Terzo quaderno Alla memoria di mia nonna Dar`ja Semenovna

Terzo quaderno
Alla memoria di mia nonna
Dar’ja Semenovna Sedakova
1.
– Andiamo, andiamo, mia gioia,
io e te camminiamo nel nostro giardino,
andiamo a sbirciare che accade nel mondo!
Tesoro mio, dammi la mano,
tu mi porta il mio vecchio bastone.
Andiamo, che l’estate si disfiora.
Non m’importa se sono sotterra –
cosa mai non dimentica un uomo!
Dal giardino si vede il fiume sottile,
nel fiume si vede ogni pesce.
2.
Che ho fatto, dimmi, di male
che chiara più non luce la mia lampada
e batte come palpebra che avvampa
insonni gli occhi accesi ed offuscati?
Molto ricordo; e molto più dimentico.
Né scordare, né voglio ricordare.
Ahi, che la gente ho a lungo osservato,
e strane cose so:
che l’anima è un lattante
un bimbo fino all’ultimo respiro,
e tutto e tutti crede
e dorme nel ricetto di un brigante.
3.
Della donna una conocchia è la sorte,
come su vecchie steli funerarie,
e la notte invernale senza storie.
Orfana crebbe, vedova è invecchiata,
poi da se stessa è ritornata fredda.
Un filo d’oro è caduto dal cielo,
caduto senza toccare la terra.
Perché mai geme il cuore?
Dal fondo dell’oceano
è guizzato un pesciolino fatato
un anello portava col diamante,
in fino a riva non ha navigato.
Perché in seno è una bufera ululante?
Un grido almeno – nulla con che gridare,
povera bellissima terra!
4.
Ma chi nasce il dì nero di luna,
più non speri d’avere fortuna,
è già molto potersela cavare
sotto la tua cattiva stella.
Sono nata il dì nero di luna
tra Natale e l’Epifania,
quando passa la vecchia sizza
come l’orso con la zampa di tiglio:
– Chi è là che mi cuoce, dice, l’artiglio,
che mi fila e aggomitola il pelo? –
e balenarono piccole stelle
una dell’altra più ignota.
E sognai che ognuno m’amava,
e a me nulla nessuno negava,
con un pettine d’oro m’acconciavano le trecce,
con slitte d’argento mi portavano nel vento,
e leggevano da un libro segreto
parole, che ho dimenticate.
5.
Dall’ombra guarda d’ogni cosa,
come acqua dal pozzo profondo
o dietro una stella, la nonna:
– Noi niente di niente sappiamo,
né quel che vedemmo ridire…
Andiamo mendiche tu ed io,
e se non daranno, ringrazia.
Degli altri noi nulla sappiamo.
6
Se capomastri ci fossero al mondo
costruirebbero qui una cappella
sul nostro pozzo toccasana
in luogo di quella che svelsero…
Se io ne avessi lo zelo,
trapunterei un drappo per te:
ricamandovi il santo Nicola
o chi altri n’avessi tu voglia…
Se un angelo mi desse una parola,
dolce, come le stelle della sera,
cara alla mente e all’udito,
la verrebbero tutti a ridire,
e la tua speranza a sapere… –
Niente di niente ai morti non serve
né casa né veste né udito.
Nulla da parte nostra occorre loro.
Nulla, fuor che ogni cosa nel mondo.
7.
Per la lunga strada, strada polverosa,
andavo ed ero in pena –
lo sai, come stiamo in pena?
Quando vedrai come pesce la pietra nuotare
allora, ti dico, verranno,
per l’anima mia, vita e perdono.
Navigherà da sola la pietra, come una barca,
leggera sul vento a favore,
sgranchendo le vele dorate,
screziate ali di seta,
guizzando coi remi d’oro,
sull’infinito bisbiglio del mare.
E quello ch’è stato più non sarà,
sarà quel che non c’è nulla di meglio.
8.
Brucia, invisibile fiamma,
altro di me non occorre.
Il resto tutto toglieranno.
E se no, chiederanno per favore;
e se no, disfarò da me medesima,
per la noia e l’orrore.
Come stella sulla culla,
come scolta in fitto bosco,
dondolando la catena,
brucia fiamma non veduta.
Tu lampada, il tuo olio le lacrime,
incrinatura del gelo del cuore,
sorriso di chi se ne va.
Tu brucia, ridai la novella
al Dio dei cieli: il Salvatore
ancora ricordano in terra,
del tutto ancora non dimèntichi…
9. (Preghiera)
Riscalda, Signore, i tuoi amati –
orfani, profughi e malati.
Porta a compimento quel ch’è comandato
a chi compierlo non sa.
E i morti, Signore, i tuoi morti –
sia paglia, il loro peccato, che brucia,
che bruci fino in fondo senz’alcuna
traccia nella tomba e nell’alto cielo.
Tu sei il Signore dei miracoli e delle promesse.
Tutto bruci, quel che non è miracolo!
1982
Adalberto Mainardi