uniforme per i permessi di soggiorno) e 98/701/GAI (relativa alle
norme comuni destinate alla compilazione del modello uniforme per i permessi di soggiorno) nonché il Reg. (CE) del Consiglio, del 13 giugno 2002, n. 1030/2002 con cui è
stato istituito il modello uniforme per il permesso di soggiorno “europeo”. Significativo
è notare che l’Irlanda e il Regno Unito hanno “notificato” la loro volontà di partecipare
all’adozione e all’applicazione del regolamento; mentre per Danimarca, Islanda e Norvegia esso viene meno impegnativamente considerato un “sviluppo” dell’acquis di Schengen.
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in essere sulla base del menzionato art. 73 K (divenuto nel frattempo art. 63) del TCE, sia presente una disciplina uniforme con
riguardo al “modello”, ovvero al supporto materiale, dei permessi
di soggiorno rilasciati dai paesi membri ai cittadini di paesi terzi
all’Unione. Tale regolamentazione, per di più, si poggia su di una
definizione uniforme di “permesso di soggiorno”, che lo considera
« un’autorizzazione rilasciata dall’autorità di uno Stato membro
che consente a un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio ». Anche se, al di là di questo, salvo
alcuni particolari settori di cui parleremo più avanti (cfr. infra § 3),
sembra essere ancora lunga la strada dell’armonizzazione del contenuto sostanziale dei permessi di soggiorno (cfr. infra § 4).
Ciò nonostante il legislatore nazionale, al 7° comma dell’art.
5 del TU, prevede una disciplina di favore per gli stranieri muniti
di permesso di soggiorno (o di titolo equipollente), rilasciato
dall’autorità di uno Stato appartenente all’Unione europea, obbligandoli semplicemente a dichiarare la loro presenza al questore (a pena di una sanzione amministrativa) e prevedendo la
possibilità di disporre l’espulsione amministrativa nei loro confronti solo nel caso in cui non effettuino tale dichiarazione entro
sessanta giorni dall’ingresso nel territorio dello Stato.
Stando così le cose, ciò che si ricava è la praticabilità, per i
cittadini extracomunitari, di forme di “forum shopping”, con
l’inoltrare la propria richiesta di permesso di soggiorno al Paese
membro dell’UE che presenta la normativa a loro più favorevole.
Anzi, se, quest’eventualità, fino a qualche tempo fa poteva risultare in qualche modo stemperata dalla presenza di normative
piuttosto uniformi da parte dei paesi membri, ad oggi potrebbe
invece presentare qualche problema in più, in seguito al progressivo ampliamento dell’Unione europea e alla possibile presa di
efficacia, nei nuovi Paesi, degli accordi di Schengen (15). Il che
(15) Al proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (a cui si era rivolta
la prima sezione della Cassazione, con ord. del 16 aprile 2007, n. 17578, in http://
www.cortedicassazione.it/Documenti/17578.pdf e in Guida al diritto, 22, 2007, 52 ss.)
con la sent. 16 gennaio 2008, n. 2451 (in http://www.altalex.com/index.php?idnot=
39928&idstr=20) hanno escluso che la sopravvenuta circostanza dell’adesione all’Unione europea di “nuovi” Paesi (nella fattispecie la Romania) renda applicabile l’art.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
rende improrogabile il compimento dell’armonizzazione del settore pure con riguardo ai suoi contenuti sostanziali, rendendo
applicabili discipline uniformi dei permessi di soggiorno almeno
in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.
Là dove parrebbe orientato proprio in questa direzione il Trattato di Lisbona “modifiant le traité sur l’Union européenne et le
traité instituant la Communauté européenne” del 13 dicembre
2007, col perseguire una politica comune dei “documenti di soggiorno” (ed insieme a rinforzare il “doppio binario” da tempo
intrapreso — cfr. l’art. 3 —, votato da un lato al riconoscimento
di una sempre maggiore libertà all’interno dell’Unione, accompagnato, dall’altro lato, da un più efficace controllo all’esterno dei
confini europei (16), per cui si tratterà di seguire l’evolversi di tale
vicenda (17).
2 c.p., conducendo ad una pronuncia di assoluzione dei cittadini di tali Paesi imputati
del reato di cui all’art. 14, comma 5 del d.lgs. n. 286 del 1998 (per l’inosservanza, cioè,
anteriormente all’adesione, dell’ordine di lasciare il territorio italiano emesso dal
questore a seguito del decreto prefettizio di espulsione) con la formula “perché il fatto
non è previsto dalla legge come reato”. Al proposito ricordiamo che la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sul dubbio di legittimità, tra l’altro, dell’art. 14 del T.U.
nella parte in cui non attribuisce al Tribunale per i minorenni il potere di sospendere
il decreto di espulsione emesso nei confronti di genitori, nella fattispecie di nazionalità rumena, di minori, con l’ord. del 21 dicembre 2007, n. 455 (in http://www.
giurcost.org/) aveva disposto la restituzione degli atti al giudice a rimettente per dargli
modo di valutare quella che, a questo punto, può dirsi “perdurante” rilevanza della
questione, nonostante lo ius superveniens.
(16) Specificamente, quanto al primo versante, l’Unione s’impegna a garantire
« che non vi siano controlli sulle persone, a prescindere dalla cittadinanza, all’atto
dell’attraversamento delle frontiere interne » (artt. 61 e 69); mentre sul secondo,
manifesta la volontà di approfondire ulteriormente le « Politiche relative ai controlli
alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione » (cfr. punti 63 e 65), sviluppando (cfr. art. 69)
una politica volta a « garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace
dell’attraversamento delle frontiere esterne » (lett. b)); nonché ad « instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne » (lett. c)).
(17) Di un certo interesse può essere segnalare come lo sfortunato Trattato
costituzionale, indicasse, nella “legge” e nella “legge quadro”, gli strumenti giuridici
per disciplinare sia le condizioni di ingresso e soggiorno, i visti e i titoli di soggiorno di
lunga durata, compresi quelli a scopo di ricongiungimento familiare (art. III-168, par.
2, lett. a)); sia i diritti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmente in uno Stato
membro (art. III-168, par. 2, lett. b). Inoltre, prevedeva misure volte « a incentivare e
sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di
paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio », escludendo, però, « qualsiasi
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Ad ogni buon conto, come si diceva, la disciplina “sostanziale” dei permessi di soggiorno va ancora rinvenuta nell’alveo
delle normative poste in essere dai singoli Stati membri.
A questo riguardo, nel nostro ordinamento è l’art. 5 del T.U.
a costituire, come del resto denuncia la stessa rubrica, il vero e
proprio “cuore” normativo, seppur essenziale (facendo rinvio per
i dettagli alla normativa secondaria (18)) della materia.
Tale disposto prevede che possano soggiornare nel territorio
dello Stato gli stranieri entrati legalmente e muniti di regolare
permesso di soggiorno (19). A tal fine esso stabilisce che il
permesso di soggiorno debba essere richiesto al Questore della
provincia in cui il cittadino extracomunitario si trova entro otto
giorni lavorativi (20) dal suo ingresso nel territorio dello
Stato (21).
armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri » (art.
III-168, par. 4) e, d’altro canto, preservando « il diritto degli Stati » di « determinare
il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi” che “immigrano ”
per trovare lavoro subordinato o autonomo (art. III-168, par. 5) ».
(18) Specificamente il d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394 per quanto riguarda il T.U.
“originario”, e il d.p.r. 18 ottobre 2004, n. 334 relativamente alla l. n. 189/2002.
(19) Ovvero di « titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno
Stato appartenente all’Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici
accordi ». A questo riguardo la Cassazione esclude per esempio la legittimità del
soggiorno di chi esibisce il “visto uniforme”, considerandolo « titolo di ingresso ma non
di soggiorno » (v. per tutte Corte cass., sez. I civ., sent. n. 23134 del 10 dicembre 2004,
in Giust. civ., Mass. 2005, 1).
(20) Ricordiamo che la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 commi 2 e 5 2 T.U., nella
parte in cui sanzionano l’omessa richiesta dello straniero del permesso di soggiorno nel
termine di otto giorni lavorativi dall’ingresso in Italia con l’automatica emissione del
decreto di espulsione, senza che venga svolta una preventiva valutazione della sussistenza delle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno, anche quando l’ingresso sia
avvenuto legittimamente e sussistano le condizioni per l’ottenimento del permesso (cfr.
Corte cost., ord. 23 dicembre 2005, n. 463, in Giur. cost., 2005, 4961 e ss.).
Più in generale è possibile considerare come l’“immigrazione” costituisca uno dei
settori in cui si registra il più elevato numero di pronunce processuali da parte del giudice
costituzionale, motivate, in genere, dal rilievo di vizi dell’ordinanza di rimessione, o dalla
necessità di restituire gli atti ai giudici a quibus per “ius superveniens” o, più in generale,
dal riconoscimento dell’ampia discrezionalità del legislatore in materia (v. esemplarmente
Corte cost., ord. n. 260 del 1° luglio 2005, in Giur. cost., 2005, 2388 ss.).
(21) Si tratta di uno dei “doveri” di cui lo straniero è tenuto ad essere informato
(insieme ai diritti « relativi all’ingresso ed al soggiorno in Italia ») dall’autorità diplo-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Ai sensi del comma 9 dell’art. 5 del T.U., il questore è tenuto
a decidere sul rilascio del permesso di soggiorno, eventualmente
anche convertendolo in permesso di altro tipo, « entro 20 giorni
dalla richiesta ». Il che porta a configurare un’ipotesi di silenzio
illegittimo da parte della pubblica amministrazione nel caso di
ritardo o, addirittura, di mancata decisione in punto di rilascio
del permesso (aggravata dalla necessità del soggetto di avere la
materiale disponibilità del documento), la cui possibilità di essere
fatta valere è resa tuttavia problematica dall’inapplicabilità del
“silenzio assenso” sancita dall’art. 20 della legge n. 241/1990 agli
atti e ai procedimenti riguardanti l’immigrazione. Mentre per
diverso profilo significativo è rilevare quella giurisprudenza che
riconosce il risarcimento del danno in quei casi in cui il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno quando il travisamento e l’erronea valutazione dei fatti da parte dell’amministrazione siano stati dall’interessato adeguatamente dimostrati (22).
Ancora, il questore della provincia in cui lo straniero « dimora » è tenuto a decidere sulla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno (23), verificando la sussistenza « delle diverse
matica o consolare italiana all’atto del rilascio del visto d’ingresso per tramite ai sensi
dell’art. 4, comma 2, T.U. di « comunicazione scritta in lingua a lui comprensibile o, in
mancanza, in inglese, francese, spagnolo o arabo ». Cionondimeno la giurisprudenza
amministrativa è ferma nel sostenere che la mancata traduzione degli atti in questione
in lingua conosciuta dal destinatario non vizia l’atto stesso, attenendo, tale profilo, alla
sua comunicazione e non alla sua legittimità, e perciò potendo tutt’al più incidere sulla
decorrenza del termine per la sua impugnazione (cfr. C. TESTORI, Appunti sulla
giurisprudenza del G.A. in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia, in
http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/Testori-Ingressosoggiorno.htm e la giurisprudenza ivi richiamata e reperibile sul medesimo sito web:
Cons. Stato, sez. IV, n. 238 del 17 gennaio 2002; T.A.R. Liguria, sez. II, n. 961 del 24
giugno 2005; T.A.R. Toscana, sez. I, n. 2578 del 25 maggio 2005; T.A.R. Umbria n. 256
dell’11 maggio 2005; nonché T.A.R. Bologna, Sez. I, nn. 4152 del 9 dicembre 2004; n.
3727 del 9 novembre 2004; n. 545 del 19 aprile 2004; e n. 283 del 21 marzo 2003).
(22) Cfr. T.A.R. Catania, sez. II, sent. del 26 febbraio 2004, n. 532 e il commento
di P. MOROZZO DELLA ROCCA, Responsabilità della P.A. in materia di immigrazione, in
Danno e resp., 2005, 317 ss.
(23) Che, secondo quanto stabilito dal Cons. St., sez. VI, nella decisione 19
luglio 2007, n. 4062, deve essere sottoscritta personalmente dall’interessato, non
essendo valida nemmeno se firmata da un avvocato in forza di una procura allegata (in
http://www.altalex.com/index.php?idstr=34&idnot=37973).
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23
condizioni previste per il rilascio » dal T.U. (24) (art. 5, comma
4 T.U.). Al proposito, si deve segnalare come il comma 5 del
medesimo disposto, ponendo sullo stesso piano cause ostative,
rispettivamente, di “rilascio”, “rinnovo” e “revoca” dei permessi (25), stabilisce che « sono rifiutati e, se il permesso di
soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o
vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato « sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si
tratti di irregolarità amministrative sanabili » (26).
(24) Si precisa che il 4° comma del T.U. è tra i disposti che hanno conosciuto
le più frequenti modifiche da parte del legislatore. La versione originaria del testo
prevedeva genericamente che per il rinnovo del permesso di soggiorno lo straniero si
sarebbe potuto rivolgere al questore « della provincia in cui si trova[va] », almeno
trenta giorni prima della scadenza. Successivamente si è provveduto a precisare che
competente a decidere sul rinnovo del permesso di soggiorno è il questore della
provincia in cui lo straniero « dimora ». Inoltre si sono diversificati i termini entro cui
la domanda di rinnovo dev’essere fatta, a seconda delle diverse tipologie di permesso.
Ancora, mentre nel testo originario (e, ora, da parte del “d.d.l. delega”, cfr. lett. d),
punto 1) era previsto che il permesso di soggiorno potesse essere rinnovato per una
durata non superiore al doppio di quella stabilita inizialmente, attualmente vige la
regola per cui il rinnovo non può prevedere una durata superiore a quella stabilita in
occasione del rilascio iniziale.
(25) Il che per certi versi ha favorito l’affiorare di principi “comuni” (come per
esempio quelli riguardanti la necessaria “concretezza” e “attualità” dei requisiti su cui
svolgere il sindacato), seppur tenuto conto delle differenze tra le situazioni richiamate.
(26) Su questa base il T.A.R. Lazio ha chiarito che l’amministrazione competente a decidere se accogliere oppure respingere la richiesta di rinnovo del permesso di
soggiorno è tenuta a prendere in considerazione la condizione attuale dell’istante,
verificando se il cittadino extracomunitario possiede i requisiti previsti dalla legge per
il conseguimento del permesso di soggiorno al momento della decisione e non al
momento della presentazione della domanda (così T.A.R. Lazio, sez. II quater, sent. n.
9717 del 3 ottobre 2007, tutte le pronunce dei giudici amministrativi qui richiamate
sono in http://www.giustizia-amministrativa.it; un orientamento analogo è stato seguito
da Corte cass., sez. I civ., sent. n. 2417 del 3 febbraio 2006, in Foro it., 2006, 2057; per
una diversa posizione in dottrina si veda M. PAVONE, in Il Nuovo diritto, 2006, 464 ss.,
secondo cui in base agli artt. 5. comma 5, 4 comma 3 e 6 comma 5 del T.U. risulterebbe
evidente che la disponibilità dei mezzi di sussistenza va verificata al momento in cui
viene richiesto il rilascio del permesso di soggiorno). Da ultimo, il Consiglio di Stato ha
riconosciuto « il diritto ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, anche in
assenza della titolarità di un regolare contratto di lavoro » nei confronti di cittadini
stranieri che, pur in attesa di occupazione, dimostrino che il datore di lavoro è
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Fors’anche a motivo della genericità della normativa (27),
nonché delle difficoltà materiali di darne concreta attuazione è
registrabile, insieme alla preferenza a risolvere eventuali problemi
in sede stragiudiziale, un certo “garantismo applicativo” dal parte
degli organi competenti, giurisdizionali e amministrativi, non solo
relativamente al possesso dei requisiti necessari per l’ottenimento
del documento (28), ma anche al rispetto delle regole procedurali, come dimostra la prassi ormai radicata che considera “non
perentorio” il termine previsto dall’art. 5 comma 4, T.U. per la
presentazione della domanda di rinnovo (29).
disponibile ad assumerli, anche se non vi è ancora il contratto (cfr. CONS. ST., sez. VI,
sent. del 22 maggio 2007, n. 2594).
(27) Al proposito ricordiamo come proprio la vaghezza del 1° comma dell’art.
7-bis (introdotto dall’art. 8 del decreto-legge n. 187 del 1993, convertito in legge n. 296
del 1993), del d.l. n. 416/89 convertito in legge n. 39 del 1990 sia stato dichiarato
illegittimo dalla Corte costituzionale (v. Corte cost., sent. n. 34 del 6 febbraio 1995, in
Giur. cost., 1995, 362 ss.), nella parte in cui sanzionava con la reclusione da sei mesi a
tre anni lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione « che non si
adopera(va) per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio
del documento di viaggio occorrente », per contrasto con gli artt. 25, 2° comma, e 24
Cost.. La Corte ha ritenuto infatti tale previsione normativa lesiva sia del principio di
tassatività della fattispecie in materia penale consacrato nell’art. 25 Cost., « rimanendo
la sua applicazione affidata all’arbitrio dell’interprete », sia del fondamentale diritto di
difesa sancito dall’art. 24 Cost. esponendo il soggetto alla possibilità della contestazione
(e dell’arresto) per il solo fatto di essere destinatario di un provvedimento di espulsione
senza metterlo nelle condizioni « a causa della censurata indeterminatezza della
fattispecie », di sapere quale fosse la prova sufficiente a far ritenere soddisfatto il
precetto.
(28) Il riferimento corre per esempio a chi, muovendo da una lettura teleologicamente orientata della normativa, afferma la “non-automaticità” dell’espulsione a
prescindere da una valutazione del caso concreto. Su questa base si è giunti per
esempio ad affermare il principio per cui la mancanza di permesso di soggiorno o il
mancato rinnovo del permesso concesso, non legittimano sempre ed in ogni caso di per
sé l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, spettando, all’Autorità di
pubblica sicurezza valutare le ragioni di ordine pubblico che eventualmente ne
consiglino l’allontanamento (così Cons. St., sez. IV, sent. n. 870 del 20 maggio 1999, in
Cons. Stato, 1999, I, 805).
(29) Si vedano, da ultimo, la decisione con cui il T.A.R. Lazio ha affermato che
la mera circostanza del ritardo nella presentazione della richiesta di rinnovo del
permesso di soggiorno non costituisce di per sé ragione sufficiente né per il rifiuto del
rinnovo stesso, né tanto meno, ai sensi dell’art. 13 comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998, « a
fini espulsivi » quando, come nella specie, lo straniero si sia spontaneamente presentato
alle autorità di polizia di Stato per chiedere il rinnovo (così T.A.R. LAZIO ROMA, sez. II,
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25
Pur restando fermo che anche le prassi maggiormente garantiste nei confronti dei cittadini extracomunitari non mancano di
trovare dei limiti dinnanzi al rischio della compromissione del
nucleo essenziale della stessa normativa, come per esempio potrebbe avvenire se si consentisse a determinati gruppi, in ragione
della loro particolare identità culturale, di non sottostare alla
regola generale della necessità del titolo di soggiorno (30). Specie,
poi, all’indomani della “stretta” (31), sui “requisiti” (32), apportata dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. legge Bossi-Fini), si è
registrato un aumento dei casi in cui il diniego di rilascio e di
rinnovo del permesso di soggiorno è stato motivato per la
constatata “indisponibilità”, da parte dello straniero, di mezzi
leciti di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno (33).
sent. n. 3871 del 3 maggio 2007, in Foro amm. T.A.R., 2007, 5 1674; e nello stesso senso
precedentemente, Cons. St., sez. IV, n. 8063 del 14 dicembre 2004; e T.A.R. Milano,
sez. I, n. 3122 del 19 luglio 2004). Si veda altresì la pronuncia con cui la Cassazione era
giunta ad analoga conclusione rilevando che la « mancanza di una sanzione di
irricevibilità della domanda presentata fuori termine, non consente di negare il rinnovo
del permesso di soggiorno sulla base della mera tardività della richiesta » (così Corte
cass., sez. I civ., sent. n. 8532 del 22 aprile 2005, in Giust. civ. Mass. 2005, 4). Più in
generale, in base al “principio di non-automaticità” dell’espulsione la Cassazione ha
stabilito che in caso di ritardo nella richiesta di rinnovo del premesso di soggiorno,
l’espulsione dello straniero non è “dovuta”, ma, ai sensi dell’art. 5, comma 5 del T.U.,
consegue all’esame ed all’eventuale rifiuto della richiesta per la mancanza di requisiti
per il soggiorno, della quale, peraltro, il « ritardo può costituire indice rivelatore » (così
Corte cass., sez. I, civ., sent. n. 6374 del 23 giugno 1999, in Giust. civ., 1999, I, 2288).
(30) Su questa base la Cassazione ha chiarito che l’appartenenza alla minoranza
nazionale dei nomadi di etnia Rom non costituisce eccezione alla regola generale,
dettata dal T.U., che vuole che affinché lo straniero possa legittimamente soggiornare
debba essere munito di permesso di soggiorno (così Corte cass. sez. I, sent. n. 17857
del 13 dicembre 2002, in Giust. civ., Mass. 2002, 2194).
(31) Cfr. in questo senso Corte cass., Sez. III pen., sent. n. 3162 del 2003
(ined.).
(32) )Tra le prime ad affrontare taluni dei profili maggiormente problematici
della legge n. 189/02, ed in particolare il meccanismo c.d. “di incontro preventivo e a
distanza” tra domanda e offerta di lavoro, è stata la Corte cass., sez. I civ., nella sent.
n. 13054 del 9 settembre 2002 (in Riv. giur. polizia, 2003, 93).
(33) Su questa base il Supremo organo di giustizia amministrativa ha ritenuto
legittimo il rigetto del questore dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno
richiesto da una donna dedita alla prostituzione (così Cons. St., sez. VI, n. 4599 del 20
luglio 2006, in Foro amm., 2006, 7-8, 2252). Più di recente, poi, la stessa sezione del
Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che l’esercizio non abituale dell’attività
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Se proprio quest’ultimo rappresenta il “parametro” più frequentemente richiamato all’atto di motivare il diniego del permesso, ve n’è un altro forse meno percorso e pur tuttavia
estremamente problematico, in quanto involgente valutazioni
maggiormente soggettive, vale a dire la “pericolosità sociale” del
soggetto richiedente. Stabilisce al proposito (seppur in riferimento al permesso di soggiorno per motivi familiari) il comma
5-bis che « Nel valutare la pericolosità dello straniero per l’ordine
pubblico e la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali
l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli
alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ai fini
dell’adozione del provvedimento di revoca o di diniego di rinnovo », si tiene conto « anche di eventuali condanne » per reati
che destano particolare allarme sociale (34).
L’approssimazione di tale disciplina ha portato tra l’altro a
domandarsi se la “pericolosità sociale” del cittadino extracomunitario possa essere “presunta” o invece debba essere in ogni caso
accertata, ed in questo secondo caso innanzi a quali condotte
assuma rilievo giuridica; ancora, se occorra sindacarne l’attualità
o sia possibile e sufficiente, in certi casi, riferirsi a situazioni
“passate”.
Al di là dei casi in cui è lo stesso legislatore a farsi carico, in
qualche misura, della questione (35), tra gli stessi organi giudidi meretricio non costituisce elemento ostativo al rilascio del permesso di soggiorno
(così Cons. St., sez. VI, sent. 27 luglio 2007, n. 4164). Sicché la dimostrazione
dell’extracomunitario di possedere mezzi di sostentamento leciti (v. Cons. St., sez. VI,
sent. 10 maggio 2007, n. 2231), unitamente, nel caso di attività di prostituzione,
all’elemento dell’“abitualità”, risultano decisivi per il rilascio del titolo di soggiorno.
Più in generale, sulla giurisprudenza amministrativa in tema di “Disponibilità di
mezzi/Reddito” si veda C. TESTORI, Appunti sulla giurisprudenza del G.A. in materia di
ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia, cit. 2-3.
(34) Specificamente, « per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a),
del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all’articolo 12, commi 1 e 3 ».
(35) Così, per esempio, il comma 7-bis dell’art. 26 del T.U. ricollega la revoca
del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione alla condanna per i delitti in
materia di diritto d’autore (sul tema si veda F. DI PIETRO, La revoca del permesso di
soggiorno e l’espulsione a seguito di condanna di reati in materia di tutela del diritto
d’autore, in commento alle pronunce della Corte costituzionale n. 189 del 4 maggio
2005 e del T.A.R. Abruzzo n. 706 del 29 luglio 2004, in Diritto, immigrazione e
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canti vi è chi individua in capo all’autorità chiamata a svolgere la
valutazione sulla “pericolosità sociale” un’attività vincolata (36),
e chi invece propende per il riconoscimento di un più ampio
potere discrezionale (37), posta in entrambi i casi la necessità di
evitare mere presunzioni di “pericolosità” ed invece di ritenere
rilevanti condotte di una certa gravità sociale (38), riferibili a
cittadinanza, 2005, 2, 93 ss.). Dal canto suo, il menzionato d.lgs. n. 3/07 stabilisce che
« nella valutazione della pericolosità dello straniero il criterio automatico previsto dalla
previgente normativa » dev’essere sostituito « da un giudizio di pericolosità complessivo », che tenga conto « anche » (sic!) « di una condanna per i reati previsti dall’art.
380 c.p.p. e per i reati non colposi previsti dall’art. 3 c.p.p., o dell’appartenenza ad una
delle categorie indicate dall’art. 13, comma 2, lett. c) del Testo Unico Immigrazione ».
(36) In questo senso, esemplarmente, Corte Cass. sent. n. 12721 del 30 agosto
2002 (in Giust. civ. Mass. 2002, 1892 e in http://www.altalex.com/index.php?
idnot=5234), che ha precisato i limiti della ″discrezionalità″ dell’autorità amministrativa, nel valutare pericoloso il cittadino straniero, stabilendo la necessità di un
accertamento:
a) oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni;
b) del requisito dell’attualità della pericolosità;
c) della necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto,
quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita.
In ambito amministrativo, conformemente alla decisione in commento cfr. T.A.R.
Toscana, sez. I, sent. del 6 giugno 2005 n. 2710; T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. del 14
maggio 2005 n. 1678; T.A.R. Trieste, sent. del 19 giugno 2004, n. 347; T.A.R. Parma,
sent. del 7 aprile 2005 n. 207; T.A.R. Bologna, sez. I, sentt. del 6 settembre 2005 n.
1514, del 24 maggio 2005 n. 753 e del 20 aprile 2005 n. 632 (tutte le pronunce dei
giudici amministrativi qui richiamate sono reperibili all’indirizzo telematico: http://
www.giustizia-amministrativa.it/).
(37) In questo senso, esemplarmente, CONS. ST., sez. VI, sent. 10 ottobre 2006,
n. 6018, che considera la valutazione della “pericolosità sociale” come il prodotto di un
giudizio fondamentalmente prognostico della pubblica amministrazione, nel quale
possono essere utilizzati un’ampia serie di elementi (indizi, precedenti condanne,
segnalazioni, tenore di vita e frequentazioni di pregiudicati) rivelatori della capacità e
della propensione a delinquere, e soggetto al solo sindacato di vizi di illogicità, carenza
di presupposti o manifesta congruità.
Conformemente alla decisione in argomento v. T.A.R. Catanzaro, sez. I, sent. del
15 febbraio 2005 n. 166, T.A.R. TOSCANA, sez. I, sent. del 4 maggio 2005 n. 1478.
(38) Muovendo da tale presupposto il T.A.R. Campania ha escluso che il solo
deferimento all’autorità giudiziaria per reati in materia di stupefacenti possa pregiudicare il rinnovo del permesso di soggiorno (T.A.R. Campania, sent. 8 maggio 2006, n.
4004).
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
circostanze al possibile attuali e concrete (39), e accertate da
provvedimenti “definitivi” (40).
Tornando all’esame della disciplina, al di là delle ipotesi di
ingresso illegittimo nel territorio dello Stato (41), per chi « senza
giustificato motivo si trattenga nel territorio (42) » senza « aver
richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto in
assenza di cause di forza maggiore » (43) o comunque di “accadimenti puntuali” idonei a giustificarne la mancanza (44), ovvero
« per essere stato il permesso revocato o annullato » o, ancora
(39) Da segnalare la particolare attenzione proprio per l’elemento della “concretezza” che manifesta il d.lgs. n. 5/2007 con cui è stata recepita la direttiva europea
2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare.
(40) Tra cui anche il patteggiamento: il Consiglio di Stato, infatti, non ritiene il
diniego automatico del rilascio del permesso di soggiorno in presenza di una sentenza
di patteggiamento in contrasto con i diritti di libertà personale (v. CONS. ST., sez. VI,
sent. 22 maggio 2007, n. 2592).
(41) Sulla necessità che l’ingresso illegittimo dell’immigrato nel territorio dello
Stato membro vada comunque accertato con un provvedimento definitivo si veda Corte
di giustizia, sez. VI, sent. del 5 giugno 1997 in Causa C - 285/95 (tutte le pronunce della
Corte di Giustizia delle comunità europee qui richiamate sono reperibili all’indirizzo
telematico: http://curia.europa.eu/it/index.htm).
(42) Secondo la Corte di Cassazione il concetto di “giustificato motivo” richiede
a) l’accertamento in concreto delle condizioni in cui si è prodotta e mantenuta la
condotta di permanenza nel territorio dello Stato oltre i cinque giorni, nonché della
volontarietà o meno della stessa; b) il giudizio di esigibilità dell’obbligo condotto non
esclusivamente su basi oggettive, ma tenendo conto del reale condizionamento psichico
esercitato dalle circostanze concrete sulle capacità individuali di adempimento dell’obbligo stesso (così Corte cass., sez. I pen., sent. n. 31117 dell’11 maggio 2004, in Cass.
pen., 2005, 3, 961 con commento di A. CAPUTO, Trattenimento nel territorio dello Stato
senza giustificato motivo in violazione dell’ordine del questore di lasciarlo entro cinque
giorni, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2005, 190-1).
(43) Si veda in argomento G. MANZI, Il ritardo nell’adempimento degli obblighi
è giustificato da motivi di forza maggiore, in Cons. Stato 1999, I, 805 (in commento a
CONS. ST., n. 870/99 cit.).
(44) Così, per esempio, secondo la Cassazione è illegittimo del decreto di
espulsione dello straniero regolarmente entrato nel territorio nazionale (in quanto
munito del prescritto visto di ingresso) per violazione dell’obbligo di richiedere il
permesso di soggiorno entro il termine di legge, quando questi sia stato successivamente sottoposto a custodia cautelare in carcere. In questo caso, infatti, pur non
ricorrendo « la forza maggiore impeditiva dell’adempimento del dovere », non potendo
essere considerata tale la sottoposizione a custodia cautelare, tuttavia viene « sicuramente » a mancare l’elemento della volontarietà nel trattenersi nel territorio dello Stato,
implicitamente previsto dall’art. 13, comma 2, lett. b) del T.U. quale presupposto che
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« perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta
giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo » (comma 5-ter) è
prevista l’espulsione (v. art. 13, comma 2°) (45).
Da un punto di vista procedurale basti qui rilevare come a
fronte di una certa giurisprudenza ferma nel delineare percorsi
autonomi di giudizio (spettando alla giurisdizione amministrativa
il sindacato provvedimento che rifiuta, revoca o annulla il permesso di soggiorno ed invece a quella ordinaria il giudizio
sull’impugnazione del provvedimento di espulsione) (46), il legislatore si sia dimostrato favorevole mutamento di prospettiva in
materia (47), prospettando l’unificazione della giurisdizione con
ne legittima l’espulsione (così Corte cass., sez. I, sent. n. 4922 del 1° aprile 2003, in
Giust. civ., mass. 2003, 4).
(45) Una posizione intransigente è fatta propria da quella giurisprudenza che
ritiene che il provvedimento di espulsione debba essere disposto indipendentemente da
ogni altro tipo di considerazione (incluso quello che lo straniero abbia fatto ingresso in
modo regolare), gravando in ogni caso sullo straniero che decida di “soggiornare” nel
territorio italiano l’obbligo di chiedere in questura la relativa ″autorizzazione″ (v. per
tutte Corte cass., sez. I, sent. n. 16514 del 4 novembre 2003, in Arch. civ., 2004, 15). Sui
provvedimenti di espulsione cfr., in particolare, S. CENTONZE, L’espulsione dello straniero, Padova, 2006.
Nondimeno, l’indifferenziazione delle sanzioni previste per i soggetti extracomunitari — in quanto riconducibili fondamentalmente alla sola espulsione — è un
problema ancora di recente rilevato dal giudice costituzionale nella sent. n. 22 del 2007
(a commento della quale v. C. FATTA, L’indebito trattenimento dello straniero nel
territorio dello Stato al vaglio della Corte costituzionale, in Giur. it., 2007, 2415 ss.) e di
cui si fa carico il “d.d.l. delega” (v. art. 1 punto g)).
(46) Le Sezioni Unite della Cassazione escludono che il giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione del prefetto possa valutare la legittimità del
provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di
soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo, ritenendo che questo tipo di sindacato spetti
unicamente al giudice amministrativo « la cui decisione non costituisce in alcun modo
un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione » (cfr. Corte cass., sez.
un. civ., sent. n. 22217 del 16 ottobre 2006, in Giust. civ., 2006, 10; e, precedentemente,
Corte cass., sez. I civ., sent. n. 6370 del 1° aprile 2004, in Foro it., 2005, I, 506). Dalla
« carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello
civile » tale giurisprudenza deduce l’impossibilità, per il giudice ordinario dinanzi al quale
sia stato impugnato il provvedimento di espulsione del prefetto, da un lato, pur in pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l’impugnazione dei
provvedimenti del questore, di sospendere il processo “ordinario”; e, dall’altro lato, di
disapplicare l’atto amministrativo presupposto emesso dal questore (rifiuto, revoca o
annullamento del permesso di soggiorno o diniego di rinnovo).
(47) Cfr. il “d.d.l. delega”, lett. g), punto 6.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
la conseguente attribuzione al giudice ordinario in composizione
monocratica di tutti provvedimenti relativi alla condizione giuridica dello straniero (48).
3. LA
TENDENZA VERSO LA
“SPECIFICAZIONE”:
LE
“TIPOLOGIE”
DI
PERMESSI DI SOGGIORNO.
La durata massima dei permessi di soggiorno varia in ragione
della tipologia del documento stesso, la quale a sua volta dipende
dall’attività per la quale viene rilasciato (nonché, correlativamente,
del visto di ingresso) (49). Su questa base la legge distingue dunque
tra permessi di soggiorno “di breve termine”, che autorizzano soggiorni inferiori ai 90 giorni (con le precisazioni che di seguito si
faranno, nel caso di: permesso studio; lavoro dipendente; lavoro
autonomo; turismo; affari; religione; sport; missione; invito; cure
mediche), e di “lunga durata” per soggiorni invece superiori ai 90
giorni (con le precisazioni che di seguito si faranno, nel caso di:
permesso studio; lavoro dipendente; lavoro autonomo; lavoro staRammentiamo peraltro che la Corte costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi riguardo alla disciplina vigente, ritenendo manifestamente infondato il dubbio di
illegittimità relativo alla mancata devoluzione, da parte del T.U., ad un unico giudice,
delle controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia, escludendo la palese
irragionevolezza nella scelta discrezionale compiuta dal legislatore in materia (v. Corte
cost., ord. n. 414 del 18 dicembre 2001, in Giur. cost., 3967 ss.).
(48) Ciò che, se dovesse inverarsi, consentirebbe un più ampio margine di
manovra riguardo alla sospensione in via cautelare dell’espulsione in seguito a provvedimenti di revoca, annullamento o diniego di rinnovo dei permessi di soggiorno,
ovviando all’eventualità che il processo si concluda favorevolmente per lo straniero ma
a pena (espulsione) già comminata, con conseguente pregiudizio di diritti fondamentali. Peraltro, ad ulteriore dimostrazione della delicatezza della questione il “d.d.l.
delega”, impegna altresì il Governo alla « revisione delle modalità di allontanamento,
con sospensione dell’esecuzione per gravi motivi, tenendo conto della natura e gravità
delle violazioni commesse ovvero della pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza
dello Stato dello straniero espulso (lett. g), punto 5) ».
(49) In particolare, senza considerare i permessi di soggiorno per motivi di
lavoro, la durata non può comunque essere: superiore a tre mesi, per visite, affari e
turismo; superiore ad un anno, in relazione alla frequenza di un corso per studio o per
formazione debitamente certificata e superiore alle necessità specificatamente documentate, negli altri casi (art. 5, comma 3). Sui tipi di permessi di soggiorno si veda, da
ultimo, S. CENTONZE, Ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari, Torino 2007.
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LARA TRUCCO
31
gionale; adozione; sport; missione; religione; cure mediche). Mentre un discorso particolare si deve fare avendo riguardo ai “permessi di soggiorno per motivi di lavoro”, la cui validità, in origine
limitata solo nella sua estensione massima (50), oggi, in seguito
all’introduzione da parte della legge n. 189/02 di un nuovo comma
3-bis, oltre a continuare a conoscere tutta una serie di limiti massimi (51), viene altresì collegata a « quella prevista dal contratto di
soggiorno » (la cui disciplina è contenuta nell’art. 5-bis introdotto
dalla stessa legge n. 189/02), che, pertanto, attualmente costituisce
“titolo” per il rilascio del permesso di soggiorno (a seconda dei casi
di breve o di lunga durata).
Più in generale la riforma del 2002 ha introdotto regole del
tutto specifiche per questa tipologia di permessi di soggiorno,
anche con riguardo ad altri profili di ordine sia procedurale sia
sostanziale, contribuendo a configurare una vera e propria disciplina “di settore nel settore”, in linea, del resto, come s’è anticipato, con la nostra “tradizione” giuridica (cfr. supra § 1).
Per vero tale tendenza verso la “specificazione” dei “permessi
di soggiorno”, di cui peraltro può considerarsi “sintomo” la
difficoltà di conversione dei permessi stessi da una tipologia
all’altra (52), costituisce un tratto caratterizzante, attualmente, la
materia: ed infatti oltre ai “tradizionali” permessi di soggiorno
dei richiedenti “asilo politico”, “per motivi di protezione sociale”
(art. 18), “per motivi familiari” (art. 30), “per cure mediche” (art.
36), si sono aggiunti, più di recente, il “permesso di soggiorno
(50) Per cui non poteva essere « superiore a sei mesi, per lavoro stagionale, o
nove mesi, per lavoro stagionale nei settori che richiedono tale estensione » (lett. b)); né
« superiore a due anni, per lavoro autonomo, per lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari » (lett. d)).
(51) Specificamente, ai sensi del T.U. (art. 5, comma 3-bis), non può superare:
« in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale, la durata complessiva di nove
mesi » (lett. a)); « in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo
determinato, la durata di un anno » (lett. b)); e « in relazione ad un contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, la durata di due anni » (lett. c)).
(52) Cfr. esemplarmente T.A.R. Veneto, sez. III, n. 2646 del 26 maggio 2005 che
ha confermato il rigetto della richiesta per il rinnovo e la conversione del permesso di
soggiorno per minore età in permesso di soggiorno per lavoro dipendente. Maggiori
cautele dimostra invece il T.A.R. Emilia Romagna-Bologna nell’ord. n. 247 dell’11
aprile 2003, a proposito della quale si veda L. MIAZZI, in Diritto, immigrazione e
cittadinanza, 2003, 161-163.
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32
IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
CE” per soggiornanti di lungo periodo e quello rilasciato da altro
Stato membro, previsti dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 (e incorporati nel TU come art. 9 e art. 9-bis), di recepimento della
direttiva 2003/109/CE (53) e quelli di “breve durata”, ovvero di
durata « non superiore a tre mesi » (art. 1, comma 1), “per visite,
affari, turismo e studio” previsti dalla legge 28 maggio 2007, n.
68 (54). Da ultimo, poi, il d.lgs. 10 agosto 2007, n. 154 di
attuazione della direttiva 2004/114/CE ha introdotto nel T.U. le
particolari figure di “soggiorno per volontariato (art. 27-bis); e
del “soggiorno di studenti, scambio di alunni, tirocinio profes(53) Tecnicamente queste norme sono state incorporate nell’art. 9 del T.U.
sostituendo “la carta di soggiorno per cittadini stranieri” col “permesso di soggiorno
CE per soggiornanti di lungo periodo”, e regolamentando la posizione giuridica degli
“Stranieri in possesso di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo
periodo rilasciato da altro Stato membro” (art. 9-bis).
In estrema sintesi, secondo quanto chiarito da una circolare del Ministero
dell’Interno del 16 febbraio 2007 (in http://www.poliziadistato.it/pds/ps/immigrazione/documents/circolarelungosoggiornantivalida.pdf): i cittadini stranieri possono ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo con una permanenza regolare in Italia
(non più di 6 ma) di 5 anni, essendo a tal fine sufficiente la titolarità, all’atto della
richiesta, di un permesso di soggiorno di lunga durata in corso di validità; mentre
rimangono invariati i requisiti relativi al reddito, all’alloggio, alle possibilità di richiedere il rilascio per sé ed i familiari di cui all’art. 29 T.U. Il permesso di lungo periodo
è a tempo indeterminato e non può essere rilasciato allo straniero titolare di permesso
di soggiorno per studio, formazione professionale, protezione temporanea, motivi
umanitari, asilo, permesso di soggiorno di breve durata. Esso può essere revocato per
acquisto fraudolento, espulsione, assenza dal territorio dell’Unione Europea per 12
mesi consecutivi o dopo 6 anni di assenza dal territorio nazionale e, ai sensi dell’art. 9,
comma 4, là dove si dimostri la pericolosità del soggetto « per la sicurezza dello Stato
e l’ordine pubblico ».
(54) In precedenza, constatata l’urgenza di « adempiere agli obblighi comunitari
derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e a procedure di
infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano », si era reso necessario mettere
mano la d.l. 15 febbraio 2007, n. 10. E’ intervenuta quindi la menzionata legge n. 68/07
che ha stabilito che « per l’ingresso in Italia per visite, affari, turismo e studio non è
richiesto il permesso di soggiorno qualora la durata del soggiorno stesso sia non
superiore a tre mesi » (art. 1, comma 1°). Una circolare del 13 giugno 2007, n. 32 del
Ministero dell’Interno, ha quindi provveduto a chiarire che « gli stranieri che non
provengono da Paesi dell’area Schengen formulano la dichiarazione di presenza
all’Autorità di frontiera, al momento dell’ingresso, mentre gli stranieri che provengono
dall’area Schengen dichiarano la propria presenza al Questore, entro otto giorni
dall’ingresso », secondo le modalità che sono state successivamente stabilite dal decreto
del Ministro dell’interno del 26 luglio 2007.
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LARA TRUCCO
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sionale” (art. 39-bis), in vista di agevolare la mobilità degli
studenti stranieri tra i Paesi membri dell’UE (55). Infine, è
entrato in vigore il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 17 di attuazione della
direttiva 2005/71/CE che mira ad agevolare il soggiorno di
cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica (56).
Tutto questo, specie in riferimento a quelle tipologie ragionevolmente meritevoli di normative “di favore”, può assecondare, ancora una volta (questa volta, però, in riferimento non al
paese “elargitore”, bensì alla tipologia tout court di permesso di
soggiorno), manovre di “forum shopping”, essendo del tutto
razionale che potendo scegliere tra un tipo di permesso di
soggiorno e un altro lo straniero sia portato ad optare per quello
a lui più confacente, tenuto conto, oltre che delle probabilità di
rilascio, della disciplina giuridica da cui è assistito.
A questo proposito non si può mancare di rilevare la disciplina di “relativo” favore — certamente, in quadro di fondo di
estrema difficoltà (e con prospettive di irrigidimento nel corso
dell’attuale, 16ma legislatura) — che assiste “il familiare” « ricongiunto o al seguito » nell’ottenimento del permesso di soggiorno:
“ricongiungimento”, che, peraltro, al di là degli ultimissimi provvedimenti presi al riguardo (57) (cfr. infra § 4), ha trovato
(55) In particolare prevedendo per gli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno per studio rilasciato da uno Stato appartenente all’Unione europea, « in quanto
iscritto ad un corso universitario o ad un istituto di insegnamento superiore » la possibilità, a determinate condizioni « di fare ingresso in Italia per soggiorni superiori a tre
mesi senza necessità del visto per proseguire gli studi già iniziati nell’altro Stato o per
integrarli con un programma di studi ad esso connessi » (art. 39, comma 4-bis).
(56) Relativamente ai cittadini europei, il d.lgs. del 6 febbraio 2007, n. 30 (il cui
schema di decreto di modifica, alla data in cui si scrive, è all’esame della commissione
Affari Costituzionali) ha dato attuazione alla direttiva 2004/38/CE “relativa al diritto
dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente
nel territorio degli Stati membri”.
(57) Il riferimento corre al menzionato d.lgs. n. 5/2007 con cui è stata recepita
la direttiva europea 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare e al d.lgs. 6
febbraio 2007, n. 30, di attuazione della direttiva 2004/38/CE che, nel garantire il
“diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri”, estende il proprio ambito di applicazione « a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro
diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari che accompagnino
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
pressoché da subito gli organi giudiziali particolarmente sensibili
ed attenti a salvaguardarne i valori di fondo.
Le stesse istituzioni comunitarie, paiono essersi mosse nel
preciso intento di favorire, anche per tramite della rimozione
degli ostacoli al soggiorno dei familiari stranieri dei lavoratori
“europei” (58), la creazione di un unico libero mercato.
Considerata dunque la spiccata attenzione, manifestata dalle
istituzioni comunitarie, per il principio del rispetto e della valorizzazione della vita familiare, si rende improrogabile, insieme alla
predisposizione delle necessarie misure atte a scongiurare i possibili aggiramenti, per questa strada, della legislazione, addivenire
ad una concezione uniforme del concetto di “familiare” (59).
o raggiungano il cittadino medesimo » (art. 3, comma 1°). Si veda anche in proposito
l’art. 1, lett. o) del “d.d.l. delega”.
(58) Tra le numerose pronunce del giudice comunitario sul tema, particolare
menzione merita quella in cui ha chiarito che l’interpretazione dell’art. 49 TCE alla luce
del diritto fondamentale al rispetto della vita familiare osta a che lo Stato membro di
origine di un prestatore di servizi possa negare in modo assoluto il diritto di soggiorno
al coniuge, cittadino di un Paese terzo, tenendo conto, tra l’altro, che ciò potrebbe
recare pregiudizio all’attività del marito (cfr. Corte Giustizia, sent. 11 luglio 2002 in
Causa C-60/00 in Riv. dir. internaz., 2002, 772). Il giudice comunitario ha poi escluso
la possibilità di espellere o di respingere in modo automatico alle frontiere lo straniero
coniuge di cittadino europeo, quando costui può provare, oltre che la propria identità,
« il legame coniugale », « se non esistono elementi in grado di stabilire che egli
rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità
pubblica » (cfr. Corte Giustizia, sent. 25 luglio 2002, in Causa C-459/99, in Fam. e dir.,
2002, 569). Più di recente, tornando sull’argomento, il giudice di Lussemburgo ha
riconosciuto al cittadino straniero la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno
indipendentemente dal fatto di avere precedentemente soggiornato legalmente in un
Paese membro Così Corte di Giustizia, Gr. Sez., sent. del 9 gennaio 2007, in causa
C-1/05, in Guida al Diritto, 2007, 68, con commento di M. CASTELLANETA, Con la
decisione dei giudici comunitari ricongiungimenti più facili per i genitori, ivi, 74-75.
(59) Come del resto rivela il d.lgs. n. 30/07, che considera « familiare » (v.
l’art. 2):
1) il coniuge;
2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata
sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato
membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle
condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante;
3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o
partner;
4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner.
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LARA TRUCCO
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Sono infatti sempre più frequenti i casi in cui gli organi
giudiziali sono chiamati a pronunciarsi sulla liceità del soggiorno
innanzi a situazioni di dubbia validità, o addirittura esistenza, del
vincolo matrimoniale, alla luce del diritto interno.
A tale riguardo, nel nostro ordinamento è registrabile un
certo rigore da parte della giurisprudenza che (forse proprio nella
considerazione della disciplina di particolare favore che assiste “il
coniugio”), in vista del riconoscimento di un’“unione familiare”,
è orientata nel senso di non ritenere sufficiente la mera convivenza di fatto in un alloggio (60), richiedendo altresì la sussistenza di un vincolo a tutti gli effetti giuridico (ricavando da ciò
la revocabilità del permesso di soggiorno per motivi familiari, nel
caso in cui venga meno la convivenza anche se solo “di fatto” fra
i coniugi (61). Il che, per vero, s’innesta con quanto stabilito dal
legislatore, che vuole che « Nell’adottare il provvedimento di
rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso
di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto […] si
tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli
familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e
sociali con il suo Paese d’origine » (art. 5, comma 5 del T.U.,
come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5).
Ciò fa sì che, rispetto al tema in oggetto, attualmente l’ambito
“familiare” sia tra quelli in cui è maggiormente avvertibile lo
(60) Sul requisito della disponibilità di un “alloggio” v. L. CROCILLI, Un requisito
“fondamentale” per il ricongiungimento familiare dei cittadini stranieri residenti in Italia
e per il rilascio della carta di soggiorno: l’idoneità dell’alloggio, in Gli Stranieri, 2005, 422
ss.
(61) Cfr. in questo senso CONS. ST., sez. IV, decisione n. 767 del 28 febbraio
2005, in Foro amm. 2005, 2, 412 (su cui v. A. Liuzzi, Separazione dei coniugi e revoca
del permesso di soggiorno, in Fam. e dir., 2005, 429 ss. che mette in evidenza le
disarmonie tra la disciplina del permesso di soggiorno e quella in tema di separazione
e divorzio); e, sul versante della giurisdizione ordinaria, Corte cass., sez. I civ., sent. 22
agosto 2006, n. 18220, in Giust. civ. Mass. 2006, 7-8 (annotata da R. GELLI, Separazione
dal coniuge ed impatto sulla condizione giuridica dello straniero, in Fam. e dir., 2007,
145).
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
scarto tra la disciplina formale che deriva dal matrimonio (62) e
invece quella che consegue a situazioni di mera convivenza (63).
Tale situazione, peraltro, si attenua (64) (senza tuttavia scomparire del tutto (65)) nei casi di diretto o indiretto coinvolgimento
di soggetti, in particolare “cittadini”, minori di età, figli di
cittadini extracomunitari (fatta salva, naturalmente, l’ipotesi di
perdita della potestà genitoriale secondo la legge interna (66),
tendendo, in questo caso, la forza del legame di filiazione a
prevalere sulla valutazione di altri elementi (67). D’altro canto, le
ipotesi di soggetti non cittadini qualificatisi come “minori” si
(62) Può risultare idonea ad attenuare la portata del principio quella giurisprudenza che riconosce al matrimonio celebrato all’estero, secondo le forme previste dalla
legge straniera, tra cittadini italiani e tra italiani e stranieri, immediata validità anche nel
caso in cui sia stato contratto da chi non aveva libertà di stato, producendo i propri
effetti — tra cui anche quello di impedire l’espulsione — fin tanto che non venga
emessa la pronuncia del giudice di nullità (la quale implica l’impugnazione da parte di
uno dei soggetti legittimati tra cui anche il p.m.), cfr. Corte cass., sez. I civ., sent. del
13 aprile 2001, n. 5537, in Fam. e dir., 2001, 560, commentata da R. CLERICI,
Matrimonio all’estero ed effetti della bigamia in Italia, ivi, 2002, 155-159.
(63) Ciò, del resto, è confermato dalla stessa Corte Costituzionale che mentre
con la sentenza n. 376 del 2000 censurò la mancata estensione, da parte della
disposizione, del divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di
gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio (cfr. CORTE COST., in Giur.
Cost., 2000, 2675); si è pronunciata in senso diverso nella successiva ordinanza n. 192
del 2006, non ravvisando alcun profilo di illegittimità costituzionale nella possibilità di
espulsione dello straniero convivente more uxorio con una cittadina italiana in attesa,
da lui, di un figlio Corte cost., ord. n. 192 dell’11 maggio 2006 e analogamente l’ord.
n. 444 del 22 dicembre 2006 cfr. CORTE COST., in Giur. Cost., 2006, 4483).
(64) Per considerazioni analoghe cfr., tra gli altri, M.L. TOMASELLI, Il permesso di
soggiorno per motivi attinenti allo sviluppo psicofisico di figli minori, in Gli Stranieri,
2002, 105 ss.
(65) Per esempio in alcuni casi l’autorizzazione alla permanenza del familiare del
minore per cui ricorre il divieto di espulsione viene correlata alla sussistenza di
condizioni contingenti e eccezionali (dunque non individuabili in rapporto a situazioni
con carattere di normalità e di stabilità come può essere il compimento del ciclo
scolastico obbligatorio, cfr. Corte cass., sez. I civ., sent. 17 settembre 2001 , n. 11624,
in Giust. civ. Mass., 2001, 1662). In altri casi, poi, per il ricongiungimento, si richiede
la mancanza di provvedimenti di espulsione, tenuto conto della possibilità dei figli di
seguire il genitore nel luogo di destinazione (cfr. CORTE CASS., sez. I civ., sent. 19 marzo
2002 , n. 3991, in Riv. dir. internaz., 2002, 458).
(66) Cfr. Corte cass., sez. I civ., sent. n. 2358 del 4 febbraio 2005, in Giust. civ.
Mass., 2005, 2.
(67) V. per tutte Corte Cass., sez. un. civ., sent. 24 luglio 2007, n. 16301; e, sotto
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sono rivelate a tal punto problematiche, da spingere i giudici, in
mancanza di una disciplina specifica sul punto, a svolgere un
ruolo “suppletivo” in merito alla “verifica dell’età anagrafica”
affermando la prevalenza, in caso di incompatibilità coi certificati
prodotti del soggetto straniero, delle risultanze degli accertamenti medici, in particolare radiologici, prodotti da laboratori
“nazionali” (68).
4. IL “PERMESSO
DI SOGGIORNO ELETTRONICO” E L’IDENTIFICAZIONE
DEGLI STRANIERI.
Al di là di quanto si è da ultimo osservato, le procedure di
identificazione degli stranieri immigrati costituiscono il “nodo
nevralgico” da cui dipende, in definitiva, il funzionamento dell’intero impianto normativo e, si starebbe per dire, “ordinamentale”, data la difficoltà, in questo come in altri casi, di applicare
norme giuridiche non solo nei confronti di chi è persona “diversa” rispetto a quella che si crede che sia, ma, più radicalmente,
parafrasando un’espressione “epica”, giuridicamente (ma non
certo “individualmente”) risulta essere “nessuno”.
diverso profilo, Corte Giustizia, sent. 19 ottobre 2004, in Causa C-200/02, in Dir.
comunitario e scambi internaz., 2005, 89).
(68) Così la Cassazione, con specifico riferimento al requisito dell’età, ha avuto
modo di precisare che la certificazione rilasciata dallo Stato estero non è assistita da
fede privilegiata, essendo pertanto consentito alle rappresentanze consolari italiane di
procedere a tutti gli accertamenti necessari (come, nel caso di specie, l’esame densometrico osseo) al fine di stabilire l’effettiva età di coloro che richiedono il visto di
ingresso in Italia, cfr. CORTE CASS., sez. I civ., n. 1656 del 25 gennaio 2007, in Foro it.,
2007, 3 750 (in questo quadro, solo di recente una circolare emanata dal Ministero
dell’Interno il 9 luglio 2007, ha provveduto a chiarire che se nonostante gli accertamenti, permangano dei dubbi sull’età della persona, debba prevalere la presunzione
della minore età). Per vero si tratta di un esito tutt’altro che scontato, considerata la
propensione, manifestata in qualche occasione dalla stessa Cassazione, a ritenere
attendibili certificazioni basate esclusivamente sulle dichiarazioni dei soggetti direttamente riguardati, secondo quanto stabilito dalla legge del paese di provenienza, tranne
che nei casi in cui sia contraria a norme di ordine pubblico dell’ordinamento italiano
(si veda esemplarmente CORTE CASS., Sez. I civ., sent. n. 14545 del 1° ottobre 2003, in
Giust. civ. Mass., 2003, 12 e il commento di S. MORELLO, L’analisi sul valore del
certificato di nascita straniero al fine di ricongiungimento familiare, in Fam. e dir., 2005,
48 ss.).
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Di qui, l’attenzione riservata già nella versione “originaria”
del T.U. nei confronti dell’identificazione degli stranieri, col
prevedere all’art. 14 (comma 1) la possibilità, eventualmente, di
trattenere il clandestino “per il tempo strettamente necessario”
presso un Centro di permanenza temporanea ed assistenza” in
vista appunto di procedere alla sua identificazione (69). Anche se,
poi, — e qui veniamo al punto — all’atto pratico, per tutta una
serie di ragioni di ordine eminentemente organizzativo, a cui,
peraltro, non hanno giovato determinate “incertezze” interpretative (70), anche “solo” l’innesco del procedimento identificativo
si è rivelato in certi casi di estrema, se non, addirittura, di
(69) A cui successivamente si sono aggiunte le norme previste dalla legge n.
189/2002, che, tra l’altro, hanno introdotto il reato (gravante peraltro anche sui
cittadini) di contraffazione o alterazione del permesso di soggiorno e, più in generale,
dei documenti d’identificazione « al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso
o reingresso ovvero di un permesso, contratto o carta di soggiorno » (comma 8-bis
dell’art. 5).
(70) Il riferimento corre alla questione riguardante la sussistenza o meno
dell’obbligo per lo straniero di esibire i documenti identificativi alle autorità di
pubblica sicurezza, sulla cui sussistenza, peraltro, in riferimento allo straniero legalmente soggiornante, non si nutrivano forti dubbi, considerato l’art. 6, 3° comma, del
T.U. I problemi sono sorti sulla sussistenza di questo tipo di obbligo anche per lo
straniero entrato clandestinamente nel territorio (a favore v. Corte cass., Sez. VI pen.,
sent. n. 33859 del 18 settembre 2001, ined.; ID., n. 8858 del 8 agosto 2000, ined.; e ID.,
sez. I pen., sentt. n. 13562 del 4 novembre 1999, in Riv. pen. 2000, 232; contra v. Corte
cass., sez. VI pen., sent. 21 luglio 2003 n. 31990, ined.; ID., sez. VI pen., n. 29142 del
18 luglio 2001, in Cass. pen. 2002, 2898; e ID sez. I pen., sent. n. 14008 dell’11
novembre 1999, in Riv. pen. 2000, 232; per una posizione intermedia, si veda Corte
cass., n. 10220 del 2003, in Dir. e giust., 2003, 15, 111, che ha riconosciuto l’operatività
della norma limitatamente al caso di straniero entrato illegalmente mosso nella precisa
volontà di non mostrare al personale di pubblica sicurezza il passaporto o altro
documento di identificazione). In tale situazione si è reso necessario l’intervento
chiarificatore delle Sezioni riunite della Corte di Cassazione che, ritenendo che lo stato
di clandestinità non costituisca giustificato motivo per la mancata esibizione del
permesso di soggiorno, ha chiarito la sussistenza dell’obbligo anche nei confronti dei
soggetti clandestini (cfr. CORTE CASS., Sez. un. pen., n. 45801, del 27 novembre 2003,
v.la tra l’altro in http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2004/
febbraio/sent-cass 5801-03.html).
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LARA TRUCCO
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impraticabile, effettuazione (71), a tutto vantaggio di coloro i
quali non hanno alcuna convenienza a farsi identificare.
Ciò, nonostante il quadro normativo sia tutt’altro che carente
riguardo alla previsione e regolamentazione dei mezzi identificativi. A questo proposito, basti qui rilevare come in ambito
comunitario fin dalla seconda metà degli anni Novanta, ci si sia
preoccupati di intervenire in materia (v. regolamento CE n.
1683/95), ponendo una disciplina che, poi, di recente è stata
aggiornata dal menzionato regolamento CE n. 1030/2002, in vista
di accelerare i tempi per il possibile utilizzo del permesso di
soggiorno a fini identificativi, anticipando dal 2007 al 2005 la data
limite fissata per l’inserimento in esso della fotografia (72).
Com’è noto, a tali norme si sono accompagnate pressoché
contestualmente quelle poste nel nostro ordinamento in questa
stessa materia dalla legge n. 189/02, con cui è stato sancito
l’obbligo di sottoporre a rilievi fotodattiloscopici tutti gli stranieri
richiedenti il permesso di soggiorno (art. 2-bis) o il suo rinnovo
(art. 4-bis). Anche se l’introduzione vera propria del c.d. “permesso di soggiorno elettronico” in attuazione del Regolamento
(CE) n. 1030/2002 è avvenuta dapprima ad opera del d.m. 3
agosto 2004 contenente le “Regole tecniche e di sicurezza relative
al permesso e alla carta di soggiorno” (73), e quindi del decretolegge 27 luglio 2005, n. 144 (convertito in legge 31 luglio 2005, n.
(71) Prova ne è la previsione dell’art. 16, comma 5, del T.U., riproposta da una
direttiva interministeriale emanata il 30 luglio 2007, dell’impegno per il Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di dotarsi delle necessarie risorse per procedere all’identificazione dei detenuti (può intendersi “stranieri”)
al momento del loro ingresso in carcere.
(72) Il regolamento descrive le caratteristiche generali del modello uniforme,
portando in allegato un esemplare destinato principalmente « agli organismi responsabili della stampa del permesso di soggiorno designati dagli Stati membri » e stabilendo la segretezza delle « altre disposizioni tecniche volte a lottare contro la contraffazione e la falsificazione » che sono decise dalla Commissione e dal suo comitato
istituito mediante il regolamento (CE) n. 1683/95.
(73) Il D.M. del 2004 stabilì, in modo “onnicomprensivo”, che il “permesso di
soggiorno elettronico” avrebbe dovuto recare « i dati personali previsti, per la carta di
identità e gli altri documenti elettronici, dall’articolo 36 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 ».
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
155), recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo
internazionale” (74), con cui il legislatore ha stabilito che la
produzione del permesso di soggiorno sarebbe dovuto avvenire
mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata secondo, quanto
previsto a livello europeo (75).
Il fatto è che, ad oggi, avendo riguardo al tema in oggetto, è
come se, ci si lasci passare la metafora, il motore di una fuori serie
fosse stato montato su di un’utilitaria, visto e considerato che la
stessa mancanza di condizioni per procedere all’identificazione
“tradizionale” ha finito per riguardare anche l’identificazione per
tramite del “permesso di soggiorno elettronico”, di fatto ostacolandone il “decollo”.
Ma il punto è un altro: l’“identificazione elettronica” basata
su informazioni biometriche “uniche” che consentono l’autenticazione “a distanza”, lungi dal rimediare all’attuale difficoltà di
espletare le procedure identificative, a ben vedere potrebbe
addirittura aggravarla, date le difficoltà per la loro messa a punto
e soprattutto i costi iniziali per fornire le amministrazioni e le
forze di pubblica sicurezza delle necessarie dotazioni, in un
quadro di fondo di carenza di risorse. Ed infatti, la concentrazione di queste ultime, così come richiederebbe l’applicazione del
permesso di soggiorno elettronico, nella fase di attribuzione del
dato invece che in vista del reperimento del soggetto (76),
(74) Più in generale, si veda sul tema A. PECCIOLI, Unione europea e criminalità
transnazionale. Nuovi sviluppi, Giappichelli, Torino 2005.
(75) Si precisa al riguardo che, a partire dal 15 gennaio 2003, è divenuto
operativo il sistema di rilevazione delle impronte digitali in vista del processo di
identificazione anche per i richiedenti asilo previsto dal regolamento Eurodac volto a
garantire che il richiedente asilo inoltri la domanda una sola volta (Eurodac è un
sistema informativo tra i paesi che applicano la Convenzione di Dublino, in materia di
concessione dello status di rifugiato, con cui vengono stabilite ulteriori misure per
garantire la effettività dei principi della Convenzione). In base alla Convenzione di
Dublino, i richiedenti asilo potranno di regola avere un’unica chance nello spazio
europeo per accedere alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, il che
implica in pratica l’impossibilità per la stessa persona di fare domanda in più Paesi
diversi.
(76) Sulle varie fasi in cui si svolge il processo identificativo si veda L. TRUCCO,
cit., Giappichelli, Torino, 2004, 4 e ss. I diversi piani in cui si muovono, rispettivamente, le ragioni strettamente attinenti al processo identificativo e quelle legate al
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LARA TRUCCO
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potrebbe finire per provocare l’“iperidentificazione” di chi viene
assoggettato alle procedure, ed invece l’“ipoidentificazione” nei
confronti di chi si trova (e mira a rimanere) nella completa
clandestinità (senza voler poi qui considerare la situazione problematica in cui verrebbero a trovarsi coloro i quali pur non
ostando ad essere individuati, non ottenendo il permesso di
soggiorno si trovano comunque nella condizione di essere stati
“iperidentificati”) (77).
Da questo punto di vista, a contesto invariato, l’impiego
dell’“identificazione a vista” dei cittadini stranieri, per tramite
dell’incorporazione della loro fotografia nel permesso di soggiorno, può ritenersi almeno per ora una procedura sufficientemente “sicura” e “praticabile” rispetto all’“identificazione a distanza” del permesso di soggiorno elettronico (78). Del resto, lo
stesso regolamento comunitario pur auspicando l’integrazione
nei permessi di soggiorno delle nuove tecniche in materia di
biometria, considerandole « un passo importante verso l’impiego
di un legame più affidabile » fra i documenti e i loro titolari,
continua a manifestare fiducia se non, addirittura, una certa
predilezione per la tradizionale “fotografia”, esigendo in ogni
caso che « il modello [sia] « idoneo all’uso in tutti gli Stati
membri e [presenti] caratteristiche di sicurezza armonizzate uni-
soggiorno sono messe in luce da Corte Giustizia, sent. del 17 febbraio 2005, in causa
C-215/03.
(77) In vista, può intendersi, di favorire l’identificazione di questi soggetti,
meritano di essere almeno menzionati i meccanismi “premiali” previsti dal “d.d.l.
delega”, per gli stranieri che « collaborano fattivamente alla propria identificazione,
prevedendo una « congrua riduzione » del loro periodo di permanenza nelle strutture
per le espulsioni (lett. h), punto 3) e la loro introduzione in programmi specifici di
rimpatrio associati alla riduzione della durata del divieto di reingresso nel territorio
dello Stato (lett. g), punto 2).
(78) Che, in ambito interno, hanno portato al (almeno momentaneo) abbandono del progetto di carta d’identità elettronica con identificazione a distanza, sulla cui
travagliata storia ci si consenta di rinviare a L. TRUCCO, Cards elettroniche tra Testo unico
sulla documentazione amministrativa e Codice dell’amministrazione digitale: tecnologie e
politiche a confronto, in P. COSTANZO, G. DE MINICO, R. ZACCARIA (curr.), I tre Codici
della società dell’informazione, Giappichelli, Torino, 2006, 13 ss.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
versalmente riconoscibili, visibili a occhio nudo » (considerando
n. 5) (79).
Una volta assicurato l’espletamento delle necessarie procedure identificative, possono quindi intervenire altri meccanismi
di “controllo sociale”, “precipitati”, per così dire, delle politiche
volte ad approfondire il senso di appartenenza all’ordinamento
meta del migrare dello straniero, attraverso l’instaurazione di
legami idonei a fare da “traino” all’integrazione sociale e al
“radicamento” nel tessuto territoriale (80).
Il riferimento corre, in primis, alla politica di ricongiungimento familiare, considerata, in occasione del vertice di Tampere
« uno strumento necessario », in vista di creare « una stabilità
socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi
negli Stati membri », permettendo d’altra parte di promuovere la
coesione economica e sociale […] » (81). Ed a quelle normative
— e prassi amministrative — che dirigono tutti coloro che
rinnovano il permesso di soggiorno o comunque pongono in un
certo luogo la propria abitazione con caratteristiche tendenzialmente stabili a richiedere l’iscrizione presso il registro della
popolazione residente nel comune (82).
Tutte situazioni, come si vede, che, tuttavia, presuppongono
(79) Dal canto suo anche la Corte di Giustizia in una recente pronuncia ha
considerato l’accertamento dell’identità individuale « in base alla presentazione o
all’esibizione dei documenti di viaggio » una forma di controllo “minima” ma pur
sempre sufficiente al fine di garantire un controllo sui soggetti alle frontiere esterne
degli Stati membri (cfr. Corte di Giustizia, Gr. Sez., sent. del 18 dicembre 2007, in
causa C-137/05).
(80) In questo senso parrebbe muoversi anche il d.d.l. approvato dal Consiglio
dei Ministri nell’agosto 2006, col favorire l’acquisizione della cittadinanza da parte dei
bambini che nascono, e rimangono per almeno cinque anni in Italia, da genitori
stranieri e dei bambini nati oppure entrati in Italia entro il quinto anno di età e che vi
risieda legalmente fino al compimento della maggiore età.
(81) Tale principio è stato successivamente ribadito in occasione del vertice di
Laeken (del 14 e 15 dicembre 2001).
(82) Cfr. già il regolamento anagrafico di cui al d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223
e la legge n. 1228 del 24 dicembre 1954, per cui quando un cittadino italiano o straniero
stabilisce in un luogo la propria abitazione con caratteristiche tendenzialmente stabili
(a prescindere dal fatto che sia proprietario, inquilino o semplice ospite) ha l’obbligo
— e non la semplice facoltà — di chiedere l’iscrizione presso il registro della
popolazione residente nel comune.
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LARA TRUCCO
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che una qualche corretta identificazione “previa”, del soggetto
immigrato, vi sia stata. Così come per l’esercizio del diritto di
voto (83) che, pur dando allo straniero elettore, svariate “occasioni” per manifestare la propria “identità” individuale, di per se
stesso non porrebbe rimedio alla situazione in cui si trovano
quegli stranieri che, per le più svariate ragioni, mirano a rimanere
“sans ETAT” e, per questo, “sans papiers” (84).
(83) Al proposito, il “d.d.l. delega” impegna il Governo a “prevedere”, come
per gli altri cittadini dell’Unione europea « l’elettorato attivo e passivo per le elezioni
amministrative a favore degli stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo » (lett. e)): ciò che comporterebbe l’impegno per il
nostro Paese di ratificare anche il capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 5
febbraio 1992 sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale
(ratificato, per ora, dall’Italia, con legge 8 marzo 1994, n. 203, relativamente ai soli
capitoli A e B).
(84) Laddove, per chi nasce in territorio italiano, l’attribuzione del nome — e
con ciò il suo ingresso, non solo simbolico, nell’ordinamento giuridico di appartenenza
—, è “accentrato” nelle strutture dove, in genere, avviene il parto.
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ELENA FIORINI
IL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE.
L’ESPERIENZA DELL’AVVOCATO
1. Un cordiale saluto a tutti i presenti.
Vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno per
avermi invitato. Il mio grazie va, in particolare, all’Avv. Paola
Pellegrino, la quale con tenacia ha perseguito la realizzazione di
questa occasione di incontro e di confronto, e al Prof. Pasquale
Costanzo.
2. Il fatto stesso che si parli, in materia di ricongiungimento
familiare, di “esperienza di magistrato” e “esperienza di avvocato”
è significativo. Se l’unità familiare venisse nella prassi considerata
e agita come “diritto soggettivo”, se nella realtà essa ottenesse tale
qualificazione e tale riconoscimento, l’esperienza giudiziale dovrebbe essere limitata ad ipotesi isolate e residuali. Si pensi, a mero
titolo di esempio, al diritto alla salute, ovvero al diritto al nome. Se
è pur vero che gli stessi sono a volte invocati nelle aule giudiziarie,
nella generalità dei casi essi invece costituiscono pratica ed esercizio quotidiano che, in ipotesi eccezionali, debbono invece avere
riconoscimento e tutela in sede giurisdizionale.
Con riferimento, invece, al ricongiungimento familiare, il
ricorso alle aule di tribunale e, ancor di più, ai servigi di un
avvocato, appare una pratica diffusa e frequente. Quali siano le
ragioni di ciò e quali siano le prospettive evolutive della materia
saranno l’oggetto del mio breve e sicuramente limitato intervento.
3. Intanto, va detto, nulla quaestio che il diritto all’unità
familiare rappresenti un c.d. “diritto fondamentale”. In quali
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
termini ed estensione si configuri in Italia tale diritto costituisce,
a mio parere, una delle questioni giuridiche ad oggi più interessanti in materia di immigrazione.
Per una qualificazione del diritto all’unità familiare come
diritto fondamentale nel nostro ordinamento depongono numerose norme di diritto internazionale ed interno, di diverso rango
e portata: pensiamo, tra le altre, alla Convenzione europea perla
la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali,
resa esecutiva con legge 4.8.55 n. 848 (artt. 8 e 12, rispettivamente inerenti al rispetto della vita privata e familiare e non
ingerenza dello Stato, e al diritto al matrimonio, che rieccheggiano gli artt. 12 e 16 della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo); alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.89, ratificata con L. 27.5.91 n. 176, ma anche alla
Carta di Nizza; in seno alla legislazione italiana al rango costituzionale di alcune disposizioni a tutela della famiglia, come gli artt.
29, 30 e 31. Per quanto attiene alla legislazione ordinaria, pensiamo all’intero titolo V del T.U. Immigrazione, titolato “Diritto
all’unità familiare e tutela dei minori”, così come ora emendato
da tre recentissimi interventi: 1. d.lgs. 8.1.2007 n. 3 (attuativo
della Direttiva 2003/109 CE sui soggiornanti di lungo periodo);
2. d.lgs. 8.1.2007 n. 5 (attuativo della Direttiva 2003/68/CE sul
ricongiungimento familiare); 3. d.lgs. 6 febbraio 2007 n. 30
(attuazione della Direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei
cittadini dell’Unione e dei loro familiari, a prescindere dalla loro
cittadinanza, a soggiornare liberamente negli Stati membri). Quest’ultimo, come ben noto, si applica, in virtù di espressa clausola
di rinvio, ai familiari extracomunitari di cittadini italiani, che non
sono quindi soggetti al TU Immigrazione.
Un complesso normativo, quindi, che tra l’altro prevede
regimi diversificati tra famiglie di cittadini italiani o dell’UE, e
famiglie totalmente extra UE.
La nostra Corte Costituzionale, il nostro Giudice delle Leggi,
da molti anni, ha riconosciuto in numerose decisioni un diritto
fondamentale all’unità di una famiglia, anche se nei soli termini di
famiglia “nucleare”: … il diritto dovere di mantenere, istruire ed
educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e
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ELENA FIORINI
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dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della
famiglia, sono “… diritti fondamentali della persona che perciò
spettano in via di principio anche agli stranieri…” (sentenza n. 28
del 1995). E così molte altre.
4. Adesso proviamo a concentrare la nostra attenzione sulla
casistica giurisprudenziale (o meglio su parte di essa) e, reputo,
non potremo fare a meno di notare la grande discrepanza tra la
copiosa normazione che abbiamo appena rammentato in diritto e
quanto la realtà ci sottopone all’attenzione.
Molti potrebbero essere i casi giurisprudenziali connotati da
evidenti profili di ingiustizia che potrei descrivere. Alcuni di essi
potrebbero essere emotivamente coinvolgenti e di facile identificazione per un uditorio: una cittadina nigeriana precedentemente
colpita da provvedimento di espulsione fondato sulla sua sola
illegittima presenza in Italia è stata arrestata durante la sua
cerimonia di nozze per violazione dell’art. 14 T.U. Immigrazione;
la madre di un cittadino italiano ha ricevuto, contestualmente al
diniego del permesso di soggiorno, un decreto di espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera convalidato dal Giudice di Pace, e stava addirittura per essere imbarcata su un volo
senza la figlia minore che si trovava a scuola; la moglie di un
cittadino italiano (il matrimonio e la precedente relazione durano
da dieci anni) ha un periodo di crisi con il marito, il quale si reca
presso la nostra Questura e dice che non vuole più saperne della
signora: la nostra Amministrazione le revoca il permesso di
soggiorno e la imbarca contestualmente su una nave per Tunisi.
Quelli appena accennati sono casi verificatisi a Genova,
rispetto ai quali ometto ulteriori dati per riservatezza nei confronti dei soggetti coinvolti, e per i quali l’azione giudiziaria, è
d’obbligo riferirlo, è stata totalmente vittoriosa.
Proverò invece ad esaminare, sinteticamente, quattro fattispecie concrete, probabilmente meno appealing, ma che ci pongono alcune questioni giuridiche interessanti, tra l’altro prese in
esame dalla Corte Costituzionale. I quattro casi che seguono sono
accomunati dal fatto di essere stati portati all’attenzione della
nostra Corte Costituzionale. Essi, a mio parere, delineano un
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
percorso in atto sul ricongiungimento familiare, come già abbiamo avuto in materia di allontanamento dal territorio dello
Stato, ove, come ben noto, si è passati dal considerare il trattenimento in Centro di Permanenza Temporanea come dapprima
lesivo del solo diritto di libera circolazione, e poi anche del diritto
di libertà personale (si pensi alle sentenze nn. 222 e 223/2004
sugli artt. 13 e 14 T.U.). Presto si giungerà, ritengo, a ritenere
anche tali articoli, peraltro riformulati in ossequio alle indicazioni
della Corte, non siano conformi all’art. 13 Cost. .
Si tratta di un percorso che, a fronte di continue sollecitazioni
(il T.U. Immigrazione è la legge con più questioni di costituzionalità pendenti) si muove faticosamente verso una sempre maggior tutela dei diritti.
Quattro casi, come detto:
a. il “futuro padre che non ha chiesto nei termini di legge
il rinnovo del permesso di soggiorno”: un cittadino albanese , che
chiameremo A, risiede regolarmente in Italia da circa dieci anni
ed è dotato di regolare permesso di soggiorno. Ha sempre avuto
un comportamento, come si suol dire, privo di censure sul
territorio nazionale. E’coniugato con sua concittadina in stato di
gravidanza e a rischio di aborto. A causa del ritardo nella richiesta
di rinnovo del permesso di soggiorno, riceve un decreto di
espulsione dal T.N..
L’esame di questa fattispecie induce la Corte a dichiarare
l’incostituzionalità dell’allora art. 17 L.I. (ora 19) in relazione agli
artt. 3, 29 e 30 Cost. , in quanto non estende il divieto di
espulsione, previsto per la donna in stato di gravidanza e nei
primi sei mesi dalla nascita del figlio, al marito convivente.
Ciò avviene con la sentenza n. 376 del 2000: essa appare
essenziale per il riconoscimento della tutela alla famiglia nucleare,
al di là di una tutela della diade madre-bambino. Alcune affermazioni di principio sono in particolare da ricordarsi: “emerge
un principio, pienamente rinvenibile negli artt. 29 e 30 della
nostra Costituzione, in base al quale alla famiglia deve essere
riconosciuta la più ampia protezione ed assistenza, in particolare
nel momento della sua formazione ed in vista della responsabilità
che entrambi i genitori hanno per l’educazione e il mantenimento
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ELENA FIORINI
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dei figli minori; tale assistenza e protezione non può non prescindere dalla condizione, di cittadini o di stranieri, dei genitori,
trattandosi di diritti umani fondamentali, cui può derogarsi solo
in presenza di specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle
stesse regole di convivenza democratica”.
b. il “coniuge e genitore privo del permesso di soggiorno”
di cittadini stranieri dotati di permesso di soggiorno: B. è coniugata a un cittadino straniero regolarmente soggiornante; hanno
un figlio che frequenta la scuola elementare, e viene colpita da un
decreto di espulsione. La questione, qui, verte ancora una volta
sulla legittimità costituzionale dell’art. 19 T.U., concernente i
divieti di espulsione, perché il Giudice remittente avrebbe individuato una disparità di trattamento tra lo straniero coniugato
con cittadino italiano (che non può essere espulso) e cittadino
straniero coniugato con straniero regolarmente soggiornante (che
invece non può essere espulso e non può regolarizzarsi ), in
particolare sotto il profilo della violazione degli artt. 2 e 29 Cost.
L’ordinanza n. 232 del 2001 rigetta la questione: i valori
dell’unità familiare vanno contemperati con altri valori, anch’essi
costituzionalmente garantiti, tra i quali l’ordine pubblico (qualunque cosa questo concetto possa significare). La Corte ha
costantemente affermato che il legislatore può legittimamente
porre dei limiti all’accesso di stranieri sul territorio nazionale,
effettuando un corretto bilanciamento dei valori in gioco, e che la
questione sollevata dal Giudice remittente, ove accolta, andrebbe
a vanificare i presupposti previsti per la legge sul ricongiungimento familiare, dal momento che sarebbe consentito allo straniero coniugato e convivente con altro straniero (regolare) di
aggirare le norme in materia di ingresso e soggiorno (volte ad
assicurare nel ricongiungimento familiare condizioni libere e
dignitose).
Pure legittimo, inoltre, per la Corte, distinguere e dare diverso trattamento al coniuge di cittadino italiano e al coniuge di
cittadino straniero, pur regolare.
Una questione anch’essa vertente sulla posizione sul territorio
italiano del coniuge regolare di cittadino straniero regolarmente
presente è stata prospettata al Giudice delle Leggi dal Tribunale
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
di Genova in composizione monocratica (Dott. Mazza Galanti)
con ordinanza del 7.10.2004, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 19 e 29 T.U. Immigrazione. In
questo caso un cittadino straniero vive con moglie e figlia “regolari” in Italia, e il nucleo familiare ha tutti i requisiti per il
ricongiungimento: ricorrono quindi quelle condizioni previste
dalle norme sul ricongiungimento per garantire un’esistenza libera e dignitosa, Anche tale questione viene però dichiarata
inammissibile dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 225 del
18.6.2007. La motivazione è che il remittente avrebbe sollecitato
una pronuncia additiva, senza individuare con esattezza il contenuto. Ritengo la motivazione della Corte poco approfondita,
soprattutto sulla base del fatto che non si pronuncia su una
questione seria posta dal remittente: in questo caso ci sarebbero
le condizioni previste per il ricongiungimento, come riconosciuto
dal remittente. E’allora conforme alla Costituzione disporre la
separazione di un nucleo in tal caso?
c. il “figlio maggiorenne convivente con il nucleo familiare
di origine”: . C. è un cittadino ecuadoriano di 21 anni che vive in
Italia con la famiglia, composta dalla sola madre (che ha sempre
allevato i figli da sola) e due fratelli, uno appena maggiorenne e
inserito nel mondo del lavoro, l’altro ancora studente. Egli viene
colpito da decreto di espulsione, che di fatto gli imporrebbe di
lasciare l’Italia e di non potere più convivere con il nucleo
familiare nel quale è nato e cresciuto.
La Corte dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 19 T.U. in relazione agli artt. 2, 3, 30 Cost.
sempre su questione sollevata dal Tribunale di Genova (Dott.
Mazza Galanti), con ordinanza di rimessione del 15.5.2004.
Anche in questo caso la declaratoria di inammissibilità riguarda
l’inesatta individuazione da parte del remittente del contenuto di
una pronuncia additiva.
d. la “cittadina straniera che vuole ricongiungere il genitore”: D. è una cittadina peruviana regolarmente residente in
Italia. Con lei vivono la figlia e il nipote, tutti regolarmente
soggiornanti. Ella chiede il ricongiungimento del padre, 78enne
con problemi di salute, essendo dotata dei requisiti di reddito e
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di alloggio previsti dalla legge. Ma in patria risiedono due sorelle
della ricorrente e la Questura di Genova ritiene di negare il nulla
osta al ricongiungimento familiare, in base alla formulazione della
norma, ora emendata, che prevede che il ricongiungimento dei
genitori sia ammesso solo se ultrasessantacinquenni, qualora gli
altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute. Nel caso di specie, vi sono due
sorelle di D. residenti in Perù, peraltro l’una affetta da cardiopatia e bronchite asmatica, l’altra da depressione, e la Questura
ritiene di negare il nulla osta al ricongiungimento. Il Giudice
genovese ritiene rilevante e non manifestamente infondata la
questione della legittimità costituzionale dell’art. 29 T.U. Immigrazione nella parte in cui non consente il ricongiungimento al
figlio regolarmente presente in Italia del genitore ultrasessantacinquenne che all’estero abbia altri figli che non siano “impossibilitati per gravi motivi di salute” ma che tuttavia non possano
per gravi problemi essere di adeguato sostegno al genitore, in
relazione agli artt. 3 e 29 Cost, letti alla luce dell’art. 8 Convenzione europea. La Corte ritiene di dichiarare la questione inammissibile.
In questa questione, sollevata dal Tribunale di Genova in
composizione monocratica (Dott. Martinelli) ed introdotta con
ordinanza di rimessione del 7 marzo 2005, la Corte Costituzionale da risposta lapidaria e senza dubbio sconcertante: tra i diritti
fondamentali ed inviolabili dell’uomo non sarebbe da ricomprendersi il rapporto con i figli maggiorenni; l’art. 8 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo non assumerebbe il valore di
norma parametro (ordinanza n. 464 del 23.12.2005).
Tuttavia, e anche in questo caso si inizia a delineare un
percorso, la Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349
del 2007 ha sostanzialmente svoltato, inquadrando la CEDU
nella gerarchia delle fonti come norma interposta, alla quale la
norma italiana deve essere parametrata, anche se il vaglio non
spetta al Giudice ordinario ma al Giudice costituzionale, in virtù
dell’art. 117 Cost. .
In buona sostanza, le questioni proposte dal Tribunale di
Genova, diversamente riformulate, diventano sempre più attuali
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
ed aderenti alla direzione che la Corte sta prendendo. Il percorso
si costruisce con fallimenti e distinguo, ma procede.
5. Per terminare: quali sono a mio parere gli aspetti che
delineano maggiormente l’esercizio del diritto all’unità familiare e
ne determinano un sostanziale scollamento tra norme di diritto e
realtà applicativa, e che influenzano maggiormente l’attività e
l’esperienza dell’avvocato?
a. la complessità e sfaccettatura del sistema delle fonti,
difficilmente “agibile” da una Pubblica Amministrazione, come
abbiamo già ricordato:
— normativa internazionale assai copiosa, di diversa valenza
ed efficacia interna;
— normativa europea (si pensi in particolare alle direttive in
materia negli ultimi anni);
— normativa nazionale contraddistinta da emotività e valenza politica;
b. legislazione italiana caratterizzata da mancata considerazione di norme internazionali sovraordinate e/o mancato coordinamento con le stesse, generando antinomie evidenti (pensiamo, a mero titolo di esempio, all’art. 30 c. 1-bis T.U. che
impone la revoca del permesso di soggiorno concesso per matrimonio con cittadino italiano, in difetto di convivenza, difficilmente compatibile, oltre che con il diritto civile, con normativa
europea che impone rilascio di carta di soggiorno al coniuge
straniero sulla sola base di un documento di identità e della prova
del matrimonio, ma anche al mancato adeguamento in termini a
direttive europee);
c. legislazione italiana in materia di immigrazione che, in
contrasto con art. 10 Cost. , la normazione italiana tende infatti
ad essere effettuata non con legge ma con fonti sottordinate (si
pensi ai casi dei requisiti di alloggio o alle circolari su validazione), cagionando tra l’altro applicazione a macchia di leopardo
sul territorio nazionale;
d. sussistenza di un doppio o, in alcuni casi, triplo binario,
ovvero sistemi normativi paralleli con riferimento a un diritto
soggettivo come quello all’unità familiare.
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ELENA FIORINI
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Nel diritto italiano non si rinviene uno ed un solo concetto di
famiglia: la nozione appare diversamente connotata a seconda
che parliamo di rapporti di filiazione, ovvero di successioni,
ovvero di obbligazioni alimentari o quant’altro.
Corriamo però il rischio che in questi diversi ambiti si creino
distinti diritti a seconda della nazionalità delle persone, e ciò con
riferimento ad un diritto soggettivo. Un solo esempio, tra i molti
che potrei fare, relativo ai figli:
— i figli della famiglia media italiana, come ben noto, tendono a permanere in casa e a carico del nucleo di origine sempre
più a lungo, tanto che lungamente si è discusso di una generazione che il ministro Padoa Schioppa ha definito di “bamboccioni”: rispetto ad essi permane il dovere dei genitori di accoglienza e di mantenimento che, ad oggi, anche a causa di alcune
sentenze in merito della Corte di Cassazione, pare essere privo di
limiti temporali;
— la famiglia del cittadino Ue, in virtù della direttiva 2004/
38, ha diritto di ricongiungere il figlio anche maggiorenne, purché a carico;
— la famiglia dell’immigrato, pur regolarmente presente da
anni, non ha invece titolo per richiedere o mantenere l’unità
familiare con un giovane adulto. Poniamo il caso di un giovane
straniero pur da anni presente in Italia: egli allo scoccare della
maggiore età deve procurarsi un titolo autonomo di soggiorno, a
pena allontanamento dal territorio dello Stato, anche se egli è
perfettamente inserito nel nostro tessuto sociale, convivente con
la famiglia, diplomato dalle nostre scuole, e, quindi, perfettamente assimilato e analogo ai nostri figli.
6. L’esperienza dell’avvocato, in un quadro così difficile e
complesso si sostanzia in un percorso personale di studio e
approfondimento continuo di una normativa articolata e in continua modificazione.
Uno Stato come l’Italia, sostanzialmente privo di immigrazione fino alla metà degli anni ’80, sta faticosamente compiendo
un percorso di evoluzione normativa.
La nostra Corte Costituzionale, altrettanto faticosamente, sta
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
compiendo un percorso di affinamento ed effettivo riconoscimento del diritto.
I nostri Giudici stanno seguendo anche loro un progressivo
approfondimento della materia.
Tutti sappiamo come il fenomeno migratorio spesso si leghi
al concetto di Gastarbeiter, i lavoratori ospiti tra cui tanti italiano
che tra gli anni cinquanta e sessanta erano tollerati in Germania
in quanto prestatori di lavoro e non titolari di diritti.
Nell’ottica però di una società composta di soggetti effettivamente titolari di diritti, l’avvocato può essere un valido supporto in un percorso da Gastarbeiter a cittadini. Penso che possa
trattarsi di un modo di tornare agli albori del diritto, alla necessità di studiare ed approfondire nozioni fondamentali e porle tra
loro in relazione, di affrontare la tematica dei civil rights e di
quale società vogliamo creare per mezzo di uno strumento complesso ed affascinante, il diritto, che spesso invece viene percepito
da coloro che non sono “addetti ai lavori” come arido e terreno
di azzeccagarbugli.
Tanti anni fa ho sentito don Luigi Ciotti affermare chebisogna essere strabici, avendo un occhio per l’ideale e uno per il
reale: ecco, in relazione al diritto all’unità familiare, penso che il
compito di un avvocato stia nel raggiungere la profondità che una
visione binoculare, che abbracci congiuntamente piano normativo e piano reale, supportando un processo evolutivo in corso.
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SILVANA MORDEGLIA
IL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE.
L’ESPERIENZA DELL’ASSISTENTE SOCIALE
SOMMARIO: Sommario: 1. Premessa. — 2. Le famiglie ricongiunte: alcune considerazioni. — 3. Favorire il passaggio dall’accesso all’inclusione. Un possibile contributo del servizio sociale. — 4. Riflessioni conclusive.
1. PREMESSA.
L’obiettivo che mi prefiggo con questo breve contributo è
quello di condividere alcuni spunti di riflessione con tutti voi che,
con funzioni e approcci diversi, vi siete resi disponibili a riflettere
sulle conseguenze del fenomeno migratorio.
Ho inteso affrontare l’argomento con un ‘taglio’ — che poi è
quello caratteristico del servizio sociale — che connette ed
interseca le riflessioni che si impongono a seguito dell’esercizio
professionale con altre più generali che riguardano le politiche
sociali.
È noto che l’Italia si presenta oggi come uno dei paesi europei
maggiormente investiti dai flussi migratori e i dati statistici ci
confermano il significativo contributo del lavoro immigrato alla
produzione di beni e servizi e la tendenza al radicamento di una
parte consistente degli immigrati.
Parlare di immigration policies e di immigrant policie significa
fare riferimento ad una realtà sempre più articolata e complessa
e per affrontare il fenomeno si sta gradualmente affermando il
cosiddetto ‘comprensive approach’ che consiste essenzialmente
nella gestione integrata delle conseguenze delle migrazioni, attraverso un’attenzione particolare alla ‘questione’ integrazione, che
sempre meno dovrebbe essere vista come problematica ma piut-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
tosto come una possibilità di arricchimento della società nel suo
complesso.
Il concetto di integrazione si dipana su diversi ambiti, tra i
principali quelli giuridico, economico, sociale e culturale; le
discriminazioni, costruite nel tempo più o meno deliberatamente,
infatti, non possono essere superate esclusivamente con garanzie
formali di diritti di uguaglianza per vie normative ma richiedono
anche azioni positive, strategie volte al superamento di situazioni
di svantaggio.
Lo sviluppo delle politiche dei diritti dei migranti ha quindi
come obiettivo interventi tesi a garantire pari opportunità in
settori quali la cittadinanza, il lavoro, l’istruzione, la salute.
Solo assegnando il giusto peso alla dimensione positiva della
migrazione possiamo interrogarci su quali regole sono necessarie
in una società multietnica e multiculturale e sottolineare che la
presenza dei migranti costituisce un’occasione per ripensare e
rivedere i limiti persistenti del welfare italiano, delle politiche
sociali, in particolare di quelle socio-assistenziali.
L’incontro tra culture non è sempre facile, tuttavia il fenomeno non si può né negare né bloccare e i cittadini e le istituzioni
devono sperimentare nuove forme di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini stranieri che diventano residenti stabili sul
territorio italiano.
Migrare non è una scelta facile, il migrante parte con un
enorme bagaglio: i suoi sogni, la sua cultura, le aspettative
personali e quelle di coloro che rimangono, e l’attuale immigrazione verso l’Italia non si discosta da altre tipologie di immigrazione storiche per quanto riguarda le motivazioni: il desiderio di
miglioramento economico e di una diversa qualità di vita.
I percorsi migratori presentano traiettorie diverse a seconda
della distanza geografica dei paesi di provenienza (l’immigrazione
risulta proporzionalmente più stabile in relazione alla distanza
dal paese d’origine), a seconda delle caratteristiche dei nuclei
primari di aggregazione e della loro influenza sui soggetti che
emigrano, a seconda, ancora, del genere e delle motivazioni che
l’hanno determinata.
E come vi sono molte tipologie di migrazione, esistono tante
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SILVANA MORDEGLIA
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tipologie di ricongiungimenti. Spesso gli immigrati arrivano in un
contesto completamente ‘altro’ a volte non per propria scelta, e la
ricerca di una nuova vita non sempre è accompagnata dalla
volontà di condividere tutti gli aspetti della realtà in cui si
inseriscono. In molti c’è la volontà di salvaguardare il proprio
passato, le proprie tradizioni e la propria cultura (1). L’‘immaginario’ è parte integrante del progetto migratorio e pesa sul vissuto
degli immigrati.
Nel suo breve excursus sullo straniero, Simmel ha colto per
primo con grande lucidità le caratteristiche del c.d. ‘Altro interno’. Lo straniero, afferma lo studioso, « non è semplicemente
un viandante che arriva in un luogo e successivamente riparte,
bensì è colui che si ferma e risiede nella società, rimanendo però
al contempo per molti versi estraneo ad essa » (2).
La situazione dello straniero descritto da Simmel, è quella
dell’Altro interno,
« di un soggetto che permane culturalmente lontano dalla
società (e in particolare dalla comunità maggioritaria) anche e
proprio mentre si trova ad essere fisicamente vicino (interno ai
processi socio economici della società). L’‘estraneo permanente’ cui ci riferiamo oggi non è tuttavia un outsider solitario,
bensì un Altro affiliato a forme identitarie comunitarie o
sotto-culturali, cioè appartenente a un gruppo » (3).
Nel riflettere sui percorsi di integrazione occorre soffermarsi
anche su questi aspetti che forse appaiono secondari rispetto alle
emergenze lavoro-abitazione, ma che invece divengono preminenti se da una situazione di immigrazione si vuole passare ad
una situazione di convivenza interculturale, per comprendere
(1) M. CHESSA, Percorsi di integrazione dei senegalesi a Sassari, in C. LANDUZZI., A.
TAROZZI, A. TREOSSI, Tra luoghi e generazioni. Migrazioni africane in Italia e in Francia,
L’Harmattan, Torino, 1995.
(2) G. SIMMEL, Excursus sullo straniero, in Sociologia, Edizioni Comunità, Milano, 1998, p. 580.
(3) A. BRIGHENTI, Realmente distinti, ma inseparabili: il diritto e l’Altro, in
Sociologia del diritto, 2003, v. XXX, n. 2, p. 37-60.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
come le culture si collocano nell’incontro, tutte le culture e non
solo quella di accoglienza.
2. LE
FAMIGLIE RICONGIUNTE: ALCUNE CONSIDERAZIONI.
Noi italiani apparteniamo ad una popolazione che è stata
migrante. I fenomeni migratori rappresentano anche per la popolazione della mia regione, la Liguria, come di tante regioni del
nostro Paese, una realtà esperienziale vicina e concreta. Realtà
legata al vissuto del dover lasciare la propria terra e vestire i panni
dello straniero emigrante, realtà che ora si è modificata divenendo legata all’accogliere e saper integrare le molte persone che
sono qui richiamate dalla prospettiva di un’occupazione.
I migranti sono persone con una loro storia, che provengono
e sono caricati da esperienze e significati ‘altri’ rispetto a quelli
che caratterizzano i luoghi dove essi approdano.
Davanti a un migrante dobbiamo sempre chiederci: perché
proprio lui si è inoltrato? Chi ha lasciato? Qual è il progetto di
vita di chi si inoltra e di chi rimane in attesa di ricongiungersi? Il
ricongiungimento implica infatti un precedente distacco, un lasciarsi avvenuto, un prima. E quali sono le caratteristiche delle
famiglie ricongiunte?
L’istituto del ricongiungimento, pur avendo copertura costituzionale e legislativa, cosa che peraltro non è mio compito
approfondire, incontra tuttavia limitazioni sul terreno delle prassi
burocratiche. Si pensi, ad esempio, al c.d. business dei visti
causato dai tempi tecnici di ottenimento delle certificazioni all’estero, che risultano particolarmente lunghi e onerosi, tanto che,
sempre più spesso, sono alla base di ricongiungimenti parziali
(con la conseguente separazione del nucleo familiare), se non di
ricongiungimenti illegali o ‘di fatto’. Un’altra esemplificazione è
rappresentata dall’approccio differenziato fra italiani e immigrati
nelle politiche del lavoro ( si chiede ai lavoratori italiani flessibilità e agli immigrati un lavoro stabile, ad esempio) e abitative (non
ci si cura della cubatura degli alloggi in rapporto al numero di
abitanti nei confronti degli italiani ma si pretendono precisi
standard per gli immigrati).
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SILVANA MORDEGLIA
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Sotto il profilo strutturale, nel mondo dell’immigrazione
italiana, le famiglie straniere sono rappresentate da nuclei composti in diverse tipologie — madre sola o padre solo con i figli,
nucleari, famiglie multiple o allargate — e non assimilabili.
In alcune comunità, come quelle filippina e latino-americana,
la famiglia monoparentale crea, di norma, intorno a se un clan, un
gruppo sociale di parentela composto da una rete, sovente amicale, che rappresenta una rete di solidarietà.
Una volta ottenuto, spesso con difficoltà, il ricongiungimento, per la famiglia possono svilupparsi problematicità legate
al ripristino del legame familiare in un contesto diverso, alla
costruzione di nuovi rapporti sociali, all’educazione di figli che
avevano già maturato all’estero una parte del percorso di socializzazione.
Le famiglie ricomposte si trovano a confrontarsi con altri
valori, un modo di vivere e di pensare diverso, che produce
un’esperienza paragonabile al lutto; devono affrontare le influenze del nuovo ambiente culturale, che modificano gli equilibri
preesistenti nella famiglia. È evidente che i più colpiti da queste
situazioni sono i bambini, che i genitori faticano a seguire nel
percorso d’integrazione.
Dal punto di vista, per così dire, ‘operativo’, possiamo fissare
due ambiti principali d’intervento del servizio sociale, un ante e
un post; il primo è caratterizzato da attività di orientamento e di
accompagnamento nel percorso di adempimenti collegati alle
richieste di ricongiungimento (pratiche burocratiche, iscrizione a
scuola dei figli, etc.), spesso effettuato in collaborazione con il
privato sociale e il volontariato, nel secondo si presentano i
problemi maggiori, ancorché inaspettati, per i ricongiunti: adattamento alla nuova realtà, ai familiari già presenti, perché sicuramente cambiati, che vanno supportati in modo attento ed
adeguato per evitare un’amplificazione dolorosa dei problemi.
Sappiamo che buona parte dei-bisogni delle famiglie straniere
non sono diversi da quelli delle famiglie autoctone, il problema
sta nella diversità della cultura che portano con sé, spesso nella
loro condizione di precarietà economica, nella debolezza giuridica, e l’incomunicabilità dovuta alla poca, o nulla per chi arriva
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
dopo, conoscenza della nuova lingua che vanno affrontati espandendo i luoghi di riconoscimento sociale per i membri della
famiglia.
La famiglia che prende forma dal ricongiungimento familiare
è diversa da quella del paese d’origine e potrebbe essere definita
una sorta di laboratorio sociale:
« la famiglia appare come il crocevia da cui si sviluppano,
attraverso molteplici contraddizioni, i conflitti costanti, i nuovi
rapporti con le società d’origine e con la società d’immigrazione, così come nuovi modi di vita che si caratterizzano per la
mescolanza culturale a livello di scambio e consumo » (4).
L’evento migratorio rimette dunque in gioco le identità e le
relazioni familiari del migrante. Con riferimento al tentativo di
mantenere la coesione interna del nucleo, si pensi, ad esempio,
alla inevitabile rimodulazione dei ruoli di genere e, come detto,
dei rapporti tra genitori e figli.
Per poter riuscire a supportare qualsiasi progetto di inserimento della famiglia immigrata occorre assumere strumenti specifici per capire le reali problematiche di questi nuclei, considerando che molte le famiglie immigrate non conoscono i diversi
servizi offerti dalle istituzioni, non sono informate, non riescono
a rapportarsi, ad esempio, con le forze dell’ordine o con il sistema
sanitario; l’unico rapporto che hanno è a volte quello con il
datore di lavoro, il proprietario della casa o stanza dove abitano
e la scuola che frequentano i figli.
In questo processo, un ruolo fondamentale è giocato dalla
scuola; i minori stranieri che studiano sono coinvolti principalmente in due problematiche, la prima risalente al fatto che il
sistema educativo italiano è etnocentrico e fatica ad orientarsi
verso una educazione interculturale; la seconda è a livello personale, in quanto i ragazzi presentano spesso un problema linguistico e problemi di inserimento. Perciò occorre che sia posta
un’attenzione particolare riguardo all’organizzazione del sistema
(4) A. ZEHRAOUI, La migrazione di popolamento, in Tra luoghi e generazioni.
Migrazioni africane in Italia e in Francia, cit.
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SILVANA MORDEGLIA
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scolastico, non pensando che possa essere sufficiente la buona
volontà e la disponibilità di insegnanti e dirigenti, ma prevedendo
finanziamenti e supporti.
A fronte di tutto questo, spesso l’attivazione di servizi dedicati per gli immigrati e soprattutto per i nuclei familiari non ha
dato sempre i risultati sperati; alcuni esperimenti non sono stati
efficaci, forse perché si è trattato di programmi mirati privi di una
contestuale implementazione delle occasioni di incontro e di
scambio insieme ad un utilizzo più diffuso della mediazione
culturale.
Molto più che in passato e molto più per le giovani generazioni di immigrati che per quelle che le hanno precedute, l’esperienza migratoria ai tempi della globalizzazione richiede infatti la
capacità di presiedere a livello individuale a un incessante lavoro
di mediazione. Mediazione soprattutto fra affiliazioni complesse
e appartenenze multiple in un’ottica transnazionale, che può
portare a ridefinire la tradizionale nozione di cittadinanza e che
probabilmente sta facendo emergere inedite concezioni di universalismo e di pluralismo accanto a inedite forme di soggettività.
Soprattutto i ragazzi non sono preparati per vivere fra due
culture, spesso rifiutano la cultura di origine e cercano ad ogni
costo di annullare la propria differenza rispetto a coloro che
stanno loro accanto e nei quali vogliono trovare una identificazione che crei consenso e sicurezza.
Mi sarebbe piaciuto soffermarmi sulla questione del genere
perché emblematica rispetto alla riflessione su ricongiungimenti e
l’immigrazione in generale.
Solo un’annotazione esperienziale: in tante donne che raggiungono nel nostro paese i loro compagni o che consentono con
il loro lavoro il ricongiungimento dei propri familiari, si ritrova
un progetto migratorio forte e nel contempo spesso duro e
doloroso ma anche carico di speranze. Si tratta di donne sovente
disorientate dalle trasformazioni in atto, alla ricerca di un difficile
equilibrio tra desideri di libertà assaporate per se stesse e i legami
affettivi e familiari. Alcune — è il caso di Hina Saleem — pagano
con la vita il loro cambiamento.
Le dinamiche favorite nei gruppi guidati o di autoaiuto tra
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
autoctone e immigrate che insieme affrontano questi problemi —
che non caratterizzano certo solo i rapporti di coppia tra stranieri, anzi… —, evidenziano la significatività dell’incontro tra
donne non sempre libere ma in cui si riconosce, nell’apertura
all’umanità differente e insieme simile di ciascuna, un amore forte
per la libertà.
Un accenno soltanto anche alla situazione delle c.d. ‘badanti’.
Si tratta di un fenomeno che si regge su un sistema di domanda/
offerta con caratteristiche specifiche. Tralasciando altre osservazioni — ad esempio sul grosso business illecito che importa e
colloca donne provenienti soprattutto dal Sud America e dai
paesi dell’Est Europa — una riflessione meritano, a mio parere,
gli sforzi perpetrati in relazione alla qualificazione del lavoro
privato di cura con il rischio, da un lato, di alimentare aspettative
di miglioramento professionale che non possono essere realisticamente soddisfatte alla luce delle caratteristiche del mercato del
lavoro e, al polo opposto, di obbligare queste donne a pensare a
se stesse come ‘badanti a vita’, prospettiva non certo allettante. E
infatti, da un’indagine emerge che le donne dell’Est, che hanno
un progetto migratorio breve, sono assai poco interessate alla
qualificazione mentre le donne provenienti dal Sud America, che
mirano al ricongiungimento familiare, guardano alla formazione
come trampolino per emanciparsi da un lavoro segregato e
segregante (5).
3. FAVORIRE
IL PASSAGGIO DALL’ACCESSO ALL’INCLUSIONE.
UN
POSSI-
BILE CONTRIBUTO DEL SERVIZIO SOCIALE.
Il servizio sociale, inteso nella duplice accezione di disciplina
ed esercizio professionale — occupandosi statutariamente di
favorire i processi d’inclusione sociale e, di converso, di contrastare i processi d’esclusione al fine di implementare i diritti civili
e di cittadinanza delle persone —, è profondamente coinvolto e
(5) Ricerca “Qualificare il lavoro privato di cura”, curata dall’Istituto per la
Ricerca Sociale (IRS) di Milano, in collaborazione con Caritas Ambrosiana e Associazione Centro Migranti di Brescia.
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impegnato nei processi che, ai diversi livelli, riguardano i ricongiungimenti.
Per un approccio complessivo al fenomeno, occorre un impegno a ‘tutto tondo’ della professione che vada oltre all’operatività all’interno dei servizi sociali e delle altre agenzie coinvolte.
Occorre infatti intervenire per ridefinire gli approcci delle policies
che riguardano gli ambiti interessati, in primis le politiche del
lavoro, della scuola, abitative, della sicurezza.
Il venire a contatto con le esperienze personali e familiari dei
migranti mette in gioco competenze, articolate su più livelli, che
riguardano il ‘bagaglio’ professionale nella sua interezza e complessità.
Tutto quanto sopra brevemente delineato, richiede che il
profilo dei professionisti sia sottoposto ad un aggiornamento
costante. La formazione, infatti, ha lo scopo di aumentare gli
strumenti cognitivi, interpretativi e operativi in grado di permettere la gestione della realtà dell’immigrazione, ormai non episodica ed occasionale, ma componente stabile e non transitoria
della nostra società.
La capacità comunicativa, ad esempio, è una caratteristica
fondamentale delle professioni d’aiuto e non deve essere solo
un’opzione etica.
In una società multietnica e multiculturale, la comunicazione
verbale e non verbale può determinare incomprensioni e fraintendimenti e, soprattutto, può generare distorsioni nell’interpretazione dei messaggi inviati dai differenti interlocutori. È infatti
possibile che la comunicazione tra soggetti di dissimile cultura
possa fallire a causa del diverso significato che ciascun individuo
assegna a parole, gesti, domande. Tutto ciò ha una inevitabile
ricaduta sul piano emotivo del soggetto, in particolar modo
straniero, che si ritrova confuso e disorientato nell’interagire
sociale.
Nel momento dell’incontro tra operatori e clienti appartenenti a due diversi universi culturali, emergono anche delle
differenze sul piano cognitivo e valutativo; gli usi, i costumi, le
tradizioni comportamentali e gestuali, infatti, influiscono in maniera determinante sui rapporti relazionali e sull’immagine che
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
l’immigrato — come qualsiasi cittadino che accede ad un servizio, ad una prestazione professionale (non solo sociale) — si
costituisce dell’interlocutore, sul livello di fiducia, sulla disponibilità ad una positiva relazione.
La premessa per strutturare una comunicazione autentica,
realistica, finalizzata a progettare un eventuale cambiamento, è
rappresentata dalla competenza culturale che si concretizza in un
atteggiamento di tipo antropologico nei confronti delle esperienze di migrazione, che si declina in curiosità e rispetto per ogni
tipo di soluzione culturale che la persona proponga, con orientamento ad analizzarla non solo e non tanto ‘dal nostro punto di
vista’, ma soprattutto dal punto di vista interno a quelle esperienze.
Acquisire questo tipo di approccio non è per nulla facile,
poiché implica una concezione culturale complessa e flessibile, e
soprattutto una grande capacità di decentramento emotivo, di
elaborazione delle sfide cognitive ed emotive che provengono
dalla diversità delle scelte di vita. Senza questo, il rischio è
produrre delle false alleanze e collusioni con le culture degli
immigrati senza venirne fuori in maniera operativa; oppure incorrere in nuove forme di stigmatizzazione. Gli assistenti sociali,
come tutti i professionisti dell’aiuto, devono guardarsi dal rischio
di sovrapporre le motivazioni e l’intento dell’operatore al problema della libertà e autonomia del soggetto.
Un ulteriore fuoco d’attenzione si sostanzia nello sviluppo di
attività di mediazione; questo strumento si configura quale vicinanza all’immigrato, garanzia di rispetto e traduzione di codici
culturali oltre che linguistici. Ma nel contempo, la mediazione è
anche una possibilità per gli operatori di capirsi e di capire l’altro,
di ripercorrere quel viaggio che nei decenni scorsi ci ha traghettato dal mondo tradizionale del nostro passato all’oggi.
La mediazione culturale rappresenta uno strumento per favorire la conoscenza e la comprensione fra soggetti di culture
diverse, concorrendo così a modificare il sistema di regolazione
sociale tramite la prevenzione e la risoluzione dei conflitti nonché
la rimozione delle cause che sono alla base dell’intolleranza e
dell’esclusione sociale e diventa uno strumento concreto, spesso
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SILVANA MORDEGLIA
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invocato dagli operatori in difficoltà, una presenza che accompagna, sostiene, interroga l’operatore nel proprio lavoro con gli
utenti stranieri, uno specchio che aiuta a cogliere la cultura nel
suo divenire, nel suo manifestarsi nel lavoro, nelle relazioni.
4. RIFLESSIONI
CONCLUSIVE.
La ricomposizione delle famiglie è, innanzi tutto, una questione di giustizia ed una proposizione etica, così come l’integrazione sociale è nell’interesse di tutti e va costruita secondo
modalità legate al qui ed ora, alla provvisorietà, all’attualità,
attraverso la mediazione personale di donne e uomini, di professionisti nei diversi campi, che credono che il rispetto e la valorizzazione delle differenze siano obiettivi possibili.
Il passaggio dall’accesso all’inclusione non è un operazione
formale (specialmente in presenza di servizi uguali per persone
che, pur presentando gli stessi problemi di altri, uguali non sono),
ma sostanziale e strutturale, in quanto si richiede una risposta
efficace ad una domanda complessa.
A una interessante obiezione sollevata, che la politica dei
diritti dei migranti non sia davvero universale e convincente alla
luce di premesse culturali diverse ma sia una sorta di occidentalizzazione, Habermas risponde che
« anche il discorso dei diritti umani vuole che si dia ascolto
a tutte le voci. Perciò esso stesso esibisce in anticipo i criteri
alla cui luce si possono scoprire e correggere le offese, anche
latenti, alla propria pretesa […]. Chiedendo l’inclusione dell’altro, i diritti umani funzionano nello stesso tempo da sensori
per le emarginazioni che vengono praticate nel nome loro » (6).
La prospettiva procedurale della riflessione filosofica dello
studioso evidenzia come il compito primario non è definire i
contenuti della ‘vita buona’, ma cercare di porre quelle condizioni procedurali – quel ‘metodo’, potremmo dire, cui attenersi
(6)
J. HABERMAS, L’inclusione dell’altro, Feltrinelli, Milano, 1998.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
nella ricerca di condizioni giuridiche e politiche accettabili da
tutti sul piano internazionale.
Ritengo, e non potrebbe essere diversamente avendo deciso
di studiare e di occuparmi di processi sociali, che nessun uomo
possa essere totalmente altro in rapporto ad un altro uomo e che
i diaframmi di separazione possono essere aperti, che sia possibile
stabilire un rapporto di comunicazione che ha la meglio sulle
diversità e per questo non sono pessimista rispetto allo sviluppo
dei processi d’inclusione.
Per raccogliere questa sfida occorre far leva sul senso della
responsabilità professionale, che deve contraddistinguere chi
opera a servizio dei cittadini con diverse funzioni e a diversi
livelli, e far riferimento alla dimensione etica del nostro lavoro,
un’etica in cui sia inserita la dimensione temporale, un’etica che
guardi al futuro, già evidenziata da Jonas:
« la responsabilità […] non può tanto avere la funzione di
determinare quanto quella di rendere possibile (ossia di rendere disponibile e tenere aperto). Proprio l’avvenire di ciò di
cui si ha la responsabilità costituisce la dimensione futura più
autentica della responsabilità » (7).
E nell’incontro-scontro tra questi due mondi nasce la fatica
per gli operatori che si occupano di migrazioni, intrisi di modernità, a entrare in relazione con persone che ripropongono un
mondo che ci siamo lasciati alle spalle e verso il quale temiamo di
regredire.
In primo luogo viene il “dover essere” (Seinsollen) dell’oggetto, in secondo luogo, il “dover fare” (Tunsollen) del soggetto
chiamato ad averne cura. L’esigenza dell’oggetto da un lato,
nell’assenza di garanzie della sua esistenza, e la coscienza morale
del potere dall’altro, nella colpevolezza della sua causalità, si
fondono nel senso affermativo di responsabilità del soggetto
attivo, che già da sempre interferisce nell’essere delle cose.
Quando oggi parliamo della necessità di un’etica della responsa(7)
H. JONAS, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino, 1990, pgg. 117-118.
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SILVANA MORDEGLIA
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bilità futura intendiamo proprio questo tipo di responsabilità e di
senso della responsabilità rispetto all’attuazione dei diritti sociali,
non la vuota ‘responsabilità’ formale di ogni agente per la sua
azione.
Norberto Bobbio con riferimento ai diritti dell’uomo affermava che essi costituiscono al giorno d’oggi un nuovo ethos
mondiale, con prevedibili lunghi tempi di realizzazione. Tempi
lunghi il cui avvento:
« non può essere oggetto di alcuna previsione, ma soltanto di
un presagio[…]. Certo, non basta la fiducia per vincere. Ma se
non si ha la minima fiducia, la partita è già persa sin dall’inizio,
prima di cominciare. Se poi mi si chiede che cosa occorre per
aver fiducia, riprenderei le parole di Kant […] che mi sembrano molto sagge: “giusti concetti”, “una grande esperienza”,
e soprattutto “buona volontà” » (8).
(8) N. BOBBIO, I diritti dell’uomo oggi, Enciclopedia Multimediale delle Scienze
Filosofiche, Rai Educational, 1991.
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ANTONIO PAPPALARDO
FLUSSI MIGRATORI E DEVIANZA MINORILE
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Elementi di criticità e risposta ai bisogni dei minori.
Prassi e orientamenti attuali dell’Autorità giudiziaria. — 3. Progettualità. — 4.
Riflessioni sulle possibili evoluzioni del fenomeno e indicazioni sugli obiettivi da
perseguire.
1.
PREMESSA.
(La premessa è tratta da “Verità e menzogne sugli stranieri
criminali” di Paolo Morozzo della Rocca, pubblicata sulla rivista
Limes n. 4/2007).
È consueta l’affermazione di una maggiore propensione alla
devianza e alla criminalità degli stranieri presenti in Italia rispetto
ai cittadini italiani. L’assunto si basa spesso sulla lettura dei dati
relativi alle denunce che non su quelli relativi alle condanne.
Molto utilizzato è l’uso di statistiche sulla popolazione carceraria
per dimostrare l’assunto immigrazione=criminalità.
Questi dati vengono letti senza tenere conto di fattori che ne
limitano l’attendibilità. Ad esempio: la maggior propensione dei
denuncianti a sospettare di stranieri; la maggior percentuale delle
difese d’ufficio; il maggior ricorso alla custodia cautelare in
carcere; l’incidenza dei delitti compiuti contro stranieri che, però,
non possono denunciare l’aggressore italiano perché temono
conseguenza negative sul soggiorno o sulla semplice presenza in
Italia.
Tuttavia esiste una più elevata percentuale di devianza constatata all’interno della popolazione straniera rispetto alle percentuali riscontrate sulla sola popolazione italiana. però certo che
la “forbice” riguardante la tendenza criminogena è da ridimen-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
sionare e collocare a una soglia assai più bassa di quella normalmente presentata all’opinione pubblica dai mass-media e da
esponenti politici di entrambi gli schieramenti.
Partiamo da alcuni dati grezzi relativi alla generalità della
popolazione immigrata. Nel biennio 2005-2006 il Ministero dell’Interno segnala: 644.533 denunciati, di cui 210.213 extracomunitari (pari al 32,62%); 145.231 arrestati, di cui 23.630 (pari al
16,27%) immigrati.
Considerando il maggior rischio di volatilità sul territorio e
l’assenza di favori nei loro confronti da parte delle autorità
procedenti, il fatto che la percentuali di stranieri arrestati sia così
sproporzionata, per difetto, rispetto alla percentuale dei denunciati indica, per lo meno, un atteggiamento di complessivo e
pregiudiziale sfavore verso gli immigrati da parte dei denuncianti
che trasmettono la notizia di reato agli organismi competenti
(cittadini e forze dell’ordine).
Guardando poi alle condanne, sono certamente gli stranieri a
“rischiare” più il carcere rispetto agli italiani: già nel 2000 i
detenuti stranieri ammontavano al 28,8% del totale, ma costituivano solo il 19,1% dei condannati.
Confrontando i dati del Ministero degli Interni e dell’ISTAT
degli ultimi anni si riscontra un indubbio aumento della percezione della criminalità straniera e una maggiore facilità alla
denuncia.
Nelle carceri per adulti (dati DAP), la presenza di stranieri in
carcere per tipologie di reato a dicembre 2006 era la seguente:
26,5% reati contro il patrimonio; 24% reati connessi al traffico di
stupefacenti; 20,9% reati contro la persona. La quarta voce
riguarda la violazione delle attuali norme sull’immigrazione
(Legge Bossi-Fini): incide per il 5,5% delle detenzioni a dicembre
2006.
Si tratta, com’è noto, di un reato costruito ad hoc e di recente
dal legislatore italiano (per limitare o meglio scoraggiare l’immigrazione) che non corrisponde al sentimento di giustizia di chi
giunge in Italia perseguendo un progetto migratorio per motivi
economici o politici.
Come sostiene la Comunità di S. Egidio e decine di altre
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ANTONIO PAPPALARDO
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soggetti del volontariato organizzato che svolgono attività in
carcere, oggi gli immigrati, in Italia, costituiscono i “nuovi poveri”. indubbio, infatti, che oggi gli immigrati costituiscono la
fascia più bassa dei ceti popolari residenti in Italia. Le tipologie
di reato più diffuse tra gli stranieri extracomunitari indicano che
la loro posizione come “classe deviante” è analoga alla loro
posizione più complessiva come “classe sociale”: infatti compiono soprattutto reati di sostituzione nei ruoli di basso profilo
riguardo agli italiani (traffico di stupefacenti, prostituzione), oppure reati di sostentamento (contro il patrimonio).
Insomma: la criminalità straniera è tale non perché straniera
ma perché espressiva di collocazioni marginali che, in mancanza
di immigrati, sarebbero occupate da altri.
Va infine aggiunto, dato non secondario, che le statistiche
giudiziarie e quelle riguardanti denunce e detenzioni non distinguono tra stranieri regolarmente presenti sul territorio italiano e
quelli privi di permesso di soggiorno. Rileva in proposito Barbagli (Immigrazione e reati in Italia, Bologna, 2002) che l’85% dei
furti e il 70% delle lesioni volontarie, nonché il 75% degli
omicidi commessi da stranieri, sono commessi da clandestini o
irregolari privi del permesso di soggiorno. E se si considera che,
in Italia, due terzi degli immigrati regolari sono ex irregolari,
possiamo desumere che non è la condizione di “straniero” a
determinare da sola la maggiore propensione alla devianza, ma
sono le concrete condizioni di inserimento dell’immigrato.
2. ELEMENTI
DI CRITICITÀ E RISPOSTA AI BISOGNI DEI MINORI.
PRASSI
E
ORIENTAMENTI ATTUALI DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA.
Quanto visto in premessa con riferimento alla popolazione immigrata in generale, emerge anche dall’analisi dei dati relativi ai
minorenni: verso i ragazzi stranieri c’è una maggiore propensione
alla denuncia, una maggiore propensione all’arresto e quindi all’accompagnamento nei Centri di Prima Accoglienza (C.P.A.), una
maggiore propensione alla richiesta (da parte del PM) e alla disposizione (da parte del GIP) della custodia cautelare in carcere.
Va concretamente preso atto che il Codice di Procedura
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Penale per i minorenni è stato pensato per i ragazzi italiani e che,
pertanto, mal si attaglia ai coetanei stranieri che presentano
alcune problematiche peculiari (l’assenza di figure genitoriali o la
particolare fragilità dei nuclei d’origine, la mancanza di una
stabile e idonea sistemazione abitativa, la bassissima scolarizzazione). La giustizia si muove quindi su una sorta di “doppio
binario” che esclude, per molti ragazzi stranieri, la possibilità di
accedere ad alcune delle opportunità previste dall’ordinamento
(si pensi soprattutto alle misure cautelari meno restrittive della
libertà personale quali le prescrizioni o la permanenza in casa).
Per quanto riguarda la realtà piemontese e ligure, si ritiene
che i Servizi minorili abbiano posto in atto un notevole sforzo per
offrire ai ragazzi stranieri le stesse opportunità offerte agli italiani
e per equiparare gli interventi pur salvaguardandone la personalizzazione.
La presenza di “codici” diversi, sia sotto il profilo linguistico
che culturale, rende comunque difficile fornire risposte efficaci a
quelle che sembrano essere le richieste dei ragazzi stranieri.
A tale proposito, la mediazione interculturale rappresenta un
insostituibile strumento operativo di facilitazione nella comunicazione ma, purtroppo, le risorse finanziarie disponibili sono
insufficienti ad assicurare interventi adeguati alle reali esigenze
dei Servizi. D’altronde, a livello locale, i bisogni sono molteplici
e l’attenzione è per lo più centrata su fasce d’età più basse per cui
risulta difficile richiedere agli Enti Locali finanziamenti specifici
diretti ad implementare le attività di mediazione culturale rivolte
ai giovani in area penale.
Inoltre, a fronte di un disagio psicologico in aumento anche
tra la popolazione giovanile immigrata, va seriamente considerata
la necessità di prevedere tra il personale dei Servizi Minorili della
Giustizia, oltre ai mediatori culturali, anche operatori di area
socio-educativa originari dei paesi di provenienza dei ragazzi ed
esperti in etnopsichiatria.
Un elemento di forte criticità è rappresentato dai limiti che
l’attuale legislazione pone alla possibilità di regolarizzazione dello
straniero al compimento della maggiore età.
A questo proposito andrebbero individuate e concertate dai
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ANTONIO PAPPALARDO
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soggetti istituzionali competenti le strategie utili per sostenere
adeguatamente il minore che arriva da un altro paese nell’ottica
di favorirne effettivamente l’integrazione. Per alcuni, anche il
cosiddetto circuito del penale può rappresentare una porta aperta
sul percorso di integrazione. Quello che va assolutamente evitato
è il mancato riconoscimento, al compimento del 18° anno di età,
dei risultati fino ad allora raggiunti. Un giovane, che ha dimostrato di accettare le regole di convivenza e di cittadinanza del
paese ospitante, che ha saldato il suo debito con la giustizia, che
ha beneficiato di interventi professionalmente ed economicamente onerosi (collocamenti in comunità, sostegni educativi,
tirocini formativi) non può essere rimesso, al termine di un
positivo percorso, nelle condizioni di tornare alla clandestinità e
quindi - quasi automaticamente - alla criminalità.
Non va sottovalutato il fatto che la prospettiva del permesso
di soggiorno al compimento del 18° anno di età può stare alla
base del processo motivazionale di adesione ai programmi ed ai
progetti di ‘integrazione’.
Altra questione di fondamentale importanza per la giustizia
minorile è rappresentata dal problema dell’identificazione, degli
alias, dell’accertamento dell’età con parametri diversi da quelli
attuali che non sono tarati sulle nuove tipologie di stranieri (già
con i nomadi vi era una differenza in più od in meno di oltre 1
anno e mezzo). Non va dimenticato che risulta estremamente
negativa la compresenza all’interno degli Istituti Penali per i
Minorenni (IPM) di soggetti adulti, spesso anche molto compromessi nella criminalità, e di ragazzi effettivamente minorenni.
Non minore importanza riveste la riflessione sulla necessità di
stipulare accordi bilaterali tra Paesi e protocolli operativi che, partendo dall’analisi della realtà e dei bisogni, consentano una risposta
efficace in grado di incidere positivamente sui problemi che questi
ragazzi portano con sé venendo nel nostro paese. La realizzazione
di quanto sopra è, ovviamente, subordinata allo studio e all’elaborazione concordata con i paesi di origine dei minori, di programmi di intervento volti a limitare le partenze, a rendere significativo ed efficace un eventuale rientro nella loro famiglia,
coinvolgendo in maniera reale le comunità di origine, a fornire ai
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
ragazzi emigrati un bagaglio di competenze spendibili nel loro
Paese.
Occorre inserire all’interno nel dibattito e nel confronto ai
vari livelli sui minori stranieri non accompagnati, la dimensione
della condizione e del ruolo delle comunità e delle famiglie di
origine.
Appare non più rinviabile — di concerto con gli Enti Locali
— impostare un efficace intervento congiunto di governance del
fenomeno e dei problemi che lo stesso comporta sul territorio, in
particolare per quei gruppi vulnerabili, di cui fanno parte i
minori dell’area penale, individuando le risorse umane e finanziarie per rispondere adeguatamente ai bisogni.
Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere norme precise per
l’individuazione del tutore (utile un’indicazione politica verso la
scelta di una persona fisica piuttosto che dell’Ente locale, entità
astratta che finisce con il non consentire al minore di far sentire
la propria opinione sulle questioni che direttamente lo riguardano) mettendogli poi a disposizione i mezzi necessari per svolgere in maniera adeguata tale compito.
La Sotto Commissione regionale ex art. 13 prevista dal d.lgs.
272/89, ha attivato un tavolo tecnico con il mandato di delineare
linee guida per la collaborazione tra Autorità Giudiziaria, Servizi
Minorili e Servizi dell’Ente Locale riguardo ai ragazzi in area penale. Nell’ambito dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato rappresentanti di diversi Enti che per mandato istituzionale si occupano di ragazzi stranieri, sono emersi con chiarezza
prassi e orientamenti attuati dall’Autorità giudiziaria piemontese.
Si riportano qui di seguito alcune parti della bozza di documento che riguardano l’apertura di tutela per i minori non accompagnati e la sospensione del processo e messa alla prova: “…
La legge minorile richiede che i minori stranieri non accompagnati
che siano indagati o imputati in un procedimento penale debbano
avere un rappresentante legale che faccia le veci degli esercenti la
potestà genitoriale, ove questi non siano prontamente rintracciabili
sul territorio nazionale o comunque reperibili in alcun modo.
previsto, a pena di nullità, che il decreto di fissazione del-
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ANTONIO PAPPALARDO
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l’udienza preliminare e l’informazione di garanzia siano notificati
all’esercente la potestà genitoriale o, in mancanza di questa
figura, al tutore (art. 7 d.P.R. 448/88).
La conseguenza di una mancata notifica degli atti sopra
richiamati, è quella di una legittima eccezione di nullità degli atti
del processo che determinerebbe, inevitabilmente, una regressione del procedimento davanti al pubblico ministero ed una
impossibilità di celebrare il processo.
Per evitare questo, la Procura presso il Tribunale per i
minorenni di Torino ha deciso di procedere a segnalare al
Giudice Tutelare competente in relazione alla residenza o dimora
effettiva del minore tutte le situazioni in cui, sin dalla fase delle
indagini preliminari, si prospetta la necessità o la probabilità di
una richiesta di rinvio a giudizio e, quindi, la prospettiva di un
processo, fornendo di volta in volta al Giudice Tutelare tutti i
dati conosciuti relativamente alla identità personale ed alle condizioni di vita del minore.
Ove non fatta prima, la segnalazione viene fatta comunque
nella fase conclusiva delle indagini, quando si concretizza la
prospettiva della richiesta di rinvio a giudizio.
Nei casi in cui si tratti di minori senza fissa dimora o
irreperibili al momento dell’esercizio dell’azione penale, si è
convenuto, per i minori di fatto presenti in Torino, di concerto
con l’Ufficio del Giudice Tutelare di Torino e l’Ufficio Minori
Stranieri del Comune di Torino, di effettuare la segnalazione al
Giudice Tutelare di Torino, che deferirà di norma la tutela al
Comune di Torino.
Per i minori senza fissa dimora presenti sul restante territorio
regionale, la Procura Minorile segnala il caso al Giudice Tutelare
del luogo.
Problemi e dubbi possono sorgere ogni qualvolta l’identità
del minore non sia documentalmente accertata, ferma restando la
certezza della sua identità fisica (perché sottoposto a rilievi
fotodattiloscopici che ne attestano la identità, appunto, come
persona fisica e che consentono di individuare anche le diverse
generalità che, di volta in volta, il minore può avere reso alle forze
dell’ordine o ai magistrati). In tal caso, comunque, la Procura per
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
i Minorenni provvede ugualmente a segnalare il minore al Giudice Tutelare, specificando questa circostanza e fornendo anche
eventuali notizie ed indicazioni circa il presunto domicilio effettivo del minore. Pacifica è, invece, la soluzione in caso di dubbio
sulla effettiva minore età dell’indagato, dovendosi presumere la
minore età, infatti, la segnalazione e correlativa richiesta di
apertura di una tutela va comunque fatta…”.
L’applicazione dell’istituto della messa alla prova ex art. 28
d.P.R. 448/88 presenta, nei fatti, alcune particolarità per quanto
riguarda i minori stranieri non accompagnati.
Per molti di loro, trattandosi di ragazzi senza fissa dimora, è
necessario prevedere una sistemazione comunitaria (con concrete
problematiche di copertura finanziaria, soprattutto ove essa si
protragga nel tempo) e, più in generale, i contenuti e la durata
vanno valutati tenendo conto della necessità che il ragazzo possa
proseguire in un percorso di integrazione sociale. Tali percorsi,
avendo connotati analoghi a quelli previsti dall’attuale normativa
sui cittadini stranieri, si dovrebbero poter valere ai fini della
regolarizzazione (spesso i ragazzi raggiungono la maggiore età
durante il periodo della messa alla prova).
Tuttavia non è così facile giungere alla regolarizzazione; i problemi maggiori sono rappresentati dall’impossibilità di dimostrare
la durata del periodo di pregressa permanenza in Italia e, in secondo luogo, dalla durata della messa alla prova, che non può
essere fatta coincidere artificiosamente con quella del percorso di
integrazione sociale previsto dalla Legge Bossi-Fini, per cui, essendo applicata nel rispetto del codice di procedura penale minorile, ha una durata variabile che, spesso, risulta inferiore ai due
anni.
3.
PROGETTUALITÀ.
I Servizi Minorili, fin dai primi ingressi dei ragazzi stranieri
nelle proprie strutture, si sono attivati per elaborare progetti
mirati che aiutassero da un lato gli operatori a comprendere e ad
affrontare le specificità delle problematiche dei minori e dall’altro
fornissero proposte aderenti ai bisogni e alle esigenze dei giovani.
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Un’attenzione particolare si è posta al momento dell’accoglienza in CPA e al sostegno nella comprensione della prima fase
dell’iter penale (GIP e misure cautelari) e, in generale all’implementazione del servizio di mediazione culturale soprattutto a
sostegno del benessere e della salute dei giovani in IPM.
Si è inoltre cercato di ottimizzare gli interventi educativi effettuati dalle strutture residenziali che ospitano ragazzi stranieri
offrendo alle èquipes educative la disponibilità a momenti di confronto specifici e l’accesso alle occasioni di formazione e autoformazione .
L’Amministrazione di Torino è particolarmente sensibile e
attenta alle problematiche dei ragazzi stranieri e ha attivato molti
progetti e iniziative volte alla prevenzione del disagio e all’inclusione sociale che costituiscono risorse anche per i ragazzi in
carico ai Servizi minorili. Nel resto della regione il panorama dei
progetti mirati ai ragazzi stranieri è meno ricco anche in relazione
alla minore rilevanza del fenomeno.
Il Centro per la Giustizia Minorile (CGM) ha investito molto
nella definizione di accordi interistituzionali e protocolli operativi
con le Istituzioni e servizi che si occupano della fascia adolescenziale per realizzare interventi e progettualità non settoriali, ma
integrate. Per quanto riguarda in particolare i ragazzi stranieri, si
sottolinea la rilevanza del protocollo operativo con l’Ufficio
Minori Stranieri del Comune di Torino, che si colloca all’interno
di un più ampio accordo con l’Assessorato comunale ai Servizi
Sociali per la presa in carico dei ragazzi in area penale e la
continuità degli interventi nel passaggio penale-civile.
Con la firma del Protocollo tra CGM e Consolato del Regno
del Marocco sarà inoltre possibile perfezionare le collaborazioni
riguardo all’identificazione dei minori, passaggio indispensabile
per la realizzazione di credibili percorsi di inclusione sociale.
4. RIFLESSIONI
SULLE POSSIBILI EVOLUZIONI DEL FENOMENO E INDICA-
ZIONI SUGLI OBIETTIVI DA PERSEGUIRE.
Da un confronto con i Servizi Minorili si rileva come sia
costante il flusso di minori stranieri, specie non accompagnati,
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
che transitano, effettuando diversi passaggi nell’arco di brevi
periodi, in CPA, IPM e Comunità.
Si stanno affacciando con sempre maggiore frequenza ragazzi
cinesi con famiglie regolari, prevalentemente domiciliate in alcuni
territori della provincia di Cuneo. Il fenomeno è preoccupante,
sia perché la comunità cinese risulta ancora piuttosto chiusa e
refrattaria a qualunque proposta progettuale che non sia connessa e immediatamente funzionale al procedimento penale, sia
perché la tipologia dei reati commessi fa ipotizzare un’adesione
ad organizzazioni criminali molto ben strutturate e ramificate.
Nell’ultimo periodo, inoltre, stiamo assistendo anche all’ingresso di giovani che dichiarano di essere del Gabon, del Mali,
ecc. che arrivano, molto spesso, già con i polpastrelli abrasi —
segno evidente di una ‘appartenenza’ ad una cultura deviante.
È invece diminuita, nel corso degli ultimi due anni, la presenza di minori provenienti dall’Albania. Sintomo, questo, di una
migliore integrazione e probabilmente di una sorta di controllo
sociale esperito dalle stesse comunità albanesi presenti sul territorio piemontese.
Sulla statistica, non incidono ancora in modo significativo i
minori stranieri di seconda generazione, tuttavia, sia dai fatti
riportati nella cronaca locale sia dagli invii al Centro Mediazione
Penale, si percepisce un aumento del disagio nei giovani adolescenti che commettono reati simili a quelli commessi dai loro
coetanei italiani. Questi giovani non si riconoscono nei codici
culturali di provenienza, rifiutano le rigide imposizioni familiari
e, nell’affannosa ricerca di percorsi identitari differenti, rischiano
sempre più spesso di inserirsi in circuiti devianti. Uno degli
interventi da potenziare per intervenire in modo efficace su
questo fenomeno è relativo alla prevenzione nell’ambito scolastico, certamente non specificamente rivolto a ragazzi stranieri.
Rispetto a tali progetti la partecipazione dei Servizi Minorili della
Giustizia è sicuramente auspicabile per la qualità dell’apporto
che unisce competenze teoriche e componenti esperienziali.
Gli operatori del servizi minorili segnalano la mancanza e
sottolineano la necessità di interventi rivolti al disagio psichico,
coinvolgendo etnopsicologi e operatori madrelingua.
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ANTONIO PAPPALARDO
79
Così come ritengono necessario un maggiore investimento
sulla mediazione interculturale, oggi in gran parte garantita da
progetti esterni all’Amministrazione della Giustizia.
Rispetto alla legge quadro nazionale in materia di immigrazione, i Servizi Minorili torinesi sono certi di un’incisiva presenza
del Dipartimento Giustizia Minorile per quanto riguarda lo
specifico dei minori stranieri del circuito penale. Gli aspetti
applicativi della vigente norma e la traduzione sul piano operativo di questi stessi aspetti risulta farraginosa e disomogenea sul
territorio nazionale.
Si ritiene fondamentale, alla luce delle diverse interpretazioni
giurisprudenziali e delle circolari applicative che vengono diramate alle Questure, giungere ad una rivisitazione delle norme
relative alla regolarizzazione dei minori presenti sul territorio
dello Stato al compimento della maggiore età, considerando tra i
motivi che danno diritto a rimanere in Italia la fuoriuscita con
valutazione di esito positivo dal circuito penale minorile.
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FRANCO CATANI
GLI INTERVENTI DEI CENTRI DI ASCOLTO VICARIALI
A FAVORE DEGLI IMMIGRATI
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Il programma Caritas. — 3. L’Osservatorio delle povertà.
— 4. Gli interventi. — 5. Le prospettive. — 6. I segnali deboli.
1. PREMESSA.
In questo Convegno sono stati molteplici i punti di osservazione con cui si è cercato di esaminare il complesso fenomeno
dell’immigrazione.
Quello che vi proporrò in questo breve intervento è un punto
di vista un po’ atipico, quello Caritas, che in qualche modo fa
sintesi nell’unico punto di vista, quello della persona, per realizzare un duplice compito: da un lato farsi prossimo delle persone
in difficoltà, dall’altro essere stimolo per la comunità nell’educarla e sensibilizzarla ai problemi.
2. IL
PROGRAMMA
CARITAS.
Agli inizi degli anni 2000 la Caritas Italiana si è data un
programma, riassunto nelle tre azioni di ascoltare, osservare,
discernere.
La prima azione, l’ascolto, trova il suo luogo nei Centri di
Ascolto Caritas, nei diversi livelli: parrocchiale, vicariale o diocesano.
nei centri di ascolto che avviene l’incontro concreto tra la
comunità e i suoi membri in difficoltà.
La maggior parte dei Centri si rivolge alle persone residenti
nel territorio, con le quali e per le quali, dopo averle accolte ed
ascoltate, si elabora un “progetto di aiuto”, che coinvolge le
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
diverse risorse presenti sul territorio, in grado di dare risposte,
parziali o complete, ai loro problemi.
Dal 2000 esiste un accordo di collaborazione con i Servizi
Sociali del Comune di Genova che prevede incontri regolari tra
ciascun Centro di Ascolto e il corrispondente Distretto Sociale sia
per la soluzione dei singoli casi, che per affrontare problematiche
comuni del territorio.
3. L’OSSERVATORIO
DELLE POVERTÀ.
Dalla quotidianità dei Centri di Ascolto, scaturisce la seconda
azione: l’osservare.
Osservare attraverso i Centri di Ascolto, dove le persone si
rivolgono liberamente e al di fuori di ogni burocrazia, consente di
rilevare quei tipi di povertà che possono sfuggire agli enti ufficialmente preposti, quei “segnali deboli” sintomi di nuove difficoltà emergenti, talvolta passeggere, ma spesso destinate a diventare fenomeni vistosi nel giro di pochi anni.
Ad esempio, agli inizi degli anni ’90 i casi di persone con un
reddito regolare, ma con crescenti difficoltà economiche tali da
comprometterne le condizioni di vita, era un fenomeno debole,
appena percepito da alcuni Centri di Ascolto.
Nel giro di pochi anni è esploso in quel fenomeno complesso
ormai noto come “nuove povertà”.
Il “prodotto” dell’osservare sono documenti di tipo diverso:
sul tema specifico dell’immigrazione, la Caritas Italiana pubblica
ogni anno, insieme all’Ufficio Nazionale Migrantes, un Dossier
statistico sull’immigrazione (giunto quest’anno alla 17a edizione).
Si tratta di uno dei rapporti più completi sul fenomeno
immigrazione, apprezzato sia da Enti Istituzionali sia da tutti
coloro che sono in qualche modo interessati ad una maggiore
conoscenza.
Sul tema generale della povertà, sono pubblicati Dossier a
livello diocesano o regionale; in questo contesto la presenza degli
stranieri assume sempre di più rilevanza.
Agli inizi degli anni 2000 la percentuale di stranieri che si
rivolgeva ai Centri di Ascolto era circa del 40%, nel 2005 era del
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FRANCO CATANI
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70% a livello regionale, con valori che oscillano dal 45% di
Spezia al 78% di Alberga (al centro di una forte immigrazione
che ha come destinazione le coltivazioni in serra).
Genova è attorno al 75% (corrispondente ad oltre 3500
persone). Le nazioni di provenienza sono 78, anche se la prevalenza va all’America Latina, seguita dall’Europa dell’Est e dal
Nord Africa.
È interessante confrontare i bisogni degli stranieri con quelli
degli italiani, usando questi ultimi quasi come un ‘liquido di
contrasto’ per poter meglio cogliere la particolarità dei primi.
Se numericamente gli stranieri sono più degli italiani, i loro
problemi sono meno complessi, in quanto riconducibili ad una
necessità immediata e concreta (lavoro, casa, alimenti, medicine)
mentre per gli italiani i bisogni immediati, come la bolletta del gas
o l’affitto da pagare, rappresentano solo la punto dell’iceberg di
problemi più complessi.
Alla base di questa sostanziale differenza sta il percepimento
di se stessi: la persona straniera che ha lasciato la propria terra, i
propri affetti alla ricerca di un futuro migliore per se e per la
propria famiglia, ha messo in conto di dover affrontare problemi
economici, abitativi e lavorativi, ma fondamentalmente è più
forte in quanto protesa verso un futuro, nel quale ha investito
tutto.
Differente è spesso la condizione dei familiari “ricongiunti”
che sono meno preparati e motivati a sopportare disagi rispetto a
coloro che sono emigrati per primi.
La persona italiana è invece molto più insicura sul proprio
futuro: spesso percorre in senso inverso rispetto allo straniero il
cammino della propria condizione di vita, arrivando talvolta a
perdere quelle certezze, come la casa e il lavoro, che sono la base
per un’esistenza dignitosa.
Il disagio profondo investe spesso la sfera psicologica, familiare e richiede competenze specifiche non disponibili nei soli
Centri di Ascolto.
Problemi familiari, di salute, di indebitamento, di giustizia,
soprattutto di dipendenza, sono rilevati in misura molto inferiore
negli stranieri.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Occorre comunque considerare che nel colloquio al Centro
di Ascolto emergono soprattutto fatti riguardanti il periodo che la
persona ha trascorso in Italia, mentre poco o nulla si conosce del
periodo precedente.
4. GLI
INTERVENTI.
I dati più recenti dei Centri di Ascolto di Genova (ottobre
2007) mostrano una preoccupante crescita degli interventi a
favore della casa (affitti, mutui, bollette), passati dal 48.6 % del
2005 al 57.4 del 2006, al 66% del 2007, con una crescita di quasi
18 punti percentuali.
Da quanto detto in precedenza, chi vive di più la fatica di
pagare un affitto o un mutuo sono proprio gli stranieri, molti dei
quali hanno un reddito modesto e incerto, a fronte di affitti
spesso sproporzionati rispetto alle condizioni dell’immobile.
Negli anni passati la difficoltà di trovare una casa ad un
canone ragionevole ha indotto molti stranieri ad acquistare la
casa accendendo un mutuo, in buona parte a tasso variabile. pur
in assenza di capitali propri e con un lavoro a rischio.
Con la crescita dei tassi di interesse questi mutui si sono
rivelati da un lato una trappola per chi li ha accesi, dall’altro una
fonte di perdita anche per gli stessi Istituti di credito, in quanto
il meccanismo della vendita coatta, soprattutto all’inizio del
periodo di restituzione, non copre quasi mai il capitale investito.
Per chi perde la casa è stata avviata nel 2001 fa l’Iniziativa
Diocesana Giubilare per Senza Dimora, che mette a disposizione
un “alloggio ponte” per chi è sfrattato e ha diritto di avere un
alloggio di edilizia residenziale pubblica.
Questi alloggi, inizialmente tre, attualmente una decina,
hanno accolto in questi anni oltre trenta famiglie, che hanno
potuto usufruire di bi o trilocali arredati e dati in comodato con
il pagamento delle sole utenze, sino all’assegnazione della casa da
parte del Comune. Una fotografia degli attuali occupanti vede 5
famiglie straniere e 5 italiane.
Uno dei problemi più importanti degli immigrati è il pro-
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FRANCO CATANI
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blema del lavoro, sia per il sostentamento, sia per il mantenimento del permesso di soggiorno.
Recentemente è stato siglato con la Provincia di Genova un
accordo che vede i Centri di ascolto in funzione di facilitatori nei
confronti del Progetto “Match Famiglia” che associa nell’ambito
dei Centri per l’impiego la domanda e l’offerta nel campo dell’assistenza familiare.
5. LE
PROSPETTIVE.
In genere le persone che emigrano in Italia hanno un buon
livello scolastico, sono in sostanza le persone più forti, mentre le
più deboli rimangono nelle retrovie del paese di origine a prendersi cura della famiglia, sostenuti dalle rimesse di chi lavora nel
nostro Paese.
Anche se ogni migrante ha la propria storia, le proprie
aspettative, si possono riconoscere tuttavia alcuni modelli, in
prima approssimazione associabili alle nazioni di provenienza.
Ragionando in termini di Regione Liguria si può genericamente considerare una presenza più forte di immigrati provenienti dall’Est europeo per l’estremo ponente, dal Nord Africa e
dall’Est Europeo (Albania e Romania) per il Medio Ponente
(Albenga-Savona), una forte presenza latinoamericana a Genova
e assolutamente mista per il Levante.
I progetti migratori sono spesso pianificati dall’intera famiglia
che decide di far partire un proprio membro per costruire un
futuro migliore, talvolta sono una decisione personale.
La decisione di emigrare è comunque e sempre una decisione
drammatica.
A volte il progetto cambia nel tempo sia per le delusioni
incontrate rispetto alle proprie aspettative, sia per le mutate
condizioni del paese d’origine.
In Liguria è presente anche l’immigrazione “di ritorno”,
percepibile soprattutto nel corso della crisi economica argentina
di qualche anno fa, quando discendenti di italiani emigrati chiedevano di ritornare in Italia come cittadini italiani.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
La Caritas è stata più volte il primo punto di riferimento per
non facili ricerche delle proprie radici.
Riguardo al progetto migratorio, si possono grossolanamente
individuare tre modelli.
Il modello nordafricano: immigrazione prevalentemente maschile, facilmente reversibile, vista la facilità di collegamenti
soprattutto con Marocco e Tunisia. Anche se è raro il ricongiungimento familiare può accadere che al padre, migrante stagionale
da diversi anni, si affianchi il figlio adolescente, per poi sostituirlo.
Statica, o in calo, nella provincia di Genova, l’immigrazione
nord africana è tuttora rilevante nel medio ponente ligure.
Il modello sudamericano: il costo del viaggio sconsiglia sia la
stagionalità che la reversibilità nel breve termine.
Uno studio condotto in Ecuador ha rivelato come vi sia
diversità di comportamento se chi parte è l’uomo o la donna. Nel
primo caso la decisione è generalmente condivisa da tutta la
famiglia, mentre se è la donna a partire, il fatto viene talvolta
vissuto come un abbandono con conseguenti tensioni e risentimenti che si manifestano drammaticamente al ricongiungimento
familiare. A questo fenomeno si aggiunge spesso l’impreparazione dei giovani adolescenti (soprattutto ecuadoriani) al modello
di vita di una città come Genova, tanto differente dal modello
nordamericano, loro principale riferimento.
Dalle migranti sudamericane, in prevalenza donne, sono
ricercati, dopo breve tempo e non appena la situazione lavorativa
e abitativa lo consente, sia il ricongiungimento familiare (prima
con i figli che con il proprio marito) che l’integrazione attraverso
la scuola e i corsi di formazione.
ancora un fenomeno debole, ma crescente, il caso di donne
non più giovani, già nonne, che prendono la decisione di partire
per aiutare economicamente figli e nipoti.
Il modello est europeo.
diverso tra uomini e donne.
Le donne albanesi generalmente emigrano in seguito a ricongiungimento familiare, mentre emigrano per prime le donne
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FRANCO CATANI
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provenienti da Ucraina, Moldavia, Russia e Polonia, trovando
lavoro nel campo dell’assistenza familiare.
Il loro progetto migratorio è radicalmente differente da
quello delle donne sudamericane: hanno un’età superiore, un
titolo di studio medio-alto, spesso hanno competenze infermieristiche.
Rimangono in Italia il tempo necessario per sostenere la
propria famiglia nel paese d’origine, terminare gli studi dei figli,
iniziare una nuova attività. In genere non sono interessate al
ricongiungimento familiare né all’integrazione.
Spesso si verifica una specie di “staffetta”, per cui un’assistente familiare lascia temporaneamente il posto ad un’altra dello
stesso Paese, mentre la prima torna in famiglia.
6. I
SEGNALI DEBOLI.
Concludo questa carrellata, questo spaccato del mondo dell’immigrazione, cogliendo alcuni segnali deboli: i migranti anziani, i cinesi e il ritorno degli italiani ai lavori faticosi.
Nel primo caso si tratta in prevalenza di persone immigrate
da molti anni provenienti da Paesi il cui flusso migratorio si è
ridotto notevolmente (Cile, Eritrea, Argentina).
Si tratta di donne non particolarmente integrate oppure
integrate e successivamente cadute in stato di bisogno. L’indagine ha individuato una fascia consistente di persone straniere
nella fascia immediatamente precedente (45-55 anni), per cui è
ragionevole prevedere un numero crescente di persone straniere
non più in grado di lavorare, senza alcuna previdenza e con
accesso più difficile ai servizi sociali.
Per quanto concerne i cinesi, la cui presenza nei Centri di
Ascolto era inesistente fino al 2004, ultimamente vengono segnalate richieste di orientamento e non di sostegno economico e
materiale. confermando, almeno in questo senso, l’aspetto di
chiusura e autoprotezione tipico della comunità cinese.
Un ultimo segnale debole: il ritorno degli italiani ai “lavori
faticosi”. Dopo che, per anni, questi lavori, in primis l’assistenza
agli anziani, sono stati appannaggio di lavoratrici straniere, si
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
sono riscontrate poche ma significative richieste di donne, anche
non più giovani, che chiedono di poter fare lavori domestici o
assistenza anziani ad ore, soprattutto quando le assistenti “titolari” hanno il giorno di riposo e uomini, di diverse età, che
cercano lavoro nell’edilizia, nelle serre e nella ristorazione, disposti, pur di lavorare, a svolgere quelle mansioni più faticose e meno
qualificate, tradizionalmente meno appetite dagli italiani.
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LIA MASTROPAOLO
COUNSELLING, MEDIAZIONE
E LAVORO DI RETE CON I MIGRANTI
SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. Il caso di Amir. — 3. Il caso di Kubra. — 4.
Conclusioni sul lavoro con i migranti.
1. INTRODUZIONE.
La questione migrazione viene, in prima istanza, affrontata
dal punto di vista politico, normativo e sociale. Nella migliore
delle ipotesi ci troviamo di fronte ad un sistema legale che si pone
il problema, cerca di adeguarsi, trova modi per accettare, accogliere, tiene presente, tiene in conto, cerca di integrare, rende
giustizia. Viene individuata l’importanza di una legislazione capace di regolamentare i rapporti tra i soggetti coinvolti nel
processo, coloro che migrano e coloro che accolgono, riconoscendo i diritti e i doveri di entrambi.
La legge è deputata ad occuparsi di ingressi di stranieri, a
concedere permessi di soggiorno e agevolare ricongiungimenti
familiari, e a tutti i temi trattati dalle normative vigenti ( come
esposto dai relatori di questo convegno).
È da un’altra prospettiva, quella degli affetti, delle relazioni,
che ora vi propongo di osservare il “fenomeno migrazione”.
Vi racconto la mia esperienza di lavoro sulle relazioni, di
counselling e mediazione nel Servizio pubblico, prima in un
consultorio per la famiglia poi nel distretto del centro storico,
nell’angiporto di Genova caratterizzato dalla presenza di stranieri
provenienti da svariati Paesi.
Lavorare con migranti è lavorare con chi lascia casa-culturatradizione e va in un posto nuovo, così come gli italiani degli anni
30-50 che passavano dalla Sicilia al Nord o dalla Liguria in
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Argentina, quelli con le valigie con lo spago che andavano in
America con la nave.
Lavorare sul campo a diretto contatto con migranti è cercare
di parlare con loro, comprendere, farsi comprendere, rendere
loro comprensibili i percorsi a volte incomprensibili, in un
mondo dissonante dal loro, dove ad esempio non si può picchiare
un bambino, quando per loro picchiare è insegnare la regola
dell’adeguarsi, come in Marocco.
Le contraddizioni che vengono a galla sono di diverso tipo:
chi migra si porta dietro cultura, passato, affetti lasciati nel paese
d’origine con l’aspettativa di trovare una condizione di vita
migliore e approda in un mondo diverso, fatto di regole differenti, anche tacite, con cui deve confrontarsi; chi ospita invece, se
da un lato riconosce l’utilità e il vantaggio della loro presenza ad
esempio nella capacità di occuparsi con calore dei bisogni degli
anziani, dall’altro nutre pregiudizi e diffidenze nei confronti di
chi è “diverso”.
Lo scontro tra culture è uno scontro tra valori, miti, premesse, pregiudizi.
Anche all’interno dello stesso gruppo etnico di appartenenza
si può verificare uno scontro di cultura, di premesse e di valori:
a volte la prima generazione mantiene un atteggiamento più
conservativo delle tradizioni e del legame con il passato, la
seconda si integra e si adegua maggiormente, provocando una
frattura all’interno dello stesso gruppo etnico
Anche il professionista che lavora con migranti si trova in
questo ambito a confrontarsi con le proprie premesse e i propri
pregiudizi.
Infatti, il counsellor o il mediatore, entrando a contatto con
diverse culture, deve avere una predisposizione maggiore a mettere in discussione o a “non dare per scontato” che a certi
atteggiamenti corrispondano gli stessi valori, miti, pregiudizi
uguali per tutti. Il contesto condiviso porta a valutare i comportamenti secondo alcuni parametri, inadatti a spiegare i significati
del comportamento di una differente cultura.
Un flash esplicativo è quello del bambino africano appena
arrivato in Italia, inserito a scuola che quando và da solo in bagno
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LIA MASTROPAOLO
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si mette e urlare, a sbattere contro la porta, a fare rumori
fortissimi. Gli insegnanti interpretano questo comportamento
come sintomatico di un grave disagio mentale, mentre il mediatore culturale lo spiega come una trasposizione di quanto si fa
nella savana dove il rumore serve per allontanare gli animali.
Abbiamo pregiudizi che sono condivisi tra tutti gli appartenenti ad una stessa cultura e con cui abitualmente leggiamo la
realtà ma il confronto con altre culture necessariamente ci fa
prendere coscienza, oltre che dei nostri, anche dei pregiudizi
degli altri. I nativi di una qualunque cultura si rendono conto
della propria solo nel confronto con le altre. Spesso l’incontro
con culture differenti suscita due tipi di posizioni egualmente
rigide: nella prima “io, in base alla mia cultura, mi riconosco
come chi ha capito tutto mentre gli altri invece non capiscono
niente”, nella seconda “gli altri sono giusti, io con la mia cultura
non capisco niente”. Entrambe sottintendono l’attribuzione di
superiorità di una cultura sull’altra, impedendo la comprensione
e il confronto.
Solo assumendo una posizione di “contrattazione” si riconosce che esistono culture diverse, tutte rispettabili e ognuno valuta,
nel proprio modo di pensare, cosa è disposto a mettere a rischio
e cosa no (ad esempio nel caso degli integralisti islamici il
problema non è che sono islamici, ma è che sono integralisti e che
pertanto non intendono mettere in discussione niente). La contrattazione, come dice Pearce, si basa sul reciproco rispetto.
È per noi operatori che ci confrontiamo, senza a volte sapere
l’idioma con un linguaggio diverso, (problema risolvibile: è facile
trovare un mediatore culturale) ancora più difficile confrontarci
con un modo di pensare differente, capire i significati, che ci
spiegano il senso di un comportamento. Ad esempio quando, per
pagare il biglietto di ingresso nel paese ci si rivolge a gruppi
criminali e si è poi costretti a dedicarsi alla prostituzione per anni
per pagare il debito e, intanto, il confronto con l’altra cultura fa
cambiare il modo di pensare, si vuole conservare il vecchio e
adeguare il nuovo ma non si può sfuggire al raketting,-bisogna
stare alle regole, come è possibile ritrovare una propria dimensione in un paese che si cerca di condividere?
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
L’approccio sistemico sottolinea l’importanza del contesto
relazionale in cui si costruiscono i significati e le interazioni del
vivere insieme.
L’esperienza di lavoro che vi racconto tiene conto di diversi
obiettivi: affrontare i problemi comprendendo le dissonanze,
superare le incomprensioni, i pregiudizi socio culturali, entrare
nel modo di pensare dell’altro fuori dal pregiudizio e creare
relazioni in un adeguamento con il nuovo confronto.
La finalità del mio intervento è mostrare, attraverso alcuni
casi, come lavoro con culture diverse e quali sono gli elementi che
diventano significativi nell’incontro tra culture nel counselling e
nella mediazione.
2. IL
CASO DI
AMIR.
Amir è un bambino senegalese in carico ai Servizi da diversi
anni, conteso tra la madre e la famiglia affidataria. Il Servizio
affidatario riesce a seguire solo la famiglia affidataria, perdendo
invece la relazione con la madre naturale. Per questo motivo
finisce “nell’occhio del ciclone” come parte in causa, gli operatori
vengono infatti denunciati in Tribunale. I Giudici per definire
nella disputa della contesa “con chi delle due madri meglio sta il
bambino” incaricano tecnici, psicologi e psichiatri di parte, di
diverse strutture ospedaliere e territoriali assieme ai consulenti di
parte, i consulenti tecnici d’ufficio. È una disputa che vede
fazioni contro fazioni fatta di ricorsi, denunce, perizie portati
avanti da avvocati agguerriti. Il sistema che si struttura intorno al
problema comprende il tribunale, i servizi, gli avvocati, l’associazione senegalese, il volontariato, i medici, ecc. In un insieme di
fazioni contrapposte che “lottano” per portare la propria soluzione a “vincere” sulle altre.
L’incarico a questo punto viene dato al nostro servizio e come
prima cosa io e l’assistente sociale, rianalizziamo la situazione
tenendo conto di tutti i sistemi implicati per disinnescare il
meccanismo creatosi nel macrocontesto intorno al problema,
prima ancora di parlare con le parti in causa. Ho proposto di
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LIA MASTROPAOLO
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usare uno strumento che spesso uso in questi casi, cioè rompere
il contesto ormai pregiudicato.
Si era attivato un meccanismo sopra le parti così forte che
nulla avremmo potuto con le parti (famiglia naturale-famiglia
affidataria) finché non ci fossimo occupati dei sistemi che nel
tempo si erano aggiunti (servizi ospedali, associazioni di stranieri
ecc.).
Abbiamo cercato di individuare un nuovo contesto: quello
più ampio che si era andato strutturando: Tribunale, Servizi,
ambito legale e giudicante, consulenti del giudice, volontariato,
strutture che a diverso titolo si erano occupate della situazione.
In queste situazioni c’è sempre una rete che fa da sostegno
alle parti; per ristrutturarla vanno decostruite le connessioni e
ricostruiti nuovi punti nodali. Per poter cambiare le relazioni è
stato necessario che fossero messe in discussione le premesse.
Il lavoro di rete implica conseguire alcuni importanti obiettivi. Nei casi dei migranti, spesso deprivati dei vincoli sociali, con
una rete limitata, si tratta di ricostruire la rete sociale o di
potenziare quella già esistente, incrementando l’appoggio che la
rete stessa può offrire in situazioni di crisi, quando, ad esempio,
il sistema sembra aver perso il controllo e i professionisti cercano
di prevenire l’insorgenza di pesanti disagi.
Mi riferisco a Sluzki (1996) e al suo modello di rete per
osservare in modo non lineare, ma circolare non solo l’individuo
e la famiglia, ma anche il counsellor nella sua pratica professionale. La famiglia e l’individuo non si appoggiano solo sulle
proprie risorse interne ma esiste una stretta connessione tra il
sistema con gli altri sistemi più ampi con cui reciprocamente si
influenzano, sono in rapporto tra loro esattamente come “nodi di
una rete”. Ogni soggetto ha legami che non si limitano solo alla
famiglia nucleare o estesa e che rappresentano la rete sociale e
personale ma costituiscono una struttura intermedia tra il sistema
familiare e le altre strutture sociali più ampie. Quando parliamo
di “nodi della rete” ci riferiamo a piccole strutture che hanno una
loro coerenza interna e sono anche il nocciolo di una rete più
ampia: ad esempio il Tribunale fa parte di una rete se lo connettiamo a Servizi, Famiglie ecc. ma se lo osserviamo con la lente di
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
ingrandimento ne vediamo la struttura nel suo complesso composta da sezioni diverse, presidenti, giudici, avvocati, parti, minori ecc.
Le risorse della famiglia, interne ed esterne, sono strettamente legate tra loro. Al contrario, sono divise in maniera
artificiale dall’osservatore. Sarà l’osservatore che farà un taglio
arbitrario per definire quale è la rete dell’individuo e focalizzare
il lavoro creando un sistema più definito ed una rete più nitida.
Nel caso di Amir abbiamo fatto un taglio arbitrario definendo
un nuovo contesto e creando una rete più nitida invitando le
persone coinvolte (giudici, avvocati, servizi, presidenti di associazioni varie e le due famiglie, quella affidataria e quella naturale
accompagnata questa volta da un interprete). Sentivamo la necessità di dare un messaggio di neutralità: invitare un interprete
senegalese ha permesso di ricoinvolgere la madre. Attraverso il
racconto della nuova storia del problema e dei sistemi inclusi, il
Servizio ha trovato una nuova identità. (Introduciamo informazione e complessità nella rete che e’ diventata fondamentale nel
caso).
L’accettazione di questa cornice di collaborazione ha reso
possibile chiedere ad avvocati, tecnici, di ritirarsi sullo sfondo,
lasciando lo spazio al Servizio di lavorare sulle due famiglie; per
la buona riuscita dell’intervento era indispensabile che ci dessero
il permesso di lavorare sulle famiglie uscendo dal campo.
Definendo loro e la loro storia si definiva il servizio: la storia
che abbiamo raccontato è una storia diversa, con diversi personaggi e con una trama più complessa di quella che tutti si erano
raccontati fino ad allora. Da una visione che includeva solo due
famiglie in contrapposizione, si è passati ad una nuova trama, più
complessa e articolata, con molti personaggi in più. Riconnotiamo il nostro contesto come non giudicante non entrando in
merito alla disputa, in quanto il nostro lavoro iniziava da una
decisione del giudice che Amir stesse con la famiglia affidataria,
ma incontrasse la madre due volte alla settimana. Il nostro
compito era far sì che Amir stesse il meglio possibile con quattro
genitori. Questo diventava il filo conduttore comune. Facemmo
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concentrare l’attenzione di tutti i presenti su “il bene di Amir”,
un principio accettabile o per lo meno indiscutibile.
La presenza di tutti ci ha permesso di dimostrare che i sistemi
coinvolti erano in empasse e di mettere tutti sullo stesso piano in
quanto responsabili del bene del ragazzino. Su questo obiettivo
abbiamo chiesto loro e ottenuto una tregua delle ostilità per darci
il tempo di lavorare con le due famiglie assieme.
Così siamo riusciti a fare un intervento sulle due famiglie
mediando affinché Amir riconoscesse le sue origini, abitudini e
allo stesso tempo quanto appreso in Italia, integrando le diverse
culture.
3. IL
CASO DI
KUBRA.
Illustro ora un caso di lavoro con migranti che nasce come
intervento di counselling, successivamente trasformatosi in intervento di mediazione familiare.
Kubra è una giovane nigeriana, immigrata, clandestina, prostituta; Filiberto, europeo, quarant’anni, che dapprima la mette
sulla strada, poi, quando lei rimane incinta e decide di tenere il
bambino, lui, prima non vuole riconoscerlo, poi, spinto anche
dalla sua famiglia, comincia a pensare alla possibilità di una
paternità, ormai non più attesa, con il vantaggio secondario di
dare un nipotino alla nonna e alla sorella. Tuttavia Kubra e
Filiberto hanno un pessimo rapporto tra loro, litigano ferocemente fino a lanciarsi oggetti, tra loro non c’è una comprensione
nemmeno linguistica in quanto parlano due lingue differenti.
Il gruppo del volontariato degli immigrati, propone a Kubra un
escamotage: “non litigare con lui, fagli riconoscere il bambino a
tutti gli effetti, é meglio che sposi il padre del bambino, anche se
la coppia scoppia, così puoi ottenere il permesso di soggiorno”.
L’Assistente Sociale mi descrive così la donna: “sai le africane, … così lei è fiera, orgogliosa, … fanno di testa loro, portano
avanti la loro idea e non vedono il loro vantaggio; è testona,
litigiosa…”. Così l’Assistente Sociale confonde ed attribuisce
questi comportamenti alle caratteristiche di un popolo più che al
cattivo rapporto di coppia.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Nonostante i problemi della coppia, i sistemi coinvolti (volontariato, amici, comunità nigeriana, ecc.) spingono per un
matrimonio riparatore, anziché per una definizione delle parti. La
stessa Assistente Sociale, che riteneva la madre in grado di
occuparsi del figlio, collude con questa idea per timore che il
giudice possa levarle l’affidamento a causa di un suo pregiudizio
costruito su precedenti esperienze riguardo alle incapacità genitoriali delle donne nigeriane.
Il primo obiettivo è quello di evitare lo stato di adottabilità:
in quanto donna straniera senza fissa dimora e clandestina. Alla
nascita del bambino la conflittualità è sempre più accesa e
irrisolvibile e si ripercuote sul bambino che comincia a presentare
sintomi di malessere (non dorme e vomita): a questo punto
iniziano con me il percorso di counselling.
Dopo i primi incontri dall’analisi della loro relazione, alla
presenza di un mediatore culturale che permette un confronto sui
significati delle differenti culture; emerge che il rapporto di
Kubra e Filiberto è basato su incomprensioni, linguistiche (lei
parla inglese, lui francese), ma soprattutto relazionali-affettive
indecifrabili. Gli interessi sottostanti e non verbalizzati contribuiscono a strutturare una relazione costruita sulla menzogna e
altamente conflittuale, fino a sfociare in pesanti e reciproci agìti di
violenza fisica.
Il mio intervento ha lo scopo di “uscire dall’inganno” permettendo ad ognuno di definire la propria posizione: individuando e analizzando i diversi problemi emergono gli interessi
presenti in questa vicenda: l’interesse di lei è rappresentato dal
possibile riconoscimento del figlio da parte del padre che le
permette di non essere clandestina, l’interesse di lui è dato dal
riconoscersi come padre e dare un nipotino alla nonna. Questa
collusione di interessi non verbalizzati, sostenuta dai sistemi che
gravitavano intorno alla coppia, provocava una confusione di
fondo che teneva unita la coppia, ma creava al contempo liti
furiose esattamente come tra carcerati, che, pur non sopportandosi, non possono lasciare la cella.
Nell’aiutarli a chiarirsi e a definirsi, sono arrivati a capire le
loro posizioni, a comunicarsele e a separare il problema di Kubra
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LIA MASTROPAOLO
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del suo riconoscimento in Italia come madre del bambino e della
possibilità di fare richiesta di permesso di soggiorno (situazione
risolta grazie ad un decreto che tutela la madre straniera nonostante clandestina) dal problema di Filiberto che temeva, come
padre, di perdere il bambino, se la madre fosse scappata in
Nigeria.
È stato così possibile far emergere la distinzione di sé come
coppia e di sé come genitori, rassicurandoli che la convivenza
forzata non era la condizione imprescindibile per mantenere il
rapporto di ognuno di loro con il figlio.
In questo percorso, Kubra e Filiberto hanno avuto la possibilità di esplicitare sentimenti e convincimenti e sono riusciti a
confrontarsi sul reale desiderio di stare assieme e sulla possibilità
di occuparsi del figlio anche da separati, senza più picchiarsi.
Questo lavoro di counselling ha permesso loro di pensarsi
come persone capaci di scegliere in quanto individui, coppia,
genitori e sono giunti alla conclusione che, nella loro situazione,
era meglio occuparsi del bambino da separati.
A questo punto ha avuto inizio il percorso di mediazione,
hanno definito impegno e responsabilità sulle decisioni da prendere assieme sul figlio e hanno raggiunto accordi circa l’affidamento, la gestione che hanno poi presentato in Tribunale. Kubra
ha ottenuto il permesso di soggiorno ed entrambi hanno potuto
riconoscere e occuparsi del figlio.
Con questo caso voglio dimostrare quanto sia importante
sgombrare il campo dai sistemi che amplificano la conflittualità e
confondono le scelte, e come sia difficile ma possibile costruire
un contesto che permette alle persone di prendere decisioni
avendo presente tutti gli elementi per discernere.
Il percorso di counselling prima, di mediazione dopo, ha dato
la possibilità di dipanare la matassa e di superare la paura di un
Tribunale che giudica, che manda via i clandestini e di individuare un uso corretto della Questura, del Tribunale che dà
informazioni sulle leggi, aiuta, accompagna, rappresenta una
risorsa.
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98
4. CONCLUSIONI
IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
SUL LAVORO CON I MIGRANTI.
Nell’esperienza della migrazione, frequentemente accade che
l’individuo, sradicato dall’intreccio relazionale fatto di tradizioni
e solidarietà e costretto ad affrontare altri tipi di contesti, corra il
rischio di dover ridefinire anche la propria identità.
Punto nodale per una ridefinizione della propria identità è
rendere la comunicazione efficace affinché le persone possano
capirsi, comprendano i significati emotivi, affettivi, relazionali
che sottostanno le differenti culture. In questo senso è imprescindibile l’utilizzo di un mediatore culturale che non solo traduce la lingua, ma permette di spiegare e attribuire significato ai
sentimenti (rabbie, timori, delusioni, fallimenti) e di evidenziare
quali premesse, valori e miti sono il rifermento per quella determinata cultura.
Altro elemento importante è riconoscere e valutare gli altri
punti di vista, i punti di vista degli altri, “nodi” della rete in cui
ci si colloca per rendere la propria mappa il più possibile
condivisa per identificarsi in altri punti di vista. Si acquisisce così
la capacità di decodificare la comunicazione e di metacomunicare.
Nel lavoro con i migranti, come si è visto nel caso di Kubra
e Filiberto, l’esplicitazione dell’ipotesi basata su “interessi indicibili” ha permesso a tutti i membri di vedere le carte sul tavolo
da gioco: attraverso una destrutturazione ho costruito uno spazio
di rispetto reciproco dove i due invece di mentirsi sui motivi dello
stare assieme, hanno condiviso la necessità di lei per il riconoscimento (superamento situazione clandestina), sua di lui per avere
un figlio e dare la saltuaria presenza di un nipote in casa alla
propria madre e sorella.
Come in questo caso, costruire insieme (counsellor e clienti)
una chiave di lettura che spiega gli eventi, consente che l’“informazione” data sugli strumenti diventi utilizzabile: solo quando le
persone comprendono la situazione che si è creata, ed intravvedono una concreta possibilità di scelta, possono gestire le questioni pratiche.
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LIA MASTROPAOLO
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Solo nella chiarezza e nella trasparenza si possono decidere le
mosse.
Ma come si possono dare elementi di realtà così complessa a
uno straniero che non ha chiave di lettura della situazione?
Quanto specialmente con persone di cultura diversa (che non si
sanno muovere in un paese straniero) diventa manipolatorio
lasciare decidere senza dare gli elementi di conoscenza della
realtà, gli strumenti per scegliere, senza eliminare paure e pregiudizi come ad esempio sul Tribunale, chiarendo le possibilità a
loro disposizione.
Il sistema famiglia attinge alla propria rete interna ma nel
contatto coi servizi entra in un sistema più ampio che comprende
ulteriori risorse. Una caratteristica delle reti è che maggiore è il
numero dei ‘nodi’ e delle connessioni, maggiori sono le risorse
che la rete offre: quindi avere un grande numero di colleghi e
connessioni in un campo di lavoro apre grandi opportunità.
I professionisti lavorano spesso in contesti dove la collaborazione e la cooperazione risultano essenziali sia perché si occupano dello stesso caso da prospettive diverse, la coordinazione in
questi casi è una necessità per ottenere gli obiettivi che si
vogliono perseguire. Il contesto di collaborazione è un contesto,
come dice C. Lamas (Colleti y Linares, 1997) praticamente
universale: in queste situazioni diversi professionisti e tecnici è
bene che lavorino assieme in maniera coordinata sullo stesso
caso, fissando chiaramente quali sono le mete particolari e in che
modo possono trovare appoggio negli altri tecnici che stanno
lavorando nella stessa situazione. È importante, nel conseguire
questa finalità, avere chiari quali sono gli obiettivi degli altri
professionisti e offrire loro la collaborazione come risorsa per il
loro lavoro. Invece, nei contesti di collaborazione la relazione tra
i professionisti è simmetrica (come ad esempio quando sullo
stesso caso il servizio Materno Infantile si schiera a lato del figlio
e il SerT si schiera e fa gli interessi della madre tossicodipendente). Solo superando la simmetria tra Servizi, nel coordinamento e nel progetto comune si realizza un intervento efficace
per tutti. Il successo o l’insuccesso degli interventi deve essere
condiviso perché la responsabilità è della rete. In questi contesti
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100
IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
di lavoro la creazione di una rete tecnica di professionisti è
necessario che le informazioni circolino correttamente per gestire
le risorse nel modo migliore ed efficiente.
L’approccio sistemico è, per motivi epistemologici, confacente al lavoro coi migranti proprio per l’importanza che viene
data al contesto relazionale culturale e alla rete: si costruiscono i
significati e le interazioni del vivere insieme, salvaguardando il
bagaglio culturale e valorizzando le risorse del sistema. Il counsellor, il mediatore sistemico, nel costruire spazi di trasformazione, risulta coerente con una posizione etica obbligata e naturale che è parte integrante nella premessa epistemologica di
questo approccio.
BIBLIOGRAFIA
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servicios sociales ante la familia multiproblemática. La experiencia de
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SLUZKI, C.E. (1996), La red social: frontera de la práctica sistémica,
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SPECK R., ATTREAVE C. (1973), Redes Familiares, Amorrortu editorial,
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ANNA BANCHERO
GLI INTERVENTI SOCIALI E SOCIOSANITARI
A FAVORE DEGLI IMMIGRATI
NELLA REGIONE LIGURIA
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Immigrazione e welfare., — 3. Immigrazione e lavoro di
cura. — 4. Interventi sociali e sociosanitari a favore degli immigrati in Liguria.
1. PREMESSA.
L’immigrazione è spesso percepita, soprattutto nell’ultimo
decennio, come un problema da rimuovere più che una risorsa da
utilizzare. Nelle considerazioni che seguono, chi scrive intende
introdurre alcune riflessioni sul rapporto tra immigrazione e
welfare in Italia, valutando tale situazione non solo come un
nuova dimensione dello Stato Sociale a cui concorrono “positivamente” gli immigrati, ma anche i problemi “ sociali” che
emergono negli Stati che producono immigrazione, propugnando
azioni di cooperazione che possano produrre “in termini di
correttezza più che di beneficenza” benefici verso chi contribuisce ad elevare la risposta assistenziale italiana alle fasce fragili
(anziani, minori, disabili) e a chi si fa carico, nel sistema produttivo, di mansioni elementari, che ad oggi trovano difficilmente
riscontro ne mercato di lavoro italiano. Questo tipo di analisi è
stata effettuata anche per collocare in una contesto più generale
i provvedimenti e le azioni della Regione Liguria.
2. IMMIGRAZIONE
E WELFARE.
Il problema dell’immigrazione da tempo assume in Italia un
aspetto positivo, sia per l’apporto al sistema produttivo e occupazionale da parte degli immigrati sia per l’assunzione di “ruoli di
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
cura delle fragilità” da parte della mano d’opera straniera, particolarmente femminile.
Il nesso tra migrazioni, sviluppo del welfare esiste e diviene
quindi evidente come conseguenza della potente ondata migratoria destinata al settore della cura nei paesi occidentali. Ovviamente la mano d’opera che si sposta dai paesi in via di sviluppo,
se da un parte con le rimesse degli emigranti porta benessere,
dall’altra depaupera i paesi d’origine di forze produttive e fa
emergere le contraddizioni di povertà e di mancata assistenza,
fatto che impone sia ai paesi di emigrazione che a quelli di
immigrazione di trovare dei “correttivi” che rimuovano le criticità evidenziate.
Schematicamente possiamo sintetizzare lo stretto legame che
lega welfare e cooperazione tra gli Stati in almeno tre ordini di
motivi:
1. il flusso migratorio destinato al settore della cura risponde
a una domanda di welfare nei paesi di arrivo ma al tempo stesso
crea carenze di welfare nei paesi di origine. Poiché il livello di
benessere di un determinato paese è parte integrante del suo
sviluppo, una cooperazione che intenda sostenere un collegamento tra migrazione e sviluppo deve riconoscere l’importanza di
questa nuova dimensione connessa ai flussi miratori e definire
politiche tese a conseguire un controllo e una gestione del nesso
tra migrazione e dinamiche sociali nei paesi di origine;
2. la forte domanda di lavoro nel settore del welfare influenza
fortemente le dinamiche migratorie, determinando una nuova
relazione tra migrazione e sviluppo; è importante che gli enti
della cooperazione che intendono valorizzare il ruolo dei migranti per lo sviluppo locale comprendano il senso di tali trasformazioni e vi adattino le proprie politiche;
3. interventi mirati di governo e di cooperazione sono necessari anche in una ottica più sistemica, al fine di contribuire allo
sviluppo di circuiti integrati di welfare transnazionale che siano
sostenibili tanto nella prospettiva dei paesi emissari quanto di
quelli di destinazione In quest’ottica una corretta gestione dei
flussi migratori potrebbe contribuire ad una migliore erogazione
di welfare sia nei paesi di immigrazione che in quelli di emigra-
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ANNA BANCHERO
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zione, intrecciando le proprie risorse anche quelle di altri attori,
che possano migliorare proprio le condizioni dei paesi di emigrazione.
A questo fine non solo è necessario che la cooperazione allo
sviluppo continui a cercare una sempre migliore sinergia con le
politiche migratorie ma che essa cominci anche a confrontarsi
con la politica sociale tanto nei paesi di origine che di destinazione. La dimensione del welfare, infatti, si configura come una
sfera all’interno della quale operano attori e vengono promosse
politiche che possono fornire una base per ridefinire la forma e
gli ambiti di cooperazione per lo sviluppo nei paesi di origine.
Analizzando maggiormente il rapporto tra immigrazione e
welfare, vediamo che lo sviluppo dello “stato sociale”, come lo
conosciamo oggi, nasce all’interno di spazi nazionali, come soluzione a problemi di integrazione sociale, principalmente legati ai
processi di industrializzazione. Questo welfare negli ultimi anni è
entrato in crisi in quasi tutti i paesi occidentali, sotto la spinta di
fattori interni come l’invecchiamento della popolazione e la crisi
fiscale dello Stato, e di fattori internazionali, come la precarizzazione del mercato del lavoro, il passaggio al modello di produzione post-fordista, l’apertura dei mercati e l’intensificazione
della concorrenza su scala mondiale.
La crisi del welfare collegata alla rinuncia dalle professioni di
cura da parte della popolazione autoctona nei paesi occidentali,
ha generato una forte ondata di domanda sul mercato del lavoro
internazionale, e si è rivelata un potente fattore di attrazione di
nuovi flussi migratori. Il fenomeno è visibile in tutti i paesi ricchi,
ma è specialmente evidente in Europa meridionale, dove la
componente universalistica del welfare (quella che dovrebbe
soddisfare i bisogni di cura più concentrati nelle fasce deboli:
bambini e anziani) è sempre stata particolarmente debole o
lasciata al ruolo sociale della famiglia tradizionale e particolarmente della donna.
L’Italia di questi ultimi anni, è stata ed è un esempio clamoroso di questa internazionalizzazione spontanea e non regolata
dei meccanismi di welfare., La regolarizzazione del 2002 ha
rappresentato un grande punto di arrivo, largamente inatteso,
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
che ha innescato, a diversi livelli, una presa di coscienza faticosa,
ma ormai anche irreversibile: nel 2002, su 700.000 domande di
regolarizzazione ben 348.764 si riferivano al settore domestico.
La necessità strutturale di ricorso a manodopera straniera per
rispondere alle necessità di welfare della società italiana risulta
evidente anche dal decreto flussi del gennaio 2006, che per la
prima volta destina oltre la metà delle quote erogate a cittadini
extracomunitari per motivi di lavoro subordinato non stagionale
al lavorato domestico (45.000 in totale, contro i 15.000 dell’anno
precedente).
Fare una stima del numero dei lavoratori stranieri impiegati
in Italia in questo settore non è facile. Uno studio dell’INPS del
dicembre 2004 (Immigrazione e collaborazione domestica) stima
che sommando alle 137.000 colf straniere assicurate nel corso del
2002 le 348.764 domande di regolarizzazione nel settore domestico, si arriva a circa mezzo milione di addetti.
Al di là delle stime sulla presenza di lavoratori stranieri nel
settore della cura, ciò che è importante chiarire in questo contesto è che tale flusso non è destinato ad esaurirsi in breve tempo,
come si riteneva solo fino a pochi anni fa, ma diviene sempre più
una componente strutturale del nostro welfare, e come tale deve
essere gestita.
Circa i paesi di origine, si osserva che negli anni ‘80 ad
immigrare erano soprattutto le donne capoverdiane e quelle del
Corno d’Africa che venivano a prestare servizio presso le famiglie
italiane. Successivamente gli asiatici (filippini e cingalesi) hanno
occupato quote sempre più ampie di questo mercato. Dal 2002 si
sono affermati gli immigrati provenienti dall’Europa dell’Est, che
oggi superano il 54% dei lavoratori domestici extra Unione
Europea (Annuario statistico Istat 2007).
3. IMMIGRAZIONE
E LAVORO DI CURA.
I problemi dell’invecchiamento e della non autosufficienza,
mettono in crisi i servizi pubblici che trovano grosse difficoltà ad
offrire risposte personalizzate, di tipo continuativo, non legate ad
eventi eccezionali limitati nel tempo, a cui si aggiunge la facilità
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ANNA BANCHERO
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dell’accesso alla prestazione e l’ottenimento del servizio “a costo
ridotto”, in maniera tale che molta parte della popolazione si
rivolge, sempre più spesso, all’ottenimento di una risposta diretta
nell’ambito del mercato privato, alimentato da flussi di manodopera straniera.
In Europa si stima che sui 15-16 milioni di immigrati da paesi
terzi circa il 45% siano donne. Molte di loro lavorano, e l’occupazione principale che svolgono si colloca nell’ambito dei servizi
alle famiglie; come già evidenziato la “femminilizzazione” delle
migrazioni e la concentrazione di una quota consistente di stranieri nel settore domestico, stanno velocemente cambiando la
realtà dei flussi migratori.
Nel settore socio-sanitario, secondo stime Unioncamere sulle
assunzioni previste nel settore privato, la domanda di operatori
socio-sanitari nel 2006 avrebbe superato di 3 volte quella di
infermieri. Anche se non è ancora disponibile una rilevazione
censuaria, sappiamo anche che aumenta la forza di lavoro immigrata nelle cooperative sociali e dei servizi: i lavoratori stranieri
sono tra il 5% e il 10% nelle prime e intorno al 15% nelle
seconde (stime di Legacoop e Confcooperative 2006 (1).
Il settore che è cresciuto maggiormente è, tuttavia, senz’altro,
quello del lavoro domestico: +88,5% solo nei 4 anni tra il 2000
e il 2004 (dati INPS 2007). I lavoratori stranieri presenti in questo
settore, nello stesso lasso di tempo, sono cresciuti ad un ritmo
ancora più rapido: + 173,5% (passando, cioè, da 133.837 a
366.075 unità).
In Italia, secondo il Dossier della Caritas 2005, sono
2.300.000 gli anziani in Italia con disabilità lieve, e tra i 276.000
e i 414.000 quelli in gravi condizioni di disabilità. Un anziano
ultra75enne su 4 ricorre ad aiuto esterno, mentre il nostro sistema
sanitario riesce a raggiungere solo 1,5% degli anziani con più di
65 anni di età. Ancora nel Dossier Caritas, si evidenzia come l’età
media delle donne coinvolte nel settore domestico, sia più alta
rispetto a quella dei regolarizzati per lavoro subordinato (33,4
(1) P. BOCCAGNI, 2006, Economia sociale e integrazione degli immigrati in Italia:
un quadro d’insieme, in Impresa Sociale, n. 2, anno 16, vol. 75.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
anni anziché 28,9). Nell’ambito dell’assistenza a malati e anziani
l’età cresce ancora arrivando a una media di 38,3 anni. È anche
interessante notare come per alcune comunità, come ad esempio
quella ucraina, l’età sia ancora superiore alla media (40,9 anni per
le lavoratrici nel settore domestico e 43,4 nel settore della cura
agli anziani).
Le nuove dinamiche connesse alle migrazioni femminili di
cura sono state scarsamente considerate, sia nell’ambito delle
politiche migratorie che di quelle di cooperazione allo sviluppo.
Un esempio di quanto affermato, è costituito dalla legislazione
italiana che, legando la possibilità di ingresso alla chiamata
nominativa e al sistema delle quote, risulta largamente inefficace
nel regolare il flusso di lavoratrici di cura la cui assunzione
risponde a criteri di urgenza e richiede un rapporto personale con
il datore di lavoro, senza che vi siano collegamenti “istituzionali”
con i paesi di origine delle cosi dette “badanti” (meglio definite
nelle legislazioni regionali “assistenti familiari”).
Anche molti progetti di cooperazione allo sviluppo che negli
ultimi anni hanno puntato a rafforzare il legame tra migrazione e
sviluppo, sembrano essere partiti dall’idea del giovane maschio
che sceglie di lavorare nel settore produttivo del paese di arrivo
per un periodo possibilmente limitato, e, una volta accumulate le
risorse necessarie, tende a tornare al proprio paese di origine.
Pertanto, progetti tesi all’attivazione di circuiti economici transnazionali, alla valorizzazione delle rimesse individuali e collettive
per lo sviluppo locale, hanno finito poi col privilegiare necessariamente una fascia di popolazione straniera composta da giovani
uomini, bene inseriti nella comunità di appartenenza e in quella
di arrivo, capaci di acquisire capitali, competenze e contatti nel
settore produttivo dei paesi di arrivo e intenzionati a spendere le
risorse acquisite nel settore produttivo dei paesi di origine.
Politiche di questo tipo, dovranno essere adeguatamente
ridefinite, perché sono del tutto inadeguate a valorizzare ai fini
dello sviluppo locale, le nuove migrazioni di cura, prevalentemente di carattere femminile. La nuova realtà migratoria impone
infatti un ripensamento del nesso tra migrazione e sviluppo, sulla
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ANNA BANCHERO
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base del quale vanno reindirizzate e le strategie di cooperazione
allo sviluppo e riconfigurati i ruoli di genere.
La letteratura gender oriented ha messo in luce come il fattore
di genere influenzi potentemente, in senso positivo e negativo, il
percorso migratorio e la ricaduta delle migrazioni tanto sulle
persone che sui contesti locali. utile ricordare che per molte
lavoratrici straniere l’emigrazione costituisce uno strumento di
emancipazione sociale e di riscatto economico attraverso cui
avviare processi di empowerment difficilmente realizzabili nei
contesti di origine e alla rinegoziazione delle relazioni all’interno
del nucleo familiare.
Diverse ricerche mostrano come le donne attraverso l’emigrazione riescono a sottrarsi a matrimoni infelici, a condizioni di
vita inaccettabili e, spesso, tornando in patria, riescono a vivere il
proprio riscatto sociale senza incorrere in eccessivi problemi. Gli
studiosi (Ambrosini e altri) evidenziano come l’emigrazione femminile non solo abbia una ricaduta positiva sulle dirette protagoniste dei flussi migratori ma spesso comporti una ricaduta
anche sulla comunità di origine.
Studi empirici hanno dimostrato come spesso le donne più
degli uomini sviluppino una responsabilità sociale nei confronti
della famiglia o della comunità di appartenenza, privilegiando
una logica tesa al risparmio e alla collettivizzazione dei benefici
derivanti dall’aumentato capitale a disposizione, rispetto ad una
gestione del denaro potenzialmente più individualistica come
potrebbe evidenziarsi nell’universo maschile.
Nell’ambito di tale dinamica è possibile che le rimesse femminili, più di quelle maschili, siano tese a soddisfare le esigenze
socio-sanitarie della famiglia (spese per istruzione, sanità, assicurazioni e, in generale, siano utilizzate per il benessere domestico);
questo, a lungo termine, si può rivelare una base per il più
complessivo sviluppo del paese di origine.
Proprio in virtù degli stretti legami che nutrono con la
famiglia e il collettivo di origine, le donne tendono a sviluppare,
inoltre, una particolare tendenza a mantenere legami transnazionali con la terra di origine, e anche questo, può rivelarsi un fattore
di sviluppo, infatti sono proprio le madri con figli nel paese di
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
origine che hanno indotto gli studiosi a parlare di “famiglie
transnazionali” con riferimento agli sforzi dispiegati per mantenere o cercare di mantenere i contatti con i diversi membri
dell’unità familiare, e specialmente con i figli, attraverso frequenti
viaggi e ricorrendo anche a svariati mezzi di comunicazione (dalle
lettere alle telefonate, ai messaggi di posta elettronica, etc.) in
modo da partecipare in qualche misura agli eventi familiari e alle
decisioni più importanti della famiglia.
Circa l’assorbimento della mano d’opera femminile, in Italia,
come negli altri paesi mediterranei, gli ambiti occupazionali
accessibili si limitano, quasi esclusivamente, al lavoro domesticoassistenziale, con qualche estensione verso imprese di pulizia, al
settore alberghiero e simili. Tutto ciò, naturalmente, limita non
solo la possibilità di aumentare il proprio bagaglio di competenze
e esperienze professionali, ma immobilizza le donne in un settore
che difficilmente, contribuisce ad una formazione che può essere
utilizzata nel paese di origine.
Le considerazioni evidenziate, portano a sottolineare che una
corretta ed efficace politica di sviluppo per i paesi che producono
emigrazione, deve tenere presente che per promuovere una reale
integrazione sociale criteri delle popolazioni femminili migranti,
sarebbe utile organizzare progetti di sviluppo nella scuola e nei
servizi nei paesi che producono immigrazione procedendo anche
ad una specifica formazione per il “lavoro di cura familiare”,
qualificazione che va poi consolidata in Italia, dando modo a chi
ne ha volontà e competenze anche di acquisire “formazione
superiore” da spendere nel paese di origine.
Infine, un ulteriore problema più volte espresso dalle donne
immigrate, è quello della gestione e del controllo a distanza il
denaro inviato in patria: difficoltà che secondo molte di loro
diminuisce l’efficacia del proprio progetto migratorio e si rivela
anche elemento di grande frustrazione. Da qui, la necessità di
azioni una cooperazione allo sviluppo che intenda valorizzare i
migranti come agenti di sviluppo locale, dovrà dunque tenere
conto di queste differenze di genere, rafforzando gli elementi
positivi legati alla femminilizzazione dei processi migratori, ma
anche considerando le particolari difficoltà che le donne incon-
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ANNA BANCHERO
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trano ad acquisire risorse che possono essere spese a livello
transnazionale.
Prima di entrare nelle misure della regione Liguria, va detto,
in conclusione alle considerazioni evidenziate, che governo nazionale ed enti locali hanno cominciato agli inizi degli anni 2000
a promuovere politiche tese a regolare, orientare e controllare il
mercato del lavoro di cura. Uno degli aspetti più importanti è il
contratto nazionale per le “badanti” approvato nel febbraio 2007,
anche il recente disegno di legge sulla non autosufficienza (settembre 2007 su proposta dei Ministri Ferrero e Turco), va
nell’ordine di valorizzare il lavoro informale di cura, così come
l’intesa del settembre 2007 (prorogabile anche per il 2008 e
2009), tra Governo, Regioni ed Enti locali, su proposta del
Ministero per la Famiglia, per dare avvio a per progetti di
sostegno delle famiglie che assumono badanti straniere e per
azioni di formazione delle stesse anche da condurre nei paesi di
origine, sono i primi tasselli di un mosaico che va nella direzione
dello sviluppo organizzativo di un lavoro di cura con positive
ripercussioni anche nei paesi di origine delle lavoratrici.
A questo, vanno aggiunte anche iniziative ed azioni, collegate
al “mercato sociale” che tendono a favorire l’emersione dei
lavoratori domestici e di cura, al miglioramento delle condizioni
lavorative in cui versano e alla qualificazione dei servizi da loro
erogati; si tratta di iniziative legate alla legge 328/2000, che
disciplina i titoli di acquisto dei servizi, tradotti dalle diverse
regioni (Emilia, Liguria, Lombardia, Marche, Umbria, Toscana,
Puglia, etc.) in “assegni servizio” o “voucher” che prevedono
l’assegnazione di sostegni economici alle famiglie che usano
lavoratori domestici, per assistere non autosufficienti e disabili,
purché provvedano alla loro regolarizzazione contributiva.
4. INTERVENTI
LIGURIA.
SOCIALI E SOCIOSANITARI A FAVORE DEGLI IMMIGRATI IN
La Regione Liguria, a partire dalla legge 12/2006 “Promozione del sistema integrato di servizi sociali e sociosanitari”, ha
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
sistematizzato in Leggi e Piani gli interventi e le azioni a favore
delle popolazioni immigrate.
Va detto innanzi tutto che proprio la legge regionale 12/06,
ha sancito per gli immigrati la totale uguaglianza ai cittadini
liguri, per l’accesso alla rete sociosanitaria. Questo ha fatto si che
il Piano Sociale Integrato Regionale 2007/2010, preveda sia
azioni a carattere generale che favoriscono l’inclusione sociale,
che azioni specifiche di seguito riassunte, che vanno nella direzione di rispondere ai specifici problemi degli immigrati.
Le politiche regionali richiedono infatti ai Distretti Sociosanitari di favorire processi di stabilizzazione sui territori delle
popolazioni migranti, in termini di:
— accoglienza
— sostegno all’alloggio
— accesso ai servizi
— diritti di cittadinanza.
All’interno di queste macroaree, a partire dalle indicazioni
del T.U 286/98, come modificato dalla legge 189/2002, sono
definiti alcuni ambiti prioritari di intervento sui quali concentrare
l’attenzione dei Distretti:
— garanzia di sostanziale parità di accesso e di trattamento
relativamente ai diritti civili e sociali per la popolazione di origine
straniera (assistenza sanitaria, alloggio, istruzione, formazione e
lavoro), eliminando forme di discriminazione e razzismo;
— favorire nel contesto territoriale di appartenenza, il reciproco riconoscimento della cultura, della religione e della lingua;
— garanzia di forme di tutela dei diritti con riferimento a
particolari situazioni di vulnerabilità, anche per ovviare a forme
di devianza e disadattamento (donne, minori, minori non accompagnati, vittime di tortura, vittime della tratta, richiedenti asilo,
rifugiati e profughi, irregolari, persone con particolari problemi
di salute, disoccupati con particolari problemi di reinserimento
nel mercato del lavoro, anziani, ecc.);
— contribuzione alle spese per consentire il rimpatrio delle
salme dei cittadini extracomunitari indigenti, deceduti nel territorio regionale.
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ANNA BANCHERO
111
Alla legge 12/06, ha fatto seguito la legge regionale 7/2007
“Accoglienza e integrazione degli immigrati”. Con queste norme la
Regione, persegue la finalità di integrazione sociale delle cittadine
e dei cittadini non comunitari, operando per l’affermazione e la
difesa dei diritti fondamentali della persona umana, per l’attuazione dei principi costituzionali e per rendere effettivo l’esercizio
dei diritti di pari opportunità e di parità di genere.
Le finalità della legge sono perseguite attraverso il monitoraggio del fenomeno migratorio e l’esercizio delle funzioni di
programmazione, coordinamento e valutazione degli interventi.
In questo contesto Province e Comuni promuovono e attuano
interventi diretti a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono
il pieno riconoscimento dei diritti dei cittadini stranieri immigrati, con particolare riferimento a:
a) eliminare ogni forma di razzismo o di discriminazione;
b) valorizzare la consapevolezza dei diritti e dei doveri
connessi alla condizione di cittadino straniero immigrato, come
disciplinata dalle convenzioni internazionali in materia di diritti
dell’uomo, dall’ordinamento europeo ed italiano;
c) favorire la formazione e la riqualificazione professionale
e promuovere il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze, dei saperi e delle esperienze formative acquisite nei Paesi
di provenienza o comunque all’estero;
d) favorire l’accesso all’alloggio, particolarmente per le
famiglie numerose;
e) assicurare pari valore e pari condizioni al genere femminile;
f) garantire la tutela dei minori stranieri, con particolare
attenzione per quelli non accompagnati;
g) favorire la comunicazione e la reciproca conoscenza tra
cittadini stranieri immigrati ed italiani, singoli od associati, e il
reciproco riconoscimento e la valorizzazione delle identità culturali, religiose e linguistiche;
h) promuovere la partecipazione alla vita pubblica locale,
con particolare attenzione all’equilibrio di genere ed alle aree di
provenienza;
i) acquisire la conoscenza sul fenomeno migratorio prove-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
niente da Stati non appartenenti all’Unione Europea, anche ai fini
dell’inserimento nel mercato del lavoro;
j) contrastare i fenomeni che comportano per i cittadini
stranieri immigrati situazioni di violenza o di grave sfruttamento;
k) favorire l’associazionismo diffuso tra le comunità migranti.
Infine, la l.r. 7/07, all’articolo 7, istituisce la Consulta Regionale per l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati, con il
compito di formulare proposte e pareri in merito a studi e
approfondimenti, problematiche, interventi e iniziative di settore
afferenti alle aree tematiche che interessano l’immigrazione.
Alla legge segue un Piano Triennale, che dovrà orientare la
programmazione regionale nei singoli settori, affinché siano migliorate le condizioni degli immigrati e che dovrà costituire anche
punto di riferimento alle strategie degli Enti locali.
Tutti siamo a conoscenze dei problemi di salute che gli
immigrati debbono affrontare anche per i cambiamenti ambientali e di stile di vita a cui sono andati incontro; in materia di
assistenza sanitaria la Regione:
— promuove con le Aziende Sanitarie, tutte le azioni necessarie per favorire l’accesso dei cittadini stranieri immigrati, presenti sul territorio regionale, ai servizi sanitari
— assicura le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o
essenziali agli stranieri, anche non in regola con le normative
relative all’ingresso ed al soggiorno
— assicura ai minori extracomunitari in “vacanze terapeutica”, l’iscrizione al servizio sanitario regionale per la durata del
permesso di soggiorno.
Come si può rilevare, interventi ed azioni promosse dalla
Regione Liguria appaiono piuttosto funzionali alle finalità d’integrazione; del resto, al paragrafo 2, si è anche sottolineata la
funzione della Liguria a favore dell’emersione del “lavoro nero”.
Certamente, però, non ci illudiamo che i problemi dell’immigrazione siano risolti. È già stato ricordato in precedenza, quali siano
le condizioni di debolezza degli immigrati, quindi certo non sono
sufficienti norme che migliorino il loro soggiorno in una o
nell’altra regione, ma, come si è detto nella prima parte di queste
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ANNA BANCHERO
113
considerazioni, nel momento in cui il welfare italiano poggia in
modo strutturale sul contributo della manodopera straniera,
questo assunto non può essere considerato come un riconoscimento a sé stante, ma al contrario, è necessario che sia affronti in
modo organico e corretto, il problema dei flussi migratori e il loro
impatto sui paesi di origine.
Va tenuto presente in tal senso, l’obiettivo di politiche di
welfare transnazionali, superando la compartimentazione delle
politiche esistenti, aumentando il dialogo e l’attenzione all’impatto reciproco delle scelte, in ambito locale, nazionale e internazionale. Questa ricerca di sinergia non deve limitarsi alle
politiche, ma deve puntare anche alla maggiore integrazione delle
fonti di finanziamento, allo sviluppo della cooperazione verso i
paesi terzi, che ci forniscono mano d’opera. In questi termini va
monitorata anche la trasnazionalizzazione della famiglia, con una
particolare protezione che deve essere assegnata alla sempre più
consistente quota di giovani, che emigrano per motivi di studio e
di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
AMBROSIANI M., Dentro il welfare invisibile: aiutanti domiciliari immigrate e assistenza agli anziani in ‘Studi Emigrazione’, n. 159, settembre 2005.
COLOMBO A., Il mito del lavoro domestico: struttura e cambiamenti in
Italia (1970-2003), in ‘Polis’, XIX, 3, dicembre 2005.
MONITOR BIOMEDICO 2006, Il valore della prossimità nella sanità del
futuro, Roma, 21 febbraio 2006.
PASTORE F., PIPERNO F., Welfare transnazionale. Un ambito strategico di
intervento per la cooperazione decentrata?, discussion paper febbraio 2006.
QUINTAVALLA E. (a cura di), Il sostegno al lavoro di cura delle donne
immigrate, inserto di ‘Animazione Sociale’, 4/2005.
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ANGELA TESTI - ENRICO IVALDI
L’ESERCIZIO DEL DIRITTO
ALLA TUTELA DELLA SALUTE: ACCESSO
DEGLI IMMIGRATI AI SERVIZI SANITARI
IN REGIONE LIGURIA
SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. Breve richiamo alla normativa. — 3. L’utilizzo dei
servizi sanitari: confronto tra immigrati e residenti. — 4. Discussione.
1. INTRODUZIONE.
Il sistema sanitario nazionale italiano garantisce a ogni cittadino un insieme di prestazioni sanitarie, i livelli essenziali di
assistenza (LEA) in funzione unicamente dello stato di-bisogno
e non di altre condizioni, quali età, reddito, condizioni socioeconomiche, capacità di pagare. A questa universalità dell’accesso si
accompagna il principio della solidarietà nel finanziamento che
consiste nel prevedere che il pagamento delle prestazioni ottenute avvenga attraverso la fiscalità generale e quindi in modo
totalmente indipendente dallo stato di bisogno. Le prestazioni
sanitarie garantite sono i cosiddetti LEA, Livelli Essenziali di
Assistenza, fissati a livello nazionale, monitorati e aggiornati
periodicamente. Si tratta di un pacchetto di prestazioni che
coprono quasi tutti i bisogni sanitari del cittadino nel corso della
sua vita, coprendo sia gli aspetti di prevenzione, sia quelli di cura
vera e propria a livello territoriale (come per esempio le prestazioni di medicina generale e di assistenza domiciliare), e a
livello ospedaliero (come i ricoveri, le emergenze, le prestazioni
diagnostiche ed ambulatoriali). Per garantire le risorse necessarie
al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza in modo
uniforme sul territorio nazionale le Regioni ricevono la cosid-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
detta “quota capitaria”, ossia un finanziamento per abitante che
dovrebbe coprire l’erogazione dei servizi garantiti dal servizio
sanitario.
I livelli essenziali di assistenza, secondo la legislazione italiana, sono garantiti sulla base degli stessi principi di universalismo e solidarietà, anche a coloro che non hanno la cittadinanza
italiana. Il numero di coloro che non hanno la cittadinanza
italiana, ma risiedono e lavorano nel nostro Paese rappresenta
una quota crescente della popolazione complessiva, che ammonta, secondo recenti stime, a circa 3 milioni di immigrati
regolari, ossia a circa il 5% della popolazione (Caritas, 2006). A
questi devono essere aggiunti gli immigrati irregolari, la cui
consistenza è difficile da stimare perché non esistono al momento
fonti affidabili che possano aiutare a quantificare il fenomeno con
l’eccezione di quote limitate di popolazione riferite ai minori
(Ammendola, ed altri, 2005). Per stimare il numero degli immigrati irregolari presenti si utilizzano al momento due metodi,
collegandoli rispettivamente, a coloro che nello stesso periodo
hanno ottenuto il visto di ingresso (Donia Sofio et al, 2005),
oppure alle presenze regolari (Caritas, 2006). In entrambi i casi le
stime sono sostanzialmente simili e indicano che nel 2005 gli
immigrati irregolari in Italia fossero circa 500.000.
Il numero rilevante degli immigrati, regolari e irregolari, pone
il sistema sanitario di fronte a una nuova sfida per assicurare
uniformità di trattamento nell’esercizio del diritto alla tutela della
salute e il corrispondente finanziamento. Dopo aver brevemente
esaminato le fonti normative del diritto alla tutela delle salute per
gli immigrati si confrontano le prestazioni sanitarie erogate agli
immigrati in Regione Liguria nel 2005 con quelle utilizzate nello
stesso periodo dai cittadini. Lo scopo è verificare se esistono
differenze nell’accesso ai servizi sanitari da parte degli immigrati
e quali siano le eventuali cause impedienti.
2. BREVE
RICHIAMO ALLA NORMATIVA.
Prima di analizzare i dati, si ricordano sinteticamente le fonti
normative e il contenuto del diritto alla tutela della salute rico-
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ENRICO IVALDI
117
nosciuto agli immigrati, ossia quali siano le prestazioni che cui
hanno diritto, chi paga tali prestazioni e chi finanzia le strutture
che le erogano.
L’assistenza alle persone straniere presenti sul territorio nazionale italiano è regolamentata dalla legge n. 40 del 6 marzo
1998 confluita successivamente nel d.l. 286 del 25 luglio 1998
“Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che costituisce il principale riferimento in materia. I principi e le disposizioni contenuti nel Testo unico sono stati ulteriormente ribaditi
e chiariti con l’emanazione del d.P.R. n. 394 del 31 agosto 1999
“Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286” e con la Circolare del
Ministro della Salute n. 5 del 24 marzo 2000, Indicazioni applicative del decreto legislativo 25.7.1998, n. 286, “Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero — disposizioni in materia di
assistenza sanitaria” del Ministero della Salute.
Le disposizioni di legge ricordate sono tese a garantire,
seppur con intensità diversa a seconda delle varie situazioni,
l’assistenza a tutti i soggetti che si trovano sul territorio nazionale.
In particolare la normativa opera una prima distinzione tra
stranieri iscritti e stranieri non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale. L’iscrizione, a sua volta, può essere obbligatoria o volontaria; una volta iscritti al SSN, temporaneamente o definitivamente, gli stranieri sono del tutto equiparati ai cittadini italiani ai
fini dell’erogazione delle prestazioni ed al finanziamento delle
medesime e, pertanto, beneficiano degli stessi diritti. In entrambi
i casi, l’iscrizione avviene a seguito dell’esibizione all’ASL competente del regolare permesso di soggiorno ed è valida per tutta
la durata dello stesso. Peraltro non sono tenuti al pagamento
delle prestazioni sanitarie ricevute i soggetti muniti di modelli
attestanti il diritto all’assistenza sanitaria, in base a trattati e
accordi internazionali bilaterali o multilaterali di reciprocità sot-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
toscritti dall’Italia con alcuni Paesi (1). I cittadini di tale provenienza potranno usufruire dell’assistenza gratuita, ferme restando
le quote di partecipazione alla spesa, dietro presentazione del
relativo modello che ne attesti il diritto. (Donia Sofio et al., 2005).
Per quanto riguarda, invece, gli stranieri non in regola con le
norme relative all’ingresso e al soggiorno in Italia (art 35 del
T.U.), posto che in ogni caso l’accesso alle strutture sanitarie da
parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno
non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo
i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con
il cittadino italiano, sono comunque garantite, presso presidi
pubblici o accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti
o essenziali (2), ancorché continuative, per malattia e infortunio
e siano estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia
della salute individuale e collettiva. In particolare, si pone l’accento sulla tutela della gravidanza e della maternità, sulla tutela
della salute del minore, sulle vaccinazioni, sugli interventi di
profilassi internazionale, sulla diagnosi e cura delle malattie
infettive.
In sede di prima erogazione dell’assistenza, la prescrizione e
la registrazione delle prestazioni a favore degli stranieri irregolari
e di quelli regolari ma non iscritti al SSN vengono effettuate
assegnando un codice regionale a sigla STP (Straniero Temporaneamente Presente), che ha validità semestrale ed è rinnovabile
in caso di permanenza dello straniero sul territorio nazionale.
Si tratta di un codice identificativo composto dalla dicitura
STP, dal codice ISTAT relativo alla struttura sanitaria pubblica
che lo rilascia e da un numero progressivo attribuito al momento
del rilascio. Tale codice deve essere utilizzato per la prescrizione,
(1) Si tratta di: Australia, Tunisia, Argentina, Brasile, San Marino, Capo Verde,
Principato di Monaco, Croazia, Slovenia, Jugoslavia, Macedonia, Bosnia Erzegovina,
Svizzera e quelli appartenenti all’Unione Europea.
(2) Per “urgenti” si intendono cure che non possono essere differite senza
pericolo per la vita o danno per la salute della persona, mentre per “essenziali” si
intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non
pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita.
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ENRICO IVALDI
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su ricettario regionale, di farmaci erogabili, a parità di condizioni
di partecipazione alla spesa con i cittadini italiani, da parte delle
farmacie convenzionate.
Lo stato di indigenza del soggetto viene attestato dal paziente
stesso al momento dell’assegnazione del codice STP, mediante la
sottoscrizione di una dichiarazione, anch’essa valevole sei mesi.
Gli oneri relativi delle prestazioni sanitarie sono a carico dell’ASL
nel cui territorio vengono assistiti, anche se le prestazioni sono
erogate da altre aziende ospedaliere, da Istituti di ricerca e cura
a carattere scientifico e da altri presidi accreditati.
Le risorse pubbliche destinate ai servizi sanitari per gli stranieri
irregolari non sono comprese nella quota capitaria, ma derivano da
due fonti di finanziamento specifiche. La prima, a valere sul Fondo
Sanitario Nazionale, deriva da una delibera CIPE (legge 40/1998,
art. 33) e viene erogata annualmente, sulla base di un duplice criterio, basato sulle istanze di regolarizzazione presentate e sul numero dei ricoveri per gravidanza, parto e puerperio effettuati. Costituisce una quota a disposizione delle regioni vincolata a tale
scopo e deriva dalla ripartizione della somma stabilita annualmente
a livello centrale e rientra nella categoria di obiettivi che per legge
vanno finanziati tramite FSN. È destinata a finanziare le spese derivanti dall’erogazione di prestazioni ospedaliere ambulatoriali o di
ricovero rivolte: i) alla tutela della gravidanza e della maternità; ii)
alla salute dei minori; iii) agli interventi di profilassi internazionale;
iv) alla cura delle malattie infettive.
La seconda fonte di finanziamento è fornita dal Ministero
dell’Interno (D.Lgs. n. 286/98 art. 35) a posteriori sulla base delle
prestazioni ospedaliere effettivamente prestate, su richiesta delle
singole aziende sanitarie. Le prestazioni ammesse al rimborso a
carico del Ministero dell’Interno sono quelle urgenti o comunque
essenziali, per malattia ed infortunio; quelle urgenti erogate per
mezzo del pronto soccorso e quelle essenziali, ancorché continuative, erogate in regime di ricovero o in via ambulatoriale. In
entrambi i casi la ASL dovrà richiedere alla propria Regione o al
Ministero (tramite le Prefetture) il rimborso di una prestazione,
urgente o essenziale, erogata ad un soggetto che viene identificato
mediante il codice regionale STP, con l’indicazione della dia-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
gnosi, dell’attestazione dell’urgenza o dell’essenzialità dell’intervento e della somma di cui si richiede il rimborso.
3. L’UTILIZZO
RESIDENTI.
DEI SERVIZI SANITARI: CONFRONTO TRA IMMIGRATI E
La Liguria è simile ad altre regioni italiane del nord per quanto
attiene la presenza di immigranti. Nel 2005, secondo le fonti ufficiali, il numero dei migranti regolarmente presenti in Liguria era
circa 66.000, rappresentanti il 4,14% della popolazione
(1.592.309) (www.istat.it), mentre la presenza illegale, stimata secondo le indicazioni riportate in precedenza, è di circa 12.000 individui.
Il gruppo degli immigrati, tuttavia, ha caratteristiche demografiche piuttosto diverse rispetto a quelle dei residenti e anche
rispetto alle altre regioni del Nord Italia a prevalenza maschile
(Scolari et al., 2002; Ammendola et al., 2005; Scarcella et al.,
2006). In Liguria, infatti, è la donna che apre la strada ad altri
membri di famiglia (Caritas, 2006), in conseguenza diretta della
età avanzata dei residenti che richiede una presenza voluminosa
di badanti. Come appare dalla Tabella 1, in Liguria, la popolazione straniera appare maggiormente rappresentata da donne di
età compresa tra 15 e 44 anni.
TABELLA 1 — Struttura demografica della popolazione: residenti e immigrati (Regione Liguria, 2005)
RESIDENTI
Pop totale*
1.592.309
REGOLARI
Pop totale*
65.922
IRREGOLARI
Pop totale**
12.000
Età
%M
%F
%M
%F
%M
%F
<5
6,0
5,7
8,6
8,0
7,0
7,6
15-44
18,3
17,9
29,9
34,9
31,3
42,2
45-64
13,0
14,1
6,8
8,4
5,5
5,3
>65
10,0
15,1
1,5
1,9
0,5
0,7
totale
47,3
52,7
46,7
53,3
44,2
55,8
* ISTAT; ** stima.
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ENRICO IVALDI
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I dati ufficiali disponibili sull’accesso ai servizi sanitari si
riferiscono esclusivamente alle prestazioni erogate dagli ospedali
e, in particolare, agli accessi ai servizi di emergenza, ai servizi
ambulatoriali per visite specialistiche e diagnostica e ai ricoveri
ospedalieri. Le elaborazioni contenute nelle Tabelle 2, 3, 4 si
basano sui dati ufficiali corrispondenti all’utilizzo di questi servizi
nelle strutture pubbliche della Regione Liguria nel 2005.
Le tre categorie di prestazioni sono state ulteriormente disaggregate. In particolare, le prestazioni di pronto soccorso sono
state suddivise per codice di urgenza, quelle ambulatoriali a
seconda della tipologia di analisi diagnostica richiesta e, infine, i
ricoveri secondo la classificazione ICD-9-CM. (Ministero della
Sanità, 2001) che si articola in un elenco sistematico di capitoli
con i codici delle patologie che hanno causato il ricovero.
In ciascuna tabella sono considerati tre gruppi di individui:
gli immigrati irregolari, gli immigrati regolari e i cittadini residenti. I dati riferiti agli immigrati regolari sono desunti dalle
stesse fonti informative dei residenti, mentre per gli immigrati
irregolari, l’unica fonte di dati sono le informazioni con il codice
STP, di cui si è parlato in precedenza.
I valori indicati nelle tabelle sono le percentuali sul totale di
prestazioni per colonna, ossia riferito allo stesso gruppo di popolazione. Tali percentuali permettono di ricavare informazioni
sulla rilevanza di quella tipologia di prestazione per quel gruppo
di individui rispetto al totale. Dalla tabella 2, per esempio, si può
osservare come sul totale degli accessi al pronto soccorso, nel
caso degli immigrati irregolari il 29% era un “codice bianco”,
ossia circa un accesso su tre avviene per motivi riconosciuti non
urgenti da parte dei sanitari.
Confrontando le percentuali per riga, si possono identificare
differenze di comportamento tra i tre gruppi di popolazione.
Sempre con riferimento alla Tabella 2, dalla prima riga risulta che
gli accessi inappropriati al pronto soccorso (codice bianco) dei
residenti sono percentualmente minori: meno di un accesso su
cinque (18%) risulta, infatti, classificato come codice bianco Per
valutare in modo rigoroso se le differenze riscontrate sono effettivamente significative dal punto di vista statistico, è stato calco-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
lato il test del Chi quadro: nelle tabelle un asterisco indica una
significatività al 99%, due asterischi una significatività al 95%),
mentre l’assenza di asterischi indica che le differenze non sono
significative.
TABELLA 2 — Utilizzazione delle strutture di Pronto Soccorso (2005,
Regione Liguria)
Codice
RESID.
IRREG.
REG.
Bianco
nessuna urgenza, tempo di
attesa indefinito
18,0%
29,0 %(*)
23,0%(*)
Verde
urgente, tempo di attesa
stimato, entro le due ore
67,0%
65,0 %(*)
69,0%(*)
Giallo
non c’è imminente pericolo di vita ma la situazione è grave; tempo di
non superiore a 10 minuti
13,5%
5,8 %(*)
7,0%(*)
Rosso
imminente pericolo di vita,
il pronto soccorso si ferma
e riceve immediatamente
l’utente
1,5%
0,2%(*)
1,0%(*)
100%
100%
100%
TABELLA 3 — Utilizzo di prestazioni ambulatoriali (2005, Regione Liguria)
RESIDENTI
IRREGOLARI
REGOLARI
laboratorio: chimica clinica
41,6%
40,6%
40,5%
visita generale e specialistiche
10,6%
17,4%(*)
16,6% (*)
laboratorio: trasfusionale
12,2%
14,6%
14,7%
laboratorio: microbiologia
3,3%
7,3%(*)
6,9%(*)
laboratorio: prelievi
6,8%
6,4%(*)
6,9%
radiologia
grafia)
4,0%
3,7%(**)
3,5%(**)
ecografie
1,7%
2,5%(*)
2,8%(*)
esami cardiologici
1,5%
1,2%(**)
1,1%(**)
interventi chirurgici
1,0%
1,1%
1,1%
riabilitazione fisica
5,3%
1,0%(*)
1,2%(*)
altre prestazioni
11,9%
4,4%
4,7%
100,0%
100,0%
100,0%
(trad,contrasto,tomo-
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ENRICO IVALDI
TABELLA 4 — Principali patologie per ricovero ospedaliero (Regione
Liguria, 2005)
ICD-9-CM
RESID.
IRREG.
REG.
0,9%
16,6%(*)
7,4% (*)
2,7
11,0%(*)
10,7(*)
634-639
gravidanza con esito abortivo
640-648
670-677
630-633
760-779
complicanze relative alla gravidanza, complicanze travaglio,
parto e periodo perinatale, complicazioni del puerperio
520-579
malattie dell’apparato digerente
8,7%
8,2%
9,0%
580-629
malattie dell’apparato genitourinario
7,4%
7,0%
7,2%
800-959
fratture, lussazioni, distorsioni,
traumatismi, ferite, avvelenamenti da farmaci, effetti tossici di
sostanze non medicamentose
5,8%
6,9% (**)
6,9%(**)
650-659
parto normale e altre indicazioni
per ricovero in gravidanza
1,9%
6,8% (*)
7,9% (*)
460-519
malattie del sistema respiratorio
7,1%
6,7%
6,8%
001-139
malattie infettive parassitarie
1,8%
5,2% (*)
3,3% (*)
780-799
sintomi, segni e stati morbosi
mal definiti
4,2%
4,8%
4,5%
290-319
disturbi psichici
3,1%
4,0% (*)
3,2%
390-459
malattie del sistema circolatorio
14,5%
3,1%(*)
5,1% (*)
V30-V39
nati vivi secondo il tipo di nascita
2,2%
2,9%
4,0% (*)
710-739
malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo
7,2%
2,2%(*)
4,1% (*)
740-759
malformazioni congenite
1,5%
1,8%
2,0%
280-289
malattie del sangue e degli organi
ematopoietici
1,5%
1,6%
1,6%
320-326
330-337
340-349
350-359
malattie infiammatorie del sistema nervoso centrale, malattie
ereditarie e degenerative e altri
disturbi del sistema nervoso centrale
3,4%
1,6%(*)
2,5% (*)
360-379
malattie degli occhi e degli annessi
5,4%
1,1%(*)
1,9% (*)
210-229
tumori benigni
2,2%
1,1% (*)
1,9%
680-709
malattie della cute e del tessuto
sottocutaneo
1,6%
1,0%
1,6%
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
ICD-9-CM
270-279
altri disturbi metabolici ed immunitari
250
diabete mellito
RESID.
IRREG.
REG.
1,2%
0,8%
1,1%
1,5%
0,6% (*)
0,7% (*)
Altro
14,3%
5,3%
6,7%
Totale
100,00%
100,00%
100,00%
Le differenze significative tra i valori percentuali, all’interno
della stessa colonna e tra le righe, permettono di rilevare in che
misura differenti pattern di utilizzo da parte degli immigrati siano
sintomo di barriere all’accesso che impediscono un pieno esercizio del loro diritto alla tutela della salute.
In primo luogo si rileva come molte differenze siano dovute
semplicemente a una diversa composizione dei tre gruppi per età.
Questo è evidente per i parti, per le malattie cardiologiche, per la
riabilitazione fisica per il diabete e le malattie degli occhi. Nel
caso dei ricoveri per parto è evidente che il valore percentuale
elevato (6,8% e 7,9% per gli immigrati irregolari e regolari,
rispettivamente) dipenda dal fatto che il gruppo degli immigrati
è prevalentemente costituito da donne in età fertile. Il dato dei
ricoveri della tabella 4 si accompagna al maggior uso di ecografie
rilevabile dalla tabella 3.
Per tutte le altre cause, succede il contrario: il maggior
utilizzo da parte dei residenti risulta giustificato da una età più
elevata. Questo è evidente per “malattie del sistema circolatorio”
(tabella 4) da leggere insieme al dato sugli “esami cardiologici”
(tabella 3). Analogamente nel caso del diabete mellito, la percentuale dei ricoveri è doppia per i residenti, mentre dalla tabella 3
emerge un utilizzo più che doppio dei servizi ambulatoriali per
riabilitazione fisica da parte dei residenti.
In secondo luogo, emergono differenze significative tra le
percentuali di utilizzo che non possono essere spiegate sulla base
delle caratteristiche demografiche. In questo caso, si deve supporre che esistano altri fattori di rischio tipici degli immigrati, sia
di carattere epidemiologico (malattie infettive) sia connessi alle
condizioni lavorative (fratture e traumatismi), sia, infine, connessi
a cattive condizioni socioeconomiche e povertà (aborti e malattie
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ENRICO IVALDI
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mentali). Questi fattori specifici di rischio, talvolta, sono comuni
tra i due gruppi di stranieri, mentre in altri casi esistono diversità
fra immigrati regolari e immigrati irregolari. Una differenza
significativa di utilizzo delle prestazioni sanitarie fra immigrati
(regolari e irregolari) e residenti significa che la condizione di
regolarità non “sana” la situazione. Una diversa percentuale di
utilizzo fra immigrati regolari e irregolari potrebbe significare che
i fattori di rischio si stanno attenuando per il gruppo degli
stranieri regolari man mano che aumenta la loro integrazione nel
tessuto sociale. Percentuali di utilizzo delle prestazioni sanitarie
degli immigrati regolari uguali a quelle dei residenti indicherebbero, invece, che tale gruppo dal punto di vista dei rischi sanitari
è divenuto simile a quello dei cittadini.
Differenze di utilizzo dei servizi sanitari rispetto ai residenti si
verificano per le malattie infettive e parassitarie. In particolare,
nella tabella 4, la percentuale di ricoveri ospedalieri degli immigrati (5,2% e 3.3%, rispettivamente per irregolari e regolari) per
queste patologie risulta significativamente maggiore rispetto a
quella dei residenti (1,8%). Una conferma alla prevalenza delle
malattie infettive per gli immigrati risulta anche dal fatto che le
percentuali degli esami microbiologici di laboratorio richieste
dagli immigrati (7,3% e 6,9%, rispettivamente) sono percentualmente circa il doppio di quelle dei residenti (3.3%) (tabella 3). I
dati liguri confermano, pertanto, l’esistenza di differenti caratteristiche epidemiologiche segnalata dalla letteratura (Carballo, et
al, 1998; Mcnaghten et al, 2005; Burke et al, 2003; Scolari et al,
2002).
Tutte le altre differenze sembrano, invece, da imputare essenzialmente a diverse condizioni socioeconomiche in senso lato:
condizioni lavorative spesso più rischiose, situazioni di disagio
sociale e anche mancata conoscenza dei propri diritti.
Le tipologie di lavoro sono probabilmente la causa principale
delle fratture, effetti tossici ed altre lesioni che rivelano l’ambiente particolarmente ad alto rischio in cui gli immigrati sono
spesso occupati (Cacciani et al., 2006). Questo appare nei valori
delle percentuali di ricoveri per “fratture, lussazioni, distorsioni
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
traumatismi, ferite, avvelenamenti da farmaci” dove la percentuale di utilizzo (6,9%) degli immigrati regolari è esattamente
uguale a quella degli irregolari e superiore a quella dei residenti
(5,8%).
L’esistenza di disagio sociale e condizioni di vita deprivate
appare anche con riferimento ai ricoveri per aborti. Nella regione
Liguria, la maggiore prevalenza delle donne fra gli immigrati
provoca non soltanto, come ci si potrebbe aspettare, una più alta
percentuale di parti, ma anche una altissima percentuale di
gravidanze non intenzionali con un esito abortivo: il 16,6% per
gli immigrati irregolari contro il 7,4% per i regolari e soltanto lo
0,9% per i residenti. evidente come in questo caso sia chiaro il
collegamento fra questi valori e la situazione di irregolarità e
quindi l’instabilità delle condizioni di lavoro e, più in generale,
stati di vita sfavoriti (Macintyre et al, 2002). La gravidanza,
inoltre, anche quando portata a termine costituisce un fattore di
rischio peculiare per gli immigrati come si rileva da un altro dato
riportato in tabella 4, cioè dalle percentuali di utilizzo di prestazioni per complicanze relative alla gravidanza e al parto: 11%,
10,7% e 2,7% rispettivamente. Anche in questo caso la più alta
prevalenza potrebbe essere almeno in parte spiegata da condizioni di deprivazione e di povertà che impedisce addirittura la
percezione dei propri diritti e quindi addirittura alla capacità di
accedere a campagne informative e servizi di prevenzione esistenti rivolte a questi gruppi di popolazione (Wolff et al, 2005).
Un fattore di rischio importante, soprattutto per gli immigrati
irregolari è, infine, la salute mentale. Come segnalato in letteratura (Ling et al, 2004; Ouarasse et al, 2005), malattia psicologica
significa soprattutto problemi di integrazione in una società che
è normalmente molto differente dal paese d’origine. Tale differenza sembra riassorbirsi non appena si raggiunge lo stato di
regolarità: i dati rilevati indicano una prevalenza del 4% per gli
irregolari rispetto al 3% per i residenti e regolari.
Si noti, infine, come per comprendere meglio l’accesso degli
stranieri ai servizi sanitari non sia sufficiente limitarsi all’esame
delle patologie più frequenti desumibili dalla utilizzazione dei
servizi sanitari. Ci si deve anche chiedere se questi utilizzi corri-
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ENRICO IVALDI
spondano al bisogno complessivo di servizi sanitari da parte degli
immigrati. Un indicatore semplice, ancorché basato sulla domanda espressa piuttosto che sul bisogno è il cosiddetto tasso di
utilizzo dei servizi, ottenuto dividendo il numero complessivo di
prestazioni per la popolazione che ha espresso tale domanda.
Nella Tabella 5, tale indicatore è calcolato per i tre gruppi di
popolazione esaminata e per le tre categorie di prestazioni.
TABELLA 5 — Tasso utilizzo procapite (Regione Liguria, 2005)
Pronto Soccorso
Prestazioni ambulatoriali
Ricoveri ospedalieri
RESIDENTI
IRREGOLARI
REGOLARI
388
533
303
14.884
6.833
4.119
245
259
242
Risulta evidente che gli stranieri irregolari ricorrono in misura
molto maggiore all’ospedale per le emergenze e per i ricoveri. Nel
primo caso, in un anno un immigrato irregolare su due ha avuto
mediamente accesso al pronto soccorso, anche se, come appare
dalla tabella 2, in un caso su tre per motivi non appropriati
(codice bianco). Un più alto tasso di utilizzo appare anche per i
ricoveri ospedalieri, 259 rispetto a 245, pur tenendo conto che il
tasso di utilizzo medio a livello nazionale è circa 160 ricoveri per
1000 abitanti e il tasso del 245 per mille abitanti dei residenti è
giustificabile, in Liguria unicamente dalla elevata età media della
popolazione, il che, come abbiamo visto non è vero per il gruppo
degli immigrati. I dati degli immigrati regolari sono, invece,
molto simili a quelli dei residenti.
Il contrario, avviene, invece, per le prestazioni ambulatoriali
per le quali la richiesta da parte degli immigrati è decisamente
inferiore. Questo indicherebbe che anche se gli immigrati hanno
diritto a usufruire di tutti i livelli di assistenza, di fatto si
rivolgono alle cure ospedaliere quando la malattia emerge in
forma acuta, mentre, al contempo, sono assai ridotte le richieste
di prestazioni diagnostiche e preventive rivolte prevalentemente
agli ambulatori, rispetto all’utilizzo da parte dei residenti.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
4. DISCUSSIONE.
I dati disponibili mettono in luce differenze importanti nell’utilizzo dei servizi sanitari da parte degli immigrati, a parità di
struttura demografica. Tale differenze risultano come atto finale
di un processo che inizia quando gli individui percepiscono un
bisogno di assistenza sanitaria a seguito di uno squilibrio nel loro
stato di salute. In questa fase del processo possono intervenire
alcune barriere all’accesso dei servizi che a seconda del gruppo
considerato possono condurre a diversi percorsi: è possibile non
dare adito a nessuna domanda di prestazioni, ricorrere a forme di
automedicazione oppure rivolgersi al medico o a una struttura
sanitaria. In teoria il comportamento degli immigrati dovrebbe
essere molto simile a quello dei residenti, perché, come si è detto,
la normativa riconosce praticamente gli stessi diritti all’accesso ai
servizi.
Gli immigrati, tuttavia, già in questa fase devono affrontare le
barriere relative dovute a motivi culturali o socio-economici così
come acquisizione di informazioni ed accesso alle strutture. (Testi
et al, 2006). , infatti, molto difficile che riescano ad esprimere
esattamente che cosa desiderino e riescano quindi a tradurre il
loro disagio in domanda concreta dei servizi di sanità. Questo è
dovuto a problemi di comunicazione che coinvolgono lingue
differenti e diversi ruoli del medico e dell’ospedale (Weitzman et
al, 2004). Anche dopo che l’individuo ha espresso il bisogno e
questo è stato riconosciuto da un medico e valutato, l’utilizzazione dei servizi può essere ritardata per il timore di essere
identificato e rispedito al paese d’origine (Iversen et al, 2003) se
lo straniero è irregolare. Anche nel caso di immigrati regolari,
comunque, l’accesso ai servizi sanitari può essere difficoltoso per
chi non ha un lavoro regolare, bambini non dichiarati, condizioni
di estrema povertà (Macintyre et al, 2002). La presenza di queste
barriere implica, che, come è stato evidenziato in precedenza,
l’ospedale rappresenta per la maggiore parte degli immigrati
l’unica struttura di riferimento, facile da identificare dove cercare
il soddisfacimento di ogni bisogno di salute. Questo aspetto
implica, peraltro, che i bisogni siano soddisfatti in modo inap-
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ENRICO IVALDI
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propriato: quanto la domanda di cure è rivolta quasi esclusivamente all’ospedale si verifica, infatti, non soltanto un aggravio
inutile di costi, ma anche una minore efficacia dell’intervento
sanitario che potrebbe migliorare se garantito con continuità
attraverso servizi di medicina di base e territoriali volti anche ad
aspetti di prevenzione.
Una evidenza relativamente inattesa è l’esistenza di differenze
anche fra residenti e immigrati regolari. Questi ultimi hanno,
infatti, esattamente gli stessi diritti dei residenti e non dovrebbero
esistere, a parità di condizioni demografiche, differenze nell’utilizzo dei servizi sanitari. I dati analizzati evidenziano, invece,
come il processo effettivo di integrazione sia, invece, ancora
piuttosto limitato e richieda ulteriori interventi mirati soprattutto
alla educazione e alla comunicazione.
In conclusione, sembra che le differenze nel ricorso ai servizi
sanitari da parte degli immigrati siano dovuti prevalentemente a
condizioni socioeconomiche svantaggiate e a mancanza di informazioni e comunicazione corretta. Per abbattere queste barriere
al corretto esercizio del diritto alla tutela della salute sono
necessarie due linee di intervento.
In primo luogo, le politiche sanitarie dovrebbero essere
accompagnate anche da interventi sociali poiché il rischio più
importante è la vulnerabilità connessa con il vivere con l’insicurezza dello stato economico Secondariamente, bisognerebbe promuovere campagne finalizzate al potenziamento del ruolo della
medicina territoriale e ambulatoriale per avvicinare gli immigrati
alle strutture sanitarie e indirizzarli verso il percorso assistenziale
migliore, che spesso non conoscono neppure, incentivando al
contempo la preparazione specifica e la formazione dei professionisti sanitari.
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ROSA PALOMBO
IMMIGRAZIONE E PUBBLICA SICUREZZA
1. La relazione tra immigrazione e problematiche di pubblica sicurezza può essere delineata in questa sede dall’Ufficio
Immigrazione che rappresento soltanto limitatamente al territorio della Provincia di Genova, in quanto una analisi più ampia ed
articolata è riferibile esclusivamente al Ministero dell’Interno che
dispone di dati complessivi e comparati.
Premesso il significato del concetto “pubblica sicurezza”
inteso come “tranquillità pubblica ed ordinato e regolare svolgimento della vita sociale”, ci limiteremo pertanto ad esaminare
quali comportamenti e situazioni, nella realtà o nella percezione
della popolazione residente, costituiscano turbativa della pubblica sicurezza e quali risposte il nostro ordinamento predisponga
in relazione a tali problematiche.
Va innanzitutto chiarito che la oggettiva turbativa della pubblica sicurezza è evidentemente connessa alla commissione di
reati che destano un particolare allarme sociale quali, ad esempio,
quelli ricompresi nella cosiddetta criminalità diffusa, in cui l’aggettivo “diffusa” stigmatizza la percezione di tali tipi di reato tra
un assai ampio numero di persone. Si tratta di reati che per lo più
ledono o mettono in pericolo beni o diritti fondamentali dell’individuo provocando nella popolazione residente un diffuso sentimento di insicurezza e paura che va ad incidere sulla qualità
della vita quotidiana.
Tale assunto è confermato anche dal tenore del “Patto per
Genova sicura”, promosso dal Ministero dell’Interno e sottoscritto nel giugno 2007 dal Sindaco e dal Prefetto di Genova
nonché da rappresentanti dell’ Amministrazione Provinciale e
Regionale, che fa esplicito riferimento alla necessità di garantire
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
una maggiore percezione della sicurezza tra la cittadinanza proprio in relazione ai reati cosiddetti predatori, alla prostituzione ed
allo spaccio d sostanze stupefacenti.
Tra questi sono senz’altro da ricomprendere quelli consumati
spesso in luoghi pubblici, ma anche presso private abitazioni,
usando violenza e/o minaccia sulla vittima o sui suoi beni: ad
esempio il furto, e nello specifico il c.d. scippo, la rapina, la rissa,
mentre tra i reati inerenti gli stupefacenti è particolarmente
allarmate lo spaccio, proprio perché perlopiù avviene in maniera
piuttosto evidente ed in considerazione del fatto che è connesso
con altre forme di microcriminalità cui sono sovente dediti gli
assuntori e gli spacciatori, questi ultimi per conflitti inerenti le
aree territoriali di spaccio.
Numerosi studi criminologici acclarano, poi, l’ipotesi che
siano potenzialmente suscettibili di turbare la pubblica sicurezza
in senso lato una serie di condotte antisociali che concretizzano la
violazione di regole anche diverse da quelle giuridicamente rilevanti o addirittura non codificate circa l’uso degli spazi pubblici;
stiamo parlando del senso di insicurezza generato da indicatori di
disordine sociale, pensiamo ad esempio ai sentimenti suscitati da
quegli individui, seppure non violenti, che appaiono equivoci e
senza regole, quali ubriachi, vagabondi, tossicodipendenti, prostitute, mendicanti, come anche dall’insieme dei “segni di inciviltà” costituiti, ad esempio, da edifici fatiscenti, abbandonati,
sporchi, talvolta occupati abusivamente; arredi urbani distrutti o
danneggiati; strade sporche e maleodoranti che caratterizzano
alcune zone cittadine quali centri storici, periferie degradate.
Questi vengono percepiti dai residenti come spie del crollo delle
norme che regolano la vita quotidiana nonché indice dalla incapacità di farle rispettare da coloro che hanno questo compito.
Inoltre i soggetti ritenuti responsabili di questi “segni di
inciviltà” — per restare nel nostro tema sovente riferibili a fasce
di immigrati non integrati, a prescindere dalla regolarità del loro
soggiorno — vengono considerati una minaccia perché imprevedibili e quindi capaci di commettere anche reati violenti. Deve
essere peraltro rilevato che le menzionate “inciviltà” sono addirittura più visibili dei reati avendo un elevatissimo numero di
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ROSA PALOMBO
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testimoni e pertanto è più diffuso il senso di insicurezza che
contribuiscono a creare rispetto a quello generato dal singolo
reato.
2. Le dinamiche rappresentate possono in parte spiegare la
richiesta di maggiore sicurezza che proviene da quartieri cittadini
— anche di questo capoluogo — ove sono visibili segni evidenti
di degrado imputabili a stranieri seppur in realtà sovente da
questi abitati in quanto sgraditi ai residenti, che si aggiungono
alla vera e propria commissione di reati ad essi ascrivibili. Anche
il menzionato “Patto per Genova sicura” indica il fenomeno del
disagio sociale e del degrado urbano, testimoniato ad esempio da
danneggiamenti, incendi dolosi, abbandono di rifiuti in aree
urbane, quale generatore di insicurezza nel senso sopra descritto,
sottolineando la necessità di strategie di intervento integrate per
migliorare il controllo del territorio e la qualificazione urbana, in
particolare con progetti e programmi specifici rispetto a comportamenti antisociali che trasmettono un senso di insicurezza.
L’insicurezza percepita e, quindi, la turbativa alla pubblica
sicurezza possono inoltre ingenerare una domanda di ordine e di
misure più severe ed efficaci anche in materia di immigrazione,
potendo localmente degenerare nel noto fenomeno delle ronde,
che costituisce un evidente tentativo di sostituirsi od affiancare
un’autorità ritenuta incapace di svolgere il proprio ruolo di
controllo e repressione.
3. Tornando invece ad indicatori certi di turbative della
pubblica sicurezza, forniamo alcuni dati relativi alla realtà locale.
Premesso che gli immigrati regolari in Genova e provincia dal
1995 ad oggi sono più che triplicati ammontando ad oggi a circa
40.000, che rappresentano oltre il 50% di quelli della Regione, è
evidente la notevole incidenza del fenomeno migratorio soprattutto se rapportato al bassissimo incremento demografico della
popolazione locale.
Le cittadinanze maggiormente rappresentate sono in ordine
decrescente: Ecuadoriana (circa 10.000); Albanese (circa 4.000);
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Marocchina (circa 3.500); Peruviana (circa 2.300); Srilanchese
(circa 1.000); Cinese (circa 1.000).
Non si è in possesso di stime circa le presenze irregolari,
tuttavia è evidente che il nostro Paese continua ad essere fonte di
attrazione per i cittadini extracomunitari alla ricerca sia di un’occupazione onesta seppur irregolare, che di facili guadagni da
fonti diverse.
Tuttavia, le problematiche di pubblica sicurezza evidenziate
anche recentemente dai mass media sono connesse ad una non
completa integrazione sociale di alcune fasce di immigrati, non
necessariamente legata alla titolarità o meno della autorizzazione
al soggiorno. Basti pensare alla forte presenza di immigrate
clandestine che svolgono lavoro domestico o di cura degli anziani, le quali non creano alcun problema di pubblica sicurezza
sia sotto il profilo della commissione dei reati che sotto quello del
menzionato “disordine sociale”.
Andando a verificare, invece, il numero degli immigrati individuati quali autori presunti — denunciati o arrestati — di reati
quali furti, rapine, lesioni personali si può affermare una notevole
incidenza della criminalità straniera rispetto a quella nazionale
confermata anche dalla rilevante presenza extracomunitaria nelle
strutture carcerarie cittadine, con specifico riguardo a quella
magrebina per quanto riguarda i reati in materia di stupefacenti.
Tali valutazioni sono a livello nazionale confermate dai dati
contenuti nella Relazione annuale per il 2006 del Dipartimento
della Pubblica Sicurezza, secondo cui gli immigrati rappresentano un terzo dei denunciati con riferimento anche al fatto che
dopo l’indulto il numero dei reati predatori come furti e rapine
commessi nel 2006 risulta salito notevolmente; più specificamente si afferma che pur essendo solo il 4% della popolazione
residente sul territorio nazionale gli stranieri nel 2005 hanno
rappresentato il 33,41% dei denunciati e che nei primi 9 mesi del
2006 la percentuale era salita al 36,5%.
4. Per quanto riguarda Genova e provincia dal 1° gennaio al
30 ottobre 2007 a fronte di 317 lesioni dolose sono stati individuati 240 autori (denunciati o arrestati) di cui 92 extracomuni-
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ROSA PALOMBO
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tari, mentre su 9.000 furti denunciati (di cui poco meno di un
terzo con destrezza) risultano segnalati all’Autorità Giudiziaria e
tratti in arresto rispettivamente 627 e 158 individui di cui 148 e
30 extracomunitari, 170 e 55 romeni. Allarmante il dato relativo
alle rapine, laddove su 393 reati commessi, gli autori arrestati
sono stati 58 di cui 27 extracomunitari e 6 romeni, quelli denunciati sono 58 di cui 26 extracomunitari ed 1 romeno.
È il caso di rilevare che allorquando, anche per il tramite dei
mass media, un numero certamente significativo di reati di un
certo tipo viene ascritto sulla base di dati certi ad immigrati,
spesso di una determinata nazionalità, è facile intuire che nell’immaginario collettivo vengano riferiti a tale nazionalità anche gli
altri reati dello stesso tipo i cui autori non risultano ancora
scoperti. D’altronde il collegamento straniero — autore di fatti
criminosi a detta dello stesso Viminale nella citata relazione
annuale — rappresenta uno stereotipo ancora piuttosto diffuso
cui spesso contribuiscono i mass-media con il loro specifico modo
di presentare le notizie. Tale meccanismo può trovare un’ulteriore spiegazione nelle considerazioni sopra esposte sul cosiddetto “disordine sociale”, quando ad una determinata nazionalità, vedi ad esempio quella ecuadoriana, si collegano altri segni di
inciviltà quali ubriachezza, oziosità, schiamazzi, uso incongruo
degli spazi pubblici ecc.
Analogamente, anche le condizioni di degrado in cui vivono
le comunità “rom”, oltre al considerevole numero di reati commessi da cittadini romeni, ha contribuito a creare il c.d. “allarme
romeni” che ha indotto l’emanazione del Decreto Legge n. 181
del 1° novembre 2007 il quale, modificando la disciplina della
posizione giuridica dei cittadini comunitari del febbraio 2007, ha
previsto la possibilità di allontanare coloro che non soddisfino i
requisiti previsti per la regolare permanenza o che, per motivi di
pubblica sicurezza, debbono essere allontanati dal territorio nazionale con accompagnamento immediato alla frontiera e divieto
di reingresso fino a tre anni, stabilendo la reclusione fino a tre
anni per i trasgressori.
Di particolare interesse per il nostro tema la definizione
legislativa di “imperatività” dei motivi di pubblica sicurezza che
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
pone in risalto la necessità che il comportamento del cittadino
comunitario sia compatibile con l’ordinata convivenza rispetto a
condotte compromissive della dignità umana, dei diritti fondamentali della persona ovvero della incolumità pubblica.
Per quanto concerne gli stranieri non comunitari specifico
riguardo al profilo della pubblica sicurezza è contenuto nella
terza ipotesi di pericolosità sociale ex articolo 1 della legge n.
1423/1956 e relativi aggiornamenti (richiamato dall’articolo 13,
comma 2, lettera c), concernente l’espulsione, del decreto legislativo n. 286/1998.
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PAOLA BALBO
IMMIGRAZIONE E ASILO: DIFFERENZE
E COMMISTIONE
1. Ogni qualvolta ci accostiamo al tema dell’immigrazione, la
prima constatazione che ne deriviamo è data dalla molteplicità
dei termini cui facciamo ricorso: immigrato, emigrato, straniero,
rom, extracomunitario, cittadino dell’Unione europea, appartenente a minoranza etnica europea o extracomunitaria, richiedente asilo, rifugiato. Questo ci porta a concludere che, a prescindere dalle specifiche funzionali, tutti questi termini hanno
sovraordinato e in funzione di genere a specie il termine di
‘straniero’. Ciascun individuo è sempre al tempo stesso straniero
e vanta una cittadinanza e una nazionalità, in qualche caso anche
più cittadinanze né deve stupire questo fatto. Risale al 1923 una
pronuncia della Corte internazionale di Giustizia che sosteneva
come il concetto di ‘nazionale’ (ressortissant) si estendesse a
comuni come la città di Ratibor. Come ben era stato illustrato nel
caso Königs-und Laurahütte Company, continuava la Corte, il
termine ‘national’ nella Convenzione di Ginevra generalmente
contempla le persone fisiche. Ma una relazione analoga a quella
che esiste tra persone fisiche e Stato e detta nazionalità, esiste
anche, sebbene in forma differente, nel caso di corporazioni. La
necessaria comprensione di ciò che si intenda con cittadinanza e
nazionalità è la diretta conseguenza delle interpretazioni, spesso
a sfavore, che sorsero sui termini ‘national’ e ‘ressortissant’ della
tradizione giuridica internazionale. Si connette a questo anche
l’articolata serie di modi di allontanamento sorte nei diversi
momenti storici a tutela dell’identità nazionale: deportazione
(deportation), estradizione (extradition), allontanamento (removal), riaccompagnamento alla frontiera (reduction to frontier),
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140
IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
respingimento (refoulement), non ammissione (non-admission),
trasferimento (transfer) e infine accordi di reinserimento (resettlement commitments) (1). Senza entrare nello specifico di
ognuno, queste premesse ci conducono ad una riflessione inevitabile: la necessità di favorire sempre di più l’armonizzazione sia
sul fronte internazionale che nazionale delle norme relative ad
immigrati e richiedenti asilo. Sul fronte nazionale, in particolare,
il costante moltiplicarsi delle leggi favorisce situazioni di confusione e difficoltà interpretativa tali da diventare spesso ostacolo al
realizzarsi delle finalità cui tali leggi sono destinate e nei casi
estremi ostacolare la tutela dei diritti.
Affrontare i temi dell’asilo e dell’immigrazione significa avere
un quadro il più possibile completo e aggiornato, ma al tempo
stesso ineliminabile del diritto internazionale inteso nelle sue tre
articolazioni: internazionale in senso pieno (raccomandazioni e
convenzioni delle Nazioni Unite), comunitario e pattizio (come
definito e limitato dalle recenti sentenze nn. 348 e 349 del 2007),
nazionale. Ad oggi il sistema italiano ha come riferimento legislativo nazionale, in buona sostanza derivato dall’applicazione
delle direttive europee, numerose leggi e precisamente:
a) d.lgs. n. 286/1998 smi, d.l. n. 416/1989 convertito in
legge n. 39/1990, d.lgs. n. 3 del 8 gennaio 2007 (di recepimento
della direttiva 2003/109/EC sui soggiornanti di lungo periodo),
d.lgs. n. 140 del 30 maggio 2005 (di recepimento della direttiva
2003/9/EC), d.lgs. n. 5 del 8 gennaio 2007 (di recepimento della
direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento), d.lgs. n. 24 del 6
febbraio 2007 (recepimento della direttiva 2003/100/CE espulsione per via aerea), d.l. n. 144 del 27 luglio 2005, G.U. n. 173 del
27 luglio 2005, convertito nella legge n. 155 del 31 Luglio 2005;
b) d.P.R.. n. 54 del 18 gennaio 2002, d.lgs. n. 30 del 6
febbraio 2007 (di recepimento della direttiva 2004/38/CE sui
cittadini europei), d.lgs. n. 206 del 6 novembre 2007 (di recepi(1) Permanent Court of International Justice, Advisory Opinion n. 7 del 15
settembre 1923. Per l’esame si rimanda a P. BALBO, Stranieri. Profili civili, amministrativi e penali, p. 11 ss, Giappichelli ed., 2007.
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PAOLA BALBO
141
mento della direttiva 2005/36/CE sui bulgari e i romeni), d.l. n.
181 del 1o novembre 2007 sull’allontanamento.
La parcellizzazione da un lato trova una giustificazione parziale nel succedersi temporale delle direttive, dall’altro tuttavia
appare meno apprezzabile alla luce delle stesse disposizioni delle
leggi comunitarie che (in particolare la legge n. 11 del 2005 e
l’attuale disegno di legge comunitaria 2007) prevedono la realizzazione di testi unici e codici. Il recepimento, nell’arco di un
anno, di ben tre delle direttive fa sorgere la domanda circa il
perché il legislatore non si sia attivato al fine di rendere omogenea
questa disciplina a parte l’abrogazione di una ulteriore percentuale dell’ormai quasi inesistente d.l. n. 416 del 1989.
Non solo, tale armonizzazione e razionalizzazione avrebbe
consentito di ridurre la pesante eredità derivante dalla commistione, non solo italiana va tuttavia detto ma certamente più
accentuata nel nostro ordinamento, tra legislazione speciale relativa agli immigrati e agli immigrati clandestini in specie e quella
relativa ai richiedenti asilo ben diversa.
2. Fatta questa premessa di natura generale, ciò che va
assolutamente detto è legato alle problematiche sorte a livello
comunitario e nazionale degli Stati membri che già si sono
confrontati con le disposizioni impartite nelle direttive 2003/9/
EC, 2004/83/EC e 2005/85/EC, nella Convenzione di Dublino I
del 15 luglio 1990 e nel Regolamento (Dublino II) 343/2003,
2003/109/EC, 2004/58/EC (sui cittadini europei che abroga la
direttiva 64/221), per citare le principali (2). Non possiamo infine
tralasciare le disposizioni in materia di terrorismo dal momento
che esistono precise indicazioni destinate a regolamentare la
tutela dei diritti degli asilanti con le esigenze di indagine in caso
di sospetto terrorismo. Il fondamento giuridico comunitario ad
esse sono il Trattato UE e la giurisprudenza della Corte di
(2) Con riferimento all’allontanamento dei cittadini europei richiamiamo ad
esempio Corte di giustizia europea Cause 41/74 e 67/74; Cause riunite 115 e 166/81;
causa C-175/94. Si rimanda per una ampia disamina a P. BALBO, Stranieri, cit., cap. IV
– Parte Speciale.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
giustizia e della CEDU (3). Il primo riferimento va al Trattato
dell’UE del 1992 (Titolo VI-Cooperazione nei settori della giustizia e della politica interna, artt. K, K.1 a K.9). Vi compare il
riferimento alla politica dell’asilo. Segue il Trattato EC dopo il
Trattato di Amsterdam del 1997 che negli articoli dal 61 al 69
specifica ulteriormente le politiche già presenti nel precedente
trattato in materia di frontiere, immigrazione, terrorismo, cooperazione civile e penale, asilo. Gli articoli 63 e 68 in combinato con
l’art. 234 rappresentano il fulcro delle disposizioni che sono
seguite. L’art. 63 (commi 1 e 2) detta i parametri entro i quali
sviluppare il tema dell’asilo e della protezione sussidiaria. Stabilisce che in materia di asilo e in accordo con la Convenzione di
Ginevra del 28 luglio 1951 e del Protocollo del 31 gennaio 1967
si debbano adottare criteri e meccanismi per determinare quale
Stato membro sia responsabile per l’esame di una richiesta di
asilo presentata da un cittadino di paese terzo in uno Stato
membro (Dublino I e II); gli standards minimi per l’accoglienza
(2003/9); gli standards minimi per la qualificazione di cittadini di
paesi terzi come rifugiati (2004/83); gli standards minimi sulle
procedure per l’accoglimento o il rigetto dello status di rifugiato
(2005/85). In modo analogo sono previste misure relative a
coloro che necessitino di protezione temporanea.
Il Consiglio di Tampere del 1999 e il Programma dell’Aia del
2005 hanno posto l’accento sulla necessità di un sistema comune
europeo di asilo basato su una procedura comune ed uno status
uniforme per quanti ottengano l’asilo o la protezione sussidiaria.
Il termine indicato per la realizzazione di questa seconda fase è il
2010, supponendo il 2007 come limite per concludere la valutazione degli strumenti legali vigenti al momento. In effetti a
novembre 2007 la Commissione europea ha presentato il Libro
Verde per una procedura di asilo comune. Questo ci conduce alle
riflessioni critiche emerse ad oggi sulle procedure attuali: la non
applicazione dell’effetto sospensivo in caso di rigetto dell’istanza
di asilo; la validità del concetto di paese di origine sicuri; l’infor(3) P. BALBO, Rifugiati ed asilo. Il diritto reale soffocato: excursus tra direttive
europee e leggi nazionali, 159 ss., Halley ed., 2007.
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PAOLA BALBO
143
mazione dal paese di origine (COI); la detenzione di richiedenti
asilo; l’assistenza psicologica alle vittime di trattamenti disumani
e violenze; le politiche mirate di sostegno ed inserimento di
coloro che ricevono il riconoscimento dello status di rifugiato.
3. Sintetizza lo scopo e le esigenze di modifica dell’impianto
attuale la relazione di apertura tenuta dal Vice Presidente Franco
Frattini alla public hearing del 7 novembre sul Libro Verde sul
CEAS (Common European Asylum System). Le aree di intervento
sono quattro:
(i) gli strumenti legislativi;
(ii) l’implementazione delle misure e della cooperazione pratica;
(iii) la solidarietà e la verifica delle prove (burden-sharing);
(iv) la dimensione esterna dell’asilo.
All’interno ed in connessione ad essi, anche in ragione delle
considerazioni presentate da diverse parti (associazioni, comuni,
organismi pubblici, studiosi), si impongono quali passaggi obbligati cui guardare e da realizzare:
a) l’implementazione della cooperazione pratica per esempio attraverso modelli comuni di formazione, scambio di buone
prassi e la condivisione dell’informazione del paesi di origine,
b) la creazione di un ufficio di supporto europeo per
l’asilo, destinato ad assistere gli Stati membri in una migliore
implementazione politica di asilo organizzando formazioni di
quanti siano coinvolti nelle procedure, favorendo gli scambi,
centralizzando gli accordi di reinserimento (resettlement commitments) dagli Stati membri, gestendo un futuro portale informatico comune sul COI,
c) una attenzione maggiore alle esigenze particolari delle
persone vulnerabili: bambini, donne, vittime di torture, identificando le aree dove occorre aumentare l’attenzione, il sostegno e
la protezione in ogni fase della procedura di asilo,
d) una migliore definizione delle responsabilità e dei meccanismi di verifica della condivisione dei mezzi di prova (burden
sharing). I criteri e i meccanismi introdotti dal sistema di Dublino
necessitano di essere raffinati e armonizzati al fine di aumentarne
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
efficienza e imparzialità, per esempio quando si riferiscono a
minori non accompagnati e familiari,
e) la promozione del reinserimento come modo di esprimere da parte dell’UE la solidarietà con i paesi terzi essendosi
rivelati positivi gli effetti del reinserimento (internazionale) per
gli Stati membri, i paesi terzi e i rifugiati stessi,
f) il nesso asilo-migrazione. In particolare rimangono un
onere acuto per l’Unione europea i salvataggi in mare e le
intercettazioni marittime. La questione è di evitare che le misure
di controllo delle frontiere e la lotta legittima contro l’immigrazione clandestina diventino un ostacolo nei confronti dei richiedenti asilo che guardano all’UE per ottenere protezione.
Tutto ciò ci conduce a richiamare alcune decisioni importanti
che hanno rivelato la sostanzialità delle problematiche derivanti
dall’attuale impianto normativo. Partiamo dalla questione della
detenzione. I riferimenti vanno innanzitutto alle direttive 2003/
9/EC e 2005/85/EC oltre che alla Convenzione sui rifugiati. In
tutti i casi esiste una ben delineabile distinzione tra detenzione e
trattenimento in un luogo ai fini dell’identificazione. L’art. 31
della Convenzione sui Rifugiati consente il ricorso a forme di
restrizione necessarie solo a fronte di spostamenti di rifugiati
entrati illegalmente o presenti illegalmente sul territorio e si
presentino prontamente e spontaneamente alle autorità al fine di
determinare il proprio status., Ciò significa in altri termini che
non è applicabile l’imposizione di una forma di sanzione per il
solo fatto che al fine di richiedere asilo un individuo attraversi la
frontiera con documenti falsi, sotterfugi o senza documenti e in
tale circostanza, fatta salva appunto la presentazione delle domanda, è prevedibile una forma di limitazione delle libertà di
circolazione ma non la detenzione. È del resto vero che l’art. 5
della Convenzione individua con precisione i casi nei quali è
prevista la detenzione. Alla ECHR si aggiunge l’art. 9 della
International Covenant On Civil and Political Rights (ICCPR)
nella quale si ribadisce il divieto di privazioni arbitrarie della
libertà personale eccetto che ciò avvenga nel rispetto e sulla base
di precise disposizioni di legge e con le garanzie procedurali
dovute. Basti a dare una dimensione del problema il semplice
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145
richiamo ad alcune delle decisioni CEDU: case R (Saadi and
others) v. Secretary of State for the Home Department (2002)
UKHL 41; Amuur v. France (1996) 22 EHRR 533; Chantal v.
United Kingdom (1996) 23 EHRR 413; Saadi v. United Kingdom
(2006) INLR 638; A v. Australia CCPR/C/59/D560/1993.
Questo tema ci riallaccia al punto altrettanto critico delle
informazioni del paese di origine (COI = Country of Origin
Information). Si tratta di materiali derivanti da diverse fonti,
includendo testi come mappe, enciclopedie, annuali, reports o
documenti da organismi internazionali (es. UNHCR, UN Human
Rights Committee), NGO internazionali (es. Amnesty International, reports di osservatori delle NU, reports di Gruppi internazionali di Crisi), organismi nazionali (es. reports del Dep. USA,
reports del Servizio Immigrazione danese, reports del Paese di
origine del UK), news e database dei media, documenti legali
(leggi, giurisprudenza, etc.) e controllo incrociato di richieste di
altri rifugiati.
Da una lettura attenta dell’art. 4 della direttiva sulla qualificazione e degli artt. 8 e 30 di quella sulla procedura si ricavano i
seguenti principi: rilevanza giuridica (relevance); affidabilità
(reliability/balance) — il che significa trovare risposte ad una
serie di domande che sono: perché, chi paga, quando, chi/quale
tipo, stile, come; accuratezza (accuracy) dell’informazione; trasparenza (transparency). Si comprende allora la natura sostanziale e
non solo procedurale della espressione ‘well-founded fear of being
persecuted’ (un ben fondato timore di essere perseguitato) derivante dal fatto che la determinazione dello status di rifugiato
richiederà in primo luogo una valutazione delle dichiarazioni del
richiedente piuttosto che un giudizio sulla situazione dominante
nel paese di origine considerando tuttavia tali dichiarazioni non
in astratto ma doverosamente esaminandole nel contesto della
situazione retrostante rilevante.
4. Il passaggio da qui alla normativa sull’immigrazione si fa a
questo punto inevitabile innanzitutto per il richiamo all’art. 19
del T.U. d.lgs. n. 286/98. La prima macroscopica differenza è
data proprio dallo scarto in termini di garanzia e di misure di
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
inserimento delle due categorie di persone. Pensiamo all’effetto
sospensivo in caso di ricorso avverso una decisione negativa. La
Corte costituzionale si è pronunciata correttamente a tal proposito dichiarando incostituzionale parte degli articoli 13 e 14 del
d.lgs. n. 286/98. Il legislatore, a fronte di un margine discrezionale che le stesse disposizioni contenute nella direttiva 2005/
85/CE non ha previsto fino ad ora, come dimostra il testo quasi
abrogato del 1989 n. 416, il riconoscimento di un tale principio
di garanzia quanto meno per le ipotesi che sfuggono al dettato del
Regolamento Dublino II (4).
Sconcerta altresì la relativa carenza di percorsi successivi al
riconoscimento dello status di rifugiato così come della protezione sussidiaria. Ciò significa che non esiste un effettivo trattamento equo tra immigrati e rifugiati, le possibilità di inserimento
lavorativo dei quali ultimi sono considerevolmente inferiori. Non
solo, le stesse strutture recettive soffrono delle carenze che
finiscono per colpire in misura maggiore minori e soggetti vulnerabili. Ci troviamo allora di fronte alla possibile assurda condizione del soggetto che, riconosciuto rifugiato, nella materiale
impossibilità di avere mezzi sufficienti cada in mano della criminalità organizzata ricorrendo a prestiti usurari e si trovi al limite
di commettere un qualche reato per poter far fronte alla propria
situazione. Si innesca il doppio meccanismo di incorrere in una
delle possibili cause di revoca e/o non proroga dello status
trovandosi gettato nella stessa condizione di chi è senza permesso
(4) P. BALBO, L’effetto sospensivo dell’allontanamento in caso di ricorso avverso il
rigetto della richiesta di asilo, in http://www.giurcost.org/studi/index.html (22/11/
2007). P. BALBO, Rifugiati. Via non libera attraverso i decreti legislativi attuativi delle
direttive europee 2004/83/EC E 2005/85/EC, in Diritto &Diritti - Rivista giuridica
elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.diritto.it, ISSN 1127-8579,
12/10/2007, http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/24781.html. Il testo dei decreti legislativi di recepimento delle direttive 2004/83/EC e 2005/85/RC in fase di
pubblicazione sembrano, come per altro non era parso negli schemi all’esame, finalmente aver formalizzato e riconosciuto il principio dell’effetto sospensivo. P. BALBO,
Foreigners in European Prisons. Italy., P. 481 ss, in Foreigners in European Prisons, 2
vol. (by A. M. VAN KALMTHOUT, F.B.A.M. Hofstee-van der Meulen, F. Dünkel) , WLP,
The Netehrlands, 2007.
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PAOLA BALBO
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di soggiorno, e di non poter vantare, entro certi limiti, delle tutele
che sono previste per l’immigrato nel senso pieno del termine.
Un altro aspetto che non è possibile sottacere si riporta
ancora una volta alla centralità della tutela dei diritti umani dal
momento che il terrorismo ha una diretta connessione con la
delicata questione dell’asilo politico In tale direzione si muove la
proposta di Risoluzione del 15 aprile 2005 presentata al Consiglio
economico e sociale delle Nazioni Unite dalla Commissione dei
diritti umani. Basilare rimane la condanna senza equivoci come
criminali e ingiustificabili di tutti gli atti, i metodi e le pratiche
terroristiche, sotto qualunque forma e manifestazione. Su questa
così specifica azione si incardina quanto deciso nella Risoluzione
UN 49/60 del 1994 nella cui Dichiarazione annessa si precisano
alcuni passaggi di particolare rilievo dal momento che (punto 5)
si richiamano tutti gli Stati ad adempiere in modo uguale alle
obbligazioni imposte dalla Carta delle Nazioni Unite e a quelle di
diritto internazionale per la lotta al terrorismo con l’invito a
prendere misure efficaci e risolutive, conformemente alle disposizioni di diritto internazionale applicabili e a quelle relative ai
diritti dell’uomo ed in particolare a prendere le misure volute,
prima di concedere l’asilo, per assicurarsi che il richiedente asilo
non abbia svolto attività terroristiche e, una volta concesso,
assicurarsi che lo status di rifugiato non venga messo a profitto
per contravvenire alle disposizioni che dispongono di astenersi
dall’organizzare, fomentare, facilitare, finanziare, incoraggiare o
tollerare attività terroristiche e di adottare misure pratiche affinché i territori non servano ad installazioni o a campi di addestramento di terroristi, né alla preparazione od organizzazione di atti
terroristici contro altri Stati o di loro cittadini.
Al riguardo appare allora opportuno il richiamo pervenuto
alle Nazioni Unite da parte del Rapporteur speciale, Martin
Sheinin, per la promozione e la protezione dei diritti umani nella
lotta al terrorismo; richiamo di fine ottobre nel quale si fanno
presenti al Comitato dell’Assemblea Generale quali elementi
culminanti i decreti di intercettazione pre-ingresso e le misure di
selezione, la detenzione dei richiedenti asilo, l’esclusione dallo
status di rifugiato o da altre forme di protezione, il rimpatrio o il
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
reingresso delle popolazioni detenute per cause correlate al terrorismo e il sostenere la responsabilità internazionale per la
protezione.
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FEDERICA RESTA
LE LINEE DELLA POLITICA GOVERNATIVA
NEI SETTORI DELL’IMMIGRAZIONE
E DELL’ASILO
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. La disciplina attuale dell’immigrazione. — 3. Prospettive
di riforma e recenti innovazioni normative. — 4. I ricongiungimenti familiari. —
5. Cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo. — 6. Eliminazione dei
permessi brevi. — 7. Il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (d.lgs.
3072007). — 8. Il contrasto allo sfruttamento dell’attività lavorativa. — 9. La
repressione del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. — 10. L’acquisto
della cittadinanza. — 11. Disegno di legge delega per la modifica della disciplina
dell’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero. — 12. La
direttiva interministeriale in materia di identificazione e espulsione degli stranieri
arrestati o detenuti.
« Il nemico politico è semplicemente l’altro, lo straniero (“der Fremde”), e
basta alla sua essenza che egli sia esistenzialmente, in un senso
particolarmente intensivo, qualcosa d’altro e di straniero, per modo che
nel caso estremo siano possibili con lui conflitti »
(C. SCHMITT, Der Begriff des Politischen, Berlin, 1932).
1. PREMESSA.
Uno degli aspetti più complessi della realtà attuale e della
globalizzazione riguarda il rapporto tra cittadinanza e comunità.
In quanto appartenenza ad una civitas, l’idea di cittadinanza
rimanda alla dimensione relazionale che caratterizza la nozione di
comunità. I recenti processi di globalizzazione inducono a ripensare funzione, contenuto e caratteri del legame tra comunità e
cittadinanza. La compresenza su uno stesso suolo di persone
appartenenti a culture, religioni, tradizioni, ordinamenti diversi,
dovrebbe infatti indebolire il legame tra cittadinanza e appartenenza identitaria a un ‘noi’ contrapposto necessariamente all’al-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
tro, allo straniero, a ciò che Freud definiva lo ‘sguardo permanente dell’altro su di sé’. La cittadinanza dovrebbe cioè farsi
sempre più nozione inclusiva, nucleo fondativo di un’idea di
comunità aperta, universale, sganciata dai presupposti identitari
dello jus sanguinis et soli. Tuttavia, per una sorta di eterogenesi
dei fini, la globalizzazione sembra oggi declinare la cittadinanza
non come diritto di ogni persona, ma come privilegio di un’noi’
sempre più ristretto, negata proprio a coloro che, direbbe Benjamin, hanno subito nella propria carne “tutta la violenza della
storia”, a quei ‘corpi che non contano’, a quelle ‘vite di scarto’ di
cui ci parlano Judith Butler e Zygmut Bauman, che scompaiono
dietro la figura dello straniero senza volto, privo di qualsiasi
appartenenza (Garapon-Salas). Così, l’idea di comunità è oggi
sempre più declinata — con un’evidente inversione di sensonelle forme della proprietà, della appartenenza esclusiva (ed
escludente) delle persone che la formano. Che tale proprietà —
come sottolineano Zagrebelsky ed Esposito — riguardi un territorio, una religione, un’etnia, non cambia il punto di partenza: è
considerato comune ciò che è proprio di un certo gruppo di
persone, e non di altre. La comunità è così interpretata come
l’appartenenza originaria, l’identità, la proprietà collettiva, che di
per sé esclude — in forma offensiva tanto quanto in forma
difensiva — tutti coloro che originariamente non ne fanno parte.
evidente la contraddizione sottesa a questa logica: comune è
per definizione ciò che non è proprio, non è privato, ma è
pubblico e generale, anzi tendenzialmente universale, e dunque
non riguarda l’identità e lo scontro identitario, ma al contrario
l’alterità, il confronto tra diversi.
La stessa etimologia è significativa. La parola communitas da
cui deriva il nostro ‘comunità’, deriva a sua volta dal termine
‘munus’, che in latino significa insieme dono e obbligo, rimanda
congiuntamente al doveroso e al gratuito: è il dono doveroso, il
dovere di donare all’altro. Comunità è quindi l’insieme di persone
unite dalla legge originaria del dono reciproco. Alla sua base vi è
perciò non l’idea di proprietà o di appartenenza, ma quello di
con-divisione di una relazione solidaristica, di un’apertura all’altro, attraverso una cessione volontaria, una coappartenenza di
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FEDERICA RESTA
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diversità legate dalla legge del dono. Essere-in-comune dovrebbe
allora significare avere a che fare con chi è diverso da noi, non
con chi ci è immediatamente riconoscibile perché ci è in qualche
modo familiare, ma soprattutto con chi ci è inizialmente estraneo.
La comunità insomma-ricorda Esposito — è veramente tale solo
se è comunità di dissimili, se implica la possibilità (e, certo, anche
il rischio) della differenza, del contatto e del confronto con
l’altro, con chi non ci somiglia, con chi non fa parte del “we, the
people”. Il carattere costitutivamente relazionale della cittadinanza e la natura plurale (e tendenzialmente universale) della
comunità dovrebbero quindi indurre a sviluppare una politica
dei diritti umani che valorizzi le differenze, le minoranze, nel
rispetto dei principi solidaristici e del super-valore rappresentato
dalla dignità, che informano il nostro ordinamento costituzionale.
Solo in questa prospettiva si può pensare di superare quella
tendenza all’esclusione dell’altro sottesa a molte politiche recenti,
e sintetizzata nella definizione di twice losers (doppiamente perdenti), coniata dal giudice statunitense Scalia, in relazione ai
migranti clandestini, colpiti da provvedimenti di espulsione. Politiche, queste, che vedono nella ricchezza della diversità una
minaccia, e che portano le comunità a non definirsi attraverso
valori e progetti comuni, ma mediante ciò di cui hanno paura,
perché costringe ad interrogarsi sulla propria identità. E se questa
non ha radici su cui fondarsi, non può che costruirsi contro
l’alterità; l’appartenenza collettiva a un ‘noi’ presuppone l’esclusione di tutti gli ‘altri’.
E mai, come quando si tratta dell’identità dell’altro, le definizioni nascondono attribuzioni di senso, classificazioni antropologiche, riduzione della singolarità irripetibile della persona
all’astrattezza, vuota e uniformante — disumana, dunque — della
categoria. È il lessico dell’esclusione, della logica di frontiera
dello Stato occidentale che si chiude su se stesso, erigendo sulla
propria ‘ossessione per i confini’ le basi per la negazione della sua
più grande conquista: la cittadinanza come diritto universale
della persona., Questa negazione si autoalimenta di una rappresentazione del concetto di frontiera come linea di separazione del
‘noi’ dal ‘loro’, articolando la relazione con l’altro attraverso le
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
figure dell’allontanamento, del controllo, dell’inclusione soltanto
attraverso il dominio. Ma la frontiera non è solo, come nella
logica coloniale, un luogo simbolico di produzione della differenza culturale. invece e soprattutto linea di confine intesa come
luogo di contatto, zona di dialogo e reciproco riconoscimento tra
un ‘al di qua’ e un ‘al di là’ che progressivamente si intersecano,
sino a confondersi l’uno nell’altro, e deve tornare ad essere, il
luogo di convivenza di infiniti ‘altri’.
2.
LA
DISCIPLINA ATTUALE DELL’IMMIGRAZIONE.
Il settore della normativa sull’b4immigrazione rappresenta
oggi uno dei contesti dell’ordinamento italiano, che sempre più
rischia di favorire una tendenza alla progressiva amministrativizzazione delle posizioni giuridiche soggettive, alla riduzione dell’intervento giurisdizionale, ed alla sensibile attenuazione delle
garanzie e dei diritti fondamentali.
La legislazione in materia si é progressivamente orientata,
nello spazio di sei anni (1998-2004), verso una sensibile anticipazione dell’intervento penale (estesa sino alla criminalizzazione
di condotte meramente preparatorie od agevolatorie non già di
illeciti penali, ma addirittura soltanto amministrativi! cfr. art. 12
T.U. 286/1998 e succ. mod.), una rilevante riduzione delle garanzie processuali e comminatorie edittali spesso non proporzionate rispetto alla gravità dell’illecito, con la parallela attenuazione
della finalità rieducativa della pena, di cui sembra prevalere la
componente socialdifensiva e simbolico-performativa, rispetto a
quella specialpreventiva. Tali caratteristiche hanno indotto taluni
a definire il diritto ‘speciale’ dell’immigrazione, limitatamente ai
profili sanzionatori, come ‘diritto penale del nemico’, ricorrendo
alla nota qualificazione di ‘Feindstrafrecht’ coniata da Günther
Jakobs.
Di seguito, si delineano i profili principali dell’evoluzione
normativa in materia.
La prima legge che affrontò la materia in modo complessivo
fu la cosiddetta legge Martelli, la n. 39 del 1990. Con essa il
Governo dell’epoca prese per la prima volta coscienza del fatto
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FEDERICA RESTA
153
che il movimento migratorio era volto ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio fenomeno destinato ad una esponenziale crescita futura. Da un punto di vista strettamente giuridico
la legge Martelli riesce a definire i contorni di alcuni istituti in
modo da introdurre alcuni punti di riferimento tuttora validi. Per
la prima volta viene distinto il respingimento dall’espulsione;
viene introdotto l’obbligo di visto; si delega alla giustizia amministrativa la competenza sulle questioni attinenti ai diritti degli
immigrati, si riconosce una parità di trattamento ai lavoratori
stranieri e italiani e, infine, vengono istituiti i centri di prima
accoglienza. In conclusione, si può affermare con certezza che
questa legge ha definito il passaggio da una logica formale di
regolazione dei flussi migratori all’elaborazione di una linea
politica in materia di immigrazione.
Nel 1998 fu approvata la cosiddetta legge Turco-Napolitano,
la n. 40 del 1998, cui può ascriversi il merito di aver ridefinito in
modo organico le complesse e numerose norme sull’immigrazione. Le linee guida che hanno ispirato quel legislatore sono tre:
un’equilibrata programmazione degli ingressi « sostenibili », definendo una concertata gestione delle quote ed un continuo
monitoraggio sui richiedenti lavoro; una politica dell’integrazione
orientata prevalentemente ai lavoratori soggiornanti regolarmente che avrebbe dovuto mirare a garantire allo straniero quei
diritti minimi assicurati ai cittadini italiani; la lotta all’immigrazione clandestina e alla criminalità collegata ai flussi migratori.
Con l’approvazione della successiva legge « Bossi-Fini », la
legge 30 luglio 2002, si sono previste l’abolizione dell’istituto
dello sponsor, l’applicazione di sanzioni in caso di ritardata
comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza di ospitalità nei
confronti di uno straniero, l’obbligo di sottoporre gli stranieri a
rilievi fotodattiloscopici, l’aumento della durata del divieto di
reingresso da cinque a dieci anni in caso di espulsione, l’aumento
della permanenza da trenta a sessanta giorni presso i centri di
permanenza temporanea.
La recente evoluzione legislativa in materia ha quindi dimostrato la tendenza al rialzo delle misure esecutive limitative della
libertà personale e della entità delle pene previste per le singole
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
fattispecie criminose, con scarsissime possibilità di graduare la
gamma delle risposte alle possibili situazioni di irregolarità. Il
sistema del processo penale ne risulta alterato: nuove fattispecie
di reati, la trasformazione di reati contravvenzionali in delitti,
l’aumento delle pene, nuove ipotesi di arresto, anzi di arresto
obbligatorio, processi obbligatoriamente con rito direttissimo.
L’irragionevolezza delle pene in materia è stata sottolineata anche
nelle recente sentenza n. 22/2007 della Corte Costituzionale in
cui, pur dichiarando inammissibili le questioni poste alla sua
attenzione, relative al trattamento sanzionatorio della violazione
dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato, la Corte
ha esortato il legislatore ad un intervento, tipico della sua discrezionalità, capace di razionalizzare l’intera materia. Quale immagine speculare di un diritto penale “diseguale”, l’espulsione è
disegnata come uno strumento applicabile ad una gamma estesissima di ipotesi: diventa (quando non misura di sicurezza
‘speciale’ prevista dal codice penale solo, ovviamente, per lo
straniero) sanzione per qualsiasi forma di irregolarità dello status
dell’immigrante, senza possibilità di graduazione basata sul grado
del suo inserimento nella realtà socio-economica o sulla effettiva
gravità dei comportamenti accertati ed, inoltre, senza alcuna
possibilità di ricorrere a forme volontarie ed incentivate di rientro
in patria, come si sta sperimentando in alcuni paesi europei.
Come sottolinea il Procuratore aggiunto Spataro, è anche
criticabile che nella cd. Legge Pisanu (l. 155/2005, di conversione
del d.l. 144/2005), approvata il 31.7.2005, si sia intervenuti sulla
procedura prevista per le espulsioni, prevedendo la prevalenza
delle logiche amministrative di sicurezza sulle esigenze giurisdizionali di garanzia. La modifica nasce dal noto caso del cittadino
marocchino DAKI Mohamed. All’inizio del 2005, forti polemiche fecero seguito ad una sentenza, impugnata dal P.M., che lo
mandava assolto, insieme ad altri due imputati, dal reato di
associazione per finalità di terrorismo internazionale. A seguito
dell’appello del P.M., però, era divenuto impossibile espellerlo
stante l’espresso divieto di legge riguardante gli imputati per reati
di terrorismo. Dunque, l’Autorità Giudiziaria, che non poteva
comportarsi diversamente, negò il nulla osta all’espulsione che il
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FEDERICA RESTA
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Ministro intendeva far eseguire: ciò generò ulteriori polemiche e,
dopo alcuni mesi, la modifica della procedura di espulsione, per
cui questa può ora essere disposta anche nei confronti dell’imputato per terrorismo senza necessità del nulla osta dell’Autorità
Giudiziaria.
In ogni caso, l’espulsione, anche quando riguarda soggetti
seriamente sospettabili di attività criminali, non è sempre uno
strumento utile nel contrasto del terrorismo; infatti, se si tratta di
espellere una persona effettivamente contigua o appartenente ad
organizzazioni terroristiche, espellerla significa disperdere/
esportare il terrorismo in altri territori, con pericolo di ritorno nel
nostro. Tra l’altro, la convenzione Europea per la tutela dei diritti
umani e la conseguente giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
obbliga gli Stati sottoscrittori a non estradare o espellere alcuno
verso ordinamenti ove esista il rischio dell’utilizzo di sistemi
illegali, di sistemi di tortura. Inoltre, il 12.1.2007 è stato approvato il Decreto Legislativo che recepisce la direttiva UE 2003/110
sul divieto di espulsione verso Stati dove sono in vigore la tortura
e la pena di morte: in conformità alle convenzioni internazionali,
il decreto riguarda anche i semplici “transiti” negli aeroporti dei
Paesi ove si praticano pena capitale e tortura.
Insomma, al fine di garantire l’effettività della tutela dei diritti
anche dell’immigrato, i principi in questione non soffrono eccezioni neppure nei confronti di chi sia imputato o indagato in
inchieste di terrorismo.
In definitiva, lo strumento dell’espulsione non solo innesca
un meccanismo circolare costituito da momenti successivi (espulsione con ordine di allontanamento, inottemperanza all’espulsione, conseguente arresto obbligatorio, giudizio con rito direttissimo obbligatorio, nuova espulsione e via all’infinito), la cui
ineluttabilità è stata spezzata solo grazie a recenti pronunce della
Corte di Cassazione, ma è anche uno strumento che va utilizzato
nel pieno rispetto dei diritti umani e secondo scelte politiche
coerenti rispetto agli indirizzi generali di governo: se ogni Stato,
cioè, ha il dovere di tutelare la propria sicurezza, di salvaguardare
le frontiere, di contrastare l’immigrazione clandestina, non può
— a tali fini — comprimere il sistema dei diritti e compromettere
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
la legalità. In tale prospettiva si muove ad esempio il disegno di
legge delega Amato-Ferrero, di riforma del testo unico immigrazione.
In estrema sintesi, le linee fondamentali del d.d.l. — su cui
tornerò in seguito — possono così riassumersi: — nella disciplina
degli ingressi saranno previsti alcuni meccanismi di ingresso per
ricerca di lavoro, necessari per superare la illogicità della legislazione vigente che vincola l’ingresso legale all’incontro - preventivo e “a distanza” tra domanda e offerta di lavoro. La disciplina
degli ingressi oggi vigente si incentra infatti sul principio dell’incontro a distanza, ossia a livello planetario, tra domanda e offerta
di lavoro: è un principio, fondato su una visione poco realistica
dell’immigrazione, che impedisce l’effettiva praticabilità di vie
legali per l’ingresso in Italia e condanna una larga parte dei
migranti all’irregolarità o all’inutile ricerca di una modalità di
uscita dall’ideale “parcheggio” in cui si trovano collocati. Si
tratta, del resto, di uno sconcertante indirizzo che si afferma
anche sul piano internazionale: la Gran Bretagna, ad es., ha
proposto nel 2004 la creazione di centri di trattenimento per
migranti irregolari da collocarsi all’esterno del territorio dell’Unione Europea, lungo le vie di transito dei flussi migratori, in
zone come l’Albania, centri che sarebbero da gestire ad opera di
organizzazioni internazionali;
— la disciplina del soggiorno comporterà l’abrogazione del
contratto di soggiorno; un assetto della normativa sui permessi di
soggiorno più elastica e meno afflittiva per i migranti; il passaggio
tendenziale delle relative competenze amministrative dall’autorità di polizia agli enti locali (comuni, soprattutto);
— sulle espulsioni, le competenze in materia oggi assegnate
al giudice di pace saranno riattribuite al giudice togato;
— per gli stranieri irregolari, saranno valorizzati meccanismi
di rimpatrio volontario e incentivato in varie forme;
— sui Centri di permanenza temporanea e di assistenza, il
disegno di riforma ne prevederà il ridimensionamento, limitando
il trattenimento nei CPTA ai casi di accertata pericolosità, ovvero
ai casi dei soggetti più inclini all’illegalità e di più elevata pericolosità;
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FEDERICA RESTA
157
— le norme penali e processual-penali collegate all’espulsione, segneranno una netta presa di distanza dal “diritto penale
speciale” dei migranti. Ciò appare indispensabile ove si pensi che,
dopo la decisione della Consulta, la legge del 2004, ha ripristinato
il meccanismo dell’arresto e del giudizio direttissimo obbligatori,
innalzando fino a livelli eccessivi le pene previste per i diversi
reati in tema di immigrazione, così provocando uno straordinario
incremento dei detenuti stranieri nel nostro sistema penitenziario: secondo le cifre fornite dal Ministro della Giustizia, solo nel
2005 più di undicimila immigrati sono entrati in carcere per i
reati “artificiali” collegati all’espulsione.
3. PROSPETTIVE
DI RIFORMA E RECENTI INNOVAZIONI NORMATIVE.
Dati questi elementi di forte criticità dell’attuale disciplina
penale — più in generale sanzionatoria — dell’immigrazione,
sono da accogliersi con favore alcune recenti sentenze, di organi
giurisdizionali italiani ovvero di giudici di ordinamenti sopranazionali, le cui affermazioni hanno contribuito in misura rilevante
alla interpretazione ‘costituzionalmente’ orientata della normativa in materia, o comunque ad una sua lettura ‘adeguatrice’,
maggiormente conforme con i diritti umani fondamentali, e con
il nucleo costitutivo dello jus cogens., Mi riferisco in primo luogo
(oltre alla citata sentenza della Consulta, n. 22/2007), alla recente
pronuncia della Corte europea dei diritti umani, la quale, adita in
relazione all’ammissibilità di un decreto di espulsione amministrativa disposto dal Ministro dell’Interno italiano ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 286/1998 e successive modificazioni, nei confronti
di due tunisini indagati per terrorismo internazionale, ha dichiarato la necessità di sospendere il provvedimento espulsivo, sulla
base del concreto rischio che, una volta rimpatriati, i due imputati potessero essere sottoposti a tortura o altri trattamenti inumani o degradanti, vietati dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Analoga questione — sebbene incentrata
su presupposti e parametri normativi diversi — è stata recentemente discussa dalla Corte regolatrice a sezioni unite, che ha
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
sancito la possibilità di sospensione delle misure espulsive avverso immigrati clandestini il cui allontanamento dall’Italia
avrebbe potuto pregiudicare l’equilibrio psicofisico dei relativi
figli, residenti nel nostro paese. Inoltre, la Corte di Giustizia delle
Comunità Europea con una sentenza del 31 gennaio 2006, ha
condannato il Governo Spagnolo per avere rifiutato l’ingresso di
due algerini, perché i loro nomi comparivano nel Sistema d’informazione Schengen (SIS), che li indicava come soggetti non
ammissibili. In sostanza si è detto, non basta un dato formale per
negare asilo e permesso di immigrazione, non basta l’inserimento
in una lista, anche se — come quella del SIS — prevista da una
Convenzione Internazionale. Sul terreno della giurisprudenza
costituzionale, si rileva l’interpretazione adeguatrice fornita in
più occasioni dalla Consulta, volta in particolare a contenere la
tendenza alla de-giurisdizionalizzazione che caratterizza la disciplina italiana in materia di immigrazione. Questa giurisprudenza
valorizza del resto la vocazione ‘internazionalista’ della nostra
Costituzione, che ha consentito di superare, per quanto concerne
i diritti e i doveri ivi sanciti, l’interpretazione restrittiva che
conferisce tali situazioni giuridiche ai soli « cittadini ». Fondamentale in proposito è la sentenza n. 120 del 1967, nella quale si
stabilisce che il principio di uguaglianza, sancito nell’articolo 3,
deve essere interpretato non in modo isolato ma secondo quanto
previsto dall’articolo 2 e 10, secondo comma, della stessa Costituzione, « il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri,
i diritti inviolabili dell’uomo, mentre l’altro dispone che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Ciò perché, se è
vero che l’articolo 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è
anche certo che il principio di uguaglianza vale pure per lo
straniero quando trattasi di rispettare quei diritti fondamentali ».
Quindi, secondo quanto stabilito dalla Corte, l’articolo 2 della
Costituzione « non può non essere implicitamente richiamato
come norma di garanzia dei diritti umani operanti anche nei
confronti dello straniero ». Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 104 del 1969 ha ribadito che il principio di ugua-
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FEDERICA RESTA
159
glianza « debba ritenersi esteso agli stranieri allorché si tratti della
tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, garantiti allo straniero
anche in conformità dell’ordinamento internazionale ».
L’elencazione dei diritti costituzionali che devono essere
garantiti anche agli stranieri è piuttosto ampia: dal diritto al
lavoro (articolo 4) al diritto alla libertà personale (articolo 13),
dalla libertà di domicilio (articolo 14) alla libertà di segretezza
della corrispondenza (articolo 15), dalla libertà di circolazione e
di espatrio (articolo 16) alla libertà di riunione (articolo 17), dalla
libertà di associazione (articolo 18) alla libertà di religione (articolo 19), dalla libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21)
al divieto di privazione per motivi politici della capacità giuridica
(articolo 22), dal diritto di difesa (articolo 24) al principio del
giudice naturale (articolo 25). Il riconoscimento di tutti questi
diritti agli stranieri dovrebbe rappresentare il nucleo fondativo
delle future riforme della disciplina dell’immigrazione.
In questa direzione, l’attuale Governo ha adottato numerosi
provvedimenti volti a riformare la disciplina dei diritti degli
stranieri, secondo lo stringente rispetto dei principi costituzionali
e del diritto internazionale e comunitario. L’azione del Governo
in questa materia si è articolata secondo i vari livelli delle fonti del
diritto, migliorando in primo luogo attraverso direttive e circolari
l’applicazione delle leggi esistenti: si pensi alla direttiva interministeriale sull’identificazione degli stranieri, o alla recente circolare del Ministero dell’Interno sui minori non accompagnati
richiedenti asilo, alle linee guide sull’informazione in tema di
tratta, alla circolare sull’art. 18, che sottolinea la necessità di
valutare, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, anche i
rischi concreti suscettibili di derivare, in ragione del rimpatrio nel
Paese di origine, al richiedente e ai suoi familiari.
Laddove invece, ai fini della più efficace garanzia dei diritti
degli stranieri, si è resa necessaria la modifica della legislazione
esistente, il Governo ha presentato in Parlamento disegni di legge
di riforma della normativa vigente (si pensi ai disegni di legge in
materia di contrasto dell’immigrazione clandestina, di sfruttamento del lavoro, al ddl sulla cittadinanza e al recente disegno di
legge delega per la riforma del testo unico sull’immigrazione),
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
ovvero anche schemi di decreti legislativi (sottoposti al parere
delle competenti commissioni parlamentari ove previsto dalla
legge delega),anche in attuazione di direttive comunitarie (ad es.,
i d.lgs. in tema di attribuzione della qualifica di rifugiato e
contenuto della protezione o di procedure per il riconoscimento
e la revoca dello status di rifugiato).
Di seguito se ne descriveranno alcuni.
4. I
RICONGIUNGIMENTI FAMILIARI.
Con il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, è stata recepita
la direttiva europea 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare. La nuova disciplina, oltre a razionalizzare e
semplificare le procedure, incide su alcune condizioni che limitavano o ostacolavano ingiustificatamente l’esercizio del diritto.
Chi è autorizzato dal Tribunale per i minorenni ad entrare o
rimanere sul territorio nazionale per assistere un minore potrà
esercitare un’attività lavorativa. È prevista una disciplina specifica
per il ricongiungimento familiare dei rifugiati. La pericolosità
dello straniero di cui si chiede il ricongiungimento è valutata con
riferimento alle circostanze concrete riferite al singolo straniero
interessato, comprese eventuali condanne, e non più collegata
automaticamente alla sussistenza di determinate condanne. Il
ricongiungimento dello straniero non potrà più essere negato
esclusivamente a causa della preesistenza di un decreto di espulsione. In sede di rifiuto, di revoca o di diniego di rinnovo del
permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto
al ricongiungimento ovvero dello straniero ricongiunto si tiene
conto dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo
soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami
con il Paese di origine, laddove finora il provvedimento di revoca
o diniego non consentiva alcuna discrezionalità, in mancanza dei
requisiti richiesti. Le medesime circostanze sono valutate anche
nell’adozione del provvedimento di espulsione amministrativa
per violazione delle norme sull’ingresso ed il soggiorno.
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5. CITTADINI
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STRANIERI SOGGIORNANTI DI LUNGO PERIODO.
Con il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, è stata recepita
la direttiva europea 2003/109/CE relativa allo status di cittadini
di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, con l’adeguamento
della normativa interna concernente i cittadini stranieri titolari di
carta di soggiorno e la sostituzione di tale carta di soggiorno con
il permesso per soggiornanti di lungo periodo, rilasciato alle
condizioni e con le modalità previste dalla normativa europea: i
cittadini stranieri otterranno lo status di soggiornante di lungo
periodo con una permanenza regolare in Italia di almeno 5 anni,
da dimostrare con permesso di soggiorno in corso di validità, a
differenza dei 6 anni previsti finora. Il permesso di lungo periodo,
che è rilasciato a tempo indeterminato, può essere revocato per
acquisto fraudolento, espulsione, pericolosità per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, assenza dal territorio dell’Unione
Europea per 12 mesi consecutivi o dopo 6 anni di assenza dal
territorio nazionale. Il provvedimento disciplina anche la posizione giuridica dei cittadini stranieri titolari di un permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da un
altro Stato membro.
Sempre in sede di attuazione di direttive europee il Consiglio
dei Ministri del 27 luglio 2007 ha approvato quattro decreti
legislativi concernenti l’ingresso per studio, per ricerca scientifica
e le norme minime per l’attribuzione della qualifica di rifugiato o
di persona comunque bisognosa di protezione internazionale
nonché per il relativo procedimento.
In particolare:
— il decreto di attuazione della direttiva 2004/114/CE (ingresso per studio, tirocinio e volontariato) disciplina, al fine di
agevolarla, la mobilità degli studenti tra i Paesi appartenenti
all’Unione, consentendo al cittadino straniero che abbia fatto
ingresso in un altro Paese dell’Unione per motivi di studio, di
entrare in Italia per proseguire tali studi ovvero per integrarli,
senza necessità di richiedere il visto di ingresso. Tale facoltà è
consentita nell’ambito di un programma di scambio comunitario
o bilaterale con il Paese di origine, ovvero quando lo straniero sia
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
stato autorizzato a soggiornare per almeno due anni, per motivi
di studio, in un altro Paese dell’Unione. Il provvedimento disciplina, altresì, l’ingresso del cittadino straniero per la partecipazione ad un programma di volontariato nell’ambito di un contingente fissato annualmente con un decreto interministeriale.
— il decreto di attuazione della direttiva 2005/71/CE (ingresso a fini di ricerca scientifica) dispone procedure semplificate
per l’ingresso, il soggiorno e la mobilità dei cittadini stranieri a
fini di ricerca. A tal fine il cittadino straniero deve essere selezionato da un istituto di ricerca, iscritto in un apposito elenco tenuto
dal Ministero per l’università e la ricerca. L’ingresso non è
vincolato alle quote per lavoro. È prevista la stipula tra l’istituto
di ricerca ed il ricercatore straniero di una convenzione di
accoglienza diretta a regolamentare il comune impegno di realizzare il progetto di ricerca. Il visto d’ingresso è rilasciato con
priorità rispetto ad altre tipologie di visto. Il relativo permesso di
soggiorno consente lo svolgimento della attività di ricerca nelle
forme del lavoro subordinato, autonomo o di borsa per addestramento alla ricerca nonché attività di insegnamento collegata
all’attività di ricerca a parità di condizioni con il cittadino italiano, ed ha durata pari a quella del programma di ricerca, con
possibilità di proroga se è prorogato il programma. Ai familiari
del ricercatore è rilasciato il permesso di soggiorno per motivi
familiari, indipendentemente della durata del permesso di soggiorno del ricercatore, sussistendo le condizioni e i requisiti
economici previsti in generale per il ricongiungimento. Al ricercatore straniero già regolarmente soggiornante ad altro titolo in
Italia può essere rilasciato un permesso di soggiorno per ricerca
scientifica, sussistendone le condizioni senza che sia necessario
ottenere il relativo visto di ingresso. Il provvedimento disciplina,
infine, la mobilità dei predetti ricercatori tra i Paesi dell’Unione,
consentendo l’ingresso in Italia, in esenzione di visto, allo straniero in possesso di un titolo di soggiorno per ricerca scientifica
rilasciato da altro Paese dell’Unione europea. L’attività di ricerca
è consentita anche in attesa del rilascio del permesso di soggiorno.
— il decreto di attuazione della direttiva 2004/83/CE (attri-
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FEDERICA RESTA
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buzione della qualifica di rifugiato e contenuto della protezione)
oltre a codificare, conformemente all’atto normativo europeo,
principi e criteri mutuati dalla Convenzione di Ginevra per
l’esame della richiesta di protezione internazionale e dunque già
obbligatori nel nostro ordinamento nazionale, individua una
“protezione sussidiaria” per il caso in cui, pur in assenza dei
presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, lo
straniero non può essere rimpatriato (principio del “non refoulement”) poiché correrebbe il rischio di un danno grave se rientrasse nel Paese di origine. Attualmente, in questi casi, viene
rilasciato, su richiesta della Commissione territoriale, soltanto un
permesso per motivi umanitari che non comporta l’attribuzione
di uno status particolare. La domanda di protezione internazionale è unica: sarà poi compito dell’autorità decidente accordare,
a seconda dei casi, lo status di rifugiato o quello connesso alla
protezione sussidiaria.
Le novità più significative attengono al contenuto dello status
e ai diritti riconosciuti, a cominciare dal riconoscimento del
diritto al ricongiungimento familiare per i titolari di protezione
sussidiaria, nonché del diritto all’assistenza sociale per i medesimi
protetti sussidiari e per i familiari che li accompagnano (coniuge
e figli) ma non hanno autonomamente diritto allo status, in
condizioni di parità con i cittadini italiani. Per quanto concerne
i rifugiati, ai quali la legislazione vigente già riconosce il diritto al
ricongiungimento familiare nonché l’assistenza sociale, viene
esteso il diritto alle prestazioni di assistenza sociale ai familiari
che lo accompagnano. L’accesso al pubblico impiego è riconosciuto soltanto ai rifugiati, con le modalità e le limitazioni previste
per i cittadini dell’Unione europea. Un articolo specifico è dedicato ai minori richiedenti la protezione internazionale. Sono, poi,
previste agevolazioni per il rilascio di un “titolo di viaggio” ai
titolari di protezione sussidiaria. Ai titolari dello status di rifugiato è rilasciato un permesso di soggiorno di durata quinquennale, rinnovabile. Ai titolari dello status di protezione sussidiaria
è rilasciato un permesso di soggiorno triennale, rinnovabile.
Infine, il decreto estende agli stranieri già titolari di un
permesso per motivi umanitari, rilasciato, nella vigenza della
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
normativa attuale, a seguito di richiesta della Commissione territoriale, i benefici connessi allo status di protezione sussidiaria,
sostituendo tale permesso, al momento del rinnovo, con quello
per protezione sussidiaria.
L’esclusione soggettiva dalla qualifica di rifugiato è prevista
inoltre in ragione della condanna per gravi reati commessi all’estero. Ai fini della individuazione dei reati ostativi, si è scelto di
fare riferimento ai limiti edittali della pena prevista per le corrispondenti fattispecie delittuose punite dalla legislazione nazionale (4-10 anni), al fine di fornire un criterio il più obiettivo
possibile. La soluzione alternativa — proposta ad esempio in
sede di esame dello schema di decreto dal Relatore del parere in
Ia Commissione alla Camera — di far riferimento all’elenco di
reati di cui all’articolo 407 del codice di procedura penale
comporta la conseguenza di non considerare come gravi alcuni
reati di gravissima rilevanza, tra cui devastazione e saccheggio per
finalità non politiche (articolo 419 codice penale); scambio elettorale politico e mafioso (416-ter), estorsione semplice (629 codice penale); associazione sovversiva semplice (270 codice penale); banda armata semplice (articolo 306); cospirazione politica
mediante associazione (articolo 305 codice penale); attentato
contro i capi di Stato esteri (articolo 295 codice penale); ed altri.
I limiti edittali stabiliti nella disposizione sono stati d’altronde
oggetto di attenta valutazione da parte del Governo, che ha
inteso comprendervi anche, per esempio, quelli per terrorismo.
— il decreto di attuazione della direttiva 2005/85/CE (procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato)
oltre a ribadire molti principi già presenti nella normativa vigente
(formazione del personale, comunicazioni rese in forma comprensibile per il richiedente, assistenza di un interprete, svolgimento del colloquio con determinate garanzie, nomina del tutore
per i minori non accompagnati ed accesso a immediata accoglienza) prevede una “procedura unica” per l’esame della domanda di protezione internazionale, comprendente l’istanza diretta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o
quello di persona ammissibile alla protezione internazionale.
Competenti all’esame delle domande di protezione internazio-
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FEDERICA RESTA
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nale rimangono le commissioni territoriali che assumono la nuova
denominazione di Commissioni territoriali per il riconoscimento
della protezione internazionale,. mentre la Commissione nazionale per il diritto di asilo ha poteri decisionali in materia di revoca
e cessazione degli status riconosciuti. La nuova disciplina accentua il carattere indipendente delle Commissioni attraverso una
serie di disposizioni sulla loro collocazione istituzionale e sulle
modalità di nomina dei componenti. Non viene riproposto l’istituto del riesame, già assegnato alla competenza della commissione territoriale integrata con un componente della Commissione nazionale, in considerazione della maggiore effettività
conferita dal testo normativo al rimedio giurisdizionale attraverso
l’effetto sospensivo collegato alla presentazione del ricorso giurisdizionale, in linea con la normativa europea e con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
È previsto il diritto all’assistenza ed alla rappresentanza legali
nonché l’ammissione al gratuito patrocinio in sede giurisdizionale.
Specifiche garanzie sono previste per i minori non accompagnati, in modo da tenere presente l’interesse superiore alla tutela
del minore, che in ogni fase della procedura può essere sottoposto, con il suo consenso, ad accertamenti medico sanitari al fine
di accertarne l’età: se tali accertamenti non si rivelano risolutivi,
si applicano comunque le disposizioni concernenti i minori.
In tema di accoglienza e di trattenimento, il provvedimento
ribadisce il principio generale, già presente nel nostro ordinamento, per cui il richiedente non può essere trattenuto per il solo
fatto di aver presentato domanda di asilo. In considerazione della
necessità di offrire comunque ospitalità ai richiedenti asilo, sono
disciplinati i casi in cui è disposta l’accoglienza in appositi centri,
introducendo modifiche sostanziali rispetto alle attuali previsioni.
In particolare l’accoglienza è prevista per l’ipotesi in cui si renda
necessario verificare la nazionalità o l’identità del richiedente e
per il tempo strettamente necessario per l’identificazione e comunque non superiore a venti giorni. L’accoglienza è altresì
disposta per il tempo necessario all’esame della domanda, e
comunque per un periodo non superiore a trentacinque giorni,
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
quando il richiedente è stato fermato per aver eluso il controllo
alla frontiera o subito dopo, pur se destinatario di un provvedimento di respingimento, o dopo essere stato fermato in condizione di soggiorno irregolare ovvero se destinatario di un provvedimento di espulsione perché si è sottratto ai controlli di
frontiera o si è trattenuto sul territorio in condizioni di soggiorno
irregolare. Le modalità di permanenza nel centro sono demandate ad un regolamento di attuazione della legge sulla base delle
previsioni contenute nella legge stessa che assegnano al richiedente comunque la facoltà di uscire dal centro nelle ore diurne e
prevedono condizioni di ospitalità che garantiscano in ogni caso
il rispetto della dignità della persona e l’unità del nucleo familiare.
Il trattenimento dello straniero nei centri di permanenza
temporanea e assistenza è previsto invece unicamente per i
richiedenti condannati per i delitti indicati dall’articolo 380 del
codice di procedura penale ovvero condannati per reati relativi
agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ovvero al reclutamento di persone da
destinare ad attività illecite. Il richiedente è trattenuto altresì se
destinatario di un provvedimento di espulsione poiché appartiene ad una delle categorie indicate nella normativa nazionale in
materia di misure di prevenzione personali ovvero un provvedimento di espulsione adottato ai sensi della normativa antiterrorismo. Rispetto alla legislazione vigente il trattenimento nei CPT
non viene più disposto per i soggetti destinatari di un provvedimento di espulsione in quanto fermati sul territorio nazionale in
condizione di irregolarità o per aver eluso o tentato di eludere i
controlli alla frontiera.
Nel caso in cui la domanda sia stata presentata da uno
straniero proveniente da un Paese “sicuro” la domanda non può
in ogni caso essere rigettata per tale motivo senza previo esame
dei gravi motivi addotti dal richiedente per non ritenere sicuro
quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova.
Per quanto concerne le procedure di impugnazione davanti al
Giudice ordinario, è garantita l’effettività del rimedio giurisdizionale prevedendosi, a differenza della normativa vigente, la so-
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FEDERICA RESTA
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spensione dell’efficacia del provvedimento impugnato (sulla base
del principio sancito dalla Consulta, sia pur relativamente alla
disciplina di cui al d.lgs. 286/1998 e succ. mod.) tranne per i
ricorsi avverso le domande inammissibili (perché lo straniero è
già stato riconosciuto come rifugiato in un altro Paese firmatario
della Convenzione di Ginevra ovvero abbia reiterato identica
domanda già esaminata senza addurre nuovi elementi) ovvero nei
casi in cui il richiedente sia trattenuto in un centro di permanenza
temporanea ovvero si trovi in un centro di accoglienza in quanto
destinatario di un provvedimento di espulsione nonché nel caso
in cui si sia allontanato dal centro senza giustificato motivo. In tali
ipotesi l’effetto sospensivo è subordinato alla presentazione, contestualmente al deposito del ricorso, di un’istanza di sospensione
del provvedimento impugnato, su cui il tribunale decide nei
cinque giorni successivi al deposito.
6. ELIMINAZIONE
DEI PERMESSI BREVI.
L’eliminazione del permesso di soggiorno per soggiorni inferiori a tre mesi e la sua sostituzione con una dichiarazione di
presenza, in conformità al diritto comunitario, è stata inserita in
un decreto legge approvato dal C.d.M. il 17 novembre 2006.
Tuttavia, la previsione, che eliminava anche l’obbligo dell’ospitante di comunicare l’ospitalità dello straniero, è stata espunta
dalla legge di conversione. Il Parlamento ha poi approvato una
proposta parlamentare (Sinisi-Bianco) che elimina il permesso
per soggiorni brevi solo per turismo, visite, studio e affari (legge
28 maggio 2007, n. 68).
7. IL
DIRITTO DEI CITTADINI DELL’UNIONE E DEI LORO FAMILIARI DI
CIRCOLARE E DI SOGGIORNARE LIBERAMENTE NEL TERRITORIO DEGLI
STATI
MEMBRI (D.LGS.
307/2007).
Il decreto legislativo in esame, predisposto in attuazione della
delega di cui alla legge comunitaria 2004, allegato b), costituisce
l’atto normativo di recepimento e implementazione della direttiva
comunitaria 2004/38, in materia di diritto dei cittadini del-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
l’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La direttiva modifica il
regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga numerose direttive
precedenti, rappresentando quindi una sorta di Testo Unico che,
come precisato nel Considerando 3 della stessa, codifica e rivede
gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di
lavoratori subordinati, di lavoratori autonomi, studenti ed altre
persone inattive al fine di valorizzare e agevolare l’esercizio del
diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini
dell’Unione. Le fonti normative di disciplina del diritto di libera
circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione sono
costituite dall’articolo 18 del Trattato istitutivo delle Comunità
europee, dall’art. 45 della Carta di Nizza, e per il diritto comunitario derivato, dalla direttiva 2004/38. La libertà di circolazione
e soggiorno è generalmente qualificata come il nucleo forte della
cittadinanza europea in quanto essa costituisce la premessa per
l’esercizio di altri diritti riconosciuti, espressamente o implicitamente, al cittadino comunitario (diritto di esercitare un’attività
economica, diritto di acquistare beni immobili, di donare, di
stipulare contratti etc.). Si tratta di un diritto in continua espansione, il cui contenuto si concretizza nella libertà riconosciuta al
cittadino europeo di circolare (espatriare e rimpatriare) e di
stabilirsi (risiedere stabilmente o soggiornare) liberamente in
qualsiasi Stato dell’Unione.
Il decreto disciplina quindi l’ambito soggettivo ed oggettivo
di fruibilità del diritto di circolazione e soggiorno nei Paesi UE
(estendendolo anche ai familiari, come intesi dall’art 2 della
direttiva, di cittadinanza extracomunitaria, di un cittadino UE,
nonché, a determinate condizioni, ai soggetti legati da particolari
relazioni affettive, di convivenza o di assistenza, al cittadino UE:
artt. 2 e 3); le modalità di svolgimento dei procedimenti amministrativi volti ad ottenere la carta di soggiorno temporaneo e
permanente (artt. da 4 a 19); i limiti all’esercizio del diritto di
soggiorno e circolazione, per ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, sanità pubblica, carenza dei presupposti di legittimazione (artt. 20 e 21); i provvedimenti di allontanamento dei
familiari, nonché i ricorsi avverso tali provvedimenti (art. 22).
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FEDERICA RESTA
8. IL
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CONTRASTO ALLO SFRUTTAMENTO DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA.
Il disegno di legge approvato dal C.d.M. il 17 novembre
2007, così come emendato dal Senato, intende approntare rimedi
efficaci contro lo sfruttamento dei lavoratori non soltanto stranieri. Viene introdotta, all’interno dei delitti contro la personalità
individuale, una nuova fattispecie di reato (art. 603-bis c.p.)
“Grave sfruttamento dell’attività lavorativa”) che punisce con la
reclusione da tre ad otto anni e con la multa di euro 9.000, per
ogni lavoratore impiegato, chi recluta o organizza l’attività lavorativa sottoponendo i lavoratori a grave sfruttamento mediante
violenza, minaccia o intimidazioni sottoponendoli a condizioni
lavorative caratterizzate da gravi violazioni di norme contrattuali
o di legge ovvero ad un trattamento personale, connesso alla
organizzazione e gestione delle prestazioni, degradante. La pena
è aumentata se tra le persone occupate vi sono minori o stranieri
irregolarmente soggiornanti. La qualifica di straniero irregolarmente soggiornante rappresenta dunque il presupposto applicativo di una circostanza aggravante (indefinita) e non un elemento
costitutivo della fattispecie-base, che sarebbe altrimenti ‘a vittima
qualificata’.
La norma pertanto ha carattere generale essendo diretta a
colpire il fenomeno del “caporalato” indipendentemente della
nazionalità delle vittime. Alla condanna per il delitto in esame
conseguono sanzioni accessorie come l’incapacità a contrattare
con la pubblica amministrazione, la perdita di agevolazioni e
finanziamenti nazionali e comunitari e la sospensione dell’attività
dell’unità produttiva. Al lavoratore straniero vittima di tale reato,
per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, è
rilasciato, ricorrendone le condizioni, il permesso per protezione
sociale di cui all’articolo 18 del T.U. in materia di immigrazione
che rappresenta un importante strumento per sfuggire ai trafficanti e consente una piena integrazione in quanto può essere
convertito in permesso per lavoro o per studio.
Viene rimodulata la fattispecie contravvenzionale a carico del
datore di lavoro che occupa uno straniero irregolarmente soggiornante escludendo comunque la pena detentiva per il datore
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
di lavoro domestico, non imprenditore, che occupi non più di
due lavoratori stranieri irregolarmente soggiornanti (per non
rischiare di colpire pesantemente le famiglie che utilizzano badanti). previsto un incremento delle sanzioni per chi utilizza
lavoratori stranieri irregolarmente soggiornanti usufruendo dello
strumento della intermediazione abusiva di manodopera prevista
dalla “legge Biagi”, anche con il sequestro preventivo del luogo di
lavoro ove sia occupato anche un solo lavoratore straniero.
9. LA REPRESSIONE DEL FAVOREGGIAMENTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA.
Il C.d.M. del 12 ottobre 2006 ha approvato un disegno di
legge, attualmente, all’esame della Camera dei deputati, che
attraverso la modifica dell’art. 12 del T.U. immigrazione, mira a
potenziare le misure di repressione nei confronti dei cosiddetti
“scafisti”. Il disegno di legge in esame, composto da quattro
articoli, interviene nella materia del contrasto al favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, disciplinata dall’articolo 12 del
testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e
succ. mod. Nella relazione introduttiva si evidenzia l’esistenza di
un problema di inquadramento del fenomeno dell’immigrazione
come problema complesso e non esclusivamente di ordine pubblico. Fenomeno che, come tale, presenta la necessità di approcci
plurimi, anche nell’ottica di un ripensamento complessivo della
prospettiva di politica del diritto sottesa alla disciplina della
presenza dello straniero in Italia.
In attesa di un intervento organico in materia di immigrazione (di cui all’AC 2976, c.d. disegno di legge delega ‘AmatoFerrero’), il disegno di legge in esame mira a dare una risposta
all’emergenza costituita dai massicci sbarchi di clandestini. Esso
è stato presentato a seguito di uno degli innumerevoli sbarchi
avvenuti lungo le coste siciliane a partire dall’estate scorsa. Il
disegno di legge è diretto a modificare l’apparato sanzionatorio,
e la disciplina sostanziale e processuale del testo unico sull’immigrazione, con l’obiettivo di rafforzare le misure di prevenzione
e contrasto del favoreggiamento dell’immigrazione illegale.
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FEDERICA RESTA
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In particolare, l’articolo 1 modifica in più punti l’articolo 12
del testo unico sull’immigrazione.
La lettera a) sostituisce il comma 1 di tale articolo, ridefinendo il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
attraverso una specificazione delle condotte che integrano la
fattispecie. Oltre al compimento di « atti diretti a procurare
illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato » (come previsto
attualmente), il disegno di legge aggiunge la condotta di chiunque
promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di
stranieri nel territorio dello Stato, quale condotta alternativa
idonea ad integrare gli estremi del reato in esame. La condotta
del compimento di « atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel
territorio dello Stato di uno straniero » delinea una tipica ipotesi
di reato a forma libera: realizza la condotta costitutiva del delitto
chiunque ponga in essere un’attività lato sensu riconducibile al
concetto di aiuto.
La Corte di cassazione ha in proposito affermato che per
« attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio
dello Stato in violazione della legge » non devono intendersi
soltanto quelle condotte specificamente dirette a consentire l’arrivo e lo sbarco degli stranieri, ma anche quelle, immediatamente
successive a tale ingresso, intese a garantire la buona riuscita
dell’operazione, la sottrazione ai controlli della polizia, l’avvio dei
clandestini verso località lontane dallo sbarco e, in genere, tutte
quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione con le
attività direttamente e in senso stretto collegabili all’ingresso dei
clandestini.
La Corte ha poi sostenuto che il reato (in quanto ‘reato di
pericolo’) non richiede, per il suo perfezionamento (trattandosi
di reato a forma libera ed a consumazione anticipata, con un’evidente anticipazione della soglia di rilevanza penale), che l’ingresso illegale sia effettivamente avvenuto. Inoltre, trattandosi di
un reato di pericolo (sia pure concreto, secondo l’interpretazione
prevalente), è sufficiente ad integrarlo la condotta diretta a
procurare l’ingresso illecito dello straniero dall’Italia nel territorio di uno Stato confinante, del quale egli non sia cittadino o non
abbia titolo di residenza permanente, a nulla rilevando né la
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
durata di tale ingresso, né la destinazione finale del trasferimento.
Il disegno di legge mantiene la fattispecie di emigrazione clandestina e conferma la reclusione da 1 a 5 anni in relazione alle
condotte illecite sopra descritte. Per quanto riguarda, invece, la
pena pecuniaria, fissa in 15.000 euro per ogni clandestino cui si
sia favorita l’immigrazione l’entità della multa, eliminando,
quindi, ogni valutazione discrezionale da parte del giudice. Il
testo vigente, infatti, prevede una multa fino a 15.000 euro a
persona, lasciando, quindi, al giudice il compito di fissare l’entità
della sanzione nel limite sopra indicato.
La lettera b) modifica il comma 3 dell’articolo 12 del Testo
Unico. L’attuale formulazione punisce il reato di sfruttamento
dell’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che —
come i cosiddetti « scafisti » — al fine di trarre profitto, anche
indiretto, compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel
territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare
l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è
cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è
la reclusione da quattro a quindici anni e la multa di 15.000 euro
per ogni persona.
Il ddl trasforma il comma 3 in una ipotesi aggravata del reato
di cui al comma 1, in quanto punisce con pena detentiva più
elevata (reclusione da 5 a 15 anni, anziché da 1 a 15 anni) la
medesima condotta descritta dal comma 1 nel caso in cui ricorrano determinate circostanze. Si tratta di circostanze che, con
l’aggiunta di quella prevista dalla lettera e), nel testo vigente
dell’articolo 12, costituiscono circostanze aggravanti dei due
diversi reati previsti dai commi 1 (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e 2 (sfruttamento dell’immigrazione clandestina).
Tali circostanze ricorrono quando il fatto riguarda l’ingresso
o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più
persone (lett. a), la persona trasportata è stata esposta a pericolo
per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso
o la permanenza illegale (lett. b), la persona trasportata è stata
sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne
l’ingresso o la permanenza illegale (lett. c), il fatto è commesso da
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FEDERICA RESTA
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tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi
internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti ovvero quando gli autori
del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti (lett.
e).
Secondo il comma 3-bis, introdotto dalla lettera c) del comma
1, dell’articolo 1 del disegno di legge, se i fatti di cui al comma 3
sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle
lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista
è aumentata.
Il comma 3-ter, introdotto dalla lettera d), comporta un
ulteriore aumento della pena detentiva (la pena da 5 a 15 anni è
aumentata da un terzo alla metà) e di quella pecuniaria (passa da
15.000 a 25.000 euro per ogni persona) se i fatti di cui al comma
3 (ipotesi aggravata del comma 1) sono commessi al fine di
reclutare persone da destinare alla prostituzione o, comunque,
allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l’ingresso di minori
da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento
(lettera a) ovvero al fine di trarne profitto, anche indiretto (lettera
b).
Tale finalità, sia pure senza il riferimento all’ipotesi indiretta,
attualmente costituisce il contenuto del dolo specifico che caratterizza il reato di sfruttamento della immigrazione clandestina, di
cui al vigente comma 3 dell’articolo 12 del Testo Unico, e che,
proprio in quanto oggetto del dolo specifico, non deve necessariamente realizzarsi. Quest’ultima modifica si è resa necessaria
alla luce delle difficoltà frequentemente emerse, sul piano probatorio, nel dimostrare la sussistenza del dolo specifico, che
determinava spesso una derubricazione della fattispecie criminosa, con tutte le relative conseguenze in materia sanzionatoria e
cautelare.
Il ddl unifica quindi i due reati attualmente previsti dai
commi 1 (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e 2
(sfruttamento dell’immigrazione clandestina) nel reato previsto
dal nuovo comma 1. Il nuovo comma 3 costituisce una ipotesi
aggravata del comma 1. I commi 3-bis e 3-ter costituiscono ipotesi
ulteriormente aggravate di quella prevista dal comma 3. Oltre a
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
disposizioni di natura sostanziale, il testo del Governo contiene
anche disposizioni di natura processuale. La lettera e) del comma
1, sostituisce il comma 4 dell’articolo 12, che attualmente prevede
per i delitti di immigrazione clandestina l’arresto in flagranza, la
confisca del mezzo di trasporto, e il giudizio direttissimo laddove
non si rendano necessarie speciali indagini.
Con la nuova formulazione il ddl prevede che per i delitti di
cui ai commi 1 e 3 sia obbligatorio l’arresto in flagranza.
In relazione all’originaria formulazione del comma 4 dell’articolo 12, mentre la confisca è ora disciplinata dal successivo
comma 4-ter, viceversa, viene meno la previsione di obbligatorietà del giudizio direttissimo.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge si
precisa che è stata espunta la previsione dell’obbligo di procedere
con rito direttissimo in quanto « tale norma appare confliggere
con la complessità dell’attività investigativa correlata a queste
ipotesi delittuose ed appare asistematica rispetto alla previsione
dell’articolo 233 delle norme di attuazione del codice di procedura penale. Si ritiene peraltro che la previsione dell’arresto
obbligatorio in flagranza già consentirà l’utilizzo « ordinario » del
suddetto rito alternativo mediante l’applicazione degli articoli
449 e seguenti del codice di rito, senza necessità di introdurre
ulteriori deroghe alla disciplina generale ».
L’articolo 1, comma 1, lettera f), introduce il comma 4-bis
dell’articolo 12 del Testo Unico.
Alla base del ddl è sottesa l’idea che il gravissimo allarme
sociale e le devastanti perdite di vite umane cagionate dalla
condotta dei cosiddetti « scafisti » rendessero necessario un ripensamento dei criteri di proporzionalità e di adeguatezza nella
scelta delle misure cautelari, imponendo nei casi aggravati una
sorta di « presunzione de jure di sussistenza di gravissime esigenze cautelari », in modo del tutto analogo a quanto previsto in
tema di criminalità organizzata. Il testo proposto prevede, quindi,
di mutuare l’attuale formulazione dell’articolo 275, comma 3, del
codice di procedura penale, rendendo di regola applicabile la
misura cautelare custodiale qualora vi siano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui al comma 3 dell’articolo 12,
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salvo che non risulti dagli elementi acquisiti l’assenza di esigenze
cautelari, proprio in considerazione delle efferate modalità con
cui viene posta in essere la condotta criminosa in esame. L’articolo 275, comma 3, del codice di rito configura infatti, al
sussistere di gravi indizi di colpevolezza in relazione a determinati
reati di particolare gravità (articolo 416-bis del codice penale), la
misura cautelare della custodia in carcere come l’unico strumento
di tutela idoneo a soddisfare le esigenze cautelari previste dall’articolo 274: a) pericolo di inquinamento delle prove; b) pericolo di
fuga; c) pericolo di compimento di nuovi delitti. In tal modo è
venuta delineandosi una sorta di presunzione di adeguatezza che,
limitatamente ad alcune ipotesi delittuose, ha sostituito l’originaria configurazione della custodia in carcere come extrema ratio da
disporre esclusivamente nelle ipotesi di inadeguatezza delle altre
forme di intervento a fini cautelari. In presenza, quindi, di
determinate fattispecie di reato il legislatore ritiene che l’unica
misura cautelare adeguata sia la restrizione in carcere, ferma
restando, ovviamente, la sussistenza del presupposto dei gravi
indizi di colpevolezza in relazione ai medesimi reati e sempre che
non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono
esigenze cautelari. La Corte costituzionale ha affermato che, se da
un lato, possono essere previste delle ipotesi dove la scelta della
misura da applicare viene effettuata « in termini generali dal
legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza e del
corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti », sottraendo al giudice la valutazione in ordine al « quomodo della
cautela », dall’altro lato, « la sussistenza in concreto di una o più
delle esigenze cautelari prefigurate dalla legge (l’an della cautela)
comporta, per definizione, l’accertamento, di volta in volta, della
loro effettiva ricorrenza ».
L’articolo 2 del disegno di legge inserisce la fattispecie di cui
al comma 3 dell’articolo 12 del testo unico tra quelle previste dal
n. 7-bis) della lettera a) del comma 2 dell’articolo 407, del codice
di rito, relativo ai termini di durata massima delle indagini
preliminari. In ragione di tale novella, le indagini preliminari per
i delitti di cui al comma 3 possono durare due anni anziché per
diciotto mesi. Tale ampliamento è diretto a consentire lo svolgi-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
mento di investigazioni spesso complesse, in quanto volte a
contrastare fenomeni internazionali che richiedono l’attivazione
di procedure anche di cooperazione internazionale.
Inoltre, in considerazione del richiamo dell’articolo 303 alla
lettera a) del comma 2 dell’articolo 407, si ottiene anche un
prolungamento della durata massima della custodia cautelare,
che nella fase delle indagini preliminari è aumentata da sei mesi
ad un anno.
10. L’ACQUISTO
DELLA CITTADINANZA.
Il disegno di legge approvato dal C.d.M. il 4 agosto 2006
abbassa il requisito minimo per ottenere la cittadinanza da dieci
a cinque anni di residenza legale (come già accade in Francia,
Gran Bretagna e Stati Uniti). Altro requisito fondamentale è la
verifica della integrazione linguistica e sociale dello straniero.
Sarà, altresì, italiano il bambino che nasce da genitori stranieri in
italia da almeno cinque anni ovvero da genitori stranieri di cui
almeno uno sia nato in Italia e vi risieda legalmente, senza
interruzioni, da almeno un anno, così come il bambino nato
oppure entrato in Italia entro il quinto anno di età che vi risieda
legalmente fino al raggiungimento della maggiore età.
11. DISEGNO DI LEGGE DELEGA PER LA MODIFICA DELLA DISCIPLINA
DELL’IMMIGRAZIONE E DELLE NORME SULLA CONDIZIONE DELLO STRANIERO.
Il disegno di legge, approvato dal C.d.M. il 24 aprile 2007 e
presentato alla Camera dei Deputati ove è stato assegnato alla I
Commissione si propone di:
1) favorire l’incontro “regolare” tra la domanda e l’offerta di
lavoro straniero, rendendo il collegamento tra soggiorno e lavoro
più realistico e rispondente alle esigenze delle imprese e delle
famiglie;
2) creare una corsia preferenziale per l’accesso di lavoratori
qualificati;
3) adeguare la durata del permesso di soggiorno alla realtà
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FEDERICA RESTA
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del mondo del lavoro e renderne meno gravosi per l’Amministrazione e per l’immigrato i procedimenti di rinnovo;
4) potenziare le misure dirette all’integrazione degli immigrati;
5) rendere effettivi i rimpatri incentivando la collaborazione
dell’immigrato.
Per raggiungere i predetti obiettivi, il disegno di legge prevede una programmazione triennale anziché annuale delle quote
massime di stranieri da ammettere ogni anno sul territorio nazionale. La flessibilità del sistema sarà comunque garantita dalla
possibilità di revisione annuale dei flussi attraverso una procedura più snella. Nel definire le quote di lavoratori da assegnare ad
ogni Regione, si tiene conto anche dell’impegno profuso dai
rispettivi territori negli investimenti in programmi di istruzione e
formazione professionale nei Paesi di origine.
Per agevolare l’ingresso di lavoratori altamente qualificati, si
prevede una revisione delle procedure, categorie e tipologie di
lavoratori che possono entrare al di fuori delle quote.
Per quanto concerne i lavoratori generici, rimarrà la possibilità della chiamata per conoscenza diretta, che, tuttavia, in assenza di altri canali di reclutamento, ha penalizzato l’immigrazione regolare favorendo quella clandestina. Accanto alla
chiamata nominativa, pertanto, sarà messo a punto un sistema di
liste, tenute da una serie di soggetti (enti e organismi nazionali e
internazionali; autorità dei Paesi di origine) e trasmesse alle
rappresentanze diplomatiche e consolari a cui potranno iscriversi
i lavoratori stranieri: si introdurrà così una sorta di collocamento
all’estero per lavoratori stranieri. prevista, inoltre, la costituzione
di una banca dati delle richieste di ingresso per lavoro e delle
offerte di lavoro da utilizzare transitoriamente fino alla attivazione delle liste.
Sempre nell’ottica di favorire l’incontro per vie legali tra
domanda e offerta di lavoro, si introduce la figura dello sponsor,
per consentire, da un lato, allo straniero di entrare regolarmente
in Italia per cercare lavoro, (sempre nell’ambito delle quote
previste dalla programmazione sui flussi); dall’altro, al datore di
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
lavoro italiano di assumere dopo aver impiegato in prova il
lavoratore.
Il ruolo di sponsor è stato pensato per enti e organismi
istituzionali, come le Regioni e gli Enti locali, per le associazioni
imprenditoriali e professionali, per quelle sindacali e per gli
istituti di patronato. Ma sarà fissata anche una quota destinata
alla cosiddetta “autosponsorizzazione” del cittadino straniero in
possesso di adeguate risorse finanziarie nonché alla possibilità di
richiesta nominativa, limitatamente ad una richiesta per anno, da
parte di un cittadino italiano ovvero comunitario o da parte di un
cittadino straniero in possesso del permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo.
Sono previste, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’adesione
agli accordi di Schengen, misure di semplificazione delle procedure per il rilascio dei visti, e, soprattutto misure di semplificazione per il rilascio di nulla osta, permessi di soggiorno e rinnovi.
Innanzitutto sarà allungata la durata dei permessi di soggiorno.
Quelli legati a lavori a tempo determinato saranno rilasciati per
un anno per rapporti di lavoro di durata pari o inferiore a sei mesi
ovvero per due anni per rapporti di lavoro di durata superiore a
sei mesi (non, come avviene oggi, per una durata pari a quella del
relativo contratto di lavoro); quelli rilasciati per contratti a tempo
indeterminato o autonomo saranno invece rilasciati per tre anni.
Il rinnovo del permesso sarà rilasciato per un periodo pari al
doppio di quello previsto per il primo rilascio. Presso i Comuni
saranno istituiti sportelli per presentare le richieste e ritirare il
documento e, dopo una congrua fase transitoria, si prevede il
passaggio ai Comuni medesimi della competenza per i rinnovi dei
permessi.
La durata del permesso di soggiorno “per attesa occupazione” rilasciato allo straniero che ha perso il posto di lavoro,
anche per dimissioni, con cui lo straniero si iscrive ai centri per
l’impiego, sarà estesa ad un anno rinnovabile per un altro se lo
straniero dimostra di disporre di un reddito adeguato. Qualora,
infine, lo straniero usufruisca di uno degli istituti previsti in
materia di ammortizzatori sociali, il permesso di soggiorno potrebbe essere rinnovato per lo stesso periodo. Si prevedono anche
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FEDERICA RESTA
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misure dirette a consentire l’assunzione di un cittadino straniero,
già titolare di un permesso per lavoro subordinato da almeno
diciotto mesi, che abbia perso la regolarità del soggiorno a
seguito di cessazione del suo ultimo rapporto di lavoro.
I permessi umanitari, oggi rilasciati dal questore, saranno
rilasciati dal prefetto, sentiti il questore ed il Consiglio territoriale
per l’immigrazione, anche a favore dello straniero che dimostri
spirito di appartenenza alla comunità civile e non sia pericoloso
per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Previa ratifica del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a
Strasburgo il 5 febbraio 1992, si prevede l’attribuzione dell’elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative a favore
degli stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo alle modalità di esercizio e alle condizioni
previste per i cittadini dell’Unione europea.
Per favorire l’inserimento sociale e civile dei minori stranieri,
con il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari
allo straniero che, al compimento della maggiore età, risulti a
carico di uno o entrambi i genitori, tenuto conto del reddito degli
stessi. Viene poi prevista la conversione, al compimento della
maggiore età, del permesso di soggiorno, rilasciato al minore
straniero non accompagnato, che abbia partecipato ad un progetto di accoglienza, in altre tipologie di permesso di soggiorno,
compresa quella per accesso al lavoro. Presso il Ministero della
solidarietà sociale sarà istituito un “Fondo nazionale di accoglienza e tutela a favore dei minori stranieri non accompagnati”
per il finanziamento dei progetti di accoglienza. In caso d’incertezza sulla minore età dello straniero, saranno disposti gli opportuni accertamenti medico-sanitari e, ove tali accertamenti non
consentano l’esatta determinazione dell’età, si applicheranno comunque le disposizioni relative ai minori.
Sempre in tema di integrazione sono previste misure in favore
delle seconde generazioni nonché delle donne e per potenziare
l’intermediazione culturale.
Si abbassa a due anni il soggiorno regolare sul territorio
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
sufficiente per maturare il diritto alle provvidenze di assistenza
sociale (attualmente è riservato ai lungosoggiornanti).
Per rendere effettive le espulsioni, si introducono programmi
specifici di “rimpatrio volontario e assistito”, ai quali potranno
accedere gli immigrati che collaborano alla propria identificazione, con l’istituzione di un “Fondo nazionale rimpatri”, destinato a finanziarli, che sarà alimentato con i contributi dei datori
di lavoro e degli sponsor. Per ottenere la collaborazione dell’immigrato sarà introdotto anche un sistema premiale fondato sulla
riduzione dei tempi del divieto di reingresso in Italia. Le sanzioni
saranno graduate in funzione della gravità e reiterazione delle
violazioni nonché dei motivi dell’espulsione.
Il trattenimento in strutture non sarà, come avviene ora,
conseguenza automatica del decreto di espulsione, ma riguarderà
solo i casi in cui, in assenza di collaborazione dell’immigrato,
occorre procedere alla sua identificazione, comunque con una
riduzione dei tempi oppure per il tempo strettamente necessario
a rendere eseguibile l’espulsione con accompagnamento coattivo
(ad esempio temporanea indisponibilità del vettore). In questo
modo si avrà una netta riduzione dei soggetti trattenuti nei Centri
e un cambio della stessa missione di questi ultimi. Considerando
anche un sostanziale adeguamento strutturale dei CPT, conforme
alle nuove esigenze e alle indicazioni che sono venute dalla
Commissione De Mistura, si potrà così considerare “superata”
l’esperienza dei Centri come li abbiamo conosciuti finora. Al loro
posto ci saranno un limitato numero di strutture per le espulsioni,
destinati a una platea molto più contenuta rispetto ad oggi. e
strutture di accoglienza vera e propria riservate al soccorso dei
clandestini sbarcati o comunque individuati in condizioni irregolari e di bisogno. Queste strutture assicureranno l’assistenza
necessaria, le pratiche sanitarie indispensabili a garantire la salute
pubblica e la definizione delle rispettive posizioni giuridiche. Per
la gestione di entrambe le tipologie di strutture sono previste
forme di collaborazione con gli enti locali, le AA.SS.LL., le
associazioni umanitarie e la più assoluta trasparenza con una
specifica regolamentazione dei diritti fondamentali della persona
trattenuta e una disciplina dell’accesso alle stesse allargata anche
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agli organi di informazione e di stampa, nel rispetto della riservatezza dei cittadini stranieri e senza pregiudizio della funzionalità dei servizi.
Il disegno di legge prevede, infine, disposizioni che mirano a
tutelare le vittime di riduzione in schiavitù, tratta e violenza.
La lettera e) prevede, poi, che, in armonia con quanto
stabilito dal capitolo C della Convenzione sulla partecipazione
degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo
il 5 febbraio 1992, e ratificata dall’Italia con legge 8 marzo 1994,
n. 203, per i soli capitoli A e B, si estenda l’elettorato attivo e
passivo per le elezioni amministrative agli stranieri che hanno
ottenuto nel nostro Paese un permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo, consentendo l’esercizio di tale
diritto secondo le modalità e le condizioni già previste per i
cittadini dell’Unione europea. È necessario, pertanto, procedere,
prima dell’approvazione della legge delega, alla ratifica del predetto capitolo C della citata Convenzione internazionale, in modo
che, in ossequio all’articolo 10 della Costituzione, nella regolamentazione della condizione dello straniero si possa disciplinare
l’elettorato in armonia al trattato internazionale ratificato.
La lettera f) richiede che “conformemente alla normativa
europea, la disciplina delle cause ostative all’ingresso o al soggiorno sul territorio nazionale si fondi su di una valutazione
individuale e non ricollegata automaticamente alla sussistenza di
determinati presupposti”. In tal senso, la legge delega dovrebbe
normare le cause ostative all’ingresso e al soggiorno, rivedendo se
del caso l’attuale previsione delle condanne per determinate
categorie di reati (come quelli indicati nell’art. 380 cod. proc.
pen.) quali clausole ostative all’ingresso e al soggiorno, perché il
connesso rifiuto di ingresso e/o di rilascio o di rinnovo o di
revoca del permesso di soggiorno (art. 4 T.U. in combinato
disposto con l’art. 5 T.U.) sottende un automatismo rigido, che
priva la valutazione con un margine sufficiente di discrezionalità
della meritevolezza dei presupposti, relativi al caso concreto. La
norma di cui all’art. 380 c.p.p., sull’arresto obbligatorio in flagranza, ricomprende infatti delitti dal disvalore penale assai
diverso, spesso unificati nella disciplina non tanto in ragione del
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
loro disvalore, quanto per ragioni probatorie o per evitare il
pericolo di fuga. Sarebbe inoltre possibile per la legge delegasulla base del suddetto principio — fondare la disciplina delle
cause ostative all’ingresso o al soggiorno sul territorio nazionale
sull’esigenza di una valutazione il più possibile individualizzata
che tenga conto non solo dell’assenza di condanne per particolari
delitti, ma anche di parametri relativi all’assenza di pericolosità
sociale della persona. Inoltre, la legge delega potrebbe prevedere
l’irrilevanza, ai fini de quibus, di condanne per le quali vi è stata
applicazione del beneficio della sospensione condizionale della
pena, che presuppone una valutazione positiva in ordine alla
personalità del soggetto, nonché di condanne a pena pecuniaria
(anche a titolo di sanzione sostitutiva di pena detentiva), quale
indice di ridotto disvalore sociale della condotta. Si potrebbe
inoltre valorizzare il positivo svolgimento, da parte della persona
già detenuta, di un percorso positivo di reinserimento, ad es.
anche attraverso la partecipazione a progetti di assistenza e
integrazione sociale previsti dall’art. 18 T.U. o la fruizione di
misure alternative alla detenzione, tali da consentire lo svolgimento di attività lavorativa. La legge delega potrebbe altresì
disporre espressamente l’applicabilità delle norme della legge sul
procedimento amministrativo e sull’azione amministrativa (legge
n. 241/1990, come modificata ed integrata dalle leggi n. 15 e
80/2005) anche ai procedimenti in esame. Ancora, in merito ai
provvedimenti di revoca, annullamento o diniego di rinnovo dei
permessi di soggiorno, seguendo la giurisprudenza della Consulta, la legge delega potrebbe prevedere espressamente una
sospensione ex lege dell’espulsione a seguito della proposizione
di ricorso giurisdizionale, con termine fissato per la decisione del
giudice, per consentire allo straniero di esercitare il proprio
diritto alla difesa, scongiurando ogni ipotesi di procedimento in
absentia., Nei casi di diniego di rilascio del primo permesso di
soggiorno o espulsione non preceduta da richiesta di rilascio del
titolo di soggiorno, la sospensione potrebbe essere valutata dal
giudice in via cautelare e tenendo conto anche degli elementi
indicati dal ricorrente e delle possibilità di acquisizione di uno
status regolare.
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Particolarmente significativi, per le prospettive di politica del
diritto che vi sono sottese, sono i principi e i criteri direttivi di cui
alle lettere g), h), q), di seguito riportati.
g) rendere effettivi i rimpatri, graduando le misure d’intervento, anche al fine di migliorare il contrasto dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina, incentivando la collaborazione, a tale fine, dell’immigrato, attraverso:
1) la previsione di programmi di rimpatrio volontario e
assistito indirizzati anche a cittadini stranieri non espulsi privi dei
necessari mezzi di sussistenza per il rientro nei Paesi di origine o
di provenienza, finanziati da un « Fondo nazionale rimpatri », da
istituire presso il Ministero dell’interno, alimentato con contributi a carico dei datori di lavoro, degli enti o delle associazioni,
dei cittadini che garantiscono l’ingresso degli stranieri e degli
stranieri medesimi;
2) la differenziazione della durata del divieto di reingresso
per gli stranieri espulsi in considerazione della partecipazione ai
programmi di rimpatrio di cui al numero 1), nonché dei motivi
dell’espulsione;
3) la rimodulazione delle scelte sanzionatorie correlate alla
violazione delle disposizioni in materia di immigrazione mediante
la previsione di un meccanismo deterrente graduale, anche con
riferimento al tipo di sanzione da irrogare, amministrativa o
penale, in relazione alla gravità e alla reiterazione delle violazioni,
nonché ai motivi dell’espulsione;
4) la riconduzione, per i casi in cui si preveda il ricorso alla
sanzione penale, delle procedure correlate alla violazione delle
disposizioni in materia d’immigrazione nell’alveo degli istituti e
dei princìpi stabiliti in via generale dai codici penale e di procedura penale;
5) la revisione delle modalità di allontanamento, con sospensione dell’esecuzione per gravi motivi, tenendo conto della natura
e della gravità delle violazioni commesse ovvero della pericolosità
per l’ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato dello straniero
espulso;
6) l’attribuzione delle competenze giurisdizionali al giudice
ordinario in composizione monocratica;
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
h) superare l’attuale sistema dei centri di permanenza
temporanea e assistenza, promuovendone e valorizzandone le
funzioni di accoglienza, di soccorso e di tutela dell’unità familiare
e modificando la disciplina relativa alle strutture di accoglienza,
nonché il sistema di trattenimento degli stranieri irregolari, in
modo da assicurare comunque sedi e strumenti efficaci per
l’assistenza, il soccorso e l’identificazione degli immigrati e il
rimpatrio di quanti sono legittimamente espulsi attraverso:
1) la revisione delle caratteristiche strutturali e gestionali
delle strutture finalizzate all’accoglienza, al soccorso, con particolare attenzione alla tutela delle esigenze di rispetto e protezione
dei nuclei familiari con minori, e all’identificazione degli stranieri
presenti irregolarmente sul territorio nazionale e privi di mezzi di
sostentamento per il tempo strettamente necessario a tali fini,
prevedendo misure di sicurezza strettamente limitate e proporzionate in relazione alle loro finalità, con un congruo orario di
uscita per gli stranieri già identificati o anche non identificati, per
ragioni a loro non imputabili, dopo un congruo termine per le
operazioni d’identificazione, e con l’individuazione di forme di
gestione in collaborazione con gli enti locali, le aziende sanitarie
locali e le associazioni o le organizzazioni umanitarie, intese ad
assicurare un’informazione specifica sulle procedure di asilo,
sulla normativa vigente in materia di tratta e di grave sfruttamento del lavoro, nonché sulle modalità di ingresso regolare nel
territorio nazionale e sui programmi di rimpatrio volontario e
assistito;
2) l’introduzione di procedure amministrative per identificare gli stranieri durante l’esecuzione di misure idonee a incidere
sulla libertà personale, finalizzate a escludere la necessità di un
successivo trattenimento a tale fine;
3) la previsione di strutture per le espulsioni destinate esclusivamente al trattenimento dei cittadini stranieri da espellere che
si sono sottratti all’identificazione, con congrua riduzione del
periodo di permanenza, e l’utilizzo delle medesime strutture per
il tempo strettamente necessario nei confronti dei cittadini stranieri identificati o che collaborano fattivamente alla loro identificazione, quando non è possibile eseguire con immediatezza
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l’espulsione con accompagnamento coattivo, con la previsione di
forme di gestione delle strutture per le espulsioni anche mediante
la collaborazione e la previsione dei servizi di cui al numero 1),
nonché la specifica regolamentazione dei diritti fondamentali
della persona trattenuta;
4) la revisione della disciplina delle visite ai cittadini stranieri
e dell’accesso alle strutture di cui ai numeri 1) e 3), prevedendo
in particolare l’accesso dei familiari dei cittadini stranieri regolarmente identificati, del sindaco, del presidente della provincia e
del presidente della regione, nei cui territori è collocata la
struttura, o di consiglieri o assessori, del responsabile delle
associazioni che per finalità statutarie forniscono servizi di orientamento, informazione e tutela per cittadini stranieri, nonché di
rappresentanti degli organi di informazione e di stampa, nel
rispetto della riservatezza dei cittadini stranieri e senza pregiudizio della funzionalità dei servizi;
q) favorire un’adeguata tutela delle vittime di riduzione o di
mantenimento in schiavitù o in servitù, delle vittime di tratta,
delle vittime di violenza o di grave sfruttamento e garantire il loro
accesso ai diritti previsti dalla normativa vigente attraverso:
1) la revisione della disciplina delle espulsioni che tenga
conto della necessità di sospendere il provvedimento di espulsione nei casi in cui vi siano fondati elementi per ritenere che lo
straniero sia stato assoggettato a una situazione di violenza e di
grave sfruttamento nel territorio nazionale;
2) la revisione della disciplina e della procedura di ricongiungimento familiare che consenta l’adozione di procedure accelerate e la semplificazione dei requisiti quando i familiari dello
straniero che sia stato vittima di tratta o di grave sfruttamento
corrano rischi per la loro incolumità in ragione dell’assoggettamento alla situazione di violenza o di grave sfruttamento di cui lo
straniero stesso è vittima;
3) l’esclusione della punibilità per i reati e per le infrazioni
relativi alla condizione di soggiorno illegale, per mancata ottemperanza all’ordine di espulsione, commessi dallo straniero in
condizioni di assoggettamento alla violenza e al grave sfruttamento.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
In considerazione delle difficoltà riscontrate nel rendere effettive le espulsioni, soprattutto per i problemi collegati all’identificazione dell’immigrato, la lettera g) mira a incentivare la
collaborazione a tale fine degli stranieri, graduando le misure
d’intervento. A tale scopo viene istituito il « Fondo nazionale
rimpatri », presso il Ministero dell’interno, destinato a finanziare
programmi di rimpatrio volontario e assistito, alimentato con
contributi dei datori di lavoro, dei garanti che fanno da sponsor,
nonché degli stranieri medesimi. A tali programmi potranno
accedere anche gli stranieri non espulsi che non hanno i mezzi
per rientrare nel proprio Paese. Per ottenere la collaborazione
dell’immigrato si prevede anche un sistema premiale fondato
sulla riduzione del divieto di reingresso normalmente conseguente al decreto di espulsione, sul quale inciderà anche la
maggiore o minore gravità dei motivi di espulsione.
Si prevede, inoltre, la revisione della disciplina dell’allontanamento, rapportata alla gravità delle violazioni commesse e alla
pericolosità dello straniero, con possibilità di sospensione dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento per gravi motivi.
In generale è prevista la revisione della disciplina sanzionatoria per violazione delle disposizioni in materia di immigrazione,
con il superamento del cosiddetto « diritto speciale » dello straniero, il cui trattamento va ricondotto ai princìpi dei codici
penale e di procedura penale, con un meccanismo deterrente
graduale in relazione alla gravità e alla reiterazione delle violazioni e ai motivi dell’espulsione, anche alla luce della recente
sentenza della Corte costituzionale (n. 22 del 2007), che ha
sottolineato l’esistenza di « squilibri, sproporzioni e disarmonie,
tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i
princìpi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della
pena e con la finalità rieducativa della stessa ».
La competenza giurisdizionale nella materia sarà riportata al
giudice ordinario in composizione monocratica, in considerazione dell’incidenza della normativa in esame sui diritti fondamentali della persona. Tale principio direttivo — di assoluta
importanza, anche sotto il profilo simbolico-performativo —
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potrebbe fondare una previsione, in sede di legge delega, volta ad
unificare la giurisdizione su tutti i provvedimenti relativi alla
condizione giuridica dello straniero, oggi divisa in due giurisdizioni e davanti a tre giudici differenti (rispettivamente il giudice
amministrativo, il giudice di pace ed il tribunale ordinario).
Il principio direttivo di cui al numero 4) potrebbe inoltre
indurre il legislatore delegato al riordino, in conformità alla
riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 Cost. , di tutti i tipi di
procedimenti di adozione degli attuali provvedimenti amministrativi di espulsione, prevedendo che ogni tipo di provvedimento di espulsione che non sia già disposto dall’autorità giudiziaria e che sia da eseguirsi con accompagnamento alla frontiera
a cura delle forze di polizia, sia adottato con ordinanza motivata,
ricorribile in Cassazione.
Quanto alla lettera h), essa prevede, tenendo conto delle
conclusioni della relazione della Commissione De Mistura, il
superamento dell’attuale sistema dei CPT, valorizzandone la
funzione di accoglienza e di soccorso e di tutela dell’unità
familiare (attualmente, il trattenimento nei cpt configura una
sorta di “incidente di esecuzione” dell’accompagnamento immediato alla frontiera, mediante il quale deve eseguirsi il provvedimento di espulsione o il provvedimento di respingimento disposto dal Questore). A tale fine si prevede poi la revisione delle
caratteristiche strutturali e gestionali delle strutture finalizzate
all’accoglienza, al soccorso, con particolare riguardo per i nuclei
familiari con minori, e alla identificazione degli stranieri irregolari
e privi di mezzi di sostentamento per il tempo necessario a tali
fini, con misure di sicurezza strettamente proporzionate alle
finalità perseguite e con la previsione di un congruo orario di
uscita per gli stranieri, con modalità differenziate a seconda che
lo straniero sia stato o meno già identificato. Per la gestione di tali
strutture, ma anche per i CPT, si prevedono anche forme di
collaborazione con gli enti locali, le aziende sanitarie locali e le
associazioni od organizzazioni umanitarie, al fine di informare gli
stranieri sulle procedure di asilo, sulla normativa in materia di
tratta e di grave sfruttamento del lavoro, nonché sulle modalità di
ingresso e di rimpatrio.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
È prevista, poi, l’introduzione di nuove procedure per consentire l’identificazione dello straniero in carcere, al fine di evitare
la necessità di un successivo trattenimento a tale fine. Tutto ciò
allo scopo dell’utilizzo residuale degli attuali CPT, peraltro alcuni
già in fase di chiusura, solo per gli stranieri da espellere che si
sono sottratti all’identificazione, con congrua riduzione dei tempi
del trattenimento, ovvero per gli stranieri identificati o che
collaborano fattivamente alla loro identificazione, quando non è
possibile eseguire con immediatezza tale accompagnamento e per
il tempo strettamente necessario e in misura ulteriormente ridotta. La nuova normativa, con riguardo a tutte le strutture
esaminate, dovrà contenere una specifica regolamentazione dei
diritti fondamentali degli stranieri trattenuti e una disciplina
dell’accesso, in particolare dei familiari dei cittadini stranieri,
oltre che dei rappresentanti degli enti territoriali e delle associazioni che forniscono servizi di informazione e di tutela per
cittadini stranieri, nonché degli organi di informazione e di
stampa, nel rispetto della riservatezza e delle esigenze di funzionalità delle strutture.
12. LA
DIRETTIVA INTERMINISTERIALE IN MATERIA DI IDENTIFICAZIONE E
ESPULSIONE DEGLI STRANIERI ARRESTATI O DETENUTI.
Tale direttiva (risalente al 30 luglio 2007) permette l’identificazione in carcere dei detenuti extracomunitari da espellere e
rende più efficiente il sistema dei rimpatri.
Si introducono, infatti, nuove procedure che, attraverso una
più stretta collaborazione tra le autorità carcerarie e le forze di
polizia, consentiranno l’espletamento di tutte le pratiche necessarie all’identificazione durante la permanenza in carcere degli
extracomunitari. Una volta ottenuta l’identificazione il detenuto
sarà poi trasferito in un penitenziario quanto più possibile vicino
al luogo di partenza del vettore prescelto. E da qui, al momento
della scarcerazione — che sarà comunicata con debito anticipo
dalle autorità carcerarie alla Questura — lo straniero sarà rimpatriato.
Si intende così rendere più efficiente il sistema delle espul-
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sioni, che si è dimostrato, almeno a partire dall’anno 2003, molto
poco efficace proprio per la difficoltà a identificare i soggetti da
allontanare. E si alleggerirà, nello stesso tempo, la pressione sui
Cpt, dove questi soggetti venivano destinati al momento della
scarcerazione per essere identificati (con un tempo massimo di 60
giorni, dopo essere stati in carcere spesso per anni).
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PAOLA PELLEGRINO
L’ASSISTENZA LEGALE
AL RICHIEDENTE ASILO. CASISTICA
1. La nostra Costituzione, all’art. 10 comma 3, stabilisce che
« lo straniero al quale sia impedito nel proprio paese l’esercizio
delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana ha
diritto di asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge ».
Tuttavia, una legislazione organica di attuazione diretta del
principio costituzionale non è stata ancora messa a punto. Concernono però la materia talune norme del d.lgs. 25 luglio 2998, n.
286 (art. 5 comma 6) (1), successivamente più volte modificato, il
regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello
status di rifugiato di cui al d.P.R. 16 settembre 2004 n. 303 e il
d.lgs. 30 maggio 2005 n. 140, che attua la direttiva 2003/9/CE,
che fanno espresso riferimento non al diritto di asilo, ma allo
status di rifugiato.
Peraltro, l’art. 2 lett. a) del d.lgs. n. 140 del 2005, che
recepisce la direttiva della Comunità Europea sovra indicata,
fornisce una definizione del richiedente asilo in questi termini:
“Si definisce richiedente asilo lo straniero richiedente lo status di
rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951
relativa allo status di rifugiato, così come modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, resa esecutiva in Italia
con la legge 24 Luglio 1954 n. 722”.
(1) L’art. 5, comma 6, d.lgs. 286/1998 così recita: « In nessun caso può disporsi
l’espulsione od il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto
di persecuzione per motivi di razza, sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere
rinviato verso un altro stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione ».
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Il d.lgs. 286/98 contiene due norme riferite alla condizione
giuridica del rifugiato: l’art. 19, che si richiama al divieto di
respingimento previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra
del 1951 e al divieto di espulsione del rifugiato di cui all’art. 32
della stessa Convenzione, e l’art. 29, che prevede che il rifugiato
sia esonerato, rispetto all’immigrato, dall’obbligo di presentazione della documentazione richiesta per il nulla osta al ricongiungimento familiare.
Prima dell’introduzione del d.P.R. 303/2004, che regola attualmente le procedure per il riconoscimento dello status di
rifugiato, lo straniero (ove per straniero si intende il cittadino di
Stati non appartenenti alla Unione Europea), appena fatto ingresso sul territorio nazionale, una volta inoltrata la domanda per
la richiesta del riconoscimento del diritto di asilo o dello status di
rifugiato alla Questura competente per territorio, veniva poi
sentito dalla Commissione Centrale per il riconoscimento dello
status di rifugiato con sede in Roma e alla quale spettava decidere
su siffatte domande. Nelle more della procedura, peraltro non
innovata sul punto, al richiedente veniva (e viene) rilasciato un
permesso di soggiorno per richiesta asilo con durata a termine,
rinnovabile fino alla convocazione dell’interessato per l’esame
della domanda.
A tal proposito, occorre sottolineare che la legge 30 luglio
2002, n. 132 (c.d. Bossi-Fini), all’art. 32, comma 1, ha introdotto
(nel d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni,
nella l. 28 febbraio 1990, n. 39 ) la previsione per cui il Questore,
al quale è presentata la predetta domanda, ha facoltà di disporre
il trattenimento del richiedente presso un centro di identificazione od un centro di permanenza temporanea in tre casi: quando
sia necessario verificare o determinare la nazionalità del richiedente, quando occorra verificare gli elementi su cui si basa la
domanda di asilo e quando sia pendente il procedimento concernente il riconoscimento del diritto ad essere ammesso sul
territorio dello Stato. In due casi il Questore dispone obbligatoriamente il trattenimento: quando la domanda è presentata dallo
straniero fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli
alla frontiera e quando lo straniero, che ha presentato la do-
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PAOLA PELLEGRINO
193
manda, sia già stato in precedenza destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento.
In precedenza, la Commissione Centrale esaminava la domanda, sentiva l’interessato e decideva: o di riconoscere lo status
di rifugiato, se riteneva che sussistessero i presupposti stabiliti
dalla Convenzione di Ginevra e dal Protocollo di New York, o di
rigettare la domanda, esprimendo un diniego al riconoscimento;
tuttavia, in questa seconda ipotesi, valutando le conseguenze del
rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle convenzioni
internazionali ed in particolare dell’art. 3 CEDU, di riconoscere
al richiedente un permesso di soggiorno per motivi umanitari
(art. 5, comma 6, del T.U. sull’immigrazione).
In caso di diniego, il destinatario del provvedimento aveva la
possibilità di richiedere un riesame della domanda davanti allo
stesso organo amministrativo che l’aveva pronunciato, oppure di
ricorrere impugnando tale decisione di diniego, in sede di volontaria giurisdizione, davanti al Giudice ordinario.
Con l’art. 12 del d.P.R. 303/2004, sono state poi istituite 7
Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di
rifugiato (Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone,
Trapani), che esaminano le istanze presentate nelle circoscrizioni
territoriali. Questa più recente normativa prevede, dunque, che la
Commissione Territoriale proceda all’audizione del richiedente
asilo entro 30 giorni dalla trasmissione della documentazione
relativa da parte della Questura e che la decisione venga poi
adottata entro i successivi tre giorni.
La procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato
davanti alle Commissioni Territoriali è analoga a quella che si
svolgeva davanti alla Commissione Nazionale e con le stesse
possibilità di soluzione: accoglimento dell’istanza con relativo
riconoscimento dello status di rifugiato, diniego con possibilità di
riesame, ma solamente nel breve termine di cinque giorni dalla
notifica del diniego oppure riconoscimento di un permesso di
soggiorno per motivi umanitari.
L’art. 21 del d.P.R. 303/2004 ha previsto l’istituzione di una
“costola” della Commissione Centrale, divenuta in seguito alle
modifiche Commissione Nazionale per il riconoscimento dello
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
status di rifugiato, e cioè la Commissione Nazionale sezione
stralcio. che esamina tutte le domande presentate prima dell’introduzione del regolamento di attuazione. Questa Commissione
sta ancora esaminando le domande presentate con la procedura
in vigore prima del 21 aprile 2005.
Poiché le controversie giudiziarie a seguito di diniego sono
numerose, la Commissione Nazionale Stralcio, in accordo con il
Capo Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione, in
via di autotutela, sta procedendo all’esame di tutti i casi di
contenziosi pendenti, richiedere alle varie Questure il rilascio di
un permesso di soggiorno per motivi umanitari subordinato alla
rinuncia da parte del richiedente asilo agli atti del giudizio in
corso, con conseguente cessazione della materia del contendere.
In sede di attuazione operativa delle Commissioni Territoriali
e della Commissione Nazionale Stralcio, la Commissione Centrale ha continuato ad occuparsi delle domande di riesame
avverso i dinieghi del riconoscimento dello status da essa emanati.
2. Fatta questa doverosa premessa, intenderei illustrate qui le
conseguenze del diniego del riconoscimento della domanda di
rifugiato da parte delle Commissioni, facendo riferimento alla
mia personale esperienza di avvocato.
Il provvedimento di diniego viene, dunque, inviato alla Questura territorialmente competente e viene notificato all’interessato: in alcuni casi, unitamente al provvedimento di diniego,
viene notificato al richiedente anche il decreto di espulsione con
l’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale entro
quindici giorni.
In questa ipotesi, può procedersi nei seguenti modi: predisporre un ricorso al Tribunale ordinario in via di volontaria
giurisdizione, iscrivendo la causa a ruolo, e, nel contempo,
impugnare, con un ricorso ex art. 13, comma 8, della d.lgs.
286/98, il provvedimento di espulsione davanti al giudice di pace
entro 60 giorni dalla sua notifica (è appena il caso di ricordare
che, in base al d.l. 29 dicembre 2007, n. 249, poi decaduto, che
prevedeva misure urgenti in materia di espulsioni e di allontana-
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PAOLA PELLEGRINO
195
menti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, in materia di espulsioni non sarebbe stato più competente
il Giudice di Pace, ma il Tribunale ordinario in composizione
monocratica). Tale modo di procedere trascura però la possibilità
di richiedere in prima battuta alla stessa Commissione Nazionale,
che abbia emesso il provvedimento, un riesame del caso con un
ricorso corredato da tutta la documentazione esistente e comprovante il buon diritto del richiedente. Occorre però avvertire come
la via del ricorso alla autorità giudiziaria del luogo in cui dimorava il ricorrente si sia rivelato non percorribile in seguito alla
pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n. 11211 del 26
maggio 2005 sez.1), che ha dichiarato l’incompetenza dei Tribunali locali ove il diniego fosse pervenuto dalla Commissione
Nazionale a favore della competenza del Foro Giurisdizionale di
Roma, ove ha sede l’organo che ha emanato il provvedimento (2).
Sul punto delle competenze periferiche, è intervenuta invece
un’altra ordinanza della Corte di Cassazione (sez. 1 n. 10028 del
28 aprile 2006), che ha affermato la competenza del Tribunale nel
cui circondario ha sede la Commissione territoriale che ha adot-
(2) Corte Suprema di Cassazione, sez. I, ord. n. 11211 del 26 maggio 2005 “Il
ricorso dello straniero avverso il diniego di asilo politico emesso dalla Commissione
Centrale per i rifugiati (nel vigore del regime di cui all’art. 1 del d.l. 30 dicembre 1989
n. 416 convertito in legge 28 febbraio 1990 n.39, e sino alla data di applicabilità delle
disposizioni di cui all’art. 32 della legge 30 luglio 2002, n. 189 che, introducendo nel
testo del citato d.l. n. 416 del 1989 gli articoli da 1-bis a 1-septies, ha istituito,
nell’ambito della procedura semplificata per le richieste formulate dagli stranieri
ristretti per identificazione in centri di permanenza temporanea ed assistenza, commissioni territoriali e previsto la competenza del tribunale territorialmente competente data coincidente, ai sensi dell’art. 34 della stessa legge, con l’entrata in vigore del nuovo
regolamento previsto dal citato art.1-bis, comma 3, d.l. n. 416 del 1989) rientra nella
competenza per materia del tribunale ai sensi dell’art. 9 cod. proc. civ., trattandosi di
controversia avente ad oggetto lo “status” del richiedente, e nella competenza territoriale, ai sensi dell’art. 25 cod. proc. civ. del Tribunale di Roma, luogo in cui ha sede il
soggetto convenuto, che è l’Amministrazione centrale dello Stato, senza che possa
prendersi in considerazione l’ipotesi del foro del luogo nel quale è stata presentata
l’istanza e nel quale la Commissione ha effettuato le proprie audizioni decentrate ed ha
assunto e comunicato la decisione negativa, attese l’assenza di una soggettività giuridica
della Commissione(mero organo del Ministero dell’Interno) e l’impossibilità di ridurre
lo “status” ad oggetto di una obbligazione ex art. 1182 cod. civ.”.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
tato la decisione contestata e non quella del Tribunale distrettuale.
Personalmente ho seguito in diversi casi la strada del ricorso
immediato davanti alla Commissione Nazionale, che aveva pronunciato il diniego, richiedendo il riesame con modalità del tutto
analoghe ad un ricorso ordinario, cioè con completezza di elementi sia in fatto, sia in diritto, e producendo documentazione
con richiesta di nuova audizione dell’esaminato con l’assistenza
del difensore. In quattro casi, è bastata la notifica alla Commissione Nazionale del ricorso per ottenere per i miei assistiti, due
curdi e due liberiani, il riconoscimento del permesso di soggiorno
per motivi umanitari.
Un altro caso, che ricordo volentieri, è relativo ad un diniego
da parte della Commissione territoriale di Milano su una richiesta
di un cittadino turco di etnia curda. In quell’occasione, era stato
notificato al ricorrente anche il decreto di espulsione, per cui ho
inoltrato richiesta di riesame alla Commissione territoriale entro
cinque giorni dalla notifica del provvedimento (tali sono i termini
per poter chiedere riesame e sul punto vorrei sottolineare come
tale termine sia troppo breve, perché in così poco tempo non è
sempre possibile reperire tutta la documentazione necessaria per
redigere un ricorso completo con documentazione ed esposizione
dei fatti adeguate): Ho poi depositato un ricorso davanti al
Tribunale di Milano, territorialmente competente, sezione volontaria giurisdizione, per richiedere il riconoscimento al mio assistito del diritto di asilo e/o dello status di rifugiato e, nello stesso
ricorso, ho richiesto, con un provvedimento di urgenza ex art.
700 c.p.c., il rilascio un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ho quindi impugnato l’espulsione dinnanzi al Giudice di
Pace di Genova, competente in quanto il richiedente risiedeva a
Genova e l’espulsione stessa era stata disposta dal Prefetto di
Genova. Ho ottenuto l’annullamento dell’espulsione altresì un
permesso di soggiorno per motivi umanitari dalla Commissione
territoriale di Milano ci aveva convocati per il riesame.
Il ricorrente non ha poi più voluto coltivare la causa, preferendo rimanere con il solo permesso di soggiorno per motivi
umanitari, anche se, a mio parere, ci sarebbero state ottime
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PAOLA PELLEGRINO
197
probabilità di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il motivo per cui tanti richiedenti lo status di rifugiato poi
rinunciano alla causa sta nel fatto che ritengono e sperano in cuor
loro che, con il permesso di soggiorno per motivi umanitari,
possano fare rientro in patria per trovare i familiari, mentre con
uno status di rifugiato ciò non sarebbe possibile.
Da ultimo, mi sono occupata di alcune cause di diniego
provenienti dalla già ricordata Commissione Nazionale Sezione
Stralcio. Purtroppo, i casi che sto seguendo davanti a questa
Commissione, riguardavano richiedenti che non avevano in
precedenza instaurato una causa davanti al Giudice ordinario,
ma erano solo stati destinatari di un diniego da parte della
Commissione stralcio: a vantaggio di costoro, ho ritenuto comunque di predisporre un ricorso tendente al riesame, richiedendo, anche se ciò non è previsto dall’art. 17 del regolamento,
la presenza di un difensore, allegando la violazione dell’art. 24
della Costituzione, poiché ritengo che il diritto di difesa debba
essere garantito anche in un procedimento amministrativo, come
quello in questione, che ha ad oggetto diritti fondamentali della
persona.
Vorrei infine ricordare che il Consiglio dei Ministri del 9
novembre 2007 ha approvato, su proposta del Ministero degli
interni, due decreti legislativi in materia di asilo che recepiscono
due direttive comunitarie: la 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della
qualifica di rifugiato o di persona altrimenti-bisognosa di protezione internazionale nonché norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta e la 2005/85/CE, recante norme minime
per le procedure applicate negli stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Il primo di
questi due decreti prevede la possibilità di esercitare il diritto di
asilo attraverso la richiesta di protezione internazionale. La
novità consiste nel fatto che l’autorità preposta all’esame può
riconoscere lo status di rifugiato, se ritiene che vi siano i
presupposti previsti dalla Convenzione di Ginevra, oppure la
protezione sussidiaria in considerazioni delle gravi conseguenze
a cui verrebbe sottoposto il richiedente asilo in caso di rientro
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
nel paese di origine (3). La particolarità di questo permesso di
soggiorno, che ha durata triennale, rinnovabile previa verifica
delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della
protezione sussidiaria, consiste nel fatto che è considerato un
permesso di soggiorno convertibile in permesso di soggiorno per
motivi di lavoro e di studio (art. 23 c. 2 del decreto legislativo).
Infine, l’art. 34, comma 4, del d.lgs. 151/2007 prevede una
novità interessante in materia di rifugiati e cioè che al titolare di
permesso di soggiorno per motivi umanitari, ottenuto prima
dell’entrata in vigore del decreto legislativo di cui si tratta, è
rilasciato al momento del rinnovo il permesso di soggiorno per
protezione umanitaria il che comporta un notevole vantaggio in
quanto abbiamo visto che questo tipo di permesso di soggiorno
ha durata triennale ed è convertibile in permesso di soggiorno per
motivi di lavoro subordinato e/o autonomo. Il comma 5 del
medesimo articolo dispone che ai titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari siano riconosciuti gli stessi diritti
stabiliti dal decreto per i titolari dello status di protezione sussidiaria: ciò che, a mio parere, apre la strada alla conversione di tali
permessi di soggiorno, qualora vi siano i requisiti richiesti, in
permessi di soggiorno per motivi di lavoro.
(3) Cfr. l’art. 14 d.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 “Ai fini del riconoscimento della
protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano
o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; c) la minaccia grave e
individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata
in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
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MAURIZIO GUAITOLI
IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO
E DEL DIRITTO DI ASILO
SOMMARIO: 1. Quadro normativo. — 2. Problematiche emerse. — 2.1. Riconoscimento
della protezione umanitaria. — 2.2. Ambiti di applicazione dell’art. 17 del d.P.R.
n. 303/2004 — 2.3. Riconoscimento e mantenimento dello status per cittadini
neo-comunitari. — 2.4. Il diritto d’asilo, a norma dell’art. 10 cost. — 3. L’impatto
della normativa comunitaria sul diritto d’asilo. — 4. Brevi cenni sul nuovo Sistema
Informativo (S.I.) sull’Asilo.
1. QUADRO
NORMATIVO.
La genesi degli organi collegiali per il riconoscimento del
diritto d’asilo, in applicazione dei principi della Convenzione di
Ginevra del 1951, ha inizio con la Commissione paritetica di
eleggibilità, istituita con decreto interministeriale del 12 gennaio
1989, successivamente trasformata in Commissione centrale per il
riconoscimento dello status di rifugiato, in base al d.l. 30 dicembre
1989, n. 416, alla quale la legge affidava il compito di:
1. esaminare le richieste per il riconoscimento dello status di
rifugiato, procedendo all’audizione del richiedente asilo, qualora
l’interessato ne avesse fatto esplicita richiesta. In quella sede, era
previsto che il richiedente potesse esprimersi nella propria lingua,
sempre che almeno un membro della Commissione ne fosse a
conoscenza. In alternativa, l’asilante poteva esprimersi in una
delle lingue francese, inglese o spagnolo, ovvero, in carenza, la
Commissione aveva facoltà di farsi assistere da un interprete;
2. disporre d’ufficio l’audizione del richiedente, con le garanzie di cui al punto 1.) precedente;
3. pronunziarsi sulle richieste d’asilo nei 15 gg. successivi al
ricevimento della domanda;
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
4. rilasciare allo straniero, riconosciuto rifugiato, un apposito
certificato.
In base al punto 4) precedente, poi, il questore era tenuto a
rilasciare allo straniero in possesso del certificato un permesso di
soggiorno nel territorio nazionale.
Al contrario, in caso di diniego, il richiedente era tenuto a
“lasciare il territorio dello Stato, nel rispetto dei limiti di cui all’art.
7, comma 6, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, salvo che
venga ad esso concesso un permesso di soggiorno ad altro titolo.,”
In ogni caso, veniva fatto salvo il principio di “non-refoulement”,
stabilito dal c. 10 dell’art. 7 del d.l. 416/89, che non consentiva né
l’espulsione, né il respingimento alla frontiera dello straniero
verso uno Stato ove potesse essere oggetto di persecuzione per
motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero potesse rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non
fosse protetto dalla persecuzione.
La Commissione centrale per il riconoscimento dello status di
rifugiato era :
— nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta congiunta dei Ministri dell’interno e degli
affari esteri;
— presieduta da un prefetto;
— composta da:
— un funzionario dirigente in servizio presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri;
— un funzionario del Ministero degli affari esteri con qualifica non inferiore a consigliere di legazione;
— due funzionari del Ministero dell’interno, di cui uno
appartenente al Dipartimento della pubblica sicurezza ed uno
alla Direzione generale dei servizi civili, con qualifica non inferiore a primo dirigente o equiparata.
Alle riunioni della Commissione era chiamato a partecipare,
con funzioni consultive, un rappresentante del Delegato in Italia
dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Inoltre, la legge prevedeva che, tenuti fermi i criteri per la
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MAURIZIO GUAITOLI
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composizione della Commissione Centrale, il Presidente del Consiglio dei Ministri potesse costituire più sezioni, anche per aree
geografiche di provenienza dei richiedenti il riconoscimento.
Nell’ipotesi della costituzione di più sezioni, era prevista
l’istituzione di un Consiglio di Presidenza, tenuto a fissare le
direttive e i criteri di massima per le attività delle sezioni,
composto dai presidenti delle singole sezioni e presieduto dal
presidente della prima sezione. Ciascuna amministrazione interessata designava, poi, un supplente per ogni componente spettantele nella Commissione e nelle sezioni.
Con la riforma Turco-Napolitano prima e con la Legge
Bossi-Fini poi, la Commissione centrale per il riconoscimento dello
status di rifugiato prevista dall’articolo 2 del d.P.R. 136/90, è
trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo,
denominata « Commissione nazionale », la quale è: — nominata
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta
congiunta dei Ministri dell’interno e degli affari esteri; — presieduta
da un prefetto;
— composta da:
— un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri;
— un funzionario della carriera diplomatica;
— un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso
il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione;
— un dirigente del Dipartimento della pubblica sicurezza.
Alle riunioni partecipa un rappresentante del delegato in
Italia dell’ACNUR. Ciascuna amministrazione designa, altresì, un
supplente. La Commissione nazionale, ove necessario, può essere
articolata in sezioni di analoga composizione. Inoltre, la Commissione nazionale ha compiti di:
— indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali;
— formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime commissioni;
— raccolta di dati statistici, oltre che poteri decisionali in
tema di revoche e cessazione degli status concessi.
Le modalità di funzionamento della Commissione nazionale e
di quelle territoriali sono poi rimandate all’adozione di uno
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
specifico regolamento, approvato, poi, con d.P.R. n. 303/2004
con cui vengono:
a) istituite le Commissioni territoriali di:
— Gorizia con competenza a conoscere delle domande presentate nelle Regioni: Friuli-Venezia Giulia, Veneto, TrentinoAlto Adige;
— Milano con competenza a conoscere delle domande presentate nelle Regioni: Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna;
— Roma con competenza a conoscere delle domande presentate nelle Regioni: Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Sardegna, Toscana, Marche, Umbria;
— Foggia con competenza a conoscere delle domande presentate nella Regione Puglia;
— Siracusa con competenza a conoscere delle domande presentate nelle Province di Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Catania;
— Crotone con competenza a conoscere delle domande
presentate nelle Regioni Calabria, Basilicata;
— Trapani con competenza a conoscere delle domande presentate nelle Province di Agrigento, Trapani, Palermo, Messina,
Enna.
Inoltre, la competenza a conoscere le domande presentate dai
richiedenti asilo presenti nei centri di identificazione o nei centri
di permanenza temporanea e assistenza è affidata alla Commissione territoriale nella cui circoscrizione territoriale è collocato il
centro. Negli altri casi è competente la Commissione nella cui
circoscrizione è presentata la domanda.
Con ordinanza Presidente del Consiglio dei Ministri
(O.P.C.M.) n. 3620 del 12 ottobre 2007, contenente “Ulteriori
disposizioni urgenti di protezione civile per il contrasto e la
gestione dell’eccezionale afflusso di cittadini stranieri extracomunitari giunti irregolarmente in Italia”, al fine di consentire il
rapido espletamento delle attività connesse all’esame delle istanze
di asilo degli stranieri giunti irregolarmente in Italia, all’art. 3,
comma 1, stabilisce che il Ministro dell’interno è autorizzato, con
proprio decreto, ad istituire presso le Prefetture-Uffici territoriali
di Governo ulteriori Commissioni territoriali per il riconosci-
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MAURIZIO GUAITOLI
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mento dello status di rifugiato, fino ad un massimo di tre,
definendone con lo stesso provvedimento l’ambito territoriale di
competenza.
Alle nuove Commissioni si applica quanto previsto dal Regolamento di attuazione (d.P.R. 303/2004), fatta salva la designazione del rappresentante dell’ente territoriale nelle Commissioni
stesse, che viene affidata -in deroga all’art. 1-quater della citata
legge n. 39/1990- ai sindaci dei comuni presso i quali hanno sede
le Commissioni medesime, che sono tenuti a darne comunicazione alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La Commissione Nazionale, valutato l’andamento dell’afflusso di richieste di riconoscimento nelle circoscrizioni regionali e/o
provinciali, così come individuate dall’art. 12 del d.P.R. n. 303/
2004, d’intesa con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i
Rifugiati, ha proposto di istituire le tre nuove Commissioni
Territoriali presso le Prefetture-Utg di Torino, Bari e Caserta.
b) stabilite le procedure relative alla Convocazione; Audizione; Decisione; Riesame. Ovvero:
b.1) Convocazione. La comunicazione della convocazione
all’interessato avviene tramite la questura territorialmente competente. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1-ter, comma 4,
del d.l. 416/89, qualora non sia stato possibile eseguire la notifica
della convocazione nonostante nuove ricerche dell’interessato,
particolarmente nel luogo del domicilio eletto e dell’ultima dimora, la Commissione, dopo aver accertato che il permesso di
soggiorno rilasciato allo straniero per richiesta asilo è scaduto e
l’interessato non ne ha richiesto il rinnovo, decide in ordine alla
domanda di asilo anche in assenza dell’audizione individuale,
sulla base della documentazione disponibile.
L’audizione può essere rinviata qualora le condizioni di salute
del richiedente asilo, adeguatamente certificate, non la rendano
possibile ovvero qualora l’interessato richieda ed ottenga il rinvio
per gravi e fondati motivi. La mancata presentazione all’audizione individuale non impedisce la decisione della Commissione
territoriale sulla domanda d’asilo.
b.2) Audizione. La Commissione territoriale in seduta non
pubblica procede all’audizione del richiedente asilo. Dell’audi-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
zione viene redatto verbale e ne viene consegnata copia allo
straniero unitamente a copia della documentazione da lui prodotta.
Il richiedente può esprimersi nella propria lingua o in una
lingua a lui nota. Se necessario la Commissione nomina un
interprete.
La Commissione territoriale adotta le idonee misure per
garantire la riservatezza dei dati che riguardano l’identità e le
dichiarazioni dei richiedenti lo status di rifugiato, nonché le
condizioni dei soggetti di cui all’articolo 8, comma 1 del d.P.R.
303/04. Il richiedente asilo ha facoltà di farsi assistere da un
avvocato.
L’audizione dei minori richiedenti asilo non accompagnati
viene disposta dalla Commissione territoriale alla presenza della
persona che esercita la potestà sul minore. In ogni caso l’audizione del minore avviene alla presenza del genitore o del tutore e
può essere esclusa nei casi in cui la Commissione ritenga di aver
acquisito sufficienti elementi per una decisione positiva.
Il richiedente asilo può inviare alla competente Commissione
territoriale ed alla Commissione nazionale per il diritto di asilo
memorie e documentazione in ogni fase del procedimento.
b.3) Decisione. A tali fini, la Commissione territoriale è:
— validamente costituita con la presenza di tutti i componenti previsti dall’articolo 1-quater del d.l. 416/89 e delibera a
maggioranza;
— adotta, entro i tre giorni feriali successivi alla data dell’audizione, una delle seguenti decisioni con atto scritto e motivato:
i) riconosce lo status di rifugiato al richiedente in possesso
dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra;
ii) rigetta la domanda qualora il richiedente non sia in
possesso dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra;
iii) rigetta la domanda, qualora il richiedente non sia in
possesso dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra ma,
valutate le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi
derivanti dalle Convenzioni internazionali delle quali l’Italia è
firmataria e, in particolare, dell’articolo 3 della Convenzione
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MAURIZIO GUAITOLI
205
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848,
chiede al questore l’applicazione dell’articolo 5, comma 6, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
La decisione è comunicata al richiedente unitamente alle
informazioni sulle modalità di impugnazione nonché, per le
ipotesi di cui all’articolo 1-ter, comma 6, del d.l. 416/89, sulla
possibilità di chiedere il riesame e l’autorizzazione al prefetto a
permanere sul territorio nazionale.
Allo straniero al quale sia stato riconosciuto lo status di
rifugiato la Commissione territoriale rilascia apposito certificato
sulla base del modello stabilito dalla Commissione nazionale.
Lo straniero al quale non sia stato riconosciuto lo status di
rifugiato è tenuto a lasciare il territorio dello Stato, salvo che gli
sia stato concesso un permesso di soggiorno ad altro titolo.
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 16, comma 1, il
questore provvede, ai sensi dell’articolo 13, comma 4, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nei confronti dello straniero già
trattenuto nel centro di identificazione ovvero di permanenza
temporanea e assistenza e, ai sensi dell’articolo 13, comma 5, del
testo unico, nei confronti dello straniero cui era stato rilasciato il
permesso di soggiorno per richiesta di asilo.
b.4) Riesame. La procedura (c.d. “semplificata”) del riesame riguarda gli stranieri richiedenti asilo trattenuti presso uno
dei centri di identificazione, di cui all’articolo 1-bis, comma 3, del
d.l. 416/89. In tali casi, il richiedente può presentare, entro
cinque giorni dalla decisione che rigetta la domanda, ai sensi
dell’articolo 1-ter, comma 6, del d.l. 416/89, richiesta di riesame
al Presidente della Commissione territoriale. In attesa della decisione sul riesame l’interessato permane nel centro di identificazione.
Inoltre:
— la richiesta di riesame ha ad oggetto elementi sopravvenuti ovvero preesistenti, non adeguatamente valutati in prima
istanza, che siano determinanti al fine del riconoscimento dello
status di rifugiato;
— entro tre giorni dalla data di presentazione della richiesta
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
di riesame, il Presidente della Commissione territoriale chiede al
Presidente della Commissione nazionale di provvedere all’integrazione della Commissione territoriale con un componente della
Commissione nazionale;
— La Commissione territoriale integrata può procedere ad
una nuova audizione dell’interessato, ove richiesto dallo stesso o
dal componente della Commissione nazionale. La Commissione
decide con provvedimento motivato, comunicato all’interessato
nelle quarantotto ore successive e contro cui è ammesso ricorso,
nei quindici giorni successivi alla comunicazione, al tribunale
territorialmente competente, che decide in composizione monocratica.
In pratica, le norme citate introducono due percorsi, di cui
uno privilegiato ed il secondo a carattere ordinario, per l’esame
delle domande d’asilo. La l. 189/2002, con il relativo Regolamento di attuazione (d.P.R. 303/2004), infatti, distingue nettamente le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato tra
quelle che comportano casi di intrattenimento del richiedente
presso Centri di identificazione o di permanenza temporanea ed
assistenza, e quelle che, invece, non comportano tale necessità e,
quindi, seguono la via ordinaria. Le prime, quindi, osservano la c.
d. Procedura semplificata, mentre le seconde la Procedura ordinaria.
L’elemento discriminante tra le due è la diversità dei termini
dettati per la decisione che deve intervenire entro 35 gg. per la
procedura ordinaria e entro 20 gg. per la procedura semplificata.
In proposito, è sorto un problema di applicazione, per le procedure legate all’asilo, delle previsioni contenute nell’art. 10-bis
della l. n. 241/1990, così come modificata dalla l. n. 15/2005. Nel
merito, in materia di procedimento amministrativo, la legge citata
prevede che, nei procedimenti ad istanza di parte e nell’ipotesi in
cui si intenda adottare un provvedimento negativo, l’Amministrazione procedente deve preventivamente comunicare all’interessato i motivi ostativi dell’accoglimento dell’istanza, con relativa
interruzione dei termini per la conclusione del procedimento e la
possibilità, per il richiedente, di presentare osservazioni scritte,
corredate da ulteriore documentazione.
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L’art. 13 della l. n. 15/2005 disapplica la disciplina contenuta
nell’art. 10-bis per quei procedimenti diretti all’emanazione di
atti: normativi; amministrativi generali; di pianificazione; di programmazione; relativi a procedimenti tributari. Stando, quindi,
alla lettera della norma, in teoria l’art. 10-bis andrebbe applicato
anche ai procedimenti relativi all’asilo. Essendo, in effetti, lo
status di rifugiato un diritto soggettivo (v. Sent. Corte di Cass.
Sezioni Riunite n. 907/99), il giudizio di impugnazione del diniego di status rientra nella piena giurisdizione del Giudice
ordinario, con esclusione, quindi, della giurisdizione amministrativa.
Ad un’attenta disamina, le norme sull’asilo, introdotte con la
c. d. Legge Bossi-Fini, non sembra possano costituire un procedimento speciale, di deroga alla norma generale ma, semmai, si
atteggiano alla stregua di un sub-procedimento — che, in effetti,
interrompe i termini per la conclusione della procedura —,
all’interno di quello principale per il riconoscimento del diritto di
asilo. Tuttavia, ad un esame più approfondito, se nulla quaestio
all’applicazione rigorosa dell’art. 10-bis, per quanto riguarda
l’attività amministrativa svolta sia dalla Commissione Nazione per
l’Asilo, sia dalla Commissione Stralcio, che non agiscono sulla
base di termini procedimentali predefiniti, nel caso di trattenimento del richiedente asilo presso i Centri è fondato avvalersi del
principio di deroga, stando al parere rilasciato in merito dalla
Commissione Nazionale.
In particolare, in merito è stato osservato che, per quanto
riguarda:
la Sezione Stralcio, pur non individuando la legge termini
entro i quali deve essere concluso il procedimento ad istanza di
parte, tenuto conto che le convocazioni stesse avvengono anche a
notevole distanza di tempo dalla presentazione dell’istanza, risulta inopportuno — per evidenti motivi di sicurezza — che la
comunicazione degli eventuali motivi ostativi venga effettuata al
termine dell’audizione del richiedente asilo. È preferibile, infatti,
che la comunicazione avvenga tramite le Questure territorialmente competenti, che notificano tempestivamente la comunica-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
zione all’interessato, con l’indicazione della possibilità di presentare proprie osservazioni entro i 10 gg. previsti dalla legge.
Decorso tale termine, del cui inizio di decorrenza gli Uffici di
Questura sono tenuti a dare comunicazione alla Sezione Stralcio,
quest’ultima dovrebbe far seguire l’invio — per la conseguente
notifica — delle eventuali decisioni negative alla Questure competenti;
la procedura semplificata, attivata per i richiedenti asilo trattenuti nei Centri, presenta un carattere paragiurisdizionale, essendo espressa-mente regolata in tutti i passaggi, previsti da una
normativa che può definirsi senz’altro speciale. Infatti, la procedura semplificata si caratterizza per le sue garanzie particolari —
anche riguardanti la giurisdizione —, quali il riesame, che in
qualche modo svolge la funzione assegnata dal legislatore in base
all’art. 10-bis., L’applicazione di quest’ultimo alla procedura
semplificata, del resto, andrebbe a stravolgere l’intero sistema
della l. “Bossi-Fini”, per l’inevitabile superamento del termine dei
20 gg.
Particolare interesse riveste, poi, l’art. 17 “Autorizzazione a
permanere sul territorio nazionale in pendenza di ricorso giurisdizionale”, per quanto riguarda le prerogative dell’autorità prefettizia, competente ad adottare il provvedimento di espulsione.
Infatti, il richiedente asilo che abbia usufruito della procedura
semplificata e presenti successivamente ricorso al tribunale, può
chiedere al prefetto di essere autorizzato, ai sensi dell’articolo
1-ter, comma 6, del d.l. 416/89, a permanere sul territorio
nazionale fino alla data di decisione del ricorso. In tal caso il
richiedente è trattenuto nel centro di permanenza temporanea ed
assistenza, secondo le disposizioni di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
La richiesta dell’autorizzazione a permanere deve essere presentata per iscritto ed adeguatamente motivata in relazione a fatti
sopravvenuti, che comportino gravi e comprovati rischi per
l’incolumità o la libertà personale, successivi alla decisione della
Commissione territoriale ed a gravi motivi personali o di salute
che richiedono la permanenza dello straniero sul territorio dello
Stato. L’autorizzazione è concessa qualora sussista l’interesse a
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permanere sul territorio dello Stato ed il prefetto non rilevi il
concreto pericolo che il periodo d’attesa della decisione del
ricorso possa essere utilizzato dallo straniero per sottrarsi all’esecuzione del provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale.
La decisione del prefetto è adottata entro cinque giorni dalla
presentazione in forma scritta e motivata ed è comunicata all’interessato nelle forme di cui all’articolo 4. In caso di accoglimento,
il prefetto definisce con il provvedimento le modalità di permanenza sul territorio, anche disponendo il trattenimento dello
straniero in un centro di identificazione o di accoglienza ed
assistenza.
In caso di autorizzazione a permanere sul territorio dello
Stato, il questore rilascia un permesso di soggiorno di durata non
superiore a sessanta giorni, rinnovabile nel caso che il prefetto
ritenga che persistono le condizioni che hanno consentito l’autorizzazione a permanere sul territorio nazionale.
Nota sulla prassi
In merito al campo di applicazione dell’art. 17 è stato ravvisato il rischio di disparità di trattamento tra i soggetti richiedenti
asilo, sottoposti alla procedura ordinaria, e quelli per cui si
procede con procedura semplificata, nei casi espressamente previsti da legge, dato che, stando allo spirito dell’art. 1, c. 5 del d.
l. 416/1989, il rilascio ivi contemplato del permesso di soggiorno
dovrebbe intendersi valido ‘fino alla definizione del giudizio ordinario sul ricorso presentato’.
In effetti, alla luce del c. 2 dell’art. 17 del d.P.R. n. 303/2004,
la presentazione del ricorso giurisdizionale dà titolo al richiedente asilo — sottoposto alla procedura semplificata, di cui al c.
6 dell’art. 1-ter del d. l. 416/89 — di proporre istanza motivata al
Prefetto (le cui fattispecie sono tassativamente elencate dalla
norma in oggetto) per l’autorizzazione a permanere sul territorio
italiano, fino alla data di decisione del ricorso. In tal caso, il
richiedente è trattenuto nel centro di permanenza temporanea ed
assistenza, secondo le disposizioni dell’art. 14 del d.lgs. 286/98.
Pertanto, nel caso specifico, la presentazione del ricorso
giurisdizionale è successiva al preventivo esperimento della pro-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
cedura del riesame (che abbia dato esito negativo, ovviamente).
In tutti gli altri casi, evidentemente, il ricorso giurisdizionale può
essere azionato in qualunque momento della procedura per
l’asilo, senza che per questo vengano sospese le procedure di
esecuzione dell’eventuale provvedimento di espulsione.
In considerazione dei punti precedenti, la Commissione Nazionale per l’Asilo, onde evitare ipotesi di disparità di trattamento, che discrimini i richiedenti asilo assoggettati alla procedura ordinaria da quelli che, invece, vengono sottoposti alla
procedura semplificata, nelle more di approvazione del d.lgs. di
recepimento della Direttiva comunitaria sull’asilo, ha ritenuto
opportuna una ulteriore valutazione del Prefetto, sulle eventuali
richieste di autorizzazione a permanere sul territorio italiano,
anche per quei richiedenti asilo che si siano avvalsi della procedura ordinaria.
L’art. 18 del d.P.R. 303/2004 regola il funzionamento della
Commissione nazionale per il diritto di asilo, che opera presso il
Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero
dell’interno ed è attualmente articolata in due Sezioni, denominate, rispettivamente dello Stralcio e del Riesame. La prima ha il
compito di decidere sulle richieste di riconoscimento dello status
di rifugiato pendenti presso la ex Commissione centrale alla data
di entrata in vigore del suddetto regolamento. Sia la Commissione che le Sezioni sono nominate dal Presidente del Consiglio
dei Ministri, su proposta congiunta dei Ministri dell’interno e
degli affari esteri
In base al Regolamento, la Commissione nazionale, nell’ambito delle funzioni attribuitele dalla legge, provvede:
a) alla realizzazione di un centro di documentazione sulla
situazione socio-politico-economica dei paesi di origine dei richiedenti asilo, sulla base delle informazioni raccolte e del suo
continuo aggiornamento;
b) all’individuazione di linee guida per la valutazione delle
domande di asilo, anche in relazione alla applicazione dell’articolo 5, comma 6, del testo unico;
c) alla collaborazione nelle materie di propria competenza
con il Ministero degli affari esteri, ed in particolare con le
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Rappresentanze permanenti d’Italia presso le organizzazioni internazionali di rilievo nel settore dell’asilo e della protezione dei
diritti umani;
d) alla collaborazione con gli analoghi organismi dei Paesi
membri dell’Unione europea;
e) alla organizzazione di corsi di formazione e di aggiornamento per i componenti delle Commissioni territoriali;
f) alla costituzione e all’aggiornamento di una banca dati
informatica contenente le informazioni utili al monitoraggio delle
richieste d’asilo;
g) al monitoraggio dei flussi di richiedenti asilo, anche al
fine di proporre, ove sia ritenuto necessario, l’istituzione di nuove
Commissioni territoriali o di Commissioni territoriali straordinarie;
h) a fornire, ove necessario, informazioni al Presidente del
Consiglio dei Ministri per l’eventuale adozione del provvedimento di cui all’articolo 20, comma 1, del Testo unico.
quindi, dalla presenza di più Commissioni territoriali chiamate a decidere sulle istanze volte al riconoscimento dello status
di rifugiato, grande rilievo assumono le funzioni di indirizzo e
coordinamento che spettano alla Commissione Nazionale. Al
riguardo, essa ha il compito di fissare criteri organizzativi, garantire uniformità di orientamento delle Commissioni Territoriali e
fornire alle stesse efficaci strumenti volti a garantire che l’esame
dei richiedenti asilo si svolga nel modo più approfondito possibile.
La Commissione è ben consapevole del fatto che l’audizione
è un momento cruciale del percorso relativo al riconoscimento
dello status di rifugiato. Pertanto, tenendo in debita considerazione le difficoltà insite nell’impegnativo compito della conduzione dell’intervista, la Commissione Nazionale ha dedicato particolare attenzione alla formazione e all’aggiornamento dei
membri delle Commissioni Territoriali.
Per soddisfare questa esigenza sono stati organizzati dei corsi
presso la SSAI (Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno).
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Di particolare interesse si è rivelato il corso che si è svolto dal
26 febbraio al 2 marzo 2007.
Sul piano giuridico sono stati autorevolmente illustrati e
approfonditi temi di grande attualità e rilevanza pratica, soprattutto alla luce degli allora emanandi decreti di recepimento delle
direttive UE su “qualifiche” e “procedure”, grazie ai quali sono
state introdotte importanti innovazioni in chiave garantista.
In particolare, un tema ampiamente dibattuto è stato quello
relativo all’insufficienza della nozione di rifugiato, di cui alla
Convenzione di Ginevra, a comprendere una serie di ipotesi
ritenute ugualmente meritevoli di tutela. Come è noto, il riconoscimento dello status di rifugiato è basato sull’accertamento della
sussistenza in capo al richiedente di un fondato timore di essere
perseguitato per motivi attinenti alla razza, alla religione, alla
nazionalità, all’appartenenza a un determinato gruppo sociale,
ovvero per le opinioni politiche professate. Tale requisito, tuttavia, non consente di accordare protezione a coloro che, pur non
subendo una persecuzione su base individuale, vivono ugualmente in contesti rischiosi per la loro incolumità ad esempio in
paesi caratterizzati da disordini o situazioni di conflitto generalizzato.
Sono stati, pertanto, analizzati gli ulteriori strumenti di protezione internazionale, sulla base della normativa e della giurisprudenza internazionale, europea e italiana, in modo da fornire
un quadro completo della variegata casistica delle circostanze
residuali, rispetto a quelle previste dalla Convenzione di Ginevra,
con particolare attenzione al rapporto tra status di rifugiato e
protezione umanitaria e sussidiaria.
Infine, nella consapevolezza che ciascun colloquio con i
richiedenti asilo debba essere svolto con la dovuta attenzione al
contesto personale o generale, che ha dato origine alla domanda,
e avendo cura di considerare l’origine culturale e la vulnerabilità
del richiedente, è stata illustrata la situazione esistente in vari
paesi (quali l’Eritrea , l’Etiopia, la Nigeria, l’Iraq e il Ruanda) e
sono state approfondite le tecniche d’intervista, con particolare
riferimento alla verifica della credibilità e alla comunicazione
interculturale.
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È agevole intuire che, nel processo volto ad accertare la
credibilità del richiedente asilo, occorra tener conto di alcuni
fattori particolari che possono influenzare negativamente il colloquio.
I richiedenti asilo sono persone che, verosimilmente, hanno
subito dei traumi, i cui effetti possono tradursi in silenzi prolungati, in riluttanza a narrare i fatti accaduti, in racconti caratterizzati da incoerenza, contraddizioni o omissioni. importante,
quindi, riuscire a distinguere questi casi da quelli in cui le
contraddizioni riscontrate sono indice di inattendibilità.
Ed è in quest’ottica che si inquadra l’organizzazione di corsi
specifici, relativi all’identificazione e alla cura delle vittime di
violenza e tortura. Con riferimento alla più recente iniziativa,
assunta dalla Commissione Nazionale nell’ambito dei suoi compiti di coordinamento, rileva il progetto relativo alla costituzione,
presso le ASL di riferimento delle Commissioni Territoriali, di
una struttura socio-sanitaria qualificata, in grado di supportare le
stesse Commissioni nella valutazione di soggetti ad alta vulnerabilità.
In tal senso, si è tenuto un seminario preliminare, nell’aprile
2007, organizzato da Ministero dell’Interno, ANCI e CIR, in
collaborazione con l’ACNUR e il Centro per il trattamento delle
patologie post traumatiche da stress della Azienda ospedaliera S.
Giovanni di Roma, che ha consentito di veder riuniti allo stesso
tavolo diversi operatori, coinvolti a vario titolo nelle tematiche
attinenti all’asilo e alla richiesta di protezione.
Altro tema che, come accennato in precedenza, è oggetto di
costante aggiornamento, riguarda le tecniche di documentazione
sui Paesi di origine dei richiedenti asilo, dato che, anche in questo
caso, sono molti i fattori e i condizionamenti culturali che
possono ostacolare la corretta comprensione dei fatti rappresentati dal richiedente, nelle varie occasioni in cui gli viene richiesto
di illustrare i motivi che lo hanno condotto all’espatrio (modello
C3, dichiarazioni rese in sede di audizione, etc.).
A titolo esemplificativo, è possibile fare riferimento ai tabù
che condizionano le donne richiedenti asilo provenienti da paesi
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
con culture profondamente diverse dalla nostra, ovvero alle
particolari dinamiche che si instaurano all’interno delle tribù di
rispettiva appartenenza. Alcune reticenze ed omissioni incomprensibili per la cultura occidentale sono, al contrario, frutto di
contesti e tradizioni peculiari dei paesi di origine.
Per soddisfare le esigenze di documentazione, la Commissione Nazionale ha avviato il Progetto Arif, in base a specifica
convenzione, sottoscritta con il CIR (Centro Italiano Rifugiati).
Analogamente a quanto accade per il sito internazionale
“C.O.I.”, si è trattato di creare una sorta di agenzia on line in
lingua italiana ( reperibile sul sito www.arifonline.it), o servizio di
informazione permanente, che contiene informazioni essenziali
aggiornate sui Paesi di origine dei richiedenti asilo.
In tal senso, l’ARIF — gestito dal CIR — svolge la sua attività
in collaborazione con il Ministero dell’Interno - Dipartimento
per le libertà civili e l’immigrazione e con il contributo della
Commissione Europea, programma Argo, volto alla cooperazione amministrativa comunitaria in materia di visti, asilo, immigrazione, nel cui ambito la Commissione Europea ha approvato
il progetto Arco (ARIF - Country of origin).
Quest’ultimo progetto -presentato dal Ministero dell’InternoDipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione-, attuato dal
CIR, in qualità di partner operativo, prevede la durata di un anno
e si inquadra nell’ambito del processo europeo di armonizzazione
in materia di asilo, intendendo favorire la collaborazione tra gli
Stati membri nell’elaborazione, verifica e applicazione delle informazioni sui paesi di origine, le c.d. COI information (Country
of Origin Information).
Tra gli obiettivi vi è quello di favorire una uniforme applicazione della normativa italiana e comunitaria da parte degli organi
della P.A. nel settore asilo, grazie all’uso delle COI information.
previsto, al riguardo, che l’unità COI italiana (formata da tre
componenti scelti tra i funzionari della Commissione Nazionale
per il diritto di asilo, CIR e Ministero dell’Interno) svolga un
monitoraggio sul reale impatto dell’uso delle informazioni COI
nelle decisioni adottate sulle domande di asilo.
L’unità COI, inoltre: curerà i rapporti con i partners trasna-
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zionali; effettuerà missioni nei paesi di origine e, sulla base delle
esigenze prospettate dalle Commissioni Territoriali, stilerà la lista
delle schede paese da approfondire o realizzare.
Altro obiettivo è quello volto a potenziare l’ARIF. In proposito, è prevista:
— l’integrazione del sito grazie ad apposite sezioni tematiche
sui paesi di origine e di transito particolarmente significativi per
i flussi di rifugiati.
— La creazione di una rassegna delle interpretazioni giurisprudenziali italiane ed europee (Corte Europea dei diritti dell’uomo) prodotte nei confronti dei cittadini dei paesi di origine di
riferimento.
— Una raccolta delle normative nazionali relative alla garanzia dei diritti umani in quei paesi.
— La pubblicazione di testimonianze di rifugiati al fine di
dare l’effettiva percezione della situazione vigente nei paesi di
origine.
Una rassegna stampa internazionale volta a garantire l’aggiornamento quotidiano sugli avvenimenti nei paesi considerati.
Infine, l’art. 20 del Regolamento detta disposizioni in materia
di Cessazioni e revoche dello status di rifugiato. In particolare:
— Ai sensi dell’articolo 1-quinquies, comma 2, del d.l. 416/
89, i casi di cessazione o revoca dello status di rifugiato, di cui
all’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, debitamente istruiti
dalle questure competenti per territorio, sono esaminati dalla
Commissione nazionale;
— la convocazione per l’audizione, ove ritenuta necessaria,
deve essere notificata all’interessato tramite la questura competente per territorio. L’interessato può, per motivi di salute o per
altri motivi debitamente certificati o documentati, chiedere di
essere convocato in altra data; non può essere chiesto più di un
rinvio. La Commissione decide entro trenta giorni dall’audizione;
— la Commissione decide sulla base della documentazione
in suo possesso nel caso in cui l’interessato non si presenti
all’audizione senza avere presentato richiesta di rinvio.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
2. PROBLEMATICHE
EMERSE.
2.1. Riconoscimento della protezione umanitaria.
La “Legge Martelli”, precedente alla “Turco-Napolitano” ed
alla “Bossi-Fini”, non faceva menzione della protezione umanitaria, limitandosi al solo riconoscimento dello status di rifugiato,
ai sensi della Convenzione di Ginevra. Solo in anni recenti, si è
introdotta con procedura amministrativa tale forma di permesso,
rilasciato dalla Questura competente a seguito di una decisione
della Commissione Centrale, prima, e di quella Nazionale e delle
Commissioni Territoriali attualmente. Nello specifico, per i casi
ritenuti meritevoli di una protezione sussidiaria, nel provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato si
attesta la contestuale sussistenza delle condizioni necessarie per la
concessione della protezione temporanea.
Con il concetto di protezione umanitaria si è inteso — in
qualche modo, anche se per via amministrativa — attualizzare i
requisiti piuttosto restrittivi stabiliti dalla Convenzione di Ginevra per il riconoscimento dello status di rifugiato. Questi ultimi,
infatti, non tengono conto delle situazioni ad alto rischio per
l’incolumità e la vita delle persone, che si possono verificare in
caso di guerre tribali, conflitti etnici, etc. In altri termini, si è, per
così dire, provocata una “smagliatura” a carattere umanitario,
nelle maglie strette dei principi fissati dalla Convenzione di
Ginevra, tenuto conto del contesto globale, dove in molti Paesi
d’origine sono in corso sanguinosi quanto prolungati conflitti
interni, nei quali sempre più le vittime sono civili che, quindi,
hanno diritto, anche per un periodo limitato di tempo, di potersi
rifugiare in aree sicure, di protezione e di cura dalle conseguenze
delle violenze in atto.
Nella prassi attuale che riguarda le procedure per l’asilo, la
protezione umanitaria ed il relativo permesso di soggiorno vengono concessi sulla base della raccomandazione espressa dalle
Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di
rifugiato (e dalla Commissione Nazionale, nonché dalla Sezione
Stralcio, per quanto riguarda il riesame in autotutela), contestualmente alla decisione motivata di diniego del riconoscimento dello
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status., Come già accennato, nel provvedimento negativo, la
Commissione riconosce che ricorrono altresì le speciali condizioni di tutela previste dalla legge, raccomandando alle Questure
la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
La protezione umanitaria ha carattere temporaneo (diversamente dallo status, riconosciuto a tempo indeterminato, fatte
salve le decisioni motivate di cessazione/revoca, da parte della
Commissione Nazionale), così come il permesso di soggiorno
concesso per motivi umanitari e che, pertanto, è soggetto a
rinnovo, a seguito della verifica, da parte della Commissione,
della permanenza in capo all’interessato delle condizioni che
hanno condotto alla concessione della protezione umanitaria nei
suoi confronti.
Il riferimento normativo è riconducibile agli artt. 5 comma 6
e 19 comma 1 del T.U. 286/98 e successive modificazioni, nonché
all’art. 11 comma c-ter del Regolamento di attuazione di cui al
d.P.R. 394/99, in cui è previsto che il permesso di soggiorno è
rilasciato per motivi umanitari, nei casi di cui agli art. 5, comma
6 e 19, comma 1, del Testo Unico, previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato,
ovvero a seguito dell’acquisizione dall’interessato di documentazione riguardante i motivi della richiesta, relativi ad oggettive e
gravi situazioni personali, tali da non consentire l’allontanamento
dello straniero dal territorio nazionale.
A questa tipologia di figura giuridica corrispondono una serie
di diritti esercitabili dai soggetti beneficiari della protezione
umanitaria, quali:
— Permesso di soggiorno
— Diritto ai documenti
— Diritto al lavoro
— Diritto allo studio e alla formazione professionale
— Diritto alla salute
— Diritto all’assistenza
— Ricongiungimento familiare
— Cittadinanza italiana.
In base al comma 2 c dell’art. 15 del regolamento di attuazione (d.P.R. n. 303/04) sono stabiliti in modo chiaro in quali
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
casi sia opportuno disporre il rilascio del permesso umanitario,
formalizzando quanto già avviene nella pratica. La protezione,
secondo le disposizioni introdotte, è concessa in seguito alla
valutazione dei possibili pericoli in cui incorrerebbe lo straniero
a seguito dell’espulsione, pur in assenza di persecuzioni individuali, che sono invece requisito per il riconoscimento dello status
di rifugiato.
Quindi, in sintesi, l’autorità competente per il rilascio del
permesso di soggiorno per motivi umanitari è il Questore, ai sensi
dell’art. 5 comma 6 della Legge “Bossi-Fini”, ma a chiederne il
rilascio è la Commissione territoriale. In definitiva, un modo per
accedere alla procedura di riconoscimento di questo tipo di
protezione è certamente quello di presentare domanda per il
riconoscimento dello status di rifugiato.
2.2. Ambiti di applicazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 303/2004.
Sull’art. 17 del d.P.R. n. 303/2004, per quanto riguarda
l’autorizzazione a permanere sul territorio nazionale in pendenza
di ricorso giurisdizionale, è stato richiesto alla Commissione
Nazionale un parere di merito sulla procedura relativa, in quanto
veniva ravvisato, in particolare, il rischio di disparità di trattamento tra i soggetti richiedenti asilo, sottoposti alla procedura
ordinaria, rispetto a quelli per cui si procede ex lege con procedura semplificata. In effetti, si sottolineava come, stando allo
spirito dell’art. 1, c. 5 del d. l. 416/89, il rilascio ivi contemplato
del permesso di soggiorno avrebbe dovuto intendersi valido ‘fino
alla definizione del giudizio ordinario sul ricorso presentato’.
Del resto, alla luce del c. 2 dell’art. 17 del d.P.R. n. 303/2004,
la presentazione del ricorso giurisdizionale dà titolo al richiedente asilo — sottoposto alla procedura semplificata, di cui al c.
6 dell’art. 1-ter del d.l. 416/89 — di proporre istanza motivata al
Prefetto (le cui fattispecie sono tassativamente elencate dalla
norma in oggetto) per l’autorizzazione a permanere sul territorio
italiano, fino alla data di decisione del ricorso. In tal caso, il
richiedente è trattenuto nel centro di permanenza temporanea ed
assistenza, secondo le disposizioni dell’art. 14 del d.lgs. 286/98.
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MAURIZIO GUAITOLI
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Pertanto, nel caso specifico, la presentazione del ricorso
giurisdizionale è successiva al preventivo esperimento della procedura del riesame (che abbia dato esito negativo, ovviamente).
In tutti gli altri casi, evidentemente, il ricorso giurisdizionale può
essere azionato in qualunque momento della procedura per
l’asilo, senza che per questo vengano sospese le procedure eventuali di esecuzione dell’eventuale provvedimento di espulsione.
In considerazione dei punti precedenti, onde evitare ipotesi
di disparità di trattamento, tali da discriminare i richiedenti asilo
assoggettati alla procedura ordinaria, da quelli che, invece, vengono sottoposti alla procedura semplificata, nelle more di approvazione del d.lgs. di recepimento della Direttiva comunitaria
sull’asilo, la Commissione Nazionale ha ritenuto compatibile ed
opportuno, rispetto allo spirito della norma, una ulteriore valutazione del Prefetto, sulle eventuali richieste di autorizzazione a
permanere sul territorio italiano, anche per quei richiedenti asilo
che si siano avvalsi della procedura ordinaria.
2.3. Riconoscimento e mantenimento dello status per cittadini
neo-comunitari.
Con il recente ampliamento dei Paesi facenti parte dell’Unione Europea (UE), la Commissione Nazionale, competente
per il coordinamento delle Commissioni Territoriali, ha preso in
esame le problematiche relative sia al mantenimento dello status
per i cittadini neo-comunitari, che si erano visti riconoscere il
diritto all’asilo “prima” dell’ingresso nell’Unione dei loro Paesi
d’origine, sia sulla linea da seguire, per quanto riguarda le nuove
domande d’asilo.
In merito al primo aspetto, anche in base ai pareri ministeriali
resi al Presidente della Commissione Nazionale, si è ritenuto di
non dover procedere d’ufficio, erga omnes, ad una revisione — ai
fini della cessazione — di tutte le posizioni di rifugiato riconosciuto, per i cittadini neo-comunitari. In capo alla Commissione
Nazionale, infatti, permane l’esclusiva competenza del potere di
cessazione/revoca tenuto conto che l’eventuale rivalutazione non
possa che avvenire su base individuale, una volta che siano
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
introdotti elementi innovativi, da parte o degli Uffici di Questura,
o dai diretti beneficiari.
Nel secondo caso, prevale il criterio di Paese di origine sicuro
e, quindi, si ritiene inaccoglibile la domanda. Un caso esemplare
di specie è quello della domanda cumulativa d’asilo proposta da
cittadini rumeni che esercitano la professione di Consiglieri
giuridici. In pratica, l’Associazione dei Consiglieri giuridici romeni ha richiesto direttamente al Presidente del Consiglio italiano la concessione dell’asilo, motivandola con il fatto che, in
Romania, non sono garantite le libertà di associazione e di
impresa, adeguatamente tutelate, al contrario, dalla Costituzione
italiana. La disparità ipotizzata — illustrata nella domanda stessa
— si fonda sul fatto che, con sentenza a Sezioni Riunite della
Corte di Cassazione romena, ai Consiglieri giuridici è stata
impedita la costituzione di società di consulenza (simili alle S.r.l.),
pur garantite loro dalla legge, così da inficiarne gravemente
l’indipendenza, l’autonomia professionale e gli statuti.
La domanda è stata ritenuta inammissibile dalla Commissione Nazionale, alla luce di quanto contenuto nel Protocollo sul
diritto d’asilo per gli Stati membri, allegato ai Trattati europei ed
in forza del quale i Paesi membri dell’Unione si considerano
reciprocamente Paesi d’origine sicuri, a tutti i fini giuridici e
pratici inerenti l’asilo.
2.4. Il diritto d’asilo, a norma dell’art. 10 cost.
In materia di diritto d’asilo, negli anni si è stratificato un
nutrito contenzioso giurisdizionale, riguardante l’immediata applicabilità della previsione contenuta al comma 3 dell’art. della
Costituzione, in si prevede che Lo straniero, al quale sia impedito
nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Poiché, a
tutti gli effetti, non è stata mai adottata una legge specifica per
l’asilo, ex art. 10, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è
intervenuta a più riprese per chiarire gli ambiti di applicazione
del comma 3 citato.
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In particolare, i richiedenti asilo che si siano visti negare in via
definitiva il riconoscimento dello status di rifugiato, hanno fatto
ricorso ai Tribunali, richiedendone il riconoscimento attraverso
l’applicazione diretta dell’art. 10 della Costituzione. La Suprema
Corte ha tracciato, negli anni, un percorso interpretativo del tutto
chiaro, che prende le mosse dalle seguenti considerazioni preliminari:
1. (sent. 4674/1997 Sezioni riunite) al richiedente asilo
“non” possono applicarsi le disposizioni disciplinanti il riconoscimento dello status di rifugiato politico. In sintesi, precetto
costituzionale e normativa sui rifugiati politici “non” coincidono,
dal punto di vista soggettivo, in quanto il primo farebbe riferimento ad una categoria più ampia di aventi diritto. Mentre,
infatti, il fattore determinante per l’individuazione del rifugiato
(cfr. Convenzione di Ginevra) è quello di un fondato timore di
essere perseguitato (ovvero, della persecuzione in concreto), tale
requisito non è considerato necessario dall’art. 10 per il riconoscimento del diritto d’asilo.
In altri termini, l’art. 10 garantisce asilo a chiunque provenga
da Paesi in cui non sia consentito l’esercizio delle libertà fondamentali, indipendentemente dal fatto che abbia subito, o tema
persecuzioni. Talché la norma costituzionale attribuisce allo straniero il diritto soggettivo all’asilo, ed ha carattere precettivo,
operando perciò in via immediata. Tuttavia, la rivendicazione del
richiedente asilo, ex art. 10, all’ingresso ed al soggiorno nel
territorio dello Stato italiano deve essere inteso a solo titolo
provvisorio, nelle more dell’accertamento per il suo riconoscimento, in base alle stesse procedure valide per il riconoscimento
dello status di rifugiato;
2. alla diversità di requisiti cui sono subordinate le due
situazioni soggettive di status di rifugiato e richiedente l’asilo,
corrisponde un’analoga disparità di trattamento, nel senso che
allo straniero il quale chiede il diritto d’asilo null’altro viene
garantito, se non l’ingresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla Convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore;
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
3. (sent. 8423/2004) pur non avendo trovato attuazione nella
legislazione nazionale l’art. 10 Cost. , comma 3, non mancano
formulazioni normative tali da ritenere che la domanda d’asilo
debba essere assistita dalle medesime formalità previste per la
richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato;
4. (sent. Del 17 maggio 2006) il diritto d’asilo è esercitabile,
ma nell’ambito del quadro normativo esistente, che è rappresentato dalla legislazione sui rifugiati. Pertanto, il diritto di asilo deve
intendersi non tanto come un diritto all’ingresso nel territorio
dello Stato, quanto piuttosto, e anzitutto, come il diritto dello
straniero di accedervi al fine di essere ammesso alla procedura di
esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.
Il diritto di asilo, quindi, non ha contenuto più ampio e diverso
da quello del diritto a ottenere il rilascio di un permesso di
soggiorno temporaneo per la durata dell’istruttoria volta al riconoscimento dello status di rifugiato ed è risolutivamente condizionato al mancato accoglimento della relativa domanda.
5. In base alle statistiche giudiziarie in possesso della Commissione Nazionale, l’atteggiamento dei Tribunali aditi, per il
riconoscimento del diritto d’asilo ex art. 10 Cost. , è stato
piuttosto “ondivago”, con significativi comportamenti differenziati e, talvolta contrastanti, su base territoriale.
3. L’IMPATTO
DELLA NORMATIVA COMUNITARIA SUL DIRITTO D’ASILO.
Riguardo all’attuazione delle Direttive comunitarie in materia
di asilo, è sul punto di essere emanato il d.lgs. “Procedure”, che
attua la Direttiva Comunitaria 2005/85/CE. La norma, com’è
noto, intende stabilire le procedure per l’esame di protezione
internazionale, presentate nel territorio nazionale da cittadini di
Paesi non appartenenti all’Unione Europea (Ue), o da apolidi.
Anche in questo caso, tuttavia, l’asilo è equiparato allo status
di rifugiato, cui si aggiunge lo status di protezione sussidiaria, che
assume così rango normativo primario e non più regolamentare.
La definizione di rifugiato è quella di un cittadino di un Paese
non appartenente alla Ue il quale ha diritto alla protezione
prevista dalla Convenzione di Ginevra, purché risulti fondato il
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MAURIZIO GUAITOLI
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motivo della persecuzione per i motivi di: i) razza; ii) religione;
iii) nazionalità; iv) appartenenza ad un determinato gruppo
sociale; v) opinione politica.
Lo status di rifugiato, quindi, attiene esclusivamente al riconoscimento da parte dello Stato di considerare un cittadino
straniero, a seguito dell’accoglimento della domanda di protezione internazionale, in base alle procedure definite nell’emanando d. legs. di attuazione. La norma, tuttavia, introduce anche
la fattispecie di persona ammissibile alla protezione sussidiaria,
con riferimento a quei cittadini non comunitari che, pur non
possedendo i requisiti per essere riconosciuti come rifugiati, si
ritiene che possano correre un rischio effettivo di subire un grave
danno se instradati nel loro Paese d’origine. Agli aventi diritto è,
pertanto, riconosciuto lo status di protezione sussidiaria.
Il d.lgs. in itinere prevede, tra l’altro, che:
— le Commissioni Territoriali attuali mantengano le stesse
funzioni, pur cambiando la loro denominazione in Commissioni
Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ed
il cui numero è fissato nel massimo di dieci;
— il richiedente asilo o protezione sussidiaria sia autorizzato
a rimanere sul territorio italiano ai fini esclusivi del perfezionamento della procedura, fino al momento, quindi, della decisione
sulla sua istanza, da parte della Commissione territoriale competente;
— alla richieste di asilo non si applicano termini per la
relativa presentazione da parte degli interessati e si dettano regole
qualitative per l’esame delle domande, con particolare approfondimento della situazione nei Paesi di origine;
— la decisione di diniego deve essere adeguatamente motivata e deve recare l’indicazione sui mezzi di impugnazione ammissibili;
— distingue nettamente i casi di accoglienza da quelli del
trattenimento, elencando le diverse situazioni giuridiche e di fatto
in cui è disposta l’una o l’altra misura, che deve essere stabilita,
in entrambi i casi, con provvedimento del questore che, al di fuori
dei casi citati, rilascia al richiedente un permesso di soggiorno
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
valido per tre mesi, rinnovabile fino all’adozione della decisione
da parte della Commissione Territoriale competente;
— sia possibile il trattenimento nei centri di accoglienza, a
condizione che la residenza nel centro non incida sull’esercizio
delle garanzie inerenti la sua domanda, né sulla sfera della vita
privata, garantendo libertà di movimento nelle ore diurne e
prevedendo un’autorizzazione specifica del Prefetto (che ne motiva l’eventuale rifiuto), per periodi più lunghi, per gravi e
comprovati motivi personali del richiedente asilo;
— sia nel caso dell’accoglienza che della permanenza, viene
garantito l’accesso all’Achnur, agli organismi di tutela dei rifugiati
con esperienza consolidata nel settore, purché autorizzati dal
Ministero dell’Interno, ed agli avvocati dei richiedenti asilo.
In buona sostanza, il testo normativo emanando recepisce ed
assorbe l’intero quadro normativo-regolamentare esistente, fissando i principi per:
a) esame prioritario (per persone particolarmente vulnerabili e per i richiedenti asilo trattenuti in uno dei centri previsti);
b) casi di inammissibilità;
c) decisione; revoca e cessazione; impugnazione.
4. BREVI
CENNI SUL NUOVO
SISTEMA INFORMATIVO (S.I.)
SULL’ASILO.
La Commissione Nazionale sovrintende, altresì, all’esecuzione del nuovo S. I. (denominato VESTA-net e realizzato dalla
Società Sviluppo Impresa), che dovrà a breve sostituire l’applicativo obsoleto Dublinet., L’obiettivo dichiarato è quello della
creazione e gestione informatizzata dei fascicoli dei singoli
richiedenti-asilo (attraverso il coinvolgimento capillare degli Uffici di Questura, responsabili della compilazione dei così detti
“Modelli C3”, in cui sono sintetizzati i dati essenziali dei richiedenti asilo e delle condizioni del loro ingresso sul territorio
italiano), in modo di un aggiornamento in tempo reale delle
posizioni individuali e della trattazione statistica dei dati aggiornati sull’asilo.
Qui di seguito, si riproduce — per completezza di trattazione — un prospetto di sintesi provvisorio sulle funzionalità
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previste per il nuovo S. I. “VESTA-net”, con riserva di ulteriore
comunicazione ed aggiornamento, una volta esaurite le fasi preliminari della formazione generalizzata degli operatori addetti
(Commissioni Territoriali; Uffici di Questura) e del collaudo
finale dell’applicativo.
ALLEGATO
“Progetto per la realizzazione della rete intranet per “dublinet” tra la Commissione Nazionale, la sezione stralcio e le
Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di
rifugiato e per l’asilo”.
1. OGGETTO.
Analisi funzionale per lo sviluppo di un sistema di controllo,
coordinazione e attuazione di una Rete Intranet per Dublinet,
atta a supportare le operazioni e l’interoperatività tra la Commissione Nazionale, le Commissioni Territoriali e la Sezione Stralcio.
La specifica delle funzionalità e caratteristiche richieste al
sistema in oggetto, nonché la descrizione dell’architettura e delle
tecnologie che saranno impiegate, costituiscono la base del presente documento, il cui fine ultimo è la costituzione delle linee
guida per l’analisi tecnica ed il conseguente sviluppo del software.
2. REQUISITI
GENERALI.
Il software dovrà integrarsi perfettamente con l’ambiente
informatico attuale in modo da impattare il meno possibile in
termini di utilizzo delle risorse informatiche presenti. Il sistema
dovrà fornire un elevato controllo delle varie fasi di avanzamento
delle pratiche senza complicare i processi organizzativi e senza
aumentare il lavoro delle risorse umane esso, infatti, dovrà gestire
gli eventi automatizzando ove possibile le azioni da intrapren-
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
dere. Si riporta uno schema sintetico delle componenti che
saranno implementate:
Figura 1. Schema delle componenti del sistema.
Per soddisfare le esigenze riscontrate, il sistema informativo
dovrà disporre di una infrastruttura di dati e funzioni atta a gestire:
— Specifica delle diverse tipologie di utenti e dei relativi
ruoli e permessi;
— Riconoscere la Commissione o Sezione di pertinenza
dell’utente in accesso e mostrare funzionalità e dati in base a
permessi e privilegi accordatigli;
— Raccolta delle pratiche di richiesta per lo Status di Rifugiato e per l’Asilo (conversione elettronica del modulo C/3);
— Gestione dell’iter di valutazione delle pratiche;
— Gestione delle fasi successive alla valutazione delle pratiche (riesame, ricorso, revisione in via di auto-tutela);
— Tracciamento dello storico delle convocazioni, delle valutazioni e dei documenti associati alle pratiche;
— Gestione delle pratiche multiple (per le famiglie di richiedenti) e dell’estensione dell’esito;
— Rilevazione statistica accurata, con parametri di ricerca
flessibili ed in grado di definire un livello di dettaglio del quadro
dei risultati personalizzato in base alle esigenze dell’utente (consentendo sia ricerche specifiche rispetto ad uno o più singoli
campi, che analisi globali che forniscano risultati di insieme);
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— Generazione automatizzata e personalizzabile dei documenti associati alle pratiche di richiesta per il riconoscimento di
Status di Rifugiato e per l’Asilo;
— Log delle attività degli utenti e delle operazioni effettuate
all’interno del sistema informativo;
— Supporto alla comunicazione e scambio di messaggi e
notifiche tra la Commissione Nazionale, le Commissioni Territoriali, la Sezione Stralcio e tutte le entità collegate alla Rete
Intranet per Dublinet;
— Predisposizione di tutte le attività concernenti sicurezza,
tutela della privacy e supporto alla dematerializzazione ed informatizzazione della Pubblica Amministrazione, come richiesto
dalle indicazioni emesse dal C.N.I.P.A.
Una volta messo in esercizio il sistema informativo, inoltre, si
dovrà provvedere alla migrazione dei dati attualmente memorizzati nel software in utilizzo presso la Commissione Nazionale.
Nel prossimo capitolo sono descritte le funzionalità che
comporranno il sistema in progettazione. Esse permetteranno di
gestire in modo efficiente, usabile e intuitivo tutte le caratteristiche su elencate.
3. ANALISI
DELLE FUNZIONALITÀ.
L’analisi delle esigenze e delle necessità degli utenti che
dovranno interfacciarsi con il software ha permesso di definire un
insieme di funzionalità e requisiti necessari alla riuscita del
progetto Intranet per Dublinet.
Al fine di realizzare un sistema informativo in grado di
supportare in maniera ottimale le funzionalità richieste, verranno
sviluppati moduli specifici, che saranno esplicitati nei prossimi
paragrafi.
L’interfaccia utente sarà web-based, in modo da garantire
familiarità ed usabilità al software. I layout grafici, la scelta dei
colori e la disposizione dei contenuti saranno finalizzati a rendere
il prodotto user-friendly e di rapido e semplice apprendimento.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
3.1. Gestione utenti e Commissioni Territoriali/Nazionale o Sezione Stralcio.
Gli accessi al sistema informativo saranno regolati in base al
ruolo dell’utente che effettua il login ed alla Commissione di sua
appartenenza.
In generale, ogni Commissione Territoriale (o Nazionale),
nonché la Sezione Stralcio, avrà accesso ai dati relativi, esclusivamente, alle pratiche di sua competenza.
La Commissione Nazionale avrà accesso a tutti i dati presenti
nella Rete Intranet per Dublinet.
Ciò significa che essa potrà visualizzare e/o modificare sia le
informazioni di sua pertinenza, che quelle relative alle singole
Commissioni Territoriali o alla Sezione Stralcio.
Ovviamente, tali regole di accesso ai dati fanno da cornice a
quelle, eventualmente più restrittive, connesse ai privilegi relativi
ai ruoli dei singoli utenti.
Il sistema informativo prevedrà una serie personalizzabile di
ruoli e permessi a svolgere determinate attività. In particolare,
ogni interazione con il software (ad es. creazione di una nuova
richiesta per lo Status di Rifugiato o per l’Asilo, elaborazione
statistica, visione delle pratiche ecc.) può essere consentita o
meno a uno o più ruoli presenti nel sistema.
Ad ogni utente sono assegnati uno o più ruoli, e, di conseguenza, i permessi associati agli stessi.
Un esempio di struttura del modulo per l’assegnazione dei
privilegi ai ruoli è proposto nella figura seguente:
Figura 2. Layout per il modulo di definizione dei permessi associati a
ciascun ruolo. Nella figura, a titolo di esempio sono riportati dei ruoli
che saranno effettivamente considerati.
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L’Amministratore del sistema (o un qualsiasi utente avente il
permesso sulla gestione degli utenti) potrà provvedere alla definizione dei permessi per ciascun ruolo, alla creazione degli utenti
ed alla loro associazione ai relativi ruoli.
Ogni volta che un utente intenderà accedere al software,
dovrà provvedere al proprio riconoscimento mediante l’operazione di login, digitando i propri username e password.
Il sistema, se le credenziali saranno corrette, riconoscerà
l’utente permettendogli di accedere al software e gli mostrerà solo
i dati e le funzionalità a cui ha accesso, adattando automaticamente
i contenuti, in maniera del tutto trasparente all’operatore umano,
il quale avrà “solo” la sensazione di usufruire di un software perfettamente confacente alle sue esigenze di operatività.
La creazione di un nuovo utente avverrà usufruendo di una
maschera che permetterà di inserire, oltre al ruolo, tutte le informazioni specifiche dell’utente, compresa, eventualmente, la sua
e-mail, che sarà utilizzata per la notifica di informazioni o per lo
scambio di messaggi all’interno della Rete Intranet per Dublinet.
A titolo di esempio, viene di seguito mostrata una schermata
indicativa di quella che sarà la struttura della maschera per la
creazione di un nuovo utente:
Figura 3. Esempio di maschera per la creazione di un nuovo utente.
Un utente è identificato da un insieme di campi obbligatori
(nome, cognome, ruoli e username e password per l’accesso al
software), e da alcune informazioni opzionali aggiuntive.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
3.2 Gestione delle pratiche per il Riconoscimento Status di
Rifugiato e per l’Asilo Chiaramente, il core del sistema non può
che essere la gestione delle pratiche per il Riconoscimento dello
Status di Rifugiato e per l’Asilo.
L’implementazione di tale funzionalità avverrà perseguendo
tre obiettivi primari:
— massima semplicità e familiarità d’uso, preservando, comunque, una ottimale efficienza;
— predisposizione alla raccolta dei dati per una approfondita e dettagliata analisi statistica;
— tracciamento di tutte le informazioni relative allo storico
delle pratiche ed alle attività ad esse correlate (Contenzioso, esiti
delle convocazioni, documenti associati…).
La creazione di una pratica avviene mediante compilazione
del modulo C/3. Attualmente, tale operazione viene eseguita
manualmente all’interno delle Questure che, successivamente
inviano il documento (in formato cartaceo) alla Commissione
Territoriale, la quale inserisce la pratica nel sistema.
Il sistema mostrerà all’utente un’interfaccia grafica estremamente simile al modulo C/3 cartaceo, consentendo un rapido ed
intuitivo inserimento dei dati. Le informazioni immesse costituiranno il cosiddetto “modulo C/3 elettronico”; esso rappresenterà
il prospetto informativo relativo a ciascun richiedente il Riconoscimento di Status Rifugiato o Asilo.
L’utente potrà inserire direttamente tutte le informazioni
riportate sul modulo, nonché i dati relativi alla Questura che ha
originariamente compilato il modulo cartaceo, pervenuto in
Commissione.
Ad ogni pratica viene associato un identificativo (ID univoco), che renderà unica la pratica all’interno del sistema. Inoltre,
un campo relativo alla Questura di residenza, sarà, di default,
impostato col nome della Questura che ha compilato il modulo
C/3 cartaceo. Ovviamente, come gli altri parametri del modulo,
anche quest’ ultimo potrà essere successivamente modificato.
Come suddetto, le informazioni contenute nel modulo C/3
elettronico costituiscono l’insieme di informazioni fondamentali
relative a ciascuna pratica, ma, al fine di consentire la correzione
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di possibili errori di battitura o l’aggiunta/modifica di eventuali
informazioni di cui si è venuti a conoscenza successivamente, gli
utenti, ovviamente purché abilitati, potranno modificare i dati
inseriti, eccetto quelli considerati “definitivi”, come, ad esempio,
la Questura che ha originato la pratica o, chiaramente, l’ID
univoco.
Chiaramente, il sistema memorizzerà tutte le operazioni di
modifica o cancellazione di un dato, o di inserimento di una
nuova informazione. Ciò permetterà di tenere traccia dell’utente
che ha eseguito l’operazione, del suo tipo (inserimento, modifica
o cancellazione) e della data in cui essa è avvenuta. Sarà inoltre
possibile associare a tale log dell’operazione un’eventuale nota di
testo, in modo da specificare una motivazione o delle informazioni aggiuntive.
Ciascuna pratica, inoltre, è automaticamente associata alla
Commissione Territoriale (o alla Sezione Stralcio) che l’ha inserita nel sistema, per cui, evidentemente, le modifiche potranno
avvenire solo da parte di utenti di tale commissione, ovvero, della
Commissione Nazionale, la quale avrà visibilità e controllo completo su tutte le pratiche e i dati presenti nel sistema.
Una volta memorizzata, ogni pratica è legata ad un proprio
iter di valutazione, il quale prevede una o più convocazioni,
ciascuna con un documento ed una decisione (o esito) associati.
Durante tale processo, è possibile associare al fascicolo dei
documenti, variare lo stato della pratica o, nel caso di Contenzioso, aggiungere nuove informazioni relative al ricorso. Il sistema provvederà, sempre, a tenere traccia di tutte le operazioni
effettuate, memorizzandone date, decisioni ed eventuali note
correlate.
Per ogni fascicolo, un’accurata sezione dedicata allo “storico”
permetterà di visualizzare, in qualsiasi momento, tutte le informazioni ad esso collegate, consentendo di ripercorrere, in ordine
cronologico, tutti gli eventi salienti nel processo di valutazione ed
eventuale riesame (e/o Contenzioso) della pratica.
L’immagine seguente mostra un esempio di griglia per la
visualizzazione dello storico di un determinato fascicolo. Una
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
tabella analoga sarà predisposta per la visualizzazione dello storico dei Contenziosi.
Figura 4. Struttura della griglia di visualizzazione dello storico di un
fascicolo.
In seguito al raggiungimento di un esito definitivo, la pratica,
eventualmente, potrebbe essere oggetto di riesame, revisione
della decisione in via di auto-tutela, o di un Contenzioso.
In ogni momento, inoltre, a seguito di rinuncia da parte del
richiedente, o di decisione presa dalla Commissione di competenza (in tal caso si parla di revoca o di cessazione), lo Status di
Rifugiato o l’Asilo può essere annullato e, quindi, la pratica viene
posta in uno stato che attesti tale evento.
Situazione analoga può verificarsi nel caso di Contenzioso, al
quale il richiedente può rinunciare in qualunque momento del
suo processo.
Il seguente diagramma di flusso mira a rappresentare in
maniera sintetica, ma, per quanto possibile, esaustiva, l’iter di
creazione e valutazione di una pratica per il Riconoscimento
Status di Rifugiato o per l’Asilo, e i possibili stati successivi ad un
esito finale.
In pratica, il diagramma raffigura quello che potrebbe essere
definito come “ciclo di vita” di una pratica all’interno del sistema.
Nella gestione delle pratiche, particolare attenzione dovrà
essere posta su alcuni punti chiave, quali, ad esempio, la differenziazione tra procedure ordinarie e procedure semplificate, la
trattazione dei casi di minori non accompagnati, e la creazione di
pratiche multiple, Mentre nei primi due casi, sostanzialmente, è
richiesto al sistema l’aggiunta di campi appositi per la memorizzazione del tipo di procedura associata al fascicolo, o per la
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MAURIZIO GUAITOLI
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Figura 5. Ciclo di vita di una pratica di richiesta per il Riconoscimento
Status Rifugiato o per l’Asilo.
specifica di minore accompagnato o meno, la gestione di pratiche
multiple richiede delle specificità aggiuntive al sistema. In particolare, nel caso di famiglie che facciano richiesta per il Riconoscimento di Status di Rifugiato o per l’Asilo, sarà possibile
associare tutte le richieste ad un unico capofamiglia. In questo
modo l’utente avrà la possibilità di compilare un minor numero
di campi (accelerando, così, le operazioni di inserimento delle
pratiche nel sistema), e il software riconoscerà le richieste come
collegate, estendendo automaticamente gli esiti della pratica del
capofamiglia a tutte quelle associate.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
In maniera analoga, sarà possibile estendere lo status di un
capofamiglia ai figli o al coniuge, anche solo dopo l’esito della
pratica, senza aver precedentemente creato una richiesta multipla. In pratica, sarà possibile effettuare l’estensione delle status
anche per pratiche presentate singolarmente (ad esempio qualora
i componenti la famiglia siano entrati in Italia separatamente ed
in momenti differenti), ma, successivamente, riferite ad un’unica
famiglia.
3.2.1. Strumenti aggiuntivi.
Per snellire e semplificare le operazioni degli utenti del
software in progettazione, alcune funzionalità aggiuntive saranno
predisposte, in modo da accelerare i tempi per il reperimento di
informazioni utili al lavoro della Commissione Nazionale, delle
Commissioni Territoriali e della Sezione Stralcio.
Il software permetterà agli utenti di definire un elenco di
convocati in una specifica data. In questo modo, l’addetto al
sistema dovrà, semplicemente, specificare una data di convocazione ed indicare le pratiche che saranno esaminate in tale giorno.
Automaticamente il software aggiornerà ogni pratica con la
nuova data di convocazione.
Ovviamente, la suddetta operazione sarà uno strumento di
agevolazione del lavoro nel caso di più richieste da valutare nello
stesso giorno, ma resta la possibilità di definire direttamente per
una singola pratica una specifica data di convocazione.
In ogni caso, ogni volta che viene definita una nuova data di
convocazione per una o più pratiche, automaticamente verrà
prevista una data di esame per lo stesso giorno, ferma restando,
ovviamente, la possibilità di modificare tale data. Naturale aggiunta a questa funzionalità sarà la possibilità di visualizzare, ed
eventualmente stampare su carta, l’elenco di tutti i convocati o di
tutti gli esaminati in una specifica data o in un determinato
intervallo di tempo.
Il modulo preposto per questa funzionalità permetterà al-
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MAURIZIO GUAITOLI
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l’utente di definire una data (o un intervallo di date) e, eventualmente, la Questura di interesse tra quelle facenti capo alla
Commissione Territoriale cui appartiene l’utente interagente col
software. Ovviamente, nel caso di utente della Commissione
Nazionale, sarà anche possibile scegliere la Commissione Territoriale di interesse (oltre, chiaramente, alla Questura).
Figura 6 (a). Eesempio di modulo per la visualizzazione dell’elenco
convocati.
L’utente potrà digitare la data di interesse manualmente o
utilizzando un apposito “calendarietto”. In tale strumento saranno evidenziate le date in cui è prevista una convocazione, in
modo da semplificare la scelta all’operatore umano, il quale, tra
l’altro, potrà anche richiedere specificatamente di vedere i convocati dell’ultima riunione effettuata o della prossima in programma. In tal caso sarà il software a determinare opportunamente la data di interesse.
Un modulo analogo sarà realizzato per la visualizzazione
dell’elenco di esaminati in una specifica data o in un intervallo di
tempo.
È importante notare che, in entrambi i casi, l’elenco risultante
presenterà i dati principali del richiedente, quali nome, cognome,
data di nascita e nazionalità, e l’esito della pratica; d’altra parte,
semplicemente cliccando su un link opportuno, sarà possibile
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
visualizzare direttamente i dettagli del fascicolo di ciascun richiedente presente nell’elenco.
Figura 6 (b). Quando l’utente clicca sul calendarietto, questo si
espande consentendo di scegliere una data specifica. I giorni in cui sono
previste (o sono state effettuate) delle convocazioni sono evidenziati.
Inoltre, sempre allo scopo di snellire il compito degli operatori umani nonché di accomunare ed accelerare operazioni ripetitive, l’utente potrà associare uno stesso esito ad un gruppo di
pratiche aventi una caratteristica in comune: ad esempio tutte
quelle esaminate lo stesso giorno, aventi la stessa data di convocazione, ecc.
Questa utilità è frutto dell’analisi delle attività delle Commissioni che, spesso, si ritrovano a determinare uno stesso esito
(ad esempio “Negativo, Irreperibile”) per tutte la pratiche
esaminate nel medesimo giorno. L’operatore umano, in tal
modo, anziché dover gestire singolarmente ciascuna pratica,
potrà associare la stessa decisione a tutti i fascicoli mediante
un’unica operazione.
3.2.2. Generazione documenti.
Alle pratiche, tipicamente, ogni qualvolta viene effettuato un
esame o stabilito un esito, viene associato un documento attestante la decisione presa. Tali documenti, usualmente, vengono
stampati, firmati, ed inseriti nel fascicolo cui sono collegati.
Fermo restando la possibilità di preservare questa metodologia di lavoro, il sistema permetterà, agli utenti aventi il proprio
dispositivo di firma digitale, di sottoscrivere il formato elettroni-
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MAURIZIO GUAITOLI
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co del documento, evitando, in tal modo, di stampare ulteriore
materiale cartaceo. Il documento elettronico firmato digitalmente
(valido, a tutti gli effetti di legge come un documento cartaceo
firmato manualmente) rimane comunque associato al suo fascicolo digitale, e sarà comunque sempre consultabile ed eventualmente stampabile.
Come sempre, nel massimo rispetto delle esigenze degli
utenti ed al fine di garantire la più totale flessibilità, il sistema
supporterà in maniera ottimale sia la gestione “classica” cartacea
dei fascicoli, sia quella elettronica, sia una gestione mista, garantendo, sempre, la creazione e memorizzazione di tutti i documenti associati ad ogni fascicolo, permettendo di visualizzarli e
stamparli in qualunque momento.
Tutti i documenti memorizzati nel sistema, inoltre, saranno
tutelati da avanzati sistemi di crittografia e protezione dei dati,
garantendo, non solo l’impossibilità di modificarle, ma anche la
verifica di autenticità, integrità e di non corruzione sicurezza, la
firma digitale e la protezione dei dati sono approfonditi nel
paragrafo 3.6. degli stessi.
Dagli incontri svolti, inoltre, si è evinta la necessità, in taluni
casi, di generare documenti ad hoc, ad esempio in situazioni
particolari, o in aggiunta ad altri documenti già stampati.
Il sistema permetterà all’utente, senza percorrere l’iter di
accesso ad una specifica pratica, di creare o stampare un determinato documento e, eventualmente, associarlo ad un fascicolo.
In ogni momento sarà possibile creare documenti dai template di
formule predisposte dal software, personalizzare tali moduli precompilati, generare nuovi modelli, o creare un nuovo documento
ex-novo attraverso uno specifico editor testuale.
Ogni nuovo documento creato attraverso il software potrà
essere associato ai fascicoli memorizzati, come pure, potranno
essere aggiunti ai fascicoli documenti generati attraverso altri
applicativi (ad esempio editor di file pdf, ecc.). Anche in questo
caso, il sistema garantirà la massima flessibilità, permettendo di
gestire sia documenti “propri” che file generati da applicazioni
esterne.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Figura 7. Editor di generazione di un nuovo documento.
3.2.3. Accessibilità e visibilità delle pratiche.
Un problema spesso connesso alla valutazione di una pratica
è quello legato alla relazione tra la stessa ed un’altra (ad esempio
esibita da un consanguineo del richiedente) presentata presso una
Questura collegata ad una differente Commissione Territoriale.
Più in generale, questa tematica apre alla questione della
visibilità e accessibilità delle informazioni presenti nelle singole
Commissioni Territoriali, nella Sezione Stralcio o presso la Commissione Nazionale. Come già accennato, in linea di principio e
fatti salvi i privilegi accordati ai singoli utenti, ogni Commissione
Territoriale, nonché la Sezione Stralcio, ha accesso, sia in lettura
che in modifica, a tutti e soli i dati di sua pertinenza, mentre la
Commissione Nazionale ha il controllo completo su tutti i dati
presenti nella Rete Intranet per Dublinet.
Premesso ciò, appare tuttavia evidente come sia necessario
predisporre un sistema di condivisione di dati per casi particolari.
Il sistema della Rete Intranet per Dublinet, a tal fine, supporterà in maniera ottimale la notifica di richieste di visibilità e la
condivisione delle informazioni, qualora questa risulti effettivamente importante.
Quando un utente di una Commissione Territoriale ha l’esigenza di visualizzare i dati relativi ad una pratica non di sua
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MAURIZIO GUAITOLI
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competenza, potrà utilizzare un apposito strumento presente nel
software, attraverso il quale notificherà alla Commissione che
detiene le informazioni delle quali è desiderata la visibilità, la
richiesta di accesso alla pratica, specificandone le motivazioni ed
associando un’eventuale priorità.
Presso la Commissione destinataria della richiesta, verrà notificata la proposta e un utente responsabile della condivisione
dei dati potrà acconsentire o meno alla visibilità ed eventualmente inviare un messaggio di risposta.
Dal momento che, usualmente, l’esigenza di visibilità di un
fascicolo è legata al caso di consanguinei che presentino la
Richiesta per il Riconoscimento dello Status Rifugiato o per
l’Asilo, presso Questure appartenenti a Commissioni Territoriali
differenti, potrà essere predisposta la condivisione bilaterale, nel
senso che le due pratiche “collegate” potranno essere condivise
tra le due Commissioni Territoriali in cui sono state inserite.
Va ricordato che, in ogni caso, vigerà sempre il criterio in
base al quale ogni Commissione Territoriale potrà al più, visualizzare i dati presenti in un’altra Commissione, ma non potrà in
nessun modo modificarli.
3.3. Scambio di informazioni, messaggi e notifiche all’interno della
Rete Intranet per Dublinet.
Come si può evincere dal paragrafo precedente, la Rete
Intranet per Dublinet costituirà un supporto eccellente alla possibilità di condividere dati e richiedere informazioni tra le diverse
entità collegate al Sistema, nel rispetto dei principi di sicurezza,
privacy e gestione decentralizzata delle pratiche per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato e per l’Asilo.
Più in generale, chiaramente, il software estenderà tale caratteristica allo scopo di garantire, non solo un’estrema flessibilità
nella trasmissione e nell’interscambio di dati, ma, soprattutto, di
favorire quello che mira a diventare un canale privilegiato per la
comunicazione tra i soggetti connessi alla Rete Intranet per
Dublinet.
Lo scambio di messaggi e notifiche sarà alla base di veri e
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
propri dialoghi virtuali , che permetteranno agli utenti di comunicare tra loro attraverso tastiera e monitor in tempo reale,
ottimizzando, in tal modo, i tempi altrimenti necessari al reperimento di informazioni presenti in altre Commissioni Territoriali.
L’invio di file, informazioni o altri dati concernenti le attività
delle Commissioni, otterranno un’accelerazione notevole, consentendo, al tempo stesso, di minimizzare il carico di materiale
cartaceo o di documentazione varia da inviare attraverso i canali
“ordinari” (posta, fax…) o da conservare fisicamente nei propri
archivi.
L’utilizzo della firma digitale (si veda il paragrafo 3.6), inoltre, permetterà di inviare documenti riconosciuti, autenticati ed a
tutti gli effetti validi, per legge, come atti firmati manualmente. La
comunicazione attraverso la Rete Intranet per Dublinet sarà
soggetta alle più avanzate tecniche e metodologie di garanzia
della sicurezza, privacy e protezione dei dati, in modo da prevenire qualsiasi accesso dall’esterno o manomissione o corruzione
delle informazioni veicolate attraverso di essa.
3.4. Analisi dei dati, Rilevazione statistica e Ricerca delle informazioni.
Un aspetto fondamentale del software in progettazione è il
supporto all’analisi statistica dei dati in esso memorizzati.
Gli utenti abilitati all’elaborazione statistica dei dati avranno
a disposizione un potente, flessibile ed avanzato strumento di
analisi, ricerca, raggruppamento e reperimento di tutte le informazioni.
La ricerca ed esame delle informazioni non sarà limitata solo
alle informazioni attualmente rilevanti, ma consentirà una dettagliata analisi degli storici delle pratiche, dei Contenziosi e di tutto
quanto concerne l’attività delle Commissioni Territoriali, della
Sezione Stralcio e della Commissione Nazionale.
Il modulo per la ricerca delle informazioni e per l’elaborazione statistica dei dati sarà altamente personalizzabile, consentendo di definire numerosi filtri, indicare i campi di interesse e
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richiedere di raggruppare o ordinare (sia in ordine crescente che
in ordine decrescente) i risultati secondo uno specifico parametro.
I risultati delle ricerche potranno essere di carattere meramente statistico, e quindi il software fornirà una serie di valori
numerici in base ai campi di interesse e consentirà la creazione e
visualizzazione di grafici, oppure potranno avere finalità di ricerca di specifici fascicoli (ad esempio per la consultazione,
modifica o valutazione), e, quindi, consisteranno nell’elenco dei
nominativi le cui pratiche soddisfino i criteri di ricerca specificati.
In ogni caso, l’utente potrà passare da una modalità di ricerca
all’altra in maniera immediata, preservando i medesimi parametri
utilizzati. Ad esempio, è ipotizzabile uno scenario in cui l’operatore umano effettui un’analisi statistica sul numero di pratiche
soddisfacenti uno specifico requisito comune, dopodichè richieda l’elenco dei nominativi collegati a tali pratiche per ricercare un’informazione contenuta in una di esse.
Un aspetto su cui sarà prestata la massima cura sarà la
possibilità di definire, con estrema flessibilità, il grado di dettaglio
richiesto all’analisi statistica dei dati.
Ciò implica che, per tutti i parametri di interesse, sia possibile
reperire un’informazione globale (ad esempio, il numero totale di
pratiche aventi uno o più specifici requisiti in comune), ma anche
una valutazione più dettagliata, sia temporalmente (considerando
solo pratiche presentate in uno specifico anno, mese, giorno o
arco temporale personalizzato), che localmente (considerando
solo la pratiche presentate in una specifica Questura, o soggette
ad una precisa Commissione Territoriale), sia rispetto alla provenienza dei richiedenti (anche in questo caso si può andare da
un riscontro globale, cioè per area geografica, ad uno più particolare, cioè per nazionalità), che per fasce di età (considerando
pratiche di maggiorenni, minori, minori accompagnati, o definendo fasce d’età personalizzate), e così via…
Ovviamente, sarà possibile definire più parametri di interesse, filtri e gradi di dettaglio dei risultati per ciascuna ricerca,
garantendo una flessibilità nel motore che consentirà di definire
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
qualunque operazione possa essere utile agli utenti. La figura
seguente mostra un esempio di form per la ricerca delle informazioni a fini statistici o per individuare determinate pratiche.
Figura 8. Esempio di modulo per la ricerca. Ogni filtro può essere
preso in considerazione (selezionandone un valore di interesse) o
ignorato (ad esempio lasciando in bianco i campi delle date o il valore
“tutto” o “entrambi” negli altri casi.
Le ricerche relative ai Contenziosi seguiranno le stesse indicazioni e, ovviamente, anche per esse sarà possibile definire filtri
personalizzati e combinare tra loro i parametri di ricerca in modo
da ottenere esattamente le informazioni desiderate.
Nel form di ricerca, l’utente potrà specificare se richiedere la
visualizzazione di informazioni utili per la statistica (quindi tutto
l’insieme di valori numerici, sia particolareggiato che globale,
correlati alla ricerca effettuata), o l’elenco delle pratiche corrispondenti ai parametri di ricerca indicati.
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Figura 9. Esempio di form per la ricerca dei Contenziosi.
Il modulo di visualizzazione dei risultati, sia per le ricerche
sulle pratiche che per i Contenziosi, consentirà all’utente un’ulteriore personalizzazione, permettendogli di riordinare le righe in
base ad uno specifico valore, di visualizzare o nascondere determinati campi, o, nel caso di insieme molto grande di risultati, di
impaginarli, o di espandere/minimizzare gruppi di risultati logicamente correlati.
Come al solito, la scelta non sarà mai vincolante e l’utente
potrà passare da una visualizzazione dei risultati ad un’altra in
maniera estremamente semplice e rapida.
3.5. Log delle attività.
Tutte le attività svolte dagli utenti vengono registrate e
rilevate dal sistema. Il software permette all’operatore abilitato
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
alla visualizzazione di tali informazioni, di leggere un log dettagliato delle azioni svolte dagli utenti.
L’analisi permetterà di monitorare le attività, consentendo di
tenere sempre sotto controllo il corretto funzionamento della
Rete Intranet per Dublinet.
Ovviamente, tale reportistica non sarà finalizzata - né lo
permetterà - in alcun modo alla visualizzazione di informazioni
sensibili od alla violazione della privacy degli utenti, ma permetterà di correggere eventuali malfunzionamenti del sistema, nonché di tenere traccia delle operazioni per rilevamenti statistici,
per correggere eventuali errori nelle operazioni, per individuare
qualsiasi tipo di problematica connessa all’interazione degli
utenti col software.
Il log delle attività permetterà di vedere le informazioni
relative ad un singolo utente o all’intero sistema, specificando un
intervallo di tempo di interesse e, eventualmente, il tipo di
operazione da monitorare.
Figura 10. Esempio di form per il montaggio delle attività degli utenti.
Il modulo per la definizione del log di interesse sarà analogo
al form di ricerca visto al paragrafo precedente, e presenterà le
stesse caratteristiche di flessibilità e semplicità d’uso.
Anche in questo caso, inoltre, i risultati potranno essere
ordinati (sia in maniera crescente che decrescente), secondo uno
specifico campo di interesse.
Va ricordato che, come pure per i dati relativi alle pratiche,
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MAURIZIO GUAITOLI
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anche per il log delle attività, ciascun utente (naturalmente
purché abilitato) potrà visualizzare solo il resoconto delle attività
concernenti operazioni della sua Commissione. Ovviamente, tale
restrizione decade per quanto riguarda la Commissione Nazionale che, invece, avrà visibilità di tutte le attività svolte all’interno
della Rete Intranet per Dublinet e, quindi, anche delle singole
Commissioni Territoriali.
3.6. Strategie di tutela e protezione dei dati.
Il software in progettazione dovrà trattare una grande mole di
dati sensibili, nonché di importanza estremamente rilevante.
Tutte le informazioni contenute dovranno essere tutelate e
protette da qualsiasi accesso non autorizzato, da copie o modifiche non consentite, da qualunque operazione illegale, dalla corruzione fisica dei file.
Questo aspetto, pur rappresentando una caratteristica invisibile del sistema, in effetti, costituisce un requisito assolutamente
fondamentale ed imprescindibile per un software dedicato all’attività a cui sarà preposta la Rete Intranet per Dublinet.
Come già anticipato, l’accesso al sistema sarà regolato da un
avanzato strumento di riconoscimento e gestione dei permessi,
che, automaticamente, definisce il tipo di operazioni che può
essere effettuata dall’utente.
Tale funzionalità si basa sul principio di A.C.L. (Access
Control List), che permette di definire l’insieme di utenti abilitati
all’accesso al sistema, i loro ruoli ed i permessi associati a ciascun
ruolo.
Ogni permesso abilita o meno l’uso di una o più specifiche
funzionalità offerte dal software.
È evidente come un attento uso di tale strumento permetta di
garantire non solo un accesso controllato ai dati, ma anche di
prevenire un uso improprio degli stessi, giacché solo utenti
abilitati potranno accedere a tutte e sole le operazioni ad essi
permesse. Il riconoscimento degli utenti, come già detto, avviene
mediante l’inserimento di username e password. Tali credenziali
saranno trattate nell’assoluto rispetto della normativa vigente in
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
materia di tutela della privacy e gestione dei dati sensibili.
Ovviamente, la protezione di tali informazioni non si realizza solo
controllando l’accesso al sistema, ma anche impedendo utilizzi
impropri dei file che contengono i dati utilizzati.
Si consideri, ad esempio, il caso dei documenti associati ad un
fascicolo: se questo venisse generato in formato .doc e salvato
fisicamente sul disco fisico, impedire l’accesso al software ad un
utente non abilitato non preserverebbe il documento qualora lo
stesso utente potesse accedere indisturbatamente al file system.
Tale utente, non solo potrebbe leggere dati sensibili non di sua
competenza, ma, addirittura, potrebbe corrompere, o, persino,
rimuovere il documento dal disco e, quindi, rendere inattendibile
il fascicolo memorizzato nel sistema.
Nella Rete Intranet per Dublinet, invece, si prevedrà di
salvare tutte le informazioni, compresi i documenti, direttamente
nel database del sistema, in modo da impedirne l’accesso se non
attraverso il software stesso.
Inoltre, al fine di garantire, in ogni caso, la certezza assoluta
dell’integrità dei dati, assieme ai documenti sarà memorizzato il
loro codice hash1, in modo da poter verificare, in ogni momento,
la loro autenticità: il sistema segnalerà qualsiasi incongruenza
dovesse essere riscontrata tra un documento ed il suo codice
hash (1).
La predisposizione all’integrazione con i dispositivi di firma
digitale, inoltre, permetterà agli utenti che lo desiderino, di
firmare digitalmente i documenti presenti nel sistema.
Come già anticipato nei precedenti paragrafi, tale funzionalità
permetterà, a discrezione degli utenti, di gestire i fascicoli in
maniera elettronica.
In generale, un fascicolo è composto da un modulo C/3, un
(1) Il codice hash di un file è una codifica di quest’ultimo in formato esadecimale. Tale codifica è a sua volta un nuovo file univocamente calcolato (ad ogni file
corrisponde un unico codice hash), di dimensioni estremamente ridotte, dal quale non
è possibile risalire all’originale. Dal momento che il codice hash è univocamente
calcolato, qualunque modifica al file originale altererebbe la sua codifica hash, per cui,
da un confronto, risulterebbe tale differenza e si evincerebbe la non autenticità del file
ritenuto originale.
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MAURIZIO GUAITOLI
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insieme di informazioni aggiuntive, ed una serie di documenti. Il
sistema, in maniera intuitiva ed automatica, tiene traccia di tutti
tali dati costituendo quello che può essere considerato un vero e
proprio fascicolo elettronico.
A richiesta, dunque, l’utente potrà usufruire del proprio
dispositivo di firma digitale per firmare i documenti elettronici,
evitando così di stamparli, firmarli manualmente ad aggiungerli al
fascicolo cartaceo. Chiaramente, in nessun caso il software opporrà un vincolo alle preferenza dell’utente e sarà sempre possibile scegliere, di volta in volta, quale comportamento adottare.
Inoltre, la scelta non sarà mai vincolante, e l’utente potrà
sempre stampare (per la firma) un documento precedentemente
firmato digitalmente o firmare digitalmente un documento precedentemente stampato.
Ovviamente, anche per quanto riguarda le funzionalità di
firma digitale e riconoscimento dei dispositivi, saranno adottate
tutte le tecnologie più avanzate, nell’assoluto rispetto della normativa vigente in tale materia.
La sicurezza e la tutela dell’integrità dei dati, inoltre, saranno,
chiaramente, alla base degli strumenti di comunicazione attraverso la Rete Intranet per Dublinet. La rete, garantendo integrità
e protezione dei dati, costituirà sempre un canale rapido, efficiente ed affidabile per la comunicazione, la trasmissione e
condivisione di informazioni e file, la notifica di messaggi o
richieste.
3.7. Migrazione dei dati.
Il software in progettazione per la Rete Intranet per Dublinet
usufruirà di tutte le più moderne tecniche e metodologie di
realizzazione.
Ciò significa, non solo una grande efficienza ed ottimizzazione dei tempi, ma anche l’utilizzo dei paradigmi e delle strategie più evolute e diffuse.
Il risultato di tale filosofia sarà un sistema estremamente
flessibile, usabile, scalabile e di facile modificabilità, manutenzione ed eventuale aggiornamento.
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
Un tale lavoro, inoltre, poggiando su una piattaforma software estremamente solida e stabile, sarà predisposta all’integrazione di dati provenienti dalle applicazioni attualmente in uso
presso la Commissione Nazionale.
Dopo la messa in esercizio della Rete Intranet per Dublinet,
si provvederà ad un’analisi scrupolosa dei software e dei sistemi
di memorizzazione dei dati da essi utilizzati, allo scopo di consentire una accurata migrazione dei dati, preservando tutte le
informazioni necessarie all’attività della Commissione Nazionale,
delle Commissioni Territoriali e della Sezione Stralcio.
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GIOVANNI VESCO
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
1. Ringrazio il Preside del Corso di Laurea specialistica in
Direzione sociale e servizi alla persona, professor Pasquale Costanzo, per avermi invitato a questo importante e delicato momento di riflessione sul quadro normativo vigente in materia di
immigrazione.
Desidero complimentarmi con la Facoltà di Giurisprudenza
per aver dedicato tanta attenzione a una materia così complessa
e controversa. Ritengo che la scarsa conoscenza del fenomeno
migratorio e soprattutto dell’impianto di leggi che il nostro paese
si è dato per rispondere ai profondi cambiamenti che sta sperimentando, sia spesso alla base del modo distorto e poco obiettivo
con cui si guarda al fenomeno della permanenza di cittadini
stranieri in Italia.
È un atto di grande sensibilità e intelligenza mettere a
disposizione degli studenti – delle nuove generazioni che con tali
cambiamenti devono quanto prima imparare a convivere cercando di trarne il più possibile opportunità di crescita ed arricchimento culturale – la competenza e la professionalità dei
relatori di questa conferenza.
Anche nel mondo universitario sono da anni in aumento gli
studenti stranieri, seppur in modo più contenuto rispetto alle
scuole medie superiori, che questo anno in Liguria hanno visto
un autentico boom delle iscrizioni. Ritengo che questo sia un
elemento di rilievo, da curare con estrema attenzione.
In proprio luogo per il contributo che tali studenti possono
dare al sistema universitario, dato il buon livello di preparazione
con cui molti di loro giungono all’Università. Ritengo infatti che
daranno sempre più filo da torcere agli studenti italiani e saranno
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IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
di stimolo per il nostro sistema scolastico, favorendo l’acquisizione di nuove conoscenze.
In secondo luogo, perché l’Università rappresenta ancora
oggi uno strumento di mobilità sociale: avere una preparazione
adeguata e un titolo utile a svolgere professioni essenziali al
funzionamento della nostra società rappresenta per eccellenza la
via all’integrazione e alla costruzione di una società multiculturale.
Per queste ragioni mi è sembrato un gesto importante portare
nel cuore dell’Università tali tematiche, per favorire l’acquisizione di consapevolezza da parte dei cittadini italiani e stranieri
delle caratteristiche di un fenomeno tanto complesso. Mi auguro
che da questo possano scaturire nuove passioni, stimoli all’approfondimento e allo scambio e forse nuove professioni.
È sicuramente giunto il momento di spronare i nostri giovani
all’assunzione di responsabilità collettive, per il semplice fatto
che il mondo e il futuro appartengono a loro. Soprattutto ritengo
fondamentale che conoscano gli aspetti più problematici, le
costrizioni e le limitazioni nel godimento dei diritti fondamentali
che affrontano i cittadini stranieri, ma anche il sistema di chance
e opportunità che vengono offerte loro, con una particolare
attenzione alla Regione Liguria.
2. Desidero quindi darvi un quadro generale delle azioni
intraprese dal mio Assessorato in questi anni al fine di ‘limitare i
danni’ di una normativa sostanzialmente repressiva e controproducente, che non solo ha prodotto clandestinità, ma ha osteggiato
la piena acquisizione di una cittadinanza attiva e consapevole e il
godimento dei diritti sociali garantiti dalla nostra amata Costituzione.
A questo proposito, da due anni abbiamo realizzato una
edizione multilingue dei primi capitoli della Costituzione italiana,
tradotti in nove lingue tra quelle più parlate nella nostra regione,
che abbiamo provveduto a distribuire agli istituti scolastici, alle
associazioni che lavorano con gli immigrati e alle istituzioni di
tutta la Regione.
Prima di parlare delle iniziative del mio assessorato, ritengo
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GIOVANNI VESCO
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opportuno darvi alcuni numeri relativi alla presenza di cittadini
immigrati in Liguria, con particolare riferimento al mercato del
lavoro e all’istruzione.
Al primo gennaio 2007, gli stranieri regolarmente residenti
nella nostra Regione erano 80.735, di cui 38.300 uomini e 42.430
donne, le quali rappresentano il 52% del totale.
Questo primo dato è in controtendenza rispetto a quello
nazionale e caratterizza la nostra Regione con una migrazione
prevalentemente al femminile, frutto delle peculiarità demografiche della Liguria, che comporta per il governo regionale e gli
enti locali la necessità di dedicare una particolare attenzione alla
tematica delle pari opportunità e di declinare i servizi territoriali
tenendo sempre conto delle esigenze delle donne e delle madri
straniere che lavorano soprattutto nel settore dei servizi di cura
alla persona.
Rispetto all’anno passato l’immigrazione è aumentata
dell’8%, e sono aumentate più le donne degli uomini, ma nonostante questo ci troviamo al di sotto della media nazionale, infatti
la popolazione straniera in Liguria si attesta ancora al 2,7%.
I dati di cui vi sto parlando, elaborati dall’Osservatorio sul
Mercato del lavoro della Regione Liguria, mostrano delle differenze rispetto a quelli presentati dal Dossier statistico della
Caritas per il 2007. Sono più contenuti anche perché contemplano unicamente i cittadini stranieri presenti regolarmente sul
nostro territorio.
Bisogna considerare che l’aumento della popolazione straniera è dovuta anche all’aumento delle nascite di bambini stranieri e questo fenomeno è legato ad un altro aspetto, quello della
forte rappresentatività dei giovani tra i migranti, (i minori incidono per il 22% sul totale).
Per quanto riguarda le nazionalità di provenienza, il gruppo
numericamente più rilevante è quello dell’Ecuador, seguito da
Albania, Marocco e Romania, mentre i permessi di soggiorno
vengono rilasciati prevalentemente per motivi di lavoro e famiglia.
Gli studenti stranieri presenti nelle scuole liguri ammontano
a 15.219 unità, pari al 7,8% della popolazione scolastica della
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nostra regione, con un aumento graduale e costante negli ultimi
due anni grazie al quale oggi oltre due terzi dei nuovi studenti
sono stranieri.
Il maggior numero delle iscrizioni sono state registrate nelle
scuole elementari, seguite dalle scuole medie superiori e dalle
scuole medie inferiori. Questo dato la dice lunga in merito alla
problematica dei ricongiungimenti familiari con figli oramai adolescenti. Spesso, infatti, per i genitori non è possibile fare altrimenti a causa dei limiti temporali imposti dalla legge italiana, per
la quale non si possono ricongiungere figli che abbiano raggiunto
la maggiore età.
Questi ragazzi però si trovano ad affrontare enormi cambiamenti e vengono inseriti in istituti scolastici nei quali trovano forti
difficoltà, a partire dalla barriera linguistica.
Un ultimo accenno al mondo del lavoro: il mercato del lavoro
immigrato è un mercato vivace, in cui si riscontra un aumento di
tutte le voci considerate: assunzioni, cessazioni e cambi di
azienda. Questo dato conferma però che i lavoratori migranti
sono soggetti ad una forte mobilità, per non dire precarietà, coma
dimostrano i cambi di azienda, che rappresentano la quota più
significativa dei movimenti occupazionali.
Anche per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, quelli
avvenuti a lavoratori extracomunitari sono stati il 10% del complesso degli infortuni verificatisi nel corso del 2006. I settori
infine nei quali si impiega maggiormente manodopera immigrata
sono quelle dell’industria, dei servizi alla persona e dei servizi
turistico – alberghieri.
3. Per quanto riguarda le concrete risposte date dalla regione
ai tanti problemi quotidiani che i cittadini migranti devono
affrontare per vivere in Liguria, è necessario iniziare dalle legge
regionale n. 7/2007 “Norme per l’accoglienza e l’integrazione
delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati”, approvata
dopo un importante momento di riflessione di portata nazionale
ed europea realizzata dal mio Assessorato.
Mi riferisco alla Conferenza Immigrazione tenutasi il 18
settembre 2006 presso la Sala del maggior Consiglio di Palazzo
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Ducale, alla quale hanno partecipato i Ministri Amato e Ferrero,
il Vicepresidente della Commissione Europea Franco Frattini, i
Prefetti di Genova e Savona e i rappresentanti del mondo
dell’Università, dei sindacati e delle associazioni che si occupano
di immigrazione a livello nazionale.
È stato un momento alto di discussione nel corso del quale si
è riflettuto sulle politiche e sulla governance dell’immigrazione a
livello europeo, nazionale e locale, che ha rappresentato un punto
di riferimento per la definizione della legge regionale approvata
dal Consiglio il 20 febbraio di quest’anno.
Si tratta di una legge trasversale, che, nel pieno rispetto della
normativa europea e delle leggi nazionali tuttora vigenti, affronta
la questione immigrazione nelle sue molteplici dimensioni e cerca
di dare risposta ai bisogni e alle problematiche che caratterizzano
la vita quotidiana dei migranti, a partire dall’inserimento nella
società ospitante.
Con questa legge, la Regione si è impegnata infatti ad affrontare le problematiche che derivano dalla presenza sul territorio di
cittadini stranieri mediante adeguate politiche abitative, della
sanità e dei servizi sociali e cerca contemporaneamente di promuovere l’effettiva integrazione degli immigrati nel tessuto sociale e culturale della Regione, assicurando il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi degli stranieri in tema di
accoglienza, formazione professionale, istruzione, tutela e sicurezza sul lavoro.
Abbiamo inoltre previsto interventi in materia di alloggi, per
contrastare le speculazioni, il rischio di ghettizzazione e marginalizzazione di questi cittadini.
Con la garanzia delle cure urgenti ed essenziali e soprattutto
con la precisa definizione del significato di tali termini, abbiamo
cercato di eliminare il rischio di interpretazioni restrittive e di
garantire un diritto umano fondamentale a prescindere dalla
cittadinanza o dall’origine dei singoli individui qual è il diritto
alla salute.
Ancora, gli interventi su istruzione e formazione sono volti
alla qualificazione della presenza immigrata in Liguria, in modo
da non disperdere saperi, talenti ed energie che giungono sul
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territorio, affinché possano contribuire allo sviluppo e all’innovazione del nostro sistema produttivo ed economico In questo
senso è fondamentale il contrasto al lavoro sommerso, la qualificazione dei servizi per il lavoro e la formazione degli operatori,
tutti aspetti per i quali è strategica la collaborazione delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro.
Gli interventi in materia di educazione culturale hanno invece l’obiettivo di sostenere le strutture scolastiche nello sforzo
che da anni stanno compiendo per affrontare i grandi cambiamenti del nostro tempo, i quali però vanno visti come un’opportunità di crescita e di arricchimento culturale per tutti i cittadini,
specialmente in un’epoca di interconnessioni globali come la
nostra.
4. Frutto di questa legge è anche la Consulta regionale per
l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati, insediata per la
prima volta mercoledi 28 novembre 2007.
Si tratta di un organismo composto da oltre trenta membri in
rappresentanza dei cittadini stranieri immigrati, delle associazioni
di volontariato, dei sindacati, delle associazioni di categoria e
degli Enti Locali, i cui compiti sono formulare proposte propedeutiche alla stesura del Piano regionale triennale per l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati, esprimere pareri sulle
iniziative di settore, formulare proposte per lo svolgimento di
studi e approfondimenti sull’immigrazione, sulle condizioni di
vita e di lavoro dei cittadini stranieri immigrati che risiedono in
Liguria.
Con la Consulta, per la prima volta in Regione si avvia un
processo istituzionale di confronto che coinvolge direttamente i
cittadini migranti (dodici membri nominati direttamente dalle
associazioni che si occupano di immigrazione) e tutte le realtà che
sono state interessate dal fenomeno migratorio in Liguria.
Si tratta, dunque, di un laboratorio di notevole interesse, che
mira ad ampliare la partecipazione democratica ai processi decisionali, a rafforzare il processo di acquisizione di una cittadinanza
attiva da parte dei migranti ma anche a creare sinergie e un
costruttivo coordinamento tra istituzioni, associazioni, sindacati.
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Vedremo nei prossimi mesi che cosa riusciremmo a produrre,
ma da questo momento in poi le politiche dell’immigrazione della
Regione dovranno necessariamente tenere conto delle opinioni,
delle conoscenze e delle proposte di tale organismo.
Senza dimenticare che vogliamo entro la primavera pervenire
all’elezione diretta dei membri stranieri nominati in via transitoria
dalle associazioni, come previsto dalla legge. Questo perché
ritengo fondamentale permettere ai cittadini stranieri, che non
hanno diritto di voto, di esprimersi direttamente scegliendo i
propri rappresentanti. Anche perché è andata crescendo la pressione per l’accesso al voto e alla rappresentanza democratica.
Per quanto riguarda invece le azioni che il mio Assessorato
sta realizzando per affrontare le problematiche che colpiscono in
particolar modo i giovani migranti, è stato da poco approvato
dalla Giunta regionale un progetto, a titolarità delle Province
Liguri, di prevenzione della devianza e interventi di inclusione
sociolavorativa nei confronti di giovani stranieri presenti sul
territorio.
Il progetto prevede percorsi di inserimento lavorativo, che
verranno realizzati presso i Centri per l’impiego, destinati a
giovani di età compresa tra i 16 e i 25 anni, segnalati da istituti
scolastici, distretti sociali o altri soggetti in base a quella che è la
rete dei servizi sociali nel contesto di riferimento.
Lo scopo è quello di prevenire fenomeni di esclusione mediante l’inserimento lavorativo e la qualificazione professionale,
ovvero attraverso la rilevazione dei bisogni di questi giovani e la
strutturazione di una proposta il più possibile personalizzata.
Ritengo che un progetto di questo tipo, che è il frutto della
professionalità e della conoscenza delle nostre Province, risponda
ad alcune tra le problematiche di maggior rilievo che molti
giovani migranti si trovano ad affrontare nella loro permanenza in
Italia.
5. Innanzitutto, il problema della scadenza del permesso di
soggiorno. Questo è un problema particolarmente drammatico, i
cui effetti possono essere devastanti per un ragazzo o una ragazza
che, pur avendo in Liguria la propria famiglia e i propri punti di
riferimento, corre il rischio di cadere nell’irregolarità se non può,
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alla scadenza del permesso per motivi familiari che coincide con
il raggiungimento del 18esimo anno di età, rinnovarlo per motivi
di studio o di lavoro.
Come tutti sappiamo, se non è affatto facile trovare lavoro, e
non lo è in particolar modo a 18 anni con una scarsa formazione,
non è altrettanto facile poter contare su un percorso di studi
avviato e strutturato a sufficienza da consentire l’ottenimento di
un permesso per motivi di studio.
E a questo si lega il secondo problema: per molti ragazzi, in
particolar modo coloro che giungono in Italia in età adolescenziale, spesso dopo un ricongiungimento familiare che ha comportato dolorose distanze dai propri genitori e altrettanto difficili
adattamenti al momento di arrivo, non è facile inserirsi in nuovi
istituti scolastici e lo è ancor meno scegliere il percorso di studi
adeguato.
Tutto questo si può facilmente tradurre in dispersione scolastica e in problemi di natura personale e sociale.
La città di Genova in particolare, con il famoso problema
delle bande, come sempre molto mediatizzato, ha dimostrato
come l’energia di questi ragazzi si possa canalizzare in fenomeni
complessi e articolati che in alcuni casi possono sfociare nella
microcriminalità o nella devianza.
Più in generale, il problema della scelta del percorso scolastico è comunque di grande rilevanza, come dimostra la forte
propensione per percorsi professionalizzanti. Al di là delle prospettive individuali e delle motivazioni che spingono ciascuno a
scegliere il percorso che ritiene più idoneo alla proprie aspettative, questo aspetto desta la preoccupazione di una scarsa mobilità sociale per i giovani stranieri.
Un problema che mi auguro si ponga in misura minore con il
passare del tempo e in particolare per i bambini nati in Italia o
che sono stati inseriti sin da piccoli nel nostro sistema scolastico
Resta comunque il problema delle pari opportunità e delle
barriere da abbattere, in particolare quelle economiche, dato il
costo che comporta ancora oggi portare a termine un percorso di
studi superiori.
Infine, sono al momento oggetto di istruttoria i progetti
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pervenuti all’Ufficio politiche dell’immigrazione a seguito di due
bandi destinati a finanziare, uno, progetti e recuperi di strutture
diretti alla creazione di occasioni di incontro tra cittadini di
diverse nazionalità e l’altro interventi di integrazione e comunicazione interculturale.
Vedremo quale sarà l’esito di tale istruttoria, ma direi che
dalla risposta ricevuta questi due bandi sono stati capaci di
stimolare la capacità progettuale degli Enti Locali e delle associazioni e cooperative sociali liguri che si occupano di immigrazione.
Questo quanto fatto per il momento, ma vi assicuro che le
energie e la voglia di dare risposte alla gente è ancora molta, anzi
posso dire che da questo momento in poi le nostre attività si
faranno sempre più significative ed importanti, anche perché
credo che da queste dipenda il benessere non solo dei cittadini
stranieri presenti in Liguria, ma anche degli stessi cittadini italiani
che devono quanto prima abituarsi a convivere con questi nuovi
concittadini e che beneficeranno della coesione sociale e dell’integrazione reale che tutti dobbiamo contribuire a realizzare.
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NOTIZIE SUGLI AUTORI E I CURATORI
MARIO ANGELELLI, Avvocato del Foro di Roma
PAOLA BALBO, Procuratore onorario presso il Tribunale di Torino
ANNA BANCHERO, Dirigente presso il Settore “Attività Distrettuali e
Servizi Sociali” della Regione Liguria, Professore a contratto di
Progettazione Sociale e Tecniche di Analisi dei Servizi e Accreditamento nell’Università degli Studi di Genova
FRANCESCO CATANI, Condirettore della Caritas Diocesana di Genova
PASQUALE COSTANZO, Ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università
degli Studi di Genova
ELENA FIORINI, Avvocato del Foro di Genova
GRAZIELLA GALLIANO, Ordinario di Geografia umana nell’Università
degli Studi di Genova
MAURIZIO GUAITOLI, Viceprefetto, Ministero degli Interni
ENRICO IVALDI, Dottore di ricerca Dipartimento di Economia e metodi
quantitativi dell’Università degli Studi di Genova
LIA MASTROPAOLO, Psicologa, Direttore della Scuola Genovese di Mediazione e Counselling sistemico, Professore a contratto nelle
Università degli Studi di Genova, Madrid e Barcelona
SILVANA MORDEGLIA, Componente del Consiglio nazionale dell’Ordine
degli Assistenti sociali, Professore a contratto nelle Università degli
Studi di Genova e Firenze
ROSA PALOMBO, Funzionario dell’Ufficio Immigrazioni della Questura di
Genova
ANTONIO PAPPALARDO, Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile di
Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria del Dipartimento per la Giustizia Minorile
PAOLA PELLEGRINO, Avvocato del Foro di Genova
FEDERICA RESTA, Avvocato, Consulente giuridico del Ministero degli
Interni
ANGELA TESTI, Professore associato di Economia applicata nell’Università degli Studi di Genova
LARA TRUCCO, Ricercatrice universitaria e docente di “Diritti di libertà
e diritti sociali” nell’Università degli Studi di Genova, Avvocato e
collaboratore regionale
GIOVANNI VESCO, Assessore alle Politiche attive del lavoro e dell’occupazione e alle Politiche dell’immigrazione della Regione Liguria.