nuove applicazioni del principio di offensività in ambito penale militare

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NUOVE APPLICAZIONI
DEL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ
IN AMBITO PENALE MILITARE
Ten. Col. Sebastiano LA PISCOPÌA, Consigliere giuridico delle Forze armate
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Rischi applicativi del nuovo art. 1393 del Codice
dell’Ordinamento Militare da parte del Comandante, oltre l’orizzonte edittale dell’art. 260 del
Codice Penale Militare di Pace. - 3. La nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131
bis del Codice Penale alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sui giudicati
della Corte Militare d’Appello. - 4. Conclusioni.
1. Introduzione.
Nulla poena cum lege ? La ben nota massima di Ulpiano1 è qui volutamente evocata con
un’innovata formula provocatoria nel tentativo di suscitare una curiosa aspettativa nei lettori su
quali possano essere gli scenari applicativi e le possibili conseguenze, in prospettiva sia fattuale che
giurisdizionale, del recente ampliamento delle responsabilità del praetor2 di diritto penale militare
nella sua duplice veste laica di Comandante e togata di Giudice militare sui diversi piani
sanzionatori: rispettivamente, disciplinare e penale.
Al riguardo si noterà, in primis, dall’analisi delle norme in trattazione, che la sanzione potrebbe
anche non esserci in presenza di un fatto delittuoso e, per l'appunto, della relativa norma
incriminatrice che integra reati conosciuti come tali dall’ordinamento giuridico militare.
L’autore3 ritiene quindi particolarmente interessante analizzare le recenti normative che
rappresentano delle novità di assoluto rilievo nel panorama delle - ora ampliate - potestates proprie
delle Autorità militari e della Magistratura militare.
In particolare, l’obiettivo principale del secondo paragrafo sarà quello di tratteggiare brevemente,
ma con spirito critico e con ampiezza di vedute, quali valutazioni/considerazioni dovrebbe
verosimilmente effettuare il Comandante di corpo prima di esprimere una decisione in merito ad un
possibile provvedimento disciplinare da emanare nelle more della definizione di un giudicato penale
su un proprio dipendente.
Come si vedrà, infatti, il mutato quadro normativo di riferimento4, ha ora posto il Comandante su
una sella curulis piuttosto scomoda per la non remota possibilità - a differenza di quanto sino ad ora
accaduto per le sanzioni disciplinari ex art. 260 del Codice Penale Miliare di Pace (C.P.M.P.)5 - di
1
Nulla poena sine lege: Digesto 50, 16, 131.
Inteso nel suo senso etimologico di ciceroniana memoria come Magistrato investito di imperium e iurisditio. Si noti, al
riguardo, che era proprio l’autorità dotata di imperium che in epoca repubblicana, individuava nel praetor anche il
comandante in capo (da prae ire) della fanteria romana. Il richiamo a tale arcaica “fusione” dell’autorità pubblica dotata
di poteri coercitivi è quella alla quale, non a caso, il presente studio fa riferimento nell’affrontare i possibili riflessi dei
differenti e graduati ambiti delle potestà sanzionatorie tipiche del diritto penale militare.
3
Che qui scrive - come di consueto nelle proprie pubblicazioni scientifiche - nella sua veste di libero interprete delle
normative oggetto di studio, non esprimendo alcun orientamento ufficiale del Ministero della Difesa.
4
Dopo la riscrittura del menzionato art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare.
5
L’istituto, come noto, ha lo scopo di snellire le attività dei Tribunali militari, mediante l’utilizzo dell’autorità dei
Comandanti che con la sanzione disciplinare attuano un’efficiente funzione repressiva ed intimidatrice garantendo, al
contempo, maggior riserbo a fatti che possano pubblicamente ledere l’immagine ed il prestigio delle Forze Armate.
2
1
dover emanare, se necessario, un atipico quanto poco onorevole giudizio di “remissione di
sanzione”6.
Nel secondo paragrafo, poi, l’autore affronterà la dibattuta introduzione nel Codice Penale della
nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis del Codice Penale (C.P.), nella
consapevolezza dell’estrema complessità della materia, assumendosi il difficile onere di tentare di
indagare la ratio di alcune recentissime pronunce della Corte Suprema di Cassazione su giudizi
della Corte Militare d’Appello.
E’ auspicabile che tali pronunce degli Ermellini, seppur prive del massimo apporto valoriale
nomofilattico7, possano aiutare studiosi ed operatori del diritto e, perché no, Comandanti, ad
orientarsi nel difficile campo della emergente valutazione del cosiddetto principio di offensività.
Si evidenzia, infine, che il presente studio nelle sue conclusioni non illuminerà certezze
argomentative o afflati di vicinanza ad autorevoli riferimenti dottrinari, ma potrà solo
eventualmente contribuire a stimolare una serena riflessione sugli istituti de qua, lasciando integra
nei lettori l’autonomia di discernimento, di dubbio e di giudizio.
2. Rischi applicativi del nuovo art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare da parte del
Comandante, oltre l’orizzonte edittale dell’art. 260 del Codice Penale Militare di Pace.
Al fine di poter meglio apprezzare la straordinaria rilevanza della “riscrittura” dell’art. 1393 del
D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 668, avvenuta ad opera dell’art. 15, comma 1 della legge 7 agosto 2015, n.
124, si riportano, a seguire, per mere finalità sistematico-comparative, i “testi antitetici” che
caratterizzano l’evoluzione normativa dell’art. 1393 in parola.
Art. 1393 (Sospensione del procedimento disciplinare) (testo originario):
“1. Se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale, ovvero è stata disposta
dall’autorità giudiziaria una delle misure previste dall’articolo 915, comma 19, il procedimento
Trattasi di termine “non tecnico” liberamente coniato dall’autore per esigenze di caratterizzazione espressiva
dell’istituto ex art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare.
7
Trattandosi di pronunce di singole Sezioni e non delle Sezioni Unite. Giova evidenziare, tuttavia, come lo stesso
Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione abbia di recente innovativamente affermato, “…se è vero
che il numero esorbitante dei ricorsi e dei conseguenti contrasti che inevitabilmente insorgono all’interno della Corte
di cassazione, esaltano e rendono sempre più prezioso il ruolo delle Sezioni unite in vista di una sintesi
dell’interpretazione giurisprudenziale che assicuri il valore del precedente attraverso l’autorevolezza della decisione,
tuttavia non può negarsi che alla formazione del diritto vivente contribuiscano in maniera significativa le Sezioni
semplici, che si trovano giornalmente a dover interpretare una realtà in continua e talvolta frenetica mutazione,
assicurando un’evoluzione equilibrata del diritto volta a superare ora la fissità di soluzioni legislativamente
predeterminate ora l’inattualità delle risposte giudiziarie.” Cfr. http://www.cortedicassazione.it/cassazioneresources/resources/cms/documents/Rassegna_Penale_2013.pdf. Cfr., inter alia, ZAGREBELSKY, La dottrina del
diritto vivente, in Giur. cost., 1986, I, 1152 ss.; MENGONI, Diritto vivente, in Dig. civ., VI, Torino, 1990, 450 ss.;
Morelli, Il «diritto vivente≫ nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1995, 169 e segg.; ed
AMOROSO, I seguiti delle decisioni di interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale nella giurisprudenza di
legittimità della Corte di cassazione, in Riv. trim. dir. pubb., 2008, 769 ss..
Come noto, per l'art. 65 del R. D. 12 del 1941, la funzione nomofilattica della Cassazione si articola in due specifiche
sottofunzioni, quali quella di garantire l'attuazione della legge nel caso concreto, realizzando il profilo giurisdizionale in
senso stretto e quella di fornire indirizzi interpretativi uniformi tesi a mantenere/configurare, nei limiti del possibile,
l’omogeneo riferimento unitario dell’ordinamento giuridico, attraverso una sostanziale uniformazione della
giurisprudenza, storicamente attuata dalle Sezioni Unite, anche se, come appena evidenziato, tale rigidità ermeneutica
pare in fase di progressivo superamento.
8
Cfr. Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale in Rassegna della Giustizia Militare, 2015, n. 3.
9
Art. 915 (Sospensione precauzionale obbligatoria)
“1. La sospensione precauzionale dall'impiego è sempre applicata nei confronti del militare se sono adottati a suo
carico:
a) il fermo o l'arresto;
6
2
disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di prevenzione e, se già
iniziato, deve essere sospeso.
2. In caso di prosecuzione del procedimento disciplinare, si tiene conto del decorso dei termini
perentori antecedente il provvedimento di sospensione.”
Art. 1393 (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale) (testo novellato):
“1. In caso di procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione
ai quali procede l'autorità giudiziaria, si applica la disciplina in materia di rapporti fra
procedimento disciplinare e procedimento penale di cui all'articolo 55-ter del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165.10”
Ciò che, prima facie, emblematicamente traspare è il sostanziale cambio di denominazione
dell’articolo che da “Sospensione del procedimento disciplinare” diventa “Rapporti fra
procedimento disciplinare e procedimento penale”.
L’originaria formulazione dell’art. 1393 aveva, come visto, una perentoria chiarezza espositiva: “il
procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di
prevenzione e, se già iniziato, deve essere sospeso”.
Nonostante l’inequivocabile impossibilità per il Comandante di Corpo di attivare, o di proseguire, il
procedimento disciplinare nei confronti dei militari imputati in un procedimento penale, non sono
però mancati nella prassi applicativa della norma11, purtroppo, casi in cui vi sia stato un differente
tentativo di approccio ermeneutico dei Comandanti poco avveduti/illuminati, o semplicemente mal
consigliati, nei confronti, persino, di dipendenti con le stellette che non erano neppure stati sentiti
come persone informate sui fatti dalla Magistratura militare, o addirittura contabile.
b) le misure cautelari coercitive limitative della libertà personale;
c) le misure cautelari interdittive o coercitive, tali da impedire la prestazione del servizio;
d) le misure di prevenzione provvisorie, la cui applicazione renda impossibile la prestazione del servizio.”
10
Art. 55-ter (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale).
“ 1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorita'
giudiziaria, e' proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravita',
di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non e' ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni
di maggiore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare
complessita' dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di
elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, puo' sospendere il procedimento disciplinare fino al
termine di quello penale, salva la possibilita' di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del
dipendente.
2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il
procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al
dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorita'
competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilita' della
pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione
all'esito del giudizio penale.
3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile
di condanna, l'autorita' competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive
all'esito del giudizio penale.
Il procedimento disciplinare e' riaperto, altresi', se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto
addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne e' stata applicata
una diversa.
4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare e', rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta
giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla
presentazione dell'istanza di riapertura ed e' concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La
ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorita'
disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle
determinazioni conclusive, l'autorita' procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le
disposizioni dell'articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale.”
11
Secondo il principio del tempus regit actum dal 9 ottobre 2010 al 28 agosto 2015.
3
Ad avviso dell’autore, la storica formulazione della norma in parola era proprio finalizzata ad
evitare imprudenti12 e dannosi13 “approcci poco garantisti” su un piano disciplinare in assenza di:
- fumus e di prove documentali o testimoniali atte a motivare compiutamente/esaustivamente il
provvedimento;
- di sentenze passate in giudicato emanate dai competenti Organi della Magistratura Militare.
Vero è che visti i lunghi tempi spesso necessari per giungere alla definizione dei procedimenti
penali, risultava talvolta difficile per il Comandante di corpo (magari nel frattempo succedutosi più
e più volte) assicurare la puntuale esecuzione al disposto dell’art. 1398 del C.O.M.14 che, come
noto, prevede l’instaurazione senza ritardo del procedimento disciplinare, pur con le temperanze
sulle “cadenze d’intervento” introdotte al primo comma dello stesso art. 1393 dall’art. 4 comma 1,
lettera qqq) del D.Lgs. 24 febbraio 2012 n. 20.
Tuttavia, la precedente norma rappresentava - a modesto avviso di chi scrive - una tutela per i
Comandanti di corpo che non sempre sono dei “fini giuristi”15 e che, purtroppo, non possono quasi
mai avvalersi del prezioso ausilio di autorevole dottrina in materia16 che faccia da “guida” ai
volenterosi legal advisors.
Il nuovo testo dell’art. 1393 non pare altrettanto “garantista” né nei confronti dell’inquisito, né nei
confronti del Comandante.
La digressione del testo letterale della norma in parola, appositamente integralmente su riportata,
evidenzia infatti un’inversione di marcia decisa17 - attesa la storica e crescente specialità
riconosciuta all’ordinamento giuridico militare - che ha colto di sorpresa persino i rari cultori della
materia.
Pertanto pur in presenza di un “titolo” dell’art. 55 ter che fa espresso ed esclusivo riferimento a
giudizi penali, sembra pluasibile annoverare tra i fatti in relazione ai quali procede l’autorità
12
Per il Comandante di corpo.
Per il militare sottoposto al procedimento disciplinare.
14
Art. 1398 (Procedimento disciplinare).
“ 1. Il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo:
a) dalla conoscenza dell'infrazione;
b) ovvero dall'archiviazione del procedimento penale;
c) ovvero dal provvedimento irrevocabile che conclude il processo penale;
d) ovvero dal rinvio degli atti al comandante di corpo al termine di inchiesta formale.
2. Il procedimento disciplinare si svolge, anche oralmente, attraverso le seguenti fasi:
a) contestazione degli addebiti;
b acquisizione delle giustificazioni ed eventuali prove testimoniali;
c) esame e valutazione degli elementi contestati e di quelli addotti a giustificazione;
d) decisione;
e) comunicazione all'interessato.
3. L'autorita' competente, se ritiene che sussistono gli estremi per infliggere la sanzione della consegna di rigore,
procede a norma dell'articolo 1399.
4. La decisione dell'autorita' competente e' comunicata verbalmente senza ritardo all'interessato anche se l'autorita'
stessa non ritiene di far luogo all'applicazione di alcuna sanzione.
5. Al trasgressore e' comunicato per iscritto il provvedimento sanzionatorio contenente la motivazione, salvo che sia
stata inflitta la sanzione del richiamo.
6. La motivazione deve essere redatta in forma concisa e chiara e configurare esattamente l'infrazione commessa
indicando la disposizione violata o la negligenza commessa e le circostanze di tempo e di luogo del fatto.
7. L'autorita' procedente, se accerta la propria incompetenza in relazione all'irrogazione della sanzione disciplinare,
deve darne immediata comunicazione all'interessato e all'autorita' competente rimettendole gli atti corredati di una
sintetica relazione.
8. Le decisioni adottate a seguito di rapporto sono rese note al compilatore del rapporto stesso.
15
Espressione tipica dello studioso Ten. Col. Anselmo BASSARELLO.
16
Come noto quasi inesistente, oltre che spesso pauca di interpretazioni analitiche di qualificato pregio scientifico.
17
Verosimilmente originata da esigenze di razionalizzazione in ambito pubblica amministrazione.
13
4
giudiziaria18, anche quelli di cui si occupa la sola Magistratura contabile in presenza di danni
patrimoniali caratterizzati dall’assenza nell’inquisito dell’elemento psicologico del dolo.
Tale previsione, seppur non insindacabile, parrebbe ampliare la platea dei potenziali destinatari del
procedimento disciplinare anche ai militari che, nei casi di cui all’art. 55 bis comma 119 diversi da
Di cui al summenzionato art. 55 ter del D.Lgs. n. 165/2001 al quale l’art. 1393 del C.O.M. “si omologa”.
Art. 55 bis (Forme e termini del procedimento disciplinare).
“ 1. Per le infrazioni di minore gravita', per le quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero
verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per piu' di dieci giorni, il
procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni
del comma 2. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili
con sanzioni piu' gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le
disposizioni del comma 4. Alle infrazioni per le quali e' previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita
dal contratto collettivo.
2. Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di
comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al
comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente
medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di
un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di
almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, puo' inviare una
memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per
l'esercizio della sua difesa. Dopo l'espletamento dell'eventuale ulteriore attivita' istruttoria, il responsabile della
struttura conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni
dalla contestazione dell'addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento
del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento e' prorogato in misura corrispondente. Il differimento
puo' essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente
comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio
del diritto di difesa.
3. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare e' piu' grave
di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all'ufficio
individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all'interessato.
4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti
disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l'addebito al dipendente, lo convoca per
il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la
sanzione da applicare e' piu' grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al
doppio di quelli ivi stabiliti e salva l'eventuale sospensione ai sensi dell'articolo 55-ter. Il termine per la contestazione
dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale
l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del
procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta
da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma
comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del
diritto di difesa.
5. Ogni comunicazione al dipendente, nell'ambito del procedimento disciplinare, e' effettuata tramite posta
elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano.
Per le comunicazioni successive alla contestazione dell'addebito, il dipendente puo' indicare, altresi', un numero di fax,
di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilita'. In alternativa all'uso della posta elettronica certificata o del fax
ed altresi' della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di
ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. E' esclusa l'applicazione di termini
diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo.
6. Nel corso dell'istruttoria, il capo della struttura o l'ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da
altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta
attivita' istruttoria non determina la sospensione del procedimento, ne' il differimento dei relativi termini.
7. Il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell'incolpato o ad una
diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento
disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'autorita' disciplinare
procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, e' soggetto all'applicazione, da parte dell'amministrazione
di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione,
commisurata alla gravita' dell'illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.
18
19
5
quelli di indebito oggettivo ex art. 2033 del Codice Civile20, si trovino destinatari di un “invito a
dedurre” emesso dal Magistrato della Corte dei conti, pur in assenza di un’avvenuta attivazione di
un procedimento penale.
I commi 2 e 3 del su richiamato art. 55 ter del D.Lgs. n. 165/2001, evidenziano poi un ventaglio di
possibilità concesse al Comandante di corpo finalizzate a “rimuovere” o a “riallineare” la sanzione
disciplinare irrogata, all’esito del giudizio penale.
Al riguardo giova evidenziare che data la speciale21 natura dell’ordinamento militare e la grande
incisività che sia una sanzione disciplinare, sia un apparentemente ininfluente lieve abbassamento di
una singola voce delle “note caratteristiche”22 può avere sulle prospettive di carriera del militare, il
rischio insito nel corpus di questo nuovo art. 1353 del C.O.M. è che verosimilmente, in molti casi,
un eventuale annullamento delle sanzioni disciplinari inflitte, vedrà irrimediabilmente compromessa
la reputazione e/o la carriera del personale interessato dall’applicazione della norma che, non a
caso, fu concepita nel lontano 2001 per il solo comparto civile della P.A. che ha una non
comparabile struttura ordinativa, oltre che progressioni di carriera non verticistiche ed
assolutamente differenti anche dal punto di vista concorsuale.
Al riguardo il Comandante di corpo che dovrà valutare attentamente caso per caso ogni singola
fattispecie sanzionatoria, potrebbe esporsi al rischio concreto di ricorsi gerarchici ex D.P.R. 24
novembre 1971, n. 1199, oltre che di azioni civili per il risarcimento del danno per perdita di
chance23.
8. In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un'altra amministrazione pubblica, il procedimento
disciplinare e' avviato o concluso o la sanzione e' applicata presso quest'ultima. In tali casi i termini per la
contestazione dell'addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a
decorrere alla data del trasferimento.
9. In caso di dimissioni del dipendente, se per l'infrazione commessa e' prevista la sanzione del licenziamento o se
comunque e' stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso
secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici
non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.”
20
Cfr., sia concesso, Sebastiano LA PISCOPIA “Sulla responsabilità amministrativo patrimoniale negli Organismi
tipici del Ministero Difesa” su www.contabilita-pubblica.it, a pag. 4 e ss..
21
Si noti che l’art. 19 della legge 183/2010, appena successiva all’entrata in vigore del C.O.M., in linea con la
specificità del ruolo delle Forze Armate che traspare dal corpus stesso del C.O.M. e del relativo regolamento, ossia del
D.P.R. n. 90/2010, dispone:
“ 1. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela
economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di
polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in
dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle personali limitazioni, previsti da leggi e regolamenti,
per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza intrema ed esterna,
nonchè per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.
2. La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti
legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie.
3. Il Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) partecipa, in rappresentanza del personale militare, alle
attività negoziali svolte in attuazione delle finalità di cui al comma 1 e concernenti il trattamento economico del
medesimo personale.”.
Cfr. DE LEVERANO Luigi Francesco, La specificità della condizione militare, Informazioni della Difesa, n. 3/2001,
http://www.difesa.it/InformazioniDellaDifesa/periodico/IlPeriodico_AnniPrecedenti/2011/Documents/Rivista%2032011/3_Articolo2.pdf.
22
Si osservi, al riguardo, che il c.d. “abbassamento delle note caratteristiche”, seppur non tassonomicamente ascrivibile
fra le sanzioni disciplinari ex art. 1358 del C.O.M., è un forte strumento sanzionatorio nelle mani dei superiori
gerarchici del militare reo di comportamenti lievemente non conformi alle norme sul servizio e la disciplina.
23
La chance è, come affermato dalla giurisprudenza, anche essa un bene, un'entità giuridicamente ed economicamente
valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, purché ne sia provata la sussistenza anche secondo un
calcolo di presunzione e probabilità (Cfr. Cass. n. 6506/1985; Cass. n. 8458/2000); la lesione della chance è infatti un
danno attuale, che riguarda la possibilità di conseguire un vantaggio (Cass., sent. n. 21619/2007, in Danno e Resp.,
2008, 1, 43). La Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 8443 in data 5 aprile 2013, ha chiarito che qualora il
dipendente risulti in possesso di tutti i requisiti necessari al fine di concorrere all'avanzamento di carriera, ove il datore
6
Ciò detto, non pare certo, quindi, che il rapporto di “immedesimazione organica” che vede il
Comandante come parte indissolubile di quel “ramo esclusivo” della Pubblica Amministrazione
rappresentato dalle Forze Armate, basti di per se a tutelare il Comandante stesso da non temerarie
liti volte a dimostrare la responsabilità personale del summenzionato “decisore laico” in un giudizio
civile di risarcimento del danno.
L’aleatorietà e l’inadeguatezza dell’applicazione del menzionato art. 55 ter del D.Lgs. n. 165/2001
traspaiono anche dal richiamo24 fatto al comma 1 del summenzionato art. 55 ter alla disciplina del
già citato art. 55 bis relativamente alle infrazioni di minore gravità.
E’ di dimostrata evidenza palmare, infatti, che il D.Lgs. n. 66/2010 ed il D.P.R. n. 90/2010
rappresentano un unicum sotto un profilo disciplinare, ossia lex specialis in materia dopo che tali
norme hanno pressoché integralmente recepito e novellato la legge n. 382/1978 ed il D.P.R. n.
545/1986.
Per tale ragione come può - con buona pace del letterale richiamo imposto dalla norma - applicarsi
alle Forze Armate il generale art. 55 bis del D.Lgs. n. 165/2001 ?
Frustra probatur quod probatum non relevat !
Quali sarebbero poi le infrazioni di minore gravità di una condotta per la quale manca persino la
fase istruttoria di un giudizio penale ? Quelle per cui è prevista una pena superiore nel massimo a
sei mesi ex art. 260 del C.P.M.P. o quelle ex art. 131 bis del C.P.25 che individua le condotte di
particolare tenuità offensiva in quelle che prevedono una pena edittale non superiore nel massimo a
cinque anni ?
Al riguardo, non pare ultroneo evidenziare che il sottosistema della legislazione penale militare è
ormai condivisibilmente integrato nel sistema penale generale di cui ha connotazione
“complementare” come legge speciale relativa ad un determinato settore ai sensi degli artt. 15 e 16
del C.P..
Per tale ragione il summenzionato art. 260 del C.P.M.P. individua quindi, come affermato da
autorevole dottrina26, “un meccanismo procedurale di ripartizione dinamica tra reato e illecito
disciplinare fornito dalla cd. richiesta di procedimento del comandante di corpo per una
determinata categoria di reati militari, in cui l’assoggettamento a sanzione penale dipende da una
scelta discrezionale dell’organo titolare del potere disciplinare (art. 260 del codice penale militare
di pace). Un istituto estremamente problematico ma indicativo dell’origine del diritto penale
militare come maturazione dell’originario statuto disciplinare del militare sul quale sono stati
innestati istituti propri del diritto penale in senso stretto con finalità di garanzia per rendere
determinati comportamenti punibili solo se tipici e con il rito processuale proprio della sanzione
penale.”.
di lavoro preferisca un altro dipendente senza prendere in debita considerazione i requisiti del dipendente escluso
(magari illegittimamente, per via di una sanzione disciplinare infondata), dovrà farsi carico del ristoro del danno per
perdita di chance. La Suprema Corte ha, infatti, evidenziato che l'avanzamento di carriera di un lavoratore a discapito di
un altro, richiede obbligatoriamente che il datore di lavoro motivi la propria scelta. Al riguardo quale motivazione potrà
mai fornire un Comandante di corpo che sia costretto a rimuovere una sanzione disciplinare per effetto di una mancata
sanzione penale ex art. 55 ter commi 2 e 3 del D.Lgs. n. 165/2001? Anche in tale ipotesi dovrà riconoscersi al
danneggiato la risarcibilità del danno costituito dalla diminuita capacità lavorativa pro futuro giusta i principi che
presiedono alla determinazione del nesso di causalità fra pregiudizio e condotta lesiva. (Cass. civ., Sez. III, 29
novembre 2012, n. 21245).
24
Da un punto di vista legistico, non sarebbe risultato superfluo precisare nell’art. 1353 del C.O.M. la “speciale
normativa” applicabile/da applicare nel caso di sanzioni disciplinari da infliggere al personale militare, derogatoria
all’art. 53 bis del D.Lgs. n. 165/2001.
25
Che sarà ampiamente esaminato nel prossimo paragrafo.
26
Cfr. Massimo NUNZIATA, latribuna.it – Rivista penale n. 2 / 2007.
7
Pertanto, nel caso di reati “di minore gravità”, verosimilmente assimilabili a quelli connotati da
“particolare tenuità” (se includibili per i criteri di “frammentarietà”27 e di “specialità”28 della legge
penale militare nel sistema sanzionatorio dell’art. 131 bis del C.P.) sarà possibile per il Comandante
di corpo esorbitare gli esistenti limiti alla propria funzione sanzionatoria disciplinare ? In altri
termini, potrà egli superare la casistica di reati che prevedono una pena edittale superiore nel
massimo a sei mesi, per attuare uno “sconfinamento” volto a ricomprendere fattispecie criminose
che prevedono una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ?
Ad avviso di chi scrive ciò potrebbe essere consentito al Comandante nelle more della definizione
di un procedimento penale, in vigenza del combinato disposto degli artt. 1353 del C.O.M. e 131 bis
del C.P., in quanto la “condizione di procedibilità” ex art. 260 C.P.M.P. è “alternativa” all’esercizio
dell’azione penale29, mentre quest’ultima non preclude l’azione disciplinare per “fatti tenui” che
integrano reati per cui è prevista una pena inferiore nel massimo a cinque anni.
L’autore non ritiene tuttavia opportuno esprimere al riguardo una valutazione di merito lasciando,
come accennato in premessa, libertà di giudizio e di coscienza ai Comandanti di corpo.
Per i “decisori laici” purtroppo non c’è né giurisprudenza, né conforto di alcun Ufficio Massimario
Militare, bensì, al momento, solo queste modeste note dottrinarie di stimolo prudenziale ad una
riflessione attenta.
Pare altresì appropriato evidenziare che la stessa applicazione da parte dei Comandanti della “causa
di non procedibilità” ex art. 260 C.P.M.P. non sembra caratterizzata da una condivisa ed uniforme
interpretazione in ambito interforze in quanto nella prassi, per alcuni Comandanti pare preminente
non superare il termine perentorio massimo di sei mesi imposto dalla norma dando ex abrupto la
propria disponibilità a valutare in futuro, se del caso, l’inflizione di una sanzione disciplinare,
mentre per altri non sembra opportuno rischiare la proiezione di una possibile errata sensazione nel
Magistrato militare relativamente ad un avvenuto apprezzamento30 del fumus del reato, pur in
assenza di elementi di prova tipici delle fasi istruttorie (tanto del procedimento disciplinare, quanto
di quello penale).
27
Infatti il diritto penale militare nascendo storicamente come strumento per la tutela del servizio e della disciplina
militare, comprende solo le violazioni di beni ed interessi lesi o messi in pericolo che risultino tipizzate nel catalogo
delle incriminazioni militari.
28
Per il NUNZIATA, op. cit.: “Il connotato di specialità della legge penale militare, ricorre sotto più profili. La legge
penale militare è speciale rispetto alla legge penale comune in primo luogo in relazione ai soggetti che ne sono
destinatari: non il cittadino, ma il cittadino in armi, il militare. Quindi è speciale perché destinata ad una categoria
soggettiva speciale. Ma è speciale anche perché è aggiuntiva rispetto alla legge penale comune. Inoltre gli istituti che
ritroviamo nella parte generale e le disposizioni incriminatrici che ritroviamo anche nella parte speciale, il cd.
Catalogo delle incriminazioni, non di rado sono specializzazioni degli istituti e delle incriminazioni che si rinvengono
nel codice penale comune.”.
29
Sul punto, illuminante appare la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sez. I bis, del 15 maggio 2015: “In
tema di reati militari, la richiesta del Comandante di corpo, necessaria ai fini della procedibilità di reati per i quali il
codice penale militare di pace stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, è atto
formale e irrevocabile, soggettivamente amministrativo e subordinato ai requisiti espressamente richiesti dalla legge
penale (forma scritta, sottoscrizione dell'autorità competente; presentazione al P.M. entro un mese dal giorno in cui la
detta autorità ebbe notizia del fatto). Pertanto, la richiesta in questione si configura come vero e proprio atto
processuale idoneo a rimuovere un limite all'esercizio dell'azione penale, ed è inserita nell' "iter" del processo penale,
con la conseguenza che ad esso non è applicabile l'obbligo di motivazione imposto dalla L. n. 241 del 1990, art. 3 per
gli atti amministrativi direttamente incidenti nella sfera giuridica sostanziale del destinatario (Sez. 1, n. 13998
dell'8/11/1999, P.M. in proc. Ricci, Rv. 214824; Sez. 1, n. 728 del 6/12/1996, dep. 3/2/1997, P.G. mil. in proc.
Gargiulo, Rv. 206665). E' stato precisato che l'attribuzione della facoltà di richiesta di procedimento, ai sensi dell'art.
260 c.p.m.p., al Comandante del corpo o ad altro ente superiore, risponde a criteri di certezza e razionalità affinchè sia
sempre identificabile il soggetto titolare del potere di scelta ed apparendo giusto che sia il comandante del corpo a
valutare l'opportunità o meno di perseguire condotte di limitato disvalore, contemplate nei reati individuati dal citato
art. 260 (Sez. 1, n. 22699 del 14/4/2004, Cogoni, Rv. 228506).”
30
Da parte del Comandante stesso.
8
Per altri Comandanti, ancora, sembra invece indispensabile avvalersi del supporto esperienziale del
P.M. di turno.
A sommesso avviso di chi scrive, non sembrerebbe ininfluente un’autorevole chiarificazione
ermeneutica al riguardo espressa dai competenti Organi della Magistratura militare31.
In conclusione, a modesto giudizio dell’autore, l’ordinamento giuridico militare non avvertiva il
bisogno di un tale ius superveniens che aggiunge un ulteriore titanico peso decisorio sulle spalle dei
Comandanti di corpo.
Che Athena esca dalla testa di Zeus32 !
3. La nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis del Codice Penale alla
luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sui giudicati della Corte
Militare d’Appello.
Se come brevemente delineato nel precedente paragrafo, per il Comandante di corpo non sarà facile
individuare le infrazioni “di minore gravità” richiamate, di rimando, dal menzionato art. 55 bis del
D.Lgs. n. 165/2001, per il Magistrato militare sarà forse ancor più complesso, in assenza di una
compiuta disciplina sul versante processuale, discernere e soprattutto valutare la portata applicativa
del nuovo art. 131 bis del Codice Penale (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del
fatto33) che così recita:
“Nei reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero
la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilita' e' esclusa quando, per le
modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo
133, primo comma, l'offesa e' di particolare tenuita' e il comportamento risulta non abituale.
L'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita', ai sensi del primo comma, quando l'autore
ha agito per motivi abietti o futili, o con crudelta', anche in danno di animali, o ha adoperato
sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in
riferimento all'eta' della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate,
quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
Il comportamento e' abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale,
professionale o per tendenza ovvero abbia commesso piu' reati della stessa indole, anche se
ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita', nonche' nel caso in cui si tratti
di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle
circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini
dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle
circostanze di cui all'articolo 69.
Che contempli auspicabilmente anche i non infrequenti casi potenzialmente “processualmente sterili” di coeva
avvenuta “remissione di querela” (seppur verificatasi nel rispetto del principio di “officialità dell’azione penale” ex art.
269 del C.P.M.P.).
32
Il riferimento mitologico è al mal di testa di Zeus che fu risolto dalla fuoriuscita di Athena, dea della saggezza. Cfr. L.
PRELLER, Griechische Mythologie, 4ª ed. di C. Robert, I, Berlino 1887, pp. 184-230.
31
L’istituto della “particolare tenuità del fatto”, di recente introdotto con il d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 si innesta
nell’ambito di un quadro d’interventi normativi tesi a deflazionare il carico giudiziario. In particolare, l’art. 1, comma 1,
lett. m), della legge 17 aprile 2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione, aveva infatti
conferito la delega al Governo per «escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene
detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del
comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa
normativa processuale penale».
33
9
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita'
del danno o del pericolo come circostanza attenuante.”.
Va rappresentato, ora, che sotto il profilo processuale l’introduzione dell’art. 131 bis C.P. ha
originato l’art. 411 C.P.P. che statuisce che tra gli altri casi di archiviazione deve essere
contemplato anche quello per particolare tenuità del fatto e che se l’archiviazione è richiesta per tale
motivo “il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla
persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e
presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto
alla richiesta. Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’art. 409,
comma 2, e, dopo aver sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In
mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e. se
accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la
richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi
dell’articolo 409, comma 4 e 5.”.
Quanto al Codice di rito, inoltre, va rilevato che è stato:
- modificato l’art. 469 C.P.P. nel senso che la sentenza di non doversi procedere è pronunciata
anche quando l’imputato non è punibile per la particolarità tenuità del fatto;
- introdotto il nuovo articolo 651 bis C.P.P. che delinea il diritto della persona danneggiata dal
reato con riguardo all’azione civile, statuendo che laddove l’imputato dovesse essere prosciolto
dal reato a lui ascritto per tenuità del fatto, quel fatto rimane definitivamente accertato nella sua
componente lesiva risultando così suscettibile di giudizio davanti al giudice civile.
Si osserva, al riguardo, che tali norme trovano applicazione in ambito processuale anche ai giudizi
nei confronti del personale militare per analoga applicabilità - mutuata dal diritto sostanziale - del
menzionato principio penale di “complementarietà” fissato in materia dall’art. 261 del C.P.M.P..
In via preliminare si farà un cenno al concetto giuridico di “tenuità del fatto” evidenziando che il
dispositivo dell’art. 323 bis C.P.34 relativo alla c.d. “attenuante”, prevede che “Se i fatti previsti
dagli artt. 314, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 quater, 320, 322, 322 bis e 323 sono di
particolare tenuità, le pene sono diminuite.”.
Con riferimento alla suddetta ”attenuante speciale” prevista dal summenzionato art. 323 bis C.P.,
può affermarsi che “onde valutare la portata del fatto incriminato, e` necessario considerare lo
stesso nella sua globalita`, dovendosi allo scopo considerare ogni caratteristica della condotta e
dell’evento da questa derivato, «insieme alle ragioni che lo hanno determinato e alla personalita`
del suo autore, giacche´ queste si riverberano sul dato oggettivo e finiscono per delinearne gli
esatti contorni». Si e` precisato, inoltre, che ai fini della ricorrenza della circostanza attenuante ex
art. 323 bis c.p. deve aversi riguardo, oltre ad ogni elemento di giudizio di natura oggettiva ed
esterno all’autore, anche agli aspetti di natura soggettiva, inclusi i motivi sottesi alla condotta, che
concorrono a fondare una qualificazione del fatto significativamente attenuata rispetto alle ipotesi
ordinarie previste dalla norma incriminatrice. La «particolare tenuita` del fatto», pertanto, non
puo` essere desunta semplicemente dalla lieve entita` dell’eventuale offesa patrimoniale cagionata
dalla condotta criminosa, in quanto il dato patrimoniale, che pertiene alla circostanza comune di
cui all’art. 62, n. 4, c.p., non e` ne´ decisivo ne´ esclusivo e puo` non essere sufficiente ad integrare
l’attenuante speciale in esame.”35.
Dopo tale doverosa premessa, si osserva che diverso dall’attenuante speciale della tenuità del fatto
è invece l’istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis C.P. su cui si è già espressa,
qualche giorno dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 28/2015, la Corte di Cassazione36
riconducendo tale istituto, sia pure senza offrire un’articolata motivazione, tra le “cause di non
34
35
36
Come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. i), n. 1 della legge 27 maggio 2015, n. 69.
Cfr. Diritto Penale, Particolare tenuità del fatto e peculato, gennaio 2009.
Cfr. Cass., Sez. III, 15 aprile 2015, Mazzarotto, n. 15449.
10
punibilità”37 e riconoscendone, in tal guisa, l’applicazione anche ai procedimenti in corso in virtù
dell’art. 2 C.P..
L’istituto in parola non è nuovo nel nostro ordinamento, infatti, come noto, la tenuità del fatto trova
la sua ispirazione nel procedimento penale avanti al giudice di pace ex art. 34 D.Lgs. 28 agosto
2000, n. 274 e, ancora prima, in quello a carico dei minori ex art. 27 del D.P.R. n. 448/1988, ma qui
la causa di non punibilità è ben individuata dalla norma che affida in modo inequivocabile
l’innovata natura di “reati tenui” ai soli reati con una pena edittale inferiore nel massimo a cinque
anni, semplificando così, almeno, l’opera ricognitoria del magistrato penale.
Al riguardo giova evidenziare che l’avallo della piena legittimità costituzionale della legge delega
che ha originato il D.Lgs. n. 28/2015 e la statuizione della diversa natura dell’istituto in parola
rispetto a quello ex art. 34 del D.Lgs. n. 274/2000 sono stati recentemente espressi in termini
perentori dalla Corte Costituzionale: “il legislatore può ben introdurre una causa di
proscioglimento per la particolare tenuità del fatto strutturata diversamente senza richiedere tutte
le condizioni previste dall’art. 34 del D.Lgs. n. 274 del 2000, ed è quello che ha fatto la legge 28
aprile 2014, n. 67…Il legislatore ha conferito al Governo una delega per “escludere la punibilità di
condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a
cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del
comportamento”. Si tratta di una disposizione sensibilmente diversa da quella dell’art. 34 del
D.Lgs. 274 del 2000, perché configura la “particolare tenuità dell’offesa” come una causa di non
punibilità invece che come una causa di non procedibilità, con una formulazione che, tra l’altro
non fa riferimento al grado di colpevolezza e all’occasionalità del fatto (sostituita dalla “non
abitualità del comportamento”), alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze
dell’imputato.”.38
A conclusione di questa sommaria descrizione dell’istituto, per dirla con autorevole dottrina39
“L’interprete, chiamato a ricostruire l’ordito normativo, si trova innanzi ad un meccanismo
ambiguo nella natura e nel carattere che rende alquanto gravosa quell’operazione. La distonia,
non coerente con il largo impiego che verrà fatto dell’istituto, sarà fortemente condizionata dalla
giurisprudenza di merito e legittimità a cui è interamente delegata l’equa e corretta applicazione
del nuovo meccanismo.”
E’ per tale ragione che, stanti la carenza della disciplina su un piano processuale e la notevole
portata innovativa dell’istituto40, prescindendo da eventuali preoccupazioni corporative della
Magistratura militare, lo scrivente si soffermerà su alcune recenti pronunce della Corte Suprema di
Cassazione su giudizi della Corte Militare d’Appello, nel tentativo di fornire una possibile chiave di
lettura della norma sotto un profilo nomofilattico.
La prima pronuncia in rassegna è la sentenza della Cassazione in data 15 maggio 2015 della I
Sezione Penale, emanata avverso la sentenza n. 64/2014 della Corte Militare d’Appello di Roma, in
data 24 settembre 2014.
Essa è relativa ad un processo in cui con sentenza resa il 24 settembre 2014, la Corte Militare di
Appello confermava la sentenza del 19 novembre 2013, emessa dal Tribunale Militare di Verona,
che aveva condannato alla pena di mese uno e giorni quindici di reclusione militare l'imputato C.
G., in quanto ritenuto responsabile dei reati di disobbedienza aggravata (….) perché, aviere scelto in
37
Che come noto originano un provvedimento di archiviazione che, benché privo del carattere di definitività, andrà
iscritto nel certificato del casellario giudiziale. Cfr. Annalisa MANGIARACINA, La tenuità del fatto ex art. 131 bis
C.P.: vuoti normativi e ricadute applicative, Diritto penale contemporaneo, 2015. Sulla discendente cripto-condanna
Cfr. F. PICCIONI, Per gli avvocati “armi spuntate” nella strategia, in Guida dir., 2015, n. 15, p. 43, sia pure con
riferimento alla sentenza di proscioglimento predibattimentale.
38
Corte Costituzionale, sent. 3 marzo 2015, n. 25.
39
Antonella MARANDOLA, “I ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto,
Diritto penale e processo, n. 7/2015, pag. 792.
40
Per approfondimenti rimandasi ad autorevolissima dottrina: Alessandro LEOPIZZI, De minimis non curat praetor ?
Il principio di offensività e la nuova esimente della particolare tenuità del fatto, La Giustizia Penale, n. 5 - 2015.
11
servizio presso il terzo stormo Aeronautica militare di Villafranca, rifiutava o ometteva di ubbidire
all'ordine attinente al servizio di presentarsi all'infermeria principale di Villafranca per essere
sottoposto a visita circa l'idoneità al servizio militare incondizionato.
Di seguito, puntuale stralcio delle motivazioni della sentenza.
“In sede di discussione la difesa del ricorrente ha invocato l'applicazione del disposto dell'art. 131
bis C.P.. Tale disposizione disciplina la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto; il
testo normativo che ha introdotto tale istituto, il D.Lgs. n. 28 del 2015, non prevede una
regolamentazione transitoria, ma la natura sostanziale dell'istituto ed i suoi effetti favorevoli per il
reo inducono a ravvisarne l'applicabilità anche con effetto retroattivo a fattispecie concrete di
reato commesse prima dell'entrata in vigore della norma che lo riguarda, secondo la previsione
generale dell'art. 2 C.P., comma 4. Inoltre, a norma dell'art. 609 C.P.P., comma 2, poiché
l'introduzione nell'ordinamento della causa di non punibilità è avvenuta in momento successivo alla
celebrazione del giudizio di appello, il che ne ha precluso materialmente ogni possibilità di
deduzione, deve ritenersi che la stessa sia applicabile, nella sussistenza dei relativi presupposti,
anche in sede di legittimità. Al riguardo, non può prescindersi dalla considerazione del circoscritto
perimetro dei poteri cognitivi, propri del giudizio di cassazione, nel quale non sono consentiti
accertamenti di fatto; pertanto, il concreto riconoscimento della non punibilità per speciale tenuità
del fatto postula la verifica dell'astratta applicabilità dell'istituto alla stregua dei parametri
normativi di riferimento e, in caso di esito positivo, l'annullamento della sentenza impugnata con
rinvio al giudice di merito perché proceda alla relativa declaratoria sulla scorta
dell'apprezzamento in concreto dell'effettiva gravità della fattispecie. In tal senso risulta essersi
pronunciata questa Corte, alle cui affermazioni di principio si ritiene di dover dare continuità per
la loro piena condivisione (sez. 3^, nr. 15449 del 15/4/2015, Mazzarotto, rv. 263308; sez. 3^, n.
21474 del 22/04/2015, Fantoni, rv. 263693). (…).
Esclusa dunque l'astratta incompatibilità dell'istituto col giudizio di cassazione, nel caso di specie
la considerazione in questa sede conducibile induce ad escludere che nei gradi di merito i fatti
siano emersi come di speciale tenuità, dal momento che sono risultati plurimi. Tanto è sufficiente
per escludere i presupposti di applicabilità della causa di non punibilità.”
In definitiva, la sentenza impugnata non merita censure e l'impugnazione va respinta con la
conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
I due principali aspetti che emergono ictu oculi sono:
- una sentenza d’appello ad un mese e quindici giorni di reclusione militare per gli effetti dell’art.
173 del C.P.M.P., ben al di sotto della soglia prevista dall’art. 131 bis;
- la considerazione della Cassazione che induce ad escludere che nei due gradi di merito, i fatti
emersi siano catalogabili come tenui, per il sol fatto che gli stessi sono risultati plurimi.
E’ interessante notare che la su riportata sentenza evidenzia la forte rilevanza esegetico-negativa
attribuita alla semplice pluralità dei fatti ascritti.
La seconda sentenza in rassegna della I Sezione Penale della Cassazione, emessa anch’essa in data
15 maggio 2015, avverso la Sentenza n. 43/ 2014 della Corte Militare d’Appello di Roma in data 17
settembre 2014, è relativa al processo che si è svolto come di seguito indicato.
Con sentenza del 12.11.2013, il Tribunale Militare di Verona dichiarava R.G. responsabile del reato
continuato e aggravato di furto militare (capo 1) e violata consegna (capo 2) di cui all'art. 81 cpv.
C.P., art. 120 C.P.M.P., art. 230 C.P.M.P., commi 1 e 2, art. 47 C.P.M.P., n. 2 e lo condannava alla
pena di un anno e tre mesi di reclusione militare, concedendogli i doppi benefici di legge.
Con sentenza del 17.9.2014, la Corte Militare di Appello, in parziale riforma della prima decisione,
ha concesso le circostanze attenuanti di cui all'art. 62 C.P., nn. 4 e 6, rideterminando la pena nella
misura di cinque mesi di reclusione militare, confermando nel reato la pronuncia impugnata.
Quanto alla motivazione di diniego della concessione della valutazione della “tenuità del fatto”, si
riporta stralcio della stessa: “Va esclusa, in astratto, l'applicabilità della causa di non punibilità di
cui all'art. 131 bis c.p., introdotta con il recente D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 ("particolare tenuità
del fatto"), essendo già emersa dal giudizio di merito la sua esclusione, in considerazione della
12
pluralità dei fatti, dell'intensità del dolo, dell'applicazione di una pena superiore al minimo edittale
e della negazione delle attenuanti generiche.”.
Qui in relazione a cinque mesi di reclusione (si badi non cinque anni), si è quindi ritenuto
prevalente valutare ai fini dell’esimente in parola, altri elementi, seppur fondati, quali quelli appena
elencati in motivazione. In tal caso ancora una volta quindi la Cassazione non ha ritenuto di poter
applicare l’art. 131 bis C.P..
La terza sentenza in esame è anch’essa datata 15 maggio 2015 ed è stata emanata avverso la
sentenza n. 19/2014 della Corte Militare d’Appello di Roma in data 1° ottobre 2014.
Lo svolgimento del processo ha visto con sentenza pronunciata in data 1 ottobre 2014 la Corte
Militare di Appello che ha confermato la sentenza del 25 settembre 2013, con la quale il Tribunale
Militare di Roma aveva condannato l'imputato M. M., Maresciallo A.M., previa concessione delle
circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena,
condizionalmente sospesa, di mesi nove di reclusione militare con spese e conseguenze di legge e
non menzione della condanna, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da
liquidarsi in sede civile, in quanto ritenuto responsabile dei reati di ingiurie e minacce aggravate e
continuate e di danneggiamento di edificio militare.
La motivazione, in fattispecie recita: “Esclusa dunque l'astratta incompatibilità dell'istituto col
giudizio di cassazione, nel caso di specie la considerazione in questa sede conducibile induce ad
escludere che nei gradi di merito i fatti siano stati apprezzati come di speciale tenuità, dal momento
che, oltre ad essere plurimi, risultano anche essere stati puniti con pena ben superiore al minimo
edittale in conseguenza della ritenuta sussistenza di due diverse circostanze aggravanti. Tanto è
sufficiente per escludere i presupposti di applicabilità della causa di non punibilità.”
In questo caso viene alla luce un nuovo elemento valutato dai giudici di legittimità: la punizione
oltre i limiti edittali dei reati ascritti per la presenza di circostanze aggravanti.
Dunque ancora una volta, in presenza di una sanzione penale ampiamente al di sotto dei cinque anni
del 131 bis C.P. (nove mesi), nessuna esimente per tenuità è stata concessa.
La quarta ed ultima pronuncia degli Ermellini è la sentenza in data 8 luglio 2015 emessa avverso la
sentenza della Corte Militare d’Appello in data 18 febbraio 2015.
Lo svolgimento del processo ha evidenziato che R.S., Primo maresciallo luogotenente dell'Esercito
italiano, in servizio presso il 2° Reggimento di sostegno di (OMISSIS), è stato condannato alla
pena, ridotta in appello per il riconoscimento dell'attenuante di aver commesso il fatto per i modi
non convenienti usati dal superiore, ritenuta prevalente sulla contestata aggravante di aver agito in
presenza di più militari riuniti, alla pena di un mese di reclusione (in primo grado era stata inflitta
quella di mesi quattro), per aver disobbedito, nella sua qualità di gestore della mensa unificata di
reparto, all'ordine ripetutamente rivoltogli dal Tenente Colonnello, L.A., nel corso di un controllo
amministrativo a cura di una commissione presieduta dallo stesso L.A., di recarsi insieme presso il
Comandante del Reggimento.
Il dispositivo della sentenza di terzo grado recita:
“(…) nel caso di specie, tenuto conto del clima di tensione e di conflittualità tra i due militari in cui
si innesta il pur modesto episodio contestato, idoneo a screditare entrambi i contendenti al cospetto
degli altri militari presenti al fatto, offuscando l'immagine di disciplina ed unità che si addice ai
componenti di un corpo militare, non emerge la particolare tenuità del fatto, idonea a giustificare il
riconoscimento della specifica causa di non punibilità di cui all'art.131 bis c.p., inserito dal D.Lgs.
16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2, in vigore dal 2 aprile del corrente anno. Segue il rigetto
della relativa richiesta difensiva.”.
In questo caso siamo in presenza di una condanna ad un mese di reclusione militare, già inflitta in
appello. In particolare anche in questa sentenza della Cassazione emanata a norma dell’art. 609
C.P.P. non viene concessa l’esimente ex art. 131 bis C.P., ma ciò che un po’ sorprende è che qui la
motivazione ne indica la causa nel clima di tensione tra due militari che, offuscando l’immagine di
disciplina e di unità di personale delle Forze Armate, non crea i necessari presupposti di tenuità del
fatto.
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L’occasione pare propizia per evidenziare, in via incidentale, che nella fattispecie in esame, se la
condizione di procedibilità ex art. 260 C.P.M.P. fosse stata mossa dal Comandante di corpo,
verosimilmente si sarebbe evitata sia una sanzione penale, sia un danno d’immagine per
l’Amministrazione della Difesa.
Con specifico riferimento al dispositivo della sentenza si rileva inoltre che, anche in questo caso,
una sanzione penale modesta (un mese) - che è certamente molto distante dai cinque anni stabiliti
dal più volte menzionato 131 bis - non crea i presupposti per la concessione dell’esimente per
tenuità del fatto in presenza di un reato che offusca il decoro e l’immagine di un Corpo militare.
Verrebbe da pensare che allora solo l’art. 260 C.P.M.P. possa in futuro costituire una possibile e
concreta esimente, benché di procedibilità e non di “non punibilità”.
Tuttavia si ritiene che solo l’ulteriore analisi costante ed attenta della giurisprudenza sia di merito,
sia di legittimità, potrà contribuire ad illuminare il quadro, ancora embrionalmente distinto, della
reale portata applicativa dell’istituto de qua.
4. Conclusioni.
In conclusione pare verosimile supporre che siano molti gli spunti di riflessione stimolati nei lettori
dall’esame delle norme che sono state oggetto di approfondimento e di valutazione in queste brevi
note.
Nell’antica Roma si sarebbe forse detto che Giano portatore della civiltà e delle leggi avrebbe
guardato, in questo tempo, con una fronte al difficile compito del Comandante di “prevedere”
l’esito di un giudizio penale al fine di valutare l’eventualità di una sanzione disciplinare ed avrebbe
guardato con l’altra fronte alla nuova gravosa responsabilità dei Magistrati di dispensare o meno
pene per fatti considerabili tenui.
Chi sa se quell’antica divinità romana avrebbe intravisto la risposta al nostro interrogativo iniziale:
nulla poena cum lege ?
Non esiste una risposta certa, ma pare possibile affermare che, almeno con riferimento ai dibattuti
esiti giudiziali del nuovo art. 131 bis del Codice Penale, nonostante l’esistenza di una norma dalle
annunciate finalità deflattive sui reati cosiddetti bagatellari, la pena della reclusione militare possa
essere inflitta o, quantomeno confermata nel supremo giudizio di legittimità.
Ad ogni buon conto, siamo più che confidenti che una serena e competente valutazione su tale
complessa problematica sia già stata compiuta dagli autorevoli Magistrati Militari dei due gradi di
merito i quali, siamo certi, sapranno continuare a decidere secondo scienza e coscienza.
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