UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI II FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA - TARANTO TESI DI LAUREA IN DIRITTO INDUSTRIALE LA TUTELA DEL MINORE NELLA PUBBLICITA’ RELATORE: Ch.mo Prof. Ugo Patroni Griffi LAUREANDA: Luccarelli Arianna ANNO ACCADEMICO 2007/2008 (conseguita il 04 Maggio 2009) INDICE INTRODUZIONE LA PUBBLICITA’…UN BUFFO OMINO …………………….…….……….1 ASPETTI NEGATIVI DEL FENOMENO PUBBLICITARIO ……………..10 CAPITOLO PRIMO “IL DIRITTO PUBBLICITARIO” 1.1 RICOSTRUZIONE NORMATIVA ………………………………………18 1.2 EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO PUBBLICITARIO …………26 CAPITOLO SECONDO IL SISTEMA AUTODISCIPLINARE 2.1 CODICE DI AUTODISCIPLINA DELLA COMUNICAZIONE COMMERCIALE……………………………………………………………….42 2.1.1. Analisi delle disposizioni……………………………………………...50 2.1.2 Giurì e Comitato di Controllo………………………………………….94 2.2 CODICE DI AUTOREGOLAMENTAZIONE TV E MINORI………….104 2.2.1 Analisi delle disposizioni…………………………………………...108 2.2.2 Comitato di Applicazione…………………………………………...115 CAPITOLO TERZO IL SISTEMA STATALE 3.1 CODICE DEL CONSUMO E DECRETI LEGISLATIVI 145 E 146 DEL 2007 1 3.1.1. Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del Consumo a norma dell’art. 7 l. 29 luglio 2003, n. 229 come modificato dal decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146………………………………………………………..…124 3.1.2 Decreto legislativo 2 agosto2007, n. 145 – Modifica della direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole……………………………….…..….135 3.1.3 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)…….…162 3.2 TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE……………………….196 3.2.1 Analisi delle disposizioni…………………………………………..…198 3.2.2 Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM)…………………..216 CAPITOLO QUARTO LEADING CASES E PUBBLICITA’ EDUCATIVA 4.1 UN CASO DI PUBBLICITA’ SOCIALE…………………………………227 4.2 DECISIONI DELL’AGCM E DEL GIURI’………………………………230 4.3 CHILDREN SEE CHILDREN DO: LA PUBBLICITA’ EDUCATIVA…236 VALUTAZIONI FINALI ……………………………………………………...242 BIBLIOGRAFIA …………………………………………..…………………..248 2 Incipit “…tutti i bambini, ma proprio tutti, iniziarono a correre fuori dalle case, incantati dalla sua musica e dalle note magiche. Seguivano il buffo omino con le scarpe a punta e la piuma sul cappello, dimenticando i loro giochi e quello che stavano facendo…” 1 1 Fratelli Grimm, Il pifferaio magico di Hamelin. 1 INTRODUZIONE La pubblicità…un buffo omino Vorrei rappresentare metaforicamente così, come quel buffo omino con le scarpe a punta e con la piuma sul cappello che è il pifferaio di Hamelin, l’oggetto della mia tesi: la Pubblicità. Essa è definita nelle differenti disposizioni legislative e autodisciplinari, che in seguito tratteremo analiticamente, come: • Testo Unico Della Radiotelevione Art. 2 lett. u) “ogni forma di messaggio televisivo o radiofonico trasmesso a pagamento o dietro altro compenso da un'impresa pubblica o privata nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni”; • Codice del consumo, prima di essere modificato dal d. lg. 146/07, allo stesso modo che nel d.lgs. n. 74/92, “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di una attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi 2 oppure la prestazione di opere o di servizi”; dopo la riforma fa riferimento nell’Art. 18 lett d) non più ad essa ma a "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori" e le definisce “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”; • Codice di Autodisciplina, a seguito delle novità introdotte dalla 47ª edizione, in vigore dal 16 gennaio 2009, che ne ha sostituito la precedente nozione, definita nelle Norme preliminari e generali alla lett. e) “ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati, nonché le forme di comunicazione disciplinate dal titolo VI”, con quella di comunicazione commerciale, termine che “comprende, alla luce delle stesse Norme preliminari e generali, la pubblicità e ogni altra forma di comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano le modalità utilizzate, nonché le forme di comunicazione disciplinate dal titolo VI. Non comprende le politiche commerciali e le tecniche di marketing in sé considerate”. La pubblicità è diventata una delle componenti più rilevanti della società dei consumi. Questo sviluppo è stato certamente indotto dal diffondersi di una cultura del consumo di massa e, di conseguenza, dall’affermarsi di un mercato dei mezzi di comunicazione. 3 La comunicazione è importante per lo sviluppo dell’impresa per informare il mercato della sua esistenza, delle attività che svolge e dei prodotti e servizi che vi colloca; in una parola, per farsi preferire al momento della scelta d’acquisto effettuata dal consumatore. Ma la comunicazione oggi non si limita più solo a questa funzione: essa si arroga una funzione ben più ampia e complessa: quello di creare un sistema di valori che permettano al mercato di identificarla in positivo, quale migliore risposta alle proprie necessità. Inoltre, alla pubblicità è richiesto di concorrere, unitamente ad altri strumenti della comunicazione, a supportare e definire l’immagine istituzionale di un’impresa e dei suoi marchi, in questo aiutandone la loro familiarizzazione ed identificazione presso il pubblico finale. Ma oggetto principale del mio argomentare in questa tesi è quella parte delle disciplina pubblicitaria che concerne la Tutela del minore. Ciò chiarisce la metafora, apparentemente inopportuna in campo giuridico, capace di esporre con chiarezza il principio base di questa tutela, enunciato all’Art. 7 del Codice di Autodisciplina: la pubblicità deve essere riconoscibile come tale dal minore. Se volessimo spiegare ad un bambino cos’è la pubblicità e con quali meccanismi persuasivi funziona, non useremmo nessuna delle precedenti definizioni legislative e autodisciplinari, ma lo faremmo con il metodo con cui da sempre si cerca di entrare nel loro mondo, di plasmare la realtà dei grandi e di adattarla alle loro cognizioni: con le fiabe. 4 I bambini della società dei media sono vittime almeno 3 volte: perché target, perché spettatori e perché troppo spesso protagonisti. I bambini che prima guardano e poi affascinati chiedono e vogliono quei prodotti, sono pronti ad imitare i piccoli attori che glieli propongono. Ma i più piccoli non distinguono realtà da fantasia. E alla luce della nuova realtà normativa non si può più prescindere dal fare ciò, dal rendere edotti e prestare una tutela effettiva ai nostri bambini, in quanto senza di essa sono condannati a incolonnarsi, come ipnotizzati, al seguito del grande pifferaio magico che li porterà dentro la montagna, in un mondo dominato da una logica esclusivamente commerciale. Si tratta di prendere coscienza di una situazione decisamente diversa rispetto al passato e, in secondo luogo, di dotarsi degli strumenti per poter entrare nel magico mondo dei persuasori e comprenderne le mille arti e i mille trabocchetti. Senza voler suscitare alcun allarmismo, né tantomeno demonizzare la comunicazione pubblicitaria in toto, questo lavoro cercherà di mostrare come i bambini ed adolescenti vengono tutelati. Il minore non è in grado di filtrare i contenuti dei messaggi televisivi, neanche quando è egli stesso partecipe di questi (per es. come protagonista di spot indirizzati ai suoi pari), poiché non dispone degli strumenti critici sufficienti a comprendere, ed eventualmente a rifiutare, i comunicati mediatici. L'assunzione di responsabilità da parte dei genitori e di tutti coloro che fanno parte del mondo pubblicitario non può essere, quindi, più rinviata e già da qualche tempo ci si è resi conto della necessità di regolamentare la programmazione televisiva, in 5 modo da eliminare o almeno limitare eventuali danni arrecati al particolare pubblico dei minori. I pubblicitari hanno scoperto che il mercato più allettante e facilmente raggiungibile, a causa di una estrema tendenza alla imitazione, riguarda soprattutto i bambini. Questa capacità di imitazione, ovviamente non può essere vagliata criticamente a tale età se non con la presenza di un adulto che invece è spesso assente. Infatti sembra esserci da parte degli adulti una vera e propria cecità sui pericoli a cui sono esposti soprattutto i più piccoli nell'essere lasciati liberi di vedere la televisione a loro piacimento. Se un tempo i richiami provenivano dal mondo naturale, oggi giungono da un mondo virtuale, dotato di una notevole suggestione, potenziato da musiche suadenti in grado di suscitare emozioni e favorire associazioni anche nostro malgrado: la pubblicità favorisce la creazione di una sorta di gradevole ambiente immateriale nel quale il prodotto e il consumatore vanno a collocarsi e associarsi, nella loro immaterialità. Ad essere commercializzate non sono le merci ma le esperienze; in questo senso la comunicazione contribuendo alla determinazione delle immagini della realtà, diventa consumo culturale. La sua funzione evocativa, fa compiere al consumatore libere associazioni d’idee, fa spaziare la sua identità rischiando tuttavia di realizzare una saturazione di segni, simboli, messaggi, immagini, che costringono il consumatore ad individuare modelli espressivi, nuove modalità comunicative più appropriate all’uso che i diversi gruppi sociali fanno dei media. 6 Lo scopo è quello di creare un continuo stato di bisogno, di desiderio, di aspirazione a comprare, nell’illusione di riuscire a rassomigliare, un giorno ai modelli della tv. Difficile per loro sfuggire all'incanto di questi richiami, non farsi ammaliare da chi li vuole far crescere troppo in fretta e non cadere vittima di quel fenomeno che in inglese chiamano dei kids grow older younger, cresciuti in fretta, trasformandoli in adulti prima del tempo, piccoli automi che ripetono gesti e atteggiamenti di cui ignorano il significato, ma che raramente hanno la maturità corrispondente a questi ruoli. I bambini nella Tv dei grandi in una continua confusioni di ruoli, diritti e doveri, non del tutto inventata, che i pubblicitari non hanno mancato di cogliere e di trasformare in fattore di spettacolo: esempio ne è la bimba che parla con la voce della mamma, mentre la mamma parla con la vocina di bimba per conquistarsi un lecca lecca. Bambini al centro della società del benessere. Consumisti e consumati. Più abili e sicuri dei genitori incapaci anche di infilar loro le scarpe. Al di là del rapporto genitori-figli, però, il processo di comunicazione nel quale la pubblicità si indirizza ai ragazzi è pur sempre un processo unilaterale e squilibrato, nel quale al produttore spetta un ruolo attivo e condizionante, mentre al consumatore spetta un ruolo passivo e condizionato. Si riempiono gli spazi con prodotti consumistici di ogni tipo, l’importante è che i ragazzi comprino. Alcune emittenti televisive hanno la cattiva abitudine di trasmettere gli spot pubblicitari ad un volume più alto rispetto al programma o al film in cui sono inseriti. Si tratta di un trucco per richiamare l’attenzione dei telespettatori sui prodotti 7 reclamizzati, che denota ancora di più il carattere aggressivo, onnipotente e onnipresente della pubblicità, che tende ad invadere ogni spazio culturale disponibile, attraverso una crescente “intertestualità” che la porta a stabilire legami sempre più ristretti con l’universo dei testi e dei generi del sistema delle comunicazioni di massa. Tale trasformazione è riconducibile all’innovazione tecnologica, oggi il medium tende a non esistere più come tale, perché l’ipermedium ingloba media diversi, ai quali fa perdere i confini e le identità, trasformandoli in un flusso continuo e ambiente comunicativo totale. 2 Ovviamente, non è che il denaro e i beni di consumo siano totalmente negativi, c'è molta creatività e molta intelligenza in tanti prodotti commerciali e messaggi pubblicitari: ma quando viene potenziato un mondo in cui la seduzione penetra profondamente nell'inconscio per orientare ogni spazio disponibile ed erodere ogni capacità di autonomia, bisogna prendere dei provvedimenti. Il grosso equivoco è pensare che la libertà delle persone coincida con il fruire di una quantità inesauribile di emozioni che derivano anche dagli spot e dall'acquisto di infiniti prodotti, sempre pilotati dall'esterno, sempre legati alle acquisizioni e ai diktat delle voghe del momento. Le emozioni sono indubbiamente importanti, come l'immaginazione e la creatività, indirizzano e danno senso al mondo. Non può però essere del tutto disgiunta dall'intelligenza. Un'intelligenza senza emozione ci rende simili ad automi, ma un'emozione senza intelligenza ci lascia troppo esposti ai maghi della suggestione. 2 D.Rispoli, La pubblicità tra mercato e tutela dei cittadini, Giuffrè, Torino, 1997 pp.104 ss. 8 Tenuto conto della importanza assunta dalla Tv nella vita quotidiana di un bambino nel colmare il suo tempo libero, e della quantità rilevante del suo ascolto, evidentemente, il problema del rapporto tra pubblicità e minori presenta aspetti di maggiore gravità relativamente al mezzo televisivo, però non si deve minimizzare l'impatto che la pubblicità ha su altri mezzi, come le affissioni e la pubblicità sui periodici destinati espressamente al pubblico giovanile, può esercitare sui bambini e sugli adolescenti. Aspetti negativi del fenomeno pubblicitario. Vi sono vari aspetti negativi nel mondo della comunicazione commerciale: quelli che incidono maggiormente sullo sviluppo psicologico nel nostro pubblico finale sono i frequenti richiami alla violenza, violenza sia della pubblicità che nella pubblicità, ad una sessualità troppo esplicita e inopportuna e ad una scorretta educazione alimentare. Tale incalzante esposizione di richiami e paradigmi di comportamento costruiti su modelli imposti dalla televisione, conformemente alle tecniche di mercato, assolve, come tutto ciò che riguarda il mondo commerciale, una funzione economico-politica, che non tiene però conto degli effetti terribili che si manifestano soprattutto negli adolescenti, come il bullismo, i noti disturbi alimentari dell’anoressia e della bulimia o, al contrario, l’obesità infantile. Violenza della pubblicità: deriva dalla natura messaggi, dalle caratteristiche dei mezzi dai quali tali messaggi vengono veicolati e dalle modalità della loro diffusione. 9 Nel valutare gli effetti sociali della pubblicità assumono particolare rilievo il ruolo e la natura dei mezzi che ne diffondono i messaggi, come la radio, la televisione, le affissioni che da un lato accentuano le valenze emozionali e dall’altro il loro carattere non selettivo. L’esposizione non volontaria ai messaggi costituisce uno degli aspetti più caratteristici della comunicazione pubblicitaria, in quanto è una forma di comunicazione non richiesta dal pubblico, anzi in molti casi risulta essere indesiderata e per la sua invadenza, pervasività, intrusività viene concepita da molti come violenta. Questi aspetti relativi alle modalità diffusive, rendono evidente che la pubblicità può comprimere la libertà delle persone, soprattutto quando viene propagata attraverso mezzi e modalità che fanno si che i recettori vi si trovino esposti in modo non volontario.3 E’ soprattutto il mezzo televisivo che per la sua nota capacità di capillare penetrazione nell’ambiente sociale dispiega una forza di persuasione sulla formazione dell’opinione pubblica di natura più incisiva rispetto alla stampa; si impone all’ascolto del pubblico in modo intrusivo diventando una vera e propria imposizione. La comunicazione pubblicitaria per la sua invadenza, brevità, intrusività si può configurare pertanto come una forma di violenza, se per violenza si intende non solo abuso della forza fisica, ma anche tutto ciò che è particolarmente aggressivo, intenso, che tende a produrre negli altri una sofferenza morale o una pressione psicologica, 3 A.Zanacchi , La pubblicità. Potere di mercato. Responsabilità sociali. p. 303 10 limitandone di fatto la libertà; in effetti la pubblicità tende spesso ad aggredire i propri interlocutori, e la sua aggressività la manifesta nel tentativo di diminuire il potere di difesa dei suoi destinatari, nell’imporre, fisicamente e psicologicamente i propri messaggi attraverso l’irruenza, l’emotività, la ripetizione continua a volte ossessiva. Spesso la violenza pubblicitaria non viene avvertita perché tale violenza è intrinseca alla sua funzione commerciale e concorrenziale, e si maschera nelle forme e nei contenuti festosi e allegri. Essere consapevoli degli aspetti violenti della pubblicità non significa demonizzarla, ma capire che è necessario cambiare modo di comunicare nell’interesse stesso della pubblicità perché solo riducendo gli aspetti più deteriori, conciliando le esigenze delle aziende, dei mezzi di diffusione, dei professionisti, con quelli dei destinatari può aumentare il tasso di accettabilità dei messaggi e di conseguenza aumentare l’efficacia. La violenza si manifesta anche quando la pubblicità si propone in modo subdolo ai suoi destinatari, dove è sottile la differenza tra promozione commerciale e intrattenimento; oggi la pubblicità diventa un vero e proprio genere massmediologico, di pari dignità con i generi tradizionali, e un gran numero di telespettatori sembra gradire queste forme di commistione, magari senza rendersi conto della piena strumentalizzazione del gioco ai fini pubblicitari assimilando la comunicazione pubblicitaria alla comunicazione di massa. 11 Un’altra forma di violenza è la pubblicità redazionale, cioè una comunicazione pubblicitaria mascherata sottoforma di testi e di impaginazione di tipo giornalistico o forme di inserimento di messaggi pubblicitari all’interno di contenuti primari, come informazione, fiction, ecc., diffusi dai media, definiti in genere come sponsorizzazioni. La pubblicità redazionale perde quella chiarezza, quella trasparenza che dovrebbe invece rappresentare uno dei presupposti fondamentali della comunicazione pubblicitaria. Violenza nella pubblicità: si crea un sottile e trasparente legame tra i contenuti dei programmi offerti quotidianamente dal media televisivo, tra cui anche quelli pubblicitari, ed i comportamenti irrazionali ed a volte violenti dei minori. La pubblicità può influire in maniera pervasiva e potente sulla mentalità e sul comportamento dei bambini e degli adolescenti. Sul piano dei contenuti, la pubblicità può assumere una configurazione violenta nel diffondere messaggi che propongono, verbalmente o nelle immagini, affermazioni di violenza. Può trattarsi di pubblicità per prodotti o anche dell’utilizzazione di linguaggi violenti per rendere più efficaci i messaggi. Caso limite è quello di Alessio Sundas, un agente pubblicitario, sul finire del 2007 promosse un'operazione pubblicitaria per vendita di un orologio, Linearom, mettendovi al centro come testimonial, un giovane rom che nell'aprile del stesso anno aveva falciato la vita di quattro ragazzi di Appignano del Tronto viaggiando di notte alla guida di un camioncino in stato di ubriachezza. 12 Il caso è istruttivo per svariati motivi. In primo luogo, per la personalità di Sundas e la sua filosofia in perfetta antitesi alla morale kantiana. Sundas vuole farsi un nome nel settore della pubblicità e dello spettacolo. Ha deciso di sfondare e non intende lasciarsi sfuggire un'occasione d'oro, che potrebbe diventare il suo trampolino di lancio. Lele Mora e Fabrizio Corona sono i suoi modelli. La cronaca nera fa spettacolo, l'assassino diventa protagonista e occupa una posizione centrale sulla scena pubblica. I media fanno il loro gioco. I bambini e i ragazzi che vengono esposti a queste esibizioni, però, rischiano non solo di diventare indifferenti alla sofferenza, ma anche di aderire a una sorta di conformismo dell'abiezione che non consente di separare il bene dal male. Richiami sessuali: anche il sesso ha conquistato, nel nostro mondo massmediatico, una collocazione centrale, secondo l’imperativo che l'ammirazione e i riconoscimenti sociali si ottengono attraverso l'erotizzazione dell'abbigliamento e la seduzione sessuale. In questo vortice sono trascinate anche le bambine, cui vengono offerte bambole dall'aspetto iperfemminile e sexy. Resta il fatto che rimandi, più o meno espliciti, alla sessualità trasmessi con inflessibile continuità rappresentano una vera e propria aggressione verso l’innocenza dei bambini, le cui dinamiche psichiche sono altamente plasmabili ed i valori di riferimento influenzabili. Il bambino, per sua natura, carente di strutture critiche sufficienti per orientare le esperienze, al contrario costruisce e rinforza convincimenti e modelli attraverso le esperienze. Pervaderlo di stimoli sessuali anzitempo – e certamente al di là della sua volontà – non solo significa forzarlo nella creazione del 13 suo immaginario e del suo codice etico, ma sottrarlo all’educazione familiare, costituendo ingerenze che possono destabilizzarlo. Il diritto internazionale ha sancito da tempo il principio di tutela del minore contro ogni forma di violenza sessuale (Convenzione dei diritti del fanciullo. New York, 1989), ma di fatto tale principio, recepito dai singoli ordinamenti giuridici, si orienta solo verso la tutela fisica. La separazione tra gli aspetti materiali ed immateriali della sessualità e la punibilità dei crimini esclusivamente perpetrati a danno del “corpo” produce un vuoto in cui s’insinuano i mass media gestendolo secondo le loro finalità. Scorretta educazione alimentare: pubblicità di cibi ricchi di grassi, zucchero e sale, che ha un impatto diretto sulle scelte dei bambini e, quindi sulla loro salute. Le fasce protette si sono dimostrate piene di messaggi pubblicitari scorretti e poco salutari sotto il profilo nutrizionale. Tra gli spot, al primo posto troviamo prodotti come biscotti, merendine e altri alimenti ricchi di grassi e zuccheri. Ma, come dimostrano autorevoli studi scientifici nazionali e internazionali, i bambini che stanno troppo davanti alla Tv rischiano di diventare adulti obesi, bevitori e con il coleresterolo alto, a causa della scarsa attività fisica e della cattiva dieta, condizionata dagli spot. Non ci stupisce: molti dei messaggi alimentari sono scorretti e si preoccupano poco (o fintamente) della salute dei piccoli. 14 Capitolo primo “IL DIRITTO PUBBLICITARIO” 1.1 Ricostruzione normativa Fulcro di questo lavoro sarà il “diritto pubblicitario”: non esistendo una definizione complessiva della materia, possiamo affermare che il termine viene comunemente utilizzato per identificare quell’insieme di norme, sia pubbliche che di emanazione privata, grazie alle quali le diverse fasi dell’attività pubblicitaria sono svolte. Analizzeremo come è intervenuto il legislatore, soprattutto con recenti riforme, nei diversi settori che interessano la pubblicità come prodotto del sistema radiotelevisivo e, contemporaneamente, come mezzo al servizio del consumatore, soffermandoci su come si sviluppa la tutela del minore proprio in quegli articoli che lo considerano, appunto, come utente e consumatore, l’evoluzione della normativa in materia, nonché le disposizioni della deontologia pubblicitaria in merito allo stesso tema, cercando di arrivare ad una disciplina unitaria. Tale diritto si presenta quindi come un “sistema complesso” 4 , come testimonia una decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che mostra come, sotto il 4 V. Franceschelli, Le fonti del diritto industriale cinquant’anni dopo, in Diritto Industriale., 2002, p. 354. 15 profilo delle fonti, il Giudice nazionale debba ormai fare riferimento a tre ordini di norme, la meno rilevante delle quali sembra essere proprio quella nazionale. Tale situazione rispecchia la tradizionale “vocazione internazionale” del diritto industriale, che dopo la rivoluzione comunitaria ha visto collegare sempre più le proprie fonti allo sviluppo del diritto comunitario. Cosicchè, alla fine degli anni ’80, si poteva dire che la disciplina del diritto industriale era caratterizzata dalla coesistenza” delle normative nazionali con un ordinamento ormai sopranazionale. 5 Giunti nell’era virtuale, ormai, non si può più parlare di “mediazione”, a livello nazionale, di regole che nascono in un paese e che si diffondono in un altro o anche di graduale circolazione dei modelli. Occorre semplicemente prendere atto che le regole nascono in modo uniforme in un sistema di collegamenti mondiali di cui è difficile tracciare il percorso. Si può dire, quindi, che oggi la distinzione tra fonti di produzione e fonti di cognizione, come l’abbiamo conosciuta tradizionalmente, ha perso, per il diritto industriale in generale, ma soprattutto per quello che a noi qui interessa, e cioè il diritto pubblicitario, il suo valore: le fonti normative nazionali hanno ormai mero valore di fonti di cognizione, mentre le fonti di produzione si sono spostate fuori dai confini nazionali, nelle sedi dove si discutono e si approvano le fonti comunitarie e si negoziano i Trattati internazionali. Il legislatore nazionale ha assunto una funzione di “controllo” dell’adeguamento del diritto interno all’evolversi della normativa oltre confine. 5 G. Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali., Giuffrè, 1993, p. 27. 16 In ambito internazionale la nostra trattazione trova la sua massima fonte nella Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 Novembre 1989, che pose con forza il problema di regolamentare la programmazione televisiva, in modo da eliminare o almeno limitare eventuali danni arrecati al particolare pubblico dei minori, all'attenzione internazionale: l'articolo 17 si occupava dei mezzi di comunicazione e sanciva il diritto del bambino a non essere danneggiato da essi. 6 In ambito comunitario numerose sono state le direttive susseguitesi nel tempo, tra cui le più importanti sono: la d. CEE 84/450 in materia di pubblicità ingannevole; 89/552/CEE concernente l’esercizio delle attività televisive; la d. CE 97/55 sulla pubblicità comparativa; la d. CE 05/29 sulle pratiche commerciali sleali che ha modificato l’intera materia Avremo a che fare, quindi, con un apparato complesso, che oltre ad avere una origine comunitaria ed una radice internazionale, si sviluppa in ambito statale in due differenti sistemi di norme: 6 Art. 17 Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti: a) incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che hanno un’utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’articolo 29; b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazioni ed internazionali; c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia; d) incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo minoritario; e) favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18. 17 - un Sistema Autodisciplinare, nato in seno all’autonomia privata e che trova la propria fonte in regolamenti emanati da organismi disciplinanti il settore in diversi ambiti, i cui più importanti sono: o il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (c.a.) o il Codice di autoregolamentazione Tv e Minori (Codice Minori) - un Sistema Statale, naturalmente di derivazione pubblicistica e che trova la propria fonte principale in due raccolte di norme che regolamentano, anch’esse, differenti campi della materia: o il Codice del Consumo (CdC.) o il Testo Unico della Radiotelevisione (T.U.R.) Nel corso del 2005, con l’emanazione del T.U.R. e del Codice del Consumo, l’assetto normativo di riferimento della pubblicità commerciale, ed in particolare della pubblicità televisiva, ha subito un’importante ridefinizione: - con l’entrata in vigore del Codice del Consumo è scomparso in primo luogo lo storico D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74, emanato in attuazione della Direttiva n. 84/450/CE, come modificato dal D.Lgs 67/2007 7, nonché dalla l. 49/05 (c.d. legge Giulietti), provvedimenti tutti espressamente abrogati dall’art. 146 CdC. Le disposizioni del D.Lgs. 74/1992 risultavano integralmente trasposte, con modifiche poco rilevanti, nella Parte II, Sezione I del CdC e il Capo III del medesimo introduce poi alcune disposizioni in materia di televendite che riguardano direttamente i minori. 18 - il T.U.R. costituisce nelle intenzioni del legislatore, con il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, una regolamentazione uniforme delle reti e dei servizi di comunicazione, il risultato di un’opera di tentato riordino dello status quo ante dei molteplici interventi legislativi, nonché di delibere dell’Autorità delle Comunicazioni, finalizzato a porre fine all’imponente stratificazione normativa e regolamentare che caratterizza da tempo la materia radiotelevisiva. Riunisce, quindi, in un unico documento, unificandone la fonte, ma senza rilevanti innovazioni nella sostanza: la l. 6 agosto 1990 n. 223 (c.d. legge Mammì), la l. 122/1998, la l. 112/2008 (c.d. legge Gasparri), nonché, in parte, il Regolamento Comunicazioni dell’AGCOM N. 538/01/CSP. In tale percorso di riordino si sono verificati "incidenti di percorso", che sono peraltro inevitabili quando la materia su cui legiferare reca in sé contenuti ideologici latu sensu . Tra questi c'è sicuramente l'art. 10 della l. 3 maggio 2004, n. 112, concernente la tutela dei minori nella programmazione televisiva. Il testo originario prevedeva infatti, al comma 2, che "le emittenti televisive sono altresì tenute a garantire di specifiche misure a tutela dei minori nella fascia oraria di programmazione dalle ore 16:00 alle ore 19:00 e all'interno dei programmi direttamente rivolti ai minori, con particolare riguardo ai messaggi pubblicitari, alle promozioni e ad ogni altra forma di comunicazione commerciale e pubblicitaria..." e, al comma 3, che "l'impiego dei minori di anni quattordici in programmi 7 Il D.Lgs. 67/2000 era stato emanato in attuazione della Direttiva n. 97/55/CE, modificativa della Direttiva n. 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa. 19 radiotelevisivi, oltre che essere vietato per messaggi pubblicitari e spot , è disciplinato con regolamento...". Attualmente invece, con la l. 6 febbraio 2006, n. 37, sono state aggirate le distorsioni del precedente "proibizionismo": da un lato, sopprimendo alcune parole del comma 3 (art. 10, legge n. 112/04), abolisce il divieto assoluto di utilizzare i minori di quattordici anni nelle pubblicità televisive, rendendo quindi meno vincolante la norma che pone limiti ai cosiddetti baby spot ; dall'altro proibisce nel comma 2 la trasmissione di "ogni forma di comunicazione pubblicitaria avente come oggetto bevande contenenti alcool all'interno dei programmi direttamente rivolti ai minori e nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive", diffuse nella fascia protetta di programmazione tra le ore 16:00 e 19:00. Vediamo, quindi, come tutte queste raccolte sono il frutto di una evoluzione storica e di uno sviluppo continuo e costante, di riforme e aggiornamenti, che analizzeremo meglio in seguito, fino ai d.lgs. 145 e 146 del 2007 che hanno modificato il Codice del Consumo e alle recenti disposizioni del gennaio 2009 che hanno mutato il titolo del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria in Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. Poiché non è possibile trascurare, in ogni forma di comunicazione, il rapporto esistente tra il messaggio ed il mezzo, lo studio di questi effetti non potrà prescindere dall'ideale continuum che lega la pubblicità alla programmazione televisiva. Per tale motivo quindi, nello sviluppare l'argomento, verranno presi in considerazione alcuni 20 aspetti della Tv, quali le interruzioni pubblicitarie e i limiti di affollamento, che servono ad inquadrare organicamente il contesto in cui il minore assimila lo spot. La presentazione di tali aspetti costituirà una base per evidenziare la necessità, e per mostrare l'opportunità, di una serie di strumenti che proteggano il pubblico infantile dagli effetti indesiderati della pubblicità televisiva. Inoltre, verranno presi in considerazione gli organismi statuali e autodisciplinari che sono predisposti all'applicazione delle stesse leggi e dei regolamenti di autodisciplina, valutando con attenzione le loro procedure per verificarne il livello di efficacia. Illustreremo, infine, dei leading cases per chiarire il funzionamento pratico dei meccanismi, statale ed autodisciplinare, a tutela dei minori, nonché per evidenziarne pregi e difetti, riservando uno spazio di trattazione a quella che è la nuova frontiera della pubblicità, che soprattutto altri stati stanno da tempo vagliando: l’educazione. Non più, quindi, solo mezzo di persuasione e di differenziazione dal concorrente, ma anche veicolo per orientare i comportamenti sociali. Nel complesso lo scopo del lavoro è appunto quello di verificare se la tutela dei minori nella comunicazione commerciale viene realizzata in maniera adeguata o se è necessario apportare delle modifiche radicali, piuttosto che dei minimi accorgimenti al sistema, per aumentare il livello di protezione. 1.2 Evoluzione storica del diritto pubblicitario 21 In epoca romana esisteva il c.d. dolus bonus, l’esaltazione esagerata della propria merce da parte dei mercanti, che era ritenuta conforme ai ‘boni mores’, ma senza tornare troppo indietro nel tempo, nella moderna economia industriale, la pubblicità costituisce senza dubbio un fenomeno non soltanto utile, ma addirittura necessario, visto l’oramai profondo allontanamento sia spaziale che funzionale della produzione dal consumo. 8 Peraltro, al riguardo, va anche ricordato come nelle analisi della pubblicità svolte dagli economisti vi siano state posizioni decisamente contrastanti: una, c.d. teoria tradizionale o della scuola di Harvard, si è posta in un’ottica sfavorevole e di condanna nei confronti della pubblicità, l’altra, teoria c.d. moderna o della scuola di Chicago, ha espresso all’opposto un giudizio positivo. 9 Secondo la prima, che ha origine negli anni ’30, la pubblicità mina la concorrenza, aumentando ancora di più il potere di mercato delle grandi imprese che ne fanno uso, dato che comporta costi elevati, spesso proibitivi per le piccole imprese, la cui sopravvivenza diventa difficile. La seconda teoria, invece, mette in luce piuttosto i benefici della comunicazione pubblicitaria, come l’aumento della quantità di informazioni diffuse sul prodotto e sulle sue possibilità d’acquisto, consentendo allo stesso tempo ai produttori entranti di segnalare la loro presenza sul mercato. Le due teorie si muovono da presupposti sostanzialmente differenti, affermando in pratica la prima che il consumatore sia 8 A. Vanzetti, La repressione della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964, Parte I, p. 584, il quale ricorda anche l’opinione di coloro che sostengono che promuovere le vendite porta a un minore costo unitario dei prodotti. 22 potenzialmente un soggetto condizionabile, la seconda che non soltanto ciò in realtà non avvenga, ma che piuttosto la comunicazione pubblicitaria costituisca di per sé uno strumento d’informazione. Considerando ormai senz’altro superata la vecchia diatriba sul piano economico, visto che risulta evidente a tutti la funzione precipua della pubblicità nella conservazione della libertà di conoscenza, rimangono da analizzare i risvolti giuridici del concetto. 10 Sul piano giuridico si può affermare che la pubblicità abbia effetti favorevoli sulla concorrenza soltanto nel caso in cui esista un principio di legittimità della sola comunicazione promozionale che abbia un pur minimo contenuto informativo effettivo, principio che attualmente non è affatto previsto nel nostro ordinamento, se non da normative specifiche riguardanti prodotti particolari (finanziari, sanitari..). Per lungo tempo un dogma della legislazione italiana fu l’intoccabilità del messaggio pubblicitario, quasi che il medesimo fosse un privilegio imprenditoriale, un’arma d’affari che poteva e doveva sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, con l’unico limite di non offendere l’altrui impresa, il tutto a scapito di un’informazione commerciale trasparente e veritiera. 11 Fin dai primi albori del diritto pubblicitario si posero alcune questioni di fondo agli operatori che facevano ricorso a detto strumento. Come diritto alla libera diffusione dell’informazione in campo economico la pubblicità troverà dimora nell’art. 41 Cost. 9 A.M. Gambino, La pubblicità ingannevole, Roma,1999, p.14. 10 P.G. Jaeger, Pubbblicità e “principio di verità“, in Riv. dir. ind., 1971, I, p. 339. 11 Malagoli F.- Unnia F., La pubblicità comparativa, 2002, p. 7 ss. 23 come l’iniziativa economica privata. Deve infatti considerarsi altrettanto libera l’attività d’informazione ad essa relativa fermi restando i limiti che la stessa prevede di non essere svolta in contrasto con l’utilità sociale o in modi o forme tali da arrecare danno e pregiudizio ai concorrenti e ai consumatori. Oltre a questa posizione si è frapposta una diversa linea di pensiero che riconduceva all’art. 21 Cost. nella quale sotto il principio generale della libertà della manifestazione del pensiero trova collocazione anche l’attività pubblicitaria. 12 Le posizioni assunte dai nostri legislatori sono state sostanzialmente costanti nel considerare prevalente la tutela costituzionale del fenomeno pubblicitario ai sensi dell’art. 41 Cost. proprio in ragione al fatto che la pubblicità, per sua natura e finalità che tende perseguire, non è riconducibile tra le forme di manifestazione di pensiero. La Corte Costituzionale 13 ha stabilito che «la pubblicità non costituisce manifestazione di pensiero» (categoria che comprende espressioni e comunicazioni di cultura, di opinione e di manifestazione vera e propria del pensiero), e che «essa sarebbe soltanto espressione di attività d’impresa a forte contenuto economico». La prima sezione civile della Corte di Cassazione 14 pone la pubblicità commerciale fuori dell’area di azione dell’art. 21 Cost. in quanto è caratterizzata dallo scopo ultimo non di trasmettere pensiero ma di promuovere comportamenti e scelte di modelli imitativi. 12 AA.VV. Giappichelli, Diritto Industriale, 2003, III, p. 336. 13 Corte Cost., 12 luglio 1965, n. 68, in Giust. Civ. 1965, III, p. 2154 14 Corte di Cass., 23 dicembre 1999, n. 12993; dello stesso avviso Corte Cost., 17 ottobre 1985, n. 231, in Riv. Dir. Ind., 1987, II, p. 3, la pubblicità commerciale non rientra tra le manifestazioni del pensiero protette dall’art. 21 cost., ma è una componente dell’attività dell’impresa, come tale 24 In seguito la regolamentazione della comunicazione pubblicitaria si è originariamente basata, almeno nel nostro Paese 15, sull’applicazione della disciplina dettata per la diversa fattispecie dei comportamenti sleali nei rapporti di concorrenza. In tal modo, la condanna delle menzogne pubblicitarie veniva ad essere subordinata o al concorso degli elementi costitutivi di quelle diverse fattispecie (denigrazione o appropriazione di pregi), oppure, dall’altro lato, all’incerto giudizio di conformità o meno ai principi della correttezza professionale; restando inoltre, in ogni caso, condizionata al concorrere dell’idoneità dell’atto a ledere un concorrente determinato. Limitando poi, corrispondentemente, la legittimazione ad agire ai soli concorrenti, si subordinava l’applicazione delle disposizioni in giudizio all’eventuale presenza di un concorrente abbastanza interessato all’azione, escludendo così ogni possibilità di repressione della pubblicità menzognera di prodotti venduti in regime di monopolio o di posizione dominante, e di quelli reclamizzati attraverso menzogne adottate d’intesa tra i produttori del ramo 16. La disciplina privatistica della concorrenza sleale non garantiva quindi la tutela del consumatore dall’inganno pubblicitario, che era quindi assicurata soltanto dalla normativa penale della frode in commercio e dalla legislazione speciale essenzialmente di prodotti alimentari e di prodotti agrari. assistita dalle garanzie di cui all’art. 41 cost. e assoggettabile alle limitazioni ivi previste al 2° e 3° comma. 15 A differenza della maggioranza degli altri ordinamenti (così quello statunitense, tedesco, francese, spagnolo..) dove fin dall’inizio si è intervenuti con una diretta repressione dell’inganno pubblicitario a tutela del consumatore. In proposito, si veda: A. Vanzetti, La repressione della pubblicità menzognera, op. cit., p.590-591, e P.G. Jaeger, Pubbblicità e“principio di verità“, op. cit., p. 334 e 354 ss. 25 Durante gli anni ’60 lo sviluppo del fenomeno pubblicitario e l’assenza del legislatore, destarono l’attenzione degli addetti ai lavori i quali ben presto compresero la necessità di affrontare il problema della correttezza della pubblicità. Gli operatori del settore pubblicitario, imprenditori-utenti, professionisti pubblicitari in genere e veicoli di diffusione stessi, cercarono autonomamente una soluzione ai problemi visti sopra, attraverso dei regolamenti di autodisciplina. Il sistema dell’Autodisciplina Pubblicitaria nasce nel 1966 dando luogo ad una forma privata di controllo. Sennonché, in effetti, l’atto di autonomia privata si caratterizza per il fatto essenziale di avere forza di legge esclusivamente fra le parti che lo pongono in essere, oppure sui terzi che vi si assoggettano mediante clausole di adesione (come quelle che i membri del sistema hanno l’obbligo di inserire nel contratto d’inserzione pubblicitaria), e dunque non ha potuto in ogni caso oltrepassare tali limiti. Per circa 30 anni ha fatto da supplenza alla grave ed incomprensibile carenza del nostro legislatore in tema di pubblicità. L’autodisciplina ha potuto ottenere questo successo stabilendo gli standard di correttezza della pubblicità non tenendo conto solo degli interessi degli operatori ma anche degli interessi generali dei cittadini/consumatori. Sarà solamente in tempi recenti che il legislatore nazionale, spinto dalle iniziative intraprese a livello comunitario da quello europeo, prenderà il coraggio di dettare norme più mirate e volte a disciplinare in modo completo e coerente alcuni settori 16 G. Sena, La repressione penale della concorrenza sleale: premesse di diritto industriale, in Riv. 26 specifici della pubblicità. Ne sono testimonianza concreta da un lato la Direttiva n. 84/450/CEE sulla disciplina della pubblicità ingannevole, la n. 89/552/CEE concernente l’esercizio delle attività televisive e la più recente Direttiva n. 05/29/CE: testi che hanno tutti avuto recepimento nel nostro ordinamento dopo percorsi legislativi più o meno complessi, cui va comunque il merito di aver concorso a disegnare un quadro d’insieme più organico della materia. La Direttiva 89/552 è stata la prima ad essere attuata nel nostro ordinamento, con la legge n. 223/1990, riguardante il “sistema radiotelevisivo pubblico e privato”. Tali norme hanno innanzitutto lo scopo di realizzare un equilibrio delle risorse allocate nei diversi settori dell’informazione, a fini antioligopolistici, ed, in subordine, quello di contenere la quantità e la durata dei messaggi pubblicitari, a protezione sia del diritto morale d’autore che dell’interesse del pubblico degli utenti ad una libera e corretta fruizione delle trasmissioni. Ma, allo stesso tempo, la legge ha previsto per la prima volta una serie di clausole generali di divieto, tra le quali si inserisce quella che ci interessa, stabilendo che la pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, né evocare discriminazioni di razza, sesso, nazionalità, offendere convinzioni religiose ed ideali, indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l’ambiente, o, appunto, arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni. L’introduzione di questi limiti ha senza dubbio rappresentato un fondamentale passo avanti rispetto alla situazione legislativa precedente, perché, a differenza di quanto dir. ind., 1965, I, pp. 182-183. 27 previsto nelle normative esistenti, essi si riferiscono specificamente al contenuto del messaggio pubblicitario in sé considerato, prescindendo totalmente dalla natura del rapporto o servizio di cui si sollecita l’acquisto. Nel 1992, infine, si è arrivati ad avere una disciplina generale della materia pubblicitaria, con il D. Lgs. n. 74, di recepimento della Direttiva 84/450. Si è scelta, nel decreto (tra le due possibili strade, ordinaria e amministrativa indicate agli Stati membri dalla Direttiva), una disciplina di tipo amministrativo, diretta cioè non più a colpire gli artefici del messaggio mendace o a risarcire i soggetti eventualmente lesi, bensì volta a far cessare la pubblicità menzognera e ad eliminarne gli effetti. E si è demandato questo compito all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, istituita con la legge c.d. Antitrust (n. 287/1990). Il decreto, in particolare, oltre a dettare norme riguardanti salute, sicurezza e minori, tutela l’interesse del consumatore alla fruizione di una pubblicità palese, veritiera e corretta, e considera ingannevole ogni pubblicità che induca o possa indurre in errore e che con ciò pregiudichi o possa pregiudicare il comportamento economico delle persone fisiche o giuridiche a cui è rivolta. I concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, e le altre pubbliche amministrazioni possono chiedere all’Autorità Garante che vengano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o che ne siano eliminati gli effetti. Tali disposizioni, la l. 223/90 e il D.Lgs. 74/92, come abbiamo già visto, sono i padri, rispettivamente, dell’attuale T.U.R. e del Codice del Consumo, che ci accingiamo ad analizzare. 28 Capitolo secondo IL SISTEMA AUTODISCIPLINARE L’autodisciplina è un fenomeno complesso, di stampo prettamente giuridico, in forza del quale un certo numero di soggetti, appartenenti ad una o più categorie professionali abitualmente in rapporti operativi tra loro, si impegnano ad osservare norme di comportamento da loro stessi formulate e creano strumenti di controllo necessari per assicurarne l’attuazione. 17 La diffusione del concetto e della pratica dell'autodisciplina pubblicitaria nei vari Paesi è il risultato di un processo per il quale persone e paesi si sono sentiti motivati da un mutuo interesse di operare per il bene comune da ritenere che ciascuno degli organismi così nati sia consapevole dei processi che lo hanno portato a realizzarsi. Ma può essere anche utile cercare di individuare se esistano e quali possano essere le radici comuni esistenti alla base del fenomeno autodisciplinare. Si affaccia quel “principio di sussidiarietà", ora in auge anche per il coordinamento dei rapporti tra Comunità europea e gli Stati membri. Per il principio della sussidiarietà non è lecito che una comunità politica sottragga a persone, che operino 17 Borrelli, Riv. dir. ind., 1981, Parte I, p. 367. 29 sia isolate sia associate, il diritto di perseguire loro iniziative realizzate con loro mezzi. Un ulteriore riscontro nell'ambito del diritto consente poi di constatare come eminenti giuristi si siano fatti assertori della tesi della "pluralità degli ordinamenti giuridici", superando con ciò la teoria che attribuiva allo Stato l'esclusiva potestà di emanare norme. Oggi per la dottrina più avanzata non esiste settore per il quale si possa escludere pregiudizialmente la creazione di sistemi autodisciplinari con proprie normative. E ciò, almeno in Italia, ha dato luogo a espliciti riconoscimenti proprio al mondo pubblicitario per aver contribuito concretamente ad infrangere un vecchio tabù. Visto in questo quadro, il principio di sussidiarietà può avere più incisivi riferimenti, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo, mettendo in luce come l'emanazione di normative comunitarie, specie se non di soli principi ma con prescrizioni di dettaglio, risulta da un lato meno efficace dei sistemi autodisciplinari caratterizzati da flessibilità, rapidità e validità di interventi, dall'altro, in ambito internazionale, crea difficoltà quando pretende di imporre rapida conformità di comportamenti a nazioni con consolidati differenti culture, usi e costumi. Pertanto, alla luce delle richiamate origini del fenomeno autodisciplinare e dei supporti che gli fanno da sfondo e da sostegno, sembra lecito configurare ed auspicare un'estensione analogica del sistema oltre l'ambito pubblicitario. Alcune regole di comportamento poste dal C.A. vengono recepite nella normativa dello Stato da parte della giurisprudenza più recente. Infatti un’operazione logica di 30 assunzione delle norme autodisciplinari nell’ordinamento statale tramite la norma aperta dell’art. 2598 n. 3 c.c., che inserisce il «principio della correttezza professionale» deve ritenersi consentita “almeno nei confronti delle imprese che hanno liberamente aderito a tale sistema di autodisciplina accettando le regole di lealtà così codificate”. Le principali camere di commercio hanno riconosciuto le regole dell’Autodisciplina tra gli “usi” vigenti in materia di pubblicità, e come tali fonti di diritto. L’autodisciplina pubblicitaria ha sicuramente contribuito a creare nel nostro Paese un costume pubblicitario ben preciso ed un convincimento generalizzato della sua corrispondenza ai criteri di vera “correttezza professionale”. 18 Tale principio è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, la quale afferma che le norme autodisciplinari, pur non essendo espressamente recepite nell’ordinamento statuale, possono essere utilizzate “quali parametri di riferimento del principio di correttezza professionale” in quanto “esprimono per loro stessa natura e formazione, quel dover essere dei comportamenti che forma oggetto della tutela stabilita dal numero 3 dell’art. 2598 c.c.”. 19 Si può rivendicare al sistema autodisciplinare pubblicitario addirittura una sua superiorità sotto diversi aspetti: la partecipazione volontaria e l’impegno degli operatori, la migliore conoscenza della materia e maggiore puntualità delle regole, il costante e rapido aggiornamento delle stesse in funzione dell'evoluzione nazionale e internazionale, la rapidità di intervento e di definizione dei casi concreti, 18 A. Vanzetti, “L’autodisciplina pubblicitaria oggi”, in Corr. Giur., 1988, p. 1191 31 l’indipendenza, imparzialità e alta competenza nei giudizi dell'organo giudicante, la più efficace deterrenza preventiva per la coincidenza tra "legislatori" e "giudicandi". In Italia la più importante forma di autoregolamentazione è quella facente capo all'Istituto di autodisciplina pubblicitaria (I.A.P.) che in alcuni articoli si prefigge la tutela di bambini ed adolescenti, coprendo buona parte delle aree di pericolo che si possono configurare nel rapporto tra pubblicità e minori. Accanto a questa esistono alcune forme di autoregolamentazione settoriale della pubblicità e gli stessi mezzi di comunicazione hanno deciso di autodisciplinarsi. La RAI possiede un regolamento interno emanato dalla SACIS, società consociata e organismo di controllo dell'emittente pubblica, contenente i criteri, soprattutto a tutela del pubblico e dei consumatori, cui è condizionata la veicolazione del messaggio sui media RAI. È stato tuttavia osservato che queste norme, non prevedendo organismi giudicanti assimilabili al Giurì, non danno vita ad un sistema autodisciplinare nel senso proprio del termine, svolgendo piuttosto un controllo preventivo. Le emittenti private, nel 1997, hanno per la prima volta sottoscritto il "Codice di autoregolamentazione Tv e minori" prendendo un impegno che non riguarda la sola pubblicità, ma che mira a tutelare il pubblico infantile dall'intera programmazione televisiva. Nel 2002 è stato emanato un nuovo codice e rispetto al precedente codice c.d "Prodi" del 1997 sono state rafforzate le sanzioni, è stato istituito un Comitato di controllo sulla programmazione tv ed è stata stabilita una programmazione specifica per i minori nella fascia dalle ore 16 alle ore 19. 19 Corte di Cass., 15 febbraio 1999, n. 1259, in Riv. dir. ind., 1999, I, p. 177 32 Riguardo alle forme di controllo, ciascun regolamento prevede l'istituzione, al suo interno, di appositi organismi che controllano l'osservanza delle norme da parte dei soggetti aderenti. Il Codice di autoregolamentazione tv e minori prevede l'istituzione di un Comitato di Applicazione che vigila sull'operato delle emittenti televisive firmatarie. Il Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale prevede un Comitato di Controllo ed un organo giudicante, denominato Giurì, entrambi facenti capo all'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. 2.1 Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale Come si è detto l'iniziativa più nota è quella relativa all’ Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che riguarda tutto il mondo della pubblicità ed esprime, in un corpo di regole denominato Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (C.A.), una serie di disposizioni più articolate e spesso più severe di quelle contenute nelle leggi dello Stato, prevedendo propri organismi sia di controllo (Comitato di controllo) sia giudicante (il Giurì) per la loro applicazione. Le regole del C.A., proprio perché non provengo dallo Stato e non sono efficaci erga omnes, impegnano solo i soggetti che, direttamente o per tramite delle rispettive associazioni settoriali, lo hanno accettato e si sono volontariamente obbligati al suo rispetto. 33 Nell’Autodisciplina pubblicitaria si è manifestata l’esplicita volontà di dar vita ad una stabile organizzazione volta a regolare, sulla base di norme autoprodotte la generalità di rapporti connessi al contenzioso relativo ai contenuti dei messaggi pubblicitari. Tutto ciò non solo nell’interesse delle singole parti in conflitto, bensì anche nell’interesse collettivo della pluralità degli aderenti al sistema, che ritengono quanto mai vitale che la pubblicità medesima sia “onesta, veritiera e corretta», come recita l’art. 1 del Codice di autodisciplina pubblicitaria In pratica il numero delle associazioni professionali che supportano lo I.A.P. e riconoscono il C.A. è tale da far sì che sia estremamente raro che almeno uno degli operatori partecipanti all'iter ideativo o divulgativo di un messaggio non sia legato al rispetto dell'autodisciplina. Le sue regole dunque sono, in concreto, quasi sempre applicabili integrando e completando le disposizioni legislative sulla comunicazione pubblicitaria. 20 Il C.A. non rileva come semplice manifestazione d’autonomia privata, quanto come espressione di una determinata regolamentazione giuridica, condivisa da una pluralità di soggetti, ed anche come espressione istituzionale di un settore della comunità economica e sociale individuato dal confluire degli interessi connessi alla comunicazione pubblicitaria, non un semplice fenomeno di associazionismo. La sua importanza la si deve, infatti, a diversi fattori: 20 Fanno parte dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria 16 enti in rappresentanza delle imprese che investono in pubblicità, delle agenzie, dei mezzi e delle loro concessionarie, che arrivano a coprire circa il 90% del mercato pubblicitario italiano. 34 - alla formale e contestuale adesione di tutte le categorie interessate, tramite le loro associazioni, confermato da un impegno di tipo negoziale, a rispettare e far rispettare le norme di un comune codice di autodisciplina e l'applicazione delle sanzioni dallo stesso previste; - alla presenza di organi (Comitato di Controllo e Giurì) predisposti all'applicazione delle regole contenute nel Codice e ad adeguati meccanismi di intervento (segnalazioni da parte di "chiunque", istanze di parte, iniziative d'ufficio) capaci di bloccare la pubblicità contraria alle norme autodisciplinari, che assicurano trasparenza e sistematicità all'autodisciplina; - alla preminenza della funzione preventiva rispetto a quella repressiva. - al merito di aver assolto, per lungo tempo, un prezioso ruolo di supplenza dello Stato nella regolamentazione della pubblicità, quando il nostro ordinamento giuridico era ancora privo di una normativa in materia. 21 Le origini culturali del C.A. si possono rinvenire in un avvenimento specifico che ha innescato processi emulativi su base internazionale: la nascita nel 1937 di quel "Codice delle pratiche leali in pubblicità" varato dalla Camera di Commercio Internazionale, dal quale in effetti hanno tratto ispirazione pressoché tutti i sistemi autodisciplinari sorti nei decenni successivi all'ultima guerra mondiale. Ma, a sua volta, quel Codice non era che il risultato della convergente decisione e dell'apporto di molte volontà nazionali. 21 Il primo Codice di Lealtà Pubblicitaria, fu introdotto nel maggio 1966, invece la prima legge sulla comunicazione pubblicitaria che previde la tutela del “consumatore”, fu emanata nel 1992 con il D.L. n.74 sulla pubblicità ingannevole. 35 Nel 1951 viene presentato il primo "Codice Morale della Pubblicità" elaborato dall'U.P.A., l'associazione che tuttora riunisce imprese ed enti che investono in pubblicità (Codice UPA); nel 1953 segue un nuovo Codice ad opera della F.I.P., la Federazione Italiana della Pubblicità (Codice FIP), che all'epoca riuniva molte associazioni del settore, che è in realtà una raccolta di usi e consuetudini formatasi in materia pubblicitaria. In ambedue questi casi si trattò di tentativi indubbiamente lodevoli ma che, anche per essere emanazione di singoli settori del mondo pubblicitario, finirono con l'avere scarso seguito e pressoché nessuna pratica applicazione. Il 12 maggio 1966 il Comitato Permanente Interfederale della Pubblicità dà vita al primo "Codice della lealtà pubblicitaria”, frutto di tre anni di studi e confronti, con la partecipazione di esponenti delle categorie interessate. Quasi contemporaneamente il Parlamento vara il "Programma quinquennale per lo sviluppo economico", nel quale figura anche l'impegno ad affrontare il problema del controllo della pubblicità, con particolare riferimento alla veridicità e a una più esatta e obiettiva informazione su prezzi e qualità dei prodotti. Dal 1971 al 1976 la gestione del sistema autodisciplinare viene assunta dalla Confederazione Generale Italiana della Pubblicità (CGIP). Nel 1977, su iniziativa degli enti che partecipano alla CGIP, viene costituito l’Istituto dell’ Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). L'idea di dar vita a regole settoriali non aveva in sé nulla di eccezionale, in quanto si inseriva nella scia delle molte deontologie professionali. Anzi, lo faceva in ritardo 36 sulle altre, sia pure giustificato dall'essere la pubblicità una disciplina di più recente formazione. Ma per andar oltre nella ricerca delle origini e dei moventi, si può ben immaginare una spinta proveniente dalla stessa base operativa dell'utenza pubblicitaria, della professione e degli stessi mezzi, ciò come conseguenza di comuni constatazioni ed esigenze. Tra queste ultime possiamo considerare l'assunzione di una posizione autocritica degli stessi operatori, preoccupati degli effetti negativi che una pubblicità scorretta e ingannevole poteva avere su distorti orientamenti dei consumi e su connessi squilibri del mercato. Il Codice si prefiggeva essenzialmente due scopi: quello di porre un controllo alla competizione per la conquista del mercato che senza freni avrebbe reso inevitabile l’intervento pubblico sicuramente istitutivo di divieti, controlli e censure; e quello di far riacquistare credibilità alla pubblicità che era vista ormai negativamente e con scetticismo dai consumatori. L’Autodisciplina pubblicitaria è scaturita quindi dalla volontà espressa di una pluralità di soggetti di obbligarsi al rispetto di norme di comportamento anche mediante meccanismi sanzionatori, attraverso le decisioni dei suoi organi, atti a salvaguardarne l’osservanza. Accanto a questa capacità del sistema autodisciplinare di porsi ed operare come fonte di produzione normativa per gli operatori, si è andata sviluppando nel contempo una correlata vocazione del sistema a farsi carico della tutela del consumatore-cittadino, cioè il destinatario dei messaggi pubblicitari. Per molto tempo, almeno fino 37 all’attribuzione dell’Autorità garante della concorrenza e del Mercato di poteri in tema di pubblicità ingannevole, l’Autodisciplina pubblicitaria ha assunto un ruolo di pressoché assoluta centralità nel controllo della pubblicità, in quanto gli interessi dei consumatori ad una pubblicità corretta hanno ricevuto protezione nella misura in cui l’Autodisciplina ha dato loro rilievo e tutela. 22 Dopo l’entrata in vigore del C.A. si è registrata una progressiva tendenza ad affidare sempre più frequentemente la soluzione delle controversie in materia di pubblicità al Giurì piuttosto che all’Autorità giudiziaria. L’esperienza storica realizzata in Italia dall’autodisciplina pubblicitaria mostra come sia possibile porre in essere un sistema di controllo privato all’interno di un intero settore economico-professionale idoneo a disciplinare una molteplicità di comportamenti individuali nell’interesse anche collettivo e generale. Il Codice, dal 1966 ad oggi, è stato modificato ben 47 volte, e questo è sintomo della volontà del mondo pubblicitario di adattarsi ai mutamenti sociali e legislativi intervenuti in materia. Le modifiche più significative furono quella del 1971, con cui si pose fine al periodo sperimentale; quella del 1975, con cui si diede più peso ai diritti dei consumatori passando dalla dimensione meramente deontologica a quella precettiva, sottolineata anche dal cambiamento di nome, da “Codice di lealtà pubblicitaria” a “Codice di autodisciplina pubblicitaria”; quella del 1990 con cui si passò dalla tutela indiretta del consumatore a quella diretta. 22 Guggino V., in Malagoli F.- Unnia F., La pubblicità comparativa, 2002, p. 77 ss. 38 L’attuale edizione è, appunto, la 47ª, in vigore dal 16 gennaio 2009 2.1.1. Esegesi delle norme Il Codice si occupa solo di una parte della disciplina del fenomeno pubblicitario: essa riguarda, infatti, i contenuti e la riconoscibilità dei messaggi commerciali. Non interviene, viceversa, su altri aspetti, quali ad esempio la quantità dei messaggi diffusi (affollamento), la collocazione di tali messaggi (ad esempio l'interruzione dei programmi televisivi), e tanto meno sugli aspetti di natura socioculturale legati alle conseguenze della comunicazione commerciale nel suo insieme. Sebbene provenga dal mondo imprenditoriale, professionale e dei media, “ha lo scopo di assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel processo economico, venga realizzata come servizio per il pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore.” 23 Si pone subito attenzione particolare verso l’unico soggetto cui è dedicata la tutela dell’intero codice, assicurando inoltre, che la pubblicità deve essere «onesta, veritiera e corretta». Nell’applicazione delle norme autodisciplinari, il Giurì si è preoccupato di individuare il tipo di consumatore che occorre assumere come parametro del giudizio di difformità del messaggio pubblicitario. Dopo aver inizialmente affermato che non 23 C.A. Norme preliminari e generali - Finalità del Codice lett. a) 39 può essere il consumatore smaliziato, ma il consumatore sprovveduto, ha poi accolto come criterio di valutazione dell’annuncio quello del consumatore meno critico. 24 Per quanto riguarda i soggetti vincolati la lett. b) delle Norme preliminari e generali comprende “utenti, agenzie, consulenti di pubblicità, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di pubblicità». Fanno parte dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria enti in rappresentanza delle imprese che investono in pubblicità, delle agenzie, dei mezzi e delle loro concessionarie, che arrivano a coprire circa il 90% del mercato pubblicitario. Ciò non toglie che ciascuno sia libero di aderirvi oppure no, e di recedere in ogni momento, salva la difficoltà per lui di trovare e di crearsi in concreto dei canali di attività pubblicitaria di fatto non condizionati dall’autoregolamentazione. Perciò il C.A. è vincolante: - per gli organismi costituenti 25, per gli organismi associati 26 all’Istituto di autodisciplina pubblicitaria e per i soggetti iscritti a tali associazioni; l’obbligazione di tali soggetti si fonda sul principio generale secondo cui le delibere associative consentite dallo statuto sono vincolanti per tutti gli iscritti all’associazione; 24 Ubertazzi, F. it., 1986, Parte I, p. 2948. 25 AssAP, Associazione Italiana Agenzie Pubblicità e Servizio Completo; FIEG, Federazione Italiana Editori Giornali; OTEP, Associazione Imprese Italiane di Pubblicità e Comunicazione; RAI, Radio Televisione Italiana; SIPRA, Società Italiana Pubblicità per Azioni; TP, Associazione Italiana Tecnici Pubblicitari; UPA, Utenti Pubblicità Associati 26 AAPI, Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane; ACPI, Associazione Consulenti Pubblicitari Italiani; AICUN, Associazione Italiana Comunicatori d’Università; ALBO, Associazione Albo 40 - per quelle associazioni che, pur non aderendo allo I.A.P., hanno tuttavia riconosciuto ed adottato il Codice 27; anche qui l’obbligatorietà si fonda sulle disposizioni dello statuto o sulle deliberazioni dell’associazione; - per coloro che, non aderendo allo I.A.P., né direttamente né indirettamente, hanno tuttavia concluso un contratto pubblicitario contenente una clausola di accettazione del Codice; - per i c.d. “aderenti anomali”, coloro che hanno accettato la competenza del Giurì non essendo vincolati allo stesso. Questa accettazione può avvenire o mediante ricorso al Giurì ex art. 36 C.A. 28, oppure mediante dichiarazione resa nel corso del giudizio autodisciplinare con cui si accetta espressamente il contraddittorio. 29 In tutti questi modi di accettazione della clausola, individuati dal Giurì in alcune sue decisioni, si deduce che per l’inserzionista che contrae con un soggetto aderente al C.A. l’unico modo per non essere soggetto a tale disciplina è l’espresso rifiuto di inserire la clausola nel contratto medesimo30. Ufficiale delle Organizzazioni Pubblicitarie; ASP, Associazione Italiana Agenzie di Promozione; FRT, Federazione Radio Televisioni; PPRO, Pubblicità Progresso 27 ACP, Associazione Concessionarie Pubblicità; AIAP, Associazione Italiana Creativi Comunicazione Visiva; AIPAS, Associazione Italiana Agenzie & Studi di Pubblicità; ANIPA, Associazione Nazionale Imprese Pubblicità Audiovisiva;FIP, Federazione Italiana Pubblicità 28 Giurì, 4/81, in Giuris. Compl. Giurì, Milano, 1986, p. 329 29 Giurì, 83/89, in Giuris. Pubbl. III, Milano, 1989, p. 307; 151/88, in Giuris. Pubbl. III, Milano, 1989, p. 135; 56/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 397; 20/80, in Giuris. Compl. Giurì, Milano, 1986, p. 294; 11/80, in Giuris. Compl. Giurì, Milano, 1986, p. 208; 32/78, in Giuris. Compl. Giurì., Milano, 1986, p. 123. 30 Trib. Roma, 30 gennaio 2001, in AIDA, 2001, 651: è stato ritenuto che la pronuncia del Giurì non potesse importare alcuna limitazione all’attività, anche pubblicitaria, della sig.ra Lambertucci, che non aveva mai sottoscritto la clausola di accettazione. 41 E’ anche opportuno sottolineare il principio secondo cui l’operatore pubblicitario deve in ogni momento essere in grado di dimostrare «la veridicità dei dati, delle descrizioni, affermazioni, illustrazioni e la consistenza delle testimonianze» contenute nei suoi messaggi a richiesta del Giurì o del Comitato di controllo (art. 6); in questo modo viene introdotto il principio dell’inversione dell’onere della prova, tipico dei sistemi di autoregolamentazione pubblicitaria, secondo cui non è chi contesta la verità di un messaggio a dover fornire la prova della sua falsità, ma chi si vale di tale pubblicità a dover provare la verità del messaggio e la conformità alle norme del Codice. Le norme del Codice di autodisciplina coprono buona parte dei possibili pericoli che si possono configurare nel rapporto tra pubblicità e minori. Tenuto conto soprattutto della fragilità emotiva e della malleabilità etica del minore, sono da ritenere validi strumenti di tutela gli articoli 8, 9 e 10 che rivestono un notevole valore sul piano civile e morale, in quanto vietano alla comunicazione commerciale: - lo sfruttamento della superstizione, della credulità e della paura; Art. 8 Superstizione, credulità, paura. La comunicazione commerciale deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura. La norma non reprime la suggestione pubblicitaria in quanto ingannevole e non è posta a presidio del valore della verità, ma reprime il plagio dei soggetti psichicamente più deboli attuato attraverso un abuso di questa condizione particolare 42 di vulnerabilità, la pubblicità che fa leva sulle negatività psichiche del consumatore maggiormente vulnerabile, cioè su debolezze legate ad istinti, bisogni elementari o credenze irrazionali. Soprattutto la paura, nella nostra analisi, deve intendersi come un sentimento concettualmente omogeneo alla superstizione e alla credulità, e cioè del tutto irrazionale e tale da rendere il destinatario vittima di una pressione psicologica alla quale, per i suoi precisi limiti culturali, non sia in grado di resistere e che lo induca a scelte commerciali ingiustificate. Tale concetto è interpretabile in senso estensivo fino aricomprendervi anche l’ansia delle madri per la salute dei figli nei primissimi mesi di vita. 31 - la violenza, la volgarità e l'indecenza; Art. 9 Violenza, volgarità, indecenza La comunicazione commerciale non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti. In relazione al divieto di pubblicità indecente o volgare è stato precisato che il limite di accettabilità di un messaggio deve individuarsi con riguardo al tenore medio della sensibilità sociale ed alla dialettica più attuale sull’argomento affrontato, nonché in considerazione del pubblico di riferimento 32 o di quello potenzialmente 31 Giurì, 63/88; nella fattispecie sono stati ritenuti allarmistici i toni con cui, nella pubblicità di un omogeneizzato, venivano evidenziati gli inconvenienti della tradizionale alimentazione per infanti. 32 Giurì 6/89, per un caso di pubblicità che si rivolgeva a bambini. 43 raggiungibile dal messaggio, anche se questo è intenzionalmente destinato a soggetti selezionati. 33 Per violenza si intende un evento d’urto, sia fisico che morale, che ci spinge contro la nostra volontà verso una direzione o uno scopo, a prescindere dal valore del suo contenuto. In applicazione del principio secondo cui la norma non può essere interpretata in modo da condurre ad un sindacato sul prodotto, sono stati ritenuti leciti un filmato a favore di un videogioco dove le scene di lotta rappresentata descrivevano il contenuto del prodotto pubblicizzato 34, mentre sono stati giudicati illeciti: un filmato per un giocattolo truculento che si soffermava sulle caratteristiche del prodotto diventando essa stessa una incitazione alla violenza. 35 Il contrasto con il divieto di violenza fisica è stato inoltre ravvisato per un annuncio che mostrava bambini nudi che correvano per sottrarsi alle sferzata di una verga. 36 Sono invece stati giudicati leciti: filmati nei quali la componente caricaturale o il tono ironico è stata ritenuta assorbente rispetto alle scene di violenza, sebbene solo per un pubblico adulto. 37 Per quanto riguarda i concetti di indecenza, volgarità e ripugnanza, poiché la nozione di comune senso del pudore è piuttosto vaga nei suoi confini ed in costante 33 Giurì, 186/92, 45/82: in relazione a comunicati diretti ad un pubblico adulto, ma attraverso mezzi di diffusione accessibili anche ai bambini. 34 Giurì 55/04. 35 Giurì 3/97 36 Giurì 224/02 37 Giurì 136/04 e 151/02. In entrambi i casi gli stessi spot sono stati giudicati in contrasto con l’art. 11 c.a. e la loro programmazione inibita prima delle ore 22.30, in considerazione della diversa decodifica delle immagini farsesche da parte del pubblico dei bambini. 44 evoluzione, e quello di volgarità è a sua volta un parametro socioculturale mutevole e di incerta fisionomia, nel giudizio ex art. 9 devono evitarsi sia atteggiamenti di palese rigore, sia atteggiamenti di palese lassismo. La norma ha trovato frequente attuazione per pubblicità che sfruttavano il ricorso alla suggestione sessuale. Anche qui, però, la presenza di elementi di umorismo e stira del costume sono stati ritenuti sufficienti ad evitare nel pubblico reazioni ostili. - l'offesa delle convinzioni morali, civili e religiose e della dignità della persona umana. Art. 10 Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini. Essa deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni. Essendo strumentale al raggiungimento di fini economici la pubblicità non deve configgere con valori di rango superiore come quelli individuati in questo articolo. Questo articolo tutela non solo l’ immagine della pubblicità ma anche la sensibilità di ogni consumatore. Inoltre il codice utilizza il termine cittadino per lasciare intravedere la distinzione tra le finalità puramente economiche della pubblicità nei confronti dei consumatori e i suoi aspetti extraeconomici che riguardano chiunque venga raggiunto dai suoi effetti. In particolare la tutela delle convinzioni religiose occupa un posto di primo piano in quanto viene protetto in armonia con la Costituzione come bene individuale prima che collettivo. Unico grande limite è la volgarizzazione innocua del dato religioso: ciò che appare difficile definire è il 45 concetto di irriverenza, in quanto su questo piano molti spot possono risultare inoffensivi ma, come ha anche affermato la Chiesa Cattolica, sono le modalità di trattamento non rispettose adottate dalla pubblicità a dover essere condannate L’immagine di bambini nudi che corrono per sottrarsi alle sferzate di una verga è stata ritenuta, nella stessa pronuncia citata precedentemente, anche in contrasto con tale articolo, in quanto lesivo della dignità della persona umana. Sono invece stati giudicati leciti: la fotografia di un bimbo di pochi mesi, nudo dalla cintola in giù e con le gambe allargate, in considerazione dell’età del soggetto e della conseguente naturalità della postura in cui era raffigurato 38 ed un filmato per elettrodomestici-giocattolo che mostrava bambine intente a giocare a fare le piccole donne di casa, assolto dall’accusa di proporre un modello sociale retrogrado e maschilista delle relazioni familiari. 39 Trattandosi di regole che considerano aspetti relativi alla morale, al costume, alla decoro, la loro applicazione presenta dei problemi di particolare complessità. Il dubbio circa l'applicabilità o meno di queste norme, è alimentato dal fatto che la violenza o la volgarità potrebbero essere parte integrante di messaggi ritenuti, nel complesso, ironici o “palesemente iperbolici” (art. 2 Pubblicità Ingannevole) e che in qualunque caso, nel giudicare, abbiamo visto che è necessario tener conto del cambiamento del costume generale. Messaggi che in passato hanno urtato la sensibilità della gente e che giustamente sono stati sospesi, magari oggi, verrebbero tollerati sia dal pubblico sia dagli organi 38 Giurì 150/01 46 autodisciplinari, perché evidentemente la soglia di decenza e di accettazione della volgarità si è notevolmente abbassata. Un altro articolo importante, a garanzia dell'incolumità dei bambini, è l'art. 12 riguardante comunicazioni commerciali relative a prodotti potenzialmente pericolosi per la salute, la sicurezza e l'ambiente. Art. 12 Salute, sicurezza e ambiente La comunicazione commerciale relativa a prodotti suscettibili di presentare pericoli, in particolare per la salute, la sicurezza e l'ambiente, specie quando detti pericoli non sono facilmente riconoscibili, deve indicarli con chiarezza. Comunque la comunicazione commerciale non deve contenere descrizioni o rappresentazioni tali da indurre i destinatari a trascurare le normali regole di prudenza o a diminuire il senso di vigilanza e di responsabilità verso i pericoli. Quando si tratta di prodotti suscettibili di presentare pericoli, specialmente se non possono facilmente essere riconosciuti come tali dal consumatore, la pubblicità deve indicarli con chiarezza. Non bisogna essere reticenti, nel timore che il consumatore possa impressionarsi fino a ricusare il prodotto, in quanto il rispetto della sua persona viene prima della logica del profitto. Come ha più volte ripetuto il Giurì, l’errore in cui cadono certi messaggi non consiste tanto nell’inosservanza dell’obbligo dell’avvertimento sulla pericolosità del 39 Giurì 82/02 47 prodotto, quanto nell’associare il prodotto pericoloso alla rappresentazione di situazioni che inducono alla deresponsabilizzazione dell’utente. La necessità di proteggere i più piccoli dal consumo di prodotti per loro potenzialmente nocivi viene ribadita negli articoli 22, 23 bis e 25, rispettivamente riferiti alla comunicazione commerciale delle bevande alcoliche, di integratori alimentari e prodotti dietetici e dei prodotti medicinali e trattamenti curativi. - Art. 22 Bevande alcoliche La comunicazione commerciale relativa alle bevande alcoliche non deve contrastare con l'esigenza di favorire l'affermazione di modelli di consumo ispirati a misura, correttezza e responsabilità. Ciò a tutela dell'interesse primario delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze connesse all'abuso di bevande alcoliche. In particolare la comunicazione commerciale deve evitare di:….rivolgersi o fare riferimento, anche indiretto, ai minori, e comunque rappresentare questi ultimi intenti al consumo di alcol… . Il divieto di rivolgersi o fare riferimento, anche indiretto, ai minori, ha formato oggetto di una pronuncia di inibitoria 40 per un messaggio che invitava i genitori a somministrare ai propri bambini un liquore all’uovo con funzioni energetiche. - Art. 23 bis Integratori alimentari e prodotti dietetici 40 Giurì 49/73 48 La comunicazione commerciale relativa agli integratori alimentari e ai prodotti dietetici non deve vantare proprietà non conformi alle particolari caratteristiche dei prodotti, ovvero proprietà che non siano realmente possedute dai prodotti stessi. Inoltre detta comunicazione commerciale deve essere realizzata in modo da non indurre i consumatori in errori nutrizionali e deve evitare richiami a raccomandazioni o attestazioni di tipo medico. Queste regole si applicano anche agli alimenti dietetici per la prima infanzia, a quelli che sostituiscono in tutto o in parte l'allattamento materno e a quelli che servono per lo svezzamento o per l'integrazione alimentare dei bambini. Una sola pronuncia è stata emessa in materia di prodotti per la prima infanzia, con riferimento al claim “a doppia digeribilità” in pubblicità per omogeneizzati, giudicato illecito dove, in assenza di qualsiasi chiarimento, l’espressione era decodificabile come attribuzione di massima digeribilità. - Art. 25 Prodotti medicinali e trattamenti curativi La comunicazione commerciale relativa a medicinali e trattamenti curativi deve tener conto della particolare importanza della materia ed essere realizzata col massimo senso di responsabilità nonché in conformità alla scheda tecnica riassuntiva delle caratteristiche del prodotto. Tale comunicazione commerciale deve richiamare l'attenzione del consumatore sulla necessità di opportune cautele nell'uso dei prodotti invitando in maniera chiara ed esplicita a leggere le avvertenze della confezione e non inducendo a un uso scorretto dei prodotti medesimi….. 49 Inoltre la comunicazione commerciale relativa alle specialità medicinali da banco o ai trattamenti curativi non deve:….rivolgersi esclusivamente o prevalentemente ai bambini o indurre i minori a utilizzare il prodotto senza adeguata sorveglianza… . L'Autodisciplina pubblicitaria ha di recente superato l'ambito iniziale del proprio controllo andando oltre il limite della sola pubblicità commerciale, e ciò con l'abbracciare anche il settore della pubblicità non profit o pubblicità sociale. Per realizzare tale obiettivo è stato aggiunto nel marzo 1995 l'art.46, che ricomprende nell’ambito di applicazione del Codice messaggi ai quali non sarebbe stata altrimenti riferibile la nozione di pubblicità precedentemente accolta dalle “definizioni” premesse nelle Norme preliminari e generali ed all’obbligo di informazione accompagna il divieto di sfruttare suggestioni derivanti dal problema sociale che l’iniziativa si propone di affrontare. Tale disposizione, al c. 4 lett e), si preoccupa specificatamente di tutelare i minori anche in questo ambito: Art. 46 Appelli al pubblico È soggetto alle norme del presente Codice qualunque messaggio volto a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici, o che sollecita, direttamente o indirettamente, il volontario apporto di contribuzioni di qualsiasi natura, finalizzate al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale… ….Per contro i messaggi non devono:….. sollecitare i minori a offerte di denaro. 50 Tuttavia ci sono due articoli specifici preposti alla protezione del minore in qualità sia di target o ricevente potenziale di messaggi commerciali, sia di consumatore di prodotti a lui esplicitamente rivolti. Art. 11 Bambini e adolescenti Una cura particolare deve essere posta nei messaggi che si rivolgono ai bambini e agli adolescenti o che possono essere da loro ricevuti. Questi messaggi non devono contenere nulla che possa danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente e non devono inoltre abusare della loro naturale credulità o mancanza di esperienza, o del loro senso di lealtà. In particolare questa comunicazione commerciale non deve indurre a: • violare norme di comportamento sociale generalmente accettate; • compiere azioni o esporsi a situazioni pericolose; • ritenere che il mancato possesso del prodotto oggetto della comunicazione significhi inferiorità, oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte dei genitori; • sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni dietetiche; • adottare l'abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o trascurare l'esigenza di seguire uno stile di vita sano; • sollecitare altre persone all'acquisto del prodotto oggetto della comunicazione. L'impiego di bambini e adolescenti nella comunicazione deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. 51 Il c. 1 della norma era già presente nel codice di lealtà pubblicitaria del 1966, ma con riguardo alla pubblicità “rivolta ai bambini”, e non anche agli adolescenti, né la tutela era espressamente estesa nei confronti della pubblicità ricevibile dai minori, ma solo nei confronti di quella ad essi indirizzata. Nel 1971 fu introdotto un divieto alle rappresentazioni che, avendo per protagonisti i bambini, potessero fornire “esempi moralmente o fisicamente pericolosi”. L’edizione del C.A. del 1975 introdusse anche gli adolescenti tra le categorie protette dalla norma ed estese il divieto ai messaggi anche soltanto ricevibili dai minori. Nella stessa edizione comparve il divieto di “sfruttamento” dei sentimenti degli adulti per i più giovani, poi sostituito nel 1982 con l’attuale divieto di “abuso”. Sempre la versione del C.A. del 1982 ha introdotto la previsione al c. 3 di divieti relativi a fattispecie specifiche, salvo quello di “sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni dietetiche” e quello di indurre bambini o adolescenti “ad adottare l’abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o trascurare l’esigenza di seguire uno stile di vita sano”, entrambi aggiunti con l’edizione del C.A. in vigore dal 22/07/2004. La prima parte della norma pone una tutela rafforzata a favore dei minori, sul presupposto della maggior vulnerabilità dei più giovani di fronte alla comunicazione altrui in generale e della considerazione che i modelli comportamentali e le modalità espressive proposte in pubblicità, tipiche del mondo degli adulti e per essi non dannose, possono divenirlo se recepite da un pubblico non ancora maturo e con una personalità in via di formazione. In tal senso è stato precisato che elementi narrativi 52 come l’ironia ed il grottesco, percepibili dagli adulti, difficilmente possono essere colti da un pubblico di minori e non rappresentano quindi una esimente alla violazione dell’art. 11. In ogni caso, in presenza di dubbi sulla liceità di una pubblicità, questi devono essere risolti a favore della tutela dei soggetti protetti. La norma impone quindi dei limiti alla libertà creativa degli inserzionisti al fine di evitare che la pubblicità proponga situazioni che possano essere causa di danno per l’equilibrio psicofisico dei minori, o che possano indurli a tenere comportamenti riprovevoli, asociali e pericolosi, stimolando lo spirito emulativo naturalmente insito nei più giovani o facendo leva sulla loro mancanza di esperienza (il principio si trova espresso nella sola pronuncia 96/91, ma è sottinteso dalla quasi totalità delle decisioni del Giurì). L’art. 11, prima parte, è inoltre volto ad impedire che la pubblicità interferisca negli equilibri familiari e vanifichi il ruolo di educatori dei figli che è demandato per legge ai genitori ed è quindi posta a salvaguardia degli interessi di quest’ultimi. La seconda parte è invece volta a tutelare la categoria degli adulti ( e non solo quella dei genitori) nel caso di pubblicità che faccia leva sulla vulnerabilità di questi nei confronti dei più piccoli, abusando per fini commerciali delle attenzioni, premure e preoccupazioni che normalmente sono rivolte al mondo dell’infanzia. La quasi totalità delle azioni autodisciplinari per violazione dell’art. 11 è stata promossa dal Comitato di controllo in rappresentanza dei consumatori. 41 Non par 41 Norme preliminari e generali, lett e) Definizioni; Il termine "consumatore" comprende ogni soggetto – persona fisica o giuridica come pure ente collettivo – cui è indirizzata la comunicazione commerciale o che sia suscettibile di riceverla. 53 dubbio, tuttavia, che la legittimazione ad agire spetti anche personalmente a chiunque sia suscettibile di ricevere il messaggio contestato, o a chi, nel caso dei minori, ne abbia la rappresentanza, sia esso consumatore o meno del prodotto promozionato. L’azione è stata anche promossa da imprese concorrenti dell’inserzionista. In quest’ultimo caso, però, l’iniziativa del concorrente non era autonoma, ma era consistita in un intervento ad adiuvandum rispetto al ricorso presentato dal Comitato di controllo. 42 La pubblicità rivolta a bambini ed adolescenti o da essi ricevibile. Il concetto di pubblicità ricevibile da bambini ed adolescenti, anche se ad essi non destinata, non ha mai formato oggetto di un esame specifico da parte della giurisprudenza autodisciplinare, ma è comunque individuabile attraverso l’esame di singole fattispecie sottoposte al vaglio del Giurì. Così, in relazione al mezzo di diffusione, sono stati ritenuti suscettibili di raggiungere il pubblico infantile, e quindi di un giudizio ex art. 11, messaggi veicolati attraverso affissioni o manifesti su trasporti pubblici 43, o giornali diretti primariamente ad una popolazione adulta, ma potenzialmente nella disponibilità anche dei più giovani. 44 Numerose pronunce del Giurì 45 hanno evidenziato come il mezzo televisivo, e più in generale quello iconico, sia il più pericoloso per i minori, specie quando sfrutta la chiave emozionale. Il linguaggio delle immagini, secondo tale giurisprudenza che richiama i più recenti studi di psicologia infantile, sfrutta la carenza di analisi critica 42 Giurì 136/02, 340/97. 43 Giurì 153/04, 119/01, 17/95. 44 Giurì 123/05, 306/01, 340/97, 12/81, 29/79. 54 del minore , ponendolo quindi in una situazione di svantaggio e di dipendenza rispetto ai messaggi così recepiti. Diverso invece è il messaggio verbale, scritto o parlato, per il quale la decodifica è guidata da criteri più razionali; conseguentemente non sono pertinenti le analogie tra gli elementi di paura o di violenza presenti nelle fiabe per bambini e quelli della pubblicità visiva, per sostenere la liceità di quest’ultima. 46 Scene di violenza caratterizzate dalla iperbole tipica dei cartoni animati (un gatto schiacciato dal passaggio di un ferro da stiro semovibile) sono state invece giudicate non dannose per i minori. 47 Sulla base di queste considerazioni la diffusione di filmati pubblicitari giudicati leciti per un pubblico adulto, ma inidonei ad essere visionati da minori, è stata spesso vietata nella fascia oraria antecedente alle ore 22.30, in applicazione dell’art. 16 C.A. Una interessante pronuncia ha ritenuto che un filmato, astrattamente suscettibile di provocare paura nei più piccoli, non contrastasse con l’art. 11 per il fatto di essere diffuso solo in sale cinematografiche, dove i bambini, oltre ad essere accompagnati da adulti, si attendono e sono quindi predisposti ad assistere a scene che escono dalla realtà. 48 Quanto ai prodotti pubblicizzati, l’applicabilità della norma è stata ritenuta anche nel caso di messaggi per beni destinati agli adulti (come ad esempio l’abbonamento ad un operatore telefonico, mobili da cucina o carta igienica), sia che fossero caratterizzati 45 Giurì 118/05, 153/04, 137/04, 93/01, 271/00, 170/98. 46 Giurì 151/02, 182/97, 3/97. 47 Giurì 101/01. 55 dalla presenza di protagonisti bambini o adolescenti, capaci di stimolare comportamenti imitativi nel pubblico dei coetanei, sia che i protagonisti fossero solo adulti. È stata tuttavia esclusa la rilevanza dell’art. 11 per un annuncio, pur dichiarato illecito per violazione dell’art. 10, che mostrava due vecchi su uno scooter nell’atto di scippare una ragazza, sul presupposto che l’età dei protagonisti non poteva stimolare comportamenti emulativi nei giovani, mentre la violazione della norma in commento è stata affermata per uno spot dove un anziano signore sfregiava la carrozzeria di un’auto. 49 Anche il concetto di adolescente, quale limite oltre il quale i primi tre commi cessano di essere applicabili, non ha trovato una definizione nella giurisprudenza autodisciplinare. Dalla pronuncia 7/79, che ha ritenuto assoggettabile alla norma un messaggio per un ciclomotore destinato espressamente ad utenti “dai 14 ai 18 anni”, può tuttavia desumersi che il concetto di adolescente, per le finalità proprie dell’articolo in questione, ricomprenda quantomeno i giovani fino al compimento della maggiore età. Il divieto generale di pubblicità dannosa e di abuso della credulità e mancanza di esperienza dei minori. Tale disposizione generale della norma ha trovato applicazione in casi non riconoscibili o non riconducibili unicamente in alcuna tra le fattispecie esemplificative di cui al c. 3, introdotte nella versione del C.A. in vigore dall’ottobre 1982. 48 Giurì 55-bis/04. 56 In relazione al divieto di arrecare un danno psichico a bambini ed adolescenti sono stati giudicati illeciti: - un filmato che riproduceva scene di tortura i cui aspetti caricaturali sono stati giudicati comprensibili solo da un pubblico adulto (Giurì 136/04); - radio comunicati caratterizzati da un linguaggio volgare e denso di doppi sensi riferiti alla sfera sessuale, ritenuto pericoloso per un sano sviluppo dei minori (Giurì 118/05); - un annuncio che mostrava in primo piano un corpo nudo e prono sulle cui natiche affondavano i tacchi a spillo di due stivali femminili (Giurì 119/05); - tre filmati nei quali nei quali il protagonista infilava il prodotto pubblicizzato negli slip, quale invito per il partner a riprendere l’oggetto in quella stessa posizione (Giurì 15/04); - una affissione di grandi dimensioni che mostrava una donna in bichini compiaciuta dei palpeggiamenti che le provenivano da più uomini (Giurì 153/04); - varie immagini di giovani ritratti in atteggiamenti provocatoriamente erotici (Giurì 133/02); - un commercial che mostrava bambini di 3-4 anni intenti a tenere uno spogliarello su un palcoscenico, alla presenza di un pubblico di altrettanti bambini, sul presupposto che potesse indurre a normalizzare un 49 Giurì rispettivamente 30/01 e 95/96. 57 comportamento estraneo all’istinto di un bambino, e cioè quello di spogliarsi a fini seduttivi (Giurì 271/00); - l’immagine di un uomo intento a tagliare un braccio, presumibilmente umano, con una sega (Giurì 349/98); - scene di violenza, pur se connotate da elementi grotteschi ed irreali ritenuti non percepibili dai minori (Giurì 208/95); - un filmato che attraverso la promessa di un premio induceva ad una attesa senza limiti di tempo davanti alla televisione, con un meccanismo ritenuto idoneo a condizionare la volontà dello spettatore (Giurì 183/92); - la pubblicità per pupazzi mostruosi accompagnata da espressioni che invitavano in modo molto realistico e macabro a sezionare cruentamente i piccoli mostri (Giurì 3/97, 6/89); - un annuncio che presentava l’immagine di un bambino e di una bambina in slip, con il primo che allarga le mutandine della seconda per guardarvi dentro (Giurì 104/88). Sono invece stati giudicati leciti: - un filmato nel quale la bugia di una bambina al padre provocava un paradossale intervento delle forze dell’ordine che smascheravano la piccola, ma con modalità non traumatizzanti (Giurì 108/04); - un filmato che mostrava, con le modalità iperboliche tipiche dei cartoons, un ferro da stiro che passava su un gatto schiacciandolo sul pavimento (Giurì 101/01); 58 - un commercial a favore di videocassette di film dell’orrore che riportava sequenze delle pellicole pubblicizzate, ritenute inidonee a produrre un effetto terrorizzante anche sui minori (Giurì 15/95); - un annuncio che mostrava una tuta mimetica intrisa di sangue appartenente ad un miliziano croato ucciso (Giurì 27/94); - un filmato per un apparecchio di depilazione in cui apparivano tre bambine non in funzione di utilizzatrici del prodotto (Giurì 101/89). In relazione al divieto di arrecare danno morale, una ipotesi particolare è stata individuata in pubblicità suscettibile di indurre nei più giovani comportamenti riprovevoli sul piano dei rapporti familiari o di interferire nella funzione educativa dei genitori, proponendo modelli e scelte che sono di competenza di quest’ultimi: - un filmato nel quale la figura materna appariva indifferente di fronte al comportamento riprovevole del figlio (Giurì 194/03); - un filmato che mostrava un atteggiamento di ostilità della figlia nei confronti del padre e l’assenza di comunicazione e dialogo tra i due (Giurì 99/97); - una pubblicità a favore di un servizio telefonico ambiguamente qualificato “assolutamente vietato ai minori di anni 18” al fine di attrarre l’attenzione proprio dei minorenni (Giurì 196/95); - un filmato che mostrava un adolescente il quale, di fronte ai rimproveri della madre, non risponde e si isola ascoltando musica con una cuffia stereo (Giurì 7/83); 59 - un annuncio in cui un bambino assumeva un atteggiamento di ricatto per ottenere il prodotto dolciario pubblicizzato (Giurì 29/79); - una pubblicità per pupazzi mostruosi che sollecitava nei bambini un comportamento sadico (Giurì 6/89). Inoltre sono stati giudicati moralmente dannosi: - un filmato che narrava un episodio di sequestro di un animale a scopo di estorsione, ritenuto idoneo a stimolare comportamenti emulativi (Giurì 81703); - un filmato nel quale il protagonista maschile subiva un grottesco allungamento dei capezzoli a seguito del consumo del prodotto pubblicizzato, peraltro costituito da un chewing-gum, i cui consumatori sono proprio i più giovani (Giurì 190/03); - uno spot dove compariva un minore intento a guardare in tv un film pornografico (Giurì 194/03); - degli annunci attraverso cartoons che proponevano immagini esplicitamente di carattere sessuale (Giurì 260/01); - due filmati che mostravano rispettivamente un giovane che sgambetta un cameriere del quale aveva tentato inutilmente di attirare l’attenzione, e un giovane che schizza con l’acqua di una pozzanghera il vigile che gli aveva poco prima elevato una contravvenzione (Giurì 366/00); - l’espressione “vestito per uccidere” nella head-line di un annuncio che raffigurava la schiena nuda e tatuata di un ragazzo (Giurì 313/00); 60 - le immagini di adolescenti che tengono comportamenti criminosi (Giurì 170/98). Sono stati invece giudicati leciti: - un filmato x elettrodomestici-giocattolo che mostrava bambine intente a giocare a fare le piccole donne di casa, assolto dall’accusa di proporre ai minori un modello sociale retrogrado e maschilista delle relazioni familiari (Giurì 82/02); - un filmato in cui un giovane scriveva con vernice spray su un muro, in considerazione dell’atteggiamento goffo e perdente del ragazzo, inidoneo a suscitare comportamenti emulativi (Giurì 18/02); - un annuncio che mostrava in primo piano una lingua appoggiata ad un occhio, giudicata un’immagine sgradevole ed anomala, ma non volgare (Giurì 6/01); - un annuncio dove un bambino dichiarava di volere il prodotto audio pubblicizzato “per diventare scemo come mio fratello”, in quanto manifestazione della legittima aspirazione dei preadolescenti a crescere e a diventare come i ragazzi più adulti (Giurì 69/96). Una sola decisone risulta emessa con specifico riguardo all’ipotesi di pubblicità suscettibile di arrecare un danno fisico ai minori, in particolare un danno alla salute, nel caso di uno spot per una caramella alla frutta che mostrava un bambino intento a svuotare il frigorifero di casa di tutte le verdure ivi contenute per darle al proprio 61 criceto, per poi masticare la caramella pubblicizzata mentre lo speaker affermava: “i ragazzi preferiscono la frutta”. 50 La violazione della norma per abuso della credulità o mancanza di esperienza dei più giovani è stata affermata: - per la definizione di una crema depilatoria con annessa spatola quale “kit con rasoio senza lama”, accompagnata da frasi rassicuranti sulla sicurezza del prodotto contro il rischio di tagli, così inducendo le consumatrici più giovani a trascurare lem cautele d’obbligo nell’uso di un gel depilatorio (Giurì 196/95); - per la pubblicità relativa ad un apparecchio presentato come capace di emettere impulsi coercitivi dell’altrui volontà (Giurì 7/85); - per un annuncio che prospettava la possibilità di trovare nel prodotto promozionato un minerale con oro, lasciando intendere che questo, contrariamente al vero, avesse un valore notevole e maggiore degli altri minerali normalmente acclusi alla confezione (Giurì 41/82). Sono state invece dichiarate lecite: - un commercial a favore di un gioco di cartomanzia, in considerazione del trattamento scherzoso del filmato (Giurì 5/97); - la pubblicità a favore di un’enciclopedia che associava l’uso del’’opera per ricerche scolastiche alla probabilità di promozione, sul presupposto che qualsiasi bambino è in grado di comprendere da sé la ridotta incidenza dell’attività di ricerca ai fini della promozione (Giurì 31/83); 50 Giurì 225/02. 62 - la pubblicità per un ciclomotore nella quale apparivano due giovani entrambi seduti sul mezzo in movimento, in violazione delle norme del codice stradale, in quanto è immagine non ritenuta idonea ad indurre in errore i giovani circa la sussistenza di un divieto ad essi ben noto (Giurì 7/79). Fattispecie nominativamente previste • violare norme di comportamento sociale generalmente accettate Si riferisce ad atti di tipo asociale o amorale, e non a comportamenti che rientrano nella normalità per dei bambini, quali mettere in disordine una cucina per preparare una torta, o correre seminudi per la casa sollecitando le cure igieniche della madre dopo aver assolto alle proprie necessità fisiologiche 51, né ad un comportamento di per sé riprovevole quando la stessa pubblicità ne fornisca una valutazione negativa, come un annuncio che mostrava ragazzi nell’atto di lanciare sassi da un cavalcavia e che condannava tale comportamento o un commercial nel quale tre bambini tentavano il furto di una mela e che si concludeva con il monito “eh bambini, le mele non si rubano” 52; la stessa pubblicità nella versione priva della frase di chiusura fu invece dichiarata illecita con la medesima pronuncia. Sono stati invece giudicati suscettibili di stimolare atteggiamenti contrari a norme comportamentali socialmente accettate: un filmato dove due giovani fidanzati si esibivano in rumorose flatulenze; un annuncio che mostrava, sebbene solo mediante la traccia lasciata dalle ruote, il percorso di una moto sul marciapiede, sopra un cagnolino e contro una staccionata, unitamente alla head-line “far acrobazie non è un 51 Giurì 30,85, 138/87. 63 reato”; un filmato dove una ragazza imbrattava deliberatamente il divano della padrona di casa; quello dove un’anziana signora minacciava di imbrattare il bucato della vicina di casa, sebbene senza realizzare la minaccia; un annuncio che mostrava lo specchietto laterale di un auto divelto ed infranto per l’invidia che un anonimo teppista provava per il prodotto reclamizzato. 53 • compiere azioni o esporsi a situazioni pericolose Non risultano pronunce relative a messaggi che esortassero direttamente a tenere un comportamento rischioso. Numerose invece le decisioni relative a pubblicità suscettibile di stimolare nei più giovani una condotta pericolosa indirettamente, attraverso la proposizione di situazioni capaci di indurre atteggiamenti imitativi. Non ogni comunicazione può tuttavia ritenersi idonea a stimolare un comportamento emulativo nei più giovani, ed il rischio è tanto minore quanto più le situazioni rappresentate appaiano eccezionali e fuori della realtà, potendosi in tal caso indurre una immedesimazione di tipo onirico, ma non un atteggiamento imitativo. È stato escluso che potessero indurre in azioni pericolose: una corsa in moto, nello stile di una fiction cinematografica, per salvare un nota modella dall’abbraccio della folla; un filmato che mostrava tre bambini intenti a miscelare in un secchio il detersivo per la casa pubblicizzato, sul presupposto che la mano di un adulto che compariva nel campo visivo lasciava comprendere che i bambini giocavano sotto il controllo di un maggiorenne e che gli attrezzi utilizzati erano normali oggetti domestici; la fotografia di un bimbo sorridente immerso nell’acqua del lavello di 52 Giurì 130/97 e 14/94. 64 cucina, in quanto irreale per la particolarità della realizzazione; l’immagine di una giovane estremamente magra e di una tavoletta di cioccolata, ritenuta inidonea a stimolare comportamenti anoressici o bulimici se non in soggetti già di per sé malati; un filmato per un asciugacapelli che mostrava una situazione di pericolo causata accidentalmente, e non volontariamente, dalla protagonista, e nel quale il rischio è stato ritenuto percepibile anche dai più piccoli grazie ad immagini di tipo cartoons. 54 Anche in presenza di pubblicità suscettibile di stimolare lo spirito emulativo di bambini ed adolescenti il contrasto con la norma è stato spesso negato quando il comportamento indotto poteva considerarsi abbastanza comune nei minori o relativo a pericoli dipendenti da fattori da essi controllabili. Sono stati pertanto giudicati leciti: la pubblicità che mostrava un gruppo di bambini intenti a giocare, in assenza di adulti, con una pasta per fare bolle colorate di cui fu accertata la non pericolosità; un commercial che rappresentava alcuni bambini intenti a preparare una torta gettando scompiglio nella cucina dei genitori, ma senza utilizzare accessori pericolosi; la pubblicità che mostrava un bambino nell’atto di arrampicarsi su di un armadio salendo su una sedia appositamente collocata sopra una scrivania. 55 Per contro sono stati sempre inibiti quei messaggi che inducevano i più giovani a tenere una condotta o ad esporsi a situazioni i cui pericoli fossero riconducibili a 53 Giurì 218/04, 95/00, 136/02, 172/04, 123/05. 54 Giurì 109/04, 17/02, 259/01, 296/00, 164/99. 55 Giurì 21/88, 30/85, 75/84. 65 fattori da essi non controllabili, come nel caso di pubblicità con i seguenti contenuti: uno spot dove una ragazza, al fine di fare spazio in casa, gettava dalla finestra i mobili dell’appartamento; un filmato che, pur in un contesto caricaturale, mostrava un lanciatore di coltelli; uno spot per l’album di un gruppo musicale con denominazione identica a quella di un farmaco antidepressivo e frasi allusive all’uso del prodotto inserite in un’atmosfera coinvolgente;un annuncio con l’immagine di padre, madre e due bambini con un sacchetto di carta calato sulla testa, giudicato idoneo a stimolare l’imitazione dei più piccoli utilizzando anche pericolosi sacchetti di plastica; uno spot che mostrava prove di abilità compiute da ragazzi con un ciclomotore; filmati per motocicli che, senza contenere immagini esplicite di alta velocità, suggerivano un uso pericoloso del mezzo a causa del susseguirsi rapido delle immagini stesse, della musica martellante, del contesto irreale; una mano che appicca il fuoco ad un finto boschetto in cui si svolge una breve avventura del pupazzo pubblicizzato; bambine di pochi anni intente ad utilizzare da sole una gelatiera domestica funzionante elettricamente e dotata di meccanismi di triturazione. 56 • ritenere che il mancato possesso del prodotto oggetto della comunicazione significhi inferiorità, oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte dei genitori 56 Giurì 137/04, 93/01, 157/98, 340/97, 178/98, 110/97, 32/84, 11/83. 66 Tale paragrafo ha trovato applicazione solo per la prima parte, cioè solo in riferimento al divieto di indurre a ritenere che il mancato possesso del prodotto pubblicizzato significhi inferiorità. È stato dichiarato illecito un messaggio che associava la disponibilità personale del prodotto, una cartella, alla possibilità di affermazione nei rapporti con i compagni di scuola (Giurì 106/87). Leciti invece un annuncio a favore di un dispositivo per la crescita del seno, sul presupposto che il messaggio non conteneva richiami suggestivi circa l’importanza di avere un seno più grosso, e quello per una enciclopedia ad uso scolastico, sul presupposto che l’attuale possibilità di accedere a biblioteche scolastiche o pubbliche esclude che il mancato possesso personale di un’opera generi un senso di inferiorità. 57 • sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni dietetiche • adottare l'abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o trascurare l'esigenza di seguire uno stile di vita sano Entrambi i paragrafi, introdotti nel 2004, rispondono alla esigenza di tutelare chi ancora non è dotato di un sufficiente senso critico, come i minori, e non alla volontà di scoraggiare la pubblicità che si rivolga a bambini o ad adolescenti. Nella fattispecie è stato giudicato in contrasto con la norma uno spot nel quale una bambina 57 Giurì 40/04, 31/83 67 riempiva una carriola con le merendine pubblicizzate per poi allontanarsi indisturbata con tale bottino sotto lo sguardo dei genitori (Giurì 167/05). Prima della introduzione delle nuove disposizioni, la pubblicità per alimenti destinati ai bambini è stata spesso giudicata sotto il profilo del divieto generale di arrecare un danno morale ai minori. La violazione del precetto è stata accertata per due annunci ritenuti idonei stimolare una immedesimazione dei bambini con il protagonista della pubblicità ed a suggerire ai più giovani una forma di ricatto nei confronti dei genitori, consistente nel rifiutare il cibo tradizionale per ottenere il prodotto dolciario pubblicizzato. 58 Anche in assenza di un esplicito ricatto nei confronti dei genitori, il Giurì ha ritenuto moralmente dannoso proporre il prodotto alimentare pubblicizzato in circostanze che lo facessero apparire come il soddisfacimento di un capriccio, nonché suggerire ai minori argomenti apparentemente razionali per giustificare il rifiuto del cibo tradizionale a favore del prodotto reclamizzato: un annuncio per un budino nel quale era raffigurato un bambino che rifiutava di mangiare,mentre la headline recitava “quando tuo figlio non ha appetito, sforzarlo fa male. Nutrilo con ciò che gli piace” o un filmato in cui una mmadre invitava spontaneamente il figlioletto a consumare il prodotto pubblicizzato in sostituzione di quello rifiutato dal piccolo e la voce dello speaker concludeva il commercial affermandone la valenza nutrizionale pari a quella di una bistecca (rispettivamente Giurì 12/81, 29/84). 58 Giurì 29/79, 12/81. 68 È stato invece giudicato lecito un annuncio a favore di compresse polivitaminiche proposte in sostituzione della verdure, rifiutata dal giovane protagonista della pubblicità, in quanto il carattere non voluttuario del prodotto è stato giudicato inidoneo a stimolare comportamenti imitativi (Giurì 86/91). Si è escluso inoltre il contenuto diseducativo di un filmato che mostrava bambini a scuola intenti a bere acqua direttamente dal rubinetto dei lavandini e suggeriva alle madri di dare ai figli la bevanda dolce pubblicizzata onde evitare che gli stessi per dissetarsi ricorressero ad abitudini poco igieniche (Giurì 24/91). • sollecitare altre persone all'acquisto del prodotto oggetto della comunicazione Suddetta nozione non comprende atteggiamenti naturali in un bambino e dettati dall’istinto della curiosità, come chiedere alla propria madre di acquistare un prodotto a cui è abbinato un concorso a premi, specie se nella pubblicità alla richiesta del bambino corrisponda nell’adulto un atteggiamento distaccato. La pubblicità che abusa dei sentimenti degli adulti per i più giovani. Questa previsione normativa ha trovato fin’ora applicazione in tre decisioni, tutte relative a prodotti alimentari. Un annuncio ritenuto idoneo a sfruttare la preoccupazione delle madri che il figlio non si nutra a sufficienza, e nel quale compariva il volto imbronciato di un bambino accanto alla minaccia di non mangiare se non gli fosse stato dato il prodotto pubblicizzato ed alla sub head-line, rivolta alla madre, “e tu sai di non cedere ad un capriccio” (Giurì 29/79). 69 Sono stati giudicati invece suscettibili di indurre un atteggiamento di deresponsabilizzazione nelle madri due messaggi che proponevano comode soluzioni per risolvere il problema dei figli restii ad alimentarsi con il cibo tradizionalmente offerto loro dai genitori e che abbiamo analizzato precedentemente. Le ultime disposizioni del presente articolo sono particolarmente interessanti in quanto cercano di evitare uno dei casi più frequenti di possibile “male” della pubblicità, il ricatto morale. Esso può presentarsi in due forme: come ricatto degli affetti dei genitori, sollecitati a non far mancare ai loro figli quello che viene presentato come un bene; i genitori vengono colpevolizzati se non acquistano un certo prodotto; i figli d'altra parte vengono spinti a chiederlo come un loro diritto, oppure come “confronto diretto fra coloro che sono beati possidentes di quel bene e coloro che non lo sono” 59, suscitando un turbamento psicologico nel soggetto, che si sente inferiore solo perché non è in possesso di quel prodotto. Art. 28 bis Giocattoli, giochi e prodotti educativi per bambini La comunicazione commerciale relativa a giocattoli, giochi e prodotti educativi per bambini non deve indurre in errore: • sulla natura e sulle prestazioni e dimensioni del prodotto oggetto della comunicazione commerciale; • sul grado di abilità necessario per utilizzare il prodotto; 59 M. Laeng, Quando la pubblicità televisiva fa male ai bambini, da Quaderni di documentazione pubblicitaria, Sacis 1985 70 • sull'entità della spesa, specie quando il funzionamento del prodotto comporti l'acquisto di prodotti complementari. In ogni caso, questa comunicazione non deve minimizzare il prezzo del prodotto o far credere che il suo acquisto sia normalmente compatibile con qualsiasi bilancio familiare. L’art.28 bis è stato introdotto con la edizione del C.A. dell’l/9/1982 con un testo corrispondente a quello attuale, ma avente ad oggetto la sola pubblicità per “giocattoli e giochi per bambini”. La dizione “e prodotti educativi” è stata aggiunta nella rubrica e nel primo alinea dell’art. 2 bis C.A. con la versione della norma in vigore dall’l/6/1996, estendendone l’applicabilità al caso di pubblicità per prodotti destinati ai bambini ma non propriamente definibili “giochi” o “giocattoli”. L’inganno sulle caratteristiche del prodotto. Il c.1 della norma costituisce una specificazione del divieto generale di pubblicità ingannevole applicato al settore dei prodotti destinati ai bambini e con riferimento alle caratteristiche di tali prodotti nominativamente individuate nella stessa norma. La ratio non mistificare la realtà nei confronti dei bambini e di abituarli al rispetto della verità,anche quando si proponga loro un oggetto, come un giocattolo, che stimola ed aletta la capacità di fantasticare non contiene invece alcun limite espresso circa i destinatari della tutela apprestata, sicché l’errore di cui è vietata l’induzione deve considerarsi tanto quello dei più piccoli, diretti interessati alla categoria di prodotti pubblicizzati, quanto l’equivoco in cui sono suscettibili di cadere gli adulti, anch’essi potenziali fruitori della pubblicità per giocattoli o prodotti educativi nella loro qualità do acquirenti dei beni a favore dei 71 più giovani. In particolare appare preordinato più alla tutela degli adulti che a quella dei bambini il 2° alinea della norma, il quale vieta di indurre in errore circa il grado di abilità necessario per utilizzare il prodotto pubblicizzato e tende pertanto ad evitare il tipico equivoco dell’adulto che acquista un prodotto non idoneo all’età del bambino a cui è destinato. La norma, infine, tutela anche i concorrenti dell’inserzionista, i quali potrebbe derivare un danno dallo sviamento che la pubblicità in violazione dell’art. 28 – bis. E’ stato precisato, in relazione ad un filmato che mostrava un giocattolo in situazione ambientata ed unitamente a pezzi non compresi nella confezione pubblicizzata, che l’equivoco sulle caratteristiche e sulla composizione del prodotto non può essere esclusa per il fatto che compaiono in sovraimpressione avvertenze quali “azione simulata” e “veicoli non inclusi”, non comprensibili per bambini tra i 5 ed i 10 anni (Giurì 6/97). Con riguardo al divieto di indurre in equivoco sulla entità della spesa, Giurì 1/84 ha ritenuto lecita la pubblicità di un home-computer per videogiochi il cui prezzo veniva presentato come “tutto compreso” benché nel prodotto non fosse incluso l’accessorio della videocassetta, sul presupposto che, non essendo prassi commerciale includere nel prezzo del tipo di apparecchio in questione il prodotto complementare costituito dalla cassetta, l’annuncio non era idoneo ad indurre in errore sull’ammontare della spesa complessiva. Divieto di minimizzare il prezzo. Deve porsi in relazione sia alla incapacità dei più piccoli di valutare la eventuale sproporzione tra la promessa pubblicitaria e il prodotto realmente offerto, sia in considerazione del fatto che, anche in assenza in 72 sproporzione, la convinzione che un bene abbia un basso costo può indurre il bambino a sentirsi autorizzato a desiderarlo ed a chiederlo ai genitori, creando un meccanismo psicologico diseducativo per i più piccoli ed un possibile effetto frustrante per gli adulti che non condividano l’assunto secondo cui il prodotto ha un prezzo contenuto, nella fattispecie è stata censurata l’affermazione “solo 19.900 lire” riferita al giocattolo pubblicizzato e presentato come “vero treno elettrico superexpress” 60 , benché non fosse che un trenino in materia plastica. La norma appare come una particolare applicazione dei divieti, disposti in via generale dall’art. 11 C.A., della credulità e mancanza di esperienza dei bambini e di indurre gli stessi a sollecitare altre persone all’acquisto dei prodotti pubblicizzati. La norma tutela pertanto sia l’interesse dei consumatori non acquirenti (e cioè i bambini), sia quello degli acquirenti non consumatori del prodotto pubblicizzato (e cioè gli adulti), nonché l’interesse dei concorrenti dell’inserzionista. L’uso della espressione “a sole L” per individuare il prezzo di un giocattolo è stato sempre dichiarato illecito, in quanto idoneo a conferire agli occhi dei bambini una valutazione minimizzante del costo del prodotto, anche indipendentemente da un accertamento nel suo reale valore. 2.1.2 Giurì e Comitato di Controllo Per l'applicazione e il controllo delle regole in esso contenute il Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale prevede, al Titolo III, la 60 Giurì 159/89. 73 costituzione e il funzionamento di due organi, entrambi facenti capo all'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria: il Giurì, organo giudicante con funzioni essenzialmente giurisdizionali, ed il Comitato di Controllo, organo tecnico con funzioni di tipo tutorio a cui si attribuisce anche il potere di promuovere azione davanti al Giurì per la tutela dei consumatori. Il Titolo IV regola l’azione procedurale e le sanzioni di chi non si conforma alle decisioni dei membri incaricati. La legittimazione ad agire è uno degli aspetti qualificanti del Codice, il quale non pone limitazioni all'assunzione dell'iniziativa, stabilendo all'art. 36 che «Chiunque ritenga di subire pregiudizio da attività pubblicitarie contrarie al Codice di Autodisciplina può richiedere l'intervento del Giurì nei confronti di chi, avendo accettato il Codice stesso in una qualsiasi delle forme indicate nelle Norme Preliminari e Generali, abbia commesso le attività ritenute pregiudizievoli». In primo luogo sono dunque legittimati i concorrenti ed il singolo consumatore61; le associazioni dei consumatori, saranno legittimate solo nel caso di violazione dell’art. 2. Inoltre il Giurì ha riconosciuto la legittimazione ad agire alle associazioni di categoria degli imprenditori, quando l’attività dei propri associati può essere colpita dalla pubblicità di un imprenditore concorrente62, ed ai rappresentanti di un raggruppamento politico ma solo in violazione dell’art. 1. 61 Giurì, 97/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 500 62 Giurì, 4/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 290 74 Per esercitare l’azione davanti al Giurì ci vuole un interesse concreto ed attuale63, non è pertanto sufficiente l’astratta aspirazione al rispetto del C.A.. I cittadini-consumatori, così come le associazioni che li rappresentano, possono gratuitamente inoltrare segnalazioni al Comitato di controllo sui messaggi non ritenuti conformi alle norme del C.A. che tutelano i loro interessi. Se il Comitato riconosce fondata la segnalazione la fa propria contattando direttamente l'inserzionista per chiedere chiarimenti o modifiche del messaggio, o trasformandola in un'ingiunzione di desistenza o in una formale istanza al Giurì. In ogni caso, il Comitato dà adeguata risposta al segnalatore esponendo i motivi della sua scelta. Le aziende, in genere, presentano diretta istanza al Giurì. «I mezzi pubblicitari che direttamente o tramite le proprie Associazioni hanno accettato il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, sono tenuti a osservarne le decisioni» (art. 41 Effetto vincolante delle decisioni del Giurì) pertanto, in caso di non conformità al C.A. è prevista la cessazione del messaggio e, in casi particolarmente gravi o di recidiva, la pubblicazione dell’estratto della decisione, solitamente sui mezzi che hanno diffuso il messaggio dichiarato non conforme (art. 42 Inosservanza delle decisioni). Il Comitato di Controllo è l’organo inquirente che promuove l’azione disciplinare oltre che d’ufficio, anche su segnalazioni provenienti dall’esterno, «è composto da dieci a quindici membri nominati dall'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria e 63 Giurì 97/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 500 75 scelti tra esperti di problemi dei consumatori, di tecnica pubblicitaria, di mezzi di comunicazione e di materie giuridiche» (art. 30). Ha anzitutto il compito di vigilare sull’applicazione e sul rispetto delle norme autodisciplinari poste a tutela dei consumatori e della pubblicità. Qualora ritenga che queste norme siano state violare, è legittimato a promuovere il procedimento avanti al Giurì. Il Comitato è quindi anzitutto un “organismo con funzioni inquirenti, equiparabili per grandi linee a quelle del Pubblico ministero dell’ordinamento statuale”. 64 Inoltre è un organo consultivo, in quanto esprime pareri (non vincolanti) su richiesta del Giurì (art. 32 c. 3) A seguito dell’attribuzione al presidente del potere di emettere ingiunzioni di desistenza, non si può negare al Comitato anche la natura di organo giudicante. I membri del Comitato di controllo durano in carica due anni e sono riconfermabili. L'Istituto nomina tra i membri del Comitato il presidente e i vicepresidenti. Competenze: - su segnalazione di consumatori, di loro associazioni, o direttamente in funzione del monitoraggio svolto dai componenti del Comitato medesimo e dalla Segreteria dell'Istituto, sottopone al Giurì la pubblicità ritenuta non conforme alle norme del Codice che tutelano il consumatore e la pubblicità; - può invitare in via preventiva a modificare la pubblicità che ritiene non conforme al Codice; 64 Fusi M., Diritto dell’informazione e dell’informatica 1991, p. 512. 76 - emette ingiunzioni di desistenza nei confronti di pubblicità manifestamente contrarie a norme del Codice; - su richiesta della parte interessata, esprime in via preventiva il proprio parere su messaggi pubblicitari non ancora diffusi. Ricevute le segnalazioni il Comitato le esamina: se non vi trova niente di scorretto procede per l’archiviazione e la pratica sarà risolta in via breve, altrimenti decide di procedere richiedendo dimostrazione di verità dagli operatori od eventuale modifica o cessazione del messaggio pubblicitario (è possibile per l’azienda evitare la fase del giudizio mediante una spontanea e tempestiva modifica della campagna pubblicitaria da lanciare). Su richiesta della parte interessata, esprime in via preventiva il proprio parere, circa la conformità alle norme del Codice che tutelano l'interesse del consumatore, della pubblicità sottopostagli in forma definitiva ma non ancora diffusa. Infine il Comitato delibera con procedimento abbreviato, per manifesto contrasto con il C.A. (art. 39), inviando un’ingiunzione di desistenza al diretto interessato oppure delibera in via ordinaria inviano l’istanza al Giurì. Il tempo intercorrente tra la segnalazione del caso e la sua definizione va da 2 a 15 giorni. Il Giurì è l’organo giudicante del sistema, «composto da un numero di membri compreso fra nove e quindici, nominati dall'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria e scelti fra esperti di diritto, di problemi dei consumatori, di comunicazione» (art. 29) è presieduto, di regola, da un alto magistrato a riposo ed è assolutamente 77 indipendente dal sistema pubblicitario. I membri del Giurì durano in carica due anni e sono riconfermabili. Competenze: - esamina la pubblicità che gli viene sottoposta, dal Comitato o da aziende, e si pronuncia su di essa secondo il Codice, con decisione definitiva; - se la decisione stabilisce che la pubblicità è contraria al Codice, ordina agli interessati di desistere da immediatamente dalla sua diffusione; i mezzi pubblicitari sono impegnati a osservare la decisione; - può ordinare la pubblicazione per estratto della sua decisione; in caso di inosservanza della decisione, il Giurì dispone che se ne dia notizia al pubblico (Art. 40 Pubblicazione delle decisioni). La diffusione al pubblico della pronuncia è comminabile non solo quando l’illecito autodisciplinare coinvolge interessi dei consumatori, ma anche quando comporta un pregiudizio all’impresa altrui. La “pubblicazione” (intesa in senso ampio, che trascende l’organo della stampa) della decisione del Giurì ha infatti natura di vera e propria sanzione con funzioni riparatorie del pregiudizio subito dai consumatori o dall’impresa concorrente ha la finalità di ristabilire le regole violate anche a scopo di orientamento degli operatori. Le istanze arrivano dal Comitato di Controllo, da parti private per concorrenza di pubblicità sleale o in seguito all’opposizione fatta all’ingiunzione di desistenza. Il Giurì, minimo di 3 membri, nomina un relatore tra gli stessi membri del Giurì, comunica alle parti per la presentazione di deduzioni, assegna loro un termine di pochi giorni (non minore di otto e non maggiore di dodici giorni liberi lavorativi) 78 infine convoca le parti per le esposizioni orali delle ragioni dell’attore e di quelle del convenuto in udienza, con possibilità di successive brevi repliche. Vengono sentiti anche legali e vi partecipa anche un membro del Comitato di Controllo Il Giurì entra in camera di consiglio per la decisione che sarà poi stesa dal relatore. In caso di non conformità al Codice viene ordinata la cessazione della pubblicità e nei casi gravi o di recidiva, anche la pubblicazione dell’estratto della pronuncia sugli stessi mezzi che hanno diffuso il messaggio riprovato. Il Giurì delibera in unico grado, con un sistema che, seppur essenziale, garantisce i principi fondamentali propri dei procedimenti giurisdizionali; inoltre la decisione è valida anche per tutti coloro che pur non essendo stati “parte” nel giudizio, sono comunque aderenti al sistema di Autodisciplina. Il tempo medio intercorrente tra l'inoltro dell'istanza e la definizione del caso è di circa 20 giorni. Il sistema autodisciplinare, nella consapevolezza della rapidità e ampiezza di diffusione dei messaggi pubblicitari e quindi della rigorosa necessità di provvedere a bloccare al più presto quelli contrari alle norme del Codice, si è impegnato in una costante ricerca di abbreviare al massimo i tempi dei propri interventi. È così che gli organi dell'Autodisciplina, che in una fase iniziale riuscirono a tradurre in mesi gli anni impiegati dalla magistratura ordinaria, hanno successivamente raggiunto un'efficienza ancora maggiore, scendendo a una media complessiva che si aggira sulle tre settimane, e ciò a fronte dei tre mesi per i provvedimenti 79 amministrativi dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di circa un anno degli arbitrati e degli anni dei processi civili. Per di più la pronuncia del Giurì è definitiva: una limitazione accettata dagli stessi operatori pubblicitari proprio per accelerare la soluzione dei casi e avere nel contempo linee-guida utili per tutti i casi consimili. In una sentenza la Corte d’Appello di Milano ha statuito che le pronunce del Giurì «non sono suscettibili di impugnativa davanti al Giudice ordinario, né possono essere da questo sindacate, ponendosi su di un piano meramente privato e di piena autonomia delle parti»65. Peraltro rapidità e limiti non hanno nuociuto alla validità delle pronunce, che per unanime riconoscimento sono di alto livello, quale può essere assicurato da un collegio giudicante formato da esperti di profonda dottrina e specifica competenza, tutti esterni all'attività pubblicitaria e posti in condizione di giudicare con assoluta indipendenza e imparzialità. La magistratura ordinaria, con l'avvento del sistema autodisciplinare, ha visto drasticamente diminuire il numero delle cause in questo settore; la quantità di interventi operati dal sistema autodisciplinare supera quella di numerosi organismi deputati ad intervenire in materia di pubblicità e ciò a partire dagli anni Ottanta, dopo che il sistema autodisciplinare, forte di una quindicina d'anni di positiva esperienza, esprimeva già in larga misura la sua capacità di intervento grazie a norme e procedure 65 App. Milano, 11 giugno 2002 ha ritenuto improponibile la domanda volta all’annullamento, da parte del Giudice ordinario, di una pronuncia del Giurì che aveva accertato l’imitazione servile pubblicitaria per agganciamento (art. 13, 2° co. del C.A.P.) a causa dell’uso, di un noto marchio di vini per pubblicizzare dei gelati. 80 capaci di colmare le falle rappresentate da inadeguate normative e da procedure di intervento non adeguate alle necessità del settore. Questa tempistica, sebbene più rapida dell’Autorità giudiziaria, poteva essere considerata non sufficiente ad arginare i danni causati di una campagna di comparazione illecita i cui effetti in termini di pregiudizio all’immagine aziendale e di riduzione delle vendite possono essere potenzialmente gravi. Per quanto riguarda i rapporti tra il provvedimento autodisciplinare del Giurì e quello amministrativo dell’Autorità garante si rimanda all’analisi delle norme contenute nel Codice del Consumo agli artt. 27, 27-bis e 27-ter, introdotti con il d. legisl. 146/07, che è del tutto speculare a quella contenuta nel d. legil. 145/07 agli artt 8 e 9. 2.2 Codice di Autoregolamentazione tv e minori Altra iniziativa di autodisciplina ha recentemente riguardato il solo settore dei media. Infatti, le aziende televisive pubbliche e private e le emittenti televisive aderenti alle associazioni firmatarie 66 hanno per la prima volta elaborato e sottoscritto a Roma, in data 26 Novembre 1997, un codice di comportamento nei rapporti fra Tv e minori, il c.d. “Codice Prodi”. 66 Sottoscritto da RAI (dal Presidente prof. Enzo Siciliano e dal Direttore Generale dott. Franco Iseppi), da MEDIASET (dal Presidente dott. Fedele Confalonieri), da CECCHI GORI COMMUNICATIONS (dal Presidente dott. Biagio Agnes), dalla F.R.T – FEDERAZION RADIO TELEVISIONI (dal Presidente dott. Filippo Rebecchini), da A.E.R.-ASSOCIAZIONE EDITORI RADIOTELEVISIVI (dal Presidente avv. Marco Rossignoli). 81 L'idea di adottare un Codice di autoregolamentazione per disciplinare il rapporto tra la televisione e i minori è nata da una doppia esigenza: da un lato quella di una norma chiara e univoca che ponesse dei criteri vincolanti per tutte le emittenti, dall'altro quella di conservare intatta la libertà di espressione e di informazione, costituzionalmente garantita, che si esercita anche nella comunicazione televisiva. Il nuovo Codice di autoregolamentazione per la TV e i minori è stato firmato il 29 novembre 2002 presso il Ministero delle comunicazioni dai rappresentanti delle grandi televisioni, quindi da "Rai", "Mediaste" e "La7", oltre che dalle associazioni che raggruppano centinaia di televisioni minori e locali operanti nel Paese. Promotore e artefice principale del documento è stato il Ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, e non a caso la carta è comunemente definita "Codice Gasparri". La stesura del testo definitivo è frutto di mesi di lavoro ed ha visto riunita intorno ad un tavolo una commissione composta dai rappresentanti delle emittenti, degli utenti e delle associazioni di consumatori, nonché dai delegati delle istituzioni. Essa ha svolto la sua delicata attività avvalendosi della consulenza di numerosi esperti. In occasione della firma, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha inviato una lettera al ministro Gasparri, nella quale afferma che “la società in cui viviamo è caratterizzata da una forte presenza dei media, che influisce su bambini e adolescenti. Per evitare i condizionamenti negativi di messaggi distorti, violenti o mistificati – ha scritto il Capo della Stato - è necessaria una strategia chiara e consapevole da parte delle istituzioni, a garanzia dei diritti dei minori”. Il ministro 82 delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, ha rilevato che “ora finalmente abbiamo lo strumento per intervenire in caso di violazioni”. Il primo aspetto importante di questo Codice può essere individuato nella parte riguardante la diffusione. Forse sottovalutata in passato, questa rappresenta un elemento essenziale dell'ordinamento televisivo, in quanto soltanto un'attenta e continuativa diffusione del Codice di autoregolamentazione permette il coinvolgimento dei cittadini, dando loro la possibilità di constatare la corretta applicazione dello stesso ed eventualmente di denunciarne l'inosservanza, la quale viene poi di fatto verificata e gestita da un apposito Comitato di controllo. Infatti, il Codice non si limita alla mera elencazione di norme e principi, ma istituisce anche (e questa è un'altra rilevante novità del regolamento) un Comitato di attuazione in cui sono rappresentati pariteticamente i rappresentanti delle emittenti televisive e delle associazioni sottoscrittrici. Il Comitato ha la funzione di certificare la fondata esistenza di violazioni del Codice e di trasmettere le relative denunce all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale metterà in atto i poteri sanzionatori previsti dalla legge. E la sanzione rappresenta un altro aspetto importante introdotto in questo Codice autoregolamentativo. Infatti l'articolo 10 prevede un'adeguata pubblicità, da parte sia dell'Autorità, sia del Comitato di applicazione, per le sanzioni inflitte in caso di violazione. E' da evidenziare a questo proposito come il Comitato abbia agito, in un primo tempo, esclusivamente come organo di controllo nei confronti delle emittenti, per la verifica appunto del rispetto delle norme di autoregolamentazione, ma si sia 83 successivamente trasformato in un necessario ed opportuno punto di incontro e di confronto tra le aziende televisive e le associazioni, con intenti propositivi di sensibilizzazione delle istituzioni e dell'utenza sulle problematiche del rapporto tra TV e minori, nella convinzione generale che le regole del Codice siano "paletti" di imprescindibile delimitazione della condotta televisiva. Nel Codice sono quindi previsti maggiori controlli, accertamenti e poteri di intervento da parte del Comitato, allo scopo di punire le emittenti televisive non in regola. Inoltre, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni attraverso le segnalazioni inoltrate dal Comitato può realizzare, in caso di violazioni di legge, la sua attività sanzionatoria e coercitiva in maniera più spedita e trasparente. 2.2.1. Esegesi delle norme Come si può ricavare dalla Premessa , il Codice "è rivolto a tutelare i diritti e l'integrità psichica e morale dei minori, con particolare attenzione e riferimento alla fascia di età più debole (0-14 anni)", in più le imprese televisive non devono solo impegnarsi a rispettare la normativa vigente a tutela dei minori, ma anche "a dar vita a un codice di autoregolamentazione che possa assicurare contributi positivi allo sviluppo della loro personalità ( dei bambini ) e comunque che eviti messaggi che possano danneggiarla nel rispetto della Convenzione ONU, che impegna ad adottare appropriati codici di condotta, affinché il bambino/a sia protetto da informazioni e materiali dannosi al suo benessere". 84 Le basi su cui si fonda il Codice di autoregolamentazione, indicate nella sua Premessa , risiedono nella constatazione che "l'utenza televisiva è costituita, specie in alcune fasce orarie, anche da minori", e che "il bisogno del minore a uno sviluppo regolare e compiuto è un diritto riconosciuto dall'ordinamento giuridico nazionale e internazionale". Afferma ancora la Premessa del Codice che "la funzione educativa, che compete innanzitutto alla famiglia, deve essere agevolata dalla televisione al fine di aiutare i minori a conoscere progressivamente la vita e ad affrontarne i problemi", e che "il minore è un cittadino soggetto di diritti; egli ha perciò diritto a essere tutelato da trasmissioni televisive che possano nuocere alla sua integrità psichica e morale, anche se la sua famiglia è carente sul piano educativo". Viene infine stabilito che "riconosciuti i diritti di ogni cittadino-utente e quelli di libertà di informazione e di impresa, quando questi siano contrapposti a quelli del bambino, si applica il principio di cui all'art. 3 della Convenzione ONU secondo cui i maggiori interessi del bambino/a devono costituire oggetto di primaria considerazione". Nei Principi generali del Codice sono indicate invece le importanti prescrizioni a carico delle imprese televisive, le quali s'impegnano a: • migliorare ed elevare la qualità delle trasmissioni televisive destinate ai minori; • aiutare gli adulti, le famiglie e i minori ad un uso corretto ed appropriato delle trasmissioni televisive, tenendo conto delle esigenze del bambino; • collaborare col sistema scolastico per educare i minori ad una corretta e adeguata alfabetizzazione televisiva; 85 • assegnare alle trasmissioni per minori del personale appositamente preparato e di alta qualità; • sensibilizzare il pubblico ai problemi della disabilità, del disadattamento sociale e del disagio psichico in età evolutiva; • sensibilizzare ai problemi dell'infanzia tutte le figure professionali coinvolte nella preparazione dei palinsesti o delle trasmissioni; • diffondere presso tutti i propri operatori il contenuto del Codice di autoregolamentazione TV e minori. In concreto il Codice è composto di due parti, di cui la prima è quella in cui sono stabilite le norme di comportamento . Esse prevedono innanzitutto che la partecipazione dei minori alle trasmissioni televisive deve avvenire sempre "con il massimo rispetto della loro persona, senza strumentalizzare la loro età e la loro ingenuità, senza affrontare con loro argomenti scabrosi e senza rivolgere domande allusive alla loro intimità e a quella dei loro familiari". La programmazione televisiva nella fascia c.d. per tutti (dalle 7.00 alle 22.30) comporta particolari cautele, perché "deve tener conto delle esigenze dei telespettatori di tutte le età, nel rispetto dei diritti dell'utente adulto, della libertà di informazione e di impresa, nonché del fondamentale ruolo educativo della famiglia nei confronti del minore". Nella presunzione che in questa fascia oraria i minori davanti al piccolo schermo siano presumibilmente controllati da un adulto, le emittenti s'impegnano "a dare esauriente e preventiva informazione relativamente ai programmi dedicati ai 86 minori e sull'intera programmazione, segnalando in particolare i programmi adatti ad una fruizione familiare congiunta e quelli invece adatti ad una visione per un pubblico più adulto" e ciò con particolare attenzione ai programmi messi in onda in prima serata, tra i quali le imprese televisive nazionali con più di una rete dovranno necessariamente garantire almeno un prodotto adatto alla visione dell'intera famiglia. Particolare attenzione è rivolta, poi, sia ai programmi di informazione, che non devono contenere "scene che, comunque, possano creare turbamento o forme imitative nello spettatore minore" e "notizie che possano nuocere alla integrità psichica o morale dei minori", sia ai film, fiction e spettacoli vari, nei quali deve essere tutelato il benessere morale, fisico e psichico dei minori, sia, infine, alle trasmissioni di intrattenimento, al cui interno devono essere evitati "quegli spettacoli che per impostazione o per modelli proposti possano nuocere allo sviluppo dei minori". Anche la programmazione della fascia protetta viene disciplinata. La c.d. televisione per i minori (dalle 16.00 alle 19.00) è infatti tutelata con specifici controlli sulle trasmissioni, sui promo , sui trailer e sulla pubblicità. In tale contesto, le imprese televisive nazionali con più di un canale sono obbligate a diffondere, nella suddetta fascia oraria, prodotti appositamente destinati ai minori, i quali siano "di buona qualità e di piacevole intrattenimento" e consentano ai minori la formazione di una coscienza critica, "in modo che sappiano fare migliore uso del mezzo televisivo". Inoltre il Codice TV incentiva le imprese televisive alla realizzazione di contenuti 87 informativi rivolti ai minori, "possibilmente curati dalle testate giornalistiche in collaborazione con esperti di tematiche infantili e con gli stessi minori". Per ciò che riguarda il nostro tema, nella prima parte vi è una analisi specifica ed una regolamentazione approfondita della Pubblicità al 4° paragrafo. Il Codice si sforza, infatti, di tutelare quella porzione di pubblico che ha una minore capacità di giudizio e di discernimento nei confronti dei messaggi pubblicitari, attraverso il riconoscimento di validità delle norme contenute nel Codice, di autodisciplina pubblicitaria, che abbiamo precedentemente analizzato e che considera sua parte integrante. Perciò le reti televisive sono impegnate "a non trasmettere pubblicità e autopromozioni che possano ledere l'armonico sviluppo della personalità dei minori o che possano costituire fonte di pericolo fisico o morale per i minori stessi, dedicando particolare attenzione alla fascia protetta". Le emittenti, in particolare, devono rispettare, nei loro messaggi pubblicitari, tre livelli di protezione : • il primo, generale (valido per tutte le fasce orarie di programmazione), impone alle pubblicità di non presentare i minori come protagonisti impegnati in atteggiamenti pericolosi, di non rappresentarli intenti al consumo di alcool, tabacco o sostanze stupefacenti, di non abusare della loro naturale credulità per esortarli ad effettuare acquisti ed infine di non indurli in errore circa le caratteristiche (quali che esse siano) dei giocattoli reclamizzati; • il secondo, rafforzato (valido per le fasce orarie in cui si presume che il pubblico di minori all'ascolto sia numeroso e supportato dalla presenza di un 88 adulto e cioè dalle 7.00 alle 16.00 e dalle 19.00 alle 22.30), vieta la trasmissione di pubblicità direttamente rivolte ai minori, che contengano situazioni di possibile pregiudizio per l'equilibrio psichico e morale dei minori; • il terzo, specifico (valido per le fasce orarie in cui si presume che l'ascolto dei minori non sia supportato dalla presenza di un adulto e cioè dalle 16.00 alle 19.00 ed in tutti i programmi direttamente indirizzati ai minori), prevede invece la riconoscibilità di qualsiasi comunicazione commerciale mediante elementi di discontinuità, posti prima, dopo e durante la stessa, ed il divieto di promozioni riguardanti alcool, servizi telefonici a pagamento di intrattenimento e profilattici (con esclusione, per questi ultimi, delle campagne sociali). 2.2.2. Comitato di Applicazione La seconda parte del Codice è, invece, dedicata alle norme di diffusione e di attuazione. Infatti, le imprese televisive s'impegnano "a dare ampia diffusione al Codice di autodisciplina attraverso il mezzo televisivo dedicandogli spazi di largo ascolto". Inoltre quelle firmatarie sono obbligate, con cadenza annuale, a realizzare e diffondere, tramite spot sulle proprie reti, "una campagna di sensibilizzazione per un 89 uso consapevole del mezzo televisivo con particolare riferimento alla fruizione familiare congiunta". Per ciò che concerne l'attuazione, questa è affidata ad un Comitato, costituito da 15 membri effettivi, nominati con decreto dal Ministro delle Comunicazioni d'intesa con l'Autorità delle comunicazioni, in rappresentanza paritaria delle TV firmatarie, delle istituzioni e degli utenti. Il presidente è nominato nel medesimo decreto tra i rappresentanti delle istituzioni, quale esperto riconosciuto della materia. Il Comitato verifica le presunte violazioni del Codice e qualora ne accerti qualcuna, "adotta una risoluzione motivata e determina, tenuto conto della gravità dell'illecito, del comportamento pregresso dell'emittente, dell'ambito di diffusione del programma e della dimensione dell'impresa, le modalità con le quali ne debba essere data notizia". Sempre il Comitato può anche ingiungere all'emittente: • "qualora ne sussistano le condizioni, di modificare o sospendere il programma o i programmi indicando i tempi e le modalità di attuazione"; • "di adeguare il proprio comportamento alle prescrizioni del Codice indicando i tempi e le modalità di attuazione". Tutte le delibere del Comitato sono inoppugnabili. Esse sono in ogni caso comunicate all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e nell'eventualità che il Comitato accerti la sussistenza di una violazione delle regole del Codice, oltre ad adottare i provvedimenti di cui sopra, inoltra una denuncia all'Autorità, in modo che 90 quest'ultima possa esercitare i poteri di sua competenza e cioè, sostanzialmente, irrogare sanzioni pecuniarie ai network inadempienti. Infine è importante sottolineare che il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori può svolgere la propria attività di vigilanza sia d'ufficio, sia su denuncia dei soggetti interessati, ovvero di qualsiasi utente-cittadino. Rispetto al precedente codice c.d. "Prodi" del 1997 sono state rafforzate le sanzioni, infatti il Comitato di controllo ha il potere, oltre di chiedere all'emittente la modifica o la sospensione del programma in caso di violazioni, in accordo con l'Autorità Garante delle Comunicazioni, di irrogare sanzioni come il pagamento di una multa dai 5 mila ai 20 mila euro, in caso di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori o che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, nonché, in caso di mancata ottemperanza ad ordini e diffide dell’Autorità in materia di tutela dei minori, anche tenendo conto dei Codici di autoregolamentazione, di irrogare sanzioni pari al pagamento di una somma da 10 mila a 250 mila euro con, in caso di grave e reiterata violazione, la sospensione o la revoca della licenza o dell’autorizzazione. 91 Capitolo terzo IL SISTEMA STATALE La normativa statale disciplinante il settore pubblicitario attiene prevalentemente, da un lato a tutelare il consumatore contro l'ingannevolezza della pubblicità, dall'altro a disciplinare i media. Per quanto riguarda il primo aspetto la d. CE 05/29 modifica la precedente prospettiva unitaria della disciplina pubblicitaria presente nel Codice del Consumo e separa la tutela degli interessi economici dei consumatori dalla tutela di quelli dei professionisti, col dichiarato intento di perseguire un livello elevato e uniforme di protezione dei consumatori. Ai fini della protezione del consumatore, la pubblicità ingannevole non forma più oggetto di autonoma considerazione, e rientra nel novero delle pratiche commerciali ingannevoli. Nel sistema delineato dalla direttiva, i professionisti invece ricevono tutela solo nei confronti della pubblicità ingannevole, nonché della pubblicità comparativa scorretta. Il sistema delineato dalla direttiva ha ricevuto attuazione in Italia attraverso due distinti provvedimenti normativi: il d. legisl. 145/2007, e il d. legisl. 146/2007, che hanno inciso profondamente sul precedente testo normativo. 92 Complessivamente, il merito di tale è comunque quello di avere una portata generale, in quanto si applica a “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili e immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi”.67 Si tratta quindi, di una normativa che riguarda qualsiasi forma di pubblicità, a prescindere dal mezzo di diffusione della stessa. Per quanto riguarda il secondo aspetto, la disciplina dei media, è in vigore il Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo Unico della Radiotelevisione) che rappresenta un organico coordinamento delle numerose disposizioni precedenti in materia Il TUR, oltre alla disciplina del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale, contiene anche, in forma più razionale e coordinata norme specifiche in tema di pubblicità televisiva e radiofonica, però, a differenza delle disposizioni sulla pubblicità in generale, destinatari delle norme sulla pubblicità televisiva sono non tutti gli operatori pubblicitari ma le emittenti o i fornitori di contenuti aventi la responsabilità editoriale dei programmi, nei confronti dei quali, in caso d’infrazioni, si applicheranno le sanzioni di legge. 67 Art. 2 d. lgs. 145/07 Definizioni: “Ai fini del presente decreto legislativo si intende per: a) pubblicità: qualsiasi forma di messaggio che e' diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi.” 93 Tale disciplina trova la propria fonte nella d. 89/552/CE sul coordinamento delle legislazioni degli stati membri circa l’esercizio delle attività televisive assoggettò la pubblicità televisiva a disposizioni specifiche le quali furono riprese a loro volta dall’ art. 8 della l. 6 agosto 1990,n. 223 che a tale direttiva diede attuazione in Italia (la cd. legge Mammì). Prima di passare all'esame della specifica normativa, va avvertito dunque che, a differenza delle altre norme sulla pubblicità i cui principali destinatari sono le imprese utenti e le agenzie pubblicitarie, le disposizioni riguardanti la comunicazione radiotelevisiva sono invece indirizzate alle emittenti. Questo non significa tuttavia che inserzionisti ed agenzie possano disinteressarsene, visto che le emittenti, proprio perché coinvolte in prima persona, esercitano un controllo rigoroso onde evitare di subire sanzioni per fatti imputabili a soggetti terzi. Per quanto attiene alle forme di controllo, l'autorità competente varia a seconda della normativa a cui si fa riferimento: per il Codice del Consumo, come modificato dai decreti legislativi 145 e 147 del 2007, ha competenza ad intervenire l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) 68, in materia di pubblicità radiotelevisiva l'organo che vigila sul corretto rispetto delle norme presenti nel Testo Unico della Radiotelevisione è l'Autorità Garante per le Comunicazioni (Authority). 69 68 Indicata anche con la sigla AGCM, istituita con l'art.10 della Legge 10/10/90 n.287. 69 Istituita con la Legge 31 luglio 1997, n. 249. Ha sostituito il precedente Garante per la Radiodiffusione e l'Editoria. 94 La presenza di due organismi statali si spiega esaminando nel dettaglio le caratteristiche delle leggi precedentemente indicate. Il Codice del Consumo e il d. lgs 145/07 disciplinano i contenuti della pubblicità, individuano gli ambiti di ingannevolezza della stessa, e sono rivolti a chiunque partecipa attivamente alla creazione e diffusione di un messaggio pubblicitario. I destinatari del decreto quindi, sono i committenti, le agenzie pubblicitarie e i tutti i mezzi di comunicazione (stampa, emittenti televisive e radiofoniche, concessionarie di spazi di affissione, sale cinematografiche, ecc.). Il TUR si riferisce alla sola pubblicità diffusa attraverso la radio e la televisione (e quindi non riguardano le inserzioni sulla stampa, le affissioni, la cartellonistica, ecc.) e inoltre è rivolto esclusivamente alle emittenti. Detto questo, la ripartizione delle reciproche competenze è netta, ove si consideri che l'Antitrust vigila sui contenuti della pubblicità, mentre l'Authority controlla il rispetto delle norme sugli inserimenti della pubblicità nei programmi. Tuttavia, per quanto riguarda i contenuti della pubblicità radiotelevisiva la situazione è più controversa poiché essi vengono regolati anche da alcune disposizioni del TUR. Nel caso di uno spot, o anche di una telepromozione, dunque, si potrebbe prospettare l'eventualità di un intervento da parte di entrambe le autorità. Tale circostanza, induce a supporre, in un'ipotesi estrema, che, un'emittente televisiva, per aver diffuso una pubblicità suscettibile di urtare la sensibilità dei minori, potrebbe eventualmente essere sottoposta alle decisioni dell'Antitrust, dell'Authority, del Giurì, nonché del Comitato per il controllo del Codice “Tv e minori”. Una eventualità del genere viene 95 tuttavia scongiurata dalla presenza di un coordinamento tra le due autorità statali, e dalla possibile sospensione del procedimento davanti all'A.G.C.M. qualora siano già intervenuti gli organi autodisciplinari, che disciplineremo meglio in seguito. Non sembra invece esistere un problema di coordinamento fra le competenze dell'Autorità garante e le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quali attualmente disciplinate dal d. legisl. 31 luglio 2005,n. 177 (Testo unico della radiotelevisione). Nonostante la parziale coincidenza delle disposizioni sostanziali materia di pubblicità contenute nell’art.4 c.1 del testo unico (divieto di pubblicità non riconoscibile come tale;divieto di pubblicità suscettibile di nuocere allo sviluppo fisico,psichico e morale dei minori) con quelle contenute nel nuovo codice del consumo e nel decreto legislativo in esame, non va dimenticato che il testo unico della radiotelevisione contiene una normativa di carattere settoriale, che si applica soltanto nei confronti delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di programmi, mentre il codice del consumo ha portata generale. Non si pone quindi un problema di conflitto di competenze, ma eventualmente solo un problema di diversa valutazione della medesima fattispecie privo di diretta rilevanza sul piano giuridico. 3.1 Codice del Cosumo e decreti legislativi 145 e 146 del 2007 3.1.1 Gli interventi in materia ad opera del decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146 96 Il Codice “riassetta in modo sistematico le numerose leggi a tutela del consumatore” 70 allo scopo di raccogliere in una compilazione unitaria le diverse norme di tutela del consumatore, operando un riordino sistematico ed una semplificazione formale,coordinando e aggiornando le disposizioni in materia, verificandone la rispondenza ai principi del diritto comunitario,eliminando le incoerenze e le sovrapposizioni tra le diverse regole derivanti da distinte direttive comunitarie. La ratio della normativa a tutela del consumatore è individuata da parte di taluni autori nell'esigenza di tutela di contraente debole. 71 Altra parte della dottrina ritiene invece che la giustificazione teorica della normativa sui consumatori, quale regolamentazione dei mercati finali, risieda nella peculiare finalità perseguita col contratto; dunque,più che nella qualificazione soggettiva del soggetto, nello scopo negoziale concreto dell'operazione, quello del consumo finale privato: in altre parole non nella tutela del contraente debole, ma nella disciplina dell'atto di consumo. 72 Ancora una volta deve escludersi che l'intervento sia connotato da intenzioni paternalistiche di tutela del contraente debole, essendo invece la normativa funzionale alla tutela del bene giuridico della concorrenza tra le imprese, la cui crescita, o la cui fuoriuscita dal mercato, deve collegarsi a scelte riconducibili alla sovranità del consumatore. Gli articoli da 19 a 27 riproducevano integralmente, prima della riforma, salvo alcuni adattamenti di carattere formale, il contenuto degli articoli da 1 a 8 del d. legisl 70 Relazione governativa al d. legisl. n. 206/2005. 71 Buonocore, Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, p. 1. 72 Oppo, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, p. 669. 97 74/1992 (con il quale era stata data attuazione alla d. CEE 84/450 in materia di pubblicità ingannevole), così come modificato dal d. legisl. 67/2000 (emanato in attuazione della d.CE 97/55 sulla pubblicità comparativa) nonché dalla l.49/2005. La normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa era confluita nel codice del consumo,insieme a molte altre disposizioni in materia di tutela dei consumatori,in forza della delega contenuta nell'art. 7 l. 229/2003. L'intera materia è stata profondamente modificata, a livello comunitario, dalla d. CE 05/29 sulle pratiche commerciali sleali che, nell'intento di conseguire “un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori” (art.1), disciplina analiticamente la pubblicità ingannevole come pratica commerciale sleale nei rapporti fra impresa e consumatori (artt.6-7). L’attuale capo II del titolo III del Codice del consumo (art. da 18 a 27 – quater) è stato introdotto con il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146, in vigore dal 21 settembre 2007 e recante le norme di recepimento della d. CE 29/2005, “relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”, ridenominate dal nostro legislatore “pratiche commerciali scorrette”. Dal 23 ottobre 2005 al 21 settembre 2007 il titolo III del Codice del consumo aveva ospitato la normativa in materia di pubblicità ingannevole e comparativa a tutela di qualsiasi soggetto, consumatore o impresa, ente pubblico o privato, che potesse derivarne un pregiudizio. Con la novella introdotta dal d. legisl. 146/2007 tale 98 normativa è stata sostituita dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette e aggressive tra professionisti e consumatori, nel cui estesissimo ambito rientra anche la pubblicità ingannevole e comparativa, purché posta in essere da professionisti nei confronti di consumatori. La tutela dei professionisti verso la pubblicità ingannevole e nei confronti di quella comparativa scorretta è invece oggi demandata al d. legisl. 145/2007. Tale scelta è derivata dal mutamento di prospettiva adottato in sede comunitaria: la citata d. CE 05/29, all’art. 3, ha infatti distinto soggettivamente le pratiche commerciali sleali, praticate da professionisti e incidenti sugli interessi economici di consumatori, ora sanzionate nel Codice del Consumo, dalla disciplina della pubblicità ingannevole, il cui campo di applicazione risulta quindi limitato alla pubblicità che reca pregiudizio alle imprese concorrenti ma non ai consumatori. L’art. 21 disciplina le Azioni ingannevoli e ai commi 3 e 4 detta disposizioni che rilevano per la tutela del minore e che interessano direttamente la nostra analisi: “…3. E' considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. 4. E' considerata, altresi', scorretta la pratica commerciale che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, puo', anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza”. 99 Tali disposizioni non trovano un antecedente nella direttiva e rappresentano una peculiarità della legislazione italiana. Essi ripropongono fattispecie che erano previste come ipotesi di pubblicità ingannevole dal d. legisl. 74/1992 e dallo stesso Codice del Consumo fino alla novella del 2007, precisamente negli articoli 24 e 25 73, riguardanti rispettivamente la Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori e le norme a tutela di Bambini e adolescenti, ma ne estendono l’applicabilità ad ogni condotta riconducibile all’ampia nozione di pratica commerciale, comprensiva non solo di iniziative poste in essere anteriormente ad una operazione commerciale, come nel caso della pubblicità, ma anche durante e dopo tale operazione. In relazione alla pubblicità di prodotti che possono comportare un pericolo per il consumatore, l’AGCM, sotto il vigore della normativa precedente,ha evidenziato come assuma rilievo il nesso causale fra il possibile comportamento imprudente dei consumatori e la capacità del messaggio di indurre tale condotta, attraverso l’omessa informazione su pericoli non immediatamente riconoscibili, ovvero per mezzo di affermazioni rassicuranti o attributive di particolari qualità al prodotto e tali che, in 73 Ex ART. 24 Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori 1.E' considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori,ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. Ex ART. 25 Bambini e adolescenti 1. E' considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, possa, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza o che abusi della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi pubblicitari [salvo il divieto di cui all’art. 10, c.3, della l. 3 maggio 2004 n. 112] abusi dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. 100 mancanza dell’intervento pubblicitario, il comportamento del consumatore sarebbe presumibilmente improntato a maggior cautela. 74 Il comportamento del professionista idoneo ad indurre nel consumatore una condotta imprudente, ma che si verifichi in un momento diverso dalla presentazione e pubblicità del prodotto, potrebbe riguardare, ad esempio, il caso di istruzioni per l’utilizzo del bene, consultabili dopo il suo acquisto, e prive delle necessarie informazioni precauzionali. Ritorneremo sul tema in materia di pubblicità di prodotti pericolosi, specialmente per quanto riguarda i minori, nell’analisi dell’art. 6 del d. legisl. 146/07 e all’art. 7 per quanto riguarda le ipotesi di pubblicità che possa minacciare la sicurezza di bambini ed adolescenti: tali articoli riproducono, infatti, letteralmente gli art. 24 e 25 del vecchio Codice del Consumo. Per ciò che a noi qui interessa, secondo la giurisprudenza dell’AGCM formatasi quando il precetto di cui al c. 4 dell’art. 21 riguardava la sola pubblicità, il presupposto della norma è rinvenibile nell’opportunità di assicurare una tutela rafforzata ai più giovani, quali potenziali destinatari di messaggi promozionali idonei a danneggiarli psichicamente, o che, facendo leva sullo spirito emulativo dei minori, possa indurli a tenere comportamenti pericolosi per la incolumità fisica. L’ambito di applicazione della norma, coerentemente con la sua formulazione, comprendeva non solo la pubblicità diretta ai minori ma anche quella da questi fruibile, sebbene destinata ad un pubblico adulto. L’estensione della fattispecie ad 74 AG n. 15526, Boll. 21/06; n. 11320, ivi 42/02; n. 8733, ivi 3/00. 101 ogni attività riconducibile alla nozione di pratica commerciale è stata attuata dal legislatore mantenendone inalterata la condizione di applicabilità, cioè la possibilità di raggiungere i minori. Tuttavia, se è chiaro cosa debba intendersi per pubblicità “suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti”, la stessa espressione risulta invece piuttosto nebulosa quando riferita ad una pratica commerciale diversa dall’attività pubblicitaria Tenendo a mente la definizione di “pratica commerciale scorretta” 75, è ipotizzabile che possano rappresentare una minaccia per la sicurezza dei più giovani determinate dichiarazioni, del professionista, quali quelle che compaiono o dovrebbero comparire sulle istruzioni per uso corretto del prodotto, ivi compresi quelle per beni destinati agli adulti, ma che possono occasionalmente venire nella disponibilità dei minori. Il nuovo art. 26 fa ora riferimento all’altra categoria di pratiche commerciali scorrette: le “Pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive”: “Sono considerate in ogni caso aggressive le seguenti pratiche commerciali:……e) salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e successive modificazioni, includere in un messaggio pubblicitario un'esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati…”. Questo articolo, che riproduce pressoché integralmente i paragrafi da 24 a 31 dell’all. I alla d. CE 05729 cui si è soliti riferirsi come “lista nera”, fornisce, pur se un po’ alla 75 Art. 20 Divieto delle pratiche commerciali scorrette “…. c. 2. Una pratica commerciale e' scorretta se e' contraria alla diligenza professionale, ed e' falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che 102 rinfusa, un’articolata casistica di pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive. Le figure d’illecito contemplate attengono a diversi momenti del rapporto impresaconsumatore, riflettendo in alcuni casi situazioni che trovano un riscontro in norme preesistenti ed in altri fattispecie del tutto nuove. Per quanto ci riguarda, la pratica aggressiva consistente nella pubblicità che esorta i bambini a convincere gli adulti nell’acquisto (lett. e), risultava già vietata in precedenza in termini generali dal vecchio art. 25 del Codice del Consumo ed è inoltre censurata dall’art. 11 c. 3 del C.A. La norma fa anche riferimento al decreto legisl. 31 luglio 2005, n. 177 (il "Testo unico della radiotelevisione") e ne fa salve le rispettive disposizioni in materia. Nuovo, per contro, il divieto di esortare i bambini all’acquisto, il quale parrebbe sancire la proibizione di qualsiasi pubblicità ad essi rivolta. Si precisa che norma analoga è contenuta nell’art.31, che vieta di esortare i minori all’acquisto nelle televendite. Come il titolo rende palese 76, tale articolo persegue la finalità di proteggere i minori di età da talune conseguenze negative specificamente riferibili alle televendite; ma essa raggiunge o al quale e' diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori…” 76 Tutela dei minori. La televendita non deve esortare i minorenni a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi. La televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni e deve rispettare i seguenti criteri a loro tutela: a) non esortare i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la credulita'; b) non esortare i minorenni a persuadere genitori o altri ad acquistare tali prodotti o servizi; 103 stante le numerose norme a tutela del minore offerte dalle normative in tema di televisione e di pubblicità, era inevitabile anche qui una sovrapposizione con norme già esistenti ed operanti non solo per le televendite ma per qualsiasi tipo di comunicazione commerciale. Ciò è a dirsi anzitutto per il principio generale secondo cui “la televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni”, che si trova già enunciato sul piano generale fra quelli fondamentali garantiti dalla disciplina del sistema radiotelevisivo negli artt. 3 e 4 c. 1 lett b) e c) d. legisl. 177/05 (TUR) e a cui fa riscontro, sul piano autodisciplinare, con specifico riferimento alla pubblicità, l’art. 11 c. 2 C.A. Inoltre, sia l’abuso dell’inesperienza e credulità dei minorenni, sia il mostrarli in situazioni pericolose così mettendone a repentaglio la sicurezza, cadono già sotto il generale divieto dell’art. 7 del nuovo Codice del Consumo, che li equipara alla pubblicità ingannevole. Può infine aggiungersi, pur se la norma in esame non ne fa cenno, che anche le televendite, al pari delle altre forme di comunicazione commerciale, sono tenute all’osservanza delle disposizioni a tutela dei minori di cui al Codice di autoregolamentazione tv e minori 2002, in particolare con riguardo alle varie fasce orarie di programmazione. c) non sfruttare la particolare fiducia che i minorenni ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altri; d) non mostrare minorenni in situazioni pericolose. 104 Di maggior spicco è invece la disposizione di apertura della norma in esame, secondo cui, anche al di fuori delle situazioni di sfruttamento dell'inesperienza o della fiducia dei minori verso gli adulti, “la televendita non deve esortare i minorenni a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti o di servizi”. Poiché qualsiasi pubblica offerta di vendita, tanto più se attuata nelle forme in cui di solito si attua quella radiotelevisiva, comporta una esortazione ad aderirvi, una interpretazione rigorosa del disposto sembra indurre a concludere che esso proibisce nella sostanza le televendite rivolta ai minori. Ma poiché questi ultimi, in quanto privi di capacità di agire, non potrebbero comunque stipulare il contratto cui l'offerta è finalizzata, la portata del divieto ne viene in pratica notevolmente ridimensionata. 3.1.2 Decreto legislativo 2 agosto2007, n. 145 – Modifica della direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole Il d. legisl. 145/2007 costituisce attuazione dell’art. 14 della d. CE 05/29, il quale ha modificato la d. CEE 84/450 espungendo dalla stessa qualunque riferimento alla tutela del consumatore e degli interessi del pubblico dalla pubblicità ingannevole, e limitandone lo scopo alla tutela dei soli professionisti. Nell’ordinamento italiano, la disciplina della pubblicità ingannevole era originariamente contenuta nel d. legisl. 74/1992 (con il quale era stata data attuazione della d. CE97/55 sulla pubblicità comparativa), nonché dalla l. 49/2005, che era intervenuta sulla parte sanzionatoria. La normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa era successivamente 105 confluita nel codice del consumo (art. 19 – 27). Il d. legisl. 74/1992 aveva introdotto nel nostro ordinamento un divieto generale di pubblicità ingannevole, segnando il passaggio da un’ottica esclusivamente privatistica a un’ottica anche pubblicistica nella considerazione del fenomeno, finalmente disciplinato in ragione delle particolarità sue proprie. Un unico provvedimento legislativo assicurava quindi la repressione della pubblicità ingannevole, nell’interesse generale e in quello di tutte le categorie di soggetti presenti sul mercato, sul presupposto – accolto dalle premesse della direttiva 84/450/CEE – che la pubblicità ingannevole possa avere effetti distorsivi della concorrenza e dunque pregiudicare sia gli interessi economici dei consumatori, sia quelli dei professionisti. Come abbiamo già evidenziato, la d. CE 05/29 modifica radicalmente tale prospettiva, e separa la tutela degli interessi economici dei consumatori dalla tutela di quelli dei professionisti, col dichiarato intento di perseguire un livello elevato e uniforme di protezione dei consumatori. Ai fini della protezione del consumatore, la pubblicità ingannevole non forma più oggetto di autonoma considerazione, e rientra nel novero delle pratiche commerciali ingannevoli. Nel sistema delineato dalla direttiva, i professionisti invece ricevono tutela solo nei confronti della pubblicità ingannevole, nonché della pubblicità comparativa scorretta. Il sistema delineato dalla direttiva ha ricevuto attuazione in Italia attraverso due distinti provvedimenti normativi: il d. legisl. 145/2007, e il d. legisl. 146/2007. L’art. 1 riproduce il testo dell’art 19 del Codice del Consumo prima della riforma ad opera del d. legisl. 146/2007 e indica qual è la Finalità del decreto: “Le disposizioni 106 del presente decreto legislativo hanno lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonche' di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa”. Il recepimento della d. CEE 84/450, attuato con d. legisl. 74/1992 il cui contenuto è stato successivamente trasfuso nel codice del consumo, ha introdotto nel nostro ordinamento un divieto generale di pubblicità ingannevole, e ha segnato il passaggio da un'ottica esclusivamente privatistica (di matrice concorrenziale o contrattuale) a un'ottica anche pubblicistica nella considerazione del fenomeno, finalmente disciplinato in ragione delle particolarità sue proprie: ciò in conformità a quanto da tempo andava chiedendo parte della dottrina, che rilevava l'inadeguatezza, ai fini della repressione del mendacio pubblicitario, dei tradizionali strumenti volti ad assicurare la libertà del consenso nelle contrattazioni individuali. 77 La pubblicità ingannevole è quindi repressa nell'interesse generale e in quello di tutte le categorie di soggetti presenti sul mercato,sul presupposto - accolto dalle premesse della direttiva - che la pubblicità ingannevole possa avere effetti distorsivi della concorrenza e dunque pregiudicare sia i consumatori che gli imprenditori. Tale presupposto non cambiato a seguito dell'approvazione della d. CE 05/29 sulle pratiche commerciali sleali, il cui scopo è, dichiaratamente, quello di superare gli ostacoli al commercio infracomunitario determinanti dalle differenze esistenti fra le varie normative nazionali in materia di tutela dei consumatori. 77 Vanzetti, Riv. dir. civ., 1964, p. 608. 107 Il primo comma dell'art.19 enunciava lo scopo delle disposizioni contenute nel capo II, ed appariva ricalcato pedissequamente sull'art.1 della direttiva 84/450/CEE: scopo della normativa era quello di assicurare una generalizzata tutela della collettività contro la pubblicità ingannevole. Mentre la norma comunitaria menzionava in primo luogo il consumatore, e solo al secondo posto “le persone che esercitano un'attività commerciale,industriale o artigianale”, il che ha condotto taluno a concludere per la centralità dell'interesse del consumatore nell'ottica adottata dal legislatore comunitario, l'ordine adottato dalla norma nazionale era esattamente inverso. Non pareva peraltro da condividersi l'opinione di chi ravvisava importanza solo secondaria ed accessoria alla tutela degli interessi del consumatore e del pubblico in generale. Più corretto sembrava invece parlare di una equiparazione da parte del legislatore nazionale dell'interesse del consumatore e di quello dei soggetti che svolgono un'attività economica, protetti il primo contro “la pubblicità ingannevole”, i secondi contro le sue “conseguenze sleali”. Per quanto riguarda “gli interessi del pubblico nella fruizione dei messaggi pubblicitari”e in che cosa consistono tal “interessi”, i quali rappresentavano un'innovazione introdotta dalla normativa nazionale rispetto alla direttiva, potevano forse stare alla base delle norme che disciplinavano la pubblicità dei prodotti pericolosi (art.24) e quella suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti (art.25), le quali quindi configuravano, al di là del testuale riferimento alla pubblicità 108 ingannevole, in esse contenuto, tanti autonomi interessi di contenuto diverso rispetto a quello primariamente preso in considerazione dal decreto legislativo in esame. Tale disposizione, come trasfusa nell’art. 1 del Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 di "Attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole" non menzione più né il consumatore, né gli interessi del pubblico nella fruizione dei messaggi pubblicitari, ma si occupa solo dei professionisti, come evidenziato dalla suddivisione operata dalla nuova riforma. La disposizione secondo la quale la pubblicità deve essere “palese, veritiera e corretta” era assente da entrambe le direttive. La definizione di pubblicità contenuta nella norma in esame è sostanzialmente identica a quella già adottata dall’art. 20. lett. a d. legisl. 206/2005 e, prima ancora, dall’art. 2. lett. a d. legisl. 74/1992, tutte costruite sulla falsa riga della definizione offerta dall’art. 2 lett. a d. CEE 84/450 (ora art. 2 lett. a) d. CE 06/114, dalla quale tuttavia si discostano per una certa maggior chiarezza, che ha condotto alla sostituzione e alla completa rielaborazione dell’ultima parte della definizione comunitaria (“allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi”). La nozione di pubblicità che emerge da tale definizione è estremamente ampia e coincide sostanzialmente con quella offerta dalle raccolte degli usi in materia pubblicitaria accertati da alcune Camere di commercio. 109 Perché un messaggio sia qualificato come pubblicità, è necessario che esso sia diffuso nell'esercizio di un'attività economica, e che persegua come scopo primario e diretto la promozione di beni o servizi. 78 La normativa sulla pubblicità ingannevole è pertanto applicabile anche all'impresa che operi in condizioni di monopolio legale e all'impresa pubblica che solleciti il pagamento di un tributo che costituisce parte rilevante del suo bilancio con riferimento alla pubblicità per il pagamento del canone RAI. Non rientra invece nella nozione di pubblicità accolta dalla normativa in materia di pubblicità ingannevole la comunicazione non promanante da un operatore economico che sia volta a promuovere un'iniziativa senza fine di lucro: AG n.6720, ivi 51/98, con riferimento alla pubblicità di un'associazione no profit volta a sensibilizzare il pubblico sull'importanza della diagnosi precoce dei tumori,con la quale si offriva anche una visita di controllo gratuita. Non rientrano nella nozione di pubblicità neppure gli annunci finalizzati alla ricerca di personale. A maggior ragione non rientra nella nozione di pubblicità la comunicazione a contenuto politico, ideologico o religioso. L'unico limite è proprio quello che emerge da tale definizione, che non permette l’applicabilità della normativa in esame alla comunicazione non commerciale (come la pubblicità sociale) perché priva di finalità commerciali e perché non proviene da un «operatore economico». Il che consente di affermare che non rientrano nella nozione di pubblicità le comunicazioni delle amministrazioni dello Stato e degli enti 78 AG n. 15447, Boll. 18/06; n. 12085, ivi 23/03; n. 12064, ivi 22/03. 110 pubblici non economici, delle Regioni, Provincie e Comuni, dei partiti, dei candidati politici, delle autorità e movimenti religiosi, dei gruppi di opinione e di ogni altro similare aggregato non esercente un'attività economica con fine di lucro. 79 L’art. 5 ha contenuto identico all’art. 23 del vecchio Codice del Consumo ed enuncia quel principio basilare in materia di pubblicità, che abbiamo già trovato nell’art. 7 del CA. 80, il principio di Trasparenza della pubblicità: “La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione. I termini «garanzia», «garantito» e simili possono essere usati solo se accompagnati dalla precisazione del contenuto e delle modalità della garanzia offerta. Quando la brevità del messaggio pubblicitario non consente di riportare integralmente tali precisazioni, il riferimento sintetico al contenuto ed alle modalità della garanzia offerta deve essere integrato dall'esplicito rinvio ad un testo facilmente conoscibile dal consumatore in cui siano riportate integralmente le precisazioni medesime. E' vietata ogni forma di pubblicità subliminale”. Una ipotesi particolare di riconoscibilità della natura pubblicitaria del messaggio ha riguardo al caso delle telepromozioni inserite in programmi televisivi per bambini. Sul punto l'Autorità ha chiarito che la valutazione della trasparenza della pubblicità rivolta ai minori deve essere svolta con particolare riguardo agli elementi di contesto 79 Fusi - Testa, Diritto e Pubblicità, Lupetti Editore, Milano 1996, cit. pag.51. 80 Lo stesso fine è rinvenibile nel “Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite” (delibera n. 538/01/CSP del 26 luglio 2001) all’ art. 3 comma 4 “I messaggi pubblicitari, incluse le telepromozioni e le televendite, in qualsiasi forma trasmessi, non possono essere presentati dal conduttore del programma in corso nel contesto dello stesso. Nella pubblicità 111 ed ai protagonisti che compaiono nei due momenti - quello dello spettacolo e quello della telepromozione - per verificare se sussista uno “stacco” sufficiente ad essere percepito anche dai più piccoli, non essendo sufficiente ai sensi della norma in esame il rispetto di elementi formali come l'inserimento della dicitura “messaggio promozionale” che il d.m 581/1993 prescrive di visualizzare per tutta la durata della telepromozione. 81 In concreto, è stata giudicata riconoscibile la telepromozione allorché la sua autonomia rispetto alla circostanza di essere preceduta da una serie di spot, di essere ambientata in studi diversi da quelli del programma di intrattenimento, di essere condotta da personaggi che non comparivano nello spettacolo 82, mentre la mancanza di questi elementi di discontinuità rispetto allo spettacolo è stata ritenuta motivo di violazione della disposizione in commento anche in presenza della dicitura “messaggio pubblicitario”. La norma in esame è sostanzialmente identica a quella già adottata dall’art. 23. lett. a d. legisl. 206/2005 L’art. 6 disciplina la Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza: “E' considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori,ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza”. diffusa prima o dopo i cartoni animati non possono comparire i personaggi dei medesimi cartoni animati”. 81 AG n. 7350, Boll. 26/99;n.7349, ibidem; n.7240, ivi 21/99. 82 AG n.7350 e n. 7240, cit. 112 La norma è stata originariamente introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 5 del d. legisl.74/1992 (cd. Legge sulla pubblicità ingannevole) di attuazione della d. CE 84/450, e nel 2005 trasfusa nel Codice del Consumo all’art. 24, dove è rimasta fino al 21 settembre 2007. Nella versione adottata dal d. legisl. 145/2007 il riferimento, originariamente presente sia nella rubrica che nel testo della norma, alla salute e sicurezza “dei consumatori”, è stato sostituito dal richiamo alla salute e sicurezza “dei soggetti che essa raggiunge”. La modifica è coerente con la finalità del d. legisl. 145/2007, che non sono più quelle di tutelare i consumatori dall’inganno pubblicitario, bensì i professionisti “dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali”. La norma sarà pertanto applicabile sia quando il soggetto tratto in inganno è un professionista, sia quando, pur essendo il consumatore la vittima immediata del messaggio pubblicitario, possa derivarne, in capo al concorrente del professionista che ha diffuso il messaggio, un pregiudizio qualificabile come conseguenza sleale del mendacio, come ad esempio lo sviamento di clientela potenziale. Una disciplina della pubblicità per prodotti pericolosi non era prevista nella d. CE 84/450, alla cui attuazione si deve la prima versione della norma in commento. La fonte ispiratrice della disposizione è stata individuata nell'art.12 C.A., da noi ampiamente discussa nel precedente capitolo, pur rilevando che la norma autodisciplinare prescrive, oltre ad un obbligo positivo d'informazione analogo a quello previsto dalla norma in esame, un divieto di indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza attraverso la proposizione pubblicitaria di modelli 113 comportamentali pericolosi, che invece mancava nell'art. 5 d. legisl.74/1992, nell'art. 24 d. legisl. 206/2005 e manca nell’art. 6 d. legisl.145/2007. Prodotti pericolosi e pubblicità pericolosa. La norma delinea una fattispecie di illecito per il quale non è sufficiente la sola reticenza sulla pericolosità, ma occorre anche un nesso di casualità tra la omessa informazione e la induzione a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. L'onere informativo imposto dalla disposizione in esame è volto ad avvertire dei pericoli derivanti da un uso normale o ragionevolmente prevedibile del prodotto, in quanto non immediatamente percepibili 83 e non dei rischi derivanti da utilizzi impropri. L'autorità Garante ha identificato alcune categorie di prodotti astrattamente suscettibili di rientrare nel campo di applicazione della norma. 84 Per l’Autorità ciò che rileva – conformemente al dettato della norma in commento – è il nesso causale tra il probabile comportamento imprudente dell’utilizzatore e la capacità del messaggio di indurre in tale condotta, attraverso l’omessa informazione circa pericoli non immediatamente riconoscibili nell’uso del bene o del servizio pubblicizzato, ovvero per mezzo di affermazioni rassicuranti circa l’assenza di rischi nella fruizione di beni o servizi o attributive a questi di proprietà in realtà non possedute, tali che, in mancanza dell’intervento pubblicitario, il comportamento dell’utilizzatore sarebbe presumibilmente improntato a maggior cautela. 83 AG n. 8077, Boll. 8/00. 84 Bevande alcoliche: AG 5174, Boll. 26/97; n. 5142, ibidem; n. 2808, ivi 7/95; medicinali: AG n.2834, ivi 8/95; prodotti dell'elettricità: AG N. 6791, ivi 1/99. 114 È significativa la circostanza che l'Autorità abbia ritenuto non in contrasto con la norma in esame la pubblicità per automobili e motocicli che ne enfatizzava le doti di velocità o mostrava un uso acrobatico del mezzo, sul presupposto che la pericolosità dei veicoli a motore conseguente ad un loro utilizzo imprudente è ben nota ai consumatori e che pertanto i rischi per la sicurezza derivanti da tale uso improprio non potrebbero essere imputabili ad omissioni informative della relativa pubblicità. Per contro sono stati giudicati idonei ad indurre inosservanza delle regole di prudenza che vanno adottate alla guida di un veicolo un annuncio a favore di un corso di guida, in quanto suscettibile di creare il falso convincimento che la sola visione di un video consenta di acquisire l'abilità necessaria per fare nuove manovre spericolate. 85 Prodotti oggettivamente non pericolosi. La pubblicità di prodotti che, nel loro impiego normale e prevedibile, non possano ritenersi pericolosi, non è soggetta all'onere informativo supplementare imposto dalla disposizione in commento. In diverse occasioni l’Autorità ha applicato questo principio per la pubblicità di prodotti che, anche se privi qualità o efficacia vantate, non erano idonei oggettivamente a porre in pericolo la sicurezza dei consumatori, né erano presentati attraverso comunicazioni idonee a stimolarne un uso improprio. Fra le tante, una merendina che conteneva una quantità minima di caffeina, dannosa solo in caso di un consumo esagerato ed improbabile del prodotto, che comunque la pubblicità non suggeriva. 86 La norma centrale del nostro lavoro è l’art. 7, che alla rubrica menziona proprio: Bambini e adolescenti: “E' considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto 85 AG n. 4485, Boll. 49/96. 115 suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi pubblicitari, fermo quanto disposto dall'articolo 10 della legge 3 maggio 2004, n. 112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. E' considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza”. L’art. 7 origina dall’art. 6 d. legisl. 74/1992 (cd. Legge sulla pubblicità ingannevole), dal quale nel 2005 è stato trasfuso nel Codice del Consumo all’art. 25, rimanendovi fino al 21 settembre 2007, data di entrata in vigore del d. legisl.145/2007. Il richiamo all’art. 10 . c. 3, l. 112/2004 87 è stato inserito nella norma in occasione della sua collocazione nel Codice del consumo. La disposizione richiamata prevedeva il divieto di “impiego dei minori di anni quattordici” per “ messaggi pubblicitari e spot” televisivi e radiofonici. Tale divieto è stato espressamente abrogato dall’art.1 lett. c, l. 37/2006. Si deve pertanto ritenere che la rinnovata citazione dell’art. 10 l. 112/2004 nella norma in commento sia dovuta ad una svista, posto che richiama un divieto attualmente non espresso da alcuna disposizione in vigore. Pur derivando dal d. legisl. 74/1992, emanato in attuazione della d. CE 84/450, la disposizione in commento non trova riscontro nella direttiva comunitaria. Essa appare invece ispirata all'art.11 C.A., del quale peraltro riproduce solo parzialmente il contenuto. 86 AG n. 6975, Boll. 10/99. 87 Norme di principio in materia in assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a. 116 La giurisprudenza anteriore al d. legisl. 145/2007 ha evidenziato come la norma preveda una tutela rafforzata a favore di soggetti più fragili ed imponga, conseguentemente, un onere di attenzione più elevato per gli operatori pubblicitari. Secondo la giurisprudenza anteriore al d. legisl. 145/2007, la norma, nella parte in cui censura la pubblicità suscettibile di minacciare la sicurezza dei bambini e degli adolescenti, è applicabile anche a messaggi diretti ad un pubblico adulto, se ed in quanto idonei a stimolare nei minori un comportamento imitativo pericoloso, mentre la fattispecie dell’abuso della credulità presuppone che bambini o adolescenti siano i destinatari della comunicazione. In relazione alla fattispecie dell'abuso della credulità non è stata pertanto ritenuta assoggettabile alla disposizione in commento la pubblicità a favore di un bagnoschiuma per bambini in tenera età, in quanto evidentemente diretta alle madri, né un opuscolo promozionale per farmaci da banco che, in quanto contenente informazioni sulle cure da apprestare ai figli, era rivolto al pubblico dei genitori, né la pubblicità per un canale televisivo tematico e tipicamente per ragazzi, sul presupposto che il numero verde indicato nel messaggio per ottenere informazioni sull'abbonamento era diretto e fruibile solo da un pubblico adulto in qualità di unico potenziale neo abbonato al canale. 88 In generale, l’applicabilità della norma viene esclusa quando la pubblicità, per le situazioni rappresentate, per l’assenza di minori tra i protagonisti e per la mancanza di esortazioni a loro indirizzate non siano idonea a fare presa sui più giovani. Quanto 88 Rispettivamente AG n. 2482, Boll 47/94; n. 2384, Boll.8/95; n. 14851, Boll. 44/05. 117 ai mezzi di diffusione, la norma è stata ritenuta inapplicabile ad un folder di presentazione di un giocattolo destinato a grossisti e dettaglianti, mentre la circostanza che la pubblicità fosse programmata in televisione durante l’orario scolastico è stata giudicata insufficiente ad escludere l’applicabilità della disposizione in commento. Del pari è stata ritenuta irrilevante la circostanza che un telecomunicato fosse stato diffuso fuori dalla cd. “fascia protetta” di programmazione prevista fra le ore 16 e le ore 19, potendo il messaggio raggiungere ugualmente i minori. E’ stato escluso che nel concetto di adolescenti rientrino gli studenti universitari o chi abbia conseguito il diploma di maturità. Analogamente, si è sostenuto che ai sensi dell’art. 6 d. legisl. 74/1992, oggi art. 7 d. legisl. 145/2007, e della sua ratio non possa reputarsi adolescente il soggetto che abbia già compiuto la maggiore età, per il quale la capacità d’agire riconosciuta ex lege pressupone il raggiungimento di una certa maturità psichica. Rientrano invece tra gli adolescenti i giovani di 16 anni. In relazione alla fattispecie relativa all’abuso dei sentimenti che verso i più giovani nutrono gli adulti, e chiaramente riferita alla pubblicità rivolta a quest’ultimi, è stata affermata l’applicabilità dell’attuale art. 7 d. legisl. 145/2007 sia nei confronti della comunicazione per prodotti destinati ai minori, sia per quella che pubblicizzi beni destinati agli adulti, in quanto non può escludersi che anche questa miri a far leva sui sentimenti dei più grandi per i più piccoli. Abuso della credulità o della mancanza di esperienza. L'ampiezza del concetto di “abuso” è suscettibile di ricondurre nell'ambito della norma anche fattispecie estranee ad ipotesi di raggiro vero e proprio, nelle quali l'approfittamento del minor senso 118 critico dei più giovani al fine di promuovere l'acquisto del prodotto pubblicizzato venga attuato attraverso mezzi come la pressione psicologica volta ad incoraggiare il consumismo eccessivo o la competizione con i coetanei, o ad indurre sentimenti di inferiorità in relazione al mancato possesso del bene reclamizzato o, ancora, invidia nei confronti di chi ne abbia la disponibilità. 89 La norma disciplina sia l'ipotesi in cui la pubblicità influisca direttamente sul comportamento del minore quale potenziale acquirente del prodotto reclamizzato, in quanto bambini ed adolescenti non sono in grado di scelte autonome d'acquisto, sia il caso di messaggi volti ad incidere sul comportamento dei più giovani nei loro rapporti con i genitori, provocando una pressione dei primi nei confronti dei secondi al fine dell'acquisto del bene pubblicizzato, sebbene in tale ipotesi l'acquirente non sia la vittima dell'abuso censurato dalla norma. Quest’ultima modalità d’azione è stata dichiarata illecita in relazione ad un messaggio che comunicava l'organizzazione di una festa in cui era invitato a prendere parte gratuitamente ciascun bambino, purché accompagnato dai genitori, la quale festa consisteva in realtà in un iniziativa promozionale volta alla vendita di una enciclopedia e per cartoline che promettevano un regalo sottacendo il fatto che l'omaggio veniva consegnato solo dopo una manifestazione promozionale a cui assistevano bambini e genitori. 90 L'approfittamento della mancanza di esperienza dei minori può consistere anche nella non riconoscibilità della natura commerciale di un messaggio pubblicitario diffuso 89 Fusi-Testa-Cottafi, op. cit., p. 240. 119 nell'ambito di un programma per bambini o nella non riconoscibilità di una promozione dissimulata in forma di iniziativa volta all'apprendimento del codice della strada da parte dei più piccoli. 91 Più spesso il profilo dell'abuso della credulità è stato oggetto di esame per pubblicità suscettibile di indurre in errore i minori sulle caratteristiche dei beni o dei servizi promozionati,sia in relazione alle loro qualità intrinseche, sia in relazione alla omessa o insufficiente indicazione del prezzo, alla capacità del prodotto di influenzare i rapporti interpersonali tra adolescenti 92, alla possibilità di usare il gioco durante le ore di scuola, alla abilità manuale necessaria per montare il giocattolo, alla destinazione del prodotto ad un pubblico adulto, anziché ai minori. Abuso dei sentimenti degli adulti. L'ultima parte del c. 1 della norma non preclude l'utilizzo dei minori nella pubblicità. Essa invece, dato per presupposto che i sentimenti per i più giovani rappresentano un elemento di vulnerabilità degli adulti, è finalizzata ad evitare che la pubblicità possa far leva su tale debolezza per conseguire un effetto più incisivo, ad esempio suscitando sensi di colpa e dubbi sulla adeguatezza delle cure apprestate ai primi dai secondi e la convinzione che tale ruolo sarebbe svolto più adeguatamente acquistando il prodotto pubblicizzato. È stato osservato che la disposizione lascia un ampio margine alle valutazioni soggettive dell'interprete in relazione al concetto di “abuso” dei sentimenti, in quanto qualsiasi pubblicità che si rivolga ad un adulto per reclamizzare un prodotto destinato 90 AG n. 2771, Boll. 4/95; AG n.11248, ivi 39/02. 91 AG n. 6447, Boll. 41/98 relativa ad una telepromozione; AG n. 11248, Boll. 39/02. 120 ai minori stimola i sentimenti di quello per questi, senza che ciò integri necessariamente un approfittamento delle attenzioni che è normale avere per i più piccoli. La giurisprudenza ha però precisato che la semplice sollecitazione di sentimenti degli adulti per i più piccoli, se attuata senza forme di ricatto o di violenza, non rappresenta un abuso ai sensi della disposizione in esame. E' stato invece giudicato in contrasto con la norma un filmato volto a creare allarmismo sui danni che l'esposizione ai campi elettromagnetici creati da televisione e computer possono causare ai bambini, per pubblicizzare uno schermo protettivo proposto come soluzione sufficiente del problema. 93 La minaccia alla sicurezza. Come accennato al par. l che precede, il c. 2 della norma in commento disciplina una fattispecie difficilmente inquadrabile nelle finalità del d. legisl. 145/2007, e cioè, secondo il dettato dell’art. 1 c. 2 del decreto, la tutela dei professionisti nei confronti della pubblicità ingannevole e delle sue conseguenze sleali. I casi di pubblicità suscettibile di minacciare la sicurezza dei più giovani esaminati dall’Autorità Garante sotto il vigore del d. legisl. 74/1992, e poi nella breve parentesi in cui la norma in commento era inserita nel Codice del Consumo, hanno riguardato messaggi potenzialmente capaci di arrecare un danno a bambini e/o adolescenti, dal quale tuttavia non è chiaro come possa derivare anche come conseguenza indiretta un pregiudizio ai professionisti, quali definiti dall’art. 2 lett. b 92 Nella fattispecie AG n. 3899, Boll. 20/96 è stato giudicato illecito uno spot che si rivolgeva a bambini ed affermava che non potevano “uscire senza”il prodotto pubblicizzato. 93 AG n. 5755, Boll. 10/98. 121 del d. legisl. 145/2007, che ne giustifichi una tutela autonoma. Secondo la dottrina la minaccia derivante ai più giovani dalla pubblicità può essere sia diretta che indiretta. Nella prima ipotesi è riconducibile il caso della comunicazione pregiudizievole per la sicurezza psichica dei minori, derivante dall'utilizzo nel messaggio di immagini raccapriccianti: il richiamo alla categoria di ingannevolezza contenuto nella norma esclude che possa esservi riconducibile una rappresentazione pubblicitaria orrifica, mancando in essa qualsiasi carattere ingannevole. L'Autorità ha evidenziato la necessità di operare una diversa valutazione, per la pubblicità astrattamente idonea a pregiudicare l'equilibro psichico dei minori, a seconda che si prendano in considerazione bambini di età inferiore ai sei-sette anni, ovvero superiore, e quindi di valutare con diverso rigore i messaggi iconografici, fruibili a qualunque età, rispetto a quelli scritti che possono essere compresi solo da bambini della fascia d'età superiore. Sono stati giudicati pericolosi per la sicurezza psichica dei minori: - affissioni parapedonali a favore di una pellicola cinematografica che mostravano arti recisi e grondanti sangue (AG n. 14558,Boll.16/50;n.15663,ivi 26/06); - il trailer di un film horror diffuso in una sala cinematografica poco prima della proiezione di una pellicola destinata ad un pubblico di minori, in orario pomeridiano e domenicale (AG n.15626,ibidem); - adesivi che pubblicizzavano una consolle con telefono cellulare che consentiva di giocare a distanza fra più soggetti e che riportavano diciture come “umilia il tuo miglior amico davanti agli altri”,”fammi male”,”ti piace farlo in tre?”(AG n. 13218, cit.); 122 - una affissione in cui compariva un uomo intento a segare gli arti di un manichino ed a gettarli nella stufa (AG n. 6940,Boll. 8/99); - uno spot che mostrava un individuo vestito da chirurgo ed un ragazzino intenti a sezionare mostri ed a ingerirne gli organi rimossi (AG n. 5353,ivi.40/97); - un filmato nel quale due bambini si trasformavano in creature mostruose a seguito dell'assunzione del prodotto pubblicizzato; - un annuncio che mostrava con modalità crude e dirette l'immagine di un malato terminale di AIDS nel letto di morte (AG n.1752,ivi 4/94). Non sono state invece ritenute pericolose: confezioni di giocattoli sulle quali erano riportati elementi di aggressività e crudezza solo in forma scritta, e quindi con modalità giudicate meno impattanti della rappresentazione figurativa, e comunque fruibili solo da bambini di età non inferiore ai sei - sette anni. La minaccia indiretta consiste nell'ipotesi di pubblicità che, anche involontariamente, possa indurre bambini o adolescenti ad esporsi a situazioni di rischio per l'incolumità fisica, attraverso rappresentazioni suscettibili di stimolare pericolosi comportamenti imitativi facendo leva sullo spirito di emulazione insito nella natura dei più giovani. Sono stai ritenuti in contrasto con la norma in commento: - un annuncio stampa che ritraeva il volto di una donna coperto da un cellophane trasparente; - una televendita di scooter elettrici presentati come utilizzabili senza patente, casco,assicurazione e targa; 123 - un annuncio per componenti di motociclette che prometteva maggior velocità e scatto del mezzo, su cui fossero impiegati; - un commercial, pur interpretato da adulti che mostrava una donna nell'atto di ingoiare un anello; - un catalogo che rappresentava un gruppo di adolescenti intenti a tenere comportamenti penalmente rilevanti; - la pubblicità per ciclomotori che esaltava le doti di velocità del mezzo,trascurando le altre caratteristiche, o che raffigurava adolescenti nell'atto di compiere manovre spericolate, o in violazione dei divieti del codice della strada; - un annuncio per calzature per grinding delle quali era raffigurato l'utilizzo senza l'equipaggiamento di sicurezza. Non sono stati invece giudicati in contrasto con la norma in esame: - un filmato per un monopattino dove il prodotto era pubblicizzato come mezzo di locomozione e non come strumento di abilità; - uno spot dove il comportamento pericoloso (asciugacapelli nell'acqua) non veniva incoraggiato, in quanto mostrato come conseguenza di un atto meramente accidentale; - un filmato che mostrava bambini intenti a saltare sui tetti, gridare e sporcarsi, ritenuti comportamenti che rientrano nella quotidianità dei più piccoli; - un commercial nel quale il protagonista si dondolava pericolosamente da un lampadario, sul presupposto che la scena rappresentata era chiaramente paradossale e talmente avulsa dalla realtà da escludere che potesse indurre comportamenti imitativi. 124 In dottrina si è sostenuto che la capacità di costituire un modello comportamentale pericoloso per bambini ed adolescenti è particolarmente intensa per la pubblicità dove i protagonisti siano dei minori, ma è comunque ipotizzabile anche per la comunicazione dove il comportamento suscettibile di imitazione sia tenuto da adulti, e che l'applicabilità della norma deve essere valutata sulla base del messaggio stesso e delle sue rappresentazioni, indipendentemente dalla natura del bene o servizio reclamizzati. Sotto il profilo della minaccia alla incolumità fisica dei minori sono state esaminate anche le confezioni di alcuni prodotti suscettibili di essere utilizzati dai bambini (correttori per inchiostro a forma di penna), in relazione alla possibilità che questi potessero farne un uso improprio, ad esempio ingerendo o inalandone il contenuto. Illecita è stata giudicata la confezione che ometteva di segnalare la presenza nel prodotto di una sostanza tossica e della conseguente necessità di tenerlo lontano dalla portata dei bambini 94; lecite invece le confezioni per analoghi prodotti oggettivamente non pericolosi. Illecito anche lo spot di una merendina con una pur ridotta componente alcolica non dichiarata nella pubblicità, sul presupposto che la comunicazione presentava l'alimento come incondizionatamente adatto ai bambini. 95 E' stato escluso che la norma possa essere interpretato come disposizione volta ad una generica tutela morale dei minori: questo profilo è invece oggetto di specifica 94 AG n. 7097, Boll. 15/99. 95 AG n. 5226, Boll. 31/97. 125 disciplina da parte dell’art.11 C.A. 96, infatti anche l’Autorità 97 non ha ritenuto in contrasto con la norma in esame un telecomunicato a favore di una linea telefonica erotica. 3.1.3 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) È un organo amministrativo che non si inquadra nei tradizionali soggetti di diritto amministrativo: presenta invece analogie con le public agencies statunitensi. L'art.4 della d. CE.84/450 sulla pubblicità ingannevole impose agli stati membri di approntare mezzi adeguati ed efficaci di lotta contro il mendacio e l'inganno pubblicitario, a tutela degli interessi dei consumatori, dei concorrenti e del pubblico in generale. La direttiva lasciò agli stati la scelta fra una tutela giudiziaria e una tutela di carattere amministrativo, o di entrambe. Attribuì inoltre agli stati l'opposizione di prevedere che le decisioni definitive d'inibitoria della pubblicità, in tutto o in parte, e di ordinare, inoltre, la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa. La direttiva, in definitiva, offrì agli stati membri, pur nella precisa definizione degli obbiettivi da raggiungere, un'ampia scelta delle strutture e dei mezzi per conseguirli. Seguirono dibattiti e proposte, per orientare le scelte del legislatore, il legislatore italiano scelse la soluzione amministrativa, prevedendo di conferire all'Autorità garante della concorrenza e del mercato la competenza di reprimere la pubblicità ingannevole. Con il d. legisl. 25 gennaio 1992.n. 74. fu data concreta attuazione alla direttiva, 96 Fusi-Testa-Cottafi, La pubblicità ingannevole, p. 247. 126 introducendo le norme relative al procedimento davanti all'Autorità garante. A seguito, poi, del d. legisl. 25 febbraio 2000, n.67. in attuazione della d. CE. 97/55, fu ulteriormente attribuito a tale Autorità il potere di sanzionare la pubblicità comparativa svolta in violazione con i dettami previsti dall'art.3-bis d. legisl. n. 74/1992, quale modificato dal d. legisl. n. 67/2000. L'art.7 fu successivamente modificato con l. 6 aprile 2005, n. 49, che introdusse una sanzione amministrativa per i casi di pubblicità ingannevole, e ha depenalizzò l'illecito di inottemperanza ai provvedimenti dell'Autorità. Il testo cosi' modificato infine confluì, con qualche variazione di carattere formale, nell'art.26 codice del consumo. La d. CE 05/29 non ha modificato sul punto la d. CEE 84/450: e dunque il d. lgs. 145/07 ed il nuovo Codice del Consumo hanno confermato l’attribuzione all’Autorità garante la competenza ad applicare la normativa sul divieto di pubblicità ingannevole e sulla pubblicità comparativa, pur introducendo significative modifiche al relativo procedimento. Poiché già prima dell'entrata in vigore del d. legisl.74/1992 operavano in Italia altri enti ed organismi fra le cui competenze rientra, in qualche misura, il controllo della pubblicità, con particolare riguardo all'ingannevolezza del suo contenuto, ci si pone il problema della compatibilità delle norme e delle competenze stesse con la disciplina della legge in esame. Un primo chiarimento viene dal c.14 dell'art. 8, che esclude l'intervento dell'Autorità garante nei casi in cui la pubblicità sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non 97 AG n.1267, Boll.15-16/93. 127 ingannevole della stessa. A sua volta, il co.15 fa salva la giurisdizione del giudice ordinario, per le azioni di concorrenza sleale nascenti dalla pubblicità ingannevole e comparativa. Non sembra invece esistere un problema di coordinamento fra le competenze dell'Autorità garante e le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quali attualmente disciplinate dal d. legisl. 31 luglio 2005,n. 177 (Testo unico della radiotelevisione). Nonostante la parziale coincidenza delle disposizioni sostanziali materia di pubblicità contenute nell’art.4 c.1 del testo unico (divieto di pubblicità non riconoscibile come tale;divieto di pubblicità suscettibile di nuocere allo sviluppo fisico,psichico e morale dei minori) con quelle contenute nel nuovo codice del consumo e nel decreto legislativo in esame, non va dimenticato che il testo unico della radiotelevisione contiene una normativa di carattere settoriale, che si applica soltanto nei confronti delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di programmi, mentre il codice del consumo ha portata generale. Non si pone quindi un problema di conflitto di competenze, ma eventualmente solo un problema di diversa valutazione della medesima fattispecie privo di diretta rilevanza sul piano giuridico. Il c.14 dell'art.8 introduce una rilevante eccezione alla competenza generale dell'Autorità garante in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa scorretta. Stabilisce infatti che il procedimento amministrativo di controllo, fin qui esaminato, non si applichi alla “pubblicità che sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della stessa o di liceità del messaggio di pubblicità comparativa”. Le condizione perché operi l'eccezione sono quindi sostanzialmente le seguenti: a)che la legge prevede un 128 controllo obbligatorio da parte di un'autorità amministrativa, da esercitarsi prima della diffusione della pubblicità e che sfoci in un provvedimento autorizzativo della stessa; b)che tale controllo sia preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della pubblicità, o della correttezza della pubblicità comparativa. I casi di esclusione della competenza dell'Autorità garante così individuati sono tassativi. Sono sottratte alla competenza dell'Autorità solo le pubblicità per le quali sia già intervenuto un provvedimento amministrativi di assenso, conservando invece l'Autorità pieno potere di intervenire quando l'operatore pubblicitario, contravvenendo alle disposizioni di legge, non abbia richiesto l'autorizzazione preventiva alla diffusione del messaggio, oppure abbia diffuso un messaggio diverso da quello autorizzato. Le ipotesi di maggior rilievo nelle quali è previsto il controllo preventivo da parte dell'autorità amministrativa e, correlativamente, l'esclusione della competenza dell'Autorità garante sono: farmaci da banco, dispositivi medici, pubblicità a favore dei prodotti finanziari. In altri casi, invece, pur essendo prevista dalla legge un'autorizzazione amministrativa preventiva alla diffusione della pubblicità, si è ritenuto che la competenza dell'Autorità garante non sia esclusa, per la ragione che il controllo amministrativo non è preordinato alla verifica di ogni profilo di verità. L’art. 27 del Codice del Consumo è stato introdotto anch’esso dal d. legisl. 146/07 ed ha sostituito il corrispondente art. 26 del Codice del Consumo, che, nella versione originaria, prevedeva la disciplina sanzionatoria in materia di pubblicità ingannevole. Tale articolo, che vede come protagonista, appunto, l’Autorità garante, ora si intitola 129 Tutela amministrativa e giurisdizionale e si occupa della disciplina sanzionatoria: “L'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, di seguito denominata "Autorita'", esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo anche quale autorita' competente per l'applicazione del regolamento 2006/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorita' nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori, nei limiti delle disposizioni di legge….”. Le disposizioni in tema di pubblicità ingannevole e comparativa, come abbiamo detto, sono state trasferite in un corpus normativo a sé stante, il d. legisl. 145/07, esterno al Codice del Consumo. Prescindendo in questa sede dal merito della scelta della separazione normativa sul piano della titolarità degli interessi tutelati, dei consumatori o dei professionisti, si rileva che la disciplina sanzionatoria in materia di pratiche commerciali scorrette, prevista dall’art. 13 della direttiva e ora contenuta nel Codice del Consumo, è del tutto speculare a quella relativa alla pubblicità ingannevole e comparativa illecita, di cui all’art. 8 d. legisl. 145/07. I due provvedimenti contemporanei hanno determinato lo spostamento della disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa illecita all’esterno del codice del consumo, nel quale tale disciplina è stata sostituita da quella relativa alle pratiche commerciali scorrette. Gli ambiti di applicazione della disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa e quello delle pratiche commerciali scorrette sono stati differenziati, come abbiamo già detto, in ragione dei titolari degli interessi tutelati: la 130 prima è volta a tutelare la concorrenza e i diritti dei professionisti lesi dalle pratiche pubblicitarie scorrette, mentre la seconda, più generale, regola e sanziona le pratiche commerciali scorrette che rechino pregiudizio alla sfera dei diritti dei consumatori. Per ciò che concerne le previsioni sanzionatorie, in ogni caso, i rilievi riguardanti l’art. 8 d. legisl. 145/2007 possono essere estesi anche all’art. 27 cod. cons. sia in ragione della coincidenza delle previsioni, sia per il fatto che la seconda norma potrà essere, presumibilmente, applicata come norma generale rispetto alla prima allorché una pubblicità ingannevole o comparativa ritenuta illecita non abbia leso direttamente gli interessi economici dei professionisti concorrenti, ma risulti comunque dannosa per i diritti dei consumatori e debba pertanto essere considerata come pratica commerciale scorretta. Pertanto vi sarà un’unica analisi di questi due articoli, entrambi denominati “Tutela amministrativa e giurisdizionale”. Per quanto riguarda la legittimazione attiva va segnalato che, a differenza di quanto accadeva nel vigore della precedente disciplina, l’art. 8 c. 2 d. legisl. 145/07 e lart. 27 c. 2 del Codice del Consumo attribuiscono all’Autorità garante il potere di procedere d’ufficio all’accertamento del contrasto della pubblicità con le disposizioni ivi contenute. Afferma infatti: “. L'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione ed elimina gli effetti della pubblicità ingannevole e comparativa illecita. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1”. 131 Fra i soggetti legittimati a richiedere l’intervento dell’Autorità in relazione ad una pratica commerciale scorretta devono essere annoverati anche i concorrenti e le loro organizzazioni, in conformità a quanto espressamente previsto dall’art. 27-ter. Rispetto alla formulazione originale dell’art. 26 del Codice del Consumo, le disposizioni sanzionatorie non sono state modificate in modo sostanziale: sono state elevate le cornici edittali delle sanzioni amministrative ed è stata resa più razionale la formulazione della norma, modificando l’ordine di alcuni commi ed eliminando alcuni rinvii. Il previgente art. 26 cod. cons. riproduceva, a sua volta, quasi integralmente l’art. 7 l. 25 gennaio 1992, n. 74, modificata, per quanto riguarda il modello sanzionatorio – da penale in amministrativo – dalla l. 6 aprile 2005, n. 49. Rispetto alla formulazione dell’art. 7 l. 74/1992, le novità di maggiore rilievo circa la punizione delle condotte di pubblicità ingannevole e comparativa ritenuta illecita consistevano nell’eliminazione della sanzione penale, nell’introduzione di nuove sanzioni amministrative pecuniarie, nell’aumento della sanzione amministrativa, e, infine, nella previsione della sanzione facoltativa della sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. La scelta del ricorso alla sanzione amministrativa in luogo di quella penale, lo si è anticipato, è stata mantenuta dai d. legisl. 145 e 146/2007, sebbene la legge delega 29/2005 prevedesse, all’art. 3 relativo ai principi e criteri direttivi per il legislatore delegato, la possibilità di comminare anche sanzioni penali contravvenzionali, limitandole ai casi in cui le infrazioni avessero leso o esposto a pericoli interessi costituzionalmente protetti. Tale limite, forse, avrebbe consentito la 132 previsione di sanzioni penali per le pratiche commerciali scorrette, lesive dei diritti dei consumatori: si pensi ad es. a quelle che più ci interessano e che riguardano prodotti che possano comportare pericolo per la salute o la sicurezza oppure suscettibili di raggiungere minori o adolescenti. Le sanzioni amministrative sono applicate dall’Autorità e la cognizione dei ricorsi avverso le sanzioni è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (c. 13), derogando, al generale criterio di riparto della giurisdizione nel nostro ordinamento, secondo il quale il giudice amministrativo decide in merito alla tutela degli interessi legittimi, mentre sui diritti soggettivi decide il giudice ordinario Le sanzioni per l’inottemperanza alla richiesta (c . 4). La norma in commento è stata introdotta dalla l. 49/2005 all’interno della l. 74/1992, e poi trasposta nel codice del consumo, al c. 11 dell’art. 26. Con il d. legisl.145/2007 la norma, non mutata nella sostanza, è stata più razionalmente inserita al c. 4 dell’art. 27, seguendo direttamente la disposizione che detta le prescrizioni la cui inottemperanza è appunto sanzionata. La prima parte del comma riproduce la disposizione già presente nella versione originaria dell’art. 7 c. 10 l. 74/1992, aumentando l’importo della sanzione amministrativa pecuniaria 98. L’illecito consiste nell’inottemperanza da parte dell’operatore pubblicitario o del proprietario del mezzo che ha diffuso il messaggio illecito alla richiesta di informazioni e documentazioni proveniente dall’Autorità: richiesta formulata ai sensi 98 che nella legge del 1992 era da due a cinque milioni di lire, mentre l’attuale sanzione va da un minimo di 2.000 a un massimo di 20.000 euro: nonostante l’aumento non sembra che la sanzione 133 del c. 3 del presente articolo, modificato, a sua volta, dalla l. 49/2005. La richiesta, funzionale alla procedura cautelare di sospensione del messaggio pubblicitario disciplinata dallo stesso c. 3, può dunque essere rivolta al proprietario del mezzo di diffusione del messaggio, affinché fornisca le informazioni necessarie per identificare il committente, oppure può essere rivolta all’operatore pubblicitario, affinché fornisca all’Autorità una copia della pubblicità ritenuta illecita. Per quanto riguarda l’omissione, da parte del proprietario del mezzo di diffusione del messaggio pubblicitario, delle informazioni necessarie per l’identificazione del committente non è richiesta, ai fini dell’applicabilità della sanzione, la volontà di favorire il committente stesso, essendo sufficiente la mancata ottemperanza alla richiesta dell’Autorità. Il secondo periodo della norma è stato opportunamente introdotto dalla l. 49/2005 e sanziona più gravemente, rispetto all’omissione di cui sopra, la falsità delle informazioni e della documentazione fornita ( la sanzione prevista va da 4.000 a 40.000 euro) Le sanzioni disposte con il provvedimento che vieta la diffusione (c. 9). La norma, originariamente introdotta dalla l. 49/2005 che ha inserito un nuovo c. 7 nella l. 74/1992, poi trasposta nel codice del consumo, sottopone direttamente a sanzione la pubblicità ingannevole o comparativa ritenuta illecita: la sanzione – amministrativasi qualifica come conseguenza automatica e necessaria del procedimento di accertamento della violazione svolto dall’Autorità e disciplinato nei commi possa effettivamente aspirare a svolgere una reale efficacia preventiva: Carnabuci, AA.VV., Codice 134 precedenti. Si tratta di una novità significativa: nell’originario sistema, la l. 74/1992, al termine della procedura di accertamento della violazione delle norme sulla pubblicità, prevedeva l’Autorità potesse, oltre a vietare la pubblicità stessa, solamente ordinare la pubblicazione della pronuncia e di una dichiarazione rettificativa, mentre la sanzione penale rivolta all’operatore pubblicitario interveniva in maniera indiretta sanzionando l’inottemperanza al provvedimento dell’Autorità. Si attuava, in questo modo, un modello di tipo ingiunzionale che risolveva egregiamente il problema di una pressoché impossibile definizione, in termini tassativi e precisi, imposti da un’eventuale fattispecie penalistica, della nozione di “pubblicità ingannevole”. La scelta ora attuata comporta sia una sanzione immediata di natura amministrativa con lo stesso provvedimento che accerta la violazione, sia una successiva, in caso di inottemperanza. La modifica sembra essere ispirata dalla considerazione circa la necessita che l’Autorità disponga di poteri sanzionatori diretti nei confronti delle pubblicità ingannevoli o comparative ritenute illecite; taluno ha rilevato che i provvedimenti inibitori, se risultano efficaci nei confronti di alcuni operatori, rispetto ad altri possono risultare indifferenti se non addirittura non sgraditi perchè fonte di ulteriore pubblicità, come nel campo della moda, dello spettacolo, delle telecomunicazioni. La sanzione amministrativa applicata ai sensi della nuova disciplina contestualmente al provvedimento che accerta la violazione, elevata dal d. legisl. 145/2007, è compresa tra 5.000 e 500.000 euro, e deve essere pagata entro 30 giorni dalla notifica del consumo , Commento al d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, sub art. 26, p. 304. 135 del provvedimento stesso all’operatore pubblicitario responsabile dell’illecito. Per la possibilità del pagamento rateale e per la disciplina dell’esecuzione forzata si deve fare riferimento, per l’esplicito rinvio contenuto nel co. 12, agli art. 26 e 27 l. 689/1981. L’importo della sanzione deve essere stabilito “tenuto conto della gravità e della durata della violazione”: peraltro la gravità della violazione come criterio di commisurazione è già contenuta nell’art. 11 l. 689/1981, applicabile in forza del richiamo del co. 13. La seconda parte della norma contenuta nel comma in commento introduce una presunzione legislativa di gravità dell’illecito, nei casi in cui le pubblicità giudicate ingannevoli possono comportare un pericolo per la salute e la sicurezza, nonché siano suscettibili di raggiungere, direttamente o indirettamente, minori o adolescenti. Le sanzioni previste nei casi di inottemperanza ai provvedimenti di urgenza, inibitori o di rimozione (co.12). La norma, introdotta dalla l. 49/2005, ha sostituito l'originario c. 9 dell'art. 7 della l. 74/1992, è stata inserita, senza modificazioni, nel codice del consumo ed è ora stata trasposta nel d. legisl. 145/07. Nella nuova versione, peraltro, è sanzionato anche il mancato rispetto degli impegni assunti dal professionista il quale, ai sensi del del c. 7, nei casi di violazioni non manifeste può assumersi l’obbligo di porre fine alla pubblicità ritenuta illecita, così ottenendo, una volta giunta l’approvazione dell’Autorità, che non venga portata a termine l’istruttoria, evitando l’accertamento dell’infrazione. Sul piano sanzionatorio la modifica esprime - per le ragioni in precedenza esposte - la novità di maggiore rilievo, poiché la precedente 136 disposizione prevedeva un illecito penale, punito, come si è detto, “ con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda fino a lire cinquemilioni”. La prima parte del comma in esame riproduce la previgente fattispecie contravvenzionale, stabilendo una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 150.000 euro. L'originaria contravvenzione costituiva una figura generale, nella quale prendeva corpo l'intervento repressivo nei confronti della pubblicità ingannevole e della pubblicità comparativa ritenuta illecita, di sicuro carattere innovativo. L'illecito amministrativo ha natura omissiva; per la sua realizzazione è sufficiente la semplice colpa; quanto alla condotta, essa è costituita dall'inottemperanza al provvedimento di sospensione cautelativa della pubblicità (c.3) o di accertamento della natura illecita della pubblicità, con conseguente divieto di proseguire nella diffusione al pubblico, con eventuale ordine di rimuovere gli effetti (mediante la pubblicazione della pronuncia e una dichiarazione rettificativa, c. 8). Il secondo periodo del comma in esame contiene una fattispecie non prevista nell'originaria formulazione della l.74/1992: si sanzionano i casi di reiterata inottemperanza, con la facoltà, da parte dell'Autorità, di disporre la sospensione dell'intera attività dell'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. Nel nuovo codice abbiamo agli artt. 27-bis e 27-ter, rispettivamente, un riconoscimento dell’Autodisciplina e un coordinamento della stessa con le disposizioni del Codice. 137 Nonostante il considerando n. 20 della d. CE 05/29 sulle pratiche commerciali sleali invitasse espressamente gli stati membri ad incoraggiare il ricorso agli organi di autocontrollo al fine di “evitare la necessità di esperire azioni giudiziarie o amministrative”, con i d. legisl. di attuazione n. 145 e 146/2007 il legislatore italiano si è limitato ad operare un riconoscimento dell’autodisciplina, senza tuttavia attribuirle un chiaro ruolo alternativo al giudizio davanti all’Autorità garante. L’art. 27-bis del cod. del cons., introdotto dal d. legisl. 146/2007, prevede la possibilità per le associazioni imprenditoriali e professionali di autoregolamentare una o più pratiche commerciali ovvero settori imprenditoriali attraverso un apposito”codice di condotta”, che i professionisti si impegnano a rispettare. Tale codice deve essere redatto in lingua italiana e inglese e deve essere accessibile al consumatore anche per via telematica. Un obbligo specifico riguarda il contenuto dei codici di condotta, infatti al c. 2 dell’art. 27- bis è chiesto esplicitamente “Nella redazione di codici di condotta deve essere garantita almeno la protezione dei minori e salvaguardata la dignità umana”: disposizione sicuramente meritoria sotto il profilo sociale, della quale però non si può fare a meno di rilevare la completa estraneità alla direttiva e alle finalità perseguite dalla stessa, che attengono alla sola tutela degli interessi economici dei consumatori. Ma anche i requisiti formali sono pienamente soddisfatti: in quanto il sito della IAP dispone pure di una sezione in lingua inglese che, oltre ad illustrare l’Istituto, i suoi organi e i servizi offerti, propone una versione inglese del C.A. può quindi senza dubbio essere considerato un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis. 138 Anche in mancanza di un esplicito riconoscimento del legislatore non si può dubitare che rientri nell’agere licere dei privati il regolare in via negoziale controversie che tra loro dovessero insorgere su materia di cui abbiano la giuridica disponibilità. Con specifico riguardo alle controversie in materia di pubblicità, la legittimità del sistema autodisciplinare è stata riconosciuta anche in giurisprudenza99. Della possibilità di ricorrere a forme di autodisciplina nel campo della pubblicità nel nostro Paese si è fatto un uso rilevantissimo. Ciò proprio in virtù dell’assenza di una disciplina statale con carattere di generalità, nonché della cronica lentezza della macchina giudiziaria, chiamata comunque ad applicare discipline settoriali o discipline sulla concorrenza sleale, inadeguata allo scopo100. Per quanto riguarda il rapporto tra il giudizio autodisciplinare e quello amministrativo, l’attuazione della CE 05/29 non è servita a far maggiore chiarezza rispetto alla situazione preesistente. L’art. 9 d. legisl. 145/2007 sembra infatti riprodurre sostanzialmente il contenuto dell’art. 27 del codice del consumo, che è sostituito dall’art. 27 – ter d. legisl. 146/2007 in materia di autodisciplina . Anche il nuovo art. 27-ter c. 1 prevede infatti che consumatori, concorrenti e professionisti possano richiedere l’intervento dell’”organismo incaricato del controllo del codice di condotta”, e il Giurì può senz’altro essere inteso come tale. Rispetto alla formulazione precedente il dettato del c. 1 si spinge oltre e riconosce espressamente 99 Trib. Milano, 22 gennaio 1976, in Riv. dir. ind., 1977, II, p. 9, riconosce legittime le disposizioni del Codice di Lealtà Pubblicitaria quando derivano da un negozio giuridico privato, per lo più da un contratto (c.d. clausola di accettazione), ove tale clausola opera secondo lo schema del contratto a favore di terzi ai sensi dell’art. 1411 c.c. 100 Meli V., La repressione della pubblicità ingannevole (commento al D.lgs. 25 gennaio 1992 n. 74), Torino, 1994, p. 146 ss. 139 la libertà di concordare la previa instaurazione del giudizio autodisciplinare. Ciò fa quindi pensare che siano ora efficaci eventuali accordi che, conclusi in via preventiva, obblighino consumatori, concorrenti e professionisti ad esperire il giudizio innanzi al Giurì prima di instaurare la procedura amministrativa. In passato l’ammissibilità di accordi sottoscritti in via preventiva era stata esclusa per l’espresso riferimento operato dall’allora c. 2 dell’art. 8 d. legisl. 74/1992 all’inizio del procedimento autodisciplinare, per cui solo a procedura iniziata sarebbe stato possibile convenire la sospensione del giudizio avanti all’Autorità garante. Questa chiave di lettura non trova un reale ostacolo neppure nell’espressione “ risoluzione concordata” contenuta nel c. 1 della norma in esame che, sebbene lasci trasparire prima facie una funzione meramente conciliativa degli organismi addetti al controllo dei codici di condotta e in quanto tale estranea al procedimento autodisciplinare davanti al Giurì, deve pur sempre essere interpretata alla luce della dir. CE 05/29 che mira non ad escludere, bensì a valorizzare tale sistema di autocontrollo. La mancanza di chiarezza espositiva e correttezza grammaticale del c. 1 sembra confortare questa conclusione. Se veramente il legislatore avesse voluto qui privilegiare l’autocomposizione di una controversia non avrebbe precisato che la soluzione è “volta a vietare o a far cessare la continuazione della pratica commerciale scorretta”, ricorrendo cioè ad una terminologia più consona ad una decisione che presuppone un contenzioso e l’intervento di un organo giudicante. Con l’impiego dell’aggettivo “ concordata” si è quindi forse voluto semplicemente ribadire che il ricorso agli organismi di autocontrollo avviene sulla base di un accordo fra le parti. 140 Nonostante la previsione di cui al c. 1 non sembri privare alcuno dei soggetti firmatari di tale accordo della legittimazione a ricorrere all’Autorità garante in un momento successivo alla conclusione del giudizio autodisciplinare, il c. 2 attribuisce espressamente al solo consumatore il diritto di adire l’Autorità ovvero il giudice competente a prescindere dall’esito della procedura davanti all’organo di autocontrollo. Se vogliamo escludere di trovarci di fronte ad una contraddizione in termini, l’unica interpretazione possibile è che il patto di cui al c. 1 comporti per i concorrenti e i professionisti che vi hanno aderito l’obbligo di astenersi dal ricorrere all’organo amministrativo anche in seguito alla pronuncia definitiva da parte del Giurì. Nei confronti di questi soggetti il giudizio autodisciplinare verrebbe così a porsi quale effettiva alternativa al ricorso all’Autorità, così come auspicato nel considerando n. 20 della d. CE 05/29. L’art. 27- ter c. 2, che rappresenta tra l’altro una novità rispetto al precedente dettato dell’art. 27 codice del consumo, non è quindi una norma tautologica, e risponde piuttosto alle istanze di salvaguardia degli interessi del consumatore perseguite con la legge in esame. L’accordo di cui al c. 1 priva pertanto il consumatore della legittimazione ad instaurare la procedura amministrativa soltanto in via temporanea, vale a dire per la durata del procedimento davanti all’organismo di autocontrollo. Il c. 3 disciplina tre diverse ipotesi di contemporanea pendenza dei due procedimenti, il caso in cui le parti, dopo aver dato inizio al procedimento davanti all’organo autodisciplinare, stabiliscano di comune accordo di astenersi dal ricorrere all’Autorità in attesa della pronuncia definitiva dell’organismo di autocontrollo; l’eventualità che 141 il procedimento amministrativo sia già radicato e le parti presentino istanza di sospensione in attesa della conclusione del giudizio autodisciplinare; l’ipotesi in cui la procedura innanzi all’Autorità sia stata attivata ad un soggetto diverso rispetto alle parti del procedimento e queste ne chiedano la sospensione a causa della contemporanea pendenza di un procedimento autodisciplinare L’emanazione del provvedimento di sospensione è rimessa alla discrezionalità dell’Autorità garante. Si ripropone dunque il problema del significato della sospensione, che ha di solito la funzione di consentire la risoluzione di una questione pregiudiziale. Fra gli elementi che l’Autorità potrà tener presenti ai fini dell’emanazione del provvedimento di sospensione, devono senz’altro esser compresi dati oggettivi relativi al singolo procedimento, quali la gravità dell’inganno pubblicitario contestato, la circostanza che la pubblicità sia o meno in corso di diffusione, la qualità delle parti. Sembra però ragionevole ricomprendere fra gli elementi di valutazione anche la qualità dell’organismo autodisciplinare al quale il caso sia stato sottoposto, nonché la serietà e la rappresentatività di cui questo gode nel settore pubblicitario101. Mentre il Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria appaiono sicuramente dotati dell’autorevolezza e della credibilità che rendono opportuna ed auspicabile la sospensione del procedimento avanti l’Autorità, non altrettanto può dirsi per autodiscipline pubblicitarie di “comodo”, che possano venire artatamente create dagli 142 operatori di un certo settore, con lo scopo di ritardare lo svolgimento dei procedimenti avanti l’Autorità. Sembra da escludere che la sospensione e la riattivazione del procedimento possa avvenire d’impulso dell’Autorità, stante la più volte rilevata mancanza di potere di iniziativa della stessa. Si dovrà perciò ipotizzare che sia necessario l’impulso di una parte, sotto forma di ricorso o di istanza all’Autorità per la prosecuzione del procedimento. L’assenza di una previsione normativa crea un problema relativo al valore da attribuirsi alla pronuncia dell’organo di autodisciplina nel procedimento avanti l’Autorità Garante: essa potrà avvalersi di dati emersi dal procedimento autodisciplinare, ma certo non potrà rinunciare a condurre una propria istruttoria e ad operare proprie autonome valutazione, né sarà obbligata ad acquisire agli atti le decisioni dell’organo autodisciplinare, né a darne conto nel provvedimento o a giustificare eventuali dissensi102. Del resto, l’eventualità che il Giurì e l’Autorità adottino determinazioni fra loro discordanti circa l’illiceità di un certo messaggio pubblicitario è dovuta dal fatto che ai due organi fanno capo due ordinamenti giuridici separati ed autonomi, ma non è possibile che tra questi possa configurarsi una sorta di conflitto tra giurisdizioni dovendo, per esprimersi in questi termini, presupporre che pronuncia dell’organo 101 Fusi M.- Testa P.- Cottafavi P., La pubblicità ingannevole (commento al D.lg. 25 gennaio 1992 n. 74), 1993, p. 330 ss. 102 Floridia, Il decreto legislativo in materia di pubblicità ingannevole: illustrazione e commenti, Milano, 1992 143 autodisciplinare e provvedimento dell’Autorità appartengano allo stesso ambito giuridico. Il che certamente non è103. I due organi, che giudicano sulla base di norme parzialmente diverse, possono assumere decisioni tra loro contraddittorie, ciascuna delle quali avrà efficacia nel proprio ambito104: la pronuncia del Giurì dell’Autodisciplina nell’ambito dell’ordinamento autodisciplinare, e nei confronti degli aderenti a tale ordinamento, la pronuncia dell’Autorità nell’ambito più vasto dell’ordinamento statale e nei confronti di tutti coloro indistintamente che ad esso siano soggetti, operando con i limiti e i poteri conferiti dalla legge105. I sistemi autodisciplinari privati fondano il loro funzionamento su una base convenzionale e questo ha influenza sulla natura ed efficacia del loro apparato sanzionatorio. In base al C.A. l’osservanza alle pronunce del Giurì non sarà mai attuabile attraverso strumenti coercitivi, ne consegue che di fronte ad una condanna, la parte potrà scegliere di non adempiervi e nessuna istanza giudiziaria se non quella civilistica potrà assistere le ragioni del Giurì106. La pronuncia a contenuto inibitorio del Giurì dovrà essere rispettata dagli aderenti al sistema autodisciplinare, ma nessun obbligo di rispettarla avranno coloro che siano 103 Meli V., Autodisciplina pubblicitaria e legislazione statale, in Dir. ind., n. 3/1996, p. 231 104 Si vedano al riguardo Giurì 112/89 e 46/89, in Giur. Pubbl., 1989, 363. 105 Nella specie, l’affermazione pubblicitaria “non contiene saccarina” riferita ad un dolcificante, era stata ritenuta corretta dal Garante, perché veritiera; era stata ritenuta denigratoria della saccarina da parte del Giurì per il tono e il modo con cui era stata formulata; e, finalmente, è stata considerata atto di concorrenza sleale, da parte della Corte d’App. Milano, 2 febbraio 2001, in AIDA, 2001, 664, ai sensi dell’art. 2598, n. 2 e 3 c.c., sia in quanto denigratoria della saccarina, sia perché la mancata ottemperanza alla decisione del Giurì dovesse considerarsi atto non conforme alla correttezza professionale. 144 estranei a tale sistema. La pronuncia a contenuto inibitorio dell’Autorità avrà per contro il valore di una proibizione assoluta e dovrà essere rispettata da tutti, ivi compresi gli aderenti al sistema autodisciplinare, anche a fronte di una pronuncia di segno contrario del Giurì. Analogo riconoscimento legislativo dei sistemi autodisciplinari lo ritroviamo all’art. 9 della direttiva 145/07, che, come abbiamo visto, spesso si trova a dettare una disciplina equivalente a quella del nuovo Codice del Consumo. L’art.5 della d. CE 84/450 sulla pubblicità ingannevole, occupandosi del “controllo volontario della pubblicità ingannevole esercitato da organismi autonomi”, non ne escludeva la praticabilità da parte dei soggetti interessati, in aggiunta alla tutela giudiziaria o amministrativa assicurata dalle leggi dello stato. In realtà, il considerando n. 16 premesso alla direttiva medesima si spingeva oltre, perché incoraggiava i legislatori nazionali a valorizzare i sistemi autodisciplinari, in quanto idonei ad “evitare azioni giudiziarie o ricorsi amministrativi”. Da un lato si erano perciò create negli operatori del settore delle aspettative di riconoscimento legislativo del fenomeno autodisciplinare, ed anzi di un suo forte coordinamento con le norme statuali da emanare in applicazione della direttiva; dall’altro, i primi progetti legislativi di attuazione della stessa non dedicavano invece alcuna attenzione al fenomeno autodisciplinare, semplicemente ignorandolo. La cd. Legge comunitaria per il 1990, contenente la delega al governo per l’emanazione delle disposizioni legislative in adempimento degli obblighi comunitari dell’Italia, all’art. 41. e, 106 Pedriali A., I profili soggettivi dell’autodisciplina pubblicitaria, in Riv. Dir. Ind., 1992, p. 149 145 stabiliva che l’attuazione della direttiva sulla pubblicità ingannevole dovesse avvenire nel rispetto del principio di “valorizzare gli organismi volontari ed autonomi di autodisciplina e la loro funzione preventiva, prevedendo la sospensione della procedura avanti l’Autorità per un periodo non superiore a trenta giorni, in caso di ricorso davanti all’organo di autodisciplina”. A tale principio fu data prudente attuazione nell’art. 8 d. legisl. 74/1992, il cui contenuto è successivamente confluito nell’art. 27 del Codice del Consumo. La norma qui commentata ne riprende il contenuto, accorpando in un unico comma (il secondo) le disposizioni già contenute nel secondo e terzo comma del citato art. 27. In definitiva il legislatore italiano, se anche ha riconosciuto la funzione positiva degli ordinamenti autodisciplinari, e l’operatività delle loro decisioni all’interno dei rispettivi sistemi, si è limitato ad istituire un collegamento piuttosto blando fra le procedure davanti agli organi autodisciplinari e quella davanti all’Autorità garante: nel senso, che, lasciata ovviamente alla libertà delle parti di adire i primi o la seconda, senza che la legge imponga o preveda alcuna priorità, l’Autorità garante, in caso do contemporanea pendenza di un procedimento autodisciplinare e sempre su istanza di parte, potrà discrezionalmente sospendere il procedimento amministrativo radicato davanti a sé per un periodo non superiore a trenta giorni. Secondo alcuni autori, il dettato della norma, pur senza spingersi ad una equiparazione delle pronunce autodisciplinari nell’ordinamento statale, avrebbe comunque il pregio di aver almeno fugato ogni dubbio sulla loro ammissibilità e liceità. E’ stato peraltro ss. 146 osservato che anche in mancanza di un esplicito riconoscimento nessun dubbio poteva comunque avanzarsi sulla possibilità, per i privati, di regolare lecitamente alcuni momenti delle loro relazioni disponibili in forma negoziale, come del resto era stato riconosciuto anche in giurisprudenza, già prima dell’emanazione del d. legisl. 74/1992, pur in assenza di qualsiasi disposizione normativa in proposito. Per organismi volontari e autonomi di autodisciplina si debbono intendere, oltre al Giuri’ dell’autodisciplina pubblicitaria – sicuramente l’organo più autorevole fra quelli operanti nel nostro paese, e l’unico che svolga un’attività continuativa, a mezzo di una stabile organizzazione – anche gli altri sistemi che operano soltanto a livello settoriale, tra cui sono da ricordare quelli dell’Assopiastrelle ( che prevede il deferimento ad un collegio arbitrale delle questioni riguardanti controversie pubblicitarie), dell’ANVED e, inoltre, il Guiri’ del design, di più recente istituzione. Nella sua ampia formulazione, la norma sembra riferirsi non solo ai sistemi autodisciplinari già esistenti, ma anche a quelli che dovessero essere istituiti in futuro. Si è paventato che una interpretazione eccessivamente larga della norma, che prendesse in considerazione qualsiasi futura istituzione autodisciplinare, potrebbe favorire il proliferare di sistemi di comodo, al fine di provocare la sospensione del procedimento davanti all’Autorità garante; ma la discrezionalità del provvedimento di sospensione, la cui opportunità è riservata insindacabilmente all’Autorità, sembra eliminare questo genere di pericolo. Il c. 1 dell’articolo in esame, nel prendere in considerazione la possibilità di ricorso ad organismi autodisciplinari, dà rilievo alla domanda d’inibizione della continuazione degli atti di pubblicità ingannevole o 147 comparativa illecita, con questo escludendo dalla previsione, e quindi dal successivo coordinamento con il procedimento amministrativo davanti all’Autorità garante, i pareri preventivi sulla pubblicità che non sia stata ancora diffusa, che talora rientrano nei compiti degli organismi autodisciplina. La norma non specifica quali soggetti debbano considerarsi parti interessate, e perciò legittimate a chiedere il provvedimento di inibitoria agli organi di autodisciplina. Dal momento che la previsione si inquadra nel sistema dei rapporti tra Autorità garante e organi autodisciplinari, sembra corretto ritenere che la norma si riferisca non solo agli operatori pubblicitari nei confronti dei quali è stato iniziato il procedimento davanti all’Autorità garante, ma anche ai soggetti legittimati a richiedere l’intervento dell’Autorità, ai sensi dell’art. 8 co. 2 d. legisl. 145/2007. E’ da notare in proposito l’uso nel testo legislativo, del termini parti: poiché il procedimento davanti all’Autorità garante ha natura amministrativa, e non implica, in via di principio, un contraddittorio tra parti, dovrebbe ritenersi che l’unica vera parte di tale procedimento sia l’operatore della cui pubblicità si discute. Ma la norma, prendendo forse atto della tendenza dei procedimenti amministrativi “contenziosi” a modellarsi secondo le regole del processo civile, accomuna nella sua previsione l’operatore pubblicitario e i soggetti legittimati a chiedere l’intervento dell’Autorità, a ciò probabilmente indotta dal parallelismo con il corrispondente procedimento autodisciplinare, che è di regola un procedimento in contraddittorio fra parti contrapposte. In ogni caso dovrà trattarsi sempre di soggetti legittimati, sia dal punto di vista attivo che da quello passivo, anche secondo l’ordinamento autodisciplinare a 148 cui si rivolge, perché la norma in esame in nulla interferisce sulle regole interne di tali ordinamenti e, in particolare, sulle condizioni d’accesso a quella tutela. La prima parte del secondo comma prevede che le parti, dopo aver iniziato un procedimento davanti ad un organismo autodisciplinare, possono convenzionalmente stabilire di astenersi dal ricorrere all’Autorità garante sino alla pronuncia definitiva dell’organo autodisciplinare. Se la previsione normativa fosse interpretata nel senso che un tal patto sia valido e produca effetto tra le parti, essa apparirebbe addirittura pleonastica. Si è perciò ritenuto che la previsione contenuta nella norma attribuisca all’accordo delle parti anche effetti esterni, nel senso che il patto, oltre ad avere un ovvio valore contrattuale, toglie temporaneamente ai soggetti firmatari la legittimazione a porre il ricorso dell’Autorità garante, con la conseguenza che quest’ultima potrà rilevare, su istanza dall’altra parte, la temporanea carenza di legittimazione e la conseguente improcedibilità. Ovviamente, il procedimento davanti all’Autorità garante potrà essere in ogni tempo iniziato da soggetti diversi dai sottoscrittori del patto. Lo specifico collegamento temporale al già avvenuto inizio della procedura autodisciplinare togli rilevanza, quanto meno agli effetti della norma in esame, agli accordi sottoscritti prima dell’inizio della procedura davanti agli organi autodisciplinari, o ad eventuali clausole contrattuali, formulate in modo generale e in via preventiva, che obblighino le parti ad astenersi dall’adire l’Autorità garante prima dell’esperimento della procedura davanti ad un organismo autodisciplinare. La seconda parte del comma 2 regola l’ipotesi in cui i due procedimenti siano stati entrambi radicati; o perché non sia intervenuto alcun patto ai sensi della previsione 149 precedente, o perché il ricorso all’Autorità garante sia stato già proposto da un soggetto diverso. In tal caso, ogni soggetto interessato, che sia “parte” del procedimento davanti all’Autorità garante, è legittimato a chiedere a quest’ultima la sospensione del procedimento in attesa della pronuncia dell’organismo autodisciplinare. Sono perciò esclusi dal novero dei legittimati ha chiedere la sospensione i soggetti che non partecipino al procedimento davanti all’Autorità garante o nella veste di denuncianti, o in quella di denunciati, o in quella di intervenienti. E’ escluso inoltre che la sospensione possa essere disposta d’ufficio. E’ difficile cogliere il senso e la funzione di tale sospensione. Normalmente la sospensione trova infatti giustificazione nella pregiudizialità delle questioni, nella possibile dipendenza di una pronuncia dall’altra. Escluso che ciò si verifichi nell’ipotesi in esame, l’unico effetto pratico della sospensione disciplinata dalla norma sembra essere quello di permettere all’Autorità di tenere conto, nella sua pronuncia, dei dati emersi nel procedimento autodisciplinare. Il ben modesto rilievo di tale funzione spiega, fra l’altro, il rarissimo ricorso delle “parti”, a tutt’oggi, a tale possibilità: la sospensione è stata richiesta in pochissimi casi, nei quali non è stata comunque accordata, per essere intervenuta la decisione autodisciplinare nel periodo intercorrente fra la presentazione della relativa istanza e il momento in cui questa è stata esaminata. Il provvedimento di sospensione è discrezionale ed è disposto dopo una attenta valutazione di tutte le circostanze rilevanti, tra le quali sicuramente anche l’importanza e l’autorevolezza dell’organo autodisciplinare contemporaneamente investito della medesima questione. La sospensione del procedimento non può essere 150 concessa per un periodo superiore ai 30 giorni. Nella limitatezza di questo termine, vi è chi riavvisa un ulteriore spunto di “disfavore” del legislatore verso un coordinamento incisivo tra i due procedimenti tuttavia, tenuto conto del fatto che 30 giorni sono di regola più che sufficienti per promuovere e concludere un procedimento davanti al Giuri’ dell’autodisciplina pubblicitaria, non sembra che la norma, se applicata, possa dar luogo ad inconvenienti apprezzabili; mentre, al contrario, non appare conveniente che il procedimento davanti al Garante resti sospeso per periodi più lunghi, in caso di contemporanea pendenza di procedimenti davanti ad organismi autodisciplinari più lenti e meno efficienti. La decisione emessa dal Giuri’, o da altro organismo autodisciplinare, non è in alcun modo di vincolante per l’Autorità. Per alcuni autori però l’Autorità pur essendo libera di emettere un provvedimento difforme da quello preso dall’organo autodisciplinare, dovrà tener conto del contenuto della decisione di quest’ultimo e comunque motivare il suo dissenso, ma tale opinione sembra essere stata smentita dalla prassi finora seguita dall’Autorità. C’è poi chi osserva che potrebbe ritenersi contradditorio e censurabile sotto il profilo dell’eccesso di potere il modo di procedere dell’Autorità che prima assegnasse rilevanza al giudizio autodisciplinare disponendo la sospensione, e poi decidesse in maniera diversa dal Giuri’ senza motivare sul punto. 3.2 Testo Unico della Radiotelevisione 151 Come ogni altra forma di pubblicità, anche quella diffusa per radio e televisione soggiace alle norme generali sulla comunicazione d’impresa che abbiamo già analizzato. Diverse ragioni tuttavia, e principalmente la particolare invadenza della radio e della televisione e la loro attitudine a raggiungere ogni possibile fascia di pubblico, evidenziano l’opportunità di assoggettare la pubblicità diffusa su questi mezzi anche a norme particolari che colgano il fenomeno in modo più puntuale. E fu con riferimento a tale esigenza che la d. 89/552/CE sul coordinamento delle legislazioni degli stati membri circa l’esercizio delle attività televisive assoggettò la pubblicità televisiva specialmente agli art. da 10 a 21, a disposizioni specifiche le quali furono riprese a loro volta dall’ art. 8 della l. 6 agosto 1990, n. 223 che a tale direttiva diede attuazione in Italia. Negli anni successivi, peraltro, diversi provvedimenti legislativi e regolamentari si affiancarono e talvolta si sovrapposero alla l. 223/1990 nella disciplina di questo tipo di pubblicità, fra i quali vanno menzionati la l. 327/1991; il d.m. 425/1991, contenente in particolare il divieto di pubblicità radiotelevisiva dei prodotti del tabacco, limitazioni a quella degli alcolici e disposizioni a tutela dei minori; l.122/1998 (art.3) con norme sugli spot, le televendite e gli inserimenti nei programmi in parziale recepimento della direttiva 97/36/CE; il Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite emanato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera 538/2001 della Commissione Servizi e Prodotti 152 dell’Autorità (Regolamento Comunicazioni) 107; infine, nel 2004, la l. 3 maggio 2004, n. 112 (contenente i principi sull’assetto del sistema radiotelevisivo) delegò il governo (art. 16) a realizzare un organico coordinamento delle numerose disposizioni in materia attraverso un “Testo unico della radiotelevisione” avente anche il fine di assicurare la migliore attuazione delle disposizioni internazionali recepite dal nostro ordinamento. E, in adempimento della delega, è stato emanato il predetto testo unico (d. legisl. 31 luglio 2005, n. 177) il quale, oltre alla disciplina del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale, contiene anche, in forma più razionale e coordinata, norme specifiche in tema di pubblicità televisiva e radiofonica. A differenza delle disposizioni sulla pubblicità in generale, destinatari delle norme sulla pubblicità televisiva sono non tutti gli operatori pubblicitari, quali elencati all’art.2 lett. e del d. legisl. 145/07, ma le emittenti o i fornitori di contenuti aventi la responsabilità editoriale dei programmi, nei confronti dei quali, in caso d’infrazioni, si applicheranno le sanzioni di legge. 3.2.1. Esegesi delle norme 107 Il Regolamento Comunicazioni, pubblicato in G.U. 8 agosto 2001, è stato oggetto di tre successivi interventi modificativi da parte della stessa AGCOM: il primo con delibera n. 250/04/CSP, il secondo con delibera n. 34/05/CSP ed il terzo con delibera n. 105/05/CSP. Il medesimo Regolamento è stato adottato e modificato in attuazione della Direttiva n. 89/552/CEE, della Comunicazione interpretativa della Commissione Europea n. 2004/C102/02 relativa a taluni aspetti della Direttiva e della lettera della Commissione Europea C/2005 2904 in materia di minispot. 153 Il primo comma dell’art. 8 l. 223/1990, ora abrogato, elencava una serie di principi a cui la pubblicità radiofonica e televisiva, quale che ne fosse la forma, doveva attenersi, vietando i messaggi che ne costituissero violazione. Tali prescrizioni sono state recepite senza sostanziali varianti anche dal testo unico del 2005 all’art.4, c. 1, in particolare alla lett. c), ma con un’impostazione almeno formalmente diversa da quella precedente. Infatti, in luogo di enunciare, per mezzo di norme cogenti, obblighi o divieti a carico dei soggetti interessati, il T.U. presenta le varie prescrizioni sotto la voce “Principi generali”. Art. 4. Principi generali del sistema radiotelevisivo a garanzia degli utenti: “1. La disciplina del sistema radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce:…c) la diffusione di trasmissioni pubblicitarie e di televendite leali ed oneste, che rispettino la dignità della persona, non evochino discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non offendano convinzioni religiose o ideali, non inducano a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l'ambiente, non possano arrecare pregiudizio morale o fisico a minorenni, non siano inserite nei cartoni animati destinati ai bambini o durante la trasmissione di funzioni religiose e siano riconoscibili come tali e distinte dal resto dei programmi con mezzi di evidente percezione, con esclusione di quelli che si avvalgono di una potenza sonora superiore a quella ordinaria dei programmi, fermi gli ulteriori limiti e divieti previsti dalle leggi vigenti…” Il primo principio formante oggetto della citata garanzia è che le trasmissioni pubblicitarie siano”leali ed oneste”, ma stante la sua genericità, sembrerebbe privo di 154 autonomo valore percettivo; e ad esso fanno seguito enunciati di maggior concretezza, i quali possono idealmente suddividersi in tre gruppi, rispettivamente ispirati alla tutela dei fondamentali valori ideali dell’uomo, della sicurezza individuale e collettiva e dei minori. Al primo gruppo appartengono il rispetto della dignità della persona e la messa al bando di messaggi che evochino discriminazioni di razza, sesso e nazionalità o offendano le convinzioni ideali e religiose, disposizioni che hanno una valenza generale, nel senso che non tutelano solo i minori bensì qualsiasi persona fisica, visto che non fanno altro che ribadire, in ambito settoriale, l'inviolabilità di quei valori e principi fondamentali tutelati dalla stessa Costituzione; e comunque questi divieti sono importanti, nel caso dei minori, in relazione alla necessità di garantire uno sviluppo equilibrato della loro moralità. Al secondo gruppo sono da ricondursi la proibizione di messaggi tali da arrecare pregiudizio alla salute e sicurezza dei singoli e della collettività nonché all’ambiente. Allo stesso principio si ispirano, come abbiamo precedentemente visto, l’art.12 C.A., l’art. 21 del nuovo Codice del Consumo e l’art. 6 del d. legisl. 145/07. Il generale divieto di indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute è integrato da norme più specifiche, fra cui in particolare quelle di cui ai c. 10 e 11 dell’art. 37 T.U., che rispettivamente vietano la pubblicità televisiva delle sigarette e di ogni altro prodotto del tabacco, nonché quella delle bevande alcoliche. Alla tutela specifica dei minori, si riferisce invece il divieto della pubblicità radiotelevisiva che arrechi pregiudizio morale o fisico ai minorenni. L’esigenza di 155 proteggere fanciulli e adolescenti quali soggetti più deboli e con minore capacità di discernimento ispira anche altre disposizioni della complessa disciplina del mezzo radiotelevisivo, fra cui in particolare l’art. 34, interamente dedicato a questo tema, e l’art. 40 c. 2 T.U. il quale vieta le televendite che esortino direttamente i minorenni ad acquistare un prodotto o servizio sfruttandone l’inesperienza e la credulità, o li invitino a persuadere genitori o altre persone a tali acquisti, o ancora facciano leva sulla fiducia da essi risposta nei genitori, insegnanti ecc., e avendo qui di mira soprattutto l’integrità fisica e la salute dei minori, mostrino senza motivo, minorenni in situazioni pericolose. Si segnala che analoghi divieti, non limitate alle sole televendite ma a qualsiasi forma di pubblicità erano già contenuti nel d. m. 125/1991 che, non essendo incluso fra le disposizioni abrogate dal T.U. pare da ritenersi tuttora in vigore. Disposizioni analoghe per la pubblicità in generale le abbiamo ritrovate nei precedenti testi normativi, in particolare l’art. 21 del Codice del Consumo, l’art. 7 del d. legisl. 145/07 e l’art. 11 C.A. Altra disposizione avente lo stesso intento è formulata dall’art. 37 c. 10, lett. a T.U., che, abbiamo visto, vieta, nella pubblicità televisiva e nelle televendite delle bevande alcoliche 108, di rivolgersi espressamente ai minori o di mostrarli nell’atto di consumarle, che ne colleghi il consumo con prestazioni fisiche di particolare rilievo o con la guida di autoveicoli, crei l’impressione che gli alcolici contribuiscano al 108 Ai fini della presente legge per bevande alcoliche si intende ogni prodotto contenente alcol alimentare con gradazione superiore a 1,2 gradi; per bevanda superalcolica ogni prodotto con gradazione superiore al 21 per cento di alcol in volume. 156 successo sociale o sessuale, possiedano qualità terapeutiche stimolanti o calmanti o contribuiscano a risolvere situazioni di conflitto psicologico, ne incoraggino l’uso eccessivo e incontrollato, presentino in luce negativa l’astinenza o la sobrietà, o infine usino l’indicazione del rilevante grado alcolico come qualità positiva delle bevande, anche qui disposizioni già incontrate durante l’analisi del sistema autodisciplinare all’art. 22 C.A.; ad essa si affianca la normativa di settore, in particolare alla legge quadro in materia di alcol del 30 marzo 2001 n. 125. La presente legge sottolinea, tra le altre, la finalità di voler tutelare “il diritto delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all'abuso di bevande alcoliche e superalcoliche.” All’art. 13, comma 2, oltre a vietare la pubblicità rappresentante minori intenti al consumo, proibisce l’inserimento di messaggi per alcolici e superalcolici nei programmi rivolti ai minori nonché nei 15 minuti precedenti e successivi ai programmi stessi e ne vieta la trasmissione luoghi frequentati prevalentemente dai minori di 18 anni d'età. Inoltre, è vietato pubblicizzare superalcolici (il divieto non riguarda le bevande alcoliche): nella fascia oraria dalle 16 alle 19 (il divieto si riferisce alla pubblicità radiotelevisiva), sulla stampa giornaliera e periodica destinata ai minori e nelle sale cinematografiche in occasione della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione dei minori. La violazione di queste disposizioni è punita con una sanzione amministrativa che consiste nel pagamento di una somma variabile dai 2582 ai 10329 euro, diretta sia 157 alle industrie produttrici, sia ai responsabili delle emittenti radiotelevisive e degli organi di stampa nonché ai proprietari delle sale cinematografiche. Ancora alla tutela dei fanciulli sono da ricollegare alcune previsioni sia del T.U. sia del Regolamento Comunicazioni a proposito dei programmi di cartoni animati: la prima all’art. 4 lett. c vieta l’inserimento di pubblicità in tali programmi; il secondo all’art. 4 n. 6 estende la proibizione a tutti i programmi per bambini di durata inferiore a trenta minuti: “I programmi per bambini di durata programmata inferiore a trenta minuti non possono essere interrotti dalla pubblicità o dalle televendite”; vietando inoltre all’art. 3 n. 4 che nella pubblicità diffusa prima o dopo cartoni animati compaiono personaggi dei medesimi: “I messaggi pubblicitari, incluse le telepromozioni e le televendite, in qualsiasi forma trasmessi, non possono essere presentati dal conduttore del programma in corso nel contesto dello stesso. Nella pubblicità diffusa prima o dopo i cartoni animati non possono comparire i personaggi dei medesimi cartoni animati”. Alla protezione di fanciulli e adolescenti appare ispirata infine la regolamentazione per le c.d. “fasce orarie protette” la quale, in linea con il disposto dell’ art. 34 del T.U., secondo le quali è vietata la trasmissione dei film ai quali sia stato negato il nulla osta per la rappresentazione in pubblico, o che siano stati vietati ai minori di 18 anni mentre i film vietati ai minori di anni quattordici non possono essere trasmessi né integralmente né parzialmente prima delle ore 22:30 e dopo le ore 7, attribuisce inoltre generale efficacia vincolante al Codice di autoregolamentazione Tv e minori, recependone il contenuto. 158 Ricordiamo che, per quanto riguarda specificamente la pubblicità, tale codice all’art.4 contiene l’impegno delle imprese televisive a non trasmettere pubblicità e promozioni “che possano ledere l’armonico sviluppo della personalità dei minori o che possano costituire fonte di pericolo fisico o morale per i minori stessi”, impegnando le emittenti firmatarie a rispettare il C.A. e introducendo norme, applicabili alternativamente alla pubblicità trasmessa in ogni fascia oraria, o alla pubblicità trasmessa in fasce orarie considerate meritevoli di “protezione rafforzata”, in gran parte ricalcate su quelle del C.A. Particolare attenzione merita la regolamentazione della pubblicità da trasmettersi nella fascia dalle ore 16 alle 19, per la quale, oltre all’obbligo di rendere distinguibile il messaggio pubblicitario dal resto della trasmissione attraverso l’uso di “ elementi di discontinuità “ che siano riconoscibili anche dai bambini che ancora non sanno leggere, vige il divieto assoluto di pubblicizzare determinati prodotti e servizi (bevande superalcoliche, bevande alcoliche all’interno di programmi rivolti direttamente ai minori nonché nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive, servizi telefonici di intrattenimento, profilattici e contraccettivi). Ancora in ordine al nostro tema dobbiamo anche ricordare come, in sede di approvazione della l. 112/2004, il c. 3 dell’art. 10, che formula i principi su tale specifico tema, fosse passato un inciso che sanciva il divieto di impiegare i minori di anni 14 “per messaggi pubblicitari e spot”, e come quindi, in attuazione delle delega, anche l’art. 34 c. 5 del T.U. contenesse identica proibizione, la quale dava luogo a sconcerto essendo sostanzialmente indispensabile nella pubblicità di certe 159 merceologie utilizzare bambini. Con l. 6 febbraio 2006, n. 37 l’art. 10 c. 3 1. 112/2004 è stato modificato con la soppressione del predetto divieto, ma altrettanto non è accaduto per il T.U., il cui art. 34, c. 5 è rimasto invariato onde, almeno formalmente, la proibizione rimane. Qualche cenno meritano qui le regole enunciate dall’art. 4 c. 1 lett. b a proposito dei programmi in generale, le quali, nonostante la definizione di “programma “ di cui all’art. 2, c. l, lett. a del T.U. lasci un margine d’incertezza se ricomprendervi le trasmissioni pubblicitarie, sono ad avviso di chi scrive applicabili anche alle radio e telecomunicazioni commerciali. Infatti non par dubbio che non solo i programmi redazionali ma anche la pubblicità “non possa violare i diritti fondamentali della persona, incitare all’odio, all’intolleranza razziale, religiosa, di nazionalità o di sesso, presentare scene di violenza o indulgere alla pornografia”, situazioni del resto già vietate dall’ordinamento sul piano generale e specificamente per la pubblicità da altre norme, così statuali come autodisciplinari. E a maggior ragione, poi, deve ritenersi applicabile alla pubblicità anche la “proibizione di nuocere allo sviluppo fisico, psichico e morale dei minori”. Onde sembra potersi concludere ai divieti specifici cui la pubblicità radiotelevisiva è assoggettata per ciò che riguarda i contenuti e le modalità espressive dalla lett. c dell’art. 4, c. 1 T.U. siano da affiancarsi altresì quelli generali enunciati alla lett. b. Infine, sempre quanto riguarda i contenuti, e fermo restando che in ordine ad essi non sussista disparità di trattamento a seconda che i messaggi siano diffusi dalla concessionaria pubblica o da emittenti private, va ricordata l’esistenza della raccolta 160 di norme per la pubblicità radiotelevisiva diffusa dalla RAI, ciò che spiega perché a tale documento nel settore si dia abitualmente il nome di Codice SACIS, che è l’ente al quale il materiale da diffondere sui canali RAI deve essere sottoposto in anticipo. Tale raccolta, che già esisteva quando ancora il C.A. non era stato emanato ed ha costituito per molti anni l’unico punto di riferimento per la pubblicità radiotelevisiva, contiene regole assai minuziose sia d’ordine generale sia per le varie categorie di prodotti nonché criteri pratici per la loro applicazione al cui rispetto l’accettazione della pubblicità da diffondersi sull’emittente pubblica è condizionata e, benché avente meno valore autonormativo nell’ambito di contratti diffusionali, può risultare d’ausilio nella valutazione di casi concreti. Il principio della riconoscibilità della pubblicità è stato già da noi incontrato in tutti i testi precedentemente disciplinati, in particolar modo all’art. 5 del d. legisl. 145/2007 109, ed è stato affermato da dottrina e giurisprudenza come espressione della correttezza professionale con riferimento all’art. 2598 c. 3 c.c., ma ha formato per la prima volta oggetto di espressa norma statuale, con specifico riguardo alla radiotelevisione, con l’art. 8 c. 2 l. 223/1990. 110 Nel T.U. della radiotelevisione la regola è ora sancita all’art. 4 c. 1 lett. c, il quale esige che le trasmissioni pubblicitarie “siano riconoscibili come tali”. Il principio 109 In cui si afferma che “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”: l'ampia formulazione di questa disposizione ha permesso, in un precedente, di condannare una telepromozione di giocattoli, inserita in una trasmissione per bambini, perché, nonostante la presenza della scritta “messaggio promozionale”, la natura pubblicitaria del messaggio non poteva essere riconosciuta dai più piccoli in quanto non in grado di leggere, o comunque di cogliere appieno il significato della dicitura. Vedremo in questo senso il Provved. n. 6447, PI1950 - GIG Libro dei Giocattoli, AGCM. 110 In precedenza risultava formulato sul piano generale solo dall’art. 7 C.A. 161 della riconoscibilità della pubblicità presenta due risvolti individuando in positivo l’obbligo di strutturare il messaggio in modo da rendere la sua natura palese e, in negativo, il divieto della pubblicità occulta. Tale obbligo è integrato da disposizioni che impongono particolari accorgimenti nella presentazione, in modo da consentire anche di distinguerlo nettamente dal resto delle programmazioni, come l’art. 3 del Regolamento Comunicazioni intitolato, appunto, Riconoscibilità del messaggio pubblicitario rispetto al resto del programma: “1. La pubblicità e le televendite devono essere chiaramente riconoscibili come tali e distinguersi nettamente dal resto della programmazione attraverso l’uso di mezzi di evidente percezione, ottici nei programmi televisivi, o acustici nei programmi radiofonici, inseriti all’inizio e alla fine della pubblicità o della televendita, essendo comunque vietato diffondere messaggi pubblicitari e televendite con una potenza sonora superiore a quella ordinaria dei programmi definita in base ai parametri tecnici e alle metodologie di rilevamento determinati dall’Autorità con apposito provvedimento. 111 2. Le emittenti televisive sono tenute a inserire sullo schermo, in modo chiaramente leggibile, la scritta "pubblicità" o "televendita", rispettivamente nel corso della trasmissione del messaggio pubblicitario o della televendita”. Oltre che della presentazione, il Regolamento Comunicazioni si occupa anche dei contenuti, vietando che le varie forme di pubblicità, ed in particolare le telepromozioni e le televendite, siano presentate nel corso dei programmi dal loro conduttore e, se imitazione o parodia di programmi, siano trasmesse prima, dopo o 111 Comma così modificato dalla delibera dell'Autorità n. 132/06/CSP. 162 durante gli stessi ed inoltre proibendo che facciano richiamo ai presentatori di telegiornali o rubriche d’attualità. La norma va messa in relazione anche con il divieto di inserire telepromozioni in telegiornali, radiogiornali, notiziari politici, finanziari ed economici nonché in programmi di consulenza per i consumatori, contenuto nell’art. 13 c.2 d.m. 581/1993, ispirato alla tutela del pubblico e al principio dell’imparzialità dell’informazione. A finalità analoghe, oltreché alla protezione dei minori, s’ispirano infine pure il divieto contenuto nello stesso articolo di inserire telepromozioni nei cartoni animati e quello, formulato dall’art. 3 c. 4 del Regolamento Comunicazioni, di far comparire nei messaggi diffusi prima o dopo cartoni animati i personaggi medesimi. Oltre al principio della riconoscibilità, la d. CEE 89/552 enunciava anche quello dell’eccezionalità dell’interruzione pubblicitaria, che dovrebbe collocarsi in un “intervallo naturale” così da arrecare ai telespettatori il minimo disturbo possibile nella valutazione logico–cronologica del programma 112 e per conseguire tale obbiettivo disponeva che le interruzioni siano collocate e distanziate opportunamente a seconda del tipo di trasmissione. Nel recepire la direttiva, la l. 223/1990 ne disattendeva però in buona parte le regole, consentendo ulteriori interruzioni e non prevedendo l’obbligo di un intervallo minimo fra le stesse. Dopo varie vicende (fra cui si collocano oltre al referendum abrogativo del giugno 1995, il deferimento dell’Italia da parte della Commissione U.E. alla Corte di Giustizia per mancato recepimento della d. 97/36/CE e la sentenza condannata 14 163 giugno 2001 da parte della Corte) la l. 1 marzo 2002, n. 39 integrava la l. 30 aprile 1998, n. 122, riallineando il nostro Paese ai criteri europei. La materia, nel frattempo regolata anche dall’art. 4 Regolamento Comunicazioni, è ora disciplinata dall’art. 37 del T.U. della radiotelevisione, il quale, dopo avere permesso al c. 1 che i messaggi pubblicitari isolati devono costituire eccezioni e formulato il principio secondo cui devono essere collocati fra i programmi, ne consente tuttavia anche l’inserimento nel corso dei programmi stessi in modo da non pregiudicarne l’integrità e il valore e tenendo conto della loro durata e natura nonché dei diritti dei “titolari”, espressione quest’ultima che pare riferirsi ai soggetti che possono vantare sui programmi un diritto d’autore. La parte restante dell’art. 37 ai commi da 2 a 8, contiene norme tecniche le quali precisano in che modo e quante volte le interruzioni pubblicitarie di programmi sono consentite, a seconda della natura e durata dei medesimi nonché dell’ambito territoriale in cui l’emittente trasmette, disciplinando i programmi che non tollerano interruzioni pubblicitarie nel corso della loro programmazione televisiva, in particolar modo i cartoni animati ed i programmi per bambini qualora di durata inferiore a 30 minuti 113; mentre i c. 9, 10 e 11 dispongono i già ricordati divieti della pubblicità per medicinali e cure mediche 112 Urciuoli, La pubblicità nella disciplina radiotelevisiva, in Corsaniti-Vasselli Diritto della comunicazione pubblicitaria, p. 155. 113 Per quelli di durata superiore ai 30 minuti si rimanda alle regole generali di interruzione pubblicitaria dei programmi contenute all’art. 1 c. 26 della l. 650/1996, che vieta di interrompere i programmi rivolti ai minori con propaganda di servizi audiotex e videotex, e all’art. 10 c. 2 l. 112/2004, come modificato dall’art. 1 lett b l. 37/2006, che rafforza il consueto divieto di interruzione della programmazione per minori mediante la pubblicità di bevande alcoliche, vietando detta pubblicità oltre che durante, anche immediatamente prima e dopo i programmi direttamente rivolti ai minori. 164 su ricetta e per prodotti del tabacco, nonché le limitazioni, pure già viste, per quella delle bevande alcoliche. Più rispettosa della normativa europea la legge italiana si è invece dimostrata per ciò che concerne gli “indici (o tetti) di affollamento”, per tali intendendosi, come già accennato, le massime percentuali dei tempi destinabili alla pubblicità rispetto a quelli complessivi di trasmissione e la cui fissazione risponde alla duplice esigenza di tutelare il pubblico da una dose eccessiva di pubblicità e assicurare agli operatori dei mass–media un equilibrio nella distribuzione della stessa, noto essendo che i relativi proventi rappresentano, per tali operatori, una essenziale fonte di finanziamento. Gli indici di affollamento sono fissati dall’art. 38 del T.U. su base così oraria come giornaliera, variano a seconda che l’emittente sia pubblica, privata su scala nazionale o privata in ambito locale, e per queste due ultime categorie variano altresì se i tempi destinati alla pubblicità includono o meno “ forme di pubblicità diverse dagli spot” (espressione che pare da intendersi riferita, oltre che alle televendite, anche a qualsiasi trasmissione pubblicitaria “more time consuming”, come ad esempio le telepromozioni). Gli affollamenti vengono computati calcolando la durata delle tre forme di pubblicità costituite da spot, telepromozioni e televendite rispetto ai c.d. “tempi lordi” complessivi 114, con esclusione delle sponsorizzazioni (che non sono considerate pubblicità ai fini dei limiti d’affollamento giornaliero) e delle autopromozioni (pure sottratte dal computo a norma dell’art. 5 del reg.2001). La natura eminentemente tecnica di tali disposizioni, che rivestono interesse soprattutto 165 per le emittenti ed assai meno per le imprese inserzioniste, esime da ulteriori approfondimenti. La Televendita è stata presa in considerazione la prima volta nel nostro ordinamento con il c. 9-bis aggiunto all’art. 8 l. 223/1990 dalla l. 483/1992 per riparare all’omesso recepimento della corrispondente disposizione della d. 89/552/CEE 115. Oggi è assoggettata ad una complessa normativa costituita, oltre che dalle disposizioni del T.U. sulla radiotelevisione qui in commento (ed in particolare dagli art. 37, 38 e 40) nonché dal d.m. 581/1993 e dal reg. 538/2001/CSP, anche dagli art. da 28 a 32 del Codice del Consumo d. legisl. 206/2005. Art.40 c. 2, riservato alla tutela dei minori: “la televendita non deve esortare i minori a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi. La televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minori e deve rispettare i seguenti criteri a loro tutela: a) non esortare direttamente i minori ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la credulità; b) non esortare direttamente i minori a persuadere genitori o altri ad acquistare tali prodotti o servizi; c) non sfruttare la particolare fiducia che i minori ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altri; d) non mostrare, senza motivo, minori in situazioni pericolose”. Riproduce, per le televendite, i divieti già formulati per qualsiasi voglia forma di pubblicità dal d.m. 125/1991, ma va rimarcato come, in aggiunta a tali regole, venga 114 per tali intendendosi “la durata del programma radiotelevisivo comprensivo del tempo dedicato alle interruzioni pubblicitarie”: art.1, lett. i) reg.2001. 115 Fusi, Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1993, p. 811. 166 altresì formulato il divieto di “esortare i minori a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotto e di servizi”, ciò che intuitivamente pare tradursi nel divieto delle televendite rivolte ai minori non essendo immaginabile un’offerta che non inviti i destinatari ad aderirvi. Si segnala che norme di contenuto identico a quelle dell’art. 40 del T.U. sono riportate agli art. 30, c. 1 e 31 del Codice del Consumo, che ne costituiscono sostanzialmente duplicazione quali il divieto di sfruttare superstizione, credulità e paura o di mostrare scene di violenza fisica o morale o comunque indecenti, volgari e ripugnanti, nonché di formulare dichiarazioni o rappresentazioni erronee in particolare sugli effetti del servizio, prezzi, condizioni di vendita e di fornitura, premi, identità delle persone, già approfondite precedentemente. 3.2.2 Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM) L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un’autorità indipendente, che ha sostituito il preesistente Garante per la radiodiffusione e l'editoria, istituita dalla legge 249 del 31 luglio 1997. Indipendenza e autonomia sono elementi costitutivi che ne caratterizzano l’attività e le deliberazioni. Al pari delle altre autorità previste dall’ordinamento italiano, l’AGCOM risponde del proprio operato al Parlamento, che ne ha stabilito i poteri, definito lo statuto ed eletto i componenti. 167 Sono organi dell’Autorità: il Presidente, la Commissione per le infrastrutture e le reti, la Commissione per i servizi e i prodotti, il Consiglio. Ciascuna Commissione è organo collegiale, costituito dal Presidente e da quattro Commissari. Il Consiglio è costituito dal Presidente e da tutti i Commissari. L’AGCOM è innanzitutto un’autorità di garanzia: la legge istitutiva affida all’Autorità il duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini. In questo senso, le garanzie riguardano: - gli operatori, attraverso: l’attuazione della liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni, con le attività di regolamentazione e vigilanza e di risoluzione delle controversie; la razionalizzazione delle risorse nel settore dell’audiovisivo; l’applicazione della normativa antitrust nelle comunicazioni e la verifica di eventuali posizioni dominanti; la gestione del Registro Unico degli Operatori di Comunicazione e la tutela del diritto d'autore nel settore informatico ed audiovisivo. - gli utenti, attraverso: la vigilanza sulla qualità e sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti, compresa la pubblicità; la risoluzione delle controversie tra operatori e utenti; la disciplina del servizio universale e la predisposizione di norme a salvaguardia delle categorie disagiate e la tutela del pluralismo sociale, politico ed economico nel settore della radiotelevisione. 168 Pregiudiziale a ogni altro obiettivo è stata tuttavia e continua a essere l’innovazione tecnologica, destinata ad arricchire il quadro delle risorse disponibili, a innestare nuovi processi produttivi, a favorire la formazione di nuovi linguaggi e l’alfabetizzazione dei cittadini verso la società dell’informazione. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un’autorità “convergente”. La definizione fa riferimento alla scelta del legislatore italiano di attribuire a un unico organismo funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo e dell’editoria. Si tratta di una scelta giustificata dai profondi cambiamenti determinati dall’avvento della tecnologia digitale, che attenua, fino ad annullarle, le differenze fra i diversi mezzi, diventati veicolo di contenuti sempre più interattivi. Telefono, televisione e computer sono destinati a integrarsi, a convergere sulla medesima piattaforma tecnologica, ampliando in tal modo la gamma dei servizi disponibili. Il modello adottato dall’Autorità rappresenta quasi un’eccezione nel panorama internazionale ed è guardato oggi con crescente interesse da molti paesi. A ciascuna Commissione sono attribuite competenze specifiche, attinenti, in linea generale: ai supporti utilizzati dai diversi mezzi di comunicazione (Commissione per le Infrastrutture e le Reti), in questo caso, le decisioni dell'AGCOM hanno un contenuto tecnico più marcato, ed ai servizi e ai prodotti offerti sulle reti (Commissione per i Servizi e i Prodotti), in questo caso le decisioni riguardano profili più propriamente qualitativi, legati al rispetto delle norme esistenti e dei criteri stabiliti dalla stessa Autorità. 169 Secondo l'impostazione seguita dal legislatore, dunque, ciascuna Commissione deve poter intervenire in tutti i settori sottoposti al controllo dell'Autorità. Non esiste una competenza "parcellizzata" per area: telecomunicazioni, radiotelevisione, editoria. Ciò vale naturalmente anche per il Consiglio, che è competente nelle materie espressamente indicate dalla legge e nelle materie non attribuite alle Commissioni. La Commissione per le Infrastrutture e le Reti delibera in materia di interconnessione e di accesso, di numerazione, di servizio universale, di misure per la sicurezza delle comunicazioni e tetti per le radiofrequenze e di standard per i decodificatori. La legge ha inoltre affidato a questa Commissione la definizione delle controversie tra utenti e gestori del servizio di telecomunicazioni, attività che vedrà l'Autorità sempre più impegnata nel prossimo futuro. La Commissione per i Servizi e i Prodotti vigila sulle modalità di distribuzione dei prodotti, inclusa la pubblicità, e sulla loro conformità alle prescrizioni di legge, provvedendo ad emanare direttive sui livelli generali di qualità dei servizi. In materia di pluralismo, l'attività di questa Commissione è assai ampia: essa garantisce, tra l'altro, l'applicazione delle norme sulla "par condicio" in periodo elettorale e non elettorale e di quelle dettate a tutela dei minori. La verifica del rispetto delle leggi è affidata al sistema di monitoraggio realizzato dall'Autorità in collaborazione con centri specializzati nella raccolta dei dati. Altre competenze di rilievo riguardano la rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei diversi di comunicazione e la verifica della corretta pubblicazione dei sondaggi. 170 Per quanto riguarda specificatamente le competenze in materia di pubblicità radiotelevisiva tale Commissione si occupa di: - emanare i regolamenti attuativi in materia di televendite e di qualsiasi forma di pubblicità; - vigilare sul rispetto delle norme relative ai messaggi pubblicitari televisivi e radiofonici; - verificare il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di tutela dei minori anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra televisione e minori e degli indirizzi della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi; - applica le sanzioni previste. Sotto il profilo sanzionatorio, dobbiamo distinguere dalla disciplina generale della violazione delle disposizioni in materia pubblicitaria contenuta nel T.U.R., nel Regolamento Sponsorizzazioni 116 e nel Regolamento Comunicazioni, che è regolata dall’art. 51 del T.U.R., quella relativa alla tutela dei minori, regolata, invece, dall’art. 35 del T.U.R. 117 Tale articolo, riprendendo in parte il testo dell’art. 10 l. 112/2004 e in parte il testo dell’art. 31 della l. 223/1990, continua a prevedere: “Alla verifica dell'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 34 provvede la Commissione per i servizi ed i 116 Il Regolamento Sponsorizzazioni, pubblicato in G.U. 12 gennaio 2004, sostituisce il primo regolamento in tema di sponsorizzazioni adottato con D.M. Poste e Telecomunicazioni del 4 luglio 1991 n. 439, a sua volta approvato in attuazione dell’art. 8 c. 15 l. 223/1990. 117 S. Rotelli - E. Mina, Le norme sulla pubblicità commerciale dal codice del consumo al T.U. sulla radiotelevisione, in Diritto Industriale, IV, 2006, p. 367. 171 prodotti dell'Autorità, in collaborazione con il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori, anche sulla base delle segnalazioni effettuate dal medesimo Comitato. All'attività del Comitato il Ministero fornisce supporto organizzativo e logistico mediante le proprie risorse strumentali e di personale, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato”. È quindi prevista una collaborazione tra l’AGCOM e il Comitato di applicazione previsto dal Codice di autoregolamentazione Tv e minori. La Commissione dispone i necessari accertamenti e contesta gli addebiti agli interessati, assegnando un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, infatti la disposizione in esame continua prescrivendo: “Nei casi di inosservanza dei divieti di cui all'articolo 34, nonché all'articolo 4, comma 1, lettere b) e c), limitatamente alla violazione di norme in materia di tutela dei minori, la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità, previa contestazione della violazione agli interessati ed assegnazione di un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, delibera l'irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 25.000 euro a 350.000 euro e, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione o dell'autorizzazione per un periodo da uno a dieci giorni”. Le sanzioni si applicano anche se il fatto costituisce reato e indipendentemente dall'azione penale e alle sanzioni inflitte sia dall'Autorità che, per quelle previste dal Codice di autoregolamentazione TV e minori, dal Comitato di applicazione del medesimo Codice, viene data adeguata pubblicità anche mediante comunicazione da 172 parte dell'emittente sanzionata nei notiziari diffusi in ore di massimo o di buon ascolto. L’ultimo comma prevede che l'Autorità presenti al Parlamento, entro il 31 marzo di ogni anno, una relazione sulla tutela dei diritti dei minori, sui provvedimenti adottati e sulle sanzioni irrogate e che gni sei mesi invii alla Commissione parlamentare per l'infanzia di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451, una relazione informativa sullo svolgimento delle attività di sua competenza in materia di tutela dei diritti dei minori, corredata da eventuali segnalazioni, suggerimenti o osservazioni. Per quanto riguarda la disciplina generale l’art. 51 dispone che: “l'Autorità applica, secondo le procedure stabilite con proprio regolamento, le sanzioni per la violazione degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi”. Per le violazioni delle disposizioni sulla pubblicità, sponsorizzazioni e televendite, l'Autorità dispone i necessari accertamenti e contesta gli addebiti agli interessati, assegnando un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni. Trascorso tale termine o quando le giustificazioni risultino inadeguate l'Autorità diffida gli interessati a cessare dal comportamento illegittimo entro un termine non superiore a quindici giorni a tale fine assegnato. Ove il comportamento illegittimo persista oltre il termine sopraindicato, l'Autorità delibera l'irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 5.165 euro a 51.646 euro. Nei casi più gravi di violazioni l'Autorità dispone altresì, nei confronti dell'emittente o del fornitore di contenuti, la sospensione dell'attività per un periodo da uno a dieci giorni. 173 Se la violazione e' di particolare gravità o reiterata, l'Autorità può disporre nei confronti dell'emittente o del fornitore di contenuti la sospensione dell'attività per un periodo non superiore a sei mesi, ovvero nei casi più gravi di mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide della stessa Autorità, la revoca della concessione o dell'autorizzazione. Le somme versate a titolo di sanzioni amministrative per le violazioni previste dal presente articolo sono versate all'entrata del bilancio dello Stato. 174 Capitolo quarto LEADING CASES E PUBBLICITA’ EDUCATIVA Oltre ai casi genericamente elencati nei rispettivi capitoli per la migliore comprensione della disciplina, riportiamo ora alcuni esempi emblematici di pubblicità televisive che hanno generato un certo clamore tra il pubblico per aver suscitato delle reazioni “allarmanti” tra alcuni bambini che ad esse sono stati esposti. L'analisi di questi casi fornirà lo spunto per illustrare il funzionamento pratico dei meccanismi, statale ed autodisciplinare, a tutela dei minori, nonché per evidenziarne pregi e difetti. Approfondiremo poi quel fenomeno sviluppatosi negli ultimi anni, la Pubblicità educativa, dedicando la nostra trattazione anche alla Fondazione Pubblicità Progresso, che dal 1970 dedica il suo impegno alla soluzione di problemi morali, civili ed educativi riguardanti l'intera comunità attraverso la realizzazione di campagne pubblicitarie distribuite gratuitamente, e fornendo degli esempi, anche a livello mondiale, che hanno particolarmente suscitato l’attenzione del pubblico. 4.1 Un caso di pubblicità sociale 175 Riguarda una campagna sociale andata in onda su tre reti televisive nazionali nella prima settimana di marzo del 2001: lo spot promuoveva la prevenzione del diabete infantile. Esso ritraeva un bambino bendato che si aggirava a tentoni per la casa; ben visibile appariva sullo schermo la scritta “questo è un bambino diabetico che si allena a diventare grande”, poi un’altra che spiega come il diabete sia la prima causa di cecità nei “grandi”. Inoltre, in sovrimpressione nei primi fotogrammi appariva lo slogan “Per il diabete la cura non c'è, Jdf la ricerca”. Lo spot, insomma, lasciava intendere che la cecità fosse ineluttabile per un diabetico, cosa assolutamente falsa se c'è un buon controllo della malattia. Questo messaggio, così forte nella sua rappresentazione, non ha mancato di suscitare clamore ed una grande indignazione tra i genitori di bimbi malati, ma soprattutto di sconvolgere gli stessi bambini diabetici che si sono identificati nel protagonista dello spot. La campagna sociale è stata bloccata e lo spot sospeso, tuttavia è stata necessaria la denuncia dei genitori di un adolescente affetto da diabete e l'accorata descrizione della paura del bambino, per convincere l'agenzia che l'ha realizzato ed il committente, a ritirarlo dopo una settimana di programmazione. I genitori hanno raccontato come il loro figlio, dopo aver visto lo spot, si è rivolto al fratello minore dicendogli: “vedi, quello è un ragazzo come me”; il fratellino è scoppiato in lacrime, è corso dalla mamma e le ha raccontato l’accaduto, dicendo che il fratello era diventato molto triste. 118 118 Da "La Repubblica" di Sabato 10/3/2001, p. 25 176 L'aspetto allarmante in questo caso, a prescindere dalla responsabilità oggettiva dell'agenzia e dell'organizzazione no-profit, riguarda il mancato intervento delle autorità competenti in materia di pubblicità. In realtà, bisogna dire che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in questo caso, non aveva competenza per intervenire. Purtroppo una lacuna del sistema, creato dal d. legislativo 74/1992 in poi, consiste proprio nell'impossibilità di applicare le sue disposizioni alla pubblicità sociale. Infatti abbiamo visto come non rientri nella nozione di pubblicità, accolta dalla normativa in materia di pubblicità ingannevole oggi presente nel d. legisl. 145/2007, la comunicazione non promanante da un operatore economico che sia volta a promuovere un'iniziativa senza fine di lucro. 119 L'unico limite è proprio quello che emerge da tale definizione, che non permette l’applicabilità della normativa in esame alla comunicazione non commerciale, come, appunto, la pubblicità sociale, perché priva di finalità commerciali e perché non proviene da un «operatore economico». L'Istituto di Autodisciplina invece, aveva la facoltà di intervenire ai sensi dell'art. 46 del C.A. che estende l'applicazione delle norme dello stesso alla pubblicità sociale. Pur non essendo la fondazione committente un associato IAP, sicuramente lo erano l'agenzia pubblicitaria e l'emittente televisiva che ha diffuso il messaggio; per questo motivo, in base alla clausola di accettazione (presente in tutti i contratti pubblicitari 119 AG n.6720, ivi 51/98, con riferimento alla pubblicità di un'associazione no profit volta a sensibilizzare il pubblico sull'importanza della diagnosi precoce dei tumori,con la quale si offriva anche una visita di controllo gratuita. 177 conclusi dagli associati IAP), l'intervento del Comitato di controllo era auspicabile. E molto probabilmente esso sarebbe intervenuto in seguito, se non fosse stato preceduto da un'autonoma decisione dei soggetti interessati, di sospendere lo spot incriminato. Resta comunque il fatto che il sistema statale non garantisce tutela dalla comunicazione non commerciale e dunque in casi del genere bisogna necessariamente affidarsi al buon senso degli operatori o altrimenti al sistema autodisciplinare. È al tempo stesso evidente, però, che in simili situazioni, in cui è in gioco l'equilibrio psicologico ed emotivo dei minori, i tempi procedurali dello IAP, seppure in genere inferiori a quelli previsti dall'AGCM possono risultare insufficienti. 4.2 Decisioni dell’AGCM e del Giurì Un altro caso riguarda la pronuncia di ingannevolezza emessa dall'AGCM nei confronti di una telepromozione, in riferimento alla riconoscibilità della natura pubblicitaria della medesima da parte dei bambini. Il messaggio in questione era inserito all'interno del programma televisivo Zecchino d'Oro diffuso dall'emittente Rai Uno il 16 novembre 1997. La telepromozione era introdotta dal presentatore che affermava: “A proposito del nostro piccolo coro, state attenti perché adesso il piccolo coro dell'Antoniano ci regalerà una canzone per tutti i bambini che ci stanno guardando”, e immediatamente dopo, il coro intonava un jingle, intitolato “GIG è bel”. In una scenografia natalizia, un noto personaggio travestito da Babbo Natale, 178 supportato dal presentatore della trasmissione, illustrava ad alcuni bambini e ai telespettatori alcuni dei giocattoli commercializzati dalla linea GIG. Nonostante la telepromozione fosse stata regolarmente mandata in onda con l'indicazione “messaggio promozionale” (rispettando così l'obbligo previsto dal d.m. n.581/93), per l'Autorità, tale provvedimento non costituiva una avvertenza adeguata, in considerazione del fatto che i bambini più piccoli non sono in grado di leggere, o comunque di cogliere appieno il significato della dicitura. Inoltre, l'aggravante del caso riguardava il fatto che la telepromozione non veniva chiaramente annunciata, ma al contrario era introdotta dal conduttore del programma con una formulazione ambigua. E ancora, il legame tra il momento promozionale e la trasmissione era prodotto dalla partecipazione del conduttore alla presentazione dei giocattoli, dalla presenza dei bambini del pubblico e dalla partecipazione del coro che intonava il motivo musicale introduttivo e finale. In assenza di avvertenze idonee a comunicare ai piccoli spettatori la sua natura pubblicitaria, il messaggio aveva così l'effetto di incidere indebitamente sui livelli di attenzione e di coinvolgimento, giacché i sentimenti di simpatia e benevolenza nutriti dai bambini nei confronti della trasmissione e dei suoi protagonisti, si riflettevano sul messaggio e, di conseguenza, sul prodotto pubblicizzato. In definitiva, la telepromozione non era chiaramente distinguibile rispetto al programma e, al tempo stesso, risultava idonea ad abusare della credulità e mancanza 179 di esperienza dei minori. Per questo è stata considerata ingannevole ai sensi dell'art.4 e 6 del d.l. 74/92, allora in vigore. 120 Tale provvedimento mette in evidenza un aspetto importante: l'applicazione o meno delle norme sulla pubblicità ingannevole va considerata in riferimento alle caratteristiche del consumatore che riceve la tutela. In altri termini, l'ingannevolezza di un certo messaggio deve essere valutata in merito alla potenzialità dello stesso di recare pregiudizio al suo destinatario di riferimento. Nel definire il profilo del destinatario-tipo di una pubblicità, possono partecipare vari elementi: il tipo di prodotto reclamizzato, l'orario di diffusione (nel caso della pubblicità radiotelevisiva), il contesto in cui è inserita. Tutti questi aspetti li ritroviamo nel caso appena esaminato. Infatti, nonostante la telepromozione in questione, avesse rispettato le disposizioni del d.m. 581/93 e che, secondo le parti interessate, ciò fosse stato sufficiente a far comprendere la sua natura pubblicitaria ad un pubblico adolescente, l'AGCM ha considerato inidonee le precauzioni prese proprio perché, a suo parere, i destinatari di riferimento non erano adolescenti bensì bambini, meritevoli di una maggiore tutela rispetto a quella effettivamente realizzata. Ed il profilo del probabile ricevente di quel messaggio non poteva non corrispondere ad un bambino dato che, la trasmissione televisiva (lo Zecchino d'oro) era chiaramente rivolta ad un pubblico di minori, e i prodotti pubblicizzati erano dei giocattoli. Dunque, trattandosi di minori, dotati di minore senso critico e minore esperienza, e magari, ancora incapaci di leggere e di comprendere la scritta 120 AGCM, Provved. n.6447, PI1950 - "Gig libro dei giocattoli" in Boll. n.41/98 180 “messaggio promozionale” sarebbe stato necessario attuare una tutela rafforzata che avrebbe chiarito inequivocabilmente, anche ai più piccoli, la natura pubblicitaria del comunicato. Un'altra considerazione in merito alla questione, riguarda l'efficacia del provvedimento dell'Autorità. Trattandosi di una telepromozione, che, come noto, modifica giornalmente i propri contenuti, la decisione non ha avuto ovviamente l'effetto di sospendere il messaggio condannato, in quanto il medesimo ha cessato di esistere nel giorno stesso in cui è stato diffuso; dunque in casi del genere si manifesta la totale impotenza ed inefficacia dell'intervento dell'Autorità. Per cui sarebbe opportuno applicare forme sanzionatorie alternative, che creino un fattore deterrente convincente, e che permettano di difendersi da queste forme sui generis di pubblicità, che altrimenti continuerebbero ad passare indenni da ogni provvedimento. Infine, ecco un esempio della linea di condotta attuata dagli organi di autodisciplina sempre in tema tutela dei minori. In data 12 dicembre del 2000, il Comitato di controllo ha sottoposto al Giurì due spot della società San Carlo, volti a promuovere la patatina “Più Gusto”, in quanto ritenuti contrari agli artt. 10 (Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) e 11 (Bambini e adolescenti) del CA. 121 La campagna, andata in onda sulle principali emittenti televisive, si articolava in due filmati. In un primo spot un giovane guidatore veniva multato da una donna vigile urbano e decideva di vendicarsi avvicinandosi a lei con l'automobile in modo che il fango di una pozzanghera le schizzasse addosso. Nel secondo filmato un ragazzo, in 121 Giurì, n. 366/2000 del 19/12/2000 181 un bar particolarmente affollato, per attirare l'attenzione di un indaffarato cameriere, gli faceva uno sgambetto. In entrambe le pubblicità, la situazione frustrante rappresentata (l'ennesima contravvenzione automobilistica; la difficoltà nel richiamare l'attenzione del cameriere) veniva, quindi, risolta mediante l'assaggio delle patatine pubblicizzate, accompagnato da una voce fuori campo che recita “Più Gusto. Il gusto che non ti eri mai concesso” e un'azione di tipo antisociale. Secondo il Comitato di Controllo, che le ha esaminate, proprio perché presentavano dei comportamenti contrari alle normali condotte civili come se fossero delle reazioni naturali, l'effetto poteva essere quello di indurre il pubblico, in particolare i minori, a emulare i medesimi comportamenti. I soggetti interessati, nella loro replica, hanno ribadito la finalità puramente ironica del messaggio: il suo scopo non era proporre un modello da imitare, ma far sorridere lo spettatore, favorendo così la memorizzazione del prodotto. Il tipo di ironia proposta era fondato sul politically uncorrect, ovvero ripudiare il buonismo, presentando situazioni inconsuete in maniera dissacrante. Tuttavia la tesi dell'ironia non è bastata per evitare la sospensione del messaggio, perché, secondo il Giurì, il pericolo di emulazione si presentava soprattutto nei bambini, data la loro non ancora completa capacità di distinguere fra comportamenti socialmente accettabili o meno; ma anche nel pubblico di adolescenti il rischio, seppure diverso, non era di minore gravità, in considerazione della propensione, propria di tale età, a compiere atti trasgressivi ed imprudenti. 182 4.3 Children SEE Children DO: la pubblicità educativa Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino educere che significa letteralmente condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto. Si intende il processo attraverso il quale l'individuo riceve e impara quelle particolari regole di comportamento che sono condivise nel gruppo familiare e nel più ampio contesto sociale in cui è inserito. Può essere anche definita come l'atto, l'effetto dell'educare o come buona creanza, modo di comportarsi corretto e urbano nei rapporti sociali. Collegata alla Pubblicità, l’educazione entra in quello che è il mezzo di propaganda più persuasivo e più conosciuto dell’era moderna, che va ad abbandonare, quindi, gli scopi esclusivamente commerciali che lo accompagnano sin dalla sua origine, per connaturarsi di scopi sociali. L’ispirazione di fondo della Pubblicità educativa, o meglio conosciuta come Pubblicità sociale, è cogliere i primi tentativi nel sociale ad opera di diversi organismi istituzionali, statali e non, di sviluppare una cultura video-mediale, in grado di impiegare questi nuovi, potenti media, al servizio dell'uomo e della società. Il più importante di questi è la Fondazione Pubblicità Progresso, un ente no-profit, che nasce sul modello dell'analoga organizzazione statunitense Advertising Council, che dal 1970 dedica il suo impegno alla soluzione di problemi morali, civili ed educativi riguardanti l'intera comunità attraverso la realizzazione di campagne 183 pubblicitarie distribuite gratuitamente, ponendo la comunicazione al servizio della collettività. Nata come Associazione e diventata poi, nel 2005, Fondazione, “Pubblicità Progresso” è entrata nel vocabolario quotidiano degli italiani, diventando sinonimo di “pubblicità sociale”. Con la sua attività e grazie al contributo di chi ne fa parte (utenti, organizzazioni professionali, imprese e organizzazioni di mezzi, interassociazioni), ha promosso e promuove l’impiego della comunicazione sociale di qualità tra gli strumenti operativi di enti, istituzioni, pubblica amministrazione e organizzazioni non profit. Ha dimostrato concretamente l’utilità di un intervento più professionale nel campo della comunicazione sociale e ha contribuito a valorizzare la pubblicità italiana e i suoi operatori. Come Centro Permanente della Comunicazione Sociale, la Fondazione: dà vita a campagne di comunicazione di pubblico interesse, stimolando la coscienza civile ad agire per il bene comune; facilita il confronto sui temi della comunicazione sociale, mettendo a disposizione una biblioteca multimediale con campagne sociali da tutto il mondo; promuove la cultura della comunicazione sociale, organizzando eventi nazionali e internazionali, momenti formativi anche in collaborazione con altre Fondazioni, Enti Pubblici e Locali, Università; affianca le Organizzazioni Non Profit offrendo il proprio patrocinio alla loro comunicazione (campagne patrocinate); si mette a disposizione degli Enti Pubblici per collaborare nella realizzazione delle campagne sociali (campagne convenzionate); mette a disposizione dei richiedenti le 184 proprie mostre itineranti dedicate a importanti temi sociali e invita al dibattito sui temi più attuali, attraverso il suo blog aperto a tutti. Per le campagne direttamente rivolte ai minori possiamo ricordare: quella del 1981, per una maggiore responsabilità dei genitori “Figli si nasce genitori no”, quella del 1988-89 contro il maltrattamento dei minori e quelle contro l’anoressia “Non rifletterti, rifletti”e “Dategli il peso che ha, non quello che dimostra”. In virtù di tutto questo la Fondazione Pubblicità Progresso è oggi una delle espressioni più alte e rappresentative delle organizzazioni del mondo della comunicazione e dei professionisti che ne fanno parte. Ma non sono da trascurare anche spot emanati da altri organismi, sia a livello nazionale che internazionale. Nel primo caso possiamo citare lo spot “antiobesità”, intelligente e simpatico, del San Raffaele di Milano, che vede come protagonista un famoso personaggio dei videogame Doom, solo che in questo caso è un Doom obeso, che ha difficoltà nel compiere le normali avventure; il video termina con una frase che recita: “I videogame sono una delle principali cause dell’obesità”; o la campagna della Rai educational sui mezzi alternativi per quanto riguarda l’inquinamento, che vede come protagonisti dei cartoni animati e che recita lo slogan “Se vogliamo far strada scegliamo altre strade”. Per quanto riguarda uno spot che sta avendo successo a livello internazionale, possiamo far riferimento allo slogan “I bambini vedono, i bambini fanno!” di una campagna di sensibilizzazione a favore del buon esempio verso i bambini, che sta 185 andando in onda negli USA e che è stato ideato dalla DDB di Sydney. Un video stupendo che mostra immagini molto forti. Il tutto è spiegato rappresentando una serie di scene dove i bambini imitano quello che fanno gli adulti, facendo capire che quando un bambino guarda ciò che fa uno dei suoi genitori, non distingue un’azione positiva da una negativa, né il bene dal male. Semplicemente ripete, in maniera irrazionale, quello che il modello adulto fa. Il tutto si chiude con lo slogan finale: “Rendi la tua influenza positiva”. Sempre negli Stati Uniti l’ente pubblico FDA (Food and Drug Administration) insieme a Cartoon Network ha lanciato una campagna pubblicizzata con due cartoonspot, per educare anche i più piccoli alla lettura delle etichette e promuovere le buone abitudini alimentari. In Francia, da circa un anno, su etichette e pubblicità di cibi calorici come merendine, bibite e alimenti precotti sono presenti slogan allarmistici come “i cibi grassi fanno male” o “non spiluccate fuori pasto” e così via, sulla falsariga di quelli che da più tempo campeggiano sui pacchetti di sigarette e sugli alcolici. I produttori che non rispettano le nuove regole rischiano sanzioni economiche pesanti. 186 VALUTAZIONI FINALI Nel complesso, l'intero sistema di tutela pubblicitaria dei minori, comprendendo le disposizioni legislative e l'apporto fornito dai codici di autoregolamentazione, copre una buona porzione degli eventuali danni che una pubblicità potrebbe causare nel pubblico dei minori ad essa esposto. Infatti, tanto la necessità di salvaguardare l'incolumità fisica, quanto l'opportunità di evitare traumi psicologici al minore, sono presenti sia nelle leggi in materia pubblicitaria sia nei codici autodisciplinari. Inoltre, l'impegno, pubblico e privato, di proteggere i soggetti più piccoli ed indifesi, si manifesta addirittura sul piano etico stabilendo ciò che è moralmente accettabile e ciò che non lo è. Benché da un punto di vista normativo si è effettivamente tenuto conto della necessità di proteggere i bambini, e bisogna dare atto allo stesso settore pubblicitario dell'assunzione di responsabilità in questo senso, la concreta tutela pubblicitaria di bambini ed adolescenti è caratterizzata da un'incertezza di fondo. In particolare, la lentezza d'intervento delle autorità statali competenti e l'inconsistenza delle sanzioni, insieme, rendono appunto incerta l'applicazione delle norme. Infatti, la sanzione imposta consiste nella inibizione del messaggio condannato, ed al massimo ad essa viene combinato l'obbligo di pubblicazione della sentenza. Il danno economico causato al violatore corrisponderà, quindi, a quanto investito per 187 realizzare e diffondere la campagna pubblicitaria poi sospesa. Tuttavia, in considerazione delle lunghe procedure previste dagli organismi preposti, in particolare dall'Antitrust, non è inusuale che venga sospesa una campagna pubblicitaria ormai conclusasi. Nell'ipotesi prospettata, dunque, l'intervento delle autorità sarebbe del tutto inutile. Per evitare casi del genere è possibile incidere su due fronti: cercare di accelerare i tempi dell'istruttoria oppure adottare delle sanzioni penali. La prima strada risulta difficilmente praticabile, dato l'elevato numero di segnalazioni che giungono ogni anno al Garante della concorrenza e del mercato, ed oltretutto la contrazione dei tempi non potrebbe travalicare un certo limite “fisiologico”. Per quanto riguarda l’adozione di provvedimenti penali, nell’originario sistema, la l. 74/1992, al termine della procedura di accertamento della violazione delle norme sulla pubblicità, prevedeva che l’Autorità potesse, oltre a vietare la pubblicità stessa, solamente ordinare la pubblicazione della pronuncia e di una dichiarazione rettificativa, mentre la sanzione penale rivolta all’operatore pubblicitario interveniva in maniera indiretta sanzionando l’inottemperanza al provvedimento dell’Autorità. Si attuava, in questo modo, un modello di tipo ingiunzionale che risolveva egregiamente il problema di una pressoché impossibile definizione, in termini tassativi e precisi, imposti da un’eventuale fattispecie penalistica, della nozione di “pubblicità ingannevole”. In seguito, lo si è anticipato, vi è stato un mutamento di prospettiva, facendo ricorso alla sanzione amministrativa in luogo di quella penale, scelta che è stata mantenuta 188 dai d. legisl. 145 e 146/2007, sebbene la legge delega 29/2005 prevedesse, all’art. 3 relativo ai principi e criteri direttivi per il legislatore delegato, la possibilità di comminare anche sanzioni penali contravvenzionali, limitandole ai casi in cui le infrazioni avessero leso o esposto a pericoli interessi costituzionalmente protetti. Tale limite, forse, avrebbe consentito la previsione di sanzioni penali per le pratiche commerciali scorrette, lesive dei diritti dei consumatori come quelle che più ci interessano e che riguardano prodotti che possano comportare pericolo per la salute o la sicurezza oppure suscettibili di raggiungere minori o adolescenti. Come già analizzato, per quanto riguarda l’AGCM, abbiamo sia una sanzione immediata di natura amministrativa con lo stesso provvedimento che accerta la violazione, sia una successiva, in caso di inottemperanza. La modifica sembra essere ispirata dalla considerazione circa la necessita che l’Autorità disponga di poteri sanzionatori diretti nei confronti delle pubblicità ingannevoli o comparative ritenute illecite; taluno ha rilevato che i provvedimenti inibitori, se risultano efficaci nei confronti di alcuni operatori, rispetto ad altri possono risultare indifferenti se non addirittura non sgraditi perché fonte di ulteriore pubblicità, come nel campo della moda, dello spettacolo, delle telecomunicazioni. Nonostante tutto, si può sicuramente affermare comunque che, in ambito pubblicitario, il minore è più protetto rispetto a quanto accade per la programmazione televisiva, che spesso si distingue per eccessi di violenza e di volgarità, grazie soprattutto agli organismi autodisciplinari. 189 Pur presentando per certi versi gli stessi limiti dell'intervento statale, l'attività dell'autodisciplina pubblicitaria, presenta una maggiore efficacia perché garantisce un intervento più celere, grazie al potere di “ingiunzione degli effetti” attribuito al Comitato di controllo, e, aspetto molto importante, assicura un'attività costante di prevenzione delle violazioni, pur non potendo, a differenza dell’AGCM e dall’AGCOM, comminare sanzioni pecuniarie. Bisogna comunque considerare che questa tutela non viene compiuta nell'arco dell'intera giornata. E sarebbe anche impensabile che ciò accadesse, perché si porrebbero troppi limiti alla creatività e si configurerebbe una sorta di proibizionismo pubblicitario. I livelli di massima protezione sono circoscritti dai media alla fascia pomeridiana, certa pubblicità viene vietata solo in occasione dei programmi per bambini, lo stesso Giurì autodisciplinare colloca su piani diversi violazioni simili a seconda del destinatario di riferimento della pubblicità. Con il risultato che il bambino che vede programmi per adulti, o guarda ancora la Tv in tarda serata, può essere suo malgrado esposto a messaggi aggressivi, spinti, o moralmente discutibili qualora, magari, non riesca a coglierne l'ironia di fondo del messaggio. In tali occasioni, le aree di pericolo per i minori, possono essere colmate solamente attraverso l'intervento equilibratore dei genitori, impedendo al bambino la visione di determinati programmi, oppure aiutandolo nel suo processo di comprensione del messaggio pubblicitario spiegandogli le sfumature che non è riuscito a cogliere. 190 Le iniziative autodisciplinari, dei media e le leggi dello Stato, quindi, possono risultare davvero efficaci nella tutela del pubblico dei minori, in quanto siano adeguatamente integrate in un più ampio quadro comprendente anche l'indispensabile contributo delle istituzioni educative, in particolare di quella familiare. 191 BIBLIOGRAFIA AA.VV. Decisioni dell'Autorità in materia di Pubblicità Ingannevole, relazioni dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato dal 1998 al 2001 AA.VV. 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