Il recupero degli edifici in conglomerato cementizio armato storico Stefano Podestà - IMAC, Ecole Polytechnique Federale de Lausanne Chiara Romano - DICEA, Università di Roma, La Sapienza Il recupero dei manufatti storici in conglomerato cementizio armato è un tema attuale che pone di fronte a problematiche che non sono solo di ordine tecnico. I Silos granari nel Porto di Genova, realizzati tra il 1901 ed il 1924, con la "nuova" tecnologia costruttiva del cemento armato, sono un esempio di quanto detto, una testimonianza pionieristica industriale, unica a livello mondiale, nonostante risulti abbandonato da molti anni. Il riuso di un edificio industriale come questo non rappresenta solo un problema connesso al recupero di un immobile dismesso ma è intrinsecamente correlato allo sviluppo socioeconomico di una città. Obiettivo del presente lavoro è dimostrare che è possibile riqualificare queste strutture, attribuendo ad esse anche nuove destinazioni d'uso, definendo un percorso sistematico, che a partire dalla fase di conoscenza, possa portare ad una valutazione della sicurezza strutturale affidabile, in grado di cogliere le peculiarità che caratterizzano gli edifici in conglomerato cementizio storico. 1 Introduzione Il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio" [1], ai sensi dell’articolo 12 "evidenzia come tutti gli immobili appartenenti a tali soggetti, se realizzati da più di cinquant’anni ad opera di un autore non più vivente, siano sottoposti all’accertamento dell’interesse culturale". Tale novità procedurale ha portato ad attivare un censimento del patrimonio architettonico nazionale, con l’inserimento dei dati in un sistema informativo predisposto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. L'analisi dei dati inseriti al 2013 mostra come oltre il 5% dei manufatti siano caratterizzati da una struttura in calcestruzzo armato. Il dato potrebbe sembrare statisticamente poco significativo, ma a fronte di una previsione di 500.000 edifici d’interesse culturale, si può facilmente capire come il recupero di questa tipologia di manufatti ponga una nuova frontiera nell'ambito del restauro e consolidamento strutturale. Questa tipologia di edifici rientra, infatti, a pieno titolo nei valori urbani da salvaguardare. La loro conservazione (basti pensare a tutti gli edifici industriali dismessi dei primi del novecento) è intrinsecamente connessa ad un riuso. Solo reinserendoli nel ciclo vitale della città, si può garantire quella continuità di utilizzo che è indispensabile alla salvaguardia. Il concetto di riuso che caratterizza così fortemente tali manufatti rende forse ancora più determinante, rispetto ad un edificio esistentein muratura, la necessità di definire procedure idonee a verificarne la sicurezza strutturale, tenendo conto delle nuove funzioni a cui possono essere destinati, i nuovi livelli di protezione richiesti dalle 1 normative tecniche [2-3] edai rischi ambientali a cui possono essere soggetti. Sebbene l’approccio procedurale possa essere analogo a quello definito per gli edifici storici in muratura, le differenzesono sostanziali. Allo stesso tempo, le costruzioni storiche in conglomerato cementizio armato, differiscono notevolmente dalle moderne strutture in c.a., sia per carenze di concezione (telai in una sola direzione, assenza di giunti sismici, etc.) sia per i dettagli costruttivi che limitano la duttilità dell'edificio, attivando meccanismi di danno fragili per l'assenza di staffe adeguate non solo nei nodi ma anche negli elementi travi e pilastri. Un primo aspetto da affrontare, per il recupero di questi manufatti, riguarda quindi la definizione del percorso di conoscenza, che comprenda la ricostruzione storica del quadro normativo e dei metodi di calcolo, l’individuazione dei riferimenti tecnologici e costruttivi, l’analisi delle patologie e degrado in atto. Il problema dell'individuazione dei riferimenti tecnologici e costruttivi, è legato al fatto che, dall'origine del conglomerato cementizio fino agli anni che seguirono l’emanazione delle prime normative nazionali del settore, uno degli aspetti peculiari della tecnologia costruttiva è rappresentato dall’utilizzo di numerosi brevetti, frutto spesso dell’intuito costruttivo anziché dell'applicazione di consolidate conoscenze scientifiche. Il secondo aspetto riguarda invece i criteri per la scelta dell'intervento. Esiste in questo caso la necessità di preservare, nel rispetto della sicurezza strutturale, l'integrità materica del manufatto? Se tale specifica è ormai condivisa per un edificio storico in muratura, per un edificio in conglomerato cementizio storico, il "fascino della materia" è ancora da sedimentarsi nella coscienza collettiva. Tuttavia intervenire su un manufatto in cemento armato dei primi del novecento non può limitarsi a mantenere l'involucro esterno (come spesso accade). Il recupero deve trarre la sua ragione d’essere, dalla conservazione dell’identità e della memoria storica e nella possibilità di confermare la logica costruttiva all’interno di un processo di conoscenza che porti a studiare il manufatto riconoscendone le peculiarità che lo caratterizzano. 2 Il cemento armato storico Per comprendere il comportamento di un manufatto in calcestruzzo storico non si può prescindere dalla conoscenza del materiale con cui è stato realizzato e dei dettagli costruttivi con cui sono realizzati gli elementi strutturali. Come in parte già sottolineato, infatti, il processo di analisi che può consentire una corretta valutazione non può essere mutuato acriticamente da edifici storici in muratura o da edifici in c.a. di moderna concezione. Il motivo è evidente già da un punto di vista letterale: è nella difficile attribuzione dell'aggettivo "storico" la prima complessità delle nostre valutazioni, che è, infatti, proprio sia dell'edificio (per la sua vita ultra-centenaria) sia del materiale che trova in quegli anni le prime applicazioni nel campo strutturale. 2 Per comprenderne la portata socio-economica che l'avvento del calcestruzzo ha portato nel mondo dell'edilizia e quindi individuare le criticità che caratterizzano il conglomerato cementizio storico non si può prescindere da una analisi delle prime realizzazioni [4-5]. L'utilizzo combinato di cemento e ferro nel settore delle costruzioni trova esempi lontani nel tempo, ma solo a partire da metà Ottocento la ricerca assume consapevolezza dei possibili risultati. Le prime realizzazioni, nel quale sia possibile riconoscere dei principi prossimi a quelli dell'odierno cemento armato, sono la barca creata nel 1850 da Joseph-Louis Lambot e i vasi da fiori che il giardiniere Joseph Monier brevettò nel 1867. Figura 1. La barca di Lambot e i vasi realizzati con il sistema Monier Lo stesso Monier estese poi il sistema al campo delle costruzioni vere e proprie depositando una lunga serie di brevetti, a partire dal 1869, che contenevano elementi e principi sulla disposizione delle armature, basati su concetti empirici. Tale aspetto introduce due importanti riflessioni: in primo luogo il calcestruzzo non nasce come un materiale ingegnerizzato, almeno nel senso strutturale che oggi diamo a questo termine e forse, è proprio in tale aspetto che risiede quella sovra-resistenza che, a volte, "stupisce" chi analizza strutture in cemento armato storiche. In secondo luogo, l'ufficializzazione di questa "invenzione" si sviluppa nel mondo attraverso il meccanismo del brevetto. La storia del calcestruzzo armato sarà, infatti, scritta, nei primi anni, dall'avvicendamento dei brevetti e dalle loro innumerevoli applicazioni, che dopo Monier, continuarono a moltiplicarsi. I diversi brevetti furono ben presto affiancati e supportati da una ricerca teorica che aveva come sua base naturale la teoria dell’elasticità, già ampiamente elaborata dai matematici nel secolo precedente, attraverso la quale si sapeva affrontare l’analisi strutturale nello studio delle relazioni tra carichi agenti e resistenza dei materiali. Tuttavia dal brevetto Monier (1884), che rappresentò per molti anni il riferimento principale per lo sviluppo del cemento armato dal punto di vista teorico e tecnologico, molteplici furono le soluzioni semi-empiriche proposte. In Italia, in particolare, sebbene lo sviluppo dell'industria del cemento avvenisse con molto ritardo rispetto agli altri paesi europei, si svilupparono una serie di soluzioni originali, che, a partire dai brevetti importati, diedero un grande impulso alla diffusione della tecnica costruttiva. La mancanza di colossi industriali come erano in Francia la maison Hennebique (brevetto omonimo) e in Germania la 3 Wayss&Fraytag (che acquisisce e sviluppa il brevetto Monier), permise, in Italia, un fiorire di aziende che si proponevano nell'innovativo campo del calcestruzzo armato, con soluzioni autonome. Accanto ad esse, si acquisivano i diritti di esclusiva sui brevetti stranieri da parte di quelli che saranno i concessionari italiani. Il sistema Hennebique si diffonde soprattutto in Piemonte, Liguria, Roma e Napoli, dove sono localizzati i concessionari di questo marchio. Il primo agente italiano è l'ingegner Giovanni Narici, con sede a Napoli, seguito subito dopo dall'ingegner Giovanni Antonio Porcheddu di Torino. Vennero aperti uffici a Bologna, dall'ingegner Attilio Muggia, e a Roma, dall'ingegner Italo Chiera. A Milano invece c'è maggiore concorrenza fra le imprese locali, ciascuna concessionaria di un sistema differente. Qui, la ditta Odorico deteneva il brevetto Monier. Lo stesso brevetto era utilizzato dalla Società Anonima Ferrobeton, fondata a Genova, nel 1908, come filiale italiana della Wayss&Fraytag. La ditta, nel giro di pochi anni si impose sul mercato nazionale, forte del bagaglio di esperienze della ditta tedesca e di un brevetto Monier ormai perfezionato, tanto da diventare il più ostico avversario della Società Porcheddu, soprattutto nel campo dei grandi appalti pubblici. Oltre ai due principali brevetti, Hennebique e Monier, in Italia si diffondeva grazie alla ditta Odorico, il brevetto Melan, che consisteva nel predisporre una struttura autoportante in acciaio, dimensionata in funzione dei soli carichi permanenti, alla quale sovrapporre un rivestimento di cemento armato in grado di assorbire i sovraccarichi; la stessa ditta Odorico deteneva l'esclusiva del brevetto Matrai, depositato in Italia nel 1896 da Alexander Matrai, professore del Politecnico di Budapest, il quale disponeva i ferri dei suoi solai con un andamento a catenaria, in fasci diretti secondo le diagonali congiungenti gli assi dei pilastri. L'ingegner Augusto Maciachini era agente generale per l'Italia del brevetto Walser-Gerard, depositato in Italia nel 1899, e che sintetizzava quanto di meglio era stato già messo a punto nei dibattiti degli anni precedenti: trave a doppia armatura, staffe a più braccia di collegamento dei ferri tesi con quelli compressi, monconi di rinforzo in prossimità degli incastri. Giuseppe Marchello era concessionario del brevetto Walser-Gerard per le province dell'Emilia Romagna, delle Marche, della Toscana e dell'Umbria. Giungeva in Italia anche il brevetto Luipold, la cui rappresentanza era della ditta del professor G. Chini e più tardi dell'ingegner Carlo Castiglioni, entrambi di Milano. Nel 1893 Carlo Poma propone un perfezionamento del sistema Monier, in cui, al posto del cemento, adottava il calcestruzzo, ovvero ghiaia mescolata a cemento e sabbia. Nel 1899 Antonio Agnese depositava un brevetto nel quale modificava la soletta di Monier, integrandola con alcuni insegnamenti di Hennebique: l'armatura, invece che da una rete piana, era formata da tondini separati, intrecciati fra di loro con andamento sinusoidale, resi capaci, in questo modo, di contrastare anche gli scorrimenti dovuti al taglio. Il brevetto di Mario Baroni ed Emilio Luling, presentato nel 1899, sfruttato in esclusiva dalla ditta dell'ingegner Bollinger di Milano, anticipava il principio dell'impiego 4 dei ferri piegati. Lo stesso Maciachini propose un brevetto, perfezionamento del sistema Walser-Gerard, in cui, alcune staffe venivano inclinate a 45°, in modo da comporre un vero traliccio, formato da triangoli indeformabili di barre di ferro. Nonostante la buona intuizione, il disegno molto sofisticato, lasciava molti dubbi sull'effettiva applicabilità del sistema. Infine, il brevetto di Ferdinando Leonardi e Rocco Reale, cercava di rendere più efficace l'incastro fra le travi e le solette, per mezzo di speciali ferri sagomati; il taglio veniva assorbito da armature di diametro più piccolo, disposte a traliccio e più fitte presso gli appoggi; proponeva, inoltre, un solaio alleggerito, realizzato con corpi cavi annegati nel getto. Per lo sfruttamento del brevetto nasceva la ditta fratelli Vender - ingegner Leonardi&CO. Appare quindi evidente che, se per la verifica di un edificio in cemento armato di recente concezione uno dei primi aspetti da capire è la normativa rispetto alla quale è stato realizzato, per un edificio in cemento armato storico è necessario individuare il brevetto sul quale si basa. Questo aspetto se aumenta l'importanza della ricerca storica e dei dettagli costruttivi che caratterizzano i diversi brevetti, rende per contro più agevole la fase di conoscenza sul campo, limitando il livello di incertezza anche nel caso di una campagna diretta non esaustiva. Essendo il brevetto il "plus-valore" dell'impresa, la realizzazione del manufatto tende, in genere, a non discostarsi da esso, proprio perché la sicurezza della costruzione (e conseguentemente il buon nome dell'impresa costruttrice) è intrinsecamente connesso ad esso. I crolli che avvengono, in quegli anni, in genere poco documentanti per evitare l'insorgere di un rifiuto al nuovo materiale, determinano il fallimento dell'impresa che di fatto con l'adozione del brevetto ne garantisce la sicurezza strutturale. La mancanza di una normativa, il cui rispetto tutela progettista e costruttore, conferisce all'impresa una responsabilità totale sulla sicurezza del manufatto. 2.1 Il brevetto Hennebique In riferimento al caso studio dei Silos granai Hennebique a Genova è utile soffermarsi sul brevetto riconducibile a Francois Hennebique a cui si deve, in gran parte, la diffusione su larga scala della tecnica costruttiva del conglomerato cementizio armato. Sul suo brevetto, egli costruì, in circa 30 anni, un "impero" imprenditoriale: dalla originaria sede di Bruxelles, e poi da quella parigina, iniziava una vivace propaganda del suo brevetto. Inviava brochure e lettere personali a tecnici ed architetti più importanti del periodo, coinvolgeva le autorità statali ad assistere alle prove di carico, scriveva e faceva scrivere ai suoi ingegneri articoli sulle più diffuse riviste del settore, dotava la sua ditta di una rete di agenti e concessionari allo scopo di ottenere una capillare distribuzione geografica del brevetto. Mosso dalla finalità di creare una forte rete di interscambio tra i suoi agenti e concessionari, oltre che una risonanza pubblicitaria internazionale, nell'estate 1898 diede vita alla pubblicazione della rivista aziendale Le Bèton Armè [7]. 5 La propaganda fatta da Hennebique, sul sistema costruttivo che porta il suo nome, non ha determinato solo la sua diffusione capillare in Italia, ma ha anche permesso un trasferimento delle conoscenze che allora si avevano sulla tecnica costruttiva del conglomerato cementizio armato. Proprio grazie alle numerose fonti dell'epoca, è oggi possibile studiare il sistema Hennebique con un buon livello di approfondimento. A questo aspetto, va aggiunto che tutto il materiale relativo alle numerose realizzazioni di uno dei concessionari più importanti del sistema Hennebique in Italia, la Società Porcheddu di Torino, è custodito oggi in un Archivio disponibile presso il Politecnico di Torino, presso il quale è possibile consultare gli elaborati di progetto delle opere realizzate dalla stessa Società[4]. Le numerose pubblicazioni dell'epoca, unite alla ricca e completa documentazione d'Archivio, costituiscono le ragioni per cui, nel presente lavoro, e all'interno della più ampia tematica delle costruzioni in conglomerato cementizio armato storico, è stato possibile approfondire il sistema Hennebique. Il sistema Hennebique[8] permetteva la costruzione completa di un’ossatura portante monolitica in conglomerato cementizio armato che prevedeva plinti di fondazione (o travi rovesce o platea), pilastri, travi, travi secondarie e solette (Figura 2) Figura 2. Il sistema Hennebique Nei pilastri, in generale a sezione quadrata, rettangolare o poligonale, erano previste armature metalliche longitudinali in barre a sezione circolare, tenute a posto sia da legature trasversali in filo di ferro sia da fasce metalliche. Le travi collegate monoliticamente alle solette formavano delle strutture resistenti con sezione a “T”, sviluppate, frequentemente, nei due sensi ortogonali del solaio. La loro armatura era costituita da una serie di barre tonde: alcune (dritte) dislocate in prossimità della faccia inferiore della trave; altre (parallele alle prime) erano ripiegate alle due estremità verso l’alto, in modo da assicurare nelle zone di incastro la presenza di armature metalliche sia al lembo inferiore sia a quello superiore della struttura. La ripartizione tra ferri dritti e piegati era generalmente in parti uguali. Tutti i ferri dovevano terminare con ganci e particolare cura veniva posta agli ancoraggi sul perimetro del solaio. Nella Figura 3sono 6 riportati l’ancoraggio delle barre longitudinali e i ferri piegati in prossimità della sezione d’ incastro. Figura 3. Ancoraggio delle barre longitudinali e disposizione dei ferri piegati in corrispondenza della sezione d'incastro Il sistema prevedeva, inoltre, come caratteristica fondamentale, la presenza di staffe, elementi a braccia verticali, in piattina di ferro (sezione 20x2 mm o 30x2 mm) o in barre tonde, che contrastavano gli sforzi di taglio presenti nell’elemento inflesso. Nella Figura 4 sono riportate la forma e il posizionamento delle staffe nel metodo Hennebique. Figura 4. Forma e posizionamento delle staffe nel sistema Hennebique Caratteristico era, infine, il collegamento tra pilastri e travi che spesso presentava mensole di raccordo in prossimità dell’appoggio. Il sistema di calcolo prevedeva formule semplici di natura empirica basate cioè su sperimentazioni ed esperienze costruttive che, per certi aspetti, presentano analogie con l’attuale metodo di verifica a rottura. Nel caso della compressione semplice la portata di un pilastro era data dalla somma dei contributi del conglomerato e del ferro, ottenuti come prodotto delle rispettive sezioni per le tensioni di calcolo. Nel caso della flessione si attribuiva un momento resistente al conglomerato ed uno, di egual valore, al ferro, e si adottavano (indipendentemente dalla congruenza delle deformazioni elastiche) opportune tensioni medie di calcolo. Il modello di calcolo dei pilastri e delle travi è illustrato nella Figura 5 [4]. 7 Figura 5. Schema per il calcolo dei pilastri e delle travi nel sistema Hennebique In pratica si imponeva che il momento flettente esterno venisse assorbito per metà dal conglomerato cementizio e per l’altra metà dal ferro, ricavando, in prima fase di progetto, l’area di conglomerato necessaria e reagente a compressione. Si adottava, a riguardo, una tensione media di 2.5 MPa ammettendo che, nelle fibre più esterne sollecitate, tali valori fossero superiori. Successivamente si ricavava l’area dell’armatura in ferro fissando (in fase di progetto e in base all’esperienza) la lunghezza del braccio di leva delle forze interne (in proporzione con le altre dimensioni della trave) e adottando una tensione media di 100 MPa. Questo procedimento ovviamente non soddisfaceva però la condizione di equilibrio delle forze interne resistenti (una del conglomerato e una del ferro).Dato che la progettazione delle sezioni degli elementi portanti era determinata sulla base di proporzioni verificate dall’esperienza, i rapporti tra le diverse dimensioni delle membrature erano abbastanza simili e ripetibili (e.g.: rapporto tra altezza e base delle travi, luce delle travi secondarie). 3 I Silos granari nel Porto di Genova I Silos granari del porto di Genova, il cui primo progetto risale al 1899,sono ritenuti la più complessa opera in conglomerato cementizio armato costruita nel mondo per buona parte del XX secolo. Progettati dagli ingegneri milanesi A. Carissimo e G. Crotti e dall’ing. G.B. De Cristoforis, i Silos Granari nel Porto di Genova, presentano peculiarità legate alla funzione per cui sono nati, ovvero come magazzini del grano, che rendono difficile l'identificazione di questo manufatto come un "edificio" [13]. Figura 6. Localizzazione Silos Granari nel Porto di Genova 8 3.1 Analisi storico critica La Società G.A.Porcheddu di Torino, realizzò il primo impianto dei Silos nel 1901.Meno documentati sono, invece, i successivi ampliamenti che portarono alla conformazione finale del manufatto. La prima fase risale al 1906, data in cui vennero presentati i disegni di progetto all'amministrazione portuale. La società che eseguirà i lavori dell'ampliamento è la Ferrobeton. I successivi ampliamenti, sempre ad opera della Ferrobeton, risalgono invece al periodo che va dal 1924, data dei primi disegni presentati al Governo del Porto, al 1929, quando si effettuarono le prove di collaudo delle nuove strutture [12]. Dopo questi ultimi lavori, il Silos granario Hennebique rimane praticamente immutato, se si escludono le piccole addizioni in facciata costruite nel dopoguerra per metterlo in comunicazione con i silos sul vicino Ponte Parodi, che, nonostante il progetto originale, in parte documentato nell'archivio dell'Autorità Portuale, risalga al 1926, vennero realizzati solo dopo la guerra e successivamentedemoliti nel 1999. Sul finire degli anni '80 l'edificio viene dismesso e da quel momento versa in uno stato di totale abbandono. L'analisi storico critica è stata condotta attraverso la documentazione dell'Archivio Porcheddu, presso il Politecnico di Torino, per quanto riguarda la costruzione del primo lotto, edell'Archivio dell'Autorità Portuale di Genova, che custodisce la documentazione relativa alle fasi di ampliamento da parte della Società Ferrobeton. a) b) 9 c) d) e) f) g) h) Figura 7. dall'Archivio Porcheddu: a)Planimetria generale; b) Pianta del secondo piano; c) Particolare prospetto fronte mare; d) Prospetto est; e) Particolare della disposizione dei ferri di armatura delle travi della platea di fondazione; dall'Archivio dell'Autorità Portuale: f) Pianta piano terreno; g) Pianta schematica con indicazione, in rosso, degli ampliamenti e delle sopraelevazioni previste; h) Sezioni schematiche con indicazione, in rosso, degli ampliamenti e delle sopraelevazioni previste. Le fasi costruttive sono sintetizzate schematicamente in Figura 7, al fine di comprendere come il manufatto subisca nel corso di circa 100 anni una serie di trasformazioni che non possono essere trascurate nell'analisi del comportamento strutturale. Tale analisi pone l'accento su diverse implicazioni strutturali. 10 La monoliticità che caratterizza ogni struttura in cemento armato (anche storica) rende di fatto problematica la realizzazione di un ampliamento e/o superfetazione. La mancanza di accorgimenti tecnici moderni (basti pensare a sistemi di collegamento con ancoraggi pesanti - tasselli meccanici o chimici - o materiali polimerici per il rinforzo strutturale) ha determinato soluzioni che erano proprie di un retaggio culturale tipico delle strutture in muratura. In presenza di un ampliamento, l'impossibilità di una connessione con i nuovi elementi strutturali ha portato alla costruzioni di nuovi elementi resistenti in adiacenza a quelli esistenti, in modo da consentire l'appoggio dei nuovi campi di solaio. Il giunto che si viene a verificare non può essere certamente assunto come un giunto sismico ma di fatto crea un interruzione della continuità del fabbricato. Per contro, la presenza di sopraelevazioni, che parte del fabbricato ha subito, ha portato ad adottare sistemi di "consolidamento" caratterizzati da allargamenti delle sezioni e dall'inserimento di contrafforti ecc. Figura 7. Le principali fasi costruttive dei Silos Hennebique 3.2 La conformazione dell'edificio I Silos granai occupano 7.155 mq di superficie e dispongono di 344 celle, di cui 330 di capacità di 130 t e 14 da 75 t, per una capacità complessiva di 43.950 t di granaglie. Il complesso è suddiviso distributivamente in un corpo centrale (che ospitava i locali pompe, le macchine elettriche, le ventole per la separazione delle polveri, ecc.), in una torre degli elevatori emergente e nelle due lunghe ali laterali contenenti le celle. All’ultimo piano è situata la cosiddetta "sala nastri", per il caricamento delle celle, e nel sotterraneo la galleria delle tramogge. Un corpo anteriore più basso addossato all’edificio dispone di un porticato sotto cui corre un 11 binario ferroviario. Le celle, i solai, i pilastri e la copertura sono realizzati in conglomerato cementizio armato. Figura 8. Sezione trasversale dei compartimenti del corpo centrale Il complesso è caratterizzato da una notevole cura dal punto di vista compositivo: la simmetria centrale, sottolineata dalla ciminiera, in posizione assiale, con un carattere quasi monumentale, la finitura delle facciate a bugnato, i marcapiani modanati, le false finestre sulle pareti perimetrali in corrispondenza delle celle, denotano un assetto morfologico proprio dell'edilizia civile, piuttosto che di quella industriale. Dal punto di vista strutturale la costruzione dispone di una platea di fondazione costituita da travi principali (delle dimensioni di 0,75x0,50 m) disposte in senso trasversale, con un interasse di 3 m, collegate da travi secondarie longitudinali (0,65x0,25 m), con interasse di 2,66 m, e una soletta di 0,25 m di spessore. In corrispondenza dell’intersezione delle travi di fondazione sono collocati i pilastri aventi sezione pari a 0,90 x 0,90 metri (quelli perimetrali pari a 0,90 x 0,75 metri). 12 Figura 9. Fase di esecuzione della piastra di fondazione e dettaglio armature Su detti pilastri poggiano puntualmente le pareti verticali longitudinali e trasversali, dalla cui intersezione sono formate le celle per l'immagazzinamento del grano. Le pareti, di altezza pari a 15 metri, sono anch'esse in conglomerato cementizio armato, con superficie liscia e hanno uno spessore variabile da 0,40a 0,13metri.Le celle terminano alla base con delle tramogge, ovvero delle pareti inclinate che costituiscono il soffitto del sotterraneo, nel quale trovavano posto le macchine per l'estrazione del grano dalle celle stesse. Un solaio, poggiante sulle pareti verticali, chiude superiormente le celle dei silos. Sopra a detto solaio e in corrispondenza degli incroci delle pareti dei silos, sorgono i pilastri che reggono il tetto piano. A questo livello (sala nastri), le pareti esterne sono costituite da cemento Portland armato solo in corrispondenza dell'appoggio delle travi (pilastri annegati nel setto). I Silos di ponente, della parte più antica, non differiscono da quelli di levante se non per la speciale disposizione di alcune delle sue celle che erano a servizio dei carri a trazione animale: sette celle della prima e sette celle della seconda fila verso monte hanno, infatti, tramogge rialzate sopra il piano del terreno. 3.3 Lo stato attuale del manufatto Allo stato attuale, l'edificio risulta completamente abbandonato e in disuso da molti anni. Questo aspetto, unito all'aggressività dell'ambiente circostante ha determinato l'attivazione e il progredire di fenomeni chimico-fisici di degrado che interessano tuttavia porzioni ben circostanziate del manufatto. Lo stato di abbandono e l'areosol marino hanno determinato per questi elementi strutturali uno stato tale di degrado che rende tecnicamente complicato ed economicamente poco vantaggioso il recupero. L'analisi effettuata, proprio in virtù dell'elevato livello di deterioramento, impedisce di individuare con chiarezza il fenomeno che può avere attivato il meccanismo di degrado dal momento che attualmente si manifestano simultaneamente, alcuni come conseguenza dell'uno o dell'altro. 13 Figura 10. Il degrado presente in elementi strutturali (travi e solette) Il degrado rilevabile, in uno stato di avanzamento tale da non permettere un recupero degli elementi strutturali, risulta fortemente localizzato a porzioni che sono, per via del recente stato di abbandono, completamente esposte all'intemperie. Queste zone sono state individuate in quattro macro-aree: corpi annessi ai Silos dopo il 1924 (Figura 11); corpo centrale; sala nastri; zone varie del corpo a mare La mancanza di una non più efficiente impermeabilizzazione delle coperture e delle superfetazioni realizzate (come conseguenza degli ampliamenti portati a termine dopo la prima realizzazione) consente di ribadire come la mancanza di manutenzione sia da considerare la prima causa del degrado che può attivarsi su una struttura in cemento armato. Viene meno, invece, l'assunzione che le strutture in cemento armato storico siano caratterizzate da una durabilità ridotta. Gli spessori di copriferro significativi (dai 30-50 mm) e un confezionamento realizzato con cura ha protetto la maggioranza degli elementi strutturali nonostante i materiali adoperati, conglomerato e ferro d'armatura, siano ben lontani, come prestazioni, da quelli oggi richiesti dalla normativa vigente [2-3]. 14 Figura 11. Corpi annessi al silos dopo il 1924: 1) sopraelevazione del corpo anteriore ; 2) Cabina di trasformazione, realizzata con profili in acciaio e soletta piena in c.a., che serviva per mettere in comunicazione l'edificio con i silos collocati su Ponte Parodi (attualmente demoliti); 3) Sala nastri a mare; 4) corpi sovrastanti la sala nastri, superfetazioni successive; 5) Corpi aggiunti paralleli alla sala nastri a mare. 3.4 Caratterizzazione meccanica dei materiali La caratterizzazione meccanica dei materiali passa necessariamente attraverso una campagna di indagini diagnostiche, al fine di identificare le caratteristiche meccaniche, fisiche e chimiche dei materiali. Nel caso dei Silos Hennebique sono state eseguite due campagne diagnostiche a distanza di circa 10 anni dal Laboratorio dei Materiali da Costruzioni del DICCA - Scuola Politecnica di Genova. La prima (2002) ha permesso di effettuare una caratterizzazione del materiale attraverso prove dirette ed indirette (relative alla resistenza del calcestruzzo e delle barre di armatura [10]), la seconda (2013) è stata effettuata nell'ottica di valutare l'eventuale decadimento delle caratteristiche dei materiali a circa dieci anni di distanza a causa del progredire del degrado. I risultati ottenuti hanno confermato ciò che già da un'indagine visiva sembrava evidente. Nelle aree non protette dalle intemperie il degrado ha repentinamente peggiorato la consistenza del materiale fino a renderlo in alcuni casi non più efficiente strutturalmente. In questi casi il recupero può diventare problematico ed economicamente non vantaggioso. Tuttavia, come in parte già accennato, tali fenomeni sono fortemente localizzati e rappresentano una percentuale molto limitata se posti in relazione all'intero corpo di fabbrica. Negli altri casi, invece, i risultati ottenuti nel 2013 dalle indagini diagnostiche indirette (ripetute in corrispondenza dei punti di prova della campagna 2002) hanno evidenziato valori di resistenza del tutto comparabili con quelli precedenti e come il trascorrere del tempo non abbia determinato decadimenti significativi al punto che la campagna diagnostica del 2002 può essere ritenuta ancora del tutto attendibile. Tale aspetto risulta di un certo interesse proprio nell'evidenziare come queste strutture, se 15 non sottoposte ad un dilavamento continuo, mostrino una buona durabilità anche a fronte di un ambiente fortemente aggressivo come può essere il porto di Genova. I valori determinati tramite le due campagne diagnostiche facendo riferimento al D.M. 14 gennaio 2008 [2-3] sono riportati di seguito e rappresentano i parametri meccanici adottati nel modello strutturale: - per il calcestruzzo: fcm= 20 MPa – ottenuto come media delle prove significative a compressione su carote; Ecm= 27 GPa – valutato secondo la formula [11.2.5 delle NTC 2008]; = 23 kN/m3 – ottenuto come media dei pesi specifici delle carote; 0= 2.0 ‰ – valore di deformazione al limite elastico da normativa; cu= 3.5 ‰ – valore di deformazione ultima da normativa; α=1 – deformazioni viscose già esaurite data l’età della costruzione; c =1.5 – coefficiente parziale di sicurezza; fcd fcm c FC = 12,35 MPa - valore di resistenza di progetto del calcestruzzo - per l’acciaio: Fyk= 215 MPa – ottenuto in riferimento agli acciai dell’epoca e rapportato alle prove di trazione sui ferri; E= 210 GPa – valore da normativa; Εsu= 15.0 ‰ – valore di deformazione ultima, cautelativo rispetto alle prove di Laboratorio; s =1.15 – coefficiente parziale di sicurezza; fyd 3.5 fyk s FC 169.1 MPa - valore di resistenza di progetto dell’acciaio Analisi strutturale I Silos Hennebique sono un’opera tanto complessa quanto complicata. La complessità è dovuta sostanzialmente all’estensione del manufatto, al gran numero di sezioni tipologiche presenti e alla profonde trasformazioni cui è stato oggetto a poca distanza dalla costruzione. La presenza di un sistema strutturale misto che unisce al suo interno aspetti caratteristici di differenti concezioni strutturali (industriale-residenziale), applicate in modo differente dalle due imprese costruttive (Società Porcheddu e Ferrobeton) che hanno costruito l’opera nelle due fasi principali (1901-1906) costituisce l’aspetto complesso dell’analisi. Il risultato è una struttura il cui comportamento strutturale non può essere analizzato se non attraverso un modello numerico in grado di tenere in conto di queste peculiarità. Pertanto è stato definito un modello ad elementi finiti per valutare la risposta strutturale in riferimento a differenti condizioni di carico. Le verifiche sono state condotte per le tipologie di elementi strutturali più ricorrenti e maggiormente sollecitati in relazione alle diverse condizioni di carico. Il modello, effettuato tramite il codice di calcolo SAP2000, è stato realizzato utilizzando oggetti “Frame” per la rappresentazione di travi 16 e pilastri mentre oggetti “Area” per rappresentare orizzontamenti e pareti delle celle. A tali elementi sono state poi assegnate le corrispondenti geometrie delle sezioni. Caratteristiche meccaniche univoche, ottenute dalla rielaborazione delle prove a compressione delle carote (2002), sono state associate al materiale assegnato agli elementi del modello. Il modello globalmente è composto da 8689 frames, 12752 nodi e 15135 aree. In Figura 12 è riportata una vista globale del modello realizzato per l’analisi del complesso dei Silos Hennebique. Figura 12. Visione globale del modello FEM Essendo la rigidezza nel piano dei solai molto elevata (solette piene), è stata imposta una condizione di piano rigido (diaphragm) a tutti i nodi appartenenti ad uno stesso orizzontamento, diversificandolo in relazione alla quota e alle fasi costruttive. Al fine di comprendere il comportamento strutturale del complesso e valutarne i margini di sicurezza strutturale, anche in relazione ad un possibile intervento di miglioramento sismico, sono stati realizzati due diversi modelli: il primo (MODELLO A) considerando i carichi ordinari di esercizio così come definiti dall’uso originario che prevedeva anche il peso del grano nei silos (peso specifico di 7.50 kN/m3); il secondo (MODELLO B) assumendo come riferimento un sovraccarico variabile rappresentativo delle possibili future destinazioni d’uso, nell’ottica di una riqualificazione funzionale. Il primo modello è stato realizzato anche per valutare se la qualità della concezione strutturale originaria e la sua realizzazione non presentasse, già in una situazione iniziale, criticità o deficienze strutturali tali da compromettere la sua sicurezza in una condizione statica. È stato assunto, per il MODELLO B, un carico variabile verticale pari a 4.0 kN/m2, valore omogeneamente cautelativo in quanto riferito a sale convegni, teatri etc. (Cat. C2). Per tenere conto di un futuro riutilizzo della struttura si è ipotizzato la realizzazione di 3 nuovi livelli all’interno delle celle di stoccaggio del grano, in modo di simulare il più correttamente possibile una plausibile nuova condizione di carico. È stata, inoltre, considerata l’azione del vento in riferimento alle NTC 2008 al capitolo 3.3 e alle Istruzioni CNRDT207/2008, in maniera semplificata e cautelativa. Si è applicata una pressione costante sulle superfici esposte e solo nella direzione del vento. Sulla torretta è stata applicata un’azione maggiore che sulle 17 altre facce del fabbricato (seppur sempre uniforme) per tenere in conto della sua maggior altezza. Per l'Analisi dinamica lineare, lo spettro di risposta è stato definito in conformità a quanto stabilito nelle NTC 2008 per la definizione della pericolosità sismica del sito. Lo spettro di risposta è stato in particolare definito in funzione della localizzazione geografica della struttura (lat.=44.41406 e long.=8.92088) assumendo un valore del periodo di riferimento VR pari a 50 anni. Il sottosuolo scelto per definire lo spettro di risposta è la categoria C, in quanto, in assenza di dati sperimentali e vista la tipologia di situazione (banchina marittima), si valuta in questo modo una risposta strutturale cautelativa, associata ad un terreno di caratteristiche medio-scadenti, con un elevato valore di amplificazione. Il fattore di struttura, parametro che riduce le ordinate dello spettro di risposta per tenere in conto delle riserve anelastiche del sistema, è stato assunto, in questa analisi, pari ad 1.5, valore idoneo per strutture storiche in conglomerato cementizio, dove i dettagli costruttivi associati a criteri di progettazione antisismici non erano ancora concepiti. Sono state quindi effettuate verifiche strutturali di alcuni elementi analizzati in diverse configurazioni e per differenti tipologie di condizioni di carico. Le valutazioni su un modello che considera i carichi di esercizio “originali” della struttura, dovuti al grano, ai macchinari di sollevamento, alle bilance, alle caldaie, alle pompe, etc., hanno principalmente il significato di consentire il corretto dimensionamento dell’opera, controllando soprattutto gli stati tensionali nei pilastri. Tali valori sono stati poi confrontati con quelli desunti da un’ipotetica condizione di riqualificazione strutturale, considerando ovviamente una condizione di carico equiparabile ed omogenea. Lo stato di compressione assiale è un valore ottenuto dal rapporto tra forza normale (considerata baricentrica) e l’area del conglomerato. I risultati sono presentati in forma di box and whiskers plot (boxplot) in cui è possibile vedere le seguenti suddivisioni: valore minimo, 1° quartile, 2° quartile (mediana), 3° quartile, valore massimo. Per chiarezza i quartili sono i valori che dividono il campione in 4 parti ugualmente popolate, quindi ad esempio il 1° quartile rappresenta il valore che suddivide il campione in due gruppi formati dal 25% e dal 75% degli elementi (ovviamente ordinati). Come si può vedere dal grafico (Figura 13), le tensioni di lavoro dei materiali hanno valori massimi dell’ordine dei 6.0 MPa, valore che corrisponde ai calcoli effettuati dai progettisti dell’epoca. I valori di sollecitazione riportati nel grafico sono stati ricavati considerando contemporaneamente la presenza di grano in tutti i silos per un 75% dell’altezza (considerando il 100% in tutte le celle si incrementerebbe il carico al massimo di 1 MPa). 18 Figura 13. Boxplot dello stato tensionale di pura compressione alla base dei principali pilastri - MODELLO A. Per quanto riguarda le verifiche statiche, il primo passo è stato verificare se un cambio di destinazione d’uso potesse alterare sensibilmente lo stato tensionale alla base dei pilastri. Come si evince dal raffronto dei due grafici (Figura 13, Figura 14) si può in realtà notare come non ci sia una sostanziale variazione della tensione di compressione e che il cambio di destinazione d’uso (sovraccarico pari a 4 kN/m2) produca in media una riduzione dello stato di sollecitazione assiale. Figura 14. Boxplot dello stato tensionale di pura compressione alla base dei principali pilastri - MODELLO B. La linea rossa rappresenta il valore limite di resistenza a compressione per la verifica di pilastri a sola forza normale (cd/1.25 - NTC 2008 formula C4.1.4) Poiché l’utilizzo come deposito del grano causava la presenza di carichi molto elevati, anche pensando ad un riutilizzo della struttura, non si denotano, almeno ai carichi verticali, particolari carenze strutturali, confermando come la struttura fosse stata ben dimensionata per questo tipo di azioni. È noto come la progettazione dell’epoca non considerava sollecitazioni flettenti all’interno dei pilastri ed è per 19 questo motivo che in questa preliminare analisi tali effetti sono stati trascurati. Gli effetti delle azioni flettenti sui pilastri sono state considerate andando ad effettuare una verifica a presso-flessione adottando le combinazioni di carico in cui il sovraccarico variabile (assunto come principale) è combinato con l’azione del vento nelle due direzioni. La verifica a presso-flessione è stata condotta per entrambe le direzioni considerando le sollecitazioni agenti negli elementi ricavate dal modello ad elementi finiti della struttura. Le verifiche sono state effettuate considerando le sezioni di base e sommità di ciascun elemento, essendo le più sollecitate dato che non sono presenti carichi distribuiti sugli elementi. Le armature degli elementi considerate nelle verifiche sono state desunte dal materiale d’archivio e dai rilievi effettuati in sito. I risultati ottenuti con la combinazione del vento in direzione X mostrano come su 1501 elementi analizzati 156 non sono verificati avendo un coefficiente maggiore dell’unità di cui solo 46 con un coefficiente maggiore di 1.1 (dove il coefficiente di verifica è dato dalla somma del rapporto, nelle due direzioni, del momento sollecitante e momento resistente). Lo stesso tipo di risultati si ottiene considerando il vento in direzione Y (1501 elementi analizzati 122 non sono verificati, presentando un coefficiente superiore all’unità, di cui 45 con un coefficiente maggiore di 1.1). I pilastri “non verificati” sono dislocati nell’intero complesso strutturale e rappresentano in gran parte casistiche particolari all’interno della tipologia di appartenenza. In queste situazioni il risultato ottenuto risulta fortemente cautelativo dimostrando come il numero degli elementi che non soddisfano le verifiche può essere ridimensionato. I risultati ottenuti mostrano come, consolidando alcuni elementi strutturali in condizioni critiche, la struttura possa ritenersi sostanzialmente idonea a rispettare le prescrizioni di normativa per le combinazioni di carico considerate. Per quanto riguarda gli elementi orizzontali, la presenza di contro solette in corrispondenza dei diversi campi di solaio determina l’esigenza di un mantenimento di tali elementi al fine di non generare sollecitazioni di taglio laterale[9-15]. La sicurezza strutturale del manufatto è stata inoltre valutata con riferimento all’azione sismica di progetto prevista dalle NTC 2008 per il sito in esame. A tale scopo, è stata condotta un’analisi dinamica con spettro di risposta sul modello ad elementi finiti precedentemente descritto. Le azioni del sisma sono state combinate per le due direzioni di analisi così come previsto nelle NTC 2008. La verifica degli elementi strutturali, sono riferite all’azione di presso-flessione indotta negli elementi nelle due diverse direzioni di analisi. Con la combinazione sismica in direzione X, su 1501 elementi analizzati 320 non soddisfano le verifiche, di cui 280 presentano un coefficiente di non verifica maggiore di 1.1; con la combinazione sismica in 20 direzione Y su 1501 elementi analizzati 299 presentano un coefficiente di non verifica maggiore di 1.1 e 378 maggiore dell’unità. I risultati ottenuti mostrano come ad eccezione di alcune casi isolati, le zone che presentano maggiori criticità sono la parte centrale in corrispondenza della torretta e la sala nastri a mare. Si sottolinea, infine, come la sala nastri a mare connessa alla sopraelevazione del 1924,sia anche la zona in cui il degrado risulta maggiormente evidente. Tale aspetto permette di evidenziare come il "sovradimensionamento" che spesso caratterizzava le prime strutture in cemento armato (1901-1906, ma già non più le strutture del 1924), seppur in gran parte connesso alla poca conoscenza delle potenzialità di un materiale poco sperimentato, permetteva di tenere in considerazione, in maniera più o meno consapevole, di quel concetto di durabilità di recente introduzione a livello normativo [2], che tuttavia caratterizzava da sempre le costruzioni in muratura per le quali il dimensionamento strutturale non seguiva unicamente logiche legate a verifica di resistenza del materiale. In queste prime applicazioni il retaggio culturale mediato dalle strutture in muratura ha permesso di preservare meglio nel tempo le prime strutture in conglomerato storico. 4 Conclusioni Le analisi condotte mostrano come il complesso dei Silos Hennebique presenti una serie di criticità, con implicazioni anche strutturali, che non determinano l’impossibilità di un suo recupero, ristrutturazione e/o riuso. Le verifiche condotte hanno, infatti, permesso di raggiungere, in primo luogo, un livello di conoscenza ottimale, in termini di individuazione delle fasi storiche (e conseguentemente delle trasformazioni subite) e delle caratteristiche meccaniche dei materiali presenti. Tale conoscenza è, infatti, un pre-requisito essenziale per qualsiasi riqualificazione funzionale soprattutto quando l’oggetto risulta un bene vincolato ai sensi del Codice dei Beni Culturali [1]. In quest’ottica, la campagna diagnostica effettuata rappresenta un punto di partenza su cui basare le successive fasi progettuali. Da un punto di vista prettamente strutturale, le analisi quantitative hanno evidenziato come il complesso dei Silos Hennebique sia stato concepito (seppur in un’epoca pionieristica per tale tipologia strutturale) in maniera ottimale, dimostrando un'efficienza strutturale che può essere riscontrata ancora oggi. Le verifiche condotte dimostrano, infatti, come le dimensioni e le caratteristiche dei materiali utilizzati consentono di raggiungere un adeguato livello di sicurezza anche considerando le azioni indotte dalle combinazioni di carico previste dalle attuali norme tecniche (NTC 2008) in considerazione anche dell’azione di forze orizzontali come quella del vento. Il confronto effettuato, con riferimento alle verifiche a semplice compressione, rispetto alla condizione originaria (MODELLO A) e quello che può caratterizzare un suo futuro riutilizzo (MODELLO B) mostra come un cambio di destinazione d’uso rispetto alla situazione originaria, 21 considerando un valore di sovraccarico uniforme pari a 4 kN/m2, porti ad un decremento delle sollecitazioni alla base dei pilastri in fondazione. Le verifiche a presso-flessione, condotte con riferimento alle diverse combinazioni di carico, mostrano, inoltre, come solo alcuni elementi possano ritenersi in condizioni critiche. I pilastri “non verificati” sono minoritari, dislocati nell’intero complesso strutturale, e rappresentano ,in gran parte, casi particolari all’interno della tipologia di appartenenza. I risultati ottenuti con le analisi dinamiche con spettro di risposta, mostrano una maggiore criticità del complesso con un numero di pilastri pari a circa 1/5 del totale che presenta problematiche strutturali. Gli elementi che entrano in crisi sono diffusi a predeterminati piani o fortemente localizzati: nel primo caso, si fa riferimento principalmente alla sala nastri, che già a fronte dell’analisi del degrado e delle criticità strutturali indotte da esso, evidenziava la necessità di una demolizione (ed eventuale ricostruzione); nel secondo caso si possono ragionevolmente adottare interventi di consolidamento localizzati (i.e.: rinforzo con materiali polimerici). Lo scostamento limitato dal soddisfacimento della verifica consente, infatti, di poter opportunamente utilizzare tali tecniche di intervento, sfruttando il conseguente incremento di resistenza che si può ottenere. La diffidenza generale con cui si pensa al riutilizzo degli edifici in conglomerato cementizio storico è in parte legata all'incertezza del comportamento strutturale a distanza di molti anni, e al quasi sempre necessario cambio di destinazione d'uso, accompagnato da una nuova ridistribuzione dei carichi. Il presente studio, attraverso l'esempio dei Silos Granari nel Porto di Genova, dimostra, come, un'analisi, basata su una fase di conoscenza approfondita, possa portare a ritenere questi manufatti idonei ad una riconversione, adattabili ad accogliere funzioni diverse, offrendo risposte adeguate alle richieste di una città moderna. 5 [1] [2] [3] [4] [5] Bibliografia Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 Legge 6 luglio 2002, n. 137 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Norme Tecniche per le Costruzioni. “Decreto Ministeriale del 14 Gennaio 2008”, G.U. 29 del 4 febbraio 2008 Circolare n. 617 del 2 Febbraio 2009. “Istruzioni per l’applicazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al Decreto Ministeriale del 14 Gennaio 2008”. G.U 26 Febbraio 2009. 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