International Theatre Academy of the Adriatic SCUOLA TRIENNALE PER ATTORI E REGISTI TESI DI DIPLOMA IN REGIA TEATRALE COSTRUIRE L’ENSEMBLE Nascita, vita e fine della più affascinante creatura teatrale Triennio: Allievo regista: 2 2010-2013 Davide Abbatescianni Anno Accademico 2012/2013 Indice 1. Che cos’è l’ensemble 2. Le tipologie d’ensemble 3. Come «fare gruppo»: dinamiche e problematiche dell’ensemble 4. La leadership e la responsabilità 5. I ruoli dell’ensemble 6. L’ensemble nella società contemporanea 7. Alcuni esercizi «d’insieme» 8. L’etica professionale 9. L’impresa teatrale 10. Conclusioni: l’ensemble ideale 11. Bibliografia 3 «Per me il posto ideale, l’ho già detto tante volte, è il Teatro 5 di Cinecittà, vuoto. Ecco, l’emozione assoluta, da brivido, da estasi, è quella che provo di fronte al teatro vuoto: uno spazio da riempire, un mondo da creare.» (Federico Fellini, Intervista sul cinema) 4 1. Che cos’è l’ensemble Il dizionario1 attribuisce i seguenti significati alla parola ensemble: ensemble ‹ãsã′bl› s. m., [dall’avv. ensemble «insieme», che lat. insĭmul (ha cioè lo stesso dell’ital. insieme)]. fr. è il etimo – 1. Gruppo di persone che collaborano per un risultato d’insieme. In particolare: a. Complesso musicale in cui perde spicco la personalità di ciascuno degli esecutori perché 1 definizione tratta dall’edizione digitale del Dizionario Treccani 2013. 5 risulti più perfetta l’armonia dell’insieme: un e. vocale, strumentale. b. Gruppo di cantori, suonatori, danzatori rappresentativi delle tradizioni e del folclore di un paese. 2. Nel linguaggio della moda, abito completo da uomo o da donna, fatto di due (o più) pezzi della stessa stoffa o anche coordinati (in ital., insieme o completo). 3. In meccanica statistica, con riferimento a un sistema termodinamico, l’insieme pensato come costituito da più repliche del sistema, tutte nello stesso stato macroscopico individuato da valori fissati delle variabili termodinamiche (temperatura, pressione, volume, costituzione chimica, ecc.), ma in generale differenti per configurazione microscopica. Dunque, la parola ensemble significa «insieme». Escludendo il significato 3 di chiara matrice scientifica, i significati 1 (a-b) e 2 ben si confanno a ciò che in teatro s’intende per ensemble. Il significato 1 parla di un «gruppo di persone che collabora per un risultato d’insieme»: che cos’è 6 un ensemble se non un gruppo di artisti che lavora per realizzare una creazione artistica comune? La definizione a e b, pur facendo riferimento rispettivamente all’ambito musicale e a quello della tradizione folcloristica, contengono alcuni principi condivisi anche dal teatro: la definizione a sottolinea la priorità che lo spettacolo e la storia che l’ensemble va a raccontare hanno sempre sulle individualità artistiche presenti in scena; nella definizione b, invece, evidenzia la compresenza di individualità e talenti diversi all’interno di un ensemble («cantori, suonatori, danzatori»). Un ensemble può nascere in molteplici circostanze: ad esempio, l’incontro tra un gruppo di attori e un regista; un gruppo di persone unite da una comune idea di teatro; allievi d’accademia che lavorano insieme dopo aver completato gli studi; i risultati dei provini per una nuova produzione teatrale; le vicende di vita e teatro che s’intrecciano inesorabilmente. Non dimentichiamo, infine, che una classe di allievi attori e registi che studiano in una scuola di teatro, nel bene o nel male, è anch’essa un ensemble: tuttavia, in questo caso le finalità perseguite dal gruppo cambiano, guidate 7 dall’azione del pedagogo. Non è il prodotto finale (una performance, uno spettacolo, ecc.) ad essere l’obiettivo principale del gruppo, ma bensì la propria crescita artistica e l’acquisizione di un’etica necessaria allo svolgimento della futura professione di attore o regista. GALLERIA FOTOGRAFICA «Gli ensemble nell’arte» Figura 1. Un esempio di ensemble: la compagnia di Eimuntas Nekrošius mette in scena la Divina Commedia. 8 Figura 2. Un esempio di ensemble: un gruppo di sbandieratori. Figura 3. Un esempio di ensemble: il balletto. 9 Figura 4. Un esempio di ensemble: il set cinematografico. Figura 5. Un esempio di ensemble: la classe. Nella foto, una lezione di Peter Brook svoltasi a Roma, presso il Teatro Valle. 10 2. Le tipologie d’ensemble La compagnia teatrale costituisce la naturale evoluzione professionale del concetto di ensemble: «arte e non solo arte, [..] qualcosa al confine tra il teatro e la vita» scrive Jurij Alschitz2 2 Jurij Leonowitsch Alschitz (Odessa, 9 agosto 1947) è un regista e teorico teatrale russo. Principalmente conosciuto per aver elaborato il metodo di autopreparazione per attori noto con il nome di verticale 11 nel suo saggio Teatro senza regista. Come se fosse un essere vivente, la compagnia nasce, vive e muore. Nel testo sopraccitato, Alschitz teorizza cinque principali tipologie di compagnie teatrali. Tuttavia, credo sarebbe più corretto parlare di indirizzi o condizioni, in quanto queste definizioni non hanno carattere esclusivo e limitante (una compagnia può abbracciarne anche più d’una), né certamente hanno l’insensata pretesa di categorizzare ogni compagnia esistente secondo uno schema prefissato. Eccole descritte brevemente qui di seguito: - la compagnia giardino: come un giardino giapponese ricco di irripetibili bellezze naturali, il regista deve considerare ogni suo attore «un’opera d’arte unica e speciale». Nella compagnia giardino i singoli talenti degli attori sono valorizzati ed emergono: il regista non impone il proprio pensiero, ma fornisce gli strumenti del ruolo, svolge la sua opera di pedagogia teatrale in tutto il mondo. 12 e il supporto adeguati perché l’attore possa esprimersi liberamente. - la compagnia harakiri: con questa espressione si indica l’esperienza di una compagnia potenzialmente fallimentare. Ciò può avvenire se il regista non ha una chiara idea della sua guida da trasmettere agli attori; se ci si riunisce accomunati dalla sola idea di fare «teatro contro»; se si considera ovvio che laddove nella vita ci siano legami forti tra i membri di un gruppo ci debbano necessariamente essere altrettanto forti sinergie artistiche. - la compagnia gioco: un ensemble può essere forte se regolato da dinamiche ludiche. Il gioco, nella professione dell’attore, è fondamentale. Se i giocatori (gli attori) non «adempiono» semplicemente alle regole stabilite, ma giocano davvero, l’energia positiva, il feeling tra i membri dell’ensemble e la voglia di superarsi aumentano. Nella compagnia gioco è costante la creazione di propri mondi e linguaggi. 13 - la compagnia studio: a partire da Konstantin Stanislavskij fino a Jerzy Grotowski, Lev Dodin ed Anatoly Vasiliev, il concetto di teatro-scuola vive ancor oggi nella pedagogia teatrale e per l’appunto, nelle compagnie studio. Qui, possiamo dire in maniera piuttosto semplicistica, il regista diventa insegnante e gli attori diventano studenti. Questo cambio di posizioni modifica completamente l’approccio al lavoro. Viene data considerevole importanza alle prove autonome degli attori; tutti gli attori studiano e provano tutti i ruoli; tutti sono ugualmente importanti all’interno dell’ensemble; tutti devono impegnarsi per creare materiale artistico da condividere con l’ensemble; si ha inevitabilmente l'opportunità di implementare la ricerca e la sperimentazione3. La compagnia studio è, 3 l’homepage del sito web della Scuola d’Arte Drammatica di Mosca riporta: «Il teatro-scuola creato da Anatoly Vasiliev è un modello unico di teatro dal punto di vista 14 dunque, in poche parole, un fervido ed inarrestabile “teatro-laboratorio”, la cui parola d’ordine è work in progress. - la compagnia cerchio: possiamo immaginare uno spettacolo «come un cerchio chiuso, al cui centro si trovano forze centripete – il regista, l’artista, il compositore dello spettacolo. Gli attori, i partecipanti dello spettacolo, è come se delimitassero il cerchio dello spettacolo. Ognuno di loro con il proprio ruolo rappresenta una forza centrifuga ed è come se cercasse di sfuggire alla circonferenza naturalmente delimitata. I grandi attori e registi [..] a volte sfuggono anche allo spettacolo. [..] Solo un interrelazione organica tra gli attori (le forze centrifughe) e la regia (le forze centripete) può creare un vero, completo, cerchio chiuso – lo artistico, intellettuale, professionale ed etico. Il concetto di un "teatro-laboratorio" dà l'opportunità di implementare la ricerca e la sperimentazione.» 15 spettacolo».4 L’immagine del cerchio è certamente più democratica e meno gerarchizzante rispetto alla classica piramide al cui vertice regna l’insindacabile opera del regista; inoltre, rimanda all’immagine dell’insieme matematico (che rappresenterà in questo caso ancora una volta l’ensemble), composto da molteplici punti (i membri dell’ensemble) tutti ugualmente utili e indispensabili, senza i quali il cerchio (lo spettacolo) rischia di restare mutilato. 4queste sono le parole di Solomon Michajlovič Michoėls (Dvinsk, 16 marzo 1890 – Minsk, 12-13 gennaio 1948), attore e regista russo di religione ebraica. Fondò a Mosca negli anni Venti il GOSET, il Teatro Nazionale Ebraico. 16 Figura 6. Jurij L. Alschitz, autore del Teatro senza regista 3. Come fare gruppo: dinamiche e problematiche dell’ensemble 17 Innanzitutto dobbiamo ricordare che nella conduzione di un ensemble stiamo prima di tutto lavorando con delle persone, della «materia umana» costituita non solo dal corpo/voce degli attori, ma anche dal bagaglio delle loro esperienze professionali e di vita pregresse, dalla loro personalità sociale ed artistica e non ultimo, dal loro attuale stato emotivo. Quest’ultimo, che qui banalmente definiremo umore, può essere forse reputata la causa principale delle problematiche di un ensemble. Ogni attore o regista, una volta terminato il proprio lavoro, come ogni essere umano vive la sua esistenza fatta di «complicazioni, incidenti impreveduti e imprevedibili»5, per dirla con le parole di Mario Soldati. Lavorare con le proprie emozioni è uno dei compiti più difficile per il professionista del teatro. Bisogna dunque cercare di mettere da parte il proprio umore e catapultarsi in un nuovo mondo, una nuova vita: 5 da Mario Soldati, 24 ore in uno studio cinematografico (1935). 18 quella del ruolo, forse? Quella della compagnia? Quella dei propri sogni? Non è importante dare una risposta, purché questa nuova vita possa non scorrere «lentissima, esasperante, snervante, di interruzione in interruzione»6 e danneggiare oltre che il proprio lavoro, anche quello dei compagni di scena. A mio parere la medicina contro il «mal d’umore» è da ricercarsi nel bisogno di vita e nel bisogno di curiosità e conoscenza. Grave errore sarebbe credere solo nella vita scenica e vivere solo quella, come se là fuori non ci fosse nulla di cui tener conto. Vivere una vita fuori dalla scena completamente diversa dai ritmi e dai rituali di quella teatrale/professionale non è solo un’esigenza ma un piacevole esercizio d’ascolto per raccontare anche nel proprio teatro ciò che è di più lontano dal teatro stesso. Ecco perché per un attore o un regista diventa linfa vitale visitare il Battistero di Firenze, instaurare 6 da Mario Soldati, op. cit. 19 amicizie con allievi ufficiali dell’accademia aeronautica, mangiare cibo pakistano, ascoltare uno zio che legge una favola al nipotino. In altre parole, accumulare esperienze di vita, quante più possibili. Con queste parole, inevitabilmente, abbiamo già accennato al bisogno di curiosità e conoscenza: l’attore e il regista possono nutrire il proprio apparato non soltanto scoprendo opere d’arte, testi teatrali, filmografie interessanti, ma anche incuriosendosi per cose del mondo apparentemente molto lontane dal teatro. Sfogliare le pagine di un saggio sul comportamento dei delfini, giocare a pallacanestro, imparare alcuni accordi per suonare la chitarra, studiare fotografia; tutto, tutto, tutto può rientrare nel proprio deposito letterario, direbbe Boris Alekseevič Trigorin, il romanziere de Il gabbiano di Anton Čechov. D’altronde, non dimentichiamo che Anatoly Vasiliev, laureato in chimica, ha sfruttato le sue competenze per la realizzazione di alcuni suoi spettacoli e oggi è considerato uno delle figure guida del teatro occidentale. Come lui, molti altri 20 hanno intrapreso il percorso teatrale, servendosi anche di altro che non sia il teatro. Le problematiche dell’ensemble, però, non sono esclusivamente riconducibili all’umore: anche la personalità sociale e la personalità artistica possono influenzare negativamente il lavoro del gruppo. Con personalità sociale intendiamo la «personalità della persona» che abbiamo dinanzi a noi, adulta e formata dalle esperienze vissute. Vi invito a riflettere sugli indici di Myers-Briggs, formulati dalle due omonime psicologhe americane nel 1962. Ognuno di noi possiede tutti questi indici e per ogni coppia uno di questi sarà considerato dominante, l’altro recessivo: Estroversione (E)–(I) Introversione Sensitività (S)–(N) Intuizione Ragionamento (T)–(F) Sentimento Giudizio (J)–(P) Percezione 21 Ad esempio, un individuo ENTJ avrà una personalità tendenzialmente estroversa (latentemente introversa); si servirà di un apprendimento intuitivo, fatto di principi e schemi (meno basato su esperienze concrete, tipici dei sensitivi); agirà ragionando sulle possibili conseguenze delle sue azioni (piuttosto che su ciò che sente, prova); si servirà del giudizio, apparendo logico e desideroso di tenere tutto sotto controllo (e conseguentemente meno empatico e percettivo). Non vogliamo certamente discorrere di rilevazioni psicometriche: tuttavia, queste dicotomie si rivelano utili nel capire quanto una personalità possa influire sul lavoro dell’ensemble. Un fortissimo individuo E si rivela generalmente una potente risorsa per il gruppo e per il lavoro in scena, ma questa può anche diventare invadenza, eccesso istrionico, spudoratezza. L’eccesso di utilizzo di J da parte di un individuo che innatamente lo preferisce a P può irrigidire l’attore, farlo apparire arrogante, esageratamente resistente al cambiamento e restio all’apprendimento. 22 Un attore che faccia prevalere F può senz’altro essere più istintivo e più organico nel suo lavoro in scena, ma anche essere più facilmente portatore del «mal d’umore» di cui abbiamo parlato prima. Naturalmente, potremmo fare ancora altri numerosi esempi. Al di là di queste classificazioni piuttosto sterili, tenere sotto controllo e conoscere il più a fondo possibile come agiscono queste quattro dicotomie sulla personalità dell’attore aiuta chi conduce il gruppo nel rapportarsi con la materia umana dell’ensemble. Questo stesso discorso vale per la personalità artistica dell’attore, ossia la «personalità dell’autore-artista» costituita dall’insieme delle sue conoscenze ed esperienze professionali, la sua etica del lavoro, il personalissimo gusto artistico. La personalità artistica può differire molto dalla personalità sociale, pur essendo chiaramente inclusa in quest’ultima. Non è raro che una personalità sociale apparentemente “debole” nasconda una 23 carismatica personalità artistica, desiderosa di esprimersi. Alcune scuole di pensiero asseriscono che il regista debba obbligatoriamente mantenere un marcato distacco da quella che definisco personalità sociale e occuparsi esclusivamente della personalità artistica dell’attore. Non credo esista una scuola di pensiero giusta. Certamente esistono dinamiche nelle quali è meglio non interferire e di cui non occuparsi (soprattutto quelle che non interessano l’artista, a patto che non lo distraggano dai suoi obiettivi); altre, invece, nelle quali è assolutamente piacevole immergersi, condividendo parte della propria vita fuori dalla scena con i propri colleghi. La condizione ideale per il regista dovrebbe essere quella in cui è sempre possibile distinguere la personalità artistica dalla personalità sociale dei propri colleghi, in modo tale che non s’incrinino i rapporti con nessuna delle due. Ancora una volta, dunque, l’unica regola valida è appellarsi al proprio buon senso. 24 4. La leadership e la responsabilità Ogni ensemble necessita di una guida: il regista dirige una compagnia teatrale; il pedagogo 25 (l’insegnante) dirige la propria classe di allievi; il regista in veste di animatore culturale dirige un gruppo di ragazzi che sta per allestire uno spettacolo di fine anno. L’ensemble ideale non è dotato della sola leadership del regista, sulla cui responsabilità poggiano le intere sorti del prodotto finale, ma di tanti leader quanti sono i membri dell’ensemble. La leadership è importante per determinare chi conduce, chi guida il gruppo di attori. Anche all’interno del cast di attori c’è un leader riconosciuto, il quale attraverso il suo ruolo prende l’iniziativa e guida i compagni nella produzione di eventi in scena. Tradizionalmente, questo ruolo è ricoperto dal cosiddetto primo attore. Ad ogni modo, è sempre di vitale importanza sapere dove condurre l’ensemble. Quale azione deve compiere l’attore? Come può compierla con quello che ha? Come posso provocare la produzione di accadimenti in scena? In quale mondo voglio trasportare i miei attori? Quali suggestioni devo donare loro per aiutarli a 26 viaggiare con la fantasia? Quali direzioni voglio che non prenda il lavoro? Questi ed altri quesiti sono fondamentali per il leader, nelle cui mani non vi è soltanto potere ma soprattutto responsabilità. Quanto più il regista avrà un’idea chiara di quello che vorrà realizzare, tanto più potrà trasmetterla con facilità ai suoi attori. Il regista deve servire l’attore, così come l’attore deve servire il regista: si tratta sempre di uno scambio paritario. Entrambi sono responsabili nei confronti della creazione scenica che si apprestano ad allestire. Il ruolo del regista è comunque indispensabile per portare ordine alle cose: egli, come se fosse uno statista o un capitano d’industria, ha una visione complessiva dello spettacolo e delle risorse (umane e non) di cui dispone per poter realizzare il suo disegno. Egli interagisce non solo con gli attori ma con tutti lo staff della compagnia (elettricisti, drammaturgo, scenografi, truccatori, trovarobe, costumista, compositore, direttore di scena, ecc.) 27 ed è il punto di riferimento costante per tutte le loro azioni. Infine, ha il potere e la responsabilità di prendere le decisioni (specialmente le ultime, spesso le più importanti) e di apporre la firma autorale al suo lavoro. 5. I ruoli dell’ensemble 28 IL REGISTA: è la guida dell’ensemble. Punto di riferimento per tutti i membri del gruppo, ha partorito la visione dello spettacolo e cerca di realizzarla insieme ai suoi colleghi, conducendoli nel processo. Il regista è principalmente il direttore dello spettacolo (nell’accezione anglosassone del termine, director, ovvero responsabile del lavoro in scena degli attori), ma può trasformarsi occasionalmente in pedagogo, trainer e actor coach. GLI ATTORI: sono i giocatori, gli artisti che andranno a realizzare in scena con il loro corpo e la loro voce la visione del regista, non come meri esecutori ma bensì come autori capace di dare vita alla bozza morta e incolore rinchiusa nella mente del regista. I TECNICI: scenografi, apparatori, attrezzisti, decoratori, macchinisti, elettricisti, costumisti, truccatori, trovarobe e tutti coloro che fanno parte del comparto tecnico non sono da al di fuori del cerchio dello spettacolo. Grazie il loro 29 contributo, permettono che la visione dello spettacolo si realizzi appieno e la loro capacità di ascolto e risposta alle indicazioni date dal regista costituisce una risorsa indispensabile per completare il prodotto finale. I «PROMOTORI»: indichiamo con questa dicitura tutti coloro i quali concorrono alla promozione dello spettacolo, con l’obiettivo di attirare pubblico e far conoscere l’ensemble sul territorio. L’AUTORE: se un ensemble sta mettendo in scena il testo di un autore contemporaneo e ha la possibilità di rapportarsi direttamente con lui, anch’egli farà parte dell’ensemble, influenzando notevolmente (ad esempio può succedere che il drammaturgo e il regista siano la stessa persona) o marginalmente (se gli viene concessa poca o nessuna voce in capitolo) la creazione scenica. IL PUBBLICO: inevitabilmente, con la sua presenza, nasce il teatro. Inevitabilmente, con la 30 sua presenza, nasce lo spettacolo ed essendo il teatro una forma di comunicazione non mediata, l’interazione (a livelli più o meno diretti, evidenti) è sempre viva. Il pubblico, durante lo spettacolo, diventa così parte dell’ensemble, entrando anch’esso nel cerchio dello spettacolo. GALLERIA FOTOGRAFICA 31 «I ruoli dell’ensemble» Figura 7. I ruoli dell'ensemble: il regista o «primo spettatore». Figura 8. I ruoli dell'ensemble: gli attori. 32 Figura 9. I ruoli dell’ensemble: i tecnici. Figura 10. I ruoli dell’ensemble: l’autore. 33 Figura 11. I ruoli dell’ensemble: il pubblico. 34 6. L’ensemble nella società contemporanea A tutt’oggi il concetto di ensemble permane a più livelli: nella scuola, nello sport, nella politica, nelle aziende, in gran parte delle arti performative. Qui di seguito viene proposta una serie di esempi di ensemble diversi da quello teatrale: 1) Le classi appartenenti a scuole d’ogni ordine e grado, ad esempio, sono degli ensemble: anch’essi sono dotati di una guida (il maestro, il professore, l’insegnante di sostegno, ecc.), impegnati a mettere in atto con i propri discenti un processo di crescita nel quale sono coinvolti anche loro in prima persona; 2) Una squadra di calcio è guidata dall’allenatore, il quale dispone di un grande staff per competere all’interno del campionato: ogni membro dell’ensemble ricopre un ruolo diverso (portiere, attaccante, preparatore dei portieri, 35 massaggiatore, ecc.), con il quale ha occasione di valorizzate le sue abilità e di contribuire ai risultati della propria squadra; 3) In tutte le altre arti performative (corpo di ballo, artisti circensi, banda musicale, coro, sbandieratori, ecc.) l’idea di ensemble è contigua a quella teatrale: ascolto, studio, prove e cooperazione sono comandamenti imprescindibili per tutti gli artisti che lavorano in gruppo; 4) Nell’ambito della ricerca scientifica, i membri del team lavorano insieme per raggiungere un obiettivo comune (trovare una cura contro un male, sviluppare una determinata tecnologia digitale, ecc.), concorrendo ognuno secondo le proprie competenze professionali; 5) Ogni azienda è generalmente dotata di un «trascinatore» che ha pieni poteri nella gestione della società (presidente, amministratore delegato, dirigente, ecc.). I profitti e il conseguimento degli obiettivi di mercato sono dettati dal funzionamento di 36 ogni strato dell’ensemble (impiegati, segretari, responsabili marketing, fornitori, rappresentanti, ecc.); 6) Un partito politico controlla due ensemble: quello interno (costituito dai suoi membri, dal Segretario all’ultimo tesserato) e quello esterno (il bacino elettorale, e più estensivamente, l’intero popolo). Obiettivo di un partito è allargare il primo ensemble, conquistando nuovi potenziali adepti dal secondo. Le nuove forme di gestione della cosa pubblica cercando di far avvicinare o addirittura coincidere questi due ensemble: basti pensare alla democrazia partecipativa, all’e-democracy, al continuo affermarsi in tempi recentissimi di movimenti politici guidati dai cittadini fino alle semplici raccolte di firme per ottenere le consultazioni referendarie. 7) Una comunità nazionale è un ensemble: composto da un’impressionante moltitudine di membri (si va dalle poche migliaia di abitanti per i microstati fino al 37 miliardo di unità per nazioni come la Cina o l’India), è il regno della massima eterogeneità umana, le cui sorte sono affidate alla guida di un leader (Primo ministro, Presidente del Consiglio, monarca, Supremo Leader, ecc.) e di un’élite illuminata più o meno estesa (Senato, Camera dei Lord, Althing, Camera dei rappresentanti, ecc.), dotati di un potere assegnatogli più o meno democraticamente. Può essere considerata l’intera società umana un ensemble? Non esiste certamente una risposta a questa domanda, ciononostante gli studi compiuti dal sociologo canadese Erving Goffman ci offrono interessanti correlazioni tra teatro e società. Nella sua opera principale, il saggio intitolato La vita quotidiana come rappresentazione pubblicato nel 1959, egli adopera la metafora del teatro per raffigurare l’importanza delle azioni umane. Goffman indica che la vita è teatro e per argomentare questa sua tesi adopera per i suoi 38 studi un approccio definito «prospettiva drammaturgica». Prendendo in considerazione questa prospettiva, le particolari istituzioni della società - da quelle domestiche a quelle professionali - per essere studiate, sono metaforicamente analizzate come se fossero delle rappresentazioni teatrali dotate di attori che, dopo essersi preparati in un retroscena, recitano su una ribalta, di fronte ad un pubblico. Gruppi di individui che recitano sulla medesima ribalta formano degli ensemble di collaborazione, che cercano di proiettare verso il pubblico una determinata definizione della situazione. I camerieri di un ristorante, ad esempio, secondo l'approccio drammaturgico, di fronte ai loro clienti, s'impegnano continuamente per proiettare una definizione della situazione in cui loro, da buoni lavoratori, svolgono con attenzione e cortesia i loro compiti. D'altro canto, i clienti, tenderanno ad adottare delle strategie comportamentali volte a sottolineare il loro status, la loro educazione, ecc. È tuttavia probabile che il cameriere (l'attore), una volta abbandonata la ribalta (la sala dei clienti) e 39 raggiunto il retroscena (ad esempio la cucina) si impegni con i compagni del retroscena (i colleghi e i cuochi) in discorsi che non sarebbero appropriati di fronte ai clienti. Lo stesso potrebbe valere per i commenti che i clienti si scambiano sul personale del ristorante. Si tratta dunque di un approccio che si concentra sullo studio delle coalizioni tra attori o tra pubblico, sulle condizioni per la riuscita di una messa in scena, sui rischi delle rappresentazioni, sui passaggi che intercorrono tra il retroscena e la ribalta. Secondo Goffman, per di più, l'attore è in grado di scegliersi il palco e chi gli farà da "spalla" (teatralmente parlando; il compare, se vogliamo generalizzare), allo stesso modo in cui è libero di scegliere il costume di scena più adatto. Lo scopo principale dell'attore è mantenere la coerenza espressiva, adattandosi ai differenti palcoscenici che gli vengono di volta in volta proposti. In queste interazioni, o per meglio dire rappresentazioni, i partecipanti possono essere simultaneamente attori e pubblico; gli attori di 40 solito tentano di far prevalere quelle immagini di loro stessi che li pongono favorevolmente in luce ed incoraggiano gli altri soggetti, in vario modo, ad accettare la loro definizione della situazione preferita. Ogni attore possiede uno status e ricopre perciò uno o più ruoli (ad esempio lo status di professore universitario, il quale comporta i ruoli di docente ordinario, ricercatore, collega, autore di pubblicazioni, membro del senato accademico dell’ateneo d’appartenenza, ecc.). Il termine ruolo deriva dal latino rotulus: anticamente gli attori, sul palco, leggevano le proprie battute da un foglio di carta arrotolato. Il termine rende bene l'idea della parte che ciascuno recita sulla scena della società, conformandosi alle aspettative ed alle regole stabilite. I ruoli sono sempre organizzati in sistemi di ruoli, che prevedono almeno due ruoli complementari tra loro (insegnante/allievo, madre/figlio ecc). La possibilità di previsione del comportamento in questi casi è reciproca, poiché ciascuno dei partecipanti al sistema di ruoli, 41 qualsiasi sia il ruolo interpretato in quel momento, conosce anche i comportamenti prescritti per gli altri ruoli, e può quindi sapere cosa sia lecito aspettarsi in risposta ai propri comportamenti, questo perché i sistemi di ruoli sono una parte importante della cultura condivisa da ogni gruppo sociale benché, ovviamente, possano essere diversi da gruppo a gruppo. Vi possono essere dei conflitti di ruolo quando una persona, per diverse ragioni, non può corrispondere alle aspettative del ruolo assegnato. Bisogna qui distinguere tra tensioni intra ruolo e tensioni inter ruolo. Le prime si riferiscono a conflitti che si generano al'interno dello stesso ruolo ad esempio quello di docente che prevede sia la capacità di trasmettere determinate conoscenze o abilità sia un distacco affettivo nei confronti dell'allievo. Le tensioni inter ruolo si scatenano quando i vari ruoli che un individuo interpreta sono per qualche ragione in contrasto tra loro. Ad esempio una persona può assumere il ruolo di genitore, figlio, marito, imprenditore, militante di un partito politico e 42 non riuscire, banalmente, ad avere il tempo di dedicarsi come vorrebbe e come ci si aspetterebbe da lui a queste attività. Leggendo le parole di Goffman, non viene spontaneo chiedersi se stiamo parlando di teatro o di vita? E se non ci fosse alcuna differenza? 43 7. Alcuni esercizi d’«insieme» Numerose pratiche vengono adottate dai trainer di tutto il mondo che conducono un ensemble, ognuna con peculiarità e finalità diverse, mutuate dalle varie tradizioni e pedagogie teatrali sviluppatesi nel corso della storia. Le finalità principali del training sono quelle di «riscaldare» (preparare, allenare) l'apparato degli attori e creare affiatamento all'interno dell'ensemble. Esso, inoltre, ha la benefica e salvifica funzione di «ricaricare gli attori di fiducia nel proprio potenziale artistico, riscattandoli dalla gravosa responsabilità degli errori»7. Qui descriverò di seguito tre esercizi «d'insieme», che costituiscono solo una piccolissima parte delle possibilità di conduzione di cui un trainer dispone. M Jurij Alschitz, Teatro senza regista (2007). 44 Il primo è un esercizio ideale per incominciare insieme la giornata di lavoro e mettere in attività il gruppo: il cosiddetto «buongiorno». Ereditato da un gruppo di attori semi-dilettanti giapponesi, consiste nello scambiarsi questo saluto con tutti i membri dell'ensemble (incontrando ognuno di loro massimo tre volte) e occupando lo spazio scenico. Non si tratta di un semplice saluto di circostanza, ma di una pratica nella quale ci si augura davvero di svolgere un buon lavoro e con la quale «quasi ci si purifica dalla polvere della vita prima di mettere piede sulla scena dello studio»8. Solitamente, questo esercizio può evolversi inserendo queste altre pratiche: a) presentarsi stringendosi la mano; b) abbracciarsi; c) baciarsi; d) darsi uno schiaffo; e) trovare altre modalità di saluto; f) riconoscersi a distanza e incontrarsi saltando insieme e battendo il cinque; g) scegliere come salutare il proprio compagno e rispondere al suo saluto in modo che non M Jurij Alschitz, op. cit. 45 corrisponda a quello ricevuto: ad esempio, se si riceve uno schiaffo, si può rispondere con un abbraccio. Nulla ovviamente impedisce di trovare ulteriori evoluzioni a questo e a tutti gli altri esercizi di cui parleremo. Citiamo ora un altro esercizio, il quale, come molti altri, durante il suo svolgimento è interamente privo dell'uso della parola. Questa tipologia di esercizi è particolarmente efficace perché «senza parlare, bisogna trovare un accordo. Questi esercizi [..] possono anche aiutare a risolvere i problemi umani che sorgono all'interno della compagnia, [..] unire i compagni e riconciliare i nemici.»9 L'esercizio in questione è chiamato «maratona». a) occupando tutto lo spazio, gli attori sperimentano varie velocità, codificate in una scala che va da 1 (movimento lentissimo, molto simile al ralenti) a 10 (corsa forsennata). 9 Jurij Alschitz, op. cit. 46 b) vengono stabilite una o più composizioni numeriche di velocità (ad esempio una di queste potrebbe essere 4-7-2-9), durante le quali gli attori devono rispettare le velocità indicate e passare da un livello all'altro insieme. Essi devono lavorare costantemente in ensemble, affinché tutti insieme spingano per il cambio (proprio come avviene nell'acting). c) si può dotare gli attori di compiti aggiuntivi come: scambiarsi durante le composizioni palline da tennis, individuare partner con cui compiere determinate azioni, individuare una o più sedie da occupare, ecc. d) così come di comune accordo bisogna partire in ensemble, allo stesso modo bisogna terminare l'esercizio. Ecco perché è facile comprendere quanto in questi esercizi sia importante l'attenzione per il LNV10, con una menzione particolare al ruolo giocato dagli occhi. ¹º il linguaggio non verbale (LNV) è quella componente della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo relativi alla sfera del linguaggio del 47 A proposito degli occhi possiamo dire che essi sono i protagonisti di un altro esercizio, l’ultimo che qui esporremo, il «cerchio finale» o «un passo dal cerchio»: a) tutti si mettono in cerchio, stringendosi le mani; b) stabilire un contatto tra tutti i membri; c) chi conduce chiederà ad un dato segnale se fare un passo avanti, uno indietro o restare fermi; oppure, potrà chiedere di scegliere quale parola pronunciare tra due o tre opzioni. Il raggiungimento di un comune accordo prima dell’arrivo del segnale determinerà il successo dell’esercizio, generalmente praticato come rituale finale del training. corpo, i quali hanno un pesante impatto su ciò che percepiamo in un messaggio (circa il 55%). I principali territori d'indagine del LNV sono la mimica facciale, i movimenti degli occhi, la gesticolazione, la postura, il tatto e la prossemica. 48 8. L’etica professionale Credo che l'etica nel lavoro dell'attore e del regista all’interno di un ensemble debba partire dal rispetto reciproco, innanzitutto come individui. Il rispetto è indispensabile perché l’ensemble non è solo un insieme di individui qualsiasi, ma è un gruppo di persone che lavorano per una creazione artistica comune. Conseguentemente, al di là dell'impossibilità di avere rapporti interpersonali eccellenti con ogni membro dell’ensemble, il fine superiore (ovvero la creazione artistica stessa) deve provocare il bisogno di dialogo umano/artistico. E' perciò necessario scontrarsi, per arrivare poi ad un incontro, una risoluzione, un accordo. E' naturalmente auspicabile lavorare in un gruppo composto da persone amiche tra di loro, prive di particolari attriti e rancori; tuttavia, raramente ciò è possibile e non sempre solide amicizie e relazioni si sposano con un’etica professionale altrettanto forte. 49 Inoltre, reputo un secondo principio molto importante: l'apertura al cambiamento. Affrontare le sessioni di prove con persone dalle formazioni artistiche completamente diverse, con registi che utilizzano approcci al lavoro a noi sconosciuti, ensemble di culture lontane dalla nostra, creare e discutere in spazi e tempi inusuali da quelli a cui siamo abituati implica certamente delle difficoltà, pone delle sfide. Per affrontarle è sempre necessario sacrificare parte di se stessi, aprendosi al cambiamento e alla scoperta dell’altro e del suo lavoro. Questo scambio, secondo me, costituirà quasi certamente nuova ricchezza, nuova conoscenza. I nostri pregiudizi rischiano di ottenebrarci, chiudere i nostri occhi, impedendoci di vedere queste nuove luci. Ancora una volta, ciò che deve guidare questi cambiamenti è l'obiettivo comune. Non dimentichiamo, infine, quanto sia essenziale tener conto anche del linguaggio: le parole, così come nella vita, sono importanti anche per chi fa teatro. Capirsi e cercare un linguaggio il più possibile condiviso sono una strada ottimale da 50 percorrere sia per comprendersi in quanto esseri umani che stanno vivendo un'esperienza comune, sia per intendersi nel lavoro in scena in qualità di «artigiani» ansiosi di dare forma al proprio spettacolo. Qui di seguito riporto un decalogo delle dieci qualità principali di cui un membro dell’ensemble a mio parere dovrebbe disporre: 1. Rispetto 2. Umiltà 3. Umanità 4. Propensione al lavoro 5. Propensione allo scambio 6. Autonomia dal regista 7. Fiducia nel regista 8. Energia 9. Serenità 10. Leggerezza 51 9. L'impresa teatrale Nel XXI secolo non possiamo non coniugare l'idea di compagnia con quella di impresa teatrale, ovvero un'azienda impegnata nel produrre e distribuire prodotti culturali (gli spettacoli) e appartenente alla più generale sfera dell'industria dello spettacolo, così come fa una casa di produzione cinematografica, un'etichetta discografica, un'emittente televisiva. La compagnia, dunque, non si deve perciò poggiare solo sullo spirito e sulla ritualità (componenti fondamentali del mestiere) ma anche sull'efficienza, sulla professionalità e sulla capacità di portare profitti per mantenere in funzione l'intera impresa, composta non solo dagli attori e dal regista, ma da tutti coloro i quali concorrono alla realizzazione del prodotto finale.11 ¹¹ vedi il paragrafo 5 (I ruoli dell'ensemble). 52 Se la compagnia dispone di mezzi sufficienti per delegare le attività di promozione e distribuzione dello spettacolo a personalità competenti, può esclusivamente occuparsi della creazione artistica. Nei tempi che corrono però, difficilmente questo è possibile. L'artista perciò deve trasformarsi in promotore e distributore dello spettacolo: in poche parole, deve essere imprenditore di se stesso. A tal proposito, non è di minor importanza formarsi in tal senso, studiando le tecniche di vendita e il tessuto burocratico-legislativo in cui l’operatore dello spettacolo deve muoversi. Spesso questo genere di attività viene snobbato o addirittura detestato perché costituisce quanto di più materiale e meno artistico vi possa essere nell’esercizio della professione. Non sono d’accordo con questo per due ragioni: 1) al di là del groviglio di carte da compilare e di normative da conoscere accennate sopra, la promozione di uno spettacolo può divenire anche un atto creativo. Sapersi proporre sul mercato con un novus rispetto 53 all’offerta teatrale del territorio, curare la comunicazione della compagnia, progettare le locandine, curare l’estetica dei propri canali web, scegliere le parole giuste per presentare i propri plus appartengono sì al mondo dell’uomo di mercato, ma anche a quello dell’artista. Ritengo che la pubblicità, se elaborata da menti sapienti e con la dovuta cura, è a tutti gli effetti una forma d’arte finalizzata alla vendita di un prodotto. In questo differisce forse dalle altre arti? Un quadro non viene venduto allo stesso modo? Una scultura? Un album? La differenza sostanziale sta nel fatto che la pubblicità è un tramite nella vendita di un prodotto; nel caso del quadro o dell’album è il prodotto stesso a volersi far acquistare, senza tramiti. Non dimentichiamo che anche lo spettacolo, proprio mentre vive davanti agli occhi degli spettatori, fa pubblicità di sé e dei suoi realizzatori. 2) non si può vivere di sola arte. Nel mondo del XXI secolo, così soggetto a continui e repentini cambiamenti sociali e tecnologici, 54 il teatro e le sue modalità di promozione non possono che rinnovarsi per continuare a vivere ed interessare i possibili target (le varie tipologie di pubblico). Se non si rincorre il cambiamento, si resta indietro e si resta soli. La sola arte resta sola, sconosciuta e relegata nella prigione o nella gabbia dorata (a seconda dei casi) dell’autoreferenzialità, uno dei principali nemici del teatro. 55 10. Conclusioni: l'ensemble ideale Tutti, dal drammaturgo allo spettatore, hanno una propria personalissima idea di teatro. Il regista ha senz'altro nella sua mente un'utopia, un sogno di ensemble con il quale vorrebbe lavorare. Mi piacerebbe rapportarmi con persone da stimare prima di tutto come uomini: come ho già scritto, per lavorare insieme bisogna partire dal rispetto reciproco. Inutile aggiungere che vorrei con me persone talentuose, volenterose, dotate di una certa sensibilità, aiutandomi nella costruzione di una visione dapprima partorita dalla mia mente e poi condivisa con tutti, sempre pronta a trasformarsi, rimodellarsi, essere messa in discussione. Vorrei avere quella che definirei «base trainante»: ovvero un gruppo di 4-5 attori che costituiscano un nucleo importante, il quale, di volta in volta, può essere allargato a persone sempre nuove. 56 Vorrei avere uno staff tecnico stabile: individui dal sangue freddo di cui posso fidarmi, indipendentemente dallo spettacolo che sto andando a realizzare e che aiutino me e il gruppo a creare con le loro competenze ciò di cui lo spettacolo necessita (luci, costumi, scenografia, ecc.). Con il mio ensemble non vorrei mai mettere in scena due spettacoli di seguito dello stesso autore, che affrontino tematiche simili, risalenti alla stessa epoca e con cast del tutto identici. Questa dovrebbe essere una sorta di legge che porti ad un’automatica ricerca di rinnovamento costante. Mi piacerebbe toccare con il mio gruppo ogni angolo del mondo, possibilmente facendo teatro il meno possibile nei teatri. Vorrei portare nel nostro teatro i bambini, i ragazzi, gli anziani. Vorrei, come propugna Kostja ne Il gabbiano, offrire «nuove forme» al pubblico: lavorare in teatro seguendo l’evoluzione del cinema e di Internet; mettere in scena opere di fantascienza (un romanzo di Philip K. Dick o un racconto di 57 Isaac Asimov, per esempio); realizzare nella mia vita almeno uno spettacolo interamente in pausa, che possibilmente racconti la storia di una famiglia nell’arco di 50-70 anni; vorrei fare assolutamente del «teatro civile» lanciando dei messaggi al popolo non tramite la morale dei personaggi ma per mezzo delle domande che possono scaturire dalla visione dello spettacolo; portare molto non-sense e surreale in scena; mettere in scena opere realizzate tramite un processo di scrittura collettiva; conoscere meglio le tradizioni teatrali diverse da quella occidentale, per carpirne qualche piccolo segreto e rubarne qualcosa per il nostro teatro. Molte sono le idee, i progetti. Una è la realtà con cui bisogna scontrarsi. Nel XXI secolo, dominato dalla razionalità delle macchine e dall’irrazionalità degli uomini, tutto il teatro dovrà avere il coraggio di sognare. 58 11. Bibliografia 1) Dizionario Treccani, edizione digitale, 2013 2) Jurij L. Alschitz, Teatro senza regista, 3) 4) 5) 6) 7) 8) Titivillus, 2007 Jurij L. Alschitz, La verticale del ruolo, European Association for Theatre Culture, 2003 Mario Soldati, 24 ore in uno studio cinematografico, Corticelli, 1935 Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, 1969 Erving Goffman, Il rituale dell’interazione, Il Mulino, 1988 Erving Goffman, Il comportamento in pubblico, Einaudi, 2002 Isabel Myers-Briggs, Gifts Differing: Understanding Personality Type, Davies Black Publishing, 1980 59