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C’era una volta l’Organizzazione mondiale del commercio, oggi abbiamo
TTIP
Nell'ambito della Comunità europea gli Stati membri hanno dato vita ad un'unione doganale che prevede un regime comune per
le importazioni provenienti da paesi terzi. La politica commerciale comune della Comunità poggia quindi su una tariffa esterna
comune applicata in maniera uniforme in tutti gli Stati membri. La poderosa espansione del commercio internazionale ha fatto
gradualmente della politica commerciale comune una delle politiche più importanti della Comunità.
Parallelamente, i successivi ampliamenti della Comunità e il consolidamento del mercato comune hanno rafforzato la posizione
della Comunità in quanto polo d'attrazione e di influenza nei negoziati commerciali condotti sia a livello bilaterale con paesi terzi
sia a livello multilaterale nell'ambito del GATT. In tal modo l'Unione europea ha progressivamente sviluppato una densa rete di
relazioni commerciali su scala mondiale ed è oggi ai primi posti negli scambi commerciali internazionali.
Poiché il settore dei servizi rappresenta non solo la principale fonte d'occupazione nell'Unione europea, ma anche una quota
elevatissima dei suoi scambi commerciali col resto del mondo, questa tendenza ha trovato il suo sbocco istituzionale nella
creazione dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) in seguito ai negoziati dell'Uruguay round nell'ambito del GATT.
Successivamente per far fronte alla crescente diversificazione dei rapporti commerciali internazionali, l'OMC riconduce all'interno
di un'unica struttura i negoziati commerciali riguardanti i prodotti (accordo GATT), i servizi (accordo GATS) e la proprietà
intellettuale (accordo TRIPS).
Transatlantic Trade and Investment Partnership http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=1162 è un negoziato
commerciale che riguarda unicamente Stati Uniti e Unione europea con l’obiettivo di rimuovere barriere che rendano
difficoltoso acquistare o vendere beni o servizi in diversi settori economici tra queste due parti del mondo. Le barriere possono
essere di carattere tariffario, come i dazi doganali, o non tariffario, come norme e regolamenti che normalmente servono a
tutelare la sicurezza dei prodotti acquistati dai consumatori e i diritti e doveri di chi li vende o produce.
Perché mai i diritti dovrebbero essere barriere, verrebbe da chiedersi. Perché in più di un’occasione la difesa dell’interesse
generale è utilizzato come scudo protezionistico per difendersi dalla concorrenza, in altri casi ed in alcuni specifici settori, il
rischio è invece di barattare tutela della salute, a favore di un’area più estesa di libero scambio, che dovrebbe portare secondo i
negoziatori, a una crescita di ½ punto del PIL ogni anno e posti di lavoro, crescita stimata in circa 2 miliardi di euro di export
per l’Italia, secondo Confindustria.
In questo scenario ad Altroconsumo e alle altre 40 associazioni di consumatori indipendenti che sono riunite nel
BEUC piacerebbe puntare ad una maggiore concorrenza e possibilità di scelta per i consumatori. Ciò è tra gli obiettivi dei
negoziati, ma le associazioni di consumatori vorrebbero ottenere questo senza dover rinunciare a standard di tutela della
sicurezza, della salute e dell’ambiente e dei diritti dei consumatori elevati ed uniformi a livello globale. Il punto è proprio un
bilanciamento tra l’eliminazione di disposizioni regolamentari “non necessarie” ed il consolidamento e mutuo riconoscimento di
best practice internazionali che consentano di aprire i rispettivi mercati.
La mancanza di trasparenza che ha contraddistinto i negoziati non ha tuttavia giovato alla condivisione di questi obiettivi. Pur
essendo al settimo round di TTIP avviato nel giugno del 2013, è solo il 9 ottobre scorso che il Consiglio dei ministri UE ha
pubblicato (derubricandole) le direttive cui dovranno attenersi i negoziatori http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-
11103-2013-DCL-1/en/pdf. Questo sussulto di trasparenza è stato accolto con favore dal Commissario responsabile del
commercio Karel De Gucht che da novembre sarà sostituito da Cecilia Malströme. Sarebbe ingenuo pensare che questa
disclosure sarebbe avvenuta se non ci fosse stata una pressione costante da parte dei rappresentanti della società civile
http://www.beuc.eu/blog/ e soprattutto una sentenza della Corte di Giustizia europea
http://www.alde.eu/uploads/media/judgment_03072014.pdf, che ha richiamato la stessa Commissione a maggiore trasparenza,
pur nell’esercizio della competenza esclusiva conferitale dai Trattati UE in questa materia.
I potenziali vantaggi per i consumatori da TTIP
In termini generali i vantaggi per i consumatori legati ad un’area di libero scambio consistono in una maggiore possibilità di
scelta di prodotti e servizi a prezzi più bassi determinati da importazioni di prodotti USA privi di dazi o barriere doganali,
comprese in particolare le tariffe applicate al settore delle telecomunicazioni. Nell’accordo si parla inoltre della volontà di
riconciliare le rispettive posizioni in materia di indicazione di origine nell’interesse dei produttori UE, richiamando sia norme
anticontraffazione che antidumping.
Un'altra opportunità certamente potrebbe consistere in una migliore e più aperta cooperazione tra le agenzie che si occupano di
sistemi di allerta rapido e tracciabilità di prodotti alimentari e non.
Negli USA sembrerebbe funzionare piuttosto bene la Food and Drug Administration e, nell’ipotesi di una più stretta
collaborazione con l’Europea EMA (European Medicins Agency) potrebbe portare a un accesso a nuove cure e migliori
controlli sui trials clinici dei farmaci, che potrebbero aiutare la ricerca medica e evitare processi e rischi doppi di
sperimentazione, soprattutto su pazienti vulnerabili come i bambini. Inoltre, l’armonizzazione delle norme EU agli standard USA
per l’immissione in commercio di dispositivi medici (valvole cardiache e protesi di varia natura) porterebbe ad un
miglioramento della situazione esistente in Europa perché i controlli sulla sicurezza di questi dispositivi è relativamente carente
nel vecchio continente, come hanno dimostrato i recenti scandali sulle protesi al seno difettose.
Insomma, se ci fosse un negoziato capace di mettere in campo le best practices per i consumatori avremmo tutti da
guadagnare. Ma non è sempre così.
I potenziali rischi per i consumatori da TTIP
Il concetto di sicurezza alimentare negli Stati Uniti è basato sulla ragionevole certezza che i prodotti siano sicuri fino a prova
contraria; viceversa in Europa ci basiamo sul principio di precauzione esteso lungo tutta la filiera, un approccio che ha tentato di
garantire la sicurezza alimentare a monte, dalla terra alla tavola “from farm to fork”. Questo significa che se non si convincono
gli USA a cambiare il proprio approccio, con il mutuo riconoscimento imposto dall’accordo internazionale sui nostri scaffali
arriverebbero prodotti alimentari americani ammessi sul mercato secondo una logica, che ammette la presenza di OGM senza
dichiararlo in etichetta o ammette trattamenti di carcasse animali con antibatterici, come il ben noto esempio del pollame trattato
con candeggina o carni pompate da ormoni della crescita ormai banditi in Europa. Diciamo che per essere sicuri di mangiar sano
gli americani cercano in etichetta un’indicazione che escluda determinati trattamenti o sostanze “OGM free”, in Europa i
consumatori hanno ottenuto che il cibo sano non fosse un privilegio per pochi e che l’etichetta potesse essere il più possibile
parlante, per consentirci di scegliere cosa portare nel piatto ed essere più consapevoli circa l’apporto nutrizionale di ciascun
alimento e la sua origine.
Se si esaminano rischi e benefici di un altro settore produttivo, come quello dell’industria chimica declinata nel settore della
cosmesi, si prefigurano altre problematiche. La prima riguarda il censimento delle sostanze immesse in circolazione sotto forma
di shampoo, creme, dentifrici etcc. Attraverso il regolamento REACH in Europa ne abbiamo almeno una lista di circa 1.328, in
USA ne hanno mappate soltanto 11. Il secondo problema riguarda ancora una volta le etichette, che dovrebbero riportare i
componenti del prodotto, perché molte di essi sono potenzialmente allergizzanti. Il terzo problema riguarda le nano particelle,
rispetto alle quali la Commissione europea richiede la notifica sei mesi prima dell’immissione in commercio per poter monitorare
eventuali effetti collaterali, che spesso si registrano a discapito del sistema endocrino, partendo dal presupposto che prevenire è
meglio che curare. Viceversa negli USA questo avviene senza che sia data informazione alcuna. Idem per le fragranze utilizzate
per profumare, 26 delle quali sono state identificate come allergizzanti in EU con obbligo di indicazione in etichetta, laddove non
sono assolutamente né mappate, né indicate su prodotti similari in USA.
Il TTIP è finalizzato a facilitare/incentivare gli scambi e di conseguenza anche gli investimenti. La clausola ISDS (investor state
dispute settlement) dovrebbe pretendere la compensazione dai Governi, e quindi in ultima istanza dai contribuenti, nei casi in cui
ritenessero azioni del Governo lesive del valore del proprio investimento siano discusse davanti ad un collegio arbitrale, ed è
spesso stata prevista in tutti trattati di questo tipo. Il punto non è se l’investitore in questi casi abbia o no diritto ad essere
risarcito, ma se lo debba fare davanti ad un collegio arbitrale o davanti all’autorità giudiziaria. La clausola ISDS non si applica
solo agli investimenti intesi quali servizi finanziari (ad esempio, un americano che acquista/vende titoli o servizi finanziari nella
UE e viceversa) ma anche, e soprattutto, a chi investe in tutti i settori disciplinati dal trattato (dalla chimica all’agroalimentare,
etc.) sulla base delle regole in esso previste. Nel caso del TTIP non si vede per quale ragione la clausola ISDS sia necessaria,
considerato che i rispettivi sistemi giudiziari si ritiene che funzionino sufficientemente (forse a parte l’Italia).
Per inciso, ovvio che quando si parla di investitori si pensa (giustamente) alle multinazionali americane, ma tali sono anche i
risparmiatori italiani che hanno comprato i bond argentini (se non vi fosse stata la clausola ISDS ed il relativo arbitrato
internazionale, avrebbero dovuto rivolgersi ai tribunali argentini).
A prescindere da chi deciderà (arbitro o giudice) le controversie tra gli investitori e uno stato, il punto più importante è cosa si
intende per violazione del trattato da parte di uno Stato. Potrebbe essere il caso dell’approvazione di nuove regole finalizzate
alla tutela dei consumatori o dei cittadini deve essere esclusa da tale ambito, altrimenti si rischia di compromettere la sovranità
“nazionale” (intesa come europea da un lato e americana dall’altro). Si tratta quindi di prevedere una “minimal clause” all’interno
del TTIP in forza della quale le sue regole non impediscono (alla UE e agli USA) non solo di mantenere ma anche di introdurre
norme più restrittive in materia di tutela dei consumatori. http://www.beuc.eu/blog/isds-too-flawed-to-be-fixed/
L’accordo prevede anche un’armonizzazione delle norme in materia di proprietà intellettuale, al fine di sostenere l’innovazione.
Singolare che tuttavia vi si faccia riferimento unicamente per asserire tra le righe, la necessità di smantellare le indicazioni
geografiche. Nulla è poi chiaramente detto nelle direttive della Commissione sulla privacy, ma sappiamo, per i contatti che
abbiamo con le associazioni di consumatori dell’altra parte dell’Atlantico, che in USA la tutela dei dati personali è
essenzialmente limitata molto pragmaticamente ad una serie di aree/target: minori e internet, salute, finanza. Con buona pace
della nostra Autorità garante sui dati personali.
In conclusione
A parere di chi scrive il principale limite del negoziato in corso è che riguarda Stati Uniti ed Europa e nasce dal fallimento
dell’OMC, dei negoziati multilaterali. Ci si chiede in che modo l’eventuale raggiungimento di un accordo USA-UE condizionerà gli
scambi con la Cina ed il resto del mondo. Inoltre, nell’accordo stesso sono già previste una serie di esclusioni descritte nelle
direttive recentemente rese pubbliche dalla Commissione europea, tra queste i capitoli XX e XXI del GATT e la potente
industria audiovisiva americana. Sarà un caso ?
I negoziati commerciali internazionali sembrano qualcosa di molto distante dalle nostre vite, ma di fatto siamo già consumatori e
cittadini globali quando guidiamo un’auto americana, camminiamo in scarpe italiane, facciamo giocare i nostri figli con giocattoli
cinesi e viaggiamo con compagnie aeree irlandesi. Per questo è importante che si parli del contenuto dei negoziati, perché è
impensabile un mondo senza scambi internazionali, vorrebbe dire chiudersi allo sviluppo.
Tuttavia, l’internazionalizzazione non deve farci accettare in modo incondizionato accordi non tariffari che rinegozieranno
contenuti sensibili per la tutela dei consumatori, afferenti per esempio alla tutela dei dati personali, alla sicurezza alimentare o
alla presenza consentita o meno di talune sostanze chimiche in centinaia di prodotti per uso quotidiano, come possono essere i
cosmetici.
Per avere il consenso dell’opinione pubblica intorno al negoziato TTIP occorre codificare il meglio della tutela dei
consumatori esistente. Si dovrebbe ambire ad una globalizzazione dei più severi standard per la tutela della salute e della
sicurezza di milioni di consumatori, ad una riduzione delle certificazioni a favore di processi di tracciabilità davvero efficaci e
migliore collaborazione tra le autorità di vigilanza nel settore della sicurezza alimentare, dei farmaci, degli investimenti e dei
servizi finanziari.
Tutto questo non può tuttavia avvenire al prezzo di una rinuncia del principio di precauzione , a discapito di informazioni in
etichetta che consentano di prevenire i problemi e proteggerci da soli, di un allungamento del periodo di durata dei brevetti dei
farmaci ed impensabili clausole di arbitrato a tutela degli investitori che ricordano tanto il Mexico di Pancho Villa.
Barattare più merci con meno diritti non ha mai portato molto lontano, nemmeno essere occidente- centrici è particolarmente
lungimirante, non fosse altro per una questione prettamente demografica. E’ una questione di cultura, democrazia e geo-politica,
prima ancora che di commercio internazionale, per questo non basta che ad occuparsene siano le multinazionali. Per questo è
opportuno che il contenuto dei negoziati TTIP sia discusso oltre che dai Governi in Parlamento europeo. Già il trattato di
Amsterdam aveva dato all'Unione europea le competenze per applicare le disposizioni relative alla politica commerciale comune
anche ai servizi e ai diritti di proprietà intellettuale. Concretamente, una decisione che estende le competenze commerciali della
Comunità poteva essere presa all'unanimità dai membri del Consiglio. Ai sensi del Trattato di Lisbona http://eurlex.europa.eu/collection/eu-law/treaties.html sulla politica commerciale si dice all’art. 2 B che è competenza esclusiva ma all’art.
188 e ss che il Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo, può negoziare accordi internazionali anche su servizi e
proprietà intellettuale nella misura in cui essi non rientrino già nel campo della politica commerciale comune. Ecco appunto,
previa consultazione del Parlamento.