Il recupero degli edifici in conglomerato cementizio armato storico

Il recupero degli edifici in
conglomerato cementizio armato storico
Stefano Podestà - IMAC, Ecole Polytechnique Federale de Lausanne
Chiara Romano - DICEA, Università di Roma, La Sapienza
Il recupero dei manufatti storici in conglomerato cementizio armato è un tema
attuale che pone di fronte a problematiche che non sono solo di ordine tecnico.
I Silos granari nel Porto di Genova, realizzati tra il 1901 ed il 1924, con la
"nuova" tecnologia costruttiva del cemento armato, sono un esempio di quanto
detto, una testimonianza pionieristica industriale, unica a livello mondiale,
nonostante risulti abbandonato da molti anni. Il riuso di un edificio
industriale come questo non rappresenta solo un problema connesso al recupero di
un immobile dismesso ma è intrinsecamente correlato allo sviluppo socioeconomico di una città. Obiettivo del presente lavoro è dimostrare che è
possibile riqualificare queste strutture, attribuendo ad esse anche nuove
destinazioni d'uso, definendo un percorso sistematico, che a partire dalla fase
di conoscenza, possa portare ad una valutazione della sicurezza strutturale
affidabile, in grado di cogliere le peculiarità che caratterizzano gli edifici
in conglomerato cementizio storico.
1 Introduzione
Il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 "Codice dei beni culturali
e del paesaggio" [1], ai sensi dell’articolo 12 "evidenzia come tutti
gli immobili appartenenti a tali soggetti, se realizzati da più di
cinquant’anni ad opera di un autore non più vivente, siano sottoposti
all’accertamento dell’interesse culturale". Tale novità procedurale ha
portato ad attivare un censimento del patrimonio architettonico
nazionale, con l’inserimento dei dati in un sistema informativo
predisposto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo. L'analisi dei dati inseriti al 2013 mostra come oltre il 5% dei
manufatti siano caratterizzati da una struttura in calcestruzzo armato.
Il dato potrebbe sembrare statisticamente poco significativo, ma a
fronte di una previsione di 500.000 edifici d’interesse culturale, si
può facilmente capire come il recupero di questa tipologia di manufatti
ponga una nuova frontiera nell'ambito del restauro e consolidamento
strutturale.
Questa tipologia di edifici rientra, infatti, a pieno titolo nei valori
urbani da salvaguardare. La loro conservazione (basti pensare a tutti
gli
edifici
industriali
dismessi
dei
primi
del
novecento)
è
intrinsecamente connessa ad un riuso. Solo reinserendoli nel ciclo
vitale della città, si può garantire quella continuità di utilizzo che è
indispensabile alla salvaguardia.
Il concetto di riuso che caratterizza così fortemente tali manufatti
rende forse ancora più determinante, rispetto ad un edificio esistentein
muratura, la necessità di definire procedure idonee a verificarne la
sicurezza strutturale, tenendo conto delle nuove funzioni a cui possono
essere destinati, i nuovi livelli di protezione richiesti dalle
1
normative tecniche [2-3] edai rischi ambientali a cui possono essere
soggetti. Sebbene l’approccio procedurale possa essere analogo a quello
definito per gli edifici storici in muratura, le differenzesono
sostanziali.
Allo stesso tempo, le costruzioni storiche in conglomerato cementizio
armato, differiscono notevolmente dalle moderne strutture in c.a., sia
per carenze di concezione (telai in una sola direzione, assenza di
giunti sismici, etc.) sia per i dettagli costruttivi che limitano la
duttilità dell'edificio, attivando meccanismi di danno fragili per
l'assenza di staffe adeguate non solo nei nodi ma anche negli elementi
travi e pilastri.
Un primo aspetto da affrontare, per il recupero di questi manufatti,
riguarda quindi la definizione del percorso di conoscenza, che comprenda
la ricostruzione storica del quadro normativo e dei metodi di calcolo,
l’individuazione dei riferimenti tecnologici e costruttivi, l’analisi
delle patologie e degrado in atto. Il problema dell'individuazione dei
riferimenti tecnologici e costruttivi, è legato al fatto che,
dall'origine del conglomerato cementizio fino agli anni che seguirono
l’emanazione delle prime normative nazionali del settore, uno degli
aspetti
peculiari
della
tecnologia
costruttiva
è
rappresentato
dall’utilizzo
di
numerosi
brevetti,
frutto
spesso
dell’intuito
costruttivo
anziché
dell'applicazione
di
consolidate
conoscenze
scientifiche.
Il
secondo
aspetto
riguarda
invece
i
criteri
per
la
scelta
dell'intervento. Esiste in questo caso la necessità di preservare, nel
rispetto
della
sicurezza
strutturale,
l'integrità
materica
del
manufatto? Se tale specifica è ormai condivisa per un edificio storico
in muratura, per un edificio in conglomerato cementizio storico, il
"fascino della materia" è ancora da sedimentarsi nella coscienza
collettiva. Tuttavia intervenire su un manufatto in cemento armato dei
primi del novecento non può limitarsi a mantenere l'involucro esterno
(come spesso accade). Il recupero deve trarre la sua ragione d’essere,
dalla conservazione dell’identità e della memoria storica e nella
possibilità di confermare la logica costruttiva all’interno di un
processo di conoscenza che porti a studiare il manufatto riconoscendone
le peculiarità che lo caratterizzano.
2 Il cemento armato storico
Per comprendere il comportamento di un manufatto in calcestruzzo storico
non si può prescindere dalla conoscenza del materiale con cui è stato
realizzato e dei dettagli costruttivi con cui sono realizzati gli
elementi strutturali. Come in parte già sottolineato, infatti, il
processo di analisi che può consentire una corretta valutazione non può
essere mutuato acriticamente da edifici storici in muratura o da edifici
in c.a. di moderna concezione. Il motivo è evidente già da un punto di
vista letterale: è nella difficile attribuzione dell'aggettivo "storico"
la prima complessità delle nostre valutazioni, che è, infatti, proprio
sia dell'edificio (per la sua vita ultra-centenaria) sia del materiale
che trova in quegli anni le prime applicazioni nel campo strutturale.
2
Per
comprenderne
la
portata
socio-economica
che
l'avvento
del
calcestruzzo ha portato nel mondo dell'edilizia e quindi individuare le
criticità che caratterizzano il conglomerato cementizio storico non si
può prescindere da una analisi delle prime realizzazioni [4-5].
L'utilizzo combinato di cemento e ferro nel settore delle costruzioni
trova esempi lontani nel tempo, ma solo a partire da metà Ottocento la
ricerca assume consapevolezza dei possibili risultati. Le prime
realizzazioni, nel quale sia possibile riconoscere dei principi prossimi
a quelli dell'odierno cemento armato, sono la barca creata nel 1850 da
Joseph-Louis Lambot e i vasi da fiori che il giardiniere Joseph Monier
brevettò nel 1867.
Figura 1. La barca di Lambot e i vasi realizzati con il sistema Monier
Lo stesso Monier estese poi il sistema al campo delle costruzioni vere e
proprie depositando una lunga serie di brevetti, a partire dal 1869, che
contenevano elementi e principi sulla disposizione delle armature,
basati su concetti empirici.
Tale aspetto introduce due importanti riflessioni: in primo luogo il
calcestruzzo non nasce come un materiale ingegnerizzato, almeno nel
senso strutturale che oggi diamo a questo termine e forse, è proprio in
tale aspetto che risiede quella sovra-resistenza che, a volte,
"stupisce" chi analizza strutture in cemento armato storiche.
In secondo luogo, l'ufficializzazione di questa "invenzione" si sviluppa
nel mondo attraverso il meccanismo del brevetto. La storia del
calcestruzzo
armato
sarà,
infatti,
scritta,
nei
primi
anni,
dall'avvicendamento dei brevetti e dalle loro innumerevoli applicazioni,
che dopo Monier, continuarono a moltiplicarsi. I diversi brevetti furono
ben presto affiancati e supportati da una ricerca teorica che aveva come
sua base naturale la teoria dell’elasticità, già ampiamente elaborata
dai matematici nel secolo precedente, attraverso la quale si sapeva
affrontare l’analisi strutturale nello studio delle relazioni tra
carichi agenti e resistenza dei materiali. Tuttavia dal brevetto Monier
(1884), che rappresentò per molti anni il riferimento principale per lo
sviluppo del cemento armato dal punto di vista teorico e tecnologico,
molteplici furono le soluzioni semi-empiriche proposte.
In Italia, in particolare, sebbene lo sviluppo dell'industria del
cemento avvenisse con molto ritardo rispetto agli altri paesi europei,
si svilupparono una serie di soluzioni originali, che, a partire dai
brevetti importati, diedero un grande impulso alla diffusione della
tecnica costruttiva. La mancanza di colossi industriali come erano in
Francia la maison Hennebique (brevetto omonimo) e in Germania la
3
Wayss&Fraytag (che acquisisce e sviluppa il brevetto Monier), permise,
in Italia, un fiorire di aziende che si proponevano nell'innovativo
campo del calcestruzzo armato, con soluzioni autonome. Accanto ad esse,
si acquisivano i diritti di esclusiva sui brevetti stranieri da parte di
quelli che saranno i concessionari italiani. Il sistema Hennebique si
diffonde soprattutto in Piemonte, Liguria, Roma e Napoli, dove sono
localizzati i concessionari di questo marchio. Il primo agente italiano
è l'ingegner Giovanni Narici, con sede a Napoli, seguito subito dopo
dall'ingegner Giovanni Antonio Porcheddu di Torino. Vennero aperti
uffici a Bologna, dall'ingegner Attilio Muggia, e a Roma, dall'ingegner
Italo Chiera. A Milano invece c'è maggiore concorrenza fra le imprese
locali, ciascuna concessionaria di un sistema differente. Qui, la ditta
Odorico deteneva il brevetto Monier. Lo stesso brevetto era utilizzato
dalla Società Anonima Ferrobeton, fondata a Genova, nel 1908, come
filiale italiana della Wayss&Fraytag. La ditta, nel giro di pochi anni
si impose sul mercato nazionale, forte del bagaglio di esperienze della
ditta tedesca e di un brevetto Monier ormai perfezionato, tanto da
diventare il più ostico avversario della Società Porcheddu, soprattutto
nel campo dei grandi appalti pubblici.
Oltre ai due principali brevetti, Hennebique e Monier, in Italia si
diffondeva grazie alla ditta Odorico, il brevetto Melan, che consisteva
nel predisporre una struttura autoportante in acciaio, dimensionata in
funzione dei soli carichi permanenti, alla quale sovrapporre un
rivestimento di cemento armato in grado di assorbire i sovraccarichi; la
stessa
ditta
Odorico
deteneva
l'esclusiva
del
brevetto
Matrai,
depositato in Italia nel 1896 da Alexander Matrai, professore del
Politecnico di Budapest, il quale disponeva i ferri dei suoi solai con
un andamento a catenaria, in fasci diretti secondo le diagonali
congiungenti gli assi dei pilastri. L'ingegner Augusto Maciachini era
agente generale per l'Italia del brevetto Walser-Gerard, depositato in
Italia nel 1899, e che sintetizzava quanto di meglio era stato già messo
a punto nei dibattiti degli anni precedenti: trave a doppia armatura,
staffe a più braccia di collegamento dei ferri tesi con quelli
compressi, monconi di rinforzo in prossimità degli incastri. Giuseppe
Marchello era concessionario del brevetto Walser-Gerard per le province
dell'Emilia Romagna, delle Marche, della Toscana e dell'Umbria. Giungeva
in Italia anche il brevetto Luipold, la cui rappresentanza era della
ditta del professor G. Chini e più tardi dell'ingegner Carlo
Castiglioni, entrambi di Milano.
Nel 1893 Carlo Poma propone un perfezionamento del sistema Monier, in
cui, al posto del cemento, adottava il calcestruzzo, ovvero ghiaia
mescolata a cemento e sabbia. Nel 1899 Antonio Agnese depositava un
brevetto nel quale modificava la soletta di Monier, integrandola con
alcuni insegnamenti di Hennebique: l'armatura, invece che da una rete
piana, era formata da tondini separati, intrecciati fra di loro con
andamento sinusoidale, resi capaci, in questo modo, di contrastare anche
gli scorrimenti dovuti al taglio. Il brevetto di Mario Baroni ed Emilio
Luling, presentato nel 1899, sfruttato in esclusiva dalla ditta
dell'ingegner Bollinger di Milano, anticipava il principio dell'impiego
4
dei
ferri
piegati.
Lo
stesso
Maciachini
propose
un
brevetto,
perfezionamento del sistema Walser-Gerard, in cui, alcune staffe
venivano inclinate a 45°, in modo da comporre un vero traliccio, formato
da triangoli indeformabili di barre di ferro. Nonostante la buona
intuizione,
il
disegno
molto
sofisticato,
lasciava
molti
dubbi
sull'effettiva applicabilità del sistema. Infine, il brevetto di
Ferdinando Leonardi e Rocco Reale, cercava di rendere più efficace
l'incastro fra le travi e le solette, per mezzo di speciali ferri
sagomati; il taglio veniva assorbito da armature di diametro più
piccolo, disposte a traliccio e più fitte presso gli appoggi; proponeva,
inoltre, un solaio alleggerito, realizzato con corpi cavi annegati nel
getto. Per lo sfruttamento del brevetto nasceva la ditta fratelli Vender
- ingegner Leonardi&CO.
Appare quindi evidente che, se per la verifica di un edificio in cemento
armato di recente concezione uno dei primi aspetti da capire è la
normativa rispetto alla quale è stato realizzato, per un edificio in
cemento armato storico è necessario individuare il brevetto sul quale si
basa. Questo aspetto se aumenta l'importanza della ricerca storica e dei
dettagli costruttivi che caratterizzano i diversi brevetti, rende per
contro più agevole la fase di conoscenza sul campo, limitando il livello
di incertezza anche nel caso di una campagna diretta non esaustiva.
Essendo il brevetto il "plus-valore" dell'impresa, la realizzazione del
manufatto tende, in genere, a non discostarsi da esso, proprio perché la
sicurezza
della
costruzione
(e
conseguentemente
il
buon
nome
dell'impresa costruttrice) è intrinsecamente connesso ad esso. I crolli
che avvengono, in quegli anni, in genere poco documentanti per evitare
l'insorgere di un rifiuto al nuovo materiale, determinano il fallimento
dell'impresa che di fatto con l'adozione del brevetto ne garantisce la
sicurezza strutturale. La mancanza di una normativa, il cui rispetto
tutela
progettista
e
costruttore,
conferisce
all'impresa
una
responsabilità totale sulla sicurezza del manufatto.
2.1
Il brevetto Hennebique
In riferimento al caso studio dei Silos granai Hennebique a Genova è
utile soffermarsi sul brevetto riconducibile a Francois Hennebique a cui
si deve, in gran parte, la diffusione su larga scala della tecnica
costruttiva del conglomerato cementizio armato. Sul suo brevetto, egli
costruì, in circa 30 anni, un "impero" imprenditoriale: dalla originaria
sede di Bruxelles, e poi da quella parigina, iniziava una vivace
propaganda del suo brevetto. Inviava brochure e lettere personali a
tecnici ed architetti più importanti del periodo, coinvolgeva le
autorità statali ad assistere alle prove di carico, scriveva e faceva
scrivere ai suoi ingegneri articoli sulle più diffuse riviste del
settore, dotava la sua ditta di una rete di agenti e concessionari allo
scopo di ottenere una capillare distribuzione geografica del brevetto.
Mosso dalla finalità di creare una forte rete di interscambio tra i suoi
agenti
e
concessionari,
oltre
che
una
risonanza
pubblicitaria
internazionale, nell'estate 1898 diede vita alla pubblicazione della
rivista aziendale Le Bèton Armè [7].
5
La propaganda fatta da Hennebique, sul sistema costruttivo che porta il
suo nome, non ha determinato solo la sua diffusione capillare in Italia,
ma ha anche permesso un trasferimento delle conoscenze che allora si
avevano sulla tecnica costruttiva del conglomerato cementizio armato.
Proprio grazie alle numerose fonti dell'epoca, è oggi possibile studiare
il sistema Hennebique con un buon livello di approfondimento.
A questo aspetto, va aggiunto che tutto il materiale relativo alle
numerose realizzazioni di uno dei concessionari più importanti del
sistema Hennebique in Italia, la Società Porcheddu di Torino, è
custodito oggi in un Archivio disponibile presso il Politecnico di
Torino, presso il quale è possibile consultare gli elaborati di progetto
delle opere realizzate dalla stessa Società[4].
Le numerose pubblicazioni dell'epoca, unite alla ricca e completa
documentazione d'Archivio, costituiscono le ragioni per cui, nel
presente lavoro, e all'interno della più ampia tematica delle
costruzioni in conglomerato cementizio armato storico, è stato possibile
approfondire il sistema Hennebique.
Il
sistema
Hennebique[8]
permetteva
la
costruzione
completa
di
un’ossatura portante monolitica in conglomerato cementizio armato che
prevedeva plinti di fondazione (o travi rovesce o platea), pilastri,
travi, travi secondarie e solette (Figura 2)
Figura 2. Il sistema Hennebique
Nei pilastri, in generale a sezione quadrata, rettangolare o poligonale,
erano previste armature metalliche longitudinali in barre a sezione
circolare, tenute a posto sia da legature trasversali in filo di ferro
sia da fasce metalliche.
Le travi collegate monoliticamente alle solette formavano delle
strutture resistenti con sezione a “T”, sviluppate, frequentemente, nei
due sensi ortogonali del solaio. La loro armatura era costituita da una
serie di barre tonde: alcune (dritte) dislocate in prossimità della
faccia inferiore della trave; altre (parallele alle prime) erano
ripiegate alle due estremità verso l’alto, in modo da assicurare nelle
zone di incastro la presenza di armature metalliche sia al lembo
inferiore sia a quello superiore della struttura.
La ripartizione tra ferri dritti e piegati era generalmente in parti
uguali. Tutti i ferri dovevano terminare con ganci e particolare cura
veniva posta agli ancoraggi sul perimetro del solaio. Nella Figura 3sono
6
riportati l’ancoraggio delle barre longitudinali e i ferri piegati in
prossimità della sezione d’ incastro.
Figura 3. Ancoraggio delle barre longitudinali e disposizione dei ferri piegati in
corrispondenza della sezione d'incastro
Il sistema prevedeva, inoltre, come caratteristica fondamentale, la
presenza di staffe, elementi a braccia verticali, in piattina di ferro
(sezione 20x2 mm o 30x2 mm) o in barre tonde, che contrastavano gli
sforzi di taglio presenti nell’elemento inflesso. Nella Figura 4 sono
riportate la forma e il posizionamento delle staffe nel metodo
Hennebique.
Figura 4. Forma e posizionamento delle staffe nel sistema Hennebique
Caratteristico era, infine, il collegamento tra pilastri e travi che
spesso presentava mensole di raccordo in prossimità dell’appoggio.
Il sistema di calcolo prevedeva formule semplici di natura empirica
basate cioè su sperimentazioni ed esperienze costruttive che, per certi
aspetti, presentano analogie con l’attuale metodo di verifica a rottura.
Nel caso della compressione semplice la portata di un pilastro era data
dalla somma dei contributi del conglomerato e del ferro, ottenuti come
prodotto delle rispettive sezioni per le tensioni di calcolo.
Nel caso della flessione si attribuiva un momento resistente al
conglomerato ed uno, di egual valore, al ferro, e si adottavano
(indipendentemente
dalla
congruenza
delle
deformazioni
elastiche)
opportune tensioni medie di calcolo. Il modello di calcolo dei pilastri
e delle travi è illustrato nella Figura 5 [4].
7
Figura 5. Schema per il calcolo dei pilastri e delle travi nel sistema Hennebique
In pratica si imponeva che il momento flettente esterno venisse
assorbito per metà dal conglomerato cementizio e per l’altra metà dal
ferro, ricavando, in prima fase di progetto, l’area di conglomerato
necessaria e reagente a compressione. Si adottava, a riguardo, una
tensione media di 2.5 MPa ammettendo che, nelle fibre più esterne
sollecitate, tali valori fossero superiori. Successivamente si ricavava
l’area dell’armatura in ferro fissando (in fase di progetto e in base
all’esperienza) la lunghezza del braccio di leva delle forze interne (in
proporzione con le altre dimensioni della trave) e adottando una
tensione media di 100 MPa.
Questo procedimento ovviamente non soddisfaceva però la condizione di
equilibrio delle forze interne resistenti (una del conglomerato e una
del ferro).Dato che la progettazione delle sezioni degli elementi
portanti
era
determinata
sulla
base
di
proporzioni
verificate
dall’esperienza, i rapporti tra le diverse dimensioni delle membrature
erano abbastanza simili e ripetibili (e.g.: rapporto tra altezza e base
delle travi, luce delle travi secondarie).
3 I Silos granari nel Porto di Genova
I Silos granari del porto di Genova, il cui primo progetto risale al
1899,sono ritenuti la più complessa opera in conglomerato cementizio
armato costruita nel mondo per buona parte del XX secolo.
Progettati dagli ingegneri milanesi A. Carissimo e G. Crotti e dall’ing.
G.B. De Cristoforis, i Silos Granari nel Porto di Genova, presentano
peculiarità legate alla funzione per cui sono nati, ovvero come
magazzini del grano, che rendono difficile l'identificazione di questo
manufatto come un "edificio" [13].
Figura 6. Localizzazione Silos Granari nel Porto di Genova
8
3.1
Analisi storico critica
La Società G.A.Porcheddu di Torino, realizzò il primo impianto dei Silos
nel 1901.Meno documentati sono, invece, i successivi ampliamenti che
portarono alla conformazione finale del manufatto. La prima fase risale
al 1906, data in cui vennero presentati i disegni di progetto
all'amministrazione
portuale.
La
società
che
eseguirà
i
lavori
dell'ampliamento è la Ferrobeton. I successivi ampliamenti, sempre ad
opera della Ferrobeton, risalgono invece al periodo che va dal 1924,
data dei primi disegni presentati al Governo del Porto, al 1929, quando
si effettuarono le prove di collaudo delle nuove strutture [12].
Dopo questi ultimi lavori, il Silos granario Hennebique rimane
praticamente immutato, se si escludono le piccole addizioni in facciata
costruite nel dopoguerra per metterlo in comunicazione con i silos sul
vicino Ponte Parodi, che, nonostante il progetto originale, in parte
documentato nell'archivio dell'Autorità Portuale, risalga al 1926,
vennero realizzati solo dopo la guerra e successivamentedemoliti nel
1999.
Sul finire degli anni '80 l'edificio viene dismesso e da quel momento
versa in uno stato di totale abbandono.
L'analisi storico critica è stata condotta attraverso la documentazione
dell'Archivio Porcheddu, presso il Politecnico di Torino, per quanto
riguarda la costruzione del primo lotto, edell'Archivio dell'Autorità
Portuale di Genova, che custodisce la documentazione relativa alle fasi
di ampliamento da parte della Società Ferrobeton.
a)
b)
9
c)
d)
e)
f)
g)
h)
Figura 7. dall'Archivio Porcheddu: a)Planimetria generale; b) Pianta del secondo piano;
c) Particolare prospetto fronte mare; d) Prospetto est; e) Particolare della disposizione
dei ferri di armatura delle travi della platea di fondazione; dall'Archivio dell'Autorità
Portuale: f) Pianta piano terreno; g) Pianta schematica con indicazione, in rosso, degli
ampliamenti e delle sopraelevazioni previste; h) Sezioni schematiche con indicazione, in
rosso, degli ampliamenti e delle sopraelevazioni previste.
Le fasi costruttive sono sintetizzate schematicamente in Figura 7, al
fine di comprendere come il manufatto subisca nel corso di circa 100
anni una serie di trasformazioni che non possono essere trascurate
nell'analisi del comportamento strutturale. Tale analisi pone l'accento
su diverse implicazioni strutturali.
10
La monoliticità che caratterizza ogni struttura in cemento armato (anche
storica) rende di fatto problematica la realizzazione di un ampliamento
e/o superfetazione. La mancanza di accorgimenti tecnici moderni (basti
pensare a sistemi di collegamento con ancoraggi pesanti - tasselli
meccanici o chimici - o materiali polimerici per il rinforzo
strutturale) ha determinato soluzioni che erano proprie di un retaggio
culturale tipico delle strutture in muratura. In presenza di un
ampliamento, l'impossibilità di una connessione con i nuovi elementi
strutturali ha portato alla costruzioni di nuovi elementi resistenti in
adiacenza a quelli esistenti, in modo da consentire l'appoggio dei nuovi
campi di solaio. Il giunto che si viene a verificare non può essere
certamente assunto come un giunto sismico ma di fatto crea un
interruzione della continuità del fabbricato. Per contro, la
presenza
di sopraelevazioni, che parte del fabbricato ha subito, ha portato ad
adottare sistemi di "consolidamento" caratterizzati da allargamenti
delle sezioni e dall'inserimento di contrafforti ecc.
Figura 7. Le principali fasi costruttive dei Silos Hennebique
3.2
La conformazione dell'edificio
I Silos granai occupano 7.155 mq di superficie e dispongono di 344
celle, di cui 330 di capacità di 130 t e 14 da 75 t, per una capacità
complessiva di 43.950 t di granaglie.
Il complesso è suddiviso distributivamente in un corpo centrale (che
ospitava i locali pompe, le macchine elettriche, le ventole per la
separazione delle polveri, ecc.), in una torre degli elevatori emergente
e nelle due lunghe ali laterali contenenti le celle. All’ultimo piano è
situata la cosiddetta "sala nastri", per il caricamento delle celle, e
nel sotterraneo la galleria delle tramogge. Un corpo anteriore più basso
addossato all’edificio dispone di un porticato sotto cui corre un
11
binario ferroviario. Le celle, i solai, i pilastri e la copertura sono
realizzati in conglomerato cementizio armato.
Figura 8. Sezione trasversale dei compartimenti del corpo centrale
Il complesso è caratterizzato da una notevole cura dal punto di vista
compositivo: la simmetria centrale, sottolineata dalla ciminiera, in
posizione assiale, con un carattere quasi monumentale, la finitura delle
facciate a bugnato, i marcapiani modanati, le false finestre sulle
pareti perimetrali in corrispondenza delle celle, denotano un assetto
morfologico proprio dell'edilizia civile, piuttosto che di quella
industriale.
Dal punto di vista strutturale la costruzione dispone di una platea di
fondazione costituita da travi principali (delle dimensioni di 0,75x0,50
m) disposte in senso trasversale, con un interasse di 3 m, collegate da
travi secondarie longitudinali (0,65x0,25 m), con interasse di 2,66 m, e
una soletta di 0,25 m di spessore. In corrispondenza dell’intersezione
delle travi di fondazione sono collocati i pilastri aventi sezione pari
a 0,90 x 0,90 metri (quelli perimetrali pari a 0,90 x 0,75 metri).
12
Figura 9. Fase di esecuzione della piastra di fondazione e dettaglio armature
Su
detti
pilastri
poggiano
puntualmente
le
pareti
verticali
longitudinali e trasversali, dalla cui intersezione sono formate le
celle per l'immagazzinamento del grano. Le pareti, di altezza pari a 15
metri, sono anch'esse in conglomerato cementizio armato, con superficie
liscia e hanno uno spessore variabile da 0,40a 0,13metri.Le celle
terminano alla base con delle tramogge, ovvero delle pareti inclinate
che costituiscono il soffitto del sotterraneo, nel quale trovavano posto
le macchine per l'estrazione del grano dalle celle stesse.
Un solaio, poggiante sulle pareti verticali, chiude superiormente le
celle dei silos. Sopra a detto solaio e in corrispondenza degli incroci
delle pareti dei silos, sorgono i pilastri che reggono il tetto piano. A
questo livello (sala nastri), le pareti esterne sono costituite da
cemento Portland armato solo in corrispondenza dell'appoggio delle travi
(pilastri annegati nel setto).
I Silos di ponente, della parte più antica, non differiscono da quelli
di levante se non per la speciale disposizione di alcune delle sue celle
che erano a servizio dei carri a trazione animale: sette celle della
prima e sette celle della seconda fila verso monte hanno, infatti,
tramogge rialzate sopra il piano del terreno.
3.3
Lo stato attuale del manufatto
Allo stato attuale, l'edificio risulta completamente abbandonato e in
disuso
da
molti
anni.
Questo
aspetto,
unito
all'aggressività
dell'ambiente circostante ha determinato l'attivazione e il progredire
di fenomeni chimico-fisici di degrado che interessano tuttavia porzioni
ben circostanziate del manufatto. Lo stato di abbandono e l'areosol
marino hanno determinato per questi elementi strutturali uno stato tale
di degrado che rende tecnicamente complicato ed economicamente poco
vantaggioso il recupero. L'analisi effettuata, proprio in virtù
dell'elevato livello di deterioramento, impedisce di individuare con
chiarezza il fenomeno che può avere attivato il meccanismo di degrado
dal momento che attualmente si manifestano simultaneamente, alcuni come
conseguenza dell'uno o dell'altro.
13
Figura 10. Il degrado presente in elementi strutturali (travi e solette)
Il degrado rilevabile, in uno stato di avanzamento tale da non
permettere un recupero degli elementi strutturali, risulta fortemente
localizzato a porzioni che sono, per via del recente stato di abbandono,
completamente esposte all'intemperie. Queste zone sono state individuate
in quattro macro-aree:
 corpi annessi ai Silos dopo il 1924 (Figura 11);
 corpo centrale;
 sala nastri;
 zone varie del corpo a mare
La mancanza di una non più efficiente impermeabilizzazione delle
coperture e delle superfetazioni realizzate (come conseguenza degli
ampliamenti portati a termine dopo la prima realizzazione) consente di
ribadire come la mancanza di manutenzione sia da considerare la prima
causa del degrado che può attivarsi su una struttura in cemento armato.
Viene meno, invece, l'assunzione che le strutture in cemento armato
storico siano caratterizzate da una durabilità ridotta. Gli spessori di
copriferro significativi (dai 30-50 mm) e un confezionamento realizzato
con cura ha protetto la maggioranza degli elementi strutturali
nonostante i materiali adoperati, conglomerato e ferro d'armatura, siano
ben lontani, come prestazioni, da quelli oggi richiesti dalla normativa
vigente [2-3].
14
Figura 11. Corpi annessi al silos dopo il 1924: 1) sopraelevazione del corpo anteriore ;
2) Cabina di trasformazione, realizzata con profili in acciaio e soletta piena in c.a.,
che serviva per mettere in comunicazione l'edificio con i silos collocati su Ponte Parodi
(attualmente demoliti); 3) Sala nastri a mare; 4) corpi sovrastanti la sala nastri,
superfetazioni successive; 5) Corpi aggiunti paralleli alla sala nastri a mare.
3.4
Caratterizzazione meccanica dei materiali
La caratterizzazione meccanica dei materiali passa necessariamente
attraverso
una
campagna
di
indagini
diagnostiche,
al
fine
di
identificare le caratteristiche meccaniche, fisiche e chimiche dei
materiali.
Nel caso dei Silos Hennebique sono state eseguite due campagne
diagnostiche a distanza di circa 10 anni dal Laboratorio dei Materiali
da Costruzioni del DICCA - Scuola Politecnica di Genova. La prima (2002)
ha permesso di effettuare una caratterizzazione del materiale attraverso
prove dirette ed indirette (relative alla resistenza del calcestruzzo e
delle barre di armatura [10]), la seconda (2013) è stata effettuata
nell'ottica di valutare l'eventuale decadimento delle caratteristiche
dei materiali a circa dieci anni di distanza a causa del progredire del
degrado.
I risultati ottenuti hanno confermato ciò che già da un'indagine visiva
sembrava evidente. Nelle aree non protette dalle intemperie il degrado
ha repentinamente peggiorato la consistenza del materiale fino a
renderlo in alcuni casi non più efficiente strutturalmente. In questi
casi il recupero può diventare problematico ed economicamente non
vantaggioso. Tuttavia, come in parte già accennato, tali fenomeni sono
fortemente localizzati e rappresentano una percentuale molto limitata se
posti in relazione all'intero corpo di fabbrica. Negli altri casi,
invece, i risultati ottenuti nel 2013 dalle indagini diagnostiche
indirette (ripetute in corrispondenza dei punti di prova della campagna
2002) hanno evidenziato valori di resistenza del tutto comparabili con
quelli precedenti e come il trascorrere del tempo non abbia determinato
decadimenti significativi al punto che la campagna diagnostica del 2002
può essere ritenuta ancora del tutto attendibile. Tale aspetto risulta
di un certo interesse proprio nell'evidenziare come queste strutture, se
15
non sottoposte ad un dilavamento continuo, mostrino una buona durabilità
anche a fronte di un ambiente fortemente aggressivo come può essere il
porto di Genova.
I valori determinati tramite le due campagne diagnostiche facendo
riferimento al D.M. 14 gennaio 2008 [2-3] sono riportati di seguito e
rappresentano i parametri meccanici adottati nel modello strutturale:
- per il calcestruzzo:
fcm= 20 MPa – ottenuto come media delle prove significative a
compressione su carote;
Ecm= 27 GPa – valutato secondo la formula [11.2.5 delle NTC 2008];
 = 23 kN/m3 – ottenuto come media dei pesi specifici delle carote;
0= 2.0 ‰ – valore di deformazione al limite elastico da normativa;
cu= 3.5 ‰ – valore di deformazione ultima da normativa;
α=1 – deformazioni viscose già esaurite data l’età della costruzione;
 c =1.5 – coefficiente parziale di sicurezza;
fcd 
fcm
 c  FC
= 12,35 MPa - valore di resistenza di progetto del calcestruzzo
- per l’acciaio:
Fyk= 215 MPa – ottenuto in riferimento agli acciai dell’epoca e
rapportato alle prove di trazione sui ferri;
E= 210 GPa – valore da normativa;
Εsu= 15.0 ‰ – valore di deformazione ultima, cautelativo rispetto alle
prove di Laboratorio;
 s =1.15 – coefficiente parziale di sicurezza;
fyd 
3.5
fyk
 s  FC
 169.1 MPa - valore di resistenza di progetto dell’acciaio
Analisi strutturale
I Silos Hennebique sono un’opera tanto complessa quanto complicata. La
complessità è dovuta sostanzialmente all’estensione del manufatto, al
gran
numero
di
sezioni
tipologiche
presenti
e
alla
profonde
trasformazioni cui è stato oggetto a poca distanza dalla costruzione. La
presenza di un sistema strutturale misto che unisce al suo interno
aspetti
caratteristici
di
differenti
concezioni
strutturali
(industriale-residenziale), applicate in modo differente dalle due
imprese costruttive (Società Porcheddu e Ferrobeton) che hanno costruito
l’opera nelle due fasi principali (1901-1906) costituisce l’aspetto
complesso
dell’analisi.
Il
risultato
è
una
struttura
il
cui
comportamento strutturale non può essere analizzato se non attraverso un
modello numerico in grado di tenere in conto di queste peculiarità.
Pertanto è stato definito un modello ad elementi finiti per valutare la
risposta strutturale in riferimento a differenti condizioni di carico.
Le verifiche sono state condotte per le tipologie di elementi
strutturali più ricorrenti e maggiormente sollecitati in relazione alle
diverse condizioni di carico.
Il modello, effettuato tramite il codice di calcolo SAP2000, è stato
realizzato utilizzando oggetti “Frame” per la rappresentazione di travi
16
e pilastri mentre oggetti “Area” per rappresentare orizzontamenti e
pareti delle celle. A tali elementi sono state poi assegnate le
corrispondenti geometrie delle sezioni. Caratteristiche meccaniche
univoche, ottenute dalla rielaborazione delle prove a compressione delle
carote (2002), sono state associate al materiale assegnato agli elementi
del modello.
Il modello globalmente è composto da 8689 frames, 12752 nodi e 15135
aree. In Figura 12 è riportata una vista globale del modello realizzato
per l’analisi del complesso dei Silos Hennebique.
Figura 12. Visione globale del modello FEM
Essendo la rigidezza nel piano dei solai molto elevata (solette piene),
è stata imposta una condizione di piano rigido (diaphragm) a tutti i
nodi appartenenti ad uno stesso orizzontamento, diversificandolo in
relazione alla quota e alle fasi costruttive.
Al fine di comprendere il comportamento strutturale del complesso e
valutarne i margini di sicurezza strutturale, anche in relazione ad un
possibile intervento di miglioramento sismico, sono stati realizzati due
diversi modelli: il primo (MODELLO A) considerando i carichi ordinari di
esercizio così come definiti dall’uso originario che prevedeva anche il
peso del grano nei silos (peso specifico di 7.50 kN/m3); il secondo
(MODELLO B) assumendo come riferimento un sovraccarico variabile
rappresentativo delle possibili future destinazioni d’uso, nell’ottica
di una riqualificazione funzionale. Il primo modello è stato realizzato
anche per valutare se la qualità della concezione strutturale originaria
e la sua realizzazione non presentasse, già in una situazione iniziale,
criticità o deficienze strutturali tali da compromettere la sua
sicurezza in una condizione statica.
È stato assunto, per il MODELLO B, un carico variabile verticale pari a
4.0 kN/m2, valore omogeneamente cautelativo in quanto riferito a sale
convegni, teatri etc. (Cat. C2). Per tenere conto di un futuro
riutilizzo della struttura si è ipotizzato la realizzazione di 3 nuovi
livelli all’interno delle celle di stoccaggio del grano, in modo di
simulare il più correttamente possibile una plausibile nuova condizione
di carico. È stata, inoltre, considerata l’azione del vento in
riferimento alle NTC 2008 al capitolo 3.3 e alle Istruzioni CNRDT207/2008, in maniera semplificata e cautelativa. Si è applicata una
pressione costante sulle superfici esposte e solo nella direzione del
vento. Sulla torretta è stata applicata un’azione maggiore che sulle
17
altre facce del fabbricato (seppur sempre uniforme) per tenere in conto
della sua maggior altezza.
Per l'Analisi dinamica lineare, lo spettro di risposta è stato definito
in conformità a quanto stabilito nelle NTC 2008 per la definizione della
pericolosità sismica del sito. Lo spettro di risposta è stato in
particolare definito in funzione della localizzazione geografica della
struttura (lat.=44.41406 e long.=8.92088) assumendo un valore del
periodo di riferimento VR pari a 50 anni. Il sottosuolo scelto per
definire lo spettro di risposta è la categoria C, in quanto, in assenza
di dati sperimentali e vista la tipologia di situazione (banchina
marittima), si valuta in questo modo una risposta strutturale
cautelativa, associata ad un terreno di caratteristiche medio-scadenti,
con un elevato valore di amplificazione. Il fattore di struttura,
parametro che riduce le ordinate dello spettro di risposta per tenere in
conto delle riserve anelastiche del sistema, è stato assunto, in questa
analisi, pari ad 1.5, valore idoneo per strutture storiche in
conglomerato cementizio, dove i dettagli costruttivi associati a criteri
di progettazione antisismici non erano ancora concepiti.
Sono state quindi effettuate verifiche strutturali di alcuni elementi
analizzati in diverse configurazioni e per differenti tipologie di
condizioni di carico.
Le valutazioni su un modello che considera i carichi di esercizio
“originali” della struttura, dovuti al grano, ai macchinari di
sollevamento, alle bilance, alle caldaie, alle pompe, etc., hanno
principalmente il significato di consentire il corretto dimensionamento
dell’opera, controllando soprattutto gli stati tensionali nei pilastri.
Tali valori sono stati poi confrontati con quelli desunti da
un’ipotetica condizione di riqualificazione strutturale, considerando
ovviamente una condizione di carico equiparabile ed omogenea.
Lo stato di compressione assiale è un valore ottenuto dal rapporto tra
forza normale (considerata baricentrica) e l’area del conglomerato. I
risultati sono presentati in forma di box and whiskers plot (boxplot) in
cui è possibile vedere le seguenti suddivisioni: valore minimo, 1°
quartile, 2° quartile (mediana), 3° quartile, valore massimo. Per
chiarezza i quartili sono i valori che dividono il campione in 4 parti
ugualmente popolate, quindi ad esempio il 1° quartile rappresenta il
valore che suddivide il campione in due gruppi formati dal 25% e dal 75%
degli elementi (ovviamente ordinati).
Come si può vedere dal grafico (Figura 13), le tensioni di lavoro dei
materiali hanno valori massimi dell’ordine dei 6.0 MPa, valore che
corrisponde ai calcoli effettuati dai progettisti dell’epoca. I valori
di sollecitazione riportati nel grafico sono stati ricavati considerando
contemporaneamente la presenza di grano in tutti i silos per un 75%
dell’altezza (considerando il 100% in tutte le celle si incrementerebbe
il carico al massimo di 1 MPa).
18
Figura 13. Boxplot dello stato tensionale di pura compressione alla base dei principali
pilastri - MODELLO A.
Per quanto riguarda le verifiche statiche, il primo passo è stato
verificare se un cambio di destinazione d’uso potesse alterare
sensibilmente lo stato tensionale alla base dei pilastri. Come si evince
dal raffronto dei due grafici (Figura 13, Figura 14) si può in realtà
notare come non ci sia una sostanziale variazione della tensione di
compressione e che il cambio di destinazione d’uso (sovraccarico pari a
4 kN/m2) produca in media una riduzione dello stato di sollecitazione
assiale.
Figura 14. Boxplot dello stato tensionale di pura compressione alla base dei principali
pilastri - MODELLO B. La linea rossa rappresenta il valore limite di resistenza a
compressione per la verifica di pilastri a sola forza normale (cd/1.25 - NTC 2008
formula C4.1.4)
Poiché l’utilizzo come deposito del grano causava la presenza di
carichi molto elevati, anche pensando ad un riutilizzo della struttura,
non si denotano, almeno ai carichi verticali, particolari carenze
strutturali, confermando come la struttura fosse stata ben dimensionata
per questo tipo di azioni. È noto come la progettazione dell’epoca non
considerava sollecitazioni flettenti all’interno dei pilastri ed è per
19
questo motivo che in questa preliminare analisi tali effetti sono stati
trascurati.
Gli effetti delle azioni flettenti sui pilastri sono state considerate
andando ad effettuare una verifica a presso-flessione adottando le
combinazioni di carico in cui il sovraccarico variabile (assunto come
principale) è combinato con l’azione del vento nelle due direzioni. La
verifica a presso-flessione è stata condotta per entrambe le direzioni
considerando le sollecitazioni agenti negli elementi ricavate dal
modello ad elementi finiti della struttura. Le verifiche sono state
effettuate considerando le sezioni di base e sommità di ciascun
elemento, essendo le più sollecitate dato che non sono presenti carichi
distribuiti sugli elementi. Le armature degli elementi considerate nelle
verifiche sono state desunte dal materiale d’archivio e dai rilievi
effettuati in sito.
I risultati ottenuti con la combinazione del vento in direzione X
mostrano come su 1501 elementi analizzati 156 non sono verificati avendo
un coefficiente maggiore dell’unità di cui solo 46 con un coefficiente
maggiore di 1.1 (dove il coefficiente di verifica è dato dalla somma del
rapporto, nelle due direzioni, del momento sollecitante e momento
resistente). Lo stesso tipo di risultati si ottiene considerando il
vento in direzione Y (1501 elementi analizzati 122 non sono verificati,
presentando un coefficiente superiore all’unità, di cui 45 con un
coefficiente maggiore di 1.1).
I pilastri “non verificati” sono dislocati nell’intero complesso
strutturale e rappresentano in gran parte casistiche particolari
all’interno della tipologia di appartenenza. In queste situazioni il
risultato ottenuto risulta fortemente cautelativo dimostrando come il
numero degli elementi che non soddisfano le verifiche può essere
ridimensionato.
I risultati ottenuti mostrano come, consolidando alcuni elementi
strutturali in condizioni critiche, la struttura possa ritenersi
sostanzialmente idonea a rispettare le prescrizioni di normativa per le
combinazioni di carico considerate.
Per quanto riguarda gli elementi orizzontali, la presenza di contro
solette in corrispondenza dei diversi campi di solaio determina
l’esigenza di un mantenimento di tali elementi al fine di non generare
sollecitazioni di taglio laterale[9-15].
La sicurezza strutturale del manufatto è stata inoltre valutata con
riferimento all’azione sismica di progetto prevista dalle NTC 2008 per
il sito in esame. A tale scopo, è stata condotta un’analisi dinamica con
spettro di risposta sul modello ad elementi finiti precedentemente
descritto.
Le azioni del sisma sono state combinate per le due direzioni di analisi
così come previsto nelle NTC 2008. La verifica degli elementi
strutturali, sono riferite all’azione di presso-flessione indotta negli
elementi nelle due diverse direzioni di analisi.
Con la combinazione sismica in direzione X, su 1501 elementi analizzati
320 non soddisfano le verifiche, di cui 280 presentano un coefficiente
di non verifica maggiore di 1.1; con la combinazione sismica in
20
direzione Y su 1501 elementi analizzati 299 presentano un coefficiente
di non verifica maggiore di 1.1 e 378 maggiore dell’unità.
I risultati ottenuti mostrano come ad eccezione di alcune casi isolati,
le zone che presentano maggiori criticità sono la parte centrale in
corrispondenza della torretta e la sala nastri a mare.
Si sottolinea, infine, come la sala nastri a mare connessa alla
sopraelevazione del 1924,sia anche la zona in cui il degrado risulta
maggiormente evidente. Tale aspetto permette di evidenziare come il
"sovradimensionamento" che spesso caratterizzava le prime strutture in
cemento armato (1901-1906, ma già non più le strutture del 1924), seppur
in gran parte connesso alla poca conoscenza delle potenzialità di un
materiale poco sperimentato, permetteva di tenere in considerazione, in
maniera più o meno consapevole, di quel concetto di durabilità di
recente
introduzione
a
livello
normativo
[2],
che
tuttavia
caratterizzava da sempre le costruzioni in muratura per le quali il
dimensionamento strutturale non seguiva unicamente logiche legate a
verifica di resistenza del materiale. In queste prime applicazioni il
retaggio culturale mediato dalle strutture in muratura ha permesso di
preservare meglio nel tempo le prime strutture in conglomerato storico.
4 Conclusioni
Le analisi condotte mostrano come il complesso dei Silos Hennebique
presenti una serie di criticità, con implicazioni anche strutturali, che
non determinano l’impossibilità di un suo recupero, ristrutturazione e/o
riuso.
Le verifiche condotte hanno, infatti, permesso di raggiungere, in primo
luogo, un livello di conoscenza ottimale, in termini di individuazione
delle fasi storiche (e conseguentemente delle trasformazioni subite) e
delle caratteristiche meccaniche dei materiali presenti. Tale conoscenza
è, infatti, un pre-requisito essenziale per qualsiasi riqualificazione
funzionale soprattutto quando l’oggetto risulta un bene vincolato ai
sensi del Codice dei Beni Culturali [1]. In quest’ottica, la campagna
diagnostica effettuata rappresenta un punto di partenza su cui basare le
successive fasi progettuali.
Da un punto di vista prettamente strutturale, le analisi quantitative
hanno evidenziato come il complesso dei Silos Hennebique sia stato
concepito
(seppur
in
un’epoca
pionieristica
per
tale
tipologia
strutturale) in maniera ottimale, dimostrando un'efficienza strutturale
che può essere riscontrata ancora oggi. Le verifiche condotte
dimostrano, infatti, come le dimensioni e le caratteristiche dei
materiali utilizzati consentono di raggiungere un adeguato livello di
sicurezza anche considerando le azioni indotte dalle combinazioni di
carico
previste
dalle
attuali
norme
tecniche
(NTC
2008)
in
considerazione anche dell’azione di forze orizzontali come quella del
vento.
Il confronto effettuato, con riferimento alle verifiche a semplice
compressione, rispetto alla condizione originaria (MODELLO A) e quello
che può caratterizzare un suo futuro riutilizzo (MODELLO B) mostra come
un cambio di destinazione d’uso rispetto alla situazione originaria,
21
considerando un valore di sovraccarico uniforme pari a 4 kN/m2, porti ad
un decremento delle sollecitazioni alla base dei pilastri in fondazione.
Le verifiche a presso-flessione, condotte con riferimento alle diverse
combinazioni di carico, mostrano, inoltre, come solo alcuni elementi
possano ritenersi in condizioni critiche. I pilastri “non verificati”
sono
minoritari,
dislocati
nell’intero
complesso
strutturale,
e
rappresentano ,in gran parte, casi particolari all’interno della
tipologia di appartenenza.
I risultati ottenuti con le analisi dinamiche con spettro di risposta,
mostrano una maggiore criticità del complesso con un numero di pilastri
pari a circa 1/5 del totale che presenta problematiche strutturali. Gli
elementi che entrano in crisi sono diffusi a predeterminati piani o
fortemente localizzati: nel primo caso, si fa riferimento principalmente
alla sala nastri, che già a fronte dell’analisi del degrado e delle
criticità strutturali indotte da esso, evidenziava la necessità di una
demolizione (ed eventuale ricostruzione); nel secondo caso si possono
ragionevolmente adottare interventi di consolidamento localizzati (i.e.:
rinforzo con materiali polimerici). Lo scostamento limitato dal
soddisfacimento
della
verifica
consente,
infatti,
di
poter
opportunamente utilizzare tali tecniche di intervento, sfruttando il
conseguente incremento di resistenza che si può ottenere.
La diffidenza generale con cui si pensa al riutilizzo degli edifici in
conglomerato cementizio storico è in parte legata all'incertezza del
comportamento strutturale a distanza di molti anni, e al quasi sempre
necessario cambio di destinazione d'uso, accompagnato da una nuova
ridistribuzione dei carichi. Il presente studio, attraverso l'esempio
dei Silos Granari nel Porto di Genova, dimostra, come, un'analisi,
basata su una fase di conoscenza approfondita, possa portare a ritenere
questi manufatti idonei ad una riconversione, adattabili ad accogliere
funzioni diverse, offrendo risposte adeguate alle richieste di una città
moderna.
5
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