CREMONA - Ecco le recensioni degli studenti cremonesi relative a 'La cantatrice calva'. Prosegue con successo l'iniziativa 'Diritto di critica' PAOLA NEGRI (4° LICEO LINGUISTICO MANIN) - In replica il 5 febbraio alle ore 20.30, al teatro “Ponchielli” di Cremona, “la Cantatrice calva”, diretta da Massimo Castri, in collaborazione con Marco Plini. La grande opera del maggior esponente del “teatro dell’assurdo”, Eugène Ionesco, ha scatenato risate e applausi tra il pubblico. I protagonisti sono due ordinarie coppie borghesi che vivono “nei dintorni di Londra”: gli Smith (interpretati da Mauro Malinverno e Valentina Banci) e i Martin (interpretati da Fabio Mascagni e Elisa Cecilia Langone), la cameriera Mary (Sara Zanobbio) e il capitano dei pompieri (Francesco Borchi). Essi parlano senza pensare, non comunicano, proferiscono parole senza senso e frasi prive di logica, che si trasformano in semplice suono, senza significato. Uno spazio chiuso, seppur arredato in modo elegante e raffinato, in cui i personaggi sono confinati, contribuisce a concretizzare la difficoltà che hanno di coabitare e dialogare. Il tutto è accentuato da movimenti stereotipati: i personaggi si alzano si siedono, aprono la porta, si abbracciano senza passione e sentimento. Gli unici movimenti spontanei sono le manifestazioni di rabbia e di rivolta nei confronti di situazioni assurde e bizzarre. Cosi come è bizzarro e strano il titolo dell’opera, “la Cantatrice calva”, l’enigmatico e assente personaggio che sottolinea ulteriormente l’incoerenza e l’irrazionalità che caratterizzano l’intera opera. Ma se da un lato, le situazioni e i discorsi comici, bizzarri e paradossali hanno divertito il pubblico, dall’altro inducono a riflettere sulla società moderna, caratterizzata, anch’essa, dalla monotonia della routine, dall’incomunicabilità, dal conformismo, dalla falsità dei rapporti e dalla difficoltà di dare un senso all’esistenza. ALESSANDRO COLOMBARI (3° LICEO SCIENTIFICO) - Teatro Amilcare Ponchielli, Cremona, 5 febbraio. Apertura sipario, entrata capitano dei pompieri, inglese, stile fine ottocento; presentazione personaggio tipo catalogo d’abbigliamento “made in UK”, uscita personaggio. Ora in scena due coniugi, inglesi, nell’atto di parlare secondo schemi convenzionali di una routine insopportabilmente identica. Il palcoscenico allestito con mobili e suppellettili di un classico salotto, inglese, di fine ottocento. Il tempo precisamente scandito da un orologio a pendolo. Ordine. Tutto pare essere in perfetto ordine, tranne un piccolo particolare: le parole! Discorsi privi di senso, frasi disconnesse, ma cosa sta succedendo? Tutti questi discorsi sono assurdi, eppure, il pubblico pende dalle labbra dei personaggi. È incredibile come si alternassero le risate degli spettatori nel momento del dialogo comicamente insensato al silenzio più totale dei momenti di pausa tra le battute. Complimenti al regista della commedia “La cantatrice calva” Massimo Castri che, pur non stravolgendo il classico con rivisitazioni in chiave moderna, è riuscito a imprimere negli atteggiamenti degli attori l’espressività necessaria a collegare le parole apparentemente sconnesse con lo stupore del pubblico. I comportamenti dei personaggi hanno trasmesso, o meglio non hanno trasmesso, sentimenti; la loro inconsistenza interiore è dettata dal timore di uscire nel mondo reale rifugiandosi nell’abitudinarietà delle loro vite, nel conformismo delle azioni e nella banalità dei discorsi. Un’altra coppia di coniugi, gli Smith, si scordano persino di essere marito e moglie essendo transitati nel mondo reale per giungere al salotto. Assurdo, anche il titolo sembra assurdo, dov’è la cantatrice? Sorprendente, come la rappresentazione che rispecchia ancora oggi ideali di inconsistenza, la mancanza di dialogo vero, che molto spesso caratterizzano i rapporti tra ragazzi. Eppure un’esecuzione impeccabile per la caratterizzazione che è stata data ai personaggi archetipati, che ha permesso all’intera platea e al teatro tutto di sentirsi parte del bizzarro salotto inglese cornice delle vicende. ANDREA BERGONZI (5° LICEO SCIENTIFICO) - Patetica e tragica comunicazione tra coppie scoppiate celata da un’apparenza ridicola e grottesca: sintesi efficace de “La Cantatrice calva” sotto la regia del maestro Massimo Castri e dell’assistente Marco Plini. Un salotto borghese del tardo Ottocento, arredato da poltrone e mobilio vintage, immerso in un’atmosfera angosciante ed inquietante, che sembra fagocitare la scena, costituisce l’ambientazione di un’opera totalmente atemporale e a-spaziale, priva di qualsiasi connotazione realistica e destinata pertanto a divenire “universale”. Un primo assaggio di illogicità e paradosso si coglie con il primo dialogo, che procede per aride frasi fatte e diventa emblema di una comunicazione malata e futile. Colonna portante dello spettacolo è proprio il tema della comunicazione, sulla quale sia le battute ioneschiane sia le azzeccate ed interessanti scelte registiche suscitano profonde riflessioni. I dialoghi tra i coniugi Smith e Martin sono fiumi incontrollabili di evanescenti parole, radicalmente strappate dal loro significato e accostate tra loro secondo criteri completamente arbitrari e stravaganti, che si traducono, nella parte finale, in aneddoti rigettati con grande violenza verso il pubblico. Quegli scioglilingua apparentemente banali e divertenti sono invece un grido tragico e disperato, aspetto superficiale di una ben più intima e sentita ricerca di un’identità, condizionata da convenzioni sociali, luoghi comuni e stereotipi che altro non producono fuorchè dolore e sofferenza. Dunque il riso, giustamente suscitato e stimolato dalla situazione volutamente assurda, (si tratta appunto del “teatro dell’assurdo” di Beckett, Adamov e lo stesso Ionesco) lascia lentamente spazio all’irritazione ed incomprensione del pubblico, travolto da mille parole, delle quali solo pochissime sensate e comprensibili. Si sgretola quel mondo inglese ordinato e costruito (ovviamente stereotipato), rimpiazzato infine da un secondo parallelo-speculare ma egualmente povero di senso e valori. Ricerca e costruzione di un’identità, assenza e sterilità della comunicazione, critica della falsità e ipocrisia delle classe borghese (oggi detta “classe media”): numerose e molto attuali le provocazioni dello spettacolo delle serate del 4 e 5 Febbraio al Ponchielli, lanciate da attori giovani, capaci ed espressivi, messisi alla prova in una sfida complessa e vinta con ottimi risultati. ELENA BRAMBILLA (3° LICEO SCIENTIFICO) - Il 4 e il 5 febbraio al teatro Ponchielli di Cremona è stata messa in scena “La Cantatrice Calva” di Eugène Ionesco. La regia è di Massimo Castri in collaborazione con Marco Plini. La cantatrice calva parla di due anonime coppie inglesi, gli Smith e i Martin, che rappresentano gli archetipi della borghesia. Le due coppie parlano, ma non comunicano, si limitano a uno scambio di frasi senza originalità e a volte senza alcun senso. I personaggi sembrano automi viventi, poiché parlano senza pensare e non esprimono nessun genere di emozione. Lo spettacolo si svolge nel salotto degli Smith. Gli Smith vivono chiusi nel loro piccolo mondo superficiale basato su una comunicazione altrettanto futile con discorsi banali; mentre i Martin hanno viaggiato così tanto da essersi persi tanto da non ricordarsi nemmeno di essere sposati. Alla fine dello spettacolo le due coppie invertono i ruoli e i Martin diventano gli Smith, questo vuole dimostrare il carattere intercambiabile dei personaggi e soprattutto quello degli uomini. La cantatrice calva, in questa lettura di Castri, risulta essere di un’allarmante attualità, sottolineando la banalità e la vacuità di molte conversazioni odierne. Lo spettacolo è stato un successo. Il pubblico sembra aver gradito La Cantatrice Calva soprattutto per i discorsi banali e a volte senza senso dei personaggi che hanno portato la rappresentazione ad un’amara comicità, fino allo svuotamento completo del significato di ogni parola, di cui rimane solo il suono, in un crescendo che lascia sgomento lo spettatore. Molto bravi gli attori che sono riusciti a catturare l’attenzione del pubblico sfruttando i giusti tempi e creando l’attesa per uno spettacolo che rompe la routine, attesa che puntualmente viene tradita. CAMOZZI DARIO (4° LICEO LINGUISTICO MANIN) - Non è stata una sfida semplice per il pubblico cremonese quella che si è presentata la sera del 5 febbraio scorso al Teatro Ponchielli di Cremona. L’avversario, del resto, era di tutto rispetto: il teatro dell’assurdo si è sempre rivelato un’incognita per gli spettatori teatrali, una sorta di azzardo misterioso. Non a tutti può piacere una rappresentazione assurda, infatti. L’umorismo si presenta in una forma del tutto particolare, e, come suggerisce il nome, privo di ogni minima logica. Ogni attore deve dimostrarsi all’altezza del ruolo assegnatogli, interpretando in maniera ottimale la propria parte, caricando con la dovuta enfasi ogni sua singola battuta, sconnessa dalle altre. Ma gli attori sono stati fortunati: il pubblico cremonese si è dimostrato recettivo a questa bizzarra tipologia di rappresentazione teatrale, ed ha apprezzato molto lo spettacolo. Frutto della regia di Massimo Castri, venuto a mancare il 21 gennaio scorso a Firenze, “La Cantatrice Calva” ha riscosso un ottimo successo a Cremona. Tutti gli attori presentatisi sul palco mercoledì sera hanno recitato in maniera superba e convincente, proponendo un’ottima rivisitazione italiana dell’opera del francese Eugène Ionesco. Dalle tipiche e stereotipate coppie inglesi degli Smith (Mauro Malinverno e Valentina Banci)e dei Martin (Fabio Mascagni e Elisa Cecilia Langone), a Mary,la cameriera degli Smith (Sara Zanobbio) e al capitano dei pompieri di Londra (Francesco Borchi), i personaggi sono riusciti in pieno nell’intento di travolgere il pubblico con battute che mostravano come il linguaggio possa risultare inutile se, paradossalmente, si parli senza riuscire veramente a comunicare, ma tanto per parlare. L’apice dell’assurdo viene raggiunto verso il finale della rappresentazione, quando, poco dopo aver menzionato la Cantatrice Calva( che tuttavia non appare mai in scena), i personaggi, disposti ad esedra in un salotto tipico inglese, travolgono gli spettatori con una rapida sequenza di proverbi, e non, totalmente non conciliabili gli uni con gli altri. Terminato l’illogico ed enfatico sfogo dei personaggi, l’accendersi delle luci da segno della fine dello spettacolo e gli attori vengono meritatamente investiti dall’applauso del pubblico. FRANCESCA GALLI (5° LICEO SCIENTIFICO) - Dopo il traumatico “Servitore di due padroni” riadattato da Latella, va in scena al teatro Ponchielli “La cantatrice calva”, una pièce del teatro dell’assurdo di Eugène Ionesco con la regia di Massimo Castri. Laddove Latella aveva lasciato l’amaro in bocca a tanti spettatori, “La cantatrice calva” ha riscosso un ben più ampio successo incontrando le simpatie e gli applausi del pubblico. Protagonisti della rappresentazione sono due coppie di borghesi, gli Smith e i Martin, figure di una classe media alla deriva e che brancola nel buio delle incertezze. Ed è infatti così che si presenta la scena, semi buia e claustrofobica, con le quinte nere che sembrano sollevare nel nulla un grande tappeto che trasuda vecchio e ospita mobili d’epoca, poltrone imbottite, una pendola che suona a vuoto, un pianoforte. La luce soffusa di un lampadario a bracci stanca gli occhi. Questa vetrina borghese, rigorosamente inglese, vuole stigmatizzare la società odierna, straniata da pensieri e sentimenti vuoti, ma purtroppo corre il rischio di restare troppo cristallizzata nel suo tempo, attualizzando a fatica l’atemporale messaggio di denuncia. Gli Smith (Mauro Malinverno e Valentina Banci) abitano il salotto luogo dell’azione o, per meglio dire, del delirio, come due esemplari da museo, rinchiusi là dentro da anni. I Martin (Fabio Mascagni e Elisa Cecilia Langone) invece escono, si recano a visitarli, e questo cambio di prospettiva è per loro sufficiente a disorientarsi e disconoscersi. Il dialogo si sviluppa attraverso discorsi futili, argomentazioni assurde, litigiosità sciocca e ottusa. I personaggi sono privi di personalità e profondità psicologica, sono costruiti di parole vuote, aggrappati a un’inconsistente rete di relazioni. Nel momento in cui questa rete si dissolve, ogni fragile certezza cade in frantumi, le coppie scoppiate cominciano a vomitare fiumi di parole sconnesse e deliranti, che suscitano un potente effetto comico-grottesco. L’unica a salvarsi è la cameriera, Mary, che infrangendo la quarta parete fugge attraverso la platea. Eppure, nonostante l’assurdità della pièce sia fedele a Ionesco, dietro alla comicità che nasce dall’insensatezza, da una cantatrice calva che “si pettina sempre allo stesso modo”, non si coglie appieno la tragicità celata nel dramma degli Smith e dei Martin, il nostro dramma. FRANCESCA RABAIOTTI (4°LICEO LINGUISTICO MANIN) - “E la cantatrice calva?” chiede il capitano dei pompieri dopo l'ingresso nel soggiorno dei signori Smith; “Si pettina sempre allo stesso modo” risponde la signora. Questo è l'unico accenno durante tutto lo spettacolo al titolo dell'opera “La cantatrice calva”di Eugène Ionesco con la regia di Massimo Castri, andata in scena il giorno 5 Febbraio al Teatro Ponchielli di Cremona. Affermazione totalmente scollegata dal resto della narrazione, rappresentativa del teatro dell'assurdo. Infatti i protagonisti della pièce sono due coppie inglesi, gli Smith e i Martin, esponenti della classe borghese, incapaci di comunicare, pensare, esprimere emozioni, limitandosi ad uno scambio di frasi banali e convenzionali. Lo spettacolo inizia con i discorsi futili, le opinioni discrepanti, le tematiche vuote, della signora Smith, alla presenza del marito, sprofondato su una poltrona, intento a leggere il giornale e a fumare la pipa. Tutto questo è per attirare l'attenzione dello spettatore sul tema della difficoltà ad esprimersi ed a comunicare. Tutto ciò si percepisce anche nei coniugi Martin, protagonisti di una lunga conversazione, in cui si ripetono come una cantilena le parole “veramente curioso, veramente bizzarro”, durante la quale scoprono di vivere nello stesso appartamento, di condividere lo stesso letto, arrivando alla conclusione di essere marito e moglie. Dopo la svolta drammaturgica dell'ingresso in scena del capo dei pompieri, la situazione, già assurda, degenera in un dialogo senza senso, caratterizzato da un violento e inaspettato scambio di parole, destinate a diventare semplici suoni; un modo per accentuare il pathos della rappresentazione e sottolineare l'incomunicabilità, l'incomprensibilità degli uomini. Lo spettacolo ha portato i presenti in teatro ad avere attenzione, curiosità, emozione per l'ambivalenza della narrazione talora comico-grottesca talvolta straziante e sconvolgente. GIANFRANCO GUARDIANI (3°LICEO SCIENTIFICO) - “La cantatrice calva” è un’opera di Eugène Ionesco, uno dei più famosi esponenti del teatro dell’assurdo, corrente teatrale sviluppatasi verso la metà del secolo scorso. L’obiettivo di tale tipologia di opera è la “risata” del pubblico, talvolta varcando anche i limiti della logica. Tale scopo è stato raggiunto a pieni voti dal regista Massimo Castri che al teatro Ponchielli di Cremona ha portato in scena l’opera di Ionesco. La vicenda è ambientata in un salotto borghese dove la famiglia Smith abita e in cui i personaggi discutono dei problemi della borghesia di ceto medio-basso. All’interno della casa è presente anche la cameriera, Mary. Dopo una discussione iniziale tra i due coniugi, dopo cena, arrivano come ospiti per il pasto (seguendo così le consuetudini dell’assurdo) i signori Martin che si presentano con un lungo dialogo nel quale essi fingono di non conoscersi inizialmente arrivando poi alla tesi di essere marito e moglie, data la serie di coincidenze che li vedeva insieme. L’ultimo personaggio ad entrare in scena è il capitano dei pompieri che, una volta entrato nella conversazione, partecipa ai discorsi delle due coppie. Il successo dello spettacolo è dovuto a una serie di espedienti che non hanno fatto altro che sollecitare l’interesse del pubblico e a favorire il suo coinvolgimento. Il fatto che lo spettacolo duri poco (settanta minuti) e la presenza di una trama, che è posta in secondo piano rispetto alle battute dei personaggi, hanno fatto godere ad ogni singolo spettatore l’opera, evitando sbadigli o uscite anzitempo. La comicità è invece derivata dalle stesse battute prive di volgarità, semplici o senza alcun senso, ovvero perfette per questo tipo di rappresentazione teatrale. GLORIA GEROLDI (3° LICEO SCIENTIFICO) - Al termine de “La cantatrice calva”, andata in scena il 4 e 5 Febbraio, il pubblico del teatro Ponchielli di Cremona è scoppiato in un applauso scrosciante, di quelli veri e meritati. Nonostante lo spettacolo non fosse particolarmente lungo (solamente 70 minuti) si è potuta percepire chiaramente la bravura degli attori. In un anonimo salotto borghese del ‘900, due altrettanto anonime famiglie, gli Smith e i Martin, parlano del più e del meno. Ma, nei loro dialoghi, essi non dicono niente, parlano ma non comunicano. È questa la situazione dell’uomo del secondo dopoguerra: ha perso la sua capacità comunicativa e quella di rapportarsi con gli altri. E, fra battute prive di significato, aneddoti surreali, discorsi pieni di continue contraddizioni, si realizza il dramma umano del contesto nel quale Ionesco vive. Un lungo e sentito applauso è stato quello al termine del complicato monologo di Francesco Borchi, che interpretava il capitano dei pompieri, ospite della famiglia Smith. Ed è proprio l’arrivo di questo personaggio che suscita un aspro dibattito fra le mogli e i mariti: le prime sostengono che quando suona il campanello significa che non c’è nessuno alla porta, i secondi il contrario. Ed è proprio l’ovvietà della risposta, così lampante per il pubblico e così nascosta per le due donne in scena, a suscitare la risata negli spettatori. Significativo è il momento nel quale Mary, la cameriera, si “ribella” ai suoi datori di lavoro, e annuncia pubblicamente la sua storia d’amore col capitano, non capita agli altri in quanto i due sono di condizione sociale differente. Complessivamente, lo spettacolo è stato leggero e profondo allo stesso tempo: ad un primo sguardo non significa niente, è solo un modo per trascorrere una serata diversa dal solito divertendosi, ma analizzandolo più approfonditamente si coglie la drammaticità che vi si nasconde dietro. E la compagnia diretta da Castri ha reso al meglio questa doppia faccia dell’opera di Ionesco. ILARIA DEL GROSSO (4° LICEO LINGUISTICO MANIN) - Il sipario si apre, le luci si accendono delineando un “interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese'”. Il Signor Smith (Mauro Malinverno) e la Signora Smith (Valentina Banci), inglesi, seduti a condividere un lungo e placido momento di silenzio, inglese. Il pendolo di legno, nel fondo del salone, suona diciassette rintocchi, anch'essi inglesi. Tra queste quattro mura, finemente arredate, stanno in bella mostra gli stereotipi di una famiglia della middle class dell'Inghilterra del primo Novecento. Qui, prende forma, in un climax dell'assurdo, l'opera di Eugène Ionesco 'La Cantatrice calva' (in scena Mercoledì 5 Febbraio al Teatro Amilcare Ponchielli), efficacemente affrontata dal regista Massimo Castri e dai suoi brillanti attori, capaci di calarsi nei panni di lunatici, apatici e bizzarri personaggi. Ospiti dei Signori Smith, il Signore e la Signora Martin (Fabio Mascagni e Elisa Cecilia Langone), accompagnati nell'abitazione da un'altezzosa e irriverente cameriera, Mary (Sara Zanobbio). I quattro borghesi, incapaci di approcciarsi al vero dialogo avviano conversazioni insensate, confusionali e prive di un vero filo conduttore. A loro si aggiunge poco dopo il capitano dei pompieri della città di Londra (Francesco Borchi), alla disperata e smaniosa ricerca di qualche incendio da estinguere; assieme trascorrono qualche minuto raccontandosi aneddoti inverosimili; lo stupore degli interlocutori è caricato di eccessivi patetismi, fortemente innaturali -resi magistralmente dalla recitazione degli interpreti- che suscitano l'ilarità incontenibile del pubblico. L'obiettivo di Ionesco è appunto far emergere le illogicità del nuovo uomo moderno divenuto ormai non comunicativo e freddo; la Ragione, qualità primaria della mente umana sembra si sia dileguata, lasciando spazio alla convenzionalità, alla mera etichetta, alla noiosa abitudine e all'incoerenza. Ed è proprio l'incoerenza della pièce stessa, in cui il personaggio che conferisce il titolo all'opera intera è pressoché invisibile, che la rende coerente all'originale genere “dell'assurdo” e al filo rosso di denuncia e critica della decadenza dello spirito attivo dell'uomo. LORENZO PASETTI (3° LICEO SCINTIFICO) - Se cercate qualcosa che vi tiri su il morale, questo è quello che vi serve: un teatro, degli attori straordinari e uno spettacolo di una comicità straordinaria come “La cantatrice calva” di Eugène Ionesco. Se non ci credete, chiedete a chi era al teatro Ponchielli di Cremona il 4 e il 5 febbraio. Anche se non ha una vera e propria trama, l’opera è comunque coinvolgente: dopo pochi minuti di descrizione della scena, improvvisamente ci si ritrova catapultati nel mondo del teatro dell’assurdo. Una raffica di battute e continue contraddizioni crea nello spettatore una divertente confusione che lo accompagna per tutto lo spettacolo. Il salotto della famiglia Smith diventa la sede di discussioni irrazionali, racconti insensati e folli barzellette. Il personaggio più significativo è il capitano dei pompieri che irrompe improvvisamente sulla scena durante i discorsi delle famiglie Smith e Martin. Egli è visto come una figura importante, un’autorità, ma possiede l’ingenuità di un bambino e sembra quasi che Ionesco, attraverso questa figura, voglia deridere le autorità del suo tempo, attraverso un specie di satira ben nascosta tra le battute degli attori. Le varie scene sono scandite dai rintocchi di un orologio a pendolo che spezza i ritmi veloci e incalzanti dei dialoghi. Splendida la scenografia che imita alla perfezione il salotto di una famiglia benestante dei primi del ‘900. Anche gli abiti sono ben fatti e anch’essi tipici del ‘900: forse sono proprio queste le uniche due cose unite da un legame logico. Davvero bravi anche gli attori che hanno interpretato un copione molto difficile, a causa dei lunghi discorsi e delle battute veloci, in maniera eccezionale, senza sbagliare una virgola. E della cantatrice calva? L’unica cosa che sappiamo è che “si pettina sempre allo stesso modo”. In conclusione, se vi chiedono di andare a teatro a vedere questo spettacolo, accettate subito, perché il divertimento è assicurato! MARCO OLZI (4° LICEO LINGUISTICO MANIN) - Un fiume d’applausi quello che ha travolto l’intero teatro Ponchielli mercoledì 6 febbraio per la replica de “La cantatrice calva” dell’autore romeno naturalizzato francese Ionesco. L’opera si svolge nel salotto degli Smith( Mauro Maliverno e Valentina Banci) una famiglia britannica appartenente alla borghesia, l’ambientazione in questa opera si è dimostrata cruciale in particolare modo l’orologio a pendolo presente sul fondo delle scena, questo scoccando più volte non ha mai distolto l’attenzione dei personaggi a rendere l’idea di come i protagonisti e la classe borghese in generale, avessero ormai perso ogni percezione della realtà . La borghesia è oggetto di critica da parte dell’autore, infatti nell’opera è evidentissima la crisi di valori che ormai ha scalfito questa classe sociale. Discorsi senza alcun filo logico, talvolta comici, hanno impazzato per tutta la durata dello spettacolo. Anche le discussioni createsi tra la famiglia Smith e la famiglia Martin( Fabio Mascagni e Elisa Langone) si sono mostrate agli occhi del pubblico aberranti ed elementari. Dialoghi resi ancora più buffi sicuramente dal capitano dei pompieri( Francesco Borchi) il quale si cimenta a narrare alcuni aneddoti al limite tra la realtà e il surreale. Ma la figura del capitano è determinate per l’opera poiché domandando alle due famiglie chi fosse la cantatrice calva, titolo dell’opera, si crea tra i personaggi una silenzio assordante. Questa assenza di dialogo rende chiaramente l’idea di come ogni personaggio sia carente di valori e privo di conoscenza della realtà a loro circostante. Sicuramente questa opera, composta verso la metà del secolo scorso, può essere tranquillamente applicata alla realtà e alla società odierna. MARCO RIZZI (2° ITIS TORRIANI) - Quello che più entusiasma nell'opera di Eugène Ionesco è capire come il teatro possa assumere un carattere universale, come i contenuti in esso espressi possano valere per l'uomo al di là di ogni tempo. Ciò è stato ben compreso dal pubblico del Teatro Ponchielli, che ha accolto con vivace partecipazione “La cantatrice calva”. Il regista Massimo Castri ha ideato un impianto scenico solo in apparenza tradizionale: uno stile inglese di inizi '900, un raffinato salotto borghese nel quale sono tranquillamente assorti i coniugi Smith elegantemente vestiti ma presentati come “pezzi da museo”. Sotto questa piatta normalità si concretizza la vacuità delle relazioni e dei discorsi, che si mescolano in una stanza tanto priva di limiti spazio temporali quanto chiusa nella continuità del quotidiano. Fin dalle prime battute si rivela un susseguirsi di discorsi banali, nei quali si evidenzia la mancanza di significato, il dialogo che annulla il senso del comunicare; il pubblico ride, ritrova divertito qualcosa del proprio mondo. Tuttavia bisogna affrontare la commedia con la consapevolezza di non cadere nella banalità del comico: deve nascere nell'osservatore un sentimento di riflessione che sfocia nell'umorismo tragico e porta a galla il sottotesto: l'incapacità di capirsi, di affermare se stessi, la falsità dei rapporti, le convenzioni sociali che annullano l'individuo e creano solitudine. Gli attori hanno saputo far emergere tali elementi attraverso i personaggi nei loro aspetti ora statici e rigidi, ora capaci di creare ovvie e comuni frasi che li uniscono in misura così superficiale. Eppure si intravede uno spiraglio di libertà da un simile conformismo che si concretizza nella fuga di Mary, la cameriera, che rompe la quarta parete irrompendo lungo il corridoio della platea. Nelle ultime scene i personaggi -simili a marionettepresi in un vortice incredibile di parole, pronunciano in modo enfatico frasi giocate su onomatopee e allitterazioni: esse risultano svuotate del loro significato, acquistano valore solo per il suono che producono. La commedia -in questo suo aspetto provocatorio- riporta alla crisi degli ideali e dei valori dell'uomo contemporaneo ma ha anche un altro pregio: far divertire e insieme far riflettere sulla fatuità che a volte caratterizza il nostro vivere. MARIA ELENA CRISTIANO (1° LICEO SCIENTIFICO) - Sbigottimento, stupore, ilarità, senso di ebrietà. Queste le emozioni provate dal pubblico presente in sala al teatro “Ponchielli” mercoledì 5 febbraio di fronte alla performance de “La cantatrice calva” di Ionesco per la regia di Massimo Castri con Mauro Malinverno nei panni del signor Smith; Valentina Banci sua moglie; Fabio Mascagni nei panni del signor Martin; Elisa Cecilia Langone sua moglie; Sara Zanobbio nei panni di Mary, la cameriera; e Francesco Borghi in quelli del capitano dei pompieri. Eugene Ionesco un precursore del teatro dell'assurdo; il suo incontro con il teatro fu del tutto casuale infatti un giorno comprò un libro in inglese e si mise a tradurlo in francese ricopiando alcune frasi del manuale. Dopo averle rilette in un secondo momento scoprì alcune verità sorprendenti: che i giorni della settimana sono sette,oppure che il soffitto è in alto e il pavimento in basso. Poi scoprì che la signora Smith fece sapere al marito che avevano numerosi figli, che abitavano nei dintorni di Londra e che il signor Smith doveva essere un po' al corrente di tutto. Ionesco fu talmente colpito che decise di comunicarlo ai suoi contemporanei al fine che anche loro sapessero le verità essenziali: quindi scrive la Cantatrice calava , un'opera teatrale che si potrebbe definire didattica. Queste verità esistenziali diventano però folli, con parole disarticolate e ne risulta una tragedia del linguaggio. I protagonisti sono due coppie di sposi gli Smith e i Martin, archetipi della famiglia borghese che nel passaggio dal 800 al 900 perde la spinta ideologica e comunitaria che comporta una trasformazione all'interno delle famiglie. Ci troviamo nei pressi di Londra nella casa della famiglia Smith. La scena si apre con i due coniugi, intenti a tessere e a leggere il giornale, e un pompiere che descrive le due persone sedute sottolineando la loro cittadinanza inglese. Però durante lo spettacolo i protagonisti( Smith, Martin, il pompiere e la cameriera) non sanno più parlare perché non sanno più pensare e quindi si limitano a comunicare con frasi banali e convenzionali. Il risultato è una situazione paradossale, comica ma spaventosa allo stesso tempo, dove anche la domestica scappa per la pazzia. Il teatro di Ionesco presenta strutture antiteatrali e anticonvenzionali per la provocazione beffarda e polemica. Però il non senso cela una critica profonda al conformismo alla banalità in primo luogo. “La cantatrice calva” fin dalla sua prima messa in scena (l'11 maggio 1950) ha sempre attirato le critiche dei letterati del suo tempo favorito dal non consenso del pubblico. Ma Ionesco non si è mai lasciato scoraggiare perché sapeva cosa voleva dire e anche il modo in cui dirlo. NICCOLO’ BONSERI (2° GINNASIO MANIN) - Memorabile la rappresentazione de La cantatrice calva di Ionesco per la regia di Castri andata in scena il 4 e il 5 febbraio al Ponchielli. Il genio di Castri ha saputo riportare alla ribalta in modo brillante un’opera che a lungo era rimasta assente dai cartelloni italiani. Questa pièce di teatro dell’assurdo, la prima del suo genere, che indignò alla prima assoluta del ’50, questa volta ha riconfermato il successo che ebbe alla seconda rappresentazione del ’55, occasione in cui lasciò il pubblico a bocca aperta con le sue battute assurde e prive di ogni logica raggiungendo lo scopo per cui Ionesco l’aveva scritta: impressionare il pubblico con un genere teatrale nuovo e strano. La carica di ilarità di cui il regista ha dotato la messinscena ha aiutato a comprendere i temi originali affrontati nell’opera e ha restituito alla drammaturgia di Ionesco la facoltà di meravigliare il pubblico. I diverbi tra i Signori Smith si susseguono in un’infilata di scene caratterizzate dalla comicità del nonsense, il dialogo in cui i coniugi Martin non sono in grado di riconoscersi e che poi alla fine si rammentano di essere sposati è presentato in modo “bizzarro e curioso”; i borghesi e le loro conversazioni sono presentati in modo infantile poiché bramano di assistere al racconto di aneddoti assurdi come i bambini vogliono le fiabe. L’allestimento e i costumi Belle Époque regalano un’ambientazione salottiera, che sembra rimanere sospesa nel nero delle quinte come unico luogo separato da un mondo apatico senza logica, la pendola inoltre, con i suoi rintocchi non in ordine, pare dirci che i momenti sono ormai interscambiabili fra loro, come lo sono i personaggi. L’ambiente chiuso si apre al pubblico con l’abbattimento della quarta parete da parte della cameriera Mary e con le luci sparate in sala dopo che il capitano dei pompieri chiede ai presenti della cantatrice calva lasciandoli atterriti e in preda alla follia. L’adozione della traduzione fedele di Morteo si presta benissimo alla declamazione degli attori che recitano con straordinaria padronanza dando ai personaggi vuoti di Ionesco uno spessore ilare che li accompagna fino al sipario tra il mare di applausi del pubblico entusiasta.