UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI
II FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA - TARANTO
TESI DI LAUREA
IN
DIRITTO INDUSTRIALE
LA TUTELA DEL MINORE NELLA PUBBLICITA’
RELATORE:
Ch.mo Prof. Ugo Patroni Griffi
LAUREANDA:
Luccarelli Arianna
ANNO ACCADEMICO 2007/2008
(conseguita il 04 Maggio 2009)
INDICE
INTRODUZIONE
LA PUBBLICITA’…UN BUFFO OMINO …………………….…….……….1
ASPETTI NEGATIVI DEL FENOMENO PUBBLICITARIO ……………..10
CAPITOLO PRIMO
“IL DIRITTO PUBBLICITARIO”
1.1 RICOSTRUZIONE NORMATIVA ………………………………………18
1.2 EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO PUBBLICITARIO …………26
CAPITOLO SECONDO
IL SISTEMA AUTODISCIPLINARE
2.1
CODICE
DI
AUTODISCIPLINA
DELLA
COMUNICAZIONE
COMMERCIALE……………………………………………………………….42
2.1.1. Analisi delle disposizioni……………………………………………...50
2.1.2 Giurì e Comitato di Controllo………………………………………….94
2.2 CODICE DI AUTOREGOLAMENTAZIONE TV E MINORI………….104
2.2.1 Analisi delle disposizioni…………………………………………...108
2.2.2 Comitato di Applicazione…………………………………………...115
CAPITOLO TERZO
IL SISTEMA STATALE
3.1 CODICE DEL CONSUMO E DECRETI LEGISLATIVI 145 E 146 DEL 2007
1 3.1.1. Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 – Codice del Consumo a norma
dell’art. 7 l. 29 luglio 2003, n. 229 come modificato dal decreto legislativo 2 agosto 2007,
n. 146………………………………………………………..…124
3.1.2 Decreto legislativo 2 agosto2007, n. 145 – Modifica della direttiva 84/450/CEE
sulla pubblicità ingannevole……………………………….…..….135
3.1.3 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)…….…162
3.2 TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE……………………….196
3.2.1 Analisi delle disposizioni…………………………………………..…198
3.2.2 Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM)…………………..216
CAPITOLO QUARTO
LEADING CASES E PUBBLICITA’ EDUCATIVA
4.1 UN CASO DI PUBBLICITA’ SOCIALE…………………………………227
4.2 DECISIONI DELL’AGCM E DEL GIURI’………………………………230
4.3 CHILDREN SEE CHILDREN DO: LA PUBBLICITA’ EDUCATIVA…236
VALUTAZIONI FINALI ……………………………………………………...242
BIBLIOGRAFIA …………………………………………..…………………..248
2 Incipit
“…tutti i bambini, ma proprio tutti, iniziarono a correre fuori dalle case, incantati dalla sua
musica e dalle note magiche. Seguivano il buffo omino con le scarpe a punta e la piuma sul
cappello, dimenticando i loro giochi e quello che stavano facendo…” 1
1 Fratelli Grimm, Il pifferaio magico di Hamelin.
1 INTRODUZIONE
La pubblicità…un buffo omino
Vorrei rappresentare metaforicamente così, come quel buffo omino con le scarpe a
punta e con la piuma sul cappello che è il pifferaio di Hamelin, l’oggetto della mia
tesi: la Pubblicità.
Essa è definita nelle differenti disposizioni legislative e autodisciplinari, che in
seguito tratteremo analiticamente, come:
• Testo Unico Della Radiotelevione Art. 2 lett. u) “ogni forma di messaggio
televisivo o radiofonico trasmesso a pagamento o dietro altro compenso da
un'impresa pubblica o privata nell'ambito di un'attività commerciale,
industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere
la fornitura, dietro compenso, di beni o servizi, compresi i beni immobili, i
diritti e le obbligazioni”;
• Codice del consumo, prima di essere modificato dal d. lg. 146/07, allo stesso
modo che nel d.lgs. n. 74/92, “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in
qualsiasi modo, nell’esercizio di una attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni
immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi
2 oppure la prestazione di opere o di servizi”; dopo la riforma fa riferimento
nell’Art. 18 lett d) non più ad essa ma a "pratiche commerciali tra
professionisti e consumatori" e le definisce “qualsiasi azione, omissione,
condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la
pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un
professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto
ai consumatori”;
• Codice di Autodisciplina, a seguito delle novità introdotte dalla 47ª edizione, in
vigore dal 16 gennaio 2009, che ne ha sostituito la precedente nozione, definita
nelle Norme preliminari e generali alla lett. e) “ogni comunicazione, anche
istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano i
mezzi utilizzati, nonché le forme di comunicazione disciplinate dal titolo VI”,
con quella di comunicazione commerciale, termine che “comprende, alla luce
delle stesse Norme preliminari e generali, la pubblicità e ogni altra forma di
comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o
servizi quali che siano le modalità utilizzate, nonché le forme di comunicazione
disciplinate dal titolo VI. Non comprende le politiche commerciali e le tecniche
di marketing in sé considerate”.
La pubblicità è diventata una delle componenti più rilevanti della società dei
consumi. Questo sviluppo è stato certamente indotto dal diffondersi di una cultura del
consumo di massa e, di conseguenza, dall’affermarsi di un mercato dei mezzi di
comunicazione.
3 La comunicazione è importante per lo sviluppo dell’impresa per informare il mercato
della sua esistenza, delle attività che svolge e dei prodotti e servizi che vi colloca; in
una parola, per farsi preferire al momento della scelta d’acquisto effettuata dal
consumatore. Ma la comunicazione oggi non si limita più solo a questa funzione: essa
si arroga una funzione ben più ampia e complessa: quello di creare un sistema di
valori che permettano al mercato di identificarla in positivo, quale migliore risposta
alle proprie necessità.
Inoltre, alla pubblicità è richiesto di concorrere, unitamente ad altri strumenti della
comunicazione, a supportare e definire l’immagine istituzionale di un’impresa e dei
suoi marchi, in questo aiutandone la loro familiarizzazione ed identificazione presso
il pubblico finale.
Ma oggetto principale del mio argomentare in questa tesi è quella parte delle
disciplina pubblicitaria che concerne la Tutela del minore.
Ciò chiarisce la metafora, apparentemente inopportuna in campo giuridico, capace di
esporre con chiarezza il principio base di questa tutela, enunciato all’Art. 7 del
Codice di Autodisciplina: la pubblicità deve essere riconoscibile come tale dal
minore.
Se volessimo spiegare ad un bambino cos’è la pubblicità e con quali meccanismi
persuasivi funziona, non useremmo nessuna delle precedenti definizioni legislative e
autodisciplinari, ma lo faremmo con il metodo con cui da sempre si cerca di entrare
nel loro mondo, di plasmare la realtà dei grandi e di adattarla alle loro cognizioni: con
le fiabe.
4 I bambini della società dei media sono vittime almeno 3 volte: perché target, perché
spettatori e perché troppo spesso protagonisti. I bambini che prima guardano e poi
affascinati chiedono e vogliono quei prodotti, sono pronti ad imitare i piccoli attori
che glieli propongono. Ma i più piccoli non distinguono realtà da fantasia.
E alla luce della nuova realtà normativa non si può più prescindere dal fare ciò, dal
rendere edotti e prestare una tutela effettiva ai nostri bambini, in quanto senza di essa
sono condannati a incolonnarsi, come ipnotizzati, al seguito del grande pifferaio
magico che li porterà dentro la montagna, in un mondo dominato da una logica
esclusivamente commerciale.
Si tratta di prendere coscienza di una situazione decisamente diversa rispetto al
passato e, in secondo luogo, di dotarsi degli strumenti per poter entrare nel magico
mondo dei persuasori e comprenderne le mille arti e i mille trabocchetti. Senza voler
suscitare alcun allarmismo, né tantomeno demonizzare la comunicazione
pubblicitaria in toto, questo lavoro cercherà di mostrare come i bambini ed
adolescenti vengono tutelati.
Il minore non è in grado di filtrare i contenuti dei messaggi televisivi, neanche
quando è egli stesso partecipe di questi (per es. come protagonista di spot indirizzati
ai suoi pari), poiché non dispone degli strumenti critici sufficienti a comprendere, ed
eventualmente a rifiutare, i comunicati mediatici.
L'assunzione di responsabilità da parte dei genitori e di tutti coloro che fanno parte
del mondo pubblicitario non può essere, quindi, più rinviata e già da qualche tempo ci
si è resi conto della necessità di regolamentare la programmazione televisiva, in
5 modo da eliminare o almeno limitare eventuali danni arrecati al particolare pubblico
dei minori.
I pubblicitari hanno scoperto che il mercato più allettante e facilmente raggiungibile,
a causa di una estrema tendenza alla imitazione, riguarda soprattutto i bambini.
Questa capacità di imitazione, ovviamente non può essere vagliata criticamente a tale
età se non con la presenza di un adulto che invece è spesso assente. Infatti sembra
esserci da parte degli adulti una vera e propria cecità sui pericoli a cui sono esposti
soprattutto i più piccoli nell'essere lasciati liberi di vedere la televisione a loro
piacimento.
Se un tempo i richiami provenivano dal mondo naturale, oggi giungono da un mondo
virtuale, dotato di una notevole suggestione, potenziato da musiche suadenti in grado
di suscitare emozioni e favorire associazioni anche nostro malgrado: la pubblicità
favorisce la creazione di una sorta di gradevole ambiente immateriale nel quale il
prodotto e il consumatore vanno a collocarsi e associarsi, nella loro immaterialità. Ad
essere commercializzate non sono le merci ma le esperienze; in questo senso la
comunicazione contribuendo alla determinazione delle immagini della realtà, diventa
consumo culturale. La sua funzione evocativa, fa compiere al consumatore libere
associazioni d’idee, fa spaziare la sua identità rischiando tuttavia di realizzare una
saturazione di segni, simboli, messaggi, immagini, che costringono il consumatore ad
individuare modelli espressivi, nuove modalità comunicative più appropriate all’uso
che i diversi gruppi sociali fanno dei media.
6 Lo scopo è quello di creare un continuo stato di bisogno, di desiderio, di aspirazione a
comprare, nell’illusione di riuscire a rassomigliare, un giorno ai modelli della tv.
Difficile per loro sfuggire all'incanto di questi richiami, non farsi ammaliare da chi li
vuole far crescere troppo in fretta e non cadere vittima di quel fenomeno che in
inglese chiamano dei kids grow older younger, cresciuti in fretta, trasformandoli in
adulti prima del tempo, piccoli automi che ripetono gesti e atteggiamenti di cui
ignorano il significato, ma che raramente hanno la maturità corrispondente a questi
ruoli. I bambini nella Tv dei grandi in una continua confusioni di ruoli, diritti e
doveri, non del tutto inventata, che i pubblicitari non hanno mancato di cogliere e di
trasformare in fattore di spettacolo: esempio ne è la bimba che parla con la voce della
mamma, mentre la mamma parla con la vocina di bimba per conquistarsi un lecca
lecca.
Bambini al centro della società del benessere. Consumisti e consumati. Più abili e
sicuri dei genitori incapaci anche di infilar loro le scarpe.
Al di là del rapporto genitori-figli, però, il processo di comunicazione nel quale la
pubblicità si indirizza ai ragazzi è pur sempre un processo unilaterale e squilibrato,
nel quale al produttore spetta un ruolo attivo e condizionante, mentre al consumatore
spetta un ruolo passivo e condizionato. Si riempiono gli spazi con prodotti
consumistici di ogni tipo, l’importante è che i ragazzi comprino.
Alcune emittenti televisive hanno la cattiva abitudine di trasmettere gli spot
pubblicitari ad un volume più alto rispetto al programma o al film in cui sono inseriti.
Si tratta di un trucco per richiamare l’attenzione dei telespettatori sui prodotti
7 reclamizzati, che denota ancora di più il carattere aggressivo, onnipotente e
onnipresente della pubblicità, che tende ad invadere ogni spazio culturale disponibile,
attraverso una crescente “intertestualità” che la porta a stabilire legami sempre più
ristretti con l’universo dei testi e dei generi del sistema delle comunicazioni di massa.
Tale trasformazione è riconducibile all’innovazione tecnologica, oggi il medium
tende a non esistere più come tale, perché l’ipermedium ingloba media diversi, ai
quali fa perdere i confini e le identità, trasformandoli in un flusso continuo e
ambiente comunicativo totale. 2
Ovviamente, non è che il denaro e i beni di consumo siano totalmente negativi, c'è
molta creatività e molta intelligenza in tanti prodotti commerciali e messaggi
pubblicitari: ma quando viene potenziato un mondo in cui la seduzione penetra
profondamente nell'inconscio per orientare ogni spazio disponibile ed erodere ogni
capacità di autonomia, bisogna prendere dei provvedimenti. Il grosso equivoco è
pensare che la libertà delle persone coincida con il fruire di una quantità inesauribile
di emozioni che derivano anche dagli spot e dall'acquisto di infiniti prodotti, sempre
pilotati dall'esterno, sempre legati alle acquisizioni e ai diktat delle voghe del
momento. Le emozioni sono indubbiamente importanti, come l'immaginazione e la
creatività, indirizzano e danno senso al mondo. Non può però essere del tutto
disgiunta dall'intelligenza. Un'intelligenza senza emozione ci rende simili ad automi,
ma un'emozione senza intelligenza ci lascia troppo esposti ai maghi della
suggestione.
2 D.Rispoli, La pubblicità tra mercato e tutela dei cittadini, Giuffrè, Torino, 1997 pp.104 ss.
8 Tenuto conto della importanza assunta dalla Tv nella vita quotidiana di un bambino
nel colmare il suo tempo libero, e della quantità rilevante del suo ascolto,
evidentemente, il problema del rapporto tra pubblicità e minori presenta aspetti di
maggiore gravità relativamente al mezzo televisivo, però non si deve minimizzare
l'impatto che la pubblicità ha su altri mezzi, come le affissioni e la pubblicità sui
periodici destinati espressamente al pubblico giovanile, può esercitare sui bambini e
sugli adolescenti.
Aspetti negativi del fenomeno pubblicitario.
Vi sono vari aspetti negativi nel mondo della comunicazione commerciale: quelli che
incidono maggiormente sullo sviluppo psicologico nel nostro pubblico finale sono i
frequenti richiami alla violenza, violenza sia della pubblicità che nella pubblicità, ad
una sessualità troppo esplicita e inopportuna e ad una scorretta educazione
alimentare. Tale incalzante esposizione di richiami e paradigmi di comportamento
costruiti su modelli imposti dalla televisione, conformemente alle tecniche di
mercato, assolve, come tutto ciò che riguarda il mondo commerciale, una funzione
economico-politica, che non tiene però conto degli effetti terribili che si manifestano
soprattutto negli adolescenti, come il bullismo, i noti disturbi alimentari
dell’anoressia e della bulimia o, al contrario, l’obesità infantile.
Violenza della pubblicità: deriva dalla natura messaggi, dalle caratteristiche dei mezzi
dai quali tali messaggi vengono veicolati e dalle modalità della loro diffusione.
9 Nel valutare gli effetti sociali della pubblicità assumono particolare rilievo il ruolo e
la natura dei mezzi che ne diffondono i messaggi, come la radio, la televisione, le
affissioni che da un lato accentuano le valenze emozionali e dall’altro il loro carattere
non selettivo.
L’esposizione non volontaria ai messaggi costituisce uno degli aspetti più
caratteristici della comunicazione pubblicitaria, in quanto è una forma di
comunicazione non richiesta dal pubblico, anzi in molti casi risulta essere
indesiderata e per la sua invadenza, pervasività, intrusività viene concepita da molti
come violenta.
Questi aspetti relativi alle modalità diffusive, rendono evidente che la pubblicità può
comprimere la libertà delle persone, soprattutto quando viene propagata attraverso
mezzi e modalità che fanno si che i recettori vi si trovino esposti in modo non
volontario.3
E’ soprattutto il mezzo televisivo che per la sua nota capacità di capillare
penetrazione nell’ambiente sociale dispiega una forza di persuasione sulla formazione
dell’opinione pubblica di natura più incisiva rispetto alla stampa; si impone
all’ascolto del pubblico in modo intrusivo diventando una vera e propria imposizione.
La comunicazione pubblicitaria per la sua invadenza, brevità, intrusività si può
configurare pertanto come una forma di violenza, se per violenza si intende non solo
abuso della forza fisica, ma anche tutto ciò che è particolarmente aggressivo, intenso,
che tende a produrre negli altri una sofferenza morale o una pressione psicologica,
3 A.Zanacchi , La pubblicità. Potere di mercato. Responsabilità sociali. p. 303
10 limitandone di fatto la libertà; in effetti la pubblicità tende spesso ad aggredire i
propri interlocutori, e la sua aggressività la manifesta nel tentativo di diminuire il
potere di difesa dei suoi destinatari, nell’imporre, fisicamente e psicologicamente i
propri messaggi attraverso l’irruenza, l’emotività, la ripetizione continua a volte
ossessiva.
Spesso la violenza pubblicitaria non viene avvertita perché tale violenza è intrinseca
alla sua funzione commerciale e concorrenziale, e si maschera nelle forme e nei
contenuti festosi e allegri.
Essere consapevoli degli aspetti violenti della pubblicità non significa demonizzarla,
ma capire che è necessario cambiare modo di comunicare nell’interesse stesso della
pubblicità perché solo riducendo gli aspetti più deteriori, conciliando le esigenze
delle aziende, dei mezzi di diffusione, dei professionisti, con quelli dei destinatari può
aumentare il tasso di accettabilità dei messaggi e di conseguenza aumentare
l’efficacia.
La violenza si manifesta anche quando la pubblicità si propone in modo subdolo ai
suoi destinatari, dove è sottile la differenza tra promozione commerciale e
intrattenimento; oggi la pubblicità diventa un vero e proprio genere massmediologico,
di pari dignità con i generi tradizionali, e un gran numero di telespettatori sembra
gradire queste forme di commistione, magari senza rendersi conto della piena
strumentalizzazione del gioco ai fini pubblicitari assimilando la comunicazione
pubblicitaria alla comunicazione di massa.
11 Un’altra forma di violenza è la pubblicità redazionale, cioè una comunicazione
pubblicitaria mascherata sottoforma di testi e di impaginazione di tipo giornalistico o
forme di inserimento di messaggi pubblicitari all’interno di contenuti primari, come
informazione,
fiction,
ecc.,
diffusi
dai
media,
definiti
in
genere
come
sponsorizzazioni. La pubblicità redazionale perde quella chiarezza, quella trasparenza
che dovrebbe invece rappresentare uno dei presupposti fondamentali della
comunicazione pubblicitaria.
Violenza nella pubblicità: si crea un sottile e trasparente legame tra i contenuti dei
programmi offerti quotidianamente dal media televisivo, tra cui anche quelli
pubblicitari, ed i comportamenti irrazionali ed a volte violenti dei minori. La
pubblicità può influire in maniera pervasiva e potente sulla mentalità e sul
comportamento dei bambini e degli adolescenti.
Sul piano dei contenuti, la pubblicità può assumere una configurazione violenta nel
diffondere messaggi che propongono, verbalmente o nelle immagini, affermazioni di
violenza. Può trattarsi di pubblicità per prodotti o anche dell’utilizzazione di
linguaggi violenti per rendere più efficaci i messaggi.
Caso limite è quello di Alessio Sundas, un agente pubblicitario, sul finire del 2007
promosse un'operazione pubblicitaria per vendita di un orologio, Linearom,
mettendovi al centro come testimonial, un giovane rom che nell'aprile del stesso anno
aveva falciato la vita di quattro ragazzi di Appignano del Tronto viaggiando di notte
alla guida di un camioncino in stato di ubriachezza.
12 Il caso è istruttivo per svariati motivi. In primo luogo, per la personalità di Sundas e
la sua filosofia in perfetta antitesi alla morale kantiana. Sundas vuole farsi un nome
nel settore della pubblicità e dello spettacolo. Ha deciso di sfondare e non intende
lasciarsi sfuggire un'occasione d'oro, che potrebbe diventare il suo trampolino di
lancio. Lele Mora e Fabrizio Corona sono i suoi modelli.
La cronaca nera fa spettacolo, l'assassino diventa protagonista e occupa una posizione
centrale sulla scena pubblica. I media fanno il loro gioco. I bambini e i ragazzi che
vengono esposti a queste esibizioni, però, rischiano non solo di diventare indifferenti
alla sofferenza, ma anche di aderire a una sorta di conformismo dell'abiezione che
non consente di separare il bene dal male.
Richiami sessuali: anche il sesso ha conquistato, nel nostro mondo massmediatico,
una collocazione centrale, secondo l’imperativo che l'ammirazione e i riconoscimenti
sociali si ottengono attraverso l'erotizzazione dell'abbigliamento e la seduzione
sessuale. In questo vortice sono trascinate anche le bambine, cui vengono offerte
bambole dall'aspetto iperfemminile e sexy.
Resta il fatto che rimandi, più o meno espliciti, alla sessualità trasmessi con
inflessibile continuità rappresentano una vera e propria aggressione verso l’innocenza
dei bambini, le cui dinamiche psichiche sono altamente plasmabili ed i valori di
riferimento influenzabili. Il bambino, per sua natura, carente di strutture critiche
sufficienti per orientare le esperienze, al contrario costruisce e rinforza convincimenti
e modelli attraverso le esperienze. Pervaderlo di stimoli sessuali anzitempo – e
certamente al di là della sua volontà – non solo significa forzarlo nella creazione del
13 suo immaginario e del suo codice etico, ma sottrarlo all’educazione familiare,
costituendo ingerenze che possono destabilizzarlo.
Il diritto internazionale ha sancito da tempo il principio di tutela del minore contro
ogni forma di violenza sessuale (Convenzione dei diritti del fanciullo. New York,
1989), ma di fatto tale principio, recepito dai singoli ordinamenti giuridici, si orienta
solo verso la tutela fisica. La separazione tra gli aspetti materiali ed immateriali della
sessualità e la punibilità dei crimini esclusivamente perpetrati a danno del “corpo”
produce un vuoto in cui s’insinuano i mass media gestendolo secondo le loro finalità.
Scorretta educazione alimentare: pubblicità di cibi ricchi di grassi, zucchero e sale,
che ha un impatto diretto sulle scelte dei bambini e, quindi sulla loro salute. Le fasce
protette si sono dimostrate piene di messaggi pubblicitari scorretti e poco salutari
sotto il profilo nutrizionale. Tra gli spot, al primo posto troviamo prodotti come
biscotti, merendine e altri alimenti ricchi di grassi e zuccheri.
Ma, come dimostrano autorevoli studi scientifici nazionali e internazionali, i bambini
che stanno troppo davanti alla Tv rischiano di diventare adulti obesi, bevitori e con il
coleresterolo alto, a causa della scarsa attività fisica e della cattiva dieta, condizionata
dagli spot. Non ci stupisce: molti dei messaggi alimentari sono scorretti e si
preoccupano poco (o fintamente) della salute dei piccoli.
14 Capitolo primo
“IL DIRITTO PUBBLICITARIO”
1.1 Ricostruzione normativa
Fulcro di questo lavoro sarà il “diritto pubblicitario”: non esistendo una definizione
complessiva della materia, possiamo affermare che il termine viene comunemente
utilizzato per identificare quell’insieme di norme, sia pubbliche che di emanazione
privata, grazie alle quali le diverse fasi dell’attività pubblicitaria sono svolte.
Analizzeremo come è intervenuto il legislatore, soprattutto con recenti riforme, nei
diversi settori che interessano la pubblicità come prodotto del sistema radiotelevisivo
e, contemporaneamente, come mezzo al servizio del consumatore, soffermandoci su
come si sviluppa la tutela del minore proprio in quegli articoli che lo considerano,
appunto, come utente e consumatore, l’evoluzione della normativa in materia, nonché
le disposizioni della deontologia pubblicitaria in merito allo stesso tema, cercando di
arrivare ad una disciplina unitaria.
Tale diritto si presenta quindi come un “sistema complesso” 4 , come testimonia una
decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che mostra come, sotto il
4 V. Franceschelli, Le fonti del diritto industriale cinquant’anni dopo, in Diritto Industriale., 2002,
p. 354.
15 profilo delle fonti, il Giudice nazionale debba ormai fare riferimento a tre ordini di
norme, la meno rilevante delle quali sembra essere proprio quella nazionale.
Tale situazione rispecchia la tradizionale “vocazione internazionale” del diritto
industriale, che dopo la rivoluzione comunitaria ha visto collegare sempre più le
proprie fonti allo sviluppo del diritto comunitario. Cosicchè, alla fine degli anni ’80,
si poteva dire che la disciplina del diritto industriale era caratterizzata dalla
coesistenza” delle normative nazionali con un ordinamento ormai sopranazionale. 5
Giunti nell’era virtuale, ormai, non si può più parlare di “mediazione”, a livello
nazionale, di regole che nascono in un paese e che si diffondono in un altro o anche
di graduale circolazione dei modelli. Occorre semplicemente prendere atto che le
regole nascono in modo uniforme in un sistema di collegamenti mondiali di cui è
difficile tracciare il percorso.
Si può dire, quindi, che oggi la distinzione tra fonti di produzione e fonti di
cognizione, come l’abbiamo conosciuta tradizionalmente, ha perso, per il diritto
industriale in generale, ma soprattutto per quello che a noi qui interessa, e cioè il
diritto pubblicitario, il suo valore: le fonti normative nazionali hanno ormai mero
valore di fonti di cognizione, mentre le fonti di produzione si sono spostate fuori dai
confini nazionali, nelle sedi dove si discutono e si approvano le fonti comunitarie e si
negoziano i Trattati internazionali. Il legislatore nazionale ha assunto una funzione di
“controllo” dell’adeguamento del diritto interno all’evolversi della normativa oltre
confine.
5 G. Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali., Giuffrè, 1993, p. 27.
16 In ambito internazionale la nostra trattazione trova la sua massima fonte nella
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 Novembre
1989, che pose con forza il problema di regolamentare la programmazione televisiva,
in modo da eliminare o almeno limitare eventuali danni arrecati al particolare
pubblico dei minori, all'attenzione internazionale: l'articolo 17 si occupava dei mezzi
di comunicazione e sanciva il diritto del bambino a non essere danneggiato da essi. 6
In ambito comunitario numerose sono state le direttive susseguitesi nel tempo, tra cui
le più importanti sono: la d. CEE 84/450 in materia di pubblicità ingannevole;
89/552/CEE concernente l’esercizio delle attività televisive; la d. CE 97/55 sulla
pubblicità comparativa; la d. CE 05/29 sulle pratiche commerciali sleali che ha
modificato l’intera materia
Avremo a che fare, quindi, con un apparato complesso, che oltre ad avere una origine
comunitaria ed una radice internazionale, si sviluppa in ambito statale in due
differenti sistemi di norme:
6 Art. 17 Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e
vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti
nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale,
spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti:
a) incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che hanno un’utilità sociale e
culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’articolo 29;
b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare
informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazioni ed internazionali;
c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia;
d) incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei
fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo minoritario;
e) favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle
informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni
degli articoli 13 e 18.
17 - un Sistema Autodisciplinare, nato in seno all’autonomia privata e che trova la
propria fonte in regolamenti emanati da organismi disciplinanti il settore in
diversi ambiti, i cui più importanti sono:
o il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (c.a.)
o il Codice di autoregolamentazione Tv e Minori (Codice Minori)
- un Sistema Statale, naturalmente di derivazione pubblicistica e che trova la
propria fonte principale in due raccolte di norme che regolamentano,
anch’esse, differenti campi della materia:
o il Codice del Consumo (CdC.)
o il Testo Unico della Radiotelevisione (T.U.R.)
Nel corso del 2005, con l’emanazione del T.U.R. e del Codice del Consumo, l’assetto
normativo di riferimento della pubblicità commerciale, ed in particolare della
pubblicità televisiva, ha subito un’importante ridefinizione:
- con l’entrata in vigore del Codice del Consumo è scomparso in primo luogo lo
storico D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74, emanato in attuazione della Direttiva n.
84/450/CE, come modificato dal D.Lgs 67/2007 7, nonché dalla l. 49/05 (c.d.
legge Giulietti), provvedimenti tutti espressamente abrogati dall’art. 146 CdC.
Le disposizioni del D.Lgs. 74/1992 risultavano integralmente trasposte, con
modifiche poco rilevanti, nella Parte II, Sezione I del CdC e il Capo III del
medesimo introduce poi alcune disposizioni in materia di televendite che
riguardano direttamente i minori.
18 - il T.U.R. costituisce nelle intenzioni del legislatore, con il Codice delle
Comunicazioni Elettroniche, una regolamentazione uniforme delle reti e dei
servizi di comunicazione, il risultato di un’opera di tentato riordino dello status
quo ante dei molteplici interventi legislativi, nonché di delibere dell’Autorità
delle Comunicazioni, finalizzato a porre fine all’imponente stratificazione
normativa e regolamentare che caratterizza da tempo la materia radiotelevisiva.
Riunisce, quindi, in un unico documento, unificandone la fonte, ma senza
rilevanti innovazioni nella sostanza: la l. 6 agosto 1990 n. 223 (c.d. legge
Mammì), la l. 122/1998, la l. 112/2008 (c.d. legge Gasparri), nonché, in parte,
il Regolamento Comunicazioni dell’AGCOM N. 538/01/CSP.
In tale percorso di riordino si sono verificati "incidenti di percorso", che sono peraltro
inevitabili quando la materia su cui legiferare reca in sé contenuti ideologici latu
sensu . Tra questi c'è sicuramente l'art. 10 della l. 3 maggio 2004, n. 112, concernente
la tutela dei minori nella programmazione televisiva.
Il testo originario prevedeva infatti, al comma 2, che "le emittenti televisive sono
altresì tenute a garantire di specifiche misure a tutela dei minori nella fascia oraria di
programmazione dalle ore 16:00 alle ore 19:00 e all'interno dei programmi
direttamente rivolti ai minori, con particolare riguardo ai messaggi pubblicitari, alle
promozioni e ad ogni altra forma di comunicazione commerciale e pubblicitaria..." e,
al comma 3, che "l'impiego dei minori di anni quattordici in programmi
7 Il D.Lgs. 67/2000 era stato emanato in attuazione della Direttiva n. 97/55/CE, modificativa della
Direttiva n. 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
19 radiotelevisivi, oltre che essere vietato per messaggi pubblicitari e spot , è
disciplinato con regolamento...".
Attualmente invece, con la l. 6 febbraio 2006, n. 37, sono state aggirate le distorsioni
del precedente "proibizionismo": da un lato, sopprimendo alcune parole del comma 3
(art. 10, legge n. 112/04), abolisce il divieto assoluto di utilizzare i minori di
quattordici anni nelle pubblicità televisive, rendendo quindi meno vincolante la
norma che pone limiti ai cosiddetti baby spot ; dall'altro proibisce nel comma 2 la
trasmissione di "ogni forma di comunicazione pubblicitaria avente come oggetto
bevande contenenti alcool all'interno dei programmi direttamente rivolti ai minori e
nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive", diffuse
nella fascia protetta di programmazione tra le ore 16:00 e 19:00.
Vediamo, quindi, come tutte queste raccolte sono il frutto di una evoluzione storica e
di uno sviluppo continuo e costante, di riforme e aggiornamenti, che analizzeremo
meglio in seguito, fino ai d.lgs. 145 e 146 del 2007 che hanno modificato il Codice
del Consumo e alle recenti disposizioni del gennaio 2009 che hanno mutato il titolo
del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria in Codice di Autodisciplina della
Comunicazione Commerciale.
Poiché non è possibile trascurare, in ogni forma di comunicazione, il rapporto
esistente tra il messaggio ed il mezzo, lo studio di questi effetti non potrà prescindere
dall'ideale continuum che lega la pubblicità alla programmazione televisiva. Per tale
motivo quindi, nello sviluppare l'argomento, verranno presi in considerazione alcuni
20 aspetti della Tv, quali le interruzioni pubblicitarie e i limiti di affollamento, che
servono ad inquadrare organicamente il contesto in cui il minore assimila lo spot.
La presentazione di tali aspetti costituirà una base per evidenziare la necessità, e per
mostrare l'opportunità, di una serie di strumenti che proteggano il pubblico infantile
dagli effetti indesiderati della pubblicità televisiva. Inoltre, verranno presi in
considerazione gli organismi statuali e autodisciplinari che sono predisposti
all'applicazione delle stesse leggi e dei regolamenti di autodisciplina, valutando con
attenzione le loro procedure per verificarne il livello di efficacia.
Illustreremo, infine, dei leading cases per chiarire il funzionamento pratico dei
meccanismi, statale ed autodisciplinare, a tutela dei minori, nonché per evidenziarne
pregi e difetti, riservando uno spazio di trattazione a quella che è la nuova frontiera
della pubblicità, che soprattutto altri stati stanno da tempo vagliando: l’educazione.
Non più, quindi, solo mezzo di persuasione e di differenziazione dal concorrente, ma
anche veicolo per orientare i comportamenti sociali.
Nel complesso lo scopo del lavoro è appunto quello di verificare se la tutela dei
minori nella comunicazione commerciale viene realizzata in maniera adeguata o se è
necessario apportare delle modifiche radicali, piuttosto che dei minimi accorgimenti
al sistema, per aumentare il livello di protezione.
1.2 Evoluzione storica del diritto pubblicitario
21 In epoca romana esisteva il c.d. dolus bonus, l’esaltazione esagerata della propria
merce da parte dei mercanti, che era ritenuta conforme ai ‘boni mores’, ma senza
tornare troppo indietro nel tempo, nella moderna economia industriale, la pubblicità
costituisce senza dubbio un fenomeno non soltanto utile, ma addirittura necessario,
visto l’oramai profondo allontanamento sia spaziale che funzionale della produzione
dal consumo. 8
Peraltro, al riguardo, va anche ricordato come nelle analisi della pubblicità svolte
dagli economisti vi siano state posizioni decisamente contrastanti: una, c.d. teoria
tradizionale o della scuola di Harvard, si è posta in un’ottica sfavorevole e di
condanna nei confronti della pubblicità, l’altra, teoria c.d. moderna o della scuola di
Chicago, ha espresso all’opposto un giudizio positivo. 9
Secondo la prima, che ha origine negli anni ’30, la pubblicità mina la concorrenza,
aumentando ancora di più il potere di mercato delle grandi imprese che ne fanno uso,
dato che comporta costi elevati, spesso proibitivi per le piccole imprese, la cui
sopravvivenza diventa difficile.
La seconda teoria, invece, mette in luce piuttosto i benefici della comunicazione
pubblicitaria, come l’aumento della quantità di informazioni diffuse sul prodotto e
sulle sue possibilità d’acquisto, consentendo allo stesso tempo ai produttori entranti
di segnalare la loro presenza sul mercato. Le due teorie si muovono da presupposti
sostanzialmente differenti, affermando in pratica la prima che il consumatore sia
8 A. Vanzetti, La repressione della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964, Parte I, p. 584, il
quale ricorda anche l’opinione di coloro che sostengono che promuovere le vendite porta a un
minore costo unitario dei prodotti.
22 potenzialmente un soggetto condizionabile, la seconda che non soltanto ciò in realtà
non avvenga, ma che piuttosto la comunicazione pubblicitaria costituisca di per sé
uno strumento d’informazione.
Considerando ormai senz’altro superata la vecchia diatriba sul piano economico,
visto che risulta evidente a tutti la funzione precipua della pubblicità nella
conservazione della libertà di conoscenza, rimangono da analizzare i risvolti giuridici
del concetto. 10
Sul piano giuridico si può affermare che la pubblicità abbia effetti favorevoli sulla
concorrenza soltanto nel caso in cui esista un principio di legittimità della sola
comunicazione promozionale che abbia un pur minimo contenuto informativo
effettivo, principio che attualmente non è affatto previsto nel nostro ordinamento, se
non da normative specifiche riguardanti prodotti particolari (finanziari, sanitari..).
Per lungo tempo un dogma della legislazione italiana fu l’intoccabilità del messaggio
pubblicitario, quasi che il medesimo fosse un privilegio imprenditoriale, un’arma
d’affari che poteva e doveva sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, con l’unico limite
di non offendere l’altrui impresa, il tutto a scapito di un’informazione commerciale
trasparente e veritiera. 11
Fin dai primi albori del diritto pubblicitario si posero alcune questioni di fondo agli
operatori che facevano ricorso a detto strumento. Come diritto alla libera diffusione
dell’informazione in campo economico la pubblicità troverà dimora nell’art. 41 Cost.
9 A.M. Gambino, La pubblicità ingannevole, Roma,1999, p.14.
10 P.G. Jaeger, Pubbblicità e “principio di verità“, in Riv. dir. ind., 1971, I, p. 339.
11 Malagoli F.- Unnia F., La pubblicità comparativa, 2002, p. 7 ss.
23 come l’iniziativa economica privata. Deve infatti considerarsi altrettanto libera
l’attività d’informazione ad essa relativa fermi restando i limiti che la stessa prevede
di non essere svolta in contrasto con l’utilità sociale o in modi o forme tali da arrecare
danno e pregiudizio ai concorrenti e ai consumatori. Oltre a questa posizione si è
frapposta una diversa linea di pensiero che riconduceva all’art. 21 Cost. nella quale
sotto il principio generale della libertà della manifestazione del pensiero trova
collocazione anche l’attività pubblicitaria. 12
Le posizioni assunte dai nostri legislatori sono state sostanzialmente costanti nel
considerare prevalente la tutela costituzionale del fenomeno pubblicitario ai sensi
dell’art. 41 Cost. proprio in ragione al fatto che la pubblicità, per sua natura e finalità
che tende perseguire, non è riconducibile tra le forme di manifestazione di pensiero.
La Corte Costituzionale 13 ha stabilito che «la pubblicità non costituisce
manifestazione di pensiero» (categoria che comprende espressioni e comunicazioni di
cultura, di opinione e di manifestazione vera e propria del pensiero), e che «essa
sarebbe soltanto espressione di attività d’impresa a forte contenuto economico».
La prima sezione civile della Corte di Cassazione 14 pone la pubblicità commerciale
fuori dell’area di azione dell’art. 21 Cost. in quanto è caratterizzata dallo scopo
ultimo non di trasmettere pensiero ma di promuovere comportamenti e scelte di
modelli imitativi.
12 AA.VV. Giappichelli, Diritto Industriale, 2003, III, p. 336.
13 Corte Cost., 12 luglio 1965, n. 68, in Giust. Civ. 1965, III, p. 2154
14 Corte di Cass., 23 dicembre 1999, n. 12993; dello stesso avviso Corte Cost., 17 ottobre 1985, n.
231, in Riv. Dir. Ind., 1987, II, p. 3, la pubblicità commerciale non rientra tra le manifestazioni del
pensiero protette dall’art. 21 cost., ma è una componente dell’attività dell’impresa, come tale
24 In seguito la regolamentazione della comunicazione pubblicitaria si è originariamente
basata, almeno nel nostro Paese 15, sull’applicazione della disciplina dettata per la
diversa fattispecie dei comportamenti sleali nei rapporti di concorrenza. In tal modo,
la condanna delle menzogne pubblicitarie veniva ad essere subordinata o al concorso
degli elementi costitutivi di quelle diverse fattispecie (denigrazione o appropriazione
di pregi), oppure, dall’altro lato, all’incerto giudizio di conformità o meno ai principi
della correttezza professionale; restando inoltre, in ogni caso, condizionata al
concorrere dell’idoneità dell’atto a ledere un concorrente determinato.
Limitando poi, corrispondentemente, la legittimazione ad agire ai soli concorrenti, si
subordinava l’applicazione delle disposizioni in giudizio all’eventuale presenza di un
concorrente abbastanza interessato all’azione, escludendo così ogni possibilità di
repressione della pubblicità menzognera di prodotti venduti in regime di monopolio o
di posizione dominante, e di quelli reclamizzati attraverso menzogne adottate d’intesa
tra i produttori del ramo 16.
La disciplina privatistica della concorrenza sleale non garantiva quindi la tutela del
consumatore dall’inganno pubblicitario, che era quindi assicurata soltanto dalla
normativa penale della frode in commercio e dalla legislazione speciale
essenzialmente di prodotti alimentari e di prodotti agrari.
assistita dalle garanzie di cui all’art. 41 cost. e assoggettabile alle limitazioni ivi previste al 2° e 3°
comma.
15 A differenza della maggioranza degli altri ordinamenti (così quello statunitense, tedesco,
francese, spagnolo..) dove fin dall’inizio si è intervenuti con una diretta
repressione
dell’inganno pubblicitario a tutela del consumatore. In proposito, si veda: A. Vanzetti, La
repressione della pubblicità menzognera, op. cit., p.590-591, e P.G. Jaeger, Pubbblicità e“principio
di verità“, op. cit., p. 334 e 354 ss.
25 Durante gli anni ’60 lo sviluppo del fenomeno pubblicitario e l’assenza del
legislatore, destarono l’attenzione degli addetti ai lavori i quali ben presto compresero
la necessità di affrontare il problema della correttezza della pubblicità.
Gli operatori del settore pubblicitario, imprenditori-utenti, professionisti pubblicitari
in genere e veicoli di diffusione stessi, cercarono autonomamente una soluzione ai
problemi visti sopra, attraverso dei regolamenti di autodisciplina.
Il sistema dell’Autodisciplina Pubblicitaria nasce nel 1966 dando luogo ad una forma
privata di controllo. Sennonché, in effetti, l’atto di autonomia privata si caratterizza
per il fatto essenziale di avere forza di legge esclusivamente fra le parti che lo
pongono in essere, oppure sui terzi che vi si assoggettano mediante clausole di
adesione (come quelle che i membri del sistema hanno l’obbligo di inserire nel
contratto d’inserzione pubblicitaria), e dunque non ha potuto in ogni caso oltrepassare
tali limiti.
Per circa 30 anni ha fatto da supplenza alla grave ed incomprensibile carenza del
nostro legislatore in tema di pubblicità. L’autodisciplina ha potuto ottenere questo
successo stabilendo gli standard di correttezza della pubblicità non tenendo conto
solo degli interessi degli operatori ma anche degli interessi generali dei
cittadini/consumatori.
Sarà solamente in tempi recenti che il legislatore nazionale, spinto dalle iniziative
intraprese a livello comunitario da quello europeo, prenderà il coraggio di dettare
norme più mirate e volte a disciplinare in modo completo e coerente alcuni settori
16 G. Sena, La repressione penale della concorrenza sleale: premesse di diritto industriale, in Riv.
26 specifici della pubblicità. Ne sono testimonianza concreta da un lato la Direttiva n.
84/450/CEE sulla disciplina della pubblicità ingannevole, la n. 89/552/CEE
concernente l’esercizio delle attività televisive e la più recente Direttiva n. 05/29/CE:
testi che hanno tutti avuto recepimento nel nostro ordinamento dopo percorsi
legislativi più o meno complessi, cui va comunque il merito di aver concorso a
disegnare un quadro d’insieme più organico della materia.
La Direttiva 89/552 è stata la prima ad essere attuata nel nostro ordinamento, con la
legge n. 223/1990, riguardante il “sistema radiotelevisivo pubblico e privato”.
Tali norme hanno innanzitutto lo scopo di realizzare un equilibrio delle risorse
allocate nei diversi settori dell’informazione, a fini antioligopolistici, ed, in
subordine, quello di contenere la quantità e la durata dei messaggi pubblicitari, a
protezione sia del diritto morale d’autore che dell’interesse del pubblico degli utenti
ad una libera e corretta fruizione delle trasmissioni.
Ma, allo stesso tempo, la legge ha previsto per la prima volta una serie di clausole
generali di divieto, tra le quali si inserisce quella che ci interessa, stabilendo che la
pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, né
evocare discriminazioni di razza, sesso, nazionalità, offendere convinzioni religiose
ed ideali, indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e
l’ambiente, o, appunto, arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni.
L’introduzione di questi limiti ha senza dubbio rappresentato un fondamentale passo
avanti rispetto alla situazione legislativa precedente, perché, a differenza di quanto
dir. ind., 1965, I, pp. 182-183.
27 previsto nelle normative esistenti, essi si riferiscono specificamente al contenuto del
messaggio pubblicitario in sé considerato, prescindendo totalmente dalla natura del
rapporto o servizio di cui si sollecita l’acquisto.
Nel 1992, infine, si è arrivati ad avere una disciplina generale della materia
pubblicitaria, con il D. Lgs. n. 74, di recepimento della Direttiva 84/450.
Si è scelta, nel decreto (tra le due possibili strade, ordinaria e amministrativa indicate
agli Stati membri dalla Direttiva), una disciplina di tipo amministrativo, diretta cioè
non più a colpire gli artefici del messaggio mendace o a risarcire i soggetti
eventualmente lesi, bensì volta a far cessare la pubblicità menzognera e ad eliminarne
gli effetti. E si è demandato questo compito all’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato, istituita con la legge c.d. Antitrust (n. 287/1990).
Il decreto, in particolare, oltre a dettare norme riguardanti salute, sicurezza e minori,
tutela l’interesse del consumatore alla fruizione di una pubblicità palese, veritiera e
corretta, e considera ingannevole ogni pubblicità che induca o possa indurre in errore
e che con ciò pregiudichi o possa pregiudicare il comportamento economico delle
persone fisiche o giuridiche a cui è rivolta.
I concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, e le altre
pubbliche amministrazioni possono chiedere all’Autorità Garante che vengano inibiti
gli atti di pubblicità ingannevole o che ne siano eliminati gli effetti.
Tali disposizioni, la l. 223/90 e il D.Lgs. 74/92, come abbiamo già visto, sono i padri,
rispettivamente, dell’attuale T.U.R. e del Codice del Consumo, che ci accingiamo ad
analizzare.
28 Capitolo secondo
IL SISTEMA AUTODISCIPLINARE
L’autodisciplina è un fenomeno complesso, di stampo prettamente giuridico, in forza
del quale un certo numero di soggetti, appartenenti ad una o più categorie
professionali abitualmente in rapporti operativi tra loro, si impegnano ad osservare
norme di comportamento da loro stessi formulate e creano strumenti di controllo
necessari per assicurarne l’attuazione. 17
La diffusione del concetto e della pratica dell'autodisciplina pubblicitaria nei vari
Paesi è il risultato di un processo per il quale persone e paesi si sono sentiti motivati
da un mutuo interesse di operare per il bene comune da ritenere che ciascuno degli
organismi così nati sia consapevole dei processi che lo hanno portato a realizzarsi.
Ma può essere anche utile cercare di individuare se esistano e quali possano essere le
radici comuni esistenti alla base del fenomeno autodisciplinare.
Si affaccia quel “principio di sussidiarietà", ora in auge anche per il coordinamento
dei rapporti tra Comunità europea e gli Stati membri. Per il principio della
sussidiarietà non è lecito che una comunità politica sottragga a persone, che operino
17 Borrelli, Riv. dir. ind., 1981, Parte I, p. 367.
29 sia isolate sia associate, il diritto di perseguire loro iniziative realizzate con loro
mezzi.
Un ulteriore riscontro nell'ambito del diritto consente poi di constatare come eminenti
giuristi si siano fatti assertori della tesi della "pluralità degli ordinamenti giuridici",
superando con ciò la teoria che attribuiva allo Stato l'esclusiva potestà di emanare
norme. Oggi per la dottrina più avanzata non esiste settore per il quale si possa
escludere pregiudizialmente la creazione di sistemi autodisciplinari con proprie
normative. E ciò, almeno in Italia, ha dato luogo a espliciti riconoscimenti proprio al
mondo pubblicitario per aver contribuito concretamente ad infrangere un vecchio
tabù.
Visto in questo quadro, il principio di sussidiarietà può avere più incisivi riferimenti,
tanto a livello nazionale quanto a livello europeo, mettendo in luce come
l'emanazione di normative comunitarie, specie se non di soli principi ma con prescrizioni di dettaglio, risulta da un lato meno efficace dei sistemi autodisciplinari
caratterizzati da flessibilità, rapidità e validità di interventi, dall'altro, in ambito
internazionale, crea difficoltà quando pretende di imporre rapida conformità di
comportamenti a nazioni con consolidati differenti culture, usi e costumi. Pertanto,
alla luce delle richiamate origini del fenomeno autodisciplinare e dei supporti che gli
fanno da sfondo e da sostegno, sembra lecito configurare ed auspicare un'estensione
analogica del sistema oltre l'ambito pubblicitario.
Alcune regole di comportamento poste dal C.A. vengono recepite nella normativa
dello Stato da parte della giurisprudenza più recente. Infatti un’operazione logica di
30 assunzione delle norme autodisciplinari nell’ordinamento statale tramite la norma
aperta dell’art. 2598 n. 3 c.c., che inserisce il «principio della correttezza
professionale» deve ritenersi consentita “almeno nei confronti delle imprese che
hanno liberamente aderito a tale sistema di autodisciplina accettando le regole di
lealtà così codificate”.
Le principali camere di commercio hanno riconosciuto le regole dell’Autodisciplina
tra gli “usi” vigenti in materia di pubblicità, e come tali fonti di diritto.
L’autodisciplina pubblicitaria ha sicuramente contribuito a creare nel nostro Paese un
costume pubblicitario ben preciso ed un convincimento generalizzato della sua
corrispondenza ai criteri di vera “correttezza professionale”. 18
Tale principio è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, la quale afferma
che
le
norme
autodisciplinari,
pur
non
essendo
espressamente
recepite
nell’ordinamento statuale, possono essere utilizzate “quali parametri di riferimento
del principio di correttezza professionale” in quanto “esprimono per loro stessa
natura e formazione, quel dover essere dei comportamenti che forma oggetto della
tutela stabilita dal numero 3 dell’art. 2598 c.c.”. 19
Si può rivendicare al sistema autodisciplinare pubblicitario addirittura una sua
superiorità sotto diversi aspetti: la partecipazione volontaria e l’impegno degli
operatori, la migliore conoscenza della materia e maggiore puntualità delle regole, il
costante e rapido aggiornamento delle stesse in funzione dell'evoluzione nazionale e
internazionale, la rapidità di intervento e di definizione dei casi concreti,
18 A. Vanzetti, “L’autodisciplina pubblicitaria oggi”, in Corr. Giur., 1988, p. 1191
31 l’indipendenza, imparzialità e alta competenza nei giudizi dell'organo giudicante, la
più efficace deterrenza preventiva per la coincidenza tra "legislatori" e "giudicandi".
In Italia la più importante forma di autoregolamentazione è quella facente capo
all'Istituto di autodisciplina pubblicitaria (I.A.P.) che in alcuni articoli si prefigge la
tutela di bambini ed adolescenti, coprendo buona parte delle aree di pericolo che si
possono configurare nel rapporto tra pubblicità e minori.
Accanto a questa esistono alcune forme di autoregolamentazione settoriale della
pubblicità e gli stessi mezzi di comunicazione hanno deciso di autodisciplinarsi.
La RAI possiede un regolamento interno emanato dalla SACIS, società consociata e
organismo di controllo dell'emittente pubblica, contenente i criteri, soprattutto a tutela
del pubblico e dei consumatori, cui è condizionata la veicolazione del messaggio sui
media RAI. È stato tuttavia osservato che queste norme, non prevedendo organismi
giudicanti assimilabili al Giurì, non danno vita ad un sistema autodisciplinare nel
senso proprio del termine, svolgendo piuttosto un controllo preventivo.
Le emittenti private, nel 1997, hanno per la prima volta sottoscritto il "Codice di
autoregolamentazione Tv e minori" prendendo un impegno che non riguarda la sola
pubblicità, ma che mira a tutelare il pubblico infantile dall'intera programmazione
televisiva. Nel 2002 è stato emanato un nuovo codice e rispetto al precedente codice
c.d "Prodi" del 1997 sono state rafforzate le sanzioni, è stato istituito un Comitato di
controllo sulla programmazione tv ed è stata stabilita una programmazione specifica
per i minori nella fascia dalle ore 16 alle ore 19.
19 Corte di Cass., 15 febbraio 1999, n. 1259, in Riv. dir. ind., 1999, I, p. 177
32 Riguardo alle forme di controllo, ciascun regolamento prevede l'istituzione, al suo
interno, di appositi organismi che controllano l'osservanza delle norme da parte dei
soggetti aderenti.
Il Codice di autoregolamentazione tv e minori prevede l'istituzione di un Comitato di
Applicazione che vigila sull'operato delle emittenti televisive firmatarie.
Il Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale prevede un Comitato di
Controllo ed un organo giudicante, denominato Giurì, entrambi facenti capo
all'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria.
2.1 Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale
Come si è detto l'iniziativa più nota è quella relativa all’ Istituto dell’Autodisciplina
Pubblicitaria, che riguarda tutto il mondo della pubblicità ed esprime, in un corpo di
regole denominato Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale
(C.A.), una serie di disposizioni più articolate e spesso più severe di quelle contenute
nelle leggi dello Stato, prevedendo propri organismi sia di controllo (Comitato di
controllo) sia giudicante (il Giurì) per la loro applicazione. Le regole del C.A.,
proprio perché non provengo dallo Stato e non sono efficaci erga omnes, impegnano
solo i soggetti che, direttamente o per tramite delle rispettive associazioni settoriali,
lo hanno accettato e si sono volontariamente obbligati al suo rispetto.
33 Nell’Autodisciplina pubblicitaria si è manifestata l’esplicita volontà di dar vita ad una
stabile organizzazione volta a regolare, sulla base di norme autoprodotte la generalità
di rapporti connessi al contenzioso relativo ai contenuti dei messaggi pubblicitari.
Tutto ciò non solo nell’interesse delle singole parti in conflitto, bensì anche
nell’interesse collettivo della pluralità degli aderenti al sistema, che ritengono quanto
mai vitale che la pubblicità medesima sia “onesta, veritiera e corretta», come recita
l’art. 1 del Codice di autodisciplina pubblicitaria
In pratica il numero delle associazioni professionali che supportano lo I.A.P. e
riconoscono il C.A. è tale da far sì che sia estremamente raro che almeno uno degli
operatori partecipanti all'iter ideativo o divulgativo di un messaggio non sia legato al
rispetto dell'autodisciplina. Le sue regole dunque sono, in concreto, quasi sempre
applicabili integrando e completando le disposizioni legislative sulla comunicazione
pubblicitaria. 20
Il C.A. non rileva come semplice manifestazione d’autonomia privata, quanto come
espressione di una determinata regolamentazione giuridica, condivisa da una pluralità
di soggetti, ed anche come espressione istituzionale di un settore della comunità
economica e sociale individuato dal confluire degli interessi connessi alla
comunicazione pubblicitaria, non un semplice fenomeno di associazionismo. La sua
importanza la si deve, infatti, a diversi fattori:
20 Fanno parte dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria 16 enti in rappresentanza delle imprese
che investono in pubblicità, delle agenzie, dei mezzi e delle loro concessionarie, che arrivano a
coprire circa il 90% del mercato pubblicitario italiano.
34 - alla formale e contestuale adesione di tutte le categorie interessate, tramite le loro
associazioni, confermato da un impegno di tipo negoziale, a rispettare e far rispettare
le norme di un comune codice di autodisciplina e l'applicazione delle sanzioni dallo
stesso previste;
- alla presenza di organi (Comitato di Controllo e Giurì) predisposti all'applicazione
delle regole contenute nel Codice e ad adeguati meccanismi di intervento
(segnalazioni da parte di "chiunque", istanze di parte, iniziative d'ufficio) capaci di
bloccare la pubblicità contraria alle norme autodisciplinari, che assicurano
trasparenza e sistematicità all'autodisciplina;
- alla preminenza della funzione preventiva rispetto a quella repressiva.
- al merito di aver assolto, per lungo tempo, un prezioso ruolo di supplenza dello
Stato nella regolamentazione della pubblicità, quando il nostro ordinamento giuridico
era ancora privo di una normativa in materia. 21
Le origini culturali del C.A. si possono rinvenire in un avvenimento specifico che ha
innescato processi emulativi su base internazionale: la nascita nel 1937 di quel
"Codice delle pratiche leali in pubblicità" varato dalla Camera di Commercio
Internazionale, dal quale in effetti hanno tratto ispirazione pressoché tutti i sistemi
autodisciplinari sorti nei decenni successivi all'ultima guerra mondiale. Ma, a sua
volta, quel Codice non era che il risultato della convergente decisione e dell'apporto
di molte volontà nazionali.
21 Il primo Codice di Lealtà Pubblicitaria, fu introdotto nel maggio 1966, invece la prima legge sulla comunicazione
pubblicitaria che previde la tutela del “consumatore”, fu emanata nel 1992 con il D.L. n.74 sulla pubblicità ingannevole.
35 Nel 1951 viene presentato il primo "Codice Morale della Pubblicità" elaborato
dall'U.P.A., l'associazione che tuttora riunisce imprese ed enti che investono in
pubblicità (Codice UPA); nel 1953 segue un nuovo Codice ad opera della F.I.P., la
Federazione Italiana della Pubblicità (Codice FIP), che all'epoca riuniva molte
associazioni del settore, che è in realtà una raccolta di usi e consuetudini formatasi in
materia pubblicitaria.
In ambedue questi casi si trattò di tentativi indubbiamente lodevoli ma che, anche per
essere emanazione di singoli settori del mondo pubblicitario, finirono con l'avere
scarso seguito e pressoché nessuna pratica applicazione.
Il 12 maggio 1966 il Comitato Permanente Interfederale della Pubblicità dà vita al
primo "Codice della lealtà pubblicitaria”, frutto di tre anni di studi e confronti, con la
partecipazione di esponenti delle categorie interessate. Quasi contemporaneamente il
Parlamento vara il "Programma quinquennale per lo sviluppo economico", nel quale
figura anche l'impegno ad affrontare il problema del controllo della pubblicità, con
particolare riferimento alla veridicità e a una più esatta e obiettiva informazione su
prezzi e qualità dei prodotti.
Dal 1971 al 1976 la gestione del sistema autodisciplinare viene assunta dalla
Confederazione Generale Italiana della Pubblicità (CGIP). Nel 1977, su iniziativa
degli enti che partecipano alla CGIP, viene costituito l’Istituto dell’ Autodisciplina
Pubblicitaria (IAP).
L'idea di dar vita a regole settoriali non aveva in sé nulla di eccezionale, in quanto si
inseriva nella scia delle molte deontologie professionali. Anzi, lo faceva in ritardo
36 sulle altre, sia pure giustificato dall'essere la pubblicità una disciplina di più recente
formazione.
Ma per andar oltre nella ricerca delle origini e dei moventi, si può ben immaginare
una spinta proveniente dalla stessa base operativa dell'utenza pubblicitaria, della
professione e degli stessi mezzi, ciò come conseguenza di comuni constatazioni ed
esigenze. Tra queste ultime possiamo considerare l'assunzione di una posizione
autocritica degli stessi operatori, preoccupati degli effetti negativi che una pubblicità
scorretta e ingannevole poteva avere su distorti orientamenti dei consumi e su
connessi squilibri del mercato.
Il Codice si prefiggeva essenzialmente due scopi: quello di porre un controllo alla
competizione per la conquista del mercato che senza freni avrebbe reso inevitabile
l’intervento pubblico sicuramente istitutivo di divieti, controlli e censure; e quello di
far riacquistare credibilità alla pubblicità che era vista ormai negativamente e con
scetticismo dai consumatori.
L’Autodisciplina pubblicitaria è scaturita quindi dalla volontà espressa di una
pluralità di soggetti di obbligarsi al rispetto di norme di comportamento anche
mediante meccanismi sanzionatori, attraverso le decisioni dei suoi organi, atti a
salvaguardarne l’osservanza.
Accanto a questa capacità del sistema autodisciplinare di porsi ed operare come fonte
di produzione normativa per gli operatori, si è andata sviluppando nel contempo una
correlata vocazione del sistema a farsi carico della tutela del consumatore-cittadino,
cioè il destinatario dei messaggi pubblicitari. Per molto tempo, almeno fino
37 all’attribuzione dell’Autorità garante della concorrenza e del Mercato di poteri in
tema di pubblicità ingannevole, l’Autodisciplina pubblicitaria ha assunto un ruolo di
pressoché assoluta centralità nel controllo della pubblicità, in quanto gli interessi dei
consumatori ad una pubblicità corretta hanno ricevuto protezione nella misura in cui
l’Autodisciplina ha dato loro rilievo e tutela. 22
Dopo l’entrata in vigore del C.A. si è registrata una progressiva tendenza ad affidare
sempre più frequentemente la soluzione delle controversie in materia di pubblicità al
Giurì piuttosto che all’Autorità giudiziaria.
L’esperienza storica realizzata in Italia dall’autodisciplina pubblicitaria mostra come
sia possibile porre in essere un sistema di controllo privato all’interno di un intero
settore economico-professionale idoneo a disciplinare una molteplicità di
comportamenti individuali nell’interesse anche collettivo e generale.
Il Codice, dal 1966 ad oggi, è stato modificato ben 47 volte, e questo è sintomo della
volontà del mondo pubblicitario di adattarsi ai mutamenti sociali e legislativi
intervenuti in materia.
Le modifiche più significative furono quella del 1971, con cui si pose fine al periodo
sperimentale; quella del 1975, con cui si diede più peso ai diritti dei consumatori
passando dalla dimensione meramente deontologica a quella precettiva, sottolineata
anche dal cambiamento di nome, da “Codice di lealtà pubblicitaria” a “Codice di
autodisciplina pubblicitaria”; quella del 1990 con cui si passò dalla tutela indiretta
del consumatore a quella diretta.
22 Guggino V., in Malagoli F.- Unnia F., La pubblicità comparativa, 2002, p. 77 ss.
38 L’attuale edizione è, appunto, la 47ª, in vigore dal 16 gennaio 2009
2.1.1. Esegesi delle norme
Il Codice si occupa solo di una parte della disciplina del fenomeno pubblicitario: essa
riguarda, infatti, i contenuti e la riconoscibilità dei messaggi commerciali. Non
interviene, viceversa, su altri aspetti, quali ad esempio la quantità dei messaggi diffusi
(affollamento), la collocazione di tali messaggi (ad esempio l'interruzione dei
programmi televisivi), e tanto meno sugli aspetti di natura socioculturale legati alle
conseguenze della comunicazione commerciale nel suo insieme.
Sebbene provenga dal mondo imprenditoriale, professionale e dei media, “ha lo
scopo di assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo
particolarmente utile nel processo economico, venga realizzata come servizio per il
pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore.” 23
Si pone subito attenzione particolare verso l’unico soggetto cui è dedicata la tutela
dell’intero codice, assicurando inoltre, che la pubblicità deve essere «onesta, veritiera
e corretta».
Nell’applicazione delle norme autodisciplinari, il Giurì si è preoccupato di
individuare il tipo di consumatore che occorre assumere come parametro del giudizio
di difformità del messaggio pubblicitario. Dopo aver inizialmente affermato che non
23 C.A. Norme preliminari e generali - Finalità del Codice lett. a)
39 può essere il consumatore smaliziato, ma il consumatore sprovveduto, ha poi accolto
come criterio di valutazione dell’annuncio quello del consumatore meno critico. 24
Per quanto riguarda i soggetti vincolati la lett. b) delle Norme preliminari e generali
comprende “utenti, agenzie, consulenti di pubblicità, gestori di veicoli pubblicitari di
ogni tipo e per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria
associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di pubblicità».
Fanno parte dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria enti in rappresentanza delle
imprese che investono in pubblicità, delle agenzie, dei mezzi e delle loro
concessionarie, che arrivano a coprire circa il 90% del mercato pubblicitario.
Ciò non toglie che ciascuno sia libero di aderirvi oppure no, e di recedere in ogni
momento, salva la difficoltà per lui di trovare e di crearsi in concreto dei canali di
attività pubblicitaria di fatto non condizionati dall’autoregolamentazione. Perciò il
C.A. è vincolante:
- per gli organismi costituenti 25, per gli organismi associati 26 all’Istituto di
autodisciplina pubblicitaria e per i soggetti iscritti a tali associazioni;
l’obbligazione di tali soggetti si fonda sul principio generale secondo cui le
delibere associative consentite dallo statuto sono vincolanti per tutti gli iscritti
all’associazione;
24 Ubertazzi, F. it., 1986, Parte I, p. 2948.
25 AssAP, Associazione Italiana Agenzie Pubblicità e Servizio Completo; FIEG, Federazione
Italiana Editori Giornali; OTEP, Associazione Imprese Italiane di Pubblicità e Comunicazione;
RAI, Radio Televisione Italiana; SIPRA, Società Italiana Pubblicità per Azioni; TP, Associazione
Italiana Tecnici Pubblicitari; UPA, Utenti Pubblicità Associati
26 AAPI, Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane; ACPI, Associazione Consulenti Pubblicitari
Italiani; AICUN, Associazione Italiana Comunicatori d’Università; ALBO, Associazione Albo
40 - per quelle associazioni che, pur non aderendo allo I.A.P., hanno tuttavia
riconosciuto ed adottato il Codice 27; anche qui l’obbligatorietà si fonda sulle
disposizioni dello statuto o sulle deliberazioni dell’associazione;
- per coloro che, non aderendo allo I.A.P., né direttamente né indirettamente,
hanno tuttavia concluso un contratto pubblicitario contenente una clausola di
accettazione del Codice;
- per i c.d. “aderenti anomali”, coloro che hanno accettato la competenza del
Giurì non essendo vincolati allo stesso. Questa accettazione può avvenire o
mediante ricorso al Giurì ex art. 36 C.A. 28, oppure mediante dichiarazione
resa nel corso del giudizio autodisciplinare con cui si accetta espressamente il
contraddittorio. 29
In tutti questi modi di accettazione della clausola, individuati dal Giurì in alcune sue
decisioni, si deduce che per l’inserzionista che contrae con un soggetto aderente al
C.A. l’unico modo per non essere soggetto a tale disciplina è l’espresso rifiuto di
inserire la clausola nel contratto medesimo30.
Ufficiale delle Organizzazioni Pubblicitarie; ASP, Associazione Italiana Agenzie di Promozione;
FRT, Federazione Radio Televisioni; PPRO, Pubblicità Progresso
27 ACP, Associazione Concessionarie Pubblicità; AIAP, Associazione Italiana Creativi
Comunicazione Visiva; AIPAS, Associazione Italiana Agenzie & Studi di Pubblicità; ANIPA,
Associazione Nazionale Imprese Pubblicità Audiovisiva;FIP, Federazione Italiana Pubblicità
28 Giurì, 4/81, in Giuris. Compl. Giurì, Milano, 1986, p. 329
29 Giurì, 83/89, in Giuris. Pubbl. III, Milano, 1989, p. 307; 151/88, in Giuris. Pubbl. III, Milano,
1989, p. 135; 56/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 397; 20/80, in Giuris. Compl. Giurì,
Milano, 1986, p. 294; 11/80, in Giuris. Compl. Giurì, Milano, 1986, p. 208; 32/78, in Giuris.
Compl. Giurì., Milano, 1986, p. 123.
30 Trib. Roma, 30 gennaio 2001, in AIDA, 2001, 651: è stato ritenuto che la pronuncia del Giurì
non potesse importare alcuna limitazione all’attività, anche pubblicitaria, della sig.ra Lambertucci,
che non aveva mai sottoscritto la clausola di accettazione.
41 E’ anche opportuno sottolineare il principio secondo cui l’operatore pubblicitario
deve in ogni momento essere in grado di dimostrare «la veridicità dei dati, delle
descrizioni, affermazioni, illustrazioni e la consistenza delle testimonianze»
contenute nei suoi messaggi a richiesta del Giurì o del Comitato di controllo (art. 6);
in questo modo viene introdotto il principio dell’inversione dell’onere della prova,
tipico dei sistemi di autoregolamentazione pubblicitaria, secondo cui non è chi
contesta la verità di un messaggio a dover fornire la prova della sua falsità, ma chi si
vale di tale pubblicità a dover provare la verità del messaggio e la conformità alle
norme del Codice.
Le norme del Codice di autodisciplina coprono buona parte dei possibili pericoli che
si possono configurare nel rapporto tra pubblicità e minori.
Tenuto conto soprattutto della fragilità emotiva e della malleabilità etica del minore,
sono da ritenere validi strumenti di tutela gli articoli 8, 9 e 10 che rivestono un
notevole valore sul piano civile e morale, in quanto vietano alla comunicazione
commerciale:
- lo sfruttamento della superstizione, della credulità e della paura;
Art. 8 Superstizione, credulità, paura.
La comunicazione commerciale deve evitare ogni forma di sfruttamento della
superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura.
La norma non reprime la suggestione pubblicitaria in quanto ingannevole e non è
posta a presidio del valore della verità, ma reprime il plagio dei soggetti
psichicamente più deboli attuato attraverso un abuso di questa condizione particolare
42 di vulnerabilità, la pubblicità che fa leva sulle negatività psichiche del consumatore
maggiormente vulnerabile, cioè su debolezze legate ad istinti, bisogni elementari o
credenze irrazionali.
Soprattutto la paura, nella nostra analisi, deve intendersi come un sentimento
concettualmente omogeneo alla superstizione e alla credulità, e cioè del tutto
irrazionale e tale da rendere il destinatario vittima di una pressione psicologica alla
quale, per i suoi precisi limiti culturali, non sia in grado di resistere e che lo induca a
scelte commerciali ingiustificate. Tale concetto è interpretabile in senso estensivo
fino aricomprendervi anche l’ansia delle madri per la salute dei figli nei primissimi
mesi di vita. 31
- la violenza, la volgarità e l'indecenza;
Art. 9 Violenza, volgarità, indecenza
La comunicazione commerciale non deve contenere affermazioni o rappresentazioni
di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei
consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti.
In relazione al divieto di pubblicità indecente o volgare è stato precisato che il limite
di accettabilità di un messaggio deve individuarsi con riguardo al tenore medio della
sensibilità sociale ed alla dialettica più attuale sull’argomento affrontato, nonché in
considerazione del pubblico di riferimento 32 o di quello potenzialmente
31 Giurì, 63/88; nella fattispecie sono stati ritenuti allarmistici i toni con cui, nella pubblicità di un
omogeneizzato, venivano evidenziati gli inconvenienti della tradizionale alimentazione per infanti.
32 Giurì 6/89, per un caso di pubblicità che si rivolgeva a bambini.
43 raggiungibile dal messaggio, anche se questo è intenzionalmente destinato a soggetti
selezionati. 33
Per violenza si intende un evento d’urto, sia fisico che morale, che ci spinge contro la
nostra volontà verso una direzione o uno scopo, a prescindere dal valore del suo
contenuto.
In applicazione del principio secondo cui la norma non può essere interpretata in
modo da condurre ad un sindacato sul prodotto, sono stati ritenuti leciti un filmato a
favore di un videogioco dove le scene di lotta rappresentata descrivevano il contenuto
del prodotto pubblicizzato 34, mentre sono stati giudicati illeciti: un filmato per un
giocattolo truculento che si soffermava sulle caratteristiche del prodotto diventando
essa stessa una incitazione alla violenza. 35
Il contrasto con il divieto di violenza fisica è stato inoltre ravvisato per un annuncio
che mostrava bambini nudi che correvano per sottrarsi alle sferzata di una verga. 36
Sono invece stati giudicati leciti: filmati nei quali la componente caricaturale o il tono
ironico è stata ritenuta assorbente rispetto alle scene di violenza, sebbene solo per un
pubblico adulto. 37
Per quanto riguarda i concetti di indecenza, volgarità e ripugnanza, poiché la nozione
di comune senso del pudore è piuttosto vaga nei suoi confini ed in costante
33 Giurì, 186/92, 45/82: in relazione a comunicati diretti ad un pubblico adulto, ma attraverso mezzi
di diffusione accessibili anche ai bambini.
34 Giurì 55/04.
35 Giurì 3/97
36 Giurì 224/02
37 Giurì 136/04 e 151/02. In entrambi i casi gli stessi spot sono stati giudicati in contrasto con l’art.
11 c.a. e la loro programmazione inibita prima delle ore 22.30, in considerazione della diversa
decodifica delle immagini farsesche da parte del pubblico dei bambini.
44 evoluzione, e quello di volgarità è a sua volta un parametro socioculturale mutevole e
di incerta fisionomia, nel giudizio ex art. 9 devono evitarsi sia atteggiamenti di palese
rigore, sia atteggiamenti di palese lassismo.
La norma ha trovato frequente attuazione per pubblicità che sfruttavano il ricorso alla
suggestione sessuale. Anche qui, però, la presenza di elementi di umorismo e stira del
costume sono stati ritenuti sufficienti ad evitare nel pubblico reazioni ostili.
- l'offesa delle convinzioni morali, civili e religiose e della dignità della persona
umana.
Art. 10 Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona
La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e
religiose dei cittadini. Essa deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le
sue forme ed espressioni.
Essendo strumentale al raggiungimento di fini economici la pubblicità non deve
configgere con valori di rango superiore come quelli individuati in questo articolo.
Questo articolo tutela non solo l’ immagine della pubblicità ma anche la sensibilità di
ogni consumatore. Inoltre il codice utilizza il termine cittadino per lasciare
intravedere la distinzione tra le finalità puramente economiche della pubblicità nei
confronti dei consumatori e i suoi aspetti extraeconomici che riguardano chiunque
venga raggiunto dai suoi effetti. In particolare la tutela delle convinzioni religiose
occupa un posto di primo piano in quanto viene protetto in armonia con la
Costituzione come bene individuale prima che collettivo. Unico grande limite è la
volgarizzazione innocua del dato religioso: ciò che appare difficile definire è il
45 concetto di irriverenza, in quanto su questo piano molti spot possono risultare
inoffensivi ma, come ha anche affermato la Chiesa Cattolica, sono le modalità di
trattamento non rispettose adottate dalla pubblicità a dover essere condannate
L’immagine di bambini nudi che corrono per sottrarsi alle sferzate di una verga è
stata ritenuta, nella stessa pronuncia citata precedentemente, anche in contrasto con
tale articolo, in quanto lesivo della dignità della persona umana.
Sono invece stati giudicati leciti: la fotografia di un bimbo di pochi mesi, nudo dalla
cintola in giù e con le gambe allargate, in considerazione dell’età del soggetto e della
conseguente naturalità della postura in cui era raffigurato 38 ed un filmato per
elettrodomestici-giocattolo che mostrava bambine intente a giocare a fare le piccole
donne di casa, assolto dall’accusa di proporre un modello sociale retrogrado e
maschilista delle relazioni familiari. 39
Trattandosi di regole che considerano aspetti relativi alla morale, al costume, alla
decoro, la loro applicazione presenta dei problemi di particolare complessità. Il
dubbio circa l'applicabilità o meno di queste norme, è alimentato dal fatto che la
violenza o la volgarità potrebbero essere parte integrante di messaggi ritenuti, nel
complesso, ironici o “palesemente iperbolici” (art. 2 Pubblicità Ingannevole) e che in
qualunque caso, nel giudicare, abbiamo visto che è necessario tener conto del
cambiamento del costume generale.
Messaggi che in passato hanno urtato la sensibilità della gente e che giustamente sono
stati sospesi, magari oggi, verrebbero tollerati sia dal pubblico sia dagli organi
38 Giurì 150/01
46 autodisciplinari, perché evidentemente la soglia di decenza e di accettazione della
volgarità si è notevolmente abbassata.
Un altro articolo importante, a garanzia dell'incolumità dei bambini, è l'art. 12
riguardante comunicazioni commerciali relative a prodotti potenzialmente pericolosi
per la salute, la sicurezza e l'ambiente.
Art. 12 Salute, sicurezza e ambiente
La comunicazione commerciale relativa a prodotti suscettibili di presentare pericoli,
in particolare per la salute, la sicurezza e l'ambiente, specie quando detti pericoli
non sono facilmente riconoscibili, deve indicarli con chiarezza.
Comunque la comunicazione commerciale non deve contenere descrizioni o
rappresentazioni tali da indurre i destinatari a trascurare le normali regole di
prudenza o a diminuire il senso di vigilanza e di responsabilità verso i pericoli.
Quando si tratta di prodotti suscettibili di presentare pericoli, specialmente se non
possono facilmente essere riconosciuti come tali dal consumatore, la pubblicità deve
indicarli con chiarezza.
Non bisogna essere reticenti, nel timore che il consumatore possa impressionarsi fino
a ricusare il prodotto, in quanto il rispetto della sua persona viene prima della logica
del profitto.
Come ha più volte ripetuto il Giurì, l’errore in cui cadono certi messaggi non
consiste tanto nell’inosservanza dell’obbligo dell’avvertimento sulla pericolosità del
39 Giurì 82/02
47 prodotto, quanto nell’associare il prodotto pericoloso alla rappresentazione di
situazioni che inducono alla deresponsabilizzazione dell’utente.
La necessità di proteggere i più piccoli dal consumo di prodotti per loro
potenzialmente nocivi viene ribadita negli articoli 22, 23 bis e 25, rispettivamente
riferiti alla comunicazione commerciale delle bevande alcoliche, di integratori
alimentari e prodotti dietetici e dei prodotti medicinali e trattamenti curativi.
- Art. 22 Bevande alcoliche
La comunicazione commerciale relativa alle bevande alcoliche non deve contrastare
con l'esigenza di favorire l'affermazione di modelli di consumo ispirati a misura,
correttezza e responsabilità. Ciò a tutela dell'interesse primario delle persone, ed in
particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e
lavorativa protetta dalle conseguenze connesse all'abuso di bevande alcoliche.
In particolare la comunicazione commerciale deve evitare di:….rivolgersi o fare
riferimento, anche indiretto, ai minori, e comunque rappresentare questi ultimi
intenti al consumo di alcol… .
Il divieto di rivolgersi o fare riferimento, anche indiretto, ai minori, ha formato
oggetto di una pronuncia di inibitoria 40 per un messaggio che invitava i genitori a
somministrare ai propri bambini un liquore all’uovo con funzioni energetiche.
- Art. 23 bis Integratori alimentari e prodotti dietetici
40 Giurì 49/73
48 La comunicazione commerciale relativa agli integratori alimentari e ai prodotti
dietetici non deve vantare proprietà non conformi alle particolari caratteristiche dei
prodotti, ovvero proprietà che non siano realmente possedute dai prodotti stessi.
Inoltre detta comunicazione commerciale deve essere realizzata in modo da non
indurre i consumatori in errori nutrizionali e deve evitare richiami a
raccomandazioni o attestazioni di tipo medico.
Queste regole si applicano anche agli alimenti dietetici per la prima infanzia, a
quelli che sostituiscono in tutto o in parte l'allattamento materno e a quelli che
servono per lo svezzamento o per l'integrazione alimentare dei bambini.
Una sola pronuncia è stata emessa in materia di prodotti per la prima infanzia, con
riferimento al claim “a doppia digeribilità” in pubblicità per omogeneizzati, giudicato
illecito dove, in assenza di qualsiasi chiarimento, l’espressione era decodificabile
come attribuzione di massima digeribilità.
- Art. 25 Prodotti medicinali e trattamenti curativi
La comunicazione commerciale relativa a medicinali e trattamenti curativi deve
tener conto della particolare importanza della materia ed essere realizzata col
massimo senso di responsabilità nonché in conformità alla scheda tecnica
riassuntiva delle caratteristiche del prodotto.
Tale comunicazione commerciale deve richiamare l'attenzione del consumatore sulla
necessità di opportune cautele nell'uso dei prodotti invitando in maniera chiara ed
esplicita a leggere le avvertenze della confezione e non inducendo a un uso scorretto
dei prodotti medesimi…..
49 Inoltre la comunicazione commerciale relativa alle specialità medicinali da banco o
ai trattamenti curativi non deve:….rivolgersi esclusivamente o prevalentemente ai
bambini o indurre i minori a utilizzare il prodotto senza adeguata sorveglianza… .
L'Autodisciplina pubblicitaria ha di recente superato l'ambito iniziale del proprio
controllo andando oltre il limite della sola pubblicità commerciale, e ciò con
l'abbracciare anche il settore della pubblicità non profit o pubblicità sociale.
Per realizzare tale obiettivo è stato aggiunto nel marzo 1995 l'art.46, che ricomprende
nell’ambito di applicazione del Codice messaggi ai quali non sarebbe stata altrimenti
riferibile la nozione di pubblicità precedentemente accolta dalle “definizioni”
premesse nelle Norme preliminari e generali ed all’obbligo di informazione
accompagna il divieto di sfruttare suggestioni derivanti dal problema sociale che
l’iniziativa si propone di affrontare.
Tale disposizione, al c. 4 lett e), si preoccupa specificatamente di tutelare i minori
anche in questo ambito:
Art. 46 Appelli al pubblico
È soggetto alle norme del presente Codice qualunque messaggio volto a
sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici, o che sollecita,
direttamente o indirettamente, il volontario apporto di contribuzioni di qualsiasi
natura, finalizzate al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale…
….Per contro i messaggi non devono:….. sollecitare i minori a offerte di denaro.
50 Tuttavia ci sono due articoli specifici preposti alla protezione del minore in qualità sia
di target o ricevente potenziale di messaggi commerciali, sia di consumatore di
prodotti a lui esplicitamente rivolti.
Art. 11 Bambini e adolescenti
Una cura particolare deve essere posta nei messaggi che si rivolgono ai bambini e
agli adolescenti o che possono essere da loro ricevuti. Questi messaggi non devono
contenere nulla che possa danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente e
non devono inoltre abusare della loro naturale credulità o mancanza di esperienza, o
del loro senso di lealtà.
In particolare questa comunicazione commerciale non deve indurre a:
•
violare norme di comportamento sociale generalmente accettate;
•
compiere azioni o esporsi a situazioni pericolose;
•
ritenere che il mancato possesso del prodotto oggetto della comunicazione
significhi inferiorità, oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte
dei genitori;
•
sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni
dietetiche;
•
adottare l'abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o trascurare
l'esigenza di seguire uno stile di vita sano;
•
sollecitare altre persone all'acquisto del prodotto oggetto della comunicazione.
L'impiego di bambini e adolescenti nella comunicazione deve evitare ogni abuso dei
naturali sentimenti degli adulti per i più giovani.
51 Il c. 1 della norma era già presente nel codice di lealtà pubblicitaria del 1966, ma con
riguardo alla pubblicità “rivolta ai bambini”, e non anche agli adolescenti, né la tutela
era espressamente estesa nei confronti della pubblicità ricevibile dai minori, ma solo
nei confronti di quella ad essi indirizzata.
Nel 1971 fu introdotto un divieto alle rappresentazioni che, avendo per protagonisti i
bambini, potessero fornire “esempi moralmente o fisicamente pericolosi”. L’edizione
del C.A. del 1975 introdusse anche gli adolescenti tra le categorie protette dalla
norma ed estese il divieto ai messaggi anche soltanto ricevibili dai minori. Nella
stessa edizione comparve il divieto di “sfruttamento” dei sentimenti degli adulti per i
più giovani, poi sostituito nel 1982 con l’attuale divieto di “abuso”.
Sempre la versione del C.A. del 1982 ha introdotto la previsione al c. 3 di divieti
relativi a fattispecie specifiche, salvo quello di “sminuire il ruolo dei genitori e di altri
educatori nel fornire valide indicazioni dietetiche” e quello di indurre bambini o
adolescenti “ad adottare l’abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o
trascurare l’esigenza di seguire uno stile di vita sano”, entrambi aggiunti con
l’edizione del C.A. in vigore dal 22/07/2004.
La prima parte della norma pone una tutela rafforzata a favore dei minori, sul
presupposto della maggior vulnerabilità dei più giovani di fronte alla comunicazione
altrui in generale e della considerazione che i modelli comportamentali e le modalità
espressive proposte in pubblicità, tipiche del mondo degli adulti e per essi non
dannose, possono divenirlo se recepite da un pubblico non ancora maturo e con una
personalità in via di formazione. In tal senso è stato precisato che elementi narrativi
52 come l’ironia ed il grottesco, percepibili dagli adulti, difficilmente possono essere
colti da un pubblico di minori e non rappresentano quindi una esimente alla
violazione dell’art. 11. In ogni caso, in presenza di dubbi sulla liceità di una
pubblicità, questi devono essere risolti a favore della tutela dei soggetti protetti.
La norma impone quindi dei limiti alla libertà creativa degli inserzionisti al fine di
evitare che la pubblicità proponga situazioni che possano essere causa di danno per
l’equilibrio psicofisico dei minori, o che possano indurli a tenere comportamenti
riprovevoli, asociali e pericolosi, stimolando lo spirito emulativo naturalmente insito
nei più giovani o facendo leva sulla loro mancanza di esperienza (il principio si trova
espresso nella sola pronuncia 96/91, ma è sottinteso dalla quasi totalità delle decisioni
del Giurì).
L’art. 11, prima parte, è inoltre volto ad impedire che la pubblicità interferisca negli
equilibri familiari e vanifichi il ruolo di educatori dei figli che è demandato per legge
ai genitori ed è quindi posta a salvaguardia degli interessi di quest’ultimi.
La seconda parte è invece volta a tutelare la categoria degli adulti ( e non solo quella
dei genitori) nel caso di pubblicità che faccia leva sulla vulnerabilità di questi nei
confronti dei più piccoli, abusando per fini commerciali delle attenzioni, premure e
preoccupazioni che normalmente sono rivolte al mondo dell’infanzia.
La quasi totalità delle azioni autodisciplinari per violazione dell’art. 11 è stata
promossa dal Comitato di controllo in rappresentanza dei consumatori. 41 Non par
41 Norme preliminari e generali, lett e) Definizioni; Il termine "consumatore" comprende ogni
soggetto – persona fisica o giuridica come pure ente collettivo – cui è indirizzata la comunicazione
commerciale o che sia suscettibile di riceverla.
53 dubbio, tuttavia, che la legittimazione ad agire spetti anche personalmente a chiunque
sia suscettibile di ricevere il messaggio contestato, o a chi, nel caso dei minori, ne
abbia la rappresentanza, sia esso consumatore o meno del prodotto promozionato.
L’azione è stata anche promossa da imprese concorrenti dell’inserzionista. In
quest’ultimo caso, però, l’iniziativa del concorrente non era autonoma, ma era
consistita in un intervento ad adiuvandum rispetto al ricorso presentato dal Comitato
di controllo. 42
La pubblicità rivolta a bambini ed adolescenti o da essi ricevibile. Il concetto di
pubblicità ricevibile da bambini ed adolescenti, anche se ad essi non destinata, non ha
mai formato oggetto di un esame specifico da parte della giurisprudenza
autodisciplinare, ma è comunque individuabile attraverso l’esame di singole
fattispecie sottoposte al vaglio del Giurì. Così, in relazione al mezzo di diffusione,
sono stati ritenuti suscettibili di raggiungere il pubblico infantile, e quindi di un
giudizio ex art. 11, messaggi veicolati attraverso affissioni o manifesti su trasporti
pubblici 43, o giornali diretti primariamente ad una popolazione adulta, ma
potenzialmente nella disponibilità anche dei più giovani. 44
Numerose pronunce del Giurì 45 hanno evidenziato come il mezzo televisivo, e più
in generale quello iconico, sia il più pericoloso per i minori, specie quando sfrutta la
chiave emozionale. Il linguaggio delle immagini, secondo tale giurisprudenza che
richiama i più recenti studi di psicologia infantile, sfrutta la carenza di analisi critica
42 Giurì 136/02, 340/97.
43 Giurì 153/04, 119/01, 17/95.
44 Giurì 123/05, 306/01, 340/97, 12/81, 29/79.
54 del minore , ponendolo quindi in una situazione di svantaggio e di dipendenza
rispetto ai messaggi così recepiti.
Diverso invece è il messaggio verbale, scritto o parlato, per il quale la decodifica è
guidata da criteri più razionali; conseguentemente non sono pertinenti le analogie tra
gli elementi di paura o di violenza presenti nelle fiabe per bambini e quelli della
pubblicità visiva, per sostenere la liceità di quest’ultima. 46
Scene di violenza caratterizzate dalla iperbole tipica dei cartoni animati (un gatto
schiacciato dal passaggio di un ferro da stiro semovibile) sono state invece giudicate
non dannose per i minori. 47
Sulla base di queste considerazioni la diffusione di filmati pubblicitari giudicati leciti
per un pubblico adulto, ma inidonei ad essere visionati da minori, è stata spesso
vietata nella fascia oraria antecedente alle ore 22.30, in applicazione dell’art. 16 C.A.
Una interessante pronuncia ha ritenuto che un filmato, astrattamente suscettibile di
provocare paura nei più piccoli, non contrastasse con l’art. 11 per il fatto di essere
diffuso solo in sale cinematografiche, dove i bambini, oltre ad essere accompagnati
da adulti, si attendono e sono quindi predisposti ad assistere a scene che escono dalla
realtà. 48
Quanto ai prodotti pubblicizzati, l’applicabilità della norma è stata ritenuta anche nel
caso di messaggi per beni destinati agli adulti (come ad esempio l’abbonamento ad un
operatore telefonico, mobili da cucina o carta igienica), sia che fossero caratterizzati
45 Giurì 118/05, 153/04, 137/04, 93/01, 271/00, 170/98.
46 Giurì 151/02, 182/97, 3/97.
47 Giurì 101/01.
55 dalla presenza di protagonisti bambini o adolescenti, capaci di stimolare
comportamenti imitativi nel pubblico dei coetanei, sia che i protagonisti fossero solo
adulti.
È stata tuttavia esclusa la rilevanza dell’art. 11 per un annuncio, pur dichiarato illecito
per violazione dell’art. 10, che mostrava due vecchi su uno scooter nell’atto di
scippare una ragazza, sul presupposto che l’età dei protagonisti non poteva stimolare
comportamenti emulativi nei giovani, mentre la violazione della norma in commento
è stata affermata per uno spot dove un anziano signore sfregiava la carrozzeria di
un’auto. 49
Anche il concetto di adolescente, quale limite oltre il quale i primi tre commi cessano
di essere applicabili, non ha trovato una definizione nella giurisprudenza
autodisciplinare. Dalla pronuncia 7/79, che ha ritenuto assoggettabile alla norma un
messaggio per un ciclomotore destinato espressamente ad utenti “dai 14 ai 18 anni”,
può tuttavia desumersi che il concetto di adolescente, per le finalità proprie
dell’articolo in questione, ricomprenda quantomeno i giovani fino al compimento
della maggiore età.
Il divieto generale di pubblicità dannosa e di abuso della credulità e mancanza di
esperienza dei minori. Tale disposizione generale della norma ha trovato applicazione
in casi non riconoscibili o non riconducibili unicamente in alcuna tra le fattispecie
esemplificative di cui al c. 3, introdotte nella versione del C.A. in vigore dall’ottobre
1982.
48 Giurì 55-bis/04.
56 In relazione al divieto di arrecare un danno psichico a bambini ed adolescenti sono
stati giudicati illeciti:
- un filmato che riproduceva scene di tortura i cui aspetti caricaturali sono stati
giudicati comprensibili solo da un pubblico adulto (Giurì 136/04);
- radio comunicati caratterizzati da un linguaggio volgare e denso di doppi sensi
riferiti alla sfera sessuale, ritenuto pericoloso per un sano sviluppo dei minori
(Giurì 118/05);
- un annuncio che mostrava in primo piano un corpo nudo e prono sulle cui
natiche affondavano i tacchi a spillo di due stivali femminili (Giurì 119/05);
- tre filmati nei quali nei quali il protagonista infilava il prodotto pubblicizzato
negli slip, quale invito per il partner a riprendere l’oggetto in quella stessa
posizione (Giurì 15/04);
- una affissione di grandi dimensioni che mostrava una donna in bichini
compiaciuta dei palpeggiamenti che le provenivano da più uomini (Giurì
153/04);
- varie immagini di giovani ritratti in atteggiamenti provocatoriamente erotici
(Giurì 133/02);
- un commercial che mostrava bambini di 3-4 anni intenti a tenere uno
spogliarello su un palcoscenico, alla presenza di un pubblico di altrettanti
bambini,
sul
presupposto
che
potesse
indurre
a
normalizzare
un
49 Giurì rispettivamente 30/01 e 95/96.
57 comportamento estraneo all’istinto di un bambino, e cioè quello di spogliarsi a
fini seduttivi (Giurì 271/00);
- l’immagine di un uomo intento a tagliare un braccio, presumibilmente umano,
con una sega (Giurì 349/98);
- scene di violenza, pur se connotate da elementi grotteschi ed irreali ritenuti non
percepibili dai minori (Giurì 208/95);
- un filmato che attraverso la promessa di un premio induceva ad una attesa
senza limiti di tempo davanti alla televisione, con un meccanismo ritenuto
idoneo a condizionare la volontà dello spettatore (Giurì 183/92);
- la pubblicità per pupazzi mostruosi accompagnata da espressioni che
invitavano in modo molto realistico e macabro a sezionare cruentamente i
piccoli mostri (Giurì 3/97, 6/89);
- un annuncio che presentava l’immagine di un bambino e di una bambina in
slip, con il primo che allarga le mutandine della seconda per guardarvi dentro
(Giurì 104/88).
Sono invece stati giudicati leciti:
- un filmato nel quale la bugia di una bambina al padre provocava un
paradossale intervento delle forze dell’ordine che smascheravano la piccola,
ma con modalità non traumatizzanti (Giurì 108/04);
- un filmato che mostrava, con le modalità iperboliche tipiche dei cartoons, un
ferro da stiro che passava su un gatto schiacciandolo sul pavimento (Giurì
101/01);
58 - un commercial a favore di videocassette di film dell’orrore che riportava
sequenze delle pellicole pubblicizzate, ritenute inidonee a produrre un effetto
terrorizzante anche sui minori (Giurì 15/95);
- un annuncio che mostrava una tuta mimetica intrisa di sangue appartenente ad
un miliziano croato ucciso (Giurì 27/94);
- un filmato per un apparecchio di depilazione in cui apparivano tre bambine non
in funzione di utilizzatrici del prodotto (Giurì 101/89).
In relazione al divieto di arrecare danno morale, una ipotesi particolare è stata
individuata in pubblicità suscettibile di indurre nei più giovani comportamenti
riprovevoli sul piano dei rapporti familiari o di interferire nella funzione educativa
dei genitori, proponendo modelli e scelte che sono di competenza di quest’ultimi:
- un filmato nel quale la figura materna appariva indifferente di fronte al
comportamento riprovevole del figlio (Giurì 194/03);
- un filmato che mostrava un atteggiamento di ostilità della figlia nei confronti
del padre e l’assenza di comunicazione e dialogo tra i due (Giurì 99/97);
- una pubblicità a favore di un servizio telefonico ambiguamente qualificato
“assolutamente vietato ai minori di anni 18” al fine di attrarre l’attenzione
proprio dei minorenni (Giurì 196/95);
- un filmato che mostrava un adolescente il quale, di fronte ai rimproveri della
madre, non risponde e si isola ascoltando musica con una cuffia stereo (Giurì
7/83);
59 - un annuncio in cui un bambino assumeva un atteggiamento di ricatto per
ottenere il prodotto dolciario pubblicizzato (Giurì 29/79);
- una pubblicità per pupazzi mostruosi che sollecitava nei bambini un
comportamento sadico (Giurì 6/89).
Inoltre sono stati giudicati moralmente dannosi:
- un filmato che narrava un episodio di sequestro di un animale a scopo di
estorsione, ritenuto idoneo a stimolare comportamenti emulativi (Giurì 81703);
- un filmato nel quale il protagonista maschile subiva un grottesco allungamento
dei capezzoli a seguito del consumo del prodotto pubblicizzato, peraltro
costituito da un chewing-gum, i cui consumatori sono proprio i più giovani
(Giurì 190/03);
- uno spot dove compariva un minore intento a guardare in tv un film
pornografico (Giurì 194/03);
- degli annunci attraverso cartoons che proponevano immagini esplicitamente di
carattere sessuale (Giurì 260/01);
- due filmati che mostravano rispettivamente un giovane che sgambetta un
cameriere del quale aveva tentato inutilmente di attirare l’attenzione, e un
giovane che schizza con l’acqua di una pozzanghera il vigile che gli aveva
poco prima elevato una contravvenzione (Giurì 366/00);
- l’espressione “vestito per uccidere” nella head-line di un annuncio che
raffigurava la schiena nuda e tatuata di un ragazzo (Giurì 313/00);
60 - le immagini di adolescenti che tengono comportamenti criminosi (Giurì
170/98).
Sono stati invece giudicati leciti:
- un filmato x elettrodomestici-giocattolo che mostrava bambine intente a
giocare a fare le piccole donne di casa, assolto dall’accusa di proporre ai
minori un modello sociale retrogrado e maschilista delle relazioni familiari
(Giurì 82/02);
- un filmato in cui un giovane scriveva con vernice spray su un muro, in
considerazione dell’atteggiamento goffo e perdente del ragazzo, inidoneo a
suscitare comportamenti emulativi (Giurì 18/02);
- un annuncio che mostrava in primo piano una lingua appoggiata ad un occhio,
giudicata un’immagine sgradevole ed anomala, ma non volgare (Giurì 6/01);
- un annuncio dove un bambino dichiarava di volere il prodotto audio
pubblicizzato “per diventare scemo come mio fratello”, in quanto
manifestazione della legittima aspirazione dei preadolescenti a crescere e a
diventare come i ragazzi più adulti (Giurì 69/96).
Una sola decisone risulta emessa con specifico riguardo all’ipotesi di pubblicità
suscettibile di arrecare un danno fisico ai minori, in particolare un danno alla salute,
nel caso di uno spot per una caramella alla frutta che mostrava un bambino intento a
svuotare il frigorifero di casa di tutte le verdure ivi contenute per darle al proprio
61 criceto, per poi masticare la caramella pubblicizzata mentre lo speaker affermava: “i
ragazzi preferiscono la frutta”. 50
La violazione della norma per abuso della credulità o mancanza di esperienza dei più
giovani è stata affermata:
-
per la definizione di una crema depilatoria con annessa spatola quale “kit con
rasoio senza lama”, accompagnata da frasi rassicuranti sulla sicurezza del
prodotto contro il rischio di tagli, così inducendo le consumatrici più giovani a
trascurare lem cautele d’obbligo nell’uso di un gel depilatorio (Giurì 196/95);
- per la pubblicità relativa ad un apparecchio presentato come capace di emettere
impulsi coercitivi dell’altrui volontà (Giurì 7/85);
- per un annuncio che prospettava la possibilità di trovare nel prodotto
promozionato un minerale con oro, lasciando intendere che questo,
contrariamente al vero, avesse un valore notevole e maggiore degli altri
minerali normalmente acclusi alla confezione (Giurì 41/82).
Sono state invece dichiarate lecite:
- un commercial a favore di un gioco di cartomanzia, in considerazione del
trattamento scherzoso del filmato (Giurì 5/97);
- la pubblicità a favore di un’enciclopedia che associava l’uso del’’opera per
ricerche scolastiche alla probabilità di promozione, sul presupposto che
qualsiasi bambino è in grado di comprendere da sé la ridotta incidenza
dell’attività di ricerca ai fini della promozione (Giurì 31/83);
50 Giurì 225/02.
62 - la pubblicità per un ciclomotore nella quale apparivano due giovani entrambi
seduti sul mezzo in movimento, in violazione delle norme del codice stradale,
in quanto è immagine non ritenuta idonea ad indurre in errore i giovani circa la
sussistenza di un divieto ad essi ben noto (Giurì 7/79).
Fattispecie nominativamente previste
•
violare norme di comportamento sociale generalmente accettate
Si riferisce ad atti di tipo asociale o amorale, e non a comportamenti che rientrano
nella normalità per dei bambini, quali mettere in disordine una cucina per preparare
una torta, o correre seminudi per la casa sollecitando le cure igieniche della madre
dopo aver assolto alle proprie necessità fisiologiche 51, né ad un comportamento di
per sé riprovevole quando la stessa pubblicità ne fornisca una valutazione negativa,
come un annuncio che mostrava ragazzi nell’atto di lanciare sassi da un cavalcavia e
che condannava tale comportamento o un commercial nel quale tre bambini
tentavano il furto di una mela e che si concludeva con il monito “eh bambini, le mele
non si rubano” 52; la stessa pubblicità nella versione priva della frase di chiusura fu
invece dichiarata illecita con la medesima pronuncia.
Sono stati invece giudicati suscettibili di stimolare atteggiamenti contrari a norme
comportamentali socialmente accettate: un filmato dove due giovani fidanzati si
esibivano in rumorose flatulenze; un annuncio che mostrava, sebbene solo mediante
la traccia lasciata dalle ruote, il percorso di una moto sul marciapiede, sopra un
cagnolino e contro una staccionata, unitamente alla head-line “far acrobazie non è un
51 Giurì 30,85, 138/87.
63 reato”; un filmato dove una ragazza imbrattava deliberatamente il divano della
padrona di casa; quello dove un’anziana signora minacciava di imbrattare il bucato
della vicina di casa, sebbene senza realizzare la minaccia; un annuncio che mostrava
lo specchietto laterale di un auto divelto ed infranto per l’invidia che un anonimo
teppista provava per il prodotto reclamizzato. 53
•
compiere azioni o esporsi a situazioni pericolose
Non risultano pronunce relative a messaggi che esortassero direttamente a tenere un
comportamento rischioso. Numerose invece le decisioni relative a pubblicità
suscettibile di stimolare nei più giovani una condotta pericolosa indirettamente,
attraverso la proposizione di situazioni capaci di indurre atteggiamenti imitativi.
Non ogni comunicazione può tuttavia ritenersi idonea a stimolare un comportamento
emulativo nei più giovani, ed il rischio è tanto minore quanto più le situazioni
rappresentate appaiano eccezionali e fuori della realtà, potendosi in tal caso indurre
una immedesimazione di tipo onirico, ma non un atteggiamento imitativo.
È stato escluso che potessero indurre in azioni pericolose: una corsa in moto, nello
stile di una fiction cinematografica, per salvare un nota modella dall’abbraccio della
folla; un filmato che mostrava tre bambini intenti a miscelare in un secchio il
detersivo per la casa pubblicizzato, sul presupposto che la mano di un adulto che
compariva nel campo visivo lasciava comprendere che i bambini giocavano sotto il
controllo di un maggiorenne e che gli attrezzi utilizzati erano normali oggetti
domestici; la fotografia di un bimbo sorridente immerso nell’acqua del lavello di
52 Giurì 130/97 e 14/94.
64 cucina, in quanto irreale per la particolarità della realizzazione; l’immagine di una
giovane estremamente magra e di una tavoletta di cioccolata, ritenuta inidonea a
stimolare comportamenti anoressici o bulimici se non in soggetti già di per sé malati;
un filmato per un asciugacapelli che mostrava una situazione di pericolo causata
accidentalmente, e non volontariamente, dalla protagonista, e nel quale il rischio è
stato ritenuto percepibile anche dai più piccoli grazie ad immagini di tipo cartoons.
54
Anche in presenza di pubblicità suscettibile di stimolare lo spirito emulativo di
bambini ed adolescenti il contrasto con la norma è stato spesso negato quando il
comportamento indotto poteva considerarsi abbastanza comune nei minori o relativo
a pericoli dipendenti da fattori da essi controllabili.
Sono stati pertanto giudicati leciti: la pubblicità che mostrava un gruppo di bambini
intenti a giocare, in assenza di adulti, con una pasta per fare bolle colorate di cui fu
accertata la non pericolosità; un commercial che rappresentava alcuni bambini intenti
a preparare una torta gettando scompiglio nella cucina dei genitori, ma senza
utilizzare accessori pericolosi; la pubblicità che mostrava un bambino nell’atto di
arrampicarsi su di un armadio salendo su una sedia appositamente collocata sopra una
scrivania. 55
Per contro sono stati sempre inibiti quei messaggi che inducevano i più giovani a
tenere una condotta o ad esporsi a situazioni i cui pericoli fossero riconducibili a
53 Giurì 218/04, 95/00, 136/02, 172/04, 123/05.
54 Giurì 109/04, 17/02, 259/01, 296/00, 164/99.
55 Giurì 21/88, 30/85, 75/84.
65 fattori da essi non controllabili, come nel caso di pubblicità con i seguenti contenuti:
uno spot dove una ragazza, al fine di fare spazio in casa, gettava dalla finestra i
mobili dell’appartamento; un filmato che, pur in un contesto caricaturale, mostrava
un lanciatore di coltelli; uno spot per l’album di un gruppo musicale con
denominazione identica a quella di un farmaco antidepressivo e frasi allusive all’uso
del prodotto inserite in un’atmosfera coinvolgente;un annuncio con l’immagine di
padre, madre e due bambini con un sacchetto di carta calato sulla testa, giudicato
idoneo a stimolare l’imitazione dei più piccoli utilizzando anche pericolosi sacchetti
di plastica; uno spot che mostrava prove di abilità compiute da ragazzi con un
ciclomotore; filmati per motocicli che, senza contenere immagini esplicite di alta
velocità, suggerivano un uso pericoloso del mezzo a causa del susseguirsi rapido
delle immagini stesse, della musica martellante, del contesto irreale; una mano che
appicca il fuoco ad un finto boschetto in cui si svolge una breve avventura del
pupazzo pubblicizzato; bambine di pochi anni intente ad utilizzare da sole una
gelatiera domestica funzionante elettricamente e dotata di meccanismi di triturazione.
56
•
ritenere che il mancato possesso del prodotto oggetto della comunicazione
significhi inferiorità, oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte
dei genitori
56 Giurì 137/04, 93/01, 157/98, 340/97, 178/98, 110/97, 32/84, 11/83.
66 Tale paragrafo ha trovato applicazione solo per la prima parte, cioè solo in
riferimento al divieto di indurre a ritenere che il mancato possesso del prodotto
pubblicizzato significhi inferiorità.
È stato dichiarato illecito un messaggio che associava la disponibilità personale del
prodotto, una cartella, alla possibilità di affermazione nei rapporti con i compagni di
scuola (Giurì 106/87).
Leciti invece un annuncio a favore di un dispositivo per la crescita del seno, sul
presupposto che il messaggio non conteneva richiami suggestivi circa l’importanza di
avere un seno più grosso, e quello per una enciclopedia ad uso scolastico, sul
presupposto che l’attuale possibilità di accedere a biblioteche scolastiche o pubbliche
esclude che il mancato possesso personale di un’opera generi un senso di inferiorità.
57
•
sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni
dietetiche
•
adottare l'abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o trascurare
l'esigenza di seguire uno stile di vita sano
Entrambi i paragrafi, introdotti nel 2004, rispondono alla esigenza di tutelare chi
ancora non è dotato di un sufficiente senso critico, come i minori, e non alla volontà
di scoraggiare la pubblicità che si rivolga a bambini o ad adolescenti. Nella
fattispecie è stato giudicato in contrasto con la norma uno spot nel quale una bambina
57 Giurì 40/04, 31/83
67 riempiva una carriola con le merendine pubblicizzate per poi allontanarsi indisturbata
con tale bottino sotto lo sguardo dei genitori (Giurì 167/05).
Prima della introduzione delle nuove disposizioni, la pubblicità per alimenti destinati
ai bambini è stata spesso giudicata sotto il profilo del divieto generale di arrecare un
danno morale ai minori.
La violazione del precetto è stata accertata per due annunci ritenuti idonei stimolare
una immedesimazione dei bambini con il protagonista della pubblicità ed a suggerire
ai più giovani una forma di ricatto nei confronti dei genitori, consistente nel rifiutare
il cibo tradizionale per ottenere il prodotto dolciario pubblicizzato. 58
Anche in assenza di un esplicito ricatto nei confronti dei genitori, il Giurì ha ritenuto
moralmente dannoso proporre il prodotto alimentare pubblicizzato in circostanze che
lo facessero apparire come il soddisfacimento di un capriccio, nonché suggerire ai
minori argomenti apparentemente razionali per giustificare il rifiuto del cibo
tradizionale a favore del prodotto reclamizzato: un annuncio per un budino nel quale
era raffigurato un bambino che rifiutava di mangiare,mentre la headline recitava
“quando tuo figlio non ha appetito, sforzarlo fa male. Nutrilo con ciò che gli piace” o
un filmato in cui una mmadre invitava spontaneamente il figlioletto a consumare il
prodotto pubblicizzato in sostituzione di quello rifiutato dal piccolo e la voce dello
speaker concludeva il commercial affermandone la valenza nutrizionale pari a quella
di una bistecca (rispettivamente Giurì 12/81, 29/84).
58 Giurì 29/79, 12/81.
68 È stato invece giudicato lecito un annuncio a favore di compresse polivitaminiche
proposte in sostituzione della verdure, rifiutata dal giovane protagonista della
pubblicità, in quanto il carattere non voluttuario del prodotto è stato giudicato
inidoneo a stimolare comportamenti imitativi (Giurì 86/91).
Si è escluso inoltre il contenuto diseducativo di un filmato che mostrava bambini a
scuola intenti a bere acqua direttamente dal rubinetto dei lavandini e suggeriva alle
madri di dare ai figli la bevanda dolce pubblicizzata onde evitare che gli stessi per
dissetarsi ricorressero ad abitudini poco igieniche (Giurì 24/91).
•
sollecitare altre persone all'acquisto del prodotto oggetto della comunicazione
Suddetta nozione non comprende atteggiamenti naturali in un bambino e dettati
dall’istinto della curiosità, come chiedere alla propria madre di acquistare un prodotto
a cui è abbinato un concorso a premi, specie se nella pubblicità alla richiesta del
bambino corrisponda nell’adulto un atteggiamento distaccato.
La pubblicità che abusa dei sentimenti degli adulti per i più giovani. Questa
previsione normativa ha trovato fin’ora applicazione in tre decisioni, tutte relative a
prodotti alimentari.
Un annuncio ritenuto idoneo a sfruttare la preoccupazione delle madri che il figlio
non si nutra a sufficienza, e nel quale compariva il volto imbronciato di un bambino
accanto alla minaccia di non mangiare se non gli fosse stato dato il prodotto
pubblicizzato ed alla sub head-line, rivolta alla madre, “e tu sai di non cedere ad un
capriccio” (Giurì 29/79).
69 Sono
stati
giudicati
invece
suscettibili
di
indurre
un
atteggiamento
di
deresponsabilizzazione nelle madri due messaggi che proponevano comode soluzioni
per risolvere il problema dei figli restii ad alimentarsi con il cibo tradizionalmente
offerto loro dai genitori e che abbiamo analizzato precedentemente.
Le ultime disposizioni del presente articolo sono particolarmente interessanti in
quanto cercano di evitare uno dei casi più frequenti di possibile “male” della
pubblicità, il ricatto morale. Esso può presentarsi in due forme: come ricatto degli
affetti dei genitori, sollecitati a non far mancare ai loro figli quello che viene
presentato come un bene; i genitori vengono colpevolizzati se non acquistano un
certo prodotto; i figli d'altra parte vengono spinti a chiederlo come un loro diritto,
oppure come “confronto diretto fra coloro che sono beati possidentes di quel bene e
coloro che non lo sono” 59, suscitando un turbamento psicologico nel soggetto, che si
sente inferiore solo perché non è in possesso di quel prodotto.
Art. 28 bis Giocattoli, giochi e prodotti educativi per bambini
La comunicazione commerciale relativa a giocattoli, giochi e prodotti educativi per
bambini non deve indurre in errore:
•
sulla natura e sulle prestazioni e dimensioni del prodotto oggetto della
comunicazione commerciale;
•
sul grado di abilità necessario per utilizzare il prodotto;
59 M. Laeng, Quando la pubblicità televisiva fa male ai bambini, da Quaderni di documentazione
pubblicitaria, Sacis 1985
70 •
sull'entità della spesa, specie quando il funzionamento del prodotto comporti
l'acquisto di prodotti complementari.
In ogni caso, questa comunicazione non deve minimizzare il prezzo del prodotto o far
credere che il suo acquisto sia normalmente compatibile con qualsiasi bilancio
familiare.
L’art.28 bis è stato introdotto con la edizione del C.A. dell’l/9/1982 con un testo
corrispondente a quello attuale, ma avente ad oggetto la sola pubblicità per “giocattoli
e giochi per bambini”. La dizione “e prodotti educativi” è stata aggiunta nella rubrica
e nel primo alinea dell’art. 2 bis C.A. con la versione della norma in vigore
dall’l/6/1996, estendendone l’applicabilità al caso di pubblicità per prodotti destinati
ai bambini ma non propriamente definibili “giochi” o “giocattoli”.
L’inganno sulle caratteristiche del prodotto. Il c.1 della norma costituisce una
specificazione del divieto generale di pubblicità ingannevole applicato al settore dei
prodotti destinati ai bambini e con riferimento alle caratteristiche di tali prodotti
nominativamente individuate nella stessa norma. La ratio non mistificare la realtà nei
confronti dei bambini e di abituarli al rispetto della verità,anche quando si proponga
loro un oggetto, come un giocattolo, che stimola ed aletta la capacità di fantasticare
non contiene invece alcun limite espresso circa i destinatari della tutela apprestata,
sicché l’errore di cui è vietata l’induzione deve considerarsi tanto quello dei più
piccoli, diretti interessati alla categoria di prodotti pubblicizzati, quanto l’equivoco in
cui sono suscettibili di cadere gli adulti, anch’essi potenziali fruitori della pubblicità
per giocattoli o prodotti educativi nella loro qualità do acquirenti dei beni a favore dei
71 più giovani. In particolare appare preordinato più alla tutela degli adulti che a quella
dei bambini il 2° alinea della norma, il quale vieta di indurre in errore circa il grado di
abilità necessario per utilizzare il prodotto pubblicizzato e tende pertanto ad evitare il
tipico equivoco dell’adulto che acquista un prodotto non idoneo all’età del bambino a
cui è destinato. La norma, infine, tutela anche i concorrenti dell’inserzionista, i quali
potrebbe derivare un danno dallo sviamento che la pubblicità in violazione dell’art.
28 – bis. E’ stato precisato, in relazione ad un filmato che mostrava un giocattolo in
situazione ambientata ed unitamente a pezzi non compresi nella confezione
pubblicizzata, che l’equivoco sulle caratteristiche e sulla composizione del prodotto
non può essere esclusa per il fatto che compaiono in sovraimpressione avvertenze
quali “azione simulata” e “veicoli non inclusi”, non comprensibili per bambini tra i 5
ed i 10 anni (Giurì 6/97).
Con riguardo al divieto di indurre in equivoco sulla entità della spesa, Giurì 1/84 ha
ritenuto lecita la pubblicità di un home-computer per videogiochi il cui prezzo veniva
presentato come “tutto compreso” benché nel prodotto non fosse incluso l’accessorio
della videocassetta, sul presupposto che, non essendo prassi commerciale includere
nel prezzo del tipo di apparecchio in questione il prodotto complementare costituito
dalla cassetta, l’annuncio non era idoneo ad indurre in errore sull’ammontare della
spesa complessiva.
Divieto di minimizzare il prezzo. Deve porsi in relazione sia alla incapacità dei più
piccoli di valutare la eventuale sproporzione tra la promessa pubblicitaria e il
prodotto realmente offerto, sia in considerazione del fatto che, anche in assenza in
72 sproporzione, la convinzione che un bene abbia un basso costo può indurre il
bambino a sentirsi autorizzato a desiderarlo ed a chiederlo ai genitori, creando un
meccanismo psicologico diseducativo per i più piccoli ed un possibile effetto
frustrante per gli adulti che non condividano l’assunto secondo cui il prodotto ha un
prezzo contenuto, nella fattispecie è stata censurata l’affermazione “solo 19.900 lire”
riferita al giocattolo pubblicizzato e presentato come “vero treno elettrico superexpress”
60
, benché non fosse che un trenino in materia plastica. La norma appare
come una particolare applicazione dei divieti, disposti in via generale dall’art. 11
C.A., della credulità e mancanza di esperienza dei bambini e di indurre gli stessi a
sollecitare altre persone all’acquisto dei prodotti pubblicizzati. La norma tutela
pertanto sia l’interesse dei consumatori non acquirenti (e cioè i bambini), sia quello
degli acquirenti non consumatori
del prodotto pubblicizzato (e cioè gli adulti),
nonché l’interesse dei concorrenti dell’inserzionista. L’uso della espressione “a sole
L” per individuare il prezzo di un giocattolo è stato sempre dichiarato illecito, in
quanto idoneo a conferire agli occhi dei bambini una valutazione minimizzante del
costo del prodotto, anche indipendentemente da un accertamento nel suo reale valore.
2.1.2 Giurì e Comitato di Controllo
Per l'applicazione e il controllo delle regole in esso contenute il Codice di
Autodisciplina della comunicazione commerciale prevede, al Titolo III, la
60 Giurì 159/89.
73 costituzione e il funzionamento di due organi, entrambi facenti capo all'Istituto di
Autodisciplina Pubblicitaria: il Giurì, organo giudicante con funzioni essenzialmente
giurisdizionali, ed il Comitato di Controllo, organo tecnico con funzioni di tipo
tutorio a cui si attribuisce anche il potere di promuovere azione davanti al Giurì per la
tutela dei consumatori.
Il Titolo IV regola l’azione procedurale e le sanzioni di chi non si conforma alle
decisioni dei membri incaricati.
La legittimazione ad agire è uno degli aspetti qualificanti del Codice, il quale non
pone limitazioni all'assunzione dell'iniziativa, stabilendo all'art. 36 che «Chiunque
ritenga di subire pregiudizio da attività pubblicitarie contrarie al Codice di
Autodisciplina può richiedere l'intervento del Giurì nei confronti di chi, avendo
accettato il Codice stesso in una qualsiasi delle forme indicate nelle Norme
Preliminari e Generali, abbia commesso le attività ritenute pregiudizievoli».
In primo luogo sono dunque legittimati i concorrenti ed il singolo consumatore61; le
associazioni dei consumatori, saranno legittimate solo nel caso di violazione dell’art.
2.
Inoltre il Giurì ha riconosciuto la legittimazione ad agire alle associazioni di categoria
degli imprenditori, quando l’attività dei propri associati può essere colpita dalla
pubblicità di un imprenditore concorrente62, ed ai rappresentanti di un
raggruppamento politico ma solo in violazione dell’art. 1.
61 Giurì, 97/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 500
62 Giurì, 4/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 290
74 Per esercitare l’azione davanti al Giurì ci vuole un interesse concreto ed attuale63, non
è pertanto sufficiente l’astratta aspirazione al rispetto del C.A..
I cittadini-consumatori, così come le associazioni che li rappresentano, possono
gratuitamente inoltrare segnalazioni al Comitato di controllo sui messaggi non
ritenuti conformi alle norme del C.A. che tutelano i loro interessi. Se il Comitato
riconosce fondata la segnalazione la fa propria contattando direttamente
l'inserzionista per chiedere chiarimenti o modifiche del messaggio, o trasformandola
in un'ingiunzione di desistenza o in una formale istanza al Giurì. In ogni caso, il
Comitato dà adeguata risposta al segnalatore esponendo i motivi della sua scelta. Le
aziende, in genere, presentano diretta istanza al Giurì.
«I mezzi pubblicitari che direttamente o tramite le proprie Associazioni hanno
accettato il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, sono tenuti a osservarne le
decisioni» (art. 41 Effetto vincolante delle decisioni del Giurì) pertanto, in caso di
non conformità al C.A. è prevista la cessazione del messaggio e, in casi
particolarmente gravi o di recidiva, la pubblicazione dell’estratto della decisione,
solitamente sui mezzi che hanno diffuso il messaggio dichiarato non conforme (art.
42 Inosservanza delle decisioni).
Il Comitato di Controllo è l’organo inquirente che promuove l’azione disciplinare
oltre che d’ufficio, anche su segnalazioni provenienti dall’esterno, «è composto da
dieci a quindici membri nominati dall'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria e
63 Giurì 97/88, in Giuris. Pubbl. II, Milano, 1988, p. 500
75 scelti tra esperti di problemi dei consumatori, di tecnica pubblicitaria, di mezzi di
comunicazione e di materie giuridiche» (art. 30).
Ha anzitutto il compito di vigilare sull’applicazione e sul rispetto delle norme
autodisciplinari poste a tutela dei consumatori e della pubblicità. Qualora ritenga che
queste norme siano state violare, è legittimato a promuovere il procedimento avanti al
Giurì. Il Comitato è quindi anzitutto un “organismo con funzioni inquirenti,
equiparabili per grandi linee a quelle del Pubblico ministero dell’ordinamento
statuale”. 64
Inoltre è un organo consultivo, in quanto esprime pareri (non vincolanti) su richiesta
del Giurì (art. 32 c. 3)
A seguito dell’attribuzione al presidente del potere di emettere ingiunzioni di
desistenza, non si può negare al Comitato anche la natura di organo giudicante.
I membri del Comitato di controllo durano in carica due anni e sono riconfermabili.
L'Istituto nomina tra i membri del Comitato il presidente e i vicepresidenti.
Competenze:
- su segnalazione di consumatori, di loro associazioni, o direttamente in funzione
del monitoraggio svolto dai componenti del Comitato medesimo e dalla
Segreteria dell'Istituto, sottopone al Giurì la pubblicità ritenuta non conforme
alle norme del Codice che tutelano il consumatore e la pubblicità;
- può invitare in via preventiva a modificare la pubblicità che ritiene non
conforme al Codice;
64 Fusi M., Diritto dell’informazione e dell’informatica 1991, p. 512.
76 - emette ingiunzioni di desistenza nei confronti di pubblicità manifestamente
contrarie a norme del Codice;
- su richiesta della parte interessata, esprime in via preventiva il proprio parere
su messaggi pubblicitari non ancora diffusi.
Ricevute le segnalazioni il Comitato le esamina: se non vi trova niente di scorretto
procede per l’archiviazione e la pratica sarà risolta in via breve, altrimenti decide di
procedere richiedendo dimostrazione di verità dagli operatori od eventuale modifica o
cessazione del messaggio pubblicitario (è possibile per l’azienda evitare la fase del
giudizio mediante una spontanea e tempestiva modifica della campagna pubblicitaria
da lanciare). Su richiesta della parte interessata, esprime in via preventiva il proprio
parere, circa la conformità alle norme del Codice che tutelano l'interesse del
consumatore, della pubblicità sottopostagli in forma definitiva ma non ancora diffusa.
Infine il Comitato delibera con procedimento abbreviato, per manifesto contrasto con
il C.A. (art. 39), inviando un’ingiunzione di desistenza al diretto interessato oppure
delibera in via ordinaria inviano l’istanza al Giurì.
Il tempo intercorrente tra la segnalazione del caso e la sua definizione va da 2 a 15
giorni.
Il Giurì è l’organo giudicante del sistema, «composto da un numero di membri
compreso fra nove e quindici, nominati dall'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria
e scelti fra esperti di diritto, di problemi dei consumatori, di comunicazione» (art. 29)
è presieduto, di regola, da un alto magistrato a riposo ed è assolutamente
77 indipendente dal sistema pubblicitario. I membri del Giurì durano in carica due anni e
sono riconfermabili. Competenze:
- esamina la pubblicità che gli viene sottoposta, dal Comitato o da aziende, e si
pronuncia su di essa secondo il Codice, con decisione definitiva;
- se la decisione stabilisce che la pubblicità è contraria al Codice, ordina agli
interessati di desistere da immediatamente dalla sua diffusione; i mezzi
pubblicitari sono impegnati a osservare la decisione;
- può ordinare la pubblicazione per estratto della sua decisione; in caso di
inosservanza della decisione, il Giurì dispone che se ne dia notizia al pubblico
(Art. 40 Pubblicazione delle decisioni).
La diffusione al pubblico della pronuncia è comminabile non solo quando l’illecito
autodisciplinare coinvolge interessi dei consumatori, ma anche quando comporta un
pregiudizio all’impresa altrui. La “pubblicazione” (intesa in senso ampio, che
trascende l’organo della stampa) della decisione del Giurì ha infatti natura di vera e
propria sanzione con funzioni riparatorie del pregiudizio subito dai consumatori o
dall’impresa concorrente ha la finalità di ristabilire le regole violate anche a scopo di
orientamento degli operatori.
Le istanze arrivano dal Comitato di Controllo, da parti private per concorrenza di
pubblicità sleale o in seguito all’opposizione fatta all’ingiunzione di desistenza. Il
Giurì, minimo di 3 membri, nomina un relatore tra gli stessi membri del Giurì,
comunica alle parti per la presentazione di deduzioni, assegna loro un termine di
pochi giorni (non minore di otto e non maggiore di dodici giorni liberi lavorativi)
78 infine convoca le parti per le esposizioni orali delle ragioni dell’attore e di quelle del
convenuto in udienza, con possibilità di successive brevi repliche. Vengono sentiti
anche legali e vi partecipa anche un membro del Comitato di Controllo
Il Giurì entra in camera di consiglio per la decisione che sarà poi stesa dal relatore. In
caso di non conformità al Codice viene ordinata la cessazione della pubblicità e nei
casi gravi o di recidiva, anche la pubblicazione dell’estratto della pronuncia sugli
stessi mezzi che hanno diffuso il messaggio riprovato.
Il Giurì delibera in unico grado, con un sistema che, seppur essenziale, garantisce i
principi fondamentali propri dei procedimenti giurisdizionali; inoltre la decisione è
valida anche per tutti coloro che pur non essendo stati “parte” nel giudizio, sono
comunque aderenti al sistema di Autodisciplina.
Il tempo medio intercorrente tra l'inoltro dell'istanza e la definizione del caso è di
circa 20 giorni.
Il sistema autodisciplinare, nella consapevolezza della rapidità e ampiezza di
diffusione dei messaggi pubblicitari e quindi della rigorosa necessità di provvedere a
bloccare al più presto quelli contrari alle norme del Codice, si è impegnato in una
costante ricerca di abbreviare al massimo i tempi dei propri interventi.
È così che gli organi dell'Autodisciplina, che in una fase iniziale riuscirono a tradurre
in mesi gli anni impiegati dalla magistratura ordinaria, hanno successivamente
raggiunto un'efficienza ancora maggiore, scendendo a una media complessiva che si
aggira sulle tre settimane, e ciò a fronte dei tre mesi per i provvedimenti
79 amministrativi dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di circa un
anno degli arbitrati e degli anni dei processi civili.
Per di più la pronuncia del Giurì è definitiva: una limitazione accettata dagli stessi
operatori pubblicitari proprio per accelerare la soluzione dei casi e avere nel
contempo linee-guida utili per tutti i casi consimili. In una sentenza la Corte
d’Appello di Milano ha statuito che le pronunce del Giurì «non sono suscettibili di
impugnativa davanti al Giudice ordinario, né possono essere da questo sindacate,
ponendosi su di un piano meramente privato e di piena autonomia delle parti»65.
Peraltro rapidità e limiti non hanno nuociuto alla validità delle pronunce, che per
unanime riconoscimento sono di alto livello, quale può essere assicurato da un
collegio giudicante formato da esperti di profonda dottrina e specifica competenza,
tutti esterni all'attività pubblicitaria e posti in condizione di giudicare con assoluta
indipendenza e imparzialità.
La magistratura ordinaria, con l'avvento del sistema autodisciplinare, ha visto
drasticamente diminuire il numero delle cause in questo settore; la quantità di
interventi operati dal sistema autodisciplinare supera quella di numerosi organismi
deputati ad intervenire in materia di pubblicità e ciò a partire dagli anni Ottanta, dopo
che il sistema autodisciplinare, forte di una quindicina d'anni di positiva esperienza,
esprimeva già in larga misura la sua capacità di intervento grazie a norme e procedure
65 App. Milano, 11 giugno 2002 ha ritenuto improponibile la domanda volta all’annullamento, da
parte del Giudice ordinario, di una pronuncia del Giurì che aveva accertato l’imitazione servile
pubblicitaria per agganciamento (art. 13, 2° co. del C.A.P.) a causa dell’uso, di un noto marchio di
vini per pubblicizzare dei gelati.
80 capaci di colmare le falle rappresentate da inadeguate normative e da procedure di
intervento non adeguate alle necessità del settore.
Questa tempistica, sebbene più rapida dell’Autorità giudiziaria, poteva essere
considerata non sufficiente ad arginare i danni causati di una campagna di
comparazione illecita i cui effetti in termini di pregiudizio all’immagine aziendale e
di riduzione delle vendite possono essere potenzialmente gravi.
Per quanto riguarda i rapporti tra il provvedimento autodisciplinare del Giurì e quello
amministrativo dell’Autorità garante si rimanda all’analisi delle norme contenute nel
Codice del Consumo agli artt. 27, 27-bis e 27-ter, introdotti con il d. legisl. 146/07,
che è del tutto speculare a quella contenuta nel d. legil. 145/07 agli artt 8 e 9.
2.2 Codice di Autoregolamentazione tv e minori
Altra iniziativa di autodisciplina ha recentemente riguardato il solo settore dei media.
Infatti, le aziende televisive pubbliche e private e le emittenti televisive aderenti alle
associazioni firmatarie 66 hanno per la prima volta elaborato e sottoscritto a Roma, in
data 26 Novembre 1997, un codice di comportamento nei rapporti fra Tv e minori, il
c.d. “Codice Prodi”.
66 Sottoscritto da RAI (dal Presidente prof. Enzo Siciliano e dal Direttore Generale dott. Franco
Iseppi), da MEDIASET (dal Presidente dott. Fedele Confalonieri), da CECCHI GORI
COMMUNICATIONS (dal Presidente dott. Biagio Agnes), dalla F.R.T – FEDERAZION RADIO
TELEVISIONI (dal Presidente dott. Filippo Rebecchini), da A.E.R.-ASSOCIAZIONE EDITORI
RADIOTELEVISIVI (dal Presidente avv. Marco Rossignoli).
81 L'idea di adottare un Codice di autoregolamentazione per disciplinare il rapporto tra
la televisione e i minori è nata da una doppia esigenza: da un lato quella di una norma
chiara e univoca che ponesse dei criteri vincolanti per tutte le emittenti, dall'altro
quella di conservare intatta la libertà di espressione e di informazione,
costituzionalmente garantita, che si esercita anche nella comunicazione televisiva.
Il nuovo Codice di autoregolamentazione per la TV e i minori è stato firmato il 29
novembre 2002 presso il Ministero delle comunicazioni dai rappresentanti delle
grandi televisioni, quindi da "Rai", "Mediaste" e "La7", oltre che dalle associazioni
che raggruppano centinaia di televisioni minori e locali operanti nel Paese.
Promotore e artefice principale del documento è stato il Ministro delle comunicazioni
Maurizio Gasparri, e non a caso la carta è comunemente definita "Codice Gasparri".
La stesura del testo definitivo è frutto di mesi di lavoro ed ha visto riunita intorno ad
un tavolo una commissione composta dai rappresentanti delle emittenti, degli utenti e
delle associazioni di consumatori, nonché dai delegati delle istituzioni. Essa ha svolto
la sua delicata attività avvalendosi della consulenza di numerosi esperti.
In occasione della firma, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha
inviato una lettera al ministro Gasparri, nella quale afferma che “la società in cui
viviamo è caratterizzata da una forte presenza dei media, che influisce su bambini e
adolescenti. Per evitare i condizionamenti negativi di messaggi distorti, violenti o
mistificati – ha scritto il Capo della Stato - è necessaria una strategia chiara e
consapevole da parte delle istituzioni, a garanzia dei diritti dei minori”. Il ministro
82 delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, ha rilevato che “ora finalmente abbiamo lo
strumento per intervenire in caso di violazioni”.
Il primo aspetto importante di questo Codice può essere individuato nella parte
riguardante la diffusione. Forse sottovalutata in passato, questa rappresenta un
elemento essenziale dell'ordinamento televisivo, in quanto soltanto un'attenta e
continuativa
diffusione
del
Codice
di
autoregolamentazione
permette
il
coinvolgimento dei cittadini, dando loro la possibilità di constatare la corretta
applicazione dello stesso ed eventualmente di denunciarne l'inosservanza, la quale
viene poi di fatto verificata e gestita da un apposito Comitato di controllo. Infatti, il
Codice non si limita alla mera elencazione di norme e principi, ma istituisce anche (e
questa è un'altra rilevante novità del regolamento) un Comitato di attuazione in cui
sono rappresentati pariteticamente i rappresentanti delle emittenti televisive e delle
associazioni sottoscrittrici. Il Comitato ha la funzione di certificare la fondata
esistenza di violazioni del Codice e di trasmettere le relative denunce all'Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni, la quale metterà in atto i poteri sanzionatori previsti
dalla legge. E la sanzione rappresenta un altro aspetto importante introdotto in questo
Codice autoregolamentativo. Infatti l'articolo 10 prevede un'adeguata pubblicità, da
parte sia dell'Autorità, sia del Comitato di applicazione, per le sanzioni inflitte in caso
di violazione.
E' da evidenziare a questo proposito come il Comitato abbia agito, in un primo
tempo, esclusivamente come organo di controllo nei confronti delle emittenti, per la
verifica appunto del rispetto delle norme di autoregolamentazione, ma si sia
83 successivamente trasformato in un necessario ed opportuno punto di incontro e di
confronto tra le aziende televisive e le associazioni, con intenti propositivi di
sensibilizzazione delle istituzioni e dell'utenza sulle problematiche del rapporto tra
TV e minori, nella convinzione generale che le regole del Codice siano "paletti" di
imprescindibile delimitazione della condotta televisiva.
Nel Codice sono quindi previsti maggiori controlli, accertamenti e poteri di
intervento da parte del Comitato, allo scopo di punire le emittenti televisive non in
regola. Inoltre, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni attraverso le
segnalazioni inoltrate dal Comitato può realizzare, in caso di violazioni di legge, la
sua attività sanzionatoria e coercitiva in maniera più spedita e trasparente.
2.2.1. Esegesi delle norme
Come si può ricavare dalla Premessa , il Codice "è rivolto a tutelare i diritti e
l'integrità psichica e morale dei minori, con particolare attenzione e riferimento alla
fascia di età più debole (0-14 anni)", in più le imprese televisive non devono solo
impegnarsi a rispettare la normativa vigente a tutela dei minori, ma anche "a dar vita
a un codice di autoregolamentazione che possa assicurare contributi positivi allo
sviluppo della loro personalità ( dei bambini ) e comunque che eviti messaggi che
possano danneggiarla nel rispetto della Convenzione ONU, che impegna ad adottare
appropriati codici di condotta, affinché il bambino/a sia protetto da informazioni e
materiali dannosi al suo benessere".
84 Le basi su cui si fonda il Codice di autoregolamentazione, indicate nella sua
Premessa , risiedono nella constatazione che "l'utenza televisiva è costituita, specie in
alcune fasce orarie, anche da minori", e che "il bisogno del minore a uno sviluppo
regolare e compiuto è un diritto riconosciuto dall'ordinamento giuridico nazionale e
internazionale". Afferma ancora la Premessa del Codice che "la funzione educativa,
che compete innanzitutto alla famiglia, deve essere agevolata dalla televisione al fine
di aiutare i minori a conoscere progressivamente la vita e ad affrontarne i problemi",
e che "il minore è un cittadino soggetto di diritti; egli ha perciò diritto a essere
tutelato da trasmissioni televisive che possano nuocere alla sua integrità psichica e
morale, anche se la sua famiglia è carente sul piano educativo". Viene infine stabilito
che "riconosciuti i diritti di ogni cittadino-utente e quelli di libertà di informazione e
di impresa, quando questi siano contrapposti a quelli del bambino, si applica il
principio di cui all'art. 3 della Convenzione ONU secondo cui i maggiori interessi del
bambino/a devono costituire oggetto di primaria considerazione".
Nei Principi generali del Codice sono indicate invece le importanti prescrizioni a
carico delle imprese televisive, le quali s'impegnano a:
•
migliorare ed elevare la qualità delle trasmissioni televisive destinate ai minori;
•
aiutare gli adulti, le famiglie e i minori ad un uso corretto ed appropriato delle
trasmissioni televisive, tenendo conto delle esigenze del bambino;
•
collaborare col sistema scolastico per educare i minori ad una corretta e
adeguata alfabetizzazione televisiva;
85 •
assegnare alle trasmissioni per minori del personale appositamente preparato e
di alta qualità;
•
sensibilizzare il pubblico ai problemi della disabilità, del disadattamento
sociale e del disagio psichico in età evolutiva;
•
sensibilizzare ai problemi dell'infanzia tutte le figure professionali coinvolte
nella preparazione dei palinsesti o delle trasmissioni;
•
diffondere presso tutti i propri operatori il contenuto del Codice di
autoregolamentazione TV e minori.
In concreto il Codice è composto di due parti, di cui la prima è quella in cui sono
stabilite le norme di comportamento .
Esse prevedono innanzitutto che la partecipazione dei minori alle trasmissioni
televisive deve avvenire sempre "con il massimo rispetto della loro persona, senza
strumentalizzare la loro età e la loro ingenuità, senza affrontare con loro argomenti
scabrosi e senza rivolgere domande allusive alla loro intimità e a quella dei loro
familiari".
La programmazione televisiva nella fascia c.d. per tutti (dalle 7.00 alle 22.30)
comporta particolari cautele, perché "deve tener conto delle esigenze dei telespettatori
di tutte le età, nel rispetto dei diritti dell'utente adulto, della libertà di informazione e
di impresa, nonché del fondamentale ruolo educativo della famiglia nei confronti del
minore". Nella presunzione che in questa fascia oraria i minori davanti al piccolo
schermo siano presumibilmente controllati da un adulto, le emittenti s'impegnano "a
dare esauriente e preventiva informazione relativamente ai programmi dedicati ai
86 minori e sull'intera programmazione, segnalando in particolare i programmi adatti ad
una fruizione familiare congiunta e quelli invece adatti ad una visione per un
pubblico più adulto" e ciò con particolare attenzione ai programmi messi in onda in
prima serata, tra i quali le imprese televisive nazionali con più di una rete dovranno
necessariamente garantire almeno un prodotto adatto alla visione dell'intera famiglia.
Particolare attenzione è rivolta, poi, sia ai programmi di informazione, che non
devono contenere "scene che, comunque, possano creare turbamento o forme
imitative nello spettatore minore" e "notizie che possano nuocere alla integrità
psichica o morale dei minori", sia ai film, fiction e spettacoli vari, nei quali deve
essere tutelato il benessere morale, fisico e psichico dei minori, sia, infine, alle
trasmissioni di intrattenimento, al cui interno devono essere evitati "quegli spettacoli
che per impostazione o per modelli proposti possano nuocere allo sviluppo dei
minori".
Anche la programmazione della fascia protetta viene disciplinata. La c.d. televisione
per i minori (dalle 16.00 alle 19.00) è infatti tutelata con specifici controlli sulle
trasmissioni, sui promo , sui trailer e sulla pubblicità. In tale contesto, le imprese
televisive nazionali con più di un canale sono obbligate a diffondere, nella suddetta
fascia oraria, prodotti appositamente destinati ai minori, i quali siano "di buona
qualità e di piacevole intrattenimento" e consentano ai minori la formazione di una
coscienza critica, "in modo che sappiano fare migliore uso del mezzo televisivo".
Inoltre il Codice TV incentiva le imprese televisive alla realizzazione di contenuti
87 informativi rivolti ai minori, "possibilmente curati dalle testate giornalistiche in
collaborazione con esperti di tematiche infantili e con gli stessi minori".
Per ciò che riguarda il nostro tema, nella prima parte vi è una analisi specifica ed una
regolamentazione approfondita della Pubblicità al 4° paragrafo. Il Codice si sforza,
infatti, di tutelare quella porzione di pubblico che ha una minore capacità di giudizio
e di discernimento nei confronti dei messaggi pubblicitari, attraverso il
riconoscimento di validità delle norme contenute nel Codice, di autodisciplina
pubblicitaria, che abbiamo precedentemente analizzato e che considera sua parte
integrante. Perciò le reti televisive sono impegnate "a non trasmettere pubblicità e
autopromozioni che possano ledere l'armonico sviluppo della personalità dei minori o
che possano costituire fonte di pericolo fisico o morale per i minori stessi, dedicando
particolare attenzione alla fascia protetta".
Le emittenti, in particolare, devono rispettare, nei loro messaggi pubblicitari, tre
livelli di protezione :
•
il primo, generale (valido per tutte le fasce orarie di programmazione), impone
alle pubblicità di non presentare i minori come protagonisti impegnati in
atteggiamenti pericolosi, di non rappresentarli intenti al consumo di alcool,
tabacco o sostanze stupefacenti, di non abusare della loro naturale credulità per
esortarli ad effettuare acquisti ed infine di non indurli in errore circa le
caratteristiche (quali che esse siano) dei giocattoli reclamizzati;
•
il secondo, rafforzato (valido per le fasce orarie in cui si presume che il
pubblico di minori all'ascolto sia numeroso e supportato dalla presenza di un
88 adulto e cioè dalle 7.00 alle 16.00 e dalle 19.00 alle 22.30), vieta la
trasmissione di pubblicità direttamente rivolte ai minori, che contengano
situazioni di possibile pregiudizio per l'equilibrio psichico e morale dei minori;
•
il terzo, specifico (valido per le fasce orarie in cui si presume che l'ascolto dei
minori non sia supportato dalla presenza di un adulto e cioè dalle 16.00 alle
19.00 ed in tutti i programmi direttamente indirizzati ai minori), prevede
invece la riconoscibilità di qualsiasi comunicazione commerciale mediante
elementi di discontinuità, posti prima, dopo e durante la stessa, ed il divieto di
promozioni
riguardanti
alcool,
servizi
telefonici
a
pagamento
di
intrattenimento e profilattici (con esclusione, per questi ultimi, delle campagne
sociali).
2.2.2. Comitato di Applicazione
La seconda parte del Codice è, invece, dedicata alle norme di diffusione e di
attuazione.
Infatti, le imprese televisive s'impegnano "a dare ampia diffusione al Codice di
autodisciplina attraverso il mezzo televisivo dedicandogli spazi di largo ascolto".
Inoltre quelle firmatarie sono obbligate, con cadenza annuale, a realizzare e
diffondere, tramite spot sulle proprie reti, "una campagna di sensibilizzazione per un
89 uso consapevole del mezzo televisivo con particolare riferimento alla fruizione
familiare congiunta".
Per ciò che concerne l'attuazione, questa è affidata ad un Comitato, costituito da 15
membri effettivi, nominati con decreto dal Ministro delle Comunicazioni d'intesa con
l'Autorità delle comunicazioni, in rappresentanza paritaria delle TV firmatarie, delle
istituzioni e degli utenti. Il presidente è nominato nel medesimo decreto tra i
rappresentanti delle istituzioni, quale esperto riconosciuto della materia.
Il Comitato verifica le presunte violazioni del Codice e qualora ne accerti qualcuna,
"adotta una risoluzione motivata e determina, tenuto conto della gravità dell'illecito,
del comportamento pregresso dell'emittente, dell'ambito di diffusione del programma
e della dimensione dell'impresa, le modalità con le quali ne debba essere data
notizia".
Sempre il Comitato può anche ingiungere all'emittente:
•
"qualora ne sussistano le condizioni, di modificare o sospendere il programma
o i programmi indicando i tempi e le modalità di attuazione";
•
"di adeguare il proprio comportamento alle prescrizioni del Codice indicando i
tempi e le modalità di attuazione".
Tutte le delibere del Comitato sono inoppugnabili. Esse sono in ogni caso comunicate
all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e nell'eventualità che il Comitato
accerti la sussistenza di una violazione delle regole del Codice, oltre ad adottare i
provvedimenti di cui sopra, inoltra una denuncia all'Autorità, in modo che
90 quest'ultima possa esercitare i poteri di sua competenza e cioè, sostanzialmente,
irrogare sanzioni pecuniarie ai network inadempienti.
Infine è importante sottolineare che il Comitato di applicazione del Codice di
autoregolamentazione TV e minori può svolgere la propria attività di vigilanza sia
d'ufficio, sia su denuncia dei soggetti interessati, ovvero di qualsiasi utente-cittadino.
Rispetto al precedente codice c.d. "Prodi" del 1997 sono state rafforzate le sanzioni,
infatti il Comitato di controllo ha il potere, oltre di chiedere all'emittente la modifica
o la sospensione del programma in caso di violazioni, in accordo con l'Autorità
Garante delle Comunicazioni, di irrogare sanzioni come il pagamento di una multa
dai 5 mila ai 20 mila euro, in caso di programmi che possano nuocere allo sviluppo
psichico o morale dei minori o che contengano scene di violenza gratuita o
pornografiche, nonché, in caso di mancata ottemperanza ad ordini e diffide
dell’Autorità in materia di tutela dei minori, anche tenendo conto dei Codici di
autoregolamentazione, di irrogare sanzioni pari al pagamento di una somma da 10
mila a 250 mila euro con, in caso di grave e reiterata violazione, la sospensione o la
revoca della licenza o dell’autorizzazione.
91 Capitolo terzo
IL SISTEMA STATALE
La normativa statale disciplinante il settore pubblicitario attiene prevalentemente, da
un lato a tutelare il consumatore contro l'ingannevolezza della pubblicità, dall'altro a
disciplinare i media.
Per quanto riguarda il primo aspetto la d. CE 05/29 modifica la precedente
prospettiva unitaria della disciplina pubblicitaria presente nel Codice del Consumo e
separa la tutela degli interessi economici dei consumatori dalla tutela di quelli dei
professionisti, col dichiarato intento di perseguire un livello elevato e uniforme di
protezione dei consumatori.
Ai fini della protezione del consumatore, la pubblicità ingannevole non forma più
oggetto di autonoma considerazione, e rientra nel novero delle pratiche commerciali
ingannevoli. Nel sistema delineato dalla direttiva, i professionisti invece ricevono
tutela solo nei confronti della pubblicità ingannevole, nonché della pubblicità
comparativa scorretta. Il sistema delineato dalla direttiva ha ricevuto attuazione in
Italia attraverso due distinti provvedimenti normativi: il d. legisl. 145/2007, e il d.
legisl. 146/2007, che hanno inciso profondamente sul precedente testo normativo.
92 Complessivamente, il merito di tale è comunque quello di avere una portata generale,
in quanto si applica a “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi
modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili e immobili, la
costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi oppure la prestazione di
opere o di servizi”.67
Si tratta quindi, di una normativa che riguarda qualsiasi forma di pubblicità, a
prescindere dal mezzo di diffusione della stessa.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, la disciplina dei media, è in vigore il Decreto
legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo Unico della Radiotelevisione) che
rappresenta un organico coordinamento delle numerose disposizioni precedenti in
materia
Il TUR, oltre alla disciplina del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale,
contiene anche, in forma più razionale e coordinata norme specifiche in tema di
pubblicità televisiva e radiofonica, però, a differenza delle disposizioni sulla
pubblicità in generale, destinatari delle norme sulla pubblicità televisiva sono non
tutti gli operatori pubblicitari ma le emittenti o i fornitori di contenuti aventi la
responsabilità editoriale dei programmi, nei confronti dei quali, in caso d’infrazioni,
si applicheranno le sanzioni di legge.
67 Art. 2 d. lgs. 145/07 Definizioni: “Ai fini del presente decreto legislativo si intende per: a)
pubblicità: qualsiasi forma di messaggio che e' diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di
un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il
trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o
il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi.”
93 Tale disciplina trova la propria fonte nella d. 89/552/CE sul coordinamento delle
legislazioni degli stati membri circa l’esercizio delle attività televisive assoggettò la
pubblicità televisiva a disposizioni specifiche le quali furono riprese a loro volta dall’
art. 8 della l. 6 agosto 1990,n. 223 che a tale direttiva diede attuazione in Italia (la cd.
legge Mammì).
Prima di passare all'esame della specifica normativa, va avvertito dunque che, a
differenza delle altre norme sulla pubblicità i cui principali destinatari sono le
imprese utenti e le agenzie pubblicitarie, le disposizioni riguardanti la comunicazione
radiotelevisiva sono invece indirizzate alle emittenti. Questo non significa tuttavia
che inserzionisti ed agenzie possano disinteressarsene, visto che le emittenti, proprio
perché coinvolte in prima persona, esercitano un controllo rigoroso onde evitare di
subire sanzioni per fatti imputabili a soggetti terzi.
Per quanto attiene alle forme di controllo, l'autorità competente varia a seconda della
normativa a cui si fa riferimento: per il Codice del Consumo, come modificato dai
decreti legislativi 145 e 147 del 2007, ha competenza ad intervenire l'Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) 68, in materia di pubblicità
radiotelevisiva l'organo che vigila sul corretto rispetto delle norme presenti nel Testo
Unico della Radiotelevisione è l'Autorità Garante per le Comunicazioni (Authority).
69
68 Indicata anche con la sigla AGCM, istituita con l'art.10 della Legge 10/10/90 n.287.
69 Istituita con la Legge 31 luglio 1997, n. 249. Ha sostituito il precedente Garante per la
Radiodiffusione e l'Editoria.
94 La presenza di due organismi statali si spiega esaminando nel dettaglio le
caratteristiche delle leggi precedentemente indicate.
Il Codice del Consumo e il d. lgs 145/07 disciplinano i contenuti della pubblicità,
individuano gli ambiti di ingannevolezza della stessa, e sono rivolti a chiunque
partecipa attivamente alla creazione e diffusione di un messaggio pubblicitario. I
destinatari del decreto quindi, sono i committenti, le agenzie pubblicitarie e i tutti i
mezzi di comunicazione (stampa, emittenti televisive e radiofoniche, concessionarie
di spazi di affissione, sale cinematografiche, ecc.).
Il TUR si riferisce alla sola pubblicità diffusa attraverso la radio e la televisione (e
quindi non riguardano le inserzioni sulla stampa, le affissioni, la cartellonistica, ecc.)
e inoltre è rivolto esclusivamente alle emittenti. Detto questo, la ripartizione delle
reciproche competenze è netta, ove si consideri che l'Antitrust vigila sui contenuti
della pubblicità, mentre l'Authority controlla il rispetto delle norme sugli inserimenti
della pubblicità nei programmi.
Tuttavia, per quanto riguarda i contenuti della pubblicità radiotelevisiva la situazione
è più controversa poiché essi vengono regolati anche da alcune disposizioni del TUR.
Nel caso di uno spot, o anche di una telepromozione, dunque, si potrebbe prospettare
l'eventualità di un intervento da parte di entrambe le autorità. Tale circostanza, induce
a supporre, in un'ipotesi estrema, che, un'emittente televisiva, per aver diffuso una
pubblicità suscettibile di urtare la sensibilità dei minori, potrebbe eventualmente
essere sottoposta alle decisioni dell'Antitrust, dell'Authority, del Giurì, nonché del
Comitato per il controllo del Codice “Tv e minori”. Una eventualità del genere viene
95 tuttavia scongiurata dalla presenza di un coordinamento tra le due autorità statali, e
dalla possibile sospensione del procedimento davanti all'A.G.C.M. qualora siano già
intervenuti gli organi autodisciplinari, che disciplineremo meglio in seguito.
Non sembra invece esistere un problema di coordinamento fra le competenze
dell'Autorità garante e le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, quali attualmente disciplinate dal d. legisl. 31 luglio 2005,n. 177
(Testo unico della radiotelevisione). Nonostante la parziale coincidenza delle
disposizioni sostanziali materia di pubblicità contenute nell’art.4 c.1 del testo unico
(divieto di pubblicità non riconoscibile come tale;divieto di pubblicità suscettibile di
nuocere allo sviluppo fisico,psichico e morale dei minori) con quelle contenute nel
nuovo codice del consumo e nel decreto legislativo in esame, non va dimenticato che
il testo unico della radiotelevisione contiene una normativa di carattere settoriale, che
si applica soltanto nei confronti delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di
programmi, mentre il codice del consumo ha portata generale. Non si pone quindi un
problema di conflitto di competenze, ma eventualmente solo un problema di diversa
valutazione della medesima fattispecie privo di diretta rilevanza sul piano giuridico.
3.1 Codice del Cosumo e decreti legislativi 145 e 146 del 2007
3.1.1 Gli interventi in materia ad opera del decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146
96 Il Codice “riassetta in modo sistematico le numerose leggi a tutela del consumatore”
70 allo scopo di raccogliere in una compilazione unitaria le diverse norme di tutela
del consumatore, operando un riordino sistematico ed una semplificazione
formale,coordinando e aggiornando le disposizioni in materia, verificandone la
rispondenza ai principi del diritto comunitario,eliminando le incoerenze e le
sovrapposizioni tra le diverse regole derivanti da distinte direttive comunitarie.
La ratio della normativa a tutela del consumatore è individuata da parte di taluni
autori nell'esigenza di tutela di contraente debole. 71 Altra parte della dottrina ritiene
invece che la giustificazione teorica della normativa sui consumatori, quale
regolamentazione dei mercati finali, risieda nella peculiare finalità perseguita col
contratto; dunque,più che nella qualificazione soggettiva del soggetto, nello scopo
negoziale concreto dell'operazione, quello del consumo finale privato: in altre parole
non nella tutela del contraente debole, ma nella disciplina dell'atto di consumo. 72
Ancora una volta deve escludersi che l'intervento sia connotato da intenzioni
paternalistiche di tutela del contraente debole, essendo invece la normativa funzionale
alla tutela del bene giuridico della concorrenza tra le imprese, la cui crescita, o la cui
fuoriuscita dal mercato, deve collegarsi a scelte riconducibili alla sovranità del
consumatore.
Gli articoli da 19 a 27 riproducevano integralmente, prima della riforma, salvo alcuni
adattamenti di carattere formale, il contenuto degli articoli da 1 a 8 del d. legisl
70 Relazione governativa al d. legisl. n. 206/2005.
71 Buonocore, Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, p. 1.
72 Oppo, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, p. 669.
97 74/1992 (con il quale era stata data attuazione alla d. CEE 84/450 in materia di
pubblicità ingannevole), così come modificato dal d. legisl. 67/2000 (emanato in
attuazione della d.CE 97/55 sulla pubblicità comparativa) nonché dalla l.49/2005. La
normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa era confluita nel codice del
consumo,insieme a molte altre disposizioni in materia di tutela dei consumatori,in
forza della delega contenuta nell'art. 7 l. 229/2003.
L'intera materia è stata profondamente modificata, a livello comunitario, dalla d. CE
05/29 sulle pratiche commerciali sleali che, nell'intento di conseguire “un livello
elevato di tutela dei consumatori mediante l'armonizzazione delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche
commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori” (art.1), disciplina
analiticamente la pubblicità ingannevole come pratica commerciale sleale nei rapporti
fra impresa e consumatori (artt.6-7).
L’attuale capo II del titolo III del Codice del consumo (art. da 18 a 27 – quater) è
stato introdotto con il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146, in vigore dal 21
settembre 2007 e recante le norme di recepimento della d. CE 29/2005, “relativa alle
pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”,
ridenominate dal nostro legislatore “pratiche commerciali scorrette”.
Dal 23 ottobre 2005 al 21 settembre 2007 il titolo III del Codice del consumo aveva
ospitato la normativa in materia di pubblicità ingannevole e comparativa a tutela di
qualsiasi soggetto, consumatore o impresa, ente pubblico o privato, che potesse
derivarne un pregiudizio. Con la novella introdotta dal d. legisl. 146/2007 tale
98 normativa è stata sostituita dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette e
aggressive tra professionisti e consumatori, nel cui estesissimo ambito rientra anche
la pubblicità ingannevole e comparativa, purché posta in essere da professionisti nei
confronti di consumatori. La tutela dei professionisti verso la pubblicità ingannevole
e nei confronti di quella comparativa scorretta è invece oggi demandata al d. legisl.
145/2007.
Tale scelta è derivata dal mutamento di prospettiva adottato in sede comunitaria: la
citata d. CE 05/29, all’art. 3, ha infatti distinto soggettivamente le pratiche
commerciali sleali, praticate da professionisti e incidenti sugli interessi economici di
consumatori, ora sanzionate nel Codice del Consumo, dalla disciplina della pubblicità
ingannevole, il cui campo di applicazione risulta quindi limitato alla pubblicità che
reca pregiudizio alle imprese concorrenti ma non ai consumatori.
L’art. 21 disciplina le Azioni ingannevoli e ai commi 3 e 4 detta disposizioni che
rilevano per la tutela del minore e che interessano direttamente la nostra analisi: “…3.
E' considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti
suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette di
darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di
prudenza e vigilanza.
4. E' considerata, altresi', scorretta la pratica commerciale che, in quanto
suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, puo', anche indirettamente,
minacciare la loro sicurezza”.
99 Tali disposizioni non trovano un antecedente nella direttiva e rappresentano una
peculiarità della legislazione italiana. Essi ripropongono fattispecie che erano previste
come ipotesi di pubblicità ingannevole dal d. legisl. 74/1992 e dallo stesso Codice del
Consumo fino alla novella del 2007, precisamente negli articoli 24 e 25 73,
riguardanti rispettivamente la Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la
sicurezza dei consumatori e le norme a tutela di Bambini e adolescenti, ma ne
estendono l’applicabilità ad ogni condotta riconducibile all’ampia nozione di pratica
commerciale, comprensiva non solo di iniziative poste in essere anteriormente ad una
operazione commerciale, come nel caso della pubblicità, ma anche durante e dopo
tale operazione.
In relazione alla pubblicità di prodotti che possono comportare un pericolo per il
consumatore, l’AGCM, sotto il vigore della normativa precedente,ha evidenziato
come assuma rilievo il nesso causale fra il possibile comportamento imprudente dei
consumatori e la capacità del messaggio di indurre tale condotta, attraverso l’omessa
informazione su pericoli non immediatamente riconoscibili, ovvero per mezzo di
affermazioni rassicuranti o attributive di particolari qualità al prodotto e tali che, in
73 Ex ART. 24 Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori
1.E' considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo
la salute e la sicurezza dei consumatori,ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a
trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza.
Ex ART. 25 Bambini e adolescenti
1. E' considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed
adolescenti, possa, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza o che abusi della loro naturale
credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi
pubblicitari [salvo il divieto di cui all’art. 10, c.3, della l. 3 maggio 2004 n. 112] abusi dei naturali
sentimenti degli adulti per i più giovani.
100 mancanza dell’intervento pubblicitario, il comportamento del consumatore sarebbe
presumibilmente improntato a maggior cautela. 74
Il comportamento del professionista idoneo ad indurre nel consumatore una condotta
imprudente, ma che si verifichi in un momento diverso dalla presentazione e
pubblicità del prodotto, potrebbe riguardare, ad esempio, il caso di istruzioni per
l’utilizzo del bene, consultabili dopo il suo acquisto, e prive delle necessarie
informazioni precauzionali.
Ritorneremo sul tema in materia di pubblicità di prodotti pericolosi, specialmente per
quanto riguarda i minori, nell’analisi dell’art. 6 del d. legisl. 146/07 e all’art. 7 per
quanto riguarda le ipotesi di pubblicità che possa minacciare la sicurezza di bambini
ed adolescenti: tali articoli riproducono, infatti, letteralmente gli art. 24 e 25 del
vecchio Codice del Consumo.
Per ciò che a noi qui interessa, secondo la giurisprudenza dell’AGCM formatasi
quando il precetto di cui al c. 4 dell’art. 21 riguardava la sola pubblicità, il
presupposto della norma è rinvenibile nell’opportunità di assicurare una tutela
rafforzata ai più giovani, quali potenziali destinatari di messaggi promozionali idonei
a danneggiarli psichicamente, o che, facendo leva sullo spirito emulativo dei minori,
possa indurli a tenere comportamenti pericolosi per la incolumità fisica.
L’ambito di applicazione della norma, coerentemente con la sua formulazione,
comprendeva non solo la pubblicità diretta ai minori ma anche quella da questi
fruibile, sebbene destinata ad un pubblico adulto. L’estensione della fattispecie ad
74 AG n. 15526, Boll. 21/06; n. 11320, ivi 42/02; n. 8733, ivi 3/00.
101 ogni attività riconducibile alla nozione di pratica commerciale è stata attuata dal
legislatore mantenendone inalterata la condizione di applicabilità, cioè la possibilità
di raggiungere i minori.
Tuttavia, se è chiaro cosa debba intendersi per pubblicità “suscettibile di raggiungere
bambini ed adolescenti”, la stessa espressione risulta invece piuttosto nebulosa
quando riferita ad una pratica commerciale diversa dall’attività pubblicitaria
Tenendo a mente la definizione di “pratica commerciale scorretta” 75, è ipotizzabile
che possano rappresentare una minaccia per la sicurezza dei più giovani determinate
dichiarazioni, del professionista, quali quelle che compaiono o dovrebbero comparire
sulle istruzioni per uso corretto del prodotto, ivi compresi quelle per beni destinati
agli adulti, ma che possono occasionalmente venire nella disponibilità dei minori.
Il nuovo art. 26 fa ora riferimento all’altra categoria di pratiche commerciali
scorrette: le “Pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive”: “Sono
considerate in ogni caso aggressive le seguenti pratiche commerciali:……e) salvo
quanto previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e successive
modificazioni, includere in un messaggio pubblicitario un'esortazione diretta ai
bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i
prodotti reclamizzati…”.
Questo articolo, che riproduce pressoché integralmente i paragrafi da 24 a 31 dell’all.
I alla d. CE 05729 cui si è soliti riferirsi come “lista nera”, fornisce, pur se un po’ alla
75 Art. 20 Divieto delle pratiche commerciali scorrette “…. c. 2. Una pratica commerciale e'
scorretta se e' contraria alla diligenza professionale, ed e' falsa o idonea a falsare in misura
apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che
102 rinfusa, un’articolata casistica di pratiche commerciali considerate in ogni caso
aggressive.
Le figure d’illecito contemplate attengono a diversi momenti del rapporto impresaconsumatore, riflettendo in alcuni casi situazioni che trovano un riscontro in norme
preesistenti ed in altri fattispecie del tutto nuove.
Per quanto ci riguarda, la pratica aggressiva consistente nella pubblicità che esorta i
bambini a convincere gli adulti nell’acquisto (lett. e), risultava già vietata in
precedenza in termini generali dal vecchio art. 25 del Codice del Consumo ed è
inoltre censurata dall’art. 11 c. 3 del C.A. La norma fa anche riferimento al decreto
legisl. 31 luglio 2005, n. 177 (il "Testo unico della radiotelevisione") e ne fa salve le
rispettive disposizioni in materia.
Nuovo, per contro, il divieto di esortare i bambini all’acquisto, il quale parrebbe
sancire la proibizione di qualsiasi pubblicità ad essi rivolta.
Si precisa che norma analoga è contenuta nell’art.31, che vieta di esortare i minori
all’acquisto nelle televendite.
Come il titolo rende palese 76, tale articolo persegue la finalità di proteggere i minori
di età da talune conseguenze negative specificamente riferibili alle televendite; ma
essa raggiunge o al quale e' diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica
commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori…”
76 Tutela dei minori. La televendita non deve esortare i minorenni a stipulare contratti di
compravendita o di locazione di prodotti e di servizi.
La televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni e deve rispettare i
seguenti criteri a loro tutela:
a) non esortare i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la
credulita';
b) non esortare i minorenni a persuadere genitori o altri ad acquistare tali prodotti o servizi;
103 stante le numerose norme a tutela del minore offerte dalle normative in tema di
televisione e di pubblicità, era inevitabile anche qui una sovrapposizione con norme
già esistenti ed operanti non solo per le televendite ma per qualsiasi tipo di
comunicazione commerciale.
Ciò è a dirsi anzitutto per il principio generale secondo cui “la televendita non deve
arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni”, che si trova già enunciato sul
piano generale fra quelli fondamentali garantiti dalla disciplina del sistema
radiotelevisivo negli artt. 3 e 4 c. 1 lett b) e c) d. legisl. 177/05 (TUR) e a cui fa
riscontro, sul piano autodisciplinare, con specifico riferimento alla pubblicità, l’art.
11 c. 2 C.A.
Inoltre, sia l’abuso dell’inesperienza e credulità dei minorenni, sia il mostrarli in
situazioni pericolose così mettendone a repentaglio la sicurezza, cadono già sotto il
generale divieto dell’art. 7 del nuovo Codice del Consumo, che li equipara alla
pubblicità ingannevole.
Può infine aggiungersi, pur se la norma in esame non ne fa cenno, che anche le
televendite, al pari delle altre forme di comunicazione commerciale, sono tenute
all’osservanza delle disposizioni a tutela dei minori di cui al Codice di
autoregolamentazione tv e minori 2002, in particolare con riguardo alle varie fasce
orarie di programmazione.
c) non sfruttare la particolare fiducia che i minorenni ripongono nei genitori, negli insegnanti o in
altri;
d) non mostrare minorenni in situazioni pericolose.
104 Di maggior spicco è invece la disposizione di apertura della norma in esame, secondo
cui, anche al di fuori delle situazioni di sfruttamento dell'inesperienza o della fiducia
dei minori verso gli adulti, “la televendita non deve esortare i minorenni a stipulare
contratti di compravendita o di locazione di prodotti o di servizi”. Poiché qualsiasi
pubblica offerta di vendita, tanto più se attuata nelle forme in cui di solito si attua
quella radiotelevisiva, comporta una esortazione ad aderirvi, una interpretazione
rigorosa del disposto sembra indurre a concludere che esso proibisce nella sostanza le
televendite rivolta ai minori. Ma poiché questi ultimi, in quanto privi di capacità di
agire, non potrebbero comunque stipulare il contratto cui l'offerta è finalizzata, la
portata del divieto ne viene in pratica notevolmente ridimensionata.
3.1.2 Decreto legislativo 2 agosto2007, n. 145 – Modifica della direttiva
84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole
Il d. legisl. 145/2007 costituisce attuazione dell’art. 14 della d. CE 05/29, il quale ha
modificato la d. CEE 84/450 espungendo dalla stessa qualunque riferimento alla
tutela del consumatore e degli interessi del pubblico dalla pubblicità ingannevole, e
limitandone lo scopo alla tutela dei soli professionisti. Nell’ordinamento italiano, la
disciplina della pubblicità ingannevole era originariamente contenuta nel d. legisl.
74/1992 (con il quale era stata data attuazione della d. CE97/55 sulla pubblicità
comparativa), nonché dalla l. 49/2005, che era intervenuta sulla parte sanzionatoria.
La normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa era successivamente
105 confluita nel codice del consumo (art. 19 – 27). Il d. legisl. 74/1992 aveva introdotto
nel nostro ordinamento un divieto generale di pubblicità ingannevole, segnando il
passaggio da un’ottica esclusivamente privatistica a un’ottica anche pubblicistica
nella considerazione del fenomeno, finalmente disciplinato in ragione delle
particolarità sue proprie. Un unico provvedimento legislativo assicurava quindi la
repressione della pubblicità ingannevole, nell’interesse generale e in quello di tutte le
categorie di soggetti presenti sul mercato, sul presupposto – accolto dalle premesse
della direttiva 84/450/CEE – che la pubblicità ingannevole possa avere effetti
distorsivi della concorrenza e dunque pregiudicare sia gli interessi economici dei
consumatori, sia quelli dei professionisti. Come abbiamo già evidenziato, la d. CE
05/29 modifica radicalmente tale prospettiva, e separa la tutela degli interessi
economici dei consumatori dalla tutela di quelli dei professionisti, col dichiarato
intento di perseguire un livello elevato e uniforme di protezione dei consumatori. Ai
fini della protezione del consumatore, la pubblicità ingannevole non forma più
oggetto di autonoma considerazione, e rientra nel novero delle pratiche commerciali
ingannevoli. Nel sistema delineato dalla direttiva, i professionisti invece ricevono
tutela solo nei confronti della pubblicità ingannevole, nonché della pubblicità
comparativa scorretta. Il sistema delineato dalla direttiva ha ricevuto attuazione in
Italia attraverso due distinti provvedimenti normativi: il d. legisl. 145/2007, e il d.
legisl. 146/2007.
L’art. 1 riproduce il testo dell’art 19 del Codice del Consumo prima della riforma ad
opera del d. legisl. 146/2007 e indica qual è la Finalità del decreto: “Le disposizioni
106 del presente decreto legislativo hanno lo scopo di tutelare i professionisti dalla
pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonche' di stabilire le
condizioni di liceità della pubblicità comparativa”.
Il recepimento della d. CEE 84/450, attuato con d. legisl. 74/1992 il cui contenuto è
stato successivamente trasfuso nel codice del consumo, ha introdotto nel nostro
ordinamento un divieto generale di pubblicità ingannevole, e ha segnato il passaggio
da un'ottica esclusivamente privatistica (di matrice concorrenziale o contrattuale) a
un'ottica anche pubblicistica nella considerazione del fenomeno, finalmente
disciplinato in ragione delle particolarità sue proprie: ciò in conformità a quanto da
tempo andava chiedendo parte della dottrina, che rilevava l'inadeguatezza, ai fini
della repressione del mendacio pubblicitario, dei tradizionali strumenti volti ad
assicurare la libertà del consenso nelle contrattazioni individuali. 77
La pubblicità ingannevole è quindi repressa nell'interesse generale e in quello di tutte
le categorie di soggetti presenti sul mercato,sul presupposto - accolto dalle premesse
della direttiva - che la pubblicità ingannevole possa avere effetti distorsivi della
concorrenza e dunque pregiudicare sia i consumatori che gli imprenditori. Tale
presupposto non cambiato a seguito dell'approvazione della d. CE 05/29 sulle
pratiche commerciali sleali, il cui scopo è, dichiaratamente, quello di superare gli
ostacoli al commercio infracomunitario determinanti dalle differenze esistenti fra le
varie normative nazionali in materia di tutela dei consumatori.
77 Vanzetti, Riv. dir. civ., 1964, p. 608.
107 Il primo comma dell'art.19 enunciava lo scopo delle disposizioni contenute nel capo
II, ed appariva ricalcato pedissequamente sull'art.1 della direttiva 84/450/CEE: scopo
della normativa era quello di assicurare una generalizzata tutela della collettività
contro la pubblicità ingannevole.
Mentre la norma comunitaria menzionava in primo luogo il consumatore, e solo al
secondo posto “le persone che esercitano un'attività commerciale,industriale o
artigianale”, il che ha condotto taluno a concludere per la centralità dell'interesse del
consumatore nell'ottica adottata dal legislatore comunitario, l'ordine adottato dalla
norma nazionale era esattamente inverso. Non pareva peraltro da condividersi
l'opinione di chi ravvisava importanza solo secondaria ed accessoria alla tutela degli
interessi del consumatore e del pubblico in generale. Più corretto sembrava invece
parlare di una equiparazione da parte del legislatore nazionale dell'interesse del
consumatore e di quello dei soggetti che svolgono un'attività economica, protetti il
primo contro “la pubblicità ingannevole”, i secondi contro le sue “conseguenze
sleali”.
Per quanto riguarda “gli interessi del pubblico nella fruizione dei messaggi
pubblicitari”e in che cosa consistono tal “interessi”, i quali rappresentavano
un'innovazione introdotta dalla normativa nazionale rispetto alla direttiva, potevano
forse stare alla base delle norme che disciplinavano la pubblicità dei prodotti
pericolosi (art.24) e quella suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti (art.25),
le quali quindi configuravano, al di là del testuale riferimento alla pubblicità
108 ingannevole, in esse contenuto, tanti autonomi interessi di contenuto diverso rispetto
a quello primariamente preso in considerazione dal decreto legislativo in esame.
Tale disposizione, come trasfusa nell’art. 1 del Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n.
145 di "Attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la
direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole" non menzione più né il
consumatore, né gli interessi del pubblico nella fruizione dei messaggi pubblicitari,
ma si occupa solo dei professionisti, come evidenziato dalla suddivisione operata
dalla nuova riforma.
La disposizione secondo la quale la pubblicità deve essere “palese, veritiera e
corretta” era assente da entrambe le direttive.
La definizione di pubblicità contenuta nella norma in esame è sostanzialmente
identica a quella già adottata dall’art. 20. lett. a d. legisl. 206/2005 e, prima ancora,
dall’art. 2. lett. a d. legisl. 74/1992, tutte costruite sulla falsa riga della definizione
offerta dall’art. 2 lett. a d. CEE 84/450 (ora art. 2 lett. a) d. CE 06/114, dalla quale
tuttavia si discostano per una certa maggior chiarezza, che ha condotto alla
sostituzione
e alla completa rielaborazione dell’ultima parte della definizione
comunitaria (“allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni
immobili, i diritti e gli obblighi”).
La nozione di pubblicità che emerge da tale definizione è estremamente ampia e
coincide sostanzialmente con quella offerta dalle raccolte degli usi in materia
pubblicitaria accertati da alcune Camere di commercio.
109 Perché un messaggio sia qualificato come pubblicità, è necessario che esso sia diffuso
nell'esercizio di un'attività economica, e che persegua come scopo primario e diretto
la promozione di beni o servizi. 78
La normativa sulla pubblicità ingannevole è pertanto applicabile anche all'impresa
che operi in condizioni di monopolio legale e all'impresa pubblica che solleciti il
pagamento di un tributo che costituisce parte rilevante del suo bilancio con
riferimento alla pubblicità per il pagamento del canone RAI.
Non rientra invece nella nozione di pubblicità accolta dalla normativa in materia di
pubblicità ingannevole la comunicazione non promanante da un operatore economico
che sia volta a promuovere un'iniziativa senza fine di lucro: AG n.6720, ivi 51/98,
con riferimento alla pubblicità di un'associazione no profit volta a sensibilizzare il
pubblico sull'importanza della diagnosi precoce dei tumori,con la quale si offriva
anche una visita di controllo gratuita. Non rientrano nella nozione di pubblicità
neppure gli annunci finalizzati alla ricerca di personale. A maggior ragione non
rientra nella nozione di pubblicità la comunicazione a contenuto politico, ideologico
o religioso.
L'unico limite è proprio quello che emerge da tale definizione, che non permette
l’applicabilità della normativa in esame alla comunicazione non commerciale (come
la pubblicità sociale) perché priva di finalità commerciali e perché non proviene da
un «operatore economico». Il che consente di affermare che non rientrano nella
nozione di pubblicità le comunicazioni delle amministrazioni dello Stato e degli enti
78 AG n. 15447, Boll. 18/06; n. 12085, ivi 23/03; n. 12064, ivi 22/03.
110 pubblici non economici, delle Regioni, Provincie e Comuni, dei partiti, dei candidati
politici, delle autorità e movimenti religiosi, dei gruppi di opinione e di ogni altro
similare aggregato non esercente un'attività economica con fine di lucro. 79
L’art. 5 ha contenuto identico all’art. 23 del vecchio Codice del Consumo ed enuncia
quel principio basilare in materia di pubblicità, che abbiamo già trovato nell’art. 7 del
CA. 80, il principio di Trasparenza della pubblicità: “La pubblicità deve essere
chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo di stampa deve essere
distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di
evidente percezione. I termini «garanzia», «garantito» e simili possono essere usati
solo se accompagnati dalla precisazione del contenuto e delle modalità della
garanzia offerta. Quando la brevità del messaggio pubblicitario non consente di
riportare integralmente tali precisazioni, il riferimento sintetico al contenuto ed alle
modalità della garanzia offerta deve essere integrato dall'esplicito rinvio ad un testo
facilmente conoscibile dal consumatore in cui siano riportate integralmente le
precisazioni medesime. E' vietata ogni forma di pubblicità subliminale”.
Una ipotesi particolare di riconoscibilità della natura pubblicitaria del messaggio ha
riguardo al caso delle telepromozioni inserite in programmi televisivi per bambini.
Sul punto l'Autorità ha chiarito che la valutazione della trasparenza della pubblicità
rivolta ai minori deve essere svolta con particolare riguardo agli elementi di contesto
79 Fusi - Testa, Diritto e Pubblicità, Lupetti Editore, Milano 1996, cit. pag.51.
80 Lo stesso fine è rinvenibile nel “Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e
televendite” (delibera n. 538/01/CSP del 26 luglio 2001) all’ art. 3 comma 4 “I messaggi
pubblicitari, incluse le telepromozioni e le televendite, in qualsiasi forma trasmessi, non possono
essere presentati dal conduttore del programma in corso nel contesto dello stesso. Nella pubblicità
111 ed ai protagonisti che compaiono nei due momenti - quello dello spettacolo e quello
della telepromozione - per verificare se sussista uno “stacco” sufficiente ad essere
percepito anche dai più piccoli, non essendo sufficiente ai sensi della norma in esame
il
rispetto di elementi formali come l'inserimento della dicitura “messaggio
promozionale” che il d.m 581/1993 prescrive di visualizzare per tutta la durata della
telepromozione. 81
In concreto, è stata giudicata riconoscibile la telepromozione allorché la sua
autonomia rispetto alla circostanza di essere preceduta da una serie di spot, di essere
ambientata in studi diversi da quelli del programma di intrattenimento, di essere
condotta da personaggi che non comparivano nello spettacolo 82, mentre la
mancanza di questi elementi di discontinuità rispetto allo spettacolo è stata ritenuta
motivo di violazione della disposizione in commento anche in presenza della dicitura
“messaggio pubblicitario”.
La norma in esame è sostanzialmente identica a quella già adottata dall’art. 23. lett. a
d. legisl. 206/2005
L’art. 6 disciplina la Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza: “E'
considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre
in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori,ometta di darne notizia in modo
da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza”.
diffusa prima o dopo i cartoni animati non possono comparire i personaggi dei medesimi cartoni
animati”.
81 AG n. 7350, Boll. 26/99;n.7349, ibidem; n.7240, ivi 21/99.
82 AG n.7350 e n. 7240, cit.
112 La norma è stata originariamente introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 5 del d.
legisl.74/1992 (cd. Legge sulla pubblicità ingannevole) di attuazione della d. CE
84/450, e nel 2005 trasfusa nel Codice del Consumo all’art. 24, dove è rimasta fino al
21 settembre 2007. Nella versione adottata dal d. legisl. 145/2007 il riferimento,
originariamente presente sia nella rubrica che nel testo della norma, alla salute e
sicurezza “dei consumatori”, è stato sostituito dal richiamo alla salute e sicurezza “dei
soggetti che essa raggiunge”. La modifica è coerente con la finalità del d. legisl.
145/2007, che non sono più quelle di tutelare i consumatori dall’inganno
pubblicitario, bensì i professionisti “dalla pubblicità ingannevole e dalle sue
conseguenze sleali”. La norma sarà pertanto applicabile sia quando il soggetto tratto
in inganno è un professionista, sia quando, pur essendo il consumatore la vittima
immediata del messaggio pubblicitario, possa derivarne, in capo al concorrente del
professionista che ha diffuso il messaggio, un pregiudizio qualificabile come
conseguenza sleale del mendacio, come ad esempio lo sviamento di clientela
potenziale. Una disciplina della pubblicità per prodotti pericolosi non era prevista
nella d. CE 84/450, alla cui attuazione si deve la prima versione della norma in
commento.
La fonte ispiratrice della disposizione è stata individuata nell'art.12 C.A., da noi
ampiamente discussa nel precedente capitolo, pur rilevando che la norma
autodisciplinare prescrive, oltre ad un obbligo positivo d'informazione analogo a
quello previsto dalla norma in esame, un divieto di indurre i consumatori a trascurare
le normali regole di prudenza attraverso la proposizione pubblicitaria di modelli
113 comportamentali pericolosi, che invece mancava nell'art. 5 d. legisl.74/1992, nell'art.
24 d. legisl. 206/2005 e manca nell’art. 6 d. legisl.145/2007.
Prodotti pericolosi e pubblicità pericolosa. La norma delinea una fattispecie di illecito
per il quale non è sufficiente la sola reticenza sulla pericolosità, ma occorre anche un
nesso di casualità tra la omessa informazione e la induzione a trascurare le normali
regole di prudenza e vigilanza. L'onere informativo imposto dalla disposizione in
esame è volto ad avvertire dei pericoli derivanti da un uso normale o ragionevolmente
prevedibile del prodotto, in quanto non immediatamente percepibili 83 e non dei
rischi derivanti da utilizzi impropri.
L'autorità Garante ha identificato alcune categorie di prodotti astrattamente
suscettibili di rientrare nel campo di applicazione della norma. 84
Per l’Autorità ciò che rileva – conformemente al dettato della norma in commento – è
il nesso causale tra il probabile comportamento imprudente dell’utilizzatore e la
capacità del messaggio di indurre in tale condotta, attraverso l’omessa informazione
circa pericoli non immediatamente riconoscibili nell’uso del bene o del servizio
pubblicizzato, ovvero per mezzo di affermazioni rassicuranti circa l’assenza di rischi
nella fruizione di beni o servizi o attributive a questi di proprietà in realtà non
possedute, tali che, in mancanza dell’intervento pubblicitario, il comportamento
dell’utilizzatore sarebbe presumibilmente improntato a maggior cautela.
83 AG n. 8077, Boll. 8/00.
84 Bevande alcoliche: AG 5174, Boll. 26/97; n. 5142, ibidem; n. 2808, ivi 7/95; medicinali: AG
n.2834, ivi 8/95; prodotti dell'elettricità: AG N. 6791, ivi 1/99.
114 È significativa la circostanza che l'Autorità abbia ritenuto non in contrasto con la
norma in esame la pubblicità per automobili e motocicli che ne enfatizzava le doti di
velocità o mostrava un uso acrobatico del mezzo, sul presupposto che la pericolosità
dei veicoli a motore conseguente ad un loro utilizzo imprudente è ben nota ai
consumatori e che pertanto i rischi per la sicurezza derivanti da tale uso improprio
non potrebbero essere imputabili ad omissioni informative della relativa pubblicità.
Per contro sono stati giudicati idonei ad indurre inosservanza delle regole di prudenza
che vanno adottate alla guida di un veicolo un annuncio a favore di un corso di
guida, in quanto suscettibile di creare il falso convincimento che la sola visione di un
video consenta di acquisire l'abilità necessaria per fare nuove manovre spericolate. 85
Prodotti oggettivamente non pericolosi. La pubblicità di prodotti che, nel loro
impiego normale e prevedibile, non possano ritenersi pericolosi, non è soggetta
all'onere informativo supplementare imposto dalla disposizione in commento. In
diverse occasioni l’Autorità ha applicato questo principio per la pubblicità di prodotti
che, anche se privi qualità o efficacia vantate, non erano idonei oggettivamente a
porre in pericolo la sicurezza dei consumatori, né erano presentati attraverso
comunicazioni idonee a stimolarne un uso improprio. Fra le tante, una merendina che
conteneva una quantità minima di caffeina, dannosa solo in caso di un consumo
esagerato ed improbabile del prodotto, che comunque la pubblicità non suggeriva. 86
La norma centrale del nostro lavoro è l’art. 7, che alla rubrica menziona proprio:
Bambini e adolescenti: “E' considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto
85 AG n. 4485, Boll. 49/96.
115 suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale
credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in
messaggi pubblicitari, fermo quanto disposto dall'articolo 10 della legge 3 maggio
2004, n. 112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani.
E' considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere
bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza”.
L’art. 7 origina dall’art. 6 d. legisl. 74/1992 (cd. Legge sulla pubblicità ingannevole),
dal quale nel 2005 è stato trasfuso nel Codice del Consumo all’art. 25, rimanendovi
fino al 21 settembre 2007, data di entrata in vigore del d. legisl.145/2007. Il richiamo
all’art. 10 . c. 3, l. 112/2004 87 è stato inserito nella norma in occasione della sua
collocazione nel Codice del consumo. La disposizione richiamata prevedeva il divieto
di “impiego dei minori di anni quattordici” per “ messaggi pubblicitari e spot”
televisivi e radiofonici. Tale divieto è stato espressamente abrogato dall’art.1 lett. c, l.
37/2006. Si deve pertanto ritenere che la rinnovata citazione dell’art. 10 l. 112/2004
nella norma in commento sia dovuta ad una svista, posto che richiama un divieto
attualmente non espresso da alcuna disposizione in vigore. Pur derivando dal d.
legisl. 74/1992, emanato in attuazione della d. CE 84/450, la disposizione in
commento non trova riscontro nella direttiva comunitaria. Essa appare invece ispirata
all'art.11 C.A., del quale peraltro riproduce solo parzialmente il contenuto.
86 AG n. 6975, Boll. 10/99.
87 Norme di principio in materia in assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI –
Radiotelevisione Italiana s.p.a.
116 La giurisprudenza anteriore al d. legisl. 145/2007 ha evidenziato come la norma
preveda una tutela rafforzata a favore di soggetti più fragili ed imponga,
conseguentemente, un onere di attenzione più elevato per gli operatori pubblicitari.
Secondo la giurisprudenza anteriore al d. legisl. 145/2007, la norma, nella parte in cui
censura la pubblicità suscettibile di minacciare la sicurezza dei bambini e degli
adolescenti, è applicabile anche a messaggi diretti ad un pubblico adulto, se ed in
quanto idonei a stimolare nei minori un comportamento imitativo pericoloso, mentre
la fattispecie dell’abuso della credulità presuppone che bambini o adolescenti siano i
destinatari della comunicazione.
In relazione alla fattispecie dell'abuso della credulità non è stata pertanto ritenuta
assoggettabile alla disposizione in commento la pubblicità a favore di un
bagnoschiuma per bambini in tenera età, in quanto evidentemente diretta alle madri,
né un opuscolo promozionale per farmaci da banco che, in quanto contenente
informazioni sulle cure da apprestare ai figli, era rivolto al pubblico dei genitori, né la
pubblicità per un canale televisivo tematico e tipicamente per ragazzi, sul
presupposto che il numero verde indicato nel messaggio per ottenere informazioni
sull'abbonamento era diretto e fruibile solo da un pubblico adulto in qualità di unico
potenziale neo abbonato al canale. 88
In generale, l’applicabilità della norma viene esclusa quando la pubblicità, per le
situazioni rappresentate, per l’assenza di minori tra i protagonisti e per la mancanza
di esortazioni a loro indirizzate non siano idonea a fare presa sui più giovani. Quanto
88 Rispettivamente AG n. 2482, Boll 47/94; n. 2384, Boll.8/95; n. 14851, Boll. 44/05.
117 ai mezzi di diffusione, la norma è stata ritenuta inapplicabile ad un folder di
presentazione di un giocattolo destinato a grossisti e dettaglianti, mentre la
circostanza che la pubblicità fosse programmata in televisione durante l’orario
scolastico è stata giudicata insufficiente ad escludere l’applicabilità della disposizione
in commento. Del pari è stata ritenuta irrilevante la circostanza che un telecomunicato
fosse stato diffuso fuori dalla cd. “fascia protetta” di programmazione prevista fra le
ore 16 e le ore 19, potendo il messaggio raggiungere ugualmente i minori. E’ stato
escluso che nel concetto di adolescenti rientrino gli studenti universitari o chi abbia
conseguito il diploma di maturità. Analogamente, si è sostenuto che ai sensi dell’art.
6 d. legisl. 74/1992, oggi art. 7 d. legisl. 145/2007, e della sua ratio non possa
reputarsi adolescente il soggetto che abbia già compiuto la maggiore età, per il quale
la capacità d’agire riconosciuta ex lege pressupone il raggiungimento di una certa
maturità psichica. Rientrano invece tra gli adolescenti i giovani di 16 anni.
In relazione alla fattispecie relativa all’abuso dei sentimenti che verso i più giovani
nutrono gli adulti, e chiaramente riferita alla pubblicità rivolta a quest’ultimi, è stata
affermata l’applicabilità dell’attuale art. 7 d. legisl. 145/2007 sia nei confronti della
comunicazione per prodotti destinati ai minori, sia per quella che pubblicizzi beni
destinati agli adulti, in quanto non può escludersi che anche questa miri a far leva sui
sentimenti dei più grandi per i più piccoli.
Abuso della credulità o della mancanza di esperienza. L'ampiezza del concetto di
“abuso” è suscettibile di ricondurre nell'ambito della norma anche fattispecie estranee
ad ipotesi di raggiro vero e proprio, nelle quali l'approfittamento del minor senso
118 critico dei più giovani al fine di promuovere l'acquisto del prodotto pubblicizzato
venga attuato attraverso mezzi come la pressione psicologica volta ad incoraggiare il
consumismo eccessivo o la competizione con i coetanei, o ad indurre sentimenti di
inferiorità in relazione al mancato possesso del bene reclamizzato o, ancora, invidia
nei confronti di chi ne abbia la disponibilità. 89
La norma disciplina sia l'ipotesi in cui la pubblicità influisca direttamente sul
comportamento del minore quale potenziale acquirente del prodotto reclamizzato, in
quanto bambini ed adolescenti non sono in grado di scelte autonome d'acquisto, sia il
caso di messaggi volti ad incidere sul comportamento dei più giovani nei loro
rapporti con i genitori, provocando una pressione dei primi nei confronti dei secondi
al fine dell'acquisto del bene pubblicizzato, sebbene in tale ipotesi l'acquirente non
sia la vittima dell'abuso censurato dalla norma.
Quest’ultima modalità d’azione è stata dichiarata illecita in relazione ad un
messaggio che comunicava l'organizzazione di una festa in cui era invitato a prendere
parte gratuitamente ciascun bambino, purché accompagnato dai genitori, la quale
festa consisteva in realtà in un iniziativa promozionale volta alla vendita di una
enciclopedia e per cartoline che promettevano un regalo sottacendo il fatto che
l'omaggio veniva consegnato solo dopo una manifestazione promozionale a cui
assistevano bambini e genitori. 90
L'approfittamento della mancanza di esperienza dei minori può consistere anche nella
non riconoscibilità della natura commerciale di un messaggio pubblicitario diffuso
89 Fusi-Testa-Cottafi, op. cit., p. 240.
119 nell'ambito di un programma per bambini o nella non riconoscibilità di una
promozione dissimulata in forma di iniziativa volta all'apprendimento del codice
della strada da parte dei più piccoli. 91
Più spesso il profilo dell'abuso della credulità è stato oggetto di esame per pubblicità
suscettibile di indurre in errore i minori sulle caratteristiche dei beni o dei servizi
promozionati,sia in relazione alle loro qualità intrinseche, sia in relazione alla omessa
o insufficiente indicazione del prezzo, alla capacità del prodotto di influenzare i
rapporti interpersonali tra adolescenti 92, alla possibilità di usare il gioco durante le
ore di scuola, alla abilità manuale necessaria per montare il giocattolo, alla
destinazione del prodotto ad un pubblico adulto, anziché ai minori.
Abuso dei sentimenti degli adulti. L'ultima parte del c. 1 della norma non preclude
l'utilizzo dei minori nella pubblicità. Essa invece, dato per presupposto che i
sentimenti per i più giovani rappresentano un elemento di vulnerabilità degli adulti, è
finalizzata ad evitare che la pubblicità possa far leva su tale debolezza per conseguire
un effetto più incisivo, ad esempio suscitando sensi di colpa e dubbi sulla
adeguatezza delle cure apprestate ai primi dai secondi e la convinzione che tale ruolo
sarebbe svolto più adeguatamente acquistando il prodotto pubblicizzato.
È stato osservato che la disposizione lascia un ampio margine alle valutazioni
soggettive dell'interprete in relazione al concetto di “abuso” dei sentimenti, in quanto
qualsiasi pubblicità che si rivolga ad un adulto per reclamizzare un prodotto destinato
90 AG n. 2771, Boll. 4/95; AG n.11248, ivi 39/02.
91 AG n. 6447, Boll. 41/98 relativa ad una telepromozione; AG n. 11248, Boll. 39/02.
120 ai minori stimola i sentimenti di quello per questi, senza che ciò integri
necessariamente un approfittamento delle attenzioni che è normale avere per i più
piccoli.
La giurisprudenza ha però precisato che la semplice sollecitazione di sentimenti degli
adulti per i più piccoli, se attuata senza forme di ricatto o di violenza, non rappresenta
un abuso ai sensi della disposizione in esame. E' stato invece giudicato in contrasto
con la norma un filmato volto a creare allarmismo sui danni che l'esposizione ai
campi elettromagnetici creati da televisione e computer possono causare ai bambini,
per pubblicizzare uno schermo protettivo proposto come soluzione sufficiente del
problema. 93
La minaccia alla sicurezza. Come accennato al par. l che precede, il c. 2 della norma
in commento disciplina una fattispecie difficilmente inquadrabile nelle finalità del d.
legisl. 145/2007, e cioè, secondo il dettato dell’art. 1 c. 2 del decreto, la tutela dei
professionisti nei confronti della pubblicità ingannevole e delle sue conseguenze
sleali. I casi di pubblicità suscettibile di minacciare la sicurezza dei più giovani
esaminati dall’Autorità Garante sotto il vigore del d. legisl. 74/1992, e poi nella breve
parentesi in cui la norma in commento era inserita nel Codice del Consumo, hanno
riguardato messaggi potenzialmente capaci di arrecare un danno a bambini e/o
adolescenti, dal quale tuttavia non è chiaro come possa derivare anche come
conseguenza indiretta un pregiudizio ai professionisti, quali definiti dall’art. 2 lett. b
92 Nella fattispecie AG n. 3899, Boll. 20/96 è stato giudicato illecito uno spot che si rivolgeva a
bambini ed affermava che non potevano “uscire senza”il prodotto pubblicizzato.
93 AG n. 5755, Boll. 10/98.
121 del d. legisl. 145/2007, che ne giustifichi una tutela autonoma. Secondo la dottrina la
minaccia derivante ai più giovani dalla pubblicità può essere sia diretta che indiretta.
Nella prima ipotesi è riconducibile il caso della comunicazione pregiudizievole per la
sicurezza psichica dei minori, derivante dall'utilizzo nel messaggio di immagini
raccapriccianti: il richiamo alla categoria di ingannevolezza contenuto nella norma
esclude che possa esservi riconducibile una rappresentazione pubblicitaria orrifica,
mancando in essa qualsiasi carattere ingannevole. L'Autorità ha evidenziato la
necessità di operare una diversa valutazione, per la pubblicità astrattamente idonea a
pregiudicare l'equilibro psichico dei minori, a seconda che si prendano in
considerazione bambini di età inferiore ai sei-sette anni, ovvero superiore, e quindi di
valutare con diverso rigore i messaggi iconografici, fruibili a qualunque età, rispetto a
quelli scritti che possono essere compresi solo da bambini della fascia d'età superiore.
Sono stati giudicati pericolosi per la sicurezza psichica dei minori:
- affissioni parapedonali a favore di una pellicola cinematografica che mostravano
arti recisi e grondanti sangue (AG n. 14558,Boll.16/50;n.15663,ivi 26/06);
- il trailer di un film horror diffuso in una sala cinematografica poco prima della
proiezione di una pellicola destinata ad un pubblico di minori, in orario pomeridiano
e domenicale (AG n.15626,ibidem);
- adesivi che pubblicizzavano una consolle con telefono cellulare che consentiva di
giocare a distanza fra più soggetti e che riportavano diciture come “umilia il tuo
miglior amico davanti agli altri”,”fammi male”,”ti piace farlo in tre?”(AG n. 13218,
cit.);
122 - una affissione in cui compariva un uomo intento a segare gli arti di un manichino
ed a gettarli nella stufa (AG n. 6940,Boll. 8/99);
- uno spot che mostrava un individuo vestito da chirurgo ed un ragazzino intenti a
sezionare mostri ed a ingerirne gli organi rimossi (AG n. 5353,ivi.40/97);
- un filmato nel quale due bambini si trasformavano in creature mostruose a seguito
dell'assunzione del prodotto pubblicizzato;
- un annuncio che mostrava con modalità crude e dirette l'immagine di un malato
terminale di AIDS nel letto di morte (AG n.1752,ivi 4/94).
Non sono state invece ritenute pericolose: confezioni di giocattoli sulle quali erano
riportati elementi di aggressività e crudezza solo in forma scritta, e quindi con
modalità giudicate meno impattanti della rappresentazione figurativa, e comunque
fruibili solo da bambini di età non inferiore ai sei - sette anni.
La minaccia indiretta consiste nell'ipotesi di pubblicità che, anche involontariamente,
possa indurre bambini o adolescenti ad esporsi a situazioni di rischio per l'incolumità
fisica, attraverso rappresentazioni suscettibili di stimolare pericolosi comportamenti
imitativi facendo leva sullo spirito di emulazione insito nella natura dei più giovani.
Sono stai ritenuti in contrasto con la norma in commento:
- un annuncio stampa che ritraeva il volto di una donna coperto da un cellophane
trasparente;
- una televendita di scooter elettrici presentati come utilizzabili senza patente,
casco,assicurazione e targa;
123 - un annuncio per componenti di motociclette che prometteva maggior velocità e
scatto del mezzo, su cui fossero impiegati;
- un commercial, pur interpretato da adulti che mostrava una donna nell'atto di
ingoiare un anello;
- un catalogo che rappresentava un gruppo di adolescenti intenti a tenere
comportamenti penalmente rilevanti;
- la pubblicità per ciclomotori che esaltava le doti di velocità del mezzo,trascurando
le altre caratteristiche, o che raffigurava adolescenti nell'atto di compiere manovre
spericolate, o in violazione dei divieti del codice della strada;
- un annuncio per calzature per grinding delle quali era raffigurato l'utilizzo senza
l'equipaggiamento di sicurezza.
Non sono stati invece giudicati in contrasto con la norma in esame:
- un filmato per un monopattino dove il prodotto era pubblicizzato come mezzo di
locomozione e non come strumento di abilità;
- uno spot dove il comportamento pericoloso (asciugacapelli nell'acqua) non veniva
incoraggiato, in quanto mostrato come conseguenza di un atto meramente
accidentale;
- un filmato che mostrava bambini intenti a saltare sui tetti, gridare e sporcarsi,
ritenuti comportamenti che rientrano nella quotidianità dei più piccoli;
- un commercial nel quale il protagonista si dondolava pericolosamente da un
lampadario, sul presupposto che la scena rappresentata era chiaramente paradossale e
talmente avulsa dalla realtà da escludere che potesse indurre comportamenti imitativi.
124 In dottrina si è sostenuto che la capacità di costituire un modello comportamentale
pericoloso per bambini ed adolescenti è particolarmente intensa per la pubblicità dove
i protagonisti siano dei minori, ma è comunque ipotizzabile anche per la
comunicazione dove il comportamento suscettibile di imitazione sia tenuto da adulti,
e che l'applicabilità della norma deve essere valutata sulla base del messaggio stesso e
delle sue rappresentazioni, indipendentemente dalla natura del bene o servizio
reclamizzati.
Sotto il profilo della minaccia alla incolumità fisica dei minori sono state esaminate
anche le confezioni di alcuni prodotti suscettibili di essere utilizzati dai bambini
(correttori per inchiostro a forma di penna), in relazione alla possibilità che questi
potessero farne un uso improprio, ad esempio ingerendo o inalandone il contenuto.
Illecita è stata giudicata la confezione che ometteva di segnalare la presenza nel
prodotto di una sostanza tossica e della conseguente necessità di tenerlo lontano dalla
portata dei bambini 94; lecite invece le confezioni per analoghi prodotti
oggettivamente non pericolosi.
Illecito anche lo spot di una merendina con una pur ridotta componente alcolica non
dichiarata nella pubblicità, sul presupposto che la comunicazione presentava
l'alimento come incondizionatamente adatto ai bambini. 95
E' stato escluso che la norma possa essere interpretato come disposizione volta ad una
generica tutela morale dei minori: questo profilo è invece oggetto di specifica
94 AG n. 7097, Boll. 15/99.
95 AG n. 5226, Boll. 31/97.
125 disciplina da parte dell’art.11 C.A. 96, infatti anche l’Autorità 97 non ha ritenuto in
contrasto con la norma in esame un telecomunicato a favore di una linea telefonica
erotica.
3.1.3 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)
È un organo amministrativo che non si inquadra nei tradizionali soggetti di diritto
amministrativo: presenta invece analogie con le public agencies statunitensi.
L'art.4 della d. CE.84/450 sulla pubblicità ingannevole impose agli stati membri di
approntare mezzi adeguati ed efficaci di lotta contro il mendacio e l'inganno
pubblicitario, a tutela degli interessi dei consumatori, dei concorrenti e del pubblico
in generale. La direttiva lasciò agli stati la scelta fra una tutela giudiziaria e una tutela
di carattere amministrativo, o di entrambe. Attribuì inoltre agli stati l'opposizione di
prevedere che le decisioni definitive d'inibitoria della pubblicità, in tutto o in parte, e
di ordinare, inoltre, la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa. La direttiva, in
definitiva, offrì agli stati membri, pur nella precisa definizione degli obbiettivi da
raggiungere, un'ampia scelta delle strutture e dei mezzi per conseguirli. Seguirono
dibattiti e proposte, per orientare le scelte del legislatore, il legislatore italiano scelse
la soluzione amministrativa, prevedendo di conferire all'Autorità garante della
concorrenza e del mercato la competenza di reprimere la pubblicità ingannevole. Con
il d. legisl. 25 gennaio 1992.n. 74. fu data concreta attuazione alla direttiva,
96 Fusi-Testa-Cottafi, La pubblicità ingannevole, p. 247.
126 introducendo le norme relative al procedimento davanti all'Autorità garante. A
seguito, poi, del d. legisl. 25 febbraio 2000, n.67. in attuazione della d. CE. 97/55, fu
ulteriormente attribuito a tale Autorità il potere di sanzionare la pubblicità
comparativa svolta in violazione con i dettami previsti dall'art.3-bis d. legisl. n.
74/1992, quale modificato dal d. legisl. n. 67/2000. L'art.7 fu successivamente
modificato con l. 6 aprile 2005, n. 49, che introdusse una sanzione amministrativa per
i casi di pubblicità ingannevole, e ha depenalizzò l'illecito di inottemperanza ai
provvedimenti dell'Autorità. Il testo cosi' modificato infine confluì, con qualche
variazione di carattere formale, nell'art.26 codice del consumo. La d. CE 05/29 non
ha modificato sul punto la d. CEE 84/450: e dunque il d. lgs. 145/07 ed il nuovo
Codice del Consumo hanno confermato l’attribuzione all’Autorità garante la
competenza ad applicare la normativa sul divieto di pubblicità ingannevole e sulla
pubblicità comparativa, pur introducendo significative modifiche al relativo
procedimento.
Poiché già prima dell'entrata in vigore del d. legisl.74/1992 operavano in Italia altri
enti ed organismi fra le cui competenze rientra, in qualche misura, il controllo della
pubblicità, con particolare riguardo all'ingannevolezza del suo contenuto, ci si pone il
problema della compatibilità delle norme e delle competenze stesse con la disciplina
della legge in esame. Un primo chiarimento viene dal c.14 dell'art. 8, che esclude
l'intervento dell'Autorità garante nei casi in cui la pubblicità sia stata assentita con
provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non
97 AG n.1267, Boll.15-16/93.
127 ingannevole della stessa. A sua volta, il co.15 fa salva la giurisdizione del giudice
ordinario, per le azioni di concorrenza sleale nascenti dalla pubblicità ingannevole e
comparativa. Non sembra invece esistere un problema di coordinamento fra le
competenze dell'Autorità garante e le competenze dell'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, quali attualmente disciplinate dal d. legisl. 31 luglio 2005,n. 177
(Testo unico della radiotelevisione). Nonostante la parziale coincidenza delle
disposizioni sostanziali materia di pubblicità contenute nell’art.4 c.1 del testo unico
(divieto di pubblicità non riconoscibile come tale;divieto di pubblicità suscettibile di
nuocere allo sviluppo fisico,psichico e morale dei minori) con quelle contenute nel
nuovo codice del consumo e nel decreto legislativo in esame, non va dimenticato che
il testo unico della radiotelevisione contiene una normativa di carattere settoriale, che
si applica soltanto nei confronti delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di
programmi, mentre il codice del consumo ha portata generale. Non si pone quindi un
problema di conflitto di competenze, ma eventualmente solo un problema di diversa
valutazione della medesima fattispecie privo di diretta rilevanza sul piano giuridico.
Il c.14 dell'art.8 introduce una rilevante eccezione alla competenza generale
dell'Autorità garante in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa
scorretta. Stabilisce infatti che il procedimento amministrativo di controllo, fin qui
esaminato, non si applichi alla “pubblicità che sia stata assentita con provvedimento
amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della
stessa o di liceità del messaggio di pubblicità comparativa”. Le condizione perché
operi l'eccezione sono quindi sostanzialmente le seguenti: a)che la legge prevede un
128 controllo obbligatorio da parte di un'autorità amministrativa, da esercitarsi prima
della diffusione della pubblicità e che sfoci in un provvedimento autorizzativo della
stessa; b)che tale controllo sia preordinato anche alla verifica del carattere non
ingannevole della pubblicità, o della correttezza della pubblicità comparativa. I casi
di esclusione della competenza dell'Autorità garante così individuati sono tassativi.
Sono sottratte alla competenza dell'Autorità solo le pubblicità per le quali sia già
intervenuto un provvedimento amministrativi di assenso, conservando invece
l'Autorità
pieno
potere
di
intervenire
quando
l'operatore
pubblicitario,
contravvenendo alle disposizioni di legge, non abbia richiesto l'autorizzazione
preventiva alla diffusione del messaggio, oppure abbia diffuso un messaggio diverso
da quello autorizzato. Le ipotesi di maggior rilievo nelle quali è previsto il controllo
preventivo da parte dell'autorità amministrativa e, correlativamente, l'esclusione della
competenza dell'Autorità garante sono: farmaci da banco, dispositivi medici,
pubblicità a favore dei prodotti finanziari. In altri casi, invece, pur essendo prevista
dalla legge un'autorizzazione amministrativa preventiva alla diffusione della
pubblicità, si è ritenuto che la competenza dell'Autorità garante non sia esclusa, per la
ragione che il controllo amministrativo non è preordinato alla verifica di ogni profilo
di verità.
L’art. 27 del Codice del Consumo è stato introdotto anch’esso dal d. legisl. 146/07 ed
ha sostituito il corrispondente art. 26 del Codice del Consumo, che, nella versione
originaria, prevedeva la disciplina sanzionatoria in materia di pubblicità ingannevole.
Tale articolo, che vede come protagonista, appunto, l’Autorità garante, ora si intitola
129 Tutela amministrativa e giurisdizionale e si occupa della disciplina sanzionatoria:
“L'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, di seguito denominata
"Autorita'", esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo anche quale
autorita' competente per l'applicazione del regolamento 2006/2004/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le
autorita' nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i
consumatori, nei limiti delle disposizioni di legge….”.
Le disposizioni in tema di pubblicità ingannevole e comparativa, come abbiamo
detto, sono state trasferite in un corpus normativo a sé stante, il d. legisl. 145/07,
esterno al Codice del Consumo.
Prescindendo in questa sede dal merito della scelta della separazione normativa sul
piano della titolarità degli interessi tutelati, dei consumatori o dei professionisti, si
rileva che la disciplina sanzionatoria in materia di pratiche commerciali scorrette,
prevista dall’art. 13 della direttiva e ora contenuta nel Codice del Consumo, è del
tutto speculare a quella relativa alla pubblicità ingannevole e comparativa illecita, di
cui all’art. 8 d. legisl. 145/07.
I due provvedimenti contemporanei hanno determinato lo spostamento della
disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa illecita all’esterno del codice
del consumo, nel quale tale disciplina è stata sostituita da quella relativa alle pratiche
commerciali scorrette. Gli ambiti di applicazione della disciplina della pubblicità
ingannevole e comparativa e quello delle pratiche commerciali scorrette sono stati
differenziati, come abbiamo già detto, in ragione dei titolari degli interessi tutelati: la
130 prima è volta a tutelare la concorrenza e i diritti dei professionisti lesi dalle pratiche
pubblicitarie scorrette, mentre la seconda, più generale, regola e sanziona le pratiche
commerciali scorrette che rechino pregiudizio alla sfera dei diritti dei consumatori.
Per ciò che concerne le previsioni sanzionatorie, in ogni caso, i rilievi riguardanti
l’art. 8 d. legisl. 145/2007 possono essere estesi anche all’art. 27 cod. cons. sia in
ragione della coincidenza delle previsioni, sia per il fatto che la seconda norma potrà
essere, presumibilmente, applicata come norma generale rispetto alla prima allorché
una pubblicità ingannevole o comparativa ritenuta illecita non abbia leso direttamente
gli interessi economici dei professionisti concorrenti, ma risulti comunque dannosa
per i diritti dei consumatori e debba pertanto essere considerata come pratica
commerciale scorretta.
Pertanto vi sarà un’unica analisi di questi due articoli, entrambi denominati “Tutela
amministrativa e giurisdizionale”.
Per quanto riguarda la legittimazione attiva va segnalato che, a differenza di quanto
accadeva nel vigore della precedente disciplina, l’art. 8 c. 2 d. legisl. 145/07 e lart. 27
c. 2 del Codice del Consumo attribuiscono all’Autorità garante il potere di procedere
d’ufficio all’accertamento del contrasto della pubblicità con le disposizioni ivi
contenute. Afferma infatti: “. L'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o
organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione ed elimina gli effetti
della pubblicità ingannevole e comparativa illecita. Per lo svolgimento dei compiti di
cui al comma 1”.
131 Fra i soggetti legittimati a richiedere l’intervento dell’Autorità in relazione ad una
pratica commerciale scorretta devono essere annoverati anche i concorrenti e le loro
organizzazioni, in conformità a quanto espressamente previsto dall’art. 27-ter.
Rispetto alla formulazione originale dell’art. 26 del Codice del Consumo, le
disposizioni sanzionatorie non sono state modificate in modo sostanziale: sono state
elevate le cornici edittali delle sanzioni amministrative ed è stata resa più razionale la
formulazione della norma, modificando l’ordine di alcuni commi ed eliminando
alcuni rinvii.
Il previgente art. 26 cod. cons. riproduceva, a sua volta, quasi integralmente l’art. 7 l.
25 gennaio 1992, n. 74, modificata, per quanto riguarda il modello sanzionatorio – da
penale in amministrativo – dalla l. 6 aprile 2005, n. 49. Rispetto alla formulazione
dell’art. 7 l. 74/1992, le novità di maggiore rilievo circa la punizione delle condotte di
pubblicità ingannevole e comparativa ritenuta illecita consistevano nell’eliminazione
della sanzione penale, nell’introduzione di nuove sanzioni amministrative pecuniarie,
nell’aumento della sanzione amministrativa, e, infine, nella previsione della sanzione
facoltativa della sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a
trenta giorni. La scelta del ricorso alla sanzione amministrativa in luogo di quella
penale, lo si è anticipato, è stata mantenuta dai d. legisl. 145 e 146/2007, sebbene la
legge delega 29/2005 prevedesse, all’art. 3 relativo ai principi e criteri direttivi per il
legislatore
delegato,
la
possibilità
di
comminare
anche
sanzioni
penali
contravvenzionali, limitandole ai casi in cui le infrazioni avessero leso o esposto a
pericoli interessi costituzionalmente protetti. Tale limite, forse, avrebbe consentito la
132 previsione di sanzioni penali per le pratiche commerciali scorrette, lesive dei diritti
dei consumatori: si pensi ad es. a quelle che più ci interessano e che riguardano
prodotti che possano comportare pericolo per la salute
o la sicurezza oppure
suscettibili di raggiungere minori o adolescenti.
Le sanzioni amministrative sono applicate dall’Autorità e la cognizione dei ricorsi
avverso le sanzioni è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
(c. 13), derogando, al generale criterio di riparto della giurisdizione nel nostro
ordinamento, secondo il quale il giudice amministrativo decide in merito alla tutela
degli interessi legittimi, mentre sui diritti soggettivi decide il giudice ordinario
Le sanzioni per l’inottemperanza alla richiesta (c . 4). La norma in commento è stata
introdotta dalla l. 49/2005 all’interno della l. 74/1992, e poi trasposta nel codice del
consumo, al c. 11 dell’art. 26. Con il d. legisl.145/2007 la norma, non mutata nella
sostanza, è stata più razionalmente inserita al c. 4 dell’art. 27, seguendo direttamente
la disposizione che detta le prescrizioni la cui inottemperanza è appunto sanzionata.
La prima parte del comma riproduce la disposizione già presente nella versione
originaria dell’art. 7 c. 10 l. 74/1992, aumentando l’importo della sanzione
amministrativa pecuniaria 98.
L’illecito consiste nell’inottemperanza da parte dell’operatore pubblicitario o del
proprietario del mezzo che ha diffuso il messaggio illecito alla richiesta di
informazioni e documentazioni proveniente dall’Autorità: richiesta formulata ai sensi
98 che nella legge del 1992 era da due a cinque milioni di lire, mentre l’attuale sanzione va da un
minimo di 2.000 a un massimo di 20.000 euro: nonostante l’aumento non sembra che la sanzione
133 del c. 3 del presente articolo, modificato, a sua volta, dalla l. 49/2005. La richiesta,
funzionale alla procedura cautelare di sospensione del messaggio pubblicitario
disciplinata dallo stesso c. 3, può dunque essere rivolta al proprietario del mezzo di
diffusione del messaggio, affinché fornisca le informazioni necessarie per identificare
il committente, oppure può essere rivolta all’operatore pubblicitario, affinché fornisca
all’Autorità una copia della pubblicità ritenuta illecita.
Per quanto riguarda l’omissione, da parte del proprietario del mezzo di diffusione del
messaggio pubblicitario, delle informazioni necessarie per l’identificazione del
committente non è richiesta, ai fini dell’applicabilità della sanzione, la volontà di
favorire il committente stesso, essendo sufficiente la mancata ottemperanza alla
richiesta dell’Autorità.
Il secondo periodo della norma è stato opportunamente introdotto dalla l. 49/2005 e
sanziona più gravemente, rispetto all’omissione di cui sopra, la falsità delle
informazioni e della documentazione fornita ( la sanzione prevista va da 4.000 a
40.000 euro)
Le sanzioni disposte con il provvedimento che vieta la diffusione (c. 9). La norma,
originariamente introdotta dalla l. 49/2005 che ha inserito un nuovo c. 7 nella l.
74/1992, poi trasposta nel codice del consumo, sottopone direttamente a sanzione la
pubblicità ingannevole o comparativa ritenuta illecita: la sanzione – amministrativasi qualifica come conseguenza automatica e necessaria del procedimento di
accertamento della violazione svolto dall’Autorità e disciplinato nei commi
possa effettivamente aspirare a svolgere una reale efficacia preventiva: Carnabuci, AA.VV., Codice
134 precedenti. Si tratta di una novità significativa: nell’originario sistema, la l. 74/1992,
al termine della procedura di accertamento della violazione delle norme sulla
pubblicità, prevedeva l’Autorità potesse, oltre a vietare la pubblicità stessa, solamente
ordinare la pubblicazione della pronuncia e di una dichiarazione rettificativa, mentre
la sanzione penale rivolta all’operatore pubblicitario interveniva in maniera indiretta
sanzionando l’inottemperanza al provvedimento dell’Autorità. Si attuava, in questo
modo, un modello di tipo ingiunzionale che risolveva egregiamente il problema di
una pressoché impossibile definizione, in termini tassativi e precisi, imposti da
un’eventuale fattispecie penalistica, della nozione di “pubblicità ingannevole”. La
scelta ora attuata comporta sia una sanzione immediata di natura amministrativa con
lo stesso provvedimento che accerta la violazione, sia una successiva, in caso di
inottemperanza. La modifica sembra essere ispirata dalla considerazione circa la
necessita che l’Autorità disponga di poteri sanzionatori diretti nei confronti delle
pubblicità ingannevoli o comparative ritenute illecite; taluno ha rilevato che i
provvedimenti inibitori, se risultano efficaci nei confronti di alcuni operatori, rispetto
ad altri possono risultare indifferenti se non addirittura non sgraditi perchè fonte di
ulteriore pubblicità, come nel campo della moda, dello spettacolo, delle
telecomunicazioni.
La sanzione amministrativa applicata ai sensi della nuova disciplina contestualmente
al provvedimento che accerta la violazione, elevata dal d. legisl. 145/2007, è
compresa tra 5.000 e 500.000 euro, e deve essere pagata entro 30 giorni dalla notifica
del consumo , Commento al d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, sub art. 26, p. 304.
135 del provvedimento stesso all’operatore pubblicitario responsabile dell’illecito. Per la
possibilità del pagamento rateale e per la disciplina dell’esecuzione forzata si deve
fare riferimento, per l’esplicito rinvio contenuto nel co. 12, agli art. 26 e 27 l.
689/1981.
L’importo della sanzione deve essere stabilito “tenuto conto della gravità e della
durata della violazione”: peraltro la gravità della violazione come criterio di
commisurazione è già contenuta nell’art. 11 l. 689/1981, applicabile in forza del
richiamo del co. 13.
La seconda parte della norma contenuta nel comma in commento introduce una
presunzione legislativa di gravità dell’illecito, nei casi in cui le pubblicità giudicate
ingannevoli possono comportare un pericolo per la salute e la sicurezza, nonché
siano suscettibili di raggiungere, direttamente o indirettamente, minori o adolescenti.
Le sanzioni previste nei casi di inottemperanza ai provvedimenti di urgenza, inibitori
o di rimozione (co.12). La norma, introdotta dalla l. 49/2005, ha sostituito l'originario
c. 9 dell'art. 7 della l. 74/1992, è stata inserita, senza modificazioni, nel codice del
consumo ed è ora stata trasposta nel d. legisl. 145/07. Nella nuova versione, peraltro,
è sanzionato anche il mancato rispetto degli impegni assunti dal professionista il
quale, ai sensi del del c. 7, nei casi di violazioni non manifeste può assumersi
l’obbligo di porre fine alla pubblicità ritenuta illecita, così ottenendo, una volta giunta
l’approvazione dell’Autorità, che non venga portata a termine l’istruttoria, evitando
l’accertamento dell’infrazione. Sul piano sanzionatorio la modifica esprime - per le
ragioni in precedenza esposte - la novità di maggiore rilievo, poiché la precedente
136 disposizione prevedeva un illecito penale, punito, come si è detto, “ con l'arresto fino
a tre mesi e con l'ammenda fino a lire cinquemilioni”.
La prima parte del comma in esame riproduce la previgente fattispecie
contravvenzionale, stabilendo una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro
a 150.000 euro. L'originaria contravvenzione costituiva una figura generale, nella
quale prendeva corpo l'intervento repressivo nei confronti della pubblicità
ingannevole e della pubblicità comparativa ritenuta illecita, di sicuro carattere
innovativo.
L'illecito amministrativo ha natura omissiva; per la sua realizzazione è sufficiente la
semplice colpa; quanto alla condotta, essa è costituita dall'inottemperanza al
provvedimento di sospensione cautelativa della pubblicità (c.3) o di accertamento
della natura illecita della pubblicità, con conseguente divieto di proseguire nella
diffusione al pubblico, con eventuale ordine di rimuovere gli effetti (mediante la
pubblicazione della pronuncia e una dichiarazione rettificativa, c. 8).
Il secondo periodo del comma in esame contiene una fattispecie non prevista
nell'originaria formulazione della l.74/1992: si sanzionano i casi di reiterata
inottemperanza, con la facoltà, da parte dell'Autorità, di disporre la sospensione
dell'intera attività dell'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni.
Nel nuovo codice abbiamo agli artt. 27-bis e 27-ter, rispettivamente, un
riconoscimento dell’Autodisciplina e un coordinamento della stessa con le
disposizioni del Codice.
137 Nonostante il considerando n. 20 della d. CE 05/29 sulle pratiche commerciali sleali
invitasse espressamente gli stati membri ad incoraggiare il ricorso agli organi di
autocontrollo al fine di “evitare la necessità di esperire azioni giudiziarie o
amministrative”, con i d. legisl. di attuazione n. 145 e 146/2007 il legislatore italiano
si è limitato ad operare un riconoscimento dell’autodisciplina, senza tuttavia
attribuirle un chiaro ruolo alternativo al giudizio davanti all’Autorità garante.
L’art. 27-bis del cod. del cons., introdotto dal d. legisl. 146/2007, prevede la
possibilità per le associazioni imprenditoriali e professionali di autoregolamentare
una o più pratiche commerciali ovvero settori imprenditoriali attraverso un
apposito”codice di condotta”, che i professionisti si impegnano a rispettare. Tale
codice deve essere redatto in lingua italiana e inglese e deve essere accessibile al
consumatore anche per via telematica.
Un obbligo specifico riguarda il contenuto dei codici di condotta, infatti al c. 2
dell’art. 27- bis è chiesto esplicitamente “Nella redazione di codici di condotta deve
essere garantita almeno la protezione dei minori e salvaguardata la dignità umana”:
disposizione sicuramente meritoria sotto il profilo sociale, della quale però non si può
fare a meno di rilevare la completa estraneità alla direttiva e alle finalità perseguite
dalla stessa, che attengono alla sola tutela degli interessi economici dei consumatori.
Ma anche i requisiti formali sono pienamente soddisfatti: in quanto il sito della IAP
dispone pure di una sezione in lingua inglese che, oltre ad illustrare l’Istituto, i suoi
organi e i servizi offerti, propone una versione inglese del C.A. può quindi senza
dubbio essere considerato un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis.
138 Anche in mancanza di un esplicito riconoscimento del legislatore non si può dubitare
che rientri nell’agere licere dei privati il regolare in via negoziale controversie che tra
loro dovessero insorgere su materia di cui abbiano la giuridica disponibilità.
Con specifico riguardo alle controversie in materia di pubblicità, la legittimità del
sistema autodisciplinare è stata riconosciuta anche in giurisprudenza99.
Della possibilità di ricorrere a forme di autodisciplina nel campo della pubblicità nel
nostro Paese si è fatto un uso rilevantissimo. Ciò proprio in virtù dell’assenza di una
disciplina statale con carattere di generalità, nonché della cronica lentezza della
macchina giudiziaria, chiamata comunque ad applicare discipline settoriali o
discipline sulla concorrenza sleale, inadeguata allo scopo100.
Per quanto riguarda il rapporto tra il giudizio autodisciplinare e quello
amministrativo, l’attuazione della CE 05/29 non è servita a far maggiore chiarezza
rispetto alla situazione preesistente. L’art. 9 d. legisl. 145/2007 sembra infatti
riprodurre sostanzialmente il contenuto dell’art. 27 del codice del consumo, che è
sostituito dall’art. 27 – ter d. legisl. 146/2007 in materia di autodisciplina . Anche il
nuovo art. 27-ter c. 1 prevede infatti che consumatori, concorrenti e professionisti
possano richiedere l’intervento dell’”organismo incaricato del controllo del codice di
condotta”, e il Giurì può senz’altro essere inteso come tale. Rispetto alla
formulazione precedente il dettato del c. 1 si spinge oltre e riconosce espressamente
99 Trib. Milano, 22 gennaio 1976, in Riv. dir. ind., 1977, II, p. 9, riconosce legittime le disposizioni
del Codice di Lealtà Pubblicitaria quando derivano da un negozio giuridico privato, per lo più da
un contratto (c.d. clausola di accettazione), ove tale clausola opera secondo lo schema del contratto
a favore di terzi ai sensi dell’art. 1411 c.c.
100 Meli V., La repressione della pubblicità ingannevole (commento al D.lgs. 25 gennaio 1992 n.
74), Torino, 1994, p. 146 ss.
139 la libertà di concordare la previa instaurazione del giudizio autodisciplinare. Ciò fa
quindi pensare che siano ora efficaci eventuali accordi che, conclusi in via
preventiva, obblighino consumatori, concorrenti e professionisti ad esperire il
giudizio innanzi al Giurì prima di instaurare la procedura amministrativa. In passato
l’ammissibilità di accordi sottoscritti in via preventiva era stata esclusa per l’espresso
riferimento operato dall’allora c. 2 dell’art. 8 d. legisl. 74/1992 all’inizio del
procedimento autodisciplinare, per cui solo a procedura iniziata sarebbe stato
possibile convenire la sospensione del giudizio avanti all’Autorità garante. Questa
chiave di lettura non trova un reale ostacolo neppure nell’espressione “ risoluzione
concordata” contenuta nel c. 1 della norma in esame che, sebbene lasci trasparire
prima facie una funzione meramente conciliativa degli organismi addetti al controllo
dei codici di condotta e in quanto tale estranea al procedimento autodisciplinare
davanti al Giurì, deve pur sempre essere interpretata alla luce della dir. CE 05/29 che
mira non ad escludere, bensì a valorizzare tale sistema di autocontrollo. La mancanza
di chiarezza espositiva e correttezza grammaticale del c. 1 sembra confortare questa
conclusione.
Se
veramente
il
legislatore
avesse
voluto
qui
privilegiare
l’autocomposizione di una controversia non avrebbe precisato che la soluzione è
“volta a vietare o a far cessare la continuazione della pratica commerciale scorretta”,
ricorrendo cioè ad una terminologia più consona ad una decisione che presuppone un
contenzioso e l’intervento di un organo giudicante. Con l’impiego dell’aggettivo “
concordata” si è quindi forse voluto semplicemente ribadire che il ricorso agli
organismi di autocontrollo avviene sulla base di un accordo fra le parti.
140 Nonostante la previsione di cui al c. 1 non sembri privare alcuno dei soggetti
firmatari di tale accordo della legittimazione a ricorrere all’Autorità garante in un
momento successivo alla conclusione del giudizio autodisciplinare, il c. 2 attribuisce
espressamente al solo consumatore il diritto di adire l’Autorità ovvero il giudice
competente a prescindere dall’esito della procedura davanti all’organo di
autocontrollo. Se vogliamo escludere di trovarci di fronte ad una contraddizione in
termini, l’unica interpretazione possibile è che il patto di cui al c. 1 comporti per i
concorrenti e i professionisti che vi hanno aderito l’obbligo di astenersi dal ricorrere
all’organo amministrativo anche in seguito alla pronuncia definitiva da parte del
Giurì. Nei confronti di questi soggetti il giudizio autodisciplinare verrebbe così a
porsi quale effettiva alternativa al ricorso all’Autorità, così come auspicato nel
considerando n. 20 della d. CE 05/29. L’art. 27- ter c. 2, che rappresenta tra l’altro
una novità rispetto al precedente dettato dell’art. 27 codice del consumo, non è quindi
una norma tautologica, e risponde piuttosto alle istanze di salvaguardia degli interessi
del consumatore perseguite con la legge in esame. L’accordo di cui al c. 1 priva
pertanto
il
consumatore
della
legittimazione
ad
instaurare
la
procedura
amministrativa soltanto in via temporanea, vale a dire per la durata del procedimento
davanti all’organismo di autocontrollo.
Il c. 3 disciplina tre diverse ipotesi di contemporanea pendenza dei due procedimenti,
il caso in cui le parti, dopo aver dato inizio al procedimento davanti all’organo
autodisciplinare, stabiliscano di comune accordo di astenersi dal ricorrere all’Autorità
in attesa della pronuncia definitiva dell’organismo di autocontrollo; l’eventualità che
141 il procedimento amministrativo sia già radicato e le parti presentino istanza di
sospensione in attesa della conclusione del giudizio autodisciplinare; l’ipotesi in cui
la procedura innanzi all’Autorità sia stata attivata ad un soggetto diverso rispetto alle
parti del procedimento e queste ne chiedano la sospensione a causa della
contemporanea pendenza di un procedimento autodisciplinare
L’emanazione del provvedimento di sospensione è rimessa alla discrezionalità
dell’Autorità garante. Si ripropone dunque il problema del significato della
sospensione, che ha di solito la funzione di consentire la risoluzione di una questione
pregiudiziale.
Fra gli elementi che l’Autorità potrà tener presenti ai fini dell’emanazione del
provvedimento di sospensione, devono senz’altro esser compresi dati oggettivi
relativi al singolo procedimento, quali la gravità dell’inganno pubblicitario
contestato, la circostanza che la pubblicità sia o meno in corso di diffusione, la
qualità delle parti. Sembra però ragionevole ricomprendere fra gli elementi di
valutazione anche la qualità dell’organismo autodisciplinare al quale il caso sia stato
sottoposto, nonché la serietà e la rappresentatività di cui questo gode nel settore
pubblicitario101.
Mentre il Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria appaiono sicuramente dotati
dell’autorevolezza e della credibilità che rendono opportuna ed auspicabile la
sospensione del procedimento avanti l’Autorità, non altrettanto può dirsi per
autodiscipline pubblicitarie di “comodo”, che possano venire artatamente create dagli
142 operatori di un certo settore, con lo scopo di ritardare lo svolgimento dei
procedimenti avanti l’Autorità.
Sembra da escludere che la sospensione e la riattivazione del procedimento possa
avvenire d’impulso dell’Autorità, stante la più volte rilevata mancanza di potere di
iniziativa della stessa. Si dovrà perciò ipotizzare che sia necessario l’impulso di una
parte, sotto forma di ricorso o di istanza all’Autorità per la prosecuzione del
procedimento.
L’assenza di una previsione normativa crea un problema relativo al valore da
attribuirsi alla pronuncia dell’organo di autodisciplina nel procedimento avanti
l’Autorità Garante: essa potrà avvalersi di dati emersi dal procedimento
autodisciplinare, ma certo non potrà rinunciare a condurre una propria istruttoria e ad
operare proprie autonome valutazione, né sarà obbligata ad acquisire agli atti le
decisioni dell’organo autodisciplinare, né a darne conto nel provvedimento o a
giustificare eventuali dissensi102.
Del resto, l’eventualità che il Giurì e l’Autorità adottino determinazioni fra loro
discordanti circa l’illiceità di un certo messaggio pubblicitario è dovuta dal fatto che
ai due organi fanno capo due ordinamenti giuridici separati ed autonomi, ma non è
possibile che tra questi possa configurarsi una sorta di conflitto tra giurisdizioni
dovendo, per esprimersi in questi termini, presupporre che pronuncia dell’organo
101 Fusi M.- Testa P.- Cottafavi P., La pubblicità ingannevole (commento al D.lg. 25 gennaio 1992
n. 74), 1993, p. 330 ss.
102 Floridia, Il decreto legislativo in materia di pubblicità ingannevole: illustrazione e commenti,
Milano, 1992
143 autodisciplinare e provvedimento dell’Autorità appartengano allo stesso ambito
giuridico. Il che certamente non è103.
I due organi, che giudicano sulla base di norme parzialmente diverse, possono
assumere decisioni tra loro contraddittorie, ciascuna delle quali avrà efficacia nel
proprio
ambito104:
la
pronuncia
del
Giurì
dell’Autodisciplina
nell’ambito
dell’ordinamento autodisciplinare, e nei confronti degli aderenti a tale ordinamento,
la pronuncia dell’Autorità nell’ambito più vasto dell’ordinamento statale e nei
confronti di tutti coloro indistintamente che ad esso siano soggetti, operando con i
limiti e i poteri conferiti dalla legge105.
I sistemi autodisciplinari privati fondano il loro funzionamento su una base
convenzionale e questo ha influenza sulla natura ed efficacia del loro apparato
sanzionatorio. In base al C.A. l’osservanza alle pronunce del Giurì non sarà mai
attuabile attraverso strumenti coercitivi, ne consegue che di fronte ad una condanna,
la parte potrà scegliere di non adempiervi e nessuna istanza giudiziaria se non quella
civilistica potrà assistere le ragioni del Giurì106.
La pronuncia a contenuto inibitorio del Giurì dovrà essere rispettata dagli aderenti al
sistema autodisciplinare, ma nessun obbligo di rispettarla avranno coloro che siano
103 Meli V., Autodisciplina pubblicitaria e legislazione statale, in Dir. ind., n. 3/1996, p. 231
104 Si vedano al riguardo Giurì 112/89 e 46/89, in Giur. Pubbl., 1989, 363.
105 Nella specie, l’affermazione pubblicitaria “non contiene saccarina” riferita ad un dolcificante,
era stata ritenuta corretta dal Garante, perché veritiera; era stata ritenuta denigratoria della saccarina
da parte del Giurì per il tono e il modo con cui era stata formulata; e, finalmente, è stata considerata
atto di concorrenza sleale, da parte della Corte d’App. Milano, 2 febbraio 2001, in AIDA, 2001, 664,
ai sensi dell’art. 2598, n. 2 e 3 c.c., sia in quanto denigratoria della saccarina, sia perché la mancata
ottemperanza alla decisione del Giurì dovesse considerarsi atto non conforme alla correttezza
professionale.
144 estranei a tale sistema. La pronuncia a contenuto inibitorio dell’Autorità avrà per
contro il valore di una proibizione assoluta e dovrà essere rispettata da tutti, ivi
compresi gli aderenti al sistema autodisciplinare, anche a fronte di una pronuncia di
segno contrario del Giurì.
Analogo riconoscimento legislativo dei sistemi autodisciplinari lo ritroviamo all’art.
9 della direttiva 145/07, che, come abbiamo visto, spesso si trova a dettare una
disciplina equivalente a quella del nuovo Codice del Consumo.
L’art.5 della d. CE 84/450 sulla pubblicità ingannevole, occupandosi del “controllo
volontario della pubblicità ingannevole esercitato da organismi autonomi”, non ne
escludeva la praticabilità da parte dei soggetti interessati, in aggiunta alla tutela
giudiziaria o amministrativa assicurata dalle leggi dello stato. In realtà, il
considerando n. 16 premesso alla direttiva medesima si spingeva oltre, perché
incoraggiava i legislatori nazionali a valorizzare i sistemi autodisciplinari, in quanto
idonei ad “evitare azioni giudiziarie o ricorsi amministrativi”. Da un lato si erano
perciò create negli operatori del settore delle aspettative di riconoscimento legislativo
del fenomeno autodisciplinare, ed anzi di un suo forte coordinamento con le norme
statuali da emanare in applicazione della direttiva; dall’altro, i primi progetti
legislativi di attuazione della stessa non dedicavano invece alcuna attenzione al
fenomeno autodisciplinare, semplicemente ignorandolo. La cd. Legge comunitaria
per il 1990, contenente la delega al governo per l’emanazione delle disposizioni
legislative in adempimento degli obblighi comunitari dell’Italia, all’art. 41. e,
106 Pedriali A., I profili soggettivi dell’autodisciplina pubblicitaria, in Riv. Dir. Ind., 1992, p. 149
145 stabiliva che l’attuazione della direttiva sulla pubblicità ingannevole dovesse avvenire
nel rispetto del principio di “valorizzare gli organismi volontari ed autonomi di
autodisciplina e la loro funzione preventiva, prevedendo la sospensione della
procedura avanti l’Autorità per un periodo non superiore a trenta giorni, in caso di
ricorso davanti all’organo di autodisciplina”. A tale principio fu data prudente
attuazione nell’art. 8 d. legisl. 74/1992, il cui contenuto è successivamente confluito
nell’art. 27 del Codice del Consumo.
La norma qui commentata ne riprende il contenuto, accorpando in un unico comma
(il secondo) le disposizioni già contenute nel secondo e terzo comma del citato art.
27. In definitiva il legislatore italiano, se anche ha riconosciuto la funzione positiva
degli ordinamenti autodisciplinari, e l’operatività delle loro decisioni all’interno dei
rispettivi sistemi, si è limitato ad istituire un collegamento piuttosto blando fra le
procedure davanti agli organi autodisciplinari e quella davanti all’Autorità garante:
nel senso, che, lasciata ovviamente alla libertà delle parti di adire i primi o la
seconda, senza che la legge imponga o preveda alcuna priorità, l’Autorità garante, in
caso do contemporanea pendenza di un procedimento autodisciplinare e sempre su
istanza di parte, potrà discrezionalmente sospendere il procedimento amministrativo
radicato davanti a sé per un periodo non superiore a trenta giorni. Secondo alcuni
autori, il dettato della norma, pur senza spingersi ad una equiparazione delle
pronunce autodisciplinari nell’ordinamento statale, avrebbe comunque il pregio di
aver almeno fugato ogni dubbio sulla loro ammissibilità e liceità. E’ stato peraltro
ss.
146 osservato che anche in mancanza di un esplicito riconoscimento nessun dubbio
poteva comunque avanzarsi sulla possibilità, per i privati, di regolare lecitamente
alcuni momenti delle loro relazioni disponibili in forma negoziale, come del resto era
stato riconosciuto anche in giurisprudenza, già prima dell’emanazione del d. legisl.
74/1992, pur in assenza di qualsiasi disposizione normativa in proposito.
Per organismi volontari e autonomi di autodisciplina si debbono intendere, oltre al
Giuri’ dell’autodisciplina pubblicitaria – sicuramente l’organo più autorevole fra
quelli operanti nel nostro paese, e l’unico che svolga un’attività continuativa, a mezzo
di una stabile organizzazione – anche gli altri sistemi che operano soltanto a livello
settoriale, tra cui sono da ricordare quelli dell’Assopiastrelle ( che prevede il
deferimento ad un collegio arbitrale delle questioni riguardanti controversie
pubblicitarie), dell’ANVED e, inoltre, il Guiri’ del design, di più recente istituzione.
Nella sua ampia formulazione, la norma sembra riferirsi non solo ai sistemi
autodisciplinari già esistenti, ma anche a quelli che dovessero essere istituiti in futuro.
Si è paventato che una interpretazione eccessivamente larga della norma, che
prendesse in considerazione qualsiasi futura istituzione autodisciplinare, potrebbe
favorire il proliferare di sistemi di comodo, al fine di provocare la sospensione del
procedimento davanti all’Autorità garante; ma la discrezionalità del provvedimento di
sospensione, la cui opportunità è riservata insindacabilmente all’Autorità, sembra
eliminare questo genere di pericolo. Il c. 1 dell’articolo in esame, nel prendere in
considerazione la possibilità di ricorso ad organismi autodisciplinari, dà rilievo alla
domanda d’inibizione della continuazione degli atti di pubblicità ingannevole o
147 comparativa illecita, con questo escludendo dalla previsione, e quindi dal successivo
coordinamento con il procedimento amministrativo davanti all’Autorità garante, i
pareri preventivi sulla pubblicità che non sia stata ancora diffusa, che talora rientrano
nei compiti degli organismi autodisciplina. La norma non specifica quali soggetti
debbano considerarsi parti interessate, e perciò legittimate a chiedere il
provvedimento di inibitoria agli organi di autodisciplina. Dal momento che la
previsione si inquadra nel sistema dei rapporti tra Autorità garante e organi
autodisciplinari, sembra corretto ritenere che la norma si riferisca non solo agli
operatori pubblicitari nei confronti dei quali è stato iniziato il procedimento davanti
all’Autorità garante, ma anche ai soggetti legittimati a richiedere l’intervento
dell’Autorità, ai sensi dell’art. 8 co. 2 d. legisl. 145/2007. E’ da notare in proposito
l’uso nel testo legislativo, del termini parti: poiché il procedimento davanti
all’Autorità garante ha natura amministrativa, e non implica, in via di principio, un
contraddittorio tra parti, dovrebbe ritenersi che l’unica vera parte di tale
procedimento sia l’operatore della cui pubblicità si discute. Ma la norma, prendendo
forse atto della tendenza dei procedimenti amministrativi “contenziosi” a modellarsi
secondo le regole del processo civile, accomuna nella sua previsione l’operatore
pubblicitario e i soggetti legittimati a chiedere l’intervento dell’Autorità, a ciò
probabilmente indotta dal parallelismo con il corrispondente procedimento
autodisciplinare, che è di regola un procedimento in contraddittorio fra parti
contrapposte. In ogni caso dovrà trattarsi sempre di soggetti legittimati, sia dal punto
di vista attivo che da quello passivo, anche secondo l’ordinamento autodisciplinare a
148 cui si rivolge, perché la norma in esame in nulla interferisce sulle regole interne di
tali ordinamenti e, in particolare, sulle condizioni d’accesso a quella tutela.
La prima parte del secondo comma prevede che le parti, dopo aver iniziato un
procedimento davanti ad un organismo autodisciplinare, possono convenzionalmente
stabilire di astenersi dal ricorrere all’Autorità garante sino alla pronuncia definitiva
dell’organo autodisciplinare. Se la previsione normativa fosse interpretata nel senso
che un tal patto sia valido e produca effetto tra le parti, essa apparirebbe addirittura
pleonastica. Si è perciò ritenuto che la previsione contenuta nella norma attribuisca
all’accordo delle parti anche effetti esterni, nel senso che il patto, oltre ad avere un
ovvio valore contrattuale, toglie temporaneamente ai soggetti firmatari la
legittimazione a porre il ricorso dell’Autorità garante, con la conseguenza che
quest’ultima potrà rilevare, su istanza dall’altra parte, la temporanea carenza di
legittimazione e la conseguente improcedibilità. Ovviamente, il procedimento davanti
all’Autorità garante potrà essere in ogni tempo iniziato da soggetti diversi dai
sottoscrittori del patto. Lo specifico collegamento temporale al già avvenuto inizio
della procedura autodisciplinare togli rilevanza, quanto meno agli effetti della norma
in esame, agli accordi sottoscritti prima dell’inizio della procedura davanti agli organi
autodisciplinari, o ad eventuali clausole contrattuali, formulate in modo generale e in
via preventiva, che obblighino le parti ad astenersi dall’adire l’Autorità garante prima
dell’esperimento della procedura davanti ad un organismo autodisciplinare.
La seconda parte del comma 2 regola l’ipotesi in cui i due procedimenti siano stati
entrambi radicati; o perché non sia intervenuto alcun patto ai sensi della previsione
149 precedente, o perché il ricorso all’Autorità garante sia stato già proposto da un
soggetto diverso. In tal caso, ogni soggetto interessato, che sia “parte” del
procedimento davanti all’Autorità garante, è legittimato a chiedere a quest’ultima la
sospensione
del
procedimento
in
attesa
della
pronuncia
dell’organismo
autodisciplinare. Sono perciò esclusi dal novero dei legittimati ha chiedere la
sospensione i soggetti che non partecipino al procedimento davanti all’Autorità
garante o nella veste di denuncianti, o in quella di denunciati, o in quella di
intervenienti. E’ escluso inoltre che la sospensione possa essere disposta d’ufficio. E’
difficile cogliere il senso e la funzione di tale sospensione. Normalmente la
sospensione trova infatti giustificazione nella pregiudizialità delle questioni, nella
possibile dipendenza di una pronuncia dall’altra. Escluso che ciò si verifichi
nell’ipotesi in esame, l’unico effetto pratico della sospensione disciplinata dalla
norma sembra essere quello di permettere all’Autorità di tenere conto, nella sua
pronuncia, dei dati emersi nel procedimento autodisciplinare. Il ben modesto rilievo
di tale funzione spiega, fra l’altro, il rarissimo ricorso delle “parti”, a tutt’oggi, a tale
possibilità: la sospensione è stata richiesta in pochissimi casi, nei quali non è stata
comunque accordata, per essere intervenuta la decisione autodisciplinare nel periodo
intercorrente fra la presentazione della relativa istanza e il momento in cui questa è
stata esaminata. Il provvedimento di sospensione è discrezionale ed è disposto dopo
una attenta valutazione di tutte le circostanze rilevanti, tra le quali sicuramente anche
l’importanza e l’autorevolezza dell’organo autodisciplinare contemporaneamente
investito della medesima questione. La sospensione del procedimento non può essere
150 concessa per un periodo superiore ai 30 giorni. Nella limitatezza di questo termine, vi
è chi riavvisa un ulteriore spunto di “disfavore” del legislatore verso un
coordinamento incisivo tra i due procedimenti tuttavia, tenuto conto del fatto che 30
giorni sono di regola più che sufficienti per promuovere e concludere un
procedimento davanti al Giuri’ dell’autodisciplina pubblicitaria, non sembra che la
norma, se applicata, possa dar luogo ad inconvenienti apprezzabili; mentre, al
contrario, non appare conveniente che il procedimento davanti al Garante resti
sospeso per periodi più lunghi, in caso di contemporanea pendenza di procedimenti
davanti ad organismi autodisciplinari più lenti e meno efficienti.
La decisione emessa dal Giuri’, o da altro organismo autodisciplinare, non è in alcun
modo di vincolante per l’Autorità. Per alcuni autori però l’Autorità pur essendo libera
di emettere un provvedimento difforme da quello preso dall’organo autodisciplinare,
dovrà tener conto del contenuto della decisione di quest’ultimo e comunque motivare
il suo dissenso, ma tale opinione sembra essere stata smentita dalla prassi finora
seguita dall’Autorità. C’è poi chi osserva che potrebbe ritenersi contradditorio e
censurabile sotto il profilo dell’eccesso di potere il modo di procedere dell’Autorità
che prima assegnasse rilevanza al giudizio autodisciplinare disponendo la
sospensione, e poi decidesse in maniera diversa dal Giuri’ senza motivare sul punto.
3.2 Testo Unico della Radiotelevisione
151 Come ogni altra forma di pubblicità, anche quella diffusa per radio e televisione
soggiace alle norme generali sulla comunicazione d’impresa che abbiamo già
analizzato. Diverse ragioni tuttavia, e principalmente la particolare invadenza della
radio e della televisione e la loro attitudine a raggiungere ogni possibile fascia di
pubblico, evidenziano l’opportunità di assoggettare la pubblicità diffusa su questi
mezzi anche a norme particolari che colgano il fenomeno in modo più puntuale.
E fu con riferimento a tale esigenza che la d. 89/552/CE sul coordinamento delle
legislazioni degli stati membri circa l’esercizio delle attività televisive assoggettò la
pubblicità televisiva specialmente agli art. da 10 a 21, a disposizioni specifiche le
quali furono riprese a loro volta dall’ art. 8 della l. 6 agosto 1990, n. 223 che a tale
direttiva diede attuazione in Italia.
Negli anni successivi, peraltro, diversi provvedimenti legislativi e regolamentari si
affiancarono e talvolta si sovrapposero alla l. 223/1990 nella disciplina di questo tipo
di pubblicità, fra i quali vanno menzionati la l. 327/1991; il d.m. 425/1991,
contenente in particolare il divieto di pubblicità radiotelevisiva dei prodotti del
tabacco, limitazioni a quella degli alcolici e disposizioni a tutela dei minori;
l.122/1998 (art.3) con norme sugli spot, le televendite e gli inserimenti nei programmi
in parziale recepimento della direttiva 97/36/CE; il Regolamento in materia di
pubblicità radiotelevisiva e televendite emanato dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni con delibera 538/2001 della Commissione Servizi e Prodotti
152 dell’Autorità (Regolamento Comunicazioni) 107; infine, nel 2004, la l. 3 maggio
2004, n. 112 (contenente i principi sull’assetto del sistema radiotelevisivo) delegò il
governo (art. 16) a realizzare un organico coordinamento delle numerose disposizioni
in materia attraverso un “Testo unico della radiotelevisione” avente anche il fine di
assicurare la migliore attuazione delle disposizioni internazionali recepite dal nostro
ordinamento.
E, in adempimento della delega, è stato emanato il predetto testo unico (d. legisl. 31
luglio 2005, n. 177) il quale, oltre alla disciplina del sistema radiotelevisivo
nazionale, regionale e locale, contiene anche, in forma più razionale e coordinata,
norme specifiche in tema di pubblicità televisiva e radiofonica.
A differenza delle disposizioni sulla pubblicità in generale, destinatari delle norme
sulla pubblicità televisiva sono non tutti gli operatori pubblicitari, quali elencati
all’art.2 lett. e del d. legisl. 145/07, ma le emittenti o i fornitori di contenuti aventi la
responsabilità editoriale dei programmi, nei confronti dei quali, in caso d’infrazioni,
si applicheranno le sanzioni di legge.
3.2.1. Esegesi delle norme
107 Il Regolamento Comunicazioni, pubblicato in G.U. 8 agosto 2001, è stato oggetto di tre
successivi interventi modificativi da parte della stessa AGCOM: il primo con delibera n.
250/04/CSP, il secondo con delibera n. 34/05/CSP ed il terzo con delibera n. 105/05/CSP. Il
medesimo Regolamento è stato adottato e modificato in attuazione della Direttiva n. 89/552/CEE,
della Comunicazione interpretativa della Commissione Europea n. 2004/C102/02 relativa a taluni
aspetti della Direttiva e della lettera della Commissione Europea C/2005 2904 in materia di
minispot.
153 Il primo comma dell’art. 8 l. 223/1990, ora abrogato, elencava una serie di principi a
cui la pubblicità radiofonica e televisiva, quale che ne fosse la forma, doveva
attenersi, vietando i messaggi che ne costituissero violazione. Tali prescrizioni sono
state recepite senza sostanziali varianti anche dal testo unico del 2005 all’art.4, c. 1,
in particolare alla lett. c), ma con un’impostazione almeno formalmente diversa da
quella precedente. Infatti, in luogo di enunciare, per mezzo di norme cogenti,
obblighi o divieti a carico dei soggetti interessati, il T.U. presenta le varie prescrizioni
sotto la voce “Principi generali”.
Art. 4. Principi generali del sistema radiotelevisivo a garanzia degli utenti: “1. La
disciplina del sistema radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce:…c) la
diffusione di trasmissioni pubblicitarie e di televendite leali ed oneste, che rispettino
la dignità della persona, non evochino discriminazioni di razza, sesso e nazionalità,
non offendano convinzioni religiose o ideali, non inducano a comportamenti
pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l'ambiente, non possano arrecare
pregiudizio morale o fisico a minorenni, non siano inserite nei cartoni animati
destinati ai bambini o durante la trasmissione di funzioni religiose e siano
riconoscibili come tali e distinte dal resto dei programmi con mezzi di evidente
percezione, con esclusione di quelli che si avvalgono di una potenza sonora
superiore a quella ordinaria dei programmi, fermi gli ulteriori limiti e divieti previsti
dalle leggi vigenti…”
Il primo principio formante oggetto della citata garanzia è che le trasmissioni
pubblicitarie siano”leali ed oneste”, ma stante la sua genericità, sembrerebbe privo di
154 autonomo valore percettivo; e ad esso fanno seguito enunciati di maggior
concretezza, i quali possono idealmente suddividersi in tre gruppi, rispettivamente
ispirati alla tutela dei fondamentali valori ideali dell’uomo, della sicurezza
individuale e collettiva e dei minori.
Al primo gruppo appartengono il rispetto della dignità della persona e la messa al
bando di messaggi che evochino discriminazioni di razza, sesso e nazionalità o
offendano le convinzioni ideali e religiose, disposizioni che hanno una valenza
generale, nel senso che non tutelano solo i minori bensì qualsiasi persona fisica, visto
che non fanno altro che ribadire, in ambito settoriale, l'inviolabilità di quei valori e
principi fondamentali tutelati dalla stessa Costituzione; e comunque questi divieti
sono importanti, nel caso dei minori, in relazione alla necessità di garantire uno
sviluppo equilibrato della loro moralità.
Al secondo gruppo sono da ricondursi la proibizione di messaggi tali da arrecare
pregiudizio alla salute e sicurezza dei singoli e della collettività nonché all’ambiente.
Allo stesso principio si ispirano, come abbiamo precedentemente visto, l’art.12 C.A.,
l’art. 21 del nuovo Codice del Consumo e l’art. 6 del d. legisl. 145/07.
Il generale divieto di indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute è integrato
da norme più specifiche, fra cui in particolare quelle di cui ai c. 10 e 11 dell’art. 37
T.U., che rispettivamente vietano la pubblicità televisiva delle sigarette e di ogni altro
prodotto del tabacco, nonché quella delle bevande alcoliche.
Alla tutela specifica dei minori, si riferisce invece il divieto della pubblicità
radiotelevisiva che arrechi pregiudizio morale o fisico ai minorenni. L’esigenza di
155 proteggere fanciulli e adolescenti quali soggetti più deboli e con minore capacità di
discernimento ispira anche altre disposizioni della complessa disciplina del mezzo
radiotelevisivo, fra cui in particolare l’art. 34, interamente dedicato a questo tema, e
l’art. 40 c. 2 T.U. il quale vieta le televendite che esortino direttamente i minorenni ad
acquistare un prodotto o servizio sfruttandone l’inesperienza e la credulità, o li
invitino a persuadere genitori o altre persone a tali acquisti, o ancora facciano leva
sulla fiducia da essi risposta nei genitori, insegnanti ecc., e avendo qui di mira
soprattutto l’integrità fisica e la salute dei minori, mostrino senza motivo, minorenni
in situazioni pericolose.
Si segnala che analoghi divieti, non limitate alle sole televendite ma a qualsiasi
forma di pubblicità erano già contenuti nel d. m. 125/1991 che, non essendo incluso
fra le disposizioni abrogate dal T.U. pare da ritenersi tuttora in vigore. Disposizioni
analoghe per la pubblicità in generale le abbiamo ritrovate nei precedenti testi
normativi, in particolare l’art. 21 del Codice del Consumo, l’art. 7 del d. legisl.
145/07 e l’art. 11 C.A.
Altra disposizione avente lo stesso intento è formulata dall’art. 37 c. 10, lett. a T.U.,
che, abbiamo visto, vieta, nella pubblicità televisiva e nelle televendite delle bevande
alcoliche 108, di rivolgersi espressamente ai minori o di mostrarli nell’atto di
consumarle, che ne colleghi il consumo con prestazioni fisiche di particolare rilievo o
con la guida di autoveicoli, crei l’impressione che gli alcolici contribuiscano al
108 Ai fini della presente legge per bevande alcoliche si intende ogni prodotto contenente alcol
alimentare con gradazione superiore a 1,2 gradi; per bevanda superalcolica ogni prodotto con
gradazione superiore al 21 per cento di alcol in volume.
156 successo sociale o sessuale, possiedano qualità terapeutiche stimolanti o calmanti o
contribuiscano a risolvere situazioni di conflitto psicologico, ne incoraggino l’uso
eccessivo e incontrollato, presentino in luce negativa l’astinenza o la sobrietà, o
infine usino l’indicazione del rilevante grado alcolico come qualità positiva delle
bevande, anche qui disposizioni già incontrate durante l’analisi del sistema
autodisciplinare all’art. 22 C.A.; ad essa si affianca la normativa di settore, in
particolare alla legge quadro in materia di alcol del 30 marzo 2001 n. 125. La
presente legge sottolinea, tra le altre, la finalità di voler tutelare “il diritto delle
persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare,
sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all'abuso di bevande alcoliche
e superalcoliche.” All’art. 13, comma 2, oltre a vietare la pubblicità rappresentante
minori intenti al consumo, proibisce l’inserimento di messaggi per alcolici e
superalcolici nei programmi rivolti ai minori nonché nei 15 minuti precedenti e
successivi ai programmi stessi e ne vieta la trasmissione luoghi frequentati
prevalentemente dai minori di 18 anni d'età. Inoltre, è vietato pubblicizzare
superalcolici (il divieto non riguarda le bevande alcoliche): nella fascia oraria dalle
16 alle 19 (il divieto si riferisce alla pubblicità radiotelevisiva), sulla stampa
giornaliera e periodica destinata ai minori e nelle sale cinematografiche in occasione
della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione dei minori.
La violazione di queste disposizioni è punita con una sanzione amministrativa che
consiste nel pagamento di una somma variabile dai 2582 ai 10329 euro, diretta sia
157 alle industrie produttrici, sia ai responsabili delle emittenti radiotelevisive e degli
organi di stampa nonché ai proprietari delle sale cinematografiche.
Ancora alla tutela dei fanciulli sono da ricollegare alcune previsioni sia del T.U. sia
del Regolamento Comunicazioni a proposito dei programmi di cartoni animati: la
prima all’art. 4 lett. c vieta l’inserimento di pubblicità in tali programmi; il secondo
all’art. 4 n. 6 estende la proibizione a tutti i programmi per bambini di durata
inferiore a trenta minuti: “I programmi per bambini di durata programmata inferiore
a trenta minuti non possono essere interrotti dalla pubblicità o dalle televendite”;
vietando inoltre all’art. 3 n. 4 che nella pubblicità diffusa prima o dopo cartoni
animati compaiono personaggi dei medesimi: “I messaggi pubblicitari, incluse le
telepromozioni e le televendite, in qualsiasi forma trasmessi, non possono essere
presentati dal conduttore del programma in corso nel contesto dello stesso. Nella
pubblicità diffusa prima o dopo i cartoni animati non possono comparire i
personaggi dei medesimi cartoni animati”.
Alla protezione di fanciulli e adolescenti appare ispirata infine la regolamentazione
per le c.d. “fasce orarie protette” la quale, in linea con il disposto dell’ art. 34 del
T.U., secondo le quali è vietata la trasmissione dei film ai quali sia stato negato il
nulla osta per la rappresentazione in pubblico, o che siano stati vietati ai minori di 18
anni mentre i film vietati ai minori di anni quattordici non possono essere trasmessi
né integralmente né parzialmente prima delle ore 22:30 e dopo le ore 7, attribuisce
inoltre generale efficacia vincolante al Codice di autoregolamentazione Tv e minori,
recependone il contenuto.
158 Ricordiamo che, per quanto riguarda specificamente la pubblicità, tale codice all’art.4
contiene l’impegno delle imprese televisive a non trasmettere pubblicità e promozioni
“che possano ledere l’armonico sviluppo della personalità dei minori o che possano
costituire fonte di pericolo fisico o morale per i minori stessi”, impegnando le
emittenti firmatarie a rispettare il C.A. e introducendo norme, applicabili
alternativamente alla pubblicità trasmessa in ogni fascia oraria, o alla pubblicità
trasmessa in fasce orarie considerate meritevoli di “protezione rafforzata”, in gran
parte ricalcate su quelle del C.A. Particolare attenzione merita la regolamentazione
della pubblicità da trasmettersi nella fascia dalle ore 16 alle 19, per la quale, oltre
all’obbligo di rendere distinguibile il messaggio pubblicitario dal resto della
trasmissione attraverso l’uso di “ elementi di discontinuità “ che siano riconoscibili
anche dai bambini che ancora non sanno leggere, vige il divieto assoluto di
pubblicizzare determinati prodotti e servizi (bevande superalcoliche, bevande
alcoliche all’interno di programmi rivolti direttamente ai minori nonché nelle
interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive, servizi telefonici
di intrattenimento, profilattici e contraccettivi).
Ancora in ordine al nostro tema dobbiamo anche ricordare come, in sede di
approvazione della l. 112/2004, il c. 3 dell’art. 10, che formula i principi su tale
specifico tema, fosse passato un inciso che sanciva il divieto di impiegare i minori di
anni 14 “per messaggi pubblicitari e spot”, e come quindi, in attuazione delle delega,
anche l’art. 34 c. 5 del T.U. contenesse identica proibizione, la quale dava luogo a
sconcerto essendo sostanzialmente indispensabile nella pubblicità di certe
159 merceologie utilizzare bambini. Con l. 6 febbraio 2006, n. 37 l’art. 10 c. 3 1.
112/2004 è stato modificato con la soppressione del predetto divieto, ma altrettanto
non è accaduto per il T.U., il cui art. 34, c. 5 è rimasto invariato onde, almeno
formalmente, la proibizione rimane.
Qualche cenno meritano qui le regole enunciate dall’art. 4 c. 1 lett. b a proposito dei
programmi in generale, le quali, nonostante la definizione di “programma “ di cui
all’art. 2, c. l, lett. a del T.U. lasci un margine d’incertezza se ricomprendervi le
trasmissioni pubblicitarie, sono ad avviso di chi scrive applicabili anche alle radio e
telecomunicazioni commerciali. Infatti non par dubbio che non solo i programmi
redazionali ma anche la pubblicità “non possa violare i diritti fondamentali della
persona, incitare all’odio, all’intolleranza razziale, religiosa, di nazionalità o di
sesso, presentare scene di violenza o indulgere alla pornografia”, situazioni del resto
già vietate dall’ordinamento sul piano generale e specificamente per la pubblicità da
altre norme, così statuali come autodisciplinari. E a maggior ragione, poi, deve
ritenersi applicabile alla pubblicità anche la “proibizione di nuocere allo sviluppo
fisico, psichico e morale dei minori”. Onde sembra potersi concludere ai divieti
specifici cui la pubblicità radiotelevisiva è assoggettata per ciò che riguarda i
contenuti e le modalità espressive dalla lett. c dell’art. 4, c. 1 T.U. siano da affiancarsi
altresì quelli generali enunciati alla lett. b.
Infine, sempre quanto riguarda i contenuti, e fermo restando che in ordine ad essi non
sussista disparità di trattamento a seconda che i messaggi siano diffusi dalla
concessionaria pubblica o da emittenti private, va ricordata l’esistenza della raccolta
160 di norme per la pubblicità radiotelevisiva diffusa dalla RAI, ciò che spiega perché a
tale documento nel settore si dia abitualmente il nome di Codice SACIS, che è l’ente
al quale il materiale da diffondere sui canali RAI deve essere sottoposto in anticipo.
Tale raccolta, che già esisteva quando ancora il C.A. non era stato emanato ed ha
costituito per molti anni l’unico punto di riferimento per la pubblicità radiotelevisiva,
contiene regole assai minuziose sia d’ordine generale sia per le varie categorie di
prodotti nonché criteri pratici per la loro applicazione al cui rispetto l’accettazione
della pubblicità da diffondersi sull’emittente pubblica è condizionata e, benché avente
meno valore autonormativo
nell’ambito di contratti diffusionali, può risultare
d’ausilio nella valutazione di casi concreti.
Il principio della riconoscibilità della pubblicità è stato già da noi incontrato in tutti i
testi precedentemente disciplinati, in particolar modo all’art. 5 del d. legisl. 145/2007
109, ed è stato affermato da dottrina e giurisprudenza come espressione della
correttezza professionale con riferimento all’art. 2598 c. 3 c.c., ma ha formato per la
prima volta oggetto di espressa norma statuale, con specifico riguardo alla
radiotelevisione, con l’art. 8 c. 2 l. 223/1990. 110
Nel T.U. della radiotelevisione la regola è ora sancita all’art. 4 c. 1 lett. c, il quale
esige che le trasmissioni pubblicitarie “siano riconoscibili come tali”. Il principio
109 In cui si afferma che “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”: l'ampia
formulazione di questa disposizione ha permesso, in un precedente, di condannare una
telepromozione di giocattoli, inserita in una trasmissione per bambini, perché, nonostante la
presenza della scritta “messaggio promozionale”, la natura pubblicitaria del messaggio non poteva
essere riconosciuta dai più piccoli in quanto non in grado di leggere, o comunque di cogliere
appieno il significato della dicitura. Vedremo in questo senso il Provved. n. 6447, PI1950 - GIG
Libro dei Giocattoli, AGCM.
110 In precedenza risultava formulato sul piano generale solo dall’art. 7 C.A.
161 della riconoscibilità della pubblicità presenta due risvolti individuando in positivo
l’obbligo di strutturare il messaggio in modo da rendere la sua natura palese e, in
negativo, il divieto della pubblicità occulta. Tale obbligo è integrato da disposizioni
che impongono particolari accorgimenti nella presentazione, in modo da consentire
anche di distinguerlo nettamente dal resto delle programmazioni, come l’art. 3 del
Regolamento Comunicazioni intitolato, appunto, Riconoscibilità del messaggio
pubblicitario rispetto al resto del programma: “1. La pubblicità e le televendite
devono essere chiaramente riconoscibili come tali e distinguersi nettamente dal resto
della programmazione attraverso l’uso di mezzi di evidente percezione, ottici nei
programmi televisivi, o acustici nei programmi radiofonici, inseriti all’inizio e alla
fine della pubblicità o della televendita, essendo comunque vietato diffondere
messaggi pubblicitari e televendite con una potenza sonora superiore a quella
ordinaria dei programmi definita in base ai parametri tecnici e alle metodologie di
rilevamento determinati dall’Autorità con apposito provvedimento. 111
2. Le emittenti televisive sono tenute a inserire sullo schermo, in modo chiaramente
leggibile, la scritta "pubblicità" o "televendita", rispettivamente nel corso della
trasmissione del messaggio pubblicitario o della televendita”.
Oltre che della presentazione, il Regolamento Comunicazioni si occupa anche dei
contenuti, vietando che le varie forme di pubblicità, ed in particolare le
telepromozioni e le televendite, siano presentate nel corso dei programmi dal loro
conduttore e, se imitazione o parodia di programmi, siano trasmesse prima, dopo o
111 Comma così modificato dalla delibera dell'Autorità n. 132/06/CSP.
162 durante gli stessi ed inoltre proibendo che facciano richiamo ai presentatori di
telegiornali o rubriche d’attualità. La norma va messa in relazione anche con il
divieto di inserire telepromozioni in telegiornali, radiogiornali, notiziari politici,
finanziari ed economici nonché in programmi di consulenza per i consumatori,
contenuto nell’art. 13 c.2 d.m. 581/1993, ispirato alla tutela del pubblico e al
principio dell’imparzialità dell’informazione. A finalità analoghe, oltreché alla
protezione dei minori, s’ispirano infine pure il divieto contenuto nello stesso articolo
di inserire telepromozioni nei cartoni animati e quello, formulato dall’art. 3 c. 4 del
Regolamento Comunicazioni, di far comparire nei messaggi diffusi prima o dopo
cartoni animati i personaggi medesimi.
Oltre al principio della riconoscibilità, la d. CEE 89/552 enunciava anche quello
dell’eccezionalità dell’interruzione pubblicitaria, che dovrebbe collocarsi in un
“intervallo naturale” così da arrecare ai telespettatori il minimo disturbo possibile
nella valutazione logico–cronologica del programma 112 e per conseguire tale
obbiettivo disponeva che le interruzioni siano collocate e distanziate opportunamente
a seconda del tipo di trasmissione.
Nel recepire la direttiva, la l. 223/1990 ne disattendeva però in buona parte le regole,
consentendo ulteriori interruzioni e non prevedendo l’obbligo di un intervallo minimo
fra le stesse. Dopo varie vicende (fra cui si collocano oltre al referendum abrogativo
del giugno 1995, il deferimento dell’Italia da parte della Commissione U.E. alla Corte
di Giustizia per mancato recepimento della d. 97/36/CE e la sentenza condannata 14
163 giugno 2001 da parte della Corte) la l. 1 marzo 2002, n. 39 integrava la l. 30 aprile
1998, n. 122, riallineando il nostro Paese ai criteri europei.
La materia, nel frattempo regolata anche dall’art. 4 Regolamento Comunicazioni, è
ora disciplinata dall’art. 37 del T.U. della radiotelevisione, il quale, dopo avere
permesso al c. 1 che i messaggi pubblicitari isolati devono costituire eccezioni e
formulato il principio secondo cui devono essere collocati fra i programmi, ne
consente tuttavia anche l’inserimento nel corso dei programmi stessi in modo da non
pregiudicarne l’integrità e il valore e tenendo conto della loro durata e natura nonché
dei diritti dei “titolari”, espressione quest’ultima che pare riferirsi ai soggetti che
possono vantare sui programmi un diritto d’autore. La parte restante dell’art. 37 ai
commi da 2 a 8, contiene norme tecniche le quali precisano in che modo e quante
volte le interruzioni pubblicitarie di programmi sono consentite, a seconda della
natura e durata dei medesimi nonché dell’ambito territoriale in cui l’emittente
trasmette, disciplinando i programmi che non tollerano interruzioni pubblicitarie nel
corso della loro programmazione televisiva, in particolar modo i cartoni animati ed i
programmi per bambini qualora di durata inferiore a 30 minuti 113; mentre i c. 9, 10
e 11 dispongono i già ricordati divieti della pubblicità per medicinali e cure mediche
112 Urciuoli, La pubblicità nella disciplina radiotelevisiva, in Corsaniti-Vasselli Diritto della
comunicazione pubblicitaria, p. 155.
113 Per quelli di durata superiore ai 30 minuti si rimanda alle regole generali di interruzione
pubblicitaria dei programmi contenute all’art. 1 c. 26 della l. 650/1996, che vieta di interrompere i
programmi rivolti ai minori con propaganda di servizi audiotex e videotex, e all’art. 10 c. 2 l.
112/2004, come modificato dall’art. 1 lett b l. 37/2006, che rafforza il consueto divieto di
interruzione della programmazione per minori mediante la pubblicità di bevande alcoliche, vietando
detta pubblicità oltre che durante, anche immediatamente prima e dopo i programmi direttamente
rivolti ai minori.
164 su ricetta e per prodotti del tabacco, nonché le limitazioni, pure già viste, per quella
delle bevande alcoliche.
Più rispettosa della normativa europea la legge italiana si è invece dimostrata per ciò
che concerne gli “indici (o tetti) di affollamento”, per tali intendendosi, come già
accennato, le massime percentuali dei tempi destinabili alla pubblicità rispetto a
quelli complessivi di trasmissione e la cui fissazione risponde alla duplice esigenza di
tutelare il pubblico da una dose eccessiva di pubblicità e assicurare agli operatori dei
mass–media un equilibrio nella distribuzione della stessa, noto essendo che i relativi
proventi rappresentano, per tali operatori, una essenziale fonte di finanziamento. Gli
indici di affollamento sono fissati dall’art. 38 del T.U. su base così oraria come
giornaliera, variano a seconda che l’emittente sia pubblica, privata su scala nazionale
o privata in ambito locale, e per queste due ultime categorie variano altresì se i tempi
destinati alla pubblicità includono o meno “ forme di pubblicità diverse dagli spot”
(espressione che pare da intendersi riferita, oltre che alle televendite, anche a
qualsiasi trasmissione pubblicitaria “more time consuming”, come ad esempio le
telepromozioni). Gli affollamenti vengono computati calcolando la durata delle tre
forme di pubblicità costituite da spot, telepromozioni e televendite rispetto ai c.d.
“tempi lordi” complessivi 114, con esclusione delle sponsorizzazioni (che non sono
considerate pubblicità ai fini dei limiti d’affollamento giornaliero) e delle
autopromozioni (pure sottratte dal computo a norma dell’art. 5 del reg.2001). La
natura eminentemente tecnica di tali disposizioni, che rivestono interesse soprattutto
165 per le emittenti ed assai meno per le imprese inserzioniste, esime da ulteriori
approfondimenti.
La Televendita è stata presa in considerazione la prima volta nel nostro ordinamento
con il c. 9-bis aggiunto all’art. 8 l. 223/1990 dalla l. 483/1992 per riparare all’omesso
recepimento della corrispondente disposizione della d. 89/552/CEE 115. Oggi è
assoggettata ad una complessa normativa costituita, oltre che dalle disposizioni del
T.U. sulla radiotelevisione qui in commento (ed in particolare dagli art. 37, 38 e 40)
nonché dal d.m. 581/1993 e dal reg. 538/2001/CSP, anche dagli art. da 28 a 32 del
Codice del Consumo d. legisl. 206/2005.
Art.40 c. 2, riservato alla tutela dei minori: “la televendita non deve esortare i minori
a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi. La
televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minori e deve rispettare i
seguenti criteri a loro tutela: a) non esortare direttamente i minori ad acquistare un
prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la credulità; b) non esortare
direttamente i minori a persuadere genitori o altri ad acquistare tali prodotti o
servizi; c) non sfruttare la particolare fiducia che i minori ripongono nei genitori,
negli insegnanti o in altri; d) non mostrare, senza motivo, minori in situazioni
pericolose”.
Riproduce, per le televendite, i divieti già formulati per qualsiasi voglia forma di
pubblicità dal d.m. 125/1991, ma va rimarcato come, in aggiunta a tali regole, venga
114 per tali intendendosi “la durata del programma radiotelevisivo comprensivo del tempo dedicato
alle interruzioni pubblicitarie”: art.1, lett. i) reg.2001.
115 Fusi, Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1993, p. 811.
166 altresì formulato il divieto di “esortare i minori a stipulare contratti di compravendita
o di locazione di prodotto e di servizi”, ciò che intuitivamente pare tradursi nel
divieto delle televendite rivolte ai minori non essendo immaginabile un’offerta che
non inviti i destinatari ad aderirvi. Si segnala che norme di contenuto identico a
quelle dell’art. 40 del T.U. sono riportate agli art. 30, c. 1 e 31 del Codice del
Consumo, che ne costituiscono sostanzialmente duplicazione quali il divieto di
sfruttare superstizione, credulità e paura o di mostrare scene di violenza fisica o
morale o comunque indecenti, volgari e ripugnanti, nonché di formulare dichiarazioni
o rappresentazioni erronee in particolare sugli effetti del servizio, prezzi, condizioni
di vendita e di fornitura, premi, identità delle persone, già approfondite
precedentemente.
3.2.2 Autorità Garante delle Comunicazioni (AGCOM)
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un’autorità indipendente, che ha
sostituito il preesistente Garante per la radiodiffusione e l'editoria, istituita dalla legge
249 del 31 luglio 1997.
Indipendenza e autonomia sono elementi costitutivi che ne caratterizzano l’attività e
le deliberazioni.
Al pari delle altre autorità previste dall’ordinamento italiano, l’AGCOM risponde del
proprio operato al Parlamento, che ne ha stabilito i poteri, definito lo statuto ed eletto
i componenti.
167 Sono organi dell’Autorità: il Presidente, la Commissione per le infrastrutture e le reti,
la Commissione per i servizi e i prodotti, il Consiglio.
Ciascuna Commissione è organo collegiale, costituito dal Presidente e da quattro
Commissari.
Il Consiglio è costituito dal Presidente e da tutti i Commissari.
L’AGCOM è innanzitutto un’autorità di garanzia: la legge istitutiva affida
all’Autorità il duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori
sul mercato e di tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini. In questo
senso, le garanzie riguardano:
- gli operatori, attraverso: l’attuazione della liberalizzazione nel settore delle
telecomunicazioni, con le attività di regolamentazione e vigilanza e di
risoluzione delle controversie; la razionalizzazione delle risorse nel settore
dell’audiovisivo; l’applicazione della normativa antitrust nelle comunicazioni e
la verifica di eventuali posizioni dominanti; la gestione del Registro Unico
degli Operatori di Comunicazione e la tutela del diritto d'autore nel settore
informatico ed audiovisivo.
- gli utenti, attraverso: la vigilanza sulla qualità e sulle modalità di distribuzione
dei servizi e dei prodotti, compresa la pubblicità; la risoluzione delle
controversie tra operatori e utenti; la disciplina del servizio universale e la
predisposizione di norme a salvaguardia delle categorie disagiate e la tutela del
pluralismo sociale, politico ed economico nel settore della radiotelevisione.
168 Pregiudiziale a ogni altro obiettivo è stata tuttavia e continua a essere l’innovazione
tecnologica, destinata ad arricchire il quadro delle risorse disponibili, a innestare
nuovi processi produttivi, a favorire la formazione di nuovi linguaggi e
l’alfabetizzazione dei cittadini verso la società dell’informazione.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è un’autorità “convergente”. La
definizione fa riferimento alla scelta del legislatore italiano di attribuire a un unico
organismo
funzioni
di
regolamentazione
e
vigilanza
nei
settori
delle
telecomunicazioni, dell’audiovisivo e dell’editoria. Si tratta di una scelta giustificata
dai profondi cambiamenti determinati dall’avvento della tecnologia digitale, che
attenua, fino ad annullarle, le differenze fra i diversi mezzi, diventati veicolo di
contenuti sempre più interattivi. Telefono, televisione e computer sono destinati a
integrarsi, a convergere sulla medesima piattaforma tecnologica, ampliando in tal
modo la gamma dei servizi disponibili.
Il modello adottato dall’Autorità rappresenta quasi un’eccezione nel panorama
internazionale ed è guardato oggi con crescente interesse da molti paesi.
A ciascuna Commissione sono attribuite competenze specifiche, attinenti, in linea
generale: ai supporti utilizzati dai diversi mezzi di comunicazione (Commissione per
le Infrastrutture e le Reti), in questo caso, le decisioni dell'AGCOM hanno un
contenuto tecnico più marcato, ed ai servizi e ai prodotti offerti sulle reti
(Commissione per i Servizi e i Prodotti), in questo caso le decisioni riguardano profili
più propriamente qualitativi, legati al rispetto delle norme esistenti e dei criteri
stabiliti dalla stessa Autorità.
169 Secondo l'impostazione seguita dal legislatore, dunque, ciascuna Commissione deve
poter intervenire in tutti i settori sottoposti al controllo dell'Autorità. Non esiste una
competenza "parcellizzata" per area: telecomunicazioni, radiotelevisione, editoria.
Ciò vale naturalmente anche per il Consiglio, che è competente nelle materie
espressamente indicate dalla legge e nelle materie non attribuite alle Commissioni.
La Commissione per le Infrastrutture e le Reti delibera in materia di interconnessione
e di accesso, di numerazione, di servizio universale, di misure per la sicurezza delle
comunicazioni e tetti per le radiofrequenze e di standard per i decodificatori. La legge
ha inoltre affidato a questa Commissione la definizione delle controversie tra utenti e
gestori del servizio di telecomunicazioni, attività che vedrà l'Autorità sempre più
impegnata nel prossimo futuro.
La Commissione per i Servizi e i Prodotti vigila sulle modalità di distribuzione dei
prodotti, inclusa la pubblicità, e sulla loro conformità alle prescrizioni di legge,
provvedendo ad emanare direttive sui livelli generali di qualità dei servizi. In materia
di pluralismo, l'attività di questa Commissione è assai ampia: essa garantisce, tra
l'altro, l'applicazione delle norme sulla "par condicio" in periodo elettorale e non
elettorale e di quelle dettate a tutela dei minori. La verifica del rispetto delle leggi è
affidata al sistema di monitoraggio realizzato dall'Autorità in collaborazione con
centri specializzati nella raccolta dei dati. Altre competenze di rilievo riguardano la
rilevazione degli indici di ascolto e di diffusione dei diversi di comunicazione e la
verifica della corretta pubblicazione dei sondaggi.
170 Per quanto riguarda specificatamente le competenze in materia di pubblicità
radiotelevisiva tale Commissione si occupa di:
- emanare i regolamenti attuativi in materia di televendite e di qualsiasi forma di
pubblicità;
- vigilare sul rispetto delle norme relative ai messaggi pubblicitari televisivi e
radiofonici;
- verificare il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di tutela dei
minori anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra
televisione e minori e degli indirizzi della Commissione parlamentare per l'indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
- applica le sanzioni previste.
Sotto il profilo sanzionatorio, dobbiamo distinguere dalla disciplina generale della
violazione delle disposizioni in materia pubblicitaria contenuta nel T.U.R., nel
Regolamento Sponsorizzazioni 116 e nel Regolamento Comunicazioni, che è regolata
dall’art. 51 del T.U.R., quella relativa alla tutela dei minori, regolata, invece, dall’art.
35 del T.U.R. 117
Tale articolo, riprendendo in parte il testo dell’art. 10 l. 112/2004 e in parte il testo
dell’art. 31 della l. 223/1990, continua a prevedere: “Alla verifica dell'osservanza
delle disposizioni di cui all'articolo 34 provvede la Commissione per i servizi ed i
116 Il Regolamento Sponsorizzazioni, pubblicato in G.U. 12 gennaio 2004, sostituisce il primo
regolamento in tema di sponsorizzazioni adottato con D.M. Poste e Telecomunicazioni del 4 luglio
1991 n. 439, a sua volta approvato in attuazione dell’art. 8 c. 15 l. 223/1990.
117 S. Rotelli - E. Mina, Le norme sulla pubblicità commerciale dal codice del consumo al T.U.
sulla radiotelevisione, in Diritto Industriale, IV, 2006, p. 367.
171 prodotti dell'Autorità, in collaborazione con il Comitato di applicazione del Codice
di autoregolamentazione TV e minori, anche sulla base delle segnalazioni effettuate
dal medesimo Comitato. All'attività del Comitato il Ministero fornisce supporto
organizzativo e logistico mediante le proprie risorse strumentali e di personale,
senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato”.
È quindi prevista una collaborazione tra l’AGCOM e il Comitato di applicazione
previsto dal Codice di autoregolamentazione Tv e minori. La Commissione dispone i
necessari accertamenti e contesta gli addebiti agli interessati, assegnando un termine
non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, infatti la disposizione in esame
continua prescrivendo: “Nei casi di inosservanza dei divieti di cui all'articolo 34,
nonché all'articolo 4, comma 1, lettere b) e c), limitatamente alla violazione di norme
in materia di tutela dei minori, la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità,
previa contestazione della violazione agli interessati ed assegnazione di un termine
non superiore a quindici giorni per le giustificazioni, delibera l'irrogazione della
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 25.000 euro a 350.000
euro e, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione o
dell'autorizzazione per un periodo da uno a dieci giorni”.
Le sanzioni si applicano anche se il fatto costituisce reato e indipendentemente
dall'azione penale e alle sanzioni inflitte sia dall'Autorità che, per quelle previste dal
Codice di autoregolamentazione TV e minori, dal Comitato di applicazione del
medesimo Codice, viene data adeguata pubblicità anche mediante comunicazione da
172 parte dell'emittente sanzionata nei notiziari diffusi in ore di massimo o di buon
ascolto.
L’ultimo comma prevede che l'Autorità presenti al Parlamento, entro il 31 marzo di
ogni anno, una relazione sulla tutela dei diritti dei minori, sui provvedimenti adottati
e sulle sanzioni irrogate e che gni sei mesi invii alla Commissione parlamentare per
l'infanzia di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451, una relazione informativa sullo
svolgimento delle attività di sua competenza in materia di tutela dei diritti dei minori,
corredata da eventuali segnalazioni, suggerimenti o osservazioni.
Per quanto riguarda la disciplina generale l’art. 51 dispone che: “l'Autorità applica,
secondo le procedure stabilite con proprio regolamento, le sanzioni per la violazione
degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi”.
Per le violazioni delle disposizioni sulla pubblicità, sponsorizzazioni e televendite,
l'Autorità dispone i necessari accertamenti e contesta gli addebiti agli interessati,
assegnando un termine non superiore a quindici giorni per le giustificazioni.
Trascorso tale termine o quando le giustificazioni risultino inadeguate l'Autorità
diffida gli interessati a cessare dal comportamento illegittimo entro un termine non
superiore a quindici giorni a tale fine assegnato. Ove il comportamento illegittimo
persista oltre il termine sopraindicato, l'Autorità delibera l'irrogazione della sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da 5.165 euro a 51.646 euro.
Nei casi più gravi di violazioni l'Autorità dispone altresì, nei confronti dell'emittente
o del fornitore di contenuti, la sospensione dell'attività per un periodo da uno a dieci
giorni.
173 Se la violazione e' di particolare gravità o reiterata, l'Autorità può disporre nei
confronti dell'emittente o del fornitore di contenuti la sospensione dell'attività per un
periodo non superiore a sei mesi, ovvero nei casi più gravi di mancata ottemperanza
agli ordini e alle diffide della stessa Autorità, la revoca della concessione o
dell'autorizzazione. Le somme versate a titolo di sanzioni amministrative per le
violazioni previste dal presente articolo sono versate all'entrata del bilancio dello
Stato.
174 Capitolo quarto
LEADING CASES E PUBBLICITA’ EDUCATIVA
Oltre ai casi genericamente elencati nei rispettivi capitoli per la migliore
comprensione della disciplina, riportiamo ora alcuni esempi emblematici di
pubblicità televisive che hanno generato un certo clamore tra il pubblico per aver
suscitato delle reazioni “allarmanti” tra alcuni bambini che ad esse sono stati esposti.
L'analisi di questi casi fornirà lo spunto per illustrare il funzionamento pratico dei
meccanismi, statale ed autodisciplinare, a tutela dei minori, nonché per evidenziarne
pregi e difetti.
Approfondiremo poi quel fenomeno sviluppatosi negli ultimi anni, la Pubblicità
educativa, dedicando la nostra trattazione anche alla Fondazione Pubblicità
Progresso, che dal 1970 dedica il suo impegno alla soluzione di problemi morali,
civili ed educativi riguardanti l'intera comunità attraverso la realizzazione di
campagne pubblicitarie distribuite gratuitamente, e fornendo degli esempi, anche a
livello mondiale, che hanno particolarmente suscitato l’attenzione del pubblico.
4.1 Un caso di pubblicità sociale
175 Riguarda una campagna sociale andata in onda su tre reti televisive nazionali nella
prima settimana di marzo del 2001: lo spot promuoveva la prevenzione del diabete
infantile.
Esso ritraeva un bambino bendato che si aggirava a tentoni per la casa; ben visibile
appariva sullo schermo la scritta “questo è un bambino diabetico che si allena a
diventare grande”, poi un’altra che spiega come il diabete sia la prima causa di cecità
nei “grandi”. Inoltre, in sovrimpressione nei primi fotogrammi appariva lo slogan
“Per il diabete la cura non c'è, Jdf la ricerca”.
Lo spot, insomma, lasciava intendere che la cecità fosse ineluttabile per un diabetico,
cosa assolutamente falsa se c'è un buon controllo della malattia.
Questo messaggio, così forte nella sua rappresentazione, non ha mancato di suscitare
clamore ed una grande indignazione tra i genitori di bimbi malati, ma soprattutto di
sconvolgere gli stessi bambini diabetici che si sono identificati nel protagonista dello
spot. La campagna sociale è stata bloccata e lo spot sospeso, tuttavia è stata
necessaria la denuncia dei genitori di un adolescente affetto da diabete e l'accorata
descrizione della paura del bambino, per convincere l'agenzia che l'ha realizzato ed il
committente, a ritirarlo dopo una settimana di programmazione. I genitori hanno
raccontato come il loro figlio, dopo aver visto lo spot, si è rivolto al fratello minore
dicendogli: “vedi, quello è un ragazzo come me”; il fratellino è scoppiato in lacrime,
è corso dalla mamma e le ha raccontato l’accaduto, dicendo che il fratello era
diventato molto triste. 118
118 Da "La Repubblica" di Sabato 10/3/2001, p. 25
176 L'aspetto allarmante in questo caso, a prescindere dalla responsabilità oggettiva
dell'agenzia e dell'organizzazione no-profit, riguarda il mancato intervento delle
autorità competenti in materia di pubblicità. In realtà, bisogna dire che l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, in questo caso, non aveva competenza per
intervenire. Purtroppo una lacuna del sistema, creato dal d. legislativo 74/1992 in poi,
consiste proprio nell'impossibilità di applicare le sue disposizioni alla pubblicità
sociale.
Infatti abbiamo visto come non rientri nella nozione di pubblicità, accolta dalla
normativa in materia di pubblicità ingannevole oggi presente nel d. legisl. 145/2007,
la comunicazione non promanante da un operatore economico che sia volta a
promuovere un'iniziativa senza fine di lucro. 119
L'unico limite è proprio quello che emerge da tale definizione, che non permette
l’applicabilità della normativa in esame alla comunicazione non commerciale, come,
appunto, la pubblicità sociale, perché priva di finalità commerciali e perché non
proviene da un «operatore economico».
L'Istituto di Autodisciplina invece, aveva la facoltà di intervenire ai sensi dell'art. 46
del C.A. che estende l'applicazione delle norme dello stesso alla pubblicità sociale.
Pur non essendo la fondazione committente un associato IAP, sicuramente lo erano
l'agenzia pubblicitaria e l'emittente televisiva che ha diffuso il messaggio; per questo
motivo, in base alla clausola di accettazione (presente in tutti i contratti pubblicitari
119 AG n.6720, ivi 51/98, con riferimento alla pubblicità di un'associazione no profit volta a
sensibilizzare il pubblico sull'importanza della diagnosi precoce dei tumori,con la quale si offriva
anche una visita di controllo gratuita.
177 conclusi dagli associati IAP), l'intervento del Comitato di controllo era auspicabile. E
molto probabilmente esso sarebbe intervenuto in seguito, se non fosse stato preceduto
da un'autonoma decisione dei soggetti interessati, di sospendere lo spot incriminato.
Resta comunque il fatto che il sistema statale non garantisce tutela dalla
comunicazione
non
commerciale
e
dunque
in
casi
del
genere
bisogna
necessariamente affidarsi al buon senso degli operatori o altrimenti al sistema
autodisciplinare. È al tempo stesso evidente, però, che in simili situazioni, in cui è in
gioco l'equilibrio psicologico ed emotivo dei minori, i tempi procedurali dello IAP,
seppure in genere inferiori a quelli previsti dall'AGCM possono risultare insufficienti.
4.2 Decisioni dell’AGCM e del Giurì
Un altro caso riguarda la pronuncia di ingannevolezza emessa dall'AGCM nei
confronti di una telepromozione, in riferimento alla riconoscibilità della natura
pubblicitaria della medesima da parte dei bambini. Il messaggio in questione era
inserito all'interno del programma televisivo Zecchino d'Oro diffuso dall'emittente
Rai Uno il 16 novembre 1997. La telepromozione era introdotta dal presentatore che
affermava: “A proposito del nostro piccolo coro, state attenti perché adesso il piccolo
coro dell'Antoniano ci regalerà una canzone per tutti i bambini che ci stanno
guardando”, e immediatamente dopo, il coro intonava un jingle, intitolato “GIG è
bel”. In una scenografia natalizia, un noto personaggio travestito da Babbo Natale,
178 supportato dal presentatore della trasmissione, illustrava ad alcuni bambini e ai
telespettatori alcuni dei giocattoli commercializzati dalla linea GIG.
Nonostante la telepromozione fosse stata regolarmente mandata in onda con
l'indicazione “messaggio promozionale” (rispettando così l'obbligo previsto dal d.m.
n.581/93), per l'Autorità, tale provvedimento non costituiva una avvertenza adeguata,
in considerazione del fatto che i bambini più piccoli non sono in grado di leggere, o
comunque di cogliere appieno il significato della dicitura. Inoltre, l'aggravante del
caso riguardava il fatto che la telepromozione non veniva chiaramente annunciata, ma
al contrario era introdotta dal conduttore del programma con una formulazione
ambigua. E ancora, il legame tra il momento promozionale e la trasmissione era
prodotto dalla partecipazione del conduttore alla presentazione dei giocattoli, dalla
presenza dei bambini del pubblico e dalla partecipazione del coro che intonava il
motivo musicale introduttivo e finale. In assenza di avvertenze idonee a comunicare
ai piccoli spettatori la sua natura pubblicitaria, il messaggio aveva così l'effetto di
incidere indebitamente sui livelli di attenzione e di coinvolgimento, giacché i
sentimenti di simpatia e benevolenza nutriti dai bambini nei confronti della
trasmissione e dei suoi protagonisti, si riflettevano sul messaggio e, di conseguenza,
sul prodotto pubblicizzato.
In definitiva, la telepromozione non era chiaramente distinguibile rispetto al
programma e, al tempo stesso, risultava idonea ad abusare della credulità e mancanza
179 di esperienza dei minori. Per questo è stata considerata ingannevole ai sensi dell'art.4
e 6 del d.l. 74/92, allora in vigore. 120
Tale provvedimento mette in evidenza un aspetto importante: l'applicazione o meno
delle norme sulla pubblicità ingannevole va considerata in riferimento alle
caratteristiche del consumatore che riceve la tutela. In altri termini, l'ingannevolezza
di un certo messaggio deve essere valutata in merito alla potenzialità dello stesso di
recare pregiudizio al suo destinatario di riferimento. Nel definire il profilo del
destinatario-tipo di una pubblicità, possono partecipare vari elementi: il tipo di
prodotto reclamizzato, l'orario di diffusione (nel caso della pubblicità radiotelevisiva),
il contesto in cui è inserita. Tutti questi aspetti li ritroviamo nel caso appena
esaminato. Infatti, nonostante la telepromozione in questione, avesse rispettato le
disposizioni del d.m. 581/93 e che, secondo le parti interessate, ciò fosse stato
sufficiente a far comprendere la sua natura pubblicitaria ad un pubblico adolescente,
l'AGCM ha considerato inidonee le precauzioni prese proprio perché, a suo parere, i
destinatari di riferimento non erano adolescenti bensì bambini, meritevoli di una
maggiore tutela rispetto a quella effettivamente realizzata.
Ed il profilo del probabile ricevente di quel messaggio non poteva non corrispondere
ad un bambino dato che, la trasmissione televisiva (lo Zecchino d'oro) era
chiaramente rivolta ad un pubblico di minori, e i prodotti pubblicizzati erano dei
giocattoli. Dunque, trattandosi di minori, dotati di minore senso critico e minore
esperienza, e magari, ancora incapaci di leggere e di comprendere la scritta
120 AGCM, Provved. n.6447, PI1950 - "Gig libro dei giocattoli" in Boll. n.41/98
180 “messaggio promozionale” sarebbe stato necessario attuare una tutela rafforzata che
avrebbe chiarito inequivocabilmente, anche ai più piccoli, la natura pubblicitaria del
comunicato.
Un'altra considerazione in merito alla questione, riguarda l'efficacia del
provvedimento dell'Autorità. Trattandosi di una telepromozione, che, come noto,
modifica giornalmente i propri contenuti, la decisione non ha avuto ovviamente
l'effetto di sospendere il messaggio condannato, in quanto il medesimo ha cessato di
esistere nel giorno stesso in cui è stato diffuso; dunque in casi del genere si manifesta
la totale impotenza ed inefficacia dell'intervento dell'Autorità. Per cui sarebbe
opportuno applicare forme sanzionatorie alternative, che creino un fattore deterrente
convincente, e che permettano di difendersi da queste forme sui generis di pubblicità,
che altrimenti continuerebbero ad passare indenni da ogni provvedimento.
Infine, ecco un esempio della linea di condotta attuata dagli organi di autodisciplina
sempre in tema tutela dei minori. In data 12 dicembre del 2000, il Comitato di
controllo ha sottoposto al Giurì due spot della società San Carlo, volti a promuovere
la patatina “Più Gusto”, in quanto ritenuti contrari agli artt. 10 (Convinzioni morali,
civili, religiose e dignità della persona) e 11 (Bambini e adolescenti) del CA. 121
La campagna, andata in onda sulle principali emittenti televisive, si articolava in due
filmati. In un primo spot un giovane guidatore veniva multato da una donna vigile
urbano e decideva di vendicarsi avvicinandosi a lei con l'automobile in modo che il
fango di una pozzanghera le schizzasse addosso. Nel secondo filmato un ragazzo, in
121 Giurì, n. 366/2000 del 19/12/2000
181 un bar particolarmente affollato, per attirare l'attenzione di un indaffarato cameriere,
gli faceva uno sgambetto.
In entrambe le pubblicità, la situazione frustrante rappresentata (l'ennesima
contravvenzione automobilistica; la difficoltà nel richiamare l'attenzione del
cameriere) veniva, quindi, risolta mediante l'assaggio delle patatine pubblicizzate,
accompagnato da una voce fuori campo che recita “Più Gusto. Il gusto che non ti eri
mai concesso” e un'azione di tipo antisociale.
Secondo il Comitato di Controllo, che le ha esaminate, proprio perché presentavano
dei comportamenti contrari alle normali condotte civili come se fossero delle reazioni
naturali, l'effetto poteva essere quello di indurre il pubblico, in particolare i minori, a
emulare i medesimi comportamenti.
I soggetti interessati, nella loro replica, hanno ribadito la finalità puramente ironica
del messaggio: il suo scopo non era proporre un modello da imitare, ma far sorridere
lo spettatore, favorendo così la memorizzazione del prodotto. Il tipo di ironia
proposta era fondato sul politically uncorrect, ovvero ripudiare il buonismo,
presentando situazioni inconsuete in maniera dissacrante.
Tuttavia la tesi dell'ironia non è bastata per evitare la sospensione del messaggio,
perché, secondo il Giurì, il pericolo di emulazione si presentava soprattutto nei
bambini, data la loro non ancora completa capacità di distinguere fra comportamenti
socialmente accettabili o meno; ma anche nel pubblico di adolescenti il rischio,
seppure diverso, non era di minore gravità, in considerazione della propensione,
propria di tale età, a compiere atti trasgressivi ed imprudenti.
182 4.3 Children SEE Children DO: la pubblicità educativa
Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino educere che significa letteralmente condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce
qualcosa che è nascosto. Si intende il processo attraverso il quale l'individuo riceve e
impara quelle particolari regole di comportamento che sono condivise nel gruppo
familiare e nel più ampio contesto sociale in cui è inserito. Può essere anche definita
come l'atto, l'effetto dell'educare o come buona creanza, modo di comportarsi corretto
e urbano nei rapporti sociali.
Collegata alla Pubblicità, l’educazione entra in quello che è il mezzo di propaganda
più persuasivo e più conosciuto dell’era moderna, che va ad abbandonare, quindi, gli
scopi esclusivamente commerciali che lo accompagnano sin dalla sua origine, per
connaturarsi di scopi sociali.
L’ispirazione di fondo della Pubblicità educativa, o meglio conosciuta come
Pubblicità sociale, è cogliere i primi tentativi nel sociale ad opera di diversi organismi
istituzionali, statali e non, di sviluppare una cultura video-mediale, in grado di
impiegare questi nuovi, potenti media, al servizio dell'uomo e della società.
Il più importante di questi è la Fondazione Pubblicità Progresso, un ente no-profit,
che nasce sul modello dell'analoga organizzazione statunitense Advertising Council,
che dal 1970 dedica il suo impegno alla soluzione di problemi morali, civili ed
educativi riguardanti l'intera comunità attraverso la realizzazione di campagne
183 pubblicitarie distribuite gratuitamente, ponendo la comunicazione al servizio della
collettività.
Nata come Associazione e diventata poi, nel 2005, Fondazione, “Pubblicità
Progresso” è entrata nel vocabolario quotidiano degli italiani, diventando sinonimo di
“pubblicità sociale”.
Con la sua attività e grazie al contributo di chi ne fa parte (utenti, organizzazioni
professionali, imprese e organizzazioni di mezzi, interassociazioni), ha promosso e
promuove l’impiego della comunicazione sociale di qualità tra gli strumenti operativi
di enti, istituzioni, pubblica amministrazione e organizzazioni non profit.
Ha dimostrato concretamente l’utilità di un intervento più professionale nel campo
della comunicazione sociale e ha contribuito a valorizzare la pubblicità italiana e i
suoi operatori.
Come Centro Permanente della Comunicazione Sociale, la Fondazione: dà vita a
campagne di comunicazione di pubblico interesse, stimolando la coscienza civile ad
agire per il bene comune; facilita il confronto sui temi della comunicazione sociale,
mettendo a disposizione una biblioteca multimediale con campagne sociali da tutto il
mondo; promuove la cultura della comunicazione sociale, organizzando eventi
nazionali e internazionali, momenti formativi anche in collaborazione con altre
Fondazioni, Enti Pubblici e Locali, Università; affianca le Organizzazioni Non Profit
offrendo il proprio patrocinio alla loro comunicazione (campagne patrocinate); si
mette a disposizione degli Enti Pubblici per collaborare nella realizzazione delle
campagne sociali (campagne convenzionate); mette a disposizione dei richiedenti le
184 proprie mostre itineranti dedicate a importanti temi sociali e invita al dibattito sui
temi più attuali, attraverso il suo blog aperto a tutti.
Per le campagne direttamente rivolte ai minori possiamo ricordare: quella del 1981,
per una maggiore responsabilità dei genitori “Figli si nasce genitori no”, quella del
1988-89
contro il maltrattamento dei minori e quelle contro l’anoressia “Non
rifletterti, rifletti”e “Dategli il peso che ha, non quello che dimostra”.
In virtù di tutto questo la Fondazione Pubblicità Progresso è oggi una delle
espressioni più alte e rappresentative delle organizzazioni del mondo della
comunicazione e dei professionisti che ne fanno parte.
Ma non sono da trascurare anche spot emanati da altri organismi, sia a livello
nazionale che internazionale.
Nel primo caso possiamo citare lo spot “antiobesità”, intelligente e simpatico, del San
Raffaele di Milano, che vede come protagonista un famoso personaggio dei
videogame Doom, solo che in questo caso è un Doom obeso, che ha difficoltà nel
compiere le normali avventure; il video termina con una frase che recita: “I
videogame sono una delle principali cause dell’obesità”; o la campagna della Rai
educational sui mezzi alternativi per quanto riguarda l’inquinamento, che vede come
protagonisti dei cartoni animati e che recita lo slogan “Se vogliamo far strada
scegliamo altre strade”.
Per quanto riguarda uno spot che sta avendo successo a livello internazionale,
possiamo far riferimento allo slogan “I bambini vedono, i bambini fanno!” di una
campagna di sensibilizzazione a favore del buon esempio verso i bambini, che sta
185 andando in onda negli USA e che è stato ideato dalla DDB di Sydney. Un video
stupendo che mostra immagini molto forti. Il tutto è spiegato rappresentando una
serie di scene dove i bambini imitano quello che fanno gli adulti, facendo capire che
quando un bambino guarda ciò che fa uno dei suoi genitori, non distingue un’azione
positiva da una negativa, né il bene dal male. Semplicemente ripete, in maniera
irrazionale, quello che il modello adulto fa. Il tutto si chiude con lo slogan finale:
“Rendi la tua influenza positiva”.
Sempre negli Stati Uniti l’ente pubblico FDA (Food and Drug Administration)
insieme a Cartoon Network ha lanciato una campagna pubblicizzata con due cartoonspot, per educare anche i più piccoli alla lettura delle etichette e promuovere le buone
abitudini alimentari.
In Francia, da circa un anno, su etichette e pubblicità di cibi calorici come merendine,
bibite e alimenti precotti sono presenti slogan allarmistici come “i cibi grassi fanno
male” o “non spiluccate fuori pasto” e così via, sulla falsariga di quelli che da più
tempo campeggiano sui pacchetti di sigarette e sugli alcolici. I produttori che non
rispettano le nuove regole rischiano sanzioni economiche pesanti.
186 VALUTAZIONI FINALI
Nel complesso, l'intero sistema di tutela pubblicitaria dei minori, comprendendo le
disposizioni legislative e l'apporto fornito dai codici di autoregolamentazione, copre
una buona porzione degli eventuali danni che una pubblicità potrebbe causare nel
pubblico dei minori ad essa esposto. Infatti, tanto la necessità di salvaguardare
l'incolumità fisica, quanto l'opportunità di evitare traumi psicologici al minore, sono
presenti sia nelle leggi in materia pubblicitaria sia nei codici autodisciplinari. Inoltre,
l'impegno, pubblico e privato, di proteggere i soggetti più piccoli ed indifesi, si
manifesta addirittura sul piano etico stabilendo ciò che è moralmente accettabile e ciò
che non lo è.
Benché da un punto di vista normativo si è effettivamente tenuto conto della necessità
di proteggere i bambini, e bisogna dare atto allo stesso settore pubblicitario
dell'assunzione di responsabilità in questo senso, la concreta tutela pubblicitaria di
bambini ed adolescenti è caratterizzata da un'incertezza di fondo. In particolare, la
lentezza d'intervento delle autorità statali competenti e l'inconsistenza delle sanzioni,
insieme, rendono appunto incerta l'applicazione delle norme.
Infatti, la sanzione imposta consiste nella inibizione del messaggio condannato, ed al
massimo ad essa viene combinato l'obbligo di pubblicazione della sentenza. Il danno
economico causato al violatore corrisponderà, quindi, a quanto investito per
187 realizzare e diffondere la campagna pubblicitaria poi sospesa. Tuttavia, in
considerazione delle lunghe procedure previste dagli organismi preposti, in
particolare dall'Antitrust, non è inusuale che venga sospesa una campagna
pubblicitaria ormai conclusasi. Nell'ipotesi prospettata, dunque, l'intervento delle
autorità sarebbe del tutto inutile.
Per evitare casi del genere è possibile incidere su due fronti: cercare di accelerare i
tempi dell'istruttoria oppure adottare delle sanzioni penali.
La prima strada risulta difficilmente praticabile, dato l'elevato numero di segnalazioni
che giungono ogni anno al Garante della concorrenza e del mercato, ed oltretutto la
contrazione dei tempi non potrebbe travalicare un certo limite “fisiologico”.
Per quanto riguarda l’adozione di provvedimenti penali, nell’originario sistema, la l.
74/1992, al termine della procedura di accertamento della violazione delle norme
sulla pubblicità, prevedeva che l’Autorità potesse, oltre a vietare la pubblicità stessa,
solamente ordinare la pubblicazione della pronuncia e di una dichiarazione
rettificativa, mentre la sanzione penale rivolta all’operatore pubblicitario interveniva
in maniera indiretta sanzionando l’inottemperanza al provvedimento dell’Autorità. Si
attuava, in questo modo, un modello di tipo ingiunzionale che risolveva egregiamente
il problema di una pressoché impossibile definizione, in termini tassativi e precisi,
imposti da un’eventuale fattispecie penalistica, della nozione di “pubblicità
ingannevole”.
In seguito, lo si è anticipato, vi è stato un mutamento di prospettiva, facendo ricorso
alla sanzione amministrativa in luogo di quella penale, scelta che è stata mantenuta
188 dai d. legisl. 145 e 146/2007, sebbene la legge delega 29/2005 prevedesse, all’art. 3
relativo ai principi e criteri direttivi per il legislatore delegato, la possibilità di
comminare anche sanzioni penali contravvenzionali, limitandole ai casi in cui le
infrazioni avessero leso o esposto a pericoli interessi costituzionalmente protetti.
Tale limite, forse, avrebbe consentito la previsione di sanzioni penali per le pratiche
commerciali scorrette, lesive dei diritti dei consumatori come quelle che più ci
interessano e che riguardano prodotti che possano comportare pericolo per la salute o
la sicurezza oppure suscettibili di raggiungere minori o adolescenti.
Come già analizzato, per quanto riguarda l’AGCM, abbiamo sia una sanzione
immediata di natura amministrativa con lo stesso provvedimento che accerta la
violazione, sia una successiva, in caso di inottemperanza. La modifica sembra essere
ispirata dalla considerazione circa la necessita che l’Autorità disponga di poteri
sanzionatori diretti nei confronti delle pubblicità ingannevoli o comparative ritenute
illecite; taluno ha rilevato che i provvedimenti inibitori, se risultano efficaci nei
confronti di alcuni operatori, rispetto ad altri possono risultare indifferenti se non
addirittura non sgraditi perché fonte di ulteriore pubblicità, come nel campo della
moda, dello spettacolo, delle telecomunicazioni.
Nonostante tutto, si può sicuramente affermare comunque che, in ambito
pubblicitario, il minore è più protetto rispetto a quanto accade per la programmazione
televisiva, che spesso si distingue per eccessi di violenza e di volgarità, grazie
soprattutto agli organismi autodisciplinari.
189 Pur presentando per certi versi gli stessi limiti dell'intervento statale, l'attività
dell'autodisciplina pubblicitaria, presenta una maggiore efficacia perché garantisce un
intervento più celere, grazie al potere di “ingiunzione degli effetti” attribuito al
Comitato di controllo, e, aspetto molto importante, assicura un'attività costante di
prevenzione delle violazioni, pur non potendo, a differenza dell’AGCM e
dall’AGCOM, comminare sanzioni pecuniarie.
Bisogna comunque considerare che questa tutela non viene compiuta nell'arco
dell'intera giornata. E sarebbe anche impensabile che ciò accadesse, perché si
porrebbero troppi limiti alla creatività e si configurerebbe una sorta di proibizionismo
pubblicitario.
I livelli di massima protezione sono circoscritti dai media alla fascia pomeridiana,
certa pubblicità viene vietata solo in occasione dei programmi per bambini, lo stesso
Giurì autodisciplinare colloca su piani diversi violazioni simili a seconda del
destinatario di riferimento della pubblicità. Con il risultato che il bambino che vede
programmi per adulti, o guarda ancora la Tv in tarda serata, può essere suo malgrado
esposto a messaggi aggressivi, spinti, o moralmente discutibili qualora, magari, non
riesca a coglierne l'ironia di fondo del messaggio. In tali occasioni, le aree di pericolo
per i minori, possono essere colmate solamente attraverso l'intervento equilibratore
dei genitori, impedendo al bambino la visione di determinati programmi, oppure
aiutandolo nel suo processo di comprensione del messaggio pubblicitario
spiegandogli le sfumature che non è riuscito a cogliere.
190 Le iniziative autodisciplinari, dei media e le leggi dello Stato, quindi, possono
risultare davvero efficaci nella tutela del pubblico dei minori, in quanto siano
adeguatamente integrate in un più ampio quadro comprendente anche l'indispensabile
contributo delle istituzioni educative, in particolare di quella familiare.
191 BIBLIOGRAFIA
AA.VV. Decisioni dell'Autorità in materia di Pubblicità Ingannevole, relazioni
dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato dal 1998 al 2001
AA.VV. Giappichelli, Diritto Industriale, 2003, III
Borrelli, Riv. dir. ind., 1981
Buonocore, Contratti del consumatore e contratti d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995
Floridia G., Il decreto legislativo in materia di pubblicità ingannevole: illustrazione e
commenti, Relazione al Convegno “Pubblicità ingannevole e comparativa: verso
nuove regole”, Milano, 29 aprile 1992
Franceschelli V., Le fonti del diritto industriale cinquant’anni dopo, in Diritto
Industriale., 2002
Fratelli Grimm, Il pifferaio magico di Hamelin.
Fusi M.- Testa P.- Cottafavi P., La pubblicità ingannevole (commento al D.lg. 25
gennaio 1992 n. 74), 1993
Fusi M. – Testa P., Diritto e Pubblicità, Lupetti Editore, Milano 1996
Fusi M., La comunicazione pubblicitaria nei suoi aspetti giuridici, Giuffrè, Milano,
1970
Fusi M., Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1993
Gambino A.M., La pubblicità ingannevole, Roma, 1999
Guggino V., in Malagoli F.- Unnia F., La pubblicità comparativa, 2002
Jaeger P.G., Pubbblicità e “principio di verità“, in Riv. dir. ind., 1971
192 Laeng M., Quando la pubblicità televisiva fa male ai bambini, da Quaderni di
documentazione pubblicitaria, Sacis 1985
Malagoli F.- Unnia F., La pubblicità comparativa, 2002
Meli V., La repressione della pubblicità ingannevole (commento al D.lgs. 25 gennaio
1992 n. 74), Torino, 1994
Meli V., Autodisciplina pubblicitaria e legislazione statale, in Dir. ind., III, 1996
Oppo, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995
Pedriali A., I profili soggettivi dell’autodisciplina pubblicitaria, in Riv. Dir. Ind.,
1992
Rispoli D., La pubblicità tra mercato e tutela dei cittadini, Giuffrè, Milano, 1997
Rotelli S. – Mina E., Le norme sulla pubblicità commerciale dal codice del consumo
al T.U. sulla radiotelevisione, in Diritto Industriale, IV, 2006
Sena G., I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali., Giuffrè, 1993
Sena G., La repressione penale della concorrenza sleale: premesse di diritto
industriale, in Riv. dir. ind., 1965
Ubertazzi L. C., Giurisprudenza pubblicitaria, III, F. it., 1986
Ubertazzi L. C., Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e
concorrenza, 4° edizione (Appendice d’aggiornamento 2008)
Urciuoli, La pubblicità nella disciplina radiotelevisiva, in Corsaniti-Vasselli Diritto
della comunicazione pubblicitaria
Vanzetti A., La repressione della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964
Vanzetti A., L’autodisciplina pubblicitaria oggi, in Corr. Giur., 1988
193 Vanzetti, Riv. dir. civ., 1964
Zanacchi A., La pubblicità. Potere di mercato. Responsabilità sociali, Editori di
comunicazione, Milano 1999.
SITI INTERNET
www.agcm.it - sito Internet del Garante della concorrenza e del mercato
www.agcom.it - sito Internet del Garante per le comunicazioni
www.iap.it - sito Internet dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria
www.pubblicitaprogresso.it – sito Internet della Fondazione Pubblicità Progresso
194