www.scribd.com/Baruhk www.scribd.com/Baruhk Titolo dell'edizione originale Der philosophische Diskurs der Moderne. Zwolf Vorlesungen © Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1985 Traduzione di Emilio Agazzi (capp. I, IV, V, VI, VII, VIII, XI e XII) e di Elena Agazzi (II, III, IX e X, e gli excursus su Castoriadis e su Luhmann) Ricerche bibliografiche di Walter Privitera www.scribd.com/Baruhk Jiirgen Habermas Il discorso filosofico della modernità Dodici lezioni Editori Laterza www.scribd.com/Baruhk Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 1987 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-2940-5 ISBN 88-420-2940-8 www.scribd.com/Baruhk per Rebecca che mi ha avvicinato il neostrutturalismo www.scribd.com/Baruhk www.scribd.com/Baruhk PREMESSA La modernità - un progetto incompiuto, era il titolo di un discorso che ho avuto occasione di tenere nel settembre del 1980, quando mi venne conferito il Premio Adorno 1• Da allora questo tema, assai discusso e ricco di sfaccettature, non mi ha più dato pace. I suoi aspetti filosofici sono penetrati con forza ancora maggiore nella coscienza pubblica tramite la ricezione del neostrutturalismo francese, al pari del termine di ' postmoderno ', divenuto di moda in seguito ad una pubblicazione di F. Lyotard 2• La sfida lanciata dalla critica neostrutturalistica della ragione costituisce perciò la prospettiva dalla quale io cerco di ricostruire passo a passo il discorso filosofico della modernità. In tale discorso la modernità, a partire dal tardo secolo XVIII, è stata elevata a tema filosofico. Il discorso filosofico della modernità si incontra e si intreccia in vari modi con quello estetico. Ho però dovuto limitare il mio tema: le presenti lezioni non tratteranno quindi il modernismo nell'arte e nella letteratura 3 • Dopo il mio ritorno all'Università di Francoforte, ho tenuto lezioni su questo argomento nel semestre estivo del 1983 e in quello invernale del 1983-84. Sono state inserite in seguito, ed l J. Habermas, Kleine po/itische Schri!ten I-IV, Frankfurt a. M. 1981, pp. 444-64 (tr. it. parz. in « Alfabeta >>, n• 22). 2 J. F. Lyotard, La condition postmoderne, Paris 1979 (tr. ted., Wien 1982; tr. it., La condizione postmoderna, Milano 1980). Cfr. in proposito A. Honneth, Der A[fekt gegen das Al/gemeine, in << Merkur >>, Heft 430, dic. 1984, pp. 893 sgg. (tr. it., L'avversione contro l'universale. Sulla concezione del « Postmoderno in Lyotard », in « Marx Centouno >>, n• 4, maggio 1985, pp. 79-87); R. Rorty, Habermas and Lyotard on Postmodernity, in << Praxis International », vol. IV, n• l, 1984, pp. 32 sgg.; e la mia risposta; Questions and Counterquestions, in « Praxis International », vol. IV, n• 3, 1984. 3 Cfr. in merito P. Bi.irger, Zur Kritik der idea/istischen iì.sthetik, Frankfurt a. M. 1983; H. R. JausJ, Der /iterarische Prozess des Modernismus von Rousseau bis Adorno, in L. v. Friedeburg- J. Habermas (a cura di), Adorno-Konferenz 1983, Frankfurt a. M. 1983, pp. 95 sgg.; A. Wellmer, Zur Dialektik der Moderne und Postmoderne, Frankfurt a. M. 1985. VII www.scribd.com/Baruhk in questo senso sono fittizie, la quinta lezione, che riprende un testo già pubblicato 4, e l'ultima, terminata soltanto in questi giorni. Le prime quattro lezioni le avevo già tenute nel marzo del 1983 al Collège de France di Parigi. Con le altre parti ho tenuto discussioni, nel settembre 1984, nelle Messenger Lectures alla Cornell University (lthaca, New York). Le tesi più importanti le ho trattate anche in seminari presso il Boston College. Dalle vivaci discussioni che in tutte queste occasioni ho potuto condurre con colleghi e studenti, ho ricevuto più stimoli di quanti se ne possano registrare retrospettivamente nelle note. Un volume della Edition Suhrkamp 5, che compare contemporaneamente a questo, contiene integrazioni al discorso filosofico della modernità da un punto di vista più accentuatamente politico. J. H. Frankfurt am Main, dicembre 1984 4 J, Habermas, Die Verschlingung von Mythos und Au/kliirung. Be.merkun· gen zur Dialektik der Aufkliirung • nach einer erneuten Lektilre, in K. H. Bohrer (a cura di), Mythos und Moderne, Frankfurt a. M. 1983, pp. 405 sgg. s J. Habermas, Die neue Unubersichtlichkeit, Frankfurt a. M. 1985. www.scribd.com/Baruhk 1. LA COSCIENZA TEMPORALE DELLA MODERNITÀ E LA SUA ESIGENZA DI RENDERSI CONTO DI SE STESSA I Nella celebre Premessa alla raccolta dei suoi saggi di sociologia della religione, Max Weber svolge quel «problema della storia universale » cui ha dedicato l'opera scientifica di tutta la sua vita, cioè la questione perché mai, al di fuori dell'Europa, «lo sviluppo scientifico, quello artistico, quello statale e quello economico non imboccarono quelle vie della razionalizzazione che sono proprie dell'Occidente» 1• Per Max Weber il rapporto interiore, ossia non contingente, fra la modernità e ciò che egli ha chiamato il ' razionalismo occidentale ' era ancora una cosa ovvia 2 • Egli definiva 'razionale' quel processo di disincantamento per via del quale in Europa una cultura profana è scaturita dal disfacimento delle immagini religiose del mondo. Con le scienze sperimentali moderne, con l'autonomizzarsi delle arti, con le teorie della morale e del diritto fondate su principi, vi si sono costituite sfere culturali di valori che rendevano possibili quei processi che erano necessari per studiare, ciascuno secondo una propria normativa interiore, i problemi teoretici, estetici o pratico-morali. Max Weber però non ha descritto dal punto di vista della razionalizzazione solamente la profanizzazione della cultura occidentale, bensì anche e soprattutto lo sviluppo delle società moderne. Le nuove strutture sociali ricevono la loro impronta l M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, in Gesammelte Aufsiitze zur Religionssoziologie (1920-21), vol. l, Frankfurt a. M. 1973 (tr. it., L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, in Sociologia della religione, vol. l, Milano 1982, p. 12). 2 Cfr. in merito J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1981, vol. l, pp. 225 sgg. (tr. it., Teoria dell'agire comunicativo, Bologna 1986, vol. l, pp. 244 sgg.). 1 www.scribd.com/Baruhk dalla differenziazione radicale di quei due sistemi funzionalmente intrecciati fra di loro, che si sono cristallizzati intorno ai nuclei organizzativi dell'impresa capitalistica e dell'apparato burocratico dello Stato. Weber concepisce tale processo come l'istituzionalizzazione di un agire economico ed amministrativo guidato dalla razionalità in vista del fine (Zweckrationalitiit). Nella misura in cui queste razionalizzazioni culturale e sociale si sono impadronite della vita quotidiana, si sono dissolte anche quelle tradizionali forme di vita, che nella prima modernità si differenziavano soprattutto in base alla categoria professionale. La modernizzazione del mondo della vita non è certo determinata soltanto dalle strutture della razionalità in vista del fine. Emil Durkheim e George H. Mead ritenevano che i mondi della vita razionalizzati fossero modellati piuttosto da un rapporto divenuto riflessivo con tradizioni che hanno perduto la loro naturale spontaneità; dall'universalizzazione di norme d'azione e da una generalizzazione di valori che sciolgono l'agire comunicativo da contesti strettamente delimitati per concedergli spazi opzionali di maggiore ampiezza; infine, da modelli di socializzazione che mirano ad una formazione di astratte identità egoiche e promuovono l'individuazione degli adolescenti. A grandi tratti, questa è l'immagine della modernità, quale l'hanno tracciata i classici della sociologia. Oggi il tema di Max Weber si presenta sotto un'altra luce - non meno grazie al lavoro di coloro che si richiamano a lui, che a quello dei suoi critici. La parola ' modernizzazione ' è stata introdotta come termine specialistico soltanto negli anni Cinquanta; da allora in poi essa contraddistingue un impianto teoretico che riprende e continua la problematica di Max Weber, ma la tratta con i mezzi del funzionalismo sociologico. Il concetto di modernizzazione si riferisce ad un fascio di processi cumulativi che si rafforzano a vicenda: a-lla formazione del capitale e alla mobilitazione delle risorse; allo sviluppo delle forze produttive e all'incremento della produttività del lavoro; all'imporsi dei poteri politici centrali e alla formazione di identità nazionali; alla estensione dei diritti di partecipazione politica, delle forme di vita urbana, della educazione scolastica formale; alla secolarizzazione di valori o di norme, e così via. La teoria della modernizzazione apporta un'astrazione gravida di conseguenze al concetto weberiano della 'modernità': ossia, separa la modernità dalle sue origini europee moderne e la schematizza in un modello di processi sociali di sviluppo generali, prescindendo dalle determinazioni spaziali e temporali; inoltre inter2 www.scribd.com/Baruhk rompe i collegamenti interni fra la modernità e il contesto sto· rico del razionalismo occidentale, di modo che i processi di modernizzazione non possono più venir concepiti come razio· nalizzazione, ossia come un'aggettivazione storica di strutture razionali. In ciò James Coleman vede il vantaggio che il concetto di modernizzazione, generalizzato nel senso di una teoria dell'evoluzione, non è più gravato dall'idea di un compimento della modernità, ossia di uno stadio finale, dopo il quale dovrebbero incominciare sviluppi « postmoderni » 3• Senza dubbio proprio gli studi sulla modernizzazione degli anni Cinquanta e Sessanta hanno fornito i presupposti necessari affinché l'espressione ' postmodemo ' potesse entrare in circolazione anche fra gli scienziati sociali. L'osservatore sociologico può infatti prender tanto più facilmente congedo da quell'orizzonte concettuale del razionalismo occidentale in cui è nata la modernità, quanto più si pone dalla prospettiva di una modernizzazione automatica, evolutivamente autonomizzata. Ma una volta che siano state dissolte le connessioni interne fra il con· cetto della modernità e l'autocomprensione della modernità stessa acquisita dall'orizzonte della ragione occidentale, i processi della modernizzazione che continuano a svolgersi per così dire in maniera automatica possono venire relativizzati dalla prospettiva distaccata di un osservatore postmoderno. Come si esprime Arnold Gehlen in una formula incisiva: le premesse dell'illuminismo sono morte, soltanto le sue conseguenze continuano a svolgersi. Da questa visuale, una modernizzazione sociale che prosegue in modo autosufficiente il suo cammino si è separata dalle spinte di una modernità culturale che in apparenza è divenuta obsoleta; essa attua soltanto le leggi funzionali dell'economia e dello Stato, della tecnica e della scienza, che, secondo quanto si dice, si sarebbero unite in sistema sul quale non si può esercitare alcun influsso. L'inarrestabile accelerazione dei processi sociali si presenta allora come il rovescio di una civiltà ormai esaurita, passata in condizioni di ' cristallizzazione '. Appunto Gehlen qualifica come ' cristallizzata ' la civiltà moderna, perché « le possibilità in essa insite hanno sviluppato tutte le loro risorse fondamentali. Sono state scoperte e accettate anche tutte le contropossibilità e tutte le antitesi, di modo che ormai diviene sempre più improbabile operare modificazioni nelle premesse [ ... ]. Se si tiene presente questa idea, si 3 Cfr. la voce Modernization, in Encyclopedia of Social Sciences, vol. X, pp. 386 sgg. 3 www.scribd.com/Baruhk percepirà la cristallizzazione anche in un ambito tanto str_aordinariamente mosso e variopinto come è quello della pittura moderna». Dato che «la storia delle idee è conclusa », Gehlen può constatare con sollievo « che noi siamo arrivati alla post-istoria » 4, e consigliare, con le parole di Gottfried Benn: « Conta sulle tue risorse». Questo commiato neoconservatore dalla modernità non si riferisce alla sfrenata dinamica della modernizzazione sociale, bensì all'involucro di un'autocomprensione culturale della modernità, che sembra ormai superato 5 • Uidea della postmodernità si presenta invece in tutt'altra forma politica, e cioè in quella anarchica, presso quei teorici i quali non ritengono che si sia verificato uno sganciamento fra la modernità e la razionalità. Anch'essi reclamano la fine dell'illuminismo, oltrepassano quell'orizzonte della tradizione razionale, a partire del quale un tempo la modernità europea ha compreso se stessa - e anch'essi si sistemano nella post-istoria. Ma a differenza dal commiato neo-conservatore quello anarchico si riferisce alla modernità nel suo complesso. Mentre sprofonda quel continente concettuale che sorreggeva il razionalismo occidentale di Max Weber, la ragione fa conoscere il suo vero volto, e viene smascherata come soggettività assoggettante e al contempo soggiogata, come volontà di impadronimento strumentale. La forza sovversiva di una critica alla maniera di un Heidegger o di un Bataille, che strappa il velo della ragione dal volto di una pura volontà di potenza, deve al contempo far vacillare quella gabbia d'acciaio in cui si è oggettivato socialmente lo spirito della modernità. In questa visuale la modernizzazione sociale non può sopravvivere alla fine della modernità culturale, dalla quale è scaturita - essa non potrà resistere a quell' ' immemorabile ' anarchismo, nel cui segno si delinea il postmoderno. Queste due varianti della teoria del postmoderno, comunque si differenzino fra di loro, prendono entrambe le distanze da quel fondamentale orizzonte concettuale in cui si è formata l'autocomprensione della modernità europea. Ambedue le teorie del postmoderno pretendono infatti di essere uscite da questo orizzonte, di averlo lasciato dietro di sé come orizzonte di un'epoca passata. Ora il primo filosofo che abbia sviluppato un chiaro concetto della modernità è stato Hegel; se vogliamo intendere che 4 A. Gehlen, Ober kulturelle Kristallisation, in Studien zur Anthropologie und Soziologie, Neuwied 1963, p. 321. 5 Da un saggio di H. E. Holthusen (Heimweh nach Geschichte, in << Merkur >>, no 430, dic. 1984, p. 916) ricavo che Gehlen potrebbe aver ripreso l'espressione di ' Posthistoire ' dal compagno di fede Hendrik de Man. 4 www.scribd.com/Baruhk cosa abbia significato quell'intima relazione fra modernità e razionalità, che fino a Max Weber era rimasta ovvia, ed oggi è messa in questione, dobbiamo risalire ad Hegel. Dobbiamo renderei conto del concetto hegeliano della modernità, per poter giudicare se sussista a buon diritto la pretesa di coloro che svolgono le loro analisi in base a premesse diverse. In ogni caso non possiamo respingere a priori il sospetto che il pensiero postmoderno si arroghi una posizione trascendente, mentre rimane in realtà vincolato a quei presupposti dell'autocomprensione moderna, che Hegel ha messo in luce. Non possiamo escludere fin da principio che il neoconservatorismo o l'anarchismo estetizzante facciano nuovamente le prove, in nome di un commiato dalla modernità, di una ribellione contro di essa. Potrebbe anche darsi che essi ammantino soltanto la loro complicità con una veneranda tradizione del controilluminismo, spacciandola per post- muminismo. II Hegel per primo usa il concetto della modernità in contesti storici, come concetto di un'epoca: l'' età nuova' è l'' età moderna ' 6 • Il che corrisponde al contemporaneo uso linguistico inglese e francese: modern times e temps modernes designano, intorno al 1800, gli ultimi tre secoli allora trascorsi. La scoperta del 'nuovo mondo', il Rinascimento e la Riforma - questi tre grandi eventi intorno al 1500 - costituisconG la soglia epocale fra l'età moderna e il Medio Evo. Con queste espressioni anche Hegel circoscrive, nelle sue lezioni sulla filosofia della storia, il mondo cristiano-germanico, che a sua volta è derivato dall'antichità greca e romana. L'articolazione ancor oggi usuale in età moderna, medio evo ed antichità (oppure di storia moderna, medioevale e antica, che serve per esempio a designare le cattedre di storia) poté costituirsi soltanto dopo che le espressioni di età ' nuova ' o ' moderna ' (e di mondo ' nuovo ' o ' moderno ') avevano perduto il loro senso puramente cronologico ed assunto il significato oppositivo di un'epoca enfaticamente 'nuova'. Mentre nell'Occidente cristiano il 'tempo nuovo ' aveva preannunciato l'ancora attesa età futura del mondo, che si sarebbe avviata soltanto con il Giorno del Giudizio 6 Per quel che segue, cfr. R. Koselleck, Vergangene Zukunft, Frankfurt a. M. 1979 (tr. it., Futuro Passato, Genova 1986). 5 www.scribd.com/Baruhk - cosl intesa ancora nella Filosofia delle epoche del mondo di Schelling - , il concetto profano dell'età moderna esprime la convinzione che il futuro è già incominciato: esso si riferisce infatti all'epoca che vive rivolta al futuro, che si è aperta al nuovo futuro. La cesura del nuovo cominciamento si è quindi spostata nel passato, appunto agli inizi dell'età moderna; soltanto nel corso del secolo XVIII la soglia epocale intorno al 1500 è stata retrospettivamente concepita come tale inizio. R. Koselleck usa come test il momento in cui il nostrum aevum, il nostro tempo, è stato ribattezzato col nome di ' nova aetas ' l'età moderna 7 • Koselleck mostra come la coscienza storica che si esprime nel concetto dell' ' età moderna ' o ' nuova ' ha costituito un modo di vedere che è proprio della filosofia della storia: ossia, la presentificazione riflessiva della propria posizione partendo dall'orizzonte della storia nel suo complesso. Anche il collettivo singolare 'storia' (Geschichte), che Hegel usa già come qualcosa di ovvio, è stato coniato nel XVIII secolo: « L' 'età moderna ' conferisce all'intero passato una qualità cosmico-storica [ ... ] La diagnosi del tempo nuovo e l'analisi delle ere passate corrispondono l'una all'altra» 8 • Vi fa riscontro la nuova esperienza del progredire e dell'accelerazione degli eventi storici, e l'idea della contemporaneità cronologica di sviluppi storicamente non contemporanei 9 • Si forma allora la rappresentazione della storia come un processo unitario, che suscita problemi; e insieme si esperisce il tempo come risorsa limitata per la soluzione dei problemi che insorgono, ossia come urgenza temporale. Lo spirito del tempo (Zeitgeist, una delle nuove parole che ispirarono Hegel) caratterizza il presente come ·una transizione che si consuma nella coscienza dell'accelerazione e nell'attesa della diversità del futuro: Non è difficile a vedersi - scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito - come la nostra età sia un'età di gestazione e di trapasso ad una nuova era. Lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino ad oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato, e versa. in un travagliato periodo di trasformazione [ ... ]. La fatuità e la noia che invadono ciò che ancora sussiste, l'indeterminato presentimento di un ignoto, sono segni forieri di un qualche cosa di diverso che è in marcia. Questo lento sbocconcellarsi [ ...] viene interrotto dal7 R. Koselleck, Neuzeit, in op. cit., p. 314. s lvi, p. 327. 9 lvi, pp. 321 sgg. 6 www.scribd.com/Baruhk l'apparizione che, come in un lampo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo 10, Il mondo nuovo, moderno, si distingue dall'antico in quanto si apre al futuro; perciò il nuovo cominciamento epocale si ripete e si perpetua in ogni momento del presente che generi da se stesso il nuovo. Spetta quindi alla coscienza storica della modernità la delimitazione dell' ' età contemporanea ' da, quella moderna: all'interno dell'orizzonte dell'età moderna il presente gode, in quanto storia contemporanea, di un valore posizionale prominente. Anche Hegel intende il ' nostro tempo ' come l' ' età contemporanea ', e data l'inizio del presente a partire dalla cesura rappresentata dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese per i più pensosi contemporanei del morente secolo XVIII e dell'incipiente secolo XIX. Con questa ' splendida aurora ' noi perveniamo - così pensa ancora il vecchio Hegel - « all'ultimo stadio della storia, al nostro mondo, ai nostri giorni» 11 • Un presente che si intende a partire dall'orizzonte dell'età moderna, come l'attualità dell'età contemporanea, deve rieseguire come rinnovamento continuato quella frattura che essa ha compiuto col passato. Concordano con tutto ciò quei concetti di movimento che,· insieme all'espressione di età ' moderna ' o ' nuova ' nascono, oppure acquisiscono il loro nuovo significato, valido fino ad oggi, nel XVIII secolo: rivoluzione, progresso, emancipazione, sviluppo, crisi, spirito del tempo, ecc. 12 • Tali espres§ioni sono divenute anche parole-chiave della filosofia hegeliana, che chiariscono, alla luce della storia dei concetti, il problema che si pone con la coscienza storica moderna della civiltà occidentale, chiarito tramite il concetto oppositivo dell'' età moderna': la modernità rion può né vuole più mutuare i propri criteri d'orientamento da modelli di un'altra epoca; essa deve attingere la sua propria normatività da se stessa. La modernità si vede affidata a se stessa, senza alcuna possibilità di fuga. Il che spiega la facilità con cui la sua autocomprensione si confonde, la dinamica dei tentativi, proseguiti senza posa fino al nostro tempo, per « rendersi conto » di se stessa. Ancora pochi anni fa H. 10 G. W. F. Hegel, Phiinomenologie des Geistes, Suhrkamp-Werkausgabe, vol. III, pp. 18 sgg. (tr. it., Fenomenologia dello spirito, Firenze 1963, pp. 8 sg.). 11 G. W. F. Hegel, Vorlesungen iiber die Philosophie der Geschichte, Suhrkamp-Werkausgabe, vol. XII, p. 524 (tr. it., Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze 1963, vol. IV, p. 197). 12 R. Koselleck, Er/ahrungsraum und Erwartungshorizont, in Vergangene Zukunft cit., pp. 349 sgg. 7 www.scribd.com/Baruhk Blumenberg si è visto costretto a difendere, con grande apparato storico, la legittimità ossia il diritto proprio dell'età moderna contro quelle costruzioni che le attribuiscono un debito culturale verso i lasciti del cristianesimo e dell'antichità: « Non è affatto naturale che un'epoca si ponga il problema della propria legittimità storica, esattamente come non è naturale che essa si concepisca in genere come epoca. Per l'età moderna questo problema è latente nella pretesa di compiere e di poter compiere una rottura radicale con la tradizione, e nel fraintendere tale pretesa come realtà della storia, che non può mai incominciare di nuovo fin dal fondamento» 13 • A conferma, Blumenberg adduce una dichiarazione del giovane Hegel: « A parte altri precedenti tentativi, è stato riservato soprattutto ai nostri tempi di rivendicare in proprietà degli uomini, almeno in teoria, i tesori che sono stati dissipati in cielo. Ma quale età avrà la forza di far valere questo diritto e di entrarne in possesso? » 14 • Il problema di un'autofondazione della modernità giunge alla coscienza anzitutto nell'ambito della critica estetica, come si può vedere quando si segua la storia concettuale dell'espressione 'moderno' 15 • Il processo di separazione dal modello dell'arte antica è avviato all'inizio del secolo XVIII dalla celebre Querelle des Anciens et des Modernes 16 • Il partito dei moderni si ribella contro l'autocomprensione del classicismo francese, assimilando il concetto aristotelico della perfezione a quello del progresso, quale era stato suggerito dalla moderna scienza della natura. I ' moderni ' mettono in questione, facendo uso di argomenti storico-critici, il senso dell'imitazione dei modelli antichi, elaborano, contro le norme di una bellezza assoluta e apparentemente sottratta al tempo, i criteri del bello condizionato dal tempo o relativo, e con ciò esprimono l'autocomprensione dell' Illuminismo francese, che si intende come un nuovo inizio epocale. Benché il sostantivo ' modernitas ' (insieme alla coppia aggettivale antinomica 'antiqui/moderni ') fosse già stato< adoperato in senso cronologico fin dalla tarda antichità, nelle lingue europee dell'età moderna l'aggettivo 'moderno' venne sostantiH. Blumenberg, Legitimitiit der Neuzeit, Frankfurt a. M. 1966, p. 72. G. W. F. Hegel, Die Positivitiit der christlichen Religion, Neufassung des Anfangs, in Suhrkamp·Werkausgabe, vol. l, p. 209 (tr. it., La positività della religione cristiana, in Scritti teologici giovanili, Napoli 1972, p. 317). 15 H. U. Gumbrecht, voce Modern, in O. Brunner- W. Conze- R. Koselleck (a cura di), Geschichtliche Grundbegrifje, vol. IV, pp. 93 sgg. 16 H. R. Jauss, Ursprung und Bedeutung der Fortschrittsidee in der 'Quereli e des Anciens et des Modernes' in H. Kuhn- F. Wiedmann (a cura di), Die Phi/osophie und die Frage nach dem Fortschritt, Mtinchen 1964, pp. 51 sgg. 13 14 8 www.scribd.com/Baruhk vato solo assai tardi, all'incirca dalla metà del diciannovesimo secolo, e anzitutto di nuovo nell'ambito delle belle arti. Il che spiega perché le espressioni ' moderno ' e ' modernità ', ' modernité ', hanno mantenuto fino ad oggi un centrale significato estetico, improntato all'autocomprensione dell'arte d'avanguardia 17 • Per Baudelaire a quel tempo l'esperienza estetica della modernità si fondeva con quella storica. Il problema dell'autofondazione si acuisce nell'esperienza fondamentale della modernità estetica, perché qui l'orizzonte dell'esperienza del tempo si contrae nella soggettività decentrata, che si discosta dalle convenzioni quotidiane. Perciò l'opera d'arte moderna assume per Baudelaire una posizione singolare nel punto in cui si incrociano gli assi dell'attualità e dell'eternità: « La modernità è il transitorio, l'evanescente, l'accidentale, è la metà dell'arte, la cui altra metà è l'eterno e l'invariabile » 18 • Il punto di riferimento della modernità diviene ora l'attualità che consuma se stessa, e che ci rimette l'estensione di un'età di transizione, di un'età contemporanea - della durata di parecchi decenni - costituita nel centro dell'età moderna. Il presente attuale non può più acquistare la propria autocoscienza nemmeno dal suo opporsi ad un'epoca ripudiata e oltrepassata, ad una figura del passato. L'attualità può costituirsi soltanto come punto d'incrocio fra tempo ed eternità. Con questo contatto diretto fra attualità ed eternità, il moderno non si sottrae certamente alla sua caducità, bensì alla banalità: nella concezione di Baudelaire esso è disposto in modo tale che il momento transitorio troverà conferma come l'autentico passato di un presente che ancora deve venire 19 • Esso si dimostra come ciò che un giorno sarà classico: ' classico ' è ormai il ' fulmine ' del sorgere d'un mondo nuovo, che certamente non sarà stabile, perché con la sua stessa comparsa suggella già anche la propria decadenza. Questa concezione del tempo, radicalizzata ancora un'altra volta nel surrealismo, fonda l'affinità fra il moderno e la moda. Baudelaire si ricollega al risultato della celebre controversia 17 Per quanto segue mi fondo su H. R. Jauss, Literarische Tradition und gegenwartiges Bewusstsein der Modernitiit, in Literaturgeschichte als Provokation, Frankfurt a. M. 1970, pp. 11 sgg. Cfr. anche: H. R. Jauss, Der literarische Prozess ci t., in L. v. Friedeburg- J. Habermas (a cura di), Adorno-Konferenz 1983 cit., pp. 95 sgg. 18 Ch. Baudelaire, Der Maler des modernen Lebens, in Gesammelte Schriften, a cura di M. Bruns (Melzer), Darmstadt 1982, vol. IV, p. 286; seguo qui H. R. Jauss, Literarische Tradition cit., pp. 50 sgg. 19 « Affinché ogni modernitas sia degna di divenire antiquitas, le si deve togliere quella misteriosa bellezza che la vita umana inserisce involontariamente in essa» (Ch. Baudelaire, Gesammelte Schriften cit., vol. IV, p. 288). 9 www.scribd.com/Baruhk fra gli antichi e i moderni, ma sposta in modo caratteristico i pesi fra il bello assoluto e quello relativo: « Il bello è costituito da un elemento eterno, immodificabile [ ... ], e da un elemento relativo, condizionato [ ... ], che è rappresentato dal periodo, dalla moda, dalla vita culturale, dalla passione. Senza questo secondo elemento, che per così dire è come la glassata allettante e scintillante che rende digeribile la torta divina, il primo elemento sarebbe insopportabile per la natura umana» 20 • Come critico d'arte, Baudelaire nella pittura moderna pone in rilievo l'aspetto « della bellezza fugace, effimera, della vita attuale, il carattere di ciò che il lettore ci ha permesso di designare come la ' modernità ' » 21 • Baudelaire pone tra virgolette la parola ' modernità'; egli è consapevole dell'uso nuovo, terminologicamente arbitrario, di questa parola, per via del quale l'opera autentica è radicalmente legata al momento della sua nascita; proprio perché si consuma nell'attualità, essa può arrestare il flusso uniforme delle banalità, violare la normalità e soddisfare per l'istante di una fuggevole connessione fra l'eterno e l'attuale l'imperitura esigenza di bellezza. La bellezza eterna si svela soltanto nel travestimento del costume temporale - una caratteristica che più tardi Benjamin rivestirà con l'espressione dell'immagine dialettica. L'opera d'arte moderna sta sotto il segno dell'unificazione fra l'autentico e l'effimero. Questo carattere di presente fonda anche l'affinità dell'arte con la moda, col nuovo, con l'ottica dello flaneur, del genio e del bambino, ai quali manca la difesa che contro le eccitazioni offrono i modi convenzionali della percezione, e che perciò sono esposti senza alcuna protezione agli attacchi della bellezza, degli stimoli trascendenti nascosti in ciò che vi è di più quotidiano. Il ruolo del dandy consiste allora nel rovesciare con fare blasé in offensiva questo tipo di extraquotidianità subìta, esibendola con mezzi provocatori 22 • Il dandy collega ciò che è ozioso e alla moda con il piacere di stupire, senza esser mai egli stesso stupito. È l'esperto del fuggevole diletto dell'istante, dal quale sgorga il nuovo: « Egli cerca quel qualcosa che io mi permetto di designare come la 'modernità'; non c'è infatti termine migliore per esprimere l'idea in questione. Per 20 lvi, 22 << A p. 271. 21 lvi, pp. 325 sgg. tutte è comune lo stesso carattere oppositivo e rivoluzionario; tutte sono le rappresentanti di ciò che vi è di meglio nell'orgoglio e nella superbia umani: di quel bisogno oggi soltanto troppo raro, di combattere e distruggere la banalità>> (ivi, p. 302). 10 www.scribd.com/Baruhk lui si tratta di svincolare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nello storico, e di eterno nel fuggevole » 23 • Walter Benjamin riprende questo motivo per poter trovare ancora una soluzione al compito paradossale di ricavare parametri propri dalla contingenza di una modernità divenuta assolutamente transitoria. Baudelaire si era accontentato dell'idea che nell'autentica opera d'arte si attui l'incontro fra tempo ed eternità; Benjamin vuole invece ritradurre questa fondamentale esperienza estetica in un rapporto storico; elabora quel concetto del 'tempo-ora' (Jetztzeit), nel quale sono disseminate schegge del tempo messianico ossia concluso, e lo fa servendosi del motivo, divenuto per così dire sottile come il respiro, dell'imitazione, che si può rintracciare nei fenomeni della moda: « La Rivoluzione francese s'intendeva come una Roma ritornata. Essa richiamava l'antica Roma esattamente come la moda richiama in vita un costume d'altri tempi. La moda ha il fiuto per l'attuale, dovunque esso si muova nella selva del passato. Essa è un balzo di tigre nel passato [ ... ]. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha concepito la rivoluzione» 24 • Benjamin non si ribella soltanto contro la normatività presa a prestito di una concezione della storia attinta dall'imitazione di modelli; egli combatte anche contro quelle due concezioni che, già sul terreno della concezione moderna della storia, intercettano e neutralizzano le provocazioni del nuovo e dell'assolutamente inatteso. Da un lato egli si volge contro l'idea di un tempo omogeneo e vuoto, che viene riempito dall'' ottusa fede nel progresso ' che è propria dell'evoluzionismo e della filosofia della storia, ma dall'altro lato anche contro quella neutralizzazione di tutti i criteri, praticata dallo storicismo, quando chiude la storia nel museo e « si lascia scorrere fra le dita come un rosàrio la successione dei fatti» 25 • Il modello è Robespierre, che richiamandosi all'antica Roma si è procurato un corrispondente passato carico di tempo-ora, per far saltare l'inerte continuum della storia. Come egli tenta di indurre a fermarsi il pigro corso della storia quasi con uno shock prodotto surrealisticamente, così in genere una modernità volatilizzata nell'attualità, non appena raggiunge l'autenticità di un tempo-ora, deve lvi,.p. 284. W. Benjamin, Vber den Begriff der Geschichte, in Gesammelte Schriften, vol. l, 2, p. 701 (tr. it., Tesi sulla filosofia della storia, in Angelus Novus, Torino 1962, p, 80). 25 lvi, p. 82. 23 24 11 www.scribd.com/Baruhk attingere la sua normatività dalle immagini speculari di passati rievocati. Questi ultimi non vengono più percepiti quali passati per natura esemplari. Il modello baudelairiano del creatore di mode illumina piuttosto la creatività. che contrappone l'atto del chiaroveggente rinvenimento di tali corrispondenze all'ideale estetico dell'imitazione di modelli classici. Excursus sulle « Tesi di filosofia della storia » di W alter Benjamin Non è facile classificare la coscienza del tempo che si esprime nelle Tesi di filosofia della storia di W alter Benjamin 26 • Innegabilmente nel concetto del ' tempo-ora ' entrano in un singolare collegamento esperienze surrealistiche e motivi della mistica ebraica. Quella idea che l'istante autentico di un presente innovativo interrompe il continuum della storia, ed evade dal suo decorso omogeneo, si alimenta ad entrambe le fonti. L'illuminazione profana dello shock impone, al pari dell'unione mistica con l'apparizione del Messia, un momento di arresto, una cristallizzazione degli eventi del momento. Qui a Benjamin non importa soltanto l'enfatico rinnovamento di una coscienza per la quale «ogni secondo (è) la piccola porta da cui poteva entrare il Messia» (Tesi 18) TI. Benjamin piuttosto gira in senso opposto, intorno all'asse del tempo-ora, quel radicale orientamento verso il futuro che è caratteristico dell'età moderna in genere, fino al punto in cui esso viene tradotto in un ancor più radicale orientamento verso il passato. L'attesa della novità futura si avvera unicamente con la rimemorazione di un passato represso. Il segno di un arresto messianico degli eventi Benjamin lo concepisce come « chance rivoluzionaria nella lotta per il passato represso » (Tesi 17) 28 • Nel quadro delle sue ricerche di storia dei concetti, R. Koselleck ha caratterizzato la modernità, fra l'altro, tramite la crescente differenza fra ' ambito dell'esperienza' (Erfahrungsraum) e ' orizzonte delle aspettative ' (Erwartungshorizont): « Io sostengo la tesi che nell'età moderna la differenza fra esperienza ed aspettativa diviene sempre maggiore, e più esattamente che l'età moderna può concepirsi come un'età nuova solamente dal 26 TI 28 lvi, I, 2 (tr. it. cit.). lvi, p. 83. lvi, p. 82. 12 www.scribd.com/Baruhk momento in cui le aspettative si sono sempre più andate allontanando da tutte le esperienze fatte in precedenza» 29 • L'orientamento verso il futuro, che è specifico dell'età moderna, si forma soltanto nella misura in cui la modernizzazione sociale lacera, mette in moto e svaluta quale direttiva che controlla l'aspettativa l'ambito paleo-europeo dell'esperienza dei mondi vitali improntati da una realtà contadina e artigiana. Il posto di queste esperienze tramandate dalle generazioni precedenti viene poi occupato da quell'esperienza del progresso, che conferisce « una qualità storicamente nuova, continuamente traducibile in senso utopico », all'orizzonte della aspettativa fino ad allora saldamente ancorato nel passato 30 • A dire il vero Koselleck disconosce il fatto che il concetto di progresso non è servito soltanto a rendere immanenti le speranze escatologiche e a realizzare l'apertura utopica dell'orizzonte delle aspettative, bensì anche a ostruire nuovamente, servendosi di costruzioni teleologiche della storia, quella fonte di inquietudini che è il futuro. La polemica di Benjamin contro l'appiattimento socio-evolutivo della concezione materialistica della storia si rivolge contro questa degenerazione della coscienza moderna del tempo, aperta al futuro. Là dove il progresso si coagula in norma storica, viene eliminata, dal riferimento del presente al futuro, la qualità del nuovo, l'accentuazione dell'inizio imprevedibile. Sotto questo aspetto lo storicismo è per Benjamin soltanto un equivalente funzionale della filosofia della storia. Lo storico che si immedesima e che tutto comprende raduna la massa dei fatti, cioè il corso oggettivato della storia, in una contemporaneità ideale, per riempire in tal modo ' il tempo omogeneo e vuoto '. Così facendo, al riferimento del presente al futuro egli toglie ogni rilevanza per la comprensione del passato: «Al concetto del presente che non è passaggio, ma in bilico nel tempo e immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive storia. Lo storicismo postula un'immagine ' eterna ' del passato, il materialista storico un'esperienza unica con esso » (Tesi 16) 31 • Come vedremo, la coscienza moderna del tempo, in quanto si esprime in manifestazioni letterai-ie, si è sempre più rilassata, e la sua vitalità dovette essere continuamente rinnovata da un 29 R. Koselleck, Er/ahrungsraum und Erwartungshorizont, in Vergangene Zukunft cit., p. 359. 30 lvi, p. 363. 31 G. W. F. Hegel, op. cit., vol. XII, p. 524 (tr. it. cit., p. 81). 13 www.scribd.com/Baruhk pensiero radicalmente storico: dai Giovani hegeliani attraverso Nietzsche e Yorck von W artenburg fino ad Heidegger. Lo stesso impulso determina le tesi di Benjamin, che servono al rinnovamento della coscienza temporale moderna. Ma Benjamin non è ancora soddisfatto di quella variante del pensiero storico che fino ad allora poteva essere considerata come la più radicale. Il pensiero radicalmente storico può essere caratterizzato dall'idea della storia effettuale. Nietzsche gli ha dato il nome di considerazione critica della storia. Il Marx del Diciotto Brumaio ha praticato questo tipo di pensiero storico, e lo Heidegger di Sein und Zeit lo ha antologizzato. Nella stessa struttura coagulata nell'esistenziale della storicità si può certamente riconoscere ancora con chiarezza che l'orizzonte aperto al futuro di aspettative determinate dal presente dirige il nostro intervento sul passato. In quanto ci appropriamo di esperienze passate orientati verso il futuro, l'autentico presente dimostra di essere il luogo del proseguimento di tradizioni e dell'innovazione al contempo: l'uno non è possibile senza l'altra, ed entrambi si fondono nell'oggettività di un contesto di storia effettuale. Vi sono però diversi modi di intendere questa idea della storia effettuale, a seconda della misura di continuità e discontinuità che si vuole assicurare o produrre: la versione conservatrice (Gadamer), quella conservatrice-rivoluzionaria (Freyer), e quella rivoluzionaria (Korsch). Ma lo sguardo diretto al futuro si rivolge sempre dal presente verso un passato che è connesso, quale preistoria, con il nostro presente d'ogni volta, come dalla catena di un destino comune. Due sono i momenti costitutivi di questa coscienza: da un lato il nesso storico-effettuale di un continuo succedersi di tradizioni, in cui è inserito anche l'atto rivoluzionario; e dall'altro la predominanza dell'orizzonte delle aspettative su un potenziale di esperienze storiche di cui ci si deve appropriare. Benjamin non si occupa esplicitamente di questa coscienza storico-effettuale. Ma dal suo testo risulta che egli diffida tanto del patrimonio dei beni culturali tramandati, che devono trasformarsi in possesso del presente, quanto dell'asimmetria del rapporto fra le attività appropriatrici di un presente orientato al futuro e gli oggetti appropriati del passato. Perciò Benjamin si impegna in un drastico rovesciamento del rapporto fra orizzonte delle aspettative e ambito dell'esperienza, attribuendo a tutte le epoche passate un orizzonte di aspettative insoddisfatte, ed al presente orientato verso il futuro il compito di sperimentare nella rimemorazione un passato di volta in volta corrispondente in 14 www.scribd.com/Baruhk modo tale che noi possiamo soddisfarne le aspettative con la nostra debole forza messianica. In base a questo rovesciamento possono intrecciarsi due idee: la convinzione che la continuità del contesto tradizionale è fondata tanto dalla barbarie quanto dalla civiltà 32 ; e l'idea che la generazione di volta in volta presente è responsabile non solo del destino delle generazioni future, bensì anche del destino incolpevolmente sofferto dalle generazioni passate. Questa esigenza di redimere epoche passate, che di volta in volta indirizzano verso di noi le loro aspettazioni, rammenta l'idea, familiare alla mistica ebraica e a quella protestante, della responsabilità che gli uomini hanno per il destino di un Dio che nell'atto della creazione ha rinunciato alla sua onnipotenza in favore di una pari libertà dell'uomo. Ma queste considerazioni di storia spirituale non spiegano poi molto. Ciò che Benjamin ha in mente, è invece la veduta sommamente profana che l'universalismo etico deve prendere sul serio anche il torto già avvenuto e a prima vista irreversibile; che esiste una solidarietà dei posteri con i loro antenati, con tutti coloro che sono stati lesi dalla mano dell'uomo nella loro integrità corporea o personale; e che questa solidarietà può essere dimostrata e messa in atto solamente dalla rimemorazione. Qui la forza liberatrice del ricordo non deve servire, come da Hegel fino a Freud, ad estinguere il potere del passato sul presente, bensì ad estinguere un debito del presente verso il passato: « Poiché è un'immagine irrevocabile del passato che rischia di svanire ad ogni presente che non si riconosca indicato in esso » (Tesi 5) 33 • Nel contesto di questa prima lezione, il presente excursus è inteso a mostrare come Benjamin intrecci fra di loro motivi d'origine del tutto diversa, per radicalizzare una volta di più la coscienza storico-effettuale. Lo sganciamento dell'orizzonte delle aspettative dal tradizionale potenziale d'esperienza rende anzitutto possibile, come ha indicato Koselleck, l'opposizione di un tempo nuovo, che vive di proprio diritto, a quelle epoche passate, dalle quali l'età moderna si è separata. La situazione del presente si era con ciò modificata in modo specifico nel rapporto con il passato e con il futuro. Sotto la spinta di problemi che premono dal futuro, un presente chiamato ad un'attività storicamente responsabile prende da un lato il sopravvento sul passato 32 << Non è mai documento di cultura senza essere, nello stesso tempo, documento di barbarie. E come, in sé, non è immune dalla barbarie, non lo è nemmeno il processo della tradizione per cui è passato dall'uno all'altro >>, Tesi 7 (tr. it. cit., p. 77). 33 G. W. F. Hegel, op. cit., vol. XX, p. 329 (tr. it. cit., p. 74). 15 www.scribd.com/Baruhk da acqutstre per proprio interesse; dall'altro lato un presente divenuto del tutto transitorio si avvede di dover render contro al futuro dei suoi interventi e delle sue omissioni. Ora, siccome Benjamin estende ad epoche passate questa responsabilità rivolta al futuro, la situazione si modifica ancora una volta: il rapporto carico di tensioni con le alternative, in linea di principio tutte aperte, del futuro, riguarda ora direttamente anche il rapporto con un passato a sua volta agitato da aspettative. La spinta dei problemi del futuro si moltiplica con quella del futuro passato (e inappagato). Ma al contempo questo rovesciamento assiale corregge l'occulto narcisismo della coscienza storico-effettuale. Non sono più soltanto le generazioni future, ma anche quelle passate, che mantengono un diritto verso la debole forza messianica delle generazioni presenti. La riparazione anamnestica di un torto, di cui non si può certo far sì che non sia accaduto, ma che per lo meno può essere virtualmente conciliato dalla rimemorazione, avvolge il presente nel contesto comunicativo di una solidarietà storica universale. Questa anamnesi costituisce il contrappeso decentrante a quella pericolosa concentrazione della responsabilità, che la coscienza moderna del tempo, rivolta unicamente verso il futuro, ha addossato ad un presente problematico, e in un certo qual senso aggrovigliato 34• III Hegel per primo eleva a problema filosofico quel processo di distacco della modernità dalle suggestioni normative del passato, che non rientrano in essa. Certamente, nel corso di una critica della tradizione che accoglie in sé esperienze della Riforma e del Rinascimento, e reagisce agli inizi della moderna scienza della natura, la filosofia moderna, dalla tarda scolastica fino a Kant, esprime già anche l'autocomprenstone della modernità. Ma soltanto alla fine del XVIII secolo il problema dell'autoaccertamento della modernità si acuisce a tal punto, che Hegel può vederlo come problema filosofico, e precisamente come il problema fondamentale della sua filosofia. Hegel concepisce come 34 Cfr. la ricerca di H. Peukert sull'Aporie anamnestischer Solidaritiit, in H. Peukert, Wissenschaftstheorie, Handlungstheorie, Fundamentale Theologie, Diisseldorf 1976, pp. 273 sgg., e anche la mia replica a H. Ottmann in J. Habermas, Vorstudien und Ergiinzungen zur Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1984, po. 514 sgg. 16 www.scribd.com/Baruhk « fonte del bisogno della filosofia )) 35 l'inquietudine derivante dal fatto che una modernità priva di modelli deve stabilizzarsi uscendo dalle scissioni che essa stessa ha provocato. Quando la modernità si desta alla coscienza di se stessa, nasce un bisogno di autoaccertamento, che Hegel intende come il bisogno di filosofia: egli infatti ritiene che la filosofia si trovi dinanzi al compito di cogliere il proprio tempo e cioè per lui l'età moderna, nel pensiero. Hegel è convinto di non poter affatto acquisire quel concetto che la filosofia si forma di se stessa, indipendentemente dal concetto filosofico della modernità. Anzitutto Hegel scopre nella soggettività il principio dell'età moderna. Partendo da tale concetto egli spiega la superiorità del mondo moderno e al contempo il suo carattere di epoca percorsa da crisi: esso si esperisce infatti come il mondo del progresso e al contempo dello spirito estraniato. Perciò il primo tentativo di portare al concetto la modernità nasce insieme ad una critica della modernità. Secondo Hegel l'età moderna è caratterizzata in generale da una struttura dell'autorelazione, che egli chiama soggettività: « Il principio del mondo moderno in genere è la libertà della soggettività, per cui tutti gli aspetti essenziali, che esistono nella totalità spirituale, si sviluppano, pervenendo al loro diritto » 36 • Hegel, quando definisce la fisionomia dell'età moderna (o del mondo moderno), spiega la 'soggettività' con la 'libertà' e la ' riflessione ': « La grandezza del nostro tempo è che esso riconosce la libertà, la proprietà dello spirito di essere in sé presso di sé» 37 • In questo contesto l'espressione 'soggettività' comporta soprattutto quattro connotazioni: a) individualismo: nel mondo moderno la peculiarità infinitamente particolare fa valere le proprie pretese 38 ; b) diritto alla critica: il principio del mondo moderno esige che ciò che ciascuno deve riconoscere si mostri a lui come un che di legittimo 39 ; c) autonomia dell'agire: è proprio del mondo moderno che noi ci conside- 35 G. W. F. Hegel, Differenz des Fichteschen und Sche/lingschen Systems der Philosophie, in Suhrkamp·Werkausgabe, vol. Il, p. 20. 36 G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Suhrkamp-Werkausgabe, vol. 7, p. 439 (tr. it., Lineamenti di filosofia del diritto, Bari 1965, p. 361). Altra documentazione nella voce Moderne Welt, Suhrkamp-Werkausgabe, Registerband, pp. 417 sgg. 37 G. W. F. Hegel, Vorlesungen ilber die Geschichte der Philosophie, III, Suhrkamp-Werkausgabe, vol. 20, p. 329 (tr. it., Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze 1944, vol. III, 2, p. 283). 38 G. W. F. Hegel, Grundlinien cit., p. 311 (tr. it. cit., p. 153). 39 lvi, p. 485 (tr. it. cit., p. 391). 17 www.scribd.com/Baruhk riamo responsabili di quello che facciamo 40 ; d) infine, la filosofia idealistica stessa: Hegel considera come l'opera dell'età moderna, che la filosofia colga l'Idea che sa se stessa 41 • Gli eventi storici decisivi per l'attuazione del principio della soggettività sono la Riforma, l'Illuminismo e la Rivoluzione francese. Con Lutero la fede religiosa è divenuta riflessiva, il mondo divino nella solitudine della soggettività si è mutato in qualcosa di posto da noi 42 • Contro la fede nell'autorità della predicazione e della tradizione, il protestantesimo afferma l'autorità del soggetto che attinge soltanto al proprio giudizio; l'ostia è considerata ancora soltanto come un pezzo di pane, la reliquia ancora soltanto come ossa 43 • In seguito la proclamazione dei diritti dell'uomo e il Code Napoléon hanno considerato quale fondamento sostanziale dello Stato il principio della libertà del volere, contro il diritto storicamente constatato: « Si è ritenuto che il diritto e l'eticità si fondino sull'attuale terreno della volontà dell'uomo, mentre prima erano imposti esteriormente soltanto come comandamento di Dio, scritto nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, o presente nella forma di diritto particolare in vecchie pergamene, quali privilegi, o nei trattati» 44• Il principio della soggettività determina inoltre le configurazioni della cultura moderna. Ciò si applica anzitutto alla scienza oggettivante, che al contempo disincanta la natura e libera il soggetto: « Così ci si oppose a tutti i miracoli, giacché la natura è ormai un sistema di oggetti noti e riconosciuti, l'uomo vi si trova come in casa propria, e soltanto là dove egli si trova come a casa propria, è libero tramite la conoscenza della natura» 45 • I concetti morali dell'età moderna sono improntati al riconoscimento della libertà soggettiva degli individui: si fondano da un lato sul diritto del singolo, di considerare valido ciò che egli deve fare; dall'altro lato sull'esigenza che a ciascuno sia lecito perseguire gli scopi del bene particolare solo accordandolo con il bene di tutti gli altri. La volontà soggettiva raggiunge l'autonomia sotto leggi universali; ma « soltanto nella volontà, in quanto sogget40 G. W. F. Hegel, Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie cit., l, p. 493 (tr. it. cit., vol. l, p. 3). 41 lvi, vol. III, p. 458 (tr. it. cit., vol. III, 2, p. 413). 42 G. W. F. Hegel, Vorlesungen uber die Philosophie der Religion, Suhr· kamp-Werkausgabe, vol. XVI, p. 349 (tr. it., Lezioni sulla filosofia della religione, Bologna 1973, vol. l, p. 205). 43 G. W. F. Hegel, Vor/esungen uber die Philosophie der Geschichte, Suhr· kamp-Werkausgabe, vol. XII, p. 522 (tr. it., Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze 1963, vol. IV, p, 148). 44 lbid. 45 lbid. 18 www.scribd.com/Baruhk tiva, può essere reale la libertà o la volontà che è in sé » 46• L'arte moderna rivela la sua essenza nel Romanticismo; forma e contenuto dell'arte romantica sono determinati dall'interiorità assoluta. L'ironia divina, portata al concetto da Friedrich Schlegel, rispecchia l'esperienza che fa di sé un io decentrato, «per il quale tutti i vincoli sono infranti, e che può vivere soltanto nella beatitudine del godimento di se stesso » 47 • L'autorealizzazione espressiva diviene il principio di un'arte che si presenta come forma di vita: «Ma io vivo come artista, secondo questo principio, quando tutto il mio agire ed esternarmi [ ... ] rimane per me soltanto un'apparenza, ed assume una forma che è interamente in mio. potere » 48 • La realtà giunge all'espressione artistica solamente nella rifrazione soggettiva dell'anima sentimentale: essa è « un puro apparire tramite l'Io ». Nella modernità dunque tanto la vita religiosa, lo Stato e la società, quanto la scienza, la morale e l'arte, si tramutano in altrettante incarnazioni del principio della soggettività 49 , la cui struttura viene colta come tale nella filosofia, e cioè come soggettività astratta nel ' Cogito ergo sum' di Descartes, e nella forma dell'autocoscienza assoluta in Kant. Si tratta della struttura della relazione del soggetto conoscente con se stesso, che si ripiega su di sé come oggetto, per cogliersi come in un'immagine speculare - appunto, ' speculativamente '. Alla base delle sue tre Critiche, Kant pone proprio questo principio della filosofia della riflessione: egli insedia la ragione come quel tribunale supremo, dinanzi al quale deve giustificarsi tutto ciò che eleva in genere una pretesa di validità. Con l'analisi dei fondamenti della conoscenza, la Critica della ragion pura affronta il compito di criticare l'abuso della nostra facoltà conoscitiva, fatta su misura per i fenomeni. Al posto del concetto sostanziale della ragione, proprio della tradiG. W. F. Hegel, Grundlinien cit., p. 204 (tr. it. cit., p. 105). G. W. F. Hegel, Vorlesungen iiber die Asthetik, l, Suhrkamp-Werkausgabe, vol. III, p. 95. 48 lvi, p. 94. 49 Cfr. il riassunto nel par. 124 della Rechtsphi/osophie: << [ ... ] il diritto della libertà soggettiva costituisce il punto critico e centrale della differenza tra l'antichità e l'età moderna. Questo diritto, nella sua infinità, è stato espresso nel Cristianesimo e costituito a universale principio reale di un nuovo atteggiamento del mondo. Ai più particolari aspetti di questo, appartengono l'amore, il principio romantico, il fine dell'eterna beatitudine dell'individuo, ecc. - dipoi la moralità e la coscienza, oltre le altre forme, le quali, in parte, si presteranno in seguito come principio della società civile, e come momenti della costituzione politica, ma, in parte, si presentano nella storia in genere, e in particolare nella storia dell'arte, della scienza e della filosofia>> (Suhrkamp-Werkausgabe, vol. VII, p. 233 [tr. it. cit., pp. 115 sg.] ). 46 47 19 www.scribd.com/Baruhk zione metafisica, Kant pone il concetto di una ragione separata nei suoi mpmenti, la cui unità ha un carattere soltanto formale. Kant distingue dalla conscenza teoretica le facoltà della ragione pratica e del giudizio, e colloca ciascuna di esse su fondamenti propri. La ragione criticante, in quanto fonda la possibilità della conoscenza oggettiva, del discernimento morale e della valutazione estetica, non soltanto si accerta delle proprie facoltà soggettive - non soltanto rende trasparente l'architettonica della ragione, ma assume anche il ruolo di un giudice supremo nei riguardi della cultura nel suo complesso. La filosofia separa l'una dall'altra le sfere culturali dei valori, come dirà più tardi Emil Lask, e cioè scienza e tecnica, diritto e morale, arte e critica d'arte, da punti di vista esclusivamente formali - ed entro tali limiti le legittima 50 • Fino al termine del XVIII secolo, scienza, morale ed arte si erano differenziate a fondo anche istituzionalmente quali ambiti di attività nei quali venivano trattate in modo autonomo, e cioè secondo il loro rispettivo aspetto specifico di validità, questioni di verità, questioni di giustizia e questioni di gusto. E questa sfera del sapere si era separata nel suo complesso da un lato dalla sfera della fede, dall'altro lato dai rapporti sociali giuridicamente organizzati, e dalla convivenza quotidiana. In tutto ciò noi riconosciamo esattamente quelle sfere che poi Hegel concepirà quali manifestazioni del principio della soggettività. La riflessione trascendentale, in cui il principio della soggettività si presenta per così dire senza veli, pretende al contempo la competenza giurisdizionale rispetto a quelle sfere; perciò Hegel vede l'essenza del mondo moderno concentrata, come in un punto focale, nella filosofia kantiana. IV Kant esprime il mondo moderno in un sistema di idee. Ma ciò significa soltanto che nella filosofia di Kant si riflettono, come in uno specchio, i tratti essenziali dell'epoca, senza che egli abbia compreso la modernità come tale. Solo retrospettivamente Hegel può considerare la filosofia kantiana come l'interpretazione decisiva che la modernità presenta di se stessa; Hegel ritiene però di riconoscere anche ciò che in questa più riflessa espressione dell'epoca rimane tuttavia incompreso: Kant non sente come 50 l. Kant, Kritik der reinen Vernun/t, B 779 (tr. it., Roma-Bari 19858, p. 577). 20 www.scribd.com/Baruhk scissioni le differenziazioni entro la ragione, le articolazioni formali all'interno della cultura, e in genere la divisione di quelle sfere. Perciò Kant ignora il bisogno che nasce con le separazioni strappate dal principio della soggettività. Questo bisogno si impone alla filosofia non appena la modernità si concepisce come un'epoca storica, ossia non appena essa diviene consapevole del suo distacco da passati esemplari e della necessità di attingere da se stessa tutto ciò che è normativa, come un problema storico. Allora infatti si pone il problema se il principio della soggettività, e la struttura dell'autocoscienza ad essa immanente, siano sufficienti quale fonte di orientamenti normativi - se bastino non soltanto a ' fondare ' scienza, morale ed arte in genere, bensì anche a render stabile una formazione storica che si è affrancata da tutti gli obblighi storici. Ora la questione è se dalla soggettività e dall'autocoscienza si possano acquisire criteri che siano desunti dal mondo moderno e al contempo siano adatti per orientarsi in esso; il che però vuoi anche dire: per criticare una modernità che non è in pace con se stessa. Come è possibile costruire dallo spirito della modernità un'interna figura ideale, che non si limiti a riprodurre le molteplici forme fenomeniche della modernità stessa, né le venga semplicemente proposta dall'esterno? Quando la questione viene posta in questi termini, la soggettività dimostra di essere un principio unilaterale. Questo principio possiede bensì l'impareggiabile forza occorrente per produrre una formazione della libertà soggettiva e della riflessione, e per scalzare la religione, che fino ad allora si era presentata come la potenza unificatrice per eccellenza. Ma questo stesso principio non è abbastanza efficace per rigenerare la potenza religiosa dell'unificazione nel medium della ragione. L'orgogliosa cultura illuministica della riflessione si è ' separata ' dalla religione, « ponendosela accanto o ponendosi accanto ad essa » 51 • Il discredito della religione conduce ad una scissione tra fede e sapere, che l'Illuminismo non può superare con le proprie forze. Perciò nella Fenomenologia dello spirito esso si presenta sotto il titolo di un « mondo dello spirito a sé estraniato » 52 : « Quanto più prospera la cultura, quanto più molteplice diviene lo sviluppo delle manifestazioni della vita, nel quale può inserirsi la scissione [ ... ], tanto più estranei al tutto della cultura e privi G. W. F. Hegel, Differenz cit., Suhrkamp-Werkausgabe, vol. Il, p. 23. G. W. F. Hegel, Phiinomenologie des Geistes cit., pp. 362 sgg. (tr. it. cit., vol. Il, pp. 42 sgg.). 51 52 21 www.scribd.com/Baruhk di significato divengono quegli sforzi della vita (un tempo elevati a religione) per rigenerarsi nell'armonia» 53 • Questa frase proviene da uno scritto polemico contro Reinhold, il cosiddetto scritto sulla differenza del1801, nel quale Hegel concepisce l'armonia lacerata del vivere come la sfida pratica e il bisogno della filosofia 54 • La circostanza che la coscienza del tempo è uscita dalla totalità, e che lo spirito si è estraniato da se stesso, è per lui addirittura un presupposto del filosofare contemporaneo. Un altro presupposto in base al quale soltanto la filosofia può riprendere il suo mestiere, è per Hegel quel concetto dell'Assoluto, che in un primo momento egli aveva desunto da Schelling. Con tale concetto la filosofia può assicurarsi in anticipo lo scopo di dimostrare che la ragione è la potenza dell'unificazione. La ragione deve appunto superare quello stato di scissione, nel quale il principio della soggettività aveva precipitato tanto la ragione stessa quanto « l'intero sistema dei rapporti di vita ». Con la sua critica, che si rivolge direttamente contro i sistemi filosofici di Kant e di Fichte, Hegel vuole al contempo colpire quell'autocomprensione della modernità che in essi si esprime. Criticando le contrapposizioni filosofiche tra natura e spirito, sensibilità e intelletto, intelletto e ragione, ragione teoretica e ragione pratica, facoltà di giudicare e immaginazione, io e non-io, finito e infinito, fede e sapere, Hegel vuole rispondere alla crisi della scissione della vita stessa. Altrimenti la critica filosofica non potrebbe sperare di soddisfare il bisogno dal quale essa viene oggettivamente suscitata. La critica dell'idealismo soggettivo è al contempo critica di una modernità che solo per questa via può rendersi conto del proprio concetto, e quindi rendersi stabile di per se stessa. Ma la critica non può e non deve servirsi di altro strumento che di quella riflessione, che essa trova come la p_iù pura espressione del principio dell'età moderna 55 • Se infatti la modernità deve fondarsi di per se stessa, Hegel è obbligato a svolgere il concetto critico della modernità da una dialettica immanente allo stesso principio dell'Illuminismo. Vedremo in seguito come Hegel realizzerà questo program53 G. W. F. Hegel, Di[ferenz 54 « Quando dalla vita degli cit., pp. 22 sgg. uomini scompare la potenza dell'unificazione, e gli opposti hanno perso la loro vivente relazione e azione reciproca, e acquistano l'indipendenza, sorge il bisogno della filosofia. t perciò un'accidentalità, ma nella scissione data è il tentativo necessario di superare la soggettività e l'oggettività solidificate, e di concepire l'esser divenuto del mondo intellettuale e del mondo reale come un divenire >> (ivi, p, 22). 55 lvi, pp. 25 sgg. 22 www.scribd.com/Baruhk ma, e come vi si impiglierà in un dilemma. Dopo aver introdotto la dialettica dell'Illuminismo, l'impulso alla critica del tempo, che solo l'ha messa in moto, si sarà infatti esaurito. Si dovrà dapprima mostrare che cosa si nasconde in quel ' vestibolo della filosofia', nel quale Hegel colloca 'i presupposti dell'Assoluto '. I motivi della filosofia dell'unificazione risalgono alle esperienze di crisi del giovane Hegel, che si celano dietro la convinzione secondo cui la ragione deve essere impiegata come potenza riconciliatrice contro le positività di un'epoca dilaniata. La versione mitopoetica di una riconciliazione della modernità, che in un primo tempo Hegel condivide con Holderlin e con Schelling, resta tuttavia ancora vincolata ai passati esemplari del cristianesimo primitivo e dell'antichità. Solamente nel corso del periodo di Jena Hegel si procura, con il concetto che gli è proprio del sapere assoluto, una posizione che gli consente di andare al di là dei prodotti dell'Illuminismo - arte romantica, religione della ragione e società borghese - senza orientarsi verso modelli estranei. Ma con questo concetto dell'Assoluto Hegel ricade dietro le intuizioni della sua giovinezza: egli pensa l'oltrepassamento della soggettività entro i limiti della filosofia del soggetto. Ne risulta il dilemma, che alla fine egli deve contestare all'autocomprensione della modernità la possibilità di sottoporre ad una critica la modernità stessa. La critica alla soggettività dilatata a potenza assoluta si rovescia ironicamente nel rimprovero rivolto dal filosofo alla limitatezza di quei soggetti, che non hanno ancora compreso né lui né l'andamento della storia. www.scribd.com/Baruhk 2. IL CONCETTO HEGELIANO DELLA MODERNIT A I Hegel, quando nel 1802 tratta i sistemi di Kant, di Jacobi e di Fichte sotto l'aspetto della contrapposizione tra fede e sapere per far saltare dall'interno la filosofia della soggettività, non procede però in modo rigorosamente immanente. Si fonda qui tacitamente sulla sua diagnosi dell'età illuministica; soltanto tale diagnosi lo autorizza a porre i presupposti dell'Assoluto - cioè ad impiegare la ragione (a differenza dalla filosofia della riflessione) come potenza dell'unificazione: La cultura ha talmente elevato l'ultimo periodo (!) al di sopra del vecchio contrasto tra la filosofia e la religione positiva, che questa contrapposizione di fede e sapere [ ... ] è stata trasferita all'interno della filosofia stessa [ ... ] La questione è però se la ragione vincitrice non abbia fatto l'esperienza di quel destino, che la forza vittoriosa delle nazioni barbariche suole subire nei riguardi della debolezza delle nazioni colte, di mantenere cioè il sopravvento nel dominio esteriore, ma di soccombere al vinto nello spirito. La vittoria gloriosa che la ragione illuminatrice ha riportato su ciò che essa, in base al limitato criterio della sua comprensione religiosa, considerava _a sé contrapposto come fede, non è, a pensarci bene, nient'altro che questo: che né il positivo contro cui essa aveva combattuto era religione, né che essa stessa, che ha vinto, è rimasta ragione 1 • Hegel è convinto che l'età dell'Illuminismo, culminante in Kant e in Fichte, abbia creato nella ragione soltanto un idolo; essa ha collocato erroneamente l'intelletto o la riflessione al l G. W. F. Hegel, Glauben und Wissen, in Werke cit., vol. Il, pp. 287 sgg. 24 www.scribd.com/Baruhk posto della ragione, e quindi ha elevato un finito ad assoluto. L'infinito della filosofia della riflessione non è in realtà altro che un qualcosa di razionale posto soltanto dall'intelletto, che si esaurisce nella negazione del finito: « L'intelletto, in quanto lo fissa [l'infinito], lo contrappone assolutamente al finito, e la riflessione, che si era elevata a ragione, avendo superato il finito, si è nuovamente abbassata ad intelletto, in quanto fissava il fare della ragione nella contrapposizione; e per di più ora avanza la pretesa di essere razionale anche in questa ricaduta» 2 • Come certamente dimostra il discorso sbrigativo sulla ' ricaduta ', qui Hegel insinua dò che cerca di dimostrare: dovrebbe prima mostrare, e non semplicemente presupporre, che una ragione la quale sia qualcosa di più che un intelletto assolutizzato, può riunificare coattivamente quegli opposti che pure la ragione deve scomporre discorsivamente. Ciò che Hegel esalta come presupposto di una potenza assoluta dell'unificazione, è poi costituito non tanto da argomenti, quanto piuttosto da esperienze biografiche - cioè da quelle esperienze delle crisi contemporanee, che egli aveva acquisito e assimilato a Tubinga, Berna e Francoforte, per portarsele poi con sé a Jena. Come è noto, il giovane Hegel e i suoi coetanei del Tilbinger Stift parteggiavano per i movimenti di liberazione del loro tempo. Vivevano direttamente nel mezzo delle tensioni dell' Illuminismo religioso, e discussero soprattutto con l'ortodossia protestante rappresentata dal teologo Gottlieb Christian Storr. Si orientavano filosoficamente verso la filosofia kantiana della morale e della religione, e politicamente verso le idee diffuse dalla Rivoluzione francese. L'organizzazione rigidamente regolata della vita nello Stift ebbe inoltre una funzione scatenante: « La teologia di Storr, il regolamento dello Stift e la costituzione dello Stato, che garantiva ad entrambi la sua protezione, sembravano alla maggior parte (degli Stiftler) che valessero bene una rivoluzione » 3 • Nel quadro degli studi teologici che Hegel e Schelling hanno allora praticato, questo impulso ribelle assume la forma più moderata di un ricollegamento riformistico al cristianesimo originario. L'intenzione che essi attribuiscono a Gesù - cioè di « introdurre la moralità nella religiosità della sua nazione » 4 - è la loro propria intenzione. Si volgono quindi 2 G. W. F. Hegel, Di[Jerenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der Philosophie, in Werke cit., vol. II, p. 21. 3 D. Henrich, Historische Voraussetzungen von Hegels System, in Hege/ im Kontext, Frankfurt a. M. 1971, p. 55. 4 G. W. F. Hegel, Die Positivitiit der christlichen Re/igion, in Werke cit., 25 www.scribd.com/Baruhk tanto contro il partito dell'Illuminismo quanto contro quello dell'ortodossia 5 • Entrambe le parti si servono degli strumenti storico-critici dell'esegesi biblica, anche se perseguono obiettivi opposti - cioè quello di giustificare la religione della ragione, come si chiama da Lessing in poi, oppure quello di difendere contro di essa la rigorosa ortodossia luterana. L'ortodossia si era messa sulla difensiva e doveva servirsi del metodo critico dei suoi avversari. La posizione di Hegel si trova a mezza strada fra questi due fronti. Con Kant, Hegel considera la religione come « la potenza capace di attuare e di far valere i diritti che la ragione ha concesso » 6 • Ma l'idea di Dio può raggiungere una tale potenza solo quando la religione compenetra lo spirito e i costumi di un popolo, quando è presente nelle istituzioni dello Stato e nella prassi della società, quando rende sensibili il modo di pensare e gli impulsi degli uomini ai precetti della ragion pratica e si imprime nell'animo. Soltanto come elemento della vita pubblica la religione può conferire efficacia pratica alla ragione. Hegel si ispira a Rousseau, quando per l'autentica religione popolare fissa tre esigenze: « I. Le sue dottrine devono essere fondate sulla: ragione universale. Il. Fantasia, cuore e sensibilità non ne devono risultare vuote. III. Essa deve essere tale, che vi siano inclusi tutti i bisogni della vita, e le azioni pubbliche della vita statale » 7 • Sono evidenti anche le risonanze del culto della ragione dei giorni della Rivoluzione francese. In base a queste vedute si spiega la duplice direzione d'urto degli scritti teologici giovanili, contro l'ortodossia e contro la religione razionale, che si presentano entrambe come prodotti complementari vol. l, p, 107 (tr. it., La positività della religione cristiana, in Scritti teologici giovanili, Napoli 1972, p. 236). 5 Hegel vi allude con la seguente osservazione: « Il genere di trattazione della religione cristiana che ora è in voga pone a base della propria dimostrazione la ragione e la moralità, e chiama in aiuto, allo scopo di darne una spiegazione, lo spirito delle nazioni e dei tempi. Un gruppo di nostri contemporanei, degni di molto rispetto per sapere, chiarezza di ragionamento e bontà di intenzioni, considera questo genere di trattazione una benefica illuminazione che guida l'umanità verso la sua meta: verità e virtù. Ma altre persone, ugualmente rispettabili per dottrina e bontà d'intenzioni, con in più l'appoggio del pubblico potere e di una tradizione secolare, denunciano questo tipo di trattazione come un'aperta degenerazione>>, Hegel, Die Positivitiit cit., in Werke cit., p. 104 (tr. it. cit., p. 233, modificata). Cfr. inoltre D. Henrich, op. cit., pp. 52 sgg. 6 G. W. F. Hegel, Fragmente uber Volksreligion und Christentum, in Werke ci t., p. 103 (tr. it., Abbozzi, nell'Appendice agli Scritti teologici giovanili cit., p. 511, modificata). 7 lvi, p. 33 (tr. it., Religione popolare e Cristianesimo. Frammenti, in Scritti teologici giovanili cit., p. 50, modificata). 26 www.scribd.com/Baruhk e unilateralizzati di una dinamica illuministica, che d'altronde tende ad uscir fuori dai limiti dell'Illuminismo. Un positivismo dell'eticità, così sembra al giovane Hegel, è il segno che contraddistingue l'epoca. Hegel definisce ' positive ' quelle religioni che si fondano unicamente sull'autorità e non pongono il valore dell'uomo nella sua moralità 8 ; positive sono quelle prescrizioni, secondo le quali i credenti dovrebbero potersi guadagnare la benevolenza di Dio mediante le opere invece che mediante l'agire morale; positiva è la speranza in una ricompensa nell'aldilà, positiva è la separazione di una dottrina nelle mani di alcuni dalla vita e dal possesso di tutti; positivo è il distacco del sapere sacerdotale dalla credenza feticistica delle masse, ed anche la via traversa che deve condurre all'eticità soltanto passando per l'autorità e le azioni miracolose di una sola persona; positive sono le assicurazioni e le minacce, che mirano alla mera legalità dell'azione; positiva infine e soprattutto è la separazione della religione privata dalla vita pubblica. Se tutto ciò contraddistingue la fede positiva difesa dal partito ortodosso, il partito filosofico dovrebbe avere gioco facile. Esso insiste appunto sul principio che la religione come tale non ha in sé nulla di positivo, ma viene autorizzata dall'universale ragione dell'uomo, in modo tale che « ogni uomo senta e penetri il suo carattere obbligatorio, quando vi fa attenzione» 9 • Hegel però contesta agli illuministi che la pura religione razionale rappresenta un'astrazione, non meno che la credenza feticistica; essa è infatti incapace di interessare il cuore e di esercitare un influsso sui sentimenti e sui bisogni. Anch'essa porta solo ad un altro tipo di religione privata, perché è isolata dalle istituzioni della vita pubblica e non suscita nessun entusiasmo. Solamente se la religione della ragione si manifestasse pubblicamente in feste e culti, se si congiungesse con dei miti, se si rivolgesse al cuore e alla fantasia, la morale, mediata dalla religione, potrebbe « intessersi nel contesto globale dello stato » 10 • La ragione assume forma oggettiva nella religione solo nelle condizioni della libertà politica: la « religione popolare, che produce e nutre grandi disposizioni d'animo, procede di pari passo con la libertà » 11 • Perciò l'Illuminismo non è che l'altro lato dell'ortodossia. 8 lvi, p. 10 (tr. it. cit., p. 32). Il giovane Hegel usa ancora come sinonimi le espressioni ' morale ' (M ora l) ed ' eticità ' (Sittlichkeit). 9 lvi, p. 33 (tr. it. cit., p. 31, modificata). 10 lvi, p, 77 (da un frammento che manca nella traduzione italiana citata). 11 lvi, p, 41 (tr. it. cit., p. 58, modificata). 27 www.scribd.com/Baruhk Come questa insiste sulla positività delle dottrine, così quello insiste sull'oggettività dei comandamenti della ragione; entrambi utilizzano lo stesso mezzo della critica biblica, entrambi consolidano lo stato della scissione, e sono egualmente incapaci di fare della religione la totalità etica di un intero popolo e di ispirare una vita alla libertà politica. La religione della ragione prende le mosse, come quella positiva, da uno stato di contrapposizione: «da un qualcosa che noi non siamo, e che dobbiamo essere » 12 • Hegel critica lo stesso tipo di scissione anche nei rapporti politici e nelle istituzioni statali del suo tempo - anzitutto a proposito del dominio esercitato dal governo cittadino di Berna sul Vaud, dello statuto comunale del Wtirttenberg e della costituzione del Reich tedesco 13 • Come lo spirito vivente del primo cristianesimo si è dileguato dalla religione divenuta positiva dell'ortodossia contemporanea, così anche nella politica « le leggi hanno perduto la loro antica vita, la vitalità presente non ha saputo comporsi in leggi» 14 • Le forme giuridiche e politiche irrigidite in positività sono divenute un potere estraneo. In questi anni intorno al 1800 Hegel accusa tanto la religione quanto lo stato di essersi ridotti a qualcosa di puramente meccanico, ad un ingranaggio, ad una macchina 15 • Questi sono dunque i motivi contemporanei che inducono Hegel a delineare la ragione a priori come una potenza che non soltanto differenzia e infrange, ma anche riunifica di nuovo. Il 12 G. W. F. Hegel, Entwi1rfe i1ber Religion und Liebe, in Werke cit., vol. l, p. 254 (tr. it., Abbozzo n. 11, Fede ed essere, in Appendice a Scritti teologici giovanili cit., p. 534). 13 Sugli scritti politici del giovane Hegel, cfr. Werke cit., vol. l, pp. 255 sgg., 268 sgg., 428 sgg., 451 sgg. - Indubbiamente in questi scritti politici manca ancora il pendant della critica all'Illuminismo, che com'è noto Hegel ricupera nella Fenomenologia dello spirito, sotto il titolo La libertà assoluta e il terrore. Anche qui essa si rivolge contro un partito filosofico che viene incontro con richieste astratte ad un vecchio regime che si trincera dietro la sua positività. D'altra parte negli scritti politici l'esperienza delle crisi trova un'espressione ancor più eloquente, e in ogni caso più immediata, che non negli scritti teologici. Hegel evoca addirittura la necessità del tempo, il sentimento della contraddizione, il bisogno di cambiamento, l'impulso a infrangere i limiti: << L'immagine di tempi migliori, più giusti è divenuta viva nell'anima degli uomini, e un ardente desiderio, un anelito ad una condizione più pura e più libera ha commosso tutti gli animi e ha rotto con la realtà» (Hegel, Werke cit., vol. l, pp. 268 sgg.). Cfr. anche il mio Poscritto a G. W. F. Hegel, Politischen Schrijten, Frankfurt a. M. 1966, pp. 343 sgg. 14 G. W. F. Hegel, Die Verfassung Deutschlands, in Werke cit., vol. l, p. 465 (tr. it., La costituzione della Germania, in Scritti politici (1798-1806), Bari 1961, p. 15, modificata). 15 G. W. F. Hegel, Die Positivitiit cit., Neujassung des Anfangs, in Werke cit., vol. l, p. 219 (tr. it., La positività cit., p. 221). 28 www.scribd.com/Baruhk principio della soggettività produce, nel conflitto fra ortodossia e Illuminismo, una positività che provoca in ogni caso il bisogno oggettivo di superarlo. Ma prima di poter realizzare questa dialettica dell'Illuminismo, Hegel deve mostrare come si possa spiegare il superamento della positività in base allo stesso principio da cui pure essa dipende. II Nei suoi scritti giovanili Hegel opera con la forza riconciliante di una ragione che non si può dedurre direttamente dalla soggettività. Egli sottolinea il lato autoritario dell'autocoscienza ogni volta che ha in mente la scissione operata dalla riflessione. I fenomeni moderni del ' positivo ' smascherano il principio della soggettività come un principio del dominio. Così la positività della religione contemporanea, al contempo sfidata e consolidata dall' Illuminismo, e in genere il positivismo dell'etico caratterizzano la 'necessità del tempo'; e «nella necessità o l'uomo vien fatto oggetto ed è oppresso, oppure deve fare della natura un oggetto ed opprimerla » 16 • Questo carattere repressivo della ragione è fondato in generale nella struttura dell'autorelazione, cioè della relazione di un soggetto che si fa oggetto. Senza dubbio già il cristianesimo aveva eliminato una parte della positività della fede ebraica, e il protestantesimo una parte della positività della fede cattolica; ma anche nella filosofia kantiana della morale e della religione ritorna ancora una positività - e questa volta come l'elemento esplicito della stessa ragione. In questo contesto Hegel non vede il divario fra il ' selvaggio mogulo ', assoggettato ad un cieco dominio, e il ragionevole figlio della modernità, obbediente soltanto al suo dovere, nella differenza tra servitù e libertà, bensì nel solo fatto che quello ha il suo signore fuori di se stesso, mentre questo lo porta in sé, essendone sempre servo: per il particolare (impulsi, inclinazioni, amore patologico, sensibilità o come altro si voglia chiamare), l'universale è sempre necessariamente un elemento estraneo e oggettivo; vi rimane un'indistruttibile positività, che alla fine suscita ribellione per il fatto che il contenuto racchiuso nell'imperativo, un 16 G. W. F. Hegel, Der Geist des Christentums und sein Schicksal, in Werke cit., vol. I, p. 318 (tr. it., Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino, in Scritti teologici giovanili cit., p. 374). 29 www.scribd.com/Baruhk dovere specifico, contiene in sé la contraddizione di essere limitato e al contempo universale, e, sulla base della forma dell'universalità, avanza le più rigide pretese per la sua unilateralità 17 • Nello stesso saggio su Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino, Hegel fa propria la concezione di una ragione riconciliante, che annulla il positivo non soltanto in apparenza. Come questa ragione si faccia sentire dai soggetti quale potenza dell'unificazione, egli lo spiega ad esempio in base al modello della pena riconosciuta come destino 18 • Ora Hegel definisce 'etica', distinguendola da ' morale ', una condizione sociale in cui tutti i membri ottengono giustizia e soddisfano i loro bisogni, senza ledere gli interessi altrui. Ma un delinquente che turba questi rapporti etici danneggiando e opprimendo un'altra vita, riconosce come un destino ostile la potenza della vitSt che il suo atto ha estraniato. Egli deve sentire come la necessità storica di un destino ciò che in realtà è soltanto la violenza reattiva della vita rimossa e separata. Essa fa soffrire il colpevole, fino a quando nell'annientamento della vita altrui egli riconosca l'imperfezione della propria, e nel distacco dalla vita altrui l'estraneazione da se stesso. In questa causalità del destino perviene alla coscienza il nesso lacerato della totalità etica. La totalità scissa può essere riconciliata solamente quando dall'esperienza della negatività della vita scissa riemerge il desiderio per la vita perduta - e quando esso costringe gli interessati a riconoscere nuovamente nell'altrui esistenza separata la propria natura rinnegata. Allora entrambe le parti comprendono che le loro reciproche posizioni irrigidite sono il risultato del distacco, dell'astrazione dal loro comune contesto di vita - e riconoscono in tale contesto il fondamento della loro esistenza. Hegel dunque contrappone alle astratte leggi della morale la ben diversa legalità di un concreto contesto di colpa, che si attua tramite la scissione di una totalità etica presupposta. Ma quel processo intentato al giusto destino non si può derivare, come le leggi della ragion pratica, dal principio della soggettività per il tramite del concetto di volontà autonoma. La dinamica del destino risulta piuttosto dalla perturbazione delle condizioni di simmetria e delle reciproche relazioni di riconoscimento di un contesto di vita costituito intersoggettivamente, dal quale una delle parti si isola e di conseguenza anche tutte le 17 18 lvi, p. 323 (tr. it. cit., p. 378, modificata). lvi, pp. 342 sgg. (tr. it. cit., pp. 393 sgg.). 30 www.scribd.com/Baruhk altre si estraneano da sé e dalla loro vita comune. Soltanto questo atto della lacerazione di un mondo della vita intersoggettivamente condiviso produce una relazione soggetto-oggetto; che viene introdotta come un elemento estraneo, e in ogni caso soltanto in seguito, in rapporti che fin da principio obbediscono alla struttura di un'intesa fra soggetti, e non già alla logica dell'aggettivazione da parte di un soggetto. Con ciò anche il 'positivo ' assume un altro significato. L'assolutizzazione di un condizionato a incondizionato non è più ricondotta ad una soggettività dilatata, che avanza pretese eccessive, bensì alla soggettività estraniata, che si è distaccata dalla vita comune. E la repressione che ne risulta risale al perturbamentb di un equilibrio intersoggettivo, piuttosto che al soggiogamento di un soggetto che si è fatto oggetto. Hegel non può ricavare l'aspetto della riconciliazione, cioè della ricomposizione della totalità lacerata, dalla stessa autocoscienza o dalla relazione riflessiva del soggetto conoscente con se stesso. Ma quando ricorre all'intersoggett1vità dei rapporti di intesa, si lascia sfuggire l'obiettivo, essenziale per l'autofondazione della modernità, di pensare il positivo in modo tale che possa essere superato da quello stesso principio dal quale procede - vale a dire dalla soggettività. Questo risultato non è poi tanto sorprendente, se si riflette che il giovane Hegel spiega il coagularsi dei rapporti vitali in positività tramite la corrispondenza del suo presente con l'età della decadenza ellenistica. Egli rispecchia il suo presente in un'epoca di disgregazione dei modelli classici. In vista della fatale riconciliazione della modernità decaduta, egli presuppone perciò una totalità etica, che non è cresciuta sul terreno della stessa modernità, bensì è mutuata dal passato idealizzato della religiosità comunitaria protocristiana e della polis greca. Contro le incarnazioni autoritarie della ragione centrata nel soggetto, Hegel fa appello al potere unificatore di un'intersoggettività, che si presenta sotto il nome di 'amore' o di 'vita'. Il posto della relazione riflessiva fra soggetto e oggetto è assunto da una mediazione comunicativa (nel senso più ampio del termine) dei soggetti fra di loro. Lo spirito vivente è il medium che fonda una comunanza tale che· un soggetto può sapersi una cosa sola con un altro soggetto, e tuttavia rimanere se stesso. L'isolamento dei soggetti mette allora in moto la dinamica di una comunicazione distorta, alla quale è però immanente quale telos il ristabilimento del rapporto etico. Questa tendenza del pensiero avrebbe potuto avviare ad una ripresa e trasformazione 31 www.scribd.com/Baruhk del concetto di riflessione, sviluppato nella filosofia del soggetto, nel senso di una teoria della comunicazione. Hegel non ha battuto questa strada 19 • Fino allora infatti egli aveva sviluppato l'idea della totalità etica soltanto in base al filo conduttore dell'idea d'una religione popolare, nella quale la ragione comunicativa assumeva la forma idealizzata di comunità storiche, quale ad esempio la comunità protocristiana e la polis greca. Come religione popolare, essa è intrecciata non solo a scopo illustrativo, bensì in modo indissolubile con i tratti ideali di queste epoche classiche. Ma ora l'età moderna aveva conquistato la propria autocoscienza attraverso una riflessione che vietava il ricorso sistematico a tali passati esemplari. Come si poteva ricavare dalla controversia fra Jacobi e Kant, e dalla reazione di Fichte, il contrasto tra fede e sapere era stato spostato nella stessa filosofia. Hegel incomincia il suo saggio su tale argomento appunto con questa considerazione, che lo costringe ad abbandonare l'idea secondo cui la religione positiva e la ragione si possono riconciliare fra loro mediante un rinnovamento riformatore dello spirito protocristiano. Nello stesso periodo Hegel si familiarizza con l'economia politica. Anche qui egli deve rendersi conto del fatto che gli scambi economici capitalistici hanno dato origine ad una società moderna, che sotto il nome tradizionale di ' società civile ' (biirgerliche Gesellschaft) rappresenta una realtà completamente nuova, non paragonabile alle forme classiche della societas civilis o della polis. Nonostante taluni elementi di continuità con la tradizione del diritto romano, Hegel non può più addurre la condizione sociale del decadente Impero romano a paragone con i rapporti giuridici privati della moderna società civile. Di conseguenza anche il termine di confronto in base al quale soltanto il tardo Impero romano poteva essere considerato come un periodo di decadenza, e cioè la tanto celebrata libertà politica della città-stato ateniese, perde il carattere di un modello per l'età moderna. In breve: un'eticità della polis e del cristianesimo primitivo, per quanto così efficacemente interpretata, non poteva più fornire quel criterio, che una modernità in sé scissa potrebbe fare proprio. Questa può essere la ragione per cui Hegel non ha più se19 Prescindo qui dalla fenenser Realphilosophie, nella quale le impostazioni basate sulla teoria dell'intersoggettività degli scritti giovanili hanno lasciato le loro tracce. Cfr. J. Habermas, Arbeit und Interaktion, in Technik und Wissenschajt als 'Ideologie', Frankfurt a. M. 1968, pp. 9 sgg. (tr. it., Lavoro e interazione, Milano 1975). 32 www.scribd.com/Baruhk guito le tracce di una ragione comunicativa, che sono chiaramente indicate nei suoi scritti giovanili, e nel periodo di Jena ha sviluppato invece un concetto dell'Assoluto, che entro i limiti della filosofia del soggetto co'nsentiva di staccarsi dai modelli cristiani e antichi - certo al prezzo di un ulteriore dilemma. III Prima di tracciare la sofuzione filosofica che Hegel può offrire all'autofondazione della modernità, è opportuno gettare uno sguardo retrospettivo a quel più antico programma di sistema, che ci è pervenuto in un manoscritto di Hegel e che riproduce la convinzione comune agli amici Holderlin, Schelling ed Hegel, riuniti a Francoforte 20 • Qui infatti viene messo in gioco un altro elemento: l'arte quale potenza che indica la riconciliazione futura. La religione della ragione deve affidarsi all'arte, per poter assumere la forma della religione popolare. Il monoteismo della ragione e del cuore deve collegarsi al politeismo della fantasia, e creare una mitologia al servizio delle idee. « Prima che noi rendiamo estetiche, cioè mitologiche, le idee, esse non presentano alcun interesse per il popolo; e all'inverso, prima che la mitologia sia razionale, il filosofo deve vergognarsi di essa» 21 • La totalità etica, che non reprime nessuna forza e rende possibile l'eguale formazione di tutte le forze, sarà ispirata da una religione fondata poeticamente. La sensibilità di questa mito'Poesia può allora coinvolgere in egual misura il popolo e i filosofi 22 • Questo programma ricorda le idee espresse da Schiller nel 1795 sull'educazione estetica dell'uomo 23 ; guida Schelling nell'elaborazione del suo Sistema dell'idealismo trascendentale del 1800; e anima fino alla fine il pensiero di Holderlin 24 • Hegel invece incomincia ben presto a dubitare dell'utopia estetica. Nello scritto del 1801 sulla Difjer{!nza, non le concede più alcuna possibilità, perché nella formazione dello spirito estraniato 20 G. W. F. Hegel, Das ii/teste Systemprogramm, a cura di R. Bubner, Bonn 1973; sull'origine del manoscritto, cfr. i contributi a: Chr. Jamme ·H. Schneider (a cura di), Mytho/ogie der Vernunjt, Frankfurt a. M. 1984. 21 lvi, vol. l, p. 236. 22 << Cosi alla fine gli illuminati e i non illuminati devono porgersi la mano, la mitologia deve divenire filosofica e il popolo ragionevole, e la filosofia deve divenire mitologica per render sensibili i filosofi » (ibid.). 23 Cfr., injra, l'excursus, pp. 46 sgg. 24 D. Henrich, op. cit., pp. 61 sgg. 33 www.scribd.com/Baruhk a se stesso non può più destare attenzione « la più profonda e seria relazione con l'arte vivente» 25 • A Jena, per così dire sotto gli occhi di Hegel, nasce la poesia del protoromanticismo. Hegel riconosce immediatamente che l'arte romantica è congeniale allo spirito del tempo - nel suo soggettivismo si esprime lo spirito della modernità. Ma in quanto poesia della scissione essa non ha la vocazione di 'maestra dell'umanità'; non spiana la strada a quella religione dell'arte, che Hegel aveva evocato a Francoforte, insieme con Holderlin e Schelling. La filosofia non può subordinarsi all'arte. La filosofia stessa deve piuttosto concepirsi come quel luogo in cui la ragione fa la sua comparsa come potenza assoluta dell'unificazione. E dal momento che essa in Kant e in Fichte ha assunto la forma della filosofia della riflessione, Hegel deve tentare, dapprima ancora sulle orme di Schelling, di sviluppare dall'impianto della filosofia della riflessione, cioè dall'autorelazione del soggetto con se stesso, un concetto di ragione, col quale poter assimilare le proprie esperienze delle crisi e realizzare la critica della modernità lacerata. Hegel vuole portare al concetto l'intuizione della sua giovinezza, secondo cui nel mondo moderno l'emancipazione deve necessariamente mutarsi in illibertà, perché la forza liberatrice della riflessione si è autonomizzata e realizza l'unificazione ancora soltanto tramite la violenza di una soggettività soggiogante. Il mondo moderno soffre di false identità, perché, nella quotidianità come nella filosofia, pone di volta in volta come assoluto un condizionato. Alle positività della fede e delle istituzioni politiche, e in genere dell'eticità lacerata, corrisponde il dogmatismo della filosofia kantiana, che assolutizza l'autocoscienza dell'uomo ragionevole, la quale mantiene con la molteplicità di un mondo in rovina « un rapporto oggettivo, e conserva stabilità, sostanzialità, pluralità e perfino realtà e possibilità, - una determinatezza oggettiva, cui l'uomo dà un'occhiata e che getta via» 26 • E ciò che è valido per l'unità del soggettivo e dell'oggettivo nella conoscenza, è altrettanto valido per l'identità del finito e dell'infinito, del singolo e dell'universale, della libertà e della necessità nella religione, nello stato e nella moralità; tutte queste sono identità false - « l'unificazione è violenta, l'uno riceve l'altro sotto di sé [ ... ], l'identità, che dovrebbe essere assoluta, è incompleta » Z1. 25 26 Z1 G. W. F. Hegel, Differenz cit., in Werke cit., vol. Il, p. 23. G. W. F. Hegel, Glauben und Wissen cit., in Werke cit., vol. Il, p. 309. G. W. F. Hegel, Difjerenz cit., in Werke cit., vol. Il, p. 28. 34 www.scribd.com/Baruhk L'esigenza di un'identità non coatta, il bisogno di un'unificazione diversa da quella puramente positiva, fissata in rapporti di violenza, sono attestati in Hegel, come si è visto, da vissute esperienze di crisi. Ma se la vera identità deve a sua volta essere sviluppata partendo dall'impianto della filosofia della riflessione, allora la ragione deve essere pensata come l'autorelazione di un soggetto, ma anche come una riflessione che non si impone semplicemente ad un altro come la potenza assoluta della soggettività, bensì al contempo ha la sua ragion d'essere e il suo movimento soltanto nel contrastare tutte le assolutizzazioni, cioè nell'eliminare tutto quel positivo che lo produce. Al posto dell'astratta contrapposizione di finito e infinito Hegel pone perciò l'assoluta autorelazione di un soggetto che dalla sua sostanza perviene alla sua autocoscienza, e che porta in sé tanto l'unità quanto la differenza del finito e dell'infinito. A differenza di Holderlin e di Schelling, questo soggetto assoluto non deve precedere, come essere o come intuizione intellettuale, il processo cosmico, ma deve consistere unicamente nel processo della relazione tra finito e infinito, e quindi nella struggente attività dello stesso pervenire a sé. L'assoluto non è concepito né come sostanza né come soggetto, bensì unicamente come il processo mediatore dell'autorelazione che si produce incondizionatamente 28 • Questa figura concettuale, peculiare ad Hegel, usa il mezzo della filosofia del soggetto per il fine di un superamento della ragione centrata nel soggetto. In tal modo Hegel può convincere la modernità dei suoi errori, senza ricorrere ad un principio diverso da quello della soggettività ad essa intrinseco. La sua estetica ne offre un esempio assai istruttivo. Non solo gli amici francofortesi avevano riposto la loro speranza nella forza riconciliatrice dell'arte. Proprio nella disputa sull'esemplarità dell'arte classica era giunto alla coscienza in Germania, come già prima in Francia, il problema dell'autofondazione della modernità. H. R. Jauss ha mostrato 29 come Friedrich Schlegel e Friedrich Schiller, nei loro lavori Ober das Studium der griechischen Philosophie (1797) e Ober naive und sentimentale Dichtung (1796) abbiano attualizzato la problemadca della Querelle fr~ncese, messo in rilievo il carattere particolare della poesia moderna, e preso posizione sul dilemma che si presentò quando si dovette cercare di mettere d'accordo l'esem28 D. Henrich, Hegel und Holderlin, in op. cit., pp. 35 sgg. 29 H. R. Jauss, Schlegels und Schillers Replik, in Literatur als Provokation cit., pp. 67 sgg. 35 www.scribd.com/Baruhk plarità dell'arte antica riconosciuta dai classicisti con la superiorità della modernità. Entrambi gli autori descrivono in modo analogo la differenza di stile come un contrasto fra l'oggettivo e l'interessante, tra la formazione naturale e quella artificiale, fra l'ingenuo e il sentimentale. All'imitazione classica della natura, essi contrappongono l'arte moderna come atto della libertà e della riflessione. Schlegel allarga i confini del bello, accennando perfino ad un'estetica del brutto, che riserba un posto al piccante e all'avventuroso, al sorprendente e al nuovo, allo scandaloso e al ripugnante. Ma mentre Schlegel esita a distaccarsi chiaramente dall'ideale artistico classicista, Schiller stabilisce un ordine gerarchico ispirato alla filosofia della storia fra l'antichità e l'età moderna. La perfezione della poesia ingenua è bensì divenuta irraggiungibile per il poeta riflessivo della modernità, ma l'arte moderna aspira invece all'ideale di un'unità mediata con la natura - e ciò è ' infinitamente preferibile ' allo scopo che l'arte antica ha raggiunto con la bellezza della natura imitata. Schiller aveva portato al suo concetto l'arte riflessiva del romanticismo ancor prima che essa nascesse. Hegel l'aveva già dinanzi agli occhi, quando accoglie l'interpretazione data da Schiller all'arte moderna in termini di filosofia della storia nel suo concetto dello spirito assoluto 30 • Nell'arte in genere lo spirito deve prender coscienza di se stesso come del simultaneo evento dell'autoalienazione e del ritorno in sé. L'arte è la forma sensibile, in cui l'Assoluto si coglie intuitivamente, mentre la religione e la filosofia rappresentano forme superiori, nelle quali l'Assoluto già si rappresenta e si concepisce. L'arte trova dunque nella sensibilità del suo medium un limite interno, e alla fine indica oltre il confine del suo modo di esporre l'Assoluto. Vi è un « dopo l'arte » 31 • Da questa prospettiva Hegel può trasferire quell'ideale, cui secondo Schiller l'arte moderna aspira, senza poterlo raggiungere, in una sfera al di là dell'arte, dove può essere realizzato come idea. Ma allora l'arte contemporanea deve essere interpretata come un grado, al livello del quale con la forma artistica romantica l'arte come tale si dissolve. In tal modo la disputa estetica fra gli antichi e i moderni trova un'elegante soluzione: il romanticismo è il ' compimento ' dell'arte - tanto nel senso della dissoluzione soggettivistica dell'arte nella riflessione, quanto nel senso dello sfondamento rifles30 p. 89. 31 G. W. F. Hegel, Vorlesungen uber die A.sthetik, l, in Werke cit., vol. XIII, lvi, p. 141. 36 www.scribd.com/Baruhk sivo di una forma di presentazione dell'Assoluto ancora vincolata all'elemento simbolico. Così alla domanda, sempre di nuovo sollevata in tono canzonatorio a partire da Hegel, « se poi produzioni di tal genere si possano ancora chiamare proprio opere d'arte» 32, si può rispondere con voluta ambivalenza. L'arte moderna è davvero decadente, ma appunto per questo si è anche avanzata sulla via verso il Sapere assoluto, mentre l'arte classica conserva la sua esemplarità, e tuttavia è stata superata a buon diritto: « La forma classica dell'arte ha (bensì) il massimo di ciò che la sensualizzazione dell'arte è in grado di offrire » 33 ; tuttavia alla sua ingenuità manca la riflessione sulla limitatezza della sfera artistica come tale, che nelle tendenze romantiche alla dissoluzione si manifesta con tanta evidenza. In base allo stesso modello Hegel prende congedo anche dalla religione cristiana. I paralleli fra la tendenza dell'arte a dissolversi e quella della religione sono chiari. La religione ha raggiunto la sua interiorità assoluta nel protestantesimo; alla fine, nell'epoca dell'Illuminismo, si è separata dalla coscienza mondana: «Alla nostra epoca non importa più niente di non conoscere nulla intorno a Dio; anzi, che questa conoscenza non sia nemmeno possibile, è per essa il sapere supremo» 34 • La riflessione ha invaso tanto l'arte quanto la religione; la fede sostanziale ha lasciato il posto o all'indifferenza oppure al sentimentalismo bigotto. Da questo ateismo la filosofia salva il contenuto della fede, mentre ne distrugge la forma religiosa. È vero che la filosofia non ha un contenuto diverso da quello della religione, ma in quanto lo trasforma in sapere concettuale, « nulla è (più) giustificato nella fede» 35 • Se ora ci fermiamo un momento, per richiamare alla mente l'andamento del pensiero, sembra che Hegel abbia raggiunto il suo scopo. Hegel può comprendere la modernità partendo dal suo stesso principio, grazie al concetto di un Assoluto che sopraffà tutte le assolutizzazioni, e che solo mantiene, in quanto incondizionato, l'infinita processualità dell'autorelazione che assorbe in sé tutto il finito. E ciò facendo, egli dimostra che la filosofia è la potenza dell'unificazione, che supera tutte le positività procedenti dalla riflessione stessa - e pone così rimedio ai moderni lvi, Il, in Werke cit., vol. XIV, p. 223. lvi, l, p. 111. G. W. F. Hegel, Vorlesungen iiber die Philosophie der Religion, l, in Werke cit., vol. XVI, p. 43. 35 lvi, II, in Werke cit., vol. XVII, p. 343. 32 33 34 37 www.scribd.com/Baruhk fenomeni di decadenza. Ma questa impressione troppo semplice inganna. Se infatti si confronta ciò che Hegel intendeva un tempo con l'idea di una religione popolare, con ciò che rimane dopo il superamento dell'arte nella religione e della fede nella filosofia, si comprende la rassegnazione che s'impadronisce di Hegel alla fine della sua filosofia della religione. Ciò che nel migliore dei casi la ragione filosofica è in grado di procurare, è una riconciliazione parziale - senza l'esterna universalità di quella religione pubblica, che doveva rendere razionale il popolo e sensibili i filosofi. Anzi, il popolo si sente abbandonato dai suoi preti divenuti filosofi: « La filosofia sotto questo aspetto è un santuario appartato - dice ora Hegel - e i suoi servitori costituiscono un clero isolato, che non può più coincidere col mondo [ ... ]. Come il presente temporale, empirico, possa trovare la via d'uscita dalla sua disunione, come possa costituirsi, deve esser lasciato ad esso, e non è una faccenda e questione direttamente pratica della filosofia » 36 • La dialettica dell'Illuminismo, pervenuta alla sua meta, ha esaurito quell'impulso alla critica del tempo, che pure l'aveva messa in movimento. Questo risultato negativo si mostra ancor più chiaramente nella costruzione del ' superamento ' della società civile nello Stato. IV Nella tradizione aristotelica, il concetto vetero-europeo della politica come sfera che comprende in sé lo Stato e la società è stato ininterrottamente proseguito fin dentro il secolo XIX. L'economia dell'' intera casa', un'economia di sussistenza fondata sulla produzione agrario-artigianale, integrata da mercati locali, costituisce, secondo tale concezione, il fondamento di un ordine politico globale. La stratificazione sociale e la partecipazione (o esclusione) differenziale rispetto al potere politico procedono di pari passo - la costituzione del dominio politico integra la società nel suo complesso. Ma è chiaro che questa concettualità non è più adatta alle società moderne, nelle quali lo scambio di merci dell'economia capitalistica organizzato in base al diritto privato si è affrancato dall'ordinamento signorile. Tramite i media del valore di scambio e del potere si sono differenziati 36 lvi, pp. 343 sgg. 38 www.scribd.com/Baruhk due sistemi d'azione, che si completano funzionalmente: il sociale si è separato dal politico, la società economica spoliticizzata dallo Stato burocratizzato. Tale sviluppo doveva chiedere troppo alla capacità di comprensione della dottrina classica della politica; che perciò, verso la fine del diciottesimo secolo, si scinde da un lato in una teoria della società fondata sull'economia politica, e dall'altro in una teoria dello Stato ispirata dal diritto naturale moderno. Hegel si trova nel bel mezzo di questo sviluppo scientifico. Egli è il primo· a dare anche termino logicamente espressione ad una concettualità adeguata alla società moderna, in quanto separa la sfera politica dello Stato dalla ' società civile '. Egli per così dire recupera per la teoria della società la contrapposizione fra modernità e antichità messa a punto nella teoria dell'arte: « Nella società civile, ciascuno è fine a se stesso, ogni altra cosa per lui è nulla. Ma senza rapporto con gli altri, esso non può conseguire l'ampiezza dei suoi fini. Pertanto, ·questi altri sono mezzo al fine del particolare. Ma il fine particolare, mediante il rapporto con altri, si dà la forma dell'universalità e si appaga, in quanto appaga al contempo il benessere dell'altro » 37 , Hegel descrive lo scambio mercantile come un ambito eticamente neutralizzato per il perseguimento di interessi privati, ' egoistici ', nel quale essi fondano al contempo un « sistema di dipendenza onnilaterale ». In base alla descrizione di Hegel, la società civile si presenta da un lato come una « eticità perduta nei suoi estremi », come un che « di appartenente alla corruzione» 38 • Dall'altro lato essa, «la creazione [ ... ] del mondo moderno » 39, trova anche la sua giustificazione nell'emancipazione del singolo nella libertà formale: la liberazione del carattere arbitrario del bisogno e del lavoro è un momento necessario sulla via per « formare la soggettività nella sua particolarità » 40• Sebbene il noto termine di ' società civile ' (burgerliche Gesellschaft) si presenti solo più tardi, nella Filosofia del diritto, Hegel si era conquistato il nuovo concetto già nel suo periodo di Jena: Nel saggio Sulle maniere di trattare scientificamente il diritto naturale, egli si riferisce all'economia politica per analizzare « il sistema della dipendenza reciproca universale in consi37 G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, in Werke cit., vol. VII, p. 340 (tr. it., Lineamenti di filosofia del diritto, Bari 1963, p. 356, modificata). 38 lvi, p. 339 (tr. it. cit., p. 170, modificata). 39 lvi, pp. 340, 344 (tr. it. cit., pp. 168, 170). 40 lvi, p. 343 (tr. it. cit., p, 170). 39 www.scribd.com/Baruhk derazione dei bisogni fisici e del lavoro e (dell') accumulazione per questi » 41 come il « sistema della proprietà e del diritto ». Già qui si pone per lui il problema della maniera in cui si possa concepire la società civile non semplicemente come una sfera della decadenza dell'etica sostanziale, bensì, nella sua negatività, al contempo anche come un momento necessario dell'eticità. Hegel prende le mosse dal fatto che l'ideale antico dello Stato non può più essere ripristinato nelle condizioni della società moderna, spoliticizzata. D'altro canto egli tiene ferma l'idea di quella totalità etica, di cui si era occupato già in precedenza, sotto il nome di religione popolare. Dunque egli deve mediare l'ideale etico degli antichi, sotto l'aspetto per il quale esso è superiore all'individualismo dell'età moderna, con le realtà della modernità sociale. Con la differenziazione fra Stato e società, che già allora aveva sviluppato almeno quanto alla cosa stessa, Hegel prende distanza in egual misura dalla filosofia restauratrice dello Stato e dal diritto naturale razionale al contempo. Mentre il diritto statale restauratore non va oltre le idee dell'eticità sostanziale, e concepisce ancora lo Stato come una relazione familiare ampliata, il diritto naturale individualistico non si eleva affatto nemmeno all'idea dell'eticità, e identifica lo Stato della necessità e dell'intelletto con i rapporti di diritto privato della società civile. Ma la peculiarità dello Stato moderno può essere percepita solamente quando il principio della società civile è concepito come un principio della socializzazione conforme al mercato, cioè non-statale. Infatti « il principio degli Stati moderni ha questa immensa forza e profondità: lasciare che il principio della soggettività si porti a compimento nell'estremo autonomo della particolarità personale, ed al contempo riportarlo nell'unità sostanziale, mantenendolo così in esso medesimo » 42 • Questa formulazione contraddistingue il problema della mediazione fra Stato e società, ma anche già la soluzione tendenziosa proposta da Hegel. Non è infatti di per sé evidente che la sfera dell'eticità, la quale comprende in sé la famiglia, la società, la formazione politica della volontà e l'apparato statale nel suo insieme, debba compendiarsi e cioè pervenire a se stessa, soltanto nello Stato, e più precisamente nel governo e nel suo vertice monarchico. Per il momento Hegel può soltanto rendere 41 G. W. F. Hegel, Ober die wissenschaft/ichen Behandlungsarten des Naturrechts, in Werke cit., vol. Il, p. 482 (tr. it., Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale, in Scritti di filosofia del diritto, Bari 1971, p. 95). 42 G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts cit., in Werke cit., vol. VII, p. 407 (tr. it. cit., p. 218, modificata). 40 www.scribd.com/Baruhk plausibile che e perché nel sistema dei bisogni e del lavoro scoppino antagonismi, che non potrebbero essere bloccati solamente per mezzo dell'autoregolamentazione della società civile; del tutto all'altezza del suo tempo, egli lo spiega con «il decadere di una grande massa al di sotto della misura di un certo modo di sussistenza [ ... ] il che a sua volta porta con sé la maggiore facilità di concentrare in poche mani ricchezze sproporzionate » 43 • Da ciò risulta senza dubbio anzitutto la necessità funzionale di inserire la società antagonistica in una sfera di eticità vivente. Questo universale dapprima soltanto richiesto ha la duplice forma dell'eticità assoluta, quella che include in sé la società come uno dei suoi momenti, e quella di un ' positivamente universale', che si distingue dalla società, per bloccare le tendenze all'autodistruzione e conservare al contempo i risultati dell'emancipazione. Hegel pensa questo positivo come lo Stato, e risolve il problema della mediazione tramite il ' superamento ' (Aujhebung) della società nella monarchia costituzionale. Ma questa soluzione risulta cogente soltanto in base al presupposto di un Assoluto, concepito in base al modello della relazione di un soggetto conoscente con se stesso 44 • La figura dell'autocoscienza ha già fornito ad Hegel, nella ]enenser Realphilosophie, l'impulso per pensare la totalità etica come « l'unità dell'individualità e dell'Universale » 45 • Infatti un soggetto che si riferisce a se stesso conoscendo, si trova al contempo come un soggetto universale, che si contrappone al mondo come all'insieme degli oggetti della conoscenza possibile, e come un io individuale, che si presenta entro questo mondo come un'entità fra molte altre. Ma se l'Assoluto è pensato come una soggettività infinita (che si rigenera eternamente nell'oggettività, per elevarsi dalle sue ceneri nello splendore del Sapere assoluto) 46 , i momenti dell'Universale e del particolare possono essere pensati 43 Ancor più energicamente che nella versione del libro Hegel mette in ri· lievo la struttura della società civile nelle lezioni sulla filosofia del diritto tenute nel semestre invernale 1819-20. Cfr. l'Einleitung ·di D. Henrich a G. W. F. Hegel, Philosophie des Rechts. Die Vorlesung von 1819/20 in einer Nachschrift, Frank· furt a. M. 1983, po. 18 sgg. 44 Cfr. R. P. Horstmann, Probleme der Wandlung in Hegels ]enaer System· konzeption, in << Philosophische Rundschau >>, 1972, no 9, pp. 95 sgg.; Vber die Rolle der bilrgerliche Gesellschaft in Hegels politischer Philosophie, in << Hegel· Studien », vol. IX, 1974, pp. 209 sgg. 45 G. W. F. Hegel, ]enenser Realphilosophie, ed. Hoffmeister, Leipzig 1931, p. 248. . 46 Con queste parole Hegel caratterizza la tragedia rappresentata nell'am· bito dell'etico: l'Assoluto che recita eternamente con se stesso: G. W. F. Hegel, V ber die Wissenschaftlichen Behandlungsarten cit., in Werke cit., vol. VII, p. 495 (tr. it. cit., p. 112). 41 www.scribd.com/Baruhk come unificati soltanto nel quadro di riferimento dell'autoconoscenza monologica: perciò nell'universalità concreta il soggetto in quanto universale mantiene il primato sul soggetto in quanto particolare. Nella sfera dell'eticità da questa logica deriva il primato della soggettività di grado superiore spettante allo Stato sulla libertà soggettiva del singolo. D. Henrich lo ha definito come 'l'istituzionalismo forte' di Hegel: « La volontà singola, che Hegel chiama volontà soggettiva, è interamente inserita nell'ordine delle istituzioni e in genere è giustificata solamente nella misura in cui anch'esse lo sono» 47 • Un diverso modello per la mediazione fra l'universale e il singolo è quello offerto dall'intersoggettività di grado superiore della libera formazione della volontà in una comunità di comunicazione che sottostà a coazioni cooperative: nell'universalità di un consenso spontaneo, raggiunto fra liberi ed eguali, i singoli conservano una istanza di appello, che può essere invocata anche contro forme particolari della concretizzazione istituzionale della volontà comune. Negli scritti giovanili di Hegel, come si è visto, era rimasta ancora aperta l'opzione di spiegare la totalità etica come una ragione comunicativa incorporata in contesti di vita intersoggettivi. Lungo questa linea un'auto-organizzazione democratica della società e dello Stato avrebbe potuto prendere il posto dell'apparato statale monarchico. La logica del soggetto che concepisce se stesso impone invece l'istituzionalismo di uno Stato forte. Quando però lo Stato della filosofia del diritto viene elevato alla « realtà della volontà sostanziale, al razionale in sé e per sé», ne deriva la conseguenza, sentita come provocatoria già dai contemporanei, secondo cui quei movimenti politici che spingono oltre i limiti tracciati dalla filosofia, dalla prospettiva hegeliana urtano contro la ragione stessa. Come alla fine la filosofia della religione mette da parte gli inappagati bisogni religiosi del popolo 48 , così anche la filosofia dello Stato abbandona l'inappagata realtà politica. L'esigenza di autodeterminazione democratica, che si annuncia energicamente nella rivoluzione parigina di luglio, e cautamente nel progetto del governo inglese per una riforma elettorale, risuona alle orecchie di Hegel come un'ancor D. Henrich, Einleitung a Hegel cit., p. 31. <<Quando il Vangelo non viene più predicato ai poveri, quando il sale è divenuto insipido e tutte le feste principali sono state tacitamente abolite, al· lora il popolo, per il cui intelletto rimasto grezzo la verità può darsi solo nella rappresentazione, non può più giovare all'impulso del suo intimo>> (G. W. F. He· gel, Vor/esungen iiber die Philosophie der Religion, in Werke cit., vol. XVII, p. 343). 47 48 42 www.scribd.com/Baruhk più stridente ' stonatura'. Questa volta Hegel è talmente preoccupato per la discrepanza fra la ragione e il presente storico, che con il suo scritto Sul progetto di riforma inglese si schiera apertamente dalla parte della Restaurazione. v Hegel aveva appena portato al concetto la scissione della modernità, che già le agitazioni e i movimenti di questa modernità si accingevano a far saltare quel concetto. Ciò si spiega in base al fatto che Hegel poteva eseguire la critica della soggettività soltanto entro il quadro della filosofia del soggetto. Là dove la potenza della scissione deve entrare in attività soltanto affinché l'Assoluto possa dimostrare di essere la potenza della riunificazione, non vi possono più essere ' false ' positività, bensì solamente scissioni, che possono pretendere anche ad un relativo diritto. L'istituzionalismo ' forte ' ha guidato la penna di Hegel, quando egli, nella Prefazione alla Filosofia del diritto, dichiarò che il reale è razionale. Certo, nelle precedenti lezioni del semestre invernale 1819-20, si trova la formulazione più~debole: «Ciò che è razionale, diventa reale, e ciò che è reale diventa razionale » 49 • Ma anche questa frase non fa altro che aprire lo spazio per un presente già deciso e giudicato in anticipo. Ricordiamoci del problema di partenza. Una modernità priva di modelli, aperta al futuro, avida di innovazioni, può attingere i suoi criteri soltanto da se stessa. Come unica fonte del normativo si offre il principio della soggettività, da cui deriva la stessa coscienza temporale della modernità. La filosofia della riflessione, che parte dal fatto fondamentale dell'autocoscienza, porta al concetto questo principio. Alla facoltà riflessiva applicata a se stessa si svela senza dubbio anche il negativo di una soggettività autonomizzata, posta assolutamente. Perciò la razionalità dell'intelletto, che la modernità conosce come sua proprietà e riconosce come unico obbligo, deve estendersi alla ragione seguendo le tracce di una dialettica dell'Illuminismo. Ma come sapere assoluto questa ragione assume alla fine una configurazione tanto dominante, che non solo risolve il problema iniziale di un autoaccertamento della modernità, ma lo risolve fin troppo bene: la questione dell'autocomprensione genuina della modernità sprofonda nell'ironica risata della ragione. Infatti la 49 G. W. F. Hegel, Philosophie des Rechts. Vorlesungen cit., p. 51. 43 www.scribd.com/Baruhk ragione ha ora preso il posto del destino, e sa che ogni evento di significato essenziale è già deciso. Così la filosofia hegeliana soddisfa il bisogno di autofondazione della modernità soltanto al prezzo di una svalutazione dell'attualità e di un mitigamento della critica. Alla fine la filosofia toglie importanza al suo presente, distrugge l'interesse nei suoi riguardi e gli contesta la vocazione al rinnovamento autocritico. I problemi dell'epoca perdono il rango di provocazioni, perché la filosofia, che è all'altezza del tempo, li ha privati del loro significato. Nel 1802 Hegel aveva introdotto il « Giornale critico della filosofia» con un saggio intitolato Sull'essenza della critica filosofica. Vi distingue due tipi di critica. L'uno si volge contro le false positività dell'epoca; si intende come una maieutica della vita oppressa, che spinge fuori da forme irrigidite: « Se la critica non può far valere l'opera e l'atto come figura dell'idea, essa almeno non disconoscerà la tendenza;. qui l'interesse autenticamente scientifico (!) sta nell'asportare quella scorza che ancora impedisce all'aspirazione interna di venire alla luce » 50 • Qui non ci è difficile riconoscere quella critica che il giovane Hegel ha praticato nei riguardi delle potenze positive della religione e dello Stato. Un diverso tipo di critica Hegel lo rivolge contro l'idealismo soggettivo di Kant e di Fichte, riguardo ai quali si dice « che l'idea della filosofia è stata riconosciuta più chiaramente, ma che la soggettività si sforza di tener lontana la filosofia, nella misura in cui diviene necessario salvarsi» 51 • Qui dunque si tratta di scoprire le astuzie di una soggettività limitata, ·che si chiude ad una migliore visione oggettivamente già da tempo accessibile. Lo Hegel della Filosofia del diritto considera la critica giustificata ancora soltanto in questa sua seconda versione. La filosofia non può insegnare al mondo come esso deve essere; nei suoi concetti si riflette soltanto la realtà, così come essa è. Non si rivolge più criticamente contro la realtà, bensì contro le oscure astrazioni che si inseriscono fra la coscienza soggettiva e la ragione oggettivamente conformata. Dopo che lo spirito nella modernità 'ha dato una scossa', dopo aver trovato ancora una via d'uscita dalle aporie del moderno, e non soltanto è entrato nella realtà effettuale, ma vi è divenuto oggettivo, Hegel ritiene che la filosofia sia sgravata dal compito di confronSO G. W. F. Hegel, Ober das Wesen der philosophischen Kritik, in Werke cit., vol. VII, p. 175. 51 Jbid. 44 www.scribd.com/Baruhk tare l'inerte esistenza della vita sociale e politica con il suo concetto. A questa mitigazione della critica corrisponde la svalutazione dell'attualità, dalla quale i servitori della filosofia si distolgono. La modernità portata al concetto consente di ritrarsene stoicamente in disparte. Hegel non è il primo filosofo che appartiene all'età moderna, .ma è il primo per il quale la modernità sia divenuta un problema. Nella sua teoria diviene per la prima volta visibile la costellazione concettuale fra modernità, coscienza del tempo e razionalità. Lo stesso Hegel alla fine fa saltare questa costellazione, perché la razionalità elevata a Spirito assoluto neutralizza le condizioni in base alle quali la modernità ha raggiunto una coscienza di se stessa. Hegel non ha quindi risolto il problema dell'autoaccertamento della modernità. Ma per l'epoca posthegeliana ne deriva la conseguenza, che soltanto colui il quale concepisce in termini più modesti il concetto della ragione ottiene un diritto di preferenza per trattare questo tema. I giovani hegeliani si attengono al progetto di Hegel con un concetto moderato di ragione e vogliono, lungo la via di una diversa dialettica dell'Illuminismo, comprendere e criticare al contempo la modernità che non è più in pace con se stessa. Senza dubbio essi costituiscono solo uno fra molti partiti. Gli altri due partiti, che si scontrano sulla corretta comprensione della modernità, tentano di dissolvere l'intimo rapporto fra modernità, coscienza del tempo e razionalità; tuttavia non possono sottrarsi alla coazione concettuale di questa costellazione. Il partito dei neoconservatori che si collega all'hegelismo di destra si affida acriticamente alla dinamica trainante della modernità sociale, banalizzando la coscienza moderna del tempo e riducendo la ragione a intelletto, la razionalità alla razionalità in- vista di un fine. La modernità culturale perde per essi ogni forza obbligante, se va oltre la scienza scientisticamente autonomizzata. Il partito dei giovani conservatori che si ricollega a Nietzsche sopravanza la critica dialettica del tempo, radicalizzando la coscienza moderna del tempo e smascherando la ragione come razionalità finalistica assoluti~zata, come forma di esercizio spersonalizzato del potere. Esso deve inoltre all'arte d'avanguardia autonomizzata esteticisticamente quelle norme inconfessate, dinanzi alle quali non può esistere né la modernità culturale né quella sociale. 45 www.scribd.com/Baruhk Excursus sulle « Lettere sull'educazione estetica dell'uomo » di Schiller Le Lettere pubblicate nel 1795 nella rivista « Horen », alle quali Schiller aveva lavorato fin dall'estate del 1793, rappresentano il primo tentativo programmatico di una critica estetica della modernità. Esso anticipa la veduta francofortese degli amici di Tubinga, in quanto Schiller svolge l'analisi della modernità scissa in sé, nei concetti della filosofia kantiana, e abbozza un'utopia estetica, che assegna all'arte un ruolo addirittura socialrivoluzionario. Al posto della religione, è l'arte che deve poter operare come potenza unificatrice, perché viene intesa come una forma di comunicazione ' che interviene nelle relazioni intersoggettive degli uomini. Schiller concepisce l'arte come una ragione comunicativa, che si realizzerà nello Stato estetico ' del futuro. Nella seconda lettera Schiller si pone la domanda se non sia anacronistico lasciare la precedenza alla bellezza rispetto alla libertà, «perché le condizioni del (mondo) morale offrono un interesse assai più vicino e lo spirito della ricerca filosofica viene così energicamente invitato dalle circostanze del tempo ad occuparsi della più perfetta di tutte le opere d'arte, della costruzione di una vera libertà politica » 52 • La stessa formulazione della domanda suggerisce già la risposta: l'arte stessa è il tramite della formazione del genere umano alla vera libertà politica. Questo processo di formazione non si riferisce all'individuo, bensì al contesto collettivo della vita di un popolo: « La totalità del carattere deve trovarsi nel popolo, che deve essere capace e degno di mutare lo Stato del bisogno nello Stato della libertà» 33 • Se l'arte deve poter adempiere al compito storico di riconciliare la modernità in sé decaduta, essa non può occuparsi solamente degli individui, ma deve piuttosto trasformare quelle forme di vita che gli individui condividono. Perciò Schiller punta sulla forza comunicativa, associante, solidarizzante, sul carattere pubblico, dell'arte. La sua analisi del presente finisce per mostrare che nelle condizioni di vita moderne 1 1 52 F. Schiller, Briefe iiber die iisthetische Erziehung des Menschen, in Siimtliche Werke, vol. V, pp. 571 sgg. (tr. it., Lettere sull'educazione estetica e altri scritti, Firenze 1927, p. 6). 53 lvi, p, 579 (tr. it. cit., p. 19, modificata). 46 www.scribd.com/Baruhk le forze particolari hanno potuto differenziarsi soltanto al prezzo di una frammentazione della totalità. Ancora una volta la lotta fra il nuovo e l'antico offre il punto di partenza per un accertamento autocritico della modernità. Anche la poesia e l'arte greca, scomponevano, è vero, la natura umana e la proiettavano separatamente, ingrandita, nella splendida cerchia degli dèi; non però in modo che la facessero a pezzi, ma combmandola variamente poiché ogni singolo Dio racchiudeva l'umanità intera. Come ben altrimenti avviene presso di noi moderni! Anche presso di noi l'immagine della specie è separatamente sparsa, ingrandita, negli individui; ma in frammenti, non nelle varie combinazioni, sicché si deve esaminare individuo per individuo, per ricomporre insieme la totalità 54. Schiller critica la società borghese come ' sistema dell'egoismo '. La scelta dei suoi termini ricorda il giovane Marx. La meccanica dell'ingranaggio di un complicato orologio serve da modello tanto per il processo economico reificato, che separa il consumo dal lavoro, il mezzo dal fine, la fatica dalla ricompensa 55, quanto per l'apparato statale autonomizzato, che estranea da sé i cittadini, li ' classifica ' come oggetto dell' ' amministrazione ' e li ' sussume sotto fredde leggi ' 56 • Al contempo con la critica del lavoro estraniato e della burocrazia, Schiller si volge contro una scienza intellettualizzata e superspecializzata, che si allontana dai problemi quotidiani: Lo spirito speculativo, che aspirava nel mondo delle idee a possessi che non si possono perdere, doveva divenir straniero al mondo sensibile e per le forme perdere la materia. Lo spirito degli affari invece, racchiuso in una cerchia uniforme di oggetti, e in essa ancor più ristretto da formule, doveva perdere di vista il libero tutto e immiserirsi nella sua sfera [ ... ] . Il pensatore astratto ha perciò spesso un cuore freddo, perché analizza le impressioni che commuovono l'animo solo come un tutto; l'uomo d'affari ha spesso un cuore angusto, perché la suà immaginazione, chiusa nell'uniforme cerchia della sua professione, non può estendersi ad altri modi di rappresentare '57, 54 55 56 '57 lvi, lvi, lvi, lvi, p. 582 (tr. it. cit., p. 24, modificata). p. 584 (tr. it. cit., p. 26). p. 585 (tr. it. cit., pp. 27 sgg.). pp. 585 sgg. (tr. it. cit., pp. 28 sgg.). 47 www.scribd.com/Baruhk Senza dubbio Schiller intende questi fenomeni di estraneazione soltanto come le inevitabili conseguenze secondarie di progressi che il genere umano non avrebbe potuto compiere in altro modo. Schiller condivide la fiducia della filosofia critica della storia, si serve anzi della concezione teleologica senza le riserve della filosofia trascendentale: « Per il solo fatto che nell'uomo le singole forze si isolano e si arrogano il diritto di un'esclusiva legislazione, esse entrano in contrasto con la verità delle cose e costringono il senso comune, il quale altrimenti riposa con indolente moderazione sull'apparenza, a penetrare nel fondo degli oggetti» 58 • Come lo spirito affaristico si autonomizza nella sfera della società, così lo spirito speculativo nel regno dello spirito. Due opposte legislazioni si costituiscono nella società e nella filosofia. E questa astratta contrapposizione di sensibilità e intelletto, di impulso materiale e impulso formale, sottopone i soggetti illuminati ad una duplice costrizione: alla costrizione fisica della natura e alla costrizione morale della libertà, che si fanno entrambe tanto più sentire, quanto più appassionatamente i soggetti cercano di dominare la natura, quella esterna quanto la loro propria interna. Così, alla fine lo Stato naturalmente dinamico e lo Stato razionalmente etico si fronteggiano come realtà estranee; essi convergono soltanto nell'effetto di reprimere il senso comune - giacché « lo stato dinamico non può far altro se non rendere possibile la società, domando la natura per mezzo della natura; lo stato etico non può se non renderla moralmente necessaria, assoggettando le volontà singole alla volontà universale >>:n. Perciò Schiller si raffigura la realizzazione della ragione come una resurrezione del senso comune distrutto; essa non può provenire hé dalla sola natura né dalla sola libertà, ma unicamente da un processo di formazione che, per porre termine al contrasto di quelle due legislazioni, deve togliere la casualità della natura esterna dal carattere fisico dell'una, e la libertà del volere dal carattere morale dell'altra 60 • Il medium di questo processo di formazione è l'arte; essa infatti suscita una «media disposizione dell'animo, nella quale l'animo stesso_ non è costretto né fisicamente né moralmente, eppure è attivo in entrambi i modi » 61 • Mentre i progressi della stessa ragione avviluppano sempre di più la modernità nel conflitto fra il sistema incontrollato 58 lvi, p. 587 (tr. it. cit., p, 30). 59 lvi, p. 667 (tr. it. cit., p. 146). 60 lvi, p. 576 (tr. it. cit., p. 16). 61 lvi, p, 633. 48 www.scribd.com/Baruhk dei bisogni e gli astratti principi della morale, l'arte può ' conferire un carattere socievole ' a questa totalità scissa, perché partecipa ad entrambe le legislazioni: « Nel cuore del regno terribile delle forze e nel cuore del regno sacro delle leggi, l'impulso della formazione estetica lavora a costruirne un terzo, il lieto regno del gioco e dell'apparenza, nel quale esso toglie all'uomo i vincoli di tutte le relazioni e lo libera da tutto ciò che si chiama coercizione, tanto nel fisico quanto nel morale» 62 • Con questa utopia estetica, che è rimasta un punto di orientamento per Hegel e per Marx, e in genere per la tradizione hegelo-marxista fino a Lukacs e a Marcuse 63 , Schiller ha concepito l'arte come la genuina incarnazione di una ragione comunicativa. Certamente, la Critica del Giudizio di Kant ha anche reso possibile l'accesso ad un idealismo speculativo che non poteva accontentarsi delle differenziazioni kantiane fra intelletto e sensibilità, libertà e necessità, spirito e natura, perché proprio in tali distinzioni scorgeva l'espressione delle lacerazioni che caratterizzano le condizioni della vita moderna. Ma la facoltà mediatrice del giudizio riflettente serviva a Schelling e ad Hegel come ponte per passare ad un'intuizione intellettuale, che si voleva assicurare dell'identità assoluta. Schiller era più discreto: si è attenuto al significato ristretto del giudizio estetico, a dire il vero per farne uso agli scopi della filosofia della storia. Tuttavia mette tacitamente insieme il concetto kantiano con quello tradizionale del giudizio, che nella tradizione aristotelica (fino ad Hannah Arendt) 64, non aveva mai completamente perduto il collegamento con la concezione politica del civismo. Così egli poté concepire l'arte principalmente come una forma di comunicazione, ed affidarle il compito di portare ' armonia nella società': « Tutte le altre forme di rappresentazione dividono la società, perché si riferiscono esclusivamente o alla sensibilità privata o all'abilità privata dei singoli membri, cioè a quel che pone una differenza fra uomo e uomo; solo la bella comunicazione unisce la società, perché si riferisce a ciò che è comune a tutti » 65 • Schiller definisce poi la forma ideale dell'intersoggettività in contrasto con l'isolamento e la massificazione, che sono le due lvi, p. 667 (tr. it. cit., p. 146, modificata). H. Marcuse, Fortschritt im Lichte der Psychoanalyse, in Freud in der Gegenwart, Frankfurter Beitriige zur Soziologie, vol. VI, Frankfurt a. M. 1957, p. 348. 64 H. Arendt, Lectures on Kant, Chicago 1982 (tr. ted., Mi.inchen 1985). 65 F. Schiller, op. cit., p. 667 (tr. it. cit., p. 147, modificata). 62 63 49 www.scribd.com/Baruhk opposte deformazioni dell'intersoggettività. Quegli uomini che come i trogloditi si nascondono nelle caverne sono privati, nel loro modo di vita privatistico, delle relazioni con la società, concepita come qualcosa di oggettivo posto fuori di essi; mentre a quegli altri uomini che come i nomadi si spostano in grandi masse, nella loro esistenza estraniata manca la possibilità di ritrovarsi con se stessi. Schiller coglie con un'immagine romantica il giusto equilibrio fra questi estremi dell'estraneazione e della fusione: la società esteticamente riconciliata dovrebbe costituire una struttura comunicativa, «nella quale (ognuno) nella propria capanna se ne sta tranquillo parlando con se stesso, e, tosto che n'esce, parla con l'intero genere umano » 66 • L'utopia estetica di Schiller non punta certo ad una estetizzazione delle condizioni di vita, bensì ad un rivoluzionamento dei rapporti d'intesa. Contro la dissoluzione dell'arte nella vita, che più tardi i surrealisti richiedono programmaticamente, i dadaisti e i loro continuatori vogliono realizzare provocatoriamente, Schiller insiste sull'autonomia della pura apparenza. È vero che dal diletto per l'apparenza estetica egli si aspetta la 'totale rivoluzione' dell'' intero modo di sentire'. Ma l'apparenza rimane un'apparenza puramente estetica solo finché le manca ogni appoggio nella realtà. Più tardi Herbert Marcuse definirà in modo aalogo a Schiller il rapporto fra arte e rivoluzione. Dato che la società non si riproduce soltanto nella coscienza dell'uomo, bensì anche nei suoi sensi, l'« emancipazione della coscienza deve radicarsi nell'emancipazione dei sensi - la fiducia repressiva nel mondo oggettuale dato (deve) venir dissolta». Tuttavia l'arte non deve mettere in pratica l'imperativo surrealista, non deve entrare desublimata nella vita: « Ci si può immaginare una 'fine dell'arte' soltanto (in una condizione) in cui gli uomini non siano più in grado di distinguere tra vero e falso, bene e male, bello e brutto. Sarebbe la condizione della completa barbarie al culmine della civilizzazione » 67 • Il tardo Marcuse ripete il monito di Schiller contro un'estetizzazione immediata della vita: l'apparenza estetica dispiega una forza riconciliatrice soltanto come apparenza - « solo finché (l'uomo) si astiene scrupolosamente, nel campo della teoria, dall'affermarne l'esistenza, e rinuncia, nel campo della pratica, a produrre da esso un'effettiva esistenza » 68 • lvi, p. 655 (tr. it. cit., p. 129). H. Marcuse, Konterrevolution und Revo/te, Frankfurt a. M. 1973, pp. 140 sgg. 68 F. Schiller, op. cit., p. 658 (tr. it. cit., pp. 143 sgg., modificata). 66 67 50 www.scribd.com/Baruhk Dietro questo monito si cela già in Schiller quell'idea di una autonomia delle sfere culturali dei valori della scienza, della morale e dell'arte, che più tardi Emil Lask e Max Weber metteranno in forte rilievo. Queste sfere sono per così dire ' interamente libere', e « godono di un'assoluta immunità rispetto all'arbitrio degli uomini. Il legislatore politico può limitare il loro regno, ma non dominare in esso» (f}. Se si tentasse, senza riguardi per la loro autonomia culturale, di infrangere i recipienti dell'apparenza estetica, ne dovrebbero defluire i contenuti - dal senso desublimato e dalla forma destrutturata non potrebbe derivare un effetto liberatorio. Un'estetizzazione del mondo della vita è legittima, per Schiller, soltanto nel senso che l'arte ha un effetto catalizzatore, quale forma di comunicazione, quale medium nel quale i momenti separati si ricollegano nuovamente in una totalità esente da costrizioni. Il carattere sociale del bello e del gusto deve comprovarsi solamente in quanto l'arte « porta (fuori), sotto il cielo aperto del senso comune» tutto ciò che •nella modernità si è separato - il sistema dei bisogni incontrollati, lo Stato burocratizzato, le astrazioni della morale razionale e la scienza degli esperti. 69 lvi, p. 593 (tr. it. cit., p. 38, modificata). www.scribd.com/Baruhk 3. TRE PROSPETTIVE: GLI HEGELIANI DI SINISTRA, GLI HEGELIANI DI DESTRA E NIETZSCHE I Hegel ha dato il via al discorso sulla modernità. Ha introdotto il tema (l'accertamento autocritico della modernità), e ha indicato le regole in base alle quali lo si può variare (la dialettica dell'Illuminismo). Al contempo, elevando la storia contemporanea al rango della filosofia, ha messo in contatto l'eterno con il transitorio, l'atemporale con l'attuale, e con ciò ha straordinariamente modificato anche il carattere della filosofia. Ma egli non voleva affatto la rottura con la tradizione filosofica; rottura che pervenne alla coscienza soltanto nella generazione successiva. Nel 1841, Arnold Ruge scrive nei ~< Deutsche Jahrbiicher » (p. 594): Già nel primo stadio del suo sviluppo storico, la filosofia hegeIiana presenta un carattere essenzialmente diverso dallo svolgimento di tutti i sistemi precedenti. Essa, che per prima asserì che ogni filosofia non è altro se non l'idea del proprio tempo, è anche la prima ad essersi riconosciuta come tale idea del. tempo. Ciò che le filosofie precedenti erano inconsapevolmente e solo in modo astratto, essa Io è consapevolmente e in modo concreto; perciò di quelle si poteva ben dire che erano e rimanevano soltanto idee; ma questa, la filosofia hegeliana, si presenta come quell'idea che non può restare tale, ma [ ... ] deve divenire azione [ ... ]. In questo senso la filosofia hegeliana è la filosofia della rivoluzione e l'ultima delle filosofie in genere. Al discorso della modernità, che conduciamo senza interruzioni fino ad oggi, appartiene anche la consapevolezza che la filosofia è giunta alla fine, non importa poi se ciò viene pensato come una sfida produttiva oppure soltanto come una provoca52 www.scribd.com/Baruhk zione. Marx vuole superare (aufheben) la filosofia, per realizzarla. Moses Hess pubblica, nello stesso periodo, un libro dal titolo Gli ultimi filosofi. Bruno Bauer parla della ' catastrofe della metafisica', ed è convinto che « la letteratura filosofica può essere considerata conclusa e ultimata per sempre». Senza dubbio, l'« oltrepassamento » (Oberwindung) della metafisica da parte di Nietzsche e di Heidegger ha un significato diverso dal « superamento » (Aufhebung) della metafisica; il commiato dalla filosofia di Wittgenstein o di Adorno è qualcosa di diverso dalla realizzazione della filosofia. Eppure tutti questi atteggiamenti rinviano a quella rottura con la tradizione (Lowith), che si è verificata quando lo spirito del tempo ha assunto il potere sulla filosofia, quando la coscienza moderna del tempo ha fatto saltare la forma del pensiero filosofico. Kant aveva una volta tracciato la differenza fra il ' concetto scolastico ' (Schulbegriff) della filosofia, intesa come sistema delle conoscenze razionali, e un ' concetto mondano ' (W eltbegriff) della filosofia, che si riferiva a ciò che ' interessa necessariamente ' ogni uomo. Hegel per primo ha fuso insieme un concetto mondano della filosofia, gravido di diagnosi del tempo, con il concetto scolastico d'essa. Si può cogliere il mutato stato d'aggregazione della filosofia anche in base al modo in cui, dopo la morte di Hegel, le vie della filosofia scolastica si separarono nuovamente da quelle della filosofia mondana. La filosofia scolastica, consolidatasi in disciplina specializzata, si sviluppa ora accanto ad una letteratura filosofica che segue il corso del mondo, la cui collocazione non può più esser chiaramente definita dal punto di vista istituzionale. La filosofia scolastica deve d'ora in poi entrare in concorrenza con liberi docenti, scrittori e benestanti scapestrati, quali Feuerbach, Ruge, Marx, Bauer e Kierkegaard - ed anche con un Nietzsche, il quale rinuncia alla sua cattedra a Basilea. Nell'Università essa cede il compito dell'autocomprensione teorica della modernità alle scienze dello stato e della società, ed anche all'etnologia. Nomi quali Darwin e Freud, correnti quali il positivismo, lo storicismo e il pragmatismo, attestano inoltre che nel secolo XIX la fisica, la biologia, la psicologia e le scienze dello spirito danno origine a concezioni del mondo che per la prima volta influiscono sulla coscienza del tempo senza la mediazione della filosofia 1 • l Si veda la brillante esposizione della tradizione, ampiamente rimossa, del· la filosofia delle scuole fatta da H. Schniidelbach, Philosophie in Deutschland 1831-1933, Frankfurt a. M. 1983. 53 www.scribd.com/Baruhk Questa situazione si modifica soltanto negli anni Venti del nostro secolo. Heidegger recupera nuovamente il discorso della modernità ad un movimento di pensiero genuinamente filosofico (e lo stesso titolo di Sein und Zeit mette appunto in luce anche questo). Qualcosa di simile si può dire per gli hegelo-marxisti, per Lukacs, Horkheimer e Adorno, che ritraducono il Capitale, con l'aiuto di Max Weber, in una teoria della reificazione, e ristabiliscono la connessione interrotta fra economia e filosofia. La filosofia riconquista competenze per la diagnosi del tempo anche attraverso una critica della scienza che dal tardo Husserl conduce, attraverso Bachelard, fino a Foucault. Ma è poi questa ancora la stessa filosofia che, come nel caso di Hegel, supera la sua differenziazione tra il concetto scolastico e quello mondano della filosofia? Sotto qualsiasi nome si presenti, come antologia fondamentale, o come critica, o come dialettica negativa, o come decostruzione o genealogia - tutti questi pseudonimi non sono in nessun caso travestimenti dietro i quali possa apparire la figura tradizionale della filosofia; piuttosto, il drappeggio dei concetti filosofici serve già da mascheramento di una fine della filosofia malamente dissimulata. Noi persistiamo ancora in quella condizione di coscienza, che i giovani hegeliani hanno prodotto quando si distanziarono da Hegel e dalla filosofia in genere. Da allora sono in circolazione anche quei gesti trionfali di reciproco sopravanzamento, con cui ignoriamo volentieri il fatto di essere rimasti contemporanei dei giovani hegeliani. Hegel ha inaugurato il discorso della modernità; soltanto i giovani hegeliani lo hanno organizzato in modo permanente. Infatti essi hanno liberato dal fardello del concetto hegeliano della ragione la figura concettuale di una critica della modernità che attingeva allo spirito della stessa modernità. Abbiamo visto come Hegel con il suo concetto enfatico della realtà come ·unità di essenza ed esistenza aveva messo da parte proprio ciò che doveva importare alla modernità - l'aspetto transitorio dell'attimo gravido di significato, nel quale i problemi del futuro di volta in volta incombente si intrecciano in un nodo. Il vecchio Hegel aveva separato proprio l'attualità contemporanea, dalla quale doveva scaturire il bisogno dalla filosofia, come ciò che è puramente empirico, come l'esistenza ' casuale', 'transitoria', ' insignificante ', ' effimera' e ' deperita', dalla costruzione dell'accadere essenziale o razionale. Contro questo concetto di una realtà razionale, che si eleva al di sopra della fatticità, contingenza e attualità degli eventi che sopravvengono e degli 54 www.scribd.com/Baruhk sviluppi che si delineano, i giovani hegeliani rivendicano (sulle orme della tarda filosofia di Schelling e del tardo idealismo di un Immanuel Hermann Fichte) il peso dell'esistenza. Feuerbach insiste sull'esistenza sensibile della natura interna ed esterna: sensazione e passione attestano la presenza del proprio corpo e la resistenza del mondo materiale. Kierkegaard ribadisce l'esistenza storica del singolo: l'autenticità del suo esserci si mostra nel concrescere e nell'insostituibilità di una decisione assolutamente interiore, irrevocabile, di interesse infinito. Marx infine insiste sull'essere materiale dei fondamenti economici della vita collettiva: l'attività produttiva e la cooperazione degli individui associati costituiscono il medium del processo storico di autoproduzione del genere umano. Feuerbach, Kierkegaard e Marx protestano dunque contro le false mediazioni, compiute solo nel pensiero, fra natura soggettiva e oggettiva, fra spirito oggettivo e sapere assoluto. Essi insistono sulla desublimazione di uno spirito, il quale introduce i contrasti di volta in volta attuali, che scoppiano nel presente, nel vortice della sua assoluta autorelazione, unicamente per derealizzarli, per trasporli nella modalità della trasparenza indistinta di un passato rievocato - e prenderli tutti sul serio. Ma al contempo i giovani hegeliani mantengono la figura fondamentale del pensiero hegeliano. Dall'enciclopedia hegeliana essi si appropriano della ricchezza di strutture ora divenuta disponibile, allo scopo di render fecondi per un pensiero radicalmente storico i vantaggi della differenziazione hegeliana. Questo pensiero concede un'assoluta rilevanza al relativista, cioè al momento storico, senza rimettersi al relativismo di una scepsi ben presto rinnovata storicisticamente. Karl Lowith, che ha descritto con odio-amore la formazione del nuovo discorso 2 , ritiene che i giovani hegeliani si siano affidati in modo afilosofico al pensiero storico: «Volersi orientare sulla storia vivendo in essa sarebbe come se, in un naufragio, ci si volesse attaccare alle onde» 3 • Questa caratterizzazione va letta in modo corretto. I giovani hegeliani volevano certamente sottrarre il loro presente aperto sul futuro all'imposizione della ragione saccente, volevano riconquistare la storia come una dimensione che apre alla critica un margine di movimento, per rispondere alla crisi. Ma 2 K. Lowith, Von Hegel zu Nietzsche, Stuttgart 1941 (tr. it., Da Hegel a Nietzsche, Torino 1950). 3 K. Lowith, Einleitung a K. Lowith (a cura di), Die Hegelsche Linke, Stuttgart 1962, p. 38 (tr. it. come Nota a La sinistra hegeliana, Bari 1960, p. 513). 55 www.scribd.com/Baruhk un orientamento nell'agire essi ·potevano riprometterselo solamente se non abbandonavano la storia contemporanea allo storicismo, ma conservavano invece alla modernità un riferimento privilegiato alla razionalità 4• In base alla premessa che ai decorsi storici sono intrecciati processi di apprendimento sovrasoggettivi e fra loro concatenati, si spiegano anche le altre caratteristiche del discorso: oltre al pensiero radicalmente storico, la critica della ragione soggettocentrica, la posizione esposta degli intellettuali e la responsabilità per la continuità o la discontinuità storica. II I partiti che sin dai tempi dei giovani hegeliani rivaleggiano fra di loro in merito alla giusta autocomprensione della modernità, concordano però su di un punto: che cioè una profonda autoillusione è connessa con quei processi di apprendimento che il XVIII secolo ha concettualizzato come Illuminismo. E vi è un accordo anche nel ritenere che i tratti autoritari di un Illuminismo limitato sono insiti nello stesso principio dell'autocoscienza e della soggettività. Il soggetto che si riferisce a se stesso acquista 4 Per il discorso della modernità il riferimento della ragione alla storia rimane costitutivo - nel bene come nel male. Chi partecipa a questo discorso, e in ciò fino ad oggi non è cambiato nulla, fa un determinato uso delle espressioni 'ragione' o 'razionalità'. Non le impiega né in base a regole di gioco ontologiche per caratterizzare Dio o l'ente in complesso, né in base a regole di gioco empiristiche per connotare le disposizioni di soggetti capaci di conoscere e di agire. La ragione non è considerata né come un che di finito, come una teleologia obbiettiva, che si manifesta nella natura o nella storia, né come una facoltà puramente soggettiva. Piuttosto i modelli strutturali rintracciati negli sviluppi storici forniscono allusioni cifrate alle vie di processi di formazione non conclusi, interrotti e fuorviati, che oltrepassano la coscienza soggettiva del singolo individuo. In quanto i soggetti si rapportano alla natura interna ed esterna, si riproduce attraverso di essi il contesto di vita sociale e culturale nel quale essi si trovano. La riproduzione delle forme di vita e delle vicende della vita lascia dietro di sé, nel delicato medium della storia, impronte che, sotto lo sguardo concentrato dei cercatori di tracce, si consolidano in disegni o in strutture. Questo sguardo specificamente moderno è guidato dall'interesse a rendersi conto di sé: dalle configurazioni e dalle strutture che esso, pur sempre confuso dal pericolo dell'inganno e dell'illusione, nondimeno afferma e ricava processi di formazione soggettivi, nei quali si mescolano processi di apprendimento e disapprendimento. Perciò il discorso della modernità colloca appunto le sfere del nonessente e del mutevole nelle determinazioni della conoscenza e dell'errore: esso porta la ragione in un ambito che tanto l'ontologia greca quanto la moderna filosofia del soggetto avevano considerato del tutto privo di senso e non suscettibile di teorie. Questa impresa rischiosa si è dapprima insinuata, prendendo a prestito falsi modelli teoretici, nel dogmatismu della filosofia della storia, ed ha poi chiamato in causa la difesa dello storicismo. Ma coloro che conducono seriamente il discorso, sanno che devono muoversi fra Scilla e Cariddi. 56 www.scribd.com/Baruhk infatti l'autocoscienza soltanto al prezzo dell'aggettivazione della natura esterna e della propria natura interna. Il soggetto, dal momento che nel conoscere come nell'agire, verso l'esterno come verso l'interno, deve sempre riferirsi ad oggetti, si rende al contempo impenetrabile e dipendente anche in quegli atti che dovrebbero garantire la conoscenza di sé e l'autonomia. Questo limite inserito nella struttura dell'autorelazione resta inconscio nel processo del divenir cosciente. Ne deriva la tendenza ad autoesaltarsi e ad illudersi, cioè ad assolutizzare gli stadi relativi della riflessione e dell'emancipazione. Nel discorso della modernità i suoi accusatori le muovono un rimprovero, che nella sostanza non si è mai modificato da Hegel e Marx fino a Nietzsche e Heidegger, da Bataille e Lacan fino a Foucault e Derrida. L'accusa è diretta contro una ragione che si fonda nel principio della soggettività; ed afferma che questa ragione denuncia e scalza tutte le forme esplicite dell'oppressione e dello sfruttamento, della degradazione e dell'estraneazione, soltanto per installare al loro posto il più inattaccabile dominio della razionalità stessa. Questo regime di una soggettività elevata a falso assoluto trasforma i mezzi della presa di coscienza e dell'emancipazione in altrettanti strumenti di aggettivazione e di controllo, e si procura in tal modo un'inquietante immunità nelle forme di un ben celato dominio. L'opacità della gabbia d'acciaio di una ragione divenuta positiva svanisce nello splendente chiarore di un palazzo di cristallo perfettamente trasparente. Tutti i partiti sono qui d'accordo: questa facciata cristallina deve andare in frantumi; tuttavia si differenziano nelle strategie che scelgono per superare il positivismo della ragione. La critica degli hegeliani di sinistra, rivolta alla pratica e scatenata verso la rivoluzione, vuole mobilitare il potenziale storicamente accumulato della ragione, che attende di essere liberato, contro la sua mutilazione, contro la razionalizzazione unilaterale del mondo borghese. Gli hegeliani di destra seguono Hegel nella convinzione che la sostanza dello stato e della religione equilibrerà le irrequietezze della società civile non appena la soggettività della coscienza rivoluzionaria che provoca irrequietezza cederà il posto alla veduta obbiettiva della razionalità dell'esistente. La razionalità dell'intelletto posta come assoluta si esprime ora nelle fantasie delle idee socialiste; contro questi falsi critici deve farsi valere soltanto il discernimento metacritico dei filosofi. Nietzsche infine vuole smascherare la sceneggiatura di tutta la commedia, in cui fanno la loro comparsa tanto la speranza rivoluzionaria quanto la reazione contro di essa. Egli toglie 57 www.scribd.com/Baruhk il suo pungiglione dialettico alla critica della ragione ridotta a razionalità in vista del fine e incentrata nel soggetto, e si comporta verso la ragione in generale come i giovani hegeliani verso le sue sublimazioni: la ragione non è nient'altro che potenza, la pervertita volontà di potenza, che essa nasconde in modo tanto brillante. Gli stessi fronti si costituiscono riguardo al ruolo degli intellettuali, che devono la loro posizione esposta al riferimento della ragione alla modernità. Come detectives sulle tracce della ragione nella storia, i filosofi della modernità cercano quel punto cieco in cui l'inconscio si annida nella coscienza, l'oblìo si insinua nel ricordo, in cui il regresso si atteggia a progresso e il disimparare a processo di apprendimento. Ancora una volta d'accordo nell'illuminare l'illuminismo circa le sue limitazioni, i tre partiti si differenziano nella valutazione di ciò che fanno effettivamente gli intellettuali. I critici critici si vedono nel ruolo di un'avanguardia che si addentra nel territorio sconosciuto del futuro, e spinge innanzi il processo dell'illuminismo. Essa si presenta ora come battistrada del modernismo estetico, ora come guida politica che influisce sulla coscienza delle masse, ora nella figura di individui sparsi che si lasciano dietro il loro annunzio come un messaggio in bottiglia (con tale coscienza ad esempio Horkheimer e Adorno hanno affidato la loro Dialettica dell'illuminismo alla fine della guerra ad una piccola casa editrice di emigrati). Per contro i metacritici vedono di volta in volta negli altri gli intellettuali dai quali proviene il pericolo di un nuovo dominio clericale. Gli intellettuali scalzano l'autorità delle solide istituzioni e delle semplici tradizioni, e con ciò turbano quel processo di compensazione che una modernità resa inquieta deve svolgere con se stessa, e la società razionalizzata con le forze tenaci dello Stato e della religione. La teoria della Nuova Classe, che oggi i neoconservatori impiegano contro i fautori sovversivi di una cultura supposta ostile, dipende più dalla logica del nostro discorso che dai fatti addotti a prova di una rist:ratificazione nel sistema occupazionale postindustriale. Con non minore veemenza criticano infine il tradimento degli intellettuali coloro che si collocano nella tradizione della critica della ragione praticata da Nietzsche; anch'essi denunciano i misfatti che le avanguardie devono aver compiuto, con la buona fede derivante dalla filosofia della storia, in nome dell'universale ragione umana. Naturalmente, in questo caso, manca l'elemento proiettivo dell'odio degli intellettuali per se stessi. (Così ad esempio io non interpreto le pertinenti osservazioni di Foucault come denuncia di 58 www.scribd.com/Baruhk avversari, bensì come smentita autocritica di pretese eccessive) 5• Il discorso della modernità è contraddistinto inoltre da una terza caratteristica. La storia viene esperita come processo di crisi, il presente come improvviso balenare di diramazioni critiche, il futuro come l'affollarsi di problemi irrisolti; ne nasce quindi una coscienza esistenzialmente affinata circa il pericolo di decisioni mancate e di interventi tralasciati. Nasce una prospettiva dalla quale i contemporanei si vedono chiedere ragione della condizione attuale come passato di un presente venturo. Nasce la suggestione di una responsabilità per il collegamento di una situazione con quella successiva, per la prosecuzione di un processo che ha perduto la sua spontaneità naturale e si rifiuta di promettere una continuità naturale. Questa tensione nervosa non scuote affatto soltanto quei filosofi dell'azione per designare i quali già Moses Hess aveva usato la denominazione di ' partito del movimento'. Lo stesso stato febbrile coglie anche il 'partito della continuità', che incita alla moderazione, ossia il partito di coloro che dinanzi ad una modernizzazione divenuta quasi automatica, addossano l'onere della prova di ogni intervento programmato ai rivoluzionari e agli agitatori, ai riformatori ed ai fautori del cambiamento 6 • Naturalmente fra tutti costoro gli atteggiamenti verso la continuità storica variano secondo un ampio spettro: che da Kautsky e dai protagonisti della Seconda Internazionale, i quali vedevano nel dispiegamento delle forze produttive una garanzia per il trapasso evolutivo dalla società borghese al socialismo, si estende fino a Karl Korsch, a W alter Benjamin e agli esponenti dell'ultrasinistra, che potevano raffigurarsi la rivoluzione solo come un balzo al di fuori della barbarie eternamente riproducentesi della preistoria, come un far saltare la continuità di ogni storia. Questo atteggiamento viene di nuovo ispirato dalla coscienza surrealistica del tempo, e si incontra con l'anarchismo di coloro che, al seguito di Nietzsche, evocano la sovranità estatica o l'Essere obliato, i riflessi del corpo o le resistenze locali e le involontarie rivolte della natura soggettiva seviziata. In breve: i _giovani hegeliani hanno ripreso da Hegel il problema dell'autoaccertamento storico della modernità; con la critica di una ragione soggettocentrica priva di fondamento, con la lotta per la posizione esposta degli intellettuall e per la respon5 M. Foucault, Die Intellektuellen und die Macht, in Von der Subversion des Wissens, Mtinchen 1974, pp. 128 sgg. 6 Sulla difesa della distribuzione conservatrice degli oneri della prova, cfr. H. Ltibbe, Fortschritt als Orientierungsproblem, Freiburg 1975. 59 www.scribd.com/Baruhk sabilità di una giusta misura fra rivoluzione e continuità storica, hanno stabilito l'ordine del giorno. E con la loro presa di partito in favore del divenir-pratico della filosofia, hanno suscitato due avversari, che si attengono ai temi ed alle regole del gioco. Questi oppositori non escono dal discorso per ripiegare sull'autorità di passati esemplari. Il ricorso veteroconservatore a verità religiose o metafisiche non conta più nulla nel discorso filosofico della modernità - l'elemento vetero-europeo è ormai svalutato. Al partito del movimento risponde un partito della continuità, che non vuole mantenere nient'altro che la dinamica della società borghese, e che trasforma la tendenza alla conservazione nell'adesione neoconservatrice ad una mobilitazione che si verifica comunque. Con Nietzsche e col neoromanticismo si contrappone ad entrambi gli avversari un terzo partecipante al discorso, che vuole sottrarre il terreno tanto ai radicali quanto ai neoconservatori, ed elimina dalla critica della ragione il genitivo soggettivo, in quanto toglie dalle mani della ragione la conduzione di questa impresa, alla quale essi tengono ancor fermo. In tal modo l'uno vuole sopravanzare l'altro. È dunque evidente che noi ci distanziamo da questo discorso nel suo complesso, e che consideriamo obsoleta questa messa in scena del XIX secolo. Non mancano certo i tentativi di sopravanzare a nostra volta il gioco del reciproco sopravanzamento. Li si può riconoscere facilmente in base ad un prefisso, ai neologismi formati con il prefisso ' post '. Ma già per motivi metodici io credo che noi non possiamo renderei estraneo, per fissare lo sguardo solo a una fittizia etnologia del presente, il razionalismo occidentale, come se fosse l'oggetto di una considerazione neutrale, ed uscire così semplicemente dal discorso della modernità. Seguirò pertanto una via più comune, e assumerò la prospettiva consueta di un partecipante che richiama a grandi tratti alla memoria lo svolgimento dell'argomentazione, in modo da poter rintracciare in ciascuna delle tre posizioni le difficoltà che vi sono insite; il che non ci porterà fuori dal discorso della modernità, ma ce ne farà forse comprendere meglio il tema. A tal fine devo certamente accollarmi drastiche semplificazioni. Partendo dalla critica di Marx ad Hegel, intendo osservare come la trasformazione del concetto di riflessione in quello di produzione, e la sostituzione dell'' autocoscienza' con il ' lavoro ', sfoci, lungo la linea del marxismo occidentale, in un'aporia. La metacritica degli hegeliani di destra insiste con buone ragioni sul fatto che il grado di differenziazione sistemica raggiunto nelle società moderne non può essere semplicemente annullato. Da 60 www.scribd.com/Baruhk questa tradizione deriva un neoconservatorismo che per parte sua incappa senza dubbio in difficoltà di fondazione, quando deve spiegare come si possano equilibrare e compensare i costi e le instabilità di un processo di modernizzazione che si autoriproduce. III La prosecuzione del progetto hegeliano come filosofia della prassi Da molte testimonianze letterarie sappiamo che le prime ferrovie hanno rivoluzionato l'esperienza che i contemporanei avevano dello spazio e del tempo. Le ferrovie non hanno creato la coscienza moderna del tempo; ma nel corso del XIX secolo esse divennero letteralmente il veicolo con il quale questa coscienza moderna del tempo si impadronisce delle masse - la locomotiva diviene il simbolo popolare di una vertiginosa messa in moto di tutte le condizioni di vita, interpretata come progresso. Non sono più soltanto le élites intellettuali che esperiscono l'abolizione dei limiti temporali dei mondi della vita tradizionali; già Marx, nel Manifesto comunista, può fare appello a un'esperienza quotidiana, quando riconduce « l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni » al « sovvertimento dei modi di produzione e di traffico »: Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti 7 • Questa formulazione contiene tre importanti implicazioni. a) Il senso direzionale della storia si può ricavare, prima di ogni considerazione filosofica, per così dire, empiricamente, dalla modalità del movimento dei decorsi storici: la modernizzazione è maggiormente progredita là dove la messa in movimento e il sovvertimento delle condizioni di vita subiscono la loro massima accelerazione. Di conseguenza per Marx, il quale 7 K. Marx- F. Engels, Werke (d'ora in poi citato come MEw), vol. IV, Berlin 1959, p. 465 (tr. it., Manifesto del Partito Comunista, Torino 1948, p. 97). 61 www.scribd.com/Baruhk si attiene a questo criterio di accelerazione, è un fatto storico che il mondo moderno abbia il suo centro di gravità in Occidente, in Francia e soprattutto in Inghilterra. Marx ha un'idea ben chiara della contemporaneità del non-contemporaneo, e ritiene che le condizioni tedesche del 1843 non raggiungano nemmeno il 1789, secondo il computo temporale francese. Le condizioni tedesche « stanno sotto il livello della storia », il presente politico « si trova già, come fatto polveroso, nella soffitta storica dei popoli moderni » 8 • b) Se però la società moderna sviluppa una dinamica nella quale tutto ciò che è corporativo e stabile si volatilizza comunque, cioè senza l'intervento consapevole di soggetti agenti, allora si trasforma anche il carattere di ciò che è naturale ossia del 'positivo'. La prospettiva del giovane Hegel non è certo affatto mutata per il giovane Marx: si deve spezzare l'incantesimo che il passato fa pendere sul presente; solo nel futuro comunista il presente dominerà sul passato 9 • Ma il positivo non si presenta più nella sua forma irrigidita e persistente; occorre invece uno sforzo teoretico per scoprire nella permanenza dei mutamenti la positività della coazione a ripetere. Un rivoluzionamento delle condizioni di vita compiuto inconsapevolmente è l'apparenza che occulta le tendenze del movimento realmente rivoluzionario. Solamente ciò che a partire dall'inizio del secolo XIX si definisce come un movimento sociale può liberare gli uomini dalla maledizione di una mobilità imposta dall'esterno. Marx vuole perciò «(seguire) la guerra civile più o meno latente all'interno della società attuale fino al momento nel quale essa erompe in aperta rivoluzione » 10 • Marx postula un movimento sociale, molto prima che esso potesse assumere un aspetto storicamente comprensibile nel movimento europeo dei lavoratori. c) Ma alle spalle tanto della mobilità imposta delle condizioni esterne della vita, quanto dell'impeto emancipativo dei movimenti sociali, sta la ben visibile liberazione delle forze produttive - « il rapido miglioramento degli strumenti di produzione, la comunicazione immensamente facilitata». Ciò spiega il carattere disincantante del processo accelerato della storia, la profanazione del sacro. Siccome la duplice accelerazione della storia si riconduce in ultima istanza al ' progresso nell'industria ' 8 MEW, vol. l, p. 379 (tr. it., Per la critica della filosofia hegeliana del diritto. Introduzione, in Marx-Engels, Opere complete [d'ora innanzi citato come MEOC], vol. III, Roma 1976, pp. 191 sgg,). 9 MEW, vol. IV, p. 476 (tr. it. cit., p. 137). IO MEW, vol. IV, p. 473 (tr. it. cit., p. 107, modificata). 62 www.scribd.com/Baruhk (addirittura entusiasticamente celebrata nel Manifesto comunista), la sfera della società civile assume quel posto che lo Hegel degli scritti teologici e politici giovanili aveva· riservato alla ' vita del popolo '. Agli occhi del giovane Hegel tanto l'ortodossia religiosa e l'Illuminismo quanto le istituzioni politiche del decadente Reich tedesco si erano autonomizzate rispetto alla vita del popolo; per Marx ora la società, «la realtà politico-sociale moderna », costituisce il terreno dal quale si sono distaccate quali astrazioni la vita religiosa, la filosofia e lo Stato borghese. La critica della religione condotta nel frattempo da Feuerbach, D. F. Strauss e B. Bauer deve servire come modello per la critica dello Stato borghese. È vero che il positivismo della vita estraniata da se stessa è per il momento ancora rafforzato da una filosofia dell'unificazione, che, con un superamento della società borghese costruito nel pensiero, dà ad intendere che la riconciliazione è già attuata. Perciò Marx si serve della filosofia hegeliana del diritto per mostrare quale aspetto dovrebbe presentare un superamento della società borghese, se soddisfacesse quell'idea della totalità etica che è propria di Hegel 11 • Il punto principale della critica marxiana, che oggi non sorprende più, consiste come è noto nella tesi secondo cui lo Stato (il quale raggiunge la sua vera compiutezza nei sistemi parlamentari dell'Occidente e non nella Prussia monarchica) non colloca affatto la società antagonistica in una sfera di eticità vivente; lo Stato adempie soltanto agli imperativi funzionali di questa società ed è anch'esso un'espressione della sua eticità lacerata 12 • Il Questa via egli la fonda del resto col teorema della non contemporaneità del contemporaneo: « La filosofia tedesca del diritto e dello stato è l'unica storia tedesca che stia al pari col moderno presente ufficiale [ ... ] Noi siamo i contemporanei filosofici del presente, senza esserne i contemporanei storici >> (MEW, vol. l, p. 383 [tr. it. ci t., p. 195] ). 12 Il giovane Marx interpreta ancora il rapporto fra Stato e società nel senso della teoria dell'azione dal punto di vista dei ruoli complementari del 'citoven' e del ' bourgeois ', del cittadino e della persona giuridica privata. Il borghese in apparenza sovrano conduce una doppia esistenza - << una vita celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si considera come ente comunitario, e una vita nella società civile, nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzi, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee» (MEW, vol. l, p. 355 [tr. it., Sulla questione ebraica, in MEoc cit., vol. III, p. 166, modificata]). Qui l'idealismo dello Stato borghese non fa altro che nascondere il compimento del materialismo della società civile, cioè la realizzazione del suo contenuto egoistico. Il senso della rivoluzione borghese è duplice: essa emancipa la società civile dalla politica, ed anche dall'apparenza di un contenuto universale; ma al contempo strumentalizza la comunità costituita in ideale indipendenza per « il mondo dei bisogni, del lavoro, degli interessi privati, del diritto privato », in cui lo Stato trova la sua base naturale. Dal contenuto sociale dei diritti dell'uomo, Marx 63 www.scribd.com/Baruhk Da questa critica risulta la prospettiva di un tipo di autoorganizzazione della società che supera la scissione fra l'uomo pubblico e quello privato, e distrugge tanto la finzione della sovranità dei cittadini quanto l'esistenza estraniata dell'uomo sussunto « sotto il dominio di rapporti disumani »: « Solo quando l'uomo reale, individuale, riprende in sé il cittadino astratto [ ... ], quando egli ha riconosciuto e organizzato le sue jorces propres come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l'emancipazione umana è compiuta » 13 • Questa prospettiva determinerà d'ora innanzi l'interpretazione che la filosofia della prassi offre della modernità 14 • La filosofia della prassi si lascia guidare dall'intuizione che anche sottostando alle limitazioni funzionali di sistemi sociali altamente complessi rimane ancora la promettente prospettiva di realizzare l'idea della totalità etica. Perciò Marx si occupa con particolare insistenza del paragrafo 308 della Filosofia del diritto, in cui Hegel polemizza contro l'idea « che tutti singolarmente debbano prender parte alla discussione e risoluzione degli affari generali ». Tuttavia Marx fallisce nel compito autoassegnatosi di esplicare la struttura di una formazione della volontà che soddisfi « la tendenza della società civile a trasformarsi in società politica, o a fare della società politica la società reale » 15 • I parallelismi fra Marx ed Hegel sono sorprendenti. Nella loro gioventù entrambi si mantengono aperta la possibilità di utilizzare la spontanea formazione della volontà in una comunità di comunicazione sottoposta a coazioni cooperative, quale modello per la riconciliazione della società borghese in sé scissa; ma entrambi rinunciano in seguito, e per motivi similari, a servirsi di questa possibilità. Marx infatti soggiace, come Hegel, alle coazioni concettuali della filosofia del soggetto. Anzitutto egli si distanzia alla maniera hegeliana dall'impotenza del dover-essere di un socialismo puramente utopiricava che « la sfera nella quale l'uomo si comporta come ente comunitario viene degradata al di sotto della sfera nella quale esso si comporta come ente parziale, che non l'uomo come citoyen, bensì l'uomo come bourgeois viene preso per l'uomo vero e proprio>> (MEw, vol. l, p. 370 [tr. it. cit., pp. 178 sg.]). 13 MEW, vol. I. p. 370 (tr. it. cit., p. 182, modificata). 14 Per ' filosofia della prassi ' non intendo soltanto le diverse versioni del marxismo occidentale che risalgono a Gramsci e a Lukacs (come la teoria critica e la scuola di Budapest, l'esistenzialismo di Sartre, Merleau-Ponty e Castoriadis, la fenomenologia di Enzo Paci e dei filosofi jugoslavi della prassi), bensì anche le varietà radicaldemocratiche del pragmatismo americano (G. H. Mead e J. Dewey) e della filosofia analitica (Ch. Taylor). Cfr. l'istruttivo confronto di R. J. Bernstein, Praxis and Action, Philadelphia 1971. 15 MEw, vol. l, p. 324 (tr. i t., Critica della filosofia hegeliana del diritto, in MEOC, vol. III, p. 133). 64 www.scribd.com/Baruhk stico. In ciò si fonda come Hegel sulla forza di spinta di una dialettica dell'Illuminismo: anche il movimento trasformatore, la liberazione del potenziale razionale di questa società, va spiegato in base allo stesso principio dal quale sono derivate le conquiste e le contraddizioni della società moderna. Tuttavia Marx riconcilia la modernizzazione della società con un sempre più efficace sfruttamento delle risorse naturali e con lo sviluppo sempre più intenso di una rete globale di traffici e di comunicazioni. Questa liberazione delle forze produttive deve essere ricondotta ad un principio della modernità, il quale è fondato piuttosto nella prassi del soggetto produttore che nella rifle.ssione di un soggetto conoscente. A questo scopo a Marx occorre soltanto spostare gli accenti all'interno del modello della filosofia moderna. Questo modello distingue due relazioni egualmente originarie fra soggetto e oggetto; come il soggetto conoscente si forma opinioni capaci di verità circa qualcosa nel mondo oggettivo, così il soggetto agente compie attività finalistiche controllate in base al successo, per produrre qualcosa nel mondo oggettivo. Fra conoscere e agire fa da intermediario il progetto del processo di formazione; tramite il medium del conoscere e dell'agire il soggetto e l'oggetto entrano in costellazioni sempre nuove, dalle quali essi stessi vengono influenzati e modificati anche nella loro forma. La filosofia della riflessione, che privilegia la conoscenza, concepisce il processo di formazione dello spirito (secondo il modello dell'autorelazione) come un divenir coscienti; la filosofia della prassi, che privilegia la relazione fra il soggetto agente e il mondo degli oggetti manipolabili, concepisce il processo di formazione del genere umano (secondo il modello dell'autoalienazione) come autoeducazione. Il principio della modernità non è per essa l'autocoscienza, bensì il lavoro. Da questo principio si possono ora derivare senz'altro le forze produttive tecnico-scientifiche. Marx non può certamente concepire in modo troppo ristretto il principio del lavoro, se nel concetto della prassi vuole sistemare anche il contenuto razionale della cultura borghese, in base al quale si può identificare il regresso entro il progresso. Perciò il giovane Marx assimila il lavoro alla produzione creativa dell'artista, che nelle sue opere estrinseca le proprie forze essenziali e si appropria nuovamente del prodotto nella contemplazione pensosa. Herder e Humboldt avevano delineato l'ideale dell'individuo che si realizza onnilateralmente; Schiller e i romantici, Schelling ed Hegel avevano poi fondato questa idea espressivistica della cultura in una 65 www.scribd.com/Baruhk estetica della produzione 16 • Ora Marx, trasferendo questa produttività estetica « alla vita operosa del genere umano », può concepire il lavoro sociale come autorealizzazione collettiva dei produttori 17 • Soltanto l'equiparazione del lavoro industriale ad un modello ricco di contenuto normativa gli consente la decisiva differenziazione fra un'aggettivazione delle forze essenziali e la loro estraneazione, fra una prassi che ritorna appagata in se stessa ed una prassi frammentata e paralizzata. Nel lavoro estraniato il circolo di alienazione e appropriazione delle forze essenziali oggettivate è interrotto. Il produttore viene separato dal godimento dei suoi prodotti, nei quali potrebbe ritrovare se stesso, e viene quindi estraniato anche da se stesso. Nel caso esemplare del lavoro salariato, l'appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta interrompe la normale circolazione della prassi. Il rapporto del lavoro salariato trasforma la concreta azione lavorativa in una prestazione di lavoro astratto, cioè in un contributo funzionale al processo dell'autovalorizzazione del capitale, che per così dire confisca il lavoro morto sottratto ai produttori. Lo scambio asimmetrico tra la forza-lavoro e il salario è il meccanismo che deve spiegare perché la sfera delle forze essenziali estraniate ai lavoratori salariati si autonomizzi sistematicamente. Con questo assunto della teoria del valore il contenuto estetico-espressivo del concetto di prassi è ampliato con un elemento morale. Ora infatti il lavoro estraniato non si allontana più soltanto dal modello, concepito nei termini di un'estetica della produzione, di una prassi che ritorna appagata in se stessa, ma anche dal modello giusnaturalistica dello scambio fra equivalenti. Ma in definitiva il concetto della prassi deve comprendere anche l'' attività critico-rivoluzionaria', cioè l'azione politica autocosciente, con cui i lavoratori associati spezzano l'incantesimo capitalistico del lavoro morto sul lavoro vivo, e si appropriano delle loro forze essenziali feticisticamente estraniate. Se infatti la totalità etica lacerata viene pensata come lavoro estraniato, e se deve superare con le sue sole forze la sua scissione, allora anche la prassi emancipativa deve poter derivare dal lavoro stesso. Ma questo è il punto in cui Marx si impiglia in 16 17 Cfr. Ch. Taylor, Hegel, Cambridge 1975, cap. l, pp. 3 sgg. Cfr. la mia critica ai fondamenti della filosofia della prassi in: J. Haber- mas, Vorstudien und Ergiinzungen zur Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1984, pp. 482 sgg. 66 www.scribd.com/Baruhk difficoltà concettuali analoghe a quelle di Hegel. La filosofia della prassi infatti non offre i mezzi per pensare il lavoro morto come intersoggettività mediatizzata e paralizzata. Essa rimane una variante della filosofia del soggetto, che non colloca la ragione nella riflessione del soggetto conoscente, bensì nella razionalità finalistica del soggetto agente. Nelle relazioni fra un attore e un mondo di oggetti percepibili e manipolabili può farsi valere soltanto una razionalità cognitivo-strumentale; e in questa razionalità finalistica non può dischiudersi quella potenza unificatrice della ragione, che ora è raffigurata come prassi emancipativa. La storia del marxismo occidentale ha posto in luce le difficoltà concettuali di fondo della filosofia della prassi e del suo concetto di ragione, che derivano in ogni caso da confusioni circa i fondamenti normativi della critica. Vorrei richiamare l'attenzione su almeno tre di tali difficoltà. a) L'adeguamento del lavoro sociale al modello dell'' autoattività ' (Selbsttiitigkeit) nel senso di autorealizzazione creativa potrebbe in ogni caso trarre una certa plausibilità dall'ideale romanticamente trasfigurato dell'attività artigiana. In questo senso si orientava ad esempio il contemporaneo movimento di riforma di John Ruskin e William Morris, che esaltavano l'artigianato artistico. Ma lo sviluppo del lavoro industriale si è andato sempre più allontanando dal modello di un processo di produzione unitario. Anche Marx alla fine ha abbandonato ogni orientamento verso il passato della prassi artigianale elevata a modello. Tuttavia egli accoglie senza dare nell'occhio i discutibili contenuti normativi di questo concetto della prassi nelle premesse della teoria del valore-lavoro, e al contempo li rende irriconoscibili. Ciò spiega perché nella tradizione marxista il concetto di lavoro è rimasto tanto ambiguo quanto la razionalità finalistica in esso contenuta. Di conseguenza la valutazione delle forze produttive oscilla da un estremo all'altro. Alcuni accolgono con favore lo sviluppo delle forze produttive, e soprattutto il progresso scientificotecnico, come forza motrice della razionalizzazione sociale, e si attendono che le istituzioni regolanti la ripartizione del potere sociale e l'accesso differenziale ai mezzi di produzione vengano a loro volta rivoluzionate sotto la pressione razionalizzante delle forze produttive stesse. Altri diffidano di una razionalità del controllo sulla natura, che si unisce all'irrazionalità del dominio di classe. Scienza e tecnica, per Marx ancora un inequivocabile potenziale emancipativo, si convertono per Lukiics, Bloch e Mar67 www.scribd.com/Baruhk cuse solo in un medium tanto più efficace di repressione sociale. Interpretazioni a tal punto contrapposte possono prodursi in quanto Marx non rende conto del modo in cui la tangibile razionalità dell'attività finalistica si rapporta a quella razionalità, cui si ricorre intuitivamente, dell'autoattività - cioè di una prassi sociale, che si può soltanto intravvedere nell'immagine dell'associazione di liberi produttori. b) Un'altra difficoltà deriva dalla contrapposizione astratta fra lavoro morto e lavoro vivente. Quando si parte dal concetto del lavoro estraniato, il processo produttivo separato dagli orientamenti del valore d'uso si presenta come la figura spettrale delle forze essenziali, espropriate e divenute anonime, dei produttori. L'approccio della filosofia della prassi suggerisce che il rapporto sistemico dell'economia capitalisticamente organizzata e del suo complemento statale è pura apparenza, che con la abolizione dei rapporti di produzione si dissolverà nel nulla. Da questa prospettiva tutte le differenziazioni strutturali che non possono essere accolte nell'orizzonte d'orientamento dei soggetti agenti perdono d'un sol colpo la loro giustificazione. Non si pone neppure il problema se i sottosistemi controllati dai media presentino qualità dotate di un proprio valore funzionale, indipendente dalla struttura di classe. La teoria della rivoluzione suscita piuttosto l'attesa che per principio tutti i rapporti sociali reificati e autonomizzati sistematicamente possono essere ricuperati nell'orizzonte del mondo della vita: la parvenza dileguata del capitale restituirà la sua spontaneità ad un mondo della vita irrigidito sotto l'imposizione della legge del valore. Ma se l'emancipazione e la riconciliazione sono raffigurate soltanto nella modalità della dedifjerenziazione di rapporti di vita ipercomplessi, allora la teoria sistemica ha buon gioco per liquidare come pura illusione, di fronte a complessità ostinate, il potere unificante della ragione. c) Queste due difficoltà sono collegate fra di loro, in quanto i fondamenti normativi della filosofia della prassi, e soprattutto la capacità operativa del concetto di prassi per i compiti di una teoria critica della società, non sono mai stati chiariti in modo soddisfacente. La rivalutazione del concetto del lavoro sociale nei termini di un'estetica della produzione, e il suo ampliamento pratico-morale, richiedono una fondazione che non può essere procurata da ricerche metodologicamente discutibili, di tipo antropologico oppure fenomenologico-esistenziale. Di conseguenza quelli che non collocano più la ragione nel concetto della prassi, procedono come se potessero ricavarla dalla razionalità 68 www.scribd.com/Baruhk volta ad uno scopo propria dell'agire finalizzato e della autoaffermazione 18 • Il principio del lavoro garantisce certo alla modernità un ottimo rapporto con la razionalità. Ma la filosofia della prassi si trova di fronte allo stesso compito con cui a suo tempo ebbe a che fare la filosofia della riflessione. Anche nella struttura dell'autoalienazione è insita - come nella struttura dell'autorelazione - la necessità dell'auto-aggettivazione; perciò il processo di formazione del genere umano è determinato dalla tendenza per cui gli individui che lavorano acqu!stano la loro identità, nella misura in cui dominano la natura esterna, soltanto al prezzo della repressione della loro natura interna. Per dissolvere questa auto-implicazione di una ragione centrata nel soggetto, Hegel aveva un tempo contrapposto all'assolutizzazione dell'autocoscienza l'automediazione assoluta dello spirito. Alla filosofia della prassi, che ha abbandonato per buone ragioni questa via idealistica, non viene risparmiato un problema corrispondente; anzi nel suo caso perfino si inasprisce. Che cosa può infatti contrapporre essa alla ragione strumentale di una razionalità finalistica elevata a totalità sociale, se deve concepirsi essa stessa, materialisticamente, come componente e risultato di questo contesto reificato - se la spinta all'aggettivazione penetra nell'intimo della ragione criticante? Nella loro Dialettica dell'illuminismo, Horkheimer e Adorno non volevano più condurre fuori da questa aporia, ma soltanto svilupparla. Essi si oppongono certo alla ragione strumentale con una ' rimemorazione ' che indaga i moti di una natura in rivolta, che protesta contro la sua strumentalizzazione. Essi hanno anche un nome per designare questa resistenza: Mimesis. Questo nome richiama associazioni che sono intenzionali: empatia e imitazione. Ciò rammenta un rapporto fra persone, in cui l'alienazione aderentemente identificante dell'uno al modello dell'altro non richiede l'abbandono della propria identità, ma garantisce al contempo dipendenza ed autonomia: « La condizione riconciliata non annetterebbe con imperialismo filosofico l'estraneo, bensì troverebbe la sua felicità in quanto esso rimanga, nella vicinanza garantita, il lontano e il diverso, al di là tanto dell'eterogeneo quanto del proprio » 19 • Ma questa facoltà mimetica si sottrae ad una concettualità che è improntata unicamente dalla 18 Sull'obsolescenza del paradigma della produzione, cfr., in/ra, l'excursus, pp. 77 sgg. 19 T. W. Adorno, Negative Dialektik, in Werke, vol. VI, Frankfurt a. M. 1973, p, 192. 69 www.scribd.com/Baruhk relazione soggetto-oggetto; perciò la mimesis si manifesta come puro impulso, come il semplice opposto della ragione. La critica della ragione strumentale non può far altro che denunciare come difetto ciò che non è però in grado di spiegare nel suo carattere difettoso. Essa infatti è prigioniera di concetti che consentono ad un soggetto di poter disporre della natura esterna ed interna, ma che non sono fatti per fornire ad una natura oggettivata il linguaggio, di modo che essa possa dire ciò che le viene fatto dai soggetti 20 • Per mezzo della sua Dialettica negativa Adorno tenta di determinare ciò che non si può esporre discorsivamente; e con la sua Teoria estetica suggella la cessione della competenza conoscitiva all'arte. L'esperienza estetica derivante dall'arte romantica, che il giovane Marx aveva contrabbandato nel concetto di prassi, è stata radicalizzata nell'arte d'avanguardia; ora Adorno la indica come l'unico testimone contro una prassi, che nel frattempo ha sotterrato sotto le sue macerie tutto ciò che una volta si intendeva come ragione. La critica può mostrare ancora soltanto a modo di esercizio, perché quella facoltà mimetica sfugga alla presa teoretica, e trovi provvisoriamente asilo nelle opere più avanzate dell'arte moderna. IV La risposta neoconservatrice alla filosofia della prassi Il neoconservatorismo, che oggi domina, soprattutto nelle scienze sociali, una scena delusa dal marxismo 21 , si nutre di motivi dell'hegelismo, di destra. I discepoli ufficiali di Hegel - mi riferirò soprattutto a Rosenkranz, Hinrichs e Oppenheim - sono i contemporanei, di qualche anno più vecchi, di Marx. Non reagiscono quindi direttamente a Marx, bensì alla sfida lanciata dalle dottrine e dai movimenti del primo socialismo in Francia e in Inghilterra, che erano stati resi noti in Germania soprattutto da Lorenz von Stein 22 • Questi hegeliani della prima gene20 Cfr., infra, la Lezione quinta, pp. 109 sgg. 21 H. Steinfels, The Neoconservatives, New York 1979; R. Saage, Neokonservatives Denken in der Bundesrepublik, in Rilckkehr zum starken Staat?, Frankfurt a. M. 1983, pp. 228 sgg.; H. Dubiel, Die Buchstabierung des Fortschritts, Frankfurt a. M. 1985. 22 L'opera in tre volumi di Lorenz von Stein, apparsa nel 1849, Geschichte der sozialen Bewegungen in Frankreich (Darmstadt 1959), è una continuazione della sua precedente opera su Sozialismus und Kommunismus des heutigen Frankreichs. 70 www.scribd.com/Baruhk razione ritenevano di essere i difensori del liberalismo prequarantottesco. Si sforzavano di acquisire alla filosofia hegeliana del diritto il margine necessario per l'attuazione politica dello Stato liberale di diritto e di talune riforme sociali. Essi hanno spostato gli accenti fra una ragione che secondo il concetto è l'unica realtà, e le forme finite del suo presentarsi storico. Le condizioni empiriche richiedono di essere perfezionate, perché vi si riproducono ancor sempre dei passati, che in sé sono già superati. Gli hegeliani di destra sono convinti, al pari di quelli di sinistra, che « il presente raccolto nel pensiero [ ... ] non è solo teoreticamente nel pensiero, bensì mira a penetrare anche praticamente la realtà» 23 • Anch'essi concepiscono il presente come luogo privilegiato della realizzazione della filosofia: le idee devono entrare in rapporto con gli interessi esistenti. Anch'essi vedono la sostanza politica dello Stato inserita in una formazione della volontà radicalmente temporalizzata 24 • La destra hegeliana non chiude gli occhi nemmeno di fronte al potenziale conflittuale della società borghese 25 ; ma rifiuta decisamente la via del comunismo. Tra gli allievi liberali e quelli socialisti di Hegel vi è dissenso quanto a quella abolizione della 23 H. F. W. Hinrichs, Politische Vorlesungen,in H. Liibbe (a cura di), Die Hegelsche Rechte, Stuttgart 1962, p. 89 (tr. it., Lezioni sulla situazione politica dell'epoca contemporanea, in Gli hegeliani liberali, Roma-Bari 1974, p. 123, modificata). 24 I saggi di Rosenkranz sui concetti di partito politico e di opinione pubblica rispecchiano in modo drammatico l'irruzione della coscienza moderna del tempo nel mondo della filosofia hegeliana del diritto (cfr. Liibbe, op. cit., pp. 59 sgg., 65 sgg_ [tr. it. ci t., pp. 73 sgg., 85 sgg.] ). Nel processo che il futuro intenta contro il passato, il continuum storico si decompone in una serie di momenti attuali. L'opinione pubblica in continua trasformazione è il medium di questo conflitto, che non divampa soltanto fra i partiti del progresso e dell'immobilismo, ma penetra persino all'interno degli stessi partiti, trascina ogni singolo partito nel vortice della polarizzazione tra futuro e passato e li scinde in frazioni, ali, cricche, ecc. Perfino l'idea di un'avanguardia che incarna il futuro nel movimento presente non è estranea ai liberali - e nel Manifesto comunista trova soltanto la sua formulazione più decisa. 25 Oppenheim polemizza contro « il cieco dominio della concorrenza, della domanda e dell'offerta>>, contro <<la tirannia del capitale e della grande proprietà fondiaria>>, che, lasciati a se stessi, <<darebbero sempre origine ad un'oligarchia di possidenti>> (H. B. Oppenheim, in Liibbe, op. cit., pp. 186 sg. [tr. it. ci t., pp. 298 sgg.] ). Lo Stato deve intervenire nel presunto << santuario delle condizioni industriali>>: << L'amministrazione [ ... ] è stata impassibile a guardare come i grandi capitalisti scavassero un canale di deflusso, nel quale, sotto l'illusoria tutela della ' libera concorrenza', venisse a scorrere tutto il patrimonio nazionale, ogni ricchezza e ogni fortuna (op. cit., p. 193 [tr. it., p. 293] ). Hinrichs vede che il sistema del lavoro e dei bisogni può mantenere la promessa della libertà soggettiva solamente se anche << all'operaio (venga) assicurato tanto, che egli possa mantenersi in vita sviluppando le facoltà intellettuali, che sia messo in condizione di acquistarsi la proprietà>> (op. cit., p. 131 [tr. it., p. 189, modificata]). E Rosenkranz si aspetta una <<nuova, sanguinosa rivoluzione>>, qualora non vengano risolte <<le impellenti questioni sociali >> (op. cit., p. 150 [tr. it., p. 210] ). 71 www.scribd.com/Baruhk differenza fra Stato e società, che gli uni temono e gli altri invece vogliono. Marx era convinto che l'auto-organizzazione della società, che toglie al potere pubblico il carattere politico, deve appunto metter fine a quella condizione che secondo la concezione dei suoi avversari era stata addirittura prodotta per tal via - cioè la risoluzione senza residui dell'eticità sostanziale nell'immediata concorrenza degli interessi naturali. Entrambe le parti giudicano dunque criticamente la società borghese come stato della necessità e dell'intelletto, che ha come unico scopo il benessere e la sussistenza del singolo, come contenuto il lavoro e il godimento della persona privata, come principio la volontà naturale, e come conseguenza la moltiplicazione dei bisogni. Gli hegeliani di destra vedono però realizzato nella società borghese il principio del sociale in genere, e sostengono che esso dovrebbe giungere al dominio assoluto non appena fosse introdotta la distinzione fra il politico e il sociale 26 • La società si presenta fin da principio come una sfera della disuguaglianza dei bisogni, delle disposizioni e delle capacità naturali; essa costituisce un contesto oggettivo, i cui imperativi funzionali intervengono inevitabilmente negli orientamenti soggettivi dell'azione. Di fronte a questa struttura complessa, devono necessariamente fallire tutti quei tentativi che vogliono introdurre nella società il principio civile dell'uguaglianza, sottomettendola alla formazione democratica della volontà dei produttori associati '2:1. Questa critica è stata più tardi ripresa e accentuata da Max Weber; i fatti hanno dato ragione alla sua prognosi, secondo cui l'abolizione del capitalismo privato non significherebbe affatto una rottura della gabbia d'acciaio del lavoro industriale moderno. Nel ' socialismo realmente esistente' il tentativo di dissolvere la società civile in quella politica ha avuto come conseguenza soltanto la loro burocratizzazione, ha soltanto ampliato la coazione economica in un controllo amministrativo che compenetra tutti gli ambiti della vita. D'altro lato, con la sua fiducia nelle facoltà rigeneratrici di uno Stato forte, la destra hegeliana ha fatto anch'essa naufragio. Rosenkranz difendeva ancora la mona_rchia, perché solo essa potrebbe assicurare la neutralità di un governo posto al di sopra 26 H. Liibbe difende imperterrito questa posizione in Aspekte der politischen Philosophie des Burgers, in Philosophie nach der Aufkliirung, Diisseldorf 1980, pp. 211 sgg. '2:1 << Come può amministrarsi in comune ciò che non forma un tutto indiviso e si rigenera e si riplasma ogni giorno nell'infinita e infinitamente varia produzione degli individui?» (Oppenheim, in Liibbe, Die Hege/sche Rechte ci t., p. 196 [tr. it. ci t., p, 297] ), 72 www.scribd.com/Baruhk dei partiti, mitigare l'antagonismo degli interessi, garantire l'unità del particolare con l'universale. Dalla sua prospettiva il governo deve restare l'ultima istanza anche perché esso solo « può ricavare dal libro dell'opinione pubblica le norme necessarie del suo agire » 28 • Parte di qui una linea di storia dello spirito che conduce, attraverso Cari Schmitt, fino a quegli studiosi del diritto statale che, guardando indietro alla ingovernabilità della Repubblica di Weimar, credettero di dover giustificare lo Stato totale 29 • Sulla base di questo filone tradizionale il concetto dello Stato sostanziale ha potuto trasformarsi in quello di uno Stato puramente autoritario, perché nel frattempo era stata distrutta a fondo quella disposizione per gradi dello spirito soggettivo, oggettivo ed assoluto, alla quale avevano ancora fatto ricorso gli hegeliani di destra 30 • Dopo la fine del fascismo gli hegeliani di destra ricominciano da capo, avviando due revisioni. Da un lato si accordano con un'epistemologia che non concede alcun diritto alla ragione, all'infuori della cultura consolidata nelle scienze della natura e dello spirito; dall'altro accettano il risultato dell'Illuminismo sociologico, per cui lo Stato (intrecciato funzionalmente con la economia capitalistica) assicura in ogni caso l'esistenza privata e professionale del singolo nella società industriale basata sulla divisione del lavoro, ma in nessun caso l'innalza eticamente. In base a tali premesse, autori quali Hans Freyer e Joachim Ritter 31 rinnovano le figure concettuali della destra hegeliana. Alle scienze dello spirito spetta l'eredità teoretica della filosofia ormai congedata, - e alle potenze tradizionali dell'eticità, della religione e dell'arte quel compito compensativo che non può più Rosenkranz, in Liibbe, op. cit., p. 72 (tr. it., p, 96). Sulle pubblicazioni in proposito di E. Forsthoff, E. R. Huber, K. Larenz ecc., cfr. già H. Marcuse, Der Kampf gegen den Liberalismus in der totalitiiren Staatsaufjassung, in << Zeitschrift flir Sozialforschung >>, 1934, pp. 161 sgg. (tr. it., La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello stato, in Cultu· ra e società, Torino 1969, pp. l sgg.). 30 Questa decomposizione era stata introdotta dalla scuola hegeliana di sinistra. Le riflessioni metodologiche sulle scienze della natura e dello spirito in rapido progresso, cioè il positivismo e lo storicismo, avevano poi discreditato tutto ciò che voleva andar oltre il « semplice pensiero intellettivo ». Rosenkranz aveva ancora parlato della imperitura maestà dello spirito che agisce nella storia - ma questo tipo di filosofia della storia era stato superato alla fine del diciannovesimo secolo. Chi voleva ora attenersi ancora alla figura concettuale di un superamento della società civile nello Stato, aveva a sua disposizione ancora soltanto il concetto nominalistico del potere, al quale Max Weber aveva tolto ogni connotazione razionale. Allo Stato si possono addossare tutt'al più, esistenzialisticamente, significati derivanti dal rapporto amico-nemico. 31 H. Freyer, Weltgeschichte Europas, 2 voli., Wiesbaden 1948; Theorie des gegenwiirtigen Zeitalters, Stuttgart 1955; J. Ritter, Metaphysik und Politik, Frankfurt a. M. 1969. 28 29 73 www.scribd.com/Baruhk venir affidato allo Stato. Questa argomentazione modificata fornisce la base per collegare l'atteggiamento affermativo verso la modernità sociale con una parallela svalutazione della modernità culturale. Questo modello valutativo dà oggi l'impronta alle diagnosi neoconservatrici del tempo tanto negli Stati Uniti quanto nella Repubblica Federale Tedesca 32 • Cercherò qui di chiarirlo in base ai lavori di Joachim Ritter, che da noi hanno esercitato una così grande influenza. In un primo passo interpretativo, Ritter separa la modernità da quella coscienza del tempo dalla quale essa aveva ricavato la propria autocomprensione. Dato che la società moderna riduce l'uomo alla sua natura soggettiva, al godimento e al lavoro, e dato che essa si riproduce attraverso l'utilizzazione e lo sfruttamento industriale della natura esterna, Ritter ritiene che l'essenza storica della modernità sia caratterizzata da un rapporto astorico con la natura. Il mondo moderno « separa gli ordinamenti storici dall'essere sociale dell'uomo » 33 ; e la scissione dell'esistenza sociale è fondata su questa mancanza di storia: « Ciò che vien fuori con la nuova epoca è [ ... ] la fine della storia realizzatasi fin qui; il futuro non ha relazione con l'origine » 34 • Questa descrizione suggerisce due conseguenze. Da un lato la modernità sociale può dispiegare una propria dinamica evolutiva, distaccata dagli eventi tramandati dalla storia, che le conferisce la stabilità di una seconda natura; ed a ciò si collega l'idea tecnocratica, che il processo di modernizzazione è controllato da coazioni oggettive che non possono essere influenzate. Dall'altro lato i cittadini del mondo moderno devono la loro libertà soggettiva proprio all'astrazione dagli ordini storici della vita; senza l'azione frenante delle logore imbottiture tradizionali essi sarebbero senza dubbio consegnati indifesi agli imperativi funzionali dell'economia e dell'amministrazione. A ciò si collega l'idea storicistica secondo cui la libertà soggettiva, che si presenta come scissione, può essere protetta dai pericoli di una socializzazione e burocratizzazione totali, soltanto se le svalutate potenze della tradizione assumono tuttavia un ruolo di compensazione. La loro validità oggettiva è ormai infranta; ma le si deve rafforzare come potenze di fede privatizzate « della 32 J. Habermas, Neokonservative Kulturkritik in den USA und in der Bundesrepublik, in Die Neue Uniibersichtlichkeit, Frankfurt a. M. 1985, pp. 30 sgg. 33 J. Ritter, Hegel und die franzosische Revolution, Frankfurt a. M. 1965, p. 62 (tr. it., Hegel e la Rivoluzione francese, Napoli 1970, p. 54). 34 lvi, p. 45 (tr. it. cit., p. 42). 74 www.scribd.com/Baruhk vita personale, della soggettività e dell'origine» 35 • La continuità della storia interrotta esteriormente nella società moderna deve essere conservata nella sfera della libertà interiore: « La soggettività si è fatta carico di conservare e mantener presenti nella religione quella conoscenza di Dio, nell'estetica quella bellezza, e quale morale quell'eticità, che sul terreno della società divengono, nella reificazione del mondo, un che di puramente soggettivo. Questa è la sua grandezza e il suo ufficio cosmico-storico » 36 • Ritter ha ben percepito la difficoltà di questa teoria della compensazione, ma non ha veramente compreso la paradossalità del suo tradizionalismo senza speranza, in quanto illuminato storicisticamente. Come possono continuare a vivere come potenze di fede soggettive quelle tradizioni, di cui con la decadenza delle immagini religiose e metafisiche del mondo vanno perdute le ragioni plausibili, se soltanto la scienza conserva ancora l'autorità di fondare qualcosa che deve essere ritenuto vero? Ritter crede che esse possano riacquistare la loro credibilità tramite il medium della loro riattualizzazione operata dalle scienze dello spirito. Le scienze moderne si sono liberate dalla pretesa razionale della tradizione filosofica. Esse rovesciano il rapporto classico fra teoria e prassi. Le scienze della natura, che producono un sapere tecnicamente valorizzabile, sono divenute una forma di riflessione della prassi, la prima forza produttiva. Fanno parte del contesto funzionale della società moderna. Ma ciò vale, in un senso diverso, anche per le scienze dello spirito; che non servono, è vero, alla riproduzione della vita sociale, ma sicuramente a compensare le deficienze della società. La società moderna ha bisogno « di un organo, che compensi la sua mancanza di storia e tenga aperto e presente quel mondo storico e spirituale, che deve porre fuori di se stessa » 37 • Ma con l'accenno alla funzione delle scienze dello spirito è ben difficile fondare il valore teoretico dei loro contenuti. Proprio se noi partiamo, come Ritter, da un'autocomprensione oggettivistica delle scienze dello spirito, non si riesce a vedere perché mai l'autorità del metodo scientifico dovrebbe comunicarsi a quei contenuti che per tal via sono attualizzati storicamente. Lo storicismo è anch'esso un'espressione di quel problema che esso risolve agli 35 36 lvi, p. 70 (tr. it. cit., p. 59). J. Ritter, Subjektivitiit und industriel/e Gesel/schaft, in Subjektivitiit, Frankfurt a. M. 1974, p. 138. 37 J. Ritter, Die Aujgabe der Geisteswissenschajten in der modernen Gesell· schaft, in Subjektivitiit cit., p. 131. 75 www.scribd.com/Baruhk occhi di Ritter: la musealizzazione operata dalle scienze dello spirito non restituisce alle potenze tradizionali svalutate la loro forza vincolante. La forma storica comparativa dell'Illuminismo non può neutralizzare quell'effetto di distanziamento che ha avuto inizio nel secolo XVIII con l'Illuminismo astorico 38 • Joachim Ritter collega un'interpretazione tecnocratica della società moderna con la valorizzazione funzionalistica della cultura tradizionale. I suoi discepoli neoconservatori ne hanno tratto la conseguenza che tutti quei fenomeni sgradevoli che non si adattano al quadro di una modernità compensativamente appagata, devono essere imputati all'attività culturale rivoluzionaria dei ' mediatori di senso '. Essi ripetono - naturalmente con un effetto ironico - la critica del vecchio Hegel alle astrazioni che si inseriscono fra la realtà razionale e la coscienza dei suoi critici. Infatti la soggettività dei critici ora non deve più consistere nel fatto che essi non sono in grado di cogliere una ragione modellata ad oggettività. Ai critici viene addebitato piuttosto l'errore di partire ancor sempre dall'attesa che la realtà possa assumere comunque una forma razionale. Essi devono lasciarsi insegnare dai loro avversari che il progresso scientifico è divenuto «privo d'interesse per le idee politiche ». Le conoscenze scientifiche sperimentali conducono a innovazioni tecniche o a raccomandazioni di tecnica sociale, le interpretazioni delle scienze dello spirito assicurano le continuità storiche. Chi avanza pretese teoretiche più ampie, chi pratica la filosofia e la sociologia sulle orme dei maestri del pensiero, si tradisce come un 'intellettuale', come un corruttore travestito da illuminista, che contribuisce al potere clericale della Nuova Classe. Dalla necessità di compensazione di una modernità sociale instabile i neoconservatori traggono l'ulteriore conseguenza, che i contenuti esplosivi della cultura moderna devono venir disinnescati. Essi spengono il riflettore della :;oscienza temporale orientata verso il futuro, e ricuperano tutta la realtà culturale, tutto ciò che non è direttamente incappato nel vortice della dinamica della modernizzazione, nella prospettiva della conservazione memorizzante. Questo tradizionalismo toglie il loro diritto tanto ai punti di vista costruttivi e· critici dell'universalismo morale, quanto alle forze creative e sovversive dell'arte d'avanguardia. Un'estetica rivolta al passato 39 minimizza in particolare 38 H. Schnadelbach, Geschichtsphi/osophie nach Hegel. Die Probleme des Historismus, Freiburg 1974. 39 J. Ritter, Landschaft. Zur Funktion des Asthetischen in der modernen Gesellschajt, in Subjektivitiit cit., pp. 141 sgg. 76 www.scribd.com/Baruhk quei motivi, emersi dapprima nel protoromanticismo, di CUl Sl è nutrita la critica nietzscheana della ragione, ispirata all'estetica. Nietzsche vuol far saltare il quadro del razionalismo occidentale, in cui si muovono pur sempre gli opposti fautori, di sinistra e di destra, dell'hegelismo. Questo antiumanesimo, che è stato continuato in due varianti da Heidegger e da Bataille, costituisce la vera sfida per il discorso della modernità. Intendo anzitutto ricercare, in base a Nietzsche, che cosa si nasconde dietro i gesti radicali di questa sfida. Se alla fine dovesse risultare che anche questa strada non conduce seriamente fuori dalla filosofia del soggetto, non dovremmo ritornare a quell'alternativa, che Hegel a Jena aveva lasciato cadere a sinistra - ad un concetto di ragione comunicativa, che pone in una diversa luce la dialettica dell'Illuminismo? Forse il discorso della modernità ha preso la direzione sbagliata proprio a quel primo crocevia, di fronte al quale si era fermato anche il giovane Marx, quando criticava Hegel 40 • Excursus sull'obsolescenza del paradigma della produzione Fin tanto che la teoria della modernità si orienta in base ai concetti fondamentali della filosofia della riflessione, ai concetti del conoscere, del divenir coscienti e dell'autocoscienza, il suo rapporto interno con il concetto della ragione o della razionalità è evidente. Ma ciò non si può dire senz'altro per i concetti fondamentali della filosofia della prassi, quali l'agire, l'autoproduzione e il lavoro. :È vero che i contenuti normativi dei concetti di prassi e di ragione, di attività produttiva e di razionalità, sono ancora intrecciati, certo in maniera non facile a scorgere, con la teoria marxiana del valore-lavoro. Ma questo intreccio si dissolve al più tardi negli anni Venti del nostro secolo, quando teorici come Gramsci, Luhks, Korsch, Horkheimer e Marcuse fanno valere, contro l'economismo e l'oggettivismo storico delia Seconda Internazionale, il senso originariamente pratico di una critica della reificazione. All'interno del marxismo occidentale si distinguono due linee tradizionali, determinate l'una dalla recezione di Max Weber e l'altra da una recezione di Husserl e di Heidegger. Il giovane Lukacs e la teoria critica intendono la reificazione come razionalizzazione, e dall'appropriazione mate40 Cfr., infra, la Lezione undicesima, pp. 297 sgg. 77 www.scribd.com/Baruhk rialistica di Hegel ricavano un concetto critico della razionalità, senza ricorrere per questo al paradigma della produzione 41 • Per contro, il giovane Marcuse e in seguito Sartre rinnovano il paradigma della produzione, che nel frattempo si era esaurito, leggendo il Marx degli scritti giovanili alla luce della fenomenologia di Husserl, e sviluppano un concetto di prassi fortemente normativa, senza ricorrere per questo ad una concezione della razionalità. Soltanto il mutamento di paradigma dall'attività produttiva all'agire comunicativo, e la riformulazione in termini di teoria della comunicazione, divenuta possibile grazie ad esso, del concetto di mondo della vita (che a partire dal saggio di Marcuse sul concetto filosofico del lavoro è entrato in sempre nuove combinazioni con il concetto marxiano della prassi) fa nuovamente incontrare quelle due tradizioni. La teoria dell'agire comunicativo produce infatti un'intima relazione fra prassi e razionalità, indagando gli assunti di razionalità della prassi comunicativa quotidiana e riportando il contenuto normativa dell'agire orientato verso l'intesa al concetto della razionalità comunicativa 42 • Questo mutamento di paradigma è motivato fra l'altro dal fatto che i fondamenti normativi di una teoria critica della società non potevano essere dimostrati né sull'una né sull'altra di queste linee tradizionali. Ho analizzato in altra sede le aporie del weber-marxismo. Vorrei ora discutere le difficoltà di un marxismo che rinnova il paradigma della produzione mediante prestiti dalla fenomenologia, in base a due lavori provenienti dalla Scuola di Budapest. È singolare che il tardo Lukacs abbia ancora azionato gli scambi verso una svolta antropologica ed una riabilitazione del concetto di prassi come ' mondo quotidiano' 43 • Husserl ha introdotto il concetto di costituzione della prassi nel contesto delle sue analisi del mondo della vita. Per sua natura non è certamente un concetto fatto per affrontare problematiche autenticamente marxiane: come si vede ad esempio dal fatto che le teorie del mondo quotidiano, sviluppate l'una indipendentemente dall'altra da Berger e Luckmann ricollegandosi 41 Cfr. in proposito: H. Brunkhorst, Paradigmakern und Theoriedynamik der Kritischen Theorie der Gesellschaft, in « Soziale Welt >>, 1983, pp. 25 no 1 sgg. (tr. it., Nucleo paradigmatico e dinamica teorica della teoria critica della società, in M. Protti [a cura di], Dopo la Scuola di Francoforte. Studi su f. Habermas, Milano 1984, pp. 171 sgg.). 42 J. Haberrnas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1981 (tr. it. cit.). 43 G. Luk:ks, Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, 3 voli., Neuwied 1971 sgg. (tr. it., Ontologia dell'essere sociale, 3 voli., Roma 1976, 1981). 78 www.scribd.com/Baruhk ad Alfred Schi.itz, e da Agnes Heller ricollegandosi a Lukacs, presentano somiglianze sorprendenti. In entrambi i casi il concetto dell'oggettivazione è centrale: « L'espressività umana è in grado di oggettivarsi; essa si manifesta cioè, in attività che sono accessibili sia ai loro produttori che agli altri in quanto elementi di un mondo comune» 44 • L'espressione usata nell'originale inglese 'human expressivity ' rimanda al modello espressivistico, attribuito da Ch. Taylor ad Herder, di un processo di produzione e di formazione, che è stato trasmesso a Marx tramite Hegel, il Romanticismo e naturalmente Feuerbach 45 • Il modello dell'alienazione e riappropriazione di forze essenziali dipende da un lato dalla dinamicizzazione del concetto aristotelico della forma: l'individuo dispiega le sue forze essenziali mediante la sua propria attività produttiva; e dall'altro lato dalla mediazione, operata dalla filosofia della riflessione, fra il concetto aristotelico e quello estetico della forma: le oggettivazioni, nelle quali la soggettività assume forma esterna, sono al contempo l'espressione simbolica di un atto creativo cosciente e di un processo di formazione inconscio. La produttività del genio artistico è perciò il prototipo di un'attività, in cui autonomia e autorealizzazione si uniscono in modo tale, che l'oggettivazione delle forze essenziali dell'uomo perde il carattere della violenza, nei confronti tanto della natura esterna quanto della natura interna. Ora Berger e Luckmann collegano tale idea con la produttività costituente il mondo della coscienza trascendentale di Husserl, e concepiscono il processo della riproduzione sociale in base a questo modello: « Il processo attraverso il quale i prodotti esteriorizzati dell'attività umana attingono il carattere dell'oggettività è l'oggettivazione » 46 • Ma l'oggettivazione designa soltanto una fase nel processo circolare di alienazione, oggettivazione, appropriazione e riproduzione delle forze essenziali dell'uomo, nel quale gli atti creativi sono associati con il processo di formazione dei soggetti socializzati: « La società è un prodotto umano. La società è una realtà oggettiva. L'uomo è un prodotto sociale » 47 • Questa prassi del mondo della vita è interpretata, ancora nel senso della filosofia della coscienza, come l'operazione di una 44 P. Berger- Th. Luckmann, Die gese/lscha!tliche Konstruktion der Wirklichkeit, Frankfurt a. M. 1966 (tr. it., La realtà come costruzione sociale, Bologna 1969, p. 57). 45 Ch. Taylor, Hegel, Cambridge 1975, pp. 76 sgg. 46 P. Berger- Th. Luckmann, op. cit., p. 65 (tr. it. cit., pp. 95 sg.). 47 Ibid. (tr. it., p. 96). 79 www.scribd.com/Baruhk soggettività che ne costituisce la base trascendentale: perciò le è immanente la normatività dell'autoriflessione. Nel processo del divenir cosciente è strutturalmente inserita una possibilità di errore: l'ipostatizzazione di prestazioni proprie in un In-sé. Di questa figura concettuale si serve il tardo Husserl nella sua critica delle scienze, al pari di Feuerbach nella sua critica della religione e di Kant nella sua critica dell'apparenza trascendentale. Perciò Berger e Luckmann possono collegare senza sforzo il concetto husserliano dell'oggettivismò con quello della reificazione: La reificazione è la percezione dei prodotti dell'attività umana come se fossero qualcosa di diverso dai prodotti umani, per esempio, fatti di natura, risultati di leggi cosmiche o manifestazioni della volontà divina. La reificazione implica che l'uomo è capace di dimenticare di essere lui stesso autore del mondo umano e inoltre che la dialettica tra l'uomo produttore e i suoi prodotti scompare dalla coscienza. Il mondo reificato è, per definizione, un mondo disumanizzato; l'uomo ne fa esperienza come di una fattualità estranea, come un opus alienum, sul quale non ha alcun controllo, piuttosto che come opus proprium della sua attività produttiva 48 • Nel concetto della reificazione si rispecchia il contenuto normativa del modello espressivistico: ciò che non può più giungere alla coscienza come il proprio prodotto, limita la propria produttività, ostacola al contempo l'autonomia e l'autorealizzazione, ed estranea il soggetto tanto dal mondo quanto da se stesso. La filosofia della prassi può convertire direttamente in senso naturalistico queste determinazioni proprie della filosofia della riflessione, non appena la figura concettuale idealistica della produzione o costituzione di un mondo venga concepita materialisticamente, cioè alla lettera come processo produttivo. In questo senso Agnes Heller definisce la vita quotidiana come « l'insieme delle attività dirette dagli individui alla loro riproduzione, che creano di volta in volta le possibilità della riproduzione sociale» 49 • Con l'interpretazione materialistica del concetto idealistico della costituzione della prassi, svolto in ultimo da Husserl, la 'produzione' si converte nell'erogazione di forza-lavoro, lvi, p. 95 (tr. it., pp. 135 sgg., modificata). A. Heller, Das Alltags/eben, Frankfurt a. M. 1978 (tr. it., La vita quotidiana, Ed. Riuniti 1975); cfr. anche Alltag und Geschichte, Neuwied 1970. 48 49 80 www.scribd.com/Baruhk l'' aggettivazione ' nella aggettivazione di forza-lavoro, l' ' appropriazione ' del ' prodotto ' nella soddisfazione di bisogni materiali, cioè in consumo. E la 'reificazione ', che priva i produttori delle loro forze essenziali alienate come qualcosa di estraneo, sottratto al loro controllo, diviene sfruttamento materiale, causato dalla appropriazione privilegiata della ricchezza socialmente prodotta, e in definitiva dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Questa reinterpretazione presenta certo il vantaggio di sgravare il concetto della prassi quotidiana da quegli obblighi di fondazione e da quelle difficoltà metodiche proprie di una filosofia fondamentalistica della coscienza, che Berger e Luckmann si assumono assimilando il concetto di prassi del giovane Marx a quello del tardo Husserl. Ma il paradigma della produzione strappato dalle radici che aveva nella filosofia della riflessione, porta con sé, qualora debba svolgere analoghi servizi di teoria sociale, per lo meno tre nuovi problemi: l. il paradigma della produzione delimita il concetto della prassi in modo tale che ci si deve chiedere come il tipo paradigmatico dell'attività del lavoro o della creazione di p1odotti si rapporti a tutte le restanti forme di espressione culturale di soggetti capaci di parlare e di agire. Agnes Heller annovera le istituzioni e le forme linguistiche di espressione fra le «aggettivazioni conformi al genere », non meno che i prodotti del lavoro in senso stretto 50 • 2. Il paradigma della produzione determina il concetto della prassi in un senso naturalistico, di modo che ci si chiede se dal processo di ricambio organico fra la società e la natura si possano ancora ricavare contenuti normativi. La Heller si riferisce con grande disinvoltura all'attività produttiva degli artisti e degli scienziati come ad un modello sempre valido per una rottura creativa delle pratiche abitudinarie della vita quotidiana estraniata 51 • 3. Il paradigma della produzione conferisce al concetto della prassi un significato empirico tanto chiaro, che ci si chiede se esso perda la sua plausibilità con la fine, storicamente prevedibile, della società del lavoro. Con tale domanda C. Offe ha aperto l'ultimo convegno tedesco di sociologia 52 • Mi limiterò alle due prime difficoltà, di cui si è occupato G. Markus 53 • 50 A. Heller, Das Alltagsleben cit., pp. 182 sgg. (tr. it. cit., pp. 193 sgg.). 51 I vi, pp. 25 sgg. 52 C. Offe, Arbeit als soziologische Schliisselkategorie?, in J. Matthes (a cura di), Krise der Arbeitsgesellschaft, Frankfurt a. M. 1983, pp. 38 sgg. 53 G. Markus, Die Welt menschlicher Obiekte, in A. Honneth- U. Jaeggi (a cura di), Arbeit, Handlung, Normativitiit, Frankfurt a. M. 1980, pp. 12 sgg.; versione ampliata: G. Markus, Langage et production, Paris 1981. 81 www.scribd.com/Baruhk 1. Markus vuole spiegare in qual senso non soltanto i manufatti, cioè i mezzi e i prodotti del processo lavorativo, bensì tutti gli elementi di un mondo sociale della vita, e persino lo stesso contesto del mondo della vita, si possano intendere come aggettivazioni del lavoro umano. Egli svolge la sua argomentazione in tre passi. In primo luogo Markus mostra che gli elementi oggettivi del mondo della vita devono il loro significato non soltanto a regole tecniche della produzione, bensì anche a convenzioni dell'uso. Il valore d'uso di un bene non rappresenta soltanto la forza-lavoro consumata e le capacità utilizzate per il processo di produzione, bensì anche il contesto di applicazione e i bisogni alla cui soddisfazione quel bene può servire. Come Heidegger analizza il carattere strumentale degli oggetti d'uso, così Markus mette in rilievo il carattere sociale che inerisce come una 'qualità naturale' all'oggetto prodotto per un determinato uso: « Un prodotto è un'aggettivazione solamente in rapporto ad un processo di appropriazione, cioè soltanto in rapporto a quelle attività di un individuo, nelle quali vengono seguite e interiorizzate le convenzioni d'uso essenziali - nelle quali cioè i bisogni e le capacità sociali che esso (nella qualità del suo valore d'uso) incorpora sono trasformate nuovamente in desideri e capacità viventi » 54 • Negli oggetti si oggettivizzano dunque non soltanto le forze di lavoro erogate produttivamente, bensì anche le possibilità determinate socialmente dell'appropriazione consumatrice. In secondo luogo, questa prassi, che si orienta tanto in base a regole tecniche della produzione quanto in base a regole utilitarie dell'uso, è però mediata da norme per la ripartizione dei mezzi di produzione e della ricchezza prodotta. Queste norme d'azione fondano diritti e doveri differenziali, e assicurano motivazioni per l'esercizio di ruoli sociali differenzialmente ripartiti, che a loro volta fissano attività, capacità e soddisfazione dei bisogni. La prassi sociale si presenta quindi sotto un duplice aspetto: da un lato come processo di produzione e di appropriazione, che si attua secondo regole tecnico-utilitarie e indica di volta in volta il livello dello scambio fra società e natura, cioè lo stato delle forze produttive; dall'altro lato come processo di interazione, che è regolato in base a norme sociali ed esprime l'accesso selettivo al potere e alla ricchezza, cioè i rapporti di produzione, i quali fondono il contenuto materiale ossia le capacità e i bisogni dati di volta in volta, nella forma specifica di 54 G. Markus, Die Welt cit., p. 28. 82 www.scribd.com/Baruhk una struttura privilegiata, che stabilisce la distribuzione delle posizioni. Infine Markus vede il vantaggio decisivo del paradigma della produzione nel fatto che esso consentirebbe di pensare « l'unità di questo processo dualistico », cioè di intendere la prassi sociale « tanto come lavoro, quanto come riproduzione di relazioni sociali» 55 • Dal punto di vista della produzione si potrebbe rendere comprensibile « l'unità dei processi di interazione fra uomo e natura e fra uomo ed uomo » 56 • Questa affermazione è sorprendente, perché lo stesso Markus distingue, con tutta la chiarezza desiderabile, fra le regole tecnico-utilitarie della produzione e dell'uso dei prodotti da un lato, e le regole dell'iuterazione sociale, cioè le norme d'azione sociali affidate al riconoscimento e al sanzionamento intersoggettivo dall'altro. Di conseguenza egli traccia una chiara separazione analitica fra la ' sfera tecnica' e la 'sfera sociale'. Non lascia sussistere alcun dubbio sul fatto che la prassi, intesa nel senso della produzione e dell'uso utile dei prodotti, ha effetti strutturanti solamente per il processo di ricambio organico fra l'uomo e la natura. Al contrario, la prassi intesa come interazione guidata da norme non può venire analizzata in base al modello dell'erogazione produttiva di forza-lavoro e del consumo di valori d'uso. La produzione costituisce semplicemente un oggetto, oppure un contenuto per regolamentazioni normative. Senza dubbio, secondo Markus l'elemento tecnico e quello sociale si possono separare soltanto analiticamente nel corso della storia quale si è svolta finora; empiricamente, queste sfere rimangono indissolubilmente intrecciate fra loro, fin tanto che le forze produttive e i rapporti di produzione si determinano a vicenda. Perciò Markus utilizza la circostanza che il paradigma della produzione è adatto soltanto a spiegare il lavoro, ma non l'interazione, per determinare quella formazione sociale che avrà prodotto una separazione istituzionale tra la sfera tecnica e quella sociale. A suo parere cioè il socialismo è caratterizzato appunto dal fatto che esso « riduce le attività produttive-materiali a ciò che esse sono e sempre furono secondo la loro destinazione, cioè a ricambio organico attivo-razionale con la natura, ad attività puramente ' tecnica' al di là tanto delle convenzioni quanto del dominio sociale» 57 • 55 56 57 lvi, p. 36. lvi, p. 74. lvi, p. 51. 83 www.scribd.com/Baruhk 2. Con ciò tocchiamo la questione concernente il contenuto normativo del concetto di prassi interpretato produttivisticamente. Se ci si raffigura il processo di ricambio organico fra l'uomo e la natura come un processo circolare, in cui produzione e consumo si stimolano e si ampliano a vicenda, allora per valutare l'evoluzione sociale si offrono due criteri: l'aumento del sapere tecnicamente valorizzabile e la differenziazione e universalizzazione dei bisogni. Li si può sussumere entrambi sotto il punto di vista funzionalistico dell'aumento di complessità. Oggi però nessuno vorrà più affermare che la qualità della convivenza sociale debba necessariamente migliorare con la crescente complessità dei sistemi sociali. Il modello del processo di ricambio organico suggerito dal paradigma della produzione non ha un contenuto normativo, più che il . modello, nel frattempo subentrato al suo posto, del rapporto fra sistema e ambiente. Ma come stanno le cose a proposito dell'autonomia e dell'autorealizzazione, che erano insite nel concetto del processo di formazione proprio della filosofia della riflessione? Questi contenuti normativi possono venir ricuperati dal punto di vista della filosofia della prassi? Come si è visto, Markus fa un uso normativo della distinzione fra una prassi che si regola tramite regole tecnico-utilitarie sotto le coazioni della natura esterna, ed un concetto della prassi che sottostà a norme d'azione, nelle quali si riflettono interessi, orientamenti valoristici e finalità quali forme espressive della natura soggettiva. Egli prende in considerazione come scopo pratico la separazione istituzionale fra il tecnico e il sociale, la scissione tra una sfera di necessità esterna ed una sfera nella quale tutte le 'necessità' sono in definitiva autoprovocate: La categoria del lavoro, che la teoria critica della società, a differenza dell'economia politica, 'mette al primo posto', assume verità pratica soltanto nella società socialista; infatti qui solo [ ... ] il divenire degli uomini si realizza tramite un proprio agire consapevole del proprio scopo, determinato unicamente da quell'oggettività sociale, che gli uomini trovano già bell'e fatta e che, come natura, pone limiti al loro agire 58 • Questa formulazione non esprime ancora abbastanza chiaramente l'idea che la prospettiva dell'emancipazione non deriva affatto dal paradigma della produzione, bensì dal paradigma 58 lvi, p. 50. 84 www.scribd.com/Baruhk dell'agire orientato verso l'intesa. :È la forma dei processi di interazione che deve essere cambiata, se si vuole scoprire praticamente che cosa potrebbero volere e che cosa dovrebbero fare nell'interesse comune nella situazione data di volta in volta i membri di una società. Più chiaro risulta quest'altro passo: « Quando gli uomini determinano gli scopi e i valori collettivamente sociali del loro agire nella consapevolezza delle coazioni e limitazioni della loro situazione di vita e mediante l'espressione e il confronto dialogico dei loro bisogni, (solo) allora la loro vita è razionale » 59 • Come in realtà possa venir fondata questa idea della ragione quale idea che di fatto è insita nei rapporti di comunicazione e che deve essere attuata praticamente, non potrà certo dircelo una teoria legata al paradigma della produzione. 59 lvi, p. 114. www.scribd.com/Baruhk 4. L'ENTRATA NEL POST-MODERNO: NIETZSCHE QUALE PIATTAFORMA GIREVOLE I Né Hegel, né i suoi diretti discepoli della sinistra o della destn hanno mai voluto mettere in discussione le conquiste della modernità, ciò da cui l'età moderna traeva il suo orgoglio e la coscienza di se stessa. L'epoca moderna sta anzitutto sotto il segno della libertà soggettiva: che nella società si realizza come ambito per il perseguimento dei propri interessi garantito dal diritto privato, nello Stato come partecipazione per principio paritetica alla formazione della volontà politica, nel privato come autonomia etica e realizzazione di se stessi, ed infine nella sfera pubblica relativa a questa sfera privata come processo di formazione, che si attua tramite l'appropriazione della cultura divenuta riflessiva. Anche le figure dello spirito assoluto e dello spirito oggettivo hanno assunto, dalla prospettiva del singolo individuo, una struttura nella quale lo spirito soggettivo può emanciparsi dalla mera spontaneità naturale delle forme di vita tradizionali. Ma le sfere nelle quali l'individuo conduce la sua vita come borghese, come cittadino e come uomo, si separano sempre più l'una dall'altra, fino a divenire indipendenti. Quelle stesse separazioni e autonomizzazioni che, dal punto di vista della filosofia della storia, aprono la via all'emancipazione da antichissime dipendenze, sono sentite anche come astrazioni, come estraneazione dalla totalità di un contesto di vita etico. Un tempo la religione era l'infrangibile sigillo di questa totalità. Non a caso, ora questo sigillo si è spezzato. Le forze religiose dell'integrazione sociale sono venute meno in seguito ad un processo di ' illuminazione', che non può essere revocato, così come non è stato prodotto arbitrariamente. L'Illuminismo è caratterizzato dall'irreversibilità dei processi di 86 www.scribd.com/Baruhk apprendimento derivante dall'impossibilità di dimenticare a proprio libito idee, che invece possono essere soltanto rimosse, oppure corrette da idee migliori. Perciò l'Illuminismo può compensare le sue lacune solamente per mezzo di un Illuminismo radicalizzato; perciò Hegel e i suoi discepoli devono porre la loro speranza in una dialettica dell'Illuminismo, nella quale la ragione possa fungere da equivalente della potenza unificatrice della religione. Essi hanno formulato concezioni della ragione che dovevano realizzare un tale programma. Abbiamo visto come e perché questi tentativi sono falliti. Hegel concepisce la ragione come autoconoscenza conciliante di uno spirito assoluto, la sinistra hegeliana come appropriazione liberatrice di forze essenziali alienate nella produzione, la destra hegeliana come compensazione rimemorante della sofferenza derivata da divisioni inevitabili. La concezione hegeliana si dimostrò troppo forte; lo spirito assoluto ignora impassibilmente il processo della storia rivolto al futuro e il carattere inconciliato del presente. Contro il quietistico ritrarsi del clero dei filosofi da una realtà inconciliata, i giovani hegeliani rivendicano perciò il diritto profano di un presente che attende ancora la realizzazione dell'idea filosofica. Tuttavia è indubbio che essi mettano in gioco un concetto troppo ristretto della prassi. Tale concetto non fa che potenziare quella violenza della razionalità finalistica assolutizzata, che dovrebbe invece superare. I neoconservatori possono rinfacciare alla filosofia della prassi quella complessità sociale che si afferma ostinatamente contro ogni speranza rivoluzionaria. A loro volta essi modificano la concezione hegeliana della ragione in modo che insieme alla razionalità si manifesti anche la necessità di risarcire la modernità sociale. Ma questa concezione non basta per rendere comprensibile l'attività compensatrice di uno storicismo che deve mantenere in vita le potenze tradizionali per mezzo delle scienze dello spirito. Contro questa cultura compensativa, alimentata alle fonti della storiografia antiquaria, Nietzsche valorizza la coscienza moderna del tempo, così come una volta i giovani hegeliani contro l'oggettivismo della filosofia hegeliana della storia. Nella seconda delle « Considerazioni inattuali » (Sull'utilità e il danno della storia per la vita), Nietzsche analizza l'inefficacia di una tradizione culturale staccata dall'azione e trasferita nella sfera dell'interiorità: « Il sapere che viene preso in eccesso, senza fame, anzi contro il bisogno, oggi non opera più come motivo che trasformi e spinga verso l'esterno, ma rimane nascosto in un certo caotico mondo interno [ ... ]. E quindi tutta la cultura mo- 87 www.scribd.com/Baruhk derna è essenzialmente interna [ ... ], un 'manuale di cultura interna per barbari esterni ' » 1 • La coscienza moderna, oberata di sapere storico, ha perduto quella « forza plastica della vita », che mette gli uomini in cçmdizione di « interpretare il passato » con lo sguardo rivolto al futuro e « con la massima forza del presente» 2 • Le scienze dello spirito che procedono metodicamente, siccome seguono un ideale falso, perché irraggiungibile, di oggettività, neutralizzano i criteri necessari alla vita e diffondono un relativismo paralizzante: « In tutti i tempi fu diverso, non conta come tu sia» 3 • Esse bloccano la capacità « di infrangere e di dissolvere [ogni tanto] un passato, per poter vivere [nel presente] » 4• Come già i giovani hegeliani, nell'ammirazione storicistica per il ' potere della storia ' Nietzsche fiuta una tendenza, che fin troppo facilmente si rovescia nell'ammirazione della politica realìstica per il nudo successo. Quando Nietzsche entra nel discorso della modernità, l'argomentazione si modifica da. capo a fondo. La ragione era stata concepita dapprima come autoconoscenza riconciliante, poi come appropriazione liberante, infine come memoria risarcente, affinché potesse presentarsi come un equivalente del potere unificante della religione e superare con le proprie forze propulsive le scissioni della modernità. Questo tentativo di adattare il concetto di ragione al programma di un Illuminismo in sé dialettico è fallito tre volte. In tale situazione Nietzsche non aveva altra scelta che quella di sottoporre ancora una volta la ragione centrata nel soggetto ad una critica immanente - oppure di abbandonare del tutto tale programma. Nietzsche si decide per la seconda alternativa - rinuncia ad una rinnovata revisione del concetto di ragione e manda in congedo la dialettica dell'Illuminismo. In particolare, la deformazione storicistica della coscienza moderna, l'afflusso indiscriminato di contenuti arbitrari e lo svuotamento di tutto ciò che è essenziale lo inducono a dubitare che la modernità possa ancora attingere da se stessa i propri criteri: « Noi moderni infatti non caviamo proprio niente da noi stessi » 5 • È vero che Nietzsche applica ancora una volta la figura concettuale della dialettica dell'Illuminismo all'Illuminil F. Nietzsche, Siimtliche Werke in 15 volumi, a cura di G. Colli e M. Montinari, Berlin 1967 sgg., vol. l, pp. 273 sgg. (in seguito citato come N.) (edizione italiana a cura degli stessi, Milano 1967 sgg., vol. III, l, pp. 288 sg.). 2 N., vol. l, pp. 293 sg. (ed. it. cit., III, l, p. 311). 3 N., vol. I, pp. 299 sg. (III, l, p. 317). 4 N., vol. l, p. 269 (III, l, p. 284). s N., vol. I, p. 273 (III, l, p. 289). 88 www.scribd.com/Baruhk smo storico, ma ora allo scopo di far saltare la scorza razionale della modernità come tale. Nietzsche adopera la scala della ragione storica per gettarla via alla fine, e mettere piede nel mito, nell'Altro dalla ragione: Giacché l'origine della cultura storica - e della sua contraddizione assolutamente e intimamente radicale rispetto allo spirito di un 'nuovo tempo', di una 'coscienza moderna' - questa origine deve essa stessa essere riconosciuta storicamente, la storia deve essa stessa risolvere il problema della storia, il sapere deve volgere il suo pungolo contro se stesso; questo triplice deve è l'imperativo dello spirito del 'tempo nuovo', nel caso che vi sia in esso qualcosa di nuovo, di forte, di originale, qualcosa che promette vita 6 • Qui naturalmente Nietzsche pensa alla sua Nascita della tragedia, una ricerca condotta con mezzi storico-filologici, che lo riconduce, al di là del mondo alessandrino e al di là di quello romano-cristiano, fino agli inizi, nell'« originario mondo greco antico di ciò che è grande, naturale e umano ». Per questa via i ' tardivi ' della modernità che pensano antiquariamente devono divenire i ' precursori ' di un'epoca postmoderna - un programma che Heidegger riprenderà in Sein und Zeit. Per Nietzsche, la situazione di partenza è chiara. Da un lato l'Illuminismo storico non fa altro che rafforzare le lacerazioni che si sono fatte sentire nelle conquiste della modernità; la ragione che si presenta sotto la forma di una religione della cultura non dispiega più alcuna forza sintetica capace di rinnovare la potenza unificatrice della religione tradizionale. Dall'altro lato la via del ritorno nella restaurazione è preclusa alla modernità. Le immagini religioso-metafisiche del mondo delle culture antiche sono già esse stesse un prodotto dell'Illuminismo, sono cioè troppo razionali, per poter contrapporre ancora qualcosa all'Illuminismo radicalizzato della modernità. Come tutti quelli che balzano fuori dalla dialettica dell'Illuminismo, anche Nietzsche mette mano ad un vistoso livellamento. La modernità perde la sua posizione eminente; essa costituise;e ancora soltanto un'ultima epoca nella grandiosa storia di una razionalizzazione che inizia con la dissoluzione della vita arcaica e con la decomposizione del mito 7 • In Europa questo taglio netto 6 N., vol. I, p, 306 (III, 1, p. 324). 7 Ciò vale anche per Horkheimer e Adorno, che sotto questo rispetto si avvicinano a Nietzsche, Bataille e Heidegger. Ma si veda infra, pp. 109 sgg. 89 www.scribd.com/Baruhk è segnato da Socrate, il fondatore del pensiero filosofico, e da Cristo, il fondatore del monoteismo ecclesiastico: «A che cosa accenna l'enorme bisogno storico della cultura moderna insoddisfatta, l'affastellarsi di innumerevoli altre culture, la divorante volontà di conoscere, se non alla perdita del mito, alla perdita della patria mitica [ ... ]? »8 • Ma la coscienza moderna del tempo vieta ogni idea di regressione, di ritorno diretto alle origini mitiche. Unicamente il futuro costituisce l'orizzonte per il risveglio di passati mitici: « Il responso del passato è sempre un responso oracolare: soltanto come architetti del futuro, come sapienti del presente voi lo capirete! » 9 • Questo atteggiamento utopico, che si rivolge verso il dio veniente, distingue l'impresa di Nietzsche dal reazionario 'ritorno alle origini'. Soprattutto il pensiero teleologico, che mette in contrasto fra loro l'origine e la meta, perde la sua forza. E Nietzsche, siccome non nega, bensì acuisce la coscienza moderna del tempo, può presentare l'arte moderna, che nelle sue forme d'espressione più soggettive spinge all'estremo questa coscienza, come quel medium nel quale la modernità si incontra con l'arcaico. Mentre lo storicismo allestisce il mondo come se fosse un'esposizione e trasforma i gaudenti contemporanei in spettatori annoiati, soltanto la potenza sovrastorica di un'arte che si consuma nell'attualità può apportare la salvezza per «l'angustia, l'intima miseria degli uomini moderni» 10 • Il giovane Nietzsche aveva allora dinanzi agli occhi il programma di Richard Wagner, che aveva aperto il suo saggio sulla religione e sull'arte con queste parole: « Si potrebbe dire che qui, dove la religione diviene artistica, sia riservato all'arte di salvare il nucleo della religione, cogliendo i simboli mitici, che la prima vuole siano creduti nel loro senso autentico, secondo i loro valori simbolici, per far conoscere, mediante la loro esposizione ideale, la profonda verità in essi celata » 11 • Una festa religiosa divenuta opera d'arte deve superare, con la pubblicità rinnovata del culto, l'interiorità della cultura storica di cui ci si è appropriati in privato. Una mitologia esteticamente rinnovata deve liberare quelle forze dell'integrazione sociale che nella società concorrenziale si sono irrigidite: essa decentrerà la coscienza moderna aprendola ad esperienze arcaiche. Quest'arte del futuro si nega come produzione di un artista individuale e N., vol. I, p. 146 (III, l, p. 152). N., vol. I, p. 294 (III, l, p. 312). 10 N., vol. I, pp. 281, 330 (III, l, p. 297). 11 R. Wagner, Siimtliche Schriften und Dichtungen, vol. X, p. 211. 8 9 90 www.scribd.com/Baruhk installa « il popolo stesso come l'artista del futuro » 12 • Perciò Nietzsche celebra W agner come ' rivoluzionario della società ' e come colui che ha oltrepassato la cultura alessandrina. Egli si aspetta che da Bayreuth si irradiino gli effetti delle tragedie dionisiache - « che lo Stato e la società e in genere gli abissi fra uomo ed uomo cedano ad un soverchiante sentimento di unità che riconduce al cuore della natura» 13 • Più tardi, come è noto, Nietzsche si è allontanato con disgusto dal mondo dell'opera wagneriana. Più interessante che i motivi personali, politici ed estetici di questo distacco, è il determinante motivo filosofico, che si cela dietro alla domanda: « Come dovrebbe essere fatta una musica che non fosse più (come quella di Wagner) di origini romantiche - bensì dioni· siache? » 14 • Di origine romantica è l'idea di una nuova mitologia, romantico è anche il ricorso a Dioniso come al dio veniente. Tuttavia Nietzsche si distanzia dall'uso romantico di queste idee e ne proclama una versione manifestamente più radicale, che indica oltre Wagner. Ma in che cosa si distingue il dionisiaco dal romantico? II Nell'Altestes Systemprogramm del 1796-97 abbiamo g1a mcon· trato l'attesa di una nuova mitologia, che elegge la poesia quale maestra dell'umanità. Già qui si può ravvisare un motivo, che in seguito sarà messo in rilievo da W agner e da Nietzsche: l'arte deve riconquistare, nelle forme di una mitologia rinnovata, il carattere di una istituzione pubblica, e dispiegare la forza per rigenerare la totalità etica del popolo 15 • Nello stesso senso, alla fine del suo Sistema dell'idealismo trascendentale Schelling afferma che la nuova mitologia « non può essere l'invenzione di un singolo poeta, bensì di una nuova stirpe, che quasi rappresenti un solo poeta» 16 • Analogamente Friedrich Schlegel nel suo Discorso sulla mitologia: « Alla nostra poesia manca un lvi, p. 172. N., vol. l, p. 56 (III, 1, p. 54). Nel Versuch einer Selbstkritik, che è la Prefazione alla seconda edizione della Geburt der Tragodie, N., vol. l, p. 20 (III, 1, p. 13); cfr. il Nachlass, N., vol. XII, p. 117. 15 M. Frank, Der kommende Gott. Vorlesungen uber die neue Mythologie, Frankfurt a. M. 1982, pp. 180 sgg. 16 Schellings Werke, a cura di M. Schrèiter, vol. Il, p. 629 (tr. it., Sistema dell'idealismo trascendentale, Bari 1926, p. 317). 12 13 14 91 www.scribd.com/Baruhk punto centrale, quale lo era la mitologia per gli antichi, e tutto ciò che vi è di essenziale, in cui l'arte poetica moderna è inferiore all'antica, può riassumersi in queste parole: noi non abbia· mo nessuna mitologia. Ma [ ... ] siamo vicini ad acquisirne una» 17 • Entrambe queste pubblicazioni nascono del resto nell'anno 1800, e non fanno che tessere in diverse varianti l'idea di una nuova mitologia. Un altro motivo contenuto nell'Altestes Systemprogramm è l'idea che con la nuova mitologia l'arte soppianterà la filosofia, perché l'intuizione estetica è « l'atto supremo della ragione »: «Verità e bontà (sono) affratellate soltanto nella bellezza» 18 • Questa frase potrebbe servire quale motto per il Sistema di Schelling del 1800. Nell'intuizione estetica Schelling trova la soluzione di un enigma: come si possa portare alla coscienza dell'io l'identità di libertà e necessità, di spirito e natura, di attività cosciente e inconscia, in un prodotto da lui stesso creato: «Appunto perciò l'arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, perché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che nella natura e nella storia è separato, e quello che nella vita e nell'azione, come nel pensiero, deve fuggirsi eternamente » 19 • Nelle condizioni moderne di una riflessione spinta fino all'estremo, l'arte, e non la filosofia, custodisce la fiamma di quell'assoluta identità, che si era accesa un tempo nei culti solenni delle comunità di fede religiose. L'arte, che riacquisterebbe il suo carattere pubblico nella forma di una nuova mitologia, non sarebbe più soltanto l'organo, bensì anche la meta e il futuro della filosofia. Quest'ultima, una volta raggiunta la sua pienezza, potrebbe riconfluire in quell'oceano della poesia, dal quale un tempo era uscita: « Quale poi sarà l'intermediario del ritorno della scienza alla poesia, non è difficile dirlo in modo generale, essendo un tale intermediario esistito nella mitologia [ ... ]. Ma come possa nascere una nuova mitologia [ ... ] è un problema, la cui soluzione si deve attendere solo dai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia » 20 • La differenza rispetto ad Hegel è palese: non la ragione speculativa, bensì soltanto la poesia, quando divenga pubblicamente efficace nella forma di una nuova mitologia, può sostituire la forza unificante della religione. Tuttavia, per giungere a questa 17 F. Schlegel, Kritische Ausgabe, vol. II, p. 312. 18 19 20 G. W. F. Hegel, Suhrkamp-Werkausgabe cit., vol. l, p. 235. F. W. J. Schelling, op. cit., vol. II, p. 628 (tr. it. cit., p. 316). lvi, p. 629 (tr. it. cit., p. 317). 92 www.scribd.com/Baruhk conclusione, Schelling costruisce un intero sistema filosofico. È la medesima ragione speculativa, che supera se stessa tramite il programma di una nuova mitologia. Schlegel, invece, consigliava al filosofo di spogliarsi « degli ornamenti marziali del sistema » e di condividere « con Omero la dimora nel tempio della nuova poesia» 21 • Nelle mani di Schlegella nuova mitologia si tramuta da un'aspettazione fondata filosoficamente in una speranza messianica, che si fa incitare da indizi storici - da indizi i quali stanno a indicare che « l'umanità lotta con tutte le sue forze per trovare il suo centro. Essa deve necessariamente o andare in rovina [ ... ], oppure ringiovanire [ ... ]. L'antichità divenuta smorta ritornerà nuovamente a vivere, e il più lontano futuro della civiltà si annuncia già nei suoi presagi » 22 • La temporalizzazione messianica di ciò che in Schelling era una fondata aspettazione storica, dipende dal mutato valore di posizione che Schlegel assegna alla ragione speculativa. Senza dubbio quest'ultima aveva spostato il suo centro gravitazionale già in Schelling, per il quale la ragione non poteva più divenire padrona di se stessa nel proprio medium dell'autoriflessione, ma poteva ritrovarsi soltanto nel medium preparatorio dell'arte. Ma ciò che secondo Schelling si può intuire nei prodotti dell'arte, è però ancora la ragione divenuta oggettiva - la stretta unione del vero e del buono nel bello. Appunto questa unità è ciò che Schlegel mette in questione. Egli insiste sull'autonomia del bello, nel senso « che esso è separato dal vero e dall'etico, e che (ha) diritti eguali ai loro » 23 • La nuova mitologia non deve affatto la sua forza vincolante ad un'arte nella quale si collegano strettamente tutti i momenti della ragione, bensì al dono divinatorio della poesia, che si distingue appunto dalla filosofia e dalla scienza, dalla morale e dall'eticità: « Qui sta infatti l'inizio di ogni poesia: nel superare l'andamento e le leggi della ragione che pensa razionalmente, e nel trasferirei di nuovo nella bella confusione della fantasia, nel caos originario della natura umana, per il quale io non conosco finora ness11n si11.!:_ bolo più bello che la variopinta moltitudine degli dèi antichi» 24 • Schlegel non intende più la nuova mitologia come sensibilizzazione della religione, come un estetizzarsi delle idee, che per F. Schlegel, Kritische Ausgabe cit., vol. II, p. 317. lvi, p. 314. Athenaum Fragment no 252, in Schlegel, op. cit., II, p. 207; cfr. in proposito K. H. Bohrer, Friedrich Schlegels Rede uber die Mythologie, in K. H. Bohrer (a cura di), Mythos und Moderne, Frankfurt a. M. 1983, pp. 52 sgg. 24 F. Schlegel, op. cit., II, p. 319. 21 22 23 93 www.scribd.com/Baruhk questa via dovrebbero associarsi agli interessi del popolo. Solo una poesia divenuta autonoma, purificata da commistioni con la ragione teoretica e pratica, apre invece la porta verso il mondo delle originarie potenze mitiche. Unicamente l'arte moderna può entrare in comunicazione con le fonti arcaiche dell'integrazione sociale, che nella modernità si sono inaridite. In base a questa interpretazione, la nuova mitologia si aspetta che la modernità scissa si metta in rapporto con il ' caos originario' come l'Altro dalla ragione. Ma se alla produzione del nuovo mito manca la forza propulsiva della dialettica dell'Illuminismo, se l'aspettazione « di quel grande processo di ringiovanimento universale » non può più venir fondata dalla filosofia della storia, allora il messianismo romantico 25 ha bisogno di un'altra figura concettuale. A questo proposito merita interesse la circostanza che Dioniso, il dio errante dell'ebbrezza, della follìa e delle incessanti metamorfosi, conosca una sorprendente rivalutazione nel protoromanticismo. Il culto di Dioniso poteva riuscire attraente per un'epoca illuministica che sta perdendo la fiducia in se stessa, perché, nella Grecia di Euripide e della critica sofistica, aveva mantenute vive antiche tradizioni religiose. Ma il motivo decisivo è indicato da M. Frank nella circostanza che, come dio veniente, Dioniso poteva attirare su di sé speranze di redenzione 26 • Zeus aveva generato con una donna mortale, Semele, Dioniso, che viene perseguitato da Hera, la sposa di Zeus, con la sua ira divina, e gettato infine nella follìa. Da allora Dioniso continua a vagare per il Nordafrica e l'Asia Minore insieme ad una selvaggia schiera di Satiri e di Baccanti, un ' dio straniero', come dice Holderlin, che precipita l'Occidente nella 'notte degli dèi ', e lascia dietro di sé soltanto i doni dell'ebbrezza. Ma un giorno, rinato attraverso i misteri e liberato dalla follìa, Dioniso dovrà ritornare. Da tutti gli altri dèi greci egli si distingue appunto come il dio assente, il cui ritorno è ancora di là da venire. Il paragone con Cristo era ovvio: anch'egli è morto, e lascia dietro di sé, fino al giorno del suo ritorno, pane e vino 27 • Dioniso presenta però la particolarità che pur negli eccessi cultuu.li conserva, 25 Su questa espressione cfr. W. Lange, Tod ist bei Gottern immer ein Vortei/, in K. H. Bohrer, op. cit., p. 127. 26 M. Frank, op. cit., pp. 12 sgg. 27 L'equiparazione di Dioniso con Cristo è studiata da M. Frank, op. cit., pp. 257-342, in base all'esempio dell'elegia Brot und Wein di Holderlin. Cfr. anche P. Szondi, HO/derlin-Studien, Frankfurt a. M. 1970, pp. 95 sgg. 94 www.scribd.com/Baruhk per così dire, anche quel fondo di solidarietà sociale che per l'Occidente cristiano è andato perduto insieme con le forme arcaiche della religiosità. Perciò Holderlin associa al mito di Dioniso quella peculiare forma dell'esegesi storica che poteva incoraggiare un'aspettazione messianica, e che è rimasta attiva fino ad Heidegger. L'Occidente, fin dai suoi inizi, perdura nella notte della lontananza degli dèi, o dell'oblìo dell'Essere; il dio del futuro rinnoverà le perdute potenze dell'origine; e il dio che si avvicina fa presentire il suo avvento già con la dolente coscienza della sua assenza, con la sua 'massima lontananza'; facendo sentire con sempre maggiore urgenza ai derelitti ciò che è stato loro sottratto, egli promette in modo tanto più convincente il suo ritorno; nel più grande pericolo nasce anche il Salvatore 28 • Proprio nella sua concezione dionisiaca della storia, Nietzsche non è originale. La tesi storica sull'origine del coro della tragedia greca dal culto greco arcaico di Dioniso ricava il suo effetto di critica della modernità da un contesto che si era già costituito nel protoromanticismo. A maggior ragione occorre, quindi, spiegare perché Nietzsche abbia preso le distanze da questo retroscena romantico. La chiave è offerta dall'equazione fra Dioniso e Cristo, che non è certo stata formulata soltanto da Holderlin, ma viene intrapresa da Novalis, Schelling, Creuzer, e in generale nella recezione dei miti da parte del primo romanticismo. Questa identificazione del traballante dio del vino con il dio cristiano della redenzione è possibile soltanto perché il messianismo romantico tende non già ad accomiatare, bensì a ringiovanire l'Occidente. La nuova mitologia doveva ritrovare una solidarietà perduta, senza però rinnegare quell'emancipazione che il distacco dalle originarie potenze mitiche aveva pure prodotto per i singoli individuati al cospetto dell'Unico ·Dio 29 • Nel romanticismo il ricorso a Dioniso doveva soltanto servire a rendere accessibile quella lìbertà pubblica, in cui le promesse cristiane devono attuarsi nell'al di qua, di modo che il principio della soggettività, approfondito, e al contempo portato autorita28 Cfr. l'inizio della poesia Patmos: <<Wo aber Gefahr ist, wiichst das Rettende auch >>, in F. Hiilderlin, Siimtliche Werke, vol. Il, a cura di F. Beissner, p, 173. 29 Jacob Taubes osserva in tale contesto che Schelling riguardo a questa soglia fra la coscienza arcaica e quella storica, ha nettamente differenziato tra la filosofia della mitologia e la filosofia della rivelazione: <<Non dunque ' essere e tempo', bensl 'essere e tempi' è il programma del tardo Schelling. Il tempo mitico e il tempo della rivelazione sono qualitativamente diversi» (J. Taubes, Zur Konjunktur des Polytheismus, in K. H. Bohrer, op. cit., p. 463). 95 www.scribd.com/Baruhk riamente al dominio, dalla Riforma e dall'Illuminismo, potesse perdere la sua limitatezza. III Il Nietzsche maturo riconosce che quel Wagner, nel quale la modernità addirittura si 'riassume', condivideva con i romantici la prospettiva dell'attuazione ancora incompiuta dell'età moderna. Proprio Wagner spinge Nietzsche alla « delusione su tutto ciò che rimane per l'entusiasmo a noi uomini moderni», perché, da decadente disperato, « improvvisamente [ ... ] si prostrò dinanzi alla croce cristiana» 30 • Wagner rimane dunque legato al collegamento romantico fra il dionisiaco e il cristiano. Al pari dei romantici, egli non apprezza in Dioniso quel semidio che redime radicalmente dalla maledizione dell'identità, che mette fuori gioco il principio dell'individuazione, che valorizza il polimorfo contro l'unità del Dio trascendente, l'anomia contro lo statuito. In Apollo i Greci hanno divinizzato l'individuazione, il rispetto dei limiti dell'individuo. Ma la bellezza e la moderazione apollinee non facevano altro che velare quel sottofondo dell'elemento titanico e barbarico, che si manifestava nel tono estatico delle feste dionisiache: « L'individuo, con tutti i suoi limiti e le sue misure, sprofondò qui nell'oblìo di sé degli stati dionisiaci e dimenticò i canoni apollinei » 31 • Nietzsche richiama alla memoria l'accenno di Schopenhauer a quell'« orrore, che afferra l'uomo, quando improvvisamente perde la fiducia nelle forme di conoscenza del fenomeno, in quanto il principio di ragione sembra soffrire un'eccezione [ ... ]. Se a questo orrore aggiungiamo l'estatico rapimento che, per la stessa violazione del principium individuationis sale dall'intima profondità dell'uomo, anzi della natura, riusciamo allora a gettare uno sguardo nell'essenza del dionisiaco » 32 • Ma Nietzsche non era soltanto il discepolo di Schopenhauer; era anche il contemporaneo di Mallarmé e dei simbolisti, un fautore dell'arte per l'arte. Perciò nella descrizione del dionisiaco - quale elevazione del soggettivo fino al completo oblìo di sé - rientra anche l'esperienza (radicalizzata ancora una volta rispetto al romanticismo) dell'arte contemporanea. Ciò che 30 N., vol. VI, pp. 431 sg. N., vol. l, p. 41 (tr. it. cit., III, 1, p. 38). 32 N., vol. I, p. 28 (tr. it. cit., III, 1, pp. 24 sg.). 31 96 www.scribd.com/Baruhk Nietzsche chiama il 'fenomeno estetico', si svela nei concentrati rapporti che ha con se stessa una soggettività decentrata e affrancata dalle convenzioni quotidiane della percezione e dell'azione. Solamente quando si perde, quando si ritrae dalle esperienze prammatiche spazio-temporali, quando è colpito dalla scossa dell'inatteso, il soggetto vede soddisfatto « il desiderio ardente della vera presenza» (Octavio Paz), e si perde dissolvendosi nell'istante; solamente quando le categorie del fare e del pensare ragionevoli sono crollate, quando le norme della vita quotidiana sono infrante, quando le illusioni della normalità abituale sono dissolte - soltanto allora si apre il mondo dell'imprevisto e dell'assolutamente sorprendente, l'ambito della apparenza estetica, che non occulta né rivela, non è né fenomeno né essenza, bensì null'altro che superficie. Nietzsche prosegue la depurazione romantica del fenomeno estetico da tutte le commistioni teoretiche e morali 33 • Nell'esperienza estetica la realtà dionisiaca è isolata dal mondo della conoscenza teoretica e dell'agire morale, dalla quotidianità, tramite un ' baratro dell'oblìo '. L'arte apre l'accesso al dionisiaco soltanto al prezzo dell'estasi - cioè al prezzo della dolorosa abolizione delle differenze, della disindividualizzazione, della fusione con l'amorfa natura interna ed esterna. Perciò l'uomo della modernità, privo di miti, dalla nuova mitologia può attendersi soltanto un tipo di redenzione che elimina tutte le mediazioni. Questa versione schopenhaueriana del principio dionisiaco imprime al programma della nuova mitologia una svolta, che era stata estranea al messianismo romantico: ora si tratta di un distacco totale dalla modernità svuotata dal nichilismo. Con Nietzsche la critica della modernità rinuncia per la prima volta a mantenerne il contenuto emancipativo. La ragione centrata nel soggetto viene messa a confronto con il totalmente altro dalla ragione. E quale istanza contro la ragione Nietzsche evoca le esperienze, arretrate nell'arcaico, dell'auto33 In Socrate, che cade nell'errore secondo cui il pensiero raggiunge i più profondi abissi dell'essere, Nietzsche compendia l'antitipo teorico dell'artista: << Se infatti l'artista a ogni disvelamento della verità rimane attaccato con sguardi estatici sempre e solo a ciò che anche ora, dopo il disvelamento, rimane velo, l'uomo teoretico a sua volta gode e si appaga nel togliere il velo >> (N., vol. l, p. 88 [tr. it. cit., III, 1, p. 100] ). Altrettanto energicamente Nietzsche si scaglia contro la trasfigurazione morale dell'arte, che va da Aristotele fino a Schiller: « Per l'interpretazione del mito tragico la prima esigenza è proprio quella di cercare il piacere ad esso peculiare nella pura sfera estetica, senza invadere il campo della compassione, della paura o del moralmente sublime. Come possono il brutto e il disarmonico, il contenuto del mito tragico, suscitare un piacere estetico?>> (N., vol. l, p. 152 [tr. it. cit., III, 1, pp. 158 sg.] ). 97 www.scribd.com/Baruhk rivelazione di una soggettività decentrata, liberata da tutte le limitazioni della cognizione e dell'attività finalistica, da tutti gli imperativi dell'utile e della morale. L'unica via di scampo diviene allora quella « violazione del principio di individuazione »; che, se deve essere qualcosa di più che una citazione da Schopenhauer, certo può ottenere la propria convalida soltanto dalla più avanzata arte della modernità. Su questa contraddizione Nietzsche può illudersi, in quanto strappa il momento razionale, che si mette in luce nel senso proprio dell'ambito radicalmente differenziato dell'arte d'avanguardia, dal rapporto con la ragione teoretica e pratica, e lo sospinge nell'irrazionale trasfigurato metafisicamente. Già nella Nascita della tragedia, dietro l'arte vi è la vita. Già qui troviamo quella peculiare teodicea, secondo la quale il mondo può essere giustificato soltanto come fenomeno estetico 34 • La crudeltà e il dolore sono considerati, al pari del piacere, quali proiezioni di uno spirito creatore, che si abbandona senza scrupoli allo spensierato godimento per la potenza e l'arbitrarietà delle sue creazioni fantastiche. Il mondo si presenta come un tesuto di contraffazioni e di interpretazioni, alla cui base non vi è né un'intenzione né un testo. La potenza che crea il senso costituisce, insieme ad una sensibilità che si può eccitare nei modi più differenziati possibili, il nucleo estetico della volontà di potenza: la quale è al contempo una volontà di apparenza, di semplificazione, di maschera, di superficie; e l'arte può essere considerata come l'autentica attività metafisica dell'uomo, perché la vita stessa si fonda sull'apparenza, sull'inganno, sull'illusione, sulla necessità del prospettico e dell'errore 35 • Certo, Nietzsche può sviluppare queste idee in una ' metafisica degli artisti ' soltanto perché riconduce all'estetico tutto ciò che è e che deve essere. Non vi possono essere fenomeni ontici, né morali, in ogni caso non nel senso in cui Nietzsche parla di fenomeni estetici. Al fine di tale dimostrazione sono destinati i noti abbozzi di una gnoseologia pragmatistica e di una storia naturale della morale, che riducono la distinzione fra ' vero ' e ' falso ', ' buono ' e ' cattivo ', a preferenze per ciò che serve alla vita e che è nobile 36 • Secondo questa analisi, 34 Nietzsche riassume tale dottrina nella seguente frase: << t giustificato ogni male alla cui vista un dio si sente edificato>> (N., vol. V, p. 304). 35 N., vol. l, pp. 17 sg.; vol. V, p. 168; vol. XII, p. 140. 36 J. Habermas, Zu Nietzsches Erkenntnistheorie, in Zur Logik der Sozialwissenschaften, Frankfurt a. M. 1982, pp. 505 sgg. [tr. it., Logica delle scienze sociali, Bologna 1970; e Agire comunicativo e logica delle scienze sociali, Bologna 1980. Non esiste una traduzione italiana dell'edizione da cui Habermas cita nel testo (N.d.T.)]. 98 www.scribd.com/Baruhk dietro le pretese di validità in apparenza universali si celano le soggettive pretese di potenza degli apprezzamenti dei valori. Anche in queste pretese di potenza non si mette in luce la volontà strategica di singoli soggetti. La volontà soprasoggettiva di potenza si manifesta piuttosto nel flusso e riflusso di anonimi processi di sopraffazione. La teoria di una volontà di potenza che si dispiega in tutto ciò che accade offre il quadro nel quale Nietzsche spiega come sorgano le finzioni di un mondo dell'ente e del bene, nonché le apparenti identità di soggetti che conoscono e che agiscono moralmente, come si costituisca, con l'anima e l'autocoscienza, una sfera dell'interiorità, come siano giunte al dominio la metafisica, la scienza e l'idealità ascetica - ed infine, come la ragione centrata nel soggetto debba tutto questo inventario all'evento di un fatalmente masochistico rovesciamento nella parte più intima della volontà di potenza. Il dominio nichilistico della ragione centrata nel soggetto viene concepito come risultato ed espressione di un pervertimento della volontà di potenza. Ma siccome la incorrotta volontà di potenza è soltanto la versione metafisica del principio dionisiaco, Nietzsche può concepire il nichilismo del presente come la notte della lontananza degli dèi, nella quale si annuncia l'avvicinarsi del dio assente; il cui ' essere in disparte ' e ' al di là ' viene frainteso dal popolo come una fuga dinanzi alla realtà - « mentre è soltanto la sua immersione, il suo sotterramento, il suo approfondimento nella realtà, affinché egli un giorno, quando ritornerà alla luce, possa riportarne a casa la redenzione di questa realtà» 37 • Nietzsche definisce come ' rintocco del mezzogiorno ' il momento del ritorno dell'Anticristo- in sorprendente accordo con la coscienza temporale estetica di Baudelaire. Nell'ora di Pan il giorno trattiene il respiro, il tempo si ferma - l'istante fuggevole si sposa con l'eternità. Nietzsche deve il suo concetto della modernità, sviluppato nel senso della teoria del potere, ad una critica razionale smascheratrice della ragione, che pone se stessa al di fuori dell'orizzonte della ragione. ·Questa critica è dotata di una certa suggestività, perché fa appello, almeno implicitamente, a criteri mutuati dalle fondamentali esperienze della modernità estetica. Nietzsche insedia appunto il gusto, 'il sì e no del palato ', quale organo di una conoscenza al di là del vero e del falso, al di là 37 N., vol. V, p. 336. 99 www.scribd.com/Baruhk del bene e del male. Ma egli non può legittimare i criteri mantenuti del giudizio di gusto, perché traspone le esperienze estetiche nell'arcaico, e non riconosce come momento della ragione la facoltà critica dell'apprezzamento dei valori, acuita nel rapporto con l'arte moderna, che almeno proceduralmente, nel processo della fondazione argomentativa, è ancora collegata con la conoscenza e col giudizio morale. L'estetico, quale porta verso il dionisiaco, viene invece ipostatizzato nell'Altro dalla ragione. Perciò i disvelamenti operati dalla teoria del potere si impigliano nel dilemma di una critica della ragione che si riferisce a se stessa ed è divenuta totale. Riguardando la Nascita della tragedia, Nietzsche confessa la giovanile ingenuità del suo tentativo di porre la scienza « sul terreno dell'arte », di « vedere tutta la scienza con l'ottica dell'artista » 38 • Ma anche nella vecchiaia egli non poté mai rendersi chiaro che cosa mai voglia dire praticare una critica dell'ideologia che attacca i suoi propri fondamenti 39 • Alla fine, oscilla fra due strategie. Da un lato, Nietzsche ci suggerisce la possibilità di una considerazione artistica del mondo, condotta con mezzi scientifici, ma con un atteggiamento antimetafisico, antiromantico, pessimistico e scettico. Una scienza storica di questo tipo, essendo al servizio della filosofia della volontà di potenza, deve poter sfuggire all'illusione della fede nella verità 40 • Ma allora si dovrebbe poter presupporre la validità di questa filosofia. Perciò Nietzsche deve affermare, dall'altro lato, la possibilità di una critica della metafisica, che riesumi le radici del pensiero metafisica, senza però rinunciare a se stessa come filosofia. Egli proclama che Dioniso è un filosofo, e considera se stesso quale ultimo discepolo e iniziato di questo dio filosofante 41 • La critica di Nietzsche alla modernità è stata proseguita lungo entrambe queste vie. Lo scienziato scettico, che vorrebbe svelare la perversione della volontà di potenza, la ribellione delle forze reattive e l'origine della ragione centrata ne~ soggetto con metodi antropologici, psicologici e storici trova seguaci in Bataille, Lacan e Foucault; il critico iniziato della metafisica, che ricorre ad un sapere particolare e insegue l'origine della filosofia del soggetto fin dentro gli inizi presocratici, in Heidegger e Derrida. 38 39 40 41 N., vol. l, pp. 13 sg. (tr. it. cit., III, 1, pp. 5 sg.). Cfr. la Genealogia della morale, N., vol. V, pp. 398·405. N., vol. XII, pp. 159 sg. N., vol. V, p. 238. 100 www.scribd.com/Baruhk IV Heidegger vorrebbe riprendere i motivi essenziali del messianismo dionisiaco di Nietzsche, sfuggendo però alle aporie di una critica della ragione che si riferisce a se stessa. Il Nietzsche che operava ' scientificamente ' voleva ribaltare il pensiero moderno lungo le vie di una genealogia della fede nella verità e dell'ideale ascetico; Heidegger, che in questa strategia di smascheramento basata sulla teoria del potere subodora un non eliminato residuo di illuminismo, si attiene piuttosto al Nietzsche 'filosofo'. Lo scopo che Nietzsche perseguiva wn una critica totalizzante e autodistruttiva della ideologia, Heidegger vuole raggiungerlo con una distruzione immanente della metafisica occidentale. Nietzsche aveva teso l'arco dell'accadere dionisiaco fra la tragedia greca antica e la nuova mitologia. La tarda filosofia di Heidegger può essere intesa come il tentativo di spostare questo accadere dalla scena della mitologia esteticamente rinnovata a quella della filosofia 42 • Heidegger si trova anzitutto dinanzi al compito di collocare la filosofia in quella sede nella quale Nietzsche poneva l'arte (come contromovimento al nichilismo), per poi trasformare il pensiero filosofico in modo tale, che esso possa divenire la scena per consolidare e rinnovare le forze dionisiache. L'avvento e l'oltrepassamento del nichilismo egli vuole interpretarli come l'inizio e la fine della metafisica. Le prime lezioni di Heidegger su Nietzsche, intitolate La volontà di potenza come arte, si fondano soprattutto su quei frammenti postumi che nella compilazione di Elisabeth ForsterNietzsche sono stati montati in un capolavoro mai scritto, La volontà di potenza 43 • Heidegger tenta di documentare la tesi « che Nietzsche si muove nell'orbita del domandare della filosofia occidentale » 44 • Egli denomina bensì ' un artista-filosofo ' quel pensatore che « con la sua metafisica ritorna all'inizio della 42 Nel decennfo fra il 1935 e il 1945, ossia fra la Einfuhrung in die Metaphysik, che mostra ancora le tracce dello Heidegger fascista, e il Brief uber den Humanismus, che apre la filosofia del dopoguerra, Heidegger si è continuamente occupato di Nietzsche. L'idea della storia dell'Essere si è formata nell'intensa discussione con il filosofo Nietzsche. Lo riconosce espressamente nel 1961 lo stesso Heidegger nella Prefazione ai due volumi che documentano questo segmento del suo cammino filosofico: M. Heidegger, Nietzsche, Pfullingen 1961, vol. l, pp. 9 sg. 43 Questa falsificazione è stata totalmente distrutta dall'edizione di Giorgio Colli e Mazzino Montinari; cfr. il loro commentario alla tarda opera di Nietzsche, in N., vol. XIV, pp. 383 sgg., e la Chronik zu Nietzsches Leben, N., vol. XV. 44 M. Heidegger, Nietzsche cit., vol. l, p. 12. 101 www.scribd.com/Baruhk filosofia occidentale » 45 , e che guida il contromovimento al nichilismo, ma ritiene che le idee di Nietzsche sulla forza salvifica dell'arte devono essere « estetiche (soltanto) secondo la prima apparenza, e metafisiche secondo la (loro) più intima volontà» 46 • La concezione classicistica che Heidegger ha dell'arte favorisce questa interpretazione: Heidegger è convinto, al pari di Hegel, che col romanticismo l'arte è giunta al suo risultato essenziale. Un confronto con Walter Benjamin potrebbe mostrare quanto poco Heidegger sia mai stato toccato dalle genuine esperienze dell'arte d'avanguardia. Perciò egli non ha mai potuto nemmeno comprendere perché soltanto un'arte soggettivisticamente acuita e radicalmente differenziata, che sviluppa tenacemente il senso proprio dell'estetico partendo dall'autoesperienza di una soggettività decentrata, sia la più adatta per inaugurare una nuova mitologia 47 • Tanto più facile gli riesce quindi il livellamento del ' fenomeno estetico ' e l'equiparazione dell'arte alla metafisica. Il bello fa risplendere l'Essere: « Bellezza e verità sono entrambe riferite all'Essere, e precisamente entrambe quale svelamento dell'essere dell'ente » 48 • Si dirà più tardi che il poeta annuncia quel sacro, che si rivela al pensatore. Il poetare e il pensare si richiamano bensì a vicenda, ma alla fine il poetare deve pur scaturire dal pensiero originario 49 • Dopo che in tal modo l'arte è stata antologizzata 50, la filosofia deve riprendere di nuovo un compito, che nel romanticismo aveva ceduto all'arte: cioè, quello di creare un equivalente del potere unificante della religione, per opporsi alle lacerazioni della modernità. Nietzsche aveva affidato il superamento del nichilismo al mito di Dioniso esteticamente rinnovato. Heidegger proietta questo evento dionisiaco sullo schermo di una critica lvi, p. 27. lvi, p. 154. Sotto questo rispetto dimostra una sensibilità incomparabilmente maggiore Oskar Becker, con il suo controprogetto dualistico all'ontologia fondamentale di Heidegger: O. Becker, Von der Hinfiilligkeit des Schonen und der Abenteuerlichkeit des Kilnstlers, e Von der Abenteuerlichkeit des Kunstlers und der vorsichtigen Verwegenheit des Philosophen, entrambi in O. Becker, Dasein und Dawesen. Gesammelte phi/osophische Aufsiitze, Pfullingen 1963, pp. 11 sgg. e 103 sgg. 48 M. Heidegger, op. cit., vol. l, p. 231. 49 Poscritto a Was ist Metaphysik?, in M. Heidegger, Wegmarken, Frankfurt a. M. 1978, p. 309. SO Heidegger riassume la sua prima lezione su Nietzsche con queste parole: << Partendo dall'essenza dell'Essere, l'arte deve venir concepita come l'accadere fondamentale dell'ente, come l'autentico principio creatore>>. 45 46 47 102 www.scribd.com/Baruhk della metafisica, alla quale spetta perciò un significato cosmicostorico. Ora è l'Essere che ha abbandonato l'ente, e che annuncia il suo indeterminato avvento facendo sentire la sua assenza e accrescendo il dolore della privazione. Il pensiero che segue questo destino dell'oblìo dell'Essere incombente sulla filosofia occidentale, ha una funzione catalizzatrice. Quel pensiero, che al contempo proviene dalla metafisica e ritorna a interrogare gli inizi della metafisica, quel pensiero che sormonta dall'interno i limiti della metafisica, non condivide più la fiducia in sé di una ragione che si gloria della sua autonomia. Certamente, bisogna asportare quegli strati sotto i quali l'Essere è seppellito. Ma il lavoro della distruzione, a differenza dalla forza della riflessione, serve ad addestrarsi in una nuova eteronomia. Esso rivolge tutta la sua energia unicamente verso l'autosuperamento e l'autorinuncia di una soggettività alla quale è necessario apprendere la perseveranza, e che deve sciogliersi in umiltà. La ragione in sé può operare soltanto nella nefasta attività del dimenticare e dello scacciare. Anche alla memoria manca la forza per indurre al ritorno ciò che è esiliato. In tal modo dunque l'Essere può darsi soltanto come un destino comune, al quale si aprono e si tengono pronti, qualora sia necessario, coloro che ne hanno bisogno. La critica heideggeriana della ragione finisce nella radicalità distanziante di un mutamento di spirito onnipervadente, ma privo di contenuto - via dall'autonomia, verso una dedizione all'Essere, che pretende di lasciar dietro di sé il contrasto fra autonomia ed eteronomia. La critica della ragione ispirata a Nietzsche prende un'altra direzione in Bataille. Anch'egli impiega il concetto del sacro per indicare quelle esperienze decentranti di un'estasi ambivalente, nelle quali la soggettività irrigidita rinuncia a se stessa. Sono esemplari le azioni del sacrificio religioso e della fusione erotica, nelle quali il soggetto vorrebbe « liberarsi dal riferimento al proprio io » e far posto ad una ristabilita « continuità dell'Essere » 51 • Anche Bataille va alla ricerca di una violenza originaria, che potrebbe sanare la frattura fra il mondo razionalmente disciplinato del lavoro e il proscritto Altro dalla ragione. Egli si rappresenta lo sconvolgente ritorno in una perduta continuità dell'Essere come l'eruzione degli elementi contrari alla ragione, come atto che abolisce i confini del Sé e produce l'estasi. 51 G. Bataille, L'érotisme, Paris 1957, pp. 17 sgg. 103 www.scribd.com/Baruhk In questo processo di redenzione la soggettività monadicamente chiusa e isolata degli individui che si affermano gli uni contro gli altri viene espropriata e precipitata al fondo. Bataille però non si accosta a questa potenza dionisiaca, rivolta contro il principio dell'individuazione, lungo la cauta via di un auto-oltrepassamento, presentato come un compito, del pensiero irretito nella metafisica, bensì descrivendo e analizzando direttamente i fenomeni dell'autosuperamento e dell'autodissoluzione del soggetto che agisce razionalmente in vista del fine. Evidentemente ciò che interessa Bataille sono i tratti baccantici di un'orgiastica volontà di potenza, l'attività creatrice e donante di una volontà di potere, che si manifesta tanto nel gioco, nella danza, nell'entusiasmo e nel delirio, quanto in quelle eccitazioni che vengono provocate dalla distruzione, dallo spettacolo della sofferenza e della morte violenta, che suscita orrore e piacere al contempo. Lo sguardo indagatore con cui Bataille anatomizza pazientemente le esperienze-limite dell'azione sacrificale rituale e dell'atto d'amore sessuale è guidato e informato da un'estetica dell'orrore. Per molti anni compagno e poi avversario di André Breton, Bataille non passa distrattamente oltre la fondamentale esperienza estetica di Nietzsche, come fa invece Heidegger, bensì ne segue la radicalizzazione nel surrealismo. Bataille indaga ossessivamente quelle ambivalenti e scovolgenti reazioni dell'animo, della vergogna, del ribrezzo, dell'orrore e del compiacimento sadico, che vengono provocate da impressioni subitanee, offensive, indecenti, che irrompono con improvvisa violenza. In queste eccitazioni esplosive le contrastanti tendenze del desiderare e del ritrarsi si uniscono in un fascino paralizzatore. Ribrezzo, ripugnanza e disgusto si fondono con la voluttà, col rapimento e con la bramosia. La coscienza, esposta a queste laceranti ambivalenze, si scombussola. I surrealisti volevano provocare questa condizione di shock con mezzi estetici impiegati in modo aggressivo. Bataille segue le tracce di questa ' illuminazione profana ' (Benjamin) all'indietro, fino ai tabù del cadavere umano, del cannibalismo, del corpo nudo, del sangue mestruale, dell'incesto, ecc. Queste ricerche antropologiche, di cui ci occuperemo ancora in seguito, offrono il punto di partenza per una teoria della sovranità. Come già Nietzsche nella Genealogia della morale, così ora Bataille esamina quell'esclusione e quella sempre più completa estirpazione di tutto ciò che è eterogeneo, da cui soltanto si costituisce il mondo moderno del lavoro razionale in vista del fine, del consumo e dell'esercizio del potere. Bataille 104 www.scribd.com/Baruhk non esita a costruire una storia della ragione occidentale che, al pari della critica heideggeriana della metafisica, presenta l'età moderna come un'epoca di estenuazione. Ma in Bataille gli elementi eterogenei e ripudiati non si presentano nella figura di un destino apocalittico misticamente concepito, bensì come forze sovversive, che sono costrette a scaricarsi convulsivamente, se pure non vengano ancora liberate in una società socialista libertaria. Per questo diritto del sacrale rinnovato, Bataille combatte paradossalmente con i mezzi dell'analisi scientifica. Egli non denigra affatto il pensare metodico. «Nessuno (può) porre il problema della religione, se parte da soluzioni arbitrarie, che non sono ammesse dall'attuale spirito di precisione. Perciò quando parlo dell'esperienza interna e non di oggetti, non sono uomo di scienza, ma nel momento in cui parlo di oggetti, lo faccio con l'indispensabile rigore dello scienziato» 52 • Ciò che separa Bataille da Heidegger è tanto il suo accesso ad una esperienza genuinamente estetica, dalla quale attinge il concetto del sacro, quanto il rispetto per il carattere scientifico di una conoscenza di cui egli vorrebbe servirsi per analizzare il sacro. Vi sono tuttavia paralleli fra questi due autori, quando si prendono in considerazione i loro contributi al discorso filosofico della modernità. Le somiglianze strutturali si spiegano in quanto Heidegger e Bataille vogliono risolvere lo stesso compito ispirandosi a Nietzsche. Entrambi vogliono svolgere una critica radicale della ragione - tale da attaccare le stesse radici della critica. Dalla concordanza di questa problematica derivano vincoli argomentativi formalmente analoghi. Anzitutto l'oggetto della critica deve essere determinato in modo tanto preçiso, che vi si possa riconoscere la ragione centrata nel soggetto quale principio della modernità. Quale punto di partenza, Heidegger sceglie il pensiero oggettivante delle scienze moderne, e Bataille l'agire razionai-finalistico dell'impresa capitalistica e dell'apparato burocratizzato dello Stato. L'uno, HE!'idegger, indaga i concetti antologici fondamentali della filosofia della coscienza, per mettere a nudo, quale spinta che domina il pensiero da Descartes fino a Nietzsche, la volontà di disposizione tecnica su processi oggettivati. Soggettività e reificazione deformano lo sguardo su ciò di cui non si può disporre. L'altro, Bataille, indaga quegli imperativi dell'economicità e dell'efficienza, ai quali sono stati assoggettati in modo sempre più 52 lvi, p. 29. 105 www.scribd.com/Baruhk esclusivo il lavoro e il consumo, per cogliere nel produttivismo industriale una tendenza all'autodistruzione insita in tutte le società moderne. La società totalmente razionalizzata ostacola, infatti, la spesa improduttiva e l'uso prodigalmente generoso della ricchezza accumulata. La critica totalizzata della ragione ha rinunciato ad una dialettica dell'Illuminismo; pertanto ciò che si espone a tale critica deve essere talmente esteso, che l'Altro dalla ragione, le controforze dell'Essere o della Sovranità, non si rivelino alla fine soltanto quali momenti rimossi e repressi della ragione stessa. Perciò Heidegger e Bataille risalgono, con Nietzsche, dietro gli inizi della storia occidentale, ai periodi arcaici, per ritrovare le tracce del dionisiaco o nel pensiero dei presocratici, oppure negli stati d'eccitamento dei rituali sacrificali. Qui si devono poter identificare quelle sepolte esperienze, dissolte dalla razionalizzazione, che possono infondere vita alle espressioni dell' ' essere ' e della ' sovranità ', che dapprima sono entrambi soltanto dei nomi, e che devono essere introdotti quali concetti opposti alla ragione, in modo tale da poter resistere a tutti i tentativi di inglobamento razionale. L' ' Essere ' viene definito come ciò che si è ritratto dalla totalità oggettivamente pensata, la ' sovranità ' come ciò che è stato escluso dal mondo dell'utile e del calcolabile. Queste potenze originarie si presentano nelle immagini di una abbondanza che deve esser donata, ma è rifiutata e indisponibile di una ricchezza che attende di essere dissipata. Mentre la ragione è determinata dalla messa a disposizione e dalla valorizzazione calcolante, il suo Altro può essere caratterizzato soltanto negativamente, come ciò che non è assolutamente disponibile e valorizzabile - come un medium, nel quale il soggetto può immergersi solamente quando si abbandoni e si superi come soggetto. Questi due momenti, la ragione e il suo Altro, non stanno fra loro in un rapporto di opposizione che rinvia al superamento dialettico, bensì in un rapporto tensionale di reciproca repulsione ed esclusione. La loro relazione non è costituita dalla dinamica di una rimozione che possa venir revocata dagli opposti processi dell'autoriflessione o della prassi illuminata. La ragione è piuttosto consegnata impotente alla dinamica del ritrarsi e del lasciare, dell'escludere e del proscrivere, di modo che la soggettività limitata non raggiunge, con le sole forze ad essa proprie dell'anamnesi e dell'analisi, ciò che le si sottrae o ciò che essa tiene lontano da sé. L'Altro dalla riflessione rimane precluso all'autoriflessione: esso dirige un gioco di forze di tipo metasto106 www.scribd.com/Baruhk rico o cosmico-naturale, che richiede uno sforzo di osservanza diversa. Lo sforzo paradossale di una ragione che oltrepassa se stessa assume però in Heidegger la forma chiliastica di un insistente rimemorare che evoca la ventura dell'Essere, mentre Bataille si ripromette bensì, da una sociologia del sacro fondata eterologicamente, di chiarire il gioco trascendente delle forze, senza tuttavia sperare di poterlo influenzare. Entrambi questi autori svolgono la loro teoria ricostruendo narrativamente la storia della ragione occidentale. Heidegger, che, seguendo il filo conduttore della filosofia del soggetto, interpreta la ragione come autocoscienza, concepisce il nichilismo quale espressione di impadronimento del mondo da parte di una tecnica totalmente liberata. In questo esito deve concludersi il destino di un pensiero metafisica, che è stato messo in moto dalla domanda sull'Essere, e tuttavia, dinanzi al tutto dell'ente reificato, perde di vista sempre di nuovo questo elemento essenziale. Bataille, che, seguendo invece il filo conduttore della filosofia della prassi, interpreta la ragione come lavoro, concepisce il nichilismo come conseguenza di una coazione ad accumulare totalmente autonomizzata. In ciò si conclude la fatalità di una sovraproduzione che un tempo serviva ancora alla grandiosa prodigalità sovrana, ma poi impiega sempre più risorse allo scopo di aumentare la produzione, trasforma lo spreco in consumo, e toglie il terreno alla sovranità fervidamente creatrice. Oblìo dell'Essere e rifiuto della parte proscritta sono le due immagini dialettiche dalle quali fino ad oggi sono stati ispirati tutti quei tentativi, che intendono liberare la critica della ragione dalle figure concettuali di un Illuminismo in sé dialettico, ed innalzare l'Altro dalla ragione ad un'autorità dinanzi alla quale la modernità può essere richiamata all'ordine. Intendo perciò esaminare, da un lato in base alla tarda filosofia di Heidegger (ed alla continuazione produttiva di questa mistica filosofica da parte di Derrida), dall'altro in base all'economia universale di Bataille (e alla genealogia del sapere fondata da Foucault sulla teoria del potere) se queste due vie, che Nietzsche ha indicato, conducano effettivamente al di fuori della filosofia del soggetto. Heidegger ha risolutamente antologizzato l'arte, puntando tutto sulla carta di un movimento di pensiero che libera distruggendo, e che deve oltrepassare di per se stesso la metafisica. Con ciò egli sfugge alle aporie di una critica della ragione che, riferendosi anche a se stessa, deve necessariamente distruggere i suoi propri fondamenti. Ma con la svolta antologica del messianismo dionisiaco egli si collega in tal guisa alla domanda 107 www.scribd.com/Baruhk iniziale, allo stile di pensiero e al tipo di fondazione della filosofia dell'originario, che può superare il fondamentalismo della fenomenologia husserliana soltanto al prezzo di una fondamentalizzazione della storia che va a finire nel vuoto. Heidegger tenta di evadere dal circolo incantato della filosofia del soggetto fluidificandone temporalmente i fondamenti. Ma il superfondamentalismo della storia dell'Essere che astrae da ogni storia concreta rivela come egli rimanga fissato a quel pensiero che vuole negare. Per contro, Bataille resta fedele ad una autentica esperienza estetica del dionisiaco, e si apre un ambito fenomenico nel quale la ragione centrata nel soggetto si può rispecchiare come nel suo Altro. Indubbiamente egli non può confessare a se stesso l'origine moderna di questa esperienza dal surrealismo, ma deve trapiantarla nell'arcaico, con l'ausilio di conoscenze antropologiche. In tal modo Bataille persegue il progetto di un'analisi scientifica del sacro e di un'economia universale, che devono spiegare il processo cosmico-storico della razionalizzazione e la possibilità di una conclusiva inversione di marcia. Tuttavia egli incappa nello stesso dilemma di Nietzsche: la teoria del potere non può soddisfare la pretesa di oggettività scientifica e al contempo tener fede al programma di una critica totale, e quindi riferita a se stessa, della ragione, che intacca anche la verità degli enunciati scientifici. Prima di seguire le due vie aperte da Nietzsche, e percorse rispettivamente nel postmoderno da Heidegger e da Bataille, vorrei soffermarmi su una linea di pensiero, che da questo punto di vista appare dilatoria: cioè, sull'ambiguo tentativo di una dialettica dell'Illuminismo, compiuto da Horkheimer e Adorno, per dare soddisfazione alla radicale critica nietzschiana della ragione. www.scribd.com/Baruhk s. L'INTRICO DI MITO E ILLUMINISMO: HORKHEIMER E ADORNO * Gli scrittori oscuri della borghesia, quali Machiavelli, Hobbes, Mandeville, avevano da sempre affascinato Horkheimer, già influenzato da Schopenhauer. Anch'essi, indubbiamente, pensavano ancora in modo costruttivo, le loro disarmonie presentavano ancora linee che portavano alla teoria sociale di Marx. Gli scrittori neri della borghesia, in testa a tutti il marchese di Sade e Nietzsche, hanno interrotto questi collegamenti. Da essi muovono Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell'illuminismo, il loro libro più nero, per elaborare concettualmente il processo autodistruttiva dell'Illuminismo. Conseguentemente alla loro analisi, non era loro più consentito sperare nella sua forza liberatoria. Guidati dalla speranza dei disperati, divenuta ironica, di Benjamin, essi non volevano tuttavia desistere dal lavoro del concetto, pur divenuto paradossale. Questa disposizione, questo atteggiamento, non sono più i nostri. Nondimeno, all'insegna di un Nietzsche rinnovato post-strutturalisticamente, si diffondono disposizioni e atteggiamenti tanto somiglianti a questi, da confonderli. Vorrei prevenire tale confusione. La Dialettica dell'illuminismo è un libro singolare. Nelle sue parti essenziali è nato da appunti presi da Gretel Adorno • La presente fezione riproduce sostanzialmente, con qualche modificazione e variante, un articolo già apparso sotto il titolo Die V ersch/ingung von Mythos und Aufkliirung. Bemerkungen zur 'Dialektik der Aufkliirung ' - nach einer erneuten Lektiire, in K. H. Bohrer (a cura di), Mythos und Moderne, Frankfurt a. M. 1983, pp. 405 sgg. Una traduzione italiana condotta su un dattiloscritto inviatomi da Habermas anteriormente alla pubblicazione in volume, è comparsa, sotto il titolo: L'intrico di mito e illuminismo. Osservazioni sulla 'Dialettica dell'illuminismo'- dopo una rilettura, nel volume da me curato, J. Habermas, Dialettica della razionalizzazione, Milano 1983, pp. 265 sgg. - Ringrazio i traduttori, Giuseppe Pirola e Antonio Ponsetto, di avermi permesso di utilizzare, modificandola là dove l'Autore ha modificato il testo, la loro versione italiana (Emilio Agazzi). 109 www.scribd.com/Baruhk nel corso di discussioni fra Horkheimer e Adorno, a Santa Monica. Il testo è stato terminato nel 1944, ed è stato pubblicato tre anni dopo, presso il Querido-Verlag ad Amsterdam. Per quasi vent'anni è stato possibile trovare esemplari di questa prima edizione. La storia dell'influsso che Horkheimer e Adorno hanno esercitato con questo libro sullo sviluppo intellettuale della Repubblica Federale Tedesca, principalmente nelle prime due decadi, sta in un curioso rapporto con il numero dei suoi acquirenti. Singolare è anche la composizione del libro. Esso è costituito da un saggio di poco più che cinquanta pagine, due digressioni e tre appendici, che occupano più della metà del libro. La forma piuttosto poco chiara dell'esposizione non consente di distinguere a prima vista la netta struttura della linea del pensiero. Esporrò quindi in primo luogo le due tesi centrali (1). Dalla valutazione della modernità risulta il problema che mi interessa nei riguardi della situazione odierna: perché Horkheimer e Adorno vogliono illuminare radicalmente l'Illuminismo su se stesso (Il). Il grande prototipo per un autosuperamento totalizzante della critica dell'ideologia era Nietzsche. Il confronto di Horkheimer e Adorno con Nietzsche informa non solamente sulle direzioni contrarie in cui le due parti spingono la loro critica alla cultura (III); fa anche sorgere dubbi sul ripetuto farsi riflessivo dell'Illuminismo medesimo (IV). I Nella tradizione dell'Illuminismo il pensiero illuminista è stato inteso al tempo stesso come antitesi e come controforza rispetto al mito. Come antitesi, perché oppone al vincolo autoritativo di una tradizione legata alla sequela delle generazioni, la libera costrizione dell'argomento migliore; come contro-forza, in quanto spezza il predominio di potenze collettive mediante acquisizioni intellettive individuali, trasposte in motivi. L'Illuminismo contraddice il mito e si sottrae in tal modo al suo potere 1 • A questo contrasto, di cui il pensiero illuminato è tanto certo, Horkheimer e Adorno oppongono la tesi di una complicità segreta: « Il mito è già Illuminismo, e l'Illuminismo torna a rovesciarsi in mitolol K. Heinrich, Versuch iiber die Schwierigkeit Nein zu sagen, Frankfurt a. M. 1964. 110 www.scribd.com/Baruhk gia » 2 • Questa tesi, annunciata nella prefazione, viene sviluppata nel saggio che dà il titolo al libro e illustrata nella forma di un'interpretazione dell'Odissea. Dall'anticipata obiezione filologica, secondo la quale la scelta della tarda elaborazione epica di una tradizione mitica già lontana da Omero farebbe cadere gli Autori in una petitio principii, essi traggono un vantaggio dal punto di vista metodico: « Nelle stratificazioni di Omero si sono sedimentati i miti; la loro narrazione però, l'unità che viene ricavata a forza dalle diffuse saghe, è al tempo stesso la descrizione della linea di fuga del soggetto di fronte alle potenze mitiche » 3 • Nelle avventure di Odisseo, astuto in duplice senso, si rispecchia l'antichissima storia di una soggettività che si sottrae al dominio delle potenze mitiche. Il mondo mitico non è la patria, ma il labirinto, da cui si tratta di evadere per amore dell'identità: « all'origine delle avventure nelle quali la soggettività, di cui l'Odissea narra la preistoria, si sottrae al mondo mitico, è proprio la nostalgia. Che il concetto di patria si opponga al mito, che i fascisti vorrebbero spacciare per patria, è il paradosso più intimo del poema» 4 • Senza dubbio, le narrazioni mitiche richiamano il singolo alle origini genealogicamente trasmesse attraverso la sequela delle generazioni; ma le celebrazioni rituali che devono gettare un ponte verso il colpevole allontanamento dalle origini, e dare salvezza, nello stesso tempo approfondiscono la frattura 5 • Il mito dell'origine conserva il duplice senso dell' ' evadere ' (Entspringen): l'orrore di fronte allo sradicamento e il riaversi dallo scampato pericolo. Perciò Horkheimer e Adorno perseguono l'astuzia di Odisseo fino nell'intimo delle azioni sacrificali; alle quali è immanente un momento di inganno, in quanto gli uomini si riscattano dalla maledizione delle potenze vendicatrici per mezzo di rappresentanti simbolicamente rivalutati 6 • Questo strato del mito caratterizza l'ambivalenza di una posizione della coscienza, per la quale la prassi rituale è sia reale che fittizia. Essenziale 2 T. W. Adorno- M. Horkheimer, Dialektik der Aufkliirung, Amsterdam 1947, p. 10; in seguito citato come DA (tr. it., Dialettica dell'illuminismo, Torino 1966, p. 8; in seguito citata come DI). 3 DA, p. 61 (DI, p. 55, modificata). 4 DA, pp. 96 sg. (DI, p. 87). 5 K. Heinrich, Dahlemer Vorlesungen, Basel-Frankfurt a. M. 1981, pp. 122 sg. 6 <<Antichissima dev'essere stata l'esperienza, che la comunicazione simbolica con la divinità attraverso il sacrificio non è reale. La rappresentanza implicita nel sacrificio esaltata da irrazionalisti alla moda, è inseparabile dalla divinizzazione della vittima, dall'inganno, dalla razionalizzazione sacerdotale dell'assassinio mercé l'apoteosi dell'eletto » (DA, p. 66 [DI, p. 60] ). 111 www.scribd.com/Baruhk per la coscienza collettiva è la forza rigenerante di un ritorno rituale alle origini, che garantisce, come ha mostrato Durkheim, il legame sociale; altrettanto necessario, tuttavia, è il carattere solo apparente del ritorno alle origini, alle quali il membro del collettivo tribale, in quanto si forma come io, deve al contempo sottrarsi. In tal modo le potenze originarie, che vengono al contempo sacralizzate e raggirate, occupano già un primo stadio dell'Illuminismo nella storia primordiale della soggettività 7 • Se la distanza dalle origini significasse liberazione, si tratterebbe di un Illuminismo riuscito. Il potere mitico si rivela invece come quel momento ritardante che arresta l'emancipazione cui si aspira, e prolunga un vincolo con le origini esperito anche come prigionìa. Perciò Horkheimer e Adorno chiamano ' Illuminismo ' il processo complessivo in sospeso fra le due parti. E questo processo, l'assoggettamento delle potenze mitiche, deve ora provocare fatalmente ad ogni nuovo stadio il ritorno del mito. L'Illuminismo deve ricadere nella mitologia. Anche questa tesi gli Autori tentano di confermarla facendo ricorso allo stadio odisseico della coscienza. Essi esaminano l'Odissea episodio per episodio, per scoprire il prezzo pagato dall'esperto Odisseo affinché il suo Io esca rinvigorito e fortificato dalle avventure sostenute, così come lo spirito da quelle esperienze della coscienza di cui il fenomenologo Hegel riferisce con lo stesso intento con cui il poeta epico Omero riferisce le avventure. Gli episodi narrano rischi, astuzie e scampati pericoli, e le rinunce autoimposte, attraverso cui l'lo, che impara a dominare il pericolo, consegue la propria identità e al tempo stesso si congeda dalla felicità dell'arcaica unità con la natura, sia esterna che interna. Il canto delle sirene richiama alla memoria una felicità un tempo garantita dalla 'fluttuante unione con la natura'; Odisseo si abbandona alla seduzione come chi già si sa in catene: « Il dominio dell'uomo su se stesso, che fonda il suo Sé, è virtualmente ogni volta la distruzione del soggetto al cui servizio esso ha luogo, poiché la sostanza dominata, oppressa e dissolta dell'autoconservazione non è altro che il vivente, in funzione del quale si definiscono compiti dell'autoconservazione, e che è proprio ciò che si tratta di conservare» 8 • Questa figura, e cioè che gli uomini plasmano la propria identità imparando a dominare la natura esterna a prezzo della repressione della loro natura interna, fornisce il modello 7 8 DA, p. 60 (DI, p. 54). DA, p, 71 (DI, pp. 63 sg.). 112 www.scribd.com/Baruhk per una descrizione in cui il processo dell'Illuminismo rivela il proprio volto di Giano: il prezzo del sacrificio, dell'occultamento di sé, dell'ininterrotta comunicazione dell'Io con la sua propria natura, divenuta anonima come Es, viene spiegato come conseguenza di una introversione del sacrificio. L'Io, che un tempo nel sacrificio aveva dominato con l'astuzia il destino mitico, viene da questo ripreso non appena si vede costretto a introiettare il sacrificio: « Il Sé permanente identico, che sorge dal superamento del sacrificio, è direttamente a sua volta un rituale sacrificale rigido, e implacabilmente osservato, che l'uomo celebra con se stesso, opponendo la propria coscienza al contesto naturale » 9 • Nel processo cosmico-storico dell'Illuminismo quindi il genere umano si è sempre più allontanato dalle origini, senza tuttavia sciogliersi dalla mitica coazione a rip_etere. Il mondo moderno, del tutto razionalizzato, è solo in apparenza liberato dalla magìa; su di esso incombe la maledizione della reificazione demoniaca e dell'isolamento mortale. Nei fenomeni paralizzanti di una emancipazione che lavora a vuoto si palesa la vendetta delle potenze primordiali su coloro che dovevano emanciparsi e che tuttavia non riuscirono a scampare. La costrizione a sottomettere razionalmente le forze della natura che premono dall'esterno ha avviato i sòggetti sulla via di un processo formativo che accresce smisuratamente le forze produttive per amore della pura autoconservazione, lasciando però atrofizzare le forze della conciliazione, che trascendono la pura autoconservazione. Il dominio su una natura esterna oggettivata e sulla natura interna repressa è il signum permanente dell'Illuminismo. Horkheimer e Adorno variano in tal modo il noto tema di Max Weber, che nel mondo moderno vede gli antichi dèi, privati della loro magìa, risorgere dai loro sepolcri in forma di potenze impersonali, per rinnovare l'irriconciliabile lotta dei demoni 10 • Il lettore che non si lascia sopraffare dall'esposizione retorica, che fa un passo indietro e prende sul serio la pretesa del testo inteso in senso del tutto filosofico, può ricavare l'impressione: - che la tesi qui discussa non sia meno arrischiata della diagnosi del nichilismo, svolta in modo analogo da Nietzsche; 9 DA, p. 70 (DI. p. 63). lO M. Weber, Wissenschaft als Beruf (1918), in Gesammelte Aufsiitze zur Wissenschaftslehre, Tiibingen 1968, p. 604 (tr. it., La scienza come professione, in Il lavoro intellettuale come professione, Torino 1966, p. 33). 113 www.scribd.com/Baruhk - che gli Autori abbiano coscienza di questo rischio e, contro ciò che appare a prima vista, facciano un tentativo conseguente di motivare la loro critica della cultura; - che nel far ciò accettino tuttavia astrazioni e livellamenti, che mettono in dubbio la plausibilità del loro argomento. Desidero verificare in primo luogo se questa impressione è esatta. La ragione stessa distrugge quell'umanità che essa ha reso possibile: questa ampia tesi viene motivata nella prima digressione, come abbiamo veduto, affermando che il processo dell'Illuminismo è dovuto fin dall'inizio all'impulso di un'autoconservazione che mutila la ragione, in quanto la impegna solamente nelle forme di una razionalità che ha per scopo il dominio sulla natura e sull'istinto, appunto come ragione strumentale. Con ciq non è ancora dimostrato che la ragione rimanga soggetta fino nei suoi prodotti ultimi, fino nella scienza moderna, nelle nozioni universalistiche del diritto e della morale e nell'autonomia dell'arte, al Diktat della razionalità in vista dello scopo. Questa riprova viene fornita nel saggio sul concetto dell'Illuminismo, nella digressione su Illuminismo e morale e nell'appendice sull'industria culturale. Adorno e Horkheimer sono convinti che nel positivismo logico la scienza moderna si è chiusa su se stessa e ha rinunciato all'enfatica pretesa della conoscenza teoretica a favore di di una utilizzabilità tecnica: « Comprendere il dato come tale, non limitarsi a leggere, nei dati, le loro astratte relazioni spaziotemporali, per cui si possono prendere e maneggiare, ma intenderli invece come la superficie, come momenti mediati del concetto, che si adempiono solo nell'esplicazione del loro significato sociale, storico e umano, - ogni pretesa della conoscenza viene abbandonata » 11 • La critica prima rivolta alla concezione positivistica della scienza si acuisce nell'accusa globale che le scienze stesse vengono assorbite dalla ragione strumentale. Seguendo il filo conduttore della Histoire de ]uliette e della Genealogia della morale, Horkheimer e Adorno vogliono mostrare inoltre che la ragione è stata espulsa dalla morale e dal diritto, perché con il decadimento delle immagini religioso-metafisiche del mondo tutti i criteri normativi avrebbero perduto il loro credito di fronte all'unica autorità rimasta, quella della scienza: « Il fatto di non aver mascherato, ma proclamato ad alta voce l'impossibilità di produrre, in base alla ragione, un argomento di principio Il DA, p. 39 (DI, p. 35). 114 www.scribd.com/Baruhk contro l'assassinio, ha alimentato l'odio con cui proprio progressisti perseguitano ancora oggi Sade e Nietzsche » 12 • E ancora: « Essi non hanno dato ad intendere che la ragione formalistica sia in rapporto più stretto con la morale che con l'immoralità » 13 • La critica prima rivolta alle reinterpretazioni metaetiche della moralità si rovescia in sarcastico consenso allo scetticismo etico. Con la loro analisi della cultura di massa, Horkheimer e Adorno vogliono dimostrare infine che l'arte fusa con lo svago verrebbe paralizzata nella sua forza innovatrice, svuotata di ogni contenuto critico e utopico: Il momento - nell'opera d'arte - per cui essa trascende la realtà, è, in effetti, inseparabile dallo stile; ma non consiste nell'armonia realizzata, nella problematica unità di forma e contenuto, interno ed esterno, individuo e società, ma nei tratti in cui affiora la discrepanza, nel necessario fallimento della tensione appassionata verso l'identità. Anziché esporsi a questo fallimento, in cui lo stile della grande opera d'arte si è negato da sempre, l'opera mediocre si è sempre tenuta alla somiglianza con altre, al surrogato dell'identità. L'industria culturale, infine, assolutizza l'imitazione 14 • La critica prima rivolta contro il carattere puramente affermativo della cultura borghese, si accresce fino alla furia impotente nei confronti della ironica giustizia di quel giudizio, spacciato come non rivedibile, che la cultura di massa pronuncia su un'arte che da sempre è stata ideologica. Nei confronti della scienza, della morale e dell'arte l'argomentazione segue quindi lo stesso schema: già la separazione degli ambiti culturali, il decadimento della ragione sostanziale ancora incarnata nella religione e nella metafisica, infirmano i momenti di razionalità isolati, privati della loro unione, a tal punto da farli regredire al livello di una razionalità asservita ad una inselvatichita autoconservazione. Nella modernità culturale la ragione viene definitivamente privata della propria esigenza di validità e assimilata a mero potere. La capacità critica di prender posizione con un ' sì ' o un ' no ', di distinguere fra affermazioni valide e non valide, viene trascurata, in quanto entrano in torbida fusione esigenze di potere e di validità. 12 13 14 DA, p. 142 (DI, p. 129). DA, p. 141 (DI, p. 128). DA, p. 156 (DI, p. 141). 115 www.scribd.com/Baruhk Riducendo a questo nucleo la critica della ragione strumentale, si fa chiaro perché la Dialettica dell'illuminismo debba livellare in maniera sorprendente l'immagine della modernità. La dignità propria della modernità culturale consiste in ciò che Max Weber ha chiamato l'ostinata differenziazione delle sfere di valore. Con questo non viene però fiaccata, ma piuttosto potenziata la forza della negazione, la capacità di discriminare fra ' sì' e 'no ', perché ora possono essere trattati e dispiegati secondo la loro propria logica problemi di verità, di giustizia e di gusto. Con l'economia capitalistica e con lo Stato moderno si rafforza, è vero, anche la tendenza a far rientrare tutti i problemi di valore nell'orizzonte restrittivo della razionalità in vista dello scopo di soggetti autoconservantisi o di sistemi autosussistenti. Con questa propensione alla regressione sociale rivaleggia però la pressione non disprezzabile, indotta dalle razionalizzazioni delle immagini del mondo e dei mondi della vita, verso la crescente differenziazione di una ragione che assume con ciò una figura procedurale. Con la naturalistica assimilazione di pretese di validità a pretese di potere, con la distruzione della capacità critica, rivaleggia la formazione di culture di esperti nelle quali una sfera di validità articolata appoggia le pretese di verità proposizionale, di giustezza normativa e di autenticità, ai fini di un significato proprio, e certamente anche di una vita propria esoterica e a sua volta compromessa dal distacco dalla prassi comunicativa quotidiana. La Dialettica dell'illuminismo non rende giustizia a quel contenuto razionale della modernità cuìturale che è stato custodito negli ideali borghesi (e con essi anche strumentalizzato): intendo la dinamica teoretica propria che sempre torna a spingere le scienze, e perfino l'autoriflessione delle scienze, oltre la produzione di sapere tecnicamente utilizzabile; intendo ancora le basi universalistiche del diritto e della morale, che hanno trovato anche un'incarnazione (sia pure incompleta e distorta) nelle istituzioni degli Stati costituzionali, in forme di educazione democratica della volontà, in modelli individualistici di formazione dell'identità; intendo infine la produttività e la forza dirompente di profonde esperienze estetiche, che strappano dal suo proprio decentramento una soggettività liberata da imperativi dell'attività utilitaria e da convenzioni della percezione quotidiana. Sono le esperienze che nelle opere d'arte d'avanguardia giungono alla rappresentazione, nei discorsi della critica d'arte al linguaggio, e nei codici di valore dell'autorealizzazione, arricchiti in senso 116 www.scribd.com/Baruhk innovativo, anche ad un certo effetto illuminante - o almeno ad istruttivi effetti di contrasto. Se questi cenni circa lo scopo del mio argomento fossero completati a sufficienza, essi potrebbero confermare l'impressione intuitiva dell'incompletezza e unilateralità (per esprimerci cautamente) che lascia a prima vista la lettura di questo libro. Il lettore ricava a giusto titolo la sensazione che la descrizione livellante non tenga conto di tratti essenziali della modernità culturale. Ma allora si impone la domanda sui motivi che possono aver indotto Horkheimer e Adorno a spingere così a fondo la loro critica all'Illuminismo, da compromettere il progetto dell'Illuminismo stesso; la Dialettica dell'illuminismo non lascia infatti molte speranze di sfuggire al mito della razionalità in vista dello scopo, sfociato nel dominio materiale. Per chiarire tale questione, vorrei anzitutto identificare il posto che assume la critica marxiana dell'ideologia nell'insieme del processo dell'Illuminismo, per poi trovare la ragione per cui Horkheimer e Adorno credettero di dover al contempo abbandonare e sopravanzare la critica di questo tipo. II Abbiamo finora conosciuto la mentalità mitica solo sotto l'aspetto dell'atteggiamento ambivalente dei soggetti verso le potenze primordiali, quindi dal punto di vista dell'emancipazione, che è centrale per la formazione dell'identità. Horkheimer e Adorno concepiscono l'Illuminismo come il fallito tentativo di svincolarsi dalle potenze del destino. Il vuoto desolato dell'emancipazione è la forma sotto la quale la maledizione delle forze mitiche . ancora una volta cattura il fuggitivo. Un'altra dimensione della descrizione del pensiero mitico come di quello illuminista viene espressa solo in pochi passi, dove viene determinato il cammino della demitologizzazione come trasformazione e differenziazione di concetti fondamentali. Il mito deve la forza totalizzante con la quale inquadra tutti i fenomeni percepiti in superficie in una rete di corrispondenze, di rapporti di analogia e di contrasto, a concetti fondamentali, nei quali è categorialmente tenuto insieme ciò che la moderna concezione del mondo non concilia più. Ad esempio, il linguaggio è il mezzo della rappresentazione non ancora tanto staccato dalla realtà, da far sì che il segno convenzionale sia comunemente separato dal contenuto semantico e dal 117 www.scribd.com/Baruhk referente; l'immagine mitica del mondo rimane intessuta con l'ordine del mondo. Le tradizioni mitiche non possono essere rivedute senza pericolo per l'ordinamento delle cose e l'identità della stirpe che vi è inclusa. Categorie di validità, quali ' vero ' e 'falso', 'buono' e ' cattivo', sono ancora collegate con concetti empirici quali scambio, causalità, salute, sostanza e proprietà. Il pensiero magico non consente alcuna distinzione concettuale di principio fra cose e persone, inanimato e animato, fra oggetti che possono essere manipolati e agenti ai quali attribuiamo azioni ed espressioni linguistiche. Soltanto la demitologizzazione dissolve quella magìa che a noi appare come una confusione fra natura e cultura. Il processo dell'Illuminismo porta alla desocializzazione della natura e alla denaturalizzazione del mondo umano; con Piaget, tale processo può essere inteso come un decentramento dell'immagine del mondo. L'immagine tradizionale del mondo viene infine resa temporale e può essere distinta, come interpretazione mutevole, dal mondo stesso. Questo mondo esteriore si differenzia nel mondo oggettivo dell'essente e nel mondo sociale delle norme (o dei rapporti interpersonali regolati normativamente); ambedue si staccano dal rispettivo mondo interno degli eventi soggettivi. Come ha mostrato Max Weber, questo processo prosegue nella razionalizzazione delle immagini del mondo, che come religione e metafisica sono anch'esse debitrici della demitologizzazione. Dove la razionalizzazione, come nella linea tradizionale occidentale, non si arresta neppure di fronte ai fondamentali concetti teologici e metafisici, la sfera dei nessi di validità non solo viene purgata dalle commistioni empiriche, bensì viene anche internamente differenziata secondo punti di vista di verità, di legittimità normativa e di veracità soggettiva o autenticità 15 • Se in tal modo si descrive il processo in corso fra mito e illuminismo come la formazione di una concezione del mondo decentrata, si può indicare nel dramma anche il luogo dove può emergere il procedimento della critica dell'ideologia. Solo quando vengono separati i rapporti di senso e quelli delle cose, le relazioni interne ed esterne, solo quando scienza, morale e arte sono specializzate ciascuna ad una sola pretesa di validità, seguendo ciascuna la sua rispettiva logica, e quando sono purgate da scorie cosmologiche, teologiche, culturali, solo allora può nascere il sospetto che l'autonomia della validità, a cui pretende una teoria 15 J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1981, vol. l, cap. Il (tr. it. cit.). 118 www.scribd.com/Baruhk empirica o normativa, sia un'apparenza, perché nei suoi pori si sono infiltrati interessi nascosti e pretese di potere. La critica che è ispirata da un tale sospetto vuol dimostrare che la teoria sospettata, nelle affermazioni per le quali per un verso pretende validità, rivela a tergo subordinazioni che non le è consentito ammettere, senza perdere la credibilità. La critica diventa critica dell'ideologia quando vuole mostrare che la validità della teoria non si è ancora staccata in misura sufficiente dal contesto della propria origine, che alle spalle della teoria si nasconde un inammissibile miscuglio di potere e di validità, e che proprio ad esso deve ancora la sua reputazione. La critica dell'ideologia vuole mostrare come, ad un livello per il quale la difficile distinzione fra contesti di senso e di cose è costitutiva, proprio queste relazioni interne ed esterne si ingarbugliano, perché le pretese di validità vengono determinate da rapporti di potere. La critica dell'ideologia non è essa stessa una teoria che competa con un'altra; essa si serve soltanto di determinati assunti teoretici. Reggendosi su di questi, essa confuta la verità di una teoria sospetta, svelandone la mancanza di veracità. Essa prosegue il processo dell'Illuminismo, dimostrando come una teoria che presuppone una comprensione demitologizzata del mondo sia ancora chiusa nel mito, e segua le tracce di un errore categoriale che si pretende superato. Con questo genere di critica l'Illuminismo diventa per la prima volta riflessivo; esso si completa ora con i suoi propri prodotti. Ma il dramma dell'Illuminismo giunge alla propria peripezia solo quando la stessa critica dell'ideologia viene sospettata di non produrre (più) delle verità - e l'Illuminismo diventa riflessivo per la seconda volta. Il dubbio si estende allora anche alla ragione, i cui criteri la critica dell'ideologia ha trovato dati negli ideali borghesi e non ha fatto altro che prendere in parola. Questo passo lo compie la Dialettica dell'illuminismo - essa autonomizza la critica anche nei confronti dei propri fondamenti. Perché Horkheimer e Adorno si vedono costretti a fare tale passo? La teoria critica era stata sviluppata dapprima nella cerchia attorno ad Horkheimer, per elaborare le delusioni politiche sulla mancata rivoluzione in Occidente, sullo sviluppo stalinista nella Russia sovietica e sulla vittoria del fascismo in Germania; essa doveva spiegare il fallimento delle prognosi marxiste, senza peraltro rompere con le intenzioni marxiste. Su questo sfondo diventa comprensibile come negli anni più oscuri della seconda guerra mondiale poté consolidarsi più che mai l'impressione che 119 www.scribd.com/Baruhk l'ultima scintilla di ragione fosse scomparsa da questa realtà, lasciandosi dietro le rovine desolate di una civiltà in decadenza. L'idea della storia della natura, che il giovane Adorno aveva accolto da Benjamin 16, sembrava essersi realizzata in modo imprevisto. La storia, nel momento della sua estrema accelerazione, si era irrigidita in natura, era impallidita a calvario di una speranza divenuta irriconoscibile. Certamente, simili spiegazioni storico-contemporanee e psicologiche possono pretendere di aver interesse in contesti teoretici solamente nella misura in cui contengono riferimenti ad un motivo sistematico. In effetti, le esperienze politiche dovettero entrare in contatto con i fondamentali assunti storico-materialistici sui quali ancora negli anni Trenta si era retta la Scuola di Francoforte. In una delle ' annotazioni ' aggiunte asistematicamente, Filosofia e divisione (scientifica) del lavoro, si trova un passo che si legge come un'intrusione proveniente dal periodo classico della teoria critica. La filosofia, vi è detto, non riconosce norme o fini astratti, che si presterebbero ad un'applicazione in contrasto con i fini e le norme vigenti. La sua libertà dalla suggestione dell'esistente consiste proprio in ciò, che essa accetta senza starei troppo a pensare gli ideali borghesi: quelli che sono ancora proclamati - e sia pure in forma alterata dagli esponenti dell'attuale stato di cose, o quelli che sono ancora riconoscibili come significato oggettivo delle istituzioni, tecniche e culturali, a dispetto di ogni manipolazione 17 • Con ciò Horkheimer e Adorno richiamano la figura della critica marxiana dell'ideologia, la quale prendeva le mosse dal fatto che il potenziale di ragione enunciato negli ' ideali borghesi ' e inserito nel ' senso oggettivo delle istituzioni ', mostra due facce: da un lato esso conferisce alle ideologie della classe dominante l'aspetto menzognero di teorie convincenti, dall'altro esso offre il punto di appoggio per una critica immanente nei confronti di quelle strutture che elevano a interesse generale ciò che in realtà serve solamente alla parte dominante della società. La critica dell'ideologia decifrò nelle idee abusate una parte di ragione esistente nascosta a se stessa, lesse queste idee come una promessa che avrebbe potuto adempiersi attraverso moti 16 T. W. Adorno, Gesammelte Schrijten, vol. I, Frankfurt a. M. 1973, pp. 345 sgg. 17 DA, p. 292 (DI, p. 260). 120 www.scribd.com/Baruhk sociali nella misura in cui si fossero sviluppate forze produttive eccedenti. I teorici critici negli anni Trenta avevano mantenuto una parte della fiducia, propria della filosofia della storia, nel potenziale razionale della cultura borghese, che doveva essere liberato sotto la pressione delle forze produttive sviluppate; su questo si era fondato anche quel programma di ricerca interdisciplinare che si realizza poi nei volumi della « Zeitschrift fi.ir Sozialforschung » (1932-1941). Helmut Dubiel ha mostrato, sulla base dello sviluppo della prima teoria critica, perché questo capitale di fiducia all'inizio degli anni Quaranta fosse a tal punto consumato 18 , che Horkheimer e Adorno ritennero esaurita la critica marxiana dell'ideologia e non credettero più di poter mantenere la promessa di una teoria critica della società costruita con i mezzi delle scienze sociali. Essi praticano invece una radicalizzazione e un autosuperamento della critica dell'ideologia, che deve informare l'Illuminismo su se stesso. La prefazione alla Dialettica dell'illuminismo inizia con queste parole: Pur avendo osservato da molti anni che nell'attività scientifica moderna le grandi invenzioni si pagano con una crescente decadenza della cultura teoretica, credevamo pur sempre di poter seguire la falsariga dell'organizzazione scientifica nel senso che il nostro contributo si sarebbe limitato essenzialmente alla critica o alla continuazione di dottrine particolari. Esso avrebbe dovuto attenersi, almeno nell'ordinamento tematico, alle discipline tradizionali: sociologia, psicologia e gnoseologia. I frammenti raccolti in questo volume mostrano che abbiamo dovuto rinunciare a quella fiducia 19• Se la coscienza, divenuta cinica, degli scrittori neri enuncia la verità sulla cultura borghese, la critica dell'ideologia non conserva più nulla di ciò a cui essa potrebbe fare ricorso; e se le forze produttive entrano in una· nefasta simbiosi con quei rapporti di produzione, che un tempo esse dovevano far saltare, allora non vi è più alcuna dinamica in cui la critica potrebbe riporre le proprie speranze. Horkheimer e Adorno vedono quindi scosse le basi della critica dell'ideologia - e vorrebbero tuttavia attenersi allo schema fondamentale dell'Illuminismo. Così, quanto l'Illuminismo ha compiuto nei confronti del mito, essi lo applicano di nuovo al processo dell'Illuminismo nel suo 18 H. Dubiel, Wissenschaftsorganisation und politische Erfahrung, Frankfurt a. M. 1978, parte A. 19 DA, p. 5 (DI, p. 3). 121 www.scribd.com/Baruhk complesso. In quanto si volge contro la ragione come fondamento della sua propria validità, la critica diventa totale. Come è da intendersi questa totalizzazione e autonomizzazione della critica? III Il sospetto nei confronti dell'ideologia diventa totale, senza tuttavia modificare la direzione. Esso si volge non solo contro la funzione irrazionale degli ideali borghesi, bensì contro lo stesso potenziale di razionalità della cultura borghese, e si estende quindi ai fondamenti di una critica dell'ideologia il cui procedimento sia immanente; rimane tuttavia il proposito di conseguire un effetto di svelamento. Invariato è lo schema di pensiero in cui viene inserito lo scetticismo nella ragione; ora la ragione stessa è sospettata della nefasta confusione fra pretese di potere e di validità, ma ancora con intento illuministico. Con il concetto di ' ragione strumentale ' si vogliono regolare i conti con un intelletto calcolante, che ha usurpato il posto della ragione 20 • Questo concetto deve al contempo ricordare che la razionalità in vista dello scopo, ampliata a totalità, assorbe la distinzione fra ciò che esige validità e ciò che serve all'autoconservazione, demolendo così quella barriera fra validità e potere, annullando quella differenziazione concettuale di principio, che la moderna comprensione del mondo credeva di dovere ad un definitivo superamento del mito. La ragione, come ragione strumentale, si è assimilata al potere, ed ha quindi rinunciato alla propria forza critica - questo è l'ultimo svelamento di una critica dell'ideologia applicata a se stessa. Senza dubbio, questa descrive, in modo paradossale, l'autodistruzione della capacità critica, perché nell'istante della descrizione deve ancora fare uso della critica, che era già stata data per morta. Essa denuncia il divenir totalitario dell'Illuminismo con i mezzi che gli sono propri. Adorno era perfettamente consapevole di questa contraddizione performativa della critica totalizzata. La Dialettica negativa di Adorno si legge come una continua spiegazione del perché dobbiamo ruotare, anzi dobbiamo persistere, in questa contraddizione performativa, perché solo lo svi20 Principalmente: M. Horkheimer, Zur Kritik der instrumentel/en Vernunft (1947), Frankfurt a. M. 1967 (tr. it., Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale, Torino 1969). 122 www.scribd.com/Baruhk luppo incessante e insistente del paradosso apre la prospettiva su quella ' anamnesi' della natura del soggetto, quasi magicamente evocata, « nel compimento della quale è la verità misconosciuta di ogni cultura » 21 • Nei venticinque anni trascorsi dalla conclusione della Dialettica dell'illuminismo, Adorno è rimasto fedele all'impulso filosofico e non ha evitato la struttura paradossale di un pensiero della critica totalizzata. La grandiosità di questa sua coerenza appare nel confronto con Nietzsche, la cui Genealogia della morale era stato il grande modello per il secondo divenir riflessivo dell'Illuminismo. Nietzsche ha rimosso la struttura paradossale, ha spiegato l'assimilazione della ragione al potere, compiutasi nella modernità, con una teoria della potenza, che si rimitologizza spontaneamente e in luogo dell'esigenza di verità mantiene ancora soltanto la pretesa retorica del frammento estetico. Nietzsche aveva preteso di mostrare in che modo si totalizzi la critica; ma solamente alla fine si scopre che l'amalgama di validità e potere è per lui uno scandalo solo perché ostacola una glorificata volontà di potenza che è dotata delle connotazioni della produttività artistica. Il confronto con Nietzsche mostra che la direzione non è inscritta nella critica divenuta totale. Fra i teorici irremovibili dello svelamento, Nietzsche è quello che radicalizza l'Illuminismo 22 • La posizione Horkheimer e Adorno nei confronti di Nietzsche è contraddittoria. Da un lato, essi gli riconoscono di avere « compreso, come pochi dopo Hegel, la dialettica dell'Illuminismo » Z3. Essi accettano naturalmente « la spietata lezione dell'identità di dominio e ragione» 2\ cioè l'avvìo ad un autosuperamento totalizzante dell'ideologia. Dall'altro lato, non possono ignorare che · Hegel è anche l'estremo opposto di Nietzsche. Nietzsche volge all'affermativo la critica della ragione, fino al punto che perde il proprio pungolo anche la negazione determinata, cioè quel procedimento che Horkheimer e Adorno vogliono conservare come unico esercizio, perché la ragione stessa è giunta a vacillare. La critica di Nietzsche divora lo stesso impulso critico: Come protesta contro la civiltà, la morale dei signori rappresentava indirettamente gli oppressi: l'odio per gli istinti atrofizzati denuncia oggettivamente la vera natura dei custodi, che non fa DA, p. 55 (DI, pp. 48 sg.). Come i suoi seguaci neoconservatori, già egli stesso si atteggia ad ' antisociologo ': cfr. H. Baier, Die Gesellschaft - ein langer Schatten des toten Gottes, in « Nietzsche-Studien >>, vol. X/Xl, 1982, pp. 6 sgg. 23 DA, p, 59 (DI, p. 53). 24 DA, p. 143 (DI, p. 129, modificata). 21 22 123 www.scribd.com/Baruhk che manifestarsi nelle loro vittime. Ma come grande potenza e religione di Stato, la morale dei signori si vende definitivamente ai powers that be della civiltà di massa, alla maggioranza compatta, al risentimento ed a tutto ciò contro cui una volta si opponeva. Nietzsche viene confutato dalla sua realizzazione, e insieme si libera la sua verità, che nonostante ogni sì alla vita era ostile allo spirito della realtà 25. l'atteggiamento contraddittorio nei confronti di Nietzsche è istruttivo. Esso indica anche che la Dialettica dell'illuminismo deve a Nietzsche più che la sola strategia di una critica dell'ideologia che si rivolge contro se stessa. Rimane però difficile, ora come prima, spiegare quella certa noncuranza nei rapporti (diciamolo pure con ostentazione) con le conquiste del razionalismo occidentale. Come hanno potuto i due, che sono pur sempre illuministi, sottovalutare il contenuto razionale della modernità culturale, fino al punto da percepire in tutto solamente una lega di ragione e dominio, potere e validità? Si lasciano ispirare da Nietzsche anche nell'acquisire i loro criteri di critica della cultura da un'esperienza fondamentale autonomizzata della modernità estetica? In primo luogo, sono sorprendenti le concordanze di contenuto 26 • Di quella costruzione che Horkheimer e Adorno pòngono a base della loro 'preistoria della soggettività', si trovano punto per punto analogie in Nietzsche. Appena gli uomini, sostiene Nietzsche, furono privati dei loro istinti ' scatenati ', dovettero far assegno sulla loro ' coscienza', cioè sull'apparato dell'aggettivazione e della messa a disposizione della natura esterna: « Essi furono ridotti al pensare, concludere, calcolare, combinare cause ed effetti, questi infelici »-n. Nello stesso momento dovettero però esser domati i vecchi istinti, repressa la natura bisognosa, che non trovava più sbocco spontaneo. Con questo processo di inversione della direzione dell'impulso, e di interiorizzazione, si forma, sotto il segno della rinuncia o della ' cattiva coscienza ', la soggettività di una natura interna: « Tutti gli istinti che non si scaricano verso l'esterno si volgono verso l'interno - questo è ciò che chiamo l'interiorizzazione dell'uomo: solo così va crescendo nell'uomo ciò che poi viene chiamato la sua ' anima '. L'intero mondo interno, in origine DA, p. 122 (DI, p. 110, modificata). Cfr. anche P. Pi.itz, Nietzsche im Lichte der Kritischen Theorie, in tzsche-Studien »,vol. III, Berlin 1974, pp. 175 sgg. 27 F. Nietzsche, Si:imt/iche Werke cit., vol. V, p. 322. 25 26 124 www.scribd.com/Baruhk << Nie- sottilmente teso come tra due membrane, si è diversificato e dischiuso, acquisendo profondità, larghezza, altezza, nella misura in cui è stato ostacolato lo sfogo dell'uomo verso l'esterno» 28• Infine i due elementi di un dominio sulla natura esterna e su quella interna si congiungono e si rafforzano nel dominio istituzionalizzato di uomini su altri uomini: « Il vessillo della pace e della società » è posto su tutte le istituzioni, perché queste costringano l'uomo alla rinuncia: « Quei formidabili baluardi con cui l'organizzazione dello Stato si proteggeva contro i vecchi istinti della libertà - di questi baluardi fanno parte principalmente le punizioni - riuscirono a far sì che tutti questi istinti dell'uomo selvaggio, libero, vagabondo, si volgessero indietro, contro lo stesso uomo» 29 • Allo stesso modo la critica nietzschiana della conoscenza e della morale anticipa un'idea che Horkheimer e Adorno sviluppano nella forma di una critica della ragione strumentale: dietro gli ideali di oggettività e le pretese di verità del positivismo, dietro gli ideali ascetici e le pretese di giustezza della morale universalistica, si nascondono imperativi di autoconservazione e di dominio. Una teoria pragmatistica della conoscenza e una dottrina morale delle passioni smascherano la ragione teoretica e pratica come pure finzioni, nelle quali pretese di potere si procurano un alibi efficace - e ciò con l'ausilio dell'immaginazione, dell'« impulso alla creazione di metafore, per il quale gli stimoli esterni offrono soltanto l'occasione per risposte proiettive, per un intrico di interpretazioni dietro le quali il testo scompare» 30 • Certamente Nietzsche fa risaltare in modo diverso dalla Dialettica dell'illuminismo la prospettiva secondo la quale considera la modernità. E solo questa angolazione spiega perché natura oggettivata e società moralizzata decadono ad altrettante forme di manifestazione della medesima potenza mitica, sia essa la volontà di potenza pervertita oppure la ragione strumentale. Questa prospettiva si è aperta con la modernità estetica, con quello svelamento ostinato, e accelerato nell'arte d'avanguardia, di una soggettività decentrata, liberata da tutte le restrizioni della cognizione e dell'attività per uno scopo, da tutti gli imperativi del lavoro e dell'utilità. Nietzsche non è solamente un 28 29 Jbid. Jbid. J. Habermas, Nachwort a F. Nietzsche, Erkenntnistheoretische Schriften, Frankfurt a. M. 1968, pp. 237 sgg. 30 125 www.scribd.com/Baruhk contemporaneo di Mallarmé, a lui spiritualmente affine 31 ; egli non ha solamente assorbito lo spirito tardo-romantico di Richard Wagner; egli per primo elabora concettualmente il sentimento della modernità estetica, ancor prima che la coscienza d'avanguardia nella letteratura, nella pittura e nella musica del XX secolo possa assumere configurazione obiettiva ed essere elaborata teoreticamente da Adorno nella Teoria estetica. Nella rivalutazione del transitorio, nella celebrazione del dinamismo, nell'esaltazione dell'attualità e del nuovo, si esprime una coscienza del tempo motivata esteticamente, l'anelito verso un immacolato presente, che si arresti. L'intenzione anarchica dei surrealisti, di far saltare il continuum della storia della decadenza, è già all'opera in Nietzsche. La forza sovversiva di una resistenza estetica, che più tardi alimenterà le riflessioni di Benjamin, e anche di Peter Weiss, scaturisce già in Nietzsche dall'esperienza della ribellione contro tutto ciò che è normativo. È la medesima forza che neutralizza tanto il moralmente buono quanto il praticamente utile, quella che si manifesta nella dialettica di segreto e di scandalo, nel piacere dello sgomento di fronte alla profanazione. Nietzsche eleva a grandi antagonisti Socrate e Cristo, sostenitori di una fede nella verità e nell'ideale ascetico: sono essi che negano i valori estetici! Nietzsche confida solo nell'arte, «nella quale appunto si sana la menzogna, la volontà dell'illusione » 32, solo nel terrore del bello, per non lasciarsi catturare dal mondo fittizio della scienza e della morale. Nietzsche intronizza il senso del gusto, «il Sì e il No del palato » 33 , quale unico organo di una ' conoscenza' al di là del vero e del falso, al di là del bene e del male. Il giudizio di gusto del critico d'arte egli lo innalza a modello del giudizio di valore, dell'' apprezzamento '. Il senso legittimo della critica è quello di un giudizio di valore che produce un ordine gerarchico, pesa le cose, misura le forze. Ed ogni interpretazione è valutazione. Il ' Sì' esprime un apprezzamento alto, il 'No' uno basso. ' Alto ' e ' basso ' caratterizzano la dimensione della presa di posizione Sì/No in genere. È interessante vedere con quanta coerenza Nietzsche sfugga le prese di posizione Sì/No nei confronti di pretese di validità criticabili. Egli svaluta dapprima la verità delle proposizioni assertorie e la giustezza delle proposizioni normative, ricondu31 In proposito, cfr. G. Deleuze, Nietzsche und die Philosophie, Miinchen 1976, pp. 38 sgg. 32 F. Nietzsche, op. cit., vol. V, p. 402. 33 lvi, p. 158. 126 www.scribd.com/Baruhk cendo validità e non-validità a giudizi di valore positivi e negativi: riduce « p è vero » e « n è giusto », ossia proposizioni complesse, con le quali noi pretendiamo validità per proposizioni enunciative e normative, a proposizioni valutative semplici, con le quali esprimiamo apprezzamenti, diciamo cioè che vorremmo anteporre il vero al falso e il buono al cattivo. Nietzsche dunque prima reinterpreta le pretese di validità come preferenze, e pone poi la domanda: posto il caso che noi preferiamo la verità (e la giustizia): perché non piuttosto la non-verità (e l'ingiustizia)? 34 • Sono giudizi di gusto, quelli che rispondono alla domanda relativa al valore della verità e della giustizia. Senza dubbio, dietro questi apprezzamenti fondamentali potrebbe celarsi un'architettonica che, come un tempo in Schiller, deve ancorare l'unità della ragione teoretica e pratica nella facoltà del giudizio estetico. Nietzsche può assimilare completamente la ragione al potere solamente in quanto toglie lo status cognitivo ai giudizi di valore, e dimostra che nelle prese di posizione Sì/No, che sono proprie degli apprezzamenti, non si esprimono più pretese di validità, bensì pure pretese di potere. Dal punto di vista dell'analisi linguistica, il passo successivo dell'argomentazione ha quindi come obiettivo quello di assimilare i giudizi di gusto agli imperativi, gli apprezzamenti alle espressioni di volontà. Nietzsche si contrappone all'analisi di Kant sul giudizio di gusto 35 per fondare la tesi che le valutazioni sono necessariamente soggettive e non possono essere associate ad una pretesa di validità intersoggettiva. L'aspetto del piacere disinteressato, nonché quello dell'impersonalità e dell'universalità del giudizio estetico devono poter risultare soltanto dalla prospettiva dell'osservatore; dal punto di vista dell'artista che produce, noi rileviamo però che gli apprezzamenti sono indotti da posizioni di valori innovative. L'estetica della produzione sviluppa l'esperienza dell'artista geniale, che crea valori: dalla sua visuale gli apprezzamenti sono dettati da uno « sguardo che pone valori» 36 • La produttività che pone valori prescrive la legge dell'apprezzamento. Così, nella validità cui pretende il giudizio di gusto, si esprime l'« eccitazione della volontà per mezzo del bello». Una volontà risponde a un'altra volontà, una forza si impossessa dell'altra. Questa è la via attraverso la quale Nietzsche giunge dalle 34 35 36 lvi, p. 15. lvi, pp. 346 sg. lvi, p. 271. 127 www.scribd.com/Baruhk prese di posizione Sì/No degli apprezzamenti, dopo averli depurati da tutte le pretese cognitive, al concetto della volontà di potenza. Il bello è «lo stimolante della volontà di potenza», Il nucleo estetico della volontà di potenza è quindi la capacità di una sensibilità che si lascia muovere nel modo più svariato possibile 37 • Quando però il pensare non può più muoversi nell'elemento della verità, delle pretese di validità in generale 38 , allora contraddizione e critica perdono il loro senso. Contraddire, dire no, ha ormai solamente il senso di « voler essere diverso». Senza dubbio Nietzsche può difficilmente accontentarsene nell'attuazione della sua critica della cultura. Quest'ultima non deve affatto esaurirsi in agitazione, ma deve mostrare perché sia falso o ingiusto o cattivo riconoscere la sovranità degli ideali, ostili alla vita, della scienza e della morale universalistica. Se però tutti i predicati di yalidità sono svalutati, e se negli apprezzamenti non si esprimono pretese di validità, ma soltanto pretese di potere, secondo quale criterio la critica deve ancora effettuare le proprie distinzioni? Essa deve almeno poter discriminare fra un potere che merita di essere stimato, ed uno che merita di essere svalutato. Da questa aporia può aiutarci ad uscire soltanto una teoria del potere che distingua tra forze ' attive ' e forze puramente ' reattive '. Ma Nietzsche non può ammettere questa teoria del potere come una teoria che possa essere vera o falsa. Egli stesso si muove, in forza della propria analisi, in un mondo dell'apparenza, nel quale si possono distinguere ombre più chiare da ombre più scure, ma non già ragione da irrazionalità. Questo è un mondo per così dire ricaduto nel mito, in cui vi sono potenze 37 La funzione mediatrice del giudizio di gusto nella riduzione delle prese di posizione Sì/No nei riguardi di pretese di validità criticabili al ' Sl ' e al 'No' nei riguardi di manifestazioni imperativistiche della volontà si evidenzia anche nel modo in cui Nietzsche riesamina, insieme al concetto della verità delle asserzioni, il concetto del modo incorporato nella nostra grammatica: « Che cosa ci costringe dopotutto all'assunto secondo il quale esiste una contrapposizione essenziale tra ' vero ' e ' falso '? Non è sufficiente ammettere gradi dell'illusione, e per dir così tonalità generali e ombre più chiare e più scure dell'apparenza - diversi valeurs, per parlare il linguaggio dei pittori? Perché il mondo, che un po' ci riguarda - non dovrebbe essere una finzione? E a chi chiedesse qui: 'ma per la finzione non ci vuole un autore?' - non si dovrebbe rispondere chiaro e tondo: Perché? Questo ' ci vuole' non fa forse parte della finzione? Non è dunque lecito essere per l'appunto alquanto ironici nei riguardi del soggetto, come nei riguardi del predicato e dell'oggetto? Il filosofo non dovrebbe elevarsi al di sopra della credulità nella grammatica?>> (lvi, pp. 53 sg.). 38 G. Deleuze, op. cit., pp. 114 sgg. 128 www.scribd.com/Baruhk che influiscono l'una sull'altra, e non è rimasto più nessun elemento che possa trascendere la lotta delle potenze. Forse è senz'altro tipico di quel modo astorico di percezione, che è proprio della modernità estetica, che le singole epoche perdano il loro volto a favore di un'affinità eroica del presente con ciò che è più lontano e più originario: il decadente vuole porsi direttamente in rapporto con il barbarico, il selvaggio, il primitivo. In ogni caso il rinnovamento nietzscheano del quadro mitico-originario si adatta bene a questa mentalità: la cultura autentica è già da tempo tramontata; sul presente incombe la maledizione della lontananza dalle origini; perciò Nietzsche pensa antiutopicamente l'avvicinarsi di quella cultura, che ancora manca, come ritorno e ripetizione. Questo quadro non ha un valore puramente metaforico; ha invece il senso sistematico di far posto per la figura paradossale di una critica sgravata dalle ipoteche del pensiero illuminato. In Nietzsche infatti la critica dell'ideologia divenuta totale si rovescia in ciò che egli chiama 'critica genealogica'. Dopo che il senso del dir di no è stato sospeso, e il procedimento della negazione è stato messo fuori gioco, Nietzsche ritorna a quella dimensione del mito originario che consente una distinzione comprendente tutte le altre dimensioni: ciò che è più antico è ciò che viene prima nella catena delle generazioni, ciò che è più vicino alle origini. Ciò che è più originario deve essere considerato come ciò che è più venerando, più nobile, più incorrotto, più puro: in breve, deve essere considerato come ciò che è migliore. Derivazione ed origine servono quale criterio del rango, tanto nel senso sociale quanto nel senso logico. In questo senso Nietzsche fonda la sua critica della morale sulla genealogia. Egli riconduce l'apprezzamento morale, che attribuisce ad una persona o ad un modo di agire un posto in un ordine di precedenza formato secondo criteri di validità, all'origine, e quindi al rango sociale di colui che emette il giudizio morale: L'indicazione della via giusta me la diede la domanda su che cosa propriamente debbono significare dal punto di vista etimologico le denominazioni del 'buono' coniate nelle diverse lingue: allora trovai che tutte quante riportano alla medesima mutazione concettuale; che dovunque 'eccellente', 'nobile', nel senso del rango, è il concetto fondamentale dal quale si svolge necessariamente ' buono ' nel senso di ' spiritualmente eccellente ', ' nobile ' nel 129 www.scribd.com/Baruhk senso di ' spiritualmente ben nato', 'spiritualmente privilegiato ': uno sviluppo che è sempre parallelo con quell'altro, che muta alla fine 'volgare', 'plebeo', 'basso' nel concetto di 'cattivo' 39 • Così la localizzazione genealogica dei poteri assume un senso critico: quelle che secondo la discendenza sono antecedenti e più nobili, sono le forze attive, creatrici, mentre nelle forze posteriori secondo l'origine, basse, reattive si esprime una volontà di potenza pervertita. In tal modo Nietzsche dispone dei mezzi cqncettuali con i quali può denunciare la mescolanza di fede nella ragione e ideale ascetico, di scienza e morale, come una vittoria puramente fattuale delle forze inferiori e reattive, certamente decisiva per il destino della modernità. Esse, come è noto, devono derivare dal risentimento dei più deboli, « dall'istinto di protezione e di salvezza di una vita che va degenerando» 40 , IV Abbiamo seguito la critica totalizzante, applicata anche a se stessa, in due varianti. Horkheimer e Adorno si trovano nella stessa situazione imbarazzante di Nietzsche: se non vogliono rinunciare all'effetto di un ultimo svelamento e vogliono proseguire la critica, per spiegare la corruzione di tutti i criteri razionali essi devono pure tenerne per sé ancora uno intatto. Davanti a questo paradosso la critica che si rovescia su se stessa perde la direzione. Essa ha due opzioni di fronte a sé. Nietzsche cerca scampo in una teoria della potenza; il che è conseguente, perché quella fusione di ragione e potere che la critica svela, lascia il mondo, come se fosse il mondo mitico, in preda alla inconciliabile lotta delle potenze. A ragione Nietzsche, attraverso l'interpretazione di Gilles Deleuze, ha esercitato F. Nietzsche, op. cit., vol. V, p. 261. lvi, p. 366. - In questa sede a me interessa solamente la struttura dell'argomento. Solo mediante il ricorso ad uno schema del pensiero mitico-originario Nietzsche conserva la posizione del critico smascherante, dopo aver distrutto i fondamenti della critica dell'ideologia tramite l'uso applicato anche a se stessa di questa critica. Una faccenda ben diversa è il contenuto ideologico della ' genealogia della morale ', e in generale la battaglia di Nietzsche contro le idee moderne, per la quale coloro che fra i dispregiatori della democrazia sono abbastanza colti mostrano, oggi come un tempo, un interesse sorprendente: cfr. R. Maurer, Nietzsche und die Kritische Theorie, e G. Rohrmoser, Nietzsches Kritik der Mora/, in « Nietzsche-Studien », vol. X/Xl, Berlin 1982, pp. 34 sgg. e 328 sgg. 39 40 130 www.scribd.com/Baruhk un influsso come teorico della potenza nella Francia strutturalista. Anche Foucault nei suoi lavori più recenti ha sostituito il modello di repressione del dominio, sviluppato da Marx e da Freud nella tradizione dell'Illuminismo, con un pluralismo di strategie del potere che si intersecano, si susseguono, e che si possono distinguere secondo il genere di formazione del discorso e il grado della loro intensità, ma non si possono giudicare sotto l'aspetto della validità, come avveniva nelle elaborazioni conflittuali consce rispetto a quelle inconsce 41 • Una via d'uscita dall'imbarazzo di una critica che attacca le premesse della sua propria validità non la offre certamente neppure la teoria delle forze attive e di quelle solo reattive - che tutt'al più apre la strada per un'evasione dall'orizzonte della modernità. Come teoria, è priva di base, se è vero che la distinzione categoriale fra pretese di potere e pretese di validità è la base su cui deve compiersi ogni lavoro teoretico. Perciò anche l'effetto dello svelamento si trasforma: non è la penetrazione fulminea in una confusione che minaccia l'identità a provocare lo shock, come nel motto di spirito il comprendere l'effetto finale provoca la risata liberatrice; lo shock è scatenato dalla de-differenziazione asserita, dal crollo asserito di quelle categorie, che sole possono fare di una svista, di una dimenticanza o di un lapsus, un errore categoriale che minaccia l'identità - o dell'arte, un'apparenza. Questa svolta regressiva pone ancora le forze dell'emancipazione a servizio dell'anti-illuminismo. Horkheimer e Adorno adottano un'altra opzione, fomentando e tenendo aperta, senza più valeria superare teoreticamente, la contraddizione performativa di una critica dell'ideologia che sopravanza se stessa. Dato che, sul livello di riflessione che si è raggiunto, ogni tentativo di formulare una teoria doveva necessariamente scivolare verso l'abisso, essi rinunciano alla teoria e praticano ad hoc la negazione determinata, opponendosi così a quella fusione di ragione e potere che chiude ogni fessura: La negazione determinata respinge le rappresentazioni imperfette dell'assoluto, gli idoli, non, come il rigorismo, opponendo loro l'idea alla cui stregua non reggono. La dialettica rivela piuttosto ogni immagine come scrittura, e insegna a leggere nei suoi caratteri l'ammissione della sua falsità, che la priva del suo potere e 41 H. Fink-Eitel, Miche/ Foucault Analytik der Macht, in F. A. Kittler (a cura di), Austreibung des Geistes aus den Geisteswissenschaften, Paderborn 1980, pp. 38 sgg.; A. Honneth- H. Joas, Soziales Handeln und menschliche Natur, Frankfurt a. M. 1980, pp. 123 sgg. 131 www.scribd.com/Baruhk l'appropria alla verità. plice sistema di segni. Hegel ha indicato un corruzione positivistica Cosl il linguaggio diventa più che un semCon il concetto di negazione determinata, elemento che distingue l'illuminismo dalla a cui egli Io assegna 42 • La pratica dello spirito di contraddizione è ciò che rimane dello « spirito della teoria intransigente ». E questa prassi è come uno scongiuro, per « invertire proprio alla sua meta » lo spirito maligno dell'inesorabile progresso 43 • Chi persiste nel paradosso in un punto che un tempo la filosofia occupava con le proprie fondazioni ultime, non solo assume una posizione scomoda; potrà mantenerla solamente se si può almeno render plausibile la mancanza di vie d'uscita. Anche il·ripiegamento da una situazione aporetica deve essere differito, altrimenti non vi è che una via, appunto quella all'indietro. Ma questo, a mio avviso, è proprio il caso. Il confronto con Nietzsche è istruttivo in quanto richiama l'attenzione sull'orizzonte dell'esperienza estetica, che guida e motiva il giudizio diagnostico del tempo. Ho mostrato in che modo Nietzsche strappi dal rapporto con la ragione teoretica e pratica quel momento della ragione che arriva a farsi valere specificamente nella sfera dei valori estetico-espressivi, in particolare nell'arte e nella critica d'arte d'avanguardia, e in che modo schematizzi la facoltà del giudizio, sul filo conduttore dell'' apprezzamento ' relegato nell'irrazionale, in una capacità di discernimento al di là del vero e del falso, del buono e del cattivo. In tal modo Nietzsche acquisisce criteri per una critica della cultura che smaschera scienza e morale come forme di espressione ideologica di una volontà di potenza pervertita, in modo analogo a quello in cui la Dialettica dell'illuminismo denuncia queste creazioni quali incarnazioni della ragione strumentale. Questo fatto induce a supporre che Horkheimer e Adorno percepiscano la modernità culturale da un analogo orizzonte d'esperienza, con la medesima sensibilità potenziata, ma anche con la stessa ottica ristretta che rende insensibili alle tracce e alle forme esistenti della razionalità comunicativa. A favore di tale supposizione sta anche l'architettonica della tarda filosofia di Adorno, in cui Dialettica negativa e Teoria estetica si sostengono reciprocamente - l'una, che dispiega il concetto paradossale del non-identico, rimanda all'altra, che decifra il contenuto mimetico camuffato nelle opere d'arte avanzate. 42 43 DA, p, 36 (DI, pp. 32 sg.). DA, p, 57 (DI, p. 50, modificata). 132 www.scribd.com/Baruhk La situazione problematica di fronte alla quale si videro posti Horkheimer e Adorno all'inizio degli anni Quaranta non ha dunque lasciato alcuna via d'uscita? Certamente, la teoria sulla quale fino ad allora si erano basati, e il procedimento della critica dell'ideologia, non ingannavano più - perché le forze produttive non sviluppavano più alcuna forza dirompente; perché le crisi e i conflitti di classe non promuovevano più una coscienza rivoluzionaria, né in genere unitaria, bensì solo una coscienza frammentaria; perché infine gli ideali borghesi venivano ristretti, o assumevano comunque forme che toglievano spazio agli attacchi di una critica immanente. D'altra parte, Horkheimer e Adorno non si sono più impegnati, allora, in una revisione sociologica della teoria, perché lo scetticismo contro il contenuto di verità degli ideali borghesi sembrava mettere in discussione i criteri della stessa critica dell'ideologia. Di fronte a questo secondo elemento, Horkheimer e Adorno hanno fatto la mossa autenticamente problematica: essi si sono, come lo storicismo 44, abbandonati ad uno sfrenato scetticismo nella ragione, invece di riflettere sui motivi che fanno dubitare di questo stesso scetticismo. Per questa via sarebbe forse stato possibile porre tanto profondamente le basi normative della teoria critica della società 45 , da impedire che essa potesse essere toccata da una decomposizione della cultura borghese quale si è compiuta allora in Germania sotto gli occhi di tutti. Effettivamente la critica dell'ideologia, sotto un certo aspetto, ha anche continuato l'Illuminismo non dialettico del pensiero antologico. Essa rimase imprigionata nell'immagine purista, come se nei rapporti interni fra genesi e validità vi fosse il diavolo che bisognava scacciare affinché la teoria, purificata da ogni aggiunta empirica, potesse muoversi nel suo proprio elemento. Di questa eredità la critica divenuta totale non si è sbarazzata. Infatti, appunto nell'intenzione di un ' ultimo svelamento ', che con uno strappo deve far cadere il velo dalla confusione di ragione e potere, si tradisce un proposito purista - analogo al proposito dell'antologia, di dividere categorialmente, cioè di colpo, essere ed apparenza. Le due sfere tuttavia, come il context of discovery e il context of justification nella comunità di comunicazione dei ricercatori, sono talmente intessute l'una nell'altra che devono essere separate proceduralmente, e cioè sem44 H. Schniidelbach, Ober historische Au/kliirung, in « Allgemeine Zeitschrift fiir Philosophie >>, 1979, pp. 17 sgg. 45 Cfr. la mia Theorie des kommunikativen Handelns, 2 voli., Frankfurt a. M. 1981 (tr. it., Teoria dell'agire comunicativo, 2 voli., Bologna 1986). 133 www.scribd.com/Baruhk pre di nuovo, dal pensiero mediatore. Nell'argomentazione si intersecano sempre critica e teoria, illuminismo e fondazione, anche se i partecipanti al discorso devono presupporre che sotto le inevitabili premesse comunicative del discorso argomentativo si riveli solo la libera costrizione dell'argomento migliore. Essi però sanno, o possono sapere, che anche questa idealizzazione è necessaria unicamente perché le convinzioni si formano e si affermano in un medium che non è 'puro', che non è liberato, a guisa delle idee platoniche, dal mondo dei fenomeni. Solamente un discorso che lo riconosca è in grado di liberarsi ancora dall'incanto del pensiero mitico, senza perdere la luce dei potenziali semantici conservati anche nel mito. www.scribd.com/Baruhk 6. L'INFILTRAZIONE DELLA CRITICA DELLA METAFISICA NEL RAZIONALISMO OCCIDENTALE: HEIDEGGER I Horkheimer e Adorno lottano ancora con Nietzsche; Heidegger e Bataille si schierano sotto la bandiera di Nietzsche per l'ultima battaglia. Vorrei anzitutto seguire, in base alle lezioni su Nietzsche tenute da Heidegger nel corso degli· anni Trenta e dei primi anni Quaranta, il modo in cui egli accoglie gradualmente il messianismo dionisiaco in quell'operazione che mira a varcare la soglia verso il pensiero post-moderno lungo la via di un oltrepassamento della metafisiCa dal suo interno. Per tale via Heidegger perviene ad una filosofia dell'originario temporalizzata. Ciò che io intendo con tale espressione, vorrei caratterizzarlo anticipatamente mediante quattro operazioni, cui Heidegger mette mano nella sua discussione con Nietzsche. 1. Come prima cosa Heidegger ristabilisce la filosofia in quella posizione dominante dalla quale era stata scacciata dalla critica dei giovani hegeliani. La desublimazione dello spirito era stata allora compiuta ancora secondo concetti che erano propri di Hegel: come una riabilitazione dell'esterno rispetto all'interno, del materiale rispetto allo spirituale, dell'essere rispetto alla coscienza, dell'oggettivo rispetto al soggettivo, della sensibilità rispetto all'intelletto e dell'empiria rispetto alla riflessione. Da questa critica dell'idealismo era derivato uno spodestamento della filosofia - non soltanto in favore dell'andamento autonomo della scienza, della morale e dell'arte, ma anche in favore del diritto proprio del mondo politico-sociale. Heidegger, procedendo in senso contrario, restituisce alla filosofia la perduta pienezza del potere. In base alla sua concezione, infatti, i destini storici di una civiltà o di una società sono fissati di volta in volta da una precomprensione collettivamente vincolante di tutto ciò che può 135 www.scribd.com/Baruhk accadere nel mondo. Questa precomprensione antologica dipende dai concetti fondamentali costituenti l'orizzonte, che in una certa misura pregiudicano il senso dell'essente: « Comunque possa venir interpretato l'essente - come spirito nel senso dello spiritualismo, o come materia ed energia nel senso del materialismo, o come divenire e vita, come volontà, come sostanza o soggetto, o come energheia, o come Eterno Ritorno dell'identico, - in ogni caso l'essente in quanto essente si mostra alla luce dell'Essere» 1 • In Occidente la metafisica è appunto il luogo in cui questa precomprensione si esprime nel modo più chiaro. Le tramutazioni epocali della comprensione dell'Essere si rispecchiano nella storia della metafisica. Già per Hegel la storia della filosofia era divenuta la chiave per intendere la filosofia della storia. Un rango analogo lo assume per Heidegger la storia della metafisica; con essa il filosofo si impadronisce delle fonti dalle quali ogni epoca riceve fatalmente la sua propria luce. 2. Questa ottica idealistica non è priva di conseguenze per la critica heideggeriana della modernità. All'inizio degli anni Quaranta - nello stesso momento in cui Horkheimer e Adorno stendevano in California quei disperati frammenti, che più tardi vennero pubblicati come Dialettica dell'illuminismo, - Heidegger vede nelle forme in cui si manifesta l'essenza totalitaria il « compimento del dominio mondiale europeo-moderno », Egli parla di « lotta per il dominio della terra », della « lotta per l'illimitato sfruttamento della terra come deposito di materie prime e per l'uso privo di illusioni del materiale umano al servizio del mandato incondizionato della 'volontà di potenza'» 2• In un tono che non è ancora del tutto libero da ammirazione, Heidegger caratterizza il superuomo in base all'immagine di un membro idealtipico delle SA: « Il superuomo è il modello di quell'umanità che per la prima volta si vuole come modello, e si modella su questo modello [ ... ]. Questo modello umano pone entro il tutto insensato la volontà di potenza come ' senso della terra'. L'ultimo periodo del nichilismo europeo è la ' catastrofe', nel senso di inversione affermante » 3 • Secondo Heidegger l'essenza totalitaria della sua epoca è caratterizzata dalle tecniche globali del dominio sulla natura, della condotta di guerra e dell'allevamento razziale, nelle quali si esprime la razionalità l M. Heidegger, Einleitung a Was ist Metaphysik?, in M. Heidegger, Wegmarken, Frankfurt a. M. 1967, pp. 361 sg. 2 M. Heidegger, Nietzsche, Pfullingen 1961, vol. Il, p. 333. 3 lvi, vol. II, p. 313. 136 www.scribd.com/Baruhk finalistica assolutizzata del « calcolo a fondo di ogni agire e progettare». Ma questo calcolo si fonda a sua volta nella comprensione dell'Essere specificamente moderna, che si è andata radicalizzando da Cescartes a Nietzsche: « L'età che noi chiamiamo tempo moderno [ ... ] si determina in quanto l'uomo diviene misura e centro dell'essente. L'uomo è ciò che sta alla base di tutto l'essente, cioè, modernamente, di ogni aggettivazione e rappresentabilità, il subjectum » 4 • L'originalità di Heidegger consiste nella collocazione del dominio del soggetto nella prospettiva della storia della metafisica. Descartes sta per così dire a metà strada fra Protagora e Nietzsche. Egli concepisce la soggettività dell'autocoscienza come il fondamento assolutamente certo del rappresentare; con ciò l'essente nel suo complesso si trasforma nel mondo soggettivo degli oggetti rappresentati, e la verità in certezza soggettiva 5• Con questa critica del soggettivismo moderno Heidegger fa suo un motivo che da Hegel in poi appartiene al patrimonio tematico del discorso della modernità. Più che la svolta antologica che Heidegger imprime a questo tema, è interessante la chiarezza con cui egli intenta il processo alla ragione centrata nel soggetto. Heidegger bada poco a quella differenza fra ragione (V ernunjt) e intelletto (V erstand), partendo dalla quale Hegel volle svolgere la dialettica dell'Illuminismo; dall'autocoscienza egli non può più ricavare, oltre al lato autoritario, anche quello della riconciliazione. :È lo stesso Heidegger, e non già un Illuminismo ottuso, che livella la ragione ad intelletto. La medesima comprensione dell'Essere che sprona la modernità ad estendere illimitatamente il suo potere di disposizione sui processi oggettivati della natura e della società, impone infatti alla soggettività scatenata anche vincoli che servono a render sicuro il suo procedimento imperativo. Tuttavia gli obblighi imperativi autoimposti restano idoli vuoti. Da questa prospettiva Heidegger può distruggere la ragione moderna. così a fondo, da non distinguere più fra i contenuti universalistici dell'Umanesimo, dell'Illuminismo e anche del Positivismo da un lato, e dall'altro le idee particolaristiche dell'autoaffermazione, proprie del razzismo e del nazionalismo, o di tipologie volte all'indietro nello stile di Spengler e di Jiinger 6 • Non importa se le idee moderne si presentano nel nome della ragione o della distruzione della ragione: 4 5 6 lvi, vol. II, p. 61. I vi, vol. II, pp. 141 sgg., 195 sgg. I vi, vol. II, pp. 145 sg. 137 www.scribd.com/Baruhk il prisma della comprensione moderna dell'Essere scompone tutti gli orientamenti normativi in pretese di potere di una soggettività ossessionata dall'autopotenziamento. D'altra parte la ricostruzione critica della storia della metafisica non può fare a meno di un proprio criterio. Essa lo riprende dal concetto implicitamente normativa del ' compimento ' della metafisica. 3. L'idea dell'origine e della fine della metafisica deve il suo potenziale critico alla circostanza che Heidegger si muove, non meno di Nietzsche, all'interno della coscienza moderna del tempo. L'inizio dell'età moderna è contrassegnato per lui dalla svolta epocale della filosofia della coscienza, che ha inizio con Descartes; e la radicalizzazione di questa comprensione dell'Essere attuata da Nietzsche contraddistingue l'età contemporanea, che determina la costellazione del presente 7 ; la quale a sua volta si presenta come il momento della crisi; il presente sottostà all'urgenza di decidere « se questo tempo finale sia la conclusione della storia occidentale oppure l'avvìo ad un altro inizio » 8 • Si tratta di decidere « se l'Occidente si creda ancora capace di creare un fine al di là di se stesso e della storia, oppure se preferisca abbassarsi alla conservazione e al potenziamento degli interessi economici e vitali, e accontentarsi di fare appello a ciò che è stato finora, come se fosse l'Assoluto» 9 • La necessità di un altro inizio 10 attira lo sguardo verso il vortice del futuro. Il ritornare alle origini, all'« origine dell'essenza», è pensabile soltanto nella modalità del progredire verso « il futuro dell'essenza ». Questo futuro si presenta nella categoria dell'assolutamente nuovo: « Il compimento di un'epoca [ ... ] è la predisposizione per la prima volta incondizionata e completa in anticipo di ciò che non è e non potrà mai essere atteso [ ... ], il Nuovo» 11 • A dire il vero il messianismo di Nietzsche, che lasciava ancora spazio per « incalzare la salvezza », come si dice nella mistica ebraica, in Heidegger si rovescia nell'attesa apocalittica dell'avvento catastrofico del nuovo. Al contempo Heidegger mutua dai modelli romantici, e in particolare da Holderlin, la figura concettuale del dio assente, per poter concepire la fine della metafisica come ' compimento ' e quindi come indizio infallibile di un ' altro inizio '. 7 lvi, vol. Il, p. 149. 8 lvi, vol. l, p. 480. 9 lvi, vol. l, p. 579. IO lvi, vol. Il, p. 656. 11 I vi, vol. II. p. 479. 138 www.scribd.com/Baruhk Come un tempo Nietzsche sperava dall'opera di Richard Wagner il grande balzo nel ' passato futuro ' della tragedia greca antica, così Heidegger vorrebbe farsi rilanciare indietro dalla metafisica nietzscheana della volontà di potenza, fino alle origini presocratiche della metafisica. Ma prima di poter tracciare la storia dell'Occidente, fra gli inizi della metafisica e la sua fine, come la notte della lontananza degli dèi, prima di poter definire il compimento della metafisica come il ritorno del Dio fuggito, Heidegger deve stabilire una corrispondenza fra Dioniso e l'intento della metafisica, la quale ha a che fare con l'essere dell'essente. Il semidio Dioniso si era presentato tanto ai romantici quanto a Nietzsche come il dio assente, che con la sua ' massima lontananza ' fa comprendere ad una modernità abbandonata da Dio quali energie socialmente vincolanti le sono state sottratte nel corso del suo stesso progresso. L'idea della differenza antologica serve ora come ponte fra questa idea di Dioniso e la questione fondamentale della metafisica. Heidegger separa l'Essere, che era sempre stato inteso come l'essere dell'essente, dall'essente stesso. L'essere può fungere cioè quale portatore dell'evento dionisiaco solo quando - come orizzonte storico entro il quale soltanto l'essente giunge a manifestarsi diviene in certo qual modo autonomo. Solamente l'Essere distinto ipostaticamente dall'essente può assumere il ruolo di Dioniso: « L'essente è abbandonato dall'Essere stesso. L'abbandono dell'Essere attacca l'essente in complesso, e non soltanto l'essente del tipo dell'uomo, che rappresenta l'essente in quanto tale, nel qual rappresentare gli si sottrae l'Essere stesso nella sua verità» 12 • Heidegger non si stanca mai dal dar rilievo alla potenza positiva di questa sottrazione di essere come un fatto di rifiuto. « Il mancare dell'Essere è l'Essere stesso come tale mancanza» 13 • Nel totale oblìo dell'Essere che è proprio della modernità, non si sente nemmeno più il senso negativo dell'abbandono dell'Essere. Ciò spiega il significato' centrale di un'anamnesi della storia dell'Essere, che ora si dà a conoscere come la distruzione dell'oblìo di sé della metafisica 14 • Tutto lo sforzo di Heidegger tende ad « esperire la mancanza del non-nascondimento dell'Essere come un avvento dell'Essere stesso, e a meditare ciò che così si è esperito» 15 • lvi, vol. Il, p. 355. lvi, vol. Il, p. 353. 14 Già in Sein und Zeit, Tiibingen 1949, par. 6, Heidegger parla della «distruzione della storia dell'ontologia >> (tr. it., M. Heidegger, Essere e Tempo, Milano 1953, p, 3). 15 M. Heidegger, Nietzsche cit., vol. Il, p. 367. 12 13 139 www.scribd.com/Baruhk 4. Heidegger non può tuttavia intendere la distruzione della storia della metafisica come critica smascherante, né l'oltrepassamento della metafisica come un ultimo atto di svelamento. In· fatti l'autoriflessione che compie tutto ciò appartiene ancora all'epoca della soggettività moderna. Perciò il pensiero che utilizza come filo conduttore la differenza ontologica, deve servirsi di una competenza conoscitiva al di là dell'autoriflessione, al di là del pensiero discorsivo in genere. Nietzsche poteva ancora invitare a « porre la filosofia sul terreno dell'arte »; ad Heidegger rimane soltanto l'assicurazione che per gli eletti «vi è un pensiero, che è più rigoroso del pensiero concettuale» 16 . Il pensiero scientifico e la ricerca condotta con metodo incorrono in una svalutazione globale, perché si muovono all'interno della comprensione moderna dell'Essere, tracciata dalla filosofia del soggetto. Anche la filosofia, fin tanto che non rinuncia all'argomentazione, permane entro il cerchio incantato dell'oggettivismo. Anch'essa deve lasciarsi rinfacciare che « nel campo del pensiero essenziale, ogni confutare (è) stolto » 17 • Per rendere anche solo superficialmente plausibile la necessità di ricorrere ad un sapere speciale, cioè ad un accesso privilegiato alla verità, Heidegger è però costretto a livellare in modo sconcertante l'evoluzione differenziata delle scienze e della filosofia dopo Hegel. Nelle lezioni su Nietzsche tenute nel 1939, si trova un interessante capitolo, che ha per titolo: Intesa e calcolo. Come sempre, anche qui Heidegger si rivolge contro l'impostazione monologica della filosofia della coscienza, la quale parte dal soggetto singolo che si contrappone, nel conoscere e nell'agire, ad un mondo oggettivo di cose e di eventi. La garanzia della consistenza del soggetto si presenta come uso calcolatore di oggetti percepibili e manipolabili. Anche la preliminare dimensione dell'intesa fra i soggetti deve, entro questo modello, presentarsi nella categoria del « poter calcolare sull'(altro) uomo » 18 • D'altronde Heidegger sottolinea il senso non-strategico dell'intesa raggiunta inter-soggettivamente, su cui si fonda in realtà « il rapporto con l'altro, con la cosa e con se stesso: intendersi su qualche cosa vuoi dire: avere su di essa la stessa opinione e, nel caso che le opinioni divergano, fissare le considerazioni in base alle quali sussiste tanto l'accordo quanto il dissenso [ ... ]. 16 I vi, p. 353. 17 lvi, p. 333. 18 lvi, vol. l, p. 580. 140 www.scribd.com/Baruhk Siccome il fraintendere e il non intendere sono soltanto varietà dell'intesa, il venirsi incontro degli stessi uomini nella loro medesimità e medesimezza può essere fondato soltanto tramite l'intesa» 19 • In questa dimensione dell'intesa si trovano anche le risorse per la sussistenza di gruppi sociali, fra l'altro quelle fonti dell'integrazione sociale che nella modernità si vanno disseccando 20 • Ora è strano che secondo Heidegger vedute di questo genere sono riservate alla sua critica della metafisica. Egli ignora il fatto che riflessioni del tutto analoghe costituiscono il punto di partenza tanto per la metodologia delle scienze comprendenti dello spirito e della società, quanto per influenti correnti filosofiche, quali furono il pragmatismo di Peirce e di Mead, e più tardi anche la filosofia linguistica di Wittgenstein e di Austin o l'ermeneutica filosofica di Gadamer. La filosofia del soggetto non è affatto quel potere assolutamente reificante, che cattura ogni pensiero discorsivo e lascia aperta soltanto la fuga nell'immediatezza dell'immersione mistica. Vi sono altre vie che conducono fuori dalla filosofia del soggetto. Il fatto che Heidegger nella storia della filosofia e della scienza dopo Hegel non scorga tuttavia nient'altro che un monotono ripetersi del pre-giudizio della filosofia del soggetto, si può spiegare solamente in quanto egli, pur rifiutandola, rimane impigliato in quelle problematiche che la stessa filosofia del soggetto gli aveva fornito nella forma della fenomenologia husserliana. II Nel tentativo di superare la filosofia del soggetto, Hegel e Marx si erano avviluppati nei suoi stessi concetti fondamentali. Ad Heidegger questo rimprovero non si può muovere; ma, certo, una obiezione altrettanto grave. Heidegger si libera tanto poco dalle anticipazioni problematiche della coscienza trascendentale, che non può far saltare la gabbia concettuale della filosofia della coscienza altrimenti che per via di una negazione astratta. Ancora nella Lettera sull'umanesimo, che riassume il risultato di un'interpretazione di Nietzsche durata dieci anni, Heidegger caratterizza il proprio modo di procedere mediante un implicito riferimento ad Husserl. Quest'ultimo - vi leggiamo - voleva 19 I vi, pp. 579 sgg. 20 I vi, p. 579. 141 www.scribd.com/Baruhk « tener fermi gli ausilii essenziali del vedere fenomenologico, e tuttavia lasciar cadere l'intenzione rivolta alla ' scienza ' e alla ' ricerca ' » 21 • Husserl intendeva la riduzione trascendentale come un procedimento che dovrebbe consentire al fenomenologo di operare un taglio netto fra il mondo dell'essente, dato nell'atteggiamento naturale, e la sfera della coscienza pura, costituente, che sola conferisce il suo senso all'essente. All'intuizionismo di questo procedimento Heidegger è rimasto fedele per tutta la vita; nella sua tarda filosofia il suo modo di procedere è semplicemente sgravato dall'esigenza della metodicità, e determinato come un privilegiato « stare in bilico in mezzo alla verità dell'Essere ». Anche la problematica di Husserl rimane determinante per Heidegger, in quanto egli volge semplicemente in senso ontelogico la fondamentale questione gnoseologica. In entrambi i casi lo sguardo fenomenologico si rivolge al mondo come correlato del soggetto conoscente. A differenza, p. es., da Humboldt, da George Herbert Mead o dal tardo Wittgenstein, Heidegger non si libera dalla connotazione tradizionale del comportamento teoretico, dell'uso constatativo del linguaggio e della pretesa di validità della verità proposizionale. Heidegger resta infine negativamente legato anche al fondamentalismo della filosofia della coscienza. Nell'Introduzione a Che cosa è la metafisica? egli paragona la filosofia ad un albero, che si ramifica nelle scienze e cresce dal terreno della metafisica in cui ha le sue radici. La tanto decantata rimemorazione dell'Essere non mette in questione l'impostazione fondamentalistica - « per parlare figuratamente, essa non svelle le radici della filosofia. Ne scava il fondamento e le ara il terreno » 22 • Heidegger non si oppone alle gerarchizzazioni di una filosofia smaniosa di autofondarsi, e perciò può venire incontro al fondamentalismo solo dissotterrando uno strato posto ancora più nel profondo - e ormai vacillante. Sotto questo aspetto l'idea della ventura dell'Essere resta avvinta al suo contrario astrattamente negato. Heidegger oltrepassa l'orizzonte della filosofia della coscienza soltanto per restare nella sua ombra. Prima di svolgere più chiaramente questa posizione ambigua in base a Sein und Zeit, vorrei richiamare l'attenzione su tre incresciose conseguenze: a) Fin dall'inizio del XVIII secolo il discorso della modernità aveva un unico tema, sia pure sotto sempre nuove denomi21 M. Heidegger, Brie/ iiber den Humanismus, in Was ist Metaphysik?, cit., p. 353. 22 lvi, p. 363. 142 www.scribd.com/Baruhk nazioni: il venir meno delle forze connettive sociali, la privatizzazione e la scissione; in breve, quelle deformazioni di una prassi quotidiana unilateralmente razionalizzata, che fanno nascere il bisogno di un qualcosa che equivalga alla potenza unificatrice della religione. Gli uni ponevano le loro speranze nella capacità riflessiva della ragione - o per lo meno in una mitologia della ragione; gli altri evocavano la forza mitopoetica di un'arte, che dovrebbe costituire il punto centrale della vita pubblica rigenerata. Ciò che Hegel aveva chiamato il bisogno della filosofia, si trasformò, da Schlegel fino a Nietzsche, nel bisogno della nuova mitologia, come critica della ragione. Ma soltanto Heidegger ha volatilizzato questo bisogno concreto, antologizzandolo e fondamentalizzandolo, in un Essere che si sottrae all'essente. Tramite questo spostamento, Heidegger rende irriconoscibili tanto l'origine di quel bisogno dalle patologie di un mondo della vita ambiguamente razionalizzato, quanto l'arte risolutamente soggettivistica quale sottofondo d'esperienza di una critica radicalizzata della ragione. Heidegger traduce le tangibili deformazioni della prassi comunicativa quotidiana cifrandole in un'inafferrabile ventura dell'Essere amministrata da filosofi; al contempo, tronca la possibilità della decifrazione, in quanto scarta la sia pur manchevole prassi quotidiana rivolta all'intesa interpretandola come prassi dimentica dell'Essere, volgare, adattata al calcolo, destinata ad assicurare la stabilità, e nega ogni interesse essenziale alla totalità etica scissa del mondo della vita 23 • b) Dalla tarda filosofia di Heidegger deriva l'ulteriore conseguenza che la critica della modernità si rende indipendente dalle analisi scientifiche. Il ' pensare essenziale ' si rifiuta a tutte le questioni empiriche e normative, che possono essere trattate con mezzi storici e sociologici, o comunque in forma argomentativa. Tanto più disinvoltamente si diffondono, nel non indagato orizzonte _dei pregiudizi della critica borghese della cultura, le astratte vedute d'essenza. I giudizi di Heidegger in materia di critica del tempo sul man, sulla dittatura del pubblico e l'impotenza del privato, sulla tecnocrazia e sulla civilizzazione di massa, sono sprovvisti di qualsiasi originalità, giacché appartengono a quel repertorio di opinioni che è tipico per le generazioni dei mandarini tedeschi 24 • Nella scuola di Heidegger sono 23 M. Heidegger, Nietzsche cit., vol. l, p. 580. 24 F.K. Ringer, The Decline oj the German Mandarins, Cambridge (Mass.) 1969; cfr. in proposito la mia recensione in J. Habermas, Philosophisch-politische Profile, Frankfurt a. M. 1981, pp. 458 sgg. 143 www.scribd.com/Baruhk stati certamente compiuti tentativi più seri per adattare con maggior precisione i concetti antologici della tecnica, del totalitario, del politico in genere agli scopi dell'analisi del presente; ma proprio in questi sforzi si mostra l'ironia del fatto che il pensiero dell'Essere si fa semplicemente ingannare da mode scientifiche del momento, quanto più si crede dispensato dall'impresa scientifica. c) Infine è problematica l'indeterminatezza del destino che Heidegger prospetta quale risultato dell'oltrepassamento della metafisica. Dato che l'Essere si sottrae alla presa assertoria di proposizioni descrittive, e può venir circoscritto e ' taciuto ' (erschweigen) soltanto nel discorso indirettto, i destini dell'Essere rimangono enigmatici. Il discorso sull'Essere, privo di contenuto proposizionale, ha tuttavia il senso illocutivo di pretendere la sottomissione al destino. Il suo lato pratico-politico consiste nell'effetto perlocutivo della disponibilità all'obbedienza, il cui contenuto è assai vago, di fronte ad un'autorità auratica, ma indeterminata. La retorica del tardo Heidegger risarcisce quei contenuti proposizionali che il testo rifiuta: essa unisce i suoi destinatari nel rapporto con potenze pseudo-sacrali. L'uomo è il «pastore dell'Essere». Pensare è un devoto « farsi prendere a servizio ». Esso « appartiene » all'Essere. La rimemorazione dell'Essere sottostà a «leggi dell'opportunità». Il pensiero « ascolta con attenzione » la ventura dell'Essere. Il pastore devoto viene « chiamato » dall'Essere stesso nell'esservero della sua verità. Così l'Essere « concede >> alla salvezza l'ascesa verso la grazia, e al furore l'afflusso alla sventura. Tutte queste sono note formule della Lettera sull'umanesimo, che da allora in poi si ripetono stereotipicamente. Il linguaggio di Sein und Zeit aveva suggerito il decisionismo di una vuota risolutezza; la tarda filosofia suggerisce la sommissione ad un'altrettanto vuota disponibilità ad assoggettarsi. Certo, la vuota formula del ' rimemorare ' può anche essere riempita da un'altra sindrome disposizionale, p. es. dalla istanza anarchica di un atteggiamento sovversivo di rifiuto, che corrisponde piuttosto a situazioni d'animo attuali che alla cieca sottomissione a ciò che è superiore 25 • Ma infastidisce l'arbitrarietà con cui la stessa fi25 Reiner Schtirmann vede la fine della metafisica nel fatto che la serie di epoche nelle quali la comprensione ontologica era determinata dal dominio di singoli principi, è conclusa. Il postmoderno sta sotto il segno dell'estinguersi di ogni forma di esegesi del mondo unificante, guidata da principi; esso reca i tratti anarchici di un mondo policentrico, che perde le sue precedenti differenziazioni categoriali. Con la nota costellazione di conoscere e agire si modifica anche il concetto del politico. Schtirmann contraddistingue il mutamento struttu- 144 www.scribd.com/Baruhk gura di pensiero può essere attualizzata secondo la storia del tempo. Se si riflette su queste conseguenze, allora si potrà nutrire il dubbio se la tarda filosofia di Heidegger, che sopravanza la critica di Nietzsche alla metafisica, si sottragga effettivamente al discorso della modernità. Essa dipende da una svolta, che dovrebbe condurre fuori dal vicolo cieco di Sein und Zeit. Ma questa ricerca argomentativamente più rigorosa del filosofo Heidegger può esser considerata come un vicolo cieco soltanto se la si inserisce in un contesto di storia del pensiero diverso da quello che Heidegger mette retrospettivamente dietro di sé. III Heidegger ha continuamente sottolineato di aver condotto gta l'analisi esistenziale dell'esserci unicamente allo scopo di rinnovare la questione, seppellita fin dagli inizi della metafisica, circa il senso dell'Essere. Egli vuole occupare quel luogo scoperto, nel quale la metafisica al contempo si fa conoscere nel suo senso di fondazione dell'unità, e si compie 26 • Questa superba pretesa del tardo Heidegger nasconde il più evidente contesto nel quale è effettivamente sorto Sein und Zeit. Non penso soltanto al postidealismo del diciannovesimo secolo, bensì specialmente a quella svolta neo-antologica, che dopo la prima guerra mondiale ha investito la filosofia tedesca, da Rickert attraverso Scheler fino a N. Hartmann. Dal punto di vista della storia della filosofia, in quest'era del neokantismo decadente, che era stata allora certamente l 'tmica filosofia di valore mondiale, non si tratta di un ritorno all'antologia prekantiana. Le forme antologiche del pensiero servirono piuttosto ad ampliare e ' concretizzare ' la soggettività trascendentale oltre l'ambito della conoscenza. Già lo storicismo e la filosofia della vita avevano dischiuso ed elevato ad interesse filosofico ambiti di esperienza quotidiani ed extrarale con le seguenti caratteristiche: 1. Abolizione del primato della teleologia nell'azione; 2. Abolizione del primato della responsabilità nella legittimazione dell'azione; 3. Mutamento nell'azione come protesta contro il mondo amministrato; 4. Disinteresse per il futuro dell'umanità; 5. Anarchia come essenza di ciò che è 'fattibile'. Cfr. R. Schiirmann, Questioning the Foundation oj Practical Philosophy, in << Human Studies >>, vol. l, 1980, pp. 357 sgg.; Politica/ Thinking in Heidegger, in << Social Research >>, vol. XLV, 1978, pp. 191 sgg.; Le principe d'anarchie, Heidegger et la question de l'agir, Paris 1982. 26 Da questa prospettiva W. Schulz determina il Philosophiegeschichtlicher Ort Martin Heideggers, in << Philosophische Rundschau >>, 1953, pp. 65 sgg., 211 sgg.; rist. in O. Pi:iggeler (a cura di), Heidegger, Ki:iln 1969, pp. 95 sgg. 145 www.scribd.com/Baruhk quotidiani della mediazione tradizionale, della creatività artistica, dell'esistenza corporea, sociale e storica - ambiti d'esperienza che chiedevano troppo alle operazioni costitutive dell'Io trascendentale, e in ognì caso facevano saltare il concetto classico del soggetto trascendentale. Dilthey, Bergson e Simmel avevano sostituito le operazioni produttive della sintesi trascendentale con l'oscura e vitalistica produttività della vita o della coscienza; tuttavia con ciò non si erano ancora liberati dal modello espressivistico della filosofia della coscienza. Anche per essi rimaneva determinante l'idea di una soggettività che si aliena, per fondere di nuovo queste aggettivazioni nell'esperire vissuto n. Heidegger accoglie questi stimoli, ma riconosce l'inadeguatezza dei concetti fondamentali della filosofia della coscienza, che si erano trascinati dietro. Egli si trova dinanzi al problema, passato in primo piano a partire -da Kant, di sostituire quel concetto della soggettività trascendentale senza però appiattire la ricchezza di differenziazioni conquistata dalla filosofia del soggetto, da ultimo con la fenomenologia di Husserl. Il contesto problematico in cui è nato Sein und Zeit lo indica lo stesso Heidegger nel paragrafo 10, dove si riferisce ad Husserl e a Scheler: La persona non è una cosa, una sostanza, un oggetto. Viene cosl posto l'accento su ciò stesso che Husserl vuole significare quando afferma che l'unità della persona esige una costituzione essenzialmente diversa da quella delle cose naturali [ ... ]. L'essenza della persona è tale da esistere soltanto nel compimento di atti intenzionali [ ... ]. L'essere psichico non ha dunque nulla a che fare con l'essere-persona. Gli atti vengono compiuti, la persona è compitrice dell'atto 28 • Heidegger non si accontenta di questo inizio, e chiede: « Ma allora qual è il senso antologico del ' compiere '? Come deve essere determinato in modo antologicamente positivo il modo di essere della persona? ». Heidegger si serve del vocabolario della svolta neo-antologica, per portare innanzi la dissoluzione del concetto della soggettività trascendentale; ma in questa radicalizzazione egli tiene fermo all'atteggiamento trascendentale di una chiarificazione riflessiva delle condizioni di possibilità dell'essere-persona come essere-nel-mondo. Altrimenti la pienezza 27 G. Simmel, Zur Philosophie der Kultur, in « Philosophische Kultur», Berlin 1983. Cfr. anche il mio Nachwort: Simme/ a/s Zeitdiagnostiker, ivi, pp. 243253. 28 Heidegger, Sein und Zeit cit., pp. 47 sg. (tr. it. cit., p. 60, modificata). 146 www.scribd.com/Baruhk articolata delle strutture dovrebbe necessariamente affondare nel vortice de-differenziante della ' pappa concettuale ' della Lebensphilosophie. La filosofia del soggetto deve essere oltrepassata dalla concettualità altrettanto precisa e sistematica, ma anche più profonda, di un'ontologia esistenziale che segue il procedimento trascendentale. Sotto questa denominazione Heidegger costringe a stare insieme, in modo originale, impostazioni teoretiche fin allora inconciliabili, e che ora, in vista del fine di sostituire sistematicamente i concetti fondamentali della filosofia del soggetto, indicano una sensata prospettiva di ricerca. Nel capitolo introduttivo di Sein und Zeit Heidegger programma quelle tre grandiose scelte di strategia concettuale, che aprono la via verso l'ontologia fondamentale. In primo luogo egli conferisce un senso antologico alla problematica trascendentale. Le scienze positive si occupano di questioni ontiche, fanno enunciazioni sulla natura e la cultura, su qualcosa nel mondo. L'analisi delle condizioni di questi tipi ontici di conoscenza, condotta col metodo trascendentale, chiarisce poi la costituzione categoriale di ambiti oggettuali come settori dell'Essere. In questo senso Heidegger intende la Critica della ragion pura di Kant non primariamente come teoria della conoscenza, bensì come « logica apriori dei fatti propri di quell'ambito dell'Essere che è la natura» ?J. Questa coloratura ontologizzante della filosofia trascendentale diviene comprensibile, se si considera che le scienze stesse non dipendono, come aveva affermato il neokantismo, da attività conoscitive sospese in aria, ma sono impiantate nei concreti contesti di vita: « Le scienze sono modi d'essere dell'esserci » 30 • È ciò che Husserl aveva denominato la fondazione delle scienze nel mondo della vita. Il senso della costituzione categoriale degli ambiti oggettuali o settori dell'Essere scientifici si dischiude solo ritornando alla comprensione dell'Essere di coloro che già nella loro esistenza quotidiana si rapportano all'essente nel mondo e possono stilizzare questa pratica ingenua nella forma di precisione dell'attività scientifica. L'esistenza situata, corporeo-storica, possiede quella sia pur vaga comprensione di un mondo, dal cui orizzonte è già sempre stato interpretato anche il senso dell'essente, che poi può venir oggettivato dalle scienze. Ci imbat~iamo in questa comprensione preontologica dell'Essere quando ritorniamo a indagare, in atteggiamento trascendentale, dietro quella costituzione categoriale del29 30 lvi, p. 11 (p. 21, modificata). lvi, p. 13 (p. 24). 147 www.scribd.com/Baruhk l'essente che la filosofia trascendentale ha messo allo scoperto seguendo il filo conduttore delle scienze. L'analisi della comprensione preliminare del mondo coglie quelle strutture del mondo della vita o dell' ' essere-nel-mondo ' che Heidegger chiama esistenziali. Siccome questi esistenziali sono preordinati alle categorie dell'essente in complesso, e in particolare di quelle regioni dell'Essere verso le quali gli scienziati si rapportano in modo oggettivante, l'analitica esistenziale dell'essere-nel-mondo si merita il nome di un'antologia fondamentale. Quest'ultima soltanto, infatti, rende trasparenti i fondamenti del mondo della vita, o esistenziali, delle ontologie regionali a loro volta elaborate nell'atteggiamento trascendentale. In un secondo passo Heidegger conferisce al metodo fenomenologico il senso di un'ermeneutica antologica. Fenomeno è, nel senso di Husserl, tutto ciò che si mostra di per sé come se stesso. Heidegger, traducendo il termine 'evidente' come 'ciò che è manifesto ', allude implicitamente ai concetti che vi si oppongono, del nascosto, del celato, dell'occultato. I fenomeni giungono solo indirettamente alla manifestazione. Ciò che si manifesta è l'essente, che nasconde appunto il come dell'esser dato di questo essente. I fenomeni si sottraggono ad una presa diretta, appunto perché nelle loro manifestazioni ontiche non si mostrano come ciò che essi sono di per sé. La fenomenologia si distingue perciò dalle scienze, in quanto non ha a che fare con un tipo particolare di manifestazioni, bensì con l'esplicazione di ciò che si cela in tutte le manifestazioni, e solo attraverso di esse si annuncia al mondo. L'ambito della fenomenologia è l'essere alterato dall'essente. Perciò occorre un particolare sforzo apofantico, per presentificare i fenomeni. Ma quale modello di tale sforzo, non serve più, come in Husserl, l'intuizione, bensì l'esegesi di un testo. Non la presentificazione intuitiva di essenzialità ideali porta i fenomeni ad autopresentarsi, bensì la comprensione ermeneutica di un complesso contesto di senso disocculta l'Essere. Con ciò Heidegger prepara un concetto apofantico della verità e inverte il senso metodico dell'intuizione d'essenza nel suo contrario di ermeneutica esistenziale: al posto della descrizione dell'immediatamente intuito, subentra l'interpretazione di un senso che si sottrae ad ogni evidenza. In un ultimo passo Heidegger collega l'analitica dell'esserci, che procede al contempo in modo trascendentale ed ermeneutico, con un motivo della filosofia dell'esistenza. L'esserci umano comprende se stesso a partire dalla possibilità di essere s~ stesso oppure non se stesso. Esso sta di fronte all'inevitabile alterna148 www.scribd.com/Baruhk tiva fra l'autenticità e l'inautenticità. È un ente di quel tipo, che il suo Essere ' deve essere' (' zu sein hat '). L'esserci umano deve cogliersi a partire dall'orizzonte delle sue possibilità e prendere in mano la sua stessa esistenza. Chi tenta di evitare questa alternativa, si è già deciso per una vita nel modo del lasciarsi trascinare o della deiezione. Questo motivo della responsabilità per la propria salvezza, che Kierkegaard aveva precisato in senso esistenzialistico, Heidegger lo traduce nella formula della cura per la propria esistenza: « L'esserci è un essente, per il quale, nel suo essere, ne va di questo stesso » 31 • Questo motivo secolarizzato della salvezza Heidegger lo applica ora contenutisticamente in modo tale, che la cura per il proprio essere, inasprita in angoscia, fornisce il filo conduttore per l'analisi della costituzione temporale dell'esistenza umana. Ma è altrettanto importante l'uso metodico che Heidegger fa di questo motivo. Non soltanto il filosofo, nella questione circa il senso dell'Essere, si vede rinviato alla comprensione preontologica del mondo e dell'Essere che ha l'uomo nella sua esistenza corporeo-storica; è piuttosto una determinazione di questa stessa esistenza il preoccuparsi del suo Essere, l'assicurarsi ermeneuticamente delle possibilità esistenziali del suo ' più autentico poteressere '. Pertanto l'uomo è per natura un essere antologico, al quale viene imposta esistenzialmente la questione dell'Essere. L'analitica esistenziale scaturisce dal più profondo impulso della stessa esistenza umana. Heidegger lo chiama il radicamento ontico dell'analitica esistenziale: Così il compito di una ' interpretazione ' del senso dell'Essere deve tener presente che l'Esserci non è solo l'ente che deve venir interrogato per primo, ma che oltre a ciò esso è tale da rapportarsi già sempre nel suo essere a ciò intorno a cui la ricerca si costi· tuisce. Ma l'elaborazione del problema dell'Essere diviene allora nient'altro che la radicalizzazione di una tendenza dell'Essere appar· tenente in linea essenziale allo stesso Esserci 31 • Queste tre decisioni di strategia concettuale si possono rias· sumere nel senso che Heidegger congiunge dapprima la filosofia trascendentale e l'antologia, per poter designare l'analitica esistenziale come antologia fondamentale; poi reinterpreta la fenomenologia come ermeneutica antologica, per poter svolgere l'antologia fondamentale come ermeneutica esistenziale; e infine 31 32 lvi, p. 191 (p. 213). lvi, p. 15 (p. 25). 149 www.scribd.com/Baruhk assegna l'ermeneutica esistenziale a motivi della filosofia dell'esistenza, per poter inserire l'impresa dell'antologia fondamentale nei rapporti di interesse, altrimenti svalutati come semplicemente ontici. In quest'unico luogo si passa sopra alla differenza antologica e non si rispetta la rigorosa distinzione metodica fra l'universale degli esistenziali accessibili trascendentalmente e il particolare dei problemi esistenziali esperiti concretamente. Per mezzo di questa connessione sembra che Heidegger riesca a togliere alla relazione soggetto-oggetto il suo significato paradigmatico. Con la svolta verso l'antologia egli fa saltare il primato della gnoseologia, senza però abbandonare la problematica trascendentale. Siccome l'essere dell'ente resta riferito internamente alla comprensione dell'Essere, siccome l'Essere assume validità soltanto nell'orizzonte dell'esserci umano, l'antologia fondamentale non significa una ricaduta dietro la filosofia trascendentale, anzi ne è addirittura la radicalizzazione. La svolta verso l'ermeneutica esistenziale completa però al contempo la riduzione a metodo di quell'autoriflessione, che aveva costretto ancora Husserl al procedimento della riduzione trascendentale. Al posto della relazione del soggetto conoscente con se stesso, subentra l'esegesi di una comprensione preontologica dell'Essere, e quindi l'esplicazione di contesti di senso, nei quali l'esistenza quotidiana si trova già sempre. Infine Heidegger inserisce il motivo esistenzialistico in modo tale, che la chiarificazione sulle strutture dell'essere-nel-mondo (che sono subentrate al posto delle condizioni dell'oggettività dell'esperienza) si presenta al contempo come risposta alla questione pratica circa la giusta vita. Un concetto enfatico. di rivelazione della verità fonda la validità dei giudizi nell'autenticità di un'esistenza umana, che si rapporta all'essente prima di ogni scienza. Questo concetto di verità serve come filo conduttore in base al quale Heidegger introduce il concetto-chiave dell'antologia fondamentale - cioè il concetto del 'mondo'. Il mondo costituisce l'orizzonte che dischiude il senso, entro il quale l'ente al contempo si sottrae e si rivela all'esserci esistenziale che ha cura del suo essere. Il mondo è già sempre anteriore al soggetto, che si riferisce ad oggetti agendo o conoscendo. Infatti non è il soggetto che entra in relazione con qualcosa nel mondo, ma è il mondo che fonda anzitutto il contesto dalla cui precomprensione l'ente può accadere. Tramite questa comprensione preontologica dell'Essere l'uomo è per natura inserito in rapporti col mondo e privilegiato rispetto a tutti gli altri enti intramondani. :È quel150 www.scribd.com/Baruhk l'ente che non soltanto può venir incontrato nel mondo; grazie al suo particolare modo di essere nel mondo, l'uomo è talmente intessuto con quei processi di dischiudimento del mondo che formano il contesto, danno lo spazio e temporalizzano, che Heidegger ne caratterizza l'esistenza come Da-sein, che ' fa essere ' ogni ente, in quanto si rapporta ad esso. Il Da del Dasein è il luogo nel quale si apre la ' radura ' (Lichtung) dell'Essere. E evidente la superiorità di questa strategia concettuale rispetto alla filosofia del soggetto: non occorre più concepire il conoscere e l'agire come relazioni soggetto-oggetto. « Il conoscere non instaura un rapporto estrinseco fra un soggetto ed un mondo (oggetti rappresentabili o manipolabili), né sorge da un'azione del mondo su un soggetto. Il conoscere è un modo dell'esserci fondato nell'essere-nel-mondo » 33 , Al posto del soggetto, che si contrappone al mondo oggettivo inteso come l'insieme degli stati di cose esistenti, gli atti del conoscere e dell'agire compiuti in atteggiamento oggettivante possono ora essere concepiti come derivanti da modi che stanno alla base dello stare-dentro in un mondo della vita, in un mondo intuitivamente inteso come contesto e sfondo. Questi modi dell'in-essere nel mondo della vita Heidegger li caratterizza riguardo alle loro strutture temporali come altrettanti modi dell'aver-cura, del prender cura di qualche cosa; come esempi egli indica « aver a che fare con qualche cosa, riparare qualcosa, ordinare o curare qualcosa, impiegare qualcosa, scoraggiarsi e desistere da qualcosa, intraprendere, riuscire, osare, interrogare, considerare, discutere, determinare, ecc. » 34 • Al centro della prima sezione di Sein und Zeit vi è l'analisi di questo concetto di mondo. Nella prospettiva del maneggiare, in genere dei rapporti pratico-vitali, non oggettivanti, con elementi fisici del mondo della vita, Heidegger esplica un concetto del mondo che si ricollega al pragmatismo come un contesto di circostanze. Questo viene poi generalizzato oltre l'ambito del disponibile e chiarito come contesto di rinvii. Soltanto questa smondanizzazione di una regione dell'ente come del puramente rappresentato fa sorgere un mondo oggettivo di oggetti e di eventi, al quale un soggetto inteso nel senso della filosofia della coscienza può riferirsi conoscendo e agendo. 33 34 lvi, pp. 62 sg. (pp. 75 sg.). lvi, pp. 56 sg. (pp. 59 sg.). 151 www.scribd.com/Baruhk IV Non mi occorre addentrarmi in queste analisi (parr. 14-24), perché non portano al di là di ciò che è stato elaborato nel pragmatismo, da Peirce fino a Mead e a Dewey. Originale è l'uso che Heidegger fa di questo concetto del mondo per una critica della filosofia della coscienza. Ma ben presto questa impresa incespica. Ciò si mostra nel «problema del Chi dell'Esserci» (par. 25), al quale Heidegger dapprima risponde nel senso che l'esserci è quell'ente, che io stesso sempre sono: « Il chi si risponde sempre dall'io stesso, dal soggetto, dal se-stesso. Il Chi è ciò che si mantiene identico nel mutare dei comportamenti e delle esperienze vissute, rapportandosi come tale a questa molteplicità» 35 • Naturalmente questa risposta ricondurrebbe direttamente alla filosofia del soggetto. Perciò Heidegger estende la sua analisi del mondo-strumento, come si era presentata dalla prospettiva dell'attore che lavora da solo, al mondo delle relazioni sociali fra più attori: « La chiarificazione dell'essere-nel-mondo mostrava che [ ... ] non è mai dato innanzi tutto un puro soggetto senza mondo. E allo stesso modo non è mai dato, in primo luogo, un io isolato senza gli Altri >.' 36 • Heidegger amplia la sua analisi del mondo dall'angolo visuale delle relazioni intersoggettive in cui io entro con altri. Come vedremo in un altro contesto, il mutamento di prospettiva dall'attività finalistica solitaria all'interazione sociale fa effettivamente sperare un chiarimento su quei processi di intesa - e non soltanto di comprensione - , che tengono presente il mondo come sottofondo di mondo della vita intersoggettivamente condiviso. In base al linguaggio usato comunicativamente si possono ricavare quelle strutture che spiegano come il mondo della vita, esso stesso privo di soggetto, si riproduca tuttavia mediante i soggetti e il loro agire orientato verso l'intesa. Con ciò si sistemerebbe quella domanda circa il ' Chi' dell'esserci, che però Heidegger riconduce di nuovo ad un soggetto, il quale costituisce il mondo dell'essere-nel-mondo mediante l'autentico progetto delle sue possibilità d'esserci. Il mondo della vita, nel quale è inserita l'esistenza umana, non è infatti prodotto dalle fatiche di un esserci, che tacitamente ha assunto il posto della soggettività trascendentale. Esso è per così dire sospeso nelle strutture dell'intersoggettività linguistica e si mantiene tramite 35 36 lvi, p, 114 (p. 128). lvi, p. 116 (pp. 129 sg.). 152 www.scribd.com/Baruhk lo stesso medium nel quale soggetti capaci di parlare e di agire si intendono fra loro su qualche cosa nel mondo. Ma Heidegger non percorre la via che conduce ad una tale risposta basata sulla teoria della comunicazione. Egli infatti svaluta fin da principio, come strutture di un'esistenza quotidiana media, cioè dell'esserci inautentico, quelle strutture dello sfondo del mondo della vita, che vanno oltre l'esserci isolato. Il conesserci degli altri si presenta certo dapprima come un tratto costitutivo dell'essere-nel-mondo. Ma la precedenza dell'intersoggettività del mondo della vita, rispetto all'esser-sempre-mio dell'esserci si sottrae ad una concettualità che resta intricata nel solipsismo della fenomenologia husserliana; nella quale non può trovare collocazione l'idea che i soggetti vengano individuati e socializzati al contempo. In Sein und Zeit Heidegger costituisce la soggettività non altrimenti che Husserl nelle Méditations cartésiennes. L'esserci sempre-mio costituisce il con-esserci così come l'Io trascendentale costituisce l'intersoggettività del mondo condiviso da me e da altri. Perciò egli non può mettere a frutto l'analisi del ' con-esserci ' per la questione di come il mondo stesso si costituisce e si conserva. Del tema del linguaggio egli si occupa soltanto dopo aver c.:>ndotto le sue analisi in un'altra direzione (par. 34). La prassi comunicativa quotidiana deve soltanto render possibile un essere-sé nella modalità del « dominio degli altri »: « Si appartiene agli Altri e si consolida la loro forza [ ... ] Il ' Chi ' non è questo o quello, non è se stesso, non è uno solo e non è la somma di tutti. Il ' Chi' è il Neutro, il si (man) » 37 • Il ' si ' serve soltanto come quello sfondo dinanzi al quale si può identificare con il chi dell'esserci l'esistenza kierkegaardiana, radicalmente isolata di fronte alla morte, dell'uomo bisognoso di salvezza nella sua autenticità. Soltanto come ' sempre mio ' il poter essere è libero per l'autenticità o la non-autenticità. Diversamente da Kierkegaard, però, Heidegger non vuole più pensare il tutto dell'esserci finito in termini 'onta-teologici', bensì ancora soltanto di per se stesso - cioè come autoaffermazione paradossale, perché infondata. A buon diritto W. Schulz definisce la autocomprensione di Sein und Zeit come il nichilismo eroico di un'autoaffermazione nell'impotenza e finitezza dell'esserci 38 • Heidegger, benché in un primo passo distrugga la filosofia 37 38 lvi, p. 126 (p. 140). W. Schulz, Ober den philosophiegeschichtlichen Ort cit., p. 115. 153 www.scribd.com/Baruhk del soggetto in favore di un contesto di rimandi che rende possibile le relazioni soggetto-oggetto, nel secondo passo, quando si tratta di render comprensibile di per se stesso il mondo come processo di accadere cosmico, ricade nelle strettoie concettuali della filosofia del soggetto. Infatti l'esserci strutturato solipsisticamente occupa nuovamente il posto della soggettività trascendentale. Quest'ultima non appare più certamente come onnipotente Io-originario, ma ancora come «l'azione originaria dell'esistenza umana, nella quale ogni essere deve essere impiantato nel mezzo dell'ente » 39 , Si presume che l'esserci sia l'autore del progetto del mondo. L'autentico poter-essere-un-tutto dell'esserci, ossia quella libertà, le cui strutture temporali Heidegger segue nella seconda sezione di Sein und Zeit, si attua nella dischiusura trascendente dell'ente: « L'ipseità del sé che sta già alla base di ogni spontaneità si trova nella trascendenza. Il lasciar agire progettante-superante del mondo è la libertà» 40 • L'istanza classica della filosofia dell'originario, di un'autofondazione ultima non viene respinta, ma risolta nel senso di una Tathandlung fichtiana modificata nel progetto del mondo. L'esserci si fonda di per se stesso: «l'esserci fonda il mondo soltanto in quanto si fonda. in mezzo all'ente » 41 • Heidegger concepisce il mondo partendò di nuovo dalla soggettività della volontà di auto-affermazione. Lo attestano i due scritti immediatamente successivi a Sein und Zeit, Was ist Metaphysik? e Vom Wesen des Grundes. :È facile scorgere perché la ontologia fondamentale doveva smarrirsi nel vicolo cieco della filosofia del soggetto, dalla quale voleva condurci fuori. L'antologia divenuta trascendentale si rende infatti colpevole del medesimo errore che essa rinfaccia alla gnoseologia classica. Che poi il primato venga assegnato alla questione dell'essere o alla questione della conoscenza, in entrambi i casi il rapporto cognitivo col mondo e il discorso che constata i fatti, hi teoria e la verità degli enunciati, sono considerati alla stregua di un monopolio autenticamente umano, che richiede di essere spiegato. Questo primato antologico-epistemologico dell'ente in quanto conoscibile livella la complessità dei riferimenti al mondo, che si riflettono nella molteplicità delle forze illocutive dei linguaggi naturali, in favore dell'unico riferimento privilegiato al mondo oggettivo. Questo riferimento resta 39 40 41 M. Heidegger, Vom Wesen des Grundes, Frankfurt a. M. 1949, p, 37. M. Heidegger, Sein und Zeit cit., p·. 41. lvi, p. 43. 154 www.scribd.com/Baruhk determinante anche per la prassi: l'esecuzione monologica di intenzioni, cioè l'attività finalistica, è considerata come la forma primaria dell'agire 42 • Il mondo oggettivo, benché concepito come derivato da contesti di circostanze, rimane, sotto il nome dell'essente in complesso, il punto di riferimento anche per l'ontologia fondamentale. L'analitica dell'esserci segue l'architettonica della fenomenologia husserliana in quanto concepisce il rapportarsi all'ente secondo il modello della relazione conoscitiva così come la fenomenologia analizza tutti gli atti intenzionali secondo il modello della percezione di qualità elementari di oggetti. Ora in questa architettonica si forma necessariamente un posto per il soggetto che, tramite le condizioni trascendentali della conoscenza, costituisce ambiti oggettuali. Heidegger occupa questo posto con un'istanza che diviene produttiva in modo diverso, cioè mediante la creazione di senso che dischiude il mondo. Come Kant ed Husserl distaccano il trascendentale dall'empirico, così Heidegger distingue l'ontologico dall'ontico, o l'esistenziale dall'esistentivo. Heidegger si accorge del fallimento del suo tentativo di evadere dalla cerchia incantata della filosofia del soggetto; ma non si rende conto che esso è una conseguenza di quel problema dell'Essere, che si può porre soltanto nell'orizzonte di una filosofia dell'originario, sia pur volta in senso trascendentale. Come via d'uscita, gli si offre un'operazione che egli abbastanza spesso ha rimproverato al ' rovesciamento del platonismo ' attuato da Nietzsche: egli capovolge la filosofia dell'originario, senza liberarsi dalle sue anticipazioni problematiche. Abbiamo già imparato a conoscere la retorica con cui si annuncia la svolta. L'uomo non è più il luogotenente del nulla, bensì il custode dell'Essere; l'esser-tenuto-fuori nell'angoscia lascia il posto alla gioia e alla riconoscenza per la grazia dell'Essere; la resistenza al destino cede all'abbandono alla ventura dell'Essere, l'autoaffermazione alla dedizione. Questo mutamento di posizione si può delineare sotto tre aspetti: a) Heidegger rinuncia alla pretesa all'autofondazione e alla fondazione ultima, ora attribuite alla metafisica. Quel fondamento che una volta l'ontologia fondamentale doveva porre sotto la forma di un'analisi della costituzione dell'esserci trascendentalmente condotta, perde la sua importanza in favore di un accadere contingente, 42 Ciò si mostra del resto anche nella forma delle proposizioni servendosi delle quali Tugendhat tenta una ricostruzione semantica del contenuto della seconda sezione di Sein und Zeit: cfr. E. Tugendhat, Selbstbewusstsein und Selbstbestimmung, Frankfurt a. M. 1979, Lezioni 8.-10. 155 www.scribd.com/Baruhk cui l'esserci è esposto. L'evento dell'Essere può venir soltanto devotamente appreso ed esposto narrativamente, ma non può venir recuperato e spiegato argomentativamente. b) Heidegger rifiuta il concetto esistenzial-pntologico della libertà. L'esserci non è più considerato come l'autore dei progetti del mondo, alla cui luce l'Essere al contempo si mostra e si sottrae; piuttosto, la produttività della creazione di senso dischiudente il mondo passa all'Essere stesso. L'esserci si sottomette all'autorità del non-disponibile senso dell'Essere e si sbarazza della volontà di autoaffermazione, sospetta di soggettività. c) Heidegger nega infine il fondamentalismo del pensiero che risale ad un Primo, non importa poi se questo si presenta nelle forme tradizionali della metafisica o nella forma della filosofia trascendentale da Kant fino a Husserl. Il rifiuto non si riferisce certo alla gerarchia di gradi conoscitivi, che si basano su un fondamento ineludibile, bensì soltanto al carattere atemporale di questa origine. Heidegger temporalizza gli inizi che, nella figura di un destino non anticipabile, mantengono la sovranità di un Primo. Ora la temporalità dell'Esserci è ancora soltanto il serto di una ventura dell'Essere che si temporalizza. Il Primo della filosofia dell'originario viene temporalizzato. Ciò si rivela nella natura adialettica dell'Essere: il Sacro, come tale l'Essere è pronunciato nella parola dei poeti, è considerato, al pari che nella metafisica, come l'assolutamente Immediato. Una conseguenza di questo fondamentalismo rovesciato è la reinterpretazione del proposito che Heidegger aveva annunciato per la seconda parte, rimasta non scritta, di Sein und Zeit. Secondo l'autocomprensione di Sein und Zeit, doveva essere riservato ad una distruzione della storia dell'antologia il compito di infrangere tradizioni irrigidite e di destare la coscienza problematica dei contemporanei alle esperienze sepolte dell'antologia antica. Non diversamente Aristotele o Hegel si erano riferiti alla storia della filosofia come ad una preistoria del loro sistema. Dopo la svolta, a questo compito dapprima inteso come propedeutico viene assegnato un significato addirittura cosmicostorico, poiché la storia della metafisica - e della parola dei poeti decifrata sul suo sfondo - è promossa al rango di unico medium tangibile della ventura dello stesso Essere. Sotto questo aspetto Heidegger ricorre alle riflessioni con cui Nietzsche criticava la metafisica, per collocarlo nella storia della metafisica come colui che l'ha ambiguamente compiuta, e adire all'eredità del suo messianismo dionisiaco. Senza dubbio Heidegger non avrebbe potuto rifunzionaliz156 www.scribd.com/Baruhk zare la radicale critica della ragione di Nietzsche in una distruzione della storia dell'antologia, non avrebbe potuto proiettare apocalitticamente sull'Essere il messianismo dionisiaco, se con la storicizzazione dell'Essere non fossero andati di pari passo anche uno sradicamento della verità proposizionale e la svalutazione del pensiero discorsivo. Soltanto per questo motivo la critica della ragione svolta in base alla storia dell'Essere può destare, nonostante la sua radicalità, l'apparenza che essa sfugga ai paradossi di ogni critica della ragione riferita a se stessa. Il nome di verità essa lo riserva ad un cosiddetto accadere della verità, che non ha più nulla a che fare con una pretesa di validità trascendente i confini spazio-temporali. Le verità, che si presentano al plurale, della filosofia temporalizzata dell'originario sono di volta in volta provinciali, e tuttavia totali; esse assomigliano piuttosto alle manifestazioni imperative di un potere sacrale, che si è rivestito con l'aura della verità. E. Tugendhat dimostra già per il concetto apofantico della verità sviluppato in Sein und Zeit (par. 44), che Heidegger, « in quanto della parola verità fa un concetto fondamentale, sorvola appunto sul problema della verità» 43 • Già qui il progetto del mondo dischiudente il senso, che è inscritto (come in Humboldt) nella totalità di un'immagine linguistica del mondo, o (come in Wittgenstein) nella grammatica di un gioco linguistico, si eleva al di sopra di ogni istanza critica. Il potere illuminante del linguaggio che dischiude il mondo viene ipostatizzato: esso non deve più dimostrarsi chiarificando di fatto l'ente nel mondo. Heidegger parte dal fatto che l'ente si lascia aprire nel suo essere, senza offrire resistenza, in egual modo da qualsiasi intervento. Egli disconosce che l'orizzonte della comprensione del senso applicato all'ente non precede la questione della verità, ma le è a sua volta subordinato 44 • Certamente con il sistema di regole di un linguaggio si modificano anche le condizioni di validità delle proposizioni formulate nel linguaggio stesso. Ma non dipende dalla capacità che il linguaggio ha di dischiudere il mondo se le condizioni di validità possano venir soddisfatte di fatto in modo tale che le proposizioni possano anche funzionare, bensì dal successo intramondano della prassi, che la rende possibile. Lo Heidegger di Sein und Zeit era certo ancora abbastanza fenomenologo, per 43 E. Tugendhat, Heideggers Idee von Wahrheit, in O. Poggeler (a cura di), Heidegger cit., p, 296; E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, Berlin 1967. 44 Cfr., in/ra, !'excursus su Castoriadis, pp. 327 sgg. 157 www.scribd.com/Baruhk respingere l'idea che la sua ermeneutica esistenziale condotta argomentativamente fosse sottratta ad ogni pretesa di fondazione. Glielo impediva già l'idea, dotata di una forte carica normativa, dell'autentico poter essere, che egli collegava con un'interpretazione esistenziale della coscienza morale individuale (parr. 54-60). . Questa stessa istanza di controllo di una risolutezza indubbiamente discutibile, perché formalisticamente decisionistica, viene messa fuori gioco dalla svolta. Quella dimensione del disoccultamento antecedente alla verità proposizionale trapassa infatti dal coscienzioso progetto del singolo che ha cura della sua esistenza ad un'anonima e contingente ventura dell'Essere che esige sottomissione e pregiudica il corso della storia concreta. In sostanza, la svolta consiste nel fatto che Heidegger assegna in modo fuorviante l'attributo dell'accadere della verità all'istanza metastorica di un potere originario temporalmente fluidificato. v Questo passo è talmente privo di plausibilità, che non lo si può spiegare a sufficienza in base ai motivi interni finora indicati. Io sospetto che Heidegger abbia potuto trovare la via verso la filosofia dell'originario temporalizzata del suo tardo periodo soltanto attraverso la sua provvisoria identificazione con il movimento del nazionalsocialismo, al quale egli ancora nel 1935 aveva riconosciuto verità e grandezza. Non la Professione di fede in Adolf Hitler e nello stato nazional-socialista (titolo sotto il quale venne diffusa l'allocuzione di Heidegger alla manifestazione elettorale degli scienziati tedeschi tenuta a Lipsia 1'11 novembre 1933) sfida il giudizio dei posteri, i quali non possono sapere se in una situazione analoga non avrebbero commesso lo stesso errore. Ciò che inquieta è la riluttanza e l'incapacità del filosofo, dopo la fine del regime nazionalsocialista, ad ammettere anche con una sola frase il suo errore gravido di conseguenze. Heidegger indulge invece alla massima che non gli autori, bensì le vittime stesse sono colpevoli: Certo - è sempre temerario, che uomini rinfaccino ed imputino la colpa ad altri uomini. Ma se già si cercano colpevoli e li si valuta secondo la colpa: non vi è forse anche una colpa nell'omissione essenziale? Quelli che già allora erano tanto profeti· 158 www.scribd.com/Baruhk camente dotati, da vedere tutto venire come poi venne - io non fui tanto saggio -, perché hanno atteso quasi dieci anni, per combattere contro la sciagura? Perché nel 1933 quelli che credevano di saperlo, perché allora proprio loro non si sono adoperati per volgere tutto e dal fondo a buon fine? 45, Ciò che infastidisce è soltanto la rimozione della colpa di un uomo, che, quando tutto fu passato, si fece rilasciare un certificato per giustificare la sua opzione per il fascismo, per giunta dalla prospettiva servile di meschini intrighi universitari. Come Heidegger gettò subito la colpa della sua assunzione del rettorato e delle querele che ne seguirono alla « condizione metafisica essenziale della scienza » 46, così ora egli distacca le sue azioni ed affermazioni da sé come persona empirica e le attribuisce ad un destino di cui non si deve rispondere. Da questa stessa prospettiva egli ha considerato anche il proprio sviluppo teoretico; anche la cosiddetta svolta egli non l'ha intesa come il risultato di una sforzo del pensiero, di un processo di ricerca, bensì sempre come l'evento oggettivo di un oltrepassamento della metafisica inscenato anonimamente dallo stesso Essere. Finora avevo ricostruito la transizione dall'antologia fondamentale al devoto pensiero dell'Essere come una via d'uscita, motivata internamente, dal vicolo cieco della filosofia del soggetto, cioè come soluzione di un problema; ma Heidegger vi si opporrebbe con enfasi. Intendo mostrare che in questa .protesta vi è anche un momento di verità. La svolta è effettivamente il risultato dell'esperienza fatta col nazionalsocialismo, cioè dell'esperienza con un evento storico che in una certa misura è capitato ad Heidegger. Soltanto questo momento di verità nell'autocomprensione elevata a momento metafisica può rendere plausibile ciò che dovrebbe restare incomprensibile dalla prospettiva interna di uno sviluppo teoretico guidato da problemi: come mai Heidegger abbia potuto intendere la storia dell'Essere quale storia della verità e mantenerla immune da un piatto storicismo di immagini del mondo o di esegesi epocali del mondo. Mi interessa cioè la questione del modo in cui il fascismo abbia giocato entro lo stesso sviluppo teoretico di Heidegger. 45 Lo scritto di Heidegger del 1945 è stato pubblicato per la prima volta dal figlio: M. Heidegger, Die Selbstbehauptung der deutschen Universitiit. Das Rektorat 1933/34, Frankfurt a. M. 1983. In rapporto a questa pubblicazione, M. Schreiber riferisce, nella « Frankfurter Allgemeine Zeitung >> del 20 luglio 1984 su Neue Einzelheiten einer kunftigen Heidegger-Biographie, che sono risultate dalle più recenti ricerche dello storico di Freiburg, Hugo Ott. 46 M. Heidegger, Die Selbstbehauptung cit., p. 39. 159 www.scribd.com/Baruhk Heidegger ha sentito tanto poco la problematicità della posizione elaborata in Sein und Zeit, e più volte delucidata negli anni seguenti fino al 1933, che dopo la presa del potere ha fatto un uso originale proprio delle implicazioni di filosofia del soggetto che si ritrovano nell'esserci affermantesi nella sua finitezza - o per lo meno un uso che sposta significativamente le connotazioni e il senso originario dell'analitica esistenziale. Nel 1933 Heidegger ha riempito con un nuovo contenuto i concetti fondamentali mantenuti inalterati dell'antologia fondamentale. Se fino ad allora aveva inequivocabilmente adoperato ' esserci ' quale denominazione dell'individuo esistenzialmente isolato nel correre verso la morte, ora egli sostituisce questo esserci ' sempre-mio ' con l'esserci collettivo del popolo ' semprenostro' che esiste per il destino 47 • Tutti gli esistenziali rimangono gli stessi e tuttavia mutano d'un colpo il loro senso, e non soltanto il loro orizzonte di significato espressivo. Quelle connotazioni che essi devono alla loro origine cristiana, e specialmente a Kierkegaard, si trasformano alla luce di un nuovo paganesimo allora imperversante 48 • Si può mettere dinanzi agli occhi di tutti lo scandaloso trascoloramento della semantica per mezzo di citazioni che sono da lungo tempo ben note. In un manifesto elettorale il Rettore Heidegger scrive il 10 novembre 1933 nella « Freiburger Studentenzeitung »: Il popolo tedesco è chiamato dal Fiihrer alla scelta. Ma il Fiihrer non chiede nulla al popolo. Egli dà piuttosto al popolo la più immediata possibilità della suprema libera decisione: se esso - l'intero popolo - vuole il suo proprio esserci, oppure se non lo vuole. Questa scelta è assolutamente inconfrontabile con tutti i precedenti eventi elettorali. Ciò che vi è di unico nel suo genere in questa scelta è la semplice grandezza della decisione che vi si deve prendere [ ... ]. Quest'ultima decisione oltrepassa gli estremi confini dell'esserci del nostro popolo [ ... ] La scelta, che ora il popolo tedesco mette in atto, è già da sola l'accac;limento e - anche indipendentemente dal risultato - la più forte attestazione della nuova realtà tedesca dello Stato nazionalsocialista. La nostra 47 Su di ciò aveva richiamato la mia attenzione Oskar Becker, già al tempo dei miei studi universitari. Ringrazio Victor Farias per avermi permesso di vedere la sua ricerca ancora inedita sulla fase nazional-rivoluzionaria di Heidegger. 48 A ciò si addice del resto la reazione di Heidegger alla riammissione di una associazione studentesca cattolica. In una lettera al Reichsfiihrer della Studentenschaft egli parla di una <<pubblica vittoria del cattolicesimo>>, e ammonisce: << Si continua a non conoscere la tattica cattolica. E un giorno si vendicherà duramente>> (G. Schneeberger, Nachlese zu Heidegger, Bern 1962, p. 206). Sul 'Nuovo Paganesimo ', cfr. W. Brocker, Dialektik, Positivismus, Mytho/ogie, Frankfurt a. M. 1958, capp. II e III. 160 www.scribd.com/Baruhk volontà di autoresponsabilità etnica (volkisch) vuole che ogni po· polo trovi la grandezza e la verità della sua missione [... ] Vi è soltanto l'unica volontà del pieno esserci dello Stato. Questa volontà il Flihrer l'ha destata in tutto il popolo e l'ha fusa insieme nell'unica decisione 49 • Mentre prima l'antologia era radicata anticamente nell'esi· stenza biografica del singolo 50, ora Heidegger privilegia l'esistenza storica del popolo fuso insieme dal Ftihrer nella volontà collettiva come il luogo in cui deve decidersi l'autentico poteressere dell'esserci. Le prime elezioni del Reichstag, che si svolsero all'ombra dei campi di concentramento riempiti di comunisti e socialdemocratici, si spostano nell'aura di una decisione esistenziale ultima. Ciò che in realtà è degenerato in vuota esclamazione, Heidegger lo stilizza in una decisione che, alla luce della concettualità di Sein und Zeit, assume il carattere di una nuova forma di vita autentica del popolo. Il copione per un discorso che deve scuotere e spingere verso una verità eroica non più l'esistenza individuale, bensì il popolo, è fornito di nuovo da Sein und Zeit alla citata manifestazione della scienza per il Ftihrer: « Il popolo riacquista la verità del volere del suo esserci, poiché la verità è la rivelazione di ciò che rende sicuro, chiaro e forte un popolo nel suo agire e nel suo sapere ». La determinazione puramente formale della precedente risolutezza, che gli studenti avevano nelle orecchie fin dal 1927, viene ora cçmcretizzata come risveglio nazional-rivoluzionario - e come rottura col mondo del razionalismo occidentale: Noi ci siamo liberati dalla idolatria di un pensiero privo di base terrena e di potere. Vediamo la fine della filosofia che sta al 49 G. Schneeberger, op. cit., pp. 145 sg. 50 Già in Sein und Zeit Heidegger nel par. 74 svolge le sue analisi della Costituzione fondamentale della storicità fino al punto in cui si può scorgere la dimensione dell'intreccio fra il destino del singolo e il destino del popolo: << Poiché l'Esserci, carico di destino, in quanto essere-nel-mondo esiste sempre essenzialmente come con-essere con gli Altri, il suo storicizzarsi è un con-storicizzarsi che si determina come destino comune. Con questo termine noi intendiamo lo storicizzarsi della comunità, del popolo>> (p. 383 [tr. i t. ci t., p. 396] ). Non è certo del tutto casuale per il significato del termine più tardo ' destino comune dell'essere ' (Seinsgeschick) che Heidegger introduca l'espressione ' destino comune' in questo contesto popolare (volkisch). Il primato esistenziale dell'esserci individuale su quello collettivo della comunità, che più tardi la reinterpretazione nazional-rivoluzionaria rovescerà nel suo contrario, emerge però chiaramente dal contesto. La struttura della ' cura ' è sviluppata sulla base dell'esserci ' sempre mio'. La ' decisione' per il 'più proprio poter essere' è faccenda dell'individuo, che deve prima essere deciso, per poi poter &-perimentare ' nella e con la sua generazione ' un fatidico ' destino comune ' (ein schicksalhaftes Geschick). L'indeciso infatti non può ' avere destino ' alcuno. 161 www.scribd.com/Baruhk suo serviziO. Siamo certi che la schietta forza e la irreprensibile sicurezza dell'inflessibile semplice interrogare circa l'essenza dell'Essere stanno ritornando. Il coraggio originario di crescere nella lotta con l'ente oppure di infrangersi contro di esso, è il più intimo movente di una scienza popolare (vOlkisch) [ ... ] Domandare per noi significa: non chiudersi al terrore dell'indomito e alla confusione dell'oscuro [ ... ]. E così noi, ai quali in futuro deve essere affidata la custodia della volontà di sapere del nostro popolo, dichiariamo: la rivoluzione nazionalsocialista non è semplicemente l'assunzione di un potere presente nello stato da parte di un altro partito che è cresciuto abbastanza per farlo, bensì questa rivoluzione comporta il totale sovvertimento del nostro esserci tedesco 51 • Come attestano le lezioni dell'estate 1935, Heidegger è restato fedele a questa dichiarazione oltre il breve periodo del suo rettorato. Quando alla fine non si ingannò più sul vero carattere del regime nazionalsocialista, si era cacciato filosoficamente in una situazione difficile. Dato che aveva identificato ' esserci ' con l'esserci del popolo, l'autentico poter-essere con la presa del potere, la libertà con la volontà del Flihrer, e nella questione dell'Essere aveva creduto di scorgere la rivoluzione nazionalsocialista insieme col servizio del lavoro, delle armi e del sapere, fra la sua filosofia e gli eventi contemporanei si era stabilito un rapporto interno non facile da ritoccare. Una schietta trasvalutazione politico-morale del nazionalsocialismo avrebbe dovuto attaccare i fondamenti dell'antologia rinnovata e porre in questione l'impostazione teoretica. Se invece la delusione riguardo al nazionalsocialismo può essere elevata al di sopra della sfera superficiale del giudicare e dell'agire responsabili, e schematizzata in un errore oggettivo, in un errore che fatalmente si svela, allora la continuità con le posizioni di partenza di Sein und Zeit non doveva più esser messa in pericolo. Heidegger tratta la sua esperienza storica con il nazionalsocialismo in modo da non porre la pretesa elitaria ad un accesso privilegiato del filosofo alla verità. Egli interpreta la non-verità del movimento, dal quale si era lasciato trascinare, non già nei concetti di una deiezione esistenziale al Man, di cui si debba rispondere soggettivamente, bensì come un oggettivo venir-meno della verità. Che al più risoluto dei filosofi soltanto a poco a poco si siano aperti gli occhi sulla natura del regime - di questa differita lettura della storia del mondo deve assumersi i diritti d'autore appunto lo stesso corso del mondo, non certo la storia concreta, bensì una 51 G. Schneeberger, op. cit., pp. 159 sg. 162 www.scribd.com/Baruhk storia sublimata, promossa al livello dell'antologia. Con ciò è nata la concezione della storia dell'Essere. Nel quadro di tale concezione l'errore fascista di Heidegger assume un significato di storia della metafisica 52 • Ancora nel 1935 Heidegger scorgeva « l'intima verità e grandezza» del movimento nazionalsocialista nell'« incontro della tecnica determinata planetariamente con l'uomo moderno » 53 • Allora egli dalla rivoluzione nazionalsocialista si aspettava ancora che prendesse a servizio il potenziale della tecnica per il progetto del nuovo esserci tedesco. Soltanto successivamente, nel corso della discussione con la teoria nietzschiana del potere, Heidegger sviluppa nei termini della storia dell'antologia il concetto della tecnica come ' Gestell '. Da allora in poi egli poté considerare il fascismo per suo conto come sintomo, e insieme all'americanismo e al comunismo, classificarlo come espressione del dominio metafisica della tecnica. Soltanto dopo questa svolta il fascismo, come la filosofia di Nietzsche, è una fase oggettivamente ambigua dell'oltrepassamento della metafisica 54 • Con questa reinterpretazione anche l'attivismo e il decisionismo dell'esserci che afferma se stesso perdono (in entrambe le loro versioni, cioè quella esistenzialistica e quella nazional-rivoluzionaria), la loro funzione di dischiudimento dell'Essere; soltanto ora il pathos dell'autoaffermazione diviene il tratto fondamentale di una soggettività che dom_ina la modernità. Nella tarda filosofia subentra al ~uo posto il pathos del lasciar-essere e dell'asservimento. La verifica della motivazione della svolta in base alla storia contemporanea conferma il risultato della nostra ricostruzione dello sviluppo interno della teoria. Heidegger, proponendo il rovesciamento puro e semplice del modello ideale della filosofia del soggetto, resta invischiato nelle problematiche di tale filosofia. 52 William Robertson mi ha indicato il punto di congiunzione che questa concezione trova già nello scritto Vom Wesen der Wahrheit. La sez. 7 tratta della 'non-verità come erramento '. L'erramento appartiene, come la verità·, alla costituzione dell'esserci. << L'erramento è l'aperto luogo dell'errore. Non errori isolati, bensì il regno (il dominio) della storia di quegli intrichi in sé intrecciati di tutte le maniere dell'errare è l'errore» (Vom Wesen der Wahrheit, Frankfurt a. M. 1949, p. 22). Ma più che un punto di congiunzione questo concetto dell'erramento come di un margine di gioco oggettivo non offre; infatti ancora l'errore e la verità si rapportano l'uno all'altra allo stesso modo che il disoccultamento e l'occultamento dell'ente come tale (ivi, p. 23). Ritengo che il testo, pubblicato soltanto nel 1943, ma al quale serve come base il testo di una conferenza del 1930 • più volte riveduto', non consenta una chiara interpretazione nel senso della tarda filosofia. 53 M. Heidegger, Ein/iihrung in die Metaphysik, Tiibingen 1953, p. 152. 54 Cfr. la precisa esposizione di R. Schiirmann, Politica! Thinking in Heidegger, cit., p. 191. 163 www.scribd.com/Baruhk 7. IL SOPRAV ANZAMENTO DELLA FILOSOFIA TEMPORALIZZAT A DELL'ORIGINARIO: LA CRITICA DI DERRIDA AL FONOCENTRISMO I Nella misura in cui Heidegger è stato recepito nella Francia del dopoguerra quale autore della Lettera sull'umanesimo, Derrida reclama a buon diritto il ruolo dell'autentico allievo, che riprende criticamente la dottrina del maestro e la prosegue in modo produttivo. Non privo di sensibilità per il kairos della situazione contemporanea, Derrida fa valere questa rivendicazione nel maggio del '68, quando la rivolta aveva raggiunto il suo culmine 1• Come Heidegger, Derrida tiene presente 'l'insieme dell'Occidente', e lo contrappone al suo Altro, che si annuncia con ' radicali sconvolgimenti ' - dal punto di vista economico e politico, cioè in superficie, con la nuova situazione fra l'Europa e il Terzo mondo, e dal punto di vista metafisica con la fine del pensiero antropocentrico. L'uomo, come essere per la morte, è da sempre vissuto in rapporto alla sua fine naturale. Ma ora si tratta della fine della sua autocomprensione umanistica: nella mancanza di patria del nichilismo non è l'uomo che erra ciecamente, bensì l'essenza dell'uomo. E questa fine deve svelarsi appunto nel pensiero dell'Essere introdotto da Heidegger. Heidegger prepara il compimento di un'epoca, che dal punto di vista storico-antico forse non finirà mai 2 • La nota melodia dell'autosuperamento della metafisica dà il tono anche all'impresa di Derrida: 1 T. Derrida, Les fins de l'homme, in Marges de la philosophie, Paris 1972, pp. 129 sgg. 2 J. Derrida, De la grammatologie, Paris 1967, matologia, Milano 1969, p. 17). p. 25 (tr. it., Della gram- 164 www.scribd.com/Baruhk All'interno della chiusura, con un movimento obliquo e sempre pericoloso, che incessantemente rischia di ricadere al di qua di ciò che esso decostruisce, bisogna circoscrivere i concetti critici di un discorso prudente e minuzioso, [ ... ] disegnare rigorosamente la loro appartenenza alla macchina che essi permettono di decostruire; e ad un tempo la falla da cui si lascia intravedere, senza che ancora si possa darle un nome, ciò che viene dopo il c,ompimento (della nostra epoca) 3, Fin qui, dunque, niente di nuovo. Senza dubbio Derrida si distacca anche dalla tarda filosofia di Heidegger, e precisamente anzitutto dalla sua metaforica. Egli si volge contro la « metaforica - regressivamente riduttiva della vicinanza, della semplice e immediata presenza, che collega con la vicinanza dell'essere i valori del vicinato, del domicilio, della casa, del servizio, della custodia, della voce e dell'udito » 4• Mentre Heidegger arreda il fatalismo di stile schulznaumburghiano della sua storia dell'Essere con le immagini sentimentalifamiliari di un contromondo contadino preindustriale 5 ; Derrida si muove invece nel movimento sovversivo della lotta partigiana - anche la dimora dell'Essere egli vorrebbe ancora smontarla, e all'aperto « danzare quella festa crudele di cui parla la Genealogia della morale» 6 • Vogliamo cercare di vedere se con lo stile muta anche il concetto della storia dell'Essere, oppure se nelle mani di Derrida la stessa idea non fa altro che assumere una colorazione differente. Heidegger si acquista la temporalizzazione della filosofia dell'originario al prezzo di un concetto storicamente dinamicizzato, ma sradicato, della verità. Se ci si lascia influenzare dalle circostanze contemporanee tanto quanto Heidegger, e tuttavia si va avanti imperterriti nella dimensione dei concetti essenziali, la pretesa di verità del fondamentalismo rovesciato si irrigidisce nel gesto profetico. Per lo meno, resta oscuro come nella mobilità dell'accadere della verità, di cui non si può disporre, si possa mantener fermo il nucleo normativa di una pretesa di verità che però anche trascende il tempo e lo spazio. Con il concetto del dionisiaco, Nietzsche ha pur sempre rinviato ad una sfera di esperienze determinanti; anche lo Heidegger esistenzialista poteva ancora orientarsi in base al contenuto normativa di 3 lvi, p. 25 (tr. it. cit., p. 17). 4 J. Derrida, Marges de la philosophie, cit., p. 156. 5 P. Bourdieu, L'antologie politique de Martin Heidegger, in recherche en sciences sociales >>, nn. 5-6, nov. 1975, pp. 118 sgg, 6 J. Derrida, Marges de la philosophie, cit., p, 163. 165 www.scribd.com/Baruhk << Actes de la un esserci autentico. Per contro, alla grazia dell'Essere immemorabile manca ogni struttura; il concetto del sacro alla fine non è meno vago che quello della vita. Distinzioni alle quali noi colleghiamo un senso di valore non trovano nessun appiglio in un destino comune dell'Essere sottratto alla dimostrazione. Dei punti d'appoggio li offrono ancora soltanto connotazioni religiose, che vengono però subito smentite come residui onta-teologici. Anche Derrida si avvede che questa situazione è insoddisfacente; lo strutturalismo sembra offrire una via d'uscita. Per Heidegger il linguaggio costituisce certo il medium della storia dell'Essere; la grammatica delle immagini linguistiche del mondo dirige quella comprensione preontologica dell'Essere che di volta in volta domina. Heidegger, però, si accontenta di designare globalmente il linguaggio come dimora dell'Essere; nonostante la posizione privilegiata che gli assegna, egli non ha mai indagato sistematicamente il linguaggio. Qui incomincia Derrida. Un clima scientifico determinato dallo strutturalismo di Saussure lo incoraggia a servirsi della linguistica anche in vista della critica della metafisica. Egli ora ricupera anche metodicamente il passo dalla filosofia della coscienza alla filosofia del linguaggio, e con la grammatologia si apre un campo di ricerca per analisi che per Heidegger sul livello della storia dell'Essere non dovevano più aver luogo. Per motivi che illustreremo in seguito, Derrida non utilizza però l'analisi del linguaggio corrente svolta nell'ambito anglosassone; egli non si occupa della grammatica del linguaggio o della logica del suo uso. Piuttosto, in contrasto con la fonetica strutturalistica, egli tenta di chiarire i fondamenti della grammatologia, cioè della scienza della scrittura. Dal Littré egli cita la voce 'grammatologia': « Dottrina delle lettere, dell'alfabeto, della sillabazione, del leggere e dello scrivere », e indica come unica indagine pertinente il libro di I. J. Gelb 7• La grammatologia si raccomanda come filo conduttore scientifico per la critica della metafisica, perché attacca alle radici la scrittura fonetica, cioè riprodotta in base ai suoni; essa è infatti non soltanto coestensiva al pensiero metafisica, ma anche altrettanto originaria. Derrida è convinto « che la scrittura fonetica, ambito della grande avventura metafisica, scientifica, tecnica ed economica dell'Occidente, è limitata nel tempo » - ed oggi ha raggiunto i suoi limiti 8 • Il primo Derrida vuole condurre l'ope· 7 I. J. Gelb, Von der Keilschrift zum Alphabet. Grundlagen einer Schrijtwissenschajt, Stuttgart 1958. 8 }. Derrida, De la grammatologie cit., p. 21 (tr. it. cit., p. 14). 166 www.scribd.com/Baruhk razione dell'autosuperamento della metafisica nella forma di una ricerca grammatologica, che risale dietro gli inizi della scrittura fonetica. Essa ricerca ciò che sta dietro ogni scrittura, che, quale semplice fissazione di forme vocali, resta nel cerchio magico del fonetico. La grammatologia deve invece spiegare perché l'essenziale del linguaggio deve essere concepito secondo il modello della scrittura e non del discorso. La razionalità - forse però occorrerebbe abbandonare questa parola per la ragione che apparirà alla fine di questa frase - che comanda la scrittura in tal modo estesa e radicalizzata, non è più uscita da un logos ed inaugura la distruzione, non la demolizione ma la desedimentazione, la de-costruzione di tutte le significazioni che hanno la loro origine in quella di logos. In modo particolare la significazione di verità. Tutte le determinazioni metafisiche della verità, ed anche quella cui si richiama Heidegger, al di là dell'ontateologia metafisica sono più o ineno immediatamente inseparabili dall'istanza del logos 9 , Siccome il logos, come vedremo, è sempre immanente alla parola parlata, Derrida vuole colpire il logocentrismo dell'Occidente nella forma del fonocentrismo. Per intendere questa sorprendente svolta verso la grammatologia, è utile rammentarci la metafora del libro della natura o libro del mondo, che rinvia al manoscritto di Dio, difficile da leggere, ma decifrabile sia pure con fatica. Derrida cita un detto di Jaspers: « Il mondo è il manoscritto di un altro mondo, mai del tutto leggibile; soltanto l'esistenza lo decifra ». Vi sono libri al plurale solamente perché il testo originario è andato perduto. Tuttavia Derrida toglie ogni nota ottimistica a questa immagine, perché radicalizza kafkianamente l'idea del libro perduto. Questo libro scritto nella grafia divina non è mai esistito, bensì sempre soltanto le sue tracce, ed anche queste sono cancellate. Questa consapevolezza impronta l'autocomprensione della modernità, per lo meno a partire dal XIX secolo. Non è solo aver perduto la certezza teologica di vedere ogni pagina ricollegarsi da sé nel testo unico della verità, [ ... ] raccolta genealogica, Libro di Ragione, in questo caso, manoscritto infinito letto da un Dio che, di tanto in tanto, ci abbia prestato la sua penna. Questa certezza perduta, questa assenza della scrittura divina, cioè prima di tutto del Dio ebraico che in qualche occasione scrive esso stesso, non definisce solamente e vagamente qual9 !bid. 167 www.scribd.com/Baruhk cosa come la 'modernità'. In quanto assenza ed ossessione del segno divino, essa domina per intero l'estetica e la critica moderne 10 • La modernità sta ricercando le tracce d'una scrittura che non fa più sperare, come il Libro della Natura o la Sacra Scrittura, la totalità di un contesto di senso. Nel catastrofico contesto della tradizione il sostrato del segno scritto è l'unica cosa che resista alla corruzione. Il testo scritto assicura durata alla parola, che invece nel molle medium della voce si dilegua; l'interpretazione deve essere preceduta dalla decifrazione. Spesso il testo è danneggiato e frammentato a tal punto, che preclude all'interprete ogni accesso al contenuto. Ma anche del testo incomprensibile resta il disegno, restano i segni - sopravvive la materia come traccia d'uno spirito dileguato. Evidentemente Derrida si è ispirato, seguendo Levinas, a quella concezione ebraica della tradizione, che ancor più di quella cristiana si è allontanata dall'idea del libro, e proprio per questo rimane più rigorosamente vincolata alla dottrina scritturale. Il programma di una scienza scritturale che pretende di criticare la metafisica è attinto da fonti religiose. Tuttavia Derrida non vuole pensare in termini teologici: in quanto heideggeriano, egli si vieta ogni idea di un ente supremo. Piuttosto, analogamente ad Heidegger, egli ritiene che la condizione della modernità sia costituita da fenomeni di sottrazione, che non si possono comprendere entro l'orizzonte della storia della ragione e della rivelazione divina. Come asserisce all'inizio del suo saggio sulla ' differenza ', egli non vuole praticare nessuna teologia, nemmeno negativa. Ma nemmeno vorrebbe lasciarsi sfuggire di mano ciò che qui si sottrae, semplicemente come fluido di una storia dell'Essere in sé paradossale. Anche per questo motivo il medium della scrittura si presenta come un modello che deve togliere l'aura e conferire una certa consistenza giocosa all'accadere della verità, quell'Essere distinto dall'ente in complesso e anche dall'ente supremo. Qui Derrida non ha in mente nemmeno la « solida permanenza dello scritto », bensì soprattutto la circostanza, che la forma scritta libera il testo di turno dal suo contesto d'origine. La scrittura rende ciò che vien detto indipendente dallo spirito dell'autore e dal respiro del destinatario, nonché dalla presenza degli oggetti di cui si parla. Il medium della scrittura conferisce al testo una IO J. Derrida, L'Ecriture et la Différence, Paris 1967 (tr. it., La scrittura e la differenza, Torino 1971, p. 13). 168 www.scribd.com/Baruhk rigida autonomia rispetto a tutti· i contesti viventi. Essa cancella i riferimenti concreti a singoli soggetti e a determinate situazioni, e tuttavia mantiene al testo la sua leggibilità. La scrittura garantisce che un testo può essere letto sempre di nuovo in contesti che cambiano a piacere. Ciò che affascina Derrida, è l'idea di una leggibilità assoluta - anche in assenza di tutti i possibili destinatari, dopo la morte di tutti gli esseri intelligibili, la scrittura mantiene aperta, con un'astrazione eroica, la possibilità della lettura ripetibile che trascende tutto ciò che è intramondano. La scrittura, annullando i riferimenti viventi della parola parlata, promette salvezza al suo contenuto semantico anche al di là del giorno in cui tutti coloro che potrebbero parlare e udire cadono vittime dell'olocausto 11 : « Ogni grafema è nella sua essenza testamentario » 12 • Naturalmente questa idea varia semplicemente il motivo della dipendenza del discorso vivente dalle strutture autosufficienti del linguaggio. Derrida, mettendo la grammatologia, la scienza della scrittura, al posto della grammatica come scienza del linguaggio, vuole acuire ancor di più l'idea fondamentale dello strutturalismo. Ad Heidegger è mancata la concezione di un medium linguistico stabilizzato di per se stesso; perciò in Sein und Zeit egli dovette ricondurre la costituzione e la conservazione del mondo anzitutto alla produttività dell'esserci che progetta il mondo e fonda se stesso, cioè ad un equivalente dell'attività produttiva della soggettività trascendentale. Derrida si risparmia la deviazione attraverso Sein und Zeit. Con lo strutturalismo alle spalle, egli può imboccare la via diretta dalla prima filosofia della coscienza di Husserl alla tarda filosofia del linguaggio di Heidegger. Intendo ora esaminare se la sua versione grammatologicamente estraniata della storia dell'Essere sfugge a quell'obiezione, che Heidegger ha elevato contro Nietzsche e che ricade sullo stesso Heidegger: « che lo smembramento introdotto da Nietzsche rimane dogmatico e, come tutti i (semplici) rovesciamenti, prigioniero dell'edificio metafisica che esso pretende di abbattere » 13 • Per anticipare la mia tesi: anche Derrida non si svincola dai lacci del paradigma della filosofia del soggetto. Il suo tentativo di sopravanzare Heidegger non sfugge alla struttura aporetica dell'accadere della verità svuotato d'ogni valore di verità. Derrida supera il fondamen11 J. Derrida, Signature événement contexte, in Marges de la philosophie, cit., pp. 365 sgg., in particolare pp. 374 sg. e p. 381. 12 J. Derrida, De la grammatologie cit., p. 100 (tr. i t. ci t., p. 77). 13 lvi, p. 33 (tr. it. cit., p. 23). 169 www.scribd.com/Baruhk talismo rovesciato di Heidegger, ma resta nella sua. ,orbita. In tal modo il punto prospettico della filosofia temporalizzata dell'originario assume indubbiamente contorni· più chiari. Il ricordo del messianismO della mistica ebraica e di quel luogo abbandonato, ma ben circoscritto, che un tempo il Dio del Vecchio Testamento aveva occupato, preserva Derrida tanto dall'insensibilità politico-morale quanto dalla mancanza di gusto di un nuovo paganesimo arricchito con Holderlin. II Il testo in base al quale si può· verificare, passo per passo, il tentativo compiuto da Derrida per evadere dalla filosofia del soggetto, è la critica alla teoria husserliana del significato, apparsa nel 1967 contemporaneamente alla Grammatologia 14 • Dal punto di vista strategico di una decostruzione della filosofia della coscienza Derrida non avrebbe potuto scegliere un oggetto più adatto che la sezione su Espressione e significato dal secondo libro delle Ricerche logiche 15 • Qui infatti Husserl difende energicamente la sfera della pura coscienza contro l'ambito intermedio della comunicazione linguistica; qui Husserl aggiudica con forza il significato al lato della essenzialità ideale e dell'intelligibile, per purificarli dalle commistioni empiriche dell'espressione linguistica, senza di cui non possiamo impadronirci del significato. Husserl distingue, come è noto, il segno (Zeichen), che esprime un significato linguistico, dal semplice indizio (Anzeichen). Ossa fossili sono indizi dell'esistenza di animali antidiluviani, bandiere o distintivi attestano l'origine nazionale di chi li porta, il nodo nel fazzoletto rammenta un'intenzione non eseguita. In tutti questi casi il segnale richiama alla coscienza uno stato di cose. Qui non è importante se l'indizio è connesso con l'esistenza dello stato di cose indiziato da rapporti causali, logici, iconici, oppure puramente convenzionali; quale indizio esso funziona, come il nodo nel fazzoletto, quando la percezione del 14 J. Derrida, La voix et le phénomène, Paris 1967 (tr. it., La voce e il fenomeno, Milano 1968). Cfr. anche il relativo saggio La forme et le vouloir-dire. Note sur la phénomènologie du langage, in « Rev. inter. philos. >>, LXXXI (1967), quello che nell'edizione inglese Speech and Phenomenon, Evanston 1973, è stato compreso insieme. 15 E. Husserl, Logische Untersuchungen, vol. II, 1, Tiibingen 1913 (1980), pp. 23 sgg. (tr. it., Ricerche logiche, Milano 1982, pp. 291 sgg.). 170 www.scribd.com/Baruhk segno suscita in virtù di un'associazione psichicamente efficace, l'idea di uno stato di cose non presente. L'espressione linguistica rappresenta in altro modo il suo significato (o l'oggetto, al quale essa si riferisce, quando si presenta in funzione connotativa). Diversamente che il segnale, l'espressione linguistica ha significato per via di un rapporto ideale e non in virtù di una associazione. :È: interessante che Husserl annoveri la mimica e la gesticolazione fra gli indizi, perché in queste espressioni spontanee, legate al corpo, non trova la volontà, o la intenzione. comunicativa, in breve: l'intenzionalità del parlante. Esse assumono però un significato, quando sostituiscono espressioni linguistiche. Le espressioni si possono distinguere dagli indizi per via della loro struttura genuinamente linguistica: una « espressione, oltre ad avere un significato, si riferisce anche ad oggetti di genere qualsiasi» 16 • In altre parole: un'espressione può sem· pre venir completata in una frase, la quale riferisce il contenuto di ciò che vien detto a qualcosa, di cui si asserisce qualcosa. All'indizio manca invece questa differenziazione tra il riferi· mento all'oggetto e il contenuto predicato - e quindi anche quell'indipendenza dalle situazioni che caratterizza specifica· mente l'espressione linguistica. La teoria husserliana del significato - al pari di quella di Saussure - è impostata in senso semiotico e non semantico. Husserl non amplia la distinzione semiotica fra i tipi segnici (indizio contro espressione) alla distinzione grammaticale fra lin· guaggio segnaletica e linguaggio proposizionalmente differen· ziato 17 • Anche la critica di Derrida si limita a riflessioni sernio· tiche, e si riferisce soprattutto all'uso peculiare che Husserl fa della sua distinzione fra segno e indizio, per svalutare le espressioni adoperate comunicativamente rispetto alle espressioni linguistiche in senso stretto. Husserl enuncia la tesi che le espres· sioni linguistiche, che si presentano « nella vita solitaria dell'anima», per dir così, pure, foro interno, devono assumere in più la funzione di indizi, quando servono allo scopo pragmatico della comunicazione e devono passare nella sfera esterna del discorso. Nel discorso comunicante, le espressioni sarebbero 'intrecciate ' con indizi. Anche nella filosofia analitica si suole pre· scindere dagli aspetti pragmatici dell'uso delle espressioni nelle lvi, p. 46 (tr. it. cit., p, 313). E. Tugendhat, Vor/esungen zur Einfiihrung in die sprachana/ytische Phi· /osophie, Frankfurt a. M. 1976, pp. 212 sgg.; J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1981, vol. Il, pp. 15 sgg, (tr. it. cit., vol. Il, pp. 552 sgg.). 16 17 171 www.scribd.com/Baruhk dichiarazioni, e considerare soltanto la struttura semantica delle proposizioni e delle parti costitutive di proposizioni. Questo taglio concettuale lo si può chiarire in base al passaggio dal discorso intersoggettivo al monologo interno - la considerazione semantica si accontenta, appunto, di quegli aspetti che sono costitutivi per un uso monologico delle espressioni linguistiche. Da questa decisione per il livello analitico della semantica formale non risulta ancora in modo cogente quella posizione semanticistica, che nega il riferimento interno del linguaggio semanticamente caratterizzato con il discorso, e fa come se le funzioni pragmatiche fossero esterne al linguaggio. Nel quadro della fenomenologia, Husserl difende appunto questa posizione: e certamente, in base a premesse della filosofia della coscienza, egli non ha nemmeno altra scelta 18 • L'impianto monadologico nell'io trascendentale costringe Husserl a ricostruire le relazioni intersoggettive prodotte nella comunicazione dalla prospettiva della singola coscienza diretta verso oggetti intenzionali. Il processo di intesa si scinde nell' ' annuncio ' (Kundgabe) di un parlante, che produce suoni e con essi connette atti che conferiscono senso, e nell' ' ascolto ' (Kundnahme) dell'uditore, per il quale i suoni percepiti indicano gli eventi psichici ' annunciati': « Ciò che rende anzitutto possibile la frequenza spirituale, e fa sì che il discorso che stabilisce un collegamento sia un discorso, risiede in questa correlazione, mediata dagli aspetti fisici del discorso, tra i vissuti fisici e psichici, reciprocamente inerenti, delle persone che si frequentano » 19 • Siccome i soggetti stanno dapprima direttamente gli uni di fronte agli altri, e si percepiscono dall'esterno, come oggetti, la comunicazione fra essi viene raffigurata secondo il modello della segnalazione di contenuti d'esperienza vissuta, cioè espressivisticamente. I segni mediatori funzionano come indizi per gli atti che l'altro compie anzitutto nella vita solitaria dell'anima: « Se si considera questo nesso nel suo insieme, si riconosce immediatamente che, nel discorso comunicativo, tutte le espressioni fungono da segnali. All'ascoltatore essi servono come segni dei pensieri di chi parla, cioè dei suoi vissuti psichici significanti [ ... ] » 20 • Dato che la soggettività degli atti che conferiscono il senso 18 Del resto, si può vedere da questo che anche il semanticismo, chiarito in senso analitico-linguistico, si trova ancora sotto le premesse di una filosofia della coscienza. 19 E. Husserl, Logische Untersuchungen, cit., p. 33 (tr. it. cit., p. 300). 20 lbid. 172 www.scribd.com/Baruhk è per Husserl originaria rispetto all'intersoggettività della intesa prodotta linguisticamente, il processo dell'intesa fra soggetti deve venir concepito secondo il modello della trasmissione e decifrazione di segnali di esperienze vissute. Con il ricorso alla distinzione fra espressione e indizio, Husserl descrive l'uso comunicativo di segni in modo tale che questi assumono la funzione di indizi esterni degli atti compiuti dal parlante nella sua interiorità. Ma se le espressioni linguistiche si collegano agli indizi, soltanto nella comunicazione, ossia in seguito, le espressioni come tali devono essere attribuite alla sfera della solitaria vita dell'anima; soltanto dopo aver lasciato la sfera dell'interiorità, esse possono essere considerate come le determinazioni degli indizi. Ma con ciò il sostrato fisico del segno è svalutato rispetto al significato dell'espressione linguistica, e trasferito in uno stato virtuale, in certo qual modo cancellato nella sua esistenza. Tutto ciò che è esterno viene considerato come indizio. Ma siccome l'espressione esentata dalla funzione comunicativa, purificata da tutto ciò che è corporeo, viene elevata allivello del puro significato, non si sa poi troppo bene a quale scopo i significati in genere dovrebbero necessariamente essere ancora espressi con l'aiuto di segni verbali e proposizionali. Nel monologo interiore viene meno la necessità che il soggetto, in rapporto soltanto con se stesso, comunichi a se stesso qualcosa del suo interno: «Dovremmo forse dire che colui che parla da solo parla a se stesso e che anche a lui le parole servono come segni, cioè come indizi dei propri vissuti psichici? Non credo che una simile concezione sia sostenibile » 21 • Nel monologo interiore il sostrato segnico del significato espresso si volatilizza in 'un che di in sé indifferente'. Qui sembra che l'espressione distolga da sé l'interesse per orientarlo sul significato, per rinviare ad esso. Ma questo rinvio non è un'indicazione nell'accezione da noi discussa [ ... ]. Ciò che deve servirei come indizio (segno distintivo) deve essere da noi percepito come esistente. Questo è vero anche per le espressioni nel discorso comunicativo, ma non per le espressioni nel discorso isolato [ ... ]. Nella fantasia ci sta di fronte un segno verbale pronuJ:?.ciato o stampato - ma esso in realtà non esiste affatto 22 • 21 22 lvi, p. 35 (tr. it. cit., p. 302). lvi, p, 36 (tr. it. cit., p. 302). 173 www.scribd.com/Baruhk La virtualizzazione del segno interiorizzato, che risulta dal principio della filosofia del soggetto, ha un'implicazione importante. Husserl si vede cioè costretto a fondare l'identità del significato in qualcosa di diverso dalle regole dell'uso segnico; questa concezione, più tardi sviluppata da Wittgenstein, presupporrebbe infatti un rapporto int.erno fra l'identità dei significati e la validità intersoggettiva delle regole del significato. Anche Husserl paragona i segni che noi adoperiamo nelle operazioni di calcolo con le figure che muoviamo secondo le regole degli scacchi. Ma in contrasto con Wittgenstein, deve postulare il primato del. puri significati; soltanto conoscendo questi significati originari, noi possiamo sapere come operiamo con le figure degli scacchi: Così anche i segni aritmetici posseggono, accanto al loro significato originario, per così dire il loro significato di gioco [... ]. Se si assumono i segni aritmetici unicamente come pezzi di gioco nel senso definito da queste regole, la soluzione dei compiti del gioco calcolistico conduce a segni numerici, a formule numeriche, la cui interpretazione nel senso dei significati originari, propriamente aritmetici, presenta al tempo stesso la soluzione dei compiti aritmetici corrispondenti n. %significato di un'espressione è fondato negli atti dell'intenzione significativa e del riempimento intuitivo di tale intenzione - certo, non psicologicamente, bensì nel senso di una fondazione trascendentale. Il contenuto di significato è un in sé ideale, che Husserl vorrebbe acquisire dall'essenza intenzionale dell'atto che conferisce significato, e in definitiva dall'essenza dell'atto che riempie il significato di una corrispondente intuizione ideale. Ma non sussiste nessun nesso necessario « fra le unità ideali che fungono di fatto come significati ed i segni ai quali esse sono legate, cioè per mezzo dei quali si realizzano nella vita psichica dell'uomo» 24 • Questo platonismo dei significati, che collega Husserl a Frege, consente alla fine quella distinzione fra i significati ' in sé ' e i significati puramente ' espressi ', che rammenta l'equivalente distinzione di Popper fra il terzo mondo e il secondo. L'espressione che si presenta nel monologo interiore come ' fantasma segnico ' serve all'approvazione cognitiva delle unità ideali, che solo in quanto espresse sono ottenibili per un soggetto cono23 24 lvi, p. 69 (tr. it. cit., p. 337). lvi, p, 104 (tr. it. dt., p. 372). 174 www.scribd.com/Baruhk scente: « Ogni caso di formazione di nuovi concetti ci insegna come si realizza un significato che in precedenza non era ancora mai stato realizzato» 25 • Ho seguito passo passo la teoria husserliana del significato, per mostrare esattamente il punto in cui si inserisce la critica di Derrida. Contro la platonizzazione dei significati e contro l'interiorizzazione scorporante della sua espressione linguistica, Derrida vuole valorizzare l'indissolubile intreccio dell'intelligibile con il sostrato segnico della sua espressione, addirittura il primato trascendentale del segno rispetto al significato. È però interessante che le sue riflessioni non si rivolgano contro quelle premesse della filosofia della coscienza in base alle quali diviene impossibile identificare il linguaggio come un mondo intermedio costituito intersoggettivamente, che partecipa tanto al carattere trascendentale della rivelazione del mondo quanto al carattere empirico di ciò che si può sperimentare entro il mondo. Derrida non si appiglia a quel punto nodale in cui si diramano la filosofia del linguaggio e quella della coscienza, cioè là dove il paradigma della filosofia del linguaggio si distacca da quello della filosofia della coscienza, e subordina l'identità del significato alla prassi intersoggettiva dell'uso di regole del significato. Derrida segue piuttosto Husserl sul cammino della divisione, proprio della filosofia trascendentale, di tutto ciò che è intramondano dalle operazioni della soggettività che costituisce il mondo, per riprendere soltanto nelle aree più interne d'essa la lotta contro il dominio delle essenze idealmente intuite. III La critica di Derrida attacca il concetto husserliano di evidenza come una volta la critica di Heidegger il concetto husserliano del fenomeno. Per assicurare lo status di significati esistenti « in sé » al di là di ogni incorporazione, Husserl deve ricorrere ad un'intuizione,, nella quale queste essenzialità si mostrano « a partire da se stesse», pervengono alla datità come puri fenomeni. Questa intuizione egli la costruisce come riempimento di un'intenzione significativa, come autodatità dell'« oggetto», che è intenzionato con un'espressione linguistica. L'atto che intenziona il significato si rapporta all'atto che riempie il significato come la rappresentazione alla percezione effettiva di un oggetto. 25 lvi, p. 104 (tr. it. cit., p. 373). 175 www.scribd.com/Baruhk L'intuizione paga quella cambiale che è emessa dal significato espresso. Con questa concezione senza dubbio Husserl impronta a priori tutti i significati linguisticamente esprimibili alla dimensione cognitiva. Derrida ora biasima a ragione che con ciò il linguaggio viene ridotto a quelle parti che sono adatte per la coscienza o per il discorso che constata fatti. La logica mantiene il primato sulla grammatica, la funzione conoscitiva sulla funzione dell'intesa. Per Husserl, ciò è ovvio: «A proposito della questione di ciò che un'espressione significa, dovremo naturalmente rifarci ai casi in cui essa esercita una funzione conoscitiva attuale » 26• Lo stesso Husserl osserva, che per esempio il significato di termini singolari non può esser senz'altro spiegato in base a questo modello - vi sono « espressioni soggettive » il cui significato cambia con la situazione linguistica. Ma Husserl cerca di ovviare a questa difficoltà affermando che « ogni espressione soggettiva, mantenendo identica l'intenzione significante che spetta momentaneamente ad essa, è sostituibile con espressioni oggettive »n. I nomi degli individui devono poter essere sostituiti da descrizioni, le indicazioni di luogo e di tempo da punti spaziotemporali, ecc. Come ha mostrato Tugendhat, questo programma della conversione di espressioni soggettive in espressioni oggettive indipendenti dalla situazione, è ineseguibile; i termini singolari sono, al pari delle espressioni performative, esempi di significati genuinamente pragmatici, che non si possono spiegare indipendentemente da una prassi della applicazione di regole intersoggettivamente messe in atto. Derrida interpreta però in tutt'altro modo questo stato di cose. Che Husserl debba accoppiare tutti i significati linguistici con espressioni oggettive riferite alla verità, che mirano ad un riempimento mediante intuizione attuale e quindi sono modellate sulla funzione conoscitiva, Derrida lo intende come sintomo di un logocentrismo che viene da lontano e non può affatto essere sanato con l'analisi del linguaggio: « In effetti è chiaro che la affermazione secondo cui ogni espressione soggettiva si può sostituire con un'espressione oggettiva, in fondo non asserisce null'altro, se non la illimitatezza della ragione oggettiva » 28 • :È stata la precedente delimitazione metafisica del linguaggio da parte della ragione, del significato da parte del sapere, che su26 Z7 28 lvi, p. 56 (tr. it. cit., p. 322). lvi, p. 90 (tr. it. cit., pp. 357 sg.). J. Derrida, La voix et le phénomène, cit., p. 90. 176 www.scribd.com/Baruhk scita la resistenza di Derrida. Nel concetto husserliano dell'evidenza della verità egli vede in opera una metafisica, che costringe a pensare l'essere come presenza, come d-presentazione o presenziali tà. Questo è il luogo in cui Derrida mette in gioco l'esteriorità del segno, tenuta in disparte come inessenziale nell'argomentazione di Husserl - una veduta semiotica, e per nulla pragmatico-linguistica. Per Derrida, nell'idea dell'identità di una esperienza vissuta convalidata dalla presenza si svela il nucleo metafisico della fenomenologia - metafisica in quanto il modello dell'intenzionalità significativa riempita intuitivamente fa scomparire proprio quella differenza temporale e quell'esser altro, che sono entrambi costitutivi per l'atto della ri-presentazione intuitiva dello stesso oggetto, e quindi anche per l'identità del significato di un'espressione linguistica. Nella suggestione husserliana della semplice presenza di un di per sé dato va perduta quella struttura della ripetizione, senza di cui nulla può essere strappato al flusso del tempo e alla corrente delle esperienze vissute, e fatto presente, appunto d-presentato, come lo stesso. Nel centrale quinto capitolo di La voix et le phénomène, Derrida si riallaccia alle analisi husserliane sulla coscienza interna del tempo, per enucleare con Husserl contro Husserlla struttura differenziale dell'intuizione di un attualmente dato resa possibile soltanto da anticipazioni e regressi. La semplice presenza di un oggetto non separato, identico con se stesso, si dissolve, non appena perviene alla coscienza quella rete di pretensioni e retensioni in cui è inserito ogni attuale esperire vissuto. L'esperire vissuto presente 'nel momento ' dipende da un atto di dpresentazione, la percezione da un riconoscere riproducente, in modo tale che alla spontaneità del momento vivente è immanente la differenza di un intervallo temporale, e quindi anche un momento di alterità. L'unità strettamente fusa dell'intuitivamente dato dimostra di essere in effetti un composto e un prodotto. Lo Husserl delle Ricerche logiche disconosce questo processo originario della generazione e della modificazione nel cuore della soggettività trascendentale, e può quindi ingannarsi anche sul ruolo del segno nella costituzione di oggetti e significati identici con se stessi. Per ciascuna d-presentazione che riferisce l'uno all'altro passato e presente, il segno è indispensabile: « Un fonema o un grafema è sempre necessariamente altro, in una certa misura, ogni volta che si presenta in un'operazione o una percezione, ma può funzionare come segno e linguaggio in generale soltanto se un'identità formale permette di riprenderlo e di rico177 www.scribd.com/Baruhk noscerlo. Questa identità è necessariamente ideale » 29 • Al posto dell'idealità dei significati in sé, che Husserl separa rigorosamente tanto dagli atti dell'opinare e della comunicazione quanto dal substrato segnico dell'espressione e dal referente, Derrida ricorre alla « idealità della forma sensibile del significante » 30• Tuttavia non la spiega pragmaticamente partendo dall'uso delle regole, bensì separandola da ciò che chiama la metafisica husserliana della presenza. Husserl si è lasciato abbagliare, questa è l'obiezione centrale di Derrida, dall'idea fondamentale della metafisica occidentale, che l'idealità del significato identico con se stesso sia garantita soltanto dalla presenza vivente dell'esperire attuale immediata, intuitivamente accessibile nell'interiorità della soggettività trascendentalmente purificata da ogni commistione empirica; altrimenti egli non avrebbe potuto misconoscere che nel punto sorgivo di questo presente in apparenza assoluto si apre una differenza temporale e un'alterità che Derrida caratterizza al contempo come differenza passiva e come differimento che produce le differenze. Questo non ancora di un presente per il. momento nascosto, potenziale, in sospeso costituisce quello sfondo di rimandi senza dei quali proprio nulla potrebbe essere sperimentato come qualcosa di presente. Derrida contesta che un'intenzione significante possa mai risolversi nell'intuizione riempiente, giungere a coincidere con essa, fondersi in essa. Un'intuizione non può riscattare quella cambiale dell'intenzione significativa emessa con l'espressione. Dislivelli e alterità sono piuttosto costitutivi tanto per la funzione significativa di un'espressione linguistica che deve rimanere comprensibile proprio in assenza di ciò cui si riferisce quello che di volta in volta si intende e si dice; quanto per la struttura dell'esperienza dell'oggetto, che può essere identificata e fissata come qualcosa di attualmente percepito soltanto nell'anticipazione di un'espressione interpretante, cioè oltrepassante l'esperienza vissuta attuale e perciò non presente. Alla base di ogni percezione vi è una struttura della ripetizione, che lo stesso Husserl esamina nei concetti della protensione e ritensione. Husserl non ha riconosciuto che questa struttura della d-presentazione è resa possibile soltanto dalla forza simbolizzante o dalla funzione supplente del segno. Soltanto l'espressione, nella sua esteriorità di sostrato, non-sublimabile, 29 lvi, p, 55 (tr. it. cit., p. 85). 30 lvi, p. 58 (tr. it. cit., p, 88). 178 www.scribd.com/Baruhk del carattere segnico, genera l'insopprimibile differenza, da un lato tra sé e ciò per cui essa sta- il suo significato; e dall'altro lato, tra la sfera dei significati articolati linguisticamente e la sfera intramondana, alla quale appartengono il parlante e l'uditore con le loro esperienze vissute, ma anche il discorso e soprattutto i suoi oggetti. Derrida interpreta il rapporto in sé differenziato tra espressione, significato ed esperire vissuto come lo spiraglio attraverso il quale penetra quella luce del linguaggio, in cui soltanto qualcosa può essere presente come qualcosa nel mondo. Soltanto espressione e significato presi insieme possono rappresentare qualcosa - e questa rappresentazione simbolica Derrida la intende come un processo di generazione, come quel differire, quell'attivo esser-assente e occultato, che si mette in risalto nella struttura della ti-presentazione e del venire-allaluce nell'atto della intuizione. Husserl non ha disconosciuto l'interno rapporto fra questa struttura della ripetizione e la funzione vicaria del segno. linguistico; per spiegarlo, Derrida si riferisce all'osservazione occasionate di Husserl, « che io nelle rappresentazioni delle parole che accompagnano e appoggiano il mio silente pensare, fantastico sempre parole parlate dalla mia voce » 31 • Derrida è convinto che Husserl poté trascurare come momento inessenziale il carattere di sostrato del segno linguistico solo perché nella tradizione occidentale la forma fonica gode di un discutibile primato sulla forma scritta, l'incarnazione fonetica sull'iscrizione grafica. La fuggevole trasparenza della voce favorisce un'assimilazione della parola al significato espresso. Già Herder aveva accennato al rapporto con se stessi, unico nel suo genere, che esiste nel sentirsi parlare. Come Herder (e Gehlen), Derrida sottolinea l'intimità e trasparenza, l'assoluta vicinanza dell'espre-ssione animata al contempo dal mio respiro e dalla mia intenzione significativa. Il parlante, in quanto si ascolta, compie insieme tre atti quasi indistinguibili: produce forme foniche; percepisce, in quanto stimola se stesso, la forma sensibile del fonema; e al contempo comprende il significato intenzionato: «ogni altra forma di autoaffezione deve o passare attraverso l'ambito dell'estraneo oppure rinunciare alla pretesa di essere universale» 32 • Questa proprietà spiega non soltanto il primato della parola parlata, bensì anche la suggestione che l'essere dell'intelligibile sia per così dire incor31 32 E. Husserl, Logische Untersuchungen, cit., p, 97 (tr. it. cit., p. 366). J. Derrida, La voix et le phénomène, cit., p. 88 (tr. it. cit., p. 119). 179 www.scribd.com/Baruhk poreamente presente e convalidato dal presente vissuto nell'evidenza immediata. Pertanto fonocentrismo e logocentrismo sono strettamente uniti l'un l'altro. « La voce può mostrare l'oggetto ideale o il significato ideale [ ... ] senza avventurarsi al di fuori dell'idealità, al di fuori dell'interiorità della vita presente a sé » 33 • Ciò diviene poi la tesi di partenza della critica della metafisica svolta dalla grammatologia: « Nella chiusura di questa esperienza la parola viene vissuta come unità elementare e indecomponibile del significato e della voce, del concetto e di una trasparente sostanza espressiva» 34 • Ma se il fonocentrismo è la base di un privilegiamento metafisico del presente, e se questa metafisica della presenza a sua volta spiega perché ad Husserl rimase preclusa la fondamentale idea semiotica della funzione sostitutiva del segno e della sua forza dischiudente il mondo, allora conviene non spiegare più il carattere segnico dell'espressione linguistica e la sua funzione di sostituto partendo dall'orizzonte del sentirsi-parlare, ma scegliere invece, come punto di partenza dell'analisi la scrittura. L'espressione scritta rammenta infatti con la massima fermezza che i segni linguistici, « nonostante la totale assenza di un soggetto ed anche oltre la sua morte», rendono possibile decifrare un testo, e se non ne garantiscono, almeno ne mettono in mostra l'intelligibilità. La scrittura è la promessa testamentaria del comprendere. La critica di Derrida alla teoria husserliana del significato ha di mira questo punto strategico: fino a Husserl (e allo stesso Heidegger) la metafisica ha pensato l'essere come presenza - l'essere è la «produzione e accoglimento dell'ente nella presenza come sapere e signoria» 35 • La storia della metafisica culmina quindi in un intuizionismo fenomenologico, il quale annienta quella differenza originaria del dislivello temporale e dell'alterità, che sola rende possibile l'identità di oggetti e significati, nella suggestiva autoaffezione mediante la propria voce priva di differenza: « Una voce senza differenza, una voce senza scrittura, è nello stesso tempo assolutamente viva e assolutamente morta». In questa proposizione il traduttore usa la parola artificiale ' differanza ' per riprodurre il gioco di parole di Derrida con le espressioni omofone ' différence ' e ' différance '. La struttura segnica che sta alla base della struttura ripetitiva dello esperire 33 34 35 lvi, p. 87 (tr. it. cit., p. 118). J. Derrida, De la grammatologie, cit., p. 34 (tr. it. cit., p. 24). J. Derrida, La voix et le phénomène, cit., p. 115 (tr. it. cit., p. 145). 180 www.scribd.com/Baruhk vissuto si collega con il senso temporale del differire, del procrastinare per vie traverse, della ritenzione calcolante, del riservarsi, dell'accennare ad un che da adempiere più tardi. Con ciò la struttura di rimando della supplenza, della d-presentazione o della sostituzione dell'uno da parte dell'altro acquista la dimensione della maturazione e dell'ordinare differenziante: « Difjérer in questo senso vuoi dire temporalizzare, vuoi dire ricorrere consapevolmente o inconsapevolmente alla mediazione temporale e procrastinante di una via traversa, che sospende l'esecuzione o l'adempimento del ' desiderio ' o della ' volontà ' » 36 • Servendosi di questo concetto della ' differanza ' carico di dinamica temporale, Derrida vuole sottrarsi tramite una radicalizzazione al tentativo di Husserl, di elaborare il senso ideale di significati 'in sé', purificato da ogni commistione empirica. Derrida segue le idealizzazioni di Husserl fino nel più intimo della soggettività trascendentale, per bloccare qui, nell'origine della spontaneità dell'esperire vissuto presente a se stesso, quella differenza incancellabile, che, quando viene rappresentata secondo il modello della struttura di rinvio di un testo scritto, può venir pensata come un'operazione affrancata dalla soggettività operante, appunto come accadere senza soggetto. La scrittura è considerata come il segno assolutamente originario distaccato da tutti i rapporti pragmatici della comunicazione, divenuto indipendente da soggetti che parlano e ascoltano. Questa scrittura, che antecede ogni successiva fissazione di forme foniche, la ' scrittura originaria', rende possibile - per così dire senza intervento del soggetto trascendentale e precedendo le operazioni di questo soggetto - le differenziazioni dischiudenti il mondo fra l'elemento intelligibile dei significati e l'elemento empirico che giunge a manifestarsi all'interno del suo orizzonte, fra il mondo e l'intramondano. Questa possibilizzazione è un processo del differire nel distinguere. Da questa prospettiva l'intelligibile distinto dal sensibile si presenta al contempo come il sensibile differito, il concetto distinto dall'intuizione come l'intuizione differita, la cultura distinta dalla natura come natura differita. Così Derrida perviene ad un rovesciamento del fondamentalismo husserliano, in quanto ora la forza originaria trascendentale della soggettività producente trapassa alla produttività anonima della scrittura che fonda la storia. La presenza di ciò che si mostra da sé nell'intuizione 36 J. Derrida, La Di[férance, in Marges de la phi/osophie, cit., p. 8. 181 www.scribd.com/Baruhk attuale diviene assolutamente dipendente dalla capacità ti-rappresentante del segno. "È importante vedere come nel corso di questo movimento di pensiero Derrida non rompa affatto con la persistenza fondamentalistica della filosofia del soggetto - ciò che era per essa fondamentale, egli lo rende soltanto dipendente dal terreno ancora più profondo, divenuto vacillante o fatto oscillare, di un potere originario temporalmente fluidificato. Derrida ricorre disinvolto nello stile della filosofia dell'originario a questa scrittura originaria, che lascia dietro di sé le sue tracce senza soggetto e anonimamente: Per pensare questa età, per parlarne, ci vorrebbero altri nomi che quelli di segno o (ri)presentazione. Così pure, per pensare come 'normale' e 'pre-originario' ciò che Husserl crede di poter isolare come un'esperienza particolare, accidentale, dipendente e secondaria: quella della deriva infinita dei segni, come erranza e cambiamento di scena, che concatena le ti-presentazioni le une alle altre, senza inizio né fine 37, Non la storia dell'essere è il Primo e l'Ultimo, bensì un rebus: il labirintico effetto speculare di vecchi testi, di cui ciascuno rinvia continuamente a testi ancora più antichi, senza destare la speranza di impadronirsi mai della scrittura originaria. Come una volta Schelling, nella sua speculazione sull'interdipendenza atemporale-temporalizzante delle età del mondo del passato, del presente e del futuro, Derrida insiste sulla idea sconcertante di un passato che non è mai stato presente. IV Per rendere perfezionabile questa idea di una scrittura ongtnaria che antecede tutte le iscrizioni identificabili, Derrida illustra, seguendo il filo conduttore dei Fondamenti della linguistica di Saussure, la sua tesi che la scrittura sotto un certo aspetto è il medium espressivo primario del linguaggio. Con sempre nuovi attacchi egli investe la concezione, apparentemente banale, secondo cui il linguaggio dipende per la sua struttura dalla parola parlata, mentre la scrittura non fa che riprodurre i fenomeni. Naturalmente Derrida non difende la tesi empirica 37 J. Derrida, La voix et le phénomène, cit., p. 116 (tr. it. cit., p, 147). 182 www.scribd.com/Baruhk che la scrittura sia apparsa cronologicamente prima del discorso. Egli fonda il suo argomento perfino sull'idea usuale, che la scrittura è il segno divenuto riflessivo per eccellenza. Tuttavia la scrittura non è nulla di parassitario; piuttosto la parola parlata è fin da principio disposta per supplire alla parola scritta, cosicché l'essenza del linguaggio, cioè la fissazione convenzionale e l' ' istituzionalizzazione ' di significati nel sostrato segnico si può spiegare in base alle qualità costitutive della scrittura. Tutti i mezzi espressivi sono essenzialmente ' scrittura'. Tutti i segni linguistici sono arbitrari, stanno in un rapporto convenzionale col significato che simbolizzano; e «l'idea della convenzione [ ... ] non può essere pensata prima della possibilità della scrittura e al di fuori del suo orizzonte » 38 • Derrida si serve dell'idea fondamentale della fonetica strutturalistica, secondo cui le caratteristiche che definiscono ciascun singolo fonema sono determinate unicamente dalla relazione sistematicamente fissata di un fonema con tutti gli altri. Ma poi la singola forma fonica non è costituita dalla sostanza fonetica, bensì da un fascio di caratteristiche astratte, riferite al sistema. Con sufficienza Derrida cita il seguente passo dalla Fondazione di Saussure: « Secondo la sua essenza il significante linguistico non è affatto sonoro, è incorporeo, non è formato dalla sua sostanza materiale, bensì unicamente dalle differenze che separano la sua forma fonica da tutte le altre » 39 • Derrida conta su qualità strutturali del segno, che si possono realizzare tanto nella sostanza dell'inchiostro quanto nella sostanza dell'aria; in queste astratte forme espressive, che si comportano indifferentemente nei confronti dei diversi mezzi espressivi, della forma fonica e scritta, egli riconosce il carattere scritturale del linguaggio. Questa scrittura originaria sta alla base tanto della parola parlata quanto di quella scritta. La scrittura originaria assume il posto di un produttore di scritture senza soggetto, che secondo lo strutturalismo sono sprovviste di qualsiasi autore. Essa fonda le differenze fra gli elementi segnici riferiti reciprocamente l'uno all'altro in un ordine astratto. Queste ' differenze' nel senso dello strutturalismo Derrida le combina, non senza forzatura, con quella differenza elaborata in base alla teoria husserliana del significato, che deve sopravanzare la differenza antologica di Heidegger: « Essa (la 38 J. Derrida, De la grammatologie, cit., p. 65 (tr. it. cit., p. 50); cfr. anche l'ottima esposizione di J, Culler, On Deconstruction, London 1983, pp. 89-109. 39 F. de Saussure, Course de linguistique générale, Paris 1922, 1972, p. 164 (tr. it., Corso di linguistica generale, Bari 1970, p. 144). 183 www.scribd.com/Baruhk differenza) rende possibile l'articolazione della parola parlata e della scrittura - nel senso corrente - , così come fonda anche il contrasto metafisico fra sensibile e intelligibile, e per di più fra significante e significato, fra espressione e senso » 40 • Tutte le espressioni linguistiche, si presentino poi sotto forma di fonemi oppure di grafemi, sono in una certa misura messe in opera da una scrittura originaria essa stessa non presente. Questa, precedendo tutti i processi comunicativi e tutti i soggetti compartecipi, adempie alla funzione del dischiudimento del mondo, ma in modo tale da nascondersi, da resistere alla parusia e lasciare dietro di sé la sua traccia soltanto nella struttura di rimando del testo prodotto, nel 'testo universale'. Il motivo dionisiaco del dio che ai figli e alle figlie dell'Occidente rende tanto più sensibile la sua ostentata presenza mediante la sua consumante assenza, ritorna nella metafora dello scritto originario e della sua traccia: «Ma il movimento della traccia è necessariamente nascosto, esso sorge come nascondimento di se stesso. Se l'Altro come tale si annuncia, esso si presentifica nella contraffazione di se stesso » 41 • Le decostruzioni di Derrida seguono fedelmente l'andamento del pensiero di Heidegger. Involontariamente egli mette a nudo il fondamentalismo rovesciato di questo pensiero, sopravanzando ancora una volta la differenza ontologica e l'essere con la ' differanzg ' di una scrittura che colloca un piano ancora più sotto un'origine già messa in moto. Il vantaggio che Derrida può avere sperato dalla grammatologia e da una testualizzazione apparentemente concretizzante della storia dell'essere, rimane perciò irrilevante. Come partecipante al discorso filosofico della modernità, Derrida eredita le debolezze di una critica della metafisica che non riesce a liberarsi dall'intenzione della filosofia dell'originario. Benché muti atteggiamento, anch'egli alla fine pratica soltanto una mistificazione di tangibili patologie sociali; anch'egli distacca il pensiero essenziale, cioè decostruente, dall'analisi scientifica, e approda all'evocazione di un'autorità indeterminata mediante una formula vuota. Questa però non è l'autorità di un essere sfigurato dall'ente, bensì l'autorità di una scrittura non più sacra, di una scrittura esiliata, errante, estraniata al suo proprio senso, attestante testamentariamente l'assenza del sacro. Derrida si distingue da Heidegger soprattutto per via di una pretesa in apparenza scientifica; ma poi con la sua Scienza 40 J. Derrida, De la grammatologie, cit., p. 92 (tr. it. cit., p. 71). 41 lvi, p. 69 (tr. it. cit., p. 52). 184 www.scribd.com/Baruhk Nuova semplicemente non tiene conto della deplorata incompetenza delle scienze in generale e della linguistica in particolare 42 • Derrida sviluppa la storia dell'essere codificata per iscritto in una variante diversa da Heidegger. Egli trasferisce bensì come lui la politica e la storia del tempo nell'ontico-superficiale, per poter scorrazzare tanto più liberamente e con tanta maggior abbondanza di associazioni nell'ontologico-originario scritturale. Ma la retorica, che in Heidegger serve ad esercitarsi nel fato dell'essere, in Derrida favorisce un altro atteggiamento, piuttosto sovversivo. Derrida è più vicino al desiderio anarchico di far saltare il continuum della storia, che alla direttiva autoritaria di adattarsi al destino 43 • Questo atteggiamento opposto può dìpendere dal fatto che, nonostante ogni sua smentita, Derrida resta vicino alla mistica ebraica. Egli non vuole tornare col neopaganesimo aldilà degli inizi del monoteismo, aldilà del concetto di una tradizione che segue le tracce della perduta scrittura divina e che continua a prodursi mediante l'esegesi eretica degli scritti. Derrida cita con approvazione un detto di Rabbi Eliezer tramandato da Levinas: « Se tutti i mari fossero pieni d'inchiostro, se tutti gli stagni fossero piantati di cannucce per scrivere, se il cielo e la terra fossero di pergamena e tutti gli uomini praticassero l'arte della scrittura, essi non potrebbero esaurire la Thora che io ho studiato; la Thora stessa ne verrebbe diminuita tanto poco, quanto lo diviene il mare in cui fosse immersa la punta d'una penna» 44 • I cabbalisti ebbero sempre interesse, è noto, a rivalutare la Thora orale, che risale alla parola degli uomini, rispetto alla parola presuntivamente divina della Bibbia. Essi conferiscono un alto rango ai commentari con cui ogni generazione si appropria di nuovo la rivelazione. Infatti la verità non è fissata, non è mai divenuta positiva una volta per tutte in una quantità determinata di enunciati. Questa concezione cabbalistica è stata poi nuovamente radicalizzata. Ora perfino la Thora scritta è considerata come una traduzione problematica della parola divina nel linguaggio degli uomini - come una pura interpretazione, appunto contestabile. Tutto è Thora orale, nemmeno una sillaba è 42 lvi, p. 142 (tr. it. cit., p. 111); cfr. anche l'intervista con Julia Kristeva in J. Derrida, Positions, Paris 1972 (tr. it., Posizioni, Verona 1975, p. 53). 43 Della « différance » Derrida dice: « Essa non governa nulla, non domina su nulla, non esercita in alcun posto una autorità. Non si annuncia tramite una maiuscola. Non solo non vi è un regno della différance, ma essa istiga alla sovversione di ogni rcgho >> (Derrida, Marges de la philosophie, cit., p. 22). 44 J. Derrida, De la grammatologie, cit., pp. 27 sg. (tr. it. cit., p. 19). 185 www.scribd.com/Baruhk autentica cioè tramandata nella scrittura ongmaria. La Thora dell'albero della conoscenza è una Thora occultata fin da principio. Essa muta continuamente i suoi abiti, e questi abiti sono la tradizione. Gershom Scholem ci riferisce le discussioni che si accesero sulla questione se tutti i dieci comandamenti siano stati trasmessi non falsificati da Mosè al popolo di Israele. Secondo alcuni cabbalisti, soltanto i primi due comandamenti (che, per così dire, fondano il monoteismo) derivano da Dio stesso; altri dubitano perfino dell'autenticità delle prime parole tramandate da Mosè. Rabbi Mendel von Rymanow esaspera una idea di Maimonide: «A suo parere nemmeno i primi due comandamenti derivano da un'immediata rivelazione all'intero popolo di Israele. Tutto ciò che Israel udì non era altro che quell'Aleph, con cui nel testo ebraico della Bibbia incomincia il primo comandamento». Questo mi sembra effettivamente - aggiunge Scholem - una frase degna di nota e che induce alla riflessione. La consonante Aleph in ebraico non è infatti altro che l'impostazione laringale della voce, che antecede una vocale all'inizio della parola. L'Aleph rappresenta quindi, per così dire, l'elemento dal quale deriva ogni suono articolato [ ... ]. Udire l'Aleph equivale a non udir proprio nulla, esso rappresenta il trapasso a tutti i linguaggi percettibili, e certamente di esso non si può dire che in sé comunichi un senso specifico. Con quella frase audace [... ] Rabbi Mendel riduce la rivelazione ad una rivelazione mistica, cioè ad una rivelazione in se stessa infinitamente piena di senso, ma priva di senso specifico. Essa rappresentava qualcosa che, per fondare l'autorità religiosa, doveva essere tradotto in linguaggi umani; ed è appunto ciò che, nel senso di questa massima, fece Mosè. Ogni enunciato, che fonda l'autorità, sarebbe un'interpretazione, pur sempre umana per quanto valida e d'alto rango, di qualcosa che la trascende 45 • L'Aleph del Rabbi Mendel è affine all'' a' afono, discriminato solo per scritto, della 'difjérance ', in quanto nell'indeterminatezza di questo segno fragile e ambiguo è concentrata l'intera pienezza della promessa. La concezione grammatologica derridiana di una scrittura originaria le cui tracce suscitano tanto più interpretazioni, quan45 G. Scholem, Zur Kabbala und ihrer Symbolik, Frankfurt a. M. 1973, pp. 47 sg. 186 www.scribd.com/Baruhk to più divengono inconoscibili, rinnova il concetto mistico della tradizione come di un accadere dilatorio della rivelazione. L'autorità religiosa mantiene la sua forza solamente finché nasconde il suo vero volto, e stimola così l'accertamento decifratorio degli interpreti. La decostruzione praticata con insistenza è il lavoro paradossale di una prosecuzione della tradizione in cui l'energia salvifica si rinnova unicamente tramite l'esaurimento. Il lavoro della decostruzione fa sempre più ingrossare quella fascia detritica delle interpretazioni, che essa vuole asportare per liberare i fondamenti sepolti. Derrida ritiene di oltrepassare Heidegger; fortunatamente egli ritorna dietro di lui. Le esperienze mistiche nelle tradizioni ebraica e cristiana potevano dispiegare la loro forza esplosiva, la loro forza che minacciava le istituzioni e i dogmi, soltanto perché in questi contesti continuavano a riferirsi all'unico Dio nascosto, trascendente il mondo. Illuminazioni recise da questa sorgente luminosa concentrata risultano particolarmente vaghe. La via della loro coerente profanizzazione avvia a quell'ambito di esperienze radicali che ha aperto l'arte d'avanguardia. Dall'incanto puramente estetico della soggettività estatica uscita fuori di sé, Nietzsche aveva attinto i suoi orientamenti. Heidegger rimase fermo a mezza strada; voleva trattenere la forza di una illuminazione divenuta priva di direzione senza pagare il prezzo della sua profanizzazione. Egli gioca quindi con un'aura alla quale è venuto meno il sacro. Con la mistica dell'essere le illuminazioni regrediscono nel magico. Nella mistica neopagana non procede dal carisma dell'extraquotidiano né qualcosa di liberante come nell'estetico, né qualcosa di rinnovante come nel religioso - ma tutt'al più il fascino della ciarlataneria. Da questo fascino Derrida purifica dunque la mistica dell'essere, ricondotta nel contesto tradizionale del monoteismo 46 • 46 Mi vedo confermato in questa interpretazione grazie ad un articolo di Susan Handelman, di cui sono venuto a conoscenza solo successivamente grazie ad un'indicazione di J. Culler: facques Derrida and the Heretic Hermeneutic, in M. Krapnick (ed.), Displacement, Derrida and after, Bloomington (Indiana) 1983, pp. 98 sgg. S. Handelman rimanda ad un interessante detto di Levinas, che Derrida fa suo (in un saggio su Levinas): <<Amare la Thora più di Dio significa protezione contro la pazzia del contatto diretto con il Sacro>>, e sottolinea la affinità di Derrida con la tradizione rabbinica ed in particolare con le sue radicalizzazioni cabbalistiche ed eretiche: « L'affermazione (di Levinas) è sorprendentemente ed eminentemente rabbinica - la Thora, la Legge, Scrittura, Dio, dice, sono persino più importanti di Lui. Potremmo dire che Derrida e l'ermeneutica eretica ebraica fanno esattamente questo: rinunciano a Dio, n'ia perpetuano la Thora nel loro proprio modo sostitutivo ed ambivalente >> (p. 115). S. Handelman si riferisce allo stesso modo alla perdita di valore del- 187 www.scribd.com/Baruhk Se questa supposizione non è del tutto falsa, certo Derrida ritorna a quel luogo .storico in cui una volta la mistica si era convertita nell'Illuminismo. Per tutta la sua vita Scholem ha seguito le tracce di questo capovolgimento compiuto nel XVIII secolo. Nelle condizioni del XX secolo, come ha osservato Adorno, mistica e illuminismo si sono ritrovate insieme 'un'ultima volta ' in Benjamin, con i mezzi concettuali del materialismo storico. Mi sembra dubbio che questo movimento di pensiero unico nel suo genere possa ripetersi con i mezzi di un fondamentalismo negativo; in ogni caso esso dovrebbe introdurci più profondamente nel moderno, che pure Nietzsche e i suoi seguaci volevano superare. l'originale trasmissione della parola divina, a favore della Thora orale, che nel corso della storia dell'esilio reclamò una crescente, alla fine addirittura preponderante autorità: << Ossia, tutte le successive interpretazioni rabbiniche sostennero insieme la stessa divina origine della Thora di Mosè; interpretazione, usando i termini di Derrida, che " era già sempre presente ". In questo modo, l'interpretazione umana e commentaria divenne parte della Rivelazione Divina. Le linee di confine fra testo e commentario sono fluide, in modo nuovo che risulta difficile da immaginare per un testo sacro, ma questa fluidità è un principio centrale per la teoria critica contemporanea, specialmente in Derrida >> (p. 101). Per il resto, S. Handelman pone la denuncia del logocentrismo occidentale come fonocentrismo chiaramente nel contesto della storia della religione, di una difesa sempre rinnovata della lettera contro lo Spirito. Derrida riceve così uno spazio all'interno dell'apologetica ebraica. Il Cristianesimo paolino aveva discreditato la storia dell'interpretazione della Thora orale come ' morta lettera' (2. Corinzi, 3, 6) contro le ' spirito vivente' dell'immediata presenza di Cristo. Paolo si volge contro gli ebrei, che si fermano alla lettera e non vogliono sacrificare la ' Scrittura ' a favore del ' Logos ' della Rivelazione cristiana: la scelta di Derrida di scrivere per opporsi al logocentrismo occidentale è una ri-emergenza di ermeneutiche rabbiniche in modo spostato. Derrida vuole slegare la teologia greco-cristiana e farci tornare dalla antologia a!la grammatologia, dall'essere al testo, dal Logos alla Scrittura (écriture) (p. 111). In questo contesto è di grande importanza il fatto che Derrida non riceve il motivo del Dio attivo attraverso la lontananza ed il rifiuto come Heidegger, passando per Hiilderlin, a partire dalla romantica recezione del dionisiaco, né può rivolgerlo come un motivo arcaico contro il monoteismo. Piuttosto, la lontananza attiva di Dio è un motivo che Derrida conduce personalmente attraverso Levinas, a partire dalla tradizione ebraica: « Il Dio assente dell'olocausto, il Dio che oscura il suo volto, paradossalmente diviene per Levinas la condizione della Fede ebraica [ ... ] il Giudaismo è allora definito come questa speranza in un Dio assente>> (p. 115). Con ciò la critica alla metafisica ottiene naturalmente in Derrida un significato diverso che in Heidegger. Il lavoro della decostruzione serve allora al rinnovamento di un discorso con Dio non garantito, che risulta lacerata alle moderne condizioni di un'ontoteologia divenuta non obbligatoria. Non il superamento della modernità tramite il ricorso a fonti arcaiche, sareblle allora l'intenzione, bensì una considerazione delle condizioni del moderno pensiero postmetafisico, tenendo conto delle quali il discorso con Dio, protetto onteteologicamente, non può essere continuato. 188 www.scribd.com/Baruhk Excursus sullivellamento della differenza specifica tra filosofia e letteratura I La ' dialettica negativa ' di Adorno e la ' decostruzione ' di Derrida si possono intendere come differenti risposte al medesimo problema. L'autocritica totalizzante della ragione si impiglia in una contraddizione performativa; di poter cioè convincere della sua natura autoritaria la ragione centrata nel soggetto solo ricorrendo ai mezzi che le sono propri. Questi strumenti del pensiero che non riescono a cogliere la ' non-identità ' e restano vincolati alla ' metafisica della presenza ', sono però tuttavia anche gli unici mezzi disponibili per scoprire la propria insufficienza. Heidegger cerca scampo a questo paradosso nelle luminose altezze di un particolare discorso esoterico, che si libera in generale dalle limitazioni del discorso discorsivo e si immunizza contro ogni obiezione specifica mediante l'indeterminatezza. Per criticare la metafisica Heidegger si serve dei concetti metafisici come della scala che, dopo averne salito i pioli, getta via. Giunto di sopra, il tardo Heidegger non si ritrae però come il primo Wittgenstein nell'intuizione silente del mistico, ma piuttosto egli ricorre con gesto profetico, verbosamente, all'autorità dell'iniziato. Diversamente Adorno. Egli non esce di soppiatto dal paradosso della critica della ragione che si riferisce a se stessa, della contraddizione performativa, riconosciuta come inevitabile, in cui questo pensiero si muove a partire da Nietzsche, egli fa la forma organizzativa della comunicazione indiretta. Il pensiero identificante rivolto contro se stesso viene costretto a smentire continuamente se stesso. Fa vedere le ferite che infligge a sé e agli oggetti. Questo esercizio porta a buon diritto il nome di una ' dialettica negativa'; infatti Adorno pratica imperterrito la negazione determinata, benché essa abbia perduto ogni sostegno nella organizzazione categoriale della logica hegeliana - per così dire, come feticismo del disincantamento. Il restar fedele ad un procedimento critico, che non può più essere sicuro dei suoi fondamenti, si spiega in quanto Adorno, in contrasto con Heidegger, non disprezza elitariamente il pensiero discorsivo. Nell'elemento discorsivo noi certamente erriamo qua e là, come in esilio; e tuttavia unicamente la forza insistente, mobilitata contro se stessa, di 189 www.scribd.com/Baruhk una riflessione senza fondo, mantiene il collegamento con l'utopia di una conoscenza libero-intuitiva, da lungo scomparsa, appartenente al lontano passato 47 • Il pensiero discorsivo non può certo identificarsi di per sé. come la sua forma decaduta; a tale scopo gli giova soltanto l'esperienza estetica, acquisita nella pratica con l'arte d'avanguardia. Quella promessa che una tradizione filosofica sopravvissuta non può più garantire, si è ritratta nella scrittura speculare dell'opera d'arte esoterica e ha bisogno della decifrazione negativistica. Da questo lavoro di decifrazione la filosofia succhia quel residuo di fiducia paradossale nella ragione, con cui la dialettica negativa esegue ostinatamente nel duplice senso della parola le sue contraddizioni performative. Derrida non è in grado di condividere la fiducia residuale di Adorno, convalidata esteticamente, in una ragione spostata (verrilckte), scacciata dai distretti della filosofia, divenuta appunto utopica. Altrettanto poco egli crede però che Heidegger, il quale fa uso dei concetti metafisici per ' cancellarli', si sia effettivamente svincolato dalle coazioni concettuali della filosofia del soggetto. Certamente, Derrida vuole proseguire la via imboccata della critica della metafisica; anch'egli vuole evadere dal paradosso piuttosto che circoscriverlo rimuginando. Ma come Adorno egli si oppone a quell'atteggiamento della profondità, che Heidegger riproduce irriflessivamente in base al suo antagonista, la filosofia dell'originario. Perciò sussistono paralleli anche fra Derrida e Adorno. Questa affinità nell'atteggiamento del pensiero richiede una analisi più precisa. Adorno e Derrida sono egualmente sensibilizzati contro modelli conclusivi, totalizzanti, onni-inglobanti, in modo speciale contro l'organico nell'opera d'arte. Entrambi sottolineano perciò il primato dell'allegorico sul simbolico, della metonimia sulla metafora, del romantico sul classico. Entrambi utilizzano come forma dell'esposizione il frammento e sospettano di ogni sistema. Entrambi decifrano con grande ingegno il caso normale a partire dai suoi casi-limite; si incontrano in un estremismo negativo, scoprono l'essenziale nel marginale. nell'accidentale, il diritto dalla parte del sovversivo e del ripudiato, la verità alla periferia e nell'inautentico. Ad una diffidenza verso tutto ciò che è l'immediato e sostanziale corrisponde l'implacabile ricerca di mediazioni, presupposizioni e dipendenze nascoste. Alla critica delle origini, degli originali, delle primalità corri47 H. Schnadelbach, Dialektik als Vernunftkritik, in L. v. Friedeburg, bermas (a cura di), Adorno-Konferenz 1983, cit., pp. 66 sgg. 190 www.scribd.com/Baruhk J. Ha- sponde un certo fanatismo di dimostrare in tutto ciò il puramente prodotto, imitato, secondario. Ciò che percorre da capo a fondo come motivo materialistico l'opera di Adorno, lo smascheramento di posizioni idealistiche, il rovesciamento di falsi contesti di costituzione, la tesi del primato dell'oggetto - anche ciò trova un parallelo nella logica derridiana della supplementarità. Il lavoro ribelle della decostruzione mira appunto a distruggere gerarchie concettuali irrigidite, a sovvertire i contesti di fondazione e i rapporti concettuali di dominio, per es. fra discorso e scrittura, fra intelligibile e sensibile, natura e cultura, interno ed esterno, spirito e materia, uomo e donna. Derrida ha un particolare interesse a capovolgere il primato della logica sulla retorica, già canonizzato da Aristotele. Derrida non si è certo occupato di tale questione controversa dall'ovvio punto di vista della storia della filosofia. In tal caso egli avrebbe dovuto relativizzare il valore di posizione del suo proprio progetto a quella tradizione che si è formata da Dante fino a Vico, e che è stata mantenuta viva, attraverso Hamann, Humboldt e Droysen, fino a Dilthey e a Gadamer. In questa tradizione infatti si è espressa la protesta nuovamente elevata da Derrida contro il primato platonico-aristotelico del logico sul retorico. Derrida vuole estendere la sovranità della retorica sul territorio del logico, per risolvere quel problema dinanzi a cui si ferma la critica totalizzante della ragione. Come si è mostrato, egli non vuole accontentarsi né della dialettica negativa di Adorno né della critica della metafisica di Heidegger: l'una nonostante tutto rimane bloccata nella beatitudine razionale della dialettica, l'altra nella Ruberei originaria della metafisica. Heidegger sfugge al paradosso della critica della ragione riferita a se stessa solo in quanto reclama per il rimemorare uno statuto speciale, cioè la liberazione da vincoli discorsivi. Heidegger non dice nulla sull'accesso privilegiato alla verità, Derrida aspira nel risultato al medesimo accesso esoterico alla verità; ma egli non vorrebbe farselo concedere come privilegio, quale che ne sia l'istanza. Egli non trascura superbamente l'obiezione di incoerenza pragmatica, bensì la rende priva d'oggetto. Di ' contraddizione ' si può parlare soltanto alla luce di esigenze di coerenza, che perdono la loro autorità, e in ogni caso sono subordinate ad altre esigenze, per es. a quelle di tipo estetico, se la logica perde il suo tradizionale primato sulla retorica. Allora il decostruttivista può trattare le opere della filosofia come opere della letteratura e adeguare la critica della metafisica ai criteri di una critica letteraria che non si fraintende in senso 191 www.scribd.com/Baruhk scientistico. Se prendiamo sul serio il carattere letterario degli scritti di Nietzsche, la f.ondatezza della sua critica della ragione deve essere giudicata secondo i criteri della riuscita retorica e non secondo quelli della coerenza logica. Una tale critica, adeguata al suo oggetto, non si rivolge direttamente alla rete delle relazioni discorsive, di cui sono costruiti gli argomenti, bensì alle figure costitutive dello stile, che decidono sulla capacità di un testo letterariamente chiarificante e retoricamente dischiudente. Come una critica letteraria, che in certo qual modo non fa che proseguire il processo letterario dei suoi oggetti, non si dissolve nella scienza, così una decostruzione di grandi testi filosofici che procede al modo della critica letteraria non obbedisce ai criteri delle operazioni puramente cognitive di soluzione dei problemi. Derrida sfugge dunque a quel problema, che Adorno riconosce come inevitabile e di cui fa il punto di partenza di quel pensiero dell'identità che si traduce riflessivamente. Per Derrida il problema diviene privo di oggetto, perché l'impresa decostruttiva non si può vincolare agli obblighi discorsivi della filosofia e della scienza. Derrida chiama decostruzione il suo procedimento, perché esso deve demolire quelle impalcature antologiche, che la filosofia ha eretto nel corso della sua storia della ragione centrata nel soggetto. Ma in questa impresa della decostruzione Derrida non procede analiticamente, cercando di identificare presupposti o implicazioni nascosti. Così ogni generazione successiva ha appunto eretto a modello le opere delle generazioni precedenti. Derrida procede piuttosto alla maniera della critica stilistica, ricavando, dall'eccedenza retorica del significato degli strati letterari di un testo che si presenta come nonletterario, qualcosa come comunicazioni indirette, con le quali il testo stesso smentisce i suoi contenuti manifesti. In tal modo Derrida costringe testi di Husserl, Saussure o Rousseau a testimoniare contro l'opinione esplicita dei loro autori. Gli stessi testi pettinati contropelo contraddicono, grazie al loro contenuto retorico, ciò che enunciano, per es. il primato esplicitamente affermato del significato rispetto al segno, della voce rispetto allo scritto, dell'intuitivamente dato e immediatamente presente rispetto al sostituto e al differito-differenziante. Il punto cieco, in un testo filosofico, è ·altrettanto difficilmente identificabile sul livello dei contenuti manifesti, quanto in un testo letterario. 'Blindness and Insight' sono intrecciate retoricamente l'una con l'altra. Così le limitazioni di un testo filosofico che sono costitutive per la conoscenza sono accessibili ad un interprete sol192 www.scribd.com/Baruhk tanto quando egli tratta il testo come ciò che esso non vorrebbe essere - come testo letterario. Se tuttavia in ciò il testo filosofico (o scientifico) venisse soltanto straniato a testo apparentemente letterario, il decostruire rimarrebbe un atto arbitrario. Lo scopo di Heidegger, di far saltare le forme metafisiche del pensiero dall'interno, Dèrrida può raggiungerlo, servendosi di un procedimento essenzialmente retorico, soltanto se il testo filosofico è in verità un testo letterario - se si può mostrare che, in base ad una considerazione più precisa, la differenza specifica fra filosofia e letteratura si dissolve. Questa dimostrazic:me deve potersi condurre per la via della stessa decostruzione; in ogni caso si comprova di nuovo l'impossibilità di specializzare a scopi cognitivi i linguaggi della filosofia e della scienza in modo tale da purificarli da ogni elemento metaforico e puramente retorico e liberarli da commistioni letterarie. Nella prassi decostruttiva si dimostra la inconsistenza della differenza specifica tra filosofia e letteratura; alla fine tutte le differenze specifiche si perdono in un ampio contesto testuale onnicomprensivo. Ipostatizzando, Derrida parla del 'testo universale'. Rimane la scrittura che scrive se stessa, come quel medium in cui ogni testo è intessuto con tutti gli altri. Ogni singolo testo, ogni specie particolare hanno già perduto, prima di manifestarsi, la loro autonomia in un contesto che divora tutto, e nell'incontrollabile accadere di produzione spontanea di testi. Su di ciò si fonda il primato della retorica, che ha a che fare con le qualità dei testi in genere, sulla logica come sistema di regole, al quale sono soggette in modo esclusivo soltanto determinati tipi di discorso, vincolati all'argomentazione. II La trasformazione, che a tutta prima passa inosservata, della ' distruzione ' nella ' decostruzione ' della tradizione filosofica trasferisce dunque la critica radicale della ragione nell'ambito della retorica, e le indica con ciò una via per uscire dall'aporia del riferimento a se stessa: chi dopo questo mutamento di forma volesse ancora imputare dei paradossi alla critica della metafisica, l'avrebbe fraintesa scientisticamente. Ma questo argomento coglie nel senso soltanto se risultanò vere le seguenti assunzioni: (l) la critica letteraria non è un'impresa principalmente scien193 www.scribd.com/Baruhk tifica, ma obbedisce agli stessi criteri retorici dei suoi oggetti letterari; (2) tra filosofia e letteratura non esiste affatto una differenza specifica, di modo che i testi filosofici nei loro contenuti essenziali si possono analizzare con la critica letteraria; (3) il primato della retorica sulla logica significa la competenza generale della retorica per le qualità universali di un nesso testuale onnicomprendente, nel quale in definitiva si dissolvono tutte le differenze specifiche: come la filosofia e la scienza non costituiscono universi propri, così l'arte e la letteratura non costituiscono un regno della finzione, che potrebbe affermare la sua autonomia rispetto al testo universale. La proposizione (3) illustra le proposizioni (2) e (l) in quanto despecifica il senso di ' critica letteraria'. La critica letteraria serve bensì come un caso tipico che spiega se stesso tramite una lunga tradizione; ma vale altresì come caso tipico di qualcosa di più generale, cioè di una critica calibrata sulle qualità retoriche di discorsi quotidiani e .non-quotidiani. Il procedimento della ' decostruzione ' utilizza questa critica generalizzata allo scopo di far valere la rimossa eccedenza di significato retorico dei testi filosofici e scientifici contro il loro senso manifesto. La pretesa di Derrida, che la ' decostruzione ' sia un mezzo per cavar fuori la radicale critica nietzschiana della ragione dal vicolo cieco del suo paradossale autoriferimento, sta dunque - e cade con la tesi indicata sotto (3). Proprio questa tesi costituisce il centro d'interesse della vivace recezione che l'opera di Derrida ha conosciuto nei dipartimenti di scienze letterarie di illustri università americane 48 • Negli Stati Uniti la critica letteraria è da lungo tempo istituzionalizzata nell'esercizio scientifico, come una disciplina accademica, e con essa è istituzionalizzata fin da principio anche la travagliata questione circa la scientificità della critica letteraria. Il retroscena della recezione di Derrida è certamente costituito da questo dubbio endemico, ma anche dalla liberazione da quel New Criticism, dominante già da decenni, che era convinto dell'autonomia dell'opera d'arte linguistica e si era nutrito del pathos scientifico dello strutturalismo. In questa situazione l'idea della 'decostruzione' poteva avere successo, perché assegnava alla critica letteraria, in base a premesse esattamente opposte, un 48 Ciò vale soprattutto per i critici di Yale Paul de Man, Geoffrey Hartmann, Hillis Miller e Harold Bloom. Cfr. J. Arac, W. Godzich, W. Martin (a cura di), The Yale Critics: Deconstruction in America, Minneapolis 1983. Tra gli altri importanti centri del decostruttivismo, accanto alla Yale University, la University of Maryland, Baltimore, come pure la Cornell-University, Ithaca (N.Y.). 194 www.scribd.com/Baruhk compito di indubbia importanza: Derrida contesta altrettanto energicamente l'autonomia dell'opera d'arte letteraria e l'autonomia dell'apparenza estetica, quanto la possibilità che la critica possa mai raggiungere uno statuto scientifico. Al contempo la critica letteraria gli serve come modello per un procedimento che, oltrepassando il pensiero metafisico della presenza, e l'età logocentrica, si assume una missione addirittura cosmico-storica. Il livellamento della differenza specifica fra critica letteraria e letteratura libera l'impresa critica dall'increscioso obbligo di assoggettarsi a standards pseudoscientifici; al contempo essa lo eleva al di sopra della scienza, fino al livello dell'attività creativa. La critica non deve più ritenere di essere qualcosa di secondario, assume rango letterario. Testi di Miller, di Hartmann e di de Man possono servire a documentare la nuova autocoscienza, « che i critici non sono più parassiti dei testi da essi interpretati, giacché entrambi occupano un testo-ospite di linguaggio preesistente, che si nutre a sua volta parassitariamente della compiacenza ospitale a riceverlo ». I decostruttivisti rompono con la tradizionale concezione arnoldiana della funzione puramente servile della critica: « La critica sta ora passando in letteratura, respinge la servile posizione arnoldiana, e assume con un entusiasmo senza pari la libertà dello stile interpretativo » 49 • Così Paul de Man nel suo libro forse più splendido illustra testi critici di Lukacs, Barthes, Blanchot e Jakobson con lo stesso metodo e con la medesima finezza, che di solito spetta soltanto a testi letterari: « Giacché non sono scientifici, i testi critici vanno letti con la stessa consapevolezza dell'ambivalenza che si porta allo studio di testi letterari non-critici » 50 • Altrettanto importante quanto l'equiparazione della critica letteraria alla produzione letteraria creativa è del resto l'aumento di importanza che la critica letteraria sperimenta come partecipante all'impresa della critica della metafisica. Questa rivalutazione nel senso della critica della metafisica richiede un completamento inverso all'interpretazione derridiana del livellamento della differenza specifica fra filosofia e letteratura. Jonathan Culler rammenta il senso strategico che Derrida assegna ad una trattazione di testi filosofici come critica letteraria per raccomandare alla critica letteraria di trattare a sua volta testi letterari anche come filosofici. La distinzione, al contempo mantenuta 49 Ch. Norris, Deconstruction. Theory and Practice, London- N. Y. 1982, pp. 93 e 98. 50 P. de Man, Blindness and Insight, Minneapolis 19832, p. 110. 195 www.scribd.com/Baruhk e decisamente relativizzata, fra i due generi « è essenziale alla dimostrazione, che la lettura più fedelmente filosofica di un testo filosofico [ ... ] è una lettura che tratta l'opera come letteratura, come una composizione narrativa, retorica, i cui elementi e il cui ordine sono determinati da diverse esigenze testuali». Poi egli prosegue: « Inversamente, le letture più potenti e appropriate di opere letterarie possono essere quelle che le trattano come atti filosofici mettendo in luce le implicazioni dei suoi rapporti con le opposizioni filosofiche che li sostengono » 51 • La proposizione (2) viene perciò variata nel seguente senso: (2'). Tra filosofia e letteratura non esiste una differenza specifica, di modo che i testi letterari nel loro contenuto essenziale si possono rendere accessibili con la critica della metafisica. Ad ogni modo, tanto la proposizione (2) quanto la proposizione (2') si riferiscono al primato della retorica sulla logica affermato con la proposizione (3). Ciò che quindi importa ai critici letterari americani è di sviluppare un concetto di letteratura generale che abbia la stessa ampiezza della retorica in genere, e che corrisponderebbe al ' testo universale ' di Derrida. Con il concetto tradizionale della filosofia, che nega i fondamenti metaforici del pensiero filosofico, viene al contempo decostruito anche il concetto di letteratura limitato all'immaginario: « La nozione di letteratura o discorso letterario è coinvolta in alcune di quelle opposizioni gerarchiche su cui si incentra la decostruzione: serio/non-serio, letterale/metaforico, verità/finzione [ ... ]. Le decostruzioni dimostrano che queste gerarchie sono annullate lavorando sui testi che propongono loro di alterare lo stato del linguaggio letterario ». Ed ora segue, nella forma di una proposizione condizionale, la tesi da cui tutto dipende - tanto la nuova autocomprensione della critica letteraria, rivalutata nel senso della critica della metafisica, quanto la dissoluzione decostruttivistica della contraddizione performativa di una critica della ragione che si riferisce a se stessa: « Se il linguaggio serio è un caso speciale di quello non-serio, se la verità sono racconti di cui è stato dimenticato il carattere narrativo, allora la letteratura non è un caso deviante, parassitario del linguaggio. Al contrario, gli altri discorsi possono essere considerati come casi speciali di una letteratura generalizzata, o archiletteratura » 52 • Siccome Derrida non è uno di quei filosofi che amano l'argomentazione, sarà opportuno, per vedere se si può realmente sostenere 51 52 J. Culler, On Deconstruction, London 1983, p. 150. lvi, p. 181. 196 www.scribd.com/Baruhk questa tesi, seguire quei suoi scolari che praticano la critica letteraria e sono cresciuti nel clima argomentativo anglosassone. J. Culler ricostruisce molto chiaramente la discussione alquanto oscura fra Jacques Derrida e John Searle, per mostrare, in base all'esempio della teoria degli atti linguistici di Austin, il fallimento di ogni tentativo compiuto per separare l'ambito quotidiano del linguaggio abituale da un uso linguistico ' insolito ', ' deviante ' dai casi tipici. La tesi di Culler è poi completata e indirettamente confermata da una ricerca di Mary Louise Pratt, anch'essa basata sulla teoria degli atti linguistici, che in base all'esempio della teoria -strutturalistica della poetica vorrebbe dimostrare che fallisce anche il tentativo di delimitare l'ambito extraquotidiano del discorso immaginario dai discorsi quotidiani (cfr. la sez. III). Ma anzitutto sulla controversia fra Derrida e Searle 53 • Da questa complessa discussione J. Culler rileva che il punto centrale di contrasto è la questione se Austin riesca, come sembra, a compiere un passo del tutto innocuo, provvisorio e puramente metodico. Austin vuole analizzare quelle regole che sono intuitivamente seguite da parlanti competenti, e in base alle quali si possono condurre efficacemente azioni linguistiche tipiche. Egli ricava quest'analisi esaminando proposizioni espresse seriamente, le più semplici possibili e usate letteralmente nella prassi quotidiana normale. Questa unità di analisi dell'azione linguistica tipica dipende dunque da talune astrazioni. Il teorico degli atti linguistici volge la sua attenzione ad un campione di espressioni della lingua normale, dal quale sono scartati tutti i casi complessi, derivati, parassitari e devianti. Alla base della delimitazione sta una concezione della prassi linguistica ' usuale ' o normale, un concetto di 'ordinary language ', la cui innocuità e coerenza Derrida mette in dubbio. L'intento di Austin è chiaro: egli vorrebbe analizzare le proprietà universali, per esempio, di 'promettere', nei casi in cui l'esternazione di proposizioni corrispondenti funzioni effettivamente come una promessa. Ma vi sono contesti, nei quali le stesse proposizioni perdono la forza illocutiva di una promessa. Pronunciata da un attore sulla scena, come elemento di una poesia o anche soltanto all'interno di un 53 Nel suo saggio Signature événement contexte, Derrida dedica l'ultimo capitolo ad una controversia con la teoria di Austin: J. Derrida, Marges de la philosophie, ci t., pp. 365 sgg. Ad essa si riferisce J. Searle, Reiterating the Differences: A Reply to Derrida, in << Glyph », n. l, 1977, pp. 198 sgg. La risposta di Derrida è apparsa in « Glyph >>, n. 2, 1977, pp. 202 sgg. con il titolo: Limited !ne. 197 www.scribd.com/Baruhk monologo, una promessa, come dice Austin, diviene « in un modo singolare vuota e nulla». La stessa cosa vale per una promessa che compare, o viene semplicemente rammentata in una citazione. In questi contesti non vi è alcun uso serio e obbligante, talvolta nemmeno letterale, della corrispondente proposizione performativa- bensì un uso derivato parassitario. I modi fittizi o simulati o indiretti dell'uso sono, come Searle ripete con insistenza, ' parassitari ' nel senso che essi presuppongono logicamente la possibilità dell'uso serio, letterale e vincolante delle proposizioni grammaticalmente adatte per una promessa. Dai testi di Derrida, Culler trasceglie essenzialmente tre obiezioni, che tendono a provare l'impossibilità di una tale operazione, e devono mostrare che le distinzioni correnti fra linguaggio serio e simulato, letterale e metaforico, quotidiano e narrativo, usuale e parassitario, non stanno in piedi. a) Con il suo primo argomento Derrida stabilisce un collegamento poco chiaro fra citabilità e ripetibilità da un lato, finzionalità dell'altro. La citazione di una promessa sarebbe solo in apparenza qualcosa di secondario rispetto alla promessa direttamente data; infatti la riproduzione indiretta di una espressione performativa nella citazione sarebbe una forma di ripetizione; e siccome la citabilità presuppone la possibilità della ripetizione secondo una regola, dunque la convenzionalità, apparterrebbe all'essenza di ogni espressione convenzionalmente prodotta, dunque anche di quella performativa, che essa possa essere citata - e in senso ampio fittiziamente imitata: Se non fosse possibile per un personaggio in un dramma fare una promessa non vi potrebbero essere promesse nella vita reale, perché ciò che rende possibile promettere, come ci dice Austin, è l'esistenza di una procedura convenzionale, di formule che si possono ripetere. Perché io sia in grado di fare promesse nella vita reale, vi devono essere procedure reiterabili o formule come quelle usate sulla scena. Il comportamento serio è un caso del recitare una parte 54. Evidentemente Derrida presuppqne già nell'argomento ciò che egli vorrebbe dimostrare: che ogni convenzione, che consente la ripetizione di azioni esemplari, non abbia soltanto carattere simbolico, ma fin da principio anche fittizio. Si dovrebbe anzitutto dimostrare che le convenzioni di gioco non si possano in definitiva distinguere dalle norme d'azione. Austin adduce ben54 J. Culler, On Deconstruction, cit., p. 119. 198 www.scribd.com/Baruhk sì la citazione d'una promessa come esempio di una forma derivata o parassitaria, perché la forma della riproduzione indiretta toglie la forza illocutiva alla promessa citata: con ciò essa viene asportata da un contesto in cui ' funziona ', cioè coordina azioni di diversi partecipanti all'interazione e produce conseguenze rilevanti per l'azione. Efficace per l'azione è soltanto l'atto linguistico effettivamente compiuto di volta in volta, dal quale dipende grammaticalmente la promessa menzionata o riferita a guisa di citazione. Questo inquadramento che indebolisce l'illocuzione costituisce anche il ponte fra riproduzione citante e presentazione fittizia. Anche un'azione scenica si fonda naturalmente su una base di azioni quotidiane (degli attori, del regista, dello sceneggiatore e degli impiegati del teatro); ed in questo contestoquadro le promesse possono funzionare in un altro modo che ' sulla scena', cioè con obbligatorietà rilevante per le conseguenze dell'azione. Derrida non intraprende nessun tentativo di ' decostruire ' questo distinto modo di funzionare del linguaggio quotidiano nell'agire comunicativo. Austin ha scoperto nella forza vincolante illocutiva delle espressioni-esternazioni linguistiche un meccanismo del coordinamento dell'azione, che assoggetta il discorso normale, inserito nella prassi quotidiana, a limitazioni diverse da quelle del discorso fittizio, della simulazione e del monologo interiore. Le limitazioni in base alle quali atti illocutivi dispiegano una forza coordinatrice delle azioni e provocano conseguenze rilevanti per l'azione, definiscono l'ambito del linguaggio ' normale '. Si possono analizzare come quelle supposizioni idealizzanti, di cui dobbiamo servirei nell'agire comunicativo. b) A tali idealizzazioni si riferisce il secondo argomento, che Culler adduce, con Derrida, contro Austin e Searle. Ogni analisi generalizzante di azioni linguistiche deve poter specificare condizioni contestuali generali per la riuscita illocutiva di azioni linguistiche standardizzate. Questo compito se lo è assunto in particolare Searle 55 • Ora però le espressioni linguistiche modificano il loro significato in dipendenza da contesti mutevoli; inoltre i contesti sono cosiffatti, che restano aperti a specificazioni sempre più estese. Una fra le peculiarità del nostro linguaggio è che noi possiamo togliere espressioni dai loro contesti originari e trapiantarle in altri contesti (Derrida parla di 'innestare '). In tal maniera noi possiamo aggiungere mentalmente ad un atto 55 J. Searle, Speech Acts, Cambridge 1969 (tr. it., Atti linguistici, Torino 1976). Dello stesso autore, Expression and Meaning, Cambridge 1979. 199 www.scribd.com/Baruhk linguistico come ' promessa di matrimonio ' contesti sempre nuovi e sempre più improbabili; la specificazione di condizioni contestuali generali non urta contro alcun limite naturale: Si supponga che i requisiti per una cerimonia matrimoniale siano soddisfatti, ma che uno dei contraenti sia sotto ipnosi, o che la cerimonia sia impeccabile sotto tutti i rispetti ma sia stata definita come una 'prova', o infine che mentre il parlante sia un ministro abilitato a celebrare matrimoni e la coppia abbia ottenuto una licenza, che tre di essi in tale occasione stessero recitando in una commedia, che per caso includeva una cerimonia matrimoniale 56, Questa variazione contestuale che modifica il significato non può per principio essere messa a tacere o controllata, perché i contesti non possono essere esauriti, cioè padroneggiati teoreticamente una volta per tutte. Culler mostra in modo lampante che Austin non può sfuggire a questa difficoltà nemmeno ricorrendo alle intenzioni del parlante e dell'uditore. Non i pensieri della sposa, dello sposo o del prete decidono sulla validità della cerimonia, bensì le loro azioni, e le circostanze nelle quali esse vengono eseguite: « Ciò che conta è la plausibilità della descrizione: se le caratteristiche del contesto addotto creano o no un quadro che altera la forza illocutiva delle espressioni» 07 • Searle ha reagito a questa difficoltà precisando che il significato letterale di una proposizione non fissa completamente le condizioni di validità dell'atto linguistico nel quale essa viene usata, bensì dipende dal tacito completamento da parte di un sistema di assunzioni di sfondo sulla normalità di stati generali del mondo. Queste certezze di sfondo preriflessive sono di natura olistica: non possono essere esaurite da una quantità numericamente finita di specificazioni. Anche significati proposizionali bene analizzati hanno perciò valore solamente in relazione ad un sapere di sfondo condiviso, che è costitutivo per il mondo della vita di una comunità linguistica. Searle chiarisce però che con questo relazionamento non si introduce affatto il relativismo significativo cui Derrida vuole arrivare. Fin tanto che i giochi linguistici funzionano e la precomprensione costitutiva del mondo della vita non crolla, i soggetti coinvolti contano a ragione sugli stati del mondo che nella loro comunità linguistica vengono supposti ' normali '. E per il caso che singole convinzioni di 56 57 T. Culler, On Deconstruction, cit., pp. 121 sg. I vi, p. 123. 200 www.scribd.com/Baruhk fondo divengano problematiche, essi partono inoltre da ciò, che per principio possano giungere ad un accordo razionalmente motivato. Entrambe sono supposizioni forti, cioè idealizzanti; ma queste idealizzazioni n,on sono atti arbitrari logocentrici, che il teorico accosta a contesti indomabili per dominarli secondo l'apparenza, bensì presupposizioni di cui gli stessi soggetti coinvolti devono fare uso, se l'agire comunicativo in genere deve essere possibile. c) Ci si può render chiaro il ruolo delle supposizioni idealizzanti anche in base ad altre conseguenze dello stesso stato di cose. Siccome i contesti sono mutevoli e si possono estendere in qualsiasi direzione, lo stesso testo può aprirsi a differenti tipi di lettura; è il testo stesso, che rende possibile la sua incontrollabile storia effettuale. Da questa rispettabile veduta ermeneutica non segue però l'enunciato intenzionalmente paradossale di Derrida, che ogni interpretazione è inevitabilmente un'interpretazione erronea, ogni comprendere un fraintendere. J. Culler giustifica così la proposizione « Ogni lettura è una cattiva lettura»: un testo, se può essere inteso, può per principio essere inteso ripetutamente, da differenti lettori in differenti circostanze. Questi atti di lettura e di comprensione non sono, naturalmente, identici. Essi implicano modificazioni e differenze, ma differenze che si ritengono prive d'importanza. Possiamo quindi affermare che l'intendimento è un caso speciale del fraintendimento, una particolare deviazione o determinazione del fraintendimento. È un fraintendimento i cui insuccessi non hanno importanza 58 • Culler però non tiene conto di una circostanza. La produttività del processo di comprensione rimane aproblematica solamente fin tanto che tutti gli interessi tengono fermo al punto di riferimento, di un'intesa effettiva possibile, nella quale essi attribuiscono alle stesse espressioni lo stesso significato. Anche lo sforzo ermeneutico che vuole superare le distanze temporali e culturali, rimane, come ha mostrato Gadamer, orientato verso l'idea di un accordo possibile, effettivamente prodotto. In base all'urgenza decisionale della prassi comunicativa quotidiana i soggetti partecipanti dipendono da un accordo che coordina le azioni. Quanto più le interpretazioni si allontanano da questo' caso d'emergenza', tanto più possono effettivamente liberarsi dalla supposizione idealizzante di un consenso raggiungibile. Ma esse non possono mai sciogliersi del tutto dall'idea che ss lvi, p. 176. 201 www.scribd.com/Baruhk le interpretazioni errate debbano per principio poter essere criticate in base ad un accordo da raggiungere idealmente. Questa idea non avvicina l'interprete al suo oggetto; egli piuttosto la riprende, con l'atteggiamento performativo di un osservatore partecipante, dagli immediati interessati, che possono agire comunicativamente soltanto in base al presupposto di attribuzioni di significato intersoggettivamente identiche. Contro la tesi di Derrida non vorrei quindi mettere in campo un positivismo wittgensteiniano dei giochi linguistici. Non la prassi linguistica messa in gioco di volta in volta decide sul significato che spetta appunto a un testo o a un'espressione 59 • Piuttosto, i giochi linguistici funzionano soltanto perché prevedono idealizzazioni inglobanti giochi linguistici, che - come condizione necessaria di possibile intesa - fanno sorgere la prospettiva di un accordo criticabile in base a pretese di validità. Un linguaggio che opera in base a queste limitazioni è sottoposto ad una prova di durata. La prassi comunicativa quotidiana, nella quale gli attori si devono intendere su qualcosa nel mondo, sottostà alla coazione dimostrativa, in cui soltanto supposizioni idealizzanti rendono possibile una tale dimostrazione. E in base a questa coazione dimostrativa della prassi quotidiana si possono distinguere, con Austin e Searle, l'uso linguistico ' comune ' da quello ' parassitario '. III Finora ho criticato la terza e fondamentale assunzione di Derrida, solo nella misura in cui (contro la ricostruzione degli argomenti di Derrida fatta da Culler) ho difeso la possibilità di distinguere il linguaggio normale da forme derivate. Non ho ancora mostrato come si possa distinguere il discorso fittizio dall'uso linguistico normale, cioè quotidiano. Per Derrida questo aspetto è il più importante. Se ' letteratura ' e ' scrivere ' costituiscono il modello per un contesto testuale universale, includibile, nel quale in definitiva tutte le differenze specifiche si dissolvono, allora esse non possono isolarsi dagli altri discorsi, come un regno autonomo della finzione. Per i critici letterari degli Stati Uniti che sono seguaci di Derrida la tesi dell'autonomia dell'opera d'arte linguistica, come si è detto, è inaccettabile anche perché essi vorrebbero prendere le distanze dal for59 lvi, pp. 130 sg. 202 www.scribd.com/Baruhk malismo del New Criticism e dell'estetica strutturalistica. In origine gli strutturalisti di Praga avevano tentato di distinguere il linguaggio poetico da quello comune in base al rapporto con la realtà extralinguistica. Nella misura in cui compare in funzioni comunicative, il linguaggio deve istituire relazioni fra l'espressione linguistica da un lato, e parlante, uditore nonché stato di cose dall'altro; nel suo schema semiotico Bi.ihler lo aveva concepito come le funzioni segniche di espressione, appello e rappresentazione 60 • Ma nella misura in cui il linguaggio adempie ad una funzione poetica, esso la realizza nel rapporto riflessivo dell'espressione linguistica con se stessa. Di conseguenza il riferimento all'oggetto, il contenuto informativo e il valore di verità e in genere le condizioni di validità, sono estranee al linguaggio poetico - un'espressione può essere poetica nella misura in cui si rivolge verso lo stesso medium linguistico, la sua propria forma linguistica. Roman Jakobson ha compreso questa determinazione in uno schema di funzioni ampliato; egli attribuisce a tutte le espressioni linguistiche (oltre alle funzioni ritenute da Bi.ihler fondamentali, e cioè l'espressione di intenzioni del parlante, la produzione di relazioni interpersonali, l'esposizione di stati di cose, e due funzioni ulteriori, riferite alla presa di contatto e al codice) anche una funzione poetica, che dirige « la disposizione al messaggio in quanto tale » 61 • La più precisa connotazione della funzione poetica (secondo la quale il principio dell'equivalenza viene trasferito dall'asse della selezione all'asse della combinazione) qui deve occuparci meno che una conseguenza interessante, importante per il nostro problema di delimitazione: Ogni tentativo di ridurre la sfera della funzione poetica alla poesia o di limitare la poesia alla funzione poetica sarebbe una semplificazione ingannatrice. La funzione poetica non rappresenta l'unica funzione dell'arte della parola, bensì soltanto una funzione predominante e determinante la struttura, mentre in tutte le altre attività linguistiche essa gioca un ruolo subordinato, accessorio. Dirigendo l'attenzione sulla percettibilità del segno, questa funzione approfondisce la dicotomia fondamentale tra segni e oggetti. Per questo motivo la linguistica, quando indaga la funzione poetica, non può limitarsi soltanto all'ambito della poesia 62. K. Biihler, Sprachtheorie (1934), Stuttgart 1965, pp. 24 sgg. R. Jakobson, Linguistik und Poetik (1960), in Poetik, Frankfurt a. M. 1979, p, 92. 62 I vi, pp. 92 sg. 60 61 203 www.scribd.com/Baruhk Il discorso poetico deve dunque essere contraddistinto soltanto dal primato e dalla forza formatrice di strutture di una determinata funzione, che viene sempre soddisfatta in comune con altre funzioni linguistiche. Ora Richard Ohmann utilizza l'impostazione di Austin per specificare in questo senso il linguaggio poetico. Il fenomeno che abbisogna di spiegazione è per lui il carattere d'invenzione dell'opera d'arte linguistica, cioè, la produzione dell'apparenza estetica, con cui sulla base della continuata prassi quotidiana si apre una seconda arena, specificamente derealizzata. Ciò che contraddistingue il linguaggio poetico ·è la capacità di ' produrre il mondo ': « un'opera letteraria crea un mondo [ ... ], fornendo al lettore atti linguistici ridotti e incompleti, che egli completa procurando le circostanze appropriate » 63 • Quel tipico spossessamento degli atti linguistici che produce finzioni consiste nel fatto che essi sono privati della loro forza illocutiva, e mantengono significati illocutivi ancora soltanto come nella metafonesi di una riproduzione indiretta, di una citazione: « Un'opera letteraria è un discorso le cui frasi mancano della forza illocutiva che normalmente sarebbe loro connessa. La sua forza illocutiva è mimetica [ ... ]. In particolare, un'opera letteraria imita intenzionalmente una serie di atti linguistici, che di fatto non hanno altra esistenza. Così facendo, essa induce il lettore a immaginare un parlante, una situazione, una serie di eventi subordinati, e così via » 64 • La messa in parentesi della forza illocutiva virtualizza quei riferimenti al mondo nei quali le azioni linguistiche sono inserite grazie alla loro forza illocutiva, e libera i partecipanti all'interazione dall'intendersi su qualcosa nel mondo in base a supposizioni idealizzanti, in modo da poter coordinare i loro piani d'azione e quindi contrarre obbligazioni rilevanti per le conseguenze dell'azione: « Siccome gli atti quasi linguistici della letteratura non svolgono l'attività del mondo - descrivendo, incitando, contrattando ecc. - il lettore può bene occuparsene in modo non-pragmatico » 65 • La neutralizzazione delle forze vincolanti sgrava gli atti illocutivi invalidati dalla spinta decisionale della prassi comunicativa quotidiana, li esclude dalla sfera del discorso comune, e con ciò li autorizza alla creazione Iudica di nuovi mondi - o piuttosto: alla pura dimostrazione della capacità di dischiudere il mondo che hanno le espressioni 63 R. Ohmann, Speech-Acts and the Definition of Literature, and Rhetoric >>, 4, 1971, p. 17. 64 lvi, p. 14. 65 lvi, p. 17. 204 www.scribd.com/Baruhk << Philosophy linguistiche innovative .. Questa specializzazione del linguaggio nella funzione dischiudente il mondo spiega la tipica riferibilità del linguaggio poetico a se stesso, cui accenna Jakobson, e che induce G. Hartmann a formulare la domanda retorica: « Il linguaggio letterario non è forse il nome che noi diamo ad un'espressione il cui quadro di riferimento è tale che le parole risaltano come parole (perfino come suoni) piuttosto che essere, immediatamente, significati assimilabili? » 66 • Mary L. Pratt si riferisce alle ricerche di Ohmann 67 , per confutare la tesi dell'autonomia dell'opera d'arte letteraria nel senso di Derrida, servendosi della teoria degli atti linguistici. Essa non considera la finzionalità, la messa in parentesi della forza illocutiva e lo sganciamento del linguaggio poetico dalla prassi comunicativa quotidiana, come criteri selettivi, perché elementi linguistici fittizi come il motto di spirito, l'ironia, le fantasie esprimenti desideri, i racconti e le parabole ricorrono continuamente nei nostri discorsi quotidiani e non costituiscono affatto un universo autonomo, distaccato dagli 'affari del mondo'. All'inverso libri che trattano materie specifiche, memorie, ragguagli di viaggi, romanzi storici, anche romanzi a chiave o gialli, che si interessano, come A sangue freddo di Truman Capote, di un caso documentariamente attestato, non creano affatto un mondo chiaramente fittizio, benché noi spesso, e in ogni caso prevalentemente, consideriamo queste produzioni come ' letteratura '. Mary L. Pratt utilizza i risultati delle ricerche sociolinguistiche di W. Labov 68 , per provare che la narrativa naturale, cioè le ' storie ' raccontate nella quotidianità, spontaneamente o su richiesta, obbediscono alle stesse leggi di costruzione retorica ed esibiscono caratteristiche strutturali analoghe a quelle dei racconti letterari: In base ai dati di Labov è necessario spiegare la retorica narrativa in termini che non sono esclusivamente letterari; il fatto che le espressioni narrative od organizzate mimeticamente possono presentarsi in quasi ogni ambito del discorso extraletterario esige che noi facciamo lo stesso per la narrativa e la mimesis. In altre parole, la relazione fra la narratività di un'opera e la sua letterarietà è indiretta ff). G. Hartmann, Saving the Text, Baltimore 1981, p. xxr. Cfr. anche R. Ohmann, Speech, Literature and the Space between, in << New Literary History >>, n. 5, 1974, pp. 34 sgg. 68 W. Labov, Language in the Inner City, Philadelphia 1972. 69 M. L. Pratt, Speech Act Theory of Literary Discourse, Bloomington 1977; ringrazio J. Culler per l'indicazione di questo interessante volume. 66 67 205 www.scribd.com/Baruhk Il discorso poetico deve dunque essere contraddistinto soltanto dal primato e dalla forza formatrice di strutture di una determinata funzione, che viene sempre soddisfatta in comune con altre funzioni linguistiche. Ora Richard Ohmann utilizza l'impostazione di Austin per specificare in questo senso il linguaggio poetico. Il fenomeno che abbisogna di spiegazione è per lui il carattere d'invenzione dell'opera d'arte linguistica, cioè, la produzione dell'apparenza estetica, con cui sulla base della continuata prassi quotidiana si apre una seconda arena, specificamente derealizzata. Ciò che contraddistingue il linguaggio poetico ·è la capacità di ' produrre il mondo': «un'opera letteraria crea un mondo [ ... ], fornendo al lettore atti linguistici ridotti e incompleti, che egli completa procurando le circostanze appropriate » 63 • Quel tipico spossessamento degli atti linguistici che produce finzioni consiste nel fatto che essi sono privati della loro forza illocutiva, e mantengono significati illocutivi ancora soltanto come nella metafonesi di una riproduzione indiretta, di una citazione: « Un'opera letteraria è un discorso le cui frasi mancano della forza illocutiva che normalmente sarebbe loro connessa. La sua forza illocutiva è mimetica [ ... ]. In particolare, un'opera letteraria imita intenzionalmente una serie di atti linguistici, che di fatto non hanno altra esistenza. Così facendo, essa induce il lettore a immaginare un parlante, una situazione, una serie di eventi subordinati, e così via » 64 • La messa in parentesi della forza illocutiva virtualizza quei riferimenti al mondo nei quali le azioni linguistiche sono inserite grazie alla loro forza illocutiva, e libera i partecipanti all'interazione dall'intendersi su qualcosa nel mondo in base a supposizioni idealizzanti, in modo da poter coordinare i loro piani d'azione e quindi contrarre obbligazioni rilevanti per le conseguenze dell'azione: « Siccome gli atti quasi linguistici della letteratura non svolgono l'attività del mondo - descrivendo, incitando, contrattando ecc. - il lettore può bene occuparsene in modo non-pragmatico » 65 • La neutralizzazione delle forze vincolanti sgrava gli atti illocutivi invalidati dalla spinta decisionale della prassi comunicativa quotidiana, li esclude dalla sfera del discorso comune, e con ciò li autorizza alla creazione Iudica di nuovi mondi - o piuttosto: alla pura dimostrazione della capacità di dischiudere il mondo che hanno le espressioni 63 R. Ohmann, Speech-Acts and the De{inition of Literature, and Rhetoric >>, 4, 1971, p. 17. 64 lvi, p. 14. 65 lvi, p. 17. 204 www.scribd.com/Baruhk << Philosophy linguistiche innovative .. Questa specializzazione del linguaggio nella funzione dischiudente il mondo spiega la tipica riferibilità del linguaggio poetico a se stesso, cui accenna Jakobson, e che induce G. Hartmann a formulare la domanda retorica: « Il linguaggio letterario non è forse il nome che noi diamo ad un'espressione il cui quadro di riferimento è tale che le parole risaltano come parole (perfino come suoni) piuttosto che essere, immediatamente, significati assimilabili? » (16. Mary L. Pratt si riferisce alle ricerche di Ohmann 67 , per confutare la tesi dell'autonomia dell'opera d'arte letteraria nel senso di Derrida, servendosi della teoria degli atti linguistici. Essa non considera la finzionalità, la messa in parentesi della forza illocutiva e lo sganciamento del linguaggio poetico dalla prassi comunicativa quotidiana, come criteri selettivi, perché elementi linguistici fittizi come il motto di spirito, l'ironia, le fantasie esprimenti desideri, i racconti e le parabole ricorrono continuamente nei nostri discorsi quotidiani e non costituiscono affatto un universo autonomo, distaccato dagli ' affari del mondo'. All'inverso libri che trattano materie specifiche, memorie, ragguagli di viaggi, romanzi storici, anche romanzi a chiave o gialli, che si interessano, come A sangue freddo di Truman Capote, di un caso documentariamente attestato, non creano affatto un mondo chiaramente fittizio, benché noi spesso, e in ogni caso prevalentemente, consideriamo queste produzioni come 'letteratura'. Mary L. Pratt utilizza i risultati delle ricerche sociolinguistiche di W. Labov 68 , per provare che la narrativa naturale, cioè le ' storie ' raccontate nella quotidianità, spontaneamente o su richiesta, obbediscono alle stesse leggi di costruzione retorica ed esibiscono caratteristiche strutturali analoghe a quelle dei racconti letterari: In base ai dati di Labov è necessario spiegare la retorica narrativa in termini che non sono esclusivamente letterari; il fatto che le espressioni narrative od organizzate mimeticamente possono presentarsi in quasi ogni ambito del discorso extraletterario esige che noi facciamo lo stesso per la narrativa e la mimesis. In altre parole, la relazione fra la narratività di un'opera e la sua letterarietà è indiretta 69 • G. Hartmann, Saving the Text, Baltimore 1981, p. xxr. Cfr. anche R. Ohmann, Speech, Literature and the Space between, in « New Literary History », n. 5, 1974, pp. 34 sgg. 68 W. Labov, Language in the Inner City, Philadelphia 1972. 69 M. L. Pratt, Speech Act Theory of Literary Discourse, Bloomington 1977; ringrazio J. Culler per l'indicazione di questo interessante volume. 66 67 205 www.scribd.com/Baruhk Tuttavia la circostanza che il linguaggio normale è compenetrato di elementi fantastici, narrativi, metaforici e in genere retorici, non dice ancora nulla contro il tentativo di spiegare l'autonomia dell'opera d'arte linguistica con la messa in parentesi delle forze illocutive. Infatti la caratteristica della narratività si adatta secondo Jakobson alla delimitazione fra letteratura e discorsi quotidiani soltanto nella misura in cui la funzione dischiuditrice del mondo del linguaggio giunge a predominare sulle sue altre funzioni, e determina la struttura della configurazione linguistica. Sotto un certo aspetto è la rottura e la soppressione parziale delle pretese illocutive di validità, che distingue il racconto dalla testimonianza, le prese in giro dall'ingiuria, l'ironia dall'inganno, l'ipotesi dall'affermazione, la fantasia desiderante dalla percezione, la manovra dall'azione bellica e la sceneggiatura dal ragguaglio su una catastrofe effettiva. Ma in nessuno di questi casi gli atti illocutivi perdono quella loro forza connettiva che coordina l'azione. Anche nei casi addotti a confronto le funzioni comunicative dell'azione linguistica restano a tal punto intatte, che gli elementi fittizi non si possono liberare dai contesti pratico-vitali. La funzione linguistica del dischiudimento del mondo non acquista nessun'indipendenza rispetto alle funzioni espressive, regolative, informative del linguàggio. Proprio questo può invece essere il caso nella elaborazione letteraria di un processo giudiziario ben noto ed accuratamente indagato da un Truman Capote. Ciò che fonda il primato e la capacità di formare strutture della funzione poetica, non è infatti la divergenza di una esposizione fittizia dalla riproduzione documentaria di un processo, bensì l'elaborazione esemplare, che estrae il caso dal suo contesto e ne fa l'occasione di un'esposizione innovativa, che dischiude il mondo e apre gli occhi, nella quale i mezzi retorici dell'esposizione escono fuori dalle routines comunicative e acquistano una vita propria. È interessante vedere come Mary L. Pratt è costretta ad elaborare questa funzione poetica contro la sua volontà. Il suo controprogetto sociolinguistico incomincia con l'analisi della situazione linguistica che il discorso poetico condivide con altri discorsi: quel dispositivo nel quale un narratore o un conferenziere si volge a un pubblico e richiede la sua attenzione per un testo. Il testo, prima di essere pronto per la presentazione, sottostà a determinate procedure di preparazione e di scelta. Affinché un testo possa pretendere alla pazienza e al giudizio degli uditori, deve infine soddisfare determinati criteri di rilevanza: deve esser degno di essere raccontato. La narrabilità (tellability) deve ade206 www.scribd.com/Baruhk guarsi alla manifestazione di una esperienza importante, esemplare. Un testo raccontabile nel suo contenuto va oltre il contesto locale della situazione linguistica, è suscettibile di un'ulteriore elaborazione: « Come ci si potrebbe attendere, questi due tratti distintivi - distaccabilità contestuale e suscettibilità all'elaborazione - sono caratteristiche egualmente importanti della letteratura ». Tuttavia i testi letterari condividono queste proprietà ancora con ' display texts' in generale. Essi vengono caratterizzati riguardo alle loro speciali funzioni comunicative: « Essi sono destinati a servire ad un proposito che io ho descritto come quello del rappresentare verbalmente stati di cose ed esperienze che si ritengono insoliti o problematici in modo tale che il destinatario risponderà affettivamente nel modo previsto, adotterà la valutazione e l'interpretazione prevista, prenderà piacere nel farlo e generalmente troverà che l'intera impresa lo vale» 70 • Si vede come l'analista pragmatico del linguaggio si accosti per così dire dall'esterno ai testi letterari. Questi devono indubbiamente soddisfare un'ultima condizione: nel caso di testi letterari la narrabilità deve ottenere una prevalenza su altre proprietà funzionali: «Alla fine, la raccontabilità può assumere la precedenza sulla stessa asseribilità » 71 • Soltanto in questo caso le esigenze funzionali e le limitazioni strutturali della prassi comunicativa quotidiana (che Mary L. Pratt determina servendosi dei postulati della conversazione di Grice) cessano di aver vigore. Che ciascuno si sforzi di dare una forma informativa al suo contributo, di dire cose rilevanti, di essere sincero e di astenersi da esternazioni oscure, ambigue e prolisse, sono presupposti idealizzanti dell'agire comunicativo linguistico normale, ma appunto non del discorso poetico: « La nostra tolleranza, o meglio propensione, per l'elaborazione quando tratta il raccontabile suggerisce che, in termini griciani, i criteri della quantità, qualità e maniera per esibire testi differiscono da quelli che Grice suggerisce per il discorso dichiarativo nelle sue massime ». Alla fine l'analisi sfocia in una conferma della tesi che essa vorrebbe contestare. Nella misura in cui la funzione poetica, dischiudente il mondo del linguaggio acquista priorità e forza strutturante, il linguaggio si svincola cioè dalle limitazioni strutturali e funzioni comunicative della quotidianità. Lo spazio della finzione, che si apre con il divenir riflessivo delle forme espressive linguistiche, deriva dalla neutralizzazione delle forze 70 71 lvi, p. 148. lvi, p. 147. 207 www.scribd.com/Baruhk vincolanti illocutive e di quelle idealizzazioni che rendono possibile un uso linguistico orientato verso l'intesa - e quindi una coordinazione di piani d'azione che passa per il riconoscimento intersoggettivo di pretesa di validità criticabili. Si può leggere la controversia di Derrida con Austin anche come una negazione di questo settore peculiarmente strutturato della prassi comunicativa quotidiana; le corrisponde la negazione di un regno autonomo della finzione, IV Siccome Derrida li nega entrambi, egli può analizzare qualsiasi discorso secondo il modello del linguaggio poetico e fare come se il linguaggio in genere fosse determinato dall'uso linguistico poetico, specializzato nel dischiudere il mondo. Da questa prospettiva il linguaggio come tale converge con la letteratura o appunto con lo 'scrivere'. L'esteticizzazione del linguaggio, che viene pagata al prezzo della duplice negazione della specificità del discorso normale e di quello poetico, spiega anche l'insensibilità di Derrida di fronte alla polarità ricca di tensioni fra la funzione poetica-dischiudente il mondo del linguaggio e le funzioni linguistiche prosaiche intramondane, di cui tiene conto uno schema funzionale buhleriano modificato 72 • Processi mediati linguisticamente come l'acquisizione del sapere e la tradizione culturale, la formazione di identità, la socializzazione e l'integrazione sociale risolvono problemi che si pongono nel mondo; al senso proprio di questi problemi ed al medium linguistico adatto a tali problemi, essi debbono l'autonomia dei processi di apprendimento, che Derrida non può riconoscere. Per lui i processi mediati linguisticamente nel mondo sono inseriti in un contesto formatore del mondo che tutto pregiudica; sono fatalisticamente rimessi all'incontrollabile accadere della produzione di testi, sono sopraffatti dal mutamento poeticocreativo del retroscena allestito nello scritto originario, e condannati alla provincialità. Un contestualismo estetico rende Derrida cieco per la circostanza che la prassi comunicativa quotidiana grazie alle idealizzazioni inserite nell'agire comunicativo rende possibili processi di apprendimento nel mondo, in base ai quali deve comprovarsi per parte sua la forza dischiudente il 72 Cfr. J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1981, vol. l, pp. 374 sgg. (tr. it. cit., vol. l, pp. 383 sgg.). 208 www.scribd.com/Baruhk mondo del linguaggio interpretante. Questi processi dispiegano un senso proprio che trascende tutti i limiti locali, perché le esperienze e i giudizi si costituiscono soltanto alla luce di pretese di validità criticabili. Derrida trascura il potenziale di negazione della base di validità dell'agire orientato verso l'intesa; dietro la capacità che il linguaggio ha di produrre il mondo, egli fa scomparire la capacità di soluzione dei problemi che il linguaggio possiede come quel medium, per il cui tramite gli agenti comunicativi sono inseriti in riferimenti al mondo, quando si intendono fra di loro su qualcosa nel mondo oggettivo, nel loro comune mondo sociale o in un mondo soggettivo di volta in volta privilegiatamente accessibile. Un analogo livellamento lo intraprende Richard Rorty, che senza dubbio si distingue da Derrida in quanto non rimane fissato idealisticamente alla storia della metafisica come un sovraccadere che determina tutto l'intramondano. Secondo Rorty la scienza e la morale, l'economia e la politica sono nella stessa maniera che l'arte e la filosofia affidate ad un processo di sporgenze creatrici del linguaggio. Il flusso delle interpretazioni pulsa ritmicamente come la storia kuhniana della scienza fra rivoluzioni linguistiche e normalizzazioni linguistiche. In tutti gli ambiti della vita culturale Rorty osserva questo andirivieni fra due situazioni: La prima è quel tipo di situazione che si incontra quando ci si accorda press'a poco su ciò che è desiderato, e parla sul modo in cui meglio lo si può ottenere. In una tale situazione non vi è bisogno di dire nulla di terribilmente fuori del comune, perché l'argomento concerne tipicamente la verità di asserzioni piuttosto che l'utilità dei vocabolari. La situazione opposta è una in: cui ogni cosa è candidata ad essere colta immediatamente - in cui i motivi e i termini della discussione sono un soggetto centrale dell'argomento [ ... ] In tali periodi si incomincia a far circolare vecchie parole in nuovi sensi, a introdurre il neologismo occasionale, e così ad escogitare un nuovo idioma che inizialmente richiama l'attenzione su di sé e soltanto più tardi viene messo in opera 73. Come si vede, il pathos nietzschiano di una filosofia della vita tradotta in termini linguistici annebbia le sobrie vedute del pragmatismo: nell'immagine schizzata da Rorty, il processo rinnovatore del dischiudimento linguistico del mondo non ha più 73 R. Rorty, Deconstruction and Circumvention, manoscritto, 1983; cfr., dello stesso autore, Consequences of Pragmatism, Minneapolis 1982, in particolare l'Introduzione ed i capp. 6, 7 e 9. 209 www.scribd.com/Baruhk nessun contrafforte nel processo che conferma la prassi intramondana. Il ' sì ' e il ' no ' degli attori che agiscono comunicativamente sono a tal punto prevenuti e soverchiati retoricamente dai contesti linguistici, che le anomalie, le quali si presentano nelle fasi di esaurimento, rappresentano ancora soltanto sintomi di vitalità dileguante, come processi di invecchiamento, come svolgimenti analoghi alla natura, e non come la conseguenza di soluzioni errate di problemi e di risposte non valide. La prassi linguistica intramondana trae la sua forza di negazione da pretese di verità che mirano oltre l'orizzonte del contesto di volta in volta esistente. Ma la concezione linguistica contestualistica carica di filosofia della vita è insensibile alla forza fattuale del controfattuale, che si fa valere nelle presupposizioni idealizzanti dell'agire comunicativo. Perciò Derrida e Rorty disconoscono anche il peculiare valore di posizione dei discorsi, che si differenzia dalla comunicazione quotidiana e si indirizza verso una sola dimensione di validità (verità, o giustezza normativa), verso un solo complesso problematico (questioni di verità o di giustizia). Intorno a queste forme argomentative si cristallizzano nelle società moderne le sfere della scienza, della morale e del diritto. I corrispondenti sistemi d'azione culturali gestiscono capacità di soluzione di problemi in modo analogo a quello in cui l'impresa artistica e letteraria gestisce le capacità del dischiudimento del mondo. Derrida, sovrageneralizzando questa sola funzione linguistica, cioè appunto quella ' poetica ', non bada più al complesso rapporto fra una prassi quotidiana del linguaggio normale e le due sfere extraquotidiane differenziate per così dire in direzioni opposte. Mentre la tensione polare fra dischiudimento del mondo e soluzione di problemi resta contenuta nel fascio di funzioni del linguaggio quotidiano, l'arte e la letteratura da un lato, la scienza, la morale e il diritto dall'altro si specializzano in esperienze e tipi di sapere, che si possono formare ed elaborare di volta in volta nell'ambito d'incameramento di una sola funzione linguistica e di una sola dimensione di validità. Derrida appiattisce in senso olistico queste complicate relazioni, per equiparare la filosofia alla letteratura e alla critica. Egli disconosce lo status speciale che tanto la filosofia quanto la critica letteraria assumono, ciascuna a suo modo. come mediatrici fra le culture degli esperti e il mondo quotidiano. La critica letteraria formatasi in Europa come istituzione fin dal XVIII secolo partecipa da un lato alla differenziazione dell'arte. Essa reagisce all'autonomizzazione dell'opera d'arte lin210 www.scribd.com/Baruhk guistica con un discorso che si specializza in questioni di gusto, e nel quale vengono esaminate le pretese con cui si presentano i testi letterari; le pretese alla ' verità artistica ', alla pertinenza estetica, alla validità esemplare, alla forza innovativa ed all'autenticità vi vengono sottoposte ad una verifica. Sotto questo aspetto la critica estetica imita le forme dell'argomentazione specializzate nella verità proposizionale e nella giustezza normativa, cioè il discorso teoretico e il discorso pratico. Tuttavia essa è non soltanto elemento esoterico di una cultura di esperti, ma ha inoltre il compito di mediare fra cultura di esperti e mondo quotidiano. Questa funzione-ponte della critica d'arte risulta ancor più chiaramente nei riguardi della musica e dell'arte figurativa che in quelli delle opere letterarie, le quali sono già formulate nel medium del linguaggio, anche se di un linguaggio che si riferisce poeticamente a se stesso. Sotto questo secondo, essoterico aspetto, la critica compie un lavoro di traduzione sui generis. Essa presenta nel linguaggio normale il contenuto d'esperienza dell'opera d'arte; soltanto per questa via maieutica il potenziale innovativo dell'arte e della letteratura può venir messo a disposizione di forme di vita e storie di vita che si riproducono tramite l'agire comunicativo quotidiano. Ciò si ripercuote poi sulla mutata composizione del vocabolario valutativo, su un rinnovamento degli orientamenti valoristici e delle interpretazioni dei bisogni, che tramite i modi della percezione modifica la colorazione dei modi di vita. Una posizione a due livelli analoga a quella della critica letteraria l'assume anche la filosofia - in ogni caso la filosofia moderna, che non promette più di soddisfare le pretese della religione in nome della teoria. Essa rivolge il suo interesse da un lato verso i fondamenti della scienza, della morale e del diritto, e collega pretese teoretiche con i loro enunciati. In quanto si distingue per le sue problematiche universalistiche e le sue forti strategie teoretiche, essa mantiene un intimo rapporto con le scienze. Eppure la filosofia non è soltanto un elemento esoterico di una cultura di esperti. Essa intrattiene un rapporto altrettanto intimo con la totalità del mondo della vita e col sano intelletto umano, anche se scuote in modo apertamente sovversivo le certezze della prassi quotidiana. Di fronte ai sistemi del sapere differenziati secondo singole dimensioni di validità, il pensiero filosofico rappresenta l'interesse del mondo della vita per la totalità delle funzioni e delle strutture che nell'agire comunicativo sono intrecciate e connesse. Tuttavia esso mantiene in piedi questo riferimento alla totalità con una rifles211 www.scribd.com/Baruhk sività, che manca allo sfondo solo intuitivamente presente del mondo della vita. Se si pone mente a questa posizione della critica e della filosofia, qui soltanto schizzata, da un lato verso la quotidianità, dall'altro verso le culture particolari dell'arte e letteratura, della scienza e della morale, risulta chiaro che cosa significhi il livellamento della differenza specifica tra filosofia e letteratura, e l'equiparazione della filosofia alla letteratura e viceversa affermata con le tesi (2) e (2'). Essa scompiglia le costellazioni nelle quali gli elementi retorici del linguaggio assumono ruoli del tutto differenti.· In forma pura l'elemento retorico si presenta soltanto nel riferirsi dell'espressione poetica a se stessa, cioè nel linguaggio della finzione, specializzato nel dischiudimento del mondo. Anche il linguaggio normale della quotidianità è inestirpabilmente retorico; ma nell'intreccio di svariate funzioni linguistiche gli elementi retorici passano qui in secondo piano. Negli usi abitudinari della prassi quotidiana il quadro linguistico che costituisce il mondo è quasi irrigidito. Lo stesso si può dire dei linguaggi speciali della scienza e della tecnica, del diritto e della morale, dell'economia, della politica ecc. Anch'essi vivono della forza illuminante di locuzioni metaforiche, ma gli elementi retorici per nulla mitigati sono per così dire domati e messi a servizio di scopi speciali della soluzione di problemi. L'elemento retorico svolge un altro e più importante ruolo nel linguaggio della critica letteraria e della filosofia, che si trovano di fronte ad un compito altrettanto paradossale. Esse devono ricondurre i contenuti delle culture di esperti, nelle quali il sapere viene accumulato di volta in volta sotto singoli aspetti di validità, ad una prassi quotidiana in cui tutte le funzioni linguistiche e tutti gli aspetti di validità si intrecciano ancora fra loro e costituiscono una sindrome. Questo compito di mediazione la critica letteraria e la filosofia devono tuttavia attuarlo con mezzi espressivi, che sono ripresi da linguaggi specializzati in questioni di gusto e di verità. Questo paradosso esse possono risolverlo solamente in quanto ampliano e arricchiscono retoricamente i loro linguaggi speciali nella misura in cui è necessario per collegare programmaticamente comunicazioni indirette con manifesti contenuti di asserzioni. Ciò spiega il forte tratto retorico, che contraddistingue in egual misura le ricerche dei critici letterari e dei filosofi. Critici eminenti e grandi filosofi sono anche scrittori di rango. Nelle loro prestazioni retoriche la critica letteraria e la filosofia sono strettamente unite alla letteratura - e 212 www.scribd.com/Baruhk perciò anche fra di loro. Ma in c10 si esaurisce la loro affinità. Infatti nei due tipi di iniziative i mezzi retorici sono sottoposti alla disciplina di diverse forme di argomentazione. Il pensiero filosofico, quando, conformemente alle raccomandazioni di Derrida, viene esonerato dal dovere di risolvere problemi, e rifunzionalizzato come critica letteraria, è privato non soltanto della sua serietà, bensì anche della sua produttività e capacità di prestazione. All'inverso anche il giudizio critico letterario perde la sua potenza, quando, come vorrebbero i seguaci di Derrida nei literary departments, viene convertito dall'appropriazione di contenuti estetici d'esperienza a critica della metafisica. La falsa assimilazione dell'una attività all'altra priva entrambe della loro sostanza. Con ciò ritorniamo alla nostra questione iniziale. Chi trasferisce la critica radicale della ragione nell'ambito della retorica, per disinnescare il paradosso della sua autoreferenzialità, ottunde la lama della stessa critica della ragione. La falsa pretensione di sopprimere la differenza specifica fra filosofia e letteratura non può condurci fuori dall'aporia 74 • 74 La nostra riflessione ci ha comunque condotto ad un punto, dal quale si può vedere come Heidegger, Adorno e Derrida siano in genere incappati in questa àporia. Essi tutti si difendono ancora come se vivessero, al pari della prima generazione degli scolari di Hegel, all'ombra dell' ' ultimo ' filosofo; essi lottano ancora contro quei concetti ' forti ' di teoria, verità e sistema, che pure già da più che centocinquant'anni appartengono al passato. Essi credono ancora di dover ridestare la filosofia da ciò che Derrida chiama il << sogno del suo cuore >>, ritengono di dover strappare la filosofia dall'illusione di formulare una teoria che detiene l'ultima parola. Un tale sistema di enunciati comprensivo, chiuso e definitivo dovrebbe essere formulato in un linguaggio, che chiarisce se stesso, non richiede o non ammette alcun ulteriore commentario, e con ciò mette a tacere la storia degli effetti, in cui le interpretazioni ·si accumulano all'infinito sulle interpretazioni. In questo contesto Rorty parla dell'esigenza di un linguaggio, << che non può ricevere alcuna glossa, non richiede alcuna interpretazione, non può essere tenuto a distanza, non può essere dileggiato da generazioni posteriori. È la speranza in un vocabolario che non è soltanto il vocabolario più comprensivo e fecondo che finora abbiamo raggiunto, ma è intrinsecamente e auto-evidentemente finale>> (R. Rorty, op. cit., pp. 93 sg.). Se la ragione dovesse attenersi, sotto pena del suo tramonto, a questi fini classici della metafisica, seguiti da Parmenide fino ad Hegel; se la ragione come tale, ancora secondo Hegel, stesse dinanzi all'alternativa di insistere sui concetti forti di teoria, verità e sistema, quali erano soliti nella grande tradizione, oppure invece di abbandonare se stessa, allora effettivamente una adeguata critica della ragione dovrebbe attaccare così profondamente le radici, che non potrebbe più sfuggire al paradosso dell'autoreferenzialità. Così se l'è rappresentata Nietzsche. E sfortunatamente anche Heidegger, Adorno e Derrida sembrano ancora scambiare le problematiche universalistiche mantenute nella filosofia con quelle pretese di status da lungo abbandonate, che la filosofia ha una volta reclamato per le sue risposte. Ma oggi è evidente che la portata delle questioni universalistiche - ad esempio della questione circa le condizioni necessarie della razionalità di asserzioni, circa i presupposti pragmatici universali dell'agire comunicativo e dell'argomentazione, deve bensì rispecchiarsi nella forma grammaticale di enunciati universali, ma non nell'incondizionatezza della validità o 213 www.scribd.com/Baruhk della 'fondazione ultima', che veniva pretesa per lei e per il suo quadro teoretico. La coscienza fallibilistica delle scienze ha da lungo tempo raggiunto anche la filosofia. Con tale fallibilismo noi, filosofi e soprattutto non-filosofi, non rinunciamo affatto alle pretese di verità. Queste si possono elevare nell'atteggiamento performativo della prima persona proprio non altrimenti che nel modo in cui come pretese - trascendono spazio e tempo. Ma noi sappiamo anche, che non vi è nessun contesto zero per pretese di verità. Queste vengono elevate qui ed ora e sono esposte alla critica. Perciò noi contiamo sulla banale possibilità, che esse vengano rivedute domani o in altro luogo. La filosofia si intende come prima quale custode della razionalità nel senso di una pretesa razionale endogena alla nostra forma di vita. Ma nel lavoro essa privilegia una combinazione di enunciati forti con deboli pretese di status, che è tanto poco totalitaria, che contro di essa non si deve fare appello ad una critica totalizzante della ragione. Cfr. in merito J. Habermas, Die Philosophie als Platzhalter und Interpret, in Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Frankfurt a. M. 1983, pp. 7 sgg. (tr. it., La funzione vicaria e interpretativa della filosofia, in Etica del Discorso, Roma-Bari 1985, pp. 5 sgg.). www.scribd.com/Baruhk 8. FRA EROTISMO ED ECONOMIA GENERALE: BATAILLE I Dopo la morte di Bataille nel 1962 Michel Leiris, che da molti anni era suo compagno di viaggio, presentò l'amico con queste parole: Dopo che era stato l'Impossibile, affascinato da tutto ciò che poteva scoprire di realmente inaccettabile [ ... ], ampliò il suo orizzonte (conformemente alla sua vecchia idea, di superare il 'no' del bambino scalpitante di rabbia), e nella consapevolezza che l'uomo è realmente uomo solo quando cerca in questa smisuratezza la sua propria misura, divenne l'uomo dell'impossibile, bramoso di raggiungere quel punto in cui nell'ebbrezza dionisiaca il sopra e il sotto si confondono l'uno nell'altro, e dove la distanza fra il tutto e il nulla si sopprime 1• L'attributo positivo 'impossibile' si riferisce evidentemente all'autore dell' ' opera oscena ', che prosegue la letteratura nera del marchese de Sade, ma anche al filosofo e allo scienziato, che tenta di addossarsi l'impossibile eredità del Nietzsche critico dell'ideologia. Bataille lesse Nietzsche relativamente presto (1923), un anno prima che Leiris lo introducesse nel circolo intorno ad André Masson e lo facesse conoscere ai principali surrealisti. E certo Bataille conferisce al discorso filosofico della modernità una direzione analoga a quella di Heidegger; ma per il suo commiato dalla modernità, sceglie una via del tutto diversa. Il suo concetto del ' sacro ', Bataille lo sviluppa da una critica del cristianesimo su basi antropologiche, che costituisce una controparte l M. Leiris, Hommage à Georges Batai/le, in<< Critique »,nn. 195-196, 1963, p. 693. 215 www.scribd.com/Baruhk alla Genealogia della morale di Nietzsche; in una critica immanente della metafisica, non si addentra. Già un primo sguardo alla doppia vita dell'archivista alla Bibliotéque Nationale e del bohémien scrittore nel cuore della scena intellettuale parigina rivela che Bataille e il professore di Marburg vivono su astri differenti. Ciò che li separa sono soprattutto due esperienze centrali: l'esperienza estetica nell'ambito del surrealismo e quella politica nella pratica del radicalismo di sinistra. Alla fine degli anni Venti, il gruppo intorno alla rivista « La révolution surrealiste » si sfalda. Nel suo Secondo manifesto surrealista, Breton eleva gravi accuse contro i rinnegati, che rispondono con un pesante contrattacco. D'ora innanzi l'« Associadon » di Breton e il « Cercle Communiste Démocratique » di Bataille si combattono. Contemporaneamente, Bataille, insieme a Michel Leiris e Carl Einstein, fonda la celebre rivista « Documents », nella quale vengono pubblicati importanti studi del direttore. Bataille vi sviluppa dapprima il concetto di ' eterogeneo '; così chiama tutti quegli elementi che si ribellano all'assimilazione a forme di vita borghese ed alle routines della quotidianità, non meno di quanto si sottraggano alla presa metodica delle scienze. In questo concetto Bataille condensa l'esperienza fondamentale dello scrittore e degli artisti surrealisti, che mira a mobilitare, in modo da suscitare scandalo, le forze estatiche dell'ebbrezza, della vita onirica, dell'impulsivo in genere, contro gli imperativi dell'utile, della normalità e della sobrietà, per scuotere i modi convenzionali della percezione e dell'esperienza vissuta. Il regno dell'eterogeneo si apre soltanto in quei momenti esplosivi dello spavento affascinato, quando crollano le categorie che garantiscono la familiarità del soggetto con se stesso e con il mondo. Ma Bataille ha fin da principio applicato il concetto di eterogeneo anche a gruppi sociali, agli esclusi o marginalizzati, al contromondo, familiare a partire da Baudelaire, di quegli elementi che vengono estromessi dalla normalità sociale - siano essi i paria e gli intoccabili, le prostitute o i sottoproletari, i pazzi, i ribelli e rivoluzionari, i poeti o la bohème. Così quel concetto ispirato esteticamente diviene anche lo strumento dell'analisi del fascismo italiano e tedesco: Bataille attribuisce ai capi fascisti una esistenza eterogenea. Gli opposti orientamenti biografici, le contrastanti opzioni politiche e le palesi differenze tra l'attività di scrittore erotico e di saggista scientifico dell'uno, e la ricerca filosofica e la mistica dell'essere dell'altro - questi contrasti rendono difficile scorgere a prima vista il progetto comune che collega Bataille con Heidegger. All'uno come all'altro importa di evadere dalla 216 www.scribd.com/Baruhk png10nia della modernità, dall'universo chiuso della ragione occidentale vittoriosa su scala cosmico-storica. Entrambi vogliono superare il soggettivismo che avvolge il mondo con la sua potenza reificante e lo irrigidisce a totalità di oggetti tecnicamente disponibili ed economicamente utilizzabili. I due pensatori concordano a tal punto in questo progetto, che quanto Foucault dice sull'idea di Bataille dell'oltrepassamento dei limiti, potrebbe altrettanto bene venir detto sul concetto di trascendenza nel tardo Heidegger: « Il gioco di limite e oltrepassamento è oggi certamente la essenziale pietra di paragone di un pensiero dell'' origine', al quale ci ha consegnato Nietzsche fin dal principio della sua opera - un pensiero, che è al contempo critica ed antologia, un pensiero, che pensa la finitezza e l'essere» 2 • Nella frase che poi segue il nome di Bataille si potrebbe sostituire senza dare nell'occhio col nome di Heidegger: «A tutti coloro ai quali importa mantenere l'unità della funzione grammaticale del 'filosofo ' [ ... ] si potrebbe contrapporre l'impresa esemplare di Bataille, che ha continuamente e accanitamente lavorato per infrangere in sé la sovranità del soggetto filosofico. Perciò il suo linguaggio e la sua esperienza furono un martirio: una ponderata quadripartizione di ciò che parla nel linguaggio filosofico; una disseminazione di stelle, che splendono a mezzanotte e vi fanno nascere parole inaudibili » 3 • Tuttavia risultano differenze sintomatiche dal fatto che Bataille non attacca la ragione in base ai fondamenti della razionalizzazione cognitiva, ai presupposti antologici della scienza e della tecnica oggettivanti; Bataille si concentra piuttosto sui fondamenti di una razionalizzazione etica, che secondo Weber ha reso possibile il sistema economico capitalistico e quindi ha assoggettato la vita sociale in complesso agli imperativi del lavoro estraniato e del processo di accumulazione. Bataille non fissa il principio della modernità in un'autocoscienza autoritariamente gonfiata, smisuratamente autonoma, bensì nell'orientamento verso il successo di un agire che ottimizza l'utile, e che serve a realizzare scopi sempre soggettivi. B vero che Heidegger e Bataille hanno in mente le stesse tendenze, nelle quali il pensiero oggettivante e l'agire razionale in vista del fine dispiegano la loro potenza storica; ma la critica che deve cogliere il male alle radici, prende nei due casi direzioni diverse. Heidegger, criticando la metafisica, pratica una galleria nel terreno con2 M. Foucault, Préface à la transgression, in << Critique >>, nn. 195·196, 1963, p, 757. 3 lvi, p. 761. 217 www.scribd.com/Baruhk gelato della soggettività trascendentale, per scoprire all'altro termine i veri fondamenti di un'origine temporalmente fluidificata; per contro, al Bataille critico della morale non importano i fondamenti ancora una volta approfonditi della soggettività, bensì l'abolizione dei loro confini, - la forma di alienazione che il soggetto in sé monadicamente incapsulato riconduce nuovamente nell'intimità di un contesto di vita divenuto estraneo, ausgegrenzt, tagliato fuori e lacerato con violenza. Per Bataille, con questa idea dell'abolizione dei confini, si apre una prospettiva del tutto diversa che per Heidegger: la soggettività che oltrepassa se stessa non viene detronizzata e deposta a favore di una superfondamentalistica ventura dell'essere, bensì ridarà alla spontaneità i suoi impulsi proscritti. L'apertura all'ambito sacrale non significa assoggettamento all'autorità di un destino indeterminato, e solo accennato nella sua aura; l'oltrepassamento dei confini verso il sacrale non significa la remissiva rinuncia a se stessa della soggettività, bensì la sua liberazione verso la vera sovranità. Che non l'essere, bensì la sovranità abbia l'ultima parola, non è un caso - vi si mostra piuttosto una vicinanza, impensabile per Heidegger, al concetto esteticamente ispirato che Nietzsche aveva della libertà e dell'autoaffermazione superumana. Per Bataille come per Nietzsche sussiste appunto una convergenza fra la volontà di potenza che accresce e riempie di senso se stessa e la fatalità cosmicamente radicata dell'eterno ritorno dell'identico. Con Nietzsche, Bataille è connesso da un fondamentale tratto anarchico; siccome questo pensiero è rivolto contro ogni autorità, anche contro il sacro come autorità, la dottrina della morte di Dio è intesa in senso rigorosamente ateistico. In Heidegger, che ripete questa tesi in tono raffinato, essa perde invece ogni radicalità. Certo, Dio come un che di ontico viene negato, ma l'evento della rivelazione antologicamente sistemato orbita eloquentemente intorno al luogo grammaticale che la distrutta proiezione di Dio ha lasciato libero - come se ci mancasse per il momento soltanto il linguaggio, per nominare quello il cui nome è impronunciabile. Così la domanda di Foucault: «Che cosa significa uccidere Dio, se egli non esiste, uccidere Dio, che non esiste? » 4 colpisce soltanto Bataille, non Heidegger. Foucault riconosce che Bataille deve ricercare l'eccesso della soggettività che oltrepassa se stessa nell'ambito di esperienza dell'erotico, perché egli pensa il sacro in modo rigorosamente ateistico. Certo la profanazione del sacro è il modello della trasgres4 lvi, p. 753. 218 www.scribd.com/Baruhk sione, ma Bataille non si inganna su di ciò, che nella modernità non vi è più nulla da profanare - e che non può essere compito della filosofia creare ad esso un surrogato di mistica dell'essere. Bataille stabilisce un'intima connessione fra l'orizzonte dell'esperienza sessuale e la morte di Dio « non per conferire a gesti assai antichi nuovi contenuti, bensì per rendere possibile una profanazione senza oggetto, una profanazione vuota, rivolta verso se stessa, i cui strumenti si dirigono soltanto a se stessi » 5 • Intendo ora anzitutto mostrare quale significato ha per la costruzione della modernità l'analisi del fascismo, che Bataille intraprende nei concetti degli elementi omogenei ed eterogenei della società. Bataille vede la modernità inserita in una storia della ragione, in cui le forze della sovranità e del lavoro si contrastano a vicenda. La storia della ragione spazia dagli inizi arcaici della società sacrale fino al mondo totalmente reificato del potere economico sovietico, dal quale sono cancellate le ultime tracce feudali della sovranità. Questa completa dissociazione degli elementi omogenei ed eterogenei apre però la prospettiva su una formazione sociale, che riconcili l'eguaglianza sociale con la sovranità del singolo. La spiegazione antropologica che Bataille fornisce dell'eterogeneo come della parte esclusa e proscritta rompe certamente con tutte le figure dialettiche del pensiero. Si pone pertanto la domanda, come Bataille voglia spiegare il trapasso rivoluzionario dalla società congelata, totalmente reificata, al rinnovamento della sovranità. Il progetto di un'economia generale, ampliata al bilancio energetico della natura in complesso, si può intendere come risposta a tale domanda. Questa impresa si impiglia, però, nei paradossi di una critica della ragione riferita a se stessa. Così Bataille oscilla, alla fine, fra un incoerente ricollegamento al progetto hegeliano di una dialettica dell'Illuminismo da un lato, e dall'altro una giustapposizione immediata di analisi scientifica e mistica linguistica. II La vittoria del movimento fascista in Italia e la presa del potere del nazionalsocialismo nel Reich tedesco furono, ancor prima di Auschwitz, il fenomeno dal quale sono provenute ondate non soltanto di confusione, ma anche di eccitamento affascinante. 5 lvi, pp. 751-52. 219 www.scribd.com/Baruhk Non vi era nessuna teoria della sensibilità contemporanea, che non fosse colpita fin nel più intimo dalla forza d'urto del fascismo. Ciò vale soprattutto per teorie che alla fine degli anni Venti o all'inizio degli anni Trenta si trovavano nel loro periodo di formazione - per l'antologia fondamentale di Heidegger, come abbiamo visto, non meno che per l'eterologia di Bataille o la teoria critica di Horkheimer 6 • Nel novembre del 1933, proprio quando Heidegger tiene il suo discorso elettorale per il Filhrer, Bataille pubblica una ricerca su La struttura psicolcr gica del fascismo. In contrasto con i tentativi di spiegazione marxisti, egli rivolge la sua attenzione non alle cause economiche e socialstrutturali accessibili solo teoreticamente, bensì ai f~nomeni, in particolare alle tangibili forme fenomeniche socialpsicologiche dei nuovi movimenti politici. Lo interessa soprattutto la dipendenza di masse mobilitate plebiscitariamente da figure carismatiche di capi, soprattutto il lato spettacolare (richiamato alla memoria dal film di Fest su Hitler) del dominio fascista - la venerazione cultuale del capo come persona sacrale, il rituale di massa inscenato artisticamente, anche ciò che vi era di manifestamente violento, ipnotico, l'infrazione della legalità, la stessa rinuncia all'apparenza della democrazia e della fraternità: « La corrente affettiva che collega il Filhrer con i suoi seguaci nella forma dell'identificazione morale [ ... ] è funzione di una coscienza comune di energie che si potenziano, che crescono violentemente nello smisurato, che si accumulano nella persona del Fiihrer e divengono per lui illimitatamente disponibili » 7 • Bataille era allora abbastanza marxista per non disconoscere le condizioni oggettive di una crisi, di cui il fascismo era stato soltanto il beneficiario. L'economia capitalistica e il suo apparato produttivo doveva « disgregarsi per via di contraddizioni interne », prima che potesse immettersi nelle lacune funzionali un tipo di violenza che non possedeva nessuna affinità con la struttura della società esistente. Nel capitalismo industriale a costituzione democratica era inserito il principio della libertà elettorale, una libertà soggettiva della scelta tanto per gli imprenditori privati e i produttori quanto per i cittadini (isolati dinanzi all'urna elettorale): « Il movimento e il trionfo finale del nazionalsocialismo dipendono non da ultimo dal fatto che 6 Cfr. H. Dubiel, Wissenschajtsorganisation und politische Erfahrung, Frank· furt a. M. 1978; dello stesso autore: Die Aktualitiit der Gesellschaftstheorie Adornos, in L. v. Friedeburg, J. Habermas (a cura di), Adorno-Konferenz, Frankfurt a. M. 1983, pp. 293 sgg, 7 G. Bataille, CEuvres complètes, Paris 1970, vol. I, p. 348. 220 www.scribd.com/Baruhk alcuni capitalisti tedeschi giunsero alla coscienza di quanto potesse divenire pericoloso per loro questo principio della libertà individuale in una crisi» 8 • Indubbiamente la richiesta funzionale di un'abolizione totalitaria di questo principio, presa per sé, restava 'un vuoto desiderio'; le risorse di cui si nutre il fascismo non si possono spiegare funzionalisticamente - cioè la « ricchezza inesauribile delle forme della vita affettiva ». Il fatto che queste forze che il Fiihrerstaat prende in appalto, derivino evidentem~::nte da. un settore eterogeneo alla società esistente, offre a Bataille la spinta per indagare questo elemento eterogeneo. Dei tentativi psicologici di spiegazione collegati allo studio di Freud sulla Psicologia di massa e analisi dell'io, Bataille non è soddisfatto 9 ; piuttosto, è convinto che le radici del fascismo scendano più a fondo dell'inconscio, al quale ha accesso la forza analitica dell'autoriflessione. Il modello in base al quale Bataille pensa la scissione dell'eterogeneo non è il modello freudiano della rimozione, bensì l'esclusione e la stabilizzazione di confini, che possono essere sfondati solo per eccesso, dunque violentemente. Bataille ricerca un'economia del bilancio sociale complessivo degli impulsi, che deve spiegare perché la modernità attua senza alternative le sue esclusioni pericolose per la vita, e perché la speranza in una dialettica dell'Illuminismo, che ha accompagnato il progetto della modernità fino al marxismo occidentale, è vana: « La società omogenea è incapace di trovare in se stessa un senso ed uno scopo dell'agire. Perciò essa cade alle dipendenze delle forze imperative che esclude» 10 • Bataille si colloca nella tradizione della scuola di Durkheim; egli riconduce gli aspetti eterogenei della vita sociale, come di quella psichica e spirituale, a quell'elemento sacrale che Durkheim aveva determinato mediante il contrasto col mondo del profano: gli oggetti sacrali sono posseduti da una forza auratica, che al contempo alletta e attrae gli uomini, li terrorizza e li disgusta. Quando vengono toccati, scatenano effetti scandalizzanti e rappresentano un altro, superiore livello della realtà - sono incommensurabili con le cose profane, si sottraggono ad un modo di considerazione omogeneizzante, che assimila l'estraneo al noto, spiega l'imprevisto con l'aiuto del familiare. Bataille aggiunge ancora la determinazione della spesa improduttiva. Il mondo eterogeneo si rapporta a quello profano come il superfluo - dai rifiuti e dagli escrementi attraverso i sogni, I vi, p. 367. Cfr. A. Mitscherlich, Massenpsychologie und Ich-Analyse, in Gesammelte Schri/ten, vol. V, Frankfurt a. M. 1983, pp. 83 sgg. 10 G. Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. l, p. 353. 8 9 221 www.scribd.com/Baruhk le estasi erotiche e le perversioni, fino a rappresentazioni sovversive contagiose, dal lusso tangibile fino alle speranze esuberanti-elettrizzanti e alle trascendenze santificate. Per contro, l'omogeneo e uniforme della normale vita quotidiana è il risultato del metabolismo con la natura esterna, resistente. Nella società capitalistica opera soprattutto il lavoro astrattamente misurato in tempo e denaro, cioè il lavoro salariato come forza omogeneizzante; questo si potenzia nella combinazione con scienza e tecnica. La tecnica è il nesso connettivo fra scienza e produzione; analogamente ad Adorno, si dice che « le leggi che la scienza ha creato, istituiscono relazioni di identità fra i diversi elementi di un mondo prodotto e misurabile » 11 • In questo mondo razionalizzato irrompono ora i capi fascisti e le loro masse ipnotizzate. Bataille parla della loro esistenza eterogenea non senza ammirazione. Hitler e Mussolini gli appaiono sullo sfondo della democrazia di massa orientata verso interessi, come ' il totalmente altro '. Egli è affascinato della violenza « che eleva Hitler e Mussolini al di sopra degli uomini, dei partiti e delle stesse leggi: una violenza che infrange il corso normale delle cose, l'omogeneità pacifica, ma noiosa, impotente a conservarsi per sua propria forza» 12 • Nel dominio fascista elementi omogenei ed eterogenei si mescolano in modo nuovo - quelle qualità, che, come la disponibilità al lavoro, la disciplina, l'amore dell'ordine, appartengono alle esigenze funzionali della società omogenea, da un lato, e dall'altro l'estasi di massa e l'autorità del capo, che manifestano un riflesso della vera sovranità. Lo stato fascista rende possibile l'unità totale degli elementi eterogenei con gli omogenei, è la sovranità statalizzata. Esso raccoglie l'eredità di quella sovranità che nelle società tradizionali aveva assunto forma religiosa e militare; entrambi questi elementi sono indubbiamente indifferenziati nella sovranità del Fiihrer. Il momento essenziale del dominio degli uomini sugli uomini, nel fascismo è, per così dire, costituito in forma pura. L'aura del Fiihrer assicura una lealtà di massa, che è sganciata da ogni pressione legittimativa. Analogamente a Carl Schmitt, Bataille spiega questa accettazione infondata col fatto che la violenza di un signore è nel suo nucleo di natura carismatica- si radica appunto nell'eterogeneo: « Il semplice fatto del dominio di uomini su uomini implica l'eterogeneità del signore, per lo meno in quanto è signore: nella misura in cui egli si richiama per giustificazione della sua autorità alla sua natura, 11 12 I vi, p. 340. I vi, p. 348. 222 www.scribd.com/Baruhk alla sua qualità personale, egli designa questa natura come il totalmente altro, senza paterne rendere conto razionalmente» 13 • Proprio il momento ammaliante, che requisisce i sensi, nell'esercizio della violenza dei capi fascisti, Bataille lo riconduce ad una sovranità, alla quale egli attribuisce autenticità - qui diviene chiara la differenza con le teorie del fascismo, analogamente impostate, di Horkheimer e Adorno. Questi si concentrano, come Bataille, sul prospetto psicologico del fascismo - in ogni caso negli Elementi dell'antisemitismo 14 • Nelle disposizioni per le dimostrazioni di massa altamente ritualizzate, Horkheimer e Adorno decifrano « la falsa effigie della mimesi timorosa », cioè il risveglio e la manipolazione di un antichissimo modello di reazione. Il fascismo impiega il comportamento mimetico spacciato civilizzatoriamente per i propri scopi. La repressione dell'ambivalenza arcaica di fuga e dedizione, terrore e incanto, diviene ironicamente riflessiva: « Nel fascismo moderno la razionalità ha raggiunto un livello, in cui non si accontenta più di reprimere semplicemente la natura; la razionalità ora sfrutta la natura, incorporando nel suo proprio sistema quelle potenzialità d'essa che si ribellano contro l'oppressione » 15 • Fino a questo punto l'analisi di Bataille si può ancora tradurre nei concetti della teoria critica: alla fine il fascismo serve soltanto a rendere docile la rivolta della natura interna contro la ragione strumentale dei suoi imperativi. La differenza decisiva sta nel modo in cui sono determinate le parti represse o proscritte della natura soggettiva. Per Horkheimer e Adorno l'impulso mimetico porta con sé la promessa di una « felicità senza potere » 16, mentre per Bataille nell'eterogeneo felicità e violenza sono indissolubilmente connesse: nell'erotico Bataille celebra, come nel sacro, una « attività violenta elementare » 17 • Con l'aiuto della stessa figura di pensiero, egli giustifica nel fascismo anche quell'elemento (Carl Schmitt) del do13 lvi, p. 351. 14 M. Horkheimer ·T. W. Adorno, Dialektik der Aufkliirung, Amsterdam 1949, pp. 199 sgg. (tr. it., Dialettica dell'illuminismo, Torino 1966, pp. 181 sgg.); sulla caratterizzazione politico-economica del fascismo come ' capitalismo di stato' cfr. H. Dubiel- T. Sollner (a cura di), Wirtschaft, Recht und Staat im Nationalsozialismus, Analysen des Instituts fiir Sozialforschung 1939-1942, Frank· furt a. M. 1981; M. Wilson, Das Institut fiir Sozia/forschung und seine Faschismusanalysen, Frankfurt a. M. 1982. 15 M. Horkheimer, Kritik der instrumentellen Vernunft, Frankfurt a. M. 1967, p. 118 (tr. it., Eclisse della ragione - Critica della ragione strumentale, Torino 1969, p. 107). 16 M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialektik der Aufk/iirung, cit., p. 204 (tr. it. cit., p. 185). 17 G. Bataille, L'érotisme, cit., p. 103. 223 www.scribd.com/Baruhk minio infondato o 'puro', al quale Horkheimer e Adorno contrappongono nel modo più deciso la forza del mimetico. Lo stesso Benjamin che in un saggio giovanile, richiamandosi al mito soreliano dello sciopero .generale, sembra anticipare la concezione di Bataille dell'immacolato potere sovrano, tiene fermo al punto di riferimento di un'intersoggettività non violenta dell'intesa. La violenza fatale di atti rivoluzionari, che fondano il diritto, che per la loro essenza sono anarchici eppure stanno alla base di tutte le istituzioni della libertà (e vi debbono esser tenuti presenti) sprona Benjamin al progetto di una politica del ' puro mezzo '. Questa è separata soltanto per un capello da ciò che potrebbe essere la violenza fascista. Ma quella violenza fine a se stessa, che non media strumentalmente, bensì manifesta e attua la giustizia, secondo Benjamin rimane sempre rìferita alla sfera dell'unificazione non violenta. Questa sfera dell'accordo umano, che « è del tutto inaccessibile » alla violenza rimane per Benjamin « il linguaggio - l'autentica sfera dell'intesa» 18 • A questa idea Benjamin è talmente obbligato per via della sua impresa di una critica che salva, che egli vorrebbe esemplificare la non violenza del ' puro mezzo ' perfino in base all'esempio dello sciopero generale proletario. Senza un tale punto di riferimento che trascende la violenza, Bataille deve avere difficoltà, per rendere plausibile quella differenza, alla quale pure egli attribuisce tanta importanza - la differenza fra la rivoluzione socialista e la presa fascista del potere, che vede soltanto simile ad essa. Ciò che Benjamin afferma per l'impresa del surrealismo in complesso, che esso voleva « acquisire per la rivoluzione le forze dell'ebbrezza» 19 , arride anche a Bataille: è il sogno di una politica estetizzata, poetica, purificata da tutti gli elementi morali. È appunto questo che nel fascismo lo affascina: « L'esempio del fascismo, che oggi mette in questione perfino l'esistenza del movimento operaio, basta per mostrare che cosa ci sarebbe da attendersi da un ricorso favorevole a rinnovate forze affettive » 20 • Ma allora si pone la domanda, in che cosa da ultimo si differenziano l'espressione sovversiva-spontanea e la canalizzazione fascista di tali forze. La domanda è scomoda in ogni caso, quando con Bataille si parte dall'idea che la differenza deve potersi mostrare già nelle forme della politica - e non soltanto in base alle loro conseguenze. Nel suo scritto del 1933, Bataille fa il tentativo di trae18 W. Benjamin, Zur Kritik der Gewalt, in Angelus Novus, Ausgewiihlte Schriften 2, Frankfurt a. M. 1966, p. 55. 19 W. Benjamin, Der Surrealismus, in ivi, p. 212. 20 G. ·Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. l, p. 371. 224 www.scribd.com/Baruhk ciare nello stesso mondo dell'eterogeneo un confine fra elementi superiori e inferiori. Questo tentativo riesce così poco, che alla fine Bataille si accontenta della proposta di una rifunzionalizzazione della combattuta politica fascista. Egli raccomanda l'elaborazione di una scienza eterologica, « che consenta di precedere le reazioni sociali affettive, che assalgono la sovrastruttura forse perfino, fino ad un certo grado, ne dispongono liberamente [ ... ]. Un sapere sistematico dei movimenti sociali di attrazione e repulsione [cioè delle ambivalenze sentimentali sca. tenate dall'eterogeneo, J. H.], si dimostra nettamente come arma in un momento, in cui il fascismo non tanto sta contro il comunismo, quanto piuttosto contro forme radicalmente imperative [ ... ] della sovversione» 21 • Nei tre anni successivi Bataille ha svolto i tratti fondamentali della scienza allora postulati. Voglio trattare anzitutto il commiato dalla modernità in termini di filosofia della storia, per poi addentrarmi nell'economia generale, da cui Bataille sperava una risposta alla domanda rimasta aperoo, come si debba pensare il rovesciamento della reificazione in sovranità. III Già all'inizio del 1933, Bataille aveva pubblicato una trattazione sul concetto di spreco 22 , che lascia scorgere i contorni di una filosofia della storia di tipo manicheo. Come comunista, Bataille si muoveva nelle figure di pensiero della filosofia della prassi di Marx. Il lavoro, cioè la produzione sociale, è la forma specifica del genere della riproduzione. Anzitutto Bataille descrive il moderno antagonismo di classe proprio nel senso dei manoscritti economico-filosofici del giovane Marx: « Il fine del lavoratore è di produrre per vivere, ma quello dell'imprenditore è quello di produrre per consegnare i produttori lavoranti ad una degradazione disgustosa » 23 • Ma Bataille smentisce subito la conseguenza ovvia, che la 'vita', per amor della quale si produce, sia immanente al lavoro stesso come telos razionale. Lo scopo della produzione, che Bataille ha in mente, trascende piuttosto il circolo dell'erogazione produttiva della forza-lavoro e dell'appropriazione consuntiva di quei valori d'uso, in cui si oggetti21 Ibid. 22 In« La ·critique Sociale>>, '1933, n. 7, contenuto anche in CEeuvres complètes, cit., vol. l, pp. 302 sgg., da cui si cita. 23 G. Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. l, p. 315. 225 www.scribd.com/Baruhk vizza il processo di lavoro. Bataille dà al modello espressivistico dell'attività umana, da cui egli parte, una piega che ne nega i presupposti di filosofia della prassi. Egli vede infatti impiantata nello stesso consumo una profonda scissione fra la riproduzione della forza-lavoro direttamente necessaria alla vita ed un consumo di lusso, che sottrae dissipatoriamente i prodotti del lavoro alla sfera di ciò che è necessario alla vita e quindi in genere all'imposizione del processo metabolico. Soltanto questa forma improduttiva dell'erogazione, che dalla prospettiva del singolo possessore di merci rappresenta una perdita, può al contempo rendere possibile e confermare la sovranità dell'uomo, la sua autentica esistenza. Certo, anche Marx parla di una sfera della libertà al di là della sfera della necessità, al di là dell'ambito della produzione determinato dal ricambio organico con la natura; Marx, però, sussume ancora l'uso creativo del tempo libero dal lavoro sotto il modello dell'alienazione e riappropriazione delle forze essenziali individuali - il punto di riferimento rimane l'individuo totale, che si realizza universalmente. Del tutto realisticamente, però, Bataille vi subodora il pericolo che le necessità abitualizzate del lavoro non facciano che continuare sotto la copertura di una libertà apparentemente autonoma; egli teme che la vera sovranità venga repressa anche nella sovrabbondanza, finché l'uso razionale - intrapreso secondo il principio della « compensazione dei pagamenti », di beni materiali e spirituali non faccia posto ad una forma radicalmente diversa del consumo, appunto ad uno spreco, in cui il soggetto consumante si aliena da se stesso. Questa forma improduttiva dell'erogazione avvicina Bataille agli stati tossici dell'autoabbandono, dell'autoprosciugamento, della furia. Questo autosfrenamento lascia dietro di sé ancora le sue tracce economiche nel consumo di lusso: L'attività umana non può venir ridotta completamente a processi di produzione e riproduzione, e il consumo deve venir diviso in due ambiti diversi. Il primo, che è riducibile, abbraccia l'uso minimale necessario alla conservazione della vita e alla prosecuzione dell'attività produttiva per gli individui di una società [ ...]. Il secondo settore abbraccia le cosiddette spese improduttive: lusso, cerimonie funebri, guerre, culti, la costruzione di edifici sfarzosi, giochi, teatro, arti, la sessualità perversa (cioè separata dalla genitalità) rappresentano altrettante attività, che, per lo meno in origine, hanno il loro fine in se stesse 24. 24 lvi, p. 305. 226 www.scribd.com/Baruhk L'attività dei ceti superiori che vivono nel lusso, determinata aristotelicamente, sufficiente a se stessa, divenuta fine a se stessa, tradisce ancora qualcosa della sovranità originaria. Ma ora il capitalismo è caratterizzato dal reimpiego produttivo di tutto il superfluo; il processo di accumulazione è guidato da imperativi dell'autovalorizzazione del capitale. In ciò Marx aveva criticato l'autonomizzazione della produzione di valori di scambio rispetto alla produzione di valori d'uso; Bataille lamenta l'autonomizzazione dell'impianto produttivo dei guadagni rispetto all'uso improduttivo del superfluo prodotto. I capitalisti hanno «mantenuto con la ricchezza l'obbligazione alla spesa funzionale»; perciò la società moderna manca del lusso pubblico ostentato; - « l'ostentazione della ricchezza avviene ora dietro le pareti (private) secondo convenzioni noiose e opprimenti » 25 • È scomparso l'aspetto generoso, orgiastico, smisurato, che aveva sempre contraddistinto lo spreco feudale. In base al filo conduttore di questo' concetto dello spreco, Bataille sviluppa la sua principale opera teoretica, la cui prima sezione apparve nel 1949, dopo diciotto anni di lavori preparatori, sotto il titolo La parte proscritta. Un pezzo çlella terza sezione Bataille lo pubblica nel 1956 sotto il titolo La sovranità. Il distacco dalla problematica e dalla concettualità della filosofia della prassi è, nel frattempo, divenuto ancora maggiore. In un certo qual modo, la teoria di Bataille si può intendere come controparte alla teoria della reificazione, che Lukacs, Horkheimer e Adorno hanno sviluppato sulla linea di un webermarxismo. La sovranità è in contrasto col principio della ragione reificata, strumentale, che procede dalla sfera del lavoro sociale e giunge al dominio nel mondo moderno. Essere sovrano vuoi dire non lasciarsi ridurre, come nel lavoro, alla condizione di una cosa, bensì scatenare la soggettività: il soggetto sottratto al lavoro, ricolmo del momento, si dissolve nel consumo di se stesso. L'essenza della sovranità consiste nel consumo inutile, in ciò « che mi piace». Soltanto, questa sovranità soggiace al giudizio di un processo storico-mondiale di disincantamento e di reificazione. L'essere sovrano viene spiritualizzato nelle società modeme ed escluso da tin universo che sussume tutto sotto la forma d'oggetto del valorizzabile e del disponibile, cioè della proprietà privata, che consiste ancora soltanto di cose: « All'inizio della società industriale, che si fonda sul primato e sull'autonomia della merce - della cosa - sta la volontà contrapposta, l'es- 2.5 lvi, p. 313. 227 www.scribd.com/Baruhk senziale - ciò che ci fa tremare di spavento e di delizia - al di fuori del mondo dell'attività, del mondo delle cose » 26• I paralleli col giovane Lukacs sono sconcertanti. Infatti, sembra anzitutto che questo processo dell'esclusione di un sacrale smondanizzato sia soltanto la conseguenza del modo di produzione capitalistico: « Per via dell'accumulazione delle ricchezze allo scopo di una produzione industriale di dimensioni crescenti, la società borghese è la società delle cose. In confronto con l'immagine della società feudale, essa non è una società delle persone [ ... ] L'oggetto convertibile in denaro vale più che il soggetto, il quale, da quando è in dipendenza dagli oggetti (in quanto li possiede), non esiste più per se stesso e non ha più alcuna reale dignità» TI. Ma, in effetti, il feticismo della forma di merce serve soltanto alla diffusione universale del dominio della ragione già antropologicamente radicata nelle strutture del lavoro. La tendenza alla reificazione della società risale a tempi arcaici e al di là del capitalismo raggiunge il futuro del socialismo burocratico, che solo eseguirà il testamento del processo cosmico-storico del disincantamento. Ciò rammenta già piuttosto la tarda teoria critica che il primo Lukacs; ma entrambi i confronti peccano per difetto. Ciò che Bataille ha in mente, non è una teoria della reificazione, bensì una filosofia della storia della proscrizione, cioè della progrediente extraterritorializzazione del sacro. Egli vuole esporre il destino cosmico-storico della sovranità, di quella libertà abissale che consiste nel « consumare senza profitto, ciò che sarebbe potuto restare impigliato nella concatenazione delle opere utili » 28 • La forma più pura, empiricamente ancora tangibile, di questa sovranità, Bataille la trova nel sacrificio rituale, che egli analizza accuratamente in base ai ragguagli sui sacrifici umani aztechi: « Il sacrificio distrugge ciò che consacra. Non ha bisogno di distruggere come il fuoco; soltanto il legame che collega l'ablazione al mondo dell'attività utile, viene spezzato, ma questa separazione ha il significato di un consumo definitivo; l'ablazione consacrata non può essere restituita all'ordine reale. Questo principio apre la via allo scatenamento, libera la violenza, concedendole uno spazio in cui può dominare indivisa » 29 • Senza dubbio il senso del sacrificio rivela, come quello di tutte le reliG. Bataille, op. cit., vol. VII, p. 123. G. Bataille, La Souveraineté, in « Monde' nouveau - Paru >>, nn. 101-103, juin-septembre 1956, p. 26. 28 G. Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. VII, p. 63. 29 Ibid. 26 27 228 www.scribd.com/Baruhk gioni, che anche il nucleo rituale del sacrale non è nulla di originario, bensì già reazione alla perdita di un'intima unità dell'uomo con la natura. Ad essa possiamo concludere soltanto se ci ricordiamo ciò che una volta è stato fatto all'universo delle cose innocenti dal lavoro delle mani dell'uomo, cioè col primo atto di un'aggettivazione finalistica. La versione che Bataille dà della cacciata dal paradiso terrestre si legge così: Tramite l'introduzione del lavoro al posto dell'intimità, della profondità della brama e del suo libero scatenamento, subentrò fin da principio la concatenazione razionale, nella quale non si tratta più della verità del momento, bensl del risultato finale delle operazioni- il primo lavoro fonda il mondo delle cose [ ... ]. Dalla posizione del mondo delle cose l'uomo stesso divenne una delle cose di questo mondo, per lo meno per il tempo in cui egli lavora. A questo destino l'uomo cercò in tutti i tempi di sfuggire. Nei suoi miti peculiari, nei suoi riti crudeli l'uomo è da allora alla ricerca della sua intimità perduta [ ... ]. Sempre si tratta di sottrarre qualche cosa all'ordine reale, alla miseria delle cose, e di ridare all'ordine divino qualche cosa 30 • Come la religione sta già sotto la maledizione del lavoro, e solo per i momenti dell'autoalienazione rituale del soggetto restituisce l'ordine distrutto delle cose e rende possibile una comunicazione senza parole con essa, così anche la pura sovranità può essere riconquistata soltanto nei momenti dell'estasi. Ciò che diviene efficace nella storia come violenza sovrana, ciò che acquista forma durevole dapprima nel potere sacrale dei sacerdoti, poi nel potere militare dei nobili, infine nel potere assolutistico del monarca e della sua corte già fondato su un apparato statale, è una sovranità derivata, contaminata dalla connessione col potere profano. Tutte le forme storiche della sovranità possono essere riconosciute in base alla loro forza differenziante, che fonda cioè differenze di rango. Il rango sociale del dominatore e di coloro che partecipano al dominio, è un fenomeno misto, da cui si possono ricavare due cose: l'origine da una sfera al di là del lavoro e delle cose, nonché la funzione repressiva e sfruttatrice del dominio entro il sistema del lavoro sociale. Il mutamento di forma cosmico-storico della sovranità mostra tuttavia una tendenza alla dedifferenziazione delle differenze di rango: « Nella società arcaica il rango tiene fermo al presente santificato di un soggetto, la cui sovranità non dipende dalle cose, ma inserisce le cose nel suo movimento. Nella società 30 Ibid. 229 www.scribd.com/Baruhk borghese esso dipende ancora soltanto dalla proprietà di cose, che non sono né sovrane né sacrali » 31 • Ciò non significa ora che la sovranità sia totalmente scomparsa dal mondo borghese. Parla in senso contrario già la circostanza che la disposizione privata sui mezzi di produzione non soltanto scinde la società oggettivamente in classi, bensì anche fonda un insieme di privilegi, che ripartisce differenzialmente le possibilità di vita, incluse le possibilità di trovare riconoscimento. Le differenze di rango perdono il loro carattere politico, ma come tali esse non scompaiono semplicemente per il fatto che non si deducono più dalla partecipazione al dominio politico, bensì dalla posizione nel processo produttivo. Anche il politico delle democrazie occidentali mantiene, nella forn'la di un prestigio personale stabilizzato dal lavoro pubblico, ancora qualcosa dello splendore dell'essenza sovrana, benché questa immagine derivi soltanto dalla disposizione di un potere burocratizzato fluidificato dai media, e non da qualità carismatiche. Il politico democratico sta fra la soggettività dell'essere, come è presente nel signore sovrano e ancora nel capo fascista, da un lato, e l'oggettività del potere, dall'altro: «Unicamente la serietà di un uomo di stato comunista ci consente di riconoscere, ciò che nella società borghese è soltanto una possibilità, che viene continuamente intralciata: il potere, che promuove la crescita delle cose, indipendentemente dall'aspirazione al rango, per la quale gli uomini tentano di sprecarla » 32 • Secondo l'immagine alquanto estranea alla realtà che Bataille all'inizio degli anni Cinquanta escogita, in questo socialismo burocratico di conio sovietico deve compiersi la derlifferenziazione sociale; con l'abolizione dei ranghi sociali, soltanto qui la sovranità viene definitivamente scacciata dal territorio del lavoro sociale. In tutte le figure storiche del dominio, la sovranità resta legata col potere. Ora soltanto, nel regime sovietico, compare un potere purificato da ogni commistione con la sovranità, per così dire decomposto, e in questo senso divenuto 'oggettivo', che si è sbarazzato dagli ultimi attributi religiosi. Questo potere oggettivo, senza convalidazione da parte dell'autenticità di un carisma, è esclusivamente funzionale, definito dal sistema del lavoro sociale, in breve dal fine dello sviluppo delle forze produttive: « Chi esercita il potere supremo nella sua oggettività, ha come scopo l'impedimento del dominio della sovranità sulle cose; esse devono essere subordinate ancora soltanto all'uomo 31 G. Bataille, La Souveraineté, cit., p, 29. · 32 lvi, p, 31. 230 www.scribd.com/Baruhk non differenziato » - cioè alla volontà collettiva di una società rigorosamente egualitaria 33 • Il potere oggettivo, che ha deposto la scorza della sovranità disincantata, si include nell'universo di una società completamente reificata, potremmo anche dire coagulata a sistema. L'immagine fittizia del dominio sovietico reificato costituisce l'equivalente di quell'idea che Engels aveva ripreso da Saint-Simon: al posto del dominio di uomini su uomini subentra l'amministrazione delle cose. Questo punto sorprende tanto più, quanto più le lagnanze di Bataille sulla negazione borghese dello splendore, dello sfarzo e dello spreco feudali suonano come un piatto rovesciamento della celebre parabola di Saint-Simon 34 • Saint-Simon non mantiene certo l'ultima parola in Bataille. La celebrazione di un comunismo militante, che subordina ogni sentimento umano allo scopo di politica sociale dell'industrializzazione e dà il proprio consenso ad un materialismo eroico anche sotto l'aspetto « che l'opera della liberazione (dell'uomo) venga interamente ridotta ad una cosa» 35 - questa locuzione paradossale diviene comprensibile solamente quando si prenda in considerazione il giudizio sprezzante di Bataille sui potenziali di critica della civilizzazione della società borghese. La protesta contro la reificazione del mondo moderno e la trasfigurazione romantica delle forme tradizionali della sovranità contraddicono troppo profondamente l'impulso sovversivo da cui pure sono sorrette proprio le esistenze eterogenee - cioè quella radicalità peculiare all'avanguardia estetica, « di andare in ogni direzione fino al termine delle possibilità del mondo» 36 • Il fascismo ha solo spifferato il segreto del capitalismo: questo infatti poté fin da principio erigere la sua razionale gabbia di asservimento soltanto sul fondamento sotterraneo dei residui di dominio sacrale e militare. Questi relitti dissimulati, ma funzionalmente necessari, della sovranità preborghese vengono eliminati soltanto dalla totale equiparazione degli uomini ai loro prodotti compiuta dal marxismo sovietico. « L'attuazione delle cose può avere un effetto liberante solo quando i vecchi valori, che erano legati a spese improduttive, vengono condannati e distrutti come i valori cattolici nella Riforma» -rr. Bataille considera dunque lo stalinismo come ultimo stadio lvi, p. 32. Saint-Simons G/eichnis, in J. Dautry (a cura di), Saint-Simon, Ausgewiih/te Texte, Berlin 1957, pp. 141 sgg. 35 G. Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. VI, p. 135. 36 lvi, p. 127. 01 lvi, p. 133. 33 34 231 www.scribd.com/Baruhk di un processo nel quale le due sfere di una prassi reificata e di una sovranità soltanto alla fine purificata da tutte le funzioni pratiche si separano gradualmente l'una dall'altra. Stalin segue, consapevolmente o no, quel messaggio esoterico che Bataille ricava dalla dottrina essoterica di Marx: Marx, in quanto ha riservato l'agire alla modificazione delle circostanze materiali [cioè ha ridotto la prassi al lavoro, alla struttura dell'agire razionale conforme allo scopo, J. H.], ha espressamente affermato ciò che il calvinismo aveva soltanto accennato, cioè la radicale indipendenza delle cose (dell'economia) da altre cure (di genere religioso o del tutto affettive); per contro, però, con ciò egli ha implicitamente affermato l'indipendenza del ritorno dell'uomo a se stesso (alla profondità, all'intimità del proprio essere) dall'agire. Questo ritorno, tuttavia, è possibile soltanto quando la liberazione è compiuta; esso può incominciare soltanto quando l'agire è concluso 38 - e con ciò il progetto, avviato dalla filosofia della prassi, di una società del lavoro che si è formata in totalità. Questo processo cosmico-storico, sospeso fra reificazione e sovranità, che deve finire con il confronto tra una separazione di sfere, la decomposizione di elementi omogenei ed eterogenei, di lavoro e sacrificio, non può certo più essere pensato dialetticamente - in ogni caso, non più con il modello di filosofia della storia di una dialettica dell'Illuminismo, che si affida alla costellazione di momenti della ragione. La sovranità è concepita come l'Altro dalla ragione. Bataille non può rendere plausibile la sua costruzione della modernità dandole l'apparenza di una costruzione dialettica. Egli deve anzitutto spiegare due cose: da un lato la dinamica del processo cosmico-storico della razionalizzazione sociale, dall'altro l'attesa escatologica che la reificazione totale venga ribaltata in libertà. Nella risposta a queste domande, Bataille pone la sua ambizione scientifica. IV Fin dall'inizio dei suoi studi antropologici Bataille si è ripetutamente occupato del fenomeno del potlatsch, quella festa dello spreco nella quale gli indiani nordamericani riempiono i loro rivali di doni, per sfidarli, umiliarli e obbligarli a sé con lo sper38 lvi, p. 128. 232 www.scribd.com/Baruhk pero ostentato della propria ricchezza 39 • Senza dubbio non lo interessano propriamente le funzioni socio-integrative dello scambio di regali, né la istituzione di reciproche obbligazioni; Bataille trascura questo aspetto a vantaggio di quello, più vistoso, del consumo, dell'annientamento e della perdita intenzionale di proprietà, che viene sprecata come dono senza diretta contropartita. Il potlatsch è un esempio del consumo improduttivo in società tribali. Tuttavia non va disconosciuto che il donatore non sciupa la sua ricchezza disinteressatamente. In quanto surclassa rivali, che a loro volta concorrono con regali, egli si assicura prestigio e potere, acquista o rafforza il suo rango sociale entro il collettivo. Il sovrano disprezzo dei valori d'uso viene, per così dire, già a questo stadio, compensato da una calcolata acquisizione di potere. Questa prassi porta in sé la contraddizione fra sovranità e razionalità finalistica: essa pone « valore, prestigio e verità della vita nella negazione dell'uso dei beni, ma nel contempo fa appunto di questa negazione un uso conveniente» 40 • Dato che proprio questa contraddizione è strutturalmente inserita in tutte le forme di sovranità storicamente incarnate, per il tramite d'essa Bataille vorrebbe spiegare perché la sovranità esternantesi in atti di spreco viene sempre più utilizzata per lo sfruttamento della forza-lavoro e perché questa fonte di vera autorità alla fine si contrae in una «vergognosa fonte di profitto ». Ora, però, egli spiega il fatto che sovranità e potere si sono amalgamati fin da principio e che questo amalgama può essere utilizzato per gli scopi dell'appropriazione di plusvalore, non già perché le tendenze storiche all'ampliamento e alla reificazione dell'ambito profano e all'extraterritorializzazione del sacro si siano effettivamente imposte. In una spiegazione economicopolitica nello stile del materialismo storico Bataille non può avventurarsi, perché questa si riferisce a modificazioni all'interno del sistema del lavoro sociale, ma non al gioco combinato dell'economia con un potere che non è radicato nell'economico, e in genere non in settori della ragione calcolante, bensì trascende fin da principio, come l'altro dalla ragione, il processo metabolico dell'uomo con la natura esterna. Perciò è conseguente che Bataille si colleghi alla spiegazione di etica religiosa che Max Weber fornisce del capitalismo, e lo segua in base al filo conduttore di storia della religione fino a quegli inizi della regola39 Bataille si riferisce alla classica ricerca di M. Mauss, Essai sur le Don, in « Année Sociologique >>, 1923-24, pp. 30 sgg. 40 G. Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. VII, p. 75. 233 www.scribd.com/Baruhk mentazione morale degli impulsi che antecedono tutte le forme storiche della sovranità e dello sfruttamento. Voglio riassumere la riflessione in tre passi. La prima idea è di semplicità biblica. Nel processo dell'umanizzazione si costituiscono gli esseri che escono fuori dal contesto animale della vita come soggetti non soltanto mediante il lavoro, bensl al contempo mediante divieti. Gli uomini si distinguono dagli animali anche in quanto la loro vita impulsiva viene assoggettata a limitazioni. Egualmente originari al lavoro sorgono la vergogna sessuale e la coscienza della mortalità. I riti di sepoltura, il fatto del rivestirsi, il tabù dell'incesto mostrano che i tabù più antichi riguardano il cadavere umano e la sessualità - il corpo morto e il corpo nudo. Se si considera anche il divieto dell'omicidio, emerge l'aspetto più generale: viene tabuizzata la violenza della morte e della sessualità - una violenza che si manifesta anche nel culmine rituale della festa e del sacrificio religioso. L'eccesso da cui procede la procreazione e l'eccesso della morte sofferta o violentemente inflitta sono affini agli eccessi cultuali, dove Bataille intende ' eccesso ' alla lettera: come oltrepassamento di quei confini che sono tracciati dall'individuazione. Le norme più antiche sono come dighe contro il turbine di una natura lussureggiante, esuberante, che assicura la pienezza di vita e la continuità del suo essere, intrecciando le esistenze isolate: « Se noi ravvisiamo nei divieti essenziali quel rifiuto che l'individuo contrappone alla natura come uno spreco di energia vitale e un'orgia di annientamento, non possiamo più fare nessuna distinzione fra morte e sessualità. Sessualità e morte sono soltanto i culmini di una festa, che la natura festeggia con la massa inesauribile. Entrambe significano uno spreco illimitato, che la natura si permette in contraddizione con il profondo desiderio di ogni essere [individuato, J. H.] della propria continuazione » 41 • La sfera del lavoro deve venir limitata da norme, che « bandiscono dal corso abituale delle cose » l'attività violenta di una natura esuberante 42 • In un secondo passo Bataille rende tuttavia chiaro che i fondamenti normativi della vita sociale rimangono incomprensibili, se li si interpreta dal punto di vista di ciò che forniscono all'assicurazione della sussistenza del sistema del lavoro sociale. Da questo angolo visuale funzionalistico non si può spiegare, donde mai traggano la loro forza obbligatoria in generale i divieti. Già Durkheim aveva visto che la validità normativa non può essere 41 42 G. Bataille, L'érotisme, cit., p. 69. I vi, p, 63. 234 www.scribd.com/Baruhk ricondotta empiristicamente alle sanzioni convenzionalmente, cioè esteriormente, connesse ai divieti. Piuttosto le norme devono la loro forza vincolante all'autorità di un sacro, al quale noi ci avviciniamo con l'ambivalenza di terrore e diletto, senza mai toccarlo. Questo stato di cose Bataille lo interpreta partendo dal suo orizzonte di esperienza estetica, in modo tale che per le norme più antiche è costitutiva una profonda ambiguità: la pretesa di norme alla validità è fondata nell'esperienza della trasgressione proibita e proprio perciò allettante, cioè nell'esperienza del sacrilegio, nel quale i sentimenti della paura, del ribrezzo e del terrore si mescolano con la delizia e la felicità narcotizzante. Bataille parla del profondo affratellamento di legge e violazione della legge. Il mondo razionale del lavoro viene limitato e fondato da divieti; tuttavia i divieti stessi non sono affatto leggi della ragione. Essi aprono piuttosto al mondo profano la porta del sacro e da questa forza illuminatrice traggono il loro fascino: In principio una quieta opposizione (dei divieti) contro la violenza [della natura interna, J. H.] non sarebbe bastata, per dividere i due mondi. Se l'opposizione stessa non avesse avuto parte nell'attività violenta [ ... ], la ragione da sola non avrebbe posseduto sufficiente autorità, per determinare i limiti del trapasso. Soltanto la paura e lo spavento irriflessi possono offrire resistenza di fronte a provocazioni smisurate. Questa è la natura del tabù; esso rende possibile un mondo della quiete e della ragione, ma nel suo stesso principio è un tremore, che colpisce non l'intelligenza, bensl l'animo 43 • L'esperienza erotica è affine a quella religiosa in quanto collega l'accordo con i divieti più antichi all'estasi del terrore superato, che segue la profanazione: « L'esperienza interiore dell'erotismo richiede da chi la fa una sensibilità verso la paura che fonda il divieto, non meno grande che per l'esigenza che porta al suo trasgredimento. È la sensibilità religiosa che collega strettamente fra di loro esigenze e terrore, piacere immenso e paura » 44 • In un altro passo, Bataille descrive le fasi dell'eccesso che provoca vertigini come disgusto, poi il superamento del disgusto, cui segue l'ebbrezza 45 • 43 lvi, pp. 71 sgg. 44 lvi, p. 47. 45 Ciò che Bataille chiama l'esperienza interiore dell'erotico, M. Leiris lo aveva descritto nel 1931 nei << Documents » pubblicati da Bataille, per mezzo di una fotografia, che rappresenta una donna nuda con maschera di cuoio; questa maschera era stata confezionata secondo un progetto di W. Seabrock, che da lungo tempo studiava l'arte dell'avorio. Il testo di Leiris mostra come allora la 235 www.scribd.com/Baruhk Con un terzo passo, infine, Bataille perviene alla critica della morale, che getta il ponte verso la sociologia della religione di Max Weber. Egli considera lo sviluppo della religione dai riti arcaici alle religioni mondiali, dagli inizi giudaici del monoteismo fino al protestantesimo, come una via della razionalizzazione etica. Lutero e Calvino costituiscono il punto prospettico di una linea evolutiva, sulla quale i concetti religiosi fondamentali vengono moralizzati ed insieme le esperienze religiose spiritualizzate. Il sacro ambivalente, che scatena terrore e delizia, viene addomesticato e al contempo scisso. L'arcangelo Lucifero viene scacciato dal cielo. Alla benedizione del cielo si contrappone il male profano; insieme con la parte diabolica del sacro, anche l'erotico viene aggiudicato al mondo e condannato come peccato della carne. Con questa disambiguizzazione del sacro la coscienza del peccato diviene un carattere puramente morale. Ma quando l'eccesso religioso, come quello sensuale, non possono più avere l'accesso al sacro, allora la validità normativa delle leggi si affranca dallo sfondo d'esperienza autorizzante dell'eccesso, cioè dell'osata trasgressione sperimentale delle leggi. Nella tradizione ebraico-cristiana una morale autonoma può formarsi soltanto perché la dialettica di divieto e trasgressione viene sospesa, perché il sacro non squarcia più il mondo profano con i suoi fulmini. La critica della morale di Bataille non si rivolge contro la morale come tale, questa è soltanto il risultato di una razionalizzazione delle immagini religiose del mondo, che consente l'accesso ad un sacro privato della sua complessità, spiriricerca antropologica sul campo, l'esotismo nell'arte e l'erotismo entrano in alleanza tanto nell'esperienza personale quanto nella letteratura. Leiris si immagina la gioia sacrilega e il piacere satanico che il feticista prova al cospetto del corpo della donna mascherata e perciò disindividuata ad essere generico: «Con piena consapevolezza l'amore - siccome il cervello viene simbolicamente soffocato dalla maschera - è ridotto ad un processo naturale e bestiale, la fatalità che ci atterra è definitivamente domata. Infine questa donna, grazie alla maschera, è nelle nostre mani ancora soltanto la natura stessa, formata da leggi cieche, senza anima·· o personalità, una natura che tuttavia quest'unica volta ci è completamente incatenata, come anche la donna è incatenata. Lo sguardo, la quintessenza dell'espressione umana, è oscurato per un momento, il che conferisce alla donna un significato ancora più infernale e sotterraneo. E la bocca è ridotta, grazie alla stretta fessura che sola permette di riconoscerla, al ruolo animale di una ferita. La disposizìone corrente degli elementi ornanti infine è del tutto rovesciata: il corpo è nudo''e. la testa mascherata. Tutti questi sono elementi che fanno del cuoio (una materia da cui si ricavano stivali e fruste) utensili inauditi, che corrispondono meravigliosamente a ciò che in verità è l'erotico: un mezzo per uscire da se stessi, per lacerare i vincoli che ci sono imposti dalla morale, dall'intelletto e dai costumi, al contempo un modo di bandire le forze malvage, per offrire la fronte a Dio ed ai cerberi del mondo che lo rappresentano, in quanto si prende in possessÒ'la. sua proprietà, l'intero universo, in una delle sue parti particolarmente significàtive, ma qui non più distinte, e la sottopone alla sua coazione » (M. Leiris, Le 'caput mortuum ' ou la /emme de l'alchemiste, in << Documents », n. 8, 1931, pp. 260-62). 236 www.scribd.com/Baruhk tualizzato e univocizzato, e concentrato come Dio in un al di là. Il credente sviluppa una coscienza ancora soltanto morale, nella misura in cui viene tagliato fuori dalle esperienze religiose e sessuali di autosuperamento estatico. Pertanto l'evoluzione morale spiega la tendenza alla progrediente differenziazione fra gli ambiti della religione e dell'economia, del sacrificio e del lavoro - essa spiega l'espansione e la reificazione dell'ambito profano della vita sotto una coperta sempre più sottile di potenze sovrane, che si sottraggono sempre più ampiamente alle fonti della sovranità. In questa prospettiva si inserisce senza sforzo l'interpretazione weberiana dell'etica protestante: « Religione ed economia vengono liberate, in un solo e medesimo movimento, da ciò che sempre le aggrava, cioè la religione dal calcolo profano e l'economia da limiti extraeconomici » 46 • Anche se noi ritenessimo questa strategia esplicativa ricca di prospettive riguardo al capitalismo, non si può certo scorgere come essa possa venir resa feconda per l'analisi dell'impresa totalmente secolarizzata dell'industrializzazione sovietica controllata autoritariamente. Così resta aperta la domanda, perché la scomposizione pronosticata, la separazione attuata radicalmente delle sfere di una società del lavoro completamente razionalizzata da un lato, e della sovranità divenuta completamente extraterritoriale, tagliata fuori e inaccessibile dall'altro, debba ribaltarsi in uno stato che nelle condizioni della società industriale sviluppata liberi nuovamente le energie della sovranità originaria: « Se la completa formazione che Stalin voleva dare all'uomo totale del comunismo fosse in qualche misura degna del nome, allora quest'uomo verrebbe in un tempo, nel quale le opere della civilizzazione materiale non potrebbero essere abbandonate, anzitutto quel genere di sovranità che, connesso al rispetto volontario della sovranità dell'altro, contrassegnava i pastori e cacciatori primitivi. Se invero questi ultimi rispettavano la sovranità dell'altro, essi lo facevano soltanto di fatto » 47 -mentre l'umanità liberata, così si può ben completare, farebbe del reciproco rispetto della sovranità di ciascuno da parte di tutti il fondamento morale della loro convivenza. Bataille deve spiegare l'avventuroso ribaltamento dello stalinismo in un socialismo libertario, senza poter ricorrere alla figura concettuale di un movimento in sé dialettico dèlla ragione. Questa sfida egli la affronta con il suo progetto di un'economia generale. G. Bataille, CEuvres complètes, cit., vol. VII, p. 123. G. Bataille, Le Communisme et le Stalinisme, << Critique >>, 1953, nn. 72-73, p. 36. 46 47 in 237 www.scribd.com/Baruhk Finora l'economia, inclusa l'economia politica e la sua critica, è stata condotta dal limitato punto di vista del modo in cui possano essere effettivamente utilizzate risorse scarse all'interno della circolazione energetica della riproduzione della vita sociale. A questo punto di vista particolare Bataille contrappone ora quello, generale, della considerazione di un bilancio energetico cosmicamente ampliato. In base a questo mutamento di prospettiva, che egli compie in analogia alla trasposizione della prospettiva di economia aziendale dell'attore a quella economicopolitica del sistema, si rovescia anche la fondamentale questione economica: non più l'utilizzazione di risorse scarse, bensì l'erogazione disinteressata di risorse superflue diviene il problemachiave. Bataille parte, infatti, dall'ipotesi biologica che l'organismo vivente accumula più energia di quanta ne consuma per la riproduzione della sua vita. L'energia sovrabbondante viene usata per la crescita. Quando questa è giunta ad arrestarsi, l'eccedenza non assorbita di energia deve essere erogata improduttivamente - l'energia deve andar perduta senza guadagno. Ciò può, per principio, accadere in forma 'gloriosa' oppure ' catastrofica '. Anche la vita socioculturale sta sotto la pressione di energia eccedente. Questa può venir canalizzata, però, in diverse maniere; p. es. nell'estensione demografica, spaziale, o sociale, di collettivi o nel potenziamento della produzione e del tenore di vita, in generale: nella crescita della complessità. In ciò la crescita organica trova un equivalente sociale. Più appariscente è l'assorbimento delle energie vitali eccedenti da parte della morte e della procreazione, dell'annientamento di esistenze individuali e dalla produzione di nuove generazioni, che a loro volta cadono nell'annientamento. A questo sciupìo della natura corrisponde lo sciupìo degli strati sociali dominanti. Lo spreco sovrano, sia poi nelle forme economiche del consumo improduttivo o nelle forme erotiche e religiose dell'eccesso, assume così un posto centrale nell'economia dell'universo interpretata nel senso della filosofia della vita. Per contro, lo scatenamento delle forze produttive e la crescita capitalistica, in genere lo sviluppo industriale, rafforzano le eccedenze che non possono essere assorbite dal solo consumo produttivo. Nella stessa direzione operano le forze disciplinanti della morale, l'esecrazione del lusso, la proscrizione dei poteri sovrani, l'esclusione dell'eterogeneo. Ma quando la ricchezza eccedente non può essere sprecata in modo glorioso, cioè potenziante la vita, esaltante, le forme catastrofiche dello spreco si presentano come unico equivalente - avventure imperialistiche, guerre globali; oggi potremmo aggiungere l'inquina238 www.scribd.com/Baruhk mento ecologico e la distruzione atomica. Speculazioni sull'equilibrio nel bilancio energetico del cosmo e della società cosmica sono ora ciò che Bataille mette in campo per la sua attesa, che la reificazione totale debba rovesciarsi in una risurrezione del puro potere sovrano. Infatti la società del lavoro divenuta universale potenzierà tanto immensamente le eccedenze non assorbite, che la messa in scena di orge di spreco, di spese in grande stile diviene inevitabile - sia nella forma di catastrofi prevedibili oppure appunto nella forma di una società libertaria, che libera la sua ricchezza per lo spreco sovrano, il che significa: per eccessi, per l'autosuperamento dei soggetti, per l'abolizione dei confini della soggettività in generale. Non ho bisogno di addentrarmi nel contenuto di questa immagine del mondo, metafisica in senso cattivo, che viene svolta nella forma antropologicamente motivata di un superamento dell'economia: si tratti ora però di scienza o di puro surrogato della metafisica - in entrambi i casi, Bataille si vede messo a confronto con la medesima difficoltà, di fronte alla quale si era fermato il Nietzsche che procedeva scientificamente e come critico dell'ideologia. Se la sovranità e la sua fonte, il sacrale, si rapportano al mondo dell'agire razionale in vista del fine in modo del tutto eterogeneo; se il soggetto e la ragione si costituiscono soltanto in quanto limitano quei poteri; se l'Altro della ragione è più che l'irrazionale o l'ignoto, cioè l'incommensurabile, che non può venire toccato dalla ragione - nemmeno al prezzo dell'esplosione del soggetto razionale - allora non si danno le condizioni in base alle quali potrebbe essere sensatamente rappresentata come possibile una teoria tale da superare l'orizzonte di ciò che è accessibile alla ragione e da tematizzare o tantomeno da analizzare l'interazione della ragione con un potere originario trascendente. Bataille ha bensì sentito questo dilemma, ma non lo ha risolto. Egli ha meditato a fondo le possibilità della scienza non-oggettivante fino all'estremo in cui il soggetto conoscente non è partecipe soltanto alla costituzione dell'ambito oggettuale, non è unito e non comunica con questo tramite strutture transitorie, non vi è inserito intervenendo, bensì dove il soggetto conoscente ' nel suo punto di ebollizione ' deve abbandonare la propria identità, per recuperare quelle esperienze, alle quali era esposto nell'estasi, come traendo ancora la rete dall'oceano scatenato dei sentimenti. Altrimenti egli ricorre ostinatamente all'oggettività della conoscenza, anche all'impersonalità del metodo perfino per questa scienza ' da dentro', per un'analisi dell'' esperienza interiore'. Così, in questo problema centrale, egli rimane in un andirivieni inconcludente. 239 www.scribd.com/Baruhk In taluni passi Bataille slitta indietro, inavvertitamente, nella scia di una dialettica dell'Illuminismo - sempre, quando egli subordina le sue fatiche filosofiche e scientifiche al fine di acquisire vedute riflessive, che, tramite la trasformazione dei cupi sbigottiti in partecipanti coscienti di sé, devono raggiungere · potere pratico. Allora egli si rende conto, di nuovo, del paradosso di una critica della ragione totalizzante, autoriferentesi: «Noi non possiamo spingerei fino all'ultimo oggetto della conoscenza, senza che la stessa conoscenza che vuoi ridurre l'uomo a cosa subordinata e utilizzabile si dissolva [ ... ]. Nessuno può conoscere e al contempo preservarsi dall'annientamento » 48 • Alla fine della sua vita Bataille sembra voler utilizzare la possibilità che gli concede la sua duplice esistenza di scrittore e filosofo, per una ritirata dalla filosofia e dalla scienza. L'erotismo lo conduce alla veduta che la conoscenza dell'essenziale è riservata ad un'esperienza mistica, al silenzio che apre gli occhi: « Il linguaggio raccoglie la totalità di ciò che per noi ha significato, ma lo disperde subito [ ... ] La nostra attenzione resta diretta a quella totalità, che ci sfugge nella successione delle proposizioni, ma noi non possiamo mai raggiungere, che il balenare delle proposizioni successive cede alla grande illuminazione » 49 • Lo scrittore erotico può sempre usare il linguaggio in modo tale che il lettore sia sopraffatto dall'oscenità, sia colpito dallo shock del non-attendibile e irrappresentabile, sia precipitato nell'ambivalenza di disgusto e piacere. Ma la filosofia non può allo stesso modo evadere dall'universo del linguaggio: « Essa usa il linguaggio in modo tale, che non gli segue mai il silenzio. Così che il momento supremo supera necessariamente la problematica filosofica »so. Ma con questa frase Bataille smentisce i suoi propri sforzi, di attuare la critica radicale della ragione con i mezzi della teoria. 48 49 so G. Bataille, CEuvres comp/ètes, ci t., vol. VII, p. 76. G. Bataille, L'érotisme, cit., p. 304. Ibid. www.scribd.com/Baruhk 9. SMASCHERAMENTO CRITICO-RAZIONALE DELLE SCIENZE UMANE: FOUCAULT I Foucault non si trova con Bataille, come Derrida con Heidegger, in un rapporto di scuola e di successione. Comincia già a mancare il legame esteriore di una disciplina nella cui tradizione entrambi siano cresciuti insieme. Bataille si è occupato di etnologia e di sociologia senza rivestire mai un incarico accademico; Foucault era professore per la storia dei sistemi di pensiero al Collège de France. Tuttavia Foucault definisce Bataille uno dei suoi maestri. Naturalmente Bataille lo affascina come colui che si oppone al vortice snaturante dei nostri discorsi senza pregiudizi sulla sessualità e come colui che vuole restituire all'estasi, quella sessuale come quella religiosa, il suo proprio, specifico, senso erotico. Innanzitutto, però, Foucault ammira Bataille come colui che accosta testi d'invenzione e testi analitici, romanzi e riflessioni, che arricchisce la lingua con gesti della dépanse, dell'eccesso e della trasgressione, per evadere dalla lingua della soggettività trionfante. Interrogato circa i suoi maestri, Foucault offre una risposta istruttiva: Per molto tempo c'è stato in me una specie di conflitto mal risolto fra la passione per Blanchot e Bataille da un lato e, d'altro lato, l'interesse che nutrivo per certi studi positivi, come quelli di Dumézil e di Lévi-Strauss, per esempio. Ma in fondo queste due direzioni, il cui unico denominatore comune era costituito forse dal problema religioso, hanno contribuito in egual misura a condurmi al tema della scomparsa del soggetto 1• 1 P. Caruso (a cura di), Conversazioni con Claude Lévi-Strauss, Michel Foucault, facques Lacan, Milano 1969, p, 120. 241 www.scribd.com/Baruhk La rivoluzione strutturalista ha toccato sia Foucault sia altri esponenti della stessa generazione; essa ha trasformato tanto lui come Derrida in critici del pensiero antropologico-fenomenologico imperante da Kojéve fino a Sartre, e successivamente lo ha anche influenzato nelle scelte metodologiche. Foucault intende, al tempo stesso, questo ' discorso negativo sul soggetto ' introdotto da Lévi-Strauss come critica alla modernità. I motivi nietzschiani della critica della ragione non raggiungono Foucault attraverso Heidegger, ma attraverso Bataille. Egli elabora, poi, questi impulsi non da filosofo, ma da scolaro di Bachelard, ossia come uno storico della scienza il quale, a differenza di ciò che è usuale nel campo, si interessi più di scienze umane che di scienze naturali. Queste tre tradizioni riferibili ai nomi di Lévi-Strauss, Bataille e Bachelard, si collegano nel primo libro che ha fatto conoscere Foucault al di fuori della stretta cerchia degli specialisti: la sua Storia della follia nell'età classica (1961), che è uno studio sugli antecedenti e sulle origini della psichiatria. Nei procedimenti di analisi del discorso e nella metodica alienazione della propria cultura appare evidente il modello dell'etnologia strutturalistica. Già il sottotitolo avanza pretese critico-razionalistiche, promettendo una « storia della follia nell'età della ragione ». Foucault vuole mostrare come, a partire dalla fine del XVIII secolo, il fenomeno della follia si definisca quale malattia dello spirito. Con questo obiettivo, ricostruisce la storia della genesi del discorso, nella quale gli psichiatri del XIX e XX secolo parlano della follia. Ciò che eleva questo libro sopra gli studi d'impianto storico-culturale di uno storico della scienza, è l'interesse filosofico per la follia come fenomeno complementare alla ragione: una ragione divenuta monologica tiene a distanza dal corpo la follia per potersi impossessare senza pericolo di esso come di un oggetto purificato della soggettività razionale. Foucault analizza la clinicizzazione che presenta la malattia mentale essenzialmente come fenomeno medico, quale esempio di quei processi di emarginazione, proscrizione ed estromissione dalle cui tracce Bataille aveva ricavato la storia della razionalità occidentale. La storia della scienza si amplia sotto le mani di Foucault a storia della razionalità, poiché essa persegue il costituirsi della follia specularmente al costituirsi della ragione. Foucault chiarisce programmaticamente- di « voler scrivere la storia delle delimitazioni [ ... ] con cui una cultura respinge qual- 242 www.scribd.com/Baruhk cosa che per essa si trova all'esterno » 2 • Egli classifica la follia nella categoria di quelle esperienze-limite nelle quali il logos occidentale, in modo sommamente ambivalente, si vede di fronte ad un eterogeneo. Alle esperienze che superano il limite appartengono il contatto con il mondo orientale e l'immersione in esso (Schopenhauer), la riscoperta del tragico, in genere dell'arcaico (Nietzsche); la penetrazione nella sfera dei sogni (Freud) e dei divieti arcaici (Bataille), anche l'esotismo alimentato dalle relazioni degli antropologi. Foucault ne lascia, invece, fuori il romanticismo, a prescindere da un accenno a Holderlin 3 • Al contempo, ancora un motivo romantico, che Foucault più tardi abbandonerà, attraversa Follia e società. Come Bataille scopre la penetrazione di violenze eterogenee all'interno del mondo omogeneo di un quotidiano normalizzato coattivamente, nelle esperienze paradigmatiche dell'autolimitazione estatica e dell'autodissolvimento orgiastico, così Foucault, dietro il feno2 M. Foucault, Wahnsinn und Gesellscha/t, Frankfurt a. M. 1969, p. 9 (prefazione dell'autore all'edizione tedesca di Histoire de la Folie). 3 Già Schelling e la filosofia romantica della natura avevano concepito la follia come un altro dalla ragione, prodotto da una scomunica (Exkommunikation), naturalmente in una prospettiva di riconciliazione estranea a Foucault. Mentre il legame comunicativo tra il folle (o il colpevole) e la totalità costituita razionalmente della vita pubblica viene reciso, entrambe le parti risentono di una deformazione - sono alterati coloro i quali ora sono rigettati sulla normalità coattiva di una ragione ancor solo soggettiva, non meno di coloro che sono espulsi dalla normalità. La follia ed il male negano la normalità in quanto diventano pericolosi per essa in un duplice modo - come ciò che disturba la normalità il cui ordine pone in questione, ma anche come ciò che mette in luce di fronte alla normalità la sua carenza, mentre si sottrae ad essa. Folli e delinquenti possono, naturalmente solo come ragione distorta, grazie dunque ai momenti separati dalla ragione comunicativa, dispiegare questa forza di negazione attiva. Questa figura ·di pensiero idealistica, che deve comprendere una intrinseca dialettica della stessa ragione, Foucault, Bataille e Nietzsche l'hanno abbandonata. Discorsi razionali affondano continuamente le radici in strati che delimitano la ragione monologica. Questi fondamenti di senso muti, che si trovano alla base della razionalità occidentale, sono essi stessi privi di senso; devono venire riesumati come i monumenti muti di un'età arcaica, quando la ragione deve venire alla luce in un rapporto di scambio e di opposizione con il suo altro. In questo senso l'archeologo è il modello per lo storico della scienza che opera in modo storico-razionale, posto che costui si sia lasciato insegnare da Nietzsche che la ragione educa in se stessa la sua struttura solo per la via dell'estromissione di elementi eterogenei, solo per la via dell'accentramento monadico. Non c'è nessuna ragiorle prima di quella monologica. Perciò la follia non appare come il risultato di un processo di scissione, nel corso del quale la ragione comunicativa si sarebbe irrigidita in una ragione incentrata sul soggetto. Il suo processo di formazione è in pari tempo quello della ragione che non si presenta in alcuna altra forma se non in quella occidentale di una soggettività riferita a se stessa. Quella ' ragione ' dell'idealismo tedesco, che vuole essere più originaria di ciò che ha preso corpo nella cultura europea, appare ora proprio come quella finzione con la quale l'Occidente si fa conoscere nella sua peculiarità, con la quale esso si arroga una universalità chimerica e vela ed impone, al contempo, la sua globale pretesa di dominio. 243 www.scribd.com/Baruhk meno della follia, generato psichiatricamente, e in genere dietro le varie maschere della follia, suppone ancora un autentico, al quale non resta che d'aprire la bocca sigillata: « Bisognerebbe volgersi con orecchio attento a quel mormorìo del mondo, e tentare di percepire le tante figure che non hanno trovato la propria espressione nella poesia, i tanti fantasmi che mai hanno ottenuto colori nello stato di veglia» 4 • Certo, Foucault riconosce subito il paradosso del compito di afferrare la verità della follia « nel suo primo emergere, avanti di essere afferrato attraverso la scienza »: « La percezione, che cerca di afferrare queste parole in condizione incontrollata, fa parte necessariamente di un mondo che essa ha già preso in pugno ». Nondimeno sta qui dinnanzi all'autore ancora un'analisi del discorso che si riconduce, sul piano di una ermeneutica del profondo, agli ambiti originari di quella iniziale biforcazione di follia e ragione, per decifrare nel parlato il non-detto 5 • Questa intenzione indica la direzione di una dialettica negativa che per mezzo del pensiero identificante, cerca di evadere dal suo cerchio incantato, per giungere, lungo la storia dell'origine della ragione strumentale, fino al luogo dell'usurpazione originaria e della separazione di una ragione fortificatasi in monade dalla mimesis, e circoscrivere questo luogo almeno aporeticamente. Se questa fosse la sua intenzione, Foucault dovrebbe vagabondare come uri archeologo nel paesaggio di rovine di una ragione obiettiva distrutta, dalle cui mute testimonianze ricavare retrospettivamente la prospettiva di una speranza (seppure da tempo ritrattata) di riconciliazione. Ma questa è la prospettiva di Adorno, non quella di Foucault. Chi non vuole smascherare nient'altro, se non la nuda figura della ragione incentrata sul soggetto, non può abbandonarsi ai sogni, che coglie all'improvviso questa ragione nel suo ' sapore antropologico '. Tre anni più tardi, nella prefazione alla sua Nascita della clinica, Foucault si richiama all'ordine da sé. Egli intende rinunciare in futuro al rapporto commentante con la parola, ad ogni ermeneutica che preme ancora così profondamente sotto la superficie del testo. Ora cerca dunque dietro il 4 M. Foucault, Wahnsinn und Gesellschaft, cit., p. 13. Dal momento che ci manca l'originaria purezza, la ricerca della struttura deve ricondurre a quella decisione che separa e lega, al contempo, ragione e follia. Essa deve tentare di scoprire lo scambio costante, l'oscura radice comune e l'originaria contrapposizione che dà un senso tanto all'unione, quanto all'opposizione di senso e pazzia. Cosl potrà nuovamente comparire la fulminea decisione che all'interno del tempo storico è eterogenea, ma all'esterno di questo è intoccabile, che separa ogni borbottio di insetti scuri dalla lingua della ragione e dalle promesse del tempo» (lvi, p. 13). 5 << 244 www.scribd.com/Baruhk discorso sulla follia non più la follia stessa, dietro la archeologia dello sguardo medico non più quel silenzioso contatto del corpo con l'occhio, che sembrava precedere ogni discorso. Egli rinuncia, diversamente da Bataille, all'approccio evocativo all'emarginato ed al proscritto, gli elementi eterogenei non pmmettono più nulla. Un'ermeneutica, pur sempre ancora smascherante, congiunge con la sua critica ancora sempre una promessa; da questo si deve liberare un'archeologia disincantata: Non è forse possibile fare un'analisi del discorso, che non presumesse alcuna rimanenza ed alcun avanzo di significato in ciò che è stato detto, bensl soltanto ancora il fatto del suo comparire storico? Non bisognerebbe allora trattare appunto i fatti discorsivi come noccioli autonomi di significati plurimi, bensì come eventi ed elementi funzionali, che formano un sistema che si costituisce progressivamente. Il senso di una affermazione non sarebbe definito grazie al patrimonio delle intenzioni in essa contenute, tramite cui viene subito scoperta e repressa, bensì tramite la differenza che la affianca ad altre affermazioni reali e possibili, contemporanee o contrapposte nel tempo. Cosl comparirebbe il contenuto sistematico del discorso 6, Qui si dà già ad intendere la concezione di una scrittura della storia che Foucault, sotto l'influenza di Nietzsche, a partire dalla fine degli anni '60, contrappone come una sorta di anti-scienza a quelle scienze umane che sono sistemate nella storia della ragione e pertanto svalutate. Alla luce di questa concezione, Foucault etichetterà i suoi primi lavori sulla follia (e sul sorgere della psicologia clinica), nonché quelli sulla malattia (e lo sviluppo della medicina clinica) come dei 'tentativi ciechi', almeno in parte. A questo punto, voglio però accennare a certi temi che istituiscono una continuità di fatto tra i lavori iniziali e quelli ultimi. II Già in Follia e società, Foucault esamina il legame specifico di discorsi e pratiche. Non si tratta qui del noto tentativo di spiegare uno sviluppo della scienza ricostruita internamente a partire da condizioni esterne alla scienza. In luogo del punto di vista interno di una storia della teoria governata problema6 M. Foucault, Naissance de la clinique. Une archéo/ogie du regard médical, Paris 1963 (tr. it., Nascita della clinica. Il ruolo della medicina nella costituzione delle scienze umane, Torino 1969, p. 12). 245 www.scribd.com/Baruhk ticamente, entra in primo piano la descrizione strutturale di discorsi fortemente selezionati, singolari, che si inserisce nelle lacune occultate dalla valutazione storico-problematica, dunque proprio laddove un nuovo paradigma comincia a contrapporsi ad uno vecchio. Del resto i discorsi degli scienziati sono vicini ad altri discorsi, tanto ai discorsi filosofici quanto a quelli delle professioni accademiche, vale a dire dei medici, giuristi, magistrati, teologi, pedagoghi. Certo, le scienze umane, che costituiscono l'ostinato punto fermo degli studi di Foucault, non si trovano soltanto nel contesto di altri discorsi; ancora più importanti per la storia della loro genesi, sono le mute pratiche, nelle quali sono introdotte. Tra queste Foucault comprende le regolazioni dei modi d'agire e delle abitudini, istituzionalmente consolidate, spesso anche pervenute a corposità architettonica e a spessore rituale. Nel concetto di pratica, Foucault ha colto il momento dell'intervento violento, asimmetrico, sulla libertà di movimento dei partecipanti all'interazione. Giudizi giuridici, misure poliziesche, ammaestramenti pedagogici, internamenti, punizioni, controlli, forme dell'addestramento corporale ed intellettuale rappresentano in modo esemplare l'intromissione di forze socializzanti, organizzative, nel sostrato naturale di creature viventi. Foucault si concede un concetto del sociale, del tutto asociale. E le scienze umane lo interessano, in linea di principio, solo come media, che rafforzano e promuovono, nella modernità, il mostruoso processo di questa socializzazione, cioè il depotenziamento di interazioni concrete, mediate corporalmente. Resta, comunque, non chiaro il problema di come siano in relazione i discorsi con le pratiche: se gli uni governino le altre; se la loro relazione debba venir concepita come base e sovrastruttura o piuttosto secondo il modello di una causalità circolare o ancora come interferenza di struttura ed evento. Anche alle sezioni epocali in cui si articola la storia della follia, Foucault è sempre rimasto fedele. Sullo sfondo, non ben delineato dell'alto Medioevo, che ancora rimanda agli inizi del logos greco 7 , si profilano più chiaramente i contorni del Rinascimento, il quale, a sua volta, dà risalto all'età classica, descritta con chiarezza e simpatia (dalla metà del XVII alla fine del XVIII secolo). La fine del XVIII secolo segna dunque la peripezia del dramma storico-razionale, quella soglia alla modernità che è costituita dalla filosofia kan7 M. Foucault, Wahnsinn und Gesellscha/t, cit., pp. 8 sg. Non ho più potuto prendere in considerazione gli or ora pubblicati volumi II e III della Storia della sessualità. 246 www.scribd.com/Baruhk tiana e dalle nuove scienze umane. A queste epoche, debitrici dei loro nomi convenzionali alle cesure storico-culturali e storico-sociali, Foucault dà un significato più profondo a misura delle mutevoli costellazioni di ragione e follia. Al XVI secolo, ascrive una certa inquietudine autocritica e una certa apertura in relazione ai fenomeni della follia. La ragione ha ancora una permeabilità osmotica, mentre la follia si trova ancora in relazione con il tragico ed il profetico, è luogo di verità apocrife; ha la funzione di uno specchio che smaschera ironicamente le debolezze della ragione. La predisposizione per le illusioni fa parte del carattere della ragione stessa. Durante il Rinascimento, dalla relazione della ragione con il suo altro non è ancora obliterata ogni reversibilità. Su questo sfondo, due processi assumono il significato di eventi liminari nella storia della ragione: l'ondata di internamenti alla metà del XVII secolo, quando a Parigi, per esempio, nell'arco di pochi mesi del 1656, fu arrest~to e internato un abitante su cento; e parimenti, alla fine del XVIII secolo, la trasformazione di questi ospizi e luoghi di internamento in veri e propri istituti di reclusione con assistenza medica per malattie mentali medicamente diagnosticate; vale a dire, la nascita di quelle istituzioni psichiatriche che sussistono ancora oggi, ed il cui smantellamento viene propugnato dal movimento antipsichiatrico. Entrambi gli eventi, innanzitutto l'internamento indiscriminato di pazzi, criminali, vagabondi, libertini, poveri, eccentrici di ogni tipo, e più tardi, l'organizzazione di cliniche per il trattamento di malati di mente, evidenziano due tipi di pratiche; entrambi servono alla emarginazione di elementi eterogenei da quel monologo gradualmente rinsaldantesi che il soggetto, sollevato infine alla ragione umana comune, conduce con se stesso, mentre trasforma in oggetto tutto intorno a sé. Come in indagini successive, al punto centrale si trova il confronto dell'età classica con la modernità. Entrambi i generi di pratiche di esclusione concordano nel fatto che conseguono con la forza una separazione e cancellano rigorosamente dal quadro della follia quei tratti che sono simili alla ragione. Solamente l'internamento indiscriminato di tutto il deviante significa solo la segmentazione spaziale del diseredato e bizzarro lasciato a se stesso, non ancora l'addomesticante confronto con un caotico suscitante angoscia, che deve essere integrato, come patimento e come patologia, all'ordine della natura come degli uomini: « Il Classicismo non aveva rinchiuso soltanto una ragione astratta, in cui si confondevano folli e libertini, malati e criminali, ma anche una prodigiosa riserva di fantastico, un 247 www.scribd.com/Baruhk mondo addormentato di mostri inghiottiti nella notte di Bosch » 8 • Solo nel tardo XVIII secolo cresce la paura di fronte ad una follia che sarebbe potuta fuoriuscire attraverso le fessure del ricovero, cresce anche la compassione per i malati di nervi ed una sensazione di colpa per averli associati a luridi malfattori ed abbandonati alloro destino. La purificazione clinica del ricovero ormai riservato ai malati procede di pari passo con l'aggettivazione scientifica della pazzia e del trattamento psichiatrico dei pazzi. Questa clinicizzazione significa al contempo una umanizzazione della sofferenza ed una naturalizzazione della malattia 9 • Con ciò viene affrontato un ulteriore argomento, che Foucault tratterà con sempre maggior intensità: il legame costitutivo delle scienze umane con le pratiche di un isolamento sorvegliato. La nascita dell'istituto psichiatrico, della clinica in genere, è validamente utilizzabile come esempio di una forma di disciplinamento che più tardi Foucault descriverà senz'altro come la moderna tecnologia di dominio. L'archetipo dell'istituto chiuso, che in seguito Foucault scopre nel mondo, costruito come clinica, del manicomio, ritorna nelle forme della fabbrica, del carcere, della caserma, della scuola e del convitto di cadetti. In queste istituzioni totali che eliminano le differenziazioni sorte naturalmente nella vita della vecchia Europa ed innalzano l'eccezionalità dell'internamento ad una normale procedura di ricovero, Foucault vede i monumenti della vittoria della ragione regolamentante. Questa non assoggetta a se stessa più solo la follia, bensì tanto la natura di bisogno dei singoli organismi quanto il corpo sociale di una popolazione nel suo insieme 10 • a M. Foucault, Histoire de la Folie, Paris 1961, p. 380 (tr. it., Storia della follia nell'età classica, Milano 1963, p. 402). 9 Foucault descrive efficacemente un ricovero che, al tempo delle riforme, alla fine del XVIII secolo, muta profondamente aspetto e funzione per cosl dire sotto gli sguardi degli psichiatri: «Un tempo, questo villaggio significava che i folli erano rinchiusi e che l'uomo di ragione ne era protetto; ora testimonia che il folle (aussortiert, Hb.) è liberato e che in questa libertà che lo riaccosta alle leggi della natura egli si riunisce all'uomo di ragione. [ ... ] Senza che nulla si sia ancor sostanzialmente mutato nelle istituzioni, il significato dell'esclusione e dell'internamento comincia ad alterarsi: esso prende lentamente dei valori po· sitivi, e lo spazio neutro, vuoto, notturno, in cui un tempo la sragione veniva restituita al suo nulla, comincia a popolarsi di una natura (dominata medicamente) alla quale la follia, liberata, è obbligata come patologia a sottomettersi>>, M. Foucault, op. cit., p. 35 (tr. it. cit., p. 375). Mie le aggiunte fra parentesi. IO << Alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna dell'anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano, ciascuna, tutto lo spessore della costruzione; esse hanno due finestre, una verso l'interno, corrispondente alla finestra della torre; l'altra, verso l'esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, ed in ogni cella rinchiudere un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro. Per effetto del controluce, si possono cogliere dalla torre, stagliandosi 248 www.scribd.com/Baruhk Per gli Istituti lo sguardo che oggettiva ed esamina, che scompone analiticamente, controlla e tutto compenetra, assume una funzione formatrice di strutture; è lo sguardo del soggetto razionale, che ha perduto tutti i collegamenti puramente intuitivi col suo ambiente, ha rotto tutti i ponti dell'intesa intersoggettiva, ed al quale, nel suo isolamento monologico, altri soggetti sono accessibili ancora solo nella posizione di oggetti d'osservazione non partecipe. Nel Panoptikon progettato da Bentham questo sguardo si è per così dire coagulato in architettura. La stessa struttura presiede alla culla delle scienze umane. Non è un caso che queste scienze, avanti a tutte la psicologia clinica, ma anche la pedagogia, la sociologia, la politologia e l'antropologia culturale, possano incastrarsi quasi senza attriti nella tecnologia del potere che trova espressione architettonica nell'istituto chiuso. Esse vengono convertite in terapie e tecniche sociali e costituiscono così il medium più efficace della nuova violenza disciplinatrice che domina la modernità. Devono questo al fatto che lo sguardo penetrante del cultore d'esse può assumere quello spazio centrale del Panoptikon, dal quale si vede senza esser visti. Già nello studio sulla nascita della clinica, Foucault ha concepito lo sguardo dell'anatomista addestrato sul cadavere umano come ' il concreto a priori ' delle scienze dell'uomo. Già nella storia della follia, egli è sulla pista di questa originaria affinità tra la struttura del ricovero ed il rapporto medico-paziente. In entrambi, nell'organizzazione dell'istituto di sorveglianza come nell'osservazione clinica dei pazienti, è attuata la separazione . fra vedere ed esser visti, che collega l'idea della clinica con quella di una scienza dell'uomo. ! l'idea che altrettanto originariamente perviene al potere con la ragione incentrata sul soggetto: cioè, che la soppressione di relazioni dialogiche trasforma i soggetti, resi rispettivamente monologici, in oggetti, e solo in oggetti. Dall'esempio d_egli sforzi riformistici dai quali provengono l'istituto psichiatrico e la psicologia clinica, Foucault sviluppa conclusivamente quella intima affinità di umanismo e terrore che esattamente, le piccole silhouettes prigioniere nelle celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile>> (M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris 1975, p. 201; tr. it., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino 1976, p, 218). Delle funzioni del vecchio carcere - imprigionamento, oscuramento, occultamento - resta solo il primo mantenuto: la limitazione della libertà di movimento è necessaria per soddisfare alle condizioni in certo qual modo sperimentali per l'installazione dello sguardo concretatosi. « Il Panoptikon è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti: nell'anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere; nella torre ,centrale, si vede tutto, senza mai essere visti» (lvi, p, 203; tr. it. cit., p. 220)/ 249 www.scribd.com/Baruhk conferisce alla sua critica della modernità tutta la sua asprezza e crudeltà. Nella nascita dell'istituto psichiatrico dalle idee umanitarie dell'Illuminismo, Foucault evidenzia, per la prima volta, quel « doppio movimento di liberazione e asservimento » che più tardi egli riconosce su un fronte più vasto nelle riforme del sistema penale, del sistema educativo, della sanità, dell'assistenza sociale, ecc. La liberazione, su basi umanitarie, dei pazzi dal mero internamento senza custodia, la creazione di cliniche igieniche con obiettivi medici, il trattamento psichiatrico dei malati di mente, il diritto che questi acquisiscono alla comprensione psicologica e al trattamento terapeutico, tutto ciò diventa possibile grazie ad un ordinamento d'istituto che riduce il paziente ad oggetto di continua sorveglianza, manipolazioni, isolamento e regolamentazione, ed in primo luogo ad oggetto di ricerca medica. Le pratiche che si consolidano istituzionalmente nell'organizzazione interna della vita dell'istituto sono la base per una conoscenza della follia che conferisce a questa anzitutto l'obiettività di una patologia portata sul concetto, e poi la inquadra nell'universo della ragione. Una liberazione ambigua, nel doppio senso di emancipazione e di eliminazione, significa la conoscenza psichiatrica certo non solo per il paziente, ma anche per il medico, il positivista nella pratica: « La conoscenza della follia presuppone, per colui che la possiede, un certo modo di liberarsi di essa, di essersi in anticipo Gtru;cato dai s1,1oi rischi e dai suoi prestigi [ ... ] Originariamente esso è la fissazione di un modo particolare di esser fuori dalla follia » 11 • Non tratterò questi quattro temi singolarmente; piuttosto seguirò la questione se a Foucault riesca, nella forma di una storiografia delle scienze umane impostata archeologicamente ed ampliata a genealogia, di condurre una critica radicale della ragione, senza impigliarsi nelle aporie di quest'impresa relativa a se stessa. Nei suoi primi lavori, era rimasto irrisolto, al pari del rapporto discorsi/pratiche, il problema metodico di come si possa scrivere la storia delle costellazioni di ragione e follia, se, da parte sua, il lavoro dello storico deve ancora muoversi nell'orizzonte della ragione. Nelle premesse agli studi apJ?arsi all'inizio degli anni '60, Foucault si pone questa domanda senza rispondervi; pare esser stata nel frattempo risolta, allorché tiene la sua prolusione al Collège de France nel 1970. La linea di confine tra ragione e follia si ripresenta qui come uno dei tre meccanismi di esclusione in forza dei quali si costituisce il discorso ragionevole. L'eliminazione della follia si trova a metà 11 M. Foucault, Hìstoìre de la Folìe, cit., p. 480 (tr. it. cit., p. 522). 250 www.scribd.com/Baruhk fra l'operazione più appariscente, da una parte, di tener lontano dal discorso oratori riluttanti, soffocare temi sgradevoli, censurare espressioni, ecc. e, dall'altra, l'operazione per nulla rimarcabile, di distinguere fra asserzioni valide o non valide all'interno di un discorso intrapreso. Foucault ammette che, a prima vista, non è plausibile intendere le regole per l'eliminazione di asserzioni sbagliate secondo il modello della emarginazione della follia e della proscrizione dell'eterogeneo: Come si potrebbe paragonare in modo ragionevole la costrizione della verità con partizioni come quelle, partizioni arbitrarie o che comunque si organizzano attorno a contingenze storiche, [ ... ] che si spostano costantemente, che sono sorrette da un intero sistema di istituzioni che le impongono o le riconfermano; che non si esercitano infine senza costrizione, o senza almeno una parte di violenza? 12 • Naturalmente Foucault non si lascia impressionare dal riferimento all'ostentata mancanza di costrizione dell'argomento cogente, con il quale in genere si affermano pretese di verità, pretese di validità. L'apparente mancanza di violenza dell'argomento migliore scompare non appena ci si colloca ' su un altro piano ' e si assuma l'atteggiamento dell'archeologo, che orienta il suo sguardo sui fondamenti di senso seppelliti, sulle infrastrutture da scoprire faticosamente, che pure solo stabiliscono che cosa, all'interno di un discorso, debba essere considerato, di volta in volta, vero e falso. La verità è un meccanismo di esclusione subdolo, perché funziona solo a condizione che rimanga celata la volontà di verità che, di volta in volta, la pervade: ~ come se per noi la volontà di verità e le sue peripezie venissero mascherate dalla verità stessa nel suo necessario svolgimento [ ... ]. Il discorso vero, che la necessità della sua .forma affranca dal desiderio e libera dal potere, non può riconoscere la volontà di verità che lo attraversa; e la volontà di verità, che da molto tempo si è imposta a noi, è sifiatta, che la verità ch'essa vuole, non può non mascherarla 13, I criteri di validità secondo i quali viene separato, di volta in volta, all'interno del discorso, vero da falso, persistono in una singolare trasparenza e mancanza d'origine - la validità deve allontanare da sé tutto il meramente genetico, anche la 12 M. Foucault, L'ordre du discours, Paris 1971, p. 15 (tr. it., L'ordine del discorso, Torino 1972, p. 13). 13 lvi, p. 215 (tr. it. cit., p. 17). 251 www.scribd.com/Baruhk provenienza dalle regole costitutive del discorso che stanno alla base, che l'archeologo dissotterra. Le strutture che rendono possibile la verità, possono esse stesse essere così poco vere o false, che· si può ricercare unicamente la funzione della volontà pervenuta in esse ad espressione, così come la genealogia di questa volontà da un intreccio di pratiche di forza. Dall'inizio degli anni '70, Foucault distingue cioè l'archeologia del sapere, che scopre le regole di esclusione del discorso costituenti la verità, dall'esame genealogico delle pratiche che vi appartengono. La genealogia esamina come si formano i discorsi, perché compaiono e nuovamente scompaiono, col seguire la genesi delle condizioni di validità storicamente variabili fin dentro alle radici istituzionali. Mentre l'archeologia segue lo stile di una dotta disinvoltura, la genealogia è dedita ad un « positivismo felice» 14 • Se però, l'archeologia potesse procedere dottamente e la genealogia con positivismo innocente, sarebbe risolto il paradosso metodico di una scienza, che scrive la storia delle scienze umane con l'obiettivo di una critica radicale della ragione. III Foucault deve il concetto di una storiografia che si presenta come antiscienza, positivistico-erudita, alla recezione di Nietzsche, che si riflette nella introduzione all'Archeologia del sapere (1969) e nel saggio su Nietzsche, la genealogia, la storia (1971). Considerato filosoficamente, questo concetto offre, si direbbe, un'alternativa promettente a quella critica della ragione che in Heidegger e Derrida aveva assunto l'aspetto temporalizzato di una filosofia dell'origine. L'intero peso della problematica ricade ora naturalmente sul concetto fondamentale di potere, che solo dà il suo orientamento di critica della modernità ai lavori di scavo archeologici come alle scoperte genealogiche. L'autorità di Nietzsche, dal quale è preso a prestito questo concetto di potere del tutto estraneo alla sociologia, non è naturalmente sufficiente a giustificarne l'uso sistematico. Il contesto politico della recezione di Nietzsche - la delusione per la rivolta fallita nel 1968 - rende certo comprensibile biograficamente il concetto di una storiografia critico-razionale delle scienze umane; ma anch'esso non può legittimare l'uso specifico del concetto di potere, sul quale Foucault scarica la sua paradossale impresa. La svolta verso la teoria del potere dev'essere piuttosto intesa 14 lvi, p. 72 (tr. it. cit., p, 53). 252 www.scribd.com/Baruhk come il superamento, internamente motivato, di problemi di fronte ai quali Foucault si vede posto dopo aver realizzato, nell'Ordine delle cose, uno smascheramento delle scienze umane esclusivamente sulla base di mezzi analitico-discorsivi. Anzitutto, però, qualche osservazione sull'adozione, da parte di Foucault, del concetto di ' genealogia '. La storiografia genealogica può assumere il ruolo criticorazionale di un'anti-scienza solo quando esce dall'orizzonte appunto di quelle scienze dell'uomo orientate storicamente, il cui vuoto umanesimo Foucault intende smascherare grazie alla teoria del potere. La nuova storia deve rifiutare tutte quelle premesse che sono state costitutive per la conoscenza storica della modernità, per il pensiero filosofico-storico e per l'Illuminismo storico, dalla fine del XVIII secolo. Ciò spiega perché la seconda considerazione inattuale di Nietzsche risulti, per Foucault, una vera e propria miniera. Appunto con intenzione analoga, Nietzsche aveva sottoposto lo storicismo del suo tempo ad una critica severa. Foucault vuole a) lasciare dietro di sé la presentistica coscienza del tempo della modernità. Vuole farla finita con il privilegiare un presente caratterizzato dal peso del problema di un futuro accettato con responsabilità, un presente narcisisticamente riferito al passato. Foucault chiude i conti con il presentismo di una storiografia che non supera la sua finale situazione ermeneutica e che si lascia arruolare per provvedere allo stabilizzante accertamento di un'identità peraltro da gran tempo frammentata. Pertanto la genealogia non deve andare alla ricerca di un'origine, bensl scoprire gli inizi contingenti delle formazioni del discorso, analizzare la molteplicità delle storie di origine fattuali, e spiegare l'apparenza d'identità o, a dir meglio, l'identità presunta dello stesso soggetto storiografico e quella dei suoi coetanei: « Là dove l'anima ha la pretesa di unificarsi, dove l'Io diventa un'identità o una coerenza, la genealogia va alla ricerca di un principio [ ... ]. L'analisi della provenienza permette di dissociare l'io e di far pullulare nei luoghi della sua vuota sintesi migliaia di avvenimenti smarriti » 15 • Deriva da ciò b) la conseguenza metodica di un commiato dall'ermeneutica. La nuova historie non serve alla comprensione, ma alla distruzione ed al ramificarsi di quel contesto storicoeffettuale, che collega presumibilmente lo storico con un oggetto col quale entra in comunicazione solo per ritrovarvicisi esso 15 M. Foucault, Nietzsche, la généalogie, l'histoire, in Hommage à Jean Hyppolite, Paris 1971 (tr. it., Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere, Torino 1977, p. 357). 253 www.scribd.com/Baruhk stesso: «Bisogna staccare la storia dalla immagine [ ... ] in cui trovava la sua giustificazione antropologica: quella di una memoria millenaria e collettiva che cerca l'aiuto di documenti [ ... ] per ritrovare la freschezza del suo ricordo» 16 • Lo sforzo ermeneutico mira all'acquisizione di un senso, intuisce in ogni documento una voce messa a tacere che deve essere nuovamente richiamata in vita. Questa idea del documento gravido di senso dev'essere messa in dubbio non meno radicalmente del mestiere stesso dell'interpretare. Giacché il ' commento ' e le relative finzioni di 'opera' e di ' autore' come prima origine del testo, anche la riconduzione di testi secondari ai primari, insomma tutta la produzione di causalità storiografiche sono strumenti di una inammissibile riduzione di complessità, sono processi di arginamento del traboccare spontaneo di discorsi che l'interprete postumo vuole adattare solamente a sé, vuole adeguare al suo provinciale orizzonte intellettivo. L'archeologo, invece, ritrasformerà i documenti eloquenti in monumenti muti, in oggetti che devono essere liberati dal loro contesto per diventare accessibili ad una descrizione strutturalistica. Il genealogista si avvicina dall'esterno ai monumenti scoperti archeologicamente per spiegare la loro provenienza dal ritmo contingente di battaglie, vittorie e sconfitte. Solo lo storico, che disprezza sovranamente tutto ciò che si rivela alla comprensione del senso, può sfuggire alla funzione fondativa del soggetto conoscente. Egli ravvisa come mero inganno quella « garanzia che tutto ciò che gli è sfuggito, gli potrà essere (anche) reso; [ ... ] la promessa che il soggetto potrà un giorno - sotto la specie della coscienza storica - impadronirsi nuovamente di tutte le cose che la differenza tiene lontane » 17 • I concetti fondamentali della filosofia del soggetto non governano solo il tipo di accesso all'ambito dell'oggetto, ma anche la storia stessa. Pertanto Foucault vuole soprattutto c) farla finita con una storiografìa globale che concepisce segretamente la storia come una macra-coscienza. La storia al singolare deve essere nuovamente risolta, certo non nella molteplicità delle storie narrative, ma in un pluralismo di isole di discorso che, senza regole, emergono e si inabissano di nuovo. Lo storico critico risolverà, in primo luogo, le false continuità, e presterà attenzione alle fratture, alle soglie, ai cambiamenti di direzione. Egli non instaura connessioni teleologiche; non si occupa delle grandi causalità; non fa i conti con sintesi, rinuncia a principi colleganti come 16 M. Foucault, L'archéologie du savoir, Paris 1969, p. 14 (tr. it., L'archeologia del sapere, Milano 1971, p, 10). 17 lvi, p. 22 (tr. it. cit., p. 18). 254 www.scribd.com/Baruhk progresso ed evoluzione, non suddivide la storia per epoche: « Il progetto di una storia globale è quello che cerca di ricostruire nel suo insieme la forma di una civiltà, il principio, materiale o spirituale di una soçietà, il significato comune di tutti i fenomeni di un periodo, la legge che spiega la loro coesione, insomma, ciò che, metaforicamente, si chiama il 'volto' di un'epoca» 18 • Al posto di questo, Foucault prende a prestito dalla 'storia seriale' della scuola delle Annales, le vedute orientate programmaticamente di un procedimento strutturalistico che fa i conti con una pluralità di storie sistemiche non simultanee, e costruisce le loro unità analitiche in base a indicatori lontani dalla coscienza, comunque rinunciando ai mezzi concettuali delle prestazioni sintetiche di una coscienza supposta, dunque alla formazione di totalità 19 • In tal modo viene eliminata anche l'idea della riconciliazione, un'eredità della filosofia della storia, a cui aveva disinvoltamente attinto ancora la critica della modernità collegata ad Hegel. Un brusco rifiuto tocca ad ogni storia, « che avrebbe la funzione di raccogliere in una totalità ben chiusa su di sé, la diversità [ ... ] del tempo; una storia che ci permetterebbe di [ ... ] dare a tutte le trasformazioni del passato la forma della riconciliazione; una storia che getterebbe dietro di sé uno sguardo da fine del mondo » 20 • Da questa decostruzione di una storiografia che rimane att<J.ccata al pensiero antropologico ed a fondamentali convinzioni umanistiche, si delineano i confini di uno storicismo trascendentale, per così dire, che contemporaneamente eredita e supera la critica di Nietzsche alla storia trascendentale, in senso debole; resta la storiografia radicale di Foucault in quanto intende gli oggetti della comprensione di senso ermeneutico-storico come costituiti - cioè come aggettivazioni di una prassi del discorso di volta in volta fondamentale e troppo ampia strutturalisticamente. La vecchia storia si era occupata di totalità di senso che dischiudeva dalla prospettiva interna dei partecipanti; da questa visuale non salta all'occhio ciò che di volta in volta costituisce un simile mondo del discorso. Solo ad un'archeologia che dissotterra una prassi del discorso con le sue radici ciò che verso l'interno si pretende come totalità, si fa riconoscere dall'esterno come un particolare che potrebbe essere anche diverso. Mentre i partecipanti si concepiscono come soggetti che si Ivi, pp. 17-18 (tr. it. cit., p. 14). C. Honegger, M. Foucault und die serielle Geschichte, in « Merkur >>, 36, 1982, pp. 501 sgg. 20 M. Foucault, Nietzsche, la généalogie, l'histoire, cit. (tr. it. cit., pp. 41 sgg.). 18 19 255 www.scribd.com/Baruhk riferiscono ad oggetti secondo criteri di validità universali, senza per questo riuscire a trascendere il penetrabile orizzonte del loro mondo, l'archeologo che proviene dall'esterno mette fra parentesi questa evidenza. Nell'atto in cui ritorna sulle regole costitutive del discorso, egli s'accerta dei confini del rispettivo universo discorsivo; la forma di questo viene cioè circoscritta grazie a quegli elementi che esso inconsapevolmente esclude come eterogenei - in tale misura le regole costitutive del discorso hanno anche la funzione di un meccanismo di esclusione. Ciò che viene escluso dal discorso vigente, rende anzitutto possibili le relazioni soggetto-oggetto specifiche, ma universalmente valide, vale a dire prive di alternative, all'interno del discorso. Sotto questo aspetto Foucault, con la sua archeologia del sapere, accetta l'eredità dell'eterologia di Bataille. Ciò che lo distingue da Bataille, è lo spietato storicismo, davanti al quale si annulla anche il punto di riferimento prediscorsivo della sovranità. Tanto poco, al di qua di tutti i discorsi sui pazzi, il termine ' follia ' mostra un autentico potenziale di esperienza, a partire dal Rinascimento fino alla psichiatria positivistica del XIX secolo, quanto poco l'altro dalla ragione, l'eterogeneo escluso, conserva il ruolo di un referente prediscorsivo che potrebbe indicare l'imminente avvento di un originario perduto 21 • Piuttosto è lo spazio della storia, come ora si vede, ad essere riempito senza soluzione di continuità dal mero accadere contingente del disordinato apparire e scomparire di nuove formazioni del discorso; in questa caotica varietà di universi transeunti del discorso non rimane più posto per un qualsivoglia senso esteso. Lo storicista trascendentale vede come in un caleidoscopio: « Questo caleidoscopio non richiama figure successive di uno sviluppo dialettico; non le spiega attraverso un progredire della coscienza, del resto neppure con il declino, neppure con la lotta di due principi: desiderio e repressione - ogni svolazzo deve la sua figura bizzarra allo spazio che le pratiche adiacenti gli hanno lasciato » 22 • La storia, sotto lo sguardo stoico dell'archeologo, si indurisce in un iceberg rivestito delle forme cristalline di arbitrarie for21 Cfr. l'autocritica in M. Foucault, L'archéologie du savoir, cit., pp. 26-27 (tr. it. cit., p. 237): << In generale, la Storia della Follia dava un peso troppo considerevole, e d'altra parte molto enigmatico, a ciò che vi veniva designato come ' esperienza '. mostrando in tal modo quanto vicini si fosse ad ammettere un soggetto anonimo e generale della storia >>. Z2 P. Veyne, Foucault révolutionne l'histoire, in Comment on écrit l'histoire, Paris 1978, p. 225 (tr. it. abbr., Foucault e la storia, in «Aut-Aut», n. 181, gennaio-febbraio 1981, p, 80). La metafora di Veyne ha attinenza con l'immagine di Gehlen della ' cristallizzazione '. 256 www.scribd.com/Baruhk mazioni del discorso. Dal momento che, però, a ciascuna di esse spetta l'àutonomia di un universo privo d'origine, allo storico resta ancora solo il compito del genealogista, che spiega la nascita casuale di queste immagini bizzarre dalle forme cave delle formazioni confinanti, cioè dalle circostanze più vicine. Sotto lo sguardo cinico del genealogista, l'iceberg si mette in movimento: le formazioni del discorso si spostano e si mescolano, fluttuano su e giù. Il genealogista spiega questo su e giù con l'aiuto di innumerevoli avvenimenti e di una sola ipotesi - che l'unica cosa che dura è la potenza, che si presenta sotto maschere sempre diverse nella vicenda di anonimi processi di sopraffazione: « ' avvenimento' - bisogna intendere con ciò non una decisione, un trattato, un regno o una battaglia, ma un rapporto di forze che si inverte, il crollo di una potenza, un vocabolario ripreso e rovesciato contro quelli che lo usano, una dominazione che si indebolisce, si allenta, si avvelena lei stessa, un'altra che fa il suo ingresso, mascherata» 23 • Ciò che fin qui la forza sintetica della coscienza trascendentale doveva compiere per l'universo unico e generale degli oggetti dell'esperienza possibile, questa sintesi ora si dissolve nella volontà priva di soggetto di una potenza attiva nel contingente e disordinato su e giù delle formazioni del discorso. IV Come precedentemente in Bergson, Dilthey e Simmel, la ' vita ' è stata elevata a concetto basico trascendentale di una filosofia che formava ancora lo sfondo per l'analitica dell'esserci di Heidegger, così ora Foucault eleva ' potere ' a concetto basico storico-trascendentale di una storiografia critico-razionale. Questa mossa non è in nessun modo banale e certo non è solamente da motivare con l'autorità di Nietzsche. Davanti allo sfondo contrastato del concetto della storia dell'essere, yoglio, a questo punto, cercare il ruolo che questo irritante concetto basico assume in Foucault nella critica della ragione. Heidegger e Derrida volevano proseguire il programma della critica della ragione di Nietzsche sulla via di una distruzione della metafisica, Foucault vuol farlo con una distruzione della scienza della storia. Mentre quelli hanno superato la filosofia per mezzo di un pensiero evocativo al di là della filosofia, Foucault 23 M. Foucault, Nietzsche, la généalogie, l'histoire, cit. (tr. it. cit., pp. 43 sgg.). 257 www.scribd.com/Baruhk oltrepassa le scienze umane per mezzo di una storiografia che si presenta come un'anti-scienza. Entrambe le parti neutralizzano le pretese di validità sollevate appunto d~ quei discorsi filosofici e scientifici che ricercano, mentre si rif~nno di volta in volta ad una comprensione epocale dell'essere o alle regole di formazione di un discorso. L'uno come l'altro devono, prima di tutto, rendere possibile il senso di ciò che esiste e la validità di asserzioni interne all'orizzonte del mondo dato o di un discorso accordato. Entrambe le parti si trovano anche d'accordo sul fatto che gli orizzonti del mondo o le formazioni di un discorso cambiano, ma in questi cambiamenti mantengono il loro potere su ciò che svolge all'interno dell'universo da loro, di volta in volta, costituito; in questo modo viene esclusa una ripercussione dialettica o circolare dell'accadere ontico, come per esempio dei referenti alla storia delle condizioni di possibilità ontologiche oppure costitutive del discorso. La storia dei trascendentali o il mutare degli orizzonti che dischiudono il mondo richiedòno altri concetti da quelli che sono propri dell'ontico e dello storico. Solo a questo punto i sentieri si diramano. Heidegger radicalizza le figure di pensiero della filosofia originaria, cui serba un residuo di fiducia. Egli trasferisce l'autorità epistemica del valore di verità al processo di formazione e trasformazione di orizzonti che dischiudono il mondo. Le stesse condizioni che rendono possibile la verità non possono essere né vere né false; cionondimeno, un para-valore viene assegnato al processo della loro trasformazione che, secondo il modello del valore di verità delle asserzioni, deve essere concepito come una forma storicizzata di aumento di verità. A ben vedere, Heidegger presenta con il concetto della storia dell'essere come di un accadere vero, il seguente curioso legame. L'autorità della storia dell'essere si deve a una fusione di significato nata da una spontanea pretesa di validità e da una imperiosa pretesa di potere: questa pretesa conferisce all'energia sovversiva della saggezza la forma imperatoria di un'illuminazione che mette in ginocchio. Foucault sfugge ad una svolta pseudoreligiosa di tale tipo con il fatto che, per un piccolo residuo di fiducia nelle scienze umane, riattiva ai suoi scopi la figura di pensiero eterologica dell'esclusione di Bataille. Egli spoglia di ogni autorità di validità la storia delle regole costitutrici del discorso, ed esamina i mutamenti delle formazioni di discorso dotate di una forza trascendentale così come si è considerato nella storiografia convenzionale la nascita ed il declino dei regimi. Mentre l'archeologia del sapere (in ciò simile alla distruzione della storia della metafisica) ricostruisce lo strato delle 258 www.scribd.com/Baruhk regole costitutive del discorso, la genealogia cerca di spiegare « la successione discontinua di ordini di segni di per sé infondati, che gli uomini introducono per forza nell'ambito semantico di una specifica interpretazione del mondo » 24 - in altre parole spiega l'origine delle formazioni di discorso dalle pratiche di potere che si intrecciano tra loro in un ' gioco di azzardo delle sopraffazioni '. Nelle sue ricerche posteriori Foucault svilupperà sino all'evidenza questo concetto astratto di potere; egli intenderà il potere come l'interazione di partiti in guerra, come il reticolo decentrato di confronti personali faccia a faccia, in definitiva come la compenetrazione produttrice e la sottomissione soggettivante di un interlocutore personale. Nel nostro contesto è però importante che Foucault pensi questi significati tangibili del potere insieme con il senso trascendentale di rendimenti sintetici quali Kant aveva ancora ascritto ad un soggetto e che lo strutturalismo intende come un accadere anonimo, cioè come un operare con elementi ordinati di un sistema costruito, soprasoggettivamente decentrato,, governato da regole 25 • Nella genealogia di Foucault 'potere' è in primo luogo un sinonimo per questa attività puramente strutturalistica; esso occupa lo stesso posto che la ' differanza ' per Derrida. Ma questo potere costitutivo del discorso deve essere al contempo potere di generazione trascendentale e di autoaffermazione empirica. Anche Foucault, come Heidegger, si propone una fusione di significati opposti. Ad ogni modo sorge con lui un amalgama che gli consente, sulle orme di Bataille, di collegarsi con il Nietzsche della critica della ideologia. Nel concetto dell'essere come potere originario temporalizzato, Heidegger voleva tener fermo il senso validamente fondato di una spiegazione trascendentale del mondo, ma eliminare nel medesimo tempo la componente di significato idealistica pure contenuta nel concetto del trascendentale, di ciò che rinvia oltre lo storico, il meramente eventuale, l'invariante. Foucault deve il suo concetto basico storico-trascendentale di potere non solo a quest'unica operazione paradossale, che riconduce le possibilità sintetiche a priori nel regno degli avvenimenti storici; egli si propone altre tre operazioni altrettanto paradossali. Foucault deve da un lato conservare il senso trascendentale delle condizioni che consentono la verità al concetto di una A. Honneth, Kritik der Macht, Frankfurt a. M. 1985, pp. 142 sgg. H. Fink-Eitel, Foucaults Analytik der Macht, in F. A. Kittler (a cura di), Austreibung des Geistes aus den Geisteswissenschajten, Paderborn 1980, p. 55. 24 25 259 www.scribd.com/Baruhk potenza che si nasconde ironicamente ed al contempo si mette in risalto nel discorso come volontà di verità. D'altro lato egli ottiene contro l'idealismo del concetto kantiano non solo una temporalizzazione dell'apriori - cosi che nuove formazioni di discorso, che rimuovono le vecchie, possano emergere come eventi; Foucault, anzi, sottrae alla potenza trascendentale anche le connotazioni che Heidegger lascia saggiamente ad una storia auratica dell'essere. Foucault non solo storicizza, ma pensa ad un tempo nominalisticamente, materialisticamente ed empiristicamente, allorché concepisce le trascendentali prassi di potere come il particolare che si oppone a tutti gli universali; poi, come l'inferiore sensibile-corporeo, che corre sotto tutto l'intelligibile; e infine, come il contingente che potrebbe essere anche altrimenti, non sottostando ad alcun ordinamento dominante. Nella tarda filosofia di Heidegger le conseguenze paradossali di un concetto basico contaminato da significati contrari non sono facilmente controllabili, poiché il ricordo di un essere non prepensabile si sottrae a un giudizio che segue criteri verificabili. Viceversa Foucault si espone ad energiche obiezioni, per il fatto che la sua storiografia, nonostante il gesto antiscientifico, vorrebbe procedere ' dottamente ' e ' positivisticamente ' al contempo. La storiografia genealogica, per questo, come vedremo, non può nascondere le conseguenze paradossali di un concetto basico della potenza contaminato in tal modo. Tanto più necessaria è una spiegazione del motivo per cui Foucault si decide ad avviare la sua teoria della scienza impostata in modo critico-razionale, sulle vie della teoria del potere. Dal punto di vista biografico in Foucault hanno potuto costituirsi, per una recezione della teoria della potenza di Nietzsche, motivi diversi da quelli di Bataille. Certo entrambi hanno intrapreso il loro cammino nella sinistra politica, ed entrambi si allontanano sempre di più all'ortodossia marxista. Ma solo Foucault sperimenta l'improvvisa delusione di un impegno politico. Foucault rilascia delle interviste, nei primi anni Settanta, che lasciano trasparire la violenza della rottura con persuasioni antecedenti. Comunque Foucault allora rafforza il coro dei· maoisti delusi del 1968 ed è conquistato da quelle 'atmosfere' alle quali bisogna ricorrere qualora si voglia spiegare il notevole successo dei nouveaux philosophes in Franc.ia 26 • Natura!26 In una recensione entusiastica sul libro Les maitres penseurs, di A. Glucksmann, Foucault scrive ad esempio: «Con il gulag non si vedono i risultati di uno sventurato errore, bensl gli effetti della più ' vera: teoria dell'ordine della politica. Coloro che cercarono di salvarsi, mettendo sulla vera barba di Marx il naso finto di Stalin, non erano soddisfatti». Le teorie del potere del pessimismo 260 www.scribd.com/Baruhk mente si sottovaluterebbe l'originalità di Foucault, se si pensasse di poter ridurre il suo pensiero centrale a questo contesto. In ogni caso, queste spinte politiche provenienti dall'esterno non avrebbero potuto metter nulla in movimento nella parte più interna della teoria, se la stessa dinamica teorica ben prima delle esperienze della rivolta fallita del 1968, non avesse motivato la considerazione, che nei meccanismi di esclusione del discorso non si riflettono solo strutture del discorso autosufficienti, ma si impongono imperativi della crescita di potere. Questa riflessione ha origine in una problematica con la quale Foucault si vide messo a confronto dopo la conclusione del suo lavoro sull'archeologia delle scienze umane. Nell'Ordine delle cose (1966) Foucault ricerca le moderne forme di sapere (o epistemi) che determinano per le scienze un orizzonte, di volta in volta invalicabile, di concetti basici, si potrebbe anche dire: l'apriori storico della comprensione dell'essere. Come nella storia della follia, si trovano, anche qui, al centro dell'interesse, nella storia del pensiero moderno, entrambe le soglie storiche del passaggio dal Rinascimento al Classicismo e dall'età classica alla modernità. Gli interni motivi del passaggio ad una teoria della potenza si spiegano sulla base delle difficoltà risultanti da questa stessa geniale analisi. borghese da Hobbes fino a Nietzsche sono anche sempre servite come centri di raccolta per disertori delusi che avevano sperimentato sull'incarico dell'attuazione politica dei loro .ideali, come il valore umanistico di Illuminismo e marxismo si fosse mutato nel suo barbarico opposto. Anche se l'anno 1968 segna solo una rivolta, non una rivoluzione come nel 1789 o nel 1917, pure le sindromi del rinnegamento di sinistra si assomigliano e spiegano, forse, anche la sorprendente circostanza che i nouveaux philosophes hanno trattato in Francia topoi analoghi a quelli di allievi di comunisti delusi. Da entrambi i lati dell'Atlantico si incappa negli stessi topoi dell'anti-Illuminismo, nella critica agli esiti, in apparenza, inevitabilmente terroristici di globali interpretazioni storiche, nella critica al ruolo dell'intellettuale che, generalmente, si presenta in nome della ragione umana, nella critica alla conversione di scienze umane teoreticamente esigenti,· in una prassi tecnico-sociale o terapeutica che avvilisce l'uomo. La figura di pensiero è sempre la medesima: nell'universalismo dell'Illuminismo, nell'umanesimo dell'ideale di libertà, nella pretesa di razionalità del pensiero sistemico stesso è situata una ottusa volontà di potenza che, non appena la teoria si dispone a divenire pratica, getta la maschera - dietro la quale viene fuori il desiderio di potere dei ' mai tres à penser ', degli intellettuali, dei mediatori di conoscenza, in breve: la nuova classe. Foucault non sembra rappresentare solo con un gesto radicale questi motivi conosciuti dell'anti-Illuminismo, bensì sem· bra inasprirli effettivamente in maniera critico-razionale e generalizzarli secondo una teoria della potenza. Dietro la naturalezza emancipativa dei discorsi sulle scienze umane sono in agguato la tattica e la tecnologia di una più schietta autoaffermazione, che il genealogista tira fuori da sotto il riesumato fondamento di senso di discorsi autoingannanti, come Solschenyzin, il gulag da sotto la retorica ipocrita del marxismo sovietico. Cfr. Ph. Rippel, H. Munkler, Der Diskurs und die Macht, in «Poi. Viertçljahresschrift », 23; 1982, pp. 115 sgg.; sulla 'conversione' degli intellettuali francesi cfr. W. v. Rossum, Thriumph der Leere, in « Merkur >>, Apri! 1985, pp. 275 sgg. 261 www.scribd.com/Baruhk v .Mentre il pensiero del Rinascimento è ancora diretto da una visione cosmologica, nella quale le cose del mondo possono essere ordinate, per così dire fisiognomicamente, secondo relazioni di somiglianza poiché nel grande libro della natura ogni segnatura rimanda ad altre segnature, il razionalismo del XVII secolo porta nelle cose un ordine completamente diverso. La logica di Port-Royal, che esprime una semiotica ed una combinatoria generale, è formatrice di struttura. Per Descartes, Hobbes e Leibniz, la natura si trasforma nell'insieme di ciò che ' rappresenta', nel suo doppio senso, cioè significa e come signi· ficato può essere raffigurato per mezzo di segni convenzionali. Foucault non considera come il paradigma decisivo né la matematizzazione della natura né la meccanica, bensì il sistema di segni ordinati. Questo non è più fondato in un ordine precedente delle cose stesse, bensì costruisce solo un ordine tassanomica sulla via della rappresentazione delle cose. I segni combinati, o la lingua, costituiscono un medium assolutamente trasparente, attraverso il quale la rappresentazione può essere collegata con ciò che è rappresentato. Il significante retrocede fino a tergo del significato indicato; funziona come un vitreo strumento della rappresentazione senza vita propria: La vocazione profonda del linguaggio classico è sempre stata di far ' quadro': in forma di discorso naturale, raccolta delle verità, descrizione delle cose, corpo di conoscenze esatte, o dizionario enciclopedico. Il linguaggio classico esiste quindi solo per essere trasparente [ ...] La possibilità di conoscere le cose e il loro ordine passa, nell'esperienza classica, attraverso la sovranità delle parole. Queste non sono a rigore né contrassegni da decifrare (come nel periodo del Rinascimento), né [...] strumenti più o meno fedeli e padroneggiabili (come nel periodo del Positivismo). Formano piuttosto il reticolo incolore a partire dal quale [ ...] le rappresentazioni si ordinano TI. Grazie alla sua autonomia, il segno serve disinteressatamente alla rappresentazione delle cose: in esso si intrecciano la rappresentazione del soggetto e l'oggetto rappresentato e formano un ordine nella catena delle rappresentazioni. Il linguaggio si risolve nella sua funzione di descrittore di fatti, come diremmo oggi, e riproduce allo stesso livello tutto ciò che si può rappresentare, - la natura dei soggetti rappre27 M. Foucault, Les mots et les choses, Paris 1966, p. 322 (tr. it., Le parole e le cose, Milano 1967, p. 335). 262 www.scribd.com/Baruhk sentanti non diversamente da quella degli oggetti rappresentati. Dunque la natura degli uomini non gode, in questo quadro, di alcun privilegio rispetto alla natura delle cose. Natura interna ed esterna vengono classificate, analizzate, combinate nello stesso modo - le parole della lingua nella grammatica generale, le ricchezze ed i bisogni nell'economia politica, non diversamente dalle qualità delle piante e degli animali nel sistema di Linneo. Proprio ciò determina naturalmente anche il confine della forma di sapere non riflessiva dell'epoca classica; il sapere è assolutamente dipendente dalla funzione di rappresentazione della lingua, senza poter includere il procedimento della rappresentazione stessa, il lavoro di sintesi del soggetto rappresentante come tale. Foucault dà rilievo a questo confine nella sorprendente interpretazione di un famoso quadro di Velasquez, le ' dame di corte' 28 • Questo quadro rappresenta il pittore posto di fronte ad una tela non visibile allo spettatore; egli guarda, evidentemente, come le dame di corte che si trovano accanto a lui, in direzione dei suoi due modelli, il re Filippo IV e sua moglie. Questi due modelli di persone in piedi si trovano all'esterno dello spazio del quadro, e possono essere identificate dallo spettatore solo con l'aiuto di uno specchio riprodotto sul fondo. L'arguzia a cui giunge evidentemente Velasquez è la circostanza ingannevole di cui lo spettatore diviene coerentemente consapevole: lo spettatore non può fare a meno di dominare la collocazione e la direzione degli sguardi della coppia reale ritratta, ma assente, che il pittore fissato nel quadro osserva, come pure la collocazione e la direzione dello sguardo dello stesso Velasquez, cioè del pit~ tore, che ha effettivamente realizzato questo quadro. Per Foucault, ancora, il punto principale consta nel fatto che lo spazio classico del quadro è troppo limitato per ammettere la rappresentazione dell'atto del raffigurare come tale - proprio questo chiarisce a Velasquez, nel mostrare le lacune, che la mancanza della riflessione lascia tutto al processo di rappresentazione anche nello spazio classico del quadro 29 • 28 Cfr. H. L. Dreyfus, P. Rainbow, Miche! Foucault: Beyond Structuralism and Hermeneutics, Chicago 1983, pp. 21 sgg. 29 Foucault costruisce due ordini di assenze. Al pittore raffigurato manca il suo modello, la coppia reale che si trova al di fuori della cornice del quadro; ad essa è, d'altro canto, negata la visione del quadro in via di formazione essa vede la tela solo da dietro; infine, manca allo spettatore il punto centrale della scena, appuntO---il modello della coppia, che solo lo sguardo del pittore ad esso rivolto e quellÒ'delle dame di corte rimandano. Ancora più smascherante dell'assenza degli oggetti rappresentati, è quella dei soggetti che rappresentano, cioè la triplice assenza - del pittore, del modello e dello spettatore che, situato davanti al quadro, riceve la prospettiva degli altri due. Il pittore, Velasquez, 263 www.scribd.com/Baruhk Nessuna delle persone che partecipano alla classica scena di una rappresentazione figurativa della coppia reale (dell'uomo come sovrano) appare nel ritratto come il soggetto sovrano capace di autorappresentazione, cioè al contempo come soggetto ed oggetto, contemporaneamente come rappresentante e rappresentato, come colui che è autopresentatore nell'atto della rappresentazione: Nel pensiero classico colui che si [ ... ] rappresenta, riconoscendosi come immagine o riflesso, [ ... ] non si trova mai presente di persona. Prima della fine del XVIII secolo l'uomo non esisteva [ ... ] Certamente si potrà obiettare che la grammatica generale, la storia naturale, l'analisi delle ricchezze erano anch'essi in un certo senso modi di riconoscere l'uomo [ ... ] Ma non esisteva coscienza gnoseologica dell'uomo in quanto tale 30 • Con Kant si apre l'età della modernità. Non appena si infrange il sigillo metafisico sulla corrispondenza fra lingua e mondo, la funzione di rappresentazione della lingua diventa essa stessa un problema: il soggetto rappresentante deve divenire oggetto per procurarsi chiarezza riguardo al problematico procedimento della rappresentazione stessa. Passa in testa il concetto dell'autoriflessione, e il rapporto del soggetto che rappresenta con se stesso diventa l'unico fondamento alle ultime certezze. La fine della metafisica è la fine di un'obiettiva coordinazione delle cose e delle rappresentazioni, effettuata per così dire silenziosamente dalla lingua e perciò rimasta non problematica. L'uomo divenuto presente a sé nella coscienza deve assumere il compito sovrumano di stabilire un ordine delle cose nel momento in cui diviene cosciente della sua esistenza come al contempo autonoma e finita. Perciò Foucault vede la moderna forma di sapere caratterizzata sin dal principio dall'aporia che il soggetto conoscente si eleva dalle macerie della metafisica per adempiere nella consapevolezza delle sue forze finite ad un compito che pure richiede una forza infinita. Questa aporia porta Kant direttamente al principio di costruzione della sua teoria compare effettivamente nello spazio del quadro, ma non viene direttamente rappresentato nell'atto di dipingere, lo si vede durante una pausa per il pasto e si sa che svanirà dietro la tenda non appena riprenderà il suo lavoro. I volti dei due modelli si possono riconoscere in uno specchio in maniera certamente indistinta, ma non possono essere osservati direttamente nell'atto di essere ritratti. In misura altrettanto minima è rappresentata infine l'azione dell'osservare - lo spettatore dipinto, che fa ingresso in fondo da destra nello spazio del quadro, non può assumere questa funzione (cfr. M. Foucault, Les mots et [es choses, cit., pp. 19·31 e pp. 318-23 [tr. it. cit., pp. 17-30 e pp. 332-36]). 30 M. Foucault, Les mots et [es choses, cit., p. 319 (tr. it. cit., p. 333). 264 www.scribd.com/Baruhk della conoscenza, nella misura in cui cambia significato alle limi· tazioni di una finita possibilità di conoscenza vedendole come condizioni trascendentali di una conoscenza che procede all'infi· nito: << La modernità inizia con l'incredibile ed in definitiva impraticabile idea di un essere che è il sovrano esattamente dell'essere asservito, un essere la cui stessa finitezza gli consente di prendere il posto di Dio » 31 , Foucault sviluppa in un grande arco, che da Kant e Fichte si estende fino a Husserl e Heidegger, il suo concetto dominante, che la modernità è contrassegnata dalla forma di sapere auto· contradditoria ed antropocentrica di un soggetto strutturalmente sovraccarico, di un soggetto finito che trascende nell'infinito. La filosofia della coscienza obbedisce a costrizioni di strategia con· cettuale in base alle quali deve sdoppiare il soggetto e prenderlo in esame di volta in volta sotto due aspetti contrari, incompati· bili tra di loro. La spinta a staccarsi da questo instabile va e vieni tra aspetti dell'autotematizzazione tanto inconciliabili quanto inevitabili, si rende allora percettibile come l'indomabile volontà di sapere e di sapere sempre di più. Questa volontà oltrepassa pretenziosamente tutto ciò che è in grado di fare il soggetto strutturalmente sovraccarico e sovraffaticato. In questo modo la moderna forma di sapere è determinata mediante la dinamica peculiare di una volontà di verità, per la quale ogni frustrazione è solo il pungolo per una rinnovata produzione di sapere. Questa volontà di verità è dunque per Foucault la chiave del rapporto interno fra sapere e potere. Le scienze umane occupano il terreno che è stq.to scoperto attraverso l'autotematizza· zione aporetica del soggetto conoscitivo. Esse istituiscono, con le loro esigenze pretenziose e mai estinte, la facciata di un sa· pere generalmente valido, dietro il quale si nasconde la effettualità della pura volontà del consapevole autoimpadronimento di una volontà rivolta ad un aumento di sapere smisuratamente produttivo, sulla cui scia soltanto si formano soggettività ed autocoscienza. Foucault dà la caccia all'imposizione dello sdoppiamento aporetico del soggetto che si riferisce a sé sulla base di tre oppo· sizioni: dell'opposizione tra ciò che è trascendentale e l'empi· rico, dell'opposizione fra l'atto riflessivo del divenir consapevole e il riflessivo irraggiungibile, immemorabile, infine dell'oppo· sizione tra aprioristica perfezione di un'origine già da sempre presente ed il futuro avventista dell'ancor mancante ritorno 31 H. L. Dreyfus, P. Rainbow, Miche! Foucault: Beyond Structuralism and Hermeneutics, cit., p. 30. 265 www.scribd.com/Baruhk dell'origine. Foucault avrebbe potuto esporre queste opposizioni ricollegandosi alla Dottrina della scienza di Fichte; si tratta, in realtà, di quelle costrizioni concettuali della filosofia della coscienza, che aumentano esemplarmente nell'azione dell'io assoluto. L'io può solo prender possesso di se stesso, auto-' porsi', mentre pone inconsapevolmente un ' non-io ' e cerca di recuperarlo gradualmente come ciò che viene posto dall'io. Quest'atto dell'autoporsi mediato è comprensibile secondo tre aspetti differenti, come un processo dell'autoconoscenza, come un processo del divenir cosciente e come processo di formazione. In ciascuna di queste dimensioni il pensiero europeo del XIX e XX secolo serpeggia tra applicazioni teoriche che si escludono a vicenda - ed ogni volta il tentativo di sfuggire alle spiacevoli alternative finisce negli intrecci di un soggetto che diventa divino, consumandosi negli atti di una vana autotrascendenza. Allo stesso tempo, da Kant, l'io occupa il posto di un soggetto empirico, nel mondo in cui si trova come oggetto tra altri oggetti, e il posto di un soggetto trascendentale di fronte al mondo nel suo insieme, che esso stesso costituisce come l'insieme degli oggetti di una possibile esperienza. Attraverso questa doppia posizione 32 il soggetto conoscente si vede naturalmente provocato ad analizzare le stesse prestazioni, che vengono concepite una volta riflessivamente come prestaziont di una sintesi trascendentale, un'altra volta empiricamente come un processo (che si attua) secondo leggi della natura, indifferentemente se l'apparato della nostra conoscenza venga ora spiegato psicologicamente o secondo i criteri di un'antropologia culturale, biologicamente o storicamente. Il pensiero non può naturalmente accontentarsi di queste alternative inconciliabili. Da Hegel a Merleau-Ponty abbondano i tentativi di superare questo dilemma in una disciplina che rende compatibili entrambi gli aspetti, e di intendere la concreta storia delle forme aprioristiche come un processo dell'autoproduzione dello spirito o del genere. Dal momento che queste imprese ibride dell'utopia danno ·la caccia ad una conoscenza completa di se stessi, esse devono sempre nuovamente capovolgersi in positivismo 33 • Foucault scopre la stessa dialettica nella seconda dimensione del porre se stesso. Da Fichte in poi l'io come soggetto riflettente compie la doppia esperienza che da un lato si trova nel mondo già sempre come un qualcosa divenuto contingente, un che di 32 Dieter Henrich, Fluchtlinien, Frankfurt a. M. 1982, pp. 125 sgg. 33 Con ciò è anche possibile spiegare per quale motivo il materialismo possa mantenersi in vita con tanto successo nella filosofia analitica, e precisamente in base alla problematica corpo/spirito. 266 www.scribd.com/Baruhk opaco, ma d'altro lato si dispone anche proprio grazie a questa riflessione a farsi quel qualcosa di trasparente a-sé ed a portarsi per-sé alla coscienza. Da Hegel attraverso Freud fino a Husserl abbondano i tentativi di continuare questo processo del divenire cosciente a sé grazie a dati di fatto aprioristici e di trovare un punto di vista metodico dal quale ciò che prima facie si rifiuta alla coscienza come un extraterritoriale ostinato - sia esso il corpo, la natura del bisogno, il lavoro o la lingua - pure potrebbe ancora essere riguadagnato alla riflessione, reso familiare e trasformato in un qualcosa di trasparente. Freud stabilisce l'imperativo, che dall'Es deve sorgere l'lo, Husserl prefigge alla pura fenomenologia lo scopo di chiarire e di mettere sotto consapevole controllo tutto ciò che è meramente implicito, antepredicativo, già sedimentato, non attuale, con una parola: il fondamento impensato e nascosto della soggettività produttiva. Anche questi tentativi ibridi di un'emancipazione di incoscienti enigmi si sono abbandonati all'utopia di una completa autotrasparenza e perciò si ribaltano nella disperazione nichilistica e nello scetticismo radicale. Infine sulla scia della stessa dialettica si orienta anche il desiderio di sottrarsi al terzo sdoppiamento del soggetto come autore originariamente creativo e al contempo estraniato da quest'origine. L'uomo si riconosce come il lontano prodotto di una storia che giunge a ritroso nell'arcaico, di cui non è padrone, sebbene questa faccia riferimento da parte sua alla paternità dell'uomo produttivo.- Le origini retrocedono tanto più dal pen· siero moderno, quanto più energicamente le si incalza: « e si propone paradossalmente di inoltrarsi nella direzione in cui tale arretramento si compie e non cessa di approfondirsi». A questo risponde da un lato la filosofia della storia da Schelling, attraverso Marx, fino a Lukacs con la figura di pensiero di un arricchente ritorno dall'estraneo, l'odissea dello spirito, dall'altro lato il pensiero dionisiaco di Holderlin, attraverso Nietzsche, fino ad Heidegger con l'idea di un dio che si nega, « che libera l'origine in ragione stessa del suo regresso » 34 • Ma queste ibride rappresentazioni storiche possono diventare pratiche solo nella forma di terrore, automanipolazione e asservimento, dal momento che vivono per un falso impulso escatologico. A questa idea antropocentrica messa in moto da Kant, che con le sue utopie della liberazione si impiglia nella prassi dell'asservimento, Foucault subordina anche le scienze umane. Alle scienze naturali sperimentali egli lascia prudentemente una posi· 34 M. Foucault, Les mots et les choses, cit., p. 345 (tr. it. cit., p, 359). 267 www.scribd.com/Baruhk zione particolare; esse si sono chiaramente svincolate dall'intreccio delle pratiche da cui provengono (in primo luogo dalle pratiche dell'interrogativo giudiziario), e possono acquisire una certa autonomia. Diversamente le scienze umane. Vengono colte da una svolta antropologica, innanzitutto grammatica, storia naturale ed economia, quelle scienze che sono sorte in epoca classica come tassonomiche. La ·grammatica generale cede dinnanzi alla storia delle lingue nazionali, i quadri della storia naturale all'evoluzione delle specie, la analisi delle ricchezze a una teoria, che riconduce i valori d'uso e di scambio all'erogazione di forza lavoro. Con ciò si forma una prospettiva per la quale l'uomo viene percepito come essere vivente che parla e che lavora. Le scienze umane si avvalgono di questa prospettiva; esse analizzano l'uomo come l'essere che si rapporta alle aggettivazioni da lui stesso prodotte in quanto essere vivente che parla e lavora. Impegnandosi psicologia, sociologia e politologia, ma anche le scienze della cultura e dello spirito in una sfera oggettiva per la quale è costitutiva la soggettività nel senso della autorelazione di uomini sperimentanti, agenti e parlanti, esse entrano nella scia della volontà di sapere, sulla linea di fuga di un aumento di sapere smisuratamente produttivo. Esse sono rimesse alla dialettica di liberazione ed asservimento con ancora meno difese che la scienza della storia, che quantomeno dispone del potenziale scettico della relativizzazione storica, soprattutto, però, con ancor meno difese dell'etnologia e della psicoanalisi, giacché queste si muovono pur sempre (con LéviStrauss e Lacan) riflessivamente nella giungla dell'inconscio strutturale ed individuale. Poiché le scienze umane, prime fra tutte la psicologia e la sociologia si impegnano, con modelli presi a prestito e con estranei ideali di obiettività, in rapporto a un uomo che viene fissato, tramite la forma di sapere moderna, anzitutto come oggetto di ricerche scientifiche, può proditoriamente insorgere in esse uno stimolo che esse non possono confessare senza danno della loro pretesa di verità: precisamente quell'insaziabile spinta al sapere, all'autoimpossessamento e autoaccrescimento con il quale il soggetto dell'età post-classica metafisicamente isolato e strutturalmente sovraccarico, abbandonato da Dio e resosi da sé divino cerca di scampare alle aporie della sua autotematizzazione: « Siamo portati a credere che l'uomo si è liberato da se stesso da quando ha scoperto di non essere più né al centro della crea._ zione, né al centro dello spazio, e forse nemmeno in cima e al termine estremo della vita; ma se l'uomo non è più sovrano nel regno del mondo, se non regna più nel cuore dell'essere, le 268 www.scribd.com/Baruhk scienze umane sono dei pericolosi anelli intermedi » 35 • Semplicemente anelli intermedi, poiché esse non sollecitano immediatamente come le scienze riflessive e la filosofia, quella dinamica autodis_truttiva del soggetto che pone se stesso, bensì vengono inconsapevolmente strumentalizzate per questa. Le scienze umane sono e rimangono pseudoscienze, perché non vedono fino in fondo la coazione alla duplicazione aporetica del soggetto in relazione con se stesso e non possono riconoscere la volontà di autoconoscenza e di autoreificazione strutturalmente prodotta e anche per questo non riescono a liberarsi dalla forza che le muove. Foucault aveva già addotto questo come esempio del positivismo psichiatrico in Follia e società. Quali sono allora però le ragioni che inducono Foucault a reinterpretare questa specifica volontà di sapere e di verità, che è costitutiva in generale per la moderna forma di sapere e in particolare per le scienze umane, questa volontà di sapere e di autopotenziamento che si generalizza in una volontà di po· tenza, ed a postulare che in tutti i discorsi, non solo ìn quelli moderni, si possa dimostrare un segreto carattere di forza e l'origine da pratiche di potenza? Questa assunzione contrassegna in effetti soltanto la svolta da un'archeologia del sapere alla spiegazione genealogica dell'origine, ascesa e caduta di quelle formazioni di discorso, che riempiono senza lacune e senza significato lo spazio della storia. 35 lvi, p. 359 (tr. it. cit., p. 373). www.scribd.com/Baruhk 10. LE APORIE DI UNA TEORIA DEL POTERE I L'archeologia delle scienze umane non solo fornisce, con la dinamica dell'autopotenziamento produttivo di sapere, il punto d'attacco per un congiungimento interno del sapere con la volontà di sapere; l'Ordine delle cose suscita anche le domande cui alcuni anni più tardi Foucault risponde sviluppando dalla volontà di sapere quel concetto fondamentale della potenza, su cui si basa la sua storiografia genealogica. Mi si consenta di sottolineare tre difficoltà. a) Innanzitutto Foucault doveva essere irritato per l'affinità che chiaramente esisteva tra la sua archeologia delle scienze umane e la critica di Heidegger alla metafisica dell'età moderna. Gli epistemi o forme di sapere del Rinascimento, dell'età classica e della modernità formano cesure epocali e nello stesso tempo stadi nello sviluppo dello stesso intendimento dell'essere incentrato nel soggetto, che Heidegger ha analizzato con concetti analoghi da Descartes attraverso Kant fino a Nietzsche. Foucault non deve però seguire la via del superamento metafisica-critico della filosofia del soggetto; egli aveva in effetti mostrato che anche il concetto della storia dell'essere non porta fuori dal circolo della terza autotematizzazione del soggetto che si rapporta a se stesso, vale a dire del suo sforzo di impadronirsi di un'origine che retrocede sempre di più. La filosofia dello Heidegger maturo - questa era la tesi - è colta proprio in quel gioco a sorpresa che Foucault aveva trattato sotto il titolo di Ritirata e ritorno dell'origine. Per questa ragione Foucault dovrà del tutto rinunciare, d'ora innanzi, al concetto di episteme. b) Tanto problematica quanto la vicinanza ad Heidegger è quella allo strutturalismo. Nell'Ordine delle cose Foucault aveva voluto incontrare con un filosofico riso liberatore tutti coloro 270 www.scribd.com/Baruhk « che non vogliono formalizzare, senza antropologizzare, che non vogliono mitologizzare senza demistificare», tutti i difensori, insomma, della riflessione « maldestra ed alterata » 1• Con questo gesto, mutuato dal riso dello Zarathustra, egli intende strappare al sonno antropologico tutti coloro « che non vogliono pensare senza pensare immediatamente che è l'uomo colui che pensa». Devono sfregarsi gli occhi e porsi la semplice domanda se allora l'uomo esista 2 • Evidentemente Foucault, all'epoca, ritiene che solo lo strutturalismo contemporaneo, l'etnologia di Lévi-Strauss e la psicoanalisi lacaniana siano adatti « a pensare il vuoto dell'uomo scomparso». Il sottotitolo progettato originariamente Archeologia dello strutturalismo non era inteso assolutamente in senso critico. Tale prospettiva dovette però dissolversi non appena fu chiaro che lo strutturalismo aveva già segretamente consegnato il modello per la descrizione della forma di sapere classica del modo di rappresentare semiotico 3 • Un superamento strutturalistico del pensiero antropocentrico non avrebbe significato una maggiore offerta della modernità, bensì solo il rinnovamento esplicito della forma di sapere protostrutturalistica dell'età classica. c) Sorse infine una difficoltà dalla circostanza che Foucault aveva condotto i suoi studi sulla nascita delle scienze umane solo nella forma dell'archeologia del sapere. Come poteva essere aggiunta a questa analisi dei discorsi scientifici la ricerca delle pratiche attinenti, già nota per la via di studi giovanili, senza mettere in pericolo l'autosufficienza delle forme di sapere completatesi in universi? Questo problema impegna Foucault nelle sue considerazioni metodologiche sull'Archeologia del sapere (1969). In esse egli non prende una posizione del tutto univoca, inclina però a sovraordinare discorsi alle pratiche che ne costituiscono il fondamento. La richiesta strutturalistica che ogni formazione del discorso debba essere rigorosamente compresa a partire da sé, sembra poter essere soddisfatta solo allorché le regole costitutive del discorso assumono per così dire autonomamente la regia della loro base istituzionale. Il discorso, in virtù di questa concezione collega dapprima le condizioni tecniche, economiche, sociali e politiche al reticolato funzionante delle pratiche, che servono poi alla sua riproduzione. Certo, questo discorso divenuto pienamente autonomo, svin1 M. Foucault, Les mots et les choses, cit., p. 354 (tr. it. cit., p. 368). 2 lvi, p. 332 (tr. it. cit., p. 346). 3 M. Frank richiama l'attenzione su questa preferenza di Foucault sistematicamente non molto giustificata, del modello di rappresentazione; M. Frank, Was heisst Neostrukturalismus?, Frankfurt a. M. 1984, pp. 174-215. 271 www.scribd.com/Baruhk colato da limitazioni contestuali e da condizioni di funzionamento, e che dunque governa le pratiche che stanno alla base, è affetto da una difficoltà concettuale. Valgono come fondamentali le regole archeologicamente accessibili che rendono possibile di volta in volta la prassi del discorso. Queste regole, però, possono rendere comprensibile un discorso solo nelle condizioni della sua possibilità; non bastano a spiegare la prassi del discorso nel suo effettivo funzionamento. Non esistono infatti regole che possano regolare la propria applicazione. Un discorso governato da regole non può regolare da sé il contesto in cui è inserito: « Così, sebbene le influenze non-discorsive nella forma delle pratiche sociali ed istituzionali, delle capacità, delle pratiche pedagogiche e dei modelli concreti (per esempio nel Panoptikon di Bentham) costantemente si intromettono nelle analisi di Foucault [ ... ] egli deve individuare il potere produttivo rivelato dalle pratiche discorsive nella regolarità delle pratiche stesse. Il risultato è la strana nozione delle regolarità che regolano se stesse » 4, Foucault sfugge a questa difficoltà quando abbandona l'autonomia delle forme di sapere a favore della loro fondazione in tecnologie di potere e subordina l'archeologia del sapere ad una genealogia che spiega la formazione del sapere a partire da pratiche del potere. Questa teoria del potere si raccomanda anche per la soluzione degli altri due problemi: Foucault può lasciar con ciò dietro di sé la filosofia del soggetto, senza doversi appoggiare a modelli strutturalistici o relativi alla storia dell'essere che (in base alla sua propria analisi) pure sono ancora vincolati alla forma di sapere classica o a quella moderna. La storiografia genealogica toglie di mezzo l'autonomia dei discorsi che si governano da soli altrettanto quanto le successioni epocali e regolate di forme di sapere globali. Il pericolo dell'antropocentrismo viene allontanato solo quando sotto lo sguardo incorruttibilmente genealogico i discorsi scoppiano ed esplodono come bolle cangianti dalla palude di anonimi processi sopraffattori. Con l'energico capovolgimento dei rapporti di dipendenza tra forme di sapere e pratiche del potere, Foucault si dischiude una problematica teorico-sociale di fronte alla storia rigidamente strutturalistica dei sistemi di sapere, e naturalistica di fronte alla storia critico-metafisica della comprensione dell'Essere. I discorsi delle scienze, i discorsi in genere nei quali viene creato e trasmesso 4 H. L. llieyfus, P. Rainbow, Michel Foucault: Beyond Structuralism and Hermeneutics, cit., p. 84; cfr. anche A. Honneth, Kritik der Macht, cit., pp. 133 sgg, 272 www.scribd.com/Baruhk sapere, perdono la loro posizione privilegiata; formano, insieme con altre pratiche discorsive, complessi di forza che costituiscono un campo oggettivo sui generis. Come coefficiente di penetrazione attraverso i tipi di discorso e le forme di sapere bisogna dunque scoprire le tecnologie della sopraffazione, in base alle quali si forma, di volta in volta, un complesso dominante di potere che giunge al comando e viene infine scacciato dal successivo. La ricerca storica di tecnologie di potere, che strumentalizzano i sistemi di sapere fin nel profondo dei loro criteri di validità, deve potersi muovere sul solido terreno di una teoria naturalistica della società. Foucault consegue questo terreno, certo, solo in virtù del fatto che non pensa in chiave genealogica riguardo alla propria storiografia genealogica, e che rende irriconoscibile l'origine del suo concetto trascendentale storicistico di potere. Nelle scienze umane, Foucault aveva studiato appunto, come ho mostrato, la forma di un sapere che si presenta con la pretesa di depurare gli intellegibili da tutto l'empirico, casuale e particolare, e che, per questa pretesa separazione fra valore e genesi si adatta particolarmente bene a medium di potere: il sapere moderno, poiché si assolutizza in questo modo, può dissimulare davanti a sé e ad altri quell'impulso che solo stimola un soggetto metafisicamente isolato e rimandato riflessivamente a se stesso ad un autopotenziamento senza sosta. Questa volontà di sapere dovrebbe intervenire sulla costituzione dei discorsi scientifici e spiegare perché il sapere dell'uomo attrezzato scientificamente, possa coagularsi direttamente in autorità disciplinare nella forma di terapie, perizie, tecnologie sociali, piani d'insegnamento, test, rapporti di ricerca, banche-dati, proposte di riforma, ecc. La moderna volontà di sapere determina « l'insieme delle regole secondo le quali si separa il vero dal falso e si assegnano al vero degli effetti specifici di potere » 5 • Nel passaggio alla teoria del potere Foucault libera, però, questa volontà di sapere dal contesto storico-metafisico e lascia che sia assorbita poi nella categoria di potere. Questa trasformazione è debitrice nei confronti di due operazioni. In primo luogo Foucault postula una volontà costitutiva di verità per tutte le epoche e tutte le società: « Ogni società ha il suo proprio ordine della verità, la sua 'politica generale' della verità: essa accetta cioè determinati discorsi, che fa .funzionare come veri» 6 • Oltre questa generalizzazione spazio-temporale, Foucault intraprende una neutralizzazione materiale: egli distingue la vos M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, cit., p. 53. lvi, p. 25. 6 273 www.scribd.com/Baruhk lontà di sapere rispetto a una volontà di potere che deve essere insita in tutti i discorsi, assolutamente non solo in quelli specializzati sulla verità, nel modo analogo in cui è insita nelle scienze umane la specifica volontà del possesso di sé della soggettività dei tempi moderni. Solo dopo che cancella le tracce di questa trasformazione, può comparire nuovamente la volontà di sapere nel sottotitolo al primo volume della Storia della sessualità (1976), certo ora decaduta a caso specifico: il ' dispositivo di verità ' appare ora uno dei tanti ' dispositivi di potere '. La derivazione in tal modo occultata del concetto di potere dal concetto critico metafisica della volontà di verità e di sapere spiega anche la utilizzazione sistematicamente ambigua della categoria ' potere '. Questa conserva cioè, da una parte, l'innocenza di un concetto utilizzabile in modo descrittivo e serve ad una analisi empirica di tecnologie di potere, che sotto l'aspetto del metodo non si differenzia in modo vistoso da una sociologia del sapere procedente in modo funzionalistico e storicamente orientata. Dall'altra parte, la categoria del potere conserva dalla sua storia nascosta dell'origine, anche il senso di un concetto fondamentale di teoria della costituzione, che conferisce essenzialmente alla analisi empirica delle tecnologie di potere il suo significato critico-razionale ed assicura alla storiografia genealogica il suo effetto demistificante. II Tale sistematica ambiguità spiega certamente, ma non giustifica, quel legame paradossale di disposizione positivistica e pretesa critica, che contrassegna le opere di Foucault a partire dagli anni '70. In Sorvegliare e punire (1976) Foucault tratta (prevalentemente in base a materiali francesi) le tecnologie di dominio che sono sorte in età classica (grosso modo all'epoca dell'assolutismo) e nell'età moderna (cioè a partire dalla fine del XVIII secolo). Le rispettive forme dell'esecuzione della pena servono come fili conduttori di una ricerca al cui punto centrale si trova la ' nascita del carcere '. Quel cOJ;nplesso di potere che si è concentrato in età classica intorno alla sovranità dello Stato monopolizzatore di potere, si deposita nei giochi linguistici di stampo giuridico del moderno diritto naturale, che operano con i concetti fondamentali di contratto e legge. Il compito effettivo delle teorie assolutistiche dello Stato è, certamente, non tanto la difesa dei diritti dell'uomo quanto il porre le basi per la concentrazione di tutti i poteri nelle mani del sovrano. A 274 www.scribd.com/Baruhk costui spetta la costruzione di un apparato amministrativo pubblico e centralizzato e l'apprestamento di un sapere organizzativo amministrativamente utile. Non il cittadino con i suoi diritti ed i suoi doveri, ma il suddito in corpo e anima è oggetto del nuovo bisogno di sapere, che viene innanzitutto appagato con un sapere fiscale e statistico riguardante nascita e morte, malattia e criminalità, lavoro e commercio, benessere e povertà del popolo. In ciò Foucault vede i prodromi di una biopolitica che si forma gradualmente dietro lo schermo ufficiale di discorsi condotti giuridicamente riferiti alla sovranità dello Stato. In questo modo emerge un altro potere disciplinare, disgiunto dal gioco linguistico normativa. Esso si condensa in un nuovo complesso di potere, appunto quello moderno, nella misura in cui le scienze umane diventano medium di questa potenza e fanno penetrare la forma panoptica del controllo in tutti i pori del corpo sottomesso e dell'anima oggettivata. Foucault tratta il cambiamento di esecuzione della pena dalla tortura al carcere, come il procedimento esemplare in base al quale vorrebbe documentare la nascita del pensiero moderno antropocentrico a partire dalle moderne tecnologie di potere. Egli intende le punizioni e le torture eccessive alle quali viene sottoposto il criminale in età classica, come la rappresentazione teatrale del potere del sovrano vendicativo inscenata senza alcun riguardo, che viene vissuta in modo ambivalente dal popolo. Questa afflizione dimostrativa fatta di tormenti corporali viene sostituita in età moderna dalla pena detentiva che, schermata verso l'esterno, sottrae libertà. Foucault intende il carcere panoptico come un'apparecchiatura che non solo rende docili i reclusi, ma li trasforma. L'influsso normalizzante di un potere disciplinare onnipresente si innesta, al di là dell'addestramento del corpo, nel comportamento quotidiano, produce un atteggiamento morale modificato, deve comunque esigere le motivazioni per il lavoro regolato e la vita ordinata. Questa tecnologia punitiva può diffondersi rapidamente alla fine del XVIII secolo, poiché il carcere è solo un elemento nel ricco insieme di discipline corporali. Queste si affermano, al contempo, in manifatture e case di lavoro, caserme, scuole, ospedali e prigioni. Sono le scienze umane allora che prolungano l'effetto normalizzante di queste discipline corporali, fin nel più intimo di queste persone e popolazioni scientificamente oggettivate e insieme sospinte nella loro soggettività 7 • Le scienze 7 « Queste scienze, davanti alle quali si incanta la nostra 'umanità' da più di un secolo, hanno la loro matrice tecnica nella minuzia pignola e cattiva delle discipline e delle loro investigazioni. Queste sono forse rispetto alla psicologia, 275 www.scribd.com/Baruhk umane devono costituire, secondo la loro forma, un amalgama di potere e sapere - la formazione di potere e quella di sapere costituiscono un'unità inscindibile. Una tesi tanto forte non si può naturalmente fondare solo su argomenti funzionalistici. Foucault mostra solo come con l'impiego terapeutico e tecnicosociale di conoscenze umanistiche si possano conseguire effetti disciplinanti, che sono simili agli effetti delle tecnologie di potere. Per soddisfare, però, all'obbiettivo della sua dimostrazione, doveva comprovare (ad esempio, nell'ambito di una teoria trascendental-pragmatica della conoscenza), che specifiche strategie di potere si convertono in corrispondenti strategie scientifiche dell'aggettivazione di esperienze del parlato quotidiano e con ciò pregiudicano il senso dell'impiego di asserzioni teoretiche circa ambiti oggettivi in tal modo costituiti 8 • Foucault non ha più ripreso le considerazioni fatte un tempo sul ruolo epistemologico dello sguardo clinico, che conducono pur sempre in questa direzione. Non gli sarebbe altrimenti rimasto nascosto che nelle scienze umane degli anni Settanta i principi obiettivistici non dominano più da gran tempo il campo, ma concorrono con alla psichiatria, alla pedagogia, alla criminologia, ciò che il terribile potere di inchiesta fu per il piano sapere sugli animali, le piante o la terra. Altro potere, altro sapere. Alle soglie dell'età classica, Bacone, l'uomo della legge e dello Stato, tentò di costruire per le scienze empiriche la metodologia dell'inchiesta. Quale Grande Sorvegliante farà quell'esame per le scienze umane? A meno che, precisamente, ciò non sia possibile. Perché, se è vero che l'inchiesta, divenendo una tecnica per le scienze empiriche, si distaccò dalla procedura inquisitoriale dove storicamente si radicava, l'esame, al contrario, è rimasto vicinissimo al potere disciplinare che l'ha creato: ed è ancora e sempre elemento intrinseco delle discipline. Certamente, esso sembra aver subito un'epurazione speculativa, integrandosi a scienze come la psichiatria, la psicologia. E, in effetti, sotto forma di test, conversazioni, interrogatorii, consultazioni, Io vediamo rettificare in apparenza i meccanismi della disciplina: la psicologia scolare è incaricata di correggere i rigori della scuola, come il trattamento medico o psichiatrico è incaricato di rettificare gli effetti della disciplina del lavoro. Ma non bisogna lasciarsi ingannare; queste tecniche non fanno che rinviare gli individui da un'istanza disciplinare ad un'altra e riproducono, sotto forma concentrata o formalizzata, Io schema di potere proprio di ogni disciplina. La grande inchiesta che aveva dato luogo alle scienze della natura, si era distaccata dal suo modello politico-giuridico; l'esame, al contrario, è sempre preso nella tecnologia disciplinare» (M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, cit., p. 227; tr. it. cit., p. 246). Questo brano è interessante per un duplice aspetto. In primo luogo, il confronto fra scienze naturali e scienze umane deve insegnare che entrambe sono scaturite da tecnologie di potere, che, però, solo le scienze naturali hanno potuto liberarsi dal loro contesto. di origine e, troppo seriamente, hanno potuto esprimere la loro pretesa alla obbiettività e verità per discorsi effettivamente disimpegnati. In secondo luogo Foucault è del parere che le scienze umane non potrebbero affatto svincolarsi dal loro contesto di origine, perché nel loro caso le pratiche della potenza non si innestano solo casualmente nella storia dell'origine, ma assumono il ruolo trascendentale della costruzione del sapere. 8 Cfr. J. Habermas, Erkenntnis und Interesse, Frankfurt a. M. 1968 (tr. it., Conoscenza e interesse, Bari 1970); da ultimo K. O. Ape!, Die Erkliiren/Verstehen Kontroverse, Frankfurt a. M. 1979. 276 www.scribd.com/Baruhk principi ermeneutici e critici, che secondo la loro forma conoscitiva sono orientati su altre possibilità d'uso anziché sulla manipolazione o sull'automanipolazione. Nell'Ordine delle cose Foucault aveva ricondotto le scienze umane alla forza costitutiva di una volontà di sapere spiegata con la storia della metafisica. La teoria del potere, come si è mostrato, deve nascondere questo rapporto. D'ora innanzi resta perciò libero il luogo delle discussioni fondativo-teoriche. La ' volontà di sapere ' torna nuovamente nel titolo del primo volume sulla storia della sessualità (1976), ma in una forma completamente mutata grazie alla teoria del potere. Ha perso il senso trascendentale di una volontà prodotta strutturalmente a favore di un consapevole autoimpossessamento ed ha assunto la forma empirica di una speciale tecnologia di potere, che insieme con altre tecnologie di potere rende finalmente possibili le scienze dell'uomo. Questa tangibile positivizzazione della volontà di verità e di sapere diventa chiara in un'autocritica esposta da Foucault nel 1980 a Berkeley. In questa sede egli ammette che in Sorvegliare e punire l'analisi delle tecnologie di potere offre un quadro unilaterale: « Se si vuole analizzare la genealogia del soggetto nelle società occidentali si devono tenere in conto non solo le tecniche di dominio, ma anche le tecniche dell'Io. Mi si consenta di dire·· che si deve tenere nel dovuto conto l'interazione tra quei due diversi tipi di tecnica, il punto in cui le tecnologie di dominio di un individuo sopra un altro sono ricorse al processo attraverso il quale l'individuo agisce su se stesso » 9 • Queste tecnologie, che sollecitano gli individui ad esaminarsi consapevolmente ed a scoprire la verità su se stessi, Foucault le riconduce alle pratiche della confessione, e specialmente dell'esame di coscienza cristiano. Pratiche strutturalmente simili, che nel corso del XVIII secolo, penetrano in tutti gli ambiti dell'educazione, installano un'armeria con strumenti d'autosservazione e d'autoconsultazione intorno al punto centrale della percezione di impulsi sessuali propri ed estranei. La psicanalisi conferisce poi a queste tecnologie della verità, che non tanto dischiudono l'intimo degli individui quanto principalmente producono un'interiorità mediante una rete sempre più fitta di autorelazioni, la forma di una terapia scientificamente fondata 10 • 9 Howison Lecture on Truth and Subjectivity, Oct. 20, Berkeley, manoscritto, p. 7. 10 Nella Storia della sessualità, Foucault compie una ricerca dei contesti di formazione e di utilizzazione nei quali si inserisce la psicoanalisi. Ancora una volta, argomenti funzionalistici devono stabilire ciò che non possono stabilire, cioè che le tecnologie di potere costituiscono l'ambito oggettivo scientifico e, quindi, pregiudicano criteri di validità per ciò che vale come vero o falso all'interno del discorso scientifico. 277 www.scribd.com/Baruhk In breve, la genealogia delle scienze umane di Foucault entra in scena in un irritante ruolo doppio. Da un lato recita il ruolo empirico di un'analisi di tecnologie di potere che debbono spiegare il contesto funzionale sociale della scienza dell'uomo; in ciò, le situazioni di potere interessano come condizioni di formazione e come effetti sociali del sapere scientifico. D'altro lato la stessa genealogia recita il ruolo trascendentale di un'analisi di tecnologie di potere che debbono spiegare come siano in genere possibili discorsi scientifici sugli uomini; in ciò, le situazioni di potere interessano come condizioni costitutive per un sapere scientifico. Questi due ruoli epistemologici non sono, dunque, più ripartiti in base a principi in concorrenza, che si riferiscono soltanto allo stesso oggetto, cioè al soggetto umano nelle sue manifestazioni di vita. Piuttosto è la storiografia genealogica che deve essere entrambe le cose in uno: sociologia funzionalistica e ricerca storica costituzionale nello stesso tempo. Nel concetto fondamentale di potere Foucault ha costretto insieme il pensiero idealistico della sintesi trascendentale con i presupposti di un'antologia empiristica. Già per questo, tale principio non può aprire una via d'uscita dalla filosofia del soggetto, perché il concetto di potere, che deve offrire alle due contrarie componenti di significato il comun denominatore, è ricavato esso stesso dal repertorio della filosofia della coscienza. Conformemente ad essa, il soggetto può assumere fondamentalmente due e solo due relazioni con il mondo di oggetti immaginabili e manipolabili: relazioni cognitive che sono regolate tramite la verità dei giudizi, e relazioni pratiche che sono regolate tramite il successo delle azioni. Potere è ciò con cui il soggetto influisce su oggetti in azioni ricche· di successo; in ciò, il successo dell'azione dipende dalla verità dei giudizi che entrano nel piano d'azione; il potere resta dipendente dalla verità in merito al criterio del successo dell'azione. Foucault capovolge di colpo questa dipendenza del potere dalla verità in una dipendenza della verità dal potere. Di conseguenza il potere fondante non necessita più di essere vincolato alle competenze di soggetti agenti e giudicanti - la poteni:a diventa priva di soggetto. Nessuno si sottrae tuttavia alle costrizioni di tipo strategico-concettuale della filosofia soggettiva per il semplice fatto di effettuare su quei concetti fondamentali delle operazioni di capovolgimento. Foucault non può far sparire tutte quelle aporie, che rinfaccia alla filosofia del soggetto, in un concetto di potere preso a prestito dalla stessa filosofia soggettiva. Così non desta sorpresa che le stesse aporie emergano nuovamente in una storiografia proclamata come antiscienza, che poggia su un simile principio 278 www.scribd.com/Baruhk paradossale. Siccome Foucault non rende conto metodologica· mente di queste inconciliabilità, anche il motivo dell'unilatera· lità delle sue analisi empiriche rimane nascosto. Foucault collega infatti con la sua svolta verso la teoria del potere l'attesa di condurre le sue ricerche fuori da quel circolo nel quale le scienze umane sarebbero prigioniere senza speranza. Mentre il pensiero antropocentrico viene trascinato nel vortice dell'obiettivismo, cioè dell'aggettivazione dell'uomo dalla dinamica dello smisurato auto-impossessamento di un soggetto divenuto riflessivo, la genealogia del sapere deve innalzarsi alla vera obiettività della conoscenza. Abbiamo già visto che la storiografia genealogica fondata sulla teoria del potere deve proporsi tre sostituzioni: in luogo del chiarimento ermeneutico di contesti di senso subentra l'analisi di strutture di per sé prive di senso; pretese di validità interessano solo ancora come funzioni di complessi di potere; giudizi di valore, e in genere la problematica della giustificazione della critica, vengono eliminati a favore di spiegazioni storiche avalutative. Il nome ' anti-scienza ' non si spiega solo per l'opposizione alle scienze umane dominanti; esso segnala anche il tentativo ambizioso di superare tali pseudoscienze. Ne prende ora il posto una ricerca genealogica che, senza inseguire falsi modelli natu· ralistici, potrà misurarsi un giorno, nel suo status scientifico, con quello delle scienze della natura. Credo che Paul Veyne colga l'effettiva intenzione del suo amico, quando descrive Foucault come lo « storico allo stato puro », che non vuole nient'altro che dire stoicamente, come è avvenuto: «Tutto è storico [ ... ] e tutti gli -ismi devono essere sgomberati. Nella storia vi sono solo costellazioni individuali o del tutto singolari, e ciascuna è interamente spiegabile in base alla sua propria situazione » 11 • Naturalmente la drammatica storia effettuale ed il richiamo iconoclastico di Foucault non sarebbero spiegabili se la fredda facciata dello storicismo radicale non coprisse le sofferenze del modernismo estetico. La genealogia muove verso un destino simile a quello che Foucault aveva letto dalla mano delle scienze umane: nella misura in cui si ritira nell'irriflessiva obiettività di una descrizione ascetica ed indifferente di pratiche della forza che mutano in modo caleidoscopico, la storiografia genealogica si rivela proprio come la pseudoscienza presentistica, relativistica e criptonormativa, che non vuole essere. Mentre le scienze umane, secondo la diagnosi di Foucault, si arrendono al movi· 11 P. Veyne, Foucault révolutionne l'histoire, cit., p. 231 (tr. it. cit., p. 85). 279 www.scribd.com/Baruhk mento ironico di un auto-impossessamento scientifico, e si concludono, o meglio muoiono, in un empio obiettivismo, per la storiografia genealogica si compie un destino non meno ironico: essa segue il movimento di una radicale eliminazione storicistica del soggetto e si conclude in un empio soggettivismo. III Foucault si pensa come ' positivista fortunato ', perché propone tre riduzioni gravide di con~eguenze: la comprensione di senso dell'interprete che prende parte ai discorsi viene ricondotta dalla prospettiva dell'osservatore etnologico alla spiegazione di discorsi; pretese di validità vengono ridotte in modo funzionalistico ad effetti di potere; il Dovere viene riferito naturalisticamente all'Essere. Parlo di riduzioni, perché gli aspetti interni del significato, del valore di verità e del valutare in effetti non si risolvono pienamente negli aspetti colti esternamente delle pratiche di potere. I momenti invalidati e rimossi tornano nuovamente e difendono il proprio diritto in primo luogo su un piano metateorico. Foucault si impiglia in aporie non appena deve spiegare come si deve intendere ciò che fa lo stesso storiografo genealogico. La pretesa obiettività della conoscenza si vede allora, cioè, messa in questione: (l) per l'involontario presentismo di una storiografia che rimane legata alla sua situazione iniziale; (2) per l'inevitabile relativismo di un'analisi riferita al presente, che può ancor solo concepire se stessa come iniziativa pratica dipendente dal contesto; (3) per la arbitraria partiticità di una critica che non può provare i suoi fondamenti normativi. Foucault è sufficientemente incorruttibile per riconoscere queste incongruenze, certo non arriva a trame le conseguenze. 1. Come si è visto, Foucault vuole eliminare la problematica ermeneutica, e con ciò quell'autorelazione che entra in gioco come ambito oggettuale con un approccio alla comprensione di senso. Lo storiografo genealogico non deve operare come l'ermeneuta, non deve tentare di render comprensibile ciò che gli attori via via fanno e pensano a partire da un contesto tradizionale intrecciato con la loro autocomprensione. Deve piuttosto spiegare l'orizzonte all'interno del quale tali manifestazioni possono in genere apparire sensate sulla base di pratiche poste a fondamento. Così, ad esempio, egli non ricondurrà il divieto delle competizioni gladiatorie nella tarda Roma alla influenza umanizzatrice del Cristianesimo, bensì al subentrare 280 www.scribd.com/Baruhk di una formazione di potere nuova rispetto a quella vigente 12 : nell'orizzonte del nuovo complesso di potere, è del tutto naturale, per esempio, che nella Roma posi-costantiniana il sovrano non consideri più il popolo come un gregge di pecore da custodire, ma come una schiera di bambini bisognosi di educazione (non si devono, dunque, ammettere i bambini a spettacoli sanguinari). I discorsi con cui venne motivata l'istituzione o l'abolizione delle competizioni gladiatorie hanno ancora valore solo come camuffamento di una prassi di potere inconsapevolmente posta alla base. Come fonti di ogni senso, tali pratiche sono esse stesse prive di senso; lo storico deve accostarsi ad esse dall'esterno per poterle cogliere nella loro struttura. Per questo, non vi è bisogno di alcuna precomprensione ermeneutica, bensì solo della concezione della storia come di un caleidoscopico mutamento di figure privo di senso, di universi di discorso che non hanno fra loro nulla in comune, salvo l'unica destinazione di essere protuberanze di potere. Contro quest'autocomprensione che persevera nell'obiettività, la prima occhiata ad uno qualsiasi dei libri di Foucault insegna che lo storicista radicale può spiegare le tecnologie di potere e le pratiche di dominio solo mettendole a confronto; assolutamente mai ogni singola come totalità di volta in volta presa di per sé. Pertanto i punti di vista in base ai quali egli intraprende dei confronti, sono inevitabilmente connessi alla peculiare posizione di partenza ermeneutica. Ciò risulta, tra l'altro, dal fatto che Foucault non può sfuggire alla costrizione d'una suddivisione epocale implicitamente riferita al presente. Si tratti della storia della follia, di quelle della sessualità o delle pene, le formazioni di potere del Medioevo, del Rinascimento e dell'Età classica rinviano sempre a quel potere disciplinare, a quella biopolitica, che Foucault considera il destino del nostro presente. Nella parte conclusiva dell'Archeologia del sapere, egli solleva quest'obiezione nei confronti di se stesso, ma solo per eluderla: « Nell'attimo, e senza che io potessi prevedere una fine, il mio discorso - ben lungi dal definire il luogo da cui esso parla evita il terreno su cui avrebbe potuto poggiare » 13 • Foucault è consapevole, senza darne la spiegazione, dell'aporia di un procedimento che vuoi essere obiettivistico e deve rimanere diagnostico del tempo. Foucault s'abbandona alla frusta melodia di un irraziona12 Questo esempio viene trattato da Veyne. lvi, pp. 204 sgg. (trad. it. parz. cit., pp. 71 sgg.). 13 M. Foucault, L'Archéologie du savoir, cit., p. 267 (tr. it. cit., p. 268). 281 www.scribd.com/Baruhk lismo confesso solo nel contesto della sua interpretazione di Nietzsche. Qui, cioè, l'autoestinzione, ovvero « il sacrificio del soggetto conoscente », che lo storicista radicale deve richiedere a se stesso per amore dell'oggettività della pura analisi strutturale, sperimenta un'ironica reinterpretazione nell'opposto: Relativamente all'apparenza o alla sua maschera, la coscienza storica è neutrale, libera da qualsiasi passione e dedita solo alla verità. Interrogando però se stessa, e in genere ogni coscienza scientifica nella sua storia, scopre che le forme e le trasformazioni della volontà di sapere sono istinto, passione, febbre inquisitoria, raffinatezza crudele, cattiveria; scopre la violenza delle prese di posizione. L'analisi storica di questa grandiosa volontà di sapere dell'umanità rende evidente che non c'è conoscenza che non si basi sulla ingiustizia (e che, di conseguenza, non esiste nella conoscenza alcun diritto alla verità ed alcun fondamento del vero) 14 • Così, il tentativo di spiegare le formazioni di discorso e di potenza soltanto a partire da se stesse, sotto l'inesorabile sguardo oggettivante dell'analista che viene da lontano opponendosi senza comprendere a tutto ciò che è del luogo, si rovescia nel suo contrario. Lo smascheramento delle illusioni obiettivistiche di ogni volontà di sapere porta ad un accordo con una storiagrafia narcisista che si allinea sulla posizione dello storico, e strumentalizza la considerazione del passato ai bisogni del presente: « la vera storia » cala « nella sua posizione, lo scandaglio nel profondo » 15 • 2. La storiografia di Foucault può altrettanto poco sfuggire ad un relativismo, quanto a questo estremistico presentismo. Le ricerche di Foucault si impigliano appunto in quell'autorelazione che doveva essere rimossa per mezz-o di un uso naturalistico della problematica della validità. La storiografia genealogica deve veramente rendere accessibile ad un'analisi empirica le pratiche di potere proprio nei contributi d'esse alla costruzione del discorso. Da questa prospettiva le pretese di verità non vengono limitate solo ai discorsi all'interno dei quali via via compaiono. Esse esauriscono essenzialmente il loro significato nel contributo funzionale che offrono all'autoaffermazione di un universo di discorso vigente. Il senso delle pretese di validità consiste, dunque, negli effetti di potere che esse hanno. D'altra parte, questa assunzione di fondo della teoria di potere è autorelativa; 14 15 F. Foucault, Nietzsche, la généalogie, l'histoire, cit. (tr. it. cit., p. 52). lvi (tr. it. cit., p. 46). 282 www.scribd.com/Baruhk essa, se giusta, deve distruggere il fondamento di validità delle ricerche che ispira. Se però la pretesa di verità che Foucault stesso collega con la sua genealogia del sapere, fosse veramente illusoria e si risolvesse negli effetti che tale teoria è in grado di esercitare nella cerchia dei suoi sostenitori, allora l'intera impresa di uno smascheramento critico delle scienze umane sarebbe privata del suo effetto. Foucault professa, tuttavia, la storiografia genealogica con la più seria intenzione di venire a capo di una scienza superiore alle scienze umane che sono fallite; se la sua superiorità non potesse, dunque, esprimersi nel fatto che è subentrato qualche cosa di persuasivo al posto delle pseudoscienze superate; se la sua superiorità si esprimesse solo nell'effetto della reale rimozione di discorsi scientifici finora dominanti, allora la teoria di Foucault si esaurirebbe in una politica teorica, cioè in una finalità politico-teorica, che chiederebbe troppo alle forze di un'impresa eroica di un singolo uomo. Di ciò, Foucault è consapevole. Per questo motivo egli vuole distinguere la genealogia da tutte le altre scienze umane in modo tale da potersi conciliare con gli assunti di base òella propria teoria. A questo scopo egli applica a se stesso la storiografia genealogica; nella storia delle origini, che le è propria, deve risultare la differenza che può fondare la priorità su tutte le altre scienze umane. La genealogia del sapere fa uso di tutti quei generi squalificati di sapere, dai quali si distinguono le scienze consolidate; essa offre il medium per la ribellione dei « generi deprezzati del sapere ». Tra questi Foucault non intende in prima linea i sedimenti del sapere erudito ad un tempo occultati e tenuti presenti, bensì le esperienze, mai promosse a sapere ufficiale e mai sufficientemente articolate, di gruppi assoggettanti. Si tratta del sapere implicito della ' gente ' che in un sistema di potere costituisce lo strato infimo, e che per prima sperimenta sul proprio corpo una tecnologia di potere, si tratti delle vittime e degli operatori di un meccanismo di sofferenza e ad esempio il sapere degli psichiatrizzati e degli infermieri, dei delinque,nti e dei sorveglianti, dei deportati nei Lager e del personale di guardia, dei negri e degli omosessuali, delle donne e delle streghe, dei vagabondi, dei bambini e dei pazzi. La genealogia effettua il suo lavoro di scavo sull'oscura ragione di quel sapere locale, marginale ed alternativo, che « trae vigore solo dalla durezza con la quale si oppone a tutto ciò che lo circonda». I materiali di questo sapere normalmente « sono squalificati in quanto impropri o non abbastanza elaborati: sono tipi di sapere ingenui col- 283 www.scribd.com/Baruhk locati al margine inferiore della gel"archia, al di sotto del livello richiesto di sapere e scientificità » 16 • In essi sonnecchia, però, « il sapere storico delle battaglie ». La genealogia, che eleva questi « ricordi locali » al livello di « conoscenze erudite », si schiera dunque dalla parte di coloro che oppongono via via resistenza alle varie pratiche del potere. Da tale posizione di potere antagonista, essa consegue una prospettiva che deve andar oltre le prospettive di coloro che via via detengono il potere. Da tale prospettiva, deve poter trascendere tutte le pretese di validità che si costituiscono solo all'interno del delimitato ambito del potere. Il legame con il sapere squalificato della ' gente ' deve procurare al lavoro di ricostruzione del genealogista quella superiorità che « ha fornito alla critica svolta dai discorsi negli ultimi quindici anni la sua forza essenziale » 17• Ciò richiama un argomento del primo Lukacs, secondo il quale la teoria marxista dovrebbe la sua spregiudicatezza ideologica alle privilegiate possibilità di conoscenza di una prospettiva dell'esperienza formatasi grazie alla posizione del lavoratore salariato nel processo di produzione. L'argomento era plausibile, in ogni caso, solo nell'ambito di una filosofia della storia che voleva rinvenire nell'interesse di classe proletario l'interesse generale, nella coscienza di classe del proletariato l'autocoscienza del genere umano. Ma la concezione del potere di Foucault non consente un simile concetto del potere antagonista, di stampo filosofico-storico, che privilegi la conoscenza. Ogni contropotere si muove già nell'orizzonte del potere che combatte, e si trasforma, una volta vittorioso, in un complesso di potere, che provoca un altro contropotere. Da questo circolo anche la genealogia della scienza non può uscire, mentre attiva la ribellione delle forme di sapere squalificate e mobilita il sapere decaduto contro « la costrizione di un discorso teoretico, unitario, formale e scientifico » 18 • Chi batte l'avanguardia teoretica di oggi e supera la vigente gerarchizzazione del sapere, pone per ciò stesso l'avanguardia teoretica di domani, edifica per ciò stesso una nuova gerarchia del sapere. Non può comunque rendere valida per il suo sapere alcuna superiorità in ragione di pretese di verità che trascendano le convenzioni locali. Fallisce in tal modo il tentativo di salvaguardare coi suoi stessi mezzi la storiografia genealogica dall'autosmentita relativistica. La genealogia mentre riconosce la propria origine dal16 M. Foucault, Corso del 7 Gennaio 1976, in Microfisica del potere, cit., p. 167. 17 18 lvi, p. 168. lvi, p. 170. 284 www.scribd.com/Baruhk l'alleanza del sapere erudito con quello squalificato, trova soltanto confermato che le pretese di validità di controdiscorsi non contano di più o di meno dei discorsi aventi potere - anche esse non sono nient'altro che gli effetti di potere che si manifestano. Foucault vede questo dilemma, ma si sottrae, ancora una volta, a una risposta. E di nuovo fa ricorso ad un combattivo prospettivismo solo nel contesto della sua recezione di Nietzsche: « Gli storici cercano, per quanto possibile, di cancellare tutto ciò che nel loro sapere possa rivelare il luogo da dove osservano, il punto temporale in cui si trovano, il partito che prendono, e l'inevitabilità delle loro passioni. Il senso storico, come Nietzsche lo intende, sa di essere prospettivistico [ ... ] Esso guarda da un angolo visuale determinato; è ben deciso a sottovalutare, a dire sì o no, a seguire ogni traccia del veleno, a trovare il controveleno migliore » 19 , 3. Resta infine da verificare se riesca a Foucault di sfuggire a quel criptonormativismo, di cui si rendono colpevoli, secondo la sua concezione, le scienze umane aspiranti alla libertà dai valori. La storiografia genealogica deve attingere, in assetto rigorosamente descrittivo, alle spalle degli universi del discorso nell'ambito dei quali soltanto si discute di norme e di valori. Essa mette fra parentesi pretese normative di validità al pari di pretese di verità proposizionale, e si astiene dalla questione se talune formazioni del discorso e del potere possano venire giustificate piuttosto che altre. Foucault si oppone alla richiesta di prendere partito; egli schernisce 'il dogma gauchiste' di considerare il potere come il cattivo, il brutto, lo sterile, il morto, e viceversa, « ciò su cui il potere viene esercitato, come il buono, l'autentico, il grande» 20 • Per lui non c'è un 'lato giusto'. Dietro a queste affermazioni sta la convinzione che la politica avviata, nel 1789, sotto il segno della rivoluzione, sia ormai alla fine, e che siano superate le teorie impegnate ad intendere il rapporto tra teoria e prassi. Già questa fondazione di una libertà di valori di secondo grado non è, naturalmente, libera da valore. Foucault si considera un dissidente, che oppone resistenza al pensiero moderno e al potere disciplinare travestito in vesti umanistiche. L'engagement impronta le sue dotte trattazioni sino nello stile e nella scelta lessicale; il gesto critico domina la teoria non meno che 19 M. Foucault, Nietzsche, la généalogie, l'histoire, cit. (tr. it. cit., p. 46). 20 M. Foucault, Non au sexe roi (conversazione con Bernard-Henry Lévy) in «Le Nouvel Observateur », 12 marzo 1977, no 644 (tr. ted., Nein zum Konig Sex, in Dispositive der Macht. Michel Foucault Vber Sexualitiit, Wissen und Wahrheit, Berlin 1978, p. 191). 285 www.scribd.com/Baruhk l'autodefinizione dell'intera opera. Per tale via Foucault si differenzia, da un lato, dal positivismo impegnato di un Max Weber, volto a separare la base di valore, scelta decisionisticamente e apertamente dichiarata, dalle analisi condotte avalutativamente. La critica di Foucault si fonda piuttosto su una retorica postmoderna della rappresentazione che sugli assunti post-moderni della sua teoria. Da un altro lato, Foucault si differenzia anche dalla critica all'ideologia di un Marx, il quale smaschera l'autocomprensione umanistica della modernità, nel momento in cui attacca il contenuto normativa degli ideali borghesi. Foucault non ha l'intenzione di continuare quel discorso antagonista che la modernità ha portato con sé dai suoi inizi; egli non vuole affinare in qualche maniera il gioco linguistico della moderna teoria politica (con i concetti fondamentali di autonomia ed eteronomia, moralità e legalità, emancipazione e repressione) e volgersi contro le patologie della modernità - egli vuole passare sotto alla modernità ed ai suoi giochi linguistici. La sua resistenza non deve giustificarsi come immagine speculare del potere esistente: « Se tutto si riducesse a questo », risponde Foucault ad una corrispondente domanda di Bernard-Henry Lévy, «non vi sarebbe resistenza. Poiché la resistenza deve essere come il potere: altrettanto ingegnosa, altrettanto mobile, altrettanto produttiva. Essa si deve organizzare e stabilizzare allo stesso modo, deve come quello venire dal basso e distribuirsi strategicamente » 21 • La dissidenza deriva la sua unica giustificazione dal fatto che tende trappole al discorso umanistico senza impegolarsi con esso; Foucault spiega quest'autocomprensione strategica a partire dalle caratteristiche della stessa formazione di potere moderna. Quel potere disciplinare, il cui carattere locale, costante, produttivo e onnipenetrante, capillarmente intrecciato, che egli descrive ripetutamente, si installa prima nei corpi che nelle teste. Esso ha l'aspetto di una biopotenza che prende possesso piuttosto dei corpi che degli spiriti, e sottopone il corpo ad una inesorabile costrizione normalizzante - senza avere, per questo, bisogno di una base normativa. Il potere disciplinare funziona senza dover passare per una coscienza necessariamente falsa, che si sarebbe formata nei discorsi umanistici e sarebbe perciò esposta alla critica dei discorsi antagonisti. I discorsi delle scienze umane, piuttosto, si fondono con le pratiche della loro applicazione a formare un complesso di potere opaco, sul quale deve riflettersi ogni critica dell'ideologia. La critica urna21 lvi (tr. ted. cit., p, 195). 286 www.scribd.com/Baruhk nistica che poggia, come quella di Marx o Freud, sulla contraddizione superata di potere legittimo ed illegittimo, di motivi consapevoli ed inconsapevoli, e che entra in guerra contro istanze della oppressione, dello sfruttamento, della emarginazione, ecc., corre il rischio, da parte sua, di rafforzare l' ' umanesimo ' riportato nel frattempo dal cielo sulla terra e passato alla violenza normalizzatrice. Ora, questo argomento può bastare a concepire la storiagrafia genealogica non più come critica, ma come tattica, come mezzo della strategia contro una formazione di potere normativamente inattaccabile. Se però si tratta ancora solo della mobilitazione di forze antagoniste, di confronti e di battaglie ricche di finte, sorge la domanda del perché dovremmo opporre resistenza a questo potere onnipresente che circola nel sistema sanguigno del corpo sociale moderno, anziché adattarvisi. In questo caso, anche il mezzo di lotta della genealogia del sapere sarebbe superfluo. Certo appare chiaro che un'analisi delle forze e delle debolezze dell'avversario è utile a colui che intenda accettare il combattimento - ma perché lottare?: « Perché la lotta è preferibile .alla sottomissione? Perché si dovrebbe resistere alla dominazione? Solo introducendo nozioni in qualche modo normative, Foucault potrebbe avviare una risposta a questa domanda. Solo introducendo nozioni normative, potrebbe cominciare a dirci cosa c'è di sbagliato nel moderno regime di potere/conoscenza e perché dovremmo opporci ad esso» 22 • Una volta, in una intervista, Foucault non riesce a sottrarsi alla domanda; in quest'unico luogo accenna, in modo molto vago, a criteri di giustizia post-moderni: « Per poter entrare in battaglia con il potere disciplinare contro le discipline, non si dovrebbe prendere la direzione dell'antico diritto della sovranità, ma ci si dovrebbe piuttosto avvicinare ad un nuovo diritto, liberato non solo dalle discipline, ma anche, al contempo, dal principio della sovranità » 23 • Foucault, prescindendo completamente dal fatto che, in collegamento con Kant, sono già state sviluppate concezioni della morale e del diritto, che non servono più al compito di giustificare semplicemente la sovranità dello stato monopolizzatore di forza, su questo tema tace. Ma non appena si tenta di ricavare dall'enfatica denuncia del potere disciplinare i criteri implici22 N. Fraser, Foucault on Modern Power: Empirica{ Insights and Normative Confusions, in « Praxis International >>, vol. l, 1981, p. 283. 23 M. Foucault, Corso del 14 Gennaio 1976, in Microfisica del potere, cit., p. 194. 287 www.scribd.com/Baruhk tamente adoperati, si incontrano determinazioni conosciute che provengono dal gioco linguistico normativistico esplicitamente respinto. Sono cioè sconvenienti, per Foucault, anche tanto la relazione asimmetrica fra c.oloro che detengono il potere e coloro che vi sono sottomessi, quanto l'effetto reificante delle tecnologie di potere, che danneggiano l'integrità morale e fisica di soggetti disposti a parlare e ad agire. N. Fraser ha proposto un'interpretazione, che certamente non mostra alcuna via d'uscita da questo dilemma, ma che spiega, però, da dove trae origine il criptonormativismo d'una storiografia che si dichiara libera da valori 24 • Il concetto della volontà di potenza di Nietzsche ed il concetto della sovranità di Bataille accolgono, più o meno apertamente, il contenuto di esperienza normativa della modernità estetica. Al contrario, Foucault ha preso in prestito dalla tradizione empiristica la sua concezione del potere, le ha sottratto quel potenziale di esperienza di un fascino insieme spaventoso ed incantevole dal quale ha attinto da Baudelaire fino ai surrealisti l'avanguardia estetica. Tuttavia ' potere ' mantiene anche nelle mani di Foucault un rapporto letteralmente estetico con la percezione del corpo, con l'esperienza dolorosa del corpo straziato. Questo momento diviene addirittura determinante per la moderna formazione del potere, che deve il nome di ' biopotere ' alla circostanza che, per i delicati sentieri dell'oggettivizzazione scientifica e di una soggettività prodotta tramite tecnologie della verità, penetra profondamente nel corpo reificato e si appropria dell'intero organismo. Si chiama biopotere quella forma di socializzazione che mette da parte ogni possibilità di sviluppo di natura, e trasforma la globalità della vita creaturale in un sostrato del potenziamento. L'asimmetria piena di contenuti normativi, che Foucault vede operante nei complessi di potere, non si pone propriamente tra volontà che ha potere e sottomissione forzata, bensì tra i processi di potere e quei corpi che nel corso di essi vengono lacerati. 'È sempre il corpo che viene scorticato nella tortura e trasformato in teatro della vendetta sovrana; che viene afferrato dai congegni, smembrato in un campo di forze meccaniche, manipolato; che viene oggettivato e controllato dalle scienze umane; che viene, al contempo, stimolato e messo a nudo nella sua cupidigia. Se il concetto di potere di Foucault conserva un residuo del contenuto estetico, lo deve all'interpretazione vitalistica dell'autoesperienza del corpo. La Storia della sessualità si conclude con l'espressione inconsueta: « Dobbiamo ab24 In un manoscritto dal titolo: Foucault's Body Language: A Post-humanistic Politica[ Rethoric (1982). 288 www.scribd.com/Baruhk bandonarci al sogno che, un giorno, in un'altra economia del corpo e dei desideri, forse non si riesce più a capire come [ ...] ci fosse riuscito a sottometterei alla dura ed esclusiva signoria del sesso» 25 • Quest'altra economia del corpo e dei desideri, della quale per il momento, con Bataille, possiamo solo sognare, non sarebbe una nuova economia del potere, ma una teoria postmoderna, che ora potrebbe chiedere conto delle misure della critica già implicitamente usate per l'innanzi. Fino a quel punto, la resistenza può derivare, se non la sua giustificazione, il suo motivo, solo dai segnali del linguaggio del corpo, da quella lingua non verbalizzata del corpo torturato, che non si presta ad essere superata nel discorso 26 • Foucault non può ovviamente far sua questa interpretazione, che certo poggia su alcuni dei suoi affetti rivelatori. Altrimenti, come Bataille, dovrebbe accordare all'altro della ragione lo status che, con buoni motivi, ad e~so nega fin da Follia e società. Foucault si difende da una metafisica naturalistica che esalta il potere antagonista a referente prediscorsivo: «'Ciò che lei chiama naturalismo », risponde a Bernard-Henry Lévy nel 1977, « indica l'idea che sotto il potere, sotto le sue azioni di violenza e le sue malvagità, si debbano ritrovare le cose stesse nella loro vitalità originaria: dietro le mura del manicomio, la spontaneità della follia; nel sistema di punizione, l'irrequietezza fruttuosa della delinquenza; sotto il divieto sessuale, la purezza del desiderio» n. Siccome Foucault non può accettare quest'idea di filosofia della vita, alla domanda sui fondamenti normativi della sua critica deve parimenti astenersi dalla risposta. IV Foucault non può trattare in modo soddisfacente gli ostinati problemi che si presentano, nel rapporto con l'accesso comprensivo di senso all'ambito oggettivo, alla negazione autoreferenziale di pretese universali di validità ed alla giustificazione normativa della critica. Le categorie di significato, validità, valore 25 M. Foucault, La Volonté de Savoir, Paris 1976, p. 211 (tr. it., La volontll di sapere, Milano 1978, p. 142). 26 P. Sloterdij~ sviluppa questa alternativa con l'esempio delle forme di protesta mute, con un linguaggio espresso dal corpo, del cinico; Kritik der zynischen Vernunft, 2 voli., Frankfurt a. M. 1982. Le ricerche personali di Foucault si sono naturalmente orientate in un'altra direzione. Confronta anche la sua postfazione alla seconda edizione di Dreyfus, Rainbow, Miche! Foucault: Beyond Structuralism and Hermeneutics, cit., pp. 229 sgg. TI M. Foucault, Non au sexe roi, cit. (tr. ted. cit., p. 191). 289 www.scribd.com/Baruhk non devono essere però eliminate solo a livello metateoretico, bensì anche empirico: la storiografìa genealogica ha a che fare con un ambito di oggetti, dal quale la teoria del potere ha eliminato tutti i tratti di azioni comunicative inserite in contesti relativi al mondo della vita. Questa rimozione di concetti fondamentali, che potrebbero tener conto delle circostanze della prestrutturazione simbolica di sistemi d'azione, carica le ricerche empiriche di problemi che questa volta Foucault non tratta, ad ogni modo, esplicitamente. Voglio scegliere due problemi che hanno una storia onorevole nella teoria della società: come sia possibile l'ordine sociale, e come individuo e società si comportino reciprocamente. Quando, come Foucault, si accetta solo il modello di processi di sopraffazione, di confronti mediati corporalmente, di contesti per un'azione strategica più o meno consapevole; quando si esclude una stabilizzazione di ambiti d'azione tramite valori, norme e processi di intesa e non si indica alcuno degli equivalenti conosciuti da teorie del sistema o di scambio per questi meccanismi di integrazione strategica, allora difficilmente si può spiegare come potrebbero consolidarsi le incessanti battaglie locali contro un potere istituzionalizzato. Axel Honneth ha sviluppato energicamente questa problematica: Foucault, nelle sue descrizioni, ammette discipline inspessitesi istituzionalmente, pratiche di potere, tecnologie della verità e del dominio, ma non può spiegare « come dalla condizione sociale di un'ininterrotta battaglia possa essere dedotto lo stato di aggregazione di una struttura di potenza » 28 • Simili difficoltà concettualmente fondamentali, come la stabilizzazione epocale di formazioni del discorso e del potere preparano inoltre i fenomeni per i quali Durkheim ha introdotto l'espressione di « individualismo istituzionalizzato ». Se solo si accetta il modello della acquisizione di potere, anche la socializzazione di generazioni nate più tardi si presenta nel quadro di confronti ingannevoli. Allora, però, la socializzazione di soggetti adatti a comunicare e ad agire non deve essere in pari tempo intesa come individualizzazione, ma unicamente come progressiva sussunzione di corpi, di sostrati viventi sotto tecnologie di potere. I processi di formazione sempre più fortemente individualizzantisi, che, in società con tradizioni divenute riflessive e norme d'azione altamente astratte, penetrano in strati sociali sempre più ampi, hanno bisogno di un cambio di interpretazione artificiale, che compensi la miseria categoriale 28 A. Honneth, Kritik der Macht, cit., p. 182. 290 www.scribd.com/Baruhk del modello di acqutslZlone del potere. Il Foucault teorico del potere incontra sotto questo aspetto il medesimo problema dell'istituzionalista Gehlen 29 ; in entrambe le teorie manca un meccanismo di integrazione sociale come il linguaggio (con l'intrecciarsi di atteggiamenti performativi di parlanti ed ascoltatori 30, che potrebbe spiegare l'effetto di individualizzazione della socializzazione). Foucault compensa questa strettoia concettualmente fondamentale depurando completamente, come Gehlen, il concetto dell'individualità da connotazioni di autodeterminazione e di autorealizzazione, e riducendolo ad un mondo interiore prodotto mediante stimoli esterni e provvisto di contenuti immaginativi manipolabili ad arbitrio. -Questa volta la difficoltà non deriva dalla mancanza di un equivalente per le note costruzioni della relazione fra individuo e società; la questione è, piuttosto, se il modello di una dilatazione dello psichico, prodotta tramite pratiche del potere (o provocata dal crollo delle istituzioni) non renda indispensabile sottoporre l'aumento di libertà soggettiva a descrizioni che rendono irriconoscibile l'esperienza di spazi ampliati di una autoraffigurazione ed autonomia espressive. Foucault potrebbe naturalmente rifiutare obiezioni di questo tipo come petitio principii. Non si fondano forse su problematiche tradizionali che - insieme con le scienze umane dal cui orizzonte derivano - da gran tempo sono rimaste prive di oggetto? Potremmo rispondere negativamente a questa domanda solo se ciò che dal nostro punto di vista si presenta come un deficit concettualmente fondamentale, influisse anche sull'impianto e sulla realizzazione delle ricerche empiriche, e si lasciasse arrestare in base a interpretazioni selettive e a parziali cecità. Vorrei perlomeno menzionare alcuni punti di · vista alla luce dei quali si potrebbe condurre una critica empirica alla storia dell'origine del processo penale moderno e della sessualità elaborata da Foucault. Sorvegliare e punire è progettato come una genealogia del diritto penale razionalizzato scientificamente e dell'esecuzione della pena umanizzata scientificamente. Quelle tecnologie del dominio, nelle quali si esprime oggi il potere disciplinare, formano la matrice comune per «la umanizzazione della pena, come pure [per] la conoscenza dell'uomo» 31 • La razionalizzazione 29 A. Gehlen, Die Seele im technischen Zeitalter, Hamburg 1957. J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1981, vol. Il, pp. 92 sgg. (tr. it., Teoria dell'agire comunicativo, Bologna 1986, pp. 625 sgg.). 31 M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, cit., p. 28 (tr. it. cit., p. 27). 30 291 www.scribd.com/Baruhk del diritto penale e l'umanizzazione dell'esecuzione della pena furono messe in movimento verso la fine del XVIII secolo sotto la protezione retorica di un movimento di riforma che si giustifica normativamente nei concetti di diritto e morale. Foucault vuole mostrare che sotto vi si nasconde un cambiamento brutale delle pratiche del potere, la nascita di un moderno regime di potere, «l'adeguamento ed il perfezionamento di apparati che comprendono e sorvegliano il comportamento quotidiano degli individui, la loro identità, la loro attività, i loro gesti apparentemente privi di significato » 32 • Foucault può illustrare questa tesi con riferimenti a casi convincenti; ma questa tesi, tuttavia, è errata nella sua generalizzazione. Essa significa allora che il panoptismo dedotto nella moderna esecuzione della pena è caratteristico per la struttura della modernizzazione sociale nel suo insieme. Foucault può formulare questa tesi generalizzata, solo perché si muove in concetti fondamentali di teoria del potere, ai quali si sottraggono le strutture normative dello sviluppo del diritto. Processi di apprendimento pratico-morali devono presentarglisi come intensificazione di processi di acquisizione del potere. Questa riduzione si compie in più passi. Anzitutto Foucault analizza i giochi linguistici normativi del diritto naturale razionale, per mezzo delle funzioni latenti che il discorso del dominio soddisfa nell'età del classicismo, per l'attuazione e l'esercizio del potere statale assolutistico. La sovranità dello stato monopplizzatore di forza si esprime anche nelle forme dimostrative dell'esecuzione della pena, che Foucault presenta in modo chiaro sulla base di procedure di tortura e di supplizio. Quindi descrive per mezzo della stessa prospettiva funzionalistica le prosecuzioni del gioco linguistico classico nella età delle riforme dell'Illuminismo. Queste culminano da una parte nella teoria della morale e del diritto di Kant, dall'altra parte nell'utilitarismo. ~ interessante rilevare che Foucault non precisa che entrambi servono nuovamente alla attuazione rivoluzionaria di una violenza di stato costituzionalizzata, cioè ad un ordine politico, che viene ideologicamente trasferito dalla sovranità dei prìncipi a quella del popolo. A questo tipo di regime sono infatti conformi quelle forme normalizzanti dell'esecuzione della pena, che costituiscono il vero tema di Sorvegliare e punire. Dal momento che Foucault esclude gli aspetti interni dello sviluppo del diritto, egli può compiere inosservatamente il terzo passo decisivo. Mentre la violenza sovrana della classica forma32 lvi, p. 99 (tr. it. cit., p. 85). 292 www.scribd.com/Baruhk zione di potere si costituisce nei concetti di diritto e legge, il gioco linguistico normativo deve essere inapplicabile al potere disciplinare della modernità; questa si sottomette ancor solo ai concetti empirici, in ogni caso non giuridici, del controllo fattuale e dell'organizzazione di modi di comportamento e di motivi di una popolazione resa sempre più disponibile scientificamente: « che i procedimenti della normalizzazione colonizzano sempre di più i procedimenti della legge, è in grado di spiegarlo il funzionamento globale di ciò che io chiamo società della normalizzazione » 33 • Come mostra il passaggio dalla teoria giusnaturalistica a quella della società di natura 34, il complesso contesto di vita delle società moderne, nell'insieme, si lascia sempre meno costruire nelle categorie giusnaturaliste di rapporti contrattuali. Questa circostanza non può, però, naturalmente giustificare la decisione, ricca di conseguenze dal punto di vista della strategia teorica, che lo sviluppo di strutture normative sia in gen~re da trascurare per la moderna formazione di potere. Non appena Foucault prende il filo della affermazione biopolitica del potere disciplinare, lascia cadere il filo dell'organizzazione giuridicadella pratica di dominio e della legittimazione dell'ordine autoritario. Per questo motivo, sorge infondatamente la impressione che lo Stato costituzionale borghese sia un relitto divenuto privo di funzione dei tempi dell'assolutismo. Questo livellamento non circostanziato di cultura e politica sui sostrati immediati della pratica della violenza, spiega le evidenti lacune dell'esposizione.' Può essere ancora motivato con indicazioni di tecnica raffigurativa il fatto che una storia della giustizia penale moderna venga staccata dallo sviluppo dello Stato di diritto. Più dubbia è la limitazione teoretica al sistema dell'esecuzione della pena. Non appena passa dall'età classica a quella moderna, Foucault non presta più alcun tipo di attenzione al diritto penale ed al diritto della procedura penale. Altrimenti avrebbe dovuto sottoporre anche in questo campo le evidenti conquiste in liberalità ed in sicurezza giuridica, l'ampliamento delle garanzie dello Stato di diritto ad una precisa interpretazione di teoria del potere. L'esposizione viene però completamente distorta per il fatto che Foucault esclude anche dalla stessa storia dell'esecuzione della pena tutti gli aspetti della giuridicizzazione. Nella prigione esistono, come nelle cliniche, scuole e caserme, quei « particolari rapporti di 33 p. 193. 34 M. Foucault, Corso del 14 Gennaio 1976, in Microfisica del potere, cit., J, Habermas, Soziologie, in Evangel. Staatslexikon, 293 www.scribd.com/Baruhk 1966, pp. 210 sgg. violenza » che non sono affatto rimasti intatti da una trasformazione nel senso dello Stato di diritto energicamente avanzante: lo stesso Foucault si è impegnato politicamente per questo. Questa selettività non toglie nulla del suo peso all'affascinante smascheramento degli effetti capillari del potere. La generalizzazione, dalla prospettiva della teoria del potere, di un'in~ terpretazione selettiva impedisce però a Foucault di percepire il vero fenomeno bisognoso di spiegazione: la struttura dilemmatica della giuridicizzazione, nelle democrazie di stato sociale dell'Occidente consiste nel fatto che sono gli stessi mezzi giuridici della garanzia di libertà quelli che compromettono la libertà del presunto beneficiario. Sotto le premesse della sua teoria del potere, Foucault ha talmente spianato la complessità della modernizzazione sociale, che non possono più saltargli all'occhio i paradossi inquietanti di questo processo. La stessa tendenza allo spianamento di fenomeni a doppio senso si mostra nella storia della sessualità moderna di Foucault. Questa si riferisce all'ambito essenziale della natura interna che diviene riflessiva, vale a dire della soggettività nel senso pratoromantico di un'interiorità dotata di espressività. Viene spianata la struttura dilemmatica di un processo di interiorizzazione e individualizzazione a lungo termine, accompagnato da tecniche del disvelamento e strategie di sorveglianza, processo che procura al contempo nuove zone di alienazione e normalizzazione. Herbert Marcuse ha interpretato come « sublimazione repressiva » le manifestazioni contemporanee di una liberazione sessuale controllata, socialmente presa in appalto, contemporaneamente commercializzata e amministrata. Questa analisi lascia aperta la prospettiva di una desublimazione liberatrice. Foucault procede da fenomeni del tutto simili di una sessualità squalificata, degradata a mezzo di controllo, svestita di erotismo, - ma vi vede appunto il telos, il segreto rivelato della liberazione sessuale. Dietro l'apparente emancipazione si nasconde una potenza che dispiega la sua produttività tramite una coazione alla confessione e voyeurismo indotta maliziosamente. ' Sessualità ', per Foucault, è sinonimo di una formazione del discorso e del potere, che la pretesa innocente di veridicità fa valere nei confronti dei propri moti dell'animo, dei desideri istintivi e delle esperienze privilegiatamente accessibili; e mira ad una stimolazione dei corpi non appariscente, ad una intensificazione dei desideri ed a una formazione di energie spirituali. Dalla fine del XVIII secolo una rete di tecniche della verità si stringe intorno al bambino che si masturba, alla donna isterica, all'adulto perverso, alla coppia procreatrice - tutti luoghi che sono riorganizzati da pedagoghi, 294 www.scribd.com/Baruhk medici, psicologi, pianificatori familiari, ecc., che stanno in osservazione. Si potrebbe mostrare particolareggiatamente come Foucault semplifichi il processo altamente complesso di una progrediente problematizzazione della natura interna, riducendolo ad una storia che scorre linearmente. Nel nostro contesto interessa prima di tutto la caratteristica eliminazione di tutti gli aspetti in base ai quali l'erotizzazione e l'interiorizzazione della natura soggettiva hanno significato anche un guadagno in termini di libertà e possibilità espressive. C. Honegger mette in guardia dal riproiettare indietro nella storia le presenti manifestazioni di desublimizzazione e dal rimuovere ancora una volta le repressioni passate: « In un tempo non troppo lontano erano correnti le prescrizioni di castità per le donne, la produzione della frigidità femminile, la morale doppia degli uomini, la stigmatizzazione del comportamento sessuale deviante, così come tutte quelle umiliazioni della vita amorosa che Freud si sentì raccontare nel suo gabinetto medico » 35 • Le obiezioni di Foucault contro il modello di Freud della repressione degli istinti e della emancipazione mediante la presa di coscienza, hanno una plausibilità evidente; e questa la devono solo al fatto che la libertà, come principio della modernità, non si lascia effettivamente cogliere nei concetti fondamentali della filosofia del soggetto. In tutti i tentativi di cogliere con mezzi della filosofia della coscienza l'autodeterminazione e l'autorealizzazione, vale a dire la libertà nel senso morale ed estetico, ci si scontra ad ogni momento con un ironico rovesciamento di ciò che realmente si è voluto dire. La repressione dell'identità è il rovescio dell'autonomia infiltrata nei rapporti soggetto-oggetto; la perdita - e la paura narcisistica davanti alla perdita - dell'identità è il rovescio di un'espressività portata sotto questi concetti. Il fatto che il soggetto morale si deve trasformare da sé in oggetto, che il soggetto espressivo come tale si deve ritirare o, per paura di alienarsi negli oggetti, si deve chiudere in sé, non corrisponde all'intuizione di libertà e liberazione - porta solo alla luce le costrizioni di pensiero della filosofia del soggetto. Foucault lascia però cadere, insieme con soggetto ed oggetto, anche quell'intuizione che una volta doveva essere concettualizzata con ' soggettività '. Certamente, finché facciamo i conti solo con soggetti, che rappresentano e trattano oggetti, che si alienano in oggetti o possono riferirsi a se stessi come oggetto, non 35 C. Honegger, Vberlegungen zu Michel Foucaults Entwurf einer Geschi· chte der Sexualitiit, manoscritto, Frankfurt a. M. 1982, p. 20. 295 www.scribd.com/Baruhk è possibile comprendere la socializzazione come individuazione e scrivere la storia della sessualità moderna anche nella prospettiva che l'interiorizzazione della natura soggettiva renda. possibile l'individualizzazione. Foucault, insieme con la filosofia della coscienza, fa scomparire anche i problemi sui quali quella è naufragata. Al posto della socializzazione individuante che rimane incompresa, egli colloca il concetto di un potenziamento parcellizzante del potere, che non è adatto alle ambigue apparizioni della modernità. In questa prospettiva gli individui socializzati possono essere percepiti solo come esemplari, come i prodotti standardizzati di una formazione del discorso, come casi particolari. Gehlen, che pensava da opposte suggestioni politiche ma da una prospettiva teoretica similare, non ha fatto di ciò alcun mistero: « Una personalità: questa è un'istituzione in un caso >> 36 • 36 A. Gehlen, Die See/e im technischen Zeitalter, cit., p. 118. www.scribd.com/Baruhk 11. UN'ALTRA VIA D'USCITA DALLA FILOSOFIA DEL SOGGETTO. LA RAGIONE COMUNICATIVA CONTRO LA RAGIONE SOGGETTOCENTRICA I Le aporie della teoria del potere lasciano dietro di sé le loro tracce nelle varianti selettive della storiografia genealogica, si tratti della procedura penale moderna o della sessualità nell'età moderna. Nelle carenze empiriche si rispecchiano i problemi metodologici non chiariti. Foucault aveva bensì criticato in guisa illuminante la prevenzione delle scienze umane nella filosofia del soggetto: esse sfuggono all'aporetica dell'autotematizzazione contraddittoria del soggetto che conosce se stesso e con ciò si impigliano tanto più profondamente nello scientismo autoreificantesi. Ma le aporie della sua propria impostazione Foucault non le ha pensate così a fon.do, che egli potesse scorgere come la sua teoria del potere viene raggiunta da un destino analogo. La sua teoria vuole elevarsi al di sopra di quelle pseudoscienze ad una rigorosa oggettività, e in ciò si avvolge tanto più disperatamente nelle insidie di una storiografia presentistica, che si vede costretta all'autosmentita relativistica e non può fornire nessuna informazione sui fondamenti normativi della sua retorica. All'oggettivismo dell'autoimpossessamento corrisponde qui un soggettivismo dell'oblio di sé. Presentismo, relativismo e criptonormativismo sono conseguenze del tentativo di trattenere nel concetto fondamentale del potere il momento trascendentale delle operazioni produttive eppure scacciarne ogni soggettività. Questo concetto del potere non libera i genealoghi dalla coazione di autotematizzazioni contraddittorie. È quindi opportuno ritornare ancora una volta sul luogo dello smascheramento di critica della ragione delle scienze umane, ma questa volta nella coscienza di un fatto, che i successori di Nietzsche hanno ostinatamente ignorato. Essi non vedono che già quel controdiscorso filosofico, che è immanente fin da prin- 297 www.scribd.com/Baruhk c1p10 al discorso filosofico della modernità avviato con Kant, stende la controfattura della soggettività come principio della modernità 1• Le aporie concettuali della filosofia della coscienza, che Foucault diagnostica acutamente nel capitolo conclusivo dell'Ordine delle cose, sono appunto state analizzate già una volta da Schiller, Fichte, Schelling ed Hegel in modo analogo. Certo, le soluzioni offerte si differenziano. Ma se ora la teoria del potere mostra altrettanto poco una via d'uscita da questa situazione aporetica, è opportuno ripercorrere la via del discorso filosofico della modernità, fino al punto di partenza, per verificare ancora una volta ai crocevia la direzione allora imboccata. Questo intento stava dietro alle nostre lezioni. Loro si ricorderanno che io ho rilevato i posti nei quali il giovane Hegel, il giovane Marx, e ancora lo Heidegger di Sein und Zeit e Derrida nella discussione con Husserl si trovarono di fronte ad alternative, che essi non hanno scelto. Con Hegel e Marx si sarebbe trattato di non ricuperare ancora una volta l'intuizione della totalità etica nell'orizzonte dell'autoriferimento di soggetti conoscenti e agenti, bensì di esplicarla secondo il modello della libera formazione della volontà in una comunità di comunicazione sottoposta alle coazioni cooperative. In Heidegger e Derrida si trattava di non imputare gli orizzonti creatori di senso della esegesi del mondo ad un esserci che si progetta eroicamente, bensì a mondi della vita strutturati comunicativamente, che si riproducono attraverso il medium tangibile dell'agire orientato verso l'intesa. In quei passi io ho già suggerito che il paradigma della conoscenza di oggetti deve essere sostituito dal paradigma dell'intesa fra soggetti capaci di parlare e di agire. Hegel e Marx non hanno compiuto il mutamento di paradigma, Heidegger e Derrida, nel tentativo di lasciare dietro di sé la metafisica della soggettività, sono rimasti tuttavia impigliati nell'intenzione della filosofia dell'originario. Anche Foucault, là dove egli ha analizzato triplicemente la coazione allo sdoppiamento aporetico del soggetto autoriferentesi, ha deviato in una teoria del potere, che ha dimostrato di essere un vicolo cieco. Egli segue Heidegger e Derrida nella negazione astratta del soggetto autoriferentesi, quando con poche e sbrigative parole dichiara ' l'uomo ' inesistente. Ma egli non tenta più, come quelli, di compensare tramite poteri originari temporalizzati il perduto ordine delle cose, che vuole invano rinnovare di propria forza l Cfr. tuttavia la strana lezione tenuta da Foucault all'inizio del 1983 sullo scritto di Kant Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, in << Magazine Litteraire >>, maggio 1983 (tr. it., M. Foucault, Che cos'è l'Illuminismo? Che cos'è la rivoluzione?, in <<Il centauro>>, n. 11-12, maggio-dicembre 1984). 298 www.scribd.com/Baruhk il suggetto metafisicamente isolato e strutturalmente sovraccaricato. Infatti il ' potere ' trascendental-storicistico, l'unica costante nell'andirivieni dei discorsi sopraffacenti e sopraffatti, alla fine rivela di essere soltanto un equivalente per la 'vita' delle obsolete filosofie della vita. Una soluzione più solida si delinea quando lasciamo cadere il presupposto alquanto sentimentale dello sradicamento metafisica, quando intendiamo il febbrile andirivieni fra considerazione trascendentale ed empirica, fra autoriflessione radicale e un che di non preconcepibile, che non si può ricuperare riflessivamente, fra la produttività di un genere che produce se stesso e un originario che antecede ogni produzione - se noi dunque intendiamo il rebus di quegli sdoppiamenti come ciò che è: come un sintomo di esaurimento. Esaurito è il paradigma della filosofia della coscienza. Se così stanno le cose, i sintomi dell'esaurimento devono certamente dissolversi nel trapasso al paradigma dell'intesa. Se per un momento possiamo presupporre quel modello del-~ l'agire orientato verso l'intesa che io ho sviluppato in altra sede 2, allora non è più privilegiato quell'atteggiamento oggettivante, in cui il soggetto conoscente si orienta verso se stesso come ad entità nel mondo. Nel paradigma dell'intesa è fondamentale piuttosto l'atteggiamento performativo dei partecipanti all'interazione, che coordinano i loro piani d'azione, intendendosi reciprocamente su qualcosa nel mondo. In quanto Ego compie un'azione linguistica e Alter prende posizione verso di essa, entrano entrambi in una relazione interpersonale. Questa è strutturata dal sistema di prospettive reciprocamente intrecciate di parlanti, uditori e presenti attualmente non partecipanti. A ciò corrisponde sul piano grammaticale il sistema dei pronomi personali. Chi ha familiarità con questo sistema, ha appreso come ip atteggiamento performativo si assumono di volta in volta e si trasformano l'una nell'altra le prospettive della prima, della seconda e della terza persona. Ora questo atteggiamento di partecipanti ad un'interazione linguisticamente mediata rende possibile una relazione del soggetto con se stesso diversa da quella puramente oggettivante, che un osservatore assume di fronte ad entità nel mondo. Quello sdoppiamento trascendental-empirico dell'autoriferimento è inevitabile solo fin tanto che non vi è alcuna alternativa a questa prospettiva dell'osservatore: soltanto allora il soggetto deve considerarsi come la controparte dominante al mondo in complesso 2 Per il concetto di agire comunicativo: J. Habermas, Vorstudien und Ergiinzungen zur Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt a. M. 1984. 299 www.scribd.com/Baruhk - o come un'entità che si presenta in esso. Fra la pos1z10ne extramondana dell'io trascendentale e quella intramondana dell'io empirico non è possibile una mediazione. Questa alternativa cade, non appena ottiene il primato l'intersoggettività prodotta linguisticamente. Allora Ego sta in una relazione interpersonale, che gli consente di riferirsi dalla prospettiva dell'Alter a se stesso come partecipante ad un'interazione. E precisamente, la riflessione intrapresa dalla prospettiva del partecipante sfugge a quel genere di oggettivazione, che è inevitabile dalla prospettiva divenuta riflessiva dell'osservatore. Sotto lo sguardo della terza persona, sia esso rivolto verso l'esterno oppure verso l'interno, tutto si congela in oggetto. La prima persona, che nell'atteggiamento performativo si piega su se stessa dall'-ang_olo visuale della seconda persona, può tuttavia eseguire in seguito i suoi atti direttamente compiuti. Una ricostruzione eseguita in seguito del sapere già sempre applicato subentra al posto di un sapere riflessivamente oggettivato, cioè dell'autocoscienza. Ciò che prima spettava alla filosofia trascendentale, cioè l'analisi intuitiva dell'autocoscienza, ora si inserisce nel circolo delle scienze ricostruttive, che dalla prospettiva di partecipanti a discorsi e interazioni cerca di rendere esplicito il sapere procedurale preteoretico di soggetti che parlano, agiscono e conoscono con competenza in base ad un'analisi di esternazioni riuscite o distorte. Siccome tali tentativi di ricostruzione non si dirigono più verso un regno dell'intelligibile al di là dei fenomeni, bensì al sapere procedurale effettivamente praticato, che si cristallizza in esternazioni generate a regola, la separazione ontologica fra trascendentale ed empirico viene a cadere. Come si può ben mostrare in base allo strutturalismo genetico di Jean Piaget, assunti ricostruttivi ed empirici possono combinarsi insieme in una stessa teoria 3 • Con ciò l'incanto di un irredento andirivieni fra due aspetti tanto inevitabili quanto inconciliabili dell'autotematizzazione è infranto. Perciò non vi è nemmeno più bisogno di teorie ibride, per colmare la lacuna fra trascendentale ed empirico. Lo stesso si dica per lo sdoppiamento dell'autoriferimento nella dimensione del render cosciente l'inconscio. Qui, secondo Foucault, il pensiero"'della filosofia del soggetto oscilla fra lo sforzo eroico di trasformare riflessivamente l'essente-in-sé in essente-per-sé, e il riconoscimento di uno sfondo opaco, che si 3 J. Habermas, Rekonstrukive vs. verstehende Sozialwissenschaften, in Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Frankfurt a. M. 1983, pp. 29 sgg. (tr. it., Scienze sociali ricostruttive e scienze sociali comprendenti, in Etica del discorso, Roma-Bari 1985, pp. 25 sgg.). 300 www.scribd.com/Baruhk sottrae ostinat~mente alla trasparenza dell'autocoscienza. Anche questi due aspetti dell'autotematizzazione non sono più inconciliabili, quanqo passiamo al paradigma dell'intesa. In quanto parlante e uditore si intendono frontalmente fra di loro su qualche cosa in un mondo, si muovono all'interno dell'orizzonte del loro comune mondo della vita; questo rimane alle spalle dei partecipanti come uno sfondo olistico intuitivamente conosciuto, aproblematico e non scomponibile. La situazione linguistica è quella sezione di un mondo della vita, delimitata riguardo al tema relativo, che per i processi di intesa tanto costituisce un contesto quanto anche appronta risorse. Il mondo della vita costituisce un orizzonte ed offre al contempo una provvista di ovvietà culturali, a cui attingono i partecipanti alla comunicazione nei loro sforzi interpretativi di modelli di spiegazione consentiti. Anche le solidarietà dei gruppi integrati tramite valori e le competenze di individui socializzati appartengono - come gli assunti di sfondo culturalmente abitualizzati - alle componenti del mondo della vita. Per poter fare questi o consimili enunciati, dobbiamo indubbiamente intraprendere un mutamento di prospettiva: il mondo della vita può essere scorto soltanto a tergo. Dalla prospettiva frontale degli stessi soggetti agenti orientati verso l'intesa, il mondo della vita, che è sempre soltanto ' dato insieme', deve sottrarsi alla tematizzazione. Come totalità, che rende possibile le identità e i progetti di storia di vita di gruppi e individui, esso è presente soltanto preriflessivamente. Dalla prospettiva dei partecipanti si può bensì ricostruire il sapere di regole a cui si è praticamente fatto ricorso, sedimentato in esternazioni, ma non il contesto arretrato e le risorse del mondo della vita in complesso che rimangono alle spalle. Occorre una prospettiva costituita teoreticamente, per poter considerare l'agire comunicativo come medium per il cui tramite il mondo della vita si riproduce in complesso. Anche da questa prospettiva senza dubbio sono possibili soltanto enunciati pragmatico-formali, che si riferiscono quindi alle strutture del mondo della vita in genere, non a determinati mondi della vita nella loro concreta formazione storica. Certo, i partecipanti all'interazione non si presentano più come gli autori, che dominano situazioni con l'aiuto di azioni imputabili, ma come _i prodotti delle tradizioni, nelle quali si trovano, dei gruppi solidaristici, ai quali appartengono, e dei processi di socializzazione, nei quali crescono. Il mondo della vita si riproduce cioè nella misura in cui vengono soddisfatte queste tre funzioni che travalicano la prospettiva dell'attore: la prosecuzione di tradizioni culturali, l'integrazione di gruppi tramite 301 www.scribd.com/Baruhk norme e valori e la socializzazione di generazioni che si susseguono. Ciò che in tal modo si riesce a scorgere, sono qualità di mondi della vita strutturati comunicativamente in generale. Chi vuole tener presente la totalità individuale di una singola storia di vita o di una particolare forma di vita, deve ritornare alla prospettiva dei partecipanti, abbandonare l'intento della ricostruzione razionale ex post, e procedere in modo schiettamente storico. In ogni caso i mezzi narrativi si possono stilizzare in un'autocritica dialogicamente avviata, per la quale offre un modello adatto il colloquio analitico fra medico e paziente. Questa autocritica, che mira al superamento della pseudonatura, cioè di limiti percettivi e coazioni ad agire inconsapevolmente motivati da pseudoapriori, si riferisce alla totalità narrativamente attualizzata di un corso di vita o di un modo di vita. La dissoluzione analitica di ipostatizzazioni, di apparenza oggettiva autoprodotta, dipende da un'esperienza riflessiva, la cui forza liberante si rivolge contro singole illusioni: essa non può rendere trasparente il tutto di un corso di vita individuale o di un modo di vita collettivo. Le due eredità dell'autoriflessione che escono fuori dai limiti della filosofia della coscienza hanno differenti scopi e portate. La ricostruzione razionale ex post si dedica al programma del render coscienti, ma si rivolge a sistemi anonimi di regole e non si riferisce a totalità. Per contro l'autocritica metodicamente condotta si riferisce a totalità, però nella coscienza che esse non potranno mai chiarire interamente l'implicito, l'antepredicativo, il non-attuale dello sfondo del mondo della vita 4 • Come bene si mostra in base all'esempio di una psiéoanalisi interpretata in senso di teoria della comunicazione 5, entrambi i procedimenti, la costruzione ex post e l'autocritica, si possono inserire nel quadro di una stessa teoria. Anche questi due aspetti dell'autotematizzazione del soggetto conoscente non sono inconciliabili; anche sotto questo rispetto le teorie ibride, che dissolvono violentemente le contraddizioni, sono superflue. Analogamente si dica per il terzo sdoppiamento del soggetto come un attore originariamente creativo e tuttavia estraniato alla sua origine. Se il concetto del mondo della vita sviluppato in senso formalpragmatico deve essere reso fecondo per scopi 4 Cfr. J. Habermas, Erkenntnis und Interesse. Mit einem neuen Nachwort, Frankfurt a. M. 1973, pp. 411 sgg. (tr. it., Conoscenza ed interesse, cit., p. 299). 5 J. Habermas, Der Universalitiitsanspruch der Hermeneutik, in Zur Logik der Sozialwissenschaften, Frankfurt a. M. 1982, pp. 331 sgg. (tr. it., La pretesa di universalità dell'ermeneutica, in Agire comunicativo e logica delle scienze sociali, Bologna 1980, pp. 281 sgg.). 302 www.scribd.com/Baruhk di teoria della società, ·allora esso deve essere trasformato in una concezione empiricamente utilizzabile e integrato con la concezione del sistema autocontrollato in un concetto della società a due livelli. Inoltre una accurata separazione fra problemi della logica evolutiva e dinamica evolutiva è necessaria, affinché l'evoluzione sociale e la storia possano essere metodicamente tenute distinte e riferite l'una all'altra. Infine la teoria della società deve restar cosciente del suo proprio contesto d'origine e della sua collocazione nel contesto del nostro presente; anche i forti concetti fondamentali universalistici hanno un nucleo temporale 6 • Ma se con l'aiuto di queste operazioni si riesce a pilotarsi fra la Scilla dell'assolutismo e la Cariddi del relativismo 7 , non si pone l'alternativ_a fra la concezione della storia mondiale come di un processo dell'autoproduzione (sia dello spirito o del genere) da un lato e dall'altro la concezione di una ventura immemorabile, che fa sentire attraverso la negatività del rifiuto e della rinuncia il potere dell'origine perduta. Non posso qui addentrarmi in questi contesti complicati. Volevo soltanto accennare, come un mutamento di paradigma può render privi d'oggetto quei dilemmi dai quali Foucault spiega la fatale dinamica di una soggettività avida di sapere e vittima di pseudoscienze. Il mutamento di paradigma dalla ragiòne centrata nel soggetto a quella comunicativa può anche incoraggiare a riprendere ancora una volta quel controdiscorso fin da principio immanente alla modernità. Siccome la radicale critica nietzschiana della ragione non si può condurre coerentemente né sulla linea della critica della metafisica né su quella della teoria del potere, noi siamo rinviati ad un'altra via d'uscita dalla filosofia del soggetto. Forse qui le ragioni per l'autocritica di una modernità in sé disgregata si possono considerare sotto altre premesse, di modo che noi rendiamo giustizia ai motivi, da Nietzsche in poi virulenti, di un affrettato commiato della modernità. Deve risultar chiaro, che nella ragione comunicativa non risorge il purismo della ragion pura. II Durante l'ultimo decennio la critica radicale della ragione è divenuta quasi di moda. Nel tema e nell'attuazione è esem6 Cfr. J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, cit., vol. Il, pp. 589 sgg. (tr. it. cit., pp. 1083 sgg.). 7 R. J. Bernstein, Beyond Objectivism and Relativism, Philadelphia 1983. 303 www.scribd.com/Baruhk plare una ricerca di Hartmut e Gernot Bohme, che in base all'opera ed alla biografia di Kant riprendono il tema di Foucault dell'origine della forma moderna del sapere. Nello stile di una storiografia della scienza ampliata con la storia della cultura e della società, gli autori esaminano ciò che per così dire si svolge dietro le spalle della critica della ragion pura e pratica. L'autentico motivo della critica della ragione essi lo ricercano ad esempio nella controversia con il visionario Swedenborg, nel quale Kant avrebbe incontrato il suo fratello gemello notturno, la ripudiata immagine inversa di se stesso. Gli autori seguono questi motivi fino nel personale, fino alla condotta di vita distolta da tutto ciò che è sessuale, corporeo, fantastico, per cosl dire astratta, di un'esistenza da erudito ipocondriaca, stravagante, immobile. Essi mettono psicostoricamente dinanzi agli occhi i ' costi della ragione '. Essi intraprendono questo calcolo dei costi e degli utili disinvoltamente, con argomenti psico-analitici, e lo documentano con dati storici, senza certo poter indicare il luogo in cui tali argomenti e dati possono ancora pretendere un peso, se poi deve aver fondamento la tesi di cui si tratta. Kant aveva condotto la sua critica della ragione dalla prospettiva che le è propria, cioè nella forma di un'autolimitazione rigorosamente discorsiva della ragione; se ora gli debbono venir presentati i costi di produzione della genesi di questa ragione che si autolimita, ed esclude il metafisica, occorrerebbe un orizzonte della ragione che vada oltre questi tracciamenti di confini, in cui possa muoversi il discorso trascendente, che redige il conto. La critica della ragione ancora una volta radicalizzata dovrebbe postulare una ragione di più ampia portata, comprensiva. Ma i fratelli Bohme non vogliono scacciare il diavolo con Belzebù; con Foucault essi vedono piuttosto nel passaggio dalla ragione esclusiva (di conio kantiano) ad una ragione comprensiva semplicemente « il completamento del tipo di potere dell'esclusione con il tipo di potere della compenetrazione» 8 • Di conseguenza la loro propria indagine sull'Altro dalla ragione dovrebbe montare una guardia del tutto eterogenea rispetto alla ragione. Ma che cosa contano ancora le conseguenze in un luogo che è a priori inaccessibile al discorso razionale? In questo testo dunque i paradossi sempre di nuovo recitati senza interruzione da Nietzsche in poi non lasciano dietro di sé nessuna traccia riconoscibile dell'apprensione. L'ostilità metodologica alla ragione può essere in rapporto con quell'innocenza storica con cui indas H. Bohme, G. Bohme, Das Andere der Vernun/t, Frankfurt a. M. 1983, p. 326. 304 www.scribd.com/Baruhk gini di questo tipo oggi si muovono nella terra di nessuno fra argomentazione, narrazione e finzione 9 • La Nuova Critica della Ragione rimuove quel controdiscorso presto bicentenario, immanente alla stessa modernità, che io vorrei rammentare con queste lezioni. Esso ha preso le mosse dalla filosofia kantiana come espressione inconsapevole dell'età moderna e perseguito lo scopo di illuminare l'Illuminismo sulle limitazioni che gli sono proprie. La Nuova Critica della Ragione nega la continuità con questo controdiscorso, in cui pure essa si trova: « Non può più trattarsi di completare il discorso della Modernità (Habermas), deve trattarsi di rivederlo. E l'Illuminismo non è rimasto incompiuto, bensì non illuminato » 10 • L'intento di una revisione dell'Illuminismo, che si serve dei mezzi dello stesso Illuminismo, ha però unito i critici di Kant della prima ora: Schiller con Schlegel, Fichte con i tubinghesi. Continuiamo a leggere: « La filosofia di Kant era stata impostata come l'impresa di un tracciamento di confini. Ma non vien detto nulla su di ciò, che tracciare limiti è un processo dinamico, che la ragione si ritrae su terreno solido e abbandona l'altro, che il tracciamento di confini significa autolimitarsi ed escludere l'altro ». Abbiamo visto, all'inizio della nostra lezione, come Hegel con Schelling e Holderlin abbiano sentito le operazioni di delimitazione della filosofia della riflessione, la contrapposizione di fede e sapere, di infinito e finito, la separazione fra spirito e natura, intelletto e sensibilità, dovere e inclinazione, come altrettante provocazioni, e come essi abbiano perseguito le tracce di questa estraneazione di una ragione soggettivamente dilatata dalla natura interna ed esterna fino nelle ' positività ' dell'eticità distrutta della quotidianità politica e di quella privata. Dalla circostanza che il potere dell'unificazione scompare dalla vita degli uomini Hegel aveva visto procedere addirittura il bisogno oggettivo della filosofia. Senza dubbio egli ha interpretato il tracciamento di confini della ragione soggettocentrica non come esclusioni, bensì come scissioni, e affidato alla filosofia l'accesso ad una totalità che comprendeva in sé la ragione soggettiva e il suo Altro. La diffidenza degli autori si rivolge contro di ciò, quando essi proseguono: « Ma ciò che è la ragione, rimane oscuro fin tanto che non vi si pensa insieme il suo Altro (nella sua insopprimibilità). Infatti la ragione può ingannarsi su se stessa, prendersi per il Tutto (Hegel), o pretendere di abbracciare il Tutto ». 9 Cfr. IO H. l'excursus su Derrida, supra, pp. 189 sgg. Bi:ihme, G. Bi:ihme, Das Andere der Vernunft, cit., p. 11. 305 www.scribd.com/Baruhk Proprio questa era l'obiezione che un tempo i giovani hegeliani hanno fatto valere contro il maestro. Essi hanno intentato un processo contro lo Spirito assoluto, nel quale l'Altro dalla ragione, ciò che le è antecedente, doveva essere riabilitato nel suo diritto proprio. Da questo processo di desublimazione è derivato il concetto di una ragione situata, che non determina né per inclusione né per esclusione il suo rapporto con la storicità del tempo, con la fatticità della natura esterna, con la soggettività decentrata della natura interna e con la materialità della società, bensì mediante una prassi di immaginazione e formazione di forze essenziali in condizioni finite, « non scelte da se stessi ». La società è raffigurata come prassi, nella quale la ragione si incorpora. Questa prassi si attua nella dimensione del tempo storico, essa media la natura soggettiva degli individui bisognosi con una natura oggettivata nel lavoro entro l'orizzonte della natura ambiente, cosmica. Questa prassi sociale è il luogo in cui la ragione storicamente situata, corporeamente incarnata, messa a confronto con la natura esterna, si media concretamente con il suo Altro. Se questa prassi mediatrice riesce, dipende dalla sua costituzione interna, dal grado della scissione e della conciliabilità del contesto di vita socialmente istituzionalizzato. Ciò che in Schiller o in Hegel si chiamava sistema dell'egoismo o dell'eticità scissa, si trasforma in Marx in una società divisa in classi sociali. Come in Schiller, come nel giovane Hegel, la forza associante, cioè fondante comunanza, solidarizzante, del cooperare e convivere non estraniato, dà il colpo decisivo se la ragione incorporata nella prassi sociale si accorda con la storia e con la natura. La stessa società scissa è quella che impone la rimozione della morte, l'appiattimento della coscienza storica e il soggiogamento della natura esterna come di quella interna. Nel contesto della storia della ragione, la filosofia della prassi del giovane Marx ha il significato, che essa ha dissolto il modello hegeliano della scissione di un concetto inclusivo della ragione, che appunto incorpora in sé l'Altro dalla ragione. La ragione della filosofia della prassi, che si concepisce come finita, rimane senza dubbio - nella forma di una teoria critica della società - obbligata ad una ragione comprensiva in quanto essa sa che non potrebbe conoscere i limiti storici della ragione soggettocentrica - incarnata nelle forme borghesi di relazione senza superarli. Chi si attiene ostinatamente al modello dell'esclusione, deve chiudersi a questa veduta di Hegel, che, come si _può vedere in Marx, non si poteva affatto avere soltanto al prezzo dell'assolutizzazione dello spirito. Considerato da una prospettiva così limitata, il vizio congenito hegeliano della teoria post306 www.scribd.com/Baruhk hegeliana influisce anche là « dove la ragione viene già criticata come strumentale, repressiva, limitata: in Horkheimer e Adorno. La cui critica avviene ancora sempre in nome di una ragione superiore, cioè di quella comprensiva, cui viene concessa quella pretesa di totalità, che si era contestata alla ragione reale. Non vi è nessuna ragione comprensiva. Si sarebbe dovuto imparare da Freud o anche da Nietzsche, che la ragione non è senza il suo Altro, e che essa - vista funzionalmente - diviene necessaria tramite questo Altro » 11 • Con questa affermazione i fratelli Béihme rammentano quel luogo, in cui una volta Nietzsche, ricorrendo all'eredità romantica, ha contrapposto al programma di un Illuminismo in sé dialettico la critica totalizzante della ragione. La dialettica dell'Illuminismo avrebbe perduto soltanto quando la ragione fosse privata di ogni forza trascendente, e nell'illusione della sua autonomia rimanesse tuttavia ammaliata impotente entro quei confini, che Kant aveva tracciato all'intelletto e allo stato dell'intelletto: « Che il soggetto razionale non voglia dipendere da nessuno e da null'altro che ·se stesso, è al contempo il suo ideale e la sua illusione » 12 • Soltanto quando la ragione fa conoscere la sua vera essenza nella figura narcisistica di un potere che assoggetta tutto intorno come oggetto, identitarie, solo in appa. renza universale, impegnato solennemente nell'autoaffermazione e nell'autopotenziamento particolare, l'Altro dalla ragione può a sua volta essere pensato come una potenza spontanea, auto-istituentesi e fondante, al contempo vitale e non trasparente, che non viene più rischiarato nemmeno da una scintilla di ragione. Sqltanto la ragione ridotta alla facoltà soggettiva dell'intelletto e dell'attività finalistica corrisponde al quadro di una ragione esclusiva, che, quanto più trionfalmente aspira in alto, sradica se stessa, finché alla fine cade disseccata in preda al potere della sua occultata origine eterogenea. La dinamica dell'autodistruzione, in cui deve esprimersi il segreto della dialettica dell'Illuminismo, può funzionare soltanto se la ragione da sé non può produrre nient'altro che un potere nudo, al quale essa propriamente vuole presentare l'alternativa della coazione non coatta della veduta migliore. Questo tratto coattivo spiega del resto il drastico livellamento che una lettura di Kant ispirata da Nietzsche imprime all'architettonica kantiana della ragione; essa deve cancellare il rapporto della critica della ragione pura e pratica con la critica Il lvi, p. 18. lvi, p. 19. 12 307 www.scribd.com/Baruhk del giudizio, per far sciogliere quella in una teoria della natura estraniata, esterna, questa in una teoria del dominio sulla natura interna 13 • Mentre il modello della scissione della ragione delinea la prassi sociale solidaristica come il luogo di una ragione storicamente situata, nel quale confluiscono i fili della natura esterna, della natura interna e della società, questo spazio utopicamente aperto nel modello dell'esclusione della ragione viene interamente riempito da una ragione inconciliabile, ridotta a nuda potenza. La prassi sociale serve qui ancora soltanto come la scena, sulla quale il potere disciplinare sperimenta sempre nuove sceneggiature. In ciò imperversa una ragione alla quale viene negata la forza di acquisire liberamente accesso a ciò che l'antecede. Nella sua supposta sovranità la ragione che si dissolve in soggettività diviene il trastullo di for:z;e immediate, per così dire operanti meccanicamente su di essa, della natura esclusa, fatta oggetto all'interno come all'esterno. L'Altro dalla sogg~ttività che si dilata non è ora più la totalità scissa - anzitutto dunque ciò che si fa valere nella potenza vendicante di reciprocità distrutte, nella causalità fatale di contesti di comunicazione distorti; e poi anche, attraverso la sofferenza per la totalità sfigurata della vita sociale, la natura estraniata interna ed esterna. Nel m6dello della esclusione questa struttura complicata di una ragione soggettiva socialmente scissa e perciò staccata dalla natura viene peculiarmente dedifferenziata: « L'altro dalla ragione, è la natura, il corpo umano, la fantasia, il desiderio, i sentimenti - o meglio: tutto questo, nella misura in cui la ragione non ha potuto appropriarselo» 14 • Dunque ora sono immediatamente forze vitali di una natura soggettiva scissa e repressa; sono quei fenomeni nuovamente scoperti nel romanticismo, del sogno, della fantasia, dell'illusione, dell'eccitamento orgiastico, dell'estasi; sono le esperienze estetiche, centrate nel corpo, di una soggettività decentrata, 13 Dove Schiller ed Hegel vogliono veder realizzata l'idea morale dell'autolegislazione nella società esteticamente riconciliata o nella totalità del contesto di vita etico, Bohme e Bohme riescono a riconoscere nell'autonomia morale solo ancora l'opera del potere disciplinare: << Se si dovesse render chiaro l'interno procedimento giudiziario, che viene condotto per mezzo di massime in nome· della legge sul buon costume, per il tramite di modelli sociali, allora si dovrebbe ritornare all'esame di coscienza protestante, che ha anteposto il modello dell'inquisizione delle streghe nell'intimo degli uomini, o meglio ancora andare avanti: nelle sale d'interrogatorio freddamente igieniche e nei silenziosi, eleganti arsenali di computer della polizia scientificizzata, il cui ideale è quello dell'imperativo categorico - la comprensione priva di lacune ed il controllo di tutti i particolari e contrapposti fin dentro all'intimo dell'uomo » (H. Bohme, G. Bohme, Das Andere der Vernun/t, cit., p. 349). 14 lvi, p. 13. 308 www.scribd.com/Baruhk che fungono come rappresentanti dell'Altro dalla ragione. Senza dubbio il protoromanticismo voleva collocare l'arte ancora in forma di una nuova mitologia come istituzione pubblica nel mezzo della vita sociale, voleva elevare l'eccitazione da essa emanata ad equivalente della potenza unificante della religione. Soltanto Nietzsche ha trasposto questo potenziale di eccitazione nell'al di là della società moderna, della storia in genere. L'origine moderna delle esperienze estetiche avanguardisticamente esasperate viene celato. Il potenziale d'eccitazione stilizzato ad altro dalla ragione diviene esotericamente e pseudonimicamente - si presenta sotto altro nome - l'Essere, l'Eterogeneo, il Potere. La natura cosmica della metafisica e il Dio dei filosofi si confondono nella reminiscenza scongiurante, nel ricordo toccante del soggetto metafisicamente e religiosamente isolato. L'ordine dal quale esso si è emancipato, cioè la natura interna ed esterna nella sua figura non-estraniata, si presentano ancora soltanto al passato, come origine arcaica della metafisica in Heidegger, come punto di rovesciamento nell'archeologia delle scienze umane in Foucault - o anche alquanto più moderatamente così: «Separata dal corpo vivente, dalle cui potenze libidinali si sarebbero potute trarre immagini della felicità; separata da una natura materna, che conteneva l'imago arcaica di totalità simbiotica e di custodia nutritiva; separata dal femminile, l'essere commistò col quale spettava alle immagini originarie della felicità - la filosofia della ragione privata di immagini produsse soltanto la grandiosa coscienza di una superiorità di principio dell'intelligibile sulla natura, sulla bassezza del corpo e della donna [ ... ]. La filosofia attribuiva alla ragione una onnipotenza, infinità e perfezione che sorgerà in futuro, di fronte alla quale il perduto rapporto di filiazione con la natura non appariva» 15 • Comunque questi ricordi originari del soggetto moderno servono quale punto di collegamento per la risposta a quella domanda, alla quale i più coerenti fra i seguaci di Nietzsche non vollero sottrarsi. Fin tanto che si parla narrativamente dell'Altro dalla ragione, comunque lo si chiami, fin tanto che questo eterogeneo rispetto al pensiero discorsivo si presenta senza altre misure come nome in esposizioni di storia della filosofia e della scienza, l'aria innocente non può compensare l'offerta inferiore del livello inaugurato da Kant della critica della ragione. In Heidegger e in Foucault la natura soggettiva è scomparsa come luogotenente di quell'Altro, perché essa non può più essere dichiarata l'Altro 15 lvi, p. 23. 309 www.scribd.com/Baruhk dalla ragione, quando come inconscio individuale o collettivo si sottomette in genere ad un qualche discorso scientifico nei concetti di Freud o di C. G. Jung, di Lacan o di Lévi-Strauss. Heidegger e Foucault vogliono mettere in moto, nella forma della rimemorazione o della genealogia, un discorso particolare, il quale pretende di svolgersi al di fuori dell'orizzonte della ragione, senza però essere del tutto irragionevole. Senza dubbio, con ciò il paradosso non fa che spostarsi. La ragione deve farsi criticare nelle sue figure storiche dalla prospettiva dell'Altro da essa escluso; allora è necessario un ultimo atto dell'autoriflessione che sopravanza se stesso, e precisamente un atto della ragione, nel quale il posto del genitivus subjectivus dovrebbe essere occupato dall'Altro dalla ragione. La soggettività come l'autoriferimento del soggetto conoscente e agente si presenta nella relazione binaria dell'autoriflessione. La figura viene mantenuta, eppure la soggettività deve potersi presentare ancora soltanto nel posto dell'oggetto. Questo paradosso Heidegger e Foucault lo trattano in modo strutturalmente analogo, in quanto producono ciò che è eterogeneo alla ragione per la via di un auto-esilio della ragione, di una cacciata della ragione dal suo proprio territorio. Questa operazione si intende come rovesciamento smascherante di quell'autodivinizzazione, che la soggettività al contempo pratica e nasconde a se stessa. Nel frattempo essa si ascrive attributi, che mutua dai frantumati concetti religioso-metafisici dell'ordine. Per contro il ricercato Altro, che è eterogeneo alla ragione eppure le resta riferito come ciò che le è eterogeneo, risulta da una finitizzazione radicale di quell'assoluto, al quale la soggettività si era falsamente sostituita. Come dimensione della finitizzazione Heidegger, come si è mostrato, sceglie il tempo, e concepisce l'Altro dalla ragione come potere originario anonimo, temporalmente fluidificato; Foucault sceglie la dimensione della centratura spaziale nell'esperienza del proprio corpo e concepisce l'Altro dalla ragione come fonte anonima del lascito di interazioni legate al corpo. Abbiamo visto che questo trattamento del paradosso non ne significa affatto la soluzione; il paradosso si ritrae nello status speciale dei discorsi straordinari. Come il rimemorare appartiene all'essere mistificato, così la genealogia appartiene al potere. Il rimemorare deve aprire un accesso privilegiato alla verità metafisicamente seppellita, la genealogia subentrare al posto delle scienze umane, come sembra, rovinate. Mentre Heidegger serba il silenzio sul genere del suo privilegio, di modo che non si sa bene secondo che cosa si possa giudicare il genere della sua tarda filosofia in generale, Foucault ha praticato fino alla fine 310 www.scribd.com/Baruhk i suoi lavori senza presunzioni, nella consapevolezza di non poter evitare le aporie metodologiche. III La metafora spaziale della ragione includente ed escludente rivela che la supposta critica radicale della ragione rimane ancora impigliata nei presupposti della filosofia del soggetto, dai quali però essa voleva liberarsi. Soltanto una ragione alla quale noi attribuiamo potere risolutorio potrebbe includere o escludere. Perciò il dentro e il fuori si collegano con il dominio e la soggezione - e il superamento della ragione tirannica con lo spalancamento dei portoni carcerari e con il rilascio protettivo in una indeterminata libertà. In tal modo l'Altro dalla ragione rimane l'immagine speculare della ragione tirannica. Dedizione e lasciar essere restano incatenati alla volontà di disposizione tanto quanto il ribellarsi del contropotere alla vessazione del potere. Dai concetti della ragione soggettocentrica e della sua topografia impressionantemente illustrata non potrà liberarsi proprio colui che col paradigma della filosofia della coscienza vorrebbe lasciare dietro di sé tutti i paradigmi in genere ed uscire nella radura del post-moderno. A partire dal protoromanticismo per l'oltrepassamento esaltante del soggetto si ricorre sempre di nuovo a esperienze-limite mistiche ed estetiche. Il mistico è abbagliato dalla luce dell'Assoluto, e chiude gli occhi; l'estasiato esteticamente si aliena nell'elemento inebriante e vertiginoso dello shock. Qui come là la fonte dello sconvolgimento si sottrae a qualsiasi determinazione. Nell'indeterminato si delinea ancora soltanto il profilo del paradigma combattuto - il contorno del decostruito. In questa costellazione, che perdura da Nietzsche fino ad Heidegger e Foucault, sorge una disposizione al risveglio priva d'oggetto; nella sua scia si formano subculture, che di fronte a verità future indeterminatamente avvertite al contempo placano e tengono desta la loro eccitazione con azioni di culto prive di oggetto cultuale. Il gioco buffonesco con l'estasi di umore religiosoestetico trova spettatori soprattutto nella cerchia di intellettuali, che sono disposti ad offrire il sacrificium intellectus sull'altare dei loro bisogni di orientamento. Soltanto, anche questa volta un paradigma perde la sua forza solo quando è negato da un altro paradigma in modo determinato, cioè viene svalutato in maniera assennata; in ogni caso esso resiste alla semplice evocazione della dissoluzione del sog311 www.scribd.com/Baruhk getto. Il lavoro, per quanto appassionato, della decostruzione ha conseguenze dichiarabili solamente quando il paradigma dell'autocoscienza, dell'autoriferimento di un soggetto solitario conoscente ed agente, viene sostituito da un altro - dal paradigma dell'intesa, cioè della relazione intersoggettiva di individui socializzati comunicativamente e reciprocamente riconoscentisi. Soltanto allora la critica al pensiero disponente della ragione soggettocentrica si presenta in forma determinata - cioè come una critica al ' logocentrismo ' occidentale, che non diagnostica un troppo, bensì un troppo poco di ragione. Invece di surclassare la modernità, essa riprende il contro-discorso immanente alla modernità e lo trae fuori dalla contrapposizione frontale senza vie d'uscita fra Hegel e Nietzsche. Questa critica rinuncia alla esuberante originalità di un ritorno agli inizi arcaici; essa scatena la forza sovversiva del pensiero moderno stesso contro il paradigma della filosofia della coscienza applicato da Descartes fino a Kant. La critica che segue Nietzsche alla caratterizzazione lagocentrica occidentale procede distruttivamente. Essa mostra che il soggetto legato al corpo, parlante e agente non è padrone in casa propria; da ciò essa trae certamente la conclusione che il soggetto che pone se stesso nel conoscere in verità dipende da un accadere antecedente, anonimo e sovrasoggettivo - sia poi dalla ventura dell'essere, dal caso della formazione di strutture oppure dal potere produttivo di una formazione discorsiva. Il logos del soggetto autocratico si presenta così come la disavventura di una errata specializzazione tanto ricca di successo quanto fuorviante. La speranza che tali analisi postnietzscheane risvegliano ha sempre la stessa qualità di indeterminatezza impaziente. Una volta che sarà smantellata la fortezza della ragione soggettocentrica, crollerà anche il logos, che tanto a lungo ha tenuto insieme l'interiorità protetta dal potere, vuota all'interno, aggressiva all'esterno. Esso si dovrà allora arrendere al suo Altro, quale che esso sia. Un'altra critica, meno drammatica, ma controllabile passo per passo, alla caratterizzazione logocentrica occidentale si applica alle astrazioni dello stesso logos libero dal linguaggio, universalistico e senza corpo. Essa intende l'intesa intersoggettiva come il telos inscritto nella comunicazione del linguaggio corrente, e il logocentrismo acutizzato nel senso della filosofia della coscienza del pensiero occidentale come riduzione e distorsione sistematica di un potenziale già sempre efficace ma selettivamente esaurito, nella prassi comunicativa quotidiana. Fin tanto che l'autocomprensione occidentale vede l'uomo nel suo rapporto 312 www.scribd.com/Baruhk con il mondo contraddistinto dal monopolio di incontrare l'essente, di conoscere oggetti e trattarli, di fare enunciati veri e di realizzare intenzioni, la ragione rimane limitata antologicamente, gnoseologicamente o linguistico-analiticamente ad una sola delle sue dimensioni. Il rapporto dell'uomo col mondo vi viene ridotto cognitivisticamente, e cioè antologicamente, al mondo dell'essente in complesso (come la totalità degli oggetti rappresentabili e dei dati di fatto esistenti); gnoseologicamente alla facoltà di conoscere o di produrre in modo conforme allo scopo dati di fatto esistenti; e semanticamente al discorso che constata fatti, in cui vengono impiegate proposizioni assertorie - e non è ammessa nessuna pretesa di validità oltre quella della verità proposizionale disponibile al foro interno. Nella filosofia del linguaggio - da Platone fino a Popper questo logocentrismo si è ristretto all'affermazione che soltanto la funzione linguistica dell'esposizione di stati di cose è un monopolio dell'uomo. Mentre gli uomini condividono la cosiddetta funzione appellativa ed espressiva (Btihler) con gli animali, soltanto la funzione rappresentativa deve essere costitutiva per la ragione 16 • Per contro già le evidenze della più recente etologia, in particolare gli esperimenti con l'acquisizione linguistica artificialmente indotta di scimpanzé, insegnano che non di per sé l'impiego di proposizioni, bensì soltanto l'uso comunicativo di un linguaggio proposizionalmente articolato è peculiare alla nostra forma di vita socioculturale e costituisce il livello della riproduzione genuinamente sociale della vita. Dal punto di vista della filosofia del linguaggio, l'eguale originarietà ed equivalenza delle tre funzioni linguistiche fondamentali la si avverte non appena noi abbandoniamo il livello analitico del giudizio o della proposizione ed ampliamo l'analisi ad azioni linguistiche, appunto all'impiego comunicativo di proposizioni. Azioni linguistiche elementari esibiscono una struttura, nella quale sono intrecciate fra loro tre componenti: la parte proposizionale per l'esposizione (o la menzione) di stati di cose, la parte illocutiva per l'inserimento di relazioni interpersonali, ed infine le componenti linguistiche che esprimono l'intenzione dei parlanti. La chiarificazione in termini di teoria degli atti linguistici delle complesse funzioni linguistiche dell'esposizione, della istituzione di relazioni interpersonali e dell'espressione di esperienze vissute in proprio di volta in volta ha ampie conseguenze: a) per la teoria del significato, b) per i presupposti antologici della 16 K. O. Apel, Die Lògosauszeichnung der menschlichen Sprache. Die philosophische Tragweite der Sprechaktheorie, manoscritto, Frankfurt a. M. 1984. 313 www.scribd.com/Baruhk teoria della comunicazione e c) per lo stesso concetto della razionalità. Voglio accennare a tali conseguenze solamente nella misura in cui esse d) sono direttamente rilevanti per una nuova direzione della critica della ragione strumentale. a) La semantica della verità, quale è stata svolta da Frege fino a Dummet e Davidson, parte - come la teoria husserliana del significato - dall'assunto logocentrico, che il riferimento alla verità della proposizione assertoria (e il riferimento indiretto alla verità della proposizione intenzionale che rinvia alla realizzazione di intenzioni) offre il punto di attacco adeguato per l'esplicazione delle operazioni linguistiche di intesa in genere. Così questa teoria perviene al principio, che noi comprendiamo una proposizione quando conosciamo le condizioni in base alle quali la proposizione è vera. (Per la comprensione di proposizioni intenzionali ed imperative essa richiede in corrispondenza la conoscenza delle 'condizioni di successo') 17 • La teoria del significato ampliata pragmatisticamente supera questa fissazione alla funzione del linguaggio raffigurante i fatti. Come la semantica della verità essa afferma un rapporto interno di senso e validità, ma non riduce quest'ultima alla validità della verità. In corrispondenza alle tre funzioni fondamentali del linguaggio infatti ogni azione linguistica elementare può in complesso essere contestata sotto tre diversi aspetti di validità. L'uditore può negare in toto l'asserzione di un parlante, in quanto contesta o la verità dell'enunciato in essa affermato (o le presupposizioni di esistenza del suo contenuto enunciativo), oppure la giustezza dell'atto linguistico riguardo al contesto normativa dell'asserzione (o la legittimità del contesto presupposto stesso), oppure ancora la veridicità dell'intenzione esternata del parlante (cioè la conformità dell'inteso con il detto). Il rapporto interno fra senso e validità vale perciò per l'intero spettro dei significati linguistici e non soltanto per il significato di espressioni, che si possono integrare in proposizioni assertorie. Non soltanto per atti linguistici constatativi, bensì per qualsiasi atto linguistico si deve dire che noi ne comprendiamo il significato, quando conosciamo le condizioni in base alle quali le possiamo accettare come valide. b) Ma se non soltanto gli atti linguistici constatativi, bensl anche quelli regolativi ed espressivi sono collegati con pretese di validità e possono essere accettati come validi oppure respinti come non validi, allora la concettualità antologica della filosofia della coscienza (che con l'eccezione di Austin è rimasta deter17 E. Tugendhat, Einfiihrung in die sprachanalytische Philosophie, Frankfurt a. M. 1976. 314 www.scribd.com/Baruhk minante anche per la filosofia analitica) si rivela troppo ristretta. Il ' mondo ' al quale il soggetto poteva riferirsi con le sue rappresentazioni o proposizioni veniva fino allora concepito come la totalità di oggetti o di stati di cose esistenti. Il mondo oggettivo è considerato come il correlato di tutte le proposizioni assertorie vere. Ma ora se si introducono come pretese di validità analoghe alla verità la giustezza normativa e la veracità soggettiva, si devono postulare come relazioni interpersonali legittimamente regolate e come attribuibili esperienze vissute soggettive ' mondi ' analoghi a quello dei fatti - un ' mondo ' non soltanto per l'' oggettivo ', che ci viene incontro nell'atteggiamento di una terza persona, bensì anche uno per il 'normativa', al quale ci sentiamo obbligati nell'atteggiamento di destinatari, nonché uno per il ' soggettivo ', che noi scopriamo od occultiamo ad un pubblico nell'atteggiamento della prima persona. Con ogni atto linguistico il parlante si riferisce al contempo a qualcosa nel mondo oggettivo, in un comune mondo sociale e nel suo mondo soggettivo. La eredità logocentrica si fa tuttavia notare ancora nelle difficoltà terminologiche, per ampliare in tal mondo il concetto antologico del mondo. Di un ampliamento corrispondente abbisogna la concezione fenomenologica, elaborata specialmente da Heidegger, dei rapporti di rinvio del mondo della vita, che alle spalle dei partecipanti all'interazione costituiscono il contesto indiscutibile del processo di intesa. Gli interessati attingono da questo mondo della vita non più soltanto modelli interpretativi consentiti (quel sapere di sfondo, del quale si nutrono i contenuti proposizionali), bensì anche modelli di relazione normativamente attendibili (le solidarietà tacitamente presupposte, su cui si fondano gli atti illocutivi) e le competenze acquisite nel processo di socializzazione (il sottofondo delle intenzioni del parlante). c) Noi chiamiamo 'razionalità' anzitutto quella disposizione di soggetti capaci di parlare e di agire ad acquisire ed impiegare ·un sapere fallibile. Fin tanto che i concetti fondamentali della filosofia della coscienza costringono a concepire il sapere esclusivamente come sapere di qualche cosa nel mondo oggettivo, la razionalità si commisura al modo in cui il soggetto solitario si orienta verso i contenuti delle sue rappresentazioni e dei suoi enunciati. La ragione soggettocentrica trova le sue misure in base a criteri di verità e successo, che regolano le relazioni fra il soggetto conoscente e agente secondo fini e il mondo di possibili oggetti o stati di cose. Non appena invece noi concepiamo il sapere come mediato comunicativamente, la razionalità si commisura alla capacità di responsabili partecipanti all'interazione 315 www.scribd.com/Baruhk di orientarsi verso pretese di validità che sono fondate sul riconoscimento intersoggettivo. La ragione comunicativa trova le sue misure in base ai procedimenti argomentativi della soddisfazione diretta o indiretta di pretese alla verità proposizionale, alla giustezza normativa, alla veracità soggettiva ed a]la pertinenza estetica 18 • Ciò che si può dimostrare in base all'interdipendenza delle differenti forme dell'argomentazione, cioè con mezzi di una logica pragmatica dell'argomentazione, è dunque un concetto procedurale della razionalità, che per via dell'inserimento del pratico-morale e dell'estetico-espressivo è più ricco che la razionalità finalistica modellata sul cognitivo-strumentale. Questo concetto è l'esplicato del potenziale razionale ancorato nella base di validità del discorso. Questa razionalità comunicativa rammenta più antiche raffigurazioni del logos, in quanto porta con sé le connotazioni della forza, che unifica e produce consenso liberamente, di un discorso nel quale i partecipanti superano le loro concezioni dapprima soggettivamente prevenute in favore di un accordo razionalmente motivato. La ragione comunicativa si esprime in una concezione decentrata del mondo. d) Da questa prospettiva tanto la messa a disposizione cognitivo-strumentale di una natura (e società) oggettivata, quanto l'autonomia gonfiata narcisisticamente (nel senso dell'autoaffermazione razionale in vista del fine) sono momenti derivati, che si sono autonomizzati rispetto alle strutture comunicative del mondo della vita, cioè dell'intersoggettività di rapporti di intesa e rapporti di reciproco riconoscimento. La ragione soggettocentrica è prodotto di una scissione e usurpazione, e precisamente di un processo sociale nel cui corso un momento subordinato assume il posto del tutto, senza possedere la forza per assimilarsi la struttura del tutto. Horkheimer e Adorno hanno descritto il processo della soggettività che pretende troppo da se stessa e reificante analogamente a Foucault come un processo cosmicostorico. Ma entrambe le parti disconoscono la più profonda ironia di questo processo, che consiste in ciò, che il potenziale comunicativo della ragione doveva prima essere generato nelle figure dei moderni mondi della vita, affinché gli imperativi scatenati dei sistemi parziali economico ed amministrativo si ripercuotessero sulla vulnerabile prassi quotidiana, e in ciò potes18 Wellmer ha mostrato che la buona riuscita di un'opera d'arte, il cosiddetto ' vero ' dell'arte. non si lascia in nessun modo ricondurre senza difficoltà all'autenticità o alla veridicità. Cfr.: A. Wellmer, Wahrheit, Schein, Versohnung. Adornos iisthetische Rettung der Modernitiit, in L. v. Friedeburg, J. Habermas (a cura di), Adorno-Konferenz 1983, Frankfurt a. M. 1983, pp. 138 sgg. 316 www.scribd.com/Baruhk sera agevolare il cognitivo-strumentale a raggiungere il dominio sugli oppressi momenti della ragione pratica. Il potenziale comunicativo della ragione nel decorso della modernizzazione capitalistica viene al contempo dispiegato e deformato. La paradossale contemporaneità e interdipendenza dei due processi la si può cogliere soltanto quando è superata la falsa alternativa, che Max Weber enuncia con il contrasto fra razionalità sostanziale e formale. Alla sua base sta l'assunto che il disincantamento delle immagini religioso-metafisiche del mondo toglie alla razionalità, insieme con i contenuti tradizionali, anche tutte le connotazioni di contenuto, e toglie quindi anche ogni forza per poter esercitare al di là dell'organizzazione razionale dei mezzi in vista del fine, anche un influsso strutturante sul mondo della vita. Per contro io vorrei insistere che la ragione comunicativa - nonostante il suo carattere puramente procedurale, sgravato di tutte le ipoteche religiose e metafisiche - è direttamente intrecciata nel processo di vita sociale in quanto gli atti di intesa assumono il ruolo di un meccanismo di coordinamento dell'azione. L'intreccio delle azioni comunicative si nutre di risorse del mondo della vita e al contempo costituisce il medium per il cui tramite si riproducono le concrete forme di vita. Perciò la teoria dell'agire comunicativo può ricostruire il co11cetto hegeliano del contesto di vita etico (indipendentemente da premesse della filosofia della coscienzar Essa disincanta la causalità recondita di un destino che si distingue dalla ventura dell'essere per via della sua inflessibile immanenza. La dinamica pseudonaturale di contesti di vita vulnerati mantiene, diversamente che l'' immemorabile' dell'accadere dell'essere o del potere, qualcosa del carattere di una ventura di cui si ha colpa - anche se si può parlare di ' colpa ' soltanto in un senso intersoggettivo, cioè nel senso dell'involontario prodotto di un intreccio, che gli agenti comunicativamente, senza badare alla loro responsabilità individuale, devono attribuire ad una responsabilità comunitaria. Non è un caso che i suicidi destano nel prossimo una sorta di scuotimento, che per momenti fa presentire anche ai più induriti qualcosa della inevitabile comunanza di un tale destino. IV Nella teoria dell'agire comunicativo quel processo circolare che intreccia fra di loro mondo della vita e prassi quotidiana comunicativa assume il luogo della mediazione, che Marx e il marxi317 www.scribd.com/Baruhk smo occidentale avevano riservato alla prassi sociale. In questa prassi sociale la ragione storicamente situata, corporeamente incarnata, messa di fronte alla natura, doveva mediarsi col suo Altro. Se ora l'agire comunicativo deve assumersi queste stesse funzioni di mediazione, la teoria dell'agire comunicativo si attrae il sospetto di rappresentare allora soltanto un'altra variante della filosofia della prassi. Entrambe devono in effetti risolvere lo stesso compito: concepire la prassi razionale come una ragione concretizzata nella storia, nella società, nel corpo e nel linguaggio. Abbiamo seguito come la filosofia della prassi ha sostituito l'autocoscienza con il lavoro, e si è quindi intricata nelle catene del paradigma della produzione. La filosofia della prassi rinnovata nella cerchia della fenomenologia e dell'antropologia, cui stanno a disposizione i mezzi dell'analisi husserliana del mondo della vita, ha imparato dalla critica al produttivismo marxiano. Essa relativizza il valore posizionale del lavoro e contribuisce ai tentativi aporetici di sistemare l'esteriorizzazione dello spirito soggettivo, la temporalizzazione, socializzazione e incarnazione di una ragione situata in altre relazioni soggetto-oggetto. Servendosi dei mezzi concettuali fenomenologico-antropologici, la filosofia della prassi rinuncia all'originalità proprio là dove essa non può permetterselo: nella determinazione della prassi come di un evento mediatore strutturato razionalmente. Essa infatti si sottomette di nuovo ai concetti fondamentali dicotomizzanti della filosofia del soggetto: la storia viene progettata e fatta da soggetti, che per parte loro si trovano nel processo storico come gettati e fatti (Sartre); la società appare come una rete oggettiva di relazioni, che o viene calcata in testa come ordine normativo al soggetto trascendentalmente precompreso (A. Schiitz) oppure viene prodotta da questi stessi soggetti come ordinamenti strumentali nella lotta di reciproche aggettivazioni (Kojève); il soggetto si trova o centricamente nel suo corpo vivente (Merleau-Ponty) oppure si rapporta ad esso quale corpo eccentricamente come ad un oggetto (Plessner). Il pensiero legato alla filosofia del soggetto non può superare queste dicotomie, ma oscilla disperatamente, come acutamente ha diagnosticato Foucault, da un po!o all'altro. Nemmeno la svolta linguistica della filosofia della prassi porta ad un cambiam~nto di paradigmi. I soggetti parlanti sono o signori o pastori del loro sistema linguistico. O essi si servono del linguaggio come creatore di senso, per dischiudersi innovativamente il loro mondo, oppure si muovono sempre già entro un orizzonte che si trasforma dietro le spalle del dischiudimento 318 www.scribd.com/Baruhk del mondo ad essi procurato dal linguaggio stesso - il linguaggio come medium di una prassi creativa (Castoriadis) oppure come evento differenziale (Heidegger, Derrida). Con la sua teoria dell'istituzione immaginaria Castoriadis, grazie all'impostazione di filosofia del linguaggio, può proseguire audacemente la filosofia della prassi. Per restituire alla concezione della prassi sociale di nuove forza esplosiva rivoluzionaria ed un contenuto normativa, egli non concepisce più l'agire in modo espressivistico, bensì in modo poetico-demiurgico - come la creazione priva d'origini di figure assolutamente nuove ed uniche nel loro genere, dove ciascuna di esse apre un inconfrontabile orizzonte di senso. Il garante del contenuto razionale della modernità - di autocoscienza, autentica autorealizzazione e autodeterminazione in solidarietà - viene raffigurato come una forza immaginaria creatrice del linguaggio. Questa si avvicina senza dubbio pericolosamente all'vssere che opera senza fondamento. Alla fine tra l'« inserimen:;o » volontaristico e il « destino » (Schickung) fatalistico sussiste ancora soltanto una differenza retorica. Secondo Castoriadis la società, al pari della soggettività trascendentale, si scinde nel producente e nel prodotto, nell'istituente e nell'istituito, dove la corrente dell'immaginario fondatore di senso si riversa nelle mutevoli immagini linguistiche del mondo. Questa creazione antologica di totalità di senso assolutamente nuove, sempre di nuovo diverse e uniche nel loro genere avviene come una ventura dell'essere; non si può scorgere come questa demiurgica messa in opera delle verità storiche possa venir trasposta nel progetto rivoluzionario della prassi di individui consapevolmente agenti, autonomi, autorealizzantisi. Autonomia ed eteronomia devono in definitiva commisurarsi all'autenticità dell'autotrasparenza di una società, che non nasconde la sua origine immaginaria sotto proiezioni extrasociali, e si sa esplicitamente come società auto-istituentesi. Soltanto - chi è il soggetto di questo sapere? Per il rivoluzionamento della società reificata Castoriadis non conosce altro fondamento che la decisione esistenzialistica - « perché noi lo vogliamo »; dove egli a sua volta deve lasciarsi chiedere, chi può essere questo ' noi ' della volontà radicale, se poi gli individui· socializzati sono semplicemente ' inseriti ' dall'immaginario sociale. Castoriadis finisce come Simmel incomincia: con la filosofia della vita 19 • Questa conseguenza deriva dalla concezione del linguaggio, 19 Cfr., injra, l'excursus su Castoriadis, pp. 327 sgg. 319 www.scribd.com/Baruhk che Castoriadis mutua tanto dall'ermeneutica quanto dallo strutturalismo. Come ciascuno a suo modo Heidegger, Derrida e Foucault, anche Castoriadis parte dal fatto che fra il linguaggio e le cose di cui si parla, fra la comprensione costituente del mondo e l'intramondanità costituita sussiste una differenza antologica. Questa differenza asserisce che il linguaggio dischiude l'orizzonte di senso, entro il quale i soggetti conoscenti e agenti interpretano stati di cose, cioè incontrano uomini e cose e fanno esperienze in rapporto con essi. La funzione dischiudente il mondo del linguaggio viene pensata in analogia con le operazioni produttive della coscienza trascendentale, tuttavia sottraendo il suo carattere puramente formale e sovratemporale. L'immagine linguistica del mondo è un apriori concreto e storico; essa fissa prospettive interpretative di contenuto e variabili, dietro le quali non si può andare. La comprensione costitutiva del mondo si trasforma in particolare indipendentemente da ciò che i soggetti esperimentano nel mondo sulle condizioni interpretate alla luce di questa precomprensione, ciò che possono apprendere dal loro rapporto pratico con l'intramondanità. Non importa se questa mutazione metastorica delle immagini linguistiche del mondo è pensata come essere, ' differenza ', potere o immaginazione, e dotata di connotazioni della mistica esperienza della salvezza, della paura estetica, della pena creaturale o dell'ebbrezza creativa; comune a tutte queste concezioni è il peculiare sganciamento della produttività formatrice di orizzonti del linguaggio dalle conseguenze di una prassi intramondana, che è interamente pregiudicata dal sistema linguistico. Viene esclusa ogni interazione fra il linguaggio dischiudente il mondo e i processi di apprendimento nel mondo. Sotto questo rispetto la filosofia della prassi si era differenziata nettamente da tutte le varietà dello storicismo linguistico. Essa comprende appunto la produzione sociale come processo di autoproduzione del genere e la trasformazione della natura esterna fornita dal lavoro come spinta alla autotrasforrr,.azione apprendente del}a propria natura. Il mondo delle idee, alla cui luce i produttori socializzati interpretano di volta in volta la natura storicamente formata, trovata dinanzi a sé, si modifica a sua volta in dipendenza dai processi di apprendimento connessi all'attività trasformatrice. Questi effetti formatori del mondo la prassi intramondana non li deve affatto ad una dipendenza meccanica della sovrastruttura dalla base, bensì a due semplici fatti: il mondo delle idee rende possibili determinate interpretazioni di una natura quindi cooperativamente elaborata; ma viene a sua volta affetta dai processi di apprendimento, che il 320 www.scribd.com/Baruhk lavoro sociale mette in moto. Contro lo storicismo linguistico, che ipostatizza la forza dischiudente il mondo del linguaggio, il materialismo storico, come più tardi anche il pragmatismo e lo strutturalismo genetico, conta su un rapporto dialettico fra strutture delle immagini del mondo, che rendono possibile la prassi intramondana tramite un'antecedente comprensione del senso, da un lato, e dall'altro processi di apprendimento, che si depositano nel mutamento di strutture delle immagini del mondo. Questa azione reciproca risale ad un rapporto interno fra senso e validità, che senza dubbio non abolisce la differenza fra di essi. Il senso non deve distruggere la validità. Heidegger ha sbrigativamente identificato il dischiudimento di orizzonti di senso con la verità di asserzioni dotate di senso; ma sono soltanto le condizioni per la validità delle asserzioni, che si modificano con l'orizzonte di significato - la modificata comprensione del senso deve comprovarsi ne1l'esperienza e nella pratica con ciò che può incontrare entro il suo orizzonte. D'altronde la filosofia della prassi non può utilizzare la superiorità che sotto questo rispetto essa possiede, giacché, come si è visto, col paradigma della produzione esclude dallo spettro della validità della ragione tutte le dimensioni, oltre a quelle della validità di verità e dell'efficienza. Perciò quello che viene appreso nella prassi intramondana può accumularsi soltanto nel dispiegamento delle forze produttive. Con questa strategia concettuale produttivistica non si può più ottenere il contenuto normativa della modernità, bensì in ogni caso valersene senza dimostrarlo, per isolare la razionalità volta al fine, coagulata in totalità nell'esercizio di una dialettica negativa accusatrice. Questa incresciosa conseguenza può anche aver indotto Castoriadis a affidare il contenuto razionale del socialismo, cioè di una forma di vita che deve rendere possibile l'autonomia e l'autorealizzazione nella solidarietà, ad un demiurgo creatore di senso, che passa sopra alla differenza fra senso e validità, e non dipende più dalla verifica profana delle sue creazioni. Una prospettiva del tutto diversa si ha quando noi trasponiamo il concetto della prassi dal lavoro all'agire comunicativo. Allora noi riconosciamo interdipendenze fra sistemi linguistici che dischiudono il mondo e processi intramondani di apprendimento in tutta l'ampiezza dello spettro di validità; i processi di apprendimento non vengono più canalizzati soltanto da processi del lavoro sociale, e in definitiva soltanto dalla pratica cognitivostrumentale con una natura oggettivata. Non appena noi lasciamo cadere il paradigma della produzione, possiamo infatti affer321 www.scribd.com/Baruhk mare un rapporto interno fra senso e validità per l'intera quantità della riserva di significati - non più soltanto per il segmento di significati di espressioni linguistiche che entrano nelle proposizioni assertorie ed intenzionali. Nell'agire comunicativo, che richiede prese di posizione sì/no verso pretese di giustezza e di veracità, non meno che reazioni a pretese di verità e di efficienza, il sapere di fondo del mondo della vita è esposto su tutta la linea ad una prova di durata; pertanto l'apriori concreto di sistemi linguistici che dischiudono il mondo (fin dentro presupposti ontologici ampiamente ramificati) è assoggettato ad una revisione indiretta alla luce della pratica con l'intramondano. Questa concezione non significa che il rapporto interno fra senso e validità debba essere risolto solamente dall'altra parte. La potenza creativa di senso, che oggi si è ampiamente ritirata negli ambiti estetici, conserva la contingenza di forze veramente innovatrici. v Più seria è la considerazione se con il concetto dell'agire comunicativo e della forza trascendente di pretese universalistiche di validità non venga ristabilito un idealismo, che è inconciliabile con le vedute naturalistiche del materialismo storico. Un mondo della vita, che deve riprodursi soltanto tramite il medium dell'agire orientato verso l'intesa, non è tagliato fuori dai suoi processi materiali di vita? Naturalmente un mondo della vita si riproduce materialmente tramite i risultati e le conseguenze delle azioni rivolte allo scopo, con le quali i suoi membri intervengono nel mondo. Ma queste azioni strumentali sono intrecciate con quelle comunicative, in quanto rappresentano l'esecuzione di piani, che sono connessi con i piani di altri partecipanti all'interazione su comuni definizioni di situazioni e processi di intesa. Per questa via. anche le soluzioni di problemi acquisite nella sfera del lavoro sociale vengono collegate al medium dell'agire orientato verso l'intesa. Anche la teoria dell'agire comunicativo conta dunque sul fatto che la riproduzione simbolica del mondo della vita è accoppiata internamente con la sua riproduzione materiale. Non altrettanto semplice è replicare al sospetto che con la concezione di un agire orientato verso pretese di validità si insinui di nuovo l'idealismo della ragione pura, non-situata, e si rianimino in altra forma le dicotomie fra l'ambito del tra322 www.scribd.com/Baruhk scendentale e quello dell'empirico. Già Hamann ha elevato contro Kant l'accusa del 'purismo della ragione'. Non vi è nessuna ragione pura, che soltanto in seguito indossa abiti linguistici. Essa è fin dall'origine ragione incarnata in contesti dell'agire comunicativo e in strutture del mondo della vita 20 • Nella misura in cui i piani e le azioni di differenti attori si intrecciano tramite l'uso del linguaggio orientato verso l'azione nel tempo storico e tramite lo spazio sociale, le prese di posizione sì/no verso pretese di validità criticabili, per quanto rimangano implicite, assumono una funzione-chiave per la prassi quotidiana. L'accordo comunicativamente raggiunto, che si commisura al riconoscimento intersoggettivo di pretese di validità, rende possibile l'intrecciarsi di interazioni sociali e contesti del mondo della vil'a. Senza dubbio le pretese di validità hanno un duplice volto~ quali pretese esse trascendono ogni contesto locale; al contempo esse devono venir elevate qui ed ora nonché riconosciute di fatto, se devono sorreggere l'accordo operante la coordinazione di partecipanti all'interazione. Il momento trascendente di validità universale fa saltare ogni provincialismo; il momento della obbligatorietà qui ed ora di pretese di validità accettate ne fa il portatore di una prassi quotidiana legata al contesto. In quanto gli agenti comunicativamente con i loro atti linguistici elevano reciprocamente pretese di validità, essi si fondano di volta in volta su un potenziale di ragioni confutabili. Con ciò un momento di incondizionatezza è inserito nei processi fattuali di intesa - la validità pretesa si distingue dal valore sociale di una prassi di fatto messa in gioco e le serve tuttavia come base del consenso effettivo. La validità pretesa per proposizioni e norme trascende spazi e tempi, ' elimina ' lo spazio e il tempo, ma la pretesa viene elevata di volta in volta qui ed ora, in determinati contesti, e accettata o respinta con fattuali conseguenze dell'azione. K. O. Apel parla plasticamente dell'intreccio della comunità di comunicazione reale con quella ideale 21 • La prassi comunicativa quotidiana è per così dire riflessa in se stessa. Senza dubbio la ' riflessione ' non è più una faccenda del soggetto conoscente, che si riferisce a se stesso oggettivando. Al posto di questa riflessione prelinguistica-isolata subentra la 20 Devo alcuni spunti a Charles Taylor. Cfr. i suoi recenti Philosophical Papers, voli. I e Il, Cambridge 1985. 21 K. O. Apel, Transjormation der Philosophie, Frankfurt a. M. 1973, vol. Il, pp. 358 sgg. (tr. it., Comunità e comunicazione, Torino 1977, pp. 205 sgg.). Cfr. anche la mia replica a M. Hesse in J. Thompson, D. Held (a cura di), Habermas - Criticai Debates, London 1982, pp. 276 sg. 323 www.scribd.com/Baruhk stratificazione di discorso e azione inserita nell'agire comunicativo. Infatti le pretese di validità elevate di fatto rinviano direttamente o indirettamente ad argomentazioni nelle quali esse possano essere trattate e, se del caso, soddisfatte. Questo conflitto argomentativo su pretese ipotetiche di validità si può descrivere come forma di riflessione dell'agire comunicativo - un'autoreferenzialità che può far senza la coazione all'aggettivazione inclusa nei concetti fondamentali della filosofia del soggetto. Sul piano riflessivo infatti di fronte a proponenti e opponenti si riproduce quella forma fondamentale della relazione intersoggettiva, che media l'autorelazione del parlante già sempre mediante la relazione performativa ad un destinatario. Il teso intreccio fra ideale e reale si mostra chiaramente anche e soprattutto nel discorso stesso. Entrando in un'argomentazione i partecipanti non possono fare a meno di supporre il soddisfacente adempimento di condizioni di una situazione linguistica ideale. Eppure essi sanno che il discorso non è mai definitivamente ' purificato ' dai motivi dissolventi e da coazioni dell'azione. Quanto poco possiamo farcela senza la supposizione di un discorso purificato, altrettanto dobbiamo però accontentarci con un discorso ' non purificato '. Alla fine della quinta lezione ho accennato che il nesso interno fra contesti della fondazione e contesti della scoperta, fra validità e genesi non si lacera mai del tutto. Il compito della fondazione, cioè la critica delle pretese di validità condotta dalla prospettiva del partecipante, non si può in ultima istanza separare dalla considerazione genetica, che in una critica dell'ideologia condotta dalla prospettiva della terza persona sfocia nella commistione di pretese di potere e di validità. La storia della filosofia da Platone e Democrito jn poi è dominata da due impulsi contrastanti. Gli uni enucleano senza riguardi il potere trascendente della ragione astraente e l'incondizionatezza emancipante dell'intelligibile, mentre gli altri cercano di smascherare materialisticamente l'immaginario purismo della ragione. Per contro il pensi~ro dialettico ha preso a servizio la forza sovversiva del materialismo, per sfuggire alla falsa alternativa. All'espulsione di tutto l'empirico dal regno delle idee, essa risponde non semplicemente con la beffarda riduzione dei contesti di validità alle potenze che trionfano dietro le loro spalle. La teoria dell'agire comunicativo vede piuttosto la dialettica di sapere e non sapere inserita nella dialettica dell'intesa che riesce e quella che fallisce. La ragione comunicativa si valorizza nella forza connettiva dell'intesa intersoggettiva e del riconoscimento reciproco: essa 324 www.scribd.com/Baruhk circoscrive al contempo l'universo di una forma di vita comune. All'interno di questo universo l'irrazionale non si lascia separare dal razionale allo stesso modo che, secondo Parmenide, il non sapere da quel sapere che domina come l'affermativo per eccellenza sul nulla. Seguendo J akob Bohme e Isaak Luria, Schelling insiste a ragione che l'errore, il delitto e l'illusione non sono prive di ragione, bensì forme fenomeniche di ragione rovesciata. La lesione della pretesa alla verità, alla giustezza ed alla veracità coinvolge il tutto, attraverso il quale ricorre il vincolo della ragione. Non vi è nessuna via d'uscita e nessun al di fuori per i pochi, che sono nella verità e devono separarsi dai molti, che restano nell'oscurità dell'accecamento, come il giorno dalla notte. Una lesione delle strutture da tutti richieste della convivenza razionale colpisce tutti in eguale misura. Questo aveva inteso il giovane Hegel con la totalità etica, che viene distrutta dall'atto del criminale e può venir restaurata soltanto dalla comprensione dell'indivisibilità della sofferenza nell'estraneazione. La stessa idea motiva Klaus Henrich nel suo confronto fra Parmenide e Giona. Nell'idea del patto che Jahvé conclude con il popolo di Israele, vi è il germe della dialettica di tradimento e potenza vendicatrice: Mantenere il patto con Dio è il simbolo della fedeltà, infrangere questo patto è il modello del tradimento. Tener fede a Dio vuol dire tener fede allo stesso essere vivente-creatore, in sé e negli altri - e in tutti gli ambiti dell'essere. Negarlo in qualche ambito dell'essere vuol dire infrangere il patto con Dio e tradire il proprio fondamento [ ... ]. Perciò il tradimento fatto ad altri è al contempo autotradimento, ed ogni protesta contro il tradimento non è solamente protesta nel proprio nome, bensì al contempo in quello dell'altro [ ... ]. L'idea che potenzialmente ogni essente è ' alleato' nella lotta contro il tradimento, anche ciò che tradisce me e se stesso, è l'unico contrappeso alla rassegnazione storica, che già Parmenide formula, separando con un taglio netto i sapienti e la moltitudine ignorante. Il concetto a noi familiare dell'' illuminismo ' non è pensabile senza il concetto di una alleanza potenzialmente universale contro il tradimento 22 • Soltanto Peirce e Mead hanno elevato a rango filosofico questo motivo religioso dell'alleanza nelle figure di una teoria consensuale della verità e di una teoria comunicativa della società. 22 K. Heinrich, Versuch iiber die Schwierigkeit nein zu sagen, Frankfurt a. M. 1964, p. 20; cfr. anche, dello stesso autore, Parmenides und fona, Frankfurt a. M. 1966. 325 www.scribd.com/Baruhk La teoria dell'agire comunicativo si riallaccia a questa tradi· zione pragmatistica; anch'essa si fa guidare, come Hegel nel suo frammento giovanile sul delitto e la pena, da un'intuizione che con concetti dell'Antico Testamento si può così esprimere: nel· l'agitazione dei reali rapporti di vita cova un'ambivalenza, che ·dipende dalla dialettica di tradimento e potenza vendicatrice 23 • Di fatto noi non possiamo sempre (o anche soltanto spesso) soddisfare quegli inverosimili presupposti pragmatici, dai quali tuttavia noi dobbiamo partire nella prassi comunicativa quoti· diana - e precisamente nel senso di una necessità trascenden· tale. Perciò le forme socioculturali della vita sottostanno alle limitazioni strutturali di una ragione comunicativa al contempo smentita e richiesta. La ragione che opera nell'agire comunicativo non sta però sotto limitazioni per così dire esterne, situative; le sue proprie condizioni di possibilizzazione la costringono alla ramificazione nelle dimensioni del tempo storico, dello spazio sociale e delle esperienze centrate nel corpo. Il potenziale razionale del discorso è infatti intessuto con le risorse di un mondo della vita di volta in volta particolare. Nella misura in cui il mondo della vita assume funzioni di risorsa, ha il carattere di un sapere intuitivo, incrollabilmente certo e olistico, che non può essere problematizzato a piacere - e sotto questo rispetto non rappre· senta nessun ' sapere ' in senso stretto. Questo amalgama di assunzioni di sfondo, solidarietà e capacità consocializzate costi· tuisce il contrappeso conservatore contro il rischio del dissenso dei processi di intesa che corrono attraverso le pretese di validità. Come risorsa, dalla quale i partecipanti all'interazione alimentano le loro asserzioni capaci di consenso, il mondo della vita costituisce un equivalente per ciò che la filosofia del sog· getto aveva attribuito. alla coscienza in genere come operazioni della sintesi. Le operazioni della produzione qui non si riferiscono certamente alla forma, bensì al contenuto di possibile intesa. Pertanto al posto della coscienza trascendentale che fonda l'unità subentrano concrete forme di vita. Tramite le ovvietà culturalmente ambientate, le solidarietà di gruppo intuitivamente presenti e le competenze considerate come know how degli individui socializzati, la ragione, che si esprime nell'agire comuni· cativo, si media con le tradizioni concresciute di volta in volta in una totalità particolare, le pratiche sociali e i complessi d'esperienza legati al corpo. Le forme di vita particolari che si pre23 H. Brunkhorst, Kommunikative Vernunft und riichende Gewalt, in <<Sozialwissenschaftliche Literaturrundschau », n. 8/9, 1983, pp. 7 sgg. 326 www.scribd.com/Baruhk sentano soltanto al plurale non sono certo connesse fra loro soltanto dal tessuto della somiglianza familiare; esse rinviano alle strutture comuni di mondi della vita in genere. Ma queste strutture generali si imprimono alle particolari forme di vita soltanto tramite il medium dell'agire orientato verso lo scopo, attraverso il quale devono riprodursi. Ciò spiega perché il peso di queste strutture generali può rafforzarsi nel corso di processi storici di differenziazione. Questa è anche la chiave per la razionalizzazione del mondo della vita e per la successiva liberazione del potenziale razionale implicito nell'agire comunicativo. Questa tendenza storica è in grado di spiegare il contenuto normativa di una modernità al contempo minacciata di autodistruzione senza le costruzioni ausiliarie della filosofia della storia. Excursus su C. Castoriadis: l'istituzione immaginaria » « Che il post-strutturalismo con il suo rifiuto globale di moderne forme di vita trovi udienza, è una conseguenza anche del fatto' che gli sforzi della filosofia della prassi per riformulare il progetto della modernità sulla linea del pensiero marxista hanno perduto di credibilità. Il primo tentativo di un rinnovamento della filosofia della prassi dallo spirito' di Htisserl e Heidegger lo ha intrapreso il giovane Marcuse; in ciò lo ha poi seguito Sartre con la Critica della ragione dialettica; Castoriadis ha dato un nuovo impulso a questa tradizione con una peculiare svolta linguistica. La sua opera assume 11na posizione centrale nella cerchia di quelle impostazioni di filosofia della prassi, che dalla metà degli anni Sessanta sono state sviluppate soprattutto nell'Europa orientale, a Praga, Budapest, Zagabria e Belgrado e che per un decennio hanno animato le discussioni della Scuola estiva di Korcula. Castoriadis ha intrapreso il tentativo più originale, più ambizioso e più meditato per pensare ancora una volta come prassi la mediazione liberante fra storia, società, natura esterna ed interna. Anche Castoriadis parte dalla ' contraddizione ' fra lavoro morto e lavoro vivo. Il capitalismo deve al contempo « valersi dell'attività in senso autentico umana dei soggetti ad esso sottomessi [ ... ] e disumanizzare tale attività» 24 • La cooperazione di 24 C. Castoriadis, L'institution imaginaire de la société, Paris 1975 (tr. ted., Gesellschaft als imaginiire Institution. Entwurf einer politischen Philosophie, Frankfurt a. M. 1984, p. 317). 327 www.scribd.com/Baruhk operai industriali che amministrano se stessi serve qui quale modello di una prassi non disumanizzata. Questa attività in senso enfatico Castoriadis la sviluppa però non in base al filo conduttore della lavorazione e della produzione tecnica di oggetti. Come il puro e semplice agire per riflesso anche l'agire strumentale costituisce un caso-limite di contrasto, al quale mancano determinazioni essenziali della prassi come autoattività: in entrambi i tipi l'agire è ridotto a linee di condotta prevedibili. Le determinazioni della prassi non ridotta Castoriadis le ricava (come Aristotele) da esempi della prassi politica, artistica, medica e pedagogica. Essa ha il suo fine in se stessa e non si può ricondurre all'organizzazione razionale dei mezzi in vista dei fini. La prassi segue un progetto, che però non precede l'applicazione come una teoria, bensì può venir corretto e ampliato come anticipazione nella stessa esecuzione pratica. La prassi si riferisce di volta in volta ad una totalità di attuazioni di vita, nelle quali essa al contempo è inserita; come totalità essa si sottrae all'intervento oggettivante. Ed infine la prassi mira ad una promozione dell'autonomia, dalla quale al contempo essa scaturisce: « Ciò a cui si aspira (lo sviluppo dell'autonomia) sta in un intimo rapporto con ciò mediante cui viene aspirato (l'esercizio di questa autonomia) [ ... ] "È vero che essa deve mettere in conto la rete concreta delle relazioni causali che attraversano il suo ambito. Tuttavia la prassi nella scelta del suo modo di operare non può mai seguire un puro calcolo - non perché questo sarebbe troppo complicato, bensì perché esso per definitionem lascia fuori considerazione il fattore decisivo: l'autonomia» 25 • Castoriadis fa certo saltare il concetto aristotelico, quando radicalizza la determinazione che la prassi è diretta sempre ad Altro che ad esseri autonomi, nel senso che nessuno potrebbe voler seriamente l'autonomia, senza volerla per tutti 26 • Dalla coscienza moderna del tempo dipende anche l'ulteriore determinazione che la prassi è orientata verso il futuro e produce il nuovo. L'agente, in quanto prende l'iniziativa, trascende tutte le determinazioni date e avvia un nuovo inizio. La prassi è creatrice per la sua stessa essenza, essa produce il ' radicalmente Altro'. Creatrice per eccellenza è soprattutto la prassi emancipativa, che Castoriadis vorrebbe liberare da fraintendimenti teoricistici. La prassi mira alla trasformazione « della società attuale in un'altra, che per la sua organizzazione è diretta all'autonomia di tutti. E l'attuazione di questa trasformazione 25 26 lvi, p. 129. lvi, p. 183. 328 www.scribd.com/Baruhk deve stare nell'agire autonomo degli stessi uomini [ ... ] » ZT. Anche l'Illuminismo della teoria della società è guidato da questo interesse. Il progetto rivoluzionario guida invero l'analisi dei processi storici. Ma noi possiamo conoscere la storia sempre soltanto partendo dalla storia stessa: « L'ultimo punto di collegamento di questi due progetti - del comprendere e del modificare - si può ritrovare sempre soltanto nel vivo presente della storia, che non sarebbe presente storico, se non si trascendesse verso un futuro, che noi dobbiamo ancora fare » 28 • Castoriadis rinnova dunque il concetto aristotelico della prassi, con l'aiuto di una autointerpretazione radical-ermeneutica della coscienza temporale moderna, per elaborare contro la dogmatica marxista il senso originario di una politica emancipativa. Tuttavia questa interpretazione azionistica della prassi non porterebbe al di là della posizione di Karl Korsch, diretta allora contro la ortodossia della Seconda Internazionale, se da questa posizione Castoriadis non sviluppasse una filosofia politica ed una teoria della società. Inoltre gli interessano concetti del politico e del sociale, che in un certo senso universalizzino il senso specifico della prassi rivoluzionaria. Castoriadis dirige lo sguardo, del resto in modo del tutto simile ad Hannah Arendt 29, verso quei rari momenti storici, in cui la massa, dalla quale sono formate le istituzioni, è ancora fluida, cioè ai momenti produttivi della fondazione di nuove istituzioni: « Un'immagine viva e stimolante [ ... ] dell'ora storico-sociale ce l'offrono quei momenti nei quali la società istituenda irrompe nella società istituita, nei quali la società in quanto istituita distrugge se stessa con l'aiuto della società in quanto istituente, cioè crea se stessa come un'altra società istituita [ ... ] Anche una società che sembra mirare soltanto alla propria conservazione, sussiste solamente in quanto si modifica incessantemente» 30 • Castoriadis sviluppa il caso normale del politico dal caso limite dell'atto della fondazione di un'istituzione, e interpreta a sua volta quest'ultimo da un orizzonte estetico di esperienza come il momento estatico della fondazione di un assolutamente nuovo che erompe dal continuum del tempo. Soltanto così egli crede di poter mettere a nudo il nucleo essenzialmente produttivo nella riproduzione della società. Il processo sociale è la produzione di figure radicalmente diverse, un mettersi-in-opera lvi, p. 134. lvi, p. 281. J. Habermas, H. Arendts Begri[f der Macht, in Philosophisch-Politische Profile, Frankfurt a. M. 1981. 30 C. Castoriadis, op. cit., pp. 342 sg. 27 28 29 329 www.scribd.com/Baruhk demiurgico, la creazione continuata di nuovi tipi, che vengono incarnati esemplarmente sempre di nuovo in altro modo, in breve: autoposizione e genesi ontologica di sempre nuovi ' mondi '. In questa concezione il tardo Heidegger entra con il primo Fichte in un collegamento marxista. Al posto del soggetto autoponentesi subentra la società auto-istituentesi, dove ciò che viene istituito rappresenta una ·comprensione creativa del mondo, un senso innovativo, un nuovo universo di significati. Questo senso dischiudente il mondo Castoriadis lo chiama l' ' Immaginario centrale '; esso si effonde come magma di significati dal vulcano del tempo storico nelle istituzioni sociali: « Senza un Immaginario produttivo, creatore o [ ... ] radicale, quale si rivela nell'unità inseparabile di fare storico e contemporanea formazione di un universo di discorso, la storia non è né possibile né comprensibile » 31 • L'Immaginario determina lo stile della vita, lo 'spirito del popolo' di una società, di un'epoca. Castoriadis parla di una « occupazione originaria del mondo e del sé con un senso, che non è stato dettato alla società da fattori reali, perché al contrario questo senso è quello che assegna a quei fattori reali la loro importanza e il loro posto privilegiato nell'universo di questa società» 32 • Indubbiamente tutto il resto dipende dal modo in cui Castoriadis pensa insieme la società, come istituzione di un mondo, con la prassi intramondana. L'interesse di Castoriadis vale per una condotta autocosciente, autonoma della vita, che deve rendere possibile l'autentica autorealizzazione e libertà nella solidarietà. Egli deve risolvere il problema di concepire la funzione dischiudente il mondo del linguaggio in modo tale, che essa possa trovare collegamento con un concetto normativamente ricco di contenuto della prassi. La mia tesi è che Castoriadis non riesca a trovare la soluzione, perché il suo concetto fondamental-ontologico della società non lascia alcun posto per una prassi intersoggettiva, imputabile a individui socializzati. Alla fine la prassi sociale si dissolve nella scia anonima di un'istituzionalizzazione di sempre nuovi mondi attinta all'Immaginario. Di fronte alla riduzione produttivistica del concetto di prassi, Castoriadis sottolinea a ragione l'uguale originarietà del dire e del fare, del parlare e del fare, legein e teukein. In queste due dimensioni il fare umano è riferito a qualcosa nel mondo - al materiale bisognoso d'interpretazione, al contempo resistente e formabile, che si trova nel mondo. Castoriadis ha tuttavia a di31 32 lvi, p, 251. lvi, p. 220. 330 www.scribd.com/Baruhk spos1z1one, per questo 'strato primario', cui la società deve 'appoggiarsi', soltanto il concetto del mondo oggettivo; è la natura o l'insieme dell'essente, che offre al mondo sociale di volta in volta istituito un contrafforte. Di conseguenza il 'fare' si riduce all'intervenire conforme allo scopo nel mondo di stati di cose esistenti, e il ' dire ' alla semantica logica del discorso constatante i fatti, nella misura in cui esso è costitutivo per l'ambito funzionale dell'agire strumentale. Legein e teukein sono forme di espt:essione del pensiero identificante: « Come il legein incarna la dimensione di logica dell'identità e della quantità del linguaggio e del rappresentare sociale, così nel teukein si materializza la dimensione di logica dell'identità e della quantità del fare sociale » 33 • In modo del tutto convenzionale con ciò il sostrato naturale di ciò che può accadere nel mondo viene sistemato in relazioni soggetto-oggetto e concepito come rappresentabile o producibile. Ma ora la prassi sociale che balena a Castoriadis va oltre un'incarnazione del pensiero identificante e della razionalità finalistica. Perciò l'intelletto, che qui si presenta come la facoltà della logica dell'identità e della quantità, non deve certo operare alla luce della ragione, ma deve pure essere sopraffatto dalla straboccante abbondanza di significati dell'Immaginario. Il mondo degli oggetti concepito dalla filosofia del soggetto è una armatura che nella dimensione del rappresentare e del produrre assicura semplicemente il contatto con il sostrato intramondano della natura. Tutto ciò che accade in queste zone di contatto, mediato da legein e teukein, è però già dischiuso entro un antecedente orizzonte di discorso. E questo dipende soltanto dall'Immaginario. Di fronte al potere dì questo magma immaginario di significati, la prassi intramondana non può acquisire nessuna autonomia, perché il concetto di linguaggio che Castoriadis impiega non ammette una differenza fra senso e validità. Come in Heidegger la ' verità ' del dischiudimento semantico del mondo fonda ancora la verità proposizionale degli enunciati; essa pregiudica la validità di asserzioni linguistiche in generale. Così la prassi intramondana non può suscitare nessun processo di apprendimento. In ogni caso non vi è nessuna accumulazione di sapere, che possa compromettere l'antecedente comprensione del mondo e far saltare una data totalità di senso - nemmeno nelle dimensioni della conoscenza scientifica della natura e delle forze produttive: « È vero che il naturalmente dato delìa società si presenta sempre come uh resistente, ma anche come un forma33 lvi, p. 442. 331 www.scribd.com/Baruhk bile; ciò tuttavia che resiste ed è formabile - e come - dipende dal mondo sociale di volta in volta considerato. Che i nuclei dell'idrogeno si possano fondere, è un enunciato che ha senso per la società presente, ma per nessun'altra» 34 • Perché una società istituisca un determinato orizzonte di significati, è una questione che Castoriadis deve respingere come priva di contenuto. Non si può indagare sull'origine dell'immemorabile 35• L'istituzione di ogni mondo è una creazione ex nihilo 36 • Ma se il rapporto fra l'Immaginario che dischiude il mondo e il lavoro e l'interazione è impiantato in questo modo, l'agire autonomo non può più affatto esser pensato come prassi intramondana; Castoriadis deve assimilarla piuttosto alla prassi creatrice del linguaggio, progettante il mondo e divorante il mondo dello stesso demiurgo sociale. Ma con ciò la prassi perde proprio quei tratti del fare umano, che Castoriadis mette a ragione in rilievo - i tratti di un'impresa intersoggettiva dipendente dal contesto in condizioni finite. La finitezza della prassi risale non soltanto alla resistenza di una natura esterna formabile, bensì anche alle limitazioni di un'esistenza storica, sociale e corporea. Una prassi, che coincide con la creatio continua di nuove interpretazioni del mondo, con la genesi antologica, progetta essa stessa i tempi storici e gli spazi sociali, apre essa stessa le dimensioni per possibili limitazioni. Tuttavia Castoriadis adduce quelle figure concettuali note dalla teogonia e dalla dottrina della scienza di Fichte, per tracciare un limite interno all'attualità infinita di una società che istituisce se stessa nella figura della società istituita. Come nel modello espressivistico dello spirito, che si perde nelle sue proprie aggettivazioni, anche nel modello antologico della società è inserito il punto di rottura previsto dell'autoestraneazione. Se il flusso di produzione della genesi antologica ristagna, la società istituita si irrigidisce di fronte alle sue proprie origini: « L'estraneazione o eteronomia della società è un'autoestranea?-ione, nella quale la società cela il suo proprio essere come auto-istituzione e la sua essenziale temporalità » 37 • Questa concezione ha due conseguenze incresciose. Castoriadis, in quanto assimila la prassi intramondana ad un dischiudimento del mondo linguistico ipostatizzato in storia dell'essere, non può più localizzare la lotta politica per l'autonoma condotta della vita - appunto quella prassi emancipativa creativo-progettante, che in definitiva importa a Castoriadis. Infatti egli deve lvi, lvi, 36 lvi, 37 I vi, 34 35 p. p. p. p. 581. 589. 591. 608. 332 www.scribd.com/Baruhk o, come Heidegger, richiamare gli attori dal loro abbandono intramondano, avido di soggettività, nell'indisponibile, e quindi nell'eteronomia auratica di fronte all'accadere originario di una società che istituisce se stessa: e questo sarebbe soltanto l'ironico rovesciamento della filosofia della prassi in un'altra variante del post-strutturalismo. Oppure Castoriadis traspone l'autonomia della prassi sociale, che non si può salvare intramondanamente, nello stesso accadere originario; ma allora egli deve sottomettere alla produttività dischiudente il mondo del linguaggio un lo assoluto, e ritornare effettivamente alla filosofia speculativa della coscienza. A ciò si adatterebbe la personificazione della società come demiurgo poietico, che genera da sé sempre nuovi tipi di mondo. In questo caso si ripete il problema della teodicea in nuova forma: a chi dovrebbe venir attribuita la responsabilità per la caduta della società istituita dalle origini della sua auto-istituzione, se non allo stesso creatore demiurgico del linguaggio? La seconda conseguenza, di gran lunga più terrena, mà altrettanto incresciosa, è il ritorno di un problema sul quale la filosofia della coscienza da Fichte fino ad Husserl si era invano affaticata: una spiegazione dell'intersoggettività della prassi sociale, che è costretta a partire dalla premessa 9i una coscienza solitaria. Una seconda corrente dell'Immaginario Castoriadis la postula infatti per l'inconscio individuale, che costituisce il nucleo monadico della soggettività della prima infanzia. Qui si mostra che l'immaginario, la fantasia creatrice d'immagini guidata dall'impulso, antecede ancora perfino il linguaggio come medium formatore del mondo dell'immaginario sociale. Da questa produzione fantastica della natura interna familiare allo psicoanalista Castoriadis, procede un mondo di volta in volta nuovo e peculiarmente privato, che nel corso clello svilt,rppo .infantile urta con il mondo socialmente istituito e, dopo la dissoluzione del conflitto edipico, gli viene coordinato e subordinato. Le correnti psichiche dell'immaginario scaturiscono dalle fonti della natura di volta in volta propria soggettiva. Esse concorrono con la corrente collettiva scaturente dalla società dell'immaginario in modo analogo a come i mondi privati concorrono col mondo pubblico. Gli individui socializzati non entrano fra di loro in una relazione intersoggettiva in senso genuino. Nell'immagine del mondo socialmente istituita tutti sono apriori d'accordo, come se ciò fosse la coscienza trascendentale; contro questa armonia prestabilita gli individui in crescita cercano ciascuno di affermare i loro mondi privati come monadi. Una figura per la mediazione fra individuo e società Castoriadis non può offrirla. La società in333 www.scribd.com/Baruhk frange la monade infantile e la riforma. Il tipo del mondo socialmente istituito viene impresso sul singolo. Il processo di socializzazione viene dunque rappresentato secondo il modello della produzione artigianale. L'individuo socializzato viene prodotto e rimane, come in Durkheim, scisso in monade e membro della società. Quella separazione edipica, che « per l'individuo diviene l'inserzione stabile, ben distinta fra un mondo privato ed uno pubblico » 38 , Castoriadis lo chiama un enigma: « Se non si vogliono chiudere completamente gli occhi di fronte a ciò che sono la psiche e la società, allora non si deve trascurare, che l'individuo sociale non cresce come una pianta, bensì viene creato/fabbricato dalla società. A tale scopo occorre certo sempre una rottura violenta con lo stadio iniziale della psiche e le sue richieste; una rottura, che sempre soltanto un'istituzione sociale può compiere» 39 • I conflitti intrapsichici non sono connessi internamente con quelli sociali, piuttosto la psiche e la società stanno fra loro in una sorta di contrasto metafisica. Meno ' enigmatica ' è la cercata mediazione fra individuo e società se con G. H. Mead si intende lo stesso processo di socializzazione come individuazione. Allora bisogna estendere senza dubbio il concetto del linguaggio strutturalistico, limitato alla dimensione logico-semantica, e concepire il linguaggio come quel medium che al contempo inserisce ogni partecipante all'interazione come membro in una comunità di comunicazione e inoltre lo sottomette ad una coazione di individuazione inesorabile. Fra i presupposti pragmatici dell'uso a regola d'arte delle proposizioni grammaticali nelle azioni linguistiche vi è infatti l'integrazione delle prospettive del parlante, dell'uditore e dell'osservatore, nonché l'intreccio di questa struttura con un sistema di prospettive sul mondo, che coordina il mondo oggettivo con quello sociale e quello soggettivo 40 • Se con l'aiuto di questo concetto pragmaticamente ampliato del linguaggio si riformula il concetto della prassi nel senso dell'agire comunicativo, le caratteristiche universali della prassi non si limitano al legein e al teukein, cioè alle condizioni bisognose di interpretazione per il contatto con una natura che si incontra nell'ambito funzionale dell'agire strumentale. Allora la prassi opera piuttosto alla luce di una ragione comunicativa, che impone ai partecipanti all'interazione un orientamento verso pretese lvi, p. 498. lvi, p, 514. Cfr. a tal proposito il saggio che dà il titolo a J. Habermas, Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, cit., pp. 152 sgg. (tr. it. cit., pp. 150 sgg.). 38 39 40 334 www.scribd.com/Baruhk di validità e quindi rende possibile un'accumulazione di sapere che modifica l'immagine del mondo. Certo, anche nell'agire comunicativo i particolari contesti del mondo della vita sono dovuti alla funzione dischiudente il mondo di un linguaggio, che di volta in volta viene condivisa dagli appartenenti. E il sistema linguistico fissa anche le condizioni della validità delle espressioni generate con il suo aiuto. Ma il rapporto interno fra senso e validità è questa volta simmetrico: il senso di un'espressione non pregiudica se le condizioni di validità e le corrispondenti pretese di validità siano soddisfatte o no nella prassi intramondana, che si appropria del mondo. La prassi sociale è costituita linguisticamente, ma anche il linguaggio deve comprovarsi attraverso questa prassi in base a ciò che avviene entro l'orizzonte da essa dischiuso. Ma se il dischiudimento del mondo e la prassi comprovante si presuppongono a vicenda nel mondo, le innovazioni creatrici di senso sono talmente intrecciate con i processi di apprendimento, sono entrambe a loro volta talmente ancorate nelle strutture universali dell'agire orientato verso l'intesa, che la riproduzione di un mondo della vita si attua sempre anche grazie alla produttività dei suoi appartenenti. www.scribd.com/Baruhk 12. IL CONTENUTO NORMATIVO DELLA MODERNIT A I La critica radicale della ragione paga per il congedo della modernità un alto prezzo. Per prima cosa questi discorsi non possono né vogliono render conto della loro propria collocazione. Dialettica negativa, genealogia, decostruzione si sottraggono in maniera analoga a quelle categorie, in base alle quali il sapere moderno si è differenziato nient'affatto casualmente e che noi oggi mettiamo alla base della nostra comprensione dei testi. Non le si può classificare né come filosofia o come scienza, né come teoria morale e giuridica, né come letteratura e arte. Al contempo recalcitrano contro un ritorno alle forme, dogmatiche oppure eretiche, del pensiero religioso. Vi è quindi un'incongruenza anche fra queste ' teorie ', che elevano pretese di validità soltanto per smentirle, e il tipo della loro istituzionalizzazione nell'impresa scientifica. Vi è un'asimmetria fra il gesto retorico con cui questi discorsi esigono comprensione, e la trattazione critica alla quale essi vengono sottoposti istituzionalmente, p. es. nel quadro di una lezione accademica. Non importa se Adorno reclama in modo paradossale valore di verità, o se Foucault si rifiuta di trarre conseguenze da contraddizioni manifeste; non importa se Heidegger e Derrida si sottraggono a obbligazioni di fondazione tramite la fuga nell'esoterico o tramite la fusione del logico con il retorico: sorge sempre una simbiosi dall'incompatibile, un amalgama, che si contrappone nel suo nucleo alla 'normale ' analisi scientifica. Il materiale ingombrante viene soltanto trasposto in un altro posto, quando noi cambiamo il sistema di riferimento e non trattiamo più gli stessi discorsi come scienza o filosofia, bensì come un pezzo di letteratura. Che la critica autoriferentesi della ragione si installi in discorsi senza luogo, per così dire dovunque e in nessun posto, la rende pressoché 336 www.scribd.com/Baruhk immune contro interpretazioni concorrenti. Tali discorsi rendono insicuri i criteri istituzionalizzati del fallibilismo; essi consentono, quando l'argomentazione è già perduta, ancor sempre un'ultima parola: che l'opponente ha frainteso il senso dell'intero gioco linguistico, nella sua maniera di rispondere ha commesso un errore categoriale. Sono affini fra loro le varianti di una critica della ragione senza riguardi contro i suoi propri fondamenti anche sotto un altro rispetto. Esse si fanno guidare da intuizioni normative, che oltrepassano il segno di ciò che possono collocare nell' ' Altro dalla ragione ' indirettamente evocato. Sia che la modernità venga descritta come contesto di vita reificato e sfruttato, reso tecnicamente disponibile o divaricato totalitariamente, dato in lascito, omogeneizzato, incarcerato, le denunce sono sempre ispirate da una particolare sensibilità per lesioni complesse e violenze raffinate. In questa sensibilità è inscritta l'immagine di una intersoggettività inviolata, che era dapprima balenata al giovane Hegel come totalità etica. Con i controconcetti, impiegati in modo puramente formale, di essere e sovranità, potere, differenza e non-identico, questa critica rinvia certamente a contenuti dell'esperienza estetica; ma i valori che ne sono derivati, esplicitamente adoperati, della grazia e dell'illuminazione, del rapimento estatico, dell'integrità corporea, della soddisfazione dei desideri e della intimità indulgente, non celano il mutamento morale, che anche questi autori tacitamente orientano verso un'intatta prassi vitale - che non concilia soltanto con la natura interna. Tra i fondamenti normativi dichiarati e quelli occultati, sussiste una sproporzione, che si spiega in base al rifiuto adialettico della soggettività. Con questo principio della modernità non vengono respinte soltanto le conseguenze vulneranti di un autoriferimento oggettivante, bensì anche quelle altre connotazioni, che un tempo la soggettività aveva portato con sé come promesse non mantenute: la prospettiva di una prassi autocosciente, nella quale l'autodeterminazione solidale di tutti dovrebbe potersi collegare con l'autentica autorealizzazione di ciascun singolo. Viene respinto appunto ciò che una modernità che si rende conto di se stessa aveva una volta inteso con i concetti di autocoscienza, autodeterminazione ed autorealizzazione. Dal rifiuto totalizzante delle forme moderne di vita si spiega un'altra debolezza di questi discorsi: interessanti in linea di principio, essi restano indifferenziati nei risultati. I criteri in base ai quali Hegel e Marx, e ancora Max Weber e Lukacs avevano distinto gli aspetti emancipativi-riconcilianti da quelli repressivi-scindenti della razionalizzazione sociale, sono dive337 www.scribd.com/Baruhk nuti ottusi. La critica ha nel frattempo colto e scomposto anche quei concetti con cui quegli aspetti si potevano tener staccati in modo tale che diveniva visibile il loro paradossale intreccio. Illuminismo e manipolazione, cosciente e inconscio, forze produttive e forze distruttive, autorealizzazione espressiva e desublimazione repressiva, effetti che garantiscono la libertà ed effetti che la ricusano, verità e ideologia - tutti questi momenti confluiscono ora insieme. Essi non sono affatto connessi fra di loro controvoglia in funesti rapporti funzionali - complici involontari in un processo contraddittorio, ricorrente attraverso il conflitto dei contraenti. Le differenze e i contrasti sono ora a tal punto minati, anzi demoliti, che la critica, nel piatto e smorto paesaggio di un mondo totalmente amministrato, calcolato dato in lascito non può più comporre contrasti, sfumature, gradazioni ambivalenti. Certamente la teoria del mondo amministrato di Adorno o la teoria del potere di Foucault sono più produttive, più schiettamente informative c.he le esposizioni di Heidegger o di Derrida sulla tecnica cotpi}- supporto o sull'essenza totalitaria del politico. Ma tutte qàante sono insensibili al contenuto altamente ambivalente della modernità culturale e di quella sociale. Questo livellamento si fa notare anche nel confronto diacronico fra forme di vita moderne e premoderne. Gli alti costi, che sono stati prima tanto più richiesti alla massa della popolazione (nelle dimensioni del lavoro manuale, delle condizioni materiali di vita, e delle possibilità individuali di scelta, della sicurezza del diritto e della procedura penale, della partecipazione politica, della formazione scolastica, ecc.), non vengono quasi notati. È degno di nota che nelle impostazioni della critica della ragiòne non è previsto un posto sistematico per la prassi quotidiana. Pragmatismo, fenomenologia e filosofia ermeneutica hanno elevato a rango epistemologico categorie dell'agire, del parlare e del convivere quotidiano. Marx aveva perfino caratterizzato la prassi quotidiana come il luogo nel quale il contenuto razionale della filosofia doveva riversarsi nelle forme di vita di una società emancipata. Ma Nietzsche ha diretto a tal punto verso fenomeni dell'extraquotidiano lo sguardo dei suoi successori, che esso ancora soltanto passa sprezzantemente oltre la prassi quotidiana come qualcosa di puramente derivato o inautentico. Nell'agire comunicativo, come si è visto 1, il momento creativo della costituzione linguistica del mondo costituisce una sindrome con i momenti cognitivo-strumentali, pratico-morali ed l Cfr., supra, pp. 207 sgg. 338 www.scribd.com/Baruhk espressivi delle funzioni linguistiche intramondane dell'esposizione, della relazione interpersonale e dell'espressione soggettiva. Nella modernità da ciascuno di questi momenti si sono differenziate ' sfere di valori ' - cioè da un lato arte, letteratura e una critica specializzata in questioni di gusto sull'asse del dischiudimento del mondo, e dall'altro discorsi che risolvono problemi, specializzati in questioni di verità e di giustizia, sull'asse dei processi intramondani di apprendimento. Questi sistemi conoscitivi di arte e critica, scienza e filosofia, diritto e morale si sono distaccati tanto più ampiamente dalla comunicazione quotidiana, quanto più strettamente e unilateralmente si sono addentrati in una sola funzione linguistica e in un solo aspetto di validità. A causa di questa astrazione essi non devono però essere considerati già di per sé come fenomeni sintomatici di decadenza di una ragione centrata nel soggetto. Al nietzscheanesimo la differenziazione tra scienza e morale si presenta come il processo di formazione di una ragione che ha al contempo usurpato e soffocato la forza poetico-dischiudente il mondo dell'arte. La modernità culturale gli appare come un regno del terrore contrassegnato dai tratti totalitari di una ragione centrata nel soggetto che sovraccarica se stessa. Da questo quadro sono esclusi tre semplici fatti. Anzitutto la circostanza, che quelle esperienze estetiche, alla cui luce soltanto deve svelarsi la vera natura di una ragione esclusiva, dipendono da quello stesso processo di differenziazione come la scienza e la morale. Poi il fatto che la modernità culturale deve la sua scissione in discorsi speciali per le questioni di gusto, di verità e di giustizia anche ad una crescita del sapere difficile da contestare. E soprattutto il dato di fatto che soltanto le modalità dello scambio fra questi sistemi di sapere e la prassi quotidiana decidono se i vantaggi dell'astrazione influiscono distruttivamente sul mondo della vita. Dalla prospettiva di singole sfere culturali di valori la sindrome del mondo quotidiano si presenta come ' vita ' o come 'prassi' o come 'eticità', alle quali stanno di fronte l'' arte' o la ' teoria ' o la ' morale '. Sugli specifici ruoli di mediatori della critica e della filosofia abbiamo già parlato in un altro contesto. All'una il rapporto fra ' arte ' e ' vita ' si presenta in modo altrettanto problematico quanto all'altra il rapporto fra ' teoria ' e ' prassi ' o fra ' morale ' ed ' eticità '. La trasposizione immediata di sapere specializzato nelle sfere private e pubbliche della quotidianità può da un lato mettere in pericolo l'autonomia e il senso proprio dei sistemi di sapere, e dall'altro lato ledere l'integrità dei contesti dei mondi della vita. Un sa339 www.scribd.com/Baruhk pere specializzato soltanto ad una pretesa di validità, che urta in modo non specifico al contesto contro l'intera ampiezza dello spettro di validità della prassi quotidiana, squilibra l'infrastruttura comunicativa del mondo della vita. Interventi sottocomplessi di questo tipo portano all'estetizzazione o alla scientificizzazione o alla moralizzazione di singoli ambiti della vita e suscitano effetti, per i quali offrono esempi drastici le controculture espressivistiche, le riforme attuate tecnocraticamente o i movimenti fondamentalistici. Con il complicato rapporto fra culture degli esperti e del quotidiano, non vengono certo ancora affatto toccati i più profondi paradossi della razionalizzazione sociale. Infatti qui si tratta di una reificazione della prassi quotidiana indotta sistemicamente, sulla quale ritornerò ancora. Già i primi passi sulla via delle differenziazioni nell'immagine del mondo della vita delle società moderne ambiguamente razionalizzato portano però alla coscienza quel problema, di cui vogliamo occuparci in quest'ultima lezione. Ad una critica livellante della ragione si possono rinfacciare le sue dedifferenziazioni soltanto in base a descrizioni che per parte loro sono guidate da intuizioni normative. Questo contenuto normativa, se non deve rimanere arbitrario, deve potersi acquisire e giustificare dal potenziale razionale immanente alla prassi quotidiana. Il concetto, introdotto dapprima provvisoriamente, della ragione comunicativa, che indica oltre la ragione soggettocentrica, deve condurre fuori dai paradossi e dagli appiattimenti di una critica della ragione che si riferisce a se stessa; d'altra parte esso deve affermarsi contro l'impostazione concorrente di una teoria sistemica, che mette da parte la problemadca della razionalità in generale, abbandona ogni concetto di ragione come intralcìo veteroeuropeo, ed eredita sveltamente la filosofia del soggetto (e la teoria del potere del suo più acuto avversario). Questa duplice posizione frontale fa della riabilitazione del concetto di ragione un'impresa doppiamente rischiosa. Essa deve guardarsi da entrambe le parti: dall'impigliarsi nuovamente nelle trappole di un pensiero centrato nel soggetto, al quale non è riuscito di tener libera la coazione spontanea della ragione tanto dai tratti totalitari di una ragione strumentale, che fa oggetto tutto intorno a sé ed anche se stessa, quanto dai tratti totalizzanti di una ragione inclusiva, che si incorpora tutto ed alla fine trionfa come unità su tutte le differenze. La filosofia della prassi voleva ricavare i contenuti normativi della modernità da una ragione incarnata nell'evento mediatore della prassi sociale. La prospettiva della totalità che è inserita in questo con340 www.scribd.com/Baruhk cetto, si modifica se il concetto fondamentale dell'agire comunicativo sostituisce quello del lavoro sociale? II Secondo Marx la prassi sociale si estende nelle dimensioni del tempo storico e dello spazio sociale e media la natura soggettiva dei singoli cooperanti nell'orizzonte di una natura in sé circostante, che comprende cosmicamente anche la storia del genere umano, con la natura esterna oggettivata in interventi mediati dal corpo. Il processo mediatore del lavoro si riferisce dunque alla natura sotto tre diversi aspetti - alla vissuta natura bisognosa dei soggetti, alla natura oggettiva colta ed elaborata oggettivamente, ed infine alla natura in sé presupposta nel lavoro come orizzonte e fondamento. Con ciò il lavoro, come abbiamo visto nella terza lezione, viene interpretato in senso estetico-produttivo e rappresentato come processo circolare dell'alienazione, aggettivazione e appropriazione di forze essenziali. Pertanto il processo dell'automediazione della natura assume in sé l'autorealizzazione dei soggetti attivi che fungono in esso. Entrambi sono processi dell'autoproduzione; essi si producono dai loro propri prodotti. In egual modo la società che procede da questa prassi viene concepita come prodotto delle forze produttive e delle forme di produzione creati in essa e da essa. La figura ideale della filosofia della prassi costringe a far dissolvere i momenti dapprima distintamente riferiti l'uno all'altro del lavoro e della natura nella totalità di un autoriferentesi processo di riproduzione. È alla fine la natura stessa, che riproduce se stessa tramite la riproduzione del macrosoggetto della società e dei soggetti in essa attivi. Anche Marx non si è sottratto all'idea hegeliana della totalità. Ciò si modifica, se la prassi sociale non viene più pensata primariamente come lavoro. Con i concetti, che si integrano a vicenda, dell'agire comunicativo e del mondo della vita, viene introdotta una differenza fra determinazioni, che - diversamente dalla differenza fra lavoro e natura - non si dissolvono di nuovo come momenti in un'unità superiore. Certo, la riproduzione del mondo della vita si nutre dei contributi dell'agire comunicativo, mentre questo a sua volta dipende dalle risorse del mondo della vita 2 • Ma noi non dobbiamo rappresentarci questo processo circolare secondo il mo2 Cfr. fig. 23 in vol. II, p. 217. J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, cit., 341 www.scribd.com/Baruhk dello dell'autoproduzione come una produzione dai propri prodotti e associarlo addirittura con l'autorealizzazione. Altrimenti noi ipostatizzeremmo il processo di intesa - come nella filosofia della prassi il processo lavorativo - quale accadere di mediazione, e dilateremmo il mondo della vita - come nella filosofia della riflessione lo spirito - a totalità di un soggetto di livello superiore. La differenza fra mondo della vita e agire comunicativo non viene ripresa in un'unità; essa si approfondisce perfino nella misura in cui la riproduzione del mondo della vita non viene più guidata attraverso il medium dell'agire orientato verso l'intesa, bensì addossata alle operazioni interpretative degli stessi attori. Nella misura in cui le decisioni sì/no, che reggono la prassi comunicativa quotidiana, non risalgono ad un'intesa normativa imputata, bensì provengono dai processi cooperativi di interpretazione degli stessi partecipanti, le forme di vita concrete e le strutture generali del mondo della vita si separano fra loro. Tra le totalità che si presentano al plurale delle forme di vita sussistono certamente somiglianze di famiglia; esse si sovrappongono e si intrecciano, ma non sono di nuovo ricomprese da una supertotalità. Infatti molteplicità e dispersione si formano nel corso di un processo di astrazione, per il cui tramite i contenuti dei particolari mondi della vita si distaccano sempre più fortemente dalle strutture generali del mondo della vita. Considerato come risorsa, il mondo della vita si articola secondo le competenze ' rifornite ' dell'azione linguistica, cioè dei suoi elementi proposizionali, illocutivi e intenzionali, in cultura, società e persona. Io chiamo cultura 3 quella provvista di sapere, dal quale gli agenti comunicativamente, nell'intendersi sopra qualcosa nel mondo, si procurano interpretazioni produttive di consenso. Chiamo società (nel senso stretto di una componente del mondo della vita) quegli ordinamenti legittimi, dai quali coloro che agiscono comunicativamente, entrando in relazioni interpersonali, attingono una solidarietà fondata su appartenenze di gruppo. Personalità serve quale parola artificiale per competenze acquisite, che rendono un soggetto capace di parlare e di agire, e con ciò lo mettono in grado di partecipare, in un contesto dato di volta in volta, a processi di intesa, e di affermare la propria identità in rapporti mutevoli di interazione. Questa strategia concettuale rompe con la concezione tradizionale, mantenuta anche dalla filosofia del soggetto e della prassi, che le 3 Per quanto segue mi baso sulla mia esposizione in vol. Il, p. 209. 342 www.scribd.com/Baruhk J. Habermas, op. cit., società sono composte da collettivi e questi a loro volta da individui. Individui e gruppi sono soltanto in senso metaforico ' appartenenti ' ad un mondo della vita. Tuttavia la riproduzione simbolica del mondo della vita si compie come un processo circolare. I nuclei strutturali del mondo della vita vengono ' resi possibili ' a loro volta da corrispondenti processi di riproduzione, e questi per parte loro da contributi dell'agire comunicativo. La riproduzione culturale assicura che (nella dimensione semantica) situazioni che si presentano di bel nuovo vengono associate alle condizioni del mondo esistenti: essa assicura la continuità della tradizione ed una coerenza del sapere sufficiente per il bisogno di intesa della prassi quotidiana. L'integrazione sociale assicura che situazioni che si presentano di bel nuovo (nella dimensione dello spazio sociale) vengono associate alle esistenti condizioni del mondo; essa procura il coordinamento di azioni tramite relazioni interpersonali legittimamente regolate e perpetua l'identità di gruppi. La socializzazione degli appartenenti assicura infine che situazioni che si presentano di bel nuovo (nella dimensione del tempo storico) vengono associate alle esistenti condizioni del mondo; essa assicura per le generazioni successive l'acquisizione di capacità generalizzate d'azione e procura l'adattamento di storie di vita individuali e forme di vita collettive. In questi tre processi di riproduzione si rinnovano dunque schemi interpretativi capaci di consenso (o 'sapere valido'), relazioni interpersonali legittimamente ordinate (o ' solidarietà') nonché capacità di interazione (o 'identità personali'). Se ciò viene accettato come una descrizione teoretica della riproduzione simbolica equilibrata e non perturbata del mondo della vita, noi possiamo, anzitutto, studiare a fondo la questione in un esperimento mentale: in quale direzione dovrebbero variare le strutture del mondo della vita, se la riproduzione non perturbata potesse esser garantita sempre meno da scorte tradizionalmente assuefatte, comprovate e consentite di una concreta forma di vita, bensì dovesse essere sempre più garantita dai consensi rischiosamente raggiunti, cioè dalle prestazioni cooperative di coloro stessi che agiscono comunicativamente. Questa è di certo una proiezione idealizzante, ma non del tutto arbitraria. Infatti dinanzi a questo sfondo idealsperimentale si delineano fattuali linee di sviluppo di moderni mondi della vita: l'astrazione delle strutture universali del mondo della vita dalle configurazioni di volta in volta particolari delle totalità di forme di vita che si presentano soltanto al plurale. Sul piano culturale i nuclei tradizionali che garantiscono l'identità 343 www.scribd.com/Baruhk si separano dai contenuti concreti, con cui essi una volta erano strettamente intessuti in immagini mitiche del mondo. Essi si contraggono in elementi astratti come concetti del mondo, presupposti della .comunicazione, procedimenti argomentativi, valori fondamentali astratti e così via. Sul piano della società i principi universali si cristallizzano da quei contesti particolari, nei quali essi un tempo erano insiti nelle società primitive. Nelle società moderne si affermano principi dell'ordine giuridico e della morale, che sempre meno sono improntati da forme di vita particolari. Sul piano della personalità, le strutture cognitive acquisite nel processo di socializzazione si sciolgono sempre più dai contenuti del sapere culturale, con cui una volta erano integrati nel ' pensiero concreto '. Gli oggetti sui quali si possono esercitare competenze formali diventano sempre più variabili. Se in queste tendenze noi prendìamo in considerazione soltanto quei gradi di libertà, che acquisiscono le componenti strutturali del mondo della vita, ne risultano come punti prospettici: per la cultura una condizione di continua revisione di tradizioni fluidificate, cioè divenute riflessive; per la società una condizione di dipendenza degli ordini legittimi da procedimenti formali, e in ultima istanza discorsivi, della fondazione delle norme; per la personalità, una condizione del rischioso autocontrollo di un'altamente astratta identità dell'Io. Ne sorgono coazioni strutturali alla dissoluzione critica di sapere garantito, alla posizione di valori e norme generalizzati, e all'individuazione autocontrollata (giacché le astratte identità dell'Io rinviano ad un'autorealizzazione in progetti autonomi di vita). Questa separazione di forma e contenuto rammenta da lontano le determinazioni ricche di tradizione di una ' prassi razionale': l'autocoscienza ritorna nuovamente nella figura di una cultura divenuta riflessiva, l'autodeterminazione in valori e norme generalizzate, l'autorealizzazione nell'individuazione progredita dei soggetti socializzati. Ma la crescita in riflessività, universalismo e individuazione, che i nuclei strutturali del mondo della vita sperimentano nel corso della loro differenziazione, ora non si adatta più alla descrizione di un aumento nelle dimensioni dell'autoriferimento di un soggetto. E soltanto sotto questa descrizione di filosofia del soggetto la razionalizzazione sociale del dispiegarsi del potenziale razionale della pmssi sociale poteva essere rappresentata come l'autoriflessione di un macrosoggetto. La teoria della comunicazione può fare a meno di questa figura ideale. Ora si attuano il divenir riflessivo della cultura, la generalizzazione di norme e valori, l'acuita individuazione dei soggetti socializzati, ora si potenziano la coscienza critica, la 344 www.scribd.com/Baruhk formazione autonoma della volontà, l'individuazione; si rafforzano dunque quei momenti di razionalità, un tempo attribuiti alla prassi di soggetti, nelle condizioni di una rete sempre più ampia e sempre più finemente intessuta di intersoggettività linguisticamente prodotta. Razionalizzazione del mondo della vita significa differenziazione e condensazione al contempo - la condensazione della tessitura fluttuante di un tessuto di fili intersoggettivi, che tiene insieme gli elementi sempre più nettamente differenziati della cultura, della società e della persona al contempo. La modalità di riproduzione del mondo della vita non si modifica certamente in modo lineare nella direzione caratterizzata dalle parole-chiave di riflessività, universalismo astratto e individuazione. Il mondo della vita razionalizzato assicura piuttosto la continuità di contesti di senso con i mezzi discontinui della critica; tutela il contesto socialintegrativo con i mezzi rischiosi dell'universalismo individualisticamente isolante; e sublima, con mezzi di una socializzazione estremamente individuante, il potere sopraffattore del rapporto genealogico in una universalità fragile e vulnerabile. Quanto più astrattamente le str4tture differenziate del mondo della vita operano nelle sempre più particolarizzate forme di vita, soltanto in questi mezzi si dii;piega il potenziale razionale dell'agire orientato verso l'intesa. Ciò può esser chiarito dal seguente esperimento ideale" Nel campo semantico le continuità non dovrebbe~\) lacerarsi nemmeno se la riproduzione culturale potesse procedere ancora soltanto tramite la critica. Il dispiegamento dei potenziali di negazione dell'intesa linguistica nel mondo della vita strutturalmente differenziato diviene la condizione necessaria affinché i testi si colleghino fra di loro e le tradizioni - che vivono appunto della forza della convinzione - si possano proseguire. Altrettanto poco nello spazio sociale dovrebbe lacerarsi quella rete intersoggettiva annodata da reciproci rapporti di riconoscii't1ento, se l'integrazione sociale potesse funzionare ancora soltanto tramite un universalismo astratto e al contempo individualisticamente orientato. I procedimenti della formazione discorsiva della volontà stabiliti nei mondi della vita strutturalmente differenziati sono destinati ad assicurare appunto mediante l'eguale considerazione degli interessi di ciascun singolo il legame sociale di tutti con tutti. Quale partecipante a discorsi infatti il singolo viene interamente affidato. a se stesso, con il suo insostituibile sì o no, soltanto in base al presupposto che egli rimanga inserito, tramite la ricerca cooperativa della verità, in una comunità universale. Nemmeno la sostanza dell'universale nella successione storica delle generazioni dovrebbe dissolversi in nulla, se 345 www.scribd.com/Baruhk i processi di socializzazione potessero essere validi ancora soltanto sulla soglia di estrema individuazione. Nel mondo della vita differenziato strutturalmente viene riconosciuto un principio, efficace fin dall'inizio, semplicemente come tale: che la socializzazione si compie nello stesso rapporto come individuazione, come all'inverso gli individui si costituiscono socialmente. Col sistema dei pronomi personali è inserita nell'uso linguistico, orientato verso l'intesa, dell'interazione socializzatrice una coazione inesorabile all'individuazione; tramite lo stesso medium linguistico entra però al contempo in azione la forza dell'intersoggettività socializzante. Le figure di pensiero della teoria dell'intersoggettività rendono dunque comprensibile perché l'esame critico e la coscienza fallibilistica persino rafforzino la continuità di una tradizione, che ha perduto la sua naturalità; perché procedimenti astrattiuniversalistici della formazione discorsiva della volontà persino consolidino la solidarietà in contesti di vita, che non sono più legittimati tradizionalmente; perché margini ampliati per l'individuazione e l'autorealizzazione perfino condensino e stabilizzino un processo dell'associazione, che si è distaccato da modelli fissi della socializzazione. Se in tal modo si ricupera il contenuto normativo della modernità, che sfugge non già alle intenzioni, ma bensì ai concetti della filosofia della prassi, si distaccano certo quei tre momenti che una volta erano stati combinati insieme nella Dialettica dell'Illuminismo: la soggettività dovette determinare, come il principio della modernità, anche il suo contenuto normativo; al contempo la ragione centrata nel soggetto condusse ad astrazioni, che scissero la totalità etica; e tuttavia unicamente l'autoriflessione emergente dalla soggettività e mirante oltre le sue limitazioni dovette conservarsi come potere della riconciliazione. La filosofia della prassi aveva fatto proprio questo programma a modo suo. Per Marx l'analisi dell'antagonismo di classe, il suo superamento rivoluzionario e la liberazione del contenuto emancipativo delle forze produttive accumulate costituivano tre momenti collegati da concetti fondamentali. Sotto questo rispetto il concetto di ragione derivato dall'intersoggettività prodotta linguisticamente da strutture, concretizzata in base a processi di razionalizzazione del mondo della vita, non offre nessun equivalente per il concetto usato nella filosofia della storia di una prassi in sé razionale. Non appena abbandoniamo la comprensione della società propria della filosofia della prassi come di un macrosoggetto autoreferenziale, che include i soggetti singoli, vengono a cadere le corrispondenti rappresentazioni-modello per 346 www.scribd.com/Baruhk la diagnosi e il padroneggiamento delle crlSl: sctsstone e rivoluzione. Dato che la successiva liberazione del potenziale razionale implicito nell'agire comunicativo non è più pensata come autoriflessione in grande, questa determinazione del contenuto normath;o della modernità non può pregiudicare né i mezzi concettuali della diagnosi della crisi né il tipo del padroneggiamento delle crisi. Con il grado della razionalizzazione di un mondo della vita non crescono affatto le probabilità di processi di riproduzione liberi da conflitti - semplicemente si sposta il livello sul quale i conflitti possono presentarsi. Con la differenziazione delle strutture del mondo della vita si moltiplicano soltanto le forme fenomeniche delle patologie sociali, a seconda di quale componente strutturale sia insufficientemente procurata: da qualche lato perdita di senso, condizioni anomiche e psicopatologie sono le classi più appariscenti, ma non uniche, di sintomi 4 • Così le cause delle patologie della società, che, nel modello della scissione di un macrosoggetto, possono essere ancora raccolte intorno all'antagonismo di classe, si scindono in contingenze storiche ampiamente disseminate. I tratti patologici delle società moderne si combinano in figure ancora soltanto nella misura in cui si rende osservabile una preponderanza delle forme economiche e burocratiche, in genere cognitivo-strumentali della razionalità. Il profilo dentellato di potenziali di razionalità disegualmente sfruttati scaccia dalla istanza esplicativa il processo circolare paralizzato dell'automediazione di un macrosoggetto scisso 5 • t chiaro che con tali riflessioni non tocchiamo ancora affatto la questione da cui la filosofia della prassi ha preso le mosse. Finché noi, come finora, non prendiamo in considerazione la riproduzione materiale del mondo della vita, non raggiungiamo neppure il vecchio livello problematico. Marx aveva appunto scelto il ' lavoro ' come concetto fondamentale, perché egli poteva osservare come le strutture della società borghese erano 4 Vedi fig. 22 in J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, cit., vol. Il, p. 215 (tr. it. cit., vol. Il, p. 737). 5 Le ideologie, che coprono gli antagonismi respinti, non si lasciano più ascrivere alla falsa coscienza di collettivi; vengono ricondotte ai modelli di una comunicazione quotidiana sistematicamente distorta. Qui, dove l'organizzazione esterna del discorso (Rede) trasmette all'organizzazione interna un'impronta che non si può nascondere in altro modo, e deforma questa in modo tale che i nessi interni di significato e validità, significato ed intenzione, significato ed effettuazione dell'azione si dissolvono (cfr. J. Habermas, Vberlegungen zur Kommunikationspathologie, in Vorstudien, cit., pp. 266 sgg.); qui dunque, nella comunicazione alterata, la totalità etica scissa di Hegel e la prassi estraniata di Marx si fanno riconoscere come forme di un'intersoggettività mutilata. Su questo piano dovrebbero essere ricuperate con i mezzi della pragmatica formale anche le analisi del discorso di Foucault. 347 www.scribd.com/Baruhk sempre più fortemente improntate dal lavoro astratto, cioè dal tipo di un lavoro retribuito controllato tramite il mercato, valorizzato capitalisticamente e organizzato imprenditorialmente. Questa tendenza si è nel frattempo chiaramente indebolita 6 • Ma con ciò il tipo di patologia sociale, che Marx aveva analizzato in base all'astrazione reale del lavoro estraniato, non è scomparso. III L'impostazione della teoria della comunicazione sembra poter salvare il contenuto normativa della modernità soltanto al prezzo di astrazioni idealistiche. Ancora una volta si eleva il sospetto contro il purismo della pura ragione comunicativa - questa volta contro una descrizione astratta di mondi della vita razionalizzati, che non rende alcun conto delle coazioni della riproduzione materiale. Per dissipare questo sospetto, dobbiamo mostrare che la teoria della comunicazione può fornire il suo contributo alla spiegazione di come nella modernità un'economia organizzata in base al mercato si intreccia funzionalmente con lo stato monopolizzatore della violenza, si autonomizza rispetto al mondo della vita come un pezzo di socialità libera da norme e contrappone ai suoi imperativi razionali propri imperativi fondati nella conservazione del sistema. Questo conflitto fra imperativi sistemici e imperativi del mondo della vita Marx per primo l'ha analizzato nella forma di una dialettica di lavoro morto e lavoro vivo, lavoro astratto e concreto, e illustrato efficacemente in base al materiale della storia sociale sull'irruzione del nuovo modo di produzione nei tradizionali mondi della vita. Il tipo di razionalità sistemica che è divenuto per la prima volta evidente nella logica peculiare dell'autovalorizzazione del capitale si è indubbiamente nel frattempo impadronito anche di altri ambiti d'azione. I mondi della vita si possono differenziare strutturalmente ancora così ampiamente, possono formare per gli ambiti funzionali della riproduzione culturale, dell'integrazione sociale e della socializzazione sistemi parziali altamente specializzati (e parti di parti di sottosistemi): la complessità di ogni mondo della vita è strettamente limitata dalla scarsa portata del meccanismo 6 C. O fie, Arbeit als soziologische Schliisselkategorie?, in Arbeitsgesellschaft, Frankfurt a. M. 1984, pp. 13 sgg. 348 www.scribd.com/Baruhk di intesa. Nella misura in cui un mondo della vita si razionalizza, cresce il dispendio di intesa che viene addossato agli stessi agenti comunicativi. Con ciò cresce al contempo il rischio di dissenso di una comunicazione che produce effetti di collegamento soltanto tramite la duplice negazione di pretese di validità. Il linguaggio normale è un meccanismo di coordinamento dell'azione rischioso, e al contempo dispendioso, immobile, limitato nella sua capacità di prestazione. Il significato di singoli atti linguistici non si lascia infatti sganciare dal complesso orizzonte di senso del mondo della vita; esso rimane intessuto con il sapere di sfondo intuitivamente presente dei partecipanti all'interazione. L'abbondanza di connotazioni, la ricchezza di funzioni e la capacità di variazione dell'uso linguistico orientato verso l'intesa è soltanto il rovescio di un riferimento alla totalità, che non ammette nessun ampliamento arbitrario della capacità di intesa della prassi quotidiana. Dato che i mondi della vita possono permettersi soltanto un limitato livello di dispendio di coordinazione e di intesa, ad un determinato livello di complessità il linguaggio corrente deve essere sgravato con quella sorta di linguaggi speciali, che Parsons ha indagato in base all'esempio del denaro. Un effetto di sgravio subentra quando il medium del coordinamento dell'azione non deve venir messo in opera contemporaneamente per tutte le funzioni linguistiche. Con la sostituzione parziale del linguaggio corrente si riduce anche il legame delle azioni controllate comunicativamente con contesti del mondo della vita. I processi sociali in tal modo liberati vengono ' smondanizzati ', cioè liberati da quei riferimenti alla totalità e da quelle strutture dell'intersoggettività, per il cui tramite la cultura, la società e la personalità sono intrecciate fra di loro. Per un tale sgravio si offrono in particolare funzioni della riproduzione materiale, perché queste non hanno bisogno di essere soddisfatte per sé dall'agire comunicativo. Modificazioni delle condizioni nel substrato materiale risalgono appunto direttamente ad eventi e conseguenze aggregate di interventi finalistici nel mondo oggettivo. Certamente anche queste azioni teleologiche abbisognano di coordinazione; esse devono essere integrate socialmente. Ma l'integrazione può procedere soltanto attraverso un linguaggio impoverito e standardizzato, che coordina azioni specificamente funzionali, ad esempio la produzione e distribuzione di beni e servizi, senza aggravare l'integrazione sociale con il dispendio di processi di intesa rischiosi e antieconomici, né riaccoppiarla attraverso il medium del linguaggio corrente con processi della tradizione culturale e della socializzazione. Per queste condizioni 349 www.scribd.com/Baruhk di un linguaggio di controllo codificato in modo speciale è evidentemente sufficiente il medium denaro. Esso si è ramificato dal linguaggio normale come un codice speciale orientato su situazioni standard (dello scambio), che per via di una inserita struttura di preferenza (di offerta e domanda) condiziona in modo efficace alla coordinazione decisioni d'azione, senza dover ricorrere alle risorse del mondo della vita. Ma il denaro rende pos'sibile non soltanto forme di interazione specificamente smondanizzate, bensì la formazione di un sistema parziale specificamente funzionale, che svolge le sue relazioni con l'ambiente tramite il denaro. Dal punto di vista storico, con il capitalismo è nato un sistema economico che regola tramite canali monetari tanto il traffico interno quanto lo scambio con le sue circostanze non economiche (il bilancio privato e lo stato). L'istituzionalizzazione del lavoro salariato da una parte, dello stato fiscale dall'altra fu per il nuovo modo di produzione altrettanto costitutivo quanto la forma di organizzazione dell'impresa capitalistica all'interno del sistema economico. Nella misura in cui il processo produttivo è stato riorganizzato sul lavoro salariato e l'apparato statale riaccoppiato tramite le entrate fiscali degli occupati con la produzione, si sono formati ambienti complementari. Da un lato l'apparato statale divenne dipendente da un sistema economico controllato da media: ciò condusse fra l'altro a ciò, che il potere legato ad uffici e a persone è stato assimilato alla struttura di un medium di controllo, che dunque il potere è stato assimilato al denaro. Dall'altro lato le forme tradizionali del lavoro e della vita si dissolsero sotto l'intervento del lavoro acquisitivo organizzato in forma di impresa. La plebeizzazione della popolazione contadina e la proletarizzazione delle maestranze concentrate in molti modi nelle città divenne il primo caso esemplare di una reificazione della prassi quotidiana indotta dal sistema. Con i processi di scambio che avvengono tramite media nasce nelle società moderne un terzo livello di rapporti funzionali divenuti autonomi - sopra il livello delle interazioni semplici come pure al di sopra del livello delle forme di organizzazione ancora legate al mondo della vita. I rapporti di interazione autonomizzati in sottosistemi, che vanno oltre l'orizzonte del mondo della vita, sì coagulano nella sec~nda natura di una socialità libera da norme. Questo sganciamento fra sistema e mondo della vita viene esperito all'interno dei moderni mondi della vita come una cosificazione di forme di vita. A questa esperienza fondamentale Hegel ha reagito con il concetto del 'positivo' e con l'idea di una totalità etica scissa; Marx ha 350 www.scribd.com/Baruhk iniziato più specificamente con il lavoro industriale estraniato e l'antagonismo di classi. In base a premesse di filosofia del soggetto entrambi sottovalutano senza dubbio il senso proprio degli ambiti d'azione sistemicamente integrati, che si distaccano da strutture di intersoggettività nella misura in cui esse non mostrano più nessuna analogia strutturale con gli ambiti d'azione socialintegrati, differenziati all'interno di un mondo della vita. Per Hegel e per Marx il sistema dei bisogni o la società capitalistica procedevano da processi di astrazione, che rinviano ancora a totalità etica o prassi razionale e restano soggetti alle loro strutture. Le astrazioni costituiscono momenti non indipendenti nell'autoriferimento e nell'automovimento di un soggetto di grado superiore, nel quale esse devono anche di nuovo sfociare. In Marx questo superamento assume la forma di una prassi rivoluzionaria, che infrange la peculiarità sistemica dell'autovalorizzazione del capitale, ricupera nuovamente il processo economico autonomizzato nell'orizzonte del mondo della vita e redime il regno della libertà dall'imposizione del regno della necessità. La rivoluzione nella proprietà privata dei mezzi di produzione deve colpire al contempo quel fondamento istituzionale del medium, per il cui tramite si è differenziata l'economia capitalistica. Essa deve restituire la sua spontaneità al mondo della vita irrigidito sotto la legge del valore; nello stesso momento l'apparenza oggettiva del capitale si dileguerà in nulla. Questa fusione degli ambiti d'azione cosificati sistemicamente nello spontaneo autoriferimento dello spirito o della società si è già imbattuto, come si è visto, presso gli scolari hegeliani di destra della prima generazione, in aspre contraddizioni. Contro la dedifferenziazione di stato e società essi hanno insistito sulla distinzione oggettiva fra sistema sociale e soggetto statale. I loro successori neoconservatori imprimono alla tesi già una svolta verso l'affermativo. Hans Freyer e Joachim Ritter vedono nella dinamica della cosificazione della cultura e della società soltanto il rovescio della costituzione di un ambito auspicabile di libertà soggettiva. Gehlen critica anche questo ancora come una sfera di vuota soggettività, affrancata da tutti gli imperativi oggettivi. Perfino coloro che al seguito di Lukacs tengono fermo il concetto della reificazione, concordano sempre di più con i loro oppositori nella descrizione; sempre più fortemente essi sono impressionati dall'impotenza dei soggetti di fronte ai processi circolari non influenzabili di sistemi autoriferentesi. Non fa quasi più alcuna differenza, se l'uno accusa come totalità negativa ciò che l'altro celebra come cristallizzazione, se l'uno denuncia come cosificazione ciò che l'altro fissa per iscritto tecnocraticamente 351 www.scribd.com/Baruhk come legalità oggettiva. Questa tendenza della diagnosi del nostro tempo in termini di teoria della società corre da decenni verso il punto che il funzionalismo sistemico eleva a suo principio: esso fa imputridire il soggetto stesso in sistemi. Esso suggella tacitamente 'la fine dell'individuo', che Adorno aveva ancora isolato negativo-dialetticamente ed esorcizzato come destino autoinflitto. N. Luhmann presuppone semplicemente che le strutture dell'intersoggettività si disgreghino, che gli individui siano tratti fuori dal loro mondo della vita - che sistemi sociali e personali costituiscano ambienti l'uno per l'altro 7 • La condizione barbarica, che Marx aveva predetto per il caso del fallimento della prassi rivoluzionaria, è contrassegnata da una completa sussunzione del mondo della vita sotto gli imperativi di un processo di valorizzazione sganciato da valori d'uso e dal lavoro concreto. Il funzionalismo sistemico prende impassibile le mosse dal fatto che questa condizione è già subentrata, e precisamente non soltanto nell'ambito economico dell'economia capitalistica, bensì nell'atrio di tutti i sistemi di funzioni. Il mondo della vita marginalizzato potrebbe sopravvivere soltanto se esso per parte sua si trasformasse in un sottosistema controllato dai media, e lasciasse dietro di sé come una pelle di serpente la prassi comunicativa quotidiana. Nella sua versione luhmanniana, il funzionalismo sistemico raccoglie da un lato l'eredità della filosofia del soggetto: esso sostituisce il soggetto autoriferentesi con il sistema autoriferentesi; dall'altro lato esso radicalizza la critica nietzschiana della ragione: con il riferimento alla totalità del mondo della vita esso ingloba ogni tipo di pretesa della ragione 8 • 7 Cfr., in/ra, l'excursus su Luhmann, pp. 366 sgg. 8 Che anche Luhmann, come i critici della ragione si trovi a seguire Nietzsche, si può comprendere meglio, se si fa derivare la totalizzazione realizzata da Nietzsche, della semplice critica dell'ideologia, ancora una volta a partire da un angolo visuale di filosofia del soggetto. A questo è di grande utilità una riflessione di Dieter Henrich sulla finzione e sulla verità. Punto di partenza è quel contesto immaginativo, costituito come necessario, valido secondo propri criteri, in sé coerente, di un soggetto conoscitivo che opera riferendosi a se stesso. Questo nesso razionale di <<per sé >> può svelarsi <<per noi>>, un osservatore esterno, come un mondo fittizio, solo quando gli << è concesso di essere descritto >> in .un contesto che gli fa da schermo e che è inaccessibile << non come conoscenza, bensì solo come strumento per agire efficacemente in un senso >>. Il critico smascherante può naturalmente distanziarsi da un mondo fittizio, solo mentre Io conferma come un contesto di senso coattivamente costituito, non criticabile dall'interno e, a tale riguardo, razionale, e se non di questo criterio, pure si appropria del criterio di razionalità in genere: << L'intenzione critica può predominare soltanto finché la razionalità nella sua propria legittima pretesa era in fondo ancora naturale. Fino allora la critica delle funzioni poteva esser considerata anche come la via sulla quale alla fine si poteva aprire la strada ad una razionalità libera da finzioni. Ma questa forma della critica può anche ritorcersi contro tutto l'insieme delle aspettazioni, che erano 352 www.scribd.com/Baruhk Che Luhmann esaurisca il contenuto di riflessione di queste due contrapposte tradizioni e metta insieme i motivi di pensiero di Kant e di Nietzsche in un gioco linguistico cibernetico, connota il li vello sul quale egli stabilisce la teoria sistemica della connesse con la razionalità in quanto tale. [ ...] Essa diviene allora una nuova forma della fondazione giustificante per il fingere le stesse finzioni » (D. Henrich, Versuch iiber Fiktion und Wahrheit, in Poetik und Hermeneutik, vol. X, Monaco 1984, p. 513). Il critico totale dell'ideologia che compie questo passo senza riserva, non può dipingere la sua iniziativa in modo più naiv (primitivo), che regolata secondo verità; egli identifica ora la propria vita cosciente con la produttività e la libertà di una potenza della vita, creatrice di finzioni, che si trova alla base. A questo punto si diramano ad ogni modo i sentieri. O il compito della critica si allarga sull'intero di una ragione ostile alle funzioni, che con grande energia criminale r.eprime, esclude e proscrive ciò che potrebbe interrompere il circolo chiuso della sua soggettività autoreferente e che potrebbe distanziarla da se stessa. Per questa radicale critica della ragione la validità della verità può presentarsi ancora solo in ambito oggettivo - essa stessa si procura la propria autenticazione dall'orizzonte delle forze vitali, che producono finzioni, vale a dire dall'orizzonte di esperienza estetico. A questo, fino a Derrida divenir-estetico non confessato, portato avanti paradossalmente, si offre naturalmente un'alternativa. Si può portar avanti il pensiero che si trova al livello che viene raggiunto con il secondo gradino della critica della ideologia, in un'altra direzione, non appena si abbandona il proposito della stessa critica. Allora l'interesse può rivolgersi in particolare a come i soggetti si auspicano nella loro originaria produttività e libertà, tramite le finzioni convenienti alla vita, di un mondo di volta in volta costruito in modo autoreferenziale. Questa ricerca sfrutta, per così dire, frontalmente, la riflessione dedotta per mezzo della seconda riflessione << Dimensione di un accadere, che è per sua natura solo puramente fattuale, ma che ha la caratteristica di necessitare della illusione del discernimento» (lvi, p. 514). L'oggetto non è ulteriormente la ragione negatrice di finzioni, ma la poiesis dell'autoconservazione che aumenta la vita di soggetti, i quali vivono con e delle loro finzioni - da affermare solo grazie alla loro funzione. Questo significa, nello stesso tempo, una affermazione funzionalistica della validità della verità, che è assolutamente costitutiva per la riproduzione di una vita piena di senso. Proprio questa validità della verità, condotta sulla prospettiva del rispettivo soggetto deve - non più, ma neppure di meno - prendere in considerazione la stessa teoria, che si è specializzata su una tale conoscenza della riproduzione di un mondo sensato. La teoria deve precisamente intendersi come prodotto della assicurazione di stabilità autoincrementantesi, che si riproduce solo grazie ad un mondo per sé valido fittiziamente. La visione prospettica del mondo perde una parte del suo sgomento, quando non vi pensiamo accanto un soggetto qualsiasi, bensì ad un soggetto conoscitivo altamente specializzato, educato all'autoconoscenza. Questo corrisponde, cioè, all'incirca all'autoapplicazione della teoria sistemica, alla qcale la teoria della società, come compimento di un sistema parziale della società orientato ad una riduzione della complessità, si relativizza. Luhmann fa questa mossa. Luhmann utilizza i concetti fondamentali della cibernetica e della generale teoria sistemica, custodite nella biologia, per combinare in modo originale le idee di Kant e di Nietzsche. Queste prestazioni costitutrici del mondo di un soggetto trascendentale, che ha perso la sua condizione congedata dal mondo ed è sceso al gradino dei soggetti empirici, vengono riconcettualizzate come le prestazioni di un sistema conforme al senso, operante in modo autoreferenziale, capace di una rappresentazione interna del suo ambiente. La produttività creatrice di finzioni dell'autoconservazione dei soggetti, che aumenta la vita, per la quale ha perso senso la differenza fra verità e illusione, viene riconcettualizzata come l'assicurazione di stabilità superatrice della complessità, incrementatrice della propria complessità, di un sistema utilizzatore di senso. 353 www.scribd.com/Baruhk società. Luhmann trasferisce le stesse qualità, che Foucault aveva attribuito, servendosi di un concetto trascendental-storicistico di potere, alle formazioni di discorsi, a sistemi operanti autoreferenzialmente, elaboranti senso 9 • Siccome con il concetto di ragione liquida anche l'intenzione della critica della ragione, egli può volgere in descrittivo anche tutti quegli enunciati, che Foucault aveva inteso ancora in senso denunciatorio. Sotto questo rispetto Luhmann spinge all'estremo l'affermazione neoconservatrice della modernità sociale, anche ad un'altezza della riflessione, dove tutto ciò che gli avvocati del postmoderno potrebbero in qualche modo addurre è già stato pensato in anticipo senza lamentele e differenziatamente. Inoltre il funzionalismo sistemico non si espone all'obiezione che non può fornire alcun conto del suo proprio stato: esso si colloca senza esitazione nel sistema scientifico e si presenta come teoria con pretesa ' specialistica universale'. Altrettanto poco gli si potrebbe rinfacciare una tendenza al livellamento. La teoria di Luhmann, che oggi per la sua forza concettualizzatrice, la fantasia teoretica e la capacità di elaborazione è incomparabile, suscita in ogni caso dubbi se il prezzo per il suo ' guadagno in astrazione ' non sia troppo alto. L'instancabile distruttore della riconcettualizzazione espelle infatti il mondo ' sottocomplesso ' della vita come residuo indigeribile - cioè proprio quell'ambito fenomenico, che attrae a sé l'interesse di una teoria della società che non ha ancora interrotto tutti i ponti con le esperienze di crisi prescientifiche. Rispetto all'economia capitalistica Marx non aveva distinto fra il nuovo livello della differenziazione sistemica, che si forma con un sistema controllato dai media, e le specifiche forme di classe della sua istituzionalizzazione. Per lui l'eliminazione delle strutture di classe e la dissoluzione della peculiarità sistemica di ambiti d'interazione funzionalmente differenziati e cosificati erano un'unica sindrome. Luhmann commette un errore complementare. Di fronte al nuovo livello della differenziazione sistemica egli non vede che media di controllo come denaro e potere, per via dei quali i sistemi funzionali si distaccano dal mondo della vita, devono esser di nuovo istituzionalizzati nel mondo della vita. Perciò gli effetti di ripartizione specifici di classe di un ancoramento dei media in norme di .proprietà e costituzionali, non viene alla luce. ' Inclusione', nel senso dell'accesso paritetico di ciascuno a tutti i sistemi di funzioni, appare cosl come una conseguenza necessaria al sistema del processo di dif9 Su ciò ha richiamato la mia attenzione A. Honneth, Kritik der Macht, cit., pp. 214 sgg. 354 www.scribd.com/Baruhk ferenziazione 10 • Mentre per Marx dopo una rivoluzione riuscita i contesti funzionali sistemicamente autonomizzati si dissolveranno una volta nel nulla, per Luhmann il mondo della vita nella società funzionalmente differenziata della modernità ha già perduto tutto il significato. Da entrambe le prospettive scompare quell'incontro-scontro fra imperativi del sistema e del mondo della vita, che spiega il carattere duplice della modernizzazione sociale. I paradossi della razionalizzazione sociale, che ho sviluppato altrove 11 , si possono così riassumere, semplificandoli oltremodo. La razionalizzazione del mondo della vita dovrebbe aver raggiunto un determinato grado di maturità, prima che in esso possano essere istituzionalizzati giuridicamente i media denaro e potere. I due sistemi funzionali dell'economia di mercato e dello stato amministrativo che crescono al di fuori dell'orizzonte dell'ordinamento statale complessivo di società di classe stratificate, distruggono anzitutto le forme di vita tradizionali della società paleoeuropea. La dinamica propria dei due sottosistemi intrecciati funzionalmente fra di loro reagisce però sulle forme di vita razionalizzate della società moderna che li rendono possibili, nella misura in cui processi di monetarizzazione e burocratizzazione penetrano negli ambiti centrali della riproduzione culturale, dell'integrazione seciale e della socializzazione. Forme di interazione in forma di Tr.edia non possono intervenire in ambiti della vita che per la loro -funzione dipendono dall'agire orientato verso l'intesa, senza che ne derivino effetti secondari patologici. Nei sistemi politici delle società capitalistiche sviluppate si delineano strutture di compromesso, che, dal punto di vista storico, si possono concepire come reazioni del mondo della vita sulla peculiarità sistemica e la crescita di complessità del processo economico capitalistico e sull'apparato statale monopolizzatore della violenza. Questa storia dell'origine lascia dietro di sé ancora le sue tracce nelle opzioni, che oggi il compromesso socialstatale entrato in crisi manifesta 12 • Le opzioni sono determinate dalla logica di una politica orientata verso imperativi sistemici economici e statali. I due sottosistemi controllati dai media, che costituiscono a vicenda ambienti l'uno per l'altro, devono tuttavia riferirsi intelligentemente l'uno all'altro, e non esternalizzano reciprocamente soltanto i loro costi, IO 25 sgg. N. Luhmann, Politische Theorie im Wohlfahrtsstaat, Miinchen 1981, pp. J. Il Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, cit., vol. Il, 12 Cfr. le analisi di C. Offe, Zu einigen Widerspriichen des modernen ~taates, in Arbeitsgesellschaft, cit., pp. 323 sgg. 355 www.scribd.com/Baruhk cap. 8. Sozial- per gravare con ciò un sistema globale incapace di autoriflessione. Entro il margine di gioco di una tale politica è discutibile soltanto la ripartizione esattamente dosata degli oneri problematici fra i sottosistemi stato ed economia. Gli uni vedono le cause della crisi nella scatenata dinamica propria dell'economia, gli altri nelle catene burocratiche, che le vengono imposte. Infrenamento sociale del capitalismo oppure ritrasposizione dei problemi dall'amministrazione pianificante al mercato sono le terapie corrispondenti. Gli uni vedono la fonte delle perturbazioni sistemicamente indotte della quotidianità nella forza-lavoro monetarizzata, gli altri nella paralisi burocratica di iniziative proprie. Ma entrambi i lati concordano in ciò, che gli ambiti di interazione bisognosi di protezione del mondo della vita di fronte ai motori della modernizzazione sociale, stato ed economia, giocano soltanto un ruolo passivo. Nel frattempo i legittimisti dello stato sociale si trovano dovunque in ritirata, mentre i neoconservatori intraprendono senza pensieri il tentativo di denunciare il compromesso sociostatale - o per lo meno di ridefinirne le condizioni. I neoconservatori per un energico miglioramento delle condizioni di valorizzazione del capitale si assumono costi che a breve termine possono essere addossati sul mondo della vita dei sottoprivilegiati e separati, ma anche rischi, che si rovesciano sulla società in complesso. Sorgono le nuove strutture di classe di una società segmentata in base a margini che divengono più ampi. La crescita economica viene tenuta in moto da spinte innovative, che per la prima volta sono collegate intenzionalmente con una spirale degli armamenti uscita fuori da ogni controllo. Al contempo il senso proprio normativa di mondi della· vita razionalizzati, per quanto selettivi, trova la sua espressione non più soltanto nelle classiche esigenze di maggior giustizia distributiva, bensì nell'ampio spettro dei cosiddetti valori post-materiali, nell'interesse alla conservazione di fondamenti naturali e infrastrutture comunicative di forme di vita altamente differenziate. Così fra imperativi sistemici e imperativi del mondo della vita si accendono in nuove superfici di frizione conflitti, che non possono venir fermati nelle strutture di compromesso esistenti. Oggi si pone la domanda se secondo le vecchie regole della politica sistemicamente orientata può avviarsi un nuovo compromesso - o se il management delle crisi applicato alle crisi causate sistemicamente e percepite come sistemiche viene sotteso da movimenti sociali che non si orientano più al bisogno di controllo del sistema, bensì ai tracciati di confini fra sistema e mondo della vita. 356 www.scribd.com/Baruhk IV Con tale domanda tocchiamo l'altro momento - la possibilità di un padroneggiamento della crisi in grande formato, per cui una volta la filosofia della prassi aveva offerto il mezzo della prassi rivoluzionaria. Se la società in complesso non può più essere rappresentata come quel soggetto di grado superiore, che sa, determina e realizza se stesso, mancano le vie di quell'autorelazione, in cui i rivoluzionari potrebbero entrare per influire per il macrosoggetto paralizzato con esso su di esso. Senza un macrosoggetto autoriferentesi qualcosa come una conoscenza autoriflessiva della totalità sociale è altrettanto poco pensabile quanto l'influsso della società su se stessa. Non appena le intersoggettività di grado superiore di processi pubblici di formazione dell'opinione e della volontà subentrano al posto del soggetto di grado superiore della società complessiva, le autorelazioni di questo genere perdono il loro senso. Ci si chiede se in base a premesse modificate sia in genere ancora sensato parlare di una « influenza della società su se stessa ». Auto-influsso richiede da una parte un centro riflessivo, dove la società in un processo di autocomprensione formi un sapere di se stesso, dall'altro un sistema esecutivo, che come parte possa agire per il tutto e influire sul tutto. Le società moderne possono soddisfare queste d"Je condizioni? Di esse la teoria sistemica schizza l'immagine di società acentriche « senza organi centrali » 13 • Secondo essa il mondo della vita si è decomposto senza residui in sistemi parziali funzionalmente specificati come economia, stato, educazione, scienza ecc. Queste monadi sistemiche, che hanno sostituito i rapporti intersoggettivi disseccati con rapporti funzionali, si rapportano simmetricamente fra di loro, senza che il loro precario equilibrio possa ancora venir regolato dalla società globale. Essi devono bilanciarsi a vicenda, perché nessuna delle funzioni sociali globali che ricevono la possibilità di agire, ottenga un primato sociale globale. Nessuno dei sistemi parziali potrebbe assumere il vertice di una gerarchia e rappresentare il tutto come una volta nelle società stratificate l'imperatore il suo regno. Le società moderne non dispongono più di un'istanza centrale di autoriflessione e di controllo. Dalla prospettiva della teoria sistemica, soltanto i sistemi parziali, e precisamente riguardo alla loro propria funzione, sviluppano qualcosa come un'autocoscienza. In ciò il tutto si rispec- 13 N. Luhmann, Politische Theorie in Wohlfahrtsstaat, cit., p. 22. 357 www.scribd.com/Baruhk chia ancora soltanto dalla prospettiva del sistema parziale come il suo ambiente sociale rispettivo: Con ciò un consenso fungente per l'intera società su ciò che è e ciò che vale, diviene difficile e propriamente impossibile; ciò che viene utilizzato come consenso, funge ne:la forma di un ordinamento provvisorio riconosciuto. Inoltre vi sono le sintesi di reahà autenticamente produttive in modo specificamente funzionale al livello della complessità, le quali possono permettersi ciascuna per sé singoli sistemi funzionali, ma che non si possono più sommare nella veduta d'insieme di un mondo nel senso di una congregatio corporum, di una universitas rerum 14 • Il ' provvisorio ' Luhmann lo spiega cos1 m una nota in calce: « Fu una peculiare decisione della fenomenologia husserliana con rilevanti effetti conseguenti nelle discussioni sociologiche, dotare questo provvisorio, col titolo di 'mondo della vita ', della posizione di una base di partenza di validità ultima di un concreto apriori ». Sarebbe sociologicamente insostenibile postulare per il mondo della vita un tipo di « primato dell'essere ». L'eredità dell'apriorismo husserliano può significare un onere per diverse varietà della fenomenologia sociale 15 ; ma il concetto del mondo della vita della teoria della comunic~zjone si è liberato dalle ipoteche della filosofia trascendentale. ~d esso si potrà difficilmente rinunciare, se si vuoi render conto del fatto fondamentale della socializzazione linguistica. I partecipanti all'iuterazione non possono eseguire atti linguistici efficaci per la coordinazione, senza supporre per tutti i soggetti coinvolti un morido della vita intersoggettivamente condiviso, che sfocia nella situazione linguistica ed è ancorato corpocentricamente. Ogni mondo della vita costituisce per coloro che agiscono nella prima persona singolare o plurale in modo orientato verso l'intesa, una totalità di contesti di senso e di rinvio con un p"unto zero nel sistema di coordinate del tempo storico, dello spazio sociale e del campo semantico. Inoltre i differenti mondi della vita, che si scontrano fra loro, non rimangono fermi l'uno accanto all'altro senza comprendersi. Come totalità essi seguono la scia della loro pretesa di universalità e completano le loro reciproche differenze fin tanto che gli orizzonti di intesa, come dice Gadamer, si 'mescolano' fra di loro. Perciò anche le società moderne, ampiamente decentrate, mantengono nell'agire comunicativo quoti14 N. Luhmann, Gesellschaftsstruktur und Semantik, vol. l, Frankfurt a. M. 1980, p. 33 (tr. it., Struttura della società e Semantica, Roma-Bari 1983, p. 31). 15 U. Mathiessen, Das Dickicht der Lebenswe/t, Miinchen 1984. 358 www.scribd.com/Baruhk diano un centro virtuale di autointesa, dal quale perfino sistemi d'azione funzionalmente specificati, fin tanto che non crescono al di là del loro orizzonte di mondo della vita, restano a portata intuitiva. Questo centro è senza dubbio anche una proiezione, ma efficace. I progetti di totalità policentrici, che si agevolano a vicenda, che si sopravanzano e incorporano a vicenda, producono punti centrali concorrenti. Anche le identità collettive danzano su e giù nel flusso delle interpretazioni e si adattano piuttosto al quadro di una rete fragile che a quello di uno stabile centro di autoriflessione. Tuttavia la prassi quotidiana anche nelle società non-stratificate, che dunque non dispongono più di un sapere di se stesse nelle forme tradizionali di un'autoesposizione rappresentativa, offrono un luogo per processi naturali dell'autointesa e della formazione di identità. Anche nelle società moderne si forma dai polifonici e confusi progetti di totalità una vaga coscienza comune. Questa si può concentrare ed esprimere più chiaramente in base a temi specifici e contributi ordinati; nei processi di comunicazione di grado superiore' e condensati di una sfera pubblica si giunge a maggiore chiarezza. Tecnologie comunicative, come dapprima la stampa di libri e la stampa, poi la radio e la televisione, rendono disponibili esternazioni per quasi qualsiasi contesto e rendono possibile una rete altamente differenziata di sfere pubbliche locali e sovraregionali, letterarie, scientifiche e politiche, intrapartitiche o specifiche di associazioni, dipendenti dai media o subculturali. Nelle sfere pubbliche vengono istituzionalizzati processi di formazione dell'opinione e della volontà che, per quanto possano essere specializzati, sono orientati verso la diffusione e la reciproca compenetrazione. I confini sono permeabili: ogni sfera pubblica è anche aperta verso altre sfere pubbliche. Alle loro strutture discorsive esse debbono una tendenza universalistica appena celata. Tutte le sfere pubbliche parziali rinviano ad una sfera pubblica generale, nella quale la società in complesso sviluppa un sapere di sé. L'Illuminismo europeo ha elaborato questa esperienza e l'ha ripresa nelle sue formule programmatiche. Ciò che Luhmann chiama il « consenso fungente per l'intera società», dipende dal contesto ed è fallibile - in effetti provvisorio. Ma vi è questo sapere riflessivo della società complessiva. Lo si deve ancora soltanto all'intersoggettività di grado superiore di sfere pubbliche e perciò non può più bastare ai netti criteri dell'autoriflessione di un soggetto di grado superiore. Un tale centro di autointesa non basta certamente per l'influsso della società su se stessa; a ciò occorrerebbe ancora 359 www.scribd.com/Baruhk un'istanza centrale di controllo, che potesse accogliere e trasformare il sapere e gli impulsi della sfera pubblica. Secondo le rappresentazioni normative della nostra tradizione politica, l'apparato statale democraticamente legittimato, trasposto dalla sovranità regia a quella popolare, deve poter eseguire l'opinione e la volontà del pubblico dei cittadini. I cittadini stessi partecipano alla formazione collettiva della coscienza, ma non possono agire collettivamente. Ma può farlo lo stato? ' Agire collettivo ' significherebbe però che lo stato traspose il sapere intersoggettivamente costituito della società da se stesso organizzativamente in un'autodeterminazione della società. Di questa possibilità si deve tuttavia dubitare, già per ragioni di teoria sistemica. La politica oggi è divenuta effettivamente faccenda di un sistema parziale funzionalmente differenziato; e questo di fronte agli altri sistemi parziali non può disporre di quella misura di autonomia, che sarebbe necessaria per un controllo centrale, cioè per un autoinflusso che procede dalla società come totalità e ritorna ad essa. Evidentemente nelle moderne società vi è un'asimmetria fra le (deboli) capacità di autointesa intersoggettiva e le (mancanti) capacità di auto-organizzazione della società in complesso. Fra le premesse modificate non vi è per il modello di filosofia del soggetto nessun equivalente dell'autoeffetto in generale e per la comprensione hegelo-marxista dell'agire rivoluzionario in particolare. Questa veduta si è imposta con ampia efficacia alle spalle di un'esperienza specifica, che soprattutto i partiti operai e i sindacati hanno potuto fare, dalla fine della seconda guerra mondiale, con la realizzazione del progetto sociostatale. Non parlo dei problemi economici conseguenti da una legislazione sociostatale riuscita durante i periodi di ricostruzione, né dei limiti del potere di intervento e della capacità di intervento di amministrazioni pianificatrici, né soprattutto di problemi di controllo. Intendo piuttosto una caratteristica modificazione nella percezione del potere statale democraticamente legittimato, che dovrebbe venir introdotto allo scopo dell'' addomesticamento sociale ' del sistema capitalistico naturalmente crescente, in particolare allo scopo di neutralizzare le conseguenze secondarie distruttive di una crescita soggetta a crisi per l'esistenza e il mondo della vita dei lavoratori dipendenti 16 • Che lo stato attivo intervenga non soltanto nella circolazione economica, ma anche nella 16 Per quanto segue mi baso sul saggio che dà il titolo al volume in bermas, Die Neue Unubersichtlichkeit, Frankfurt a. M. 1985. 360 www.scribd.com/Baruhk J. Ha- circolazione vitale dei suoi cittadini, gli avvocati dello stato sociale lo consideravano aproblematico - era appunto lo scopo di riformare le condizioni di vita dei cittadini tramite i riformati rapporti di lavoro e di occupazione. Alla base di ciò vi era l'idea della tradizione dempcratica, che la società potesse influire su se stessa con il mez;w neutrale del potere politico-amministrativo. Ma proprio qut:sta aspettazione è stata delusa. Frattanto una rete sempre più spessa di norme giuridiche, di burocrazie statali e parastatali ricopre la quotidianità dei clienti potenziali ed effettivi. Estese discussioni sulla giuridicizzazione e la burocratizzazione in generale, sugli effetti controproducenti della politica sociale statale in particolare, sulla professionalizzazione e la scientificizzazione dei servizi sociali hanno diretto l'attenzione su dati di fatto, che rendono chiara una cosa: il mezzo giuridica-amministrativo della trasposizione di programmi socialstatali non rappresentano un medium passivo, per così dire privo di qualità. Piuttosto con essi è connessa una prassi dell'isolamento dei dati di fatto, della normalizzazione e della sorveglianza, il cui potere reificante e soggettivante Foucault ha seguito fin dentro le più fini ramificazioni capillari della comunicazione quotidiana. Le deformazioni di un mondo della vita regolamentato, disarticolato, controllato e assistito sono certamente più sublimi che le forme tangibili dello sfruttamento materiale e dell'impoverimento; ma i conflitti sociali rovesciati sullo psichico e sul corporeo e interiorizzati sono perciò non meno distruttivi. Oggi si vede la contraddizione che è immanente al progetto sociostatale come tale. Il suo scopo sostanziale era la liberazione di forme di vita strutturate egualitariamente, che al contempo dovevano aprire margini di gioco per autorealizzazione e spontaneità individuali; ma con la produzione di nuove forme di vita il medium del potere era sovraccaricato. Dopo che lo stato si è differenziato come uno fra molti sistemi funzionali controllati dai media, esso non può più essere considerato come l'istanza centrale di controllo, nella quale la società raccoglie insieme le sue capacità di auto-organizzazione. Ai vaghi processi, però ancora centrati nella società in complesso, di formazione dell'opinione e della volontà di una sfera pubblica generale, si contrappone un sistema di funzioni cresciuto oltre l'orizzonte del mondo della vita e divenuto autonomo, che si preclude prospettive sociali globali e per sua parte può percepire la società globale ancora soltanto dalla prospettiva di un sistema parziale. Dal disinganno storico su un progetto sociostatale coagulato burocraticamente scaturisce un nuovo sguardo, per così dire ste361 www.scribd.com/Baruhk reoscopicamente affinato, sul ' politico '. Accanto alla caparbietà sistemica di un medium di potere solo in apparenza applicabile in modo razionale in vista di uno scopo, diviene visibile un'altra dimensione. La sfera pubblica politica, nella quale società complesse prendono normativamente distanza da sé e possono elaborare collettivamente esperienze di crisi, acquista dal sistema politico un'analoga distanza come prima dall'economico. Quello ha assunto un carattere analogamente problematico, in ogni caso ambiguo come questo. Ora lo stesso sistema politico viene percepito come fonte di problemi di controllo, non solo come mezzo per la soluzione di problemi. Ciò che in tal modo perviene alla coscienza, è la differenza fra problemi di controllo e problemi di intesa. Diviene visibile la differenza fra squilibri sistemici e patologie del mondo della vita, cioè fra perturbazioni della riproduzione materiale e cadute nella riproduzione simbolica del mondo della vita. Diviene conoscibile la differenza fra i deficit che strutture inflessibili del mondo della vita (tramite sottrazione di motivazione o di legittimazione) possono suscitare nella provvidenza del sistema di occupazione e di dominio, e i fenomeni di una colonizzazione del mondo della vita da parte degli imperativi di sistemi funzionali, che esternalizzano i loro costi. In base a tali fenomeni si mostra a sua volta che le operazioni di controllo e di intesa rappresentano risorse, che non possono essere sostituite l'una con l'altra in misura arbitraria. Denaro e potere non possono né comprare né imporre solidarietà e senso. In breve, il risultato del processo di disinganno è una nuova condizione della coscienza, in cui il progetto sociostatale in una certa misura diviene riflessivo e si dedica a domare non soltanto l'economia capitalistica, ma lo stesso stato. Ma se non più soltanto il capitalismo, bensì anche lo stesso stato interventista deve essere ' socialmente domato ', questo compito deve essere ridefinito. Il progetto dello stato sociale aveva affidato alla capacità pianificatrice dell'amministrazione pubblica l'influenza stimolante sul meccanismo di autocontrollo di un altro sottosistema. Se questa ' regolamentazione ' altamente indiretta si deve ora -estendere alle stesse operazioni organizzative dello stato, il modo dell'influenza non può di nuovo essere determinato come controllo indiretto; un nuovo potenziale di controllo potrebbe essere approntato infatti solamente tramite un altro sottosistema. Anche se un tale sistema collegato in serie lo si potesse trovare, dopo una ripetuta spinta di delusione e distanziamento, si porrebbe però il problema che le percezioni 362 www.scribd.com/Baruhk di crisi del mondo della vita non si possono tradurre senza residuo in problemi del controllo riferiti al sistema. Invece di ciò si tratta della costruzione di soglie d'arresto nello scambio fra sistema e mondo della vita e dell'inserimento di sensori nello scambio fra mondo della vita e sistema. In ogni caso si pongono problemi limite di questo tipo, non appena un mondo della vita altamente razionalizzato deve essere protetto contro insopportabili imperativi del sistema di occupazione o contro le penetranti conseguenze di una provvidenza esistenziale amministrativa. L'incanto sistemico che il mercato capitalistico del lavoro stende sulla storia di vita dei capaci al lavoro, che la rete di autorità operanti, regolanti e sorveglianti sulla forma di vita dei clienti e la gara divenuta autonoma all'armamento nucleare sospende sulle attese di vita dei popoli, non viene interrotta perché i sistemi apprendono a funzionare meglio. Piuttosto impulsi dal mondo della vita devono poter influire nell'autocontrollo dei sistemi funzionali 17 • Ciò richiede senza dubbio un mutato rapporto fra sfere pubbliche autonome, auto-organizzate da un lato, e gli ambiti d'azione controllati da denaro e potere dall'altro, in altre parole: una nuova divisione del potere nella dimensione dell'integrazione sociale. Il potere socialintegrativo della solidarietà dovrebbe potersi affermare contro i media di controllo integrativi del sistema denaro e potere. Chiamo autonome quelle sfere pubbliche che non sono prodotte e trattate dal sistema politico a scopi di procurarsi la legittimazione. I centri di comunicazione condensata che nascono spontaneamente dai microsettori della prassi quotidiana possono dispiegarsi a sfere pubbliche autonome e fissarsi come intersoggettività autoportanti, di livello superiore, solo nella misura in cui il potenziale del mondo della vita viene usato per l'auto-organizzazione e l'uso auto-organizzato di mezzi di comunicazione. Forme dell'auto-organizzazione rafforzano la capacità collettiva di azione. Organizzazioni vicine alla base non pos~ono senza dubbio oltrepassare la soglia verso l'organizzazione formale, autonomizzata nel sistema. Altrimenti esse pagano l'incontestabile acquisto di complessità in quanto gli scopi dell'organizzazione si staccano dagli orientamenti e dagli atteggiamenti dei membri e cadono invece nella dipendenza da imperativi della conservazione e ampli;;mento del patrimonio orga17 Le riflessioni su una <<teoria societaria del controllo>> di H. Willke, Entzauberung des Staates, Konigstein 1983, pp. 129 sgg. sono interessanti prima di tutto perché l'autore procede in modo sufficientemente incoerente da analizzare l'influenza reciproca di sistemi autopoietici secondo il modello della comprensione intersoggettiva. 363 www.scribd.com/Baruhk nizzativo. L'asimmetria fra capacità di autoriflessione e autoorganizzazione che noi abbiamo attribuito alle società moderne in complesso, si ripete sul livello dell'auto-organizzazione dei processi di formazione dell'opinione e della volontà. Ciò non deve essere un ostacolo, se si riflette sul fatto che l'influenza indiretta su singoli meccanismi dell'autocontrollo di sistemi parziali funzionalmente differenziati significa tutt'altra cosa che l'influenza orientata verso scopi della società su se stessa. La chiusura autoreferenziale rende il sistema funzionale politico e quello economico immuni contro tentativi di intervento, nel senso di interventi diretti. Tuttavia questa stessa qualità rende anche nuovamente sensibili i sistemi per stimoli che mirano ad un potenziamento della loro capacità di autoriflessione, cioè alla sensibilità per le reazioni dell'ambiente sulle loro proprie attività. Sfere pubbliche auto-organizzate dovrebbero sviluppare la saggia combinazione di potere e intelligente autolimitazione, che è necessaria per sensibilizzare i meccanismi di autocontrollo dello stato e dell'economia rispetto agli eventi orientati allo scopo della formazione radicaldemocratica della volontà. Al posto del modello dell'autoinfluenza della società subentra quindi il modello di un conflitto di confine, tenuto sotto controllo dal mondo della vita, fra essa e i due sottosistemi superiori per complessità, e solo molto indirettamente influenzabili, alle cui prestazioni essa tuttavia è affidata. Sfere pubbliche autonome possono trarre la loro forza soltanto dalle risorse di mondi della vita ampiamente razionalizzati. Ciò vale soprattutto per la cultura, cioè per il potenziale interpretativo del mondo e di sé della scienza e della filosofia, per il potenziale illuministico di idee giuridiche e morali rigorosamente universalistiche, non da ultimo per i radicali contenuti d'esperienza della modernità estetica. Che oggi movimenti sociali assumano tratti di rivoluzione culturale, non è un caso. Peraltro qui si fa osservare una debolezza strutturale, che è immanente a tutti i mondi della vita moderni. Movimenti sociali ricevono la loro forza d'urto dalla minaccia di identità collettive ben sviluppate. Benché tali identità rimangano sempre vincolate al particolarismo di una speciale forma di vita, esse devono assumere in sé il contenuto normativa della modernità - quel fallibilismo, universalismo e soggettivismo che mina la forza e la figura concreta di ciascun particolare. Lo stato democratico costituzionale e nazionale derivato dalla rivoluzione francese era finora l'unica formazione di identità riuscita su scala cosmico-storica, che poteva conciliare fra di loro senza sforzo questi momenti del generale e del particolare. Il partito 364 www.scribd.com/Baruhk comunista non è stato in grado di dissolvere l'identità dello stato nazionale. Se non più nella nazione, in quale terreno potrebbero oggi affondare le radici gli orientamenti universalistici verso i valori 18 ? La comunità atlantica dei valori, che si cristallizza intorno alla NATO, non è ormai più che una formula di propaganda per i ministri della difesa. L'Europa di Adenauer e di De Gaulle fornisce soltanto la sovrastruttura per la base di un'unione economica. Come controimmagine a questa Europa del Mercato Comune, nei tempi più recenti gli intellettuali di sinistra tracciano tutt'altro disegno. Il sogno di questa identità europea di tutt'altro genere, che riprende energicamente in sé l'eredità del razionalismo occidentale, si forma in un momento in cui gli Stati Uniti, sotto la bandiera di una ' seconda rivoluzione americana', si accingono a ritornare nelle illusioni del primo modernismo. Nelle utopie d'ordine dei vecchi romanzi di Stato, le forme di vita razionali sono entrate in una simbiosi ingannevole con il padroneggiamento tecnico della natura e con una spregiudicata mobilitazione della forza-lavoro sociale. Questa equiparazione di felicità ed emancipazione col potere e la produzione ha confuso fin da principio l'autocomprensione del moderno- e messo all'ordine del giorno duecento anni di critica alla modernità. Ma lo stesso gesto di dominio, utopico in senso cattivo, continua ora a vivere in una caricatura che muove le masse. La fantascienza delle guerre stellari per i pianificatori dell'ideologia è appunto abbastanza buona, per dissolvere, con la macabra visione di uno spazio cosmico militarizzato, la spinta innovativa, che rimette in piedi il colosso del capitalismo mondiale per la prossima ripresa tecnologica. La vecchia Europa troverà la via verso una nuova identità solamente quando a questo corto circuito fra crescita economica, gara degli armamenti e ' antichi valori', contrapporrà la visione di una evasione dalle coazioni sistemiche autoimpostesi, quando porrà termine alla confusione, come se il contenuto normativa della modernità alimentato in mondi della vita razionalizzati potesse essere liberato unicamente in sistemi che divengono sempre più complessi. Che la capacità internazionale di concorrenza - sui mercati o nello spazio cosmico sia irrinunciabile per la pura sopravvivenza, è una di quelle certezze quotidiane, nelle quali si condensano le coazioni siste18 J. Habermas, Konnen komplexe Gesel/schaften eine vernunftige Identitiit ausbilden?, in Zur Rekonstruktion des historischen Materialismus, Frankfurt a. M. 1976, pp. 92 sgg. (tr. it., Possono le società complesse formarsi un'identità razionale?, in Per la ricostruzione del Materialismo storico, Milano 1979, pp. 74 sgg.). 365 www.scribd.com/Baruhk miche. Ognuno giustifica espansione e intensificazione delle proprie forze con l'espansione e intensificazione delle forze dell'altro, come se non fossero le regole del gioco socialdarwinistico, che stanno alla base del gioco delle forze. L'Europa moderna ha creato i presupposti spirituali e le fondamenta materiali per un mondo nel quale questa mentalità ha assunto il posto della ragione - questo è il vero nucleo della critica della ragione esercitata a partire da Nietzsche. Chi, altrimenti che l'Europa, potrebbe attingere da tradizioni proprie il discernimento, l'energia, il coraggio della visione - tutto ciò che sarebbe necessario per togliere alle premesse da gran tempo non più metafisiche, bensì metabiologiche, di una cieca coazione alla conservazione e al potenziamento del sistema, la forza formatrice della mentalità? Excursus sulla appropriazione dell'eredità della filosofia del soggetto da parte della teoria dei sistemi di Luhmann N. Luhmann ha presentato il ' profilo ' di una teoria generale della società 19 : traccia così il bilancio provvisorio di una espansione teoretica che conquista spazio e rimane salda per decenni, in modo che il progetto appaia ora chiaro nel suo insieme. Si crede, comunque, di comprendere meglio che cosa succede. L'impresa di Luhmann cerca un collegamento non tanto con la tradizione specialistica della teoria della società da Comte fino a Parsons, quanto con la storia problematica della filosofia della coscienza da Kant fino a Husserl. Questa teoria sistemica non conduce in qualche modo la sociologia ·sul sicuro sentiero della scienza; piuttosto si presenta come candidata alla successione di una filosofia congedata: vuole ereditare concetti fondamentali e problematiche della filosofia del soggetto, e al contempo sorpassarne la capacità di risolvere i problemi. Con ciò essa effettua un cambio di prospettiva che rende inconsistente l'autocritica di una modernità che non è in pace con se stessa. La teoria sistemica della società, applicata a se stessa, non può fare a meno di adeguarsi positivamente all'aumento di complessità delle società moderne. Mi interessa, a questo punto, se con tale mutamento d'attribuzione, attuato con distacco, dell'eredità della filosofia soggettiva, passino alla teoria sistemica anche quei 19 N. Luhmann, Soziale Systeme, Frankfurt a. M. 1984. 366 www.scribd.com/Baruhk problemi del testatore che dalla morte di Hegel hanno prodotto i dubbi esaminati circa la ragione soggettocentrica come principio della modernità 20 • I Se si volesse introdurre il concetto sistemico sviluppato in contesti cibernetici e biologici, senza perdita di grado per il concetto del soggetto conoscitivo sviluppato da Descartes fino a Kant, devono essere intraprese le seguenti modifiche. Al posto del rapporto interno-esterno fra il soggetto che conosce ed il mondo - come l'insieme di oggetti conoscibili - , subentra il rapporto sistema-ambiente. Per le prestazioni della coscienza del soggetto, la conoscenza del mondo e di sé hanno costituito il problema di riferimento. Ora questo problema viene subordinato a quello del mantenimento e dell'ampliamento della stabilità del sistema. L'autoriferimento del ·Sistema è modellato su quello del soggetto. I sistemi non possono riferirsi ad altro senza riferirsi a se stessi, ed accertarsi riflessivamente di essa. In ogni caso lo ' stesso ' del sistema si distingue da quello del soggetto, perché non si concentra sullo ' io' dello 'io penso' appercettivo che, secondo la formulazione di Kant, deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni. La teoria sistemica deve tener lontano dallo ' stesso ' dell'autorelazione tutte le connotazioni di un'identità dell'autocoscienza realizzata tramite prestazioni sintetiche. L'autorelazione caratterizza le singole prestazioni sistemiche nel loro modo di operare; ma dalle puntuali autorelazioni non scaturisce alcun centro in cui il sistema come intero si renda presente per se stesso e sappia di sé nella forma dell'autocoscienza. In questo modo il concetto della riflessività viene sganciato da quello della coscienza. Naturalmente ci vorrebbe un equivalente per il sostrato coscienziale di quella autorelazione tramite la quale si definisce il gradino della vita socioculturale. Come risultato emergente, che corrisponde alla coscienza, Luhmann introduce un peculiare concetto di ' senso '. Per farlo si serve delle descrizioni fenomenologiche di Husserl, per il quale il significato di una espressione simbolica rinvia ad un'intenzione che si trova alla base; ' intenzione ' è, rispetto a ' significato ', il concetto più primitivo. In modo conforme, Luhmann definisce il 20 In quanto abituato alla sofferenza so naturalmente che non si rende giustizia alla ricchezza di una teoria, se la si affronta decisamente sotto un solo aspetto; ma solo sotto questo aspetto essa ha interesse nel nostro contesto. 367 www.scribd.com/Baruhk ' senso ' sul piano prelinguistico come un contesto di rimando di possibilità attualizzabili, riferito all'intenzionalità di esperienza e di azione. Al posto di soggetti atti all'autocoscienza subentrano, così, sistemi che elaborano il senso o che lo utilizzano. Da questa sostituzione concettuale che mantiene figure di pensiero di filosofia della coscienza nella forma di analogie strutturali, derivano conseguenze illuminanti sullo sfondo del movimento di pensiero che si snoda da Kant, attraverso Hegel, fino a Marx. La prima tocca l'inversione empirica dell'impostazione filosofico-trascendentale. La relazione sistema-ambiente viene cioè assolutamente pensata secondo il modello di un mondo costituito tramite una coscienza trascendentale. Il sistema mentre si separa dal suo ambiente, lo costituisce come orizzonte di senso universale. Ma sistemi elaboratori di senso si presentano solo al plurale; essi sorgono e si mantengono sotto le contingenti condizioni marginali di un ambiente ipercomplesso, e non sono precedentemente armonizzati come soggetti empirici nella forma unitaria di una coscienza trascendentale. In luogo di quel mondo fondato trascendentalmente, subentrano i molti ambienti relativi al sistema 21 • Il teorico del sistema incontra svariate relazioni sistema-ambiente nel suo ambito aggettivale. Pertanto la distinzione tra trascendentale ed empirico perde per lui significato. Con questa decisione, la teoria del sistema oltrepassa, in secondo luogo, in modo analogo a quello di Hegel ai suoi tempi, i confini dell'idealismo soggettivo. Hegel non si era procurato solo un accesso alla dimensione temporale della storia della nascita del soggetto trascendentale; egli aveva visto divenire concreta la struttura fondamentale dell'autocoscienza, anche al di là del soggetto conoscente nell'ambito dello spirito oggettivo (ed assoluto). Non solo lo spirito soggettivo è caratterizzato dai tratti della soggettività, ma anche l'oggettivo (e l'assoluto). Come aveva fatto Hegel con il concetto dello spirito, così Luhmann con il concetto del sistema elaboratore di senso ottiene la libertà di movimento per sottoporre la società come sistema sociale ad una ricerca similare a quella concernente la coscienza come sistema psichico. Sistemi elaboratori di senso coincidono tanto poco con sistemi che dipendono dalla coscienza, quanto lo spirito con lo spirito soggettivo. D'altra parte, le premesse empiristiche rendono necessaria una chiara linea di separazione fra 21 << Ogni sistema autoreferenziale ha solo il contatto con l'ambiente, che si rende da sé possibile, e nessun ambiente in sé» (N. Luhmann, Soziale Systeme, cit., p. 146). 368 www.scribd.com/Baruhk eventi interni ai sistemi ed eventi nell'ambiente sistemico. Per questo motivo, tutti i sistemi costituiscono l'uno per l'altro ambienti e rafforzano reciprocamente la complessità dell'ambiente, che essi devono di volta in volta padroneggiare. Essi non possono, come soggetti, collegarsi l'uno con l'altro in aggregazioni di sistemi di grado più elevato; essi sono ancora collocati come momenti, fin da principio, in una simile totalità. Sotto questo riguardo la teoria sistemica non compie poi il passo dall'idealismo soggettivo a quello oggettivo. Ma in terzo luogo emerge un parallelo con Marx, che aveva sostituito ' autocoscienza ' con ' prassi ' e aveva impresso una svolta naturalistica al processo di formazione dello spirito. Il lavoro sociale dovrebbe mediare il processo di metabolismo fra il ' genere ' e la natura esterna, oggettivata nell'ambiente. Così il processo ciclico che proviene dal dispendio della forza-lavoro e che, passando per la produzione e l'uso dei beni prodotti, ritorna nella rigenerazione della forza-lavoro, potrebbe essere presentata come autoproduzione riproduttiva del genere. La teoria dei sistemi lo tratta come un caso speciale di autopoiesis. Ciò che secondo Marx riguardava la riproduzione materiale della società, riguarda sistemi autoreferenziali in generale; ogni elemento impiegato nel sistema deve essere prodotto da questo stesso sistema e non può venir ripreso « pronto per l'uso » dal suo ambiente. L'autoreferenzialità delle operazioni di sistemi elaboratori del senso ha anzitutto il senso pratico· dell'autoproduzione, e non il senso teoretico dell'autopresentificazione. In base a queste premesse la teoria sistemica condivide con la teoria marxista della società anche la riflessione sul proprio contesto d'origine e d'impiego. La prestazione conoscitiva della teoria sistemica si riflette come elemento e funzione dei processi sociali, verso i quali essa si rivolge al contempo come suo oggetto. Qui del resto la teoria marxiana tiene fermo ad un concetto di ragione, che le consente di stabilire il rapporto interno di autoriflessione e valore di verità con un'emancipazione dalle potenze della natura esterna ed interna 22 • La teoria sistemica fa dissolvere gli atti conoscitivi, anche i propri, in una prestazione sistemica che riduce la complessità, e toglie con ciò alla conoscenza qualsiasi momento di incondizionatezza. La teoria sistemica si concepisce come analisi funzionale e si sa, grazie al problema di riferimento scelto con questo metodo, inserita senza soluzione di continuità nei contesti funzionali dell'autoafferma22 J. Habermas, Erkenntnis und Interesse, Frankfurt a. M. 1968, pp. ,59 sgg. (tr. it., Conoscenza e Interesse, Roma-Bari 1973, pp. 46 sgg.). 369 www.scribd.com/Baruhk zione sistemica - senza l'intenzione e la forza di trascendere in qualche modo questi contesti 23 • La conversione filosoficamente riflessa al paradigma sistemico ha in quarto luogo come conseguenza un'ampia revisione della concettualità della tradizione occidentale, fissata su essere, pensiero e verità. Il quadro di riferimento non-ontologico diviene comprensibile quando ci si chiarisce che la stessa ricerca di teoria dei sistemi si concepisce come un sotto-sistema (del sistema della scienza e della società) con un. proprio ambiente. In questo ambiente le relazioni sistema-ambiente trovate formano la complessità, che la teoria sistemica ·deve comprendere e modificare. Con questo, le premesse ontologiche di un mondo dell'essente razionalmente ordinato, che si autosupporta, così come le premesse epistemologiche di un mondo di oggetti rappresentabili, che si riferisce a soggetti conoscitivi, oppure le premesse semantiche di un mondo di dati di fatto esistenti, che si riferisce a proposizioni assertorie, vengono d'un sol colpo invalidate. Tutte le premesse che in metafisica, in gnoseologia o in analisi del linguaggio postulano l'impossibilità di eludere un ordine cosmico, la relazione soggetto-oggetto o la relazione tra proposizioni e dati di fatto, vengono messe da parte senza essere discusse. La teoria sistemica di Luhmann mette in atto un movimento di pensiero che va dalla metafisica fino alla metabiologia. Per fortuitamente che possa essere nato il termine ' metafisica-', si potrebbe ascrivergli il significato di un pensiero che parte dal ' pernoi ' delle manifestazioni fisiche e che dietro queste torna a porre i suoi interrogativi. Possiamo dunque chiamare ' metabiologico ' un pensiero che parte dal ' per-sé ' della vita organica, e ritorna dietro a questa, intendo dire il fenomeno fondamentale, descritto ciberneticamente, dell'autoaffermazione di sistemi relativi a se stessi di fronte ad un ambiente ultra-complesso. La differenza nei confronti dell'ambiente, che è mantenuta dal sistema stesso viene valutata come qualcosa che non si può eludere. L'autoconservazione del sistema, che aumenta da sola, rimpiazza la ragione determinata in rapporto all'essere, al pensare, all'asserire. Con questo principio Luhmann supera anche una critica della ragione che vuole smascherare la potenza dell'autoaffermazione come l'essenza latente di una ragione incentrata sul soggetto. Sotto il nome di razionalità sistemica, la ragione liquidata come irragionevole si riconosce proprio come questa funzione: essa è l'insieme delle condizioni' di possibilità 23 A questo riguardo Luhmann segue Nietzsche e non la filosofia del soggetto. Cfr., supra, pp. 352 sg., nota 8. 370 www.scribd.com/Baruhk per il mantenimento del sistema. La ragione funzionalistica si esprime nell'ironica autosmentita di una ragione ristrettasi alla riduzione di complessità. Ridotta per il fatto che l'ambito di riferimento metabiologico non sopravanza, bensì sottende la limitazione logocentrica di metafisica, filosofia trascendentale e semantica - come la teoria della comunicazione con il suo concetto della ragione comunicativa, sviluppato dalle funzioni linguistiche o dalle pretese di validità. La ragione diventa, ancora una volta, sovrastruttura della vita. Al proposito non si cambia nulla con la promozione della ' vita ' al livello di organizzazione del ' senso '. Poiché con il concetto di senso inteso funzionalisticamente, viene dissolto, come vedremo, il nesso interno di significato e valore. È come in Foucault: nella verità (e in genere nella validità) interessano solo ancora gli effetti del tener-pervero. Da ultimo, il passaggio dal soggetto al sistema ha ancora una quinta conseguenza, che è rilevante nel nostro contesto. Con il concetto di soggetto viene assegnato ad ogni possibile autorelazione un Sé costituito nel sapersi. Anche dentro l'autodeterminazione e l'autorealizzazione è immanente quella forza centripeta che fa culminare e acquietare tutti i movimenti dello spirito solo nella autocoscienza. Non appena, tuttavia, il sistema occupa il posto del 'sé' nell'autoriferimento, cade la possibilità di un riepilogo centralizzante del tutto nel sapersi; la struttura dell'autoriferimento rimane legata solo ancora al singolo elemento. Essa assicura la chiusura del sistema apertosi al contempo all'ambiente non tramite un centro, ma tramite collegamenti periferici: « Il sé dell'autoreferenza non è mai la totalità di un sistema chiuso, e non è mai il riferirsi stesso» - l'automediazione di Hegel elevata ad assoluto - « Si tratta sempre soltanto di momenti del contesto costitutivo di sistemi aperti, che portano la sua autopoiesis [ ... ] La legittimità di parlare qui di autoreferenza (parziale o concomitante) deriva dal fatto che si tratta delle condizioni di possibilità di un'autoproduzione autopoietica » 24 • Questa mancanza di sé di sistemi autoreferenziali si rispecchia ora nel carattere a-centrico delle società che si sono completamente adattate alla differenziazione funzionale: « Questo ha come conseguenza che non si può più stabilire alcun punto fermo dal quale il tutto, si preferisca ora chiamarlo Stato o società, possa essere correttamente osservato » 25 • L'unità delle 24 25 N. Luhmann, Soziale Systeme, cit., p. 630. lbid. 371 www.scribd.com/Baruhk società moderne si mostra ogni volta diversamente dalle prospettive dei loro sistemi parziali. Non può più esserci la prospettiva centrale di una coscienza sistemica socialmente collettiva, già per ragioni analitiche. Se però le società moderne non hanno affatto la possibilità di sviluppare un'identità ragionevole, manca ogni punto di riferimento per una critica alla modernità. Qualora si volesse poi rimanere fedeli senza un preciso orientamento a questa critica, essa dovrebbe naufragare di fronte alla realtà di un processo di differenziazione che si è da gran tempo allontanato dalle concezioni veteroeuropee della ragione. Certo, proprio nel pathos di Luhmann, in questo senso della realtà legato alle razionalità parziali istituzionalizzate, appare un'eredità molto tedesca, trasmessasi dagli hegeliani di destra divenuti scettici sino a Gehlen. Ma guardiamo, ancora una volta, all'indietro. Dal momento che l'autorelazione pensata nel senso della filosofia del soggetto presuppone l'identità del soggetto che si sa come punto di riferimento più alto, il movimento di pensiero da Kant ad Hegel può richiamarsi ad una logica interna: alla fine, la differenza fra la sintesi fondatrice di unità e la multiformità compresa in essa, continua 11 postulare una identità ultima, comprensiva di identità e non-identità. Questo era il tema dello scritto di Hegel sulla differenza. Dalla stessa prospettiva concettuale Hegel aveva elaborato l'esperienza fondamentale della modernità culturale e sociale - tanto la pretesa eccessiva dei rendimenti socio-integrativi di mondi della vita vetero-europei mediante la critica illuministica della religione, quanto l'invadenza delle relazioni sociali oggettivate sistemicamente nella economia capitalistica e nello stato burocratico. Che la ragione dovesse entrare nel ruolo socio-integrativo della religione - questo motivo basilare della filosofia della conciliazione crebbe contemporaneamente da una coeva esperienza di crisi f! da quella tendenza insita nel pensiero filosofico-soggettivo. La diagnosi del tempo doveva la sua particolare formulazione del problema ad una dialettica dell'aggettivazione, che era insita nel concetto filosofico-soggettivo dell'autocoscienza e che è stata elaborata da Fichte per primo. Dal momento che l'autoriflessione deve promuovere qualcosa ad oggetto, ciò che, come sorgente spontanea di ogni soggettività, si sottrae alla forma di oggetti in genere, la ragione conciliante non può essere intesa secondo il modello dell'autorelazione oggettivante del soggetto che conosce, cioè secondo la « filosofia della riflessione ». Altrimenti una facoltà finita sarebbe posta come assoluta ed il posto della ragione verrebbe usurpato dall'intelletto idolatrato. Secondo questo modello Hegel 372 www.scribd.com/Baruhk ha concepito le astrazioni della vita culturale e sociale come qualcosa di ' positivo '. Esse dovrebbero poter essere superate solo per la via dell'autoriflessione radicalizzata, mediante un movimento che aveva come suo telos il sapere assoluto, il saperesé del tutto. Poiché con lo spostamento dal soggetto a sistema, viene a mancare il Sé dell'autoriferimento, la teoria sistemica non dispone però di alcuna figura di pensiero che corrisponda all'atto lesivo e repressivo della reificazione. Nel concetto filosofico-soggettivo dell'autoriferimento, la reificazione è applicata strutturalmente dalla soggettività come possibilità di errore. Un errore categoriale paragonabile potrebbe consistere qui in ciò che un sistema si fraintendesse come ambiente; ma tale possibilità è esclusa per definizione. Anche i processi di estromissione legati ad ogni costruzione di sistema, non possono essere caricati della connotazione di 'esclusione', o, addirittura, di 'proscrizione '. :È procedura del tutto normale che un sistema, mentre si forma, distanzi qualcosa come suo ambiente. Considerate storicamente, l'imposizione dello status di lavoratore salariato e la nascita di un proletariato industriale, nonché la subordinazione della popolazione ad amministrazioni centralizzate, non si sono certo compiute in modo indolore. Ma la teoria sistemica, anche qualora potesse ridurre tali processi a formule di problemi, dovrebbe contestare alle società moderne 11'1 possibilità di prendere atto di una crisi non immediatamente ridotta alla prospettiva di uno speciale sistema parziale. Quando società funzionalmente differenziate non dispongono di alcuna identità, non possono neppure formare alcuna iden· tità razionale: la razionalità sociale richiederebbe che i problemi ambientali creati dalla società, fin dove riguardano la società stessa, venissero rappresentati nel sistema sociale, vale a dire introdotti nel processo sociale di comunicazione. Questo può accadere, in misura limitata, nei singoli sistemi funzionali - come quando i medici riescono a vedere le malattie da loro stessi causate. È più tipico, tuttavia, che un sistema funzionale addebiti all'ambiente altri sistemi fun· zionali. Anzitutto, manca, però, un sottosistema sociale che prenda atto delle interdipendenze ambientali. Non ce ne può essere uno simile, data la differenziazione funzionale: significherebbe che la società stessa figura ancora una volta nella società. Il principio di differenziazione rende al contempo più urgente ed irresolubile la questione della razionalità 26 • 26 lvi, p. 645. 373 www.scribd.com/Baruhk Non senza sarcasmo, Luhmann rifiuta i corrispondenti ten~ tativi di soluzione della filosofia del soggetto: « Animi semplici vogliono combattere qui con l'etica. Non molto meglio lo Stato di Hegel. E non meglio la speranza di rivoluzione di Marx »v. Abbiamo discusso sopra (nella lezione XII) i motivi che depongono contro la costruzione di una coscienza dell'intera società da parte della filosofia del soggetto. Se gli individui vengono ordinati e subordinati come parti al soggetto di grado superiore della società come un tutto, si determina un azzeramento, in cui fenomeni moderni, come i crescenti spazi di movimento e gradi di libertà degli individui, non possono essere correttamente sistemati. Difficoltà presenta anche una coscienza dell'intera società, che viene raffigurata come autoriflessione di un grande sogg~tto. In società differenziate, una conoscenza esigente orientata verso la totalità della società, approda comunque a sistemi di sapere specializzati, però non nel centro della società come un sapere di sé dell'intera società: Ad ogni modo, abbiamo imparato una strategia concettuale alternativa, che ci risparmia dal dover lasciar cadere il concetto di un'autorappresentazione della società. Le sfere pubbliche si possono intendere come intersoggettività di grado superiore. In esse si possono articolare autoattribuzioni collettive che formano identità. E anche nella sfera pubblica aggregata di grado superiore, una coscienza dell'intera società. Questa non ha più bisogno, allora, di soddisfare le richieste di precisione, che la filosofia del soggetto presenta all'autocoscienza. Non è né la filosofia né la teoria della società ciò in cui il sapere della società si concentra da sé. La società totale può guadagnare a suo favore una distanza normativa mediante questa coscienza comune, seppure vaga ed in sé controversa, e reagire alle constatazioni di crisi, dunque realizzare proprio ciò che Luhmann le contesta come possibilità sensata: « Che cosa significherebbe se la società moderna si interrogasse sulla sua razionalità», è chiaro per Luhmann; ad ogni passo della riflessione « la questione della razionalità » diverrebbe « ad un tempo più urgente e più irresolubile ». Proprio per questo, non dovrebbe neppure essere posta: « Lo schizzo del problema della razionalità non significa che la società debba risolvere problemi di questa portata per garantirsi la sopravvivenza. Per la sopravvivenza è sufficiente l'evoluzione » 28 • I processi di formazione dell'opinione e della ·volontà, altamente aggregati, pubblicamente condensati, ma vicini àl mondo 27 28 I vi, p. 599. lvi, p. 654. www.scribd.com/Baruhk della vita, mostrano lo stretto intreccio fra socializzazione e individuazione, identità di io e di gruppi. Luhmann, che non ha a disposizione il concetto della intersoggettività prodotta linguisticamente, può raffigurarsi tali connessioni interne solo secondo il modello di inclusione delle parti contenute nel tutto. Egli considera questa figura di pensiero come ' umanistica ' 29 e si distanzia da essa. Proprio la vicinanza tecnico-concettuale alla filosofia del soggetto raccomanda addirittura, come mostra l'esempio di Parsons, di imitare semplicemente l'esempio classico e di applicare il sistema sociale (in Parsons: il sistema d'azione) come il tutto che contiene i sistemi psichici come sistemi parziali. In tal modo, però, i difetti rimproverati a ragione alla filosofia del soggetto passerebbero alla teoria sistemica. Per questo Luhmann adotta una soluzione, della cui portata in termini di strategia della teoria è pienamente consapevole: « Se si guarda all'essere umano come parte dell'ambiente della società (invece che parte della società stessa), ciò cambia le premesse di tutte le problematiche della tradizione, quindi anche le premesse dell'umanesimo classico » 30 • E viceversa: « Chi rimane fedele a questa( e) premessa(e) e con (queste) cerca di rappresentare una richiesta umanitaria, deve perciò comparire come oppositore della pretesa di universalità della teoria sistemica » 31 • Effettivamente tale antiumanismo metodico 32 non si indirizza contro una figura di pensiero sbagliata perché racchiude nel tutto parti concretistiche, ma contro una ' richiesta umanitaria', che potrebbe risolversi anche senza il concretismo del tutto e delle sue parti; intendo la ' richiesta ' di concettualizzare la società moderna in modo tale che, per la possibilità di fare completa rinuncia normativa di sé e di elaborare percezioni di crisi nei processi di comunicazione più avanzati della sfera pubblica, non sorgano pregiudizi negativi già attraverso la scelta dei concetti fondamentali. Il costrutto di una sfera pubblica che potrebbe svolgere questa funzione, non trova naturalmente più posto, non appena l'agire comunicativo ed il mondo vitale ripartito intersoggettivamente si insinuano tra tipi sistemici che, come il sistema psichico ed il sistema sociale, formano l'uno 29 Luhmann sottolinea « che per la tradizione umanistica, l'essere umano si trovò all'interno e non all'esterno dell'ordine sociale. Egli ebbe valore di parte essenziale dell'ordine sociale come elemento della stessa società. Quando fu chiamato individuo fu a cagione del fatto che era un elemento ultimo non ulteriormente risolubile >> (N. Luhmann, Soziale Systeme, cit., p. 286). 30 I vi, p. 288. 31 lvi, p. 92. 32 Affettività di un antiumanesimo normativa, come quelle che hanno influenzato l'opera di Gehlen, sono quasi totab;nente assenti in Luhmann. 375 www.scribd.com/Baruhk per l'altro degli ambienti e mantengono reciprocamente ormai solo relazioni esterne. II Il fiume di atti fra autorità ministeriali e la coscienza monadicamente incapsulata di un Robinson fornisce le rappresentazioniguida per il disaccoppiamento concettuale di sistema sociale e sistema psichico, per cui l'uno deve essere unicamente basato sulla comunicazione, e l'altro solo sulla coscienza 33 • In questa separazione astratta fra sistema psichico e sociale si inserisce anche un'eredità della filosofia del soggetto: il rapporto soggetto-oggetto offre altrettanto poco che il rapporto sistema-ambiente, connessioni concettuali con la intersoggettività genuinamente linguistica di intesa e senso diviso comunicativamente. Luhmann oscilla, ad ogni modo, tra la costruzione della intersoggettività a partire dall'intreccio di singole prospettive catturate soggettivamente un mutamento teoretico-evolutivo dei risultati filosofico-soggettivi realizzati da Fich te fino ad Husserl e d'altra parte, dalla eguale originadetà evoluzionistica di coscienza individuale e di un sistema autoportante di prospettive 34 • Anche questa seconda concezicne come qu,ella classica soffre della mancanza di adeguati concetti fonèamentali di tipo teoretico-linguistico. Luhmann deve introdurre ' senso ' come concetto neutro opposto a ' comunicazione ' e a ' coscienza ', ma così che il senso possa diramarsi in modi tipologicamente sva33 N. Luhmann, Sazia/e Systeme, cit., p. 142. 34 In più occasioni, Luhmann conclude che sistemi psichici conquistano, nel processo evolutivo, un posto tra sistemi organici e sociali, cioè, geneticamente ' prima ' si presentano quali sistemi sociali. Solo i sistemi psichici dispongono della coscienza, e le persone come portatrici di coscienza, stanno a fondamento di sistemi sociali. Questo quadro si offre, in particolare, in relazione con le riflessioni che riguardano i sistemi sociali. Quando l'ordine sociale (nel senso di Lewis) viene con ciò realizzato, cosicché uno degli attori preparati solipsisticamente spezza in due il circolo critico della doppia contingenza per mezzo di una autodeterminazione unilaterale, persone o ' portatori di coscienza ' devono essere postulati, i quali, prima che ad ogni altra partecipazione a sistemi sociali, sono adatti a giudicare ed a decidere - anzitutto da questa realtà 'fisico-chimioc-organica-psichica ' si distacca successivamente il sistema sociale emergente. D'altro Iato, i due tipi sistemici non possono trovarsi su gradini differenti della scala evoluzionistica, se entrambi devono in egual misura distinguersi dai sistemi organici per mezzo dell'emergente progresso dell'elaborazione di senso. Così, in altri luoghi, Luhmann parla di una co-evoluzione della formazione di sistemi elaboratori di senso di uguale origine, che si presuppongono scambievolmente (nel loro ambiente), che da una parte si basano sulla coscienza, dall'altra sulla comunicazione. 376 www.scribd.com/Baruhk riati di elaborazione del senso. Altrimenti, i sistemi che lavorano sulla base di coscienza e comunicazione non potrebbero formare reciprocamente degli ambienti. Sebbene la teoria sistemica fornisca alle stesse domande risposte strutturalmente analoghe come a suo tempo la filosofia del soggetto, la teoria della società si trova oggi di fronte ad una situazione argomentativa mutata. Non solo nella tradizione delle scienze dello spirito di Humboldt, ma anche nella filosofia analitica del linguaggio, come nel pragmatismo e nello strutturalismo (che già attraverso G. H. Mead e C. Lévi-Strauss hanno esercitato un grosso influsso sulla teoria della società), è stato enucleato lo status sovrasoggettivo della lingua che ha priorità rispetto ai soggetti. Su questo sfondo storico-teorico appare chiaro quali gravose conseguenze si addossi una teoria con la divisione di queste strutture linguistiche, includenti lo psichico e il sociale, che si estendono a due sistemi diversi. Ora, configurandosi più chiaramente il profilo della teoria luhmanniana, si vede anche quante energie devono essere utilizzate per il superamento del problema conseguente, cresciuto a partire da quell'unica decisione basilare. Strutture sovrasoggettive del linguaggio intreccerebbero troppo strettamente società e individuo. Una intersoggettività della comprensione fra attori, prodotta mediante espressioni identiche per significato e pretese di validità criticabili, sarebbe una parentesi troppo forte tra il sistema psichico e quello sociale, come pure tra sistemi psichici diversi. I sistemi devono agire contingentemente solo dal di fuori l'uno sull'altro; al loro rapporto manca ogni regolazione interna. Perciò Luhmann deve innanzitutto ridurre la lingua e l'agire comunicativo a formati così piccoli che si perde di vista la connessione interna di riproduzione culturale, integrazione sociale e socializzazione. Rispetto al concetto di senso intr"odotto fenomenologicamente, all'espressione linguistica viene assegnato uno status subordinato. La lingua serve solo alla generalizzazione simbolica di circostanze di senso precedenti, essa qu,antizza, per così dire, il flusso di esperienza in identità di nuovo riconoscibile 35 • In"oltre il linguaggio rimane secondario rispetto alla coscienza. La vita solitaria dell'anima, compreso il pensiero discorsivo, non ha fin da principio la forma linguistica. La strutturazione della lingua articola solo lo svolgimento spontaneo della coscienza tramite cesure e ad esso conferisce la facoltà di costruire avvenimenti 36 • Oltre 35 N. Luhmann, Soziale Systeme, cit., pp. 136 sgg. Rimane, naturalmente, un problema aperto come il senso prediscorsivo possa anche essere preordinato all'intenzionale struttura della coscienza. 36 lvi, pp. 367 sgg. 377 www.scribd.com/Baruhk a_ciò, però, la lingua non è costitutiva per processi di comprensione; essa opera 'nello spirito', anche prima di ogni comunicazione. Nella misura in cui la lingua è partecipe della organizzazione di decorsi rappresentativi e di processi di pensiero, non funziona affatto come derivato interiorizzato del discorso 37 • Ciascuna di queste tesi è altamente controversa; esse dovrebbero essere fondate in particolari contesti della filosofia del linguaggio. Queste domande non possono, ad ogni modo, essere risolte con riferimenti fenomenologici o addirittura definizioni. Certo la strategia di Luhmann è chiara: se la prestazione dei simboli linguistici si esaurisce nell'ordinare, astrarre e generalizzare processi di coscienza e contesti di senso prelinguistici, la comunicazione condotta con mezzi linguistici non può essere spiegata a partire da condizioni di possibilità specificamente linguistiche. E se la lingua non viene più calcolata come una struttura che rende possibile il nesso interno di comprensione di senso, significato identico e validità intersoggettiva, allora anche la comprensione di espressioni identiche per significato, l'intesa (o il dissenso) riguardo alla validità di manifestazioni linguistiche, la comunanza di un contesto di senso e di rimando, suddiviso intersoggettivamente, vale a dire la partecipazione comunicativa ad un mondo della vita rappresentato in una concezione linguistica del mondo, non può essere spiegata per la via dell'analisi della lingua. Gli aspetti di un'intersoggettività prodotta linguisticamente devono, piuttosto, essere deviati, come manufatti autoprodotti, dalle reazioni scambievoli di sistemi elaboratori di senso. Luhmann si serve qui di note figure del pensiero empiristico. Così, ad esempio, la comprensione di senso sorge, al di sotto del livello della comprensione linguistica, dalla osservazione scambievole di sistemi psichici, che sanno che ciascuno di essi opera relativamente a se stesso e che perciò compare da solo nell'ambienle percepito del sempre diverso. In tal modo si sviluppa una spiraie di riflessi che si ripetono arbitrariamente, di osservazioni estranee ed autosservazioni. Sull'osservazione del reciproco osservare si forma allora una comprensione delle differenze tra prospettive di concezione. Questa dimensione sociale di senso non si attua dunque tramite una convergenza di orizzonti di comprensione, che si formano intorno a significati identici e pretese di validità riconosciute intersoggettivamente, e che si fondono nel consenso su qualcosa di inteso o di detto. Tra sistemi psichici diversi non può inserirsi un terzo comune, sia :r; lvi, p. 137 e p, 367. 378 www.scribd.com/Baruhk pure un sistema sociale sorto autocataliticamente, che si richiude subito di nuovo in proprie prospettive sistemiche e che rimanda ai propri punti di osservazione egocentrici: Per le poche considerazioni offerte dal rapporto (di sistemi autoreferenziali che si osservano reciprocamente), è sufficiente la loro capacità di elaborare informazioni. Esse rimangono separate, non si fondono insieme, non si capiscono fra di loro meglio di prima; si concentrano su ciò che possono osservare come input ed output nell'altro come sistema-in-un-ambiente, ed imparano di volta in volta autoreferenzialmente nella loro propria prospettiva di osservazione. Ciò che osservano, possono cercare di influenzarlo attraverso il loro proprio agire, e possono di nuovo imparare con il feed-back. In questo modo può realizzarsi . un ordine emergente. Questo lo chiamano [... ] sistema sociale 38 • Sistemi sociali elaborano il senso nella forma della comunicazione. Perciò viene introdotta la lingua. Questa, però, non mette a disposizione espressioni in qualche modo identiche per significato, bensì permette solo di sostituire segni al posto del senso. Come prima, il senso è orientato sulla differenza di prospettive di concezione. Alter ed Ego possono certo « essere rafforzati nella idea di intendere la stessa cosa grazie all'uso di segni di uguale significato » 39 • La lingua è così scarsamente definita come medium di comunicazione, che non è adatta a superare l'egocentrismo delle singole prospettive sistemiche attraverso una prospettiva comune avanzata, sopra - o infra - sistemica. Quanto poco più sistemi dispongono degli stessi significati, tanto poco la comprensione termina in un accordo stricto sensu. La separazione di dimensione sociale e materiale deve escludere proprio ciò che si è inclini a considerare come telos della lingua: fondare la mia comprensione di una cosa con riferimento alla possibilità di un consenso, che noi otteniamo insieme su questa cosa. Così anche la validità di una asserzione non deve fondarsi sul riconoscimento intersoggettivo di pretese di validità criticabili, bensì in un consenso che si ha di volta in volta solo per Ego o solo per Alter. La lingua non offre alcun terreno solido, sul quale Ego potrebbe incontrarsi con Alter nel consenso su qualcosa: « Il mio consenso è consenso solo in relazione al tuo consenso, ma il mio consenso non è il tuo consenso, e non vi è neppure alcuna sorta di argomenti materiali o fondamenti razio38 39 lvi, p. 157. I vi, p. 220. 379 www.scribd.com/Baruhk nali che potrebbero infine assicurare questa coincidenza (di nuovo: a partire dalla dimensione materiale) » 40 • Il 'miscuglio ' di dimensione sociale e materiale, che permette di pensare proprio questo, Luhmann lo considera come l'« errore principale dell'umanesimo » 41 • Il complesso di problemi conseguenti finora considerato si riferisce, in generale, al fatto di risolvere empiricamente i fondamenti sovrasoggettivi dei processi di intesa, per correre sotto le strutture di un'intersoggettività prodotta linguisticamente, con un concetto linguistico minimale. La coscienza individuale e la società conseguono infatti l'autarchia dei singoli sistemi che possono formare l'ambiente reciprocamente, solo quando il loro movimento non viene regolato atttaverso relazioni interne, quando cioè cultura, società e persona non sono più collegate internamente nelle strutture del mondo della vita. Ad ogni modo, ricresce subito un secondo complesso di problemi conseguenti, non appena il primo sia stato elaborato e sin stata assicurata la premessa che sistemi psichici e sociali si imbattono ancora solo contingentemente l'uilO nell'altro, e finiscono nel tipo di interdipendenze che derivano da relazioni esterne. Giacché, a questo punto, deve essere ricomposto nuovamente per gradi, ciò che al primo passo è stato separato. Quelle connessioni di individuo e società, di storia della vita individuale e forma di vita collettiva, di individuazione e costituzione sociale, che abbiamo spiegato sotto gli aspetti della riproduzione culturale, della integrazione sociale e della socializzazione a partire dalla cooperazione di componenti del mondo della vita internamente intrecciate, devono essere resi plausibili con l'ausilio di ipotesi aggiuntive che provengono dalla compenetrazione di relazioni esterne. Serve, per esempio, a questo scopo, il concetto di interpenetrazione, che si riferisce al dato di fatto che due sistemi, che formano reciprocamente ambienti, limitano· spontaneamente il grado di libertà di un tal nesso esterno per rendersi reciprocamente dipendenti nelle loro formazioni strutturali. L'interpenetrazione sociale e inter-personale esiste quando « entrambi i sistemi si rendono reciprocamente possibili in quanto inseriscono ciascuno nell'altro la loro propria complessità precostituita » 42 • Con l'aiuto di quest'idea si devono spiegare ad esempio le relazioni intime o le aspettative morali. Così devono essere spiegati tutti i fenomeni che continuano a stupire finché si parte dal fatto che 40 41 42 lvi, p. 113. lvi, p. 119. I vi, p. 290. 380 www.scribd.com/Baruhk sistemi psichici e sociali non sono fin da princ1p10 coordinati fra loro. In base a queste premesse, ad esempio, il processo della socializzazione può- essere inteso solo come una prestazione propria del sistema psichico: « Socializzazione è sempre autosocializzazione » 43 • Il concetto di individualità presenta difficoltà simili. Una volta che è stato reciso il nesso interno fra socializzazione ed individuazione, il concetto di individualità normativamente ricco di contenuto può trovare ancora utilizzazione solo come riproducibile « formulario dell'autodescrizione » 44 • La strategia della formazione concettuale, cui posso qui accennare solo velocemente, si spiega con il fatto che la teoria si impiglia cumulativamente nei problemi conseguenti di una unica, decisione basilare. Con gli aspetti del sociale e dello psichico Luhmann scompone, per così dire, la vita del genere e quella dei suoi esemplari, per ripartirla in due sistemi esteriori l'uno all'altro, benché il nesso interno di entrambi gli aspetti sia costitutivo per forme di vita linguisticamente costituite. Certamente, indicazioni non possono sostituire argomenti e controargomenti. Ma già il livello sul quale gli argomenti potrebbero essere scambiati, non è facile da definire. Questa teoria sistemica non si adatta, in realtà, contro l'autocomprensione del suo autore, al formato relativamente modesto di una teoria valida per ogni genere e ritagliata su una singola disciplina. Essa non è veramt!nte sociologia 1 ma piuttosto è da confrontare con progetti metateoretici, che realizzano funzioni di concezione del mondo. Considero la teoria di Luhmann come l'ingegnosa prosecuzione di una tradizione che caratterizza spiccatamente l'autocomprensione dell'età moderna europea, e che in tal modo ha riflesso, a sua volta, il modello selettivo del razionalismo occidentale. L'unilateralità cognitivo-strumentale della razionalizzazione culturale e sociale trovò espressione anche nei tentativi filosofici di stabllire un'autocomprensione obbiettivistica dell'uomo e del suo mondo - in immagini del mondo meccanicistiche dapprima, più tardi materialistiche e fisicalistiche, che con teorie più o meno complesse ricondussero lo spirituale al corporeo. Nei paesi anglosassoni il materialismo analitico tiene fino ad oggi vive le discussioni sul rapporto di spirito e corpo; fino ad oggi convinzioni di fondo fisicalistiche o comunque scientistiche rafforzano la pretesa di rendere estraneo dalla prospettiva di un osservatoré naturalistico tutto il conosciuto intui43 44 lvi, p. 327. lvi, pp. 360 sgg. 381 www.scribd.com/Baruhk tivamente: di comprenderci a partire dagli oggetti. Per quanto concerne l'autocomprensione obbiettivistica, non si tratta di questa o quella spiegazione particolare, ma dell'evento straordinario di un capovolgimento dell'ordine naturale del mondo. Lo stesso mondo della vita deve essere addestrato in una prospettiva dell'auto-oggettivazione, di modo che tutto ciò che normalmente all'interno di un orizzonte ci appare per così dire performativo, appaia, da un angolo di visuale extramondano, come un accadere per eccellenza estraneo al senso, esteriore ed accidentale, che si spiega solo secondo modelli naturalistici. Finché meccanica, biochimica o neurofisiologia hanno fornito i linguaggi ed i modelli, si dovette restare naturalmente su correlazioni generalr ed astratte e su discussioni basilari circa spirito e corpo. Sistemi descrittivi di origine scientifico-naturale sono troppo lontani dalle esperienze quotidiane rispetto a quanto si sarebbero proposti per introdurre clandestinamente nel mondo della vita in modo differenziato e su un fronte ampio autodescrizioni estranianti. Questo cambia con la lingua della teoria sistemica generale, che si è sviluppata a partire dalla cibernetica e dell'utilizzo dei modelli d'essa in diverse scienze biologiche. Le rappresentazioni esemplari intuite nelle prestazioni dell'intelligenza ed orientate ad una vita organica, si avvicinano molto più alle forme socioculturali della vita, che alla meccanica classica. Come dimostrano i sorprendenti esercizi di traduzione di Luhmann, questa lingua può essere maneggiata ed allargata così flessibilmente, da consentire anche per i sottili fenomeni del mondo della vita, nuove descrizioni non solo obbiettivizzanti, ma obbiettivistiche. Bisogna fare attenzione al fatto che teorie innovative della società restavano sempre ancorate .nella società stessa con i loro paradigmi, e non hanno mai fatto parte esclusivamente del sistema scientifico. Un effetto pell'oggettivazione si realizza, ad ogni modo, nella misura in cui la teoria sistemica penetra nel mondo della vita, introduce in questa una prospettiva metabiologica dalla quale impara a conoscere come un sistema - con altri-sistemi-in-un-ambiente - , come se il processo del mondo non si compiesse con nessun altro mezzo se non mediante differenze sistema-ambiente. In questo modo, la ragione soggettocentrica viene risolta tramite una razionalità sistemica. Con ciò, alla critica della ragione condotta çome critica della metafisica e del potere, che abbiamo rammentato -in queste lezioni, si sottrae l'oggetto. Nella misura in cui non fornisce il suo contributo specialistico solo all'interno del sistema scientifico, bensì penetra anche all'interno del mondo della vita con la sua pretesa di universa- 382 www.scribd.com/Baruhk lità, la teoria sistemica sostituisce le convinzioni di sfondo con convinzioni metabiologiche. Così anche la disputa fra oggettivisti e soggettivisti perde il suo spirito. Forse l'intersoggettività prodotta linguisticamente e il sistema chiuso autoreferenziale . forniscono spunti per una controversia che si pone al posto della problematica svalorizzata di spirito-corpo. www.scribd.com/Baruhk www.scribd.com/Baruhk INDICI www.scribd.com/Baruhk www.scribd.com/Baruhk INDICE DEI NOMI Adenauer, Konrad, 365. Adorno, Theodor W., 53-4, 58, 69 e n, 70, 89n, 108, 110 e n, 115, 117, 119-26, 130-3, 135-6, 188192, 213n, 222, 223 e n, 224, 227, 244, 307, 316, 336, 338, 352. Alighieri, Dante, 191. Apel, Karl 0., 276n, 313n, 323 e n, Arac, J., 194n. Arendt, Hannah, 49 e n, 329. Aristotele, 97n, 156, 191, 328. Austin, John L., 141, 197 e n, 198200, 202, 204, 208, 314. Bloom, Harold, 194n. Blumenberg, Hans, 8 e n. Béihme, Gernot, 304en, 305n, 307, 308n. Bohme, Hartmut, 304 e n, 305n, 307, 308n. Bohme, Jakob, 325. Bohrer, K. H., 93n, 94n, 95n, 109n, 160n. Bosch, Ieronimus, 248. Bourdieu, P., 165n. Breton, André, 104, 216. Brunkhorst, H., 78n, 326n. Brunner, Otto, 8n. Bruns, M., 9. Bubner, R., 33n .. Biihler, K,-, 203 e n, 313. Bachelard, Gaston, 54, 242. Bacone, Francesco, 276. Baier, H., 123n. Barthes, Roland, 195. Bataille, Georges, 4, 57, 77, 89n, 100, 103 e n, 104-8, 135, 215-9, 220 e n, 221 e n, 223 e n, 224 e n, 225 e n, 226, 228-43, 245, 256, 258-60, 288-9. Baudelaire, Charles, 9 e n, 10-11, 99, 216, 288 .. Bauer, Bruno, 53, 63. . Becker, Oskar, 102n, 160n. Beissner, F., 95n. Benjamin, Walter, 10-6, 59, 102, 104, 109, 120, 126, 188, 224 e n. Benn, Gottfried, 4. Bentham, Jeremy, 249, 272. Berger, Peter, 78, 79 e n, 80-1. Bergson, Henry, 146, 257. Bernstein, R. J ., 64n, 303n. Blanchot, Maurice, 195, 241. Bloch, Ernst, 67. Calvino, Giovanni, 236. Capote, Truman, 205-6. Caruso, P., 241n. Castoriadis, Cornelius, 64n, 157n, 319 e n, 320-1, 327 e n, 328-34. Coleman, James, 3. Colli, Giorgio, 88n, 101n. Comte, Auguste, 366. Conze, W., 8n. Creuzer, Georg F., 95. Culler, Jonathan, 183n, 187n, 195, 196n, 197-202, 205n. Darwin, Charles, 53. Dautry, J., 231n. Davidson, D., 314. De Gaulle, Charles, 365. Deleuze, Gilles, 126, 128n, 130. de Man, Paul, 194n, 195 e n. de Man, Hendrik, 4n. 387 www.scribd.com/Baruhk Democrito, 324. Derrida, Jacques, 57, 100, 107, 164-71, 175-85, 187-202, 205, 208-10, 213 e n, 241-2, 252, 257, 298, 305n, 319-20, 336, 338, 353n. Descartes, René, 19, 105, 137-8, 262, 270, 312, 367. Dewey, John, 64n, 152, 257. Dilthey, Wilhelm, 146, 191. Dreyfus, H. L., 263n, 265n, 270n, 289n. Droysen, Johann G., 191. Dubiel, Helmut, 70n, 121 e n, 220n, 223n. Dumézil, Georges, 241. Dummett, Michael, 314. Durkheim, Emil, 2, 112, 221, 234, 290, 334. Godzich, W., 194n. Gramsci, Antonio, 64, 77. Grice, H. P., 207. Gumbrecht, H. V., 8n. Habermas, Jiirgen, 1n, 9n, 16n, 32n, 66n, 74n, 78n, 98n, 109n, 118n, 125n, 143n, 171n, 190n, 208n, 214n, 220n, 276n, 291n, 293n, 299n, 300n, 302n, 303n, ~05, 329n, 334n, 341, 342n, 347n, 355n, 360n, 365n, 369n. Hamann, Johann G., 191, 323. Handelmann, Susan, 187n, 188. Hartmann, Geoffrej', 194n, 195, 205 e n. Hartmann, Nicolai, 145. Hegel, G. W. F., 4-7, 8 e n, 13n, 15 e n, 16-45, 49, 52-4, 57, 59-60, 62-5, 67, 69-71, 76-9, 86-7, 92 e n, 102, 112, 123, 132, 135-7, 140-1, 143, 156, 213n, 255, 266267, 298, 305-6, 308n, 312, 325326, 337, 347n, 350-1, 367-8, 371-2, 374. Heidegger, Martin, 4, 14, 53-4, 57, 77, 82, 89 e n, 95, 100, 101 e n, 102 e n, 104-8, 136-70, 175, 180, 183-5, 187, 188n, 189-91, 193, 213n, 215-9, 241-2, 252, 257-60, 265, 267, 270, 298, 309-11, 315, 319-20, 327, 330-1, 333, 336, 338. Held, T. D., 323n. Heller, Agnes, 79, 80 e n, 81 e n. Henrich, Dieter, 33, 35n, 41n, 42 e n, 266n, 352n, 353n. Henrich, Klaus, 110, 111n, 325 e n. Herder, Johann G., 65, 79, 179. Hess, Moses, 53, 59. Hesse, Mary B., 323n. Hitler, Adolf, 158, 220, 222. Hobbes, Thomas, 109, 261n, 262. Héilderlin, F., 23, 33-5, 94 e n, 95 e n, 138, 170, 188n, 243, 267, 305. Holthusen, H. E., 4n. Honegger, C., 255n, 295 e n. Honneth, Axel, 81n, 131n, 259n, 272n, 290 e n, 354. Horkheimer, Max, 54, 69, 77, 89n, 108, 110-5, 117, 119-21; 122n, 123-5, 130-3, 135-6, 220, 223 e n, 224, 227, 307, 316. Horstmann, R. P., 41n. Einstein, Cari, 216. Engels, Friedrich, 61n, 62n, 231. Euripide, 94. Farias, Victor, 160n. Feuerbach, Ludwig; 53, 55, 63, 79-80. Fichte, Immanuel H., 55. Fichte, Johann G., 22, 24, 32, 34, 44, 265-6, 298, 305, 330, 332-3, 372, 376. Fink-Eitel, H., 131n, 259n. Forsthoff, E., 73n. Foucault, Michel, 54, 57-8, 59n, 100, 107, 131, 217 e n, 218, 241267, 269-98, 300, 303-4, 309-11, 316, 320, 336, 338, 347n, 354, 371. Frank, M., 91n, 94 e n, 271n. Fraser, N., 287n, 288. Frege, Gòttlob, 174, 314. Freud, Sigmund, 15, 53, 131, 221, 243, 267, 287, 295, 307, 310. Freyer, Hans, 14, 73 e n, 351. Friedeburg, L. von, 9n, 190, 220n, 316n. Gadamer, Hans G., 14, 141, 191, 201, 358. Gehlen, Arnold, 3, 4 e n, 179, 256n, 291 e n, 296 e n, 351, 372, 375 e n. Gelb, I. J ., 166 e n. Glucksmann, André, 260n. 388 www.scribd.com/Baruhk Huber, E. R., 73n. Humboldt, Karl W. von, 65, 157, 191, 377. Husserl, Edmund, 54, 77-81, 142, 146-8, 150, 153, 155-6, 170 e n, 171-82, 192, 265, 298, 327, 333, 366-7, 376. Liibbe, H., 59n, 71n, 72n, 73n. Luckmann, T., 78-81. Luhmann, Niklas, 352 e n, 353 e n, 354-5, 357n, 358-9, 366-8, 370 e n, 371n, 372, 373n, 374-8, 380382. Lukacs, Gyorgy, 49, 54, 64n, 67, 77-9, 195, 227-8, 267, 284, 337, 351. Luria, Isaak, 325. Lutero, Martin, 18, 236. 142, 141169, 267, Jacobi, Friedrich H., 24, 32. Jacobson, Roman, 195, 203 e n, 205-6. J amme, C., 33n. Jaspers, Karl, 167. Jauss, H. R., 8n, 9n, 35 e n. Joas, H., 131n. Jung, Karl G., 310. Jiinger, Ernst, 137. Machiavelli, Niccolò, 109. Maimonide, Mosé, 186. Mallarmé, S., 96, 126. Mandeville, Bernard de, 109. Marcuse, Herbert, 49 e n, 50 e n, 67-8, 73n, 77-8, 294, 327. Markus, GiOrgy, 81en, 82en, 8384. Martin, W., 194n. Marx, Karl, 11, 14, 47, 49, 53, 55, 57, 60, 61en, 62en, 63en, 64-8, 70, 72, 77-9, 81, 109, 131, 141, 225-7, 232, 260n, 267, 286287, 298, 306, 317, .337-8, 341, 346, 347 e n, 348, 350-2, 354-5, 369, 374. Masson, André, 215. Mathiesen, U., 358n. Matthes, J., 81n. Maurer, R., 130n. Mauss, Marcel, 233n. Mead, George H., 2, 64, 141-2, 152, 325, 334, 377. Merleau-Ponty, Maurice, 64, 318. Miller, Hillis, 194n, 195. Mitscherlich, A., 221n. Montinari, Mazzino, 88n, 101n. Morris, William, 67. Miinkler, H., 261n. , Mussolini, Bènito, 222. Kant, Immanuel, 16, 19, 20e n, 21-2, 24, 26, 32, 34, 44, 49 e n, 53, 80, 127, 146-7, 155-6, 259, 264-7, 270, 287, 292, 298 e n, 304-5, 307, 309, 312, 323, 353 e n, 366-8, 372. Kautsky, Karl, 59. Kierkegaard, S~ren, 53, 55, 149, 153, 160. . Kittler, F. A., 259n. Kojéve, Alexandre, 242, 318. Korsch, Karl, 14, 59, 77, 329. Koselleck, Reinhardt, 5n, 6 e n, 7n, 8n, 12, 13 e n, 15. Krapnick, M., 187n. Kristeva, Julia, 185n. Kuhn, H., 8n. Labov, W., 205 e n. Lacan, Jacques, 57, 100, 268, 310. Lange, W., 94n. Larenz, X., 73n. . Lask, Emil, 20, 51. Leibniz, Gottfried W., 262. Leiris, Michel, 215 e n, 216, 235n, 236n. Lessing, Gotthold E., 26. Levinas, Emanuel, 168, 185, 187n, 188n. Lévi-Strauss, Claude, 241-2, 268, 271, 310, 377. Leyy, Bernard-Henry, 285n, 286, 289. Linneo, Carlo, 263. Littré, Emil, 166. Lowith, Karl, 53, 55 e n. Nietzsche, Friedrich, 14, 45, 52-3, 57-60, 77, 87-91, 95-110, 113, 115, 123-30, 132, 135, 137-41, 143, 145, 156-7, 163, 165, 169, 187-9, 192, 213n, 215-8, 239, 243 e n, 245, 252-3, 255, 257, 259-60, 261n, 267, 270, 282, 285, 288, 297, 303-4, 307, 309, 311-2, 338, 352n, 353 e n, 366, 370n. 389 www.scribd.com/Baruhk Norris, Christopher, 195n. Novalis, 95. Scheler, Max, 145-6. Schelling, Friedrich W. J., 6, 22-3, 25, 33-5, 49, 55, 65, 91, 92 e n, 93, 95 e n, 182, 243n, 267, 298, 305, 325. Schiller, Johann C. F., 33, 35-6, 46-51, 65, 97n, 127, 298, 305-6, 308n. Schlegel, Friedrich, 19, 35-6, 91, 92n, 93 e n, 143, 305. Schmitt, Cari, 73, 222-3. Schniidelbach, H., 53n, 76n, 133n, 190n. Schneeberger, G., 160n, 161n, 162n. Schneider, H., 33n. Scholem, Gershom, 186 e n, 188. Schopenhauer, Arthur, 96, 98, 109, 243. Schreiber, M., 159n. Schroter, M., 91n. Schulz, W., 145n, 153 e n. Schi.irmann, Reiner, 144n, 145n, 163n. Schi.itz, Alfred, 79, 318. Seabrok, W., 235n. Searle, John, 197 e n, 198, 199 e n, 200, 202. Simmel, Georg, 146 e n, 257. Sloterdijk, P., 289n. Socrate, 90, 97n, 126. Sollner, T., 223n. Spengler, Oswald, 137. Stalin, Josef V. Giugasvili detto, 232, 260n. Stein, Lorenz von, 70 e n. Steinfels, H., 70n. Storr, Gottlieb C., 25. Strauss, David F., 63. Swedenborg, Emanuel, 304. Szondi, Peter, 94n. Offe, Claus, 81 e n, 348n, 355n. Ohmann, Richard, 204en, 205en. Omero, 111-2. Oppenheim, H. B., 70, 71n, 72n. Ott, Hugo, 159n. Ottmann, H., 16n. Paci, Enzo, 64n. Parmenide, 213n, 325. Parsons, Talcott, 349, 366, 375. P az, Octavio, 97. Peirce, Charles S., 141, 152, 325. Peukert, H., 16n. Piaget, Jean, 118, 300. Platone, 313, 324. Plessner, H., 318. Poggeler, 0., 145n, 157n. Popper, Karl R., 174, 313. Pratt, Mary L., 197, 205 e n, 206-7. Protagora, 137. Protti, M., 78n. Piitz, H., 124n. Rainbow, P., 263n, 265n, 272n, 289n. Rehinold, Karl L., 22. Rickert, Heinrich, 145. Ringer, F. K., 143n. Rippel, Philip, 261n. Ritter, Joachim, 73 e n, 74 e n, 75 e n, 76 e n, 351. Robertson, William, 163n. Robespierre, M.-F.-J. de, 11. Rohrmoser, G., 130n. Rorty, Richard, 209 e n, 210, 213n. Rosenkranz, Karl, 70, 71n, 72, 73n. Rossum, W. von, 261n. Rousseau, Jean-Jacques, 26, 192. Ruge, J\rnold, 52-3. Ruskin, Johrì, 67. Rymanow, Mèndel von, 186. Taubes, Jacob, 95n. Taylor, Charles, 64n, 66n, 79 e n, 323n. Thompson, J., 323n. Tugendhat, E., 155n, 157 e n, 171n, 176, 314n. Saage, Q.., 70n. Sade, D, A. F. de, 109, 115. Saint-Simon, C. H. de Rouvroy conte di, 231. Sartre, Jean-Paul, 64n, 78, 242, 318, 327. Saussure, Ferdinand de, 166, 171, 182, 183 e n, 192. Velasquez, 263 e n. Veyne, Paul, 256n, 279 e n, 281n. Vico, Giambattista, 191. 390 www.scribd.com/Baruhk Wagner, Richard, 90 e n, 91, 96, 126, 139.. Weber, Max, 1 e n, 2, 4-5, 51, 54, 72, 73n, 77, 113 e n, 116, 118, 217, 233, 236, 286, 317, 337. Weiss, Peter, 126. Wellmer, A., 316n. Wiedmann, F., 8n. Willke, H., 363n. Wilson, M., 223n. Wittgenstein, Ludwig, 53, 141-2, 157, 174, 189. Yorck yon Wartenburg, Paul, 14. www.scribd.com/Baruhk www.scribd.com/Baruhk INDICE DEL VOLUME Premessa 1. VII La coscienza temporale della modernità e la sua esigenza di rendersi conto di se stessa Excursus sulle« Tesi di filosofia della storia» di W alter Benjamin, p. 12 2. Il concetto hegeliano della modernità Excursus sulle « Lettere sull'educazione estetica dell'uomo » di Schiller, p. 46 · 3. Tre prospettive: gli hegeliani di sinistra, gli hegeliani di destra e Nietzsche Excursus sull'obsolescenza del paradigma della produzione, p. 77 4. 5. 6. 7. L'entrata nel post-moderno: Nietzsche quale piattaforma girevole L'intrico di mito e illuminismo: Adorno 1 24 52 86 Horkheimer e L'infiltrazione della critica della metafisica nel razionalismo occidentale: Heidegger Il sopravanzamento della filosofia temporalizzata dell'originario: la critica di Derrida al fonocentrismo Excursus sul livellamento della differenza specifica tra filosofia e letteratura, p. 189 393 www.scribd.com/Baruhk 109 135 164 8. Fra erotismo ed economia generale: Bataille 215 9. Smascheramento critico-razionale delle scienze urnane: Foucault 241 10. Le aporie di una teoria del potere 270 11. Un'altra via d'uscita dalla filosofia del soggetto. La ragione comunicativa contro la ragione soggettocentrica Excursus su C. Castoriadis: «l'istituzione immaginaria », p. 327 297 12. Il contenuto normativa della modernità Excursus sulla appropriazione dell'eredità della filosofia del soggetto da parte della teoria dei sistemi di Luhmann, p. 366 336 Indice dei nomi 387 www.scribd.com/Baruhk