La realtà è viva e lotta insieme a noi
di Luigi Scialanca
Hans Christian von Baeyer, fisico teorico, docente universitario e autore di libri che hanno ottenuto
numerosi riconoscimenti, firma su Le Scienze di agosto un interessante articolo sul bayesianismo quantistico, o QBism: un nuovo modello teorico, proposto da un gruppo di ricercatori (von Baeyer ne cita tre:
N. David Mermin, fisico teorico della Cornell University “recentemente convertito al QBism”; e Christopher A. Fuchs e Rüdiger Schack, anch’essi fisici, che nel 2002 crearono il QBism) che senza infliggere alcun danno alla fisica quantistica (che da tempo non è più una teoria, ma solida scienza), “fa piazza pulita” delle “stranezze” che la rendono “indigesta” anche ai più colti fra i “non addetti ai lavori”. La più famosa delle quali (illustrata dalla figura in basso) è nota come paradosso del gatto di Schrödinger: un
gatto che per la fisica quantistica pre-QBism sarebbe vivo e morto allo stesso tempo.
“Il fisico Erwin Schrödinger”, scrive von Baeyer, “immaginò una scatola sigillata con dentro un gatto
vivo, una fiala di veleno e un atomo radioattivo. Secondo le leggi della meccanica quantistica, l’atomo ha
il 50% di probabilità di decadere (processo attraverso il quale nuclei atomici instabili o radioattivi trasmutano in nuclei di energia inferiore, n.d.r.) entro un’ora. Se l’atomo decade, un martello frantuma la
fiala e libera il veleno, uccidendo il gatto. Altrimenti, il gatto vive. Adesso effettuiamo l’esperimento, ma
senza guardare all’interno della scatola. Dopo un’ora, la teoria quantistica tradizionale affermerebbe
che la funzione d’onda (espressione matematica che descrive le proprietà di un oggetto, n.d.r.) dell’atomo è in una sovrapposizione di due stati: decaduto e non decaduto. Ma dato che non abbiamo ancora osservato che cosa c’è nella scatola, la sovrapposizione si estende: anche il martello è in sovrapposizione, e
così la fiala di veleno. E la cosa più grottesca è che il formalismo standard della meccanica quantistica
implica che anche il gatto sia in sovrapposizione: è vivo e morto allo stesso tempo”.
Secondo David Mermin, uno dei fisici citati da von Baeyer nell’articolo, “il Qbism elimina il rompicapo
argomentando che la funzione d’onda, anziché una proprietà oggettiva del gatto nella scatola, è una proprietà soggettiva dell’osservatore. La teoria afferma che ovviamente il gatto è o vivo o morto (ma non entrambi); certo, la sua funzione d’onda rappresenta una sovrapposizione di vivo e morto, tuttavia una
funzione d’onda è solo una descrizione delle opinioni dell’osservatore. Affermare che il gatto sia allo stesso tempo vivo e morto è come se un appassionato di baseball dicesse che la squadra dei New York Yankees è paralizzata in una sovrapposizione di vinto e perso fino a quando lui non guarda il tabellone del
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punteggio. Sarebbe un’assurdità, il delirio di un megalomane che pensa che il suo stato mentale personale abbia effetto sul mondo” (Le Scienze 540, agosto 2013, pp 32 - 37. Corsivi miei).
Il QBism giunge a tale conclusione riconsiderando il concetto di probabilità, e von Baeyer spiega come.
Riferire la spiegazione sarebbe troppo lungo: basti dire che al concetto tradizionale di probabilità come
mero calcolo della frequenza di un evento su un certo numero di prove, il QBism contrappone (anzi: affianca) un concetto di probabilità che tiene conto anche dello stato mentale di chi effettua la stima: di ciò
che egli sa e di ciò che si attende, e quindi del suo grado di fiducia nel verificarsi o meno dell’evento. “La
maggior parte dei fisici dice di credere nella probabilità tradizionale” osserva von Baeyer, “semplicemente perché è stato insegnato loro a evitare la soggettività” (corsivo mio).
Ciò che più mi colpisce, in questo discorso, è che sostiene che tener conto dell’apporto soggettivo, nell’elaborazione di una previsione o nella descrizione di un oggetto, rende la previsione e la descrizione non
meno ma più oggettive, cioè più vicine a quella che risulterà essere la realtà “quando apriremo la scatola”. Sostiene, cioè, che chi sono io, cosa so e come sto rende la mia previsione o la mia descrizione più (o
meno) affidabili di quelle di un altro anche (perfino) quando le probabilità (razionalmente calcolate) che
un atomo decada, come quelle che il lancio di una monetina dia testa o croce, sono esattamente del 50%.
E che il gatto di Schrödinger, dunque, non solo non sarà mai vivo e morto allo stesso tempo, ma di volta
in volta risulterà (all’apertura della scatola) nella condizione ipotizzata dall’osservatore che al 50% “medio” avrà potuto aggiungere una condizione mentale più... favorevole? Meno... media?
Fin qui tutto bene, dunque: il QBism dice, 1, che la realtà esiste e può essere conosciuta sempre di più
e meglio; 2, che la fisica quantistica funziona: è scienza; e, 3, che quel che non funziona e non esiste è l’idea (più o meno delirante) che la fisica quantistica sancisca l’inesistenza di verità oggettive indipendenti
dall’intervento dell’osservatore: l’osservatore è fondamentale non perché determini la realtà, ma “solo”
perché va a vederla, e perché il suo stato mentale, avendo effetti positivi o negativi sulla validità delle
sue ipotesi su di essa, orienterà la ricerca in direzione della verità o, all’opposto, in un vicolo cieco.
Proseguendo nella lettura dell’articolo, però, mi è parso di sentire qualche “scricchiolio”...
“Anche se il QBism nega la realtà della funzione d’onda, non è una teoria nichilista che nega tutta la
realtà, sottolinea il coautore del QBism, Schack. Il sistema quantistico esaminato da un osservatore è
reale, sottolinea. Filosoficamente, spiega Mermin, il QBism propone una separazione, una frontiera tra
il mondo in cui vive l’osservatore e la sua esperienza del mondo stesso: quest’ultima è descritta da una
funzione d’onda”.
Come sarebbe a dire che “il QBism nega la realtà della funzione d’onda”? Io avevo capito (e penso di aver capito bene) che il QBism concettualizza la funzione d’onda non come una non-realtà ma come una
realtà diversa da quella ipotizzata dalla concezione tradizionale: come la realtà, cioè, dello stato mentale
dell’osservatore. Stato mentale che è una realtà anch’esso, tant’è vero che può influire su una previsione
o su una descrizione rendendola più o meno vicina a quella che risulterà essere la verità.
Solo un errore di traduzione? Schack avrà invece detto che “il QBism nega la realtà della sovrapposizione di stati in cui la funzione d’onda si trova prima dell’osservazione”? È possibile.
Assolutamente non condivisibile, invece, mi pare la conclusione dell’articolo, che von Baeyer lascia a
Fuchs: “I sostenitori del QBism accolgono il principio secondo cui, fino a quando non si è effettuato un
esperimento, il suo esito semplicemente non esiste. Prima della misurazione di velocità o posizione di un
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elettrone, per esempio, l’elettrone non ha velocità o posizione. È la misurazione che fa esistere la proprietà in questione. Come dice Fuchs: «Con ogni misurazione effettuata da uno sperimentatore, il mondo è plasmato un po’ di più, prendendo parte a una sorta di nascita». In questo modo partecipiamo attivamente alla creazione continua dell’universo”.
Qui, mi pare, non ci siamo più. Qui l’idea delirante che la realtà (e la verità di essa) siano creazioni
della mente, che il QBism stava scacciando dalla porta, rientra (alla grande) dalla finestra. E il concetto
di soggettività, a cui il QBism stava restituendo il significato di realtà mentale umana concreta, torna a
sembrare una sorta di incarnazione dello Spirito assoluto di hegeliana memoria.
Molto di più mi era piaciuto ― per quel che vale ciò che piace o meno a un profano autodidatta come
me ― il discorso dei fisici Emilio del Giudice e Giuseppe Vitiello su Left n° 25, del 29 giugno scorso (pp
48 - 51: Quando il vuoto è pieno): “Già nel 1916 Walther Nerst, [...], avanzò l’ipotesi che le fluttuazioni
quantistiche in oggetti fisici differenti potessero sintonizzarsi tra di loro dando così luogo a sistemi complessi aventi un comportamento unitario. Questa possibilità faceva cadere il requisito fondamentale della fisica classica dell’isolabilità dei corpi. Cadeva il «pregiudizio ontologico» che afferma che le cose possano esistere «di per sé», indipendenti le une dalle altre”. Concludendo che “forse la visione del mondo
forzosamente imprigionato nell’antinomia caso-necessità dovrà cedere di fronte alla visione del mondo
fondata sull’armonia delle musiche interiori dei suoi componenti. Come preconizzava Marx, il regno della necessità dovrà cedere il passo al regno della libertà”.
Un “regno della libertà” fondato “sull’armonia” è una cosa (meravigliosa). Un “regno dell’onnipotenza”
fondato sull’attività “creatrice” e “plasmatrice” di Spiriti assoluti è ― mi pare ― tutt’altra (e orrenda).
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