CHIAMATA PER CONTRIBUTI SCIENTIFICI Società Italiana di Demografia Storica Le grandi transizioni tra ’800 e ’900. Popolazione, società, economia Pavia 28-30 settembre 2006 Sessione 1. L’emigrazione italiana all’estero Coordinatore: o Ercole Sori (Università politecnica delle Marche), Dipartimento di scienze sociali, Piazzale Martelli 8, 60121 Ancona, tel. 071 2207 164; fax 071 2207 152; e-mail: e.sori@univpm Temi suggeriti: 1. Politiche migratorie (macro) • L’azione del Commissariato generale per l’emigrazione (1901-1927) • L'azione dei ministeri degli Interni e degli Esteri, prima e dopo l’avvento del Commissariato 2. Rivisitare i dati statistici (macro) • La saldatura tra i dati pre- e post-1876 (compreso il periodo pre-unitario) • La comparazione tra espatri (fonti italiane) e immigrazione (fonti estere) • Le migrazioni italiane "estero su estero" (ad es., dal Brasile agli Stati Uniti) • I dati mancanti: l’emigrazione clandestina e da porti esteri 3. Interpretare i dati statistici (macro) • Itinerari migratori complessi e "tappe" (ad es., campagne > città > estero > vari paesi esteri) • Emigrazione "definitiva", "temporanea", "stagionale", "ripetuta": definizioni, misurazioni, ambiguità delle distinzioni • Lo scarto temporale tra rilascio del passaporto e partenza • Professione (in patria) e lavoro (all’estero): concordanze e discordanze (anche semi-micro e micro) 4. Sondaggi e indagini di comunità (semi-micro) • • • • • • • Politiche emigratorie: i Comitati per l’emigrazione mandamentali e comunali Politiche emigratorie “amministrative” e informali: l’azione di prefetti, sindaci, autorità di polizia, comizi agrari, organizzazioni sindacali, ecc. Catene emigratorie paesane: modalità, canali di informazione, finanziamento Le conseguenze demografiche nei luoghi di forte esodo: natalità, mortalità (e morbilità), nuzialità, "vedove bianche", struttura e ruoli famigliari, ecc. Le conseguenze politiche e associative nei luoghi di forte esodo Canalizzazione dell’emigrazione e relativo contenzioso: gli agenti di emigrazione Fattori di continuità e travaso tra migrazioni interne ed emigrazione all’estero: dalle prime alle seconde (periodo pre-unitaro/1921); dalle seconde alle prime (1921/1940) 5. Indagini micro • Strategie migratorie su base famigliare • Emigrazione e mobilità sociale (anche semi-micro) • Strategie di investimento dei guadagni da emigrazione (anche semi-micro) • Emigrazione e imprenditorialità di ritorno (anche semi-micro) 6. Geografia sociale dell’emigrazione all’estero • Mappe territoriali dell’esodo e processi di diffusione del fenomeno su base geografica • Mappe professionali (ceti urbani) • Mappe contadine: piccola proprietà, mezzadria, bracciantato, affitto, ecc. • Mappe sociali: sesso, età, status sociale, ecc. 7. Emigrazione all’estero e sviluppo economico • Modelli interpretativi formalizzati (econometrici) • Emigrazione e ciclo economico (nazionale ed estero) • Il ruolo delle rimesse nello sviluppo economico italiano Sessione 2. Famiglia e legami intergenerazionali Coordinatore: o Alessandro Rosina (Università Cattolica, Milano), Istituto di Studi su Popolazione e Territorio, Largo Gemelli 1, 20123 Milano, tel. 02 7234 3883 o 02 7234 3724; fax 02 7234 2724; e-mail: [email protected] o Pier Paolo Viazzo (Università di Torino), Dipartimento di Scienze antropologiche, archeologiche e storico territoriali, Via G. Giolitti 23, 10123 Torino, tel. 011 670 4817; fax 011 670 4846; e-mail: [email protected] A partire dagli anni ’60 del XX secolo tempi e modi di formazione della famiglia hanno subito profondi mutamenti. La teoria della seconda transizione demografica (SDT) nell’interpretare tali cambiamenti utilizza la categoria della “rottura”, nella dimensione temporale, e della “convergenza” nella dimensione territoriale. Ovvero, enfatizza la discontinuità rispetto al passato (una nuova “transizione” appunto) e suggerisce che alla base delle recenti trasformazioni della famiglia (in particolare la messa in discussione dell’istituto del matrimonio) stiano forze modernizzanti che agirebbero nella stessa direzione in tutti i paesi industrializzati, portando a prevedere come esito un’uniformazione dei comportamenti coniugali e riproduttivi. Le critiche degli ultimi anni a tale paradigma interpretativo hanno visto l’Italia (e più in generale i paesi dell’Europa mediterranea) in posizione di primo piano. Molte delle trasformazioni previste in convergenza con i paesi dell’Europa nord-occidentale stentano infatti a realizzarsi. In particolare anche nelle più giovani generazione la famiglia continua ad essere considerata uno dei valori più importanti, le unioni libere tendono ad essere limitate ad un periodo di prova seguito spesso dal matrimonio e le nascite extra-coniugali continuano ad essere rare. Insomma la seconda transizione demografica “sembra essersi fermata a nord delle Alpi e dei Pirenei”. Del resto non è una condizione nuova per l’Italia quella di trovarsi ad essere il campo di battaglia per la conferma/disconferma/revisione di paradigmi interpretativi e modelli teorici sui modi di formazione della famiglia. Come demografi storici, storici sociali ed antropologi sanno, il nostro paese era già stato autorevolmente descritto come “a burial ground for many of the most ambitious, and well known, theories of household and marriage systems”. È ben noto infatti come gli studi degli ultimi decenni sulla storia della famiglia in Italia abbiano smentito decisamente “l’ipotesi nulla” di Peter Laslett che sosteneva che nei paesi occidentali la famiglia nucleare fosse da considerare dominante. Tornando alla SDT, all’incrinarsi dell’idea di “convergenza” corrisponde anche un ridimensionamento dell’enfasi sulla “rottura”. Nella spiegazione delle persistenti differenze tra paesi occidentali acquisirebbero infatti cruciale importanza fattori di continuità storica. In particolare il tipo di legami familiari avrebbe profonde radici nel passato e costituirebbe una delle maggiori e più caratterizzanti differenze tra l’area dell’Europa nord-occidentale (dominata da “legami deboli”) e l’area dell’Europa mediterranea (dominata da “legami forti”), condizionando anche i comportamenti attuali. Questa bipartizione, che sembra rivelarsi cruciale nell’interpretazione delle specificità attuali, sarebbe però essa stessa troppo semplificativa. Del resto anche nella verifica dell’ipotesi nulla di Laslett se in una prima fase venne riconosciuta la peculiarità del modello mediterraneo, successivamente ci si rese conto che il Sud Europa doveva essere a sua volta, quantomeno, ulteriormente bipartito. Al dominio delle famiglie complesse nelle regioni settentrionali, tanto dell’Italia quanto della penisola iberica, si contrapponeva infatti una prevalenza di famiglie nucleari nel Sud. Allo stesso modo i legami familiari forti sembrano poter aver natura sostanzialmente diversa nel Sud Italia rispetto al Nord (come suggerito da alcuni contributi recenti), e lo stesso potrebbe valere per Spagna e Portogallo. E ciò potrebbe essere alla base di persistenti differenze anche nei comportamenti coniugali e riproduttivi tra Italia settentrionale e meridionale. Da tali premesse nasce quindi l’idea di una sessione un po’ strabica, con un occhio al presente, uno al passato, ed il naso più o meno centrato tra fine ’800 e prima parte del ’900. Saranno benvenuti sia studi empirici originali sia contributi teorici e di rilettura critica delle conoscenze sinora acquisite che cerchino di far luce sulla natura e le implicazioni dei legami familiari forti nei vari contesti. Ad esempio, molta enfasi viene data all’attuale processo di posticipazione del momento di uscita dalla famiglia di origine, molto più accentuato rispetto ad altri paesi Europei. Tale continua posticipazione è evidente, soprattutto nel Nord Italia, a partire dal secondo dopoguerra, ma se si risale ulteriormente indietro nel tempo ci si accorge che in realtà l’uscita tardiva in Italia non è un fenomeno del tutto nuovo. Quando e come si usciva dalla famiglia di origine? Quali le differenze di ripartizione, di condizione sociale, di genere? In che misura la forte reticenza al Sud a mandare le figlie a servizio può fornire indicazioni sul diverso senso attribuito alla famiglia nel Meridione rispetto al Nord del paese? E più in generale: esiste un modello europeo-mediterraneo riferito al Sud Italia ed alla Spagna meridionale, da contrapporre ad un modello europeo sud-continentale, riferito alle parti settentrionali di Italia e Spagna (ed eventualmente alla Francia meridionale)? In caso affermativo, quali ne sarebbero le specificità più profonde e radicate? Fino a che punto contano il senso dell’onore, la “priorità sociale e morale” della soggezione familiare, l’estensione dei legami forti oltre il ristretto ambito familiare? Ed ancora: Quali i vincoli e le opportunità del mondo femminile? Come si trasformano, nei vari contesti, in funzione del loro impegno lavorativo extra-domestico, con l’impatto dell’industrializzazione, con l’avvio della transizione riproduttiva? Quale più in generale l’impatto dell’industrializzazione su tempi e modi di uscita dalla famiglia di origine? Fino a che punto la semplificazione delle strutture familiari si converte in prossimità abitativa? Quali le conseguenze sulle condizioni degli anziani e dei membri più deboli? In sintesi: Qual è il modo di essere e fare famiglia ereditato dall’antico regime, in cosa differisce nei vari contesti, e come si riadatta metabolizzando le grandi trasformazioni avvenute tra la fine dell’antico regime e l’inizio della seconda transizione demografica? Sessione 3. Transizioni della fecondità in Italia tra Ottocento e Novecento Coordinatore: o Carla Ge Rondi (Università di Pavia), Dipartimento di Statistica ed Economia applicate “Libero Lenti”, Strada Nuova 65, 27100 Pavia, tel. 0382984345; fax 0382984674; e-mail: [email protected] o Rosella Rettaroli (Università di Messina), Dipartimento di Statistica, Via Verdi 58, 98166 Messina, tel. 0906408942; fax 090671695; e-mail: [email protected] La transizione della fecondità in Italia, così come in gran parte dei paesi europei, può avere, in termini di analisi, sia un’ottica macroanalitica, avente l’obiettivo di delineare le principali evoluzioni delle grandezze sintetiche della fecondità nel tempo e nello spazio, sia un’ottica prevalentemente microanalitica, focalizzata sull’analisi dei comportamenti individuali e familiari. I risultati derivati dal progetto di Princeton evidenziano che, per il nostro paese, così come per gran parte delle aree europee, la transizione della fecondità ha avuto specifici sentieri di sviluppo che difficilmente rientrano in un gruppo limitato di cause o di fattori precostituenti o propulsivi. Il riconoscimento che possono esistere diverse transizioni demografiche, che difficilmente possono essere evidenziate a livello di analisi macro e con scale temporali brevi, suggerisce di nuovo la strada verso un’analisi di tipo micro analitico tendente ad evidenziare in più aree di studio i differenti meccanismi che sottostanno alla grande avventura che porta le popolazioni da un controllo della propria riproduttività di tipo episodico, basato, a livello di gruppo familiare, sulla gestione della prole sopravvivente, e quindi – diremo – esercitato dopo la nascita, ad una programmazione consapevole della discendenza già prima o durante la propria carriera riproduttiva (controllo guidato dalla parità raggiunta). A conclusione di Donna, fecondità e figli che a tutt’oggi rappresenta il più esauriente tentativo di interpretazione dei mutamenti che hanno caratterizzato il regime di fecondità italiano, Massimo Livi Bacci asserisce: “Crediamo che ulteriori ricerche a livello aggregato o “macro” non potranno aggiungere granché al quadro tracciato in questo lavoro. Ma due strategie di ricerca meritano tutta la nostra attenzione per la loro potenziale produttività. La prima strategia, a livello micro demografico, dovrebbe perseguire lo studio delle peculiarità del processo di declino della fecondità per gruppi demografico-sociali selezionati […]. D’altro lato, una soddisfacente interpretazione dei fattori del declino della fecondità non potrà farsi senza un’accurata ricostruzione di una storia delle mentalità. La graduale accettazione del controllo delle nascite deve essere spiegata alla luce della generale evoluzione degli atteggiamenti e della mentalità della popolazione. Le modificazioni nei sentimenti religiosi e nell’accettazione della morale prevalente; i mutamenti nelle relazioni tra uomini e donne, tra genitori e figli; la formazione di una coscienza politica o di classe tra i ceti rurali, industriali, urbani o nelle classi medie. La prima strategia compete al demografo. Egli non può tuttavia ignorare la seconda strategia, a meno che non si rassegni ad accettare una interpretazione puramente deterministica dei fatti demografici”. Da quanto detto, nasce l’esigenza di una rivisitazione delle modificazioni dei comportamenti riproduttivi in Italia in quanto il passaggio da una fecondità controllata dopo la nascita (e non - forse da una fecondità totalmente naturale) a una in cui il controllo è fatto precedentemente alla gravidanza, sottolinea la presenza di fattori diversi alla base di ciascuna transizione che comunque ricordano: a) che le transizioni della fecondità (volontariamente non si parla di unico processo di transizione) si sviluppano alla presenza di condizioni ambientali, sociali, economiche, istituzionali le più diverse, b) che vi possono essere processi di diffusione dei comportamenti nuovi che interessano stratificazioni territoriali e/o sociali, c) che il declino della mortalità è condizione necessaria ma spesso non sufficiente per l’inizio del mutamento del comportamento riproduttivo delle famiglie, d) che il numero “desiderato” di figli sopravviventi in ambito familiare varia da un ambiente ad un altro e quindi da una regione ad un’altra, e) che le forme di controllo post-natale della fecondità possono essere le più diverse dipendentemente dalla cultura, dalla tradizione e dalla struttura sociale (abbandono, migrazione, servizio domestico); f) che quando il numero di figli sopravviventi “supportabile” dalla famiglia eccede le possibilità del gruppo che li sostiene, le coppie iniziano il percorso che le porterà nei vari modi a ripensare al numero di figli desiderato o da controllare o da “gestire”. Le strategie di ricerca suggerite potrebbero quindi articolarsi nelle seguenti tematiche: • Declini della fecondità e mutamenti nei modelli di nuzialità • Mortalità infantile e fecondità, un binomio ovunque valido? • Cicli della famiglia e decisioni di fecondità • Controllo individuale e sociale sulla fecondità • Dalla campagna alla città: declino della fecondità e urbanizzazione • Dalla casa alla fabbrica: declino della fecondità e ruolo della donna • Dall’esposizione alla tutela della maternità: scelte procreative e quadro legislativo-istituzionale. Sessione 4. Le migrazioni interne in Italia nel periodo della transizione demografica Coordinatore: o Anna Treves (Università degli Studi di Milano), Istituto di geografia umana, Festa del Perdono 7, 20122 Milano, tel. 02 5031 2959; fax 02 5031 2509; e-mail: [email protected] Parte A A.1 Le grandi fasi e le svolte Temi suggeriti: • Continuità e discontinuità nel campo della mobilità interna tra la “lunga introduzione alla transizione” (1750-1880) e il periodo della transizione demografica • Immigrazione urbana: cronologie e geografie • • • • • • Industrializzazione e migrazioni interne: cronologie e geografie Spopolamenti e ripopolamenti: cronologie e geografie (cfr. A.4) Migrazioni stagionali e temporanee: cronologie e geografie L’esodo di massa dalle campagne: cronologie e geografie La chiusura degli sbocchi transoceanici: un momento cruciale nella storia della mobilità interna Comunicazioni: ferrovie, strade, lettere degli emigranti, mass media e fasi della migratorietà interna A.2 Teorie, interpretazioni dei contemporanei, storiografia Temi suggeriti: • Teorie economiche e interpretazioni dei movimenti migratori interni • Lo stato della storiografia. Confronti con la storiografia sull’emigrazione estera • I contemporanei: statistici-demografi, geografi, scienziati sociali, economisti interpretano le migrazioni interne • Migrazioni interne e estere, modernizzazione dell’Italia, sviluppo del Mezzogiorno: un dibattito di centrale rilievo nel secondo dopoguerra (cfr. B.2) • Memoria storica, rimozioni e ideologie e interpretazioni dei movimenti migratori interni A.3 Percorsi migratori, reti familiari, confronti tra le diverse forme di mobilità Temi suggeriti: • Percorsi migratori e reti familiari • Circolarità migratoria e migrazioni a tappe • Progettualità migratorie dei protagonisti delle migrazioni estere e delle migrazioni interne: confronti tra diversi periodi e riflessione sulle possibili fonti • Composizione demografica, familiare e professionale a confronto tra le diverse tipologie migratorie • Rientri degli emigranti dall’estero e flussi di migrazione interna: fasi, riflessioni dei contemporanei A.4 Per la costruzione di una rete di studi su base locale Temi suggeriti: • Statistiche: confronti tra dati censuari e anagrafici, dati anagrafici/fogli di famiglia e il problema della consultabilità • Migrazioni interne al mondo rurale: migrazioni stagionali, migrazioni per colonizzazione, spostamento nel secondo dopoguerra da aree rurali del Mezzogiorno a aree rurali del Centro e del Nord • Declino della pastorizia transumante soprattutto nel Mezzogiorno e modificazioni dei tracciati migratori • Migrazioni periodiche, migrazioni femminili: flussi in rapida trasformazione • Urbanesimo/immigrazione urbana: statistiche, migrazioni temporanee-stagionali verso i centri urbani (lavori edili, commercio ambulante etc.), tipologie in base alle professioni, immigrazioni urbana e disoccupazione, analisi dei meccanismi dell’immigrazione urbana (catena migratoria, migrazioni individuali etc.), immigrazione di rimbalzo, letture e interpretazioni dei contemporanei. • Popolamenti e spopolamenti (cfr. A.1) • Migrazioni e turismo: flussi turistici, personale di servizio, migrazioni per costruzioni edili etc, trasformazioni dei flussi migratori (interni e all’estero) e sviluppo di località turistiche • Servizio militare e migrazioni • Le rimesse delle migrazioni interne • I due conflitti mondiali e i loro riflessi sulla mobilità interna • Trasformazioni demografiche sociali etc. nelle zone di maggiore esodo • Ambiente e migrazioni (terremoti, frane e scivolamento dei centri, disboscamento, bonifiche e grandi trasformazioni agrarie, forme di desertificazione, etc.) Parte B B.1 Cittadinanze Temi suggeriti: • Percorsi di inclusione/esclusione sociale nelle società urbane d’arrivo: differenze occupazionali, stratificazione dei livelli di reddito e di ricchezza , definizioni giuridiche, celibi e nubili, mercato matrimoniale, la questione abitativa e il mercato della casa, mobilità sociale e generazioni a confronto • Ricerca di nuove identità personali, desiderio di rottura, continuità-discontinuità con la società di partenza , squilibri, sradicamento, costruzioni identitarie. • Analisi e revisione critica dell’ ampia letteratura, prevalentemente sociologica (molto ampia soprattutto negli anni cinquanta-sessanta) sul tema della cittadinanza/integrazione • Partiti politici, sindacati , associazionismo, di fronte all’immigrazione urbana • Politica delle amministrazioni locali nei confronti degli immigrati • Legislazione nel campo dell’acquisto della residenza, del domicilio etc. (cfr. B.2) • Scuola e l’immigrazione • Immigrazioni a confronto: possibilità di studi comparati tra acquisizione della cittadinanza nell’immigrazione interna di ieri e immigrazione di oggi B.2 Politiche - Governance Temi suggeriti: • Legislazione nel campo dell’acquisto della residenza, del domicilio etc. (cfr. B.1) • Politiche delle amministrazioni locali (cfr. B.1) • L’azione dei prefetti, dei sindaci, degli organi di polizia • Ideologie antiurbane e idelologie urbano-modernizzatrici, migrazioni interne e azione politica • Politiche di colonizzazione interna • Politiche di italianizzazione nelle nuove province e migrazioni interne • Il ritorno dei prigionieri di guerra dopo il 1945 e le migrazioni interne • L’esodo istriano e dalmata • Migrazioni eurocoloniali e mobilità interna • Il dibattito sul problema delle “aree arretrate” nel secondo dopoguerra, scelte di politica economica e migrazioni interne (cfr. A.2) B.3 Città in trasformazione. La città ridisegna se stessa sotto l’impatto dell’immigrazione Temi suggeriti: • Immigrazione e trasformazione sociale e funzionale degli spazi • Mobilità intraurbana • Segregazioni spaziali e parametri di integrazione (cfr. B.1) • Analisi e ripensamento della ricca tradizioni di studi urbani da parte soprattutto di demografistatistici e di geografi B.4 Migrazioni femminili Temi suggeriti: • • • Migrazioni femminili e servizio domestico Domestiche/balie apripista dell’inurbamento della famiglia? Migrazioni di domestiche e controllo sociale (ruolo dei parroci, delle associazioni religiose e laiche, dei parenti già immigrati etc.) B.5 Migrazioni interne e natalità Temi suggeriti: • Immigrazione in aree urbane e nuzialità • Immigrazione in aree urbane e modificazione dei comportamenti procreativi • Diminuzione della fecondità e modificazione dei flussi di migrazioni interna: un incrocio problematico B.6 Geografia sociale delle migrazioni interne (cfr. sessione 1 organizzata da Ercole Sori) Temi suggeriti: • Mappe territoriali dell’esodo e processi di diffusione del fenomeno su base geografica • Mappe professionali (ceti urbani) • Mappe contadine: piccola proprietà, mezzadrie, bracciantato etc. • Mappe sociali: sesso,età, status sociale etc. • Mappe mentali: potrebbero costruirsi, soprattutto per le migrazioni interne successive alla seconda guerra mondiale, attraverso l’analisi delle indagine campionarie, delle indagini sociali del tempo e attraverso le interviste di cui al punto successivo (cfr. B.6) B.7 Raccogliere la memoria Tema suggerito: • Riflessioni per la costruzione di schemi di interviste ai fini dell’organizzazione di una banca dati sulla memoria delle migrazioni interne (anni trenta-anni sessanta). Collaborazione con i Musei dell’emigrazione e con gli archivi della scrittura popolare. Sessione 5. Salute, malattia e sopravvivenza in Italia fra Otto e Novecento Coordinatore: o Lucia Pozzi (Università di Sassari), Dipartimento di Economia, Impresa, Regolamentazione, Via Torre Tonda 34, 07100 Sassari, tel. 079 2017318; fax 079 2017312; e-mail: [email protected] Negli ultimi due decenni si è manifestato un interesse sempre più vasto nei confronti dell’evoluzione della sopravvivenza e, in particolare, della cosiddetta «transizione sanitaria» nell’ambito delle grandi trasformazioni che hanno interessato le società occidentali fra ’800 e ’900. L’espressione «health transition» diviene, infatti, termine di uso comune in letteratura, alla metà degli anni Ottanta, come estensione del concetto di «transizione epidemiologica». Con quest’ultima si intendono i cambiamenti nei profili di mortalità e morbosità delle popolazioni e, in particolare, il passaggio da una situazione di predominio di malattie infettive ad una di prevalenza di patologie degenerative, con un conseguente slittamento in avanti dell’età alla morte. Il più ampio concetto di transizione sanitaria include, invece, accanto all’evoluzione del quadro nosologico, il complesso dei fattori che stanno alla base della sua trasformazione e, quindi, i cambiamenti sociali, culturali, comportamentali che si sono verificati in parallelo alla trasformazioni epidemiologiche, come pure le modifiche nei fattori di rischio e le risposte che le società sono riuscite a fornire per contrastare la malattia. La sessione sarà pertanto organizzata attorno alle tre tematiche fondamentali che definiscono la transizione sanitaria: a) transizione epidemiologica, b) transizione dei rischi, c) transizione dell’attenzione alla salute. La suddivisione proposta non è, evidentemente, netta e rigida, ma tale schematizzazione può aiutare a mettere a fuoco alcuni nodi cruciali per la comprensione dell’evoluzione delle condizioni di salute e sopravvivenza della popolazione italiana nel periodo in esame. LA TRANSIZIONE EPIDEMIOLOGICA Le malattie infettive associate a carenze primarie vengono sostituite progressivamente da malattie croniche e degenerative. Le malattie infettive, trasmesse attraverso l’acqua e gli alimenti (diarrea ed enteriti) cedono il passo ad una situazione in cui divengono dominanti malattie croniche associate a problemi cardiovascolari e nervosi, o episodi patologici degenerativi. La morbosità e la mortalità si concentrano alle età avanzate e si assiste al passaggio da un modello epidemiologico governato dalla mortalità ad uno dominato dalla morbosità. Questi temi sono stati quelli sui quali maggiormente sinora si è concentrata l’attenzione, ma restano da approfondire diversi aspetti; di seguito riportiamo alcuni interrogativi che rimangono aperti, senza pretesa di esaustività. Geografia della mortalità: indagare i legami fra passato e presente. Gli effetti dei meccanismi di selezione sulle differenze territoriali di sopravvivenza. Le differenze geografiche oggi esistenti in Italia alle età anziane sono il riflesso di diverse esperienze di mortalità sperimentate alle età precedenti dalle stesse generazioni? Queste differenze sono cioè riconducibili a processi di debilitazione e di selezione diversi fra le varie aree territoriali? Le aree di longevità presenti oggi in Italia sono le stesse che caratterizzavano il passato? In tali aree i meccanismi di selezione hanno agito con maggiore forza che altrove? Mortalità per età. Il ruolo della mortalità dei bambini (child mortality) nei processi di transizione sanitaria in Italia e nei paesi dell’Europa mediterranea. Analisi degli effetti di fattori sperimentati in età precoce (early life factors) o anche nella vita fetale sulla salute e sopravvivenza alle età adulte Lo stato di salute. Quali indici si possono proporre per misurare lo «stato di salute» della popolazione italiana? Le conoscenze sulle condizioni di salute della popolazione sono assai scarse: i dati disponibili sono di natura prevalentemente qualitativa e derivano essenzialmente dalle inchieste condotte fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo. L’utilizzo dei registri leva dovrebbe consentire di delineare un quadro ben più articolato dell’evoluzione delle condizioni di salute della popolazione, grazie alle informazioni in essi raccolti: dati antropometrici (statura, circonferenze toracica, ecc.), dati su malattie, imperfezioni, difetti fisici riscontrati al momento della visita di leva. Vi sono state differenze significative nella statura riconducibili a condizioni socio-economiche differenti? Quali sono stati i fattori che hanno principalmente influito sull’evoluzione della statura? L’ambiente ed il contesto epidemiologico nel quale si è svolto il processo di crescita della statura dei coscritti ha influito sulla loro altezza? Qual è stato il ruolo delle migrazioni nell’attenuazione delle differenze territoriali nella statura? Eventuale individuazione di altre fonti che contengano indicatori sulle condizioni di salute della popolazione. Le grandi malattie sociali: tubercolosi, malaria ecc. Il microbo della tubercolosi ha accompagnato probabilmente l’uomo da sempre nella sua storia evolutiva. Ma solo nel XIX secolo questa malattia, nei paesi a più intenso sviluppo economico, è diventata la malattia più diffusa, la malattia sociale per eccellenza. Con il processo di industrializzazione, i lavoratori allontanati dalla campagne, sono stati obbligati a ritmi e condizioni di lavoro massacranti, forzati a vivere in abitazioni affollate e buie. I bambini sono costretti al lavoro di fabbrica, persino di notte, togliendo loro le condizioni necessarie per uno sviluppo sano, denutriti ed indeboliti. È in questo quadro generale che la tubercolosi esplode come fenomeno di massa. Inizia a regredire sul finire del secolo quando, da un lato, si è individuato l’agente eziologico della malattia, dall’altro si sono ottenute progressivamente delle conquiste sociali da parte dei lavoratori: riduzione dell’orario di lavoro, divieto del lavoro dei bambini, salari più elevati, migliori condizioni nutritive, ecc. Si registra una riduzione della mortalità per tubercolosi già prima della scoperta del bacillo di Koch e andrebbero ulteriormente esplorati i meccanismi di attenuazione della letalità della tbc, come pure i meccanismi di prevenzione e di difesa dalla malattia. La malaria. Nel caso della malaria il legame fra fenomeni biologici e vicende economiche, tra intervento sanitario e trasformazione sociale, è forse più evidente che per qualsiasi altra malattia. Come ha giustamente osservato Giovanni Berlinguer, nel sud del paese e, in particolare, in Sardegna è chiarissimo il nesso che collega lungo i secoli malattie, medicina e storia e la malaria, più di ogni altra malattia epidemica, denuncia quanto siano stati interdipendenti tali rapporti. Quale è stato il ruolo della malaria nella geografia della mortalità italiana? Esiste un legame fra presenza endemica della malaria e i fenomeni di eccezionale longevità maschile documentati per la Sardegna e la Calabria, come alcune recenti ricerche mediche lascerebbero supporre? Le patologie e le forme morbose connesse ad alcuni specifici processi lavorativi, si pensi al lavoro nelle miniere, nelle tipografie, nelle filande, ecc. LA TRANSIZIONE DEI RISCHI Il quadro nosologico che comprende malattie di origine infettiva, carenziale o tossica, dovute a fattori lavorativi, nutritivi ed ambientali, incomincia a mutare nella seconda metà del XIX secolo. Con i processi di modernizzazione e di sviluppo socio-economico delle società occidentali, i rischi «tradizionali» vengono progressivamente eliminati e rimpiazzati dai rischi «moderni». I rischi tradizionali propri della fase preindustriale (contaminazione delle acque, cattiva conservazione degli alimenti, scarsa igiene nelle abitazioni, ecc.) vengono sostituti da rischi moderni inserenti la contaminazione ambientale, il consumo di tabacco, i rischi derivanti dall’industrializzazione, ecc. In questa sezione entra in gioco tutta la vasta tematica delle determinanti della sopravvivenza. Quali sono stati i fattori che hanno consentito di eliminare i rischi tradizionali e quali fattori hanno provocato l’emergere dei nuovi rischi per la salute? Morbosità e mortalità per causa. I quadri clinici più diffusi, che sono la tubercolosi nelle città, la malaria e la pellagra nelle campagne, il rachitismo nell’infanzia, regrediscono ben prima che vengano scoperti i loro fattori eziologici, prima che vengano approntate misure curative e preventive specifiche. Quali sono stati i fattori di salubrità che hanno agito nell’arco di alcuni decenni e che hanno consentito significativi miglioramenti nel livello di salute della popolazione? Mortalità dei bambini. Determinanti della sopravvivenza infantile (infant and child), condotti attraverso un approccio individuale. È esistita una supermortalità infantile urbana? Se è esistita realmente nelle città italiane quali fattori hanno consentito la progressiva eliminazione di questa urban penalty? L’influenza del contesto familiare sulla sopravvivenza dei bambini. Clustering di famiglie con mortalità eccezionalmente elevata. Maternità. Lavoro e salute materna ed effetti sulla sopravvivenza infantile Il ruolo dell’alimentazione e dei progressi nel campo della nutrizione infantile (allattamento materno, artificiale, svezzamento ecc.). Determinanti dell’evoluzione dei differenziali di mortalità per sesso. Determinanti delle differenze di genere nella mortalità dei bambini, nell’adolescenza Differenze di genere nella mortalità adulta riconducibili a fattori socio-professionali. LA TRANSIZIONE DELL’ATTENZIONE ALLA SALUTE Come si trasforma il sistema sanitario e, più in generale, come si modificano i mezzi di prevenzione e gli strumenti che consentono di combattere le malattie e di promuovere il miglioramento delle condizioni di salute di una popolazione. La trasformazione del modo di organizzare la risposta collettiva ed individuale agli episodi di malattia ed ai problemi di salute. Lo studio dell’organizzazione sanitaria, in particolare di fronte alle emergenze sanitarie, si pensi all’esperienza del colera. L’azione collettiva e l’intervento dello Stato. Non solo i servizi sanitari, ma anche le azioni politiche che hanno avuto un qualche intreccio con le questioni di salute. Modernizzazione e ristrutturazione urbanistica, rinnovamento reti fognarie, condotte acqua ecc. Sviluppo delle strutture ospedaliere. La nascita dell’ospedale moderno, la diffusione di consultori, ambulatori pediatrici, le gocce di latte, ecc. Lo sviluppo della puericultura e della pediatria. Un’altra ottica di analisi potrebbe consistere nell’esaminare gli sviluppi scientifici, gli orientamenti professionali, la cultura sia dei medici stessi, sia della tradizione popolare Evoluzione ed influenza della legislazione per la tutela del lavoro delle donne e dei bambini. Legislazione sanitaria e assicurativa. Quale fu il ruolo delle organizzazioni dei lavoratori, delle lotte sociali e dei movimenti operai nelle conquiste in campo sanitario e in tema di sicurezza sul lavoro. Il ruolo delle istituzioni per la tutela del lavoro, per esempio le cliniche del lavoro. Sessione 6. La transizione demografica e l’uscita dall’isolamento riproduttivo Coordinatore: o Matteo Manfredini (Università di Parma), Dipartimento di Genetica Antropologia Evoluzione, Parco Area delle Scienze, 43100 Parma, tel. 0521 905400; fax 0521 905604; e-mail: [email protected] Popolazioni e gruppi umani isolati hanno caratterizzato, prima della transizione, molte aree del territorio italiano, ed hanno attirato l’interesse di molti studiosi. Processi e fenomeni demografici differenziali rispetto alle popolazioni più aperte, caratteristiche ambientali delle zone nelle quali vivevano, forte identità culturale e, spesso, anche linguistica, chiusura verso l’esterno, caratteristiche genetiche specifiche e spesso profondamente diverse da quelle di popolazioni non particolarmente distanti in termini geografici sono alcune delle tematiche che hanno spinto molti ricercatori ad indagare su queste popolazioni. Non ultimo il vantaggio, proprio a causa della chiusura della popolazione, di poter reperire in loco atti e registri che testimonino la quasi totalità degli eventi demografici relativi alla popolazione esaminata. Non c’è dubbio che la transizione demografica abbia rappresentato una fase di profondi mutamenti nei comportamenti demografici, socio-culturali ed economici delle popolazioni. In particolare, per le comunità isolate essa ha coinciso, in conseguenza anche dell’aumento della mobilità, con la rottura dell’isolamento, ponendo fine ad una condizione di marginalità che, in alcune situazioni, durava da secoli. Da quanto detto è quindi evidente come l’isolamento di gruppi umani e la successiva rottura conseguente la transizione demografica abbiano a che fare con meccanismi e processi che sono per loro natura al confine tra diversi campi di ricerca. Qui di seguito vengono evidenziate alcune delle possibili tematiche utili ai fini di un approfondimento della relazione tra isolamento e transizione demografica, anch’esse al confine tra demografia, scienze sociali, biodemografia e genetica. Isolamento geografico ed isolamento culturale. Non c’è dubbio che la ridotta mobilità, almeno a medio e lungo raggio, che ha caratterizzato la stragrande maggioranza dei gruppi umani del passato ha portato a considerare l’isolamento geografico come uno degli soggetti privilegiati di studio. Una mole notevole di lavori ha messo ormai in luce come la conformazione del territorio, l’orografia, la presenza di barriere naturali quali fiumi e crinali abbiano nel tempo determinato l’isolamento e/o l’evoluzione divergente di gruppi umani posti anche non distanti tra loro. A seguito della rottura degli isolati e dell’aumentata mobilità degli individui, il fattore culturale diviene, nella nuova fase, l’elemento più importante di isolamento o comunque di presenza di sottogruppi nelle popolazioni. Si vuole in questa sede stimolare l’analisi e la lettura del processo transizionale in funzione dei fattori che intervengono nel determinare un isolato riproduttivo sia prima che dopo la transizione, ponendo particolare attenzione al complesso gioco di interazione e sovrapposizione tra aspetti culturali e geografici, tra isolato geografico e culturale. Meccanismi demografici dell’isolamento. Con questa tematica si vuole mettere l’accento sui processi demografici attraverso i quali si conservano e perpetuano gli isolati, nonché sulle variazioni che intervengono durante la transizione e che ne portano alla rottura, principalmente nuzialità e mobilità. Nuzialità L’analisi del modello matrimoniale è forse l’elemento principale di mantenimento dell’isolamento, soprattutto quello riproduttivo. Tuttavia, si vuole stimolare la riflessione non solo sulle caratteristiche peculiari di endogamia e consanguineità, e sul loro andamento di medio-lungo periodo, ma anche studiarle in funzione del mercato matrimoniale locale. Interessante potrebbe anche essere analizzare le caratteristiche di coloro che sceglievano un partner esterno alla comunità: età e posizione interna alla famiglia d’origine, ruolo nell’eredità paterna, residenza post-matrimoniale. Tra coloro che decidevano comunque di stabilirsi sul territorio, un’analisi di fecondità differenziale, relativa soprattutto alla fase post-transizionale, tra matrimoni endogami ed esogami potrebbe dire qualcosa di nuovo su chi sono stati gli attori principali della rottura degli isolati. Mobilità Il secondo meccanismo all’opera, vale a dire la mancanza di scambio di individui con l’esterno, può anch’esso essere studiato sia in ottica aggregata, sia in ottica individuale. Si invitano pertanto riflessioni sul ruolo che urbanizzazione e proletarizzazione possono avere avuto nel ridurre l’isolamento di una comunità. Uno studio sulle traiettorie migratorie potrebbe, ad esempio, fare luce su questo aspetto. Una ulteriore riflessione potrebbe riguardare la relazione tra mobilità stagionale e flussi migratori a seguito della transizione: vi fu una qualche relazione che portò popolazioni legate da flussi stagionali ad instaurare legami più stretti dopo la transizione, e secondo quale modello? Per quanto riguarda il livello individuale, anche in questo caso come per la nuzialità si stimolano ricerche sulle caratteristiche di coloro che per primi ruppero l’isolato emigrando o immigrando. Questa analisi potrebbe risultare molto interessante anche in chiave di cambiamento del pool genico di tali comunità isolate. Aspetti culturali dell’isolamento. Questa tematica è rivolta a tutti coloro che desiderano approfondire gli aspetti culturali dell’isolamento nonché dell’evoluzione che li ha interessati durante la prima fase del XX secolo. Non vi è infatti dubbio che le comunità isolate sviluppino una forte identità di gruppo che le porta ad avere caratteristiche culturali del tutto specifiche, dalla lingua parlata alla religione praticata, a modelli familiari e di trasmissione ereditaria del tutto particolari. In particolare, sono fortemente invitati studi che pongano l’attenzione sui meccanismi socio-culturali che determinino sia l’isolamento sia la genesi si sotto-popolazioni isolate, anche riproduttivamente, all’interno di comunità più grandi. Particolarmente interessante potrebbe essere l’analisi, a livello individuale, delle reazioni di una comunità culturalmente isolata nei confronti dei membri che seguivano pratiche diverse, ad esempio in relazione al modello matrimoniale di scelta del partner. Aspetti genetici e biologici dell’isolamento. La genetica di popolazioni e l’antropologia biologica hanno da sempre posto la loro attenzione sui fenomeni di isolamento riproduttivo. In questo contesto si vuole proprio porre l’attenzione sulle conseguenze della transizione demografica in termini evolutivi, analizzando le variazioni nel gene pool di popolazioni che si aprono verso l’esterno. Oltre alle consuete tecniche di analisi dell’isolamento riproduttivo mediante lo studio dell’endogamia, della consanguineità e dell’analisi in cognomi, si vuole portare l’attenzione anche su possibili conseguenze epidemiologiche della rottura degli isolati e del cambiamento della struttura genetica di una popolazione. Altrettanto utile da approfondire potrebbe essere una valutazione, per comunità che durante la transizione si sono aperte, quale tra immigrazione (gene flow) ed aumento dell’esogamia abbia giocato un ruolo più importante nella rottura degli isolati. Interessante potrebbe risultare anche lo studio della deriva genica in quelle comunità isolate che con la transizione hanno visto aumentare semplicemente l’emigrazione, e quindi andare incontro ad una maggior chiusura. SCHEDA DI PARTECIPAZIONE Convegno triennale Società Italiana di Demografia Storica Tema Le grandi transizioni tra ’800 e ’900. Popolazione, società, economia (Pavia 28-30 settembre 2006) Cognome e Nome Ente di appartenenza Indirizzo CAP e città telefono fax e-mail Intende presentare una relazione dal titolo: Per i lavori in collaborazione riportare i nominativi e i recapiti di ciascun autore Riassunto della comunicazione con indicazione delle fonti e dei metodi adottati (minimo 20 righe da inviarsi obbligatoriamente) La relazione può essere fatto rientrare nella sessione (segnare con una X la sessione che interessa) [ ] 1. L’emigrazione italiana all’estero. Coordinatore: Ercole Sori (Università Politecnica delle Marche), Dipartimento di Scienze sociali, Piazzale Martelli 8, 60121 Ancona, tel. 071 2207 164; fax 071 2207 152; e-mail: [email protected] [ ] 2. Famiglia e legami intergenerazionali. Coordinatori: Alessandro Rosina (Università Cattolica, Milano), Istituto di Studi su Popolazione e Territorio, Largo Gemelli 1, 20123 Milano, e-mail: [email protected]; Pier Paolo Viazzo (Università di Torino), Dipartimento di Scienze antropologiche, archeologiche e storico territoriali, Via G. Giolitti 23, 10123 Torino, tel. 011 670 4817; fax 011 670 4846; e-mail: [email protected] [ ] 3. Transizioni della fecondità in Italia tra Ottocento e Novecento. Coordinatori: Carla Ge Rondi (Università di Pavia), Dipartimento di Statistica ed Economia applicate “Libero Lenti”, Strada Nuova 65, 27100 Pavia, tel. 0382984345; fax 0382984674; e-mail: [email protected]. Rosella Rettaroli (Università di Messina), Dipartimento di Statistica, Via Verdi 58, 98166 Messina, tel. 0906408942; fax 090671695; e-mail: [email protected] [ ] 4. Le migrazioni interne in Italia nel periodo della transizione demografica. Coordinatore: Anna Treves (Università degli Studi di Milano), Istituto di geografia umana, Festa del Perdono 7, 20122 Milano, tel. 02 5031 2959; fax 02 5031 2509; e-mail: [email protected] [ ] 5. Salute, malattia e sopravvivenza in Italia fra Otto e Novecento. Coordinatore: Lucia Pozzi (Università di Sassari), Dipartimento di Economia, Impresa, Regolamentazione, Via Torre Tonda 34, 07100 Sassari, tel. 079 2017318; fax 079 2017312; e-mail: [email protected] [ ] 6. La transizione demografica e l’uscita dall’isolamento riproduttivo. Coordinatore: Matteo Manfredini (Università di Parma), Dipartimento di Genetica Antropologia Evoluzione, Parco Area delle Scienze, 43100 Parma, tel. 0521 905400; fax 0521 905604; e-mail: [email protected] La scheda di partecipazione deve essere inviata, preferibilmente per posta elettronica, agli organizzatori delle singole sessioni. Il termine per l’invio della scheda è fissato al 15 OTTOBRE 2005