1. Che cos`è l`ensemble

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International Theatre Academy of the Adriatic
SCUOLA TRIENNALE PER ATTORI E REGISTI
TESI DI DIPLOMA
IN
REGIA TEATRALE
COSTRUIRE L’ENSEMBLE
Nascita, vita e fine della più
affascinante creatura teatrale
Triennio:
Allievo regista:
2
2010-2013
Davide Abbatescianni
Anno Accademico 2012/2013
Indice
1. Che cos’è l’ensemble
2. Le tipologie d’ensemble
3. Come «fare gruppo»: dinamiche e problematiche
dell’ensemble
4. La leadership e la responsabilità
5. I ruoli dell’ensemble
6. L’ensemble nella società contemporanea
7. Alcuni esercizi «d’insieme»
8. L’etica professionale
9. L’impresa teatrale
10. Conclusioni: l’ensemble ideale
11. Bibliografia
3
«Per me il posto ideale, l’ho già detto tante volte, è il
Teatro 5 di Cinecittà, vuoto. Ecco, l’emozione assoluta, da
brivido, da estasi, è quella che provo di fronte al teatro
vuoto: uno spazio da riempire, un mondo da creare.»
(Federico Fellini, Intervista sul cinema)
4
1. Che cos’è l’ensemble
Il dizionario1 attribuisce i seguenti significati alla
parola ensemble:
ensemble ‹ãsã′bl›
s.
m.,
[dall’avv. ensemble «insieme»,
che
lat. insĭmul (ha
cioè
lo
stesso
dell’ital. insieme)].
fr.
è
il
etimo
–
1. Gruppo di persone che collaborano per un
risultato
d’insieme.
In
particolare:
a. Complesso musicale in cui perde spicco la
personalità di ciascuno degli esecutori perché
1
definizione tratta dall’edizione digitale del Dizionario
Treccani 2013.
5
risulti più perfetta l’armonia dell’insieme: un
e. vocale, strumentale.
b. Gruppo di cantori, suonatori, danzatori
rappresentativi delle tradizioni e del folclore di
un
paese.
2. Nel linguaggio della moda, abito completo da
uomo o da donna, fatto di due (o più) pezzi
della stessa stoffa o anche coordinati (in
ital., insieme o completo).
3. In meccanica statistica, con riferimento a un
sistema termodinamico, l’insieme pensato
come costituito da più repliche del sistema,
tutte nello stesso stato macroscopico
individuato da valori fissati delle variabili
termodinamiche
(temperatura,
pressione,
volume, costituzione chimica, ecc.), ma in
generale
differenti
per
configurazione
microscopica.
Dunque, la parola ensemble significa «insieme».
Escludendo il significato 3 di chiara matrice
scientifica, i significati 1 (a-b) e 2 ben si confanno
a ciò che in teatro s’intende per ensemble.
Il significato 1 parla di un «gruppo di persone che
collabora per un risultato d’insieme»: che cos’è
6
un ensemble se non un gruppo di artisti che
lavora per realizzare una creazione artistica
comune?
La definizione a e b, pur facendo riferimento
rispettivamente all’ambito musicale e a quello
della tradizione folcloristica, contengono alcuni
principi condivisi anche dal teatro: la definizione
a sottolinea la priorità che lo spettacolo e la
storia che l’ensemble va a raccontare hanno
sempre sulle individualità artistiche presenti in
scena; nella definizione b, invece, evidenzia la
compresenza di individualità e talenti diversi
all’interno di un ensemble («cantori, suonatori,
danzatori»).
Un ensemble può nascere in molteplici
circostanze: ad esempio, l’incontro tra un gruppo
di attori e un regista; un gruppo di persone unite
da una comune idea di teatro; allievi d’accademia
che lavorano insieme dopo aver completato gli
studi; i risultati dei provini per una nuova
produzione teatrale; le vicende di vita e teatro
che s’intrecciano inesorabilmente.
Non dimentichiamo, infine, che una classe di
allievi attori e registi che studiano in una scuola
di teatro, nel bene o nel male, è anch’essa un
ensemble: tuttavia, in questo caso le finalità
perseguite dal gruppo cambiano, guidate
7
dall’azione del pedagogo. Non è il prodotto finale
(una performance, uno spettacolo, ecc.) ad essere
l’obiettivo principale del gruppo, ma bensì la
propria crescita artistica e l’acquisizione di
un’etica necessaria allo svolgimento della futura
professione di attore o regista.
GALLERIA FOTOGRAFICA
«Gli ensemble nell’arte»
Figura 1. Un esempio di ensemble: la compagnia di Eimuntas
Nekrošius mette in scena la Divina Commedia.
8
Figura 2. Un esempio di ensemble: un gruppo di sbandieratori.
Figura 3. Un esempio di ensemble: il balletto.
9
Figura 4. Un esempio di ensemble: il set cinematografico.
Figura 5. Un esempio di ensemble: la classe. Nella foto, una lezione
di Peter Brook svoltasi a Roma, presso il Teatro Valle.
10
2. Le tipologie d’ensemble
La compagnia teatrale costituisce la naturale
evoluzione professionale del concetto di
ensemble: «arte e non solo arte, [..] qualcosa al
confine tra il teatro e la vita» scrive Jurij Alschitz2
2
Jurij Leonowitsch Alschitz (Odessa, 9 agosto 1947) è
un regista e teorico teatrale russo. Principalmente
conosciuto per aver elaborato il metodo di
autopreparazione per attori noto con il nome di verticale
11
nel suo saggio Teatro senza regista. Come se fosse
un essere vivente, la compagnia nasce, vive e
muore.
Nel testo sopraccitato, Alschitz teorizza cinque
principali tipologie di compagnie teatrali.
Tuttavia, credo sarebbe più corretto parlare di
indirizzi o condizioni, in quanto queste definizioni
non hanno carattere esclusivo e limitante (una
compagnia può abbracciarne anche più d’una),
né certamente hanno l’insensata pretesa di
categorizzare ogni compagnia esistente secondo
uno schema prefissato.
Eccole descritte brevemente qui di seguito:
- la compagnia giardino: come un giardino
giapponese ricco di irripetibili bellezze
naturali, il regista deve considerare ogni
suo attore «un’opera d’arte unica e
speciale». Nella compagnia giardino i
singoli talenti degli attori sono valorizzati
ed emergono: il regista non impone il
proprio pensiero, ma fornisce gli strumenti
del ruolo, svolge la sua opera di pedagogia teatrale in
tutto il mondo.
12
e il supporto adeguati perché l’attore possa
esprimersi liberamente.
- la compagnia harakiri: con questa
espressione si indica l’esperienza di una
compagnia potenzialmente fallimentare.
Ciò può avvenire se il regista non ha una
chiara idea della sua guida da trasmettere
agli attori; se ci si riunisce accomunati dalla
sola idea di fare «teatro contro»; se si
considera ovvio che laddove nella vita ci
siano legami forti tra i membri di un
gruppo ci debbano necessariamente essere
altrettanto forti sinergie artistiche.
- la compagnia gioco: un ensemble può
essere forte se regolato da dinamiche
ludiche. Il gioco, nella professione
dell’attore, è fondamentale. Se i giocatori
(gli
attori)
non
«adempiono»
semplicemente alle regole stabilite, ma
giocano davvero, l’energia positiva, il
feeling tra i membri dell’ensemble e la
voglia di superarsi aumentano. Nella
compagnia gioco è costante la creazione di
propri mondi e linguaggi.
13
- la compagnia studio: a partire da
Konstantin Stanislavskij fino a Jerzy
Grotowski, Lev Dodin ed Anatoly Vasiliev, il
concetto di teatro-scuola vive ancor oggi
nella pedagogia teatrale e per l’appunto,
nelle compagnie studio. Qui, possiamo dire
in maniera piuttosto semplicistica, il regista
diventa insegnante e gli attori diventano
studenti. Questo cambio di posizioni
modifica completamente l’approccio al
lavoro.
Viene
data
considerevole
importanza alle prove autonome degli
attori; tutti gli attori studiano e provano
tutti i ruoli; tutti sono ugualmente
importanti all’interno dell’ensemble; tutti
devono impegnarsi per creare materiale
artistico da condividere con l’ensemble; si
ha inevitabilmente l'opportunità di
implementare
la
ricerca
e
la
sperimentazione3. La compagnia studio è,
3
l’homepage del sito web della Scuola d’Arte Drammatica
di Mosca riporta: «Il teatro-scuola creato da Anatoly
Vasiliev è un modello unico di teatro dal punto di vista
14
dunque, in poche parole, un fervido ed
inarrestabile “teatro-laboratorio”, la cui
parola d’ordine è work in progress.
- la
compagnia
cerchio:
possiamo
immaginare uno spettacolo «come un
cerchio chiuso, al cui centro si trovano
forze centripete – il regista, l’artista, il
compositore dello spettacolo. Gli attori, i
partecipanti dello spettacolo, è come se
delimitassero il cerchio dello spettacolo.
Ognuno di loro con il proprio ruolo
rappresenta una forza centrifuga ed è come
se cercasse di sfuggire alla circonferenza
naturalmente delimitata. I grandi attori e
registi [..] a volte sfuggono anche allo
spettacolo. [..] Solo un interrelazione
organica tra gli attori (le forze centrifughe)
e la regia (le forze centripete) può creare
un vero, completo, cerchio chiuso – lo
artistico, intellettuale, professionale ed etico. Il concetto
di un "teatro-laboratorio" dà l'opportunità di
implementare la ricerca e la sperimentazione.»
15
spettacolo».4 L’immagine del cerchio è
certamente più democratica e meno
gerarchizzante rispetto alla classica
piramide al cui vertice regna l’insindacabile
opera del regista; inoltre, rimanda
all’immagine dell’insieme matematico (che
rappresenterà in questo caso ancora una
volta l’ensemble), composto da molteplici
punti (i membri dell’ensemble) tutti
ugualmente utili e indispensabili, senza i
quali il cerchio (lo spettacolo) rischia di
restare mutilato.
4queste
sono le parole di Solomon Michajlovič Michoėls
(Dvinsk, 16 marzo 1890 – Minsk, 12-13 gennaio 1948),
attore e regista russo di religione ebraica. Fondò a Mosca
negli anni Venti il GOSET, il Teatro Nazionale Ebraico.
16
Figura 6. Jurij L. Alschitz, autore del Teatro senza regista
3. Come fare gruppo: dinamiche
e problematiche dell’ensemble
17
Innanzitutto dobbiamo ricordare che nella
conduzione di un ensemble stiamo prima di tutto
lavorando con delle persone, della «materia
umana» costituita non solo dal corpo/voce degli
attori, ma anche dal bagaglio delle loro
esperienze professionali e di vita pregresse, dalla
loro personalità sociale ed artistica e non ultimo,
dal loro attuale stato emotivo.
Quest’ultimo, che qui banalmente definiremo
umore, può essere forse reputata la causa
principale delle problematiche di un ensemble.
Ogni attore o regista, una volta terminato il
proprio lavoro, come ogni essere umano vive la
sua
esistenza
fatta
di
«complicazioni,
incidenti impreveduti e imprevedibili»5, per dirla
con le parole di Mario Soldati. Lavorare con le
proprie emozioni è uno dei compiti più difficile
per il professionista del teatro. Bisogna dunque
cercare di mettere da parte il proprio umore e
catapultarsi in un nuovo mondo, una nuova vita:
5
da Mario Soldati, 24 ore in uno studio cinematografico
(1935).
18
quella del ruolo, forse? Quella della compagnia?
Quella dei propri sogni?
Non è importante dare una risposta, purché
questa nuova vita possa non scorrere
«lentissima,
esasperante,
snervante,
di
interruzione in interruzione»6 e danneggiare
oltre che il proprio lavoro, anche quello dei
compagni di scena.
A mio parere la medicina contro il «mal d’umore»
è da ricercarsi nel bisogno di vita e nel bisogno di
curiosità e conoscenza.
Grave errore sarebbe credere solo nella vita
scenica e vivere solo quella, come se là fuori non
ci fosse nulla di cui tener conto. Vivere una vita
fuori dalla scena completamente diversa dai
ritmi e dai rituali di quella teatrale/professionale
non è solo un’esigenza ma un piacevole esercizio
d’ascolto per raccontare anche nel proprio teatro
ciò che è di più lontano dal teatro stesso. Ecco
perché per un attore o un regista diventa linfa
vitale visitare il Battistero di Firenze, instaurare
6
da Mario Soldati, op. cit.
19
amicizie con allievi ufficiali dell’accademia
aeronautica, mangiare cibo pakistano, ascoltare
uno zio che legge una favola al nipotino. In altre
parole, accumulare esperienze di vita, quante più
possibili.
Con queste parole, inevitabilmente, abbiamo già
accennato al bisogno di curiosità e conoscenza:
l’attore e il regista possono nutrire il proprio
apparato non soltanto scoprendo opere d’arte,
testi teatrali, filmografie interessanti, ma anche
incuriosendosi
per
cose
del
mondo
apparentemente molto lontane dal teatro.
Sfogliare le pagine di un saggio sul
comportamento
dei
delfini,
giocare
a
pallacanestro, imparare alcuni accordi per
suonare la chitarra, studiare fotografia; tutto,
tutto, tutto può rientrare nel proprio deposito
letterario, direbbe Boris Alekseevič Trigorin, il
romanziere de Il gabbiano di Anton Čechov.
D’altronde, non dimentichiamo che Anatoly
Vasiliev, laureato in chimica, ha sfruttato le sue
competenze per la realizzazione di alcuni suoi
spettacoli e oggi è considerato uno delle figure
guida del teatro occidentale. Come lui, molti altri
20
hanno intrapreso il percorso teatrale, servendosi
anche di altro che non sia il teatro.
Le problematiche dell’ensemble, però, non sono
esclusivamente riconducibili all’umore: anche la
personalità sociale e la personalità artistica
possono influenzare negativamente il lavoro del
gruppo.
Con
personalità
sociale
intendiamo
la
«personalità della persona» che abbiamo dinanzi
a noi, adulta e formata dalle esperienze vissute.
Vi invito a riflettere sugli indici di Myers-Briggs,
formulati dalle due omonime psicologhe
americane nel 1962.
Ognuno di noi possiede tutti questi indici e per
ogni coppia uno di questi sarà considerato
dominante, l’altro recessivo:
Estroversione (E)–(I) Introversione
Sensitività (S)–(N) Intuizione
Ragionamento (T)–(F) Sentimento
Giudizio (J)–(P) Percezione
21
Ad esempio, un individuo ENTJ avrà una
personalità
tendenzialmente
estroversa
(latentemente introversa); si servirà di un
apprendimento intuitivo, fatto di principi e
schemi (meno basato su esperienze concrete,
tipici dei sensitivi); agirà ragionando sulle
possibili conseguenze delle sue azioni (piuttosto
che su ciò che sente, prova); si servirà del
giudizio, apparendo logico e desideroso di tenere
tutto sotto controllo (e conseguentemente meno
empatico e percettivo).
Non vogliamo certamente discorrere di
rilevazioni psicometriche: tuttavia, queste
dicotomie si rivelano utili nel capire quanto una
personalità
possa
influire
sul
lavoro
dell’ensemble. Un fortissimo individuo E si rivela
generalmente una potente risorsa per il gruppo e
per il lavoro in scena, ma questa può anche
diventare
invadenza,
eccesso
istrionico,
spudoratezza. L’eccesso di utilizzo di J da parte di
un individuo che innatamente lo preferisce a P
può irrigidire l’attore, farlo apparire arrogante,
esageratamente resistente al cambiamento e
restio all’apprendimento.
22
Un attore che faccia prevalere F può senz’altro
essere più istintivo e più organico nel suo lavoro
in scena, ma anche essere più facilmente
portatore del «mal d’umore» di cui abbiamo
parlato prima.
Naturalmente, potremmo fare ancora altri
numerosi esempi.
Al di là di queste classificazioni piuttosto sterili,
tenere sotto controllo e conoscere il più a fondo
possibile come agiscono queste quattro
dicotomie sulla personalità dell’attore aiuta chi
conduce il gruppo nel rapportarsi con la materia
umana dell’ensemble.
Questo stesso discorso vale per la personalità
artistica dell’attore, ossia la «personalità
dell’autore-artista» costituita dall’insieme delle
sue conoscenze ed esperienze professionali, la
sua etica del lavoro, il personalissimo gusto
artistico.
La personalità artistica può differire molto dalla
personalità sociale, pur essendo chiaramente
inclusa in quest’ultima.
Non è raro che una personalità sociale
apparentemente
“debole”
nasconda
una
23
carismatica personalità artistica, desiderosa di
esprimersi.
Alcune scuole di pensiero asseriscono che il
regista debba obbligatoriamente mantenere un
marcato distacco da quella che definisco
personalità sociale e occuparsi esclusivamente
della personalità artistica dell’attore.
Non credo esista una scuola di pensiero giusta.
Certamente esistono dinamiche nelle quali è
meglio non interferire e di cui non occuparsi
(soprattutto quelle che non interessano l’artista,
a patto che non lo distraggano dai suoi obiettivi);
altre, invece, nelle quali è assolutamente
piacevole immergersi, condividendo parte della
propria vita fuori dalla scena con i propri
colleghi.
La condizione ideale per il regista dovrebbe
essere quella in cui è sempre possibile
distinguere la personalità artistica dalla
personalità sociale dei propri colleghi, in modo
tale che non s’incrinino i rapporti con nessuna
delle due.
Ancora una volta, dunque, l’unica regola valida è
appellarsi al proprio buon senso.
24
4. La leadership e la
responsabilità
Ogni ensemble necessita di una guida: il regista
dirige una compagnia teatrale; il pedagogo
25
(l’insegnante) dirige la propria classe di allievi; il
regista in veste di animatore culturale dirige un
gruppo di ragazzi che sta per allestire uno
spettacolo di fine anno.
L’ensemble ideale non è dotato della sola
leadership del regista, sulla cui responsabilità
poggiano le intere sorti del prodotto finale, ma di
tanti leader quanti sono i membri dell’ensemble.
La leadership è importante per determinare chi
conduce, chi guida il gruppo di attori. Anche
all’interno del cast di attori c’è un leader
riconosciuto, il quale attraverso il suo ruolo
prende l’iniziativa e guida i compagni nella
produzione di eventi in scena. Tradizionalmente,
questo ruolo è ricoperto dal cosiddetto primo
attore.
Ad ogni modo, è sempre di vitale importanza
sapere dove condurre l’ensemble. Quale azione
deve compiere l’attore? Come può compierla con
quello che ha? Come posso provocare la
produzione di accadimenti in scena? In quale
mondo voglio trasportare i miei attori? Quali
suggestioni devo donare loro per aiutarli a
26
viaggiare con la fantasia? Quali direzioni voglio
che non prenda il lavoro?
Questi ed altri quesiti sono fondamentali per il
leader, nelle cui mani non vi è soltanto potere ma
soprattutto responsabilità.
Quanto più il regista avrà un’idea chiara di quello
che vorrà realizzare, tanto più potrà trasmetterla
con facilità ai suoi attori.
Il regista deve servire l’attore, così come l’attore
deve servire il regista: si tratta sempre di uno
scambio paritario. Entrambi sono responsabili nei
confronti della creazione scenica che si
apprestano ad allestire.
Il ruolo del regista è comunque indispensabile
per portare ordine alle cose: egli, come se fosse
uno statista o un capitano d’industria, ha una
visione complessiva dello spettacolo e delle
risorse (umane e non) di cui dispone per poter
realizzare il suo disegno.
Egli interagisce non solo con gli attori ma con
tutti lo staff della compagnia (elettricisti,
drammaturgo, scenografi, truccatori, trovarobe,
costumista, compositore, direttore di scena, ecc.)
27
ed è il punto di riferimento costante per tutte le
loro azioni.
Infine, ha il potere e la responsabilità di prendere
le decisioni (specialmente le ultime, spesso le più
importanti) e di apporre la firma autorale al suo
lavoro.
5. I ruoli dell’ensemble
28
IL REGISTA: è la guida dell’ensemble. Punto di
riferimento per tutti i membri del gruppo, ha
partorito la visione dello spettacolo e cerca di
realizzarla insieme ai suoi colleghi, conducendoli
nel processo. Il regista è principalmente il
direttore dello
spettacolo (nell’accezione
anglosassone del termine, director, ovvero
responsabile del lavoro in scena degli attori), ma
può trasformarsi occasionalmente in pedagogo,
trainer e actor coach.
GLI ATTORI: sono i giocatori, gli artisti che
andranno a realizzare in scena con il loro corpo e
la loro voce la visione del regista, non come meri
esecutori ma bensì come autori capace di dare
vita alla bozza morta e incolore rinchiusa nella
mente del regista.
I TECNICI: scenografi, apparatori, attrezzisti,
decoratori, macchinisti, elettricisti, costumisti,
truccatori, trovarobe e tutti coloro che fanno
parte del comparto tecnico non sono da al di
fuori del cerchio dello spettacolo. Grazie il loro
29
contributo, permettono che la visione dello
spettacolo si realizzi appieno e la loro capacità di
ascolto e risposta alle indicazioni date dal regista
costituisce una risorsa indispensabile per
completare il prodotto finale.
I «PROMOTORI»: indichiamo con questa dicitura
tutti coloro i quali concorrono alla promozione
dello spettacolo, con l’obiettivo di attirare
pubblico e far conoscere l’ensemble sul
territorio.
L’AUTORE: se un ensemble sta mettendo in scena
il testo di un autore contemporaneo e ha la
possibilità di rapportarsi direttamente con lui,
anch’egli farà parte dell’ensemble, influenzando
notevolmente (ad esempio può succedere che il
drammaturgo e il regista siano la stessa persona)
o marginalmente (se gli viene concessa poca o
nessuna voce in capitolo) la creazione scenica.
IL PUBBLICO: inevitabilmente, con la sua
presenza, nasce il teatro. Inevitabilmente, con la
30
sua presenza, nasce lo spettacolo ed essendo il
teatro una forma di comunicazione non mediata,
l’interazione (a livelli più o meno diretti,
evidenti) è sempre viva. Il pubblico, durante lo
spettacolo, diventa così parte dell’ensemble,
entrando anch’esso nel cerchio dello spettacolo.
GALLERIA FOTOGRAFICA
31
«I ruoli dell’ensemble»
Figura 7. I ruoli dell'ensemble: il regista o «primo spettatore».
Figura 8. I ruoli dell'ensemble: gli attori.
32
Figura 9. I ruoli dell’ensemble: i tecnici.
Figura 10. I ruoli dell’ensemble: l’autore.
33
Figura 11. I ruoli dell’ensemble: il pubblico.
34
6. L’ensemble nella società
contemporanea
A tutt’oggi il concetto di ensemble permane a più
livelli: nella scuola, nello sport, nella politica,
nelle aziende, in gran parte delle arti
performative.
Qui di seguito viene proposta una serie di esempi
di ensemble diversi da quello teatrale:
1) Le classi appartenenti a scuole d’ogni
ordine e grado, ad esempio, sono degli
ensemble: anch’essi sono dotati di una
guida
(il maestro, il professore,
l’insegnante di sostegno, ecc.), impegnati a
mettere in atto con i propri discenti un
processo di crescita nel quale sono
coinvolti anche loro in prima persona;
2) Una squadra di calcio è guidata
dall’allenatore, il quale dispone di un
grande staff per competere all’interno del
campionato: ogni membro dell’ensemble
ricopre un ruolo diverso (portiere,
attaccante, preparatore dei portieri,
35
massaggiatore, ecc.), con il quale ha
occasione di valorizzate le sue abilità e di
contribuire ai risultati della propria
squadra;
3) In tutte le altre arti performative (corpo di
ballo, artisti circensi, banda musicale, coro,
sbandieratori, ecc.) l’idea di ensemble è
contigua a quella teatrale: ascolto, studio,
prove e cooperazione sono comandamenti
imprescindibili per tutti gli artisti che
lavorano in gruppo;
4) Nell’ambito della ricerca scientifica, i
membri del team lavorano insieme per
raggiungere un obiettivo comune (trovare
una cura contro un male, sviluppare una
determinata tecnologia digitale, ecc.),
concorrendo ognuno secondo le proprie
competenze professionali;
5) Ogni azienda è generalmente dotata di un
«trascinatore» che ha pieni poteri nella
gestione
della
società
(presidente,
amministratore delegato, dirigente, ecc.). I
profitti e il conseguimento degli obiettivi di
mercato sono dettati dal funzionamento di
36
ogni strato dell’ensemble (impiegati,
segretari, responsabili marketing, fornitori,
rappresentanti, ecc.);
6) Un partito politico controlla due ensemble:
quello interno (costituito dai suoi membri,
dal Segretario all’ultimo tesserato) e quello
esterno (il bacino elettorale, e più
estensivamente, l’intero popolo). Obiettivo
di un partito è allargare il primo ensemble,
conquistando nuovi potenziali adepti dal
secondo.
Le nuove forme di gestione della cosa
pubblica cercando di far avvicinare o
addirittura
coincidere
questi
due
ensemble: basti pensare alla democrazia
partecipativa, all’e-democracy, al continuo
affermarsi in tempi recentissimi di
movimenti politici guidati dai cittadini fino
alle semplici raccolte di firme per ottenere
le consultazioni referendarie.
7) Una comunità nazionale è un ensemble:
composto
da
un’impressionante
moltitudine di membri (si va dalle poche
migliaia di abitanti per i microstati fino al
37
miliardo di unità per nazioni come la Cina o
l’India), è il regno della massima
eterogeneità umana, le cui sorte sono
affidate alla guida di un leader (Primo
ministro,
Presidente
del
Consiglio,
monarca, Supremo Leader, ecc.) e di
un’élite illuminata più o meno estesa
(Senato, Camera dei Lord, Althing, Camera
dei rappresentanti, ecc.), dotati di un
potere
assegnatogli
più
o
meno
democraticamente.
Può essere considerata l’intera società umana un
ensemble?
Non esiste certamente una risposta a questa
domanda, ciononostante gli studi compiuti dal
sociologo canadese Erving Goffman ci offrono
interessanti correlazioni tra teatro e società.
Nella sua opera principale, il saggio intitolato La
vita quotidiana come rappresentazione pubblicato
nel 1959, egli adopera la metafora del teatro per
raffigurare l’importanza delle azioni umane.
Goffman indica che la vita è teatro e per
argomentare questa sua tesi adopera per i suoi
38
studi un approccio definito «prospettiva
drammaturgica».
Prendendo in considerazione questa prospettiva,
le particolari istituzioni della società - da quelle
domestiche a quelle professionali - per essere
studiate, sono metaforicamente analizzate come
se fossero delle rappresentazioni teatrali dotate
di attori che, dopo essersi preparati in un
retroscena, recitano su una ribalta, di fronte ad
un pubblico. Gruppi di individui che recitano
sulla medesima ribalta formano degli ensemble
di collaborazione, che cercano di proiettare verso
il pubblico una determinata definizione della
situazione. I camerieri di un ristorante, ad
esempio, secondo l'approccio drammaturgico, di
fronte ai loro clienti, s'impegnano continuamente
per proiettare una definizione della situazione in
cui loro, da buoni lavoratori, svolgono con
attenzione e cortesia i loro compiti. D'altro canto,
i clienti, tenderanno ad adottare delle strategie
comportamentali volte a sottolineare il loro
status, la loro educazione, ecc. È tuttavia
probabile che il cameriere (l'attore), una volta
abbandonata la ribalta (la sala dei clienti) e
39
raggiunto il retroscena (ad esempio la cucina) si
impegni con i compagni del retroscena (i colleghi
e i cuochi) in discorsi che non sarebbero
appropriati di fronte ai clienti. Lo stesso
potrebbe valere per i commenti che i clienti si
scambiano sul personale del ristorante. Si tratta
dunque di un approccio che si concentra sullo
studio delle coalizioni tra attori o tra pubblico,
sulle condizioni per la riuscita di una messa in
scena, sui rischi delle rappresentazioni, sui
passaggi che intercorrono tra il retroscena e la
ribalta.
Secondo Goffman, per di più, l'attore è in grado di
scegliersi il palco e chi gli farà da "spalla"
(teatralmente parlando;
il compare,
se
vogliamo generalizzare), allo stesso modo in cui è
libero di scegliere il costume di scena più adatto.
Lo scopo principale dell'attore è mantenere la
coerenza espressiva, adattandosi ai differenti
palcoscenici che gli vengono di volta in volta
proposti.
In queste interazioni, o per meglio dire
rappresentazioni, i partecipanti possono essere
simultaneamente attori e pubblico; gli attori di
40
solito tentano di far prevalere quelle immagini di
loro stessi che li pongono favorevolmente in luce
ed incoraggiano gli altri soggetti, in vario modo,
ad accettare la loro definizione della situazione
preferita.
Ogni attore possiede uno status e ricopre perciò
uno o più ruoli (ad esempio lo status di
professore universitario, il quale comporta i ruoli
di docente ordinario, ricercatore, collega, autore
di pubblicazioni, membro del senato accademico
dell’ateneo d’appartenenza, ecc.).
Il termine ruolo deriva dal latino rotulus:
anticamente gli attori, sul palco, leggevano le
proprie battute da un foglio di carta arrotolato. Il
termine rende bene l'idea della parte che
ciascuno recita sulla scena della società,
conformandosi alle aspettative ed alle regole
stabilite.
I ruoli sono sempre organizzati in sistemi di
ruoli, che prevedono almeno due ruoli
complementari tra loro (insegnante/allievo,
madre/figlio ecc). La possibilità di previsione del
comportamento in questi casi è reciproca, poiché
ciascuno dei partecipanti al sistema di ruoli,
41
qualsiasi sia il ruolo interpretato in quel
momento, conosce anche i comportamenti
prescritti per gli altri ruoli, e può quindi sapere
cosa sia lecito aspettarsi in risposta ai propri
comportamenti, questo perché i sistemi di ruoli
sono una parte importante della cultura
condivisa da ogni gruppo sociale benché,
ovviamente, possano essere diversi da gruppo a
gruppo.
Vi possono essere dei conflitti di ruolo quando
una persona, per diverse ragioni, non può
corrispondere alle aspettative del ruolo
assegnato. Bisogna qui distinguere tra tensioni
intra ruolo e tensioni inter ruolo. Le prime si
riferiscono a conflitti che si generano al'interno
dello stesso ruolo ad esempio quello di docente
che prevede sia la capacità di trasmettere
determinate conoscenze o abilità sia un distacco
affettivo nei confronti dell'allievo. Le tensioni
inter ruolo si scatenano quando i vari ruoli che
un individuo interpreta sono per qualche ragione
in contrasto tra loro. Ad esempio una persona
può assumere il ruolo di genitore, figlio, marito,
imprenditore, militante di un partito politico e
42
non riuscire, banalmente, ad avere il tempo di
dedicarsi come vorrebbe e come ci si
aspetterebbe da lui a queste attività.
Leggendo le parole di Goffman, non viene
spontaneo chiedersi se stiamo parlando di teatro
o di vita? E se non ci fosse alcuna differenza?
43
7. Alcuni esercizi d’«insieme»
Numerose pratiche vengono adottate dai trainer
di tutto il mondo che conducono un ensemble,
ognuna con peculiarità e finalità diverse, mutuate
dalle varie tradizioni e pedagogie teatrali
sviluppatesi nel corso della storia.
Le finalità principali del training sono quelle di
«riscaldare» (preparare, allenare) l'apparato
degli attori e creare affiatamento all'interno
dell'ensemble. Esso, inoltre, ha la benefica e
salvifica funzione di «ricaricare gli attori di
fiducia nel proprio potenziale artistico,
riscattandoli dalla gravosa responsabilità degli
errori»7.
Qui descriverò di seguito tre esercizi
«d'insieme», che costituiscono solo una
piccolissima parte delle possibilità di conduzione
di cui un trainer dispone.
M Jurij Alschitz, Teatro senza regista (2007).
44
Il primo è un esercizio ideale per incominciare
insieme la giornata di lavoro e mettere in attività
il gruppo: il cosiddetto «buongiorno». Ereditato
da un gruppo di attori semi-dilettanti giapponesi,
consiste nello scambiarsi questo saluto con tutti i
membri dell'ensemble (incontrando ognuno di
loro massimo tre volte) e occupando lo spazio
scenico.
Non si tratta di un semplice saluto di circostanza,
ma di una pratica nella quale ci si augura davvero
di svolgere un buon lavoro e con la quale «quasi
ci si purifica dalla polvere della vita prima di
mettere piede sulla scena dello studio»8.
Solitamente, questo esercizio può evolversi
inserendo queste altre pratiche: a) presentarsi
stringendosi la mano; b) abbracciarsi; c) baciarsi;
d) darsi uno schiaffo; e) trovare altre modalità di
saluto; f) riconoscersi a distanza e incontrarsi
saltando insieme e battendo il cinque; g)
scegliere come salutare il proprio compagno e
rispondere al suo saluto in modo che non
M Jurij Alschitz, op. cit.
45
corrisponda a quello ricevuto: ad esempio, se si
riceve uno schiaffo, si può rispondere con un
abbraccio.
Nulla ovviamente impedisce di trovare ulteriori
evoluzioni a questo e a tutti gli altri esercizi di cui
parleremo.
Citiamo ora un altro esercizio, il quale, come
molti altri, durante il suo svolgimento è
interamente privo dell'uso della parola.
Questa tipologia di esercizi è particolarmente
efficace perché «senza parlare, bisogna trovare
un accordo. Questi esercizi [..] possono anche
aiutare a risolvere i problemi umani che sorgono
all'interno della compagnia, [..] unire i compagni
e riconciliare i nemici.»9
L'esercizio in questione è chiamato «maratona».
a) occupando tutto lo spazio, gli attori
sperimentano varie velocità, codificate in una
scala che va da 1 (movimento lentissimo, molto
simile al ralenti) a 10 (corsa forsennata).
9
Jurij Alschitz, op. cit.
46
b) vengono stabilite una o più composizioni
numeriche di velocità (ad esempio una di queste
potrebbe essere 4-7-2-9), durante le quali gli
attori devono rispettare le velocità indicate e
passare da un livello all'altro insieme. Essi
devono lavorare costantemente in ensemble,
affinché tutti insieme spingano per il cambio
(proprio come avviene nell'acting).
c) si può dotare gli attori di compiti aggiuntivi
come: scambiarsi durante le composizioni palline
da tennis, individuare partner con cui compiere
determinate azioni, individuare una o più sedie
da occupare, ecc.
d) così come di comune accordo bisogna partire
in ensemble, allo stesso modo bisogna terminare
l'esercizio.
Ecco perché è facile comprendere quanto in
questi esercizi sia importante l'attenzione per il
LNV10, con una menzione particolare al ruolo
giocato dagli occhi.
¹º il linguaggio non verbale (LNV) è quella componente
della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno
scambio comunicativo relativi alla sfera del linguaggio del
47
A proposito degli occhi possiamo dire che essi
sono i protagonisti di un altro esercizio, l’ultimo
che qui esporremo, il «cerchio finale» o «un
passo dal cerchio»:
a) tutti si mettono in cerchio, stringendosi le
mani;
b) stabilire un contatto tra tutti i membri;
c) chi conduce chiederà ad un dato segnale se
fare un passo avanti, uno indietro o restare fermi;
oppure, potrà chiedere di scegliere quale parola
pronunciare tra due o tre opzioni.
Il raggiungimento di un comune accordo prima
dell’arrivo del segnale determinerà il successo
dell’esercizio, generalmente praticato come
rituale finale del training.
corpo, i quali hanno un pesante impatto su ciò che
percepiamo in un messaggio (circa il 55%). I principali
territori d'indagine del LNV sono la mimica facciale, i
movimenti degli occhi, la gesticolazione, la postura, il tatto
e la prossemica.
48
8. L’etica professionale
Credo che l'etica nel lavoro dell'attore e del
regista all’interno di un ensemble debba partire
dal rispetto reciproco, innanzitutto come
individui.
Il rispetto è indispensabile perché l’ensemble
non è solo un insieme di individui qualsiasi, ma è
un gruppo di persone che lavorano per una
creazione artistica comune. Conseguentemente,
al di là dell'impossibilità di avere rapporti
interpersonali eccellenti con ogni membro
dell’ensemble, il fine superiore (ovvero la
creazione artistica stessa) deve provocare il
bisogno di dialogo umano/artistico. E' perciò
necessario scontrarsi, per arrivare poi ad un
incontro, una risoluzione, un accordo.
E' naturalmente auspicabile lavorare in un
gruppo composto da persone amiche tra di loro,
prive di particolari attriti e rancori; tuttavia,
raramente ciò è possibile e non sempre solide
amicizie e relazioni si sposano con un’etica
professionale altrettanto forte.
49
Inoltre, reputo un secondo principio molto
importante:
l'apertura
al
cambiamento.
Affrontare le sessioni di prove con persone dalle
formazioni artistiche completamente diverse,
con registi che utilizzano approcci al lavoro a noi
sconosciuti, ensemble di culture lontane dalla
nostra, creare e discutere in spazi e tempi
inusuali da quelli a cui siamo abituati implica
certamente delle difficoltà, pone delle sfide.
Per affrontarle è sempre necessario sacrificare
parte di se stessi, aprendosi al cambiamento e
alla scoperta dell’altro e del suo lavoro.
Questo scambio, secondo me, costituirà quasi
certamente nuova ricchezza, nuova conoscenza. I
nostri pregiudizi rischiano di ottenebrarci,
chiudere i nostri occhi, impedendoci di vedere
queste nuove luci.
Ancora una volta, ciò che deve guidare questi
cambiamenti è l'obiettivo comune.
Non dimentichiamo, infine, quanto sia essenziale
tener conto anche del linguaggio: le parole, così
come nella vita, sono importanti anche per chi fa
teatro. Capirsi e cercare un linguaggio il più
possibile condiviso sono una strada ottimale da
50
percorrere sia per comprendersi in quanto esseri
umani che stanno vivendo un'esperienza
comune, sia per intendersi nel lavoro in scena in
qualità di «artigiani» ansiosi di dare forma al
proprio spettacolo.
Qui di seguito riporto un decalogo delle dieci
qualità principali di cui un membro
dell’ensemble a mio parere dovrebbe disporre:
1. Rispetto
2. Umiltà
3. Umanità
4. Propensione al lavoro
5. Propensione allo scambio
6. Autonomia dal regista
7. Fiducia nel regista
8. Energia
9. Serenità
10. Leggerezza
51
9. L'impresa teatrale
Nel XXI secolo non possiamo non coniugare l'idea
di compagnia con quella di impresa teatrale,
ovvero un'azienda impegnata nel produrre e
distribuire prodotti culturali (gli spettacoli) e
appartenente
alla
più
generale
sfera
dell'industria dello spettacolo, così come fa una
casa di produzione cinematografica, un'etichetta
discografica, un'emittente televisiva.
La compagnia, dunque, non si deve perciò
poggiare solo sullo spirito e sulla ritualità
(componenti fondamentali del mestiere) ma
anche sull'efficienza, sulla professionalità e sulla
capacità di portare profitti per mantenere in
funzione l'intera impresa, composta non solo
dagli attori e dal regista, ma da tutti coloro i quali
concorrono alla realizzazione del prodotto
finale.11
¹¹ vedi il paragrafo 5 (I ruoli dell'ensemble).
52
Se la compagnia dispone di mezzi sufficienti per
delegare le attività di promozione e distribuzione
dello spettacolo a personalità competenti, può
esclusivamente occuparsi della creazione
artistica.
Nei tempi che corrono però, difficilmente questo
è possibile.
L'artista perciò deve trasformarsi in promotore e
distributore dello spettacolo: in poche parole,
deve essere imprenditore di se stesso.
A tal proposito, non è di minor importanza
formarsi in tal senso, studiando le tecniche di
vendita e il tessuto burocratico-legislativo in cui
l’operatore dello spettacolo deve muoversi.
Spesso questo genere di attività viene snobbato o
addirittura detestato perché costituisce quanto
di più materiale e meno artistico vi possa essere
nell’esercizio della professione.
Non sono d’accordo con questo per due ragioni:
1) al di là del groviglio di carte da compilare e
di normative da conoscere accennate
sopra, la promozione di uno spettacolo può
divenire anche un atto creativo. Sapersi
proporre sul mercato con un novus rispetto
53
all’offerta teatrale del territorio, curare la
comunicazione della compagnia, progettare
le locandine, curare l’estetica dei propri
canali web, scegliere le parole giuste per
presentare i propri plus appartengono sì al
mondo dell’uomo di mercato, ma anche a
quello dell’artista. Ritengo che la pubblicità,
se elaborata da menti sapienti e con la
dovuta cura, è a tutti gli effetti una forma
d’arte finalizzata alla vendita di un
prodotto. In questo differisce forse dalle
altre arti? Un quadro non viene venduto
allo stesso modo? Una scultura? Un album?
La differenza sostanziale sta nel fatto che la
pubblicità è un tramite nella vendita di un
prodotto; nel caso del quadro o dell’album
è il prodotto stesso a volersi far acquistare,
senza tramiti. Non dimentichiamo che
anche lo spettacolo, proprio mentre vive
davanti agli occhi degli spettatori, fa
pubblicità di sé e dei suoi realizzatori.
2) non si può vivere di sola arte. Nel mondo
del XXI secolo, così soggetto a continui e
repentini cambiamenti sociali e tecnologici,
54
il teatro e le sue modalità di promozione
non possono che rinnovarsi per continuare
a vivere ed interessare i possibili target (le
varie tipologie di pubblico). Se non si
rincorre il cambiamento, si resta indietro e
si resta soli. La sola arte resta sola,
sconosciuta e relegata nella prigione o nella
gabbia dorata (a seconda dei casi)
dell’autoreferenzialità, uno dei principali
nemici del teatro.
55
10. Conclusioni: l'ensemble
ideale
Tutti, dal drammaturgo allo spettatore, hanno
una propria personalissima idea di teatro.
Il regista ha senz'altro nella sua mente un'utopia,
un sogno di ensemble con il quale vorrebbe
lavorare.
Mi piacerebbe rapportarmi con persone da
stimare prima di tutto come uomini: come ho già
scritto, per lavorare insieme bisogna partire dal
rispetto reciproco.
Inutile aggiungere che vorrei con me persone
talentuose, volenterose, dotate di una certa
sensibilità, aiutandomi nella costruzione di una
visione dapprima partorita dalla mia mente e poi
condivisa con tutti, sempre pronta a trasformarsi,
rimodellarsi, essere messa in discussione.
Vorrei avere quella che definirei «base
trainante»: ovvero un gruppo di 4-5 attori che
costituiscano un nucleo importante, il quale, di
volta in volta, può essere allargato a persone
sempre nuove.
56
Vorrei avere uno staff tecnico stabile: individui
dal sangue freddo di cui posso fidarmi,
indipendentemente dallo spettacolo che sto
andando a realizzare e che aiutino me e il gruppo
a creare con le loro competenze ciò di cui lo
spettacolo necessita (luci, costumi, scenografia,
ecc.).
Con il mio ensemble non vorrei mai mettere in
scena due spettacoli di seguito dello stesso
autore, che affrontino tematiche simili, risalenti
alla stessa epoca e con cast del tutto identici.
Questa dovrebbe essere una sorta di legge che
porti ad un’automatica ricerca di rinnovamento
costante.
Mi piacerebbe toccare con il mio gruppo ogni
angolo del mondo, possibilmente facendo teatro
il meno possibile nei teatri.
Vorrei portare nel nostro teatro i bambini, i
ragazzi, gli anziani.
Vorrei, come propugna Kostja ne Il gabbiano,
offrire «nuove forme» al pubblico: lavorare in
teatro seguendo l’evoluzione del cinema e di
Internet; mettere in scena opere di fantascienza
(un romanzo di Philip K. Dick o un racconto di
57
Isaac Asimov, per esempio); realizzare nella mia
vita almeno uno spettacolo interamente in pausa,
che possibilmente racconti la storia di una
famiglia nell’arco di 50-70 anni; vorrei fare
assolutamente del «teatro civile» lanciando dei
messaggi al popolo non tramite la morale dei
personaggi ma per mezzo delle domande che
possono scaturire dalla visione dello spettacolo;
portare molto non-sense e surreale in scena;
mettere in scena opere realizzate tramite un
processo di scrittura collettiva; conoscere meglio
le tradizioni teatrali diverse da quella
occidentale, per carpirne qualche piccolo segreto
e rubarne qualcosa per il nostro teatro.
Molte sono le idee, i progetti. Una è la realtà con
cui bisogna scontrarsi.
Nel XXI secolo, dominato dalla razionalità delle
macchine e dall’irrazionalità degli uomini, tutto il
teatro dovrà avere il coraggio di sognare.
58
11. Bibliografia
1) Dizionario Treccani, edizione digitale, 2013
2) Jurij L. Alschitz, Teatro senza regista,
3)
4)
5)
6)
7)
8)
Titivillus, 2007
Jurij L. Alschitz, La verticale del ruolo,
European Association for Theatre Culture,
2003
Mario Soldati, 24 ore in uno studio
cinematografico, Corticelli, 1935
Erving Goffman, La vita quotidiana come
rappresentazione, Il Mulino, 1969
Erving Goffman, Il rituale dell’interazione, Il
Mulino, 1988
Erving Goffman, Il comportamento in
pubblico, Einaudi, 2002
Isabel Myers-Briggs, Gifts Differing:
Understanding Personality Type, Davies
Black Publishing, 1980
59
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