Catasto Intellettuale Mediterraneo Inventario dei Saperi Mediterranei Catastro Intelectual Mediterráneo Inventario de los Saberes Mediterráneos Cadastre Intellectuel Méditerranéen Inventaire des Savoirs Méditerranéens Mediterranean Intellectual Inventory Inventory of Mediterranean Knowledge 9 Machina Philosophorum Testi e studi dalle culture euromediterranee 31 Mulè, Viviana Judaica civitatis Siracusarum : vita, economia e cultura ebraica nella Siracusa medievale / Viviana Mulè ; prefazione di Luciana Pepi. – Palermo : Officina di Studi Medievali, 2013. (Machina Philosophorum : testi e studi dalle culture euromediterranee ; 31) (Catasto Intellettuale Mediterraneo : inventario dei saperi mediterranei ; 9) I. Pepi, Luciana 1. Storia Medievale – Siracusa – Comunità ebraica 909 CDD-21 ISBN 978-88-6485-058-0 ISBN 978-88-6485-059-7 (e-book .pdf) CIP: Biblioteca dell’Officina di Studi Medievali Collana coordinata da: Armando Bisanti, Maria Bettetini, Carolina Miceli, Alessandro Musco (direttore), Luca Parisoli, Luciana Pepi, Patrizia Spallino. Copyright © 2013 by Officina di Studi Medievali Via del Parlamento, 32 – 90133 Palermo e-mail: [email protected] www.officinastudimedievali.it www.medioevo-shop.net ISBN 978-88-6485-058-0 ISBN 978-88-6485-059-7 (e-book .pdf) Ogni diritto di copyright di questa edizione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo è riservato per tutti i Paesi del mondo. È vietata la riproduzione, anche parziale, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata dall’editore. Prima edizione, Palermo, settembre 2013 Stampa: Fotograph s.r.l. Editing: Alberto Musco Editing redazionale: Salvatore D’Agostino Viviana Mulè JUDAICA CIVITATIS SIRACUSARUM VITA, ECONOMIA E CULTURA EBRAICA NELLA SIRACUSA MEDIEVALE Prefazione di Luciana Pepi 2013 Tutte le collane editoriali dell’Officina di Studi Medievali sono sottoposte a valutazione da parte di revisori anonimi. Il contenuto di ogni volume è approvato da componenti del Comitato Scientifico ed editoriale dell’Officina o da altri specialisti che vengono scelti e periodicamente resi noti. All the editorial series of the Officina di Studi Medievali are peer-reviewed series. The content of the each volume is assessed by members of Advisory Board of the Officina or by other specialists who are chosen and whose names are periodically made know. Indice Luciana Pepi, Prefazione Introduzione Cap. 1. Profilo storico dell’insediamento ebraico a Siracusa 1.1. Note storiche sulla comunità ebraica di Siracusa dalle origini all’espulsione 1.2. Ubicazione della Giudecca 1.3. Il Cimitero 1.4. La Sinagoga 1.5. Il Bagno rituale Cap. 2. La comunitá ebraica di Siracusa: aspetti demografici, antropologici, economico-sociali 2.1. Note demografiche 2.2. L’onomastica 2.3. Organizzazione comunitaria e vicende interne 2.4. Artale Sacerdote ultimo Diene della Camera Reginale 2.5. Relazioni familiari e aspetti di vita comunitaria 2.6. Ebrei siracusani in fuga ed ebrei pellegrini a Gerusalemme 2.7. Famiglie ebraiche tra Siracusa e Malta: Almucatil, Ragusa, Mayr, Peres, Sala, Chetib 2.8. Vita economica e relazioni con il potere pubblico e con l’Universitas cristiana 2.8.1. Il problema delle tasse 2.8.2. Attività economiche: il commercio internazionale 2.8.3 Il commercio dei panni e il prestito ad interesse 2.8.4. Beniamino Romano, prestatore del re Giovanni 2.8.5. Il problema degli schiavi: il possesso e il mercato IX XXIII 1 1 10 17 19 23 27 27 30 32 43 44 50 58 68 68 74 85 88 95 VII L’Espulsione 102 Cap. 3. Identità culturale e religiosa degli ebrei a Siracusa 3.1. Medici ebrei 3.2. Codici ebraici siracusani e vita intellettuale 3.3. La Meghillà di Siracusa, tra storia e leggenda 105 107 111 116 Appendice 121 Glossario dei termini ebraici e siciliani 147 Alessandro Musco, Postfazione: Appunti per una Bibliografia sull’ebraismo di Sicilia 153 Elenco delle abbreviazioni 163 Bibliografia 165 Immagini e tavole 209 Indice dei nomi antichi e medievali 227 Indice dei nomi moderni 237 Organigramma dell’Officina di Studi Medievali239 VIII Prefazione Negli ultimi decenni l’interesse nei confronti degli ebrei in Sicilia è cresciuto notevolmente, e sono stati pubblicati molti studi. Sulla comunità ebraica di Siracusa, la più antica di Sicilia, non esistono pubblicazioni specifiche, che offrano una visione complessiva ed esauriente della storia, dell’organizzazione, della cultura, della grande comunità. Proprio per questo, il presente lavoro di Viviana Mulè viene a colmare una grande lacuna, e contribuisce a far luce su una comunità di straordinaria importanza da molteplici punti di vista: economico, sociale, culturale e religioso. Inoltre, nonostante i recenti studi sull’ebraismo siciliano si siano incrementati, permangono ancora diverse zone d’ombra e problemi relativi alle fonti. Come ha rilevato Shlomo Simonsohn,1 la documentazione relativa alla presenza ebraica in Sicilia è quasi completamente di origine governativa e notarile. La documentazione ebraica interna manca quasi del tutto. Anche le fonti letterarie ebraiche sono scarse. La perdita completa di documenti delle comunità ebraiche è dovuta all’improvvisa interruzione della loro presenza,2 probabile conseguenza del carattere dirompente che ebbe il decreto di espulsione, che lasciava tre mesi di tempo agli ebrei per decidere tra la conversione e l’esilio. Le fonti archivistiche, assai scarse per il periodo della dominazione araba, sono più numerose a partire dall’epoca normanna e poi sveva e si trovano abbondanti, per il secolo quindicesimo, nei fondi degli organi statali e in quelli notarili degli istituti archivistici della Sicilia e presso l’Archivio della Corona di Aragona a Barcellona. Per il periodo medievale, le fonti relative alla storia degli ebrei sono in gran parte sparse negli archivi e nelle biblioteche. Raramente sono disponibili fondi che contengano solamente (o prevalente- 1 Una notevolissima mole di documentazione è stata messa a disposizione degli studiosi mediante la pubblicazione dei diciotto volumi nella collana Documentary History of the Jews, diretta da Shlomo Simonsohn. 2 Simonsohn 1995, pp. 17-18. mente) materiale ebraico. Una fonte essenziale è costituita dai fondi notarili. Nella maggioranza dei casi si tratta di registri privi d’indice, e il reperimento della documentazione può avvenire solo attraverso il paziente spoglio dei singoli protocolli. Gli archivi comunali ed ecclesiastici conservano spesso fondi nei quali è possibile reperire materiale utile alla ricostruzione della storia degli ebrei. Purtroppo non sempre tali archivi sono di facile uso: in alcuni casi, gli archivi ecclesiastici sono aperti al pubblico a discrezione dell’archivista di turno e mancano d’inventari adeguati; un discorso analogo vale spesso – almeno per l’Italia – per gli archivi comunali. Un gran numero di biblioteche conserva codici ebraici e documentazione in volgare. Ciò comporta naturalmente non poche difficoltà nel reperimento della documentazione utile. Ogni nuovo studio è veramente frutto di grande fatica, che nasce dal desiderio di comprendere un segmento importante della storia ebraica e siciliana. La comunità ebraica, presente in Sicilia già dall’epoca romana, fu una delle comunità più consistenti, che visse in mezzo ai cristiani, sia pure con l’obbligo di contraddistinguersi. La loro presenza è documentata già a partire dal 590, grazie alle lettere di papa Gregorio Magno. La cacciata degli ebrei dai territori dei re cattolici Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia, nel 1492, interruppe bruscamente la continuità della presenza ebraica in Sicilia, che era durata circa un millennio e mezzo. Vennero così disperse le comunità giudaiche, fino ad allora saldamente insediate nell’isola, con un proprio ordinamento giuridico, rappresentato dalla giudecca, dotata di istituzioni civili e religiose del tutto autonome. Qualsiasi riflessione sulla presenza ebraica in Sicilia, a mio avviso, non può prescindere da due dati molto rilevanti: la durata millenaria della presenza ebraica nell’isola, ininterrottamente dal primo secolo e.v. al quindicesimo secolo3 e la consistenza demografica: nel 3 Gli storici sostengono che già dal primo secolo e.v. vi erano ebrei in Sicilia. Si è soliti dividere tale presenza in due fasi: la prima, dal primo secolo al nono, attestata soprattutto nella Sicilia orientale. Tale ebraismo si esprime in lingua greca ed è caratterizzato dagli stretti rapporti con la Palestina. La seconda fase si apre con l’invasione musulmana. Molti ebrei giungono in Sicilia dal nord Africa. Questo ebraismo è di stampo magrebino e si esprime in arabo con i caratteri dell’alfabeto ebraico. X medioevo, infatti, vi erano in Sicilia più ebrei che nel resto di Italia. Nell’isola nel corso del susseguirsi delle varie dominazioni, da quella romana, bizantina, a quella aragonese e infine castigliana, nel corso di circa undici secoli la popolazione ebraica fu sempre presente, fu popolazione stanziale, diversa religiosamente e politicamente dalla popolazione maggioritaria dominante, ma comunque costantemente presente.4 L’interesse per la storia dell’ebraismo siciliano di studiosi, quali Ashtor, Abulafia, Bresc, Goitien, Roth, Simonsohn, è fondato sul fatto che nel medioevo, come scrive Carmelo Trasselli: «Nessuna regione italiana aveva tanti gruppi numerosi quanti ne aveva la Sicilia».5 Al momento dell’espulsione la cifra si aggira tra i trentaciquemila e i cinquantamila. Per capire il valore di tale numero bisogna tener presente che gli ebrei italiani nello stesso periodo, compresi i siciliani, si aggiravano sui settantamila, mentre in Spagna erano duecentomila. La popolazione ebraica costituiva il cinque per cento della popolazione isolana.6 La giudecca di Palermo e di Siracusa constava di cinquemila ebrei, Messina e Trapani di duemila e cinquecento; Agrigento e Catania duemila. Tali numeri sono importanti perché rendono l’idea precisa della loro massiccia presenza, tanto da poter parlare di città ebraiche situate all’interno delle città cristiane. Scrive Attilio Milano: Palermo era il maggiore centro di vita ebraica di tutta Italia. Questo primato demografico si era andato formando durante la prospera età dell’emirato arabo; si mantenne poi saldo durante le due dominazioni normanna e sveva le quali, con Palermo opulenta capitale del regno di Sicilia, significarono per gli ebrei un’era di benessere ancora più accentuato […] questo primato numerico, il concentramento di ebrei in tutta la Sicilia trovarono la loro maggiore forza coesiva nel fatto che, anche durante il periodo normanno, Renda 1995, p. 35. Trasselli 1954, pp. 376-382. 6 Ad esempio David Abulafia sostiene che nonostante sia difficile stabilire un numero preciso è probabile che gli ebrei costituissero il cinque per cento della popolazione totale. Cf. Abulafia 2002, p. 70. 4 5 XI la coesistenza nell’isola di ceti diversi per origine etnica e per religione, ma tutti parimenti influenti, imponeva un trattamento politico equiparato nei riguardi di ciascuno, o per lo meno distinzioni non troppo stridenti. Così, nelle leggi normanne, gli ebrei vengono riconosciuti come cittadini di pieni diritti […].7 Nel 1492, in Sicilia esistevano una cinquantina di giudecche. Le giudecche erano per alcuni aspetti quartieri ebraici situati all’interno delle varie comunità cristiane; per altri aspetti erano invece enti amministrativi autonomi dotati di personalità giuridica propria. L’amministrazione della giudecca era diversa dall’amministrazione cittadina. Con il nome giudecca si intende tutta la comunità ebraica di una data località e si intende anche la civitas giudaica, ossia l’organizzazione istituzionale e relativa rappresentanza amministrativa e religiosa. In quanto civitas giudaica, la giudecca era di pari dignità della civitas cristiana, e come tale era dotata di organi propri preposti al governo della comunità, al culto, alla scuola, all’osservanza degli usi, costumi e pratiche conformi alla legge mosaica. Le leggi delle città erano quelle cristiane, le leggi delle giudecche erano quelle mosaiche. In tal senso, la comunità giudaica era a tutti gli effetti, sia, di fatto, che di diritto, una città dentro la città. Numerosissime erano le tasse che gli ebrei siciliani erano costretti a pagare: su svariati alimenti (quali, ad esempio, formaggio, tonno), su qualsiasi scambio di merci, ed inoltre quelle attinenti all’osservanza delle prescrizioni religiose, come le gabelle sulla mattazione degli animali e sui vini.8 Svariate erano le occasioni per richiedere gravami straordinari. L’ebreo siciliano era giuridicamente, anagraficamente, socialmente, cittadino siciliano, ma in quanto ebreo era, nello stesso tempo un servo della Regia Camera, servi regiae camerae, condizione che lo accomunava all’ebreo della maggior parte dei paesi europei: gli ebrei e i loro beni appartenevano al re. L’istituzione del servo della Regia camera era un regime ambiguo, che di fatto nella condizione siciliana nulla toglieva alla libertà personale, politica e religiosa dell’ebreo singolo, anzi di quella libertà era per molti aspetti Milano 1963, p. 92. Per quanto riguarda la descrizione dettagliata di tutte le varie tasse e gabelle si vedano Milano 1963, pp. 174-175; Abulafia 1995, pp. 89-95. 7 8 XII garante. Il termine “servi” era il segno di una particolare condizione giuridica di totale subordinazione al potere sovrano sotto la cui giurisdizione si trovavano, ma anche della particolare protezione di cui godevano, che si esercitava però solo quando tale potere riusciva ad imporsi, escludendo interventi di altre autorità laiche o ecclesiastiche tendenti ad imporre obblighi e a vantare diritti sulle varie comunità ebraiche dell’isola. Come mette bene in luce il Lagumina: il titolo aveva due lati: il buono e il cattivo. Il buono perché l’autorità politica di Sicilia sempre pretese che i servi della Corona fossero lasciati vivere in pace, con piena libertà l’esercizio del loro culto religioso; ed il cattivo perché la vita dei protetti della suprema autorità politica era veramente penosa. Gli ebrei erano “proprietà” del re. Si cercava in tutti i modi di spillare loro quanto più denaro si potesse […] I giudei di Sicilia erano sempre alle prese con il regio fisco per le tasse, per le contribuzioni e per le gabelle cui erano sottoposti tutto questo doveva produrre un grande avvilimento morale […].9 Inoltre l’appartenenza alla Regia camera impediva l’assimilazione della popolazione ebraica con la popolazione locale.10 I segni esteriori della discriminazione non decaddero mai: dalla rotella sugli abiti al panno rosso esibito dalle botteghe.11 La rotella rossa, il segno distintivo che i giudei erano obbligati a portare per distinguersi dai cristiani, era il segno della loro infamia, che li rendeva oggetto di disprezzo e di scherno da parte dei loro oppressori. L’imperatore Federico II l’aveva stabilita contra judeos, ut in differentia vestium et gestorum a cristianis discernantur.12 Gli ebrei siciliani potevano possedere case, terre e potevano svolgere qualsiasi attività economica. Si dedicarono all’agricoltura, alla pesca, al commercio e all’artigianato. La loro presenza è attestata in quasi tutte le attività, erano: rinomati conciatori, carpentieri, calzolai, banchieri, notai,13 medici, veterinari, famosi come abili lavoratori di ferro, di rame, di legno, di Lagumina 1884, pp. VIII-IX. D. Abulafia 1995, pp. 89-95. 11 Bucaria 1996, p.20. 12 Lionti 1883, p. 156. 13 Sulle dinastie di notai ebrei a Trapani cf. Scandaliato 1988, pp. 170-171. 9 10 XIII pelli e di metalli preziosi. Esportavano vari prodotti: metalli, minerali, lino, pelli, mandorle, tessuti, seta. Anche le lettere della genizà hanno notevolmente contribuito a far luce sulle molteplici attività commerciali degli ebrei siciliani.14 Quindi alla luce degli studi più recenti, non è corretto immaginare che gli ebrei svolgessero solo lavori umili. Anzi, conoscendo le attività svolte dagli ebrei, quindi la loro partecipazione alla vita dell’isola, si può dedurre che la posizione sociale che gli ebrei occupavano, spaziava da incarichi di notevole importanza nella pubblica amministrazione sino ai mestieri più umili.15 Molto considerevoli erano le attività imprenditoriali, professionali e mercantili.16 Numerosi ebrei si dedicavano alla produzione del vino e delle uve, spinti dall’obbligo rituale di fornire vino kasher alla comunità, anche se risulta da vari documenti che essi si interessavano delle uve non solo al fine di poter disporre di vino conforme all’uso rituale, ma anche in quanto forma di investimento redditizia; vino e uva, infatti, venivano acquistati anche dai cristiani.17 Gli ebrei siciliani si occupavano anche della coltivazione di canna da zucchero, di cui la Sicilia era grande esportatrice. Noti anche per la produzione di: olio, formaggio, datteri, hennè ed indaco. Erano anche abili lavoratori di tonno, alimento che ben si adatta alle loro rigide regole alimentari. Attilio Milano osserva: «In tutte le città della Sicilia non dovettero rimanere estranei ad alcun mestiere, qualificato od umile che fosse».18 Vi erano anche ebrei esperti nel campo della farmacopea vegetale e della fitoterapia. Tali conoscenze di medicina naturale facevano parte di remoti studi, infatti nei testi tradizionali antichi, quali il Talmud, erano indicate terapie a base di vegetali per curare i comuni malanni.19 I documenti della genizà del Cairo hanno creato le basi di un imponente studio della civiltà ebraica nel Mediterraneo del primo medioevo. Cf. Goitein 1967. 15 Occorre ricordare che gli ebrei dovevano occuparsi di alcune mansioni umilianti come la pulizia dei castelli e dei palazzi reali e quella di dover fornire il boia per le esecuzioni capitali, come avveniva a Palermo e a Messina. Cf. Milano 1963, p. 174. 16 Abulafia 1995, p. 89-95. 17 Ibid., p. 94. 18 Milano 1963, p. 177. 19 Cosmacini 2001, p. 40. 14 XIV La loro esperienza nell’arte medica era favorita dal vantaggio di poter accedere con facilità ai testi di medicina scritti in arabo, lingua che possedevano perfettamente.20 In ogni luogo e in ogni tempo i medici ebrei furono molto apprezzati per le loro competenze e spesso la loro bravura era premiata dalle varie autorità locali con l’acquisizione di privilegi: l’esenzione del pagamento delle tasse, l’esonero dal portare il segno distintivo. Come le giudecche di Sciacca e Caltabellotta erano note per la presenza di rabbini la cui cultura è testimoniata dai libri in loro possesso, quella di Polizzi era nota per il numero e la perizia dei suoi medici.21 Non sempre la vita degli ebrei fu facile e tranquilla. Secondo alcuni studiosi tali difficili condizioni di vita determinarono il poco impegno nella attività culturali, nello studio.22 Certamente la vita culturale degli ebrei siciliani fu determinata dalla storia politica dell’isola e dalla posizione geografica tra mondo islamico e cristiano. In Sicilia, terra di confluenza e d’immigrazione, venivano mercanti del Maghreb, dell’Egitto, di Malta, della Spagna. Molteplici erano dunque gli scambi commerciali e culturali. Sulla vita culturale degli ebrei siciliani le ipotesi degli studiosi 20 Attilio Milano, osserva giustamente che: «Due cause ponevano gli ebrei in condizioni più favorevoli dei cristiani nel loro slancio verso la medicina: una, era la loro possibilità di consultare nell’originale i grandi trattati di medicina arabi, e l’altra, che alcune delle norme rituali imponevano loro l’osservanza di principi igienici, che poteva suggerire soltanto chi aveva un’esatta conoscenza del corpo umano e delle sue reazioni: non si dimentichi a tal proposito che, secondo la Bibbia, purità morale e purità fisica non possono andare disgiunte». Milano 1963, p. 626. 21 Ibid., p. 227. 22 È importante ricordare che nell’ebraismo lo studio è un precetto, una mitzwah, quindi difficilmente viene trascurato. Lo studio, la conoscenza dei testi fondanti della tradizione ebraica, sono da sempre una caratteristica peculiare della vita ebraica ed hanno reso possibile il mantenimento della loro identità. Il popolo ebraico non è solo il “popolo del libro” ma il “popolo che commenta, che studia, il libro”. Tale studio costituisce l’essenza della vita dell’ebreo che intende praticare il culto di Dio. Lo studio della Torah non è considerato un mezzo per l’acquisizione di nozioni, ma costituisce esso stesso il contenuto della vita spirituale dell’uomo. Scrive Y. Leibowitz: «Per ‘studiare la Torah’ non si intende solo apprendere quanto è scritto nella Torah, ma pensare ad essa, riflettere su di essa, interpretarla e trarne delle conclusioni». Leibowitz 1999, p. 43. XV sono diverse e spesso discordanti. Scrive Angela Scandaliato: È purtroppo ancora diffuso il pregiudizio, (nemico delle ricerche), che dalla limitata presenza nell’isola di maestri di legge e di esperti della halakah , specie in comunità della Sicilia orientale come Messina e Siracusa, tradizionalmente considerate aree più aperte alla cultura di tipo mediterraneo, e dalla carenza di codici e manoscritti ebraici siciliani, si debba desumere il basso livello culturale degli ebrei siciliani.23 Illuminanti sono gli studi di Henri Bresc,24 che tramite l’analisi dei testi contenuti nelle biblioteche di alcuni ebrei siciliani ha messo in luce gli autori e gli argomenti letti e studiati in quel periodo. Oltre a studiare i testi fondanti della tradizione ebraica, quali: Torah,25 Mishnah26 e Talmud,27 particolare attenzione era rivolta ai testi di Mosè Scandaliato 2006, pp. 474-475. Bresc 1971, pp. 239-241. 25 Il termine Torah, solitamente tradotto con Legge, deriva dalla radice verbale y r h che significa insegnare mostrare. La torah è l’insegnamento per eccellenza. Essa, infatti, insegna a vivere in modo corretto. Non si deve dunque intendere come legge, intesa in senso giuridico, ma come istruzione, insegnamento. Indica spesso l’intera Scrittura ebraica anche se propriamente designa i cinque libri del Pentateuco. «[...] la Torah è l’insegnamento che Dio dà al suo popolo, è la via privilegiata che conduce a Lui. Essa insegna all’uomo come vivere rettamente. La Torah propone uno stile di vita, non la credenza in determinate dottrine. La Torah è anche la storia del popolo ebraico che incarna per tutta l’umanità il difficile cammino dell’uomo verso la Divinità e verso una vita più degna di essere vissuta». Cagiati 1997, p. 17. 26 La Mishnah fu redatta tra il I e il III sec. d.c. Il termine mishnah deriva dal verbo shanah ( radice s n h) che significa ripetere, in quanto solo la frequente ripetizione consente di fissare realmente nella memoria quel che viene insegnato. Essa è codificazione di leggi, tradizioni, esegesi del testo biblico. Anche la Mishnah, a sua volta, fu oggetto di ulteriore studio, di commento, il risultato di tale studio fu la Ghemarah (completamento). L’insieme di Mishnah e Ghemarah forma il Talmud. 27 Esistono due redazioni del Talmud: quello di Gerusalemme (o palestinese) terminato sul finire del IV sec. d.C. e quello di Babilonia (scuola di Sura), più ampio ed articolato, terminato nel VI sec. d.C. Il Talmud, testo molto vario e complesso, contiene: riflessioni morali, filosofiche, racconti, leggende, osservazioni scientifiche, discussioni giuridiche, temi religiosi (dal culto quotidiano ai rapporti umani), esegesi della Scrittura. Il termine talmud deriva dal verbo lamad studiare (radice l m d ) e letteralmente significa studio. 23 24 XVI Maimonide e di halakah28 (la normativa). «Inoltre, in Sicilia è documentata la presenza non solo di libri arabi tradotti in ebraico ma anche di traduzioni effettuate in Catalogna e in Provenza, nelle biblioteche sono presenti testi di Ippocrate, Galeno, Porfirio, Avicenna, Arnaldo di Villanova».29 È nota l’importanza degli ebrei come traduttori, conoscendo bene oltre l’ebraico anche l’arabo, il latino e il greco ebbero un fondamentale ruolo nella trasmissione del sapere. Tradussero testi filosofici, esegetici e scientifici, molte delle opere che nel medioevo sono giunte nel mondo latino-cristiano hanno essenzialmente subito la mediazione delle traduzioni dei filosofi ebrei. Presso la corte di Federico II di Svevia diversi intellettuali ebrei collaborarono all’immenso lavoro di traduzione.30 La consuetudine dell’ebreo traduttore di corte fu mantenuta anche da re Manfredi e dai suoi successori angioini.31 Anche in Sicilia la cultura ebraica mostra il suo carattere di apertura, confronto, collaborazione con l’ambiente circostante. In realtà tratto caratteristico dell’ebraismo, contrariamente a quanto spesso si affermi, è la sua “apertura” alle culture prossime.32 In conclusione, se gli studi condotti finora hanno contribuito a far luce sull’ebraismo siciliano, come accennato, ancora molto rimane da fare. Il presente lavoro di Viviana Mulè dà un notevole contributo alla conoscenza della realtà ebraica siciliana e, più in generale, di quella dell’area del mediterraneo. E’ importante tener presente che la comunità ebraica di Siracusa vive in relazione economica, sociale, culturale, con le diverse popolazioni dell’area mediterranea. Tramite l’analisi attenta e profonda sia di fonti inedite - in partiIl Talmud raccoglie un insieme di norme, leggi, tradizioni; esso tratta di problemi giuridici, economici, agricoli, rituali, morali. In esso si trovano anche credenze popolari, leggende e soprattutto ogni genere di interpretazioni della Scrittura. 28 Il termine halakah deriva dalla radice verbale h l k che vuol dire camminare e dunque letteralmente significa cammino. L’halakah è la via da seguire, la strada che l’ebreo deve percorrere per essere un buon ebreo. 29 Gianni 1998, pp. 7-51. 30 Anatoli 2004; Sirat 1994, pp. 185-197. 31 Mialno 1963, p. 654; Sirat 1994, pp. 188-197. 32 Stefani 2004, p. 297; Sermonetta 1980; Zonta 2002, p. V; Tamani 2008, p. 7. XVII colare i documenti degli archivi (archivio della Corona di Aragona, archivio di Stato di Napoli, archivio di Stato di Palermo, archivio di Stato di Siracusa, archivio di Stato di Sciacca), sia di fonti edite, la studiosa ripercorre la storia della comunità ebraica di Siracusa dalle origini fino all’espulsione. L’autrice ricuce come in un mosaico vari tasselli, dandoci un quadro organico, completo e chiaro della vita della importante comunità, esponendone gli aspetti demografici, antropologici, economico-sociali, culturali e religiosi. Ampio spazio viene dato all’organizzazione comunitaria, nei suoi vari aspetti, alle relazioni familiari, ed anche all’ubicazione della Giudecca, con particolare attenzione ai punti nevralgici quali: il Cimitero, la Sinagoga, il Bagno rituale. Viviana Mulè mette in luce come la giudaica Siracusana fosse in Sicilia, specie nel XV secolo, colta, influente e ricca. Non c’era settore dell’economia in cui gli ebrei non fossero impegnati. La strategica posizione di Siracusa nel commercio mediterraneo favoriva anche la comunità ebraica i cui membri erano come ai tempi della Genizà mercanti attivi e cosmopoliti, proprietari terrieri, medici, banchieri, notai, rabbini. Tramite il racconto di storie di vita vissuta, di storie di famiglie note e meno note, viene ricostruita la vita quotidiana di ebrei siciliani del medioevo. Sono venuti alla luce personaggi di spicco quasi sconosciuti, citati marginalmente nei documenti siciliani e totalmente assenti nei testi degli eruditi siracusani e siciliani. Interessanti le riflessioni riguardo le relazioni tra la Aljama e l’Universitas cristiana che, soprattutto nel xv secolo, furono molto conflittuali. Ricco di spunti il capitolo dedicato ai medici ebrei, dove viene messo in rilievo il nesso tra medicina e religione. Così come viene rilevata l’importanza di Siracusa come centro di studi astronomici. In tal modo, con pazienza e competenza, viene ricostruita la vita economico-sociale, familiare, quella religiosa e culturale e le relazioni con il potere politico sia statale che locale della comunità ebraica più importante dell’isola dopo Palermo. Luciana Pepi XVIII Bibliografia Atti 1980 = Federico II e l’arte del Duecento italiano. Atti della III settimana di studi di storia dell’arte medievale dell’Università di Roma, a cura di A. M. Romanici, Grafiche Congedo, Galatina 1980. Atti 1995 = Italia Judaica. Gli Ebrei in Sicilia sino all’espulsione del 1492, Atti del V Convegno Internazionale (Palermo 15-19 giugno 1992), Ministero per i Beni culturali e ambientali, Roma 1995 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 32). Ebrei e Sicilia = Ebrei e Sicilia, Catalogo della mostra tenuta a Palermo nel 2002, a cura di N. Bucaria-M. Luzzati-A. Tarantino, Flaccovio, Palermo 2002. Abulafia 2002 = D. Abulafia, Gli ebrei di Sicilia sotto i Normanni e gli Hohenstaufen, in Ebrei e Sicilia. Abulafia 1995 = D. Abulafia, Le attività economiche degli ebrei siciliani attorno al 1300, in Atti 1995. Anatoli 2004 = Ja’aqov Anatoli, Il pungolo dei discepoli. Il sapere di un ebreo e Federico II, introduzione, traduzione e note a cura di L. Pepi, Officina di Studi Medievali, Palermo 2004 (Machina Philosophorum. Testi e Studi dalle culture euro-mediteranee, 7). Bresc 1971 = H. Bresc, Livres et Societé en Sicilie, ed. Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo, Palermo 1971. XIX Bucaria 1996 = N. Bucaria, Sicilia judaica, Flaccovio, Palermo 1996. Cagiati 1997 = A. Cagiati, Settanta domande sull’ebraismo, Edizioni Messaggero, Padova 1997. Cosmacini 2001 = G. Cosmacini, Medicina e mondo ebraico, Medicina e mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Laterza, Roma 2001. Gianni 1998 = R. Gianni, Sulla cultura Siciliana nel XV secolo, in «La Fardelliana» XVII (1998). Goitein 1967 = S. D. Goitein, A mediterranean society. 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Zonta 2002 = M. Zonta, La filosofia ebraica medievale, Editori Laterza, Bari 2002. XXI Introduzione Le fonti sulla comunità ebraica di Siracusa, ricca e nota agli studiosi per lo spessore culturale attestato da manoscritti di argomento astronomico-scientifico dispersi in diverse parti del mondo,1 come, d’altra parte, quelle di altre comunità ebraiche della Sicilia orientale, sono state poco esplorate in passato dai medievisti, dissuasi dall’esiguità della documentazione disponibile, soprattutto notarile che, si rivela invece fondamentale per delineare un profilo più realistico della vita economico-sociale degli ebrei di questo territorio politicamente e geograficamente strategico nel quadro della Sicilia medievale e mediterranea. Molto più studiate sono state le fonti ufficiali che, seppur utili per chiarire i rapporti tra le comunità e gli organi ufficiali della Corona, rimandano spesso un’immagine riduttiva e stereotipata dell’ebreo servus Regie Camere, pateticamente impegnato a garantire la sua sopravvivenza con laute donazioni e richieste di composizioni pecuniarie ai sovrani aragonesi. Dalle fonti ufficiali comunque prenderemo le mosse per integrarle con le fonti notarili a nostra disposizione e con altra documentazione conservata presso l’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona. Facciamo riferimento ai fondi dell’Archivio di Stato di Palermo quali la Real Cancelleria, la Conservatoria del Real Patrimonio, il Protonotaro del Regno, i registri della Secrezia e le lettere viceregie.2 Questi fonSi veda Infra, cap. III 2. Diamo di seguito un breve cenno sulla natura degli atti contenuti nei vari fondi. Si fa riferimento a Graditi 1995, 55-74. 1) Regia Cancelleria: contiene i documenti relativi all’ufficio del Cancelliere del Regno, la cui istituzione risale al periodo normanno. Questo ufficio aveva l’incarico della registrazione degli atti prodotti dalla Curia regia, cioè gli atti emanati dal potere centrale, come tassazioni, benefici, ecc. Tale ufficio, essendo l’unica fonte rimasta del periodo della monarchia aragonese, ci consente di conoscere i rapporti tra la Corona, il potere pubblico, le giudecche e i vari casi particolari che, in qualche modo, assumevano un interesse collettivo. 2) Protonotaro del Regno: svolgeva funzioni amministrative. Si occupava della registrazione dei documenti emanati dal sovrano ed era l’organo preposto alle investiture feudali, alle nomine dei notai pubblici, ai cerimoniali e alla designazione dei pubblici ufficiali. 3) La Secrezia: organo periferico dipendente dalla Curia regis, che aveva il 1 2 XXIII di sono stati già ampiamente utilizzati nelle ricerche condotte da Giovanni Di Giovanni,3 Isidoro La Lumia,4 e dai fratelli Lagumina.5 Di tutt’altra natura, solo parzialmente esplorate, e quindi in grado di offrire informazioni su aspetti socio-economici e culturali dell’ebraismo siciliano, sono altre fonti conservate negli Archivi di Stato, come appunto i fondi notarili che danno la possibilità di entrare, nella mentalità collettiva della minoranza ebraica da secoli presente e operante nell’isola e parte integrante di essa, senza pregiudizi, vittimismi e senza neppure gli atteggiamenti paternalistici degli storici dell’Ottocento. Una delle maggiori difficoltà incontrate nell’affrontare uno studio sulle comunità ebraiche della Sicilia orientale, attraverso questo tipo di documentazione, riguarda la consistenza che, per il periodo medievale, è tutt’altro che abbondante. Fenomeno tipico dell’Italia meridionale è del resto la dispersione dei fondi archivistici, emigrati in zone lontane dal luogo naturale di produzione o di interesse, a causa di eventi non sempre facilmente ricostruibili o identificabili.6 I protocolli dei notai tuttavia rappresentano una fonte insostituibile, in quanto forniscono un’immagine viva della società, anche se, è molto rischioso trarne conclusioni di carattere più generale.7 Nonostante queste riserve, dall’accostamento di fonti ufficiali e non ufficiali (edite ed inedite), emergono prospettive di ricerca e sviluppi interessanti, soprattutto per la storia della presenza ebraica in Italia. Come compito di amministrare le gabelle regie e i beni immobiliari della Corona. Riveste notevole importanza soprattutto per i rapporti fiscali tra le comunità ebraiche siciliane, i singoli ebrei e l’amministrazione centrale. 4) Conservatoria del registro: svolgeva ricognizioni sulla consistenza dei beni e dei cespiti del fisco ed il controllo sulla regolarità degli atti in materia finanziaria. È importante riguardo agli ebrei perché dà notizia di concessioni di privilegi di ogni genere e di nomine ad uffici pubblici. 3 Di Giovanni 1748. 4 La Lumia 1882. 5 Lagumina 1990. 6 Ciccarelli 1980, V. 7 Come nota Anna Esposito nei suoi studi sulla comunità ebraica di Roma, gli individui, la cui memoria è contenuta nella documentazione, sono una rappresentanza del tutto parziale ed elitaria della popolazione, in secondo luogo la dispersione nel tempo dei protocolli di parecchi notai, non consente di delineare un quadro esaustivo della situazione. Esposito 1995, 25. XXIV altre comunità ebraiche della penisola, quelle siciliane avevano dei propri notai ebrei, di solito rabbini,8 ma frequente era il ricorso degli ebrei a notai cristiani, per il normale svolgimento delle relazioni economiche e sociali, realizzate talvolta attraverso contratti di società con cristiani, ma anche nei rapporti interebraici. Anche per questioni interne all’universitas judeorum si ricorreva dunque al notaio cristiano in quanto dotato di publica fides, e in grado di dare maggior forza agli atti stipulati.9 Atti particolarmente importanti come le ketubbot avevano una doppia registrazione: una in giudeo-arabo presso il notaio ebreo e un normale contratto dotale presso un notaio cristiano. Per queste ragioni i registri dei notai siciliani conservano la memoria della vita ebraica nei ritmi della quotidianità e talvolta della ritualità. Attraverso contratti dotali, testamenti e compravendite di vario genere si svelano talvolta dettagli intimi della vita ebraica come l’osservanza delle tradizioni religiose, il sentimento di appartenenza alla famiglia. Oggi possiamo disporre di un importante repertorio di documentazione curato da Shlomo Simohnson, The Jews in Sicily che costa di ben 18 volumi e rappresenta un insostituibile mezzo di orientamento tra le fonti ufficiali siciliane e spagnole, non inserite nel Codice Diplomatico degli ebrei di Sicilia dei Lagumina10 e offre agli studiosi la possibilità di fruire di alcune schede sinottiche di fonti notarili. La raccolta documentaria curata da Simonsohn comprende anche le lettere della Genizà di Fustat, che riguardano la Sicilia, in particolare Siracusa, e attestano la vita degli ebrei dell’isola almeno a partire dall’XI secolo.11 Sulla comunità ebraica di Siracusa, che pure era la più antica 8 Il notaio della comunità ebraica di Siracusa, Rabba Actan, figura in parecchi documenti di notai cristiani. 9 Si veda ancora lo studio condotto da Anna Esposito che ha approfondito il problema nelle sue ricerche sugli ebrei di Roma. Ibid., 110-111. 10 Simonsohn 1997-2010; Lagumina 1990. 11 Sulla Genizà del Cairo, il “cimitero” di documenti ebraici del basso Mediterraneo, si rinvia, tra gli altri, agli studi di Goitein che con le sue ricerche ha chiarito aspetti importanti delle relazioni economiche e culturali tra ebrei siciliani ed ebrei mediterranei. Goitein 1971; Id. 1980; Id. 1990. Come afferma lo studioso le lettere della Genizà testimoniano quel flusso continuo che legava i diversi paesi lungo le sponde del Mediterraneo. Ibid., 137. XXV della Sicilia, non esistono pubblicazioni specifiche se si eccettuano le informazioni sommarie di studiosi locali del secolo scorso e una pubblicazione di qualche anno fa che si concentra esclusivamente sugli aspetti urbanistici della giudecca siracusana e sullo straordinario complesso sinagogale con il bagno rituale.12 Su Siracusa si è scritto molto, ma principalmente per il periodo greco e bizantino. Il passato medievale cittadino è invece ancora in gran parte da esplorare. Gina Fasoli nel 1955, lamentando di non avere a disposizione sufficienti atti notarili che potessero chiarire i molti lati oscuri della storia di Siracusa, così scriveva: «[…] il nome di Siracusa, così dolce, così euritmico, molto spesso è soltanto una personificazione, un’astrazione, e la storia interna della bella città è per secoli un tessuto di incognite senza risposta».13 I pochi atti notarili risalenti al XV secolo, scampati all’inclemenza dei secoli, si ricavano dai registri dei notai Antonio Pidone e Nicolò Vallone.14 La ragione della mancanza di fonti va imputata a calamità naturali, ma anche ad eventi causati dall’uomo. Agli inizi del XVI secolo, dopo la peste del 1522 che colpì Siracusa, il vescovo Ludovico Platamone in disaccordo con il Governatore della Camera Reginale, Centelles, fu costretto a fuggire a Roma. Mentre egli si trovava nell’Urbe, a Siracusa i soldati del presidio, che chiedevano un aumento delle paghe, si ammutinarono e diedero fuoco al palazzo vescovile, provocando l’incendio dell’archivio della Cancelleria.15 Una seconda rivolta dei soldati spagnoli nel 1540 causò ulteriori danni al suddetto archivio.16 Forse, ma è solo un’ipotesi, anche le carte notarili si trovavano nei locali dell’archivio vescovile. Nel 1542 e nel 1693 i terremoti alterarono il volto architettonico della città e insieme agli edifici anche i volumi dei notai potrebbero aver subito gravi danni.17 Un notaio di Ferla afferma che i volumi dei notai in seguito al terremoto «erano stati subissati».18 Molti di 12 Scandaliato-Mulè 2001. Fasoli 1955, 7-14. 14 ASSI, Notarile di Siracusa, Notaio Nicolò Vallone, reg. 10227-10230; Notaio Antonio Pidone, reg. 10244-10245. 15 Privitera 2000, II, 145. 16 Ibid., 150. 17 Ibid., 151. 18 La notizia mi è stata gentilmente comunicata dalla dottoressa Messina, già 13 XXVI essi, rimasti sotto le macerie per mesi, prima che si ricostruissero le case, si sono irrimediabilmente perduti, i pochi superstiti furono probabilmente sottoposti alle intemperie prima di essere recuperati, recano infatti tracce visibili di acqua e umidità che ne hanno in parte sbiadito l’inchiostro. Il terremoto del 1542 fu probabilmente più disastroso per la produzione notarile di quello del 1693 perché le perdite maggiori riguardano i registri dei notai che operavano nella piazza di Siracusa nel Quattrocento, mentre per il ’500 e il ’600 si registrano perdite minori.19 In ogni caso gli atti dei notai defunti nel ’500 non dovevano essere tenuti in gran considerazione e, anzi, venivano utilizzati come carta da imballaggio, se in un verbale del Consiglio del Senato di Siracusa del 1543, si denunciava che i protocolli notarili erano nelle mani di alcune persone che li usavano per apotecas speciariorum et confectariorum in grave detrimentum et pregiuditium della città.20 Venne così stabilito che gli atti superstiti dei notai defunti, i protocolli e tutti gli atti pubblici, entro il termine di otto giorni dovessero essere consegnati al giudice delle cause civili di Siracusa per redigerne l’inventario; i giurati avrebbero dovuto conservarli in archivio seu banca universitatis ed una copia di ciascun atto sarebbe stata data agli eredi del notaio defunto. Un’ulteriore causa di dispersione, di cui ignoriamo la natura, si dovette verificare tra il XIX e i primi del XX secolo. Ai primi dell’Ottocento infatti, Giuseppe Capodieci, erudito siracusano, ridirettrice dell’Archivio di Stato di Siracusa. 19 Una testimonianza esemplare di quanto accadde alle carte notarili della Val di Noto, in seguito alla calamità del 1542 e agli avvenimenti provocati dall’uomo, si trova nel registro dei diritti baronali di Sortino, in cui è riportato che la città «fu interamente distrutta da uno spaventevole terremoto […] tutte l’altre fabbriche coprirono colle sue rovine il popolo e la scrittura publica e privata». La notizia contenuta in un volume in via di collocazione ora all’ASSI, proviene dall’Archivio privato Gaetani Specchi, fascicolo sui diritti baronali e gabelle, coll. Sn, c. 11r. Oltre alle calamità naturali anche la furia dell’uomo ha causato la perdita della documentazione. Ad esempio nel 1647 quando venne imposto alla popolazione di Sortino «il tangente del Regio Donativo offerto al sovrano dal Parlamento» il popolo si unì in una rivolta ed «eseguì l’impresa di bruciare tutti i pubblici archivi, così dell’Università, che dei Notai […]», Ibid. 20 ASSI, Comuni, Consigli del Senato di Siracusa, vol. I (1511-1543), cc. 647v648r, 9 maggio 1543. XXVII