UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN COMUNICAZIONE DI IMPRESA E PUBBLICA TESI DI LAUREA IN DIRITTO COMPARATO DELLA COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE Quando le imprese mentono: la repressione della pubblicità ingannevole tra autodisciplina e ordinamento statuale Relatore Ch. mo Prof. Virgilio D’ANTONIO Candidata Manuela Branco Matr. 0320400128 Correlatrice Dott.ssa Chiara DI MARTINO ANNO ACCADEMICO 2007-2008 1 Alla mia famiglia, custode del mio passato, sostegno del mio presente, guida del mio futuro. 2 INDICE Introduzione………………………………………………………..7 CAPITOLO I LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA’ COMMERCIALE: UN EXCURSUS 1. Definizioni e profili di analisi della pubblicità……………………….11 2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di un difficile equilibrio……………………………………………………………14 3. Il percorso italiano…………………………………………………17 CAPITOLO II LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE IN ITALIA 1. Il D. Lgs. n.74 del 25 gennaio 1992……………………………………...20 1.1. Finalità………………………………………………………….21 1.2. Definizioni……………………………………………………...24 1.3. Elementi di valutazione…………………………………………30 1.4. Trasparenza della pubblicità…………………………………….33 1.5. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori ………………………………………………………...38 1.6. Bambini e adolescenti…………………………………………...39 2. Il Codice del Consumo…………………………………………………..39 3. I decreti legislativi attuativi della direttiva 29/2005/CE………………….41 3.1. I soggetti protetti………………………………………………..45 3.2. Le fattispecie di pratiche commerciali scorrette: pratiche ingannevoli e pratiche aggressive……………………………………46 3.3. Le “black list”……………………………………………………51 4. L’Autodisciplina pubblicitaria……………………………………………54 3 4.1. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria………………………...54 4.2. Gli organi dell’Autodisciplina: composizione del Comitato di Controllo e del Giurì di Autodisciplina e loro funzioni……………....63 5. I rapporti tra Autodisciplina e ordinamento statuale: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato…………………………………………...70 CAPITOLO III GIURI’ E A.G.C.M. A CONFRONTO: STUDIO DI ALCUNE DECISIONI DEL PERIODO 2006-2008 1. Il settore delle telecomunicazioni: l’obbligo di chiarezza, correttezza e non ambiguità delle informazioni sull’offerta………………………………...79 1.1. Gli interventi del Giurì……………………………………………...79 1.1.1. Comitato di Controllo vs Wind Telecomunicazioni per Infostrada “Absolute Adsl” (2007)……………………………...79 1.1.2. Telecom vs Fastweb per "Telefono, Internet o Tv a 9.90 euro al mese sino al 2009" (2008, non violazione)……………………....81 1.2. Interventi dell’A.G.C.M…………………………………………….84 1.2.1. Numero verde Gruppo Banca CR Firenze (2006)…………….84 1.2.2. Noi Wind Roaming (2007)…………………………………...88 1.2.3. Alice 20 mega con modem in noleggio (2007, non violazione)..92 2. Il settore agroalimentare: l’obbligo di correttezza delle informazioni su caratteristiche, composizione e provenienza degli alimenti……………94 2.1. Interventi del Giurì………………………………………………..94 2.1.1. Unilever Italia vs Kraft Foods Italia per maionese “senza colesterolo” (2008)……………………………………………94 4 2.1.2. Latte crescita Mellin (2006, non violazione)…………………..97 2.1.3. “Ovito” Gruppo Novelli (2008)……………………………..100 2.2. Interventi dell’A.G.C.M…………………………………………...103 2.2.1. Patasnella 70% di grassi in meno (2006)……………………..103 2.2.2. Salmone affumicato KV Nordic (2006)……………………...107 2.2.3. Omogeneizzati Plasmon (2007)……………………………...111 3. Prodotti potenzialmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori: trattamenti dimagranti, bevande alcoliche……………….113 3.1. Interventi del Giurì………………………………………………..113 3.1.1. Beauty Center “Cellu-Shock” (2008)………………………...113 3.1.2. In Linea + Light (2008, ingiunzione del Comitato di Controllo)……………………………………………………..115 3.1.3. Cynar Martini (2007, non violazione)………………………..116 3.2. Interventi dell’A.G.C.M…………………………………………...118 3.2.1. Www.zerodiet.org (2007)……………………………………118 3.2.2. Antismoking System (2006)…………………………………120 3.2.3. Pub “Los Panineros”(2007)…………………………………123 4. Due esempi di intervento dell’A.G.C.M. in materia di bambini e adolescenti : le patatine Wacko’s (2006) e le Suonerie scaricabili al 48428 (2007)…………………………………………………………………125 5 Conclusioni……………………………………………………………...129 Bibliografia e webgrafia………………………………………………...137 6 INTRODUZIONE Il 25 gennaio del 1992 il Parlamento approvò il decreto legislativo n. 74, meglio noto come decreto sulla pubblicità ingannevole, in recepimento della direttiva comunitaria n. 450 del 1984, che individuava le fattispecie di ingannevolezza della pubblicità commerciale, nell’intento di indurre i paesi membri ad adottare una normativa nazionale a tutela dei consumatori contro le piccole o grandi truffe perpetrate dagli operatori commerciali attraverso i messaggi pubblicitari. Lo stesso decreto legislativo ha attribuito il compito di vigilare sul rispetto della normativa e di applicare le relative sanzioni all’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), la stessa autorità a cui spetta il controllo sull’osservanza della Legge Antitrust n.287 del 1990 a tutela di consumatori e imprese per garantire il corretto svolgimento del gioco concorrenziale. Nei 16 anni trascorsi dall’introduzione nell’ordinamento italiano della suddetta normativa, si sono verificati molti cambiamenti che stanno caratterizzando il panorama mass-mediatico e pubblicitario italiano. Lo sviluppo della tecnologia ha, infatti, favorito l’espansione di mezzi di comunicazione vecchi e nuovi: in primis, la rete Internet e le sue diverse declinazioni (e-mail, chat, newsletter, forum), poi la telefonia mobile (ed insieme ad essa sms, mms e videochiamate) e, da ultimo, l’incremento di 7 canali televisivi per effetto della diffusione tra il pubblico della parabola satellitare e del cosiddetto «digitale terrestre». Per anni la pubblicità è stata legata esclusivamente ai media tradizionali. La comunicazione d'impresa, tuttavia, è sempre stata alla ricerca di nuovi mezzi attraverso i quali diffondere i propri messaggi fra il pubblico dei potenziali consumatori, ed ha trovato, in questi ultimi anni, il favore di nuovi media che a loro volta l’hanno utilizzata come strumento legittimo di sostentamento. L'avvento di tali cambiamenti è stato, quindi, salutato con entusiasmo dagli operatori del settore. Per gli inserzionisti pubblicitari risulta, insomma, sempre più facile comunicare. Tale progresso, tuttavia, sebbene abbia favorito la crescita della comunicazione di massa, di contro ha anche accresciuto le probabilità di un uso illecito e dannoso della pubblicità. Le disposizioni entrate in vigore con il D. Lgs. n. 74/1992, integrate da norme in tema di pubblicità comparativa illecita, attuative della direttiva 97/55/CE, sono state in seguito trasposte negli articoli da 18 a 27 del D.lgs. n. 206/2005 (c. d. Codice del consumo). La disciplina così introdotta mirava espressamente a tutelare tutti gli interessi potenzialmente coinvolti dalla comunicazione commerciale ingannevole, ossia quelli dei consumatori, vittime dirette dell’inganno, quelli dei concorrenti, svantaggiati a favore delle imprese che ricorrono all’inganno o alla comparazione illecita e, più in generale, quelli del pubblico alla correttezza della comunicazione commerciale. Con i decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007, in vigore dal 21 8 settembre 2007, infine, il Governo ha recepito le Direttive comunitarie 2006/114/CE e 2005/29/CE. La prima modifica la vigente normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese; la seconda introduce la nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali (ivi incluse le comunicazioni ingannevoli), per disciplinare i rapporti tra le imprese e i consumatori. Anche in questo caso, entrambe le discipline sono applicate dall’AGCM, dotata allo scopo, oltre che del potere di attivarsi d’ufficio, di penetranti poteri investigativi e sanzionatori. Il presente lavoro di tesi propone, dopo il primo capitolo dedicato ad un breve excursus sulla disciplina in tema di pubblicità commerciale, un’ampia riflessione sull’evoluzione della normativa della pubblicità ingannevole, con particolare riguardo alla modifica determinata dai D.lgs. nn. 145 e 146/2007, con i quali il legislatore, integrando ed innovando la disciplina complessiva, ha dimostrato maggiore attenzione per la tutela del consumatore, oltre che per la tutela del mercato e dei meccanismi concorrenziali. Per evidenziare l’importanza della predetta evoluzione normativa nei suoi aspetti pratici ed applicativi, nel terzo capitolo si analizzano le funzioni di controllo ed i poteri sanzionatori dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e li si mette a confronto con quelli del Giurì di Autodisciplina, esaminandone alcune recenti sentenze in settori di intervento analoghi, confrontandole al fine di far emergere affinità e divergenze tra i criteri decisionali dei due sistemi, ed evidenziandone il ruolo di strumenti operativi 9 da cui dipende la realizzazione di una efficace tutela del consumatore contro la pubblicità ingannevole. 10 CAPITOLO I LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA’ COMMERCIALE: UN EXCURSUS 1. Definizioni e profili di analisi della pubblicità In Italia la prima definizione normativa di “pubblicità” è contenuta nell’ art.2, comma 1 del D.Lgs. 25/01/1992 n. 74, che la definisce come “ qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi, oppure la prestazione di opere o servizi”. Questo decreto legislativo rappresenta l’attuazione nel nostro ordinamento dell’art.2 comma 1 della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, che a sua volta definisce pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi”. Prima ancora, era stata la legge ordinaria, ed in particolare la L.06/08/1990 N°223 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato (la cosiddetta legge Mammì) a fornire un’articolata disciplina della pubblicità, anche se limitatamente al settore televisivo e radiofonico, definendo per la prima volta alcuni principi essenziali sul tema. Ancora più ampio risulta essere il significato dato al termine dal Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria (CAP) adottato dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), ente privato che raccoglie 11 numerose associazioni, organizzazioni ed enti del settore e che ha affidato ad un apposito Giurì il controllo della pubblicità diffusa dai propri associati. Nel CAP la pubblicità è definita come “ogni forma di comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano le modalità utilizzate”.1 Quest’ultima definizione fa rientrare nella pubblicità commerciale anche quella “istituzionale”, che, pur non avendo come obiettivo diretto quello della vendita di beni o servizi, persegue in realtà lo stesso scopo, ovvero l’accreditamento dell’immagine dell’azienda agli occhi dei consumatori, promuovendo condizioni generali favorevoli all’accettazione diffusa dei suoi beni o servizi. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) , autorità indipendente con competenze anche in materia di pubblicità ingannevole, fornisce una sua definizione di pubblicità considerando tale “quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.”.2 La comunicazione pubblicitaria attualmente costituisce lo strumento di realizzazione di una serie di molteplici rapporti, se si considera che essa rappresenta, per le imprese, lo strumento più importante di valorizzazione di 1 Definizione tratta dal sito web dell’IAP, www.iap.it 2 Definizione tratta dal sito web dell’AGCM, www.agcm.it 12 prodotti e servizi, e che, per quanto concerne le imprese di comunicazione, (radio, TV e giornali), le risorse pubblicitarie costituiscono la principale fonte di finanziamento.3 La pubblicità può essere osservata sotto tre specifici profili: quello contrattuale, nel quale essa assume rilievo in quanto qualifica un’offerta diretta al pubblico, o il contenuto delle obbligazioni assunte dal venditore/fornitore nei confronti del consumatore; quello concorrenziale, dal momento che la promozione della propria immagine e dei propri prodotti/servizi svolge un ruolo fondamentale nelle relazioni tra imprese appartenenti allo stesso segmento di mercato; e infine un terzo profilo, aggiunto più di recente, che è quello della tutela dei consumatori e la conseguente disciplina a protezione di interessi collettivi e individuali. A questi fattori se ne aggiunge un quarto: la pubblicità ha un forte potere di persuasione che non può essere lasciato incontrollato, e che costituisce la principale motivazione di molti interventi di disciplina.4 3 S. SICA – V. D’ANTONIO, Commento degli artt. 19-27, in P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di), Commentario al Codice del Consumo, IPSOA 2006, p.100 ss. 4 V. ZENO ZENCOVICH, Prospettive di disciplina delle risorse e dei messaggi pubblicitari, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica,1996, 7ss. 13 2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di un difficile equilibrio In Italia, tali iniziative legislative presero spunto da una vecchia querelle che per alcuni decenni divise dottrina e giurisprudenza sul tema degli effetti prodotti dalla diffusione di messaggi pubblicitari sugli equilibri concorrenziali del mercato. Per vari decenni, la maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati economicamente più evoluti è stata del tutto sprovvista di una disciplina normativa organica, che comprendesse una adeguata regolamentazione delle molteplici fattispecie di rilievo giuridico connesse con il fenomeno pubblicitario. I primi interventi normativi posti in essere nei vari Paesi, peraltro, prendevano in considerazione, tra le diverse problematiche giuridiche connesse al fenomeno pubblicità, esclusivamente quelle attinenti alla leale concorrenza tra imprese, e agli episodi di sviamento di clientela derivanti dalla diffusione di messaggi pubblicitari dal contenuto ingannevole; nessuna attenzione veniva, invece, riservata alla possibilità che tali messaggi potessero causare danni concreti ai consumatori.5 La Magistratura ordinaria riteneva censurabili esclusivamente i messaggi pubblicitari strutturati in maniera tale da arrecare pregiudizio alla reputazione personale o commerciale di un concorrente; al di là di questo, tutto (comprese 5 Cfr. D. MARRAMA, La pubblicità ingannevole – Il giudice amministrativo e la natura giuridica delle decisioni delle authorities, Editoriale Scientifica, Napoli 2003, p.17. 14 lodi eccessive e affermazioni false), veniva considerato lecito, sulla base del cosiddetto dolus bonus, ovvero il costume dei produttori e dei commercianti di esaltare esageratamente le merci e i servizi. Tale principio determinava l’indulgenza dei giudici nei confronti dei comportamenti suddetti, demandando integralmente il rischio connesso all’inganno pubblicitario sulle spalle dei consumatori.6 Si dovette attendere la fine degli anni Sessanta per alcune sporadiche pronunce che portarono i primi colpi al monolite del dolus bonus, censurando quei messaggi pubblicitari che, in virtù di affermazioni false in essi contenute, risultavano anche solo potenzialmente idonei a determinare ingiustificati trasferimenti di preferenze. Infatti, a seguito dello sviluppo delle tecniche e dei media pubblicitari, con la loro smisurata capacità di penetrazione e di suggestione, si é reso opportuno restringere i confini della tollerabilità di affermazioni che in mercati meno evoluti si traducono in un inganno del pubblico. Fu proprio a partire da quegli anni che la comunicazione promozionale poté approfittare in maniera considerevole dei nuovi ritrovati dell’industria tecnologica; l’ingresso della televisione in un numero sempre maggiore di abitazioni conferì, infatti, alla réclame, quella familiarità che è stata uno tra i principali fattori che hanno innescato la miccia del boom economico. Con il passare degli anni, il rapporto tra pubblicità e mezzi di comunicazione di 6 D. MARRAMA, Op. Cit., p.21 ss. 15 massa è andato intensificandosi in maniera esponenziale; si è passati da una situazione di partenza nell’ambito della quale i media si limitavano ad ospitare al loro interno annunci pubblicitari estemporanei ed isolati, all’attuale situazione caratterizzata da un controllo diffuso ed un’influenza pressante del sistema pubblicitario sulle scelte di programmazione e di palinsesto. Il consolidarsi di sistemi economici strutturati sulla mass production e sulla mass distribution, e l’ormai imprescindibile considerazione delle rilevanti ripercussioni concrete che potevano indubbiamente prodursi sui singoli individui in seguito alla diffusione capillare di messaggi pubblicitari, imposero alla dottrina giuridica degli Stati economicamente più sviluppati un ampliamento di orizzonti. Fino ad allora, come si è detto, i giuristi che si erano cimentati con le problematiche connesse alla comunicazione promozionale si erano limitati ad analizzare esclusivamente gli aspetti concorrenziali del fenomeno pubblicitario; da quel momento in poi, invece, ai giuristi fu praticamente imposto lo studio di tematiche nuove, quali la tutela dei consumatori (i cosiddetti contraenti deboli) e gli aspetti giuridici della comunicazione promozionale. Successivamente, intorno alla metà degli anni Settanta, i ricercatori di diversi Paesi compresero che un’adeguata tutela degli interessi dei consumatori poteva essere garantita esclusivamente da forme di controllo e di verifica delle modalità attraverso le quali le singole imprese promuovevano sul 16 mercato i loro prodotti. Da quel momento in poi, nei diversi Paesi europei, la dottrina di settore ha seguito un percorso evolutivo pressoché uniforme. 3. Il percorso italiano In Italia, in assenza di una normativa specifica sulla materia, gli operatori pubblicitari, hanno costituito lo IAP ( Istituto Autodisciplina Pubblicitaria ), ente privato a base associativa, che ha affidato a un Giurì appositamente costituito il controllo della pubblicità diffusa dai suoi associati. L'Istituto ha elaborato un Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, pubblicato per la prima volta nel 1966 e da allora costantemente aggiornato. Tale codice prevede, tra l'altro, la repressione della pubblicità ingannevole ed il controllo della correttezza della pubblicità comparativa. Il Codice vincola solo gli associati, che a loro volta, si impegnano ad obbligare contrattualmente al suo rispetto i soggetti, eventualmente non associati, con i quali concludono contratti pubblicitari. Le norme di legge esistenti ed il Codice di Autodisciplina non erano però sufficienti a tutelare il diritto del consumatore a ricevere una informazione pubblicitaria veritiera e affidabile. È stata la Comunità Europea a dare un forte impulso allo sviluppo della materia, adottando nel 1984 la direttiva 84/450/CEE, che stabiliva i principi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli stati membri dovevano uniformarsi. Dopo un lunghissimo dibattito, la prima direttiva è stata modificata, con l'emanazione, nel 1997, della direttiva 97/55/CE, che 17 tratta, appunto, della pubblicità comparativa. L'Italia ha dato attuazione alla Direttiva Comunitaria 84/450/CEE adottando il decreto legislativo n. 74 del 25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole; in seguito, ha recepito le prescrizioni comunitarie in materia di pubblicità comparativa attraverso una modifica dello stesso decreto legislativo. Tale modifica è stata apportata dal decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio 2000. L'organo incaricato dell'applicazione di entrambe le discipline così in vigore è l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, cioè la medesima autorità amministrativa che applica la legge antitrust ( legge 10 ottobre 1990, n. 287 ). In sede comunitaria, tuttavia, il cammino dell’evoluzione delle discipline a tutela del consumatore non si era arrestato, e si era posto in agenda l’apprestamento di strumenti di protezione massima dei consumatori nei confronti di tutte le pratiche “sleali”. È da qui che scaturisce la Direttiva 2005/29/CE, che, oltre ad introdurre, appunto, una nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali (che includono le comunicazioni ingannevoli) tra imprese e consumatori, modifica la precedente disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa illecita (la modifica è stata poi codificata con la Direttiva 2006/114/CE), in modo da riservarla all’esclusiva tutela delle imprese. Nel recepire i cambiamenti, il legislatore italiano ha inserito le norme in materia di pratiche commerciali sleali (che ha preferito denominare “scorrette”) nel Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005), per poi riportarle al di fuori di esso con il D. Lgs. 146/2007, assieme alla disciplina della pubblicità 18 ingannevole e comparativa illecita, per la quale si deve fare autonomo riferimento al D.Lgs. n. 145/2007. 19 CAPITOLO II LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE IN ITALIA 1. Il D. Lgs. n.74 del 25 gennaio 1992 Con il d.lgs. n. 74/92, il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva CEE del 10 settembre 1984, n. 450, dedicata alla repressione della pubblicità ingannevole. Comincia così a delinearsi un nuovo sistema di regolazione dei contenuti della pubblicità. Il decreto indica come “pubblicità ingannevole” ogni messaggio che, in qualunque modo, possa essere tale da «…indurre in errore le persone fisiche e giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente». L’idoneità dannosa della condotta si esplica, dunque, sia nella direzione dei consumatori, che rischiano di subire lesioni dall’affidamento riposto nel messaggio decettivo (lesioni tipicamente economiche, ma che potrebbero colpire altresì la stessa integrità fisica del consumatore: si pensi ad esempio al messaggio ingannevole relativo a specialità medicinali, cosmetiche o comunque destinate ad uso corporeo), sia in quella dei concorrenti, che rischiano di subire sviamenti di clientela illegittimi, perché conseguenza di giudizi formulati sulla base dei falsi dati ad essi forniti dal concorrente.7 7 G. ROSSI, La pubblicità dannosa – Concorrenza sleale, “diritto a non essere ingannati”, diritti della personalità, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, Milano, 2000, p.6. 20 Questo decreto legislativo consente, così, alle imprese concorrenti, alle associazioni di consumatori e ai singoli consumatori, oltre che alle Pubbliche Amministrazioni, di denunciare comportamenti pubblicitari ritenuti illeciti e sottoporre così la denuncia all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 1.1. Finalità Il 1° comma dell’articolo 1 riproduce sostanzialmente l’art. 1 della direttiva CEE, il quale dichiara di voler tutelare “ il consumatore e le persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale dalla pubblicità ingannevole e dalle sua conseguenze sleali”. Una tale disciplina contro la pubblicità ingannevole può essere posta a tutela di una molteplicità di interessi e presenta, pertanto, una collocazione teorica articolata. Scopo della normativa è, dunque, quello di assicurare una generalizzata tutela della collettività contro la pubblicità ingannevole.8 Mentre la norma comunitaria, tuttavia, menziona in primo luogo il consumatore, e solo al secondo posto “ le persone che esercitano un’attività commerciale, industriale o artigianale”, ( il che ha condotto alcuni a concludere per la centralità dell’interesse del consumatore nell’ottica adottata dal legislatore 8 P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza antitrust, concorrenza sleale, pubblicità, marchi, brevetti, diritto d’autore,CEDAM, Padova, 2004, p. 1930 ss. 21 comunitario9), l’ordine adottato dalla norma nazionale è esattamente inverso. Tale inversione non ravvisa, peraltro, la volontà di ridurre la repressione della pubblicità ingannevole in un’ottica di tipo concorrenziale, assegnando importanza solo secondaria alla tutela degli interessi del consumatore e del pubblico in generale. Appare, invece, più plausibile una equiparazione, da parte del legislatore nazionale, dell’interesse del consumatore e di quello dei soggetti che svolgono un’attività economica,10 protetti il primo contro la “pubblicità ingannevole”, i secondi contro le sue “conseguenze sleali”. L’ampiezza di tale formulazione sembra dunque, estendere la tutela contro la pubblicità ingannevole a tutti coloro che svolgono un’attività di produzione o di scambio di beni o servizi. La stessa nozione di consumatore è da intendersi in senso estremamente ampio, comprendendo non solo chi abbia effettivamente acquistato il prodotto o servizio pubblicizzato, ma anche chi si proponga di farlo e, più in generale, tutti coloro cui il messaggio pubblicitario sia indirizzato o che possano essere raggiunti da esso.11 Conseguentemente, godono della medesima legittimazione e tutela sia i consumatori che sono rimasti concretamente “ingannati” dalla pubblicità, sia tutte le persone fisiche o giuridiche che, pur non avendo subito alcun danno, rappresentano i destinatari cui la pubblicità è rivolta o che essa raggiunge. E’ 9 V. MELI, La repressione della pubblicità ingannevole: commento al D. Lgs. 25 gennaio 1992, n.74, Torino 1994, p.8 ss. 10 M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole: commento al D.Lg. 25 gennaio 1992, n.74, Giuffrè, Milano 1993, p.77 ss. 11 M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, Op. cit., p. 81. 22 stato osservato che la genericità di tale formulazione rende difficile, se non impossibile, l’individuazione di una vera e propria categoria di consumatori a cui dovrebbero far capo gli interessi tutelati dal decreto, finendo per far coincidere il consumatore con qualunque membro della collettività. 12 Tale profilo di tutela dei destinatari della comunicazione pubblicitaria contro le scelte economicamente pregiudizievoli cui essi possano essere indotti da false rappresentazioni della realtà, non rappresenta che una conquista di quel movimento di consumerism che, sviluppatosi da più di mezzo secolo negli Stati Uniti, ha attraversato l’oceano, finendo con l’interessare anche Paesi come il nostro, che per ragioni sociali ed economiche, si erano mostrati, fino a questo momento, restii a recepire nel proprio ordinamento strumenti di consumer protection13. Il 2° comma dell’ art.1 indica i tre requisiti fondamentali del messaggio pubblicitario: trasparenza, veridicità e correttezza. Che la pubblicità debba essere palese, ovvero immediatamente riconoscibile, viene approfondito e meglio precisato nell’art. 4. Con il principio della veridicità, il legislatore ha voluto richiamare l’esigenza che la comunicazione pubblicitaria sia sincera, cioè che, non per questo rinunciando alle tecniche di persuasione, si rivolga ai suoi destinatari nel rispetto di un criterio di ragionevolezza e che fornisca dati sufficienti ed esatti su di un prodotto concreto, ben determinato e definito 12 A. M. DELFINO, La pubblicità ingannevole (D.Lg. 25.1.1992 n.74), in G. VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei consumatori, CEDAM, Padova, 1999, p.477 ss. 13 V. MELI, Op. Cit. p.7. 23 nelle sue caratteristiche. Infine, la pubblicità deve essere corretta, ossia non deve contenere elementi che possano in qualsiasi modo screditare o ledere l’immagine dei concorrenti. Con questo decreto pertanto, l’ordinamento italiano assume tra i suoi principi, l’accettazione di quei pregiudizi, anche gravi, che possono derivare ad un imprenditore dal successo del suo concorrente conquistato per effetto di una pratica commerciale sleale. 1.2. Definizioni L’art. 2 è suddiviso in 4 commi, dedicati rispettivamente alle definizioni di “pubblicità”, “pubblicità ingannevole”, “pubblicità comparativa” e “operatore pubblicitario”. La definizione della nozione di pubblicità commerciale è la prima contenuta in un testo legislativo italiano.14 Essa è molto ampia, in quanto non pone alcun limite né alla forma del messaggio né al suo mezzo di diffusione, essendo essenzialmente concentrata sul “profilo teleologico” della pubblicità, ovvero sulla promozione di un’attività economica, prescindendo dalla qualifica di imprenditore e dalla natura pubblica o privata del soggetto nel cui interesse la comunicazione è diffusa. Infatti viene riconosciuta natura pubblicitaria anche a quei messaggi che promuovono attività professionali esercitate in forma non imprenditoriale, o prestazioni di servizi erogate dalla 14 Per la definizione di “pubblicità” contenuta nell’ art. 2 a si rimanda al paragrafo 1.1. 24 Pubblica Amministrazione o da altre organizzazioni collettive.15 Non rientra, invece, nella nozione di pubblicità accolta del D. Lgs. n. 74/1992, la comunicazione non proveniente da un operatore economico che sia volta a promuovere un’iniziativa senza fine di lucro16, ovvero la cosiddetta pubblicità sociale, quella diretta a promuovere comportamenti di carattere sociale (ad esempio le campagne “Pubblicità Progresso”, “Telefono Azzurro”, quelle contro la droga, per la prevenzione dell’ AIDS, gli annunci diffusi da organizzazioni no profit volte a sensibilizzare il pubblico sull’importanza della diagnosi precoce dei tumori), oppure ad informare sui diritti e doveri dei cittadini (campagne promosse dalle pubbliche amministrazioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi, per l’istruzione sulle modalità di esercizio del voto ecc.). Non rientrano in tale nozione di pubblicità neppure le comunicazioni a contenuto politico, ideologico o religioso. Non è invece necessario che il messaggio persegua direttamente uno scopo promozionale, essendo sufficiente che questo sia perseguito anche solo in maniera indiretta, come accade nel caso della pubblicità istituzionale, finalizzata all’affermazione dell’immagine dell’impresa. Il messaggio pubblicitario comprende svariate forme: l’advertising classico (cioè la pubblicità diffusa attraverso stampa, televisione, radio, affissioni), ma anche la pubblicità cosiddetta below the line (pubblicità sul punto 15 A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 483. 16 M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, Op. Cit., p. 91 ss, V. MELI, Op. Cit., p. 28 ss. 25 vendita, volantini e simili), il mailing (promozione di vendite per corrispondenza), addirittura la carta intestata dell’operatore economico.17 Le opinioni sono concordi nel ritenere che costituiscano forme di comunicazione pubblicitaria anche le sponsorizzazioni, le telepromozioni e le televendite.18 L’assenza di riferimenti all’etichettatura e all’ insieme delle componenti di natura grafica, decorativa, strutturale e verbale della confezione di un prodotto, ha dato adito a interpretazioni differenti. Alcuni ritengono che anche tali elementi, data la loro valenza comunicazionale, siano da qualificarsi come messaggio pubblicitario,19 mentre altri introducono una distinzione tra la confezione intesa come presentazione al pubblico, che non rientrerebbe nella nozione di pubblicità, e il messaggio apposto sulla confezione, che sarebbe invece soggetto alla disciplina del decreto in questione.20 Secondo la definizione fornita dall’ art. 2 b, che riproduce quasi testualmente l’art. 2 n. 2 della direttiva 84/450/CEE, deve intendersi per 17 P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1933 ss. 18 V. MELI a tal proposito, precisa, ne La repressione della pubblicità ingannevole, p.33: “La sponsorizzazione è un’operazione di finanziamento di persone o eventi spettacolari da parte di un’impresa, finalizzata ad ottenere un ritorno pubblicitario (…) Il messaggio pubblicitario, spesso rappresentato dalla mera presentazione di prodotti e marchi dello sponsor, consegue all’accordo di finanziamento. Ciò che l’ Autorità può valutare, alla luce del decreto n. 74/92, non è dunque il contenuto di tale accordo, che resta del tutto indifferente ai fini della disciplina, ma il contenuto del messaggio che eventualmente ne scaturisce. Lo stesso discorso si può fare per le c.d. telepromozioni (…): l’Autorità non è certo competente a valutare se si sia in presenza di uno spot o di diversa fattispecie, (…), ma potrà valutare l’eventuale ingannevolezza dell’invito all’ acquisto che comunque ne scaturisce.” 19 V .MELI. Op. cit., p.31-33. 20 M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, Op. Cit., p. 99. 26 “pubblicità ingannevole” la pubblicità che presenti contemporaneamente le seguenti caratteristiche: a) idoneità ad indurre in errore i destinatari o le persone che comunque raggiunge; b) idoneità, a causa del suo carattere ingannevole, a pregiudicare il comportamento economico di tali soggetti; c) idoneità a ledere un concorrente, a causa dello sviamento di clientela provocato dalla deviazione delle scelte economiche dei consumatori. La norma configura una parificazione tra l’effettiva induzione in errore e/o l’effettiva lesione del concorrente, e l’idoneità a produrre l’effetto rispettivamente ingannevole e lesivo; è infatti sufficiente la mera potenzialità ingannatoria del messaggio. L’intera valutazione dell’Autorità Garante dovrà, pertanto, basarsi su un giudizio “ex ante” (formulato, cioè, in termini di “idoneità”), anche nei casi in cui gli effetti decettivi della pubblicità si siano concretamente prodotti.21 La definizione di pubblicità ingannevole, inoltre, riguarda solo parametri oggettivi, e prescinde totalmente dal dolo o dalla colpa dell’operatore pubblicitario; l’ingannevolezza deve, tuttavia, essere esclusa 21 A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 491. 27 quando la discrepanza tra la realtà e le affermazioni pubblicitarie sia accidentale, e dipenda da cause non imputabili all’operatore pubblicitario. Il primo elemento da considerare è il contenuto del messaggio pubblicitario, il quale deve essere interpretato nella sua globalità, senza isolarne artificiosamente determinate espressioni; ogni messaggio va valutato individualmente, senza tener conto di altre comunicazioni precedenti o successive; il contenuto del messaggio va valutato non solo con riguardo a quanto è in esso affermato, con parole o immagini, ma anche riguardo alle omissioni, con la precisazione che non ogni omissione è rilevante, ma solo quella da cui derivi un pericolo di inganno per il destinatario della comunicazione. Il carattere ingannevole del messaggio può anche conseguire all’uso di espressioni ambigue, o esagerate ( le c.d. “iperboli”, affermazioni di primato contenute in un contesto generico e non accompagnate da riferimenti specifici relativi alle caratteristiche del prodotto o servizio pubblicizzato: es. “leader nel Lazio”, “la prima e più grande agenzia matrimoniale in Italia”, “la struttura alberghiera più prestigiosa della regione”)22. All’ingannevolezza del messaggio può contribuire anche la sua forma espositiva e le sue modalità di presentazione; di fatto, sono state ritenute ingannevoli pubblicità che, pur contenendo affermazioni veritiere, apparivano, tuttavia, idonee a disorientare il consumatore a motivo dell’estrema 22 P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1936. 28 complessità e disordine dell’esposizione, nonché dell’uso di espressioni accattivanti o ambigue. L’attitudine ingannatoria del messaggio deve essere valutata sia con riferimento al target specifico della pubblicità, sia con riferimento più generale ai soggetti che possano comunque ricevere il messaggio, ossia ai potenziali fruitori del bene o servizio pubblicizzato. Nel caso di messaggi rivolti ad una collettività indifferenziata, si è sottolineata la necessità di assumere come parametro di riferimento il consumatore più “sprovveduto”.23 Tale esigenza non è stata tuttavia recepita dall’Autorità, la quale adotta generalmente il parametro del “consumatore medio”, inteso come consumatore non esperto dello specifico settore interessato. La circostanza che il messaggio sia rivolto ad un target professionale, oppure ad un target di consumatori medio-alto, non determina, secondo l’orientamento più recente dell’Autorità, l’adozione di criteri di valutazione dell’ingannevolezza del messaggio meno severi di quelli abituali. Infine, la nozione di “operatore pubblicitario” individua in primo luogo l’utente pubblicitario o committente, ossia il soggetto nel cui interesse il messaggio è stato divulgato (l’impresa produttrice e/o distributrice del bene), e l’agenzia o il libero professionista autore del messaggio. La responsabilità del proprietario del mezzo è prevista dalla norma a titolo sussidiario, 23 V. MELI, Op. cit., p. 57 ss. 29 attribuendogli solo un obbligo di comunicazione dell’identità dell’inserzionista e dell’autore del messaggio pubblicitario. 1.3. Elementi di valutazione Anche l’ art. 3 riproduce quasi testualmente il contenuto dell’ art. 3 d. 84/450/CEE , ed elenca a titolo esemplificativo alcune possibili ipotesi di inganno pubblicitario, suddividendole rispettivamente in tre gruppi, relativi rispettivamente: a) alle caratteristiche dei beni e servizi pubblicizzati, ai loro effetti, ai risultati di prove o tests effettuati su di essi; b) al prezzo e alle condizioni di vendita; c) all’identità e alle caratteristiche dell’operatore pubblicitario. Le caratteristiche strutturali o funzionali del bene fatte oggetto dell’inganno possono riguardare il prodotto o il servizio in sé, oppure in rapporto a prodotti concorrenti (come nel caso in cui si crei confusione con i prodotti concorrenti). Una tipica fattispecie di pubblicità ingannevole legata alle caratteristiche del prodotto è data dall’appropriazione di pregi, come l’attribuzione di riconoscimenti inesistenti, o comunque appartenenti solo ad alcuni dei prodotti reclamizzati, o l’omessa indicazione, invece, della mancanza di caratteristiche o autorizzazioni essenziali. Sempre in questa categoria rientrano quelle ipotesi di comparazioni tra prodotti concorrenti in 30 cui vengono isolati arbitrariamente alcuni risultati, ed omesse altre circostanze e precisazioni essenziali perché la comparazione possa essere intesa in modo corretto. Soprattutto rientrano in questa categoria le ipotesi di pubblicità ingannevole in relazione alle caratteristiche in senso stretto del prodotto, alle modalità di assunzione e agli effetti. L’ingannevolezza relativa alle caratteristiche in senso stretto del prodotto può riguardare l’origine geografica e commerciale, la composizione, la quantità (quando quella effettiva è minore di quella indicata sulla confezione del prodotto), l’uso e così via. I messaggi denunciati sotto il profilo degli effetti del prodotto riguardano prodotti “miracolosi” negli effetti promessi, come dimagranti portentosi, prodotti anticellulite o anti-età, integratori alimentari, scuole ed istituti di insegnamento privati (idonei ad illudere circa la possibilità di conseguire un titolo di studio legalmente valido velocemente e senza sforzo), talismani, amuleti e simili, oppure quelli che, pur essendo veritieri sulla natura degli effetti prodotti, mentono sulla loro velocità e quantità. Infine l’ingannevolezza può riguardare anche le caratteristiche degli omaggi o delle operazioni promozionali, perché anche questi sono idonei ad attirare le scelte dei consumatori.24 L’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario in relazione al prezzo si ha quando viene indicato un prezzo diverso da quello che l’acquirente si troverà a pagare, o quando, comunque, viene indicato in modo equivoco, cioè da poter indurre in errore circa la sua effettiva entità. Tale principio ha trovato 24 A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 499 ss. 31 specifica applicazione in particolar modo nei settori della telefonia, dei carburanti, delle tariffe aeree, dei “numeri verdi” (che comportavano in realtà un costo a carico del chiamante), dei servizi di accesso a Internet.25 L’ingannevolezza può riguardare anche le condizioni in generale alle quali i prodotti o servizi vengono forniti: omaggi in realtà subordinati ad un acquisto, sconti praticati, garanzie prestate, partecipazione a concorsi a premio fittizi che in realtà dissimulano un’operazione promozionale, e così via. L’inganno può provenire anche dall’identità dell’impresa inserzionista, fornendo un’immagine diversa ( e migliore ) della stessa, rilevante ai fini di una maggiore affidabilità circa la qualità dei beni o servizi da essa offerti. Sono pertanto da ricondurre alla previsione in esame i messaggi che accreditano nel consumatore la convinzione che l’inserzionista fruisca di una struttura aziendale maggiore o più articolata di quella che possiede nella realtà, o abbia una qualificazione giuridica diversa e più affidabile, o svolga un’ attività diversa, o che ancora possa vantare, contrariamente al vero, una specifica esperienza nel settore interessato. Sono stati ritenuti ingannevoli anche messaggi nei quali l’impresa vantava certificazioni di qualità inesistenti, oppure le false affermazioni di superiorità, unicità e primato (es. l’espressione “primi nel mondo” riferita agli operatori di un centro estetico, il claim “il nuovo leader italiano della multiproprietà”).26 25 26 P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1946. AG n. 1949, AG n. 2528, in P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1947 ss. 32 1.4. Trasparenza della pubblicità L’ art. 4 sulla trasparenza della pubblicità, è ritenuta una specificazione del principio generale dettato dall’ art.1 comma 2 del decreto, secondo cui la pubblicità deve essere palese, oltre che veritiera e corretta. Scopo della norma è quello di consentire ai consumatori, attraverso la riconoscibilità della natura promozionale e non indipendente del messaggio, di attivare quella reazione critica e mantenere quella soglia di attenzione, che mancherebbero qualora la comunicazione apparisse di provenienza autonoma. Il divieto di pubblicità non riconoscibile non è volto, tuttavia, a tutelare solo i consumatori, ma anche i concorrenti, i quali possono risultare svantaggiati nel competere con coloro che fanno ricorso a questo scorretto espediente per promuovere i loro beni e servizi.27 Ci sono essenzialmente due ipotesi di pubblicità occulta: quella in cui non viene resa manifesta la natura pubblicitaria della comunicazione, così che il destinatario è indotto a farvi maggiore affidamento, confidando su una maggiore imparzialità, e quella in cui non si ha chiara percezione neanche dell’esistenza del messaggio stesso, come nel caso della pubblicità subliminale, espressamente vietata dal comma terzo dell’art. 4. La pubblicità occulta va distinta dalla sponsorizzazione occulta o product placement, tipo di pubblicità che comporta l’evidenziazione di un marchio nel corso di spettacoli cinematografici o televisivi, attuata nel contesto narrativo della situazione rappresentata e in modo che la presenza del bene appaia essere il frutto della 27 AG n. 3654 in MARCHETTI – UBERTAZZI, Op. cit., p. 1951, FUSI – TESTA – COTTAFAVI , Op. cit. p. 167, MELI, Op. cit. p. 70. 33 scelta culturale dell’autore dello spettacolo, mentre in realtà costituisce l’oggetto di un accordo tra il produttore dell’opera e l’azienda da cui provengono i beni indirettamente promozionati. Gli esempi più comuni di tale pratica si riscontrano nel settore cinematografico (numerose sono le scene di film in cui si vedono marchi di auto, sigarette, vestiario ecc.). La definizione di sponsorizzazione occulta è tuttora in uso, nonostante il d.m. 30/07/2004, in attuazione del d. lgs. n. 28/2004, abbia introdotto nel nostro ordinamento la fattispecie di “opera cinematografica product placement” per indicare una ipotesi di sponsorizzazione palese e perciò consentita, alle condizioni specificate dalla stessa normativa. La normativa del 2004 consente l’inquadratura di marchi e prodotti nelle scene di opere filmiche realizzate per le sale cinematografiche, anche quando questo avvenga in esecuzione di un accordo oneroso fra l’azienda a cui sono riferibili marchi e prodotti e il produttore dell’opera, a condizione che di ciò il pubblico sia reso edotto mediante un apposito avvertimento da collocare nei titoli di coda dell’opera, confermando così che ad essere consentita è l’attività promozionale palese, mentre quella occulta resta vietata. Nella sponsorizzazione occulta è ravvisabile una forma di pubblicità non trasparente ogniqualvolta l’inquadratura sul prodotto (o sul suo marchio) appaia artificiosa, insistente e non giustificata da ragioni tecniche o artistiche.28 28 Concorrenza sleale e pubblicità, estratto da L.C. UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova 2007, p. 265. 34 Il problema della pubblicità non trasparente, infine, si pone anche in relazione all’indipendenza di giornalisti ed editori, al rispetto della libertà di manifestazione del pensiero, del diritto all’informazione, dei tetti di affollamento della comunicazione commerciale. Proprio alla pubblicità diffusa a mezzo stampa fa riferimento il comma primo dell’art.4, nel richiedere che essa sia percepibile mediante modalità grafiche di evidente percezione, allo scopo, appunto, di differenziare gli articoli a carattere giornalisticoinformativo dai messaggi a carattere promozionale. L’idoneità di un messaggio a generare un oggettivo effetto promozionale non è sufficiente a farne presumere la natura pubblicitaria, in quanto un effetto promozionale indiretto a favore di determinati prodotti o servizi potrebbe legittimamente determinarsi, in conseguenza di apprezzamenti positivi espressi nell’ambito di un contesto puramente informativo.29 La valutazione della trasparenza di un messaggio pubblicitario si svolge in due fasi: la prima è volta a verificare se la comunicazione in esame costituisca pubblicità, ovvero una comunicazione a scopo promozionale; la seconda, che ha luogo in caso di accertata natura promozionale del comunicato, è volta a stabilire se tale natura sia percepibile. Sono ritenuti indici intrinseci della natura pubblicitaria della comunicazione il ricorso a toni enfatici ed elogiativi, e l’assenza di spunti critici nella descrizione del prodotto o servizio citati, la loro raffigurazione in assenza di motivi che ne giustifichino la visualizzazione per esigenze informative, il rinvio per 29 C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e giurisdizionale in Dir. Inf. 2008, p. 19. 35 informazioni al numero telefonico dell’inserzionista, la citazione del o dei prodotti di una sola azienda in un contesto che legittimerebbe la menzione anche di prodotti concorrenti.30 Una volta appurata la natura pubblicitaria di un articolo giornalistico, pertanto, la valutazione dell’ Autorità garante sarà indirizzata ad accertare la sussistenza di quelle “modalità grafiche di evidente percezione” che l’art. 4 richiede per rendere la pubblicità palese, ossia la presenza di scritte “pubblicità”, “campagna pubblicitaria” e simili, caratteri grafici diversi per dimensioni o caratteristiche cromatiche rispetto al resto del contesto, la presenza di margini, filettature, o particolari titoli o sottotitoli, la preponderanza della parte figurativa, l’inserimento dei messaggi in un’apposita pagina separata, la presenza del marchio d’azienda e così via. Viene considerato lecito il cosiddetto giornalismo di servizio, cioè la segnalazione e descrizione anche particolareggiata di beni che risponda ad autonome scelte redazionali della testata giornalistica e ad un interesse del consumatore a tali dati. L’accertamento dello scopo promozionale presuppone l’individuazione di un rapporto di committenza tra l’impresa che beneficia della citazione dei propri prodotti o servizi e il mezzo su cui è diffuso il messaggio. Tuttavia, nell’estrema difficoltà o impossibilità di raggiungere una prova diretta del rapporto di committenza, il criterio seguito dall’ Autorità fin dalle prime pronunce è quello della prova presuntiva, in forza del quale la natura promozionale di un messaggio viene desunta da elementi indiziari, purché 30 L.C. UBERTAZZI, Op. cit. p. 23. 36 gravi, precisi, concordanti e valutati tenendo conto dell’esigenza di contemperare la tutela dei consumatori con la libertà di manifestazione del pensiero e delle scelte editoriali, le quali possono lecitamente avere per oggetto la descrizione di beni o servizi. L’art. 4 disciplina anche l’utilizzazione dei termini “garanzia” e “garantito”. Lo scopo di tale disposizione è quello di evitare che si creino nei consumatori inutili affidamenti in ordine alla possibilità di ottenere, da parte del produttore, delle prestazioni riparatorie o sostitutive. Si richiede infatti, che l’utilizzazione di tali termini sia accompagnata dalla precisazione del contenuto e delle modalità, e solo qualora la brevità del messaggio non lo consenta, si ritiene sufficiente un “riferimento sintetico” con rinvio ad un testo “facilmente riconoscibile dal consumatore”. Il comma terzo vieta la pubblicità subliminale, una tecnica comunicazionale che tende a stimolare un bisogno all’insaputa del consumatore, inducendolo quindi a compiere l’atto economico per riflesso condizionato, ad esempio attraverso messaggi audiovisivi in cui siano inseriti fotogrammi di brevissima durata non percepibili direttamente, ma capaci di creare suggestioni a livello inconscio. 37 1.5. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori L’ art. 5 considera ingannevole la pubblicità relativa a prodotti pericolosi per la sicurezza e la salute dei consumatori che ometta di darne notizia, in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. La norma delinea una fattispecie di illecito per il quale non è sufficiente la sola reticenza sulla pericolosità, ma occorre anche un nesso di causalità tra la omessa informazione e l’induzione a trascurare le normali regole di sicurezza e vigilanza, e non è quindi applicabile a messaggi per prodotti notoriamente pericolosi, per i quali l’inosservanza delle comuni cautele non potrebbe essere imputata all’omissione di avvertenze nella relativa pubblicità. L’Autorità Garante ha identificato alcune categorie di prodotti suscettibili di rientrare nel campo di applicazione della norma: bevande alcoliche, medicinali, prodotti dell’elettricità, trattamenti dimagranti. La violazione dell’ art. 5 è stata inoltre affermata in relazione alla dicitura “light” apposta su un pacchetto di sigarette con contenuto di nicotina inferiore al normale, in quanto idonea a suggerire una minore pericolosità del prodotto, mentre in sede di istruttoria era emerso che i danni provocati dalle sigarette leggere non sono inferiori a quelli delle sigarette normali; per messaggi che attribuivano al prodotto la capacità, in realtà non posseduta, di prevenire rischi per la salute, creando un affidamento negli utilizzatori ed inducendoli a non adottare le comuni cautele; 38 per messaggi che affermavano la proprietà di prodotti non farmaceutici di combattere varie patologie, giudicati idonei ad indurre i consumatori a trascurare o ritardare la consultazione del medico; per messaggi a favore di preparati dimagranti che omettevano di segnalare effetti collaterali o controindicazioni al loro uso, o problemi inerenti la loro tollerabilità da parte dell’organismo, o che promettevano risultati miracolosi, potendo indurre i consumatori a trascurare un regime dietetico adeguato o il ricorso a cure medico-specialistiche. 1.6. Bambini e adolescenti L’art. 6 contempla altre tre ipotesi di pubblicità espressamente assimilate a quella ingannevole. La prima riguarda quelle comunicazioni che si rivelano idonee a minacciare la sicurezza sia fisica che mentale dei minori. La minaccia alla sicurezza psichica si attua attraverso la diffusione di immagini particolarmente crude e raccapriccianti.31 La minaccia alla sicurezza fisica si attua, invece, essenzialmente attraverso la proposizione di modelli di comportamento pericolosi che i più piccoli, grazie al loro naturale spirito di emulazione, potrebbero essere portati a ripetere. La seconda ipotesi è quella che più si avvicina alla definizione di ingannevolezza data dall’art. 2: è infatti considerata ingannevole la pubblicità che abusi della naturale credulità o inesperienza dei minori, evidentemente allo 31 FUSI – TESTA – COTTAFAVI, Op. cit., p. 236 ss.; MELI, Op. Cit. p. 96 ss. 39 scopo di indurli in errore. I minori vengono, pertanto, fatti oggetto di una tutela più incisiva rispetto agli adulti, proprio per via dei diversi livelli percettivi e cognitivi posseduti. L’ampiezza del concetto di “abuso” è suscettibile di ricondurre nell’ambito della norma anche fattispecie estranee ad ipotesi di raggiro vero e proprio, nelle quali lo sfruttamento del minor senso critico dei più giovani al fine di promuovere l’acquisto del bene pubblicizzato venga attuato attraverso mezzi come la pressione psicologica, volta ad incoraggiare il consumismo eccessivo o la competizione con i coetanei, o ad indurre sentimenti di inferiorità in relazione al mancato possesso del bene reclamizzato o, ancora, invidia nei confronti di chi ne abbia la disponibilità. Ulteriore differenza rispetto alla fattispecie di pubblicità ingannevole dell’ art. 2 è che la vittima dell’inganno pubblicitario (il minore) generalmente non coincide con colui il cui comportamento economico sarà in concreto pregiudicato, dal momento che i minori, in quanto tali, non sono capaci di autonome scelte di acquisto, ma potranno solo far pressione in tal senso sugli adulti.32 E’ considerata ingannevole, infine, la pubblicità che, impiegando bambini e adolescenti nei messaggi pubblicitari, abusi dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani, attuando una sorta di “ricatto dei sentimenti”. Si tratta, in sostanza, di una forma di pubblicità suggestiva, basata sullo sfruttamento dei sentimenti, delle emozioni che certe immagini o espressioni 32 A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 510. 40 possono suscitare nel pubblico, risultando, così, molto più incisiva e convincente, ad esempio suscitando sensi di colpa e dubbi sull’adeguatezza delle cure prestate dai primi ai secondi33, e la convinzione che tale ruolo sarebbe svolto più adeguatamente acquistando il prodotto pubblicizzato. Gli artt. 7 e 8 del d. lgs. n. 74/92, aventi ad oggetto la tutela amministrativa e giurisdizionale e l’autodisciplina, saranno oggetto dei paragrafi n. 2.4 e 2.5. 2. Il Codice del consumo Le disposizioni entrate in vigore con il D. Lgs. n. 74/92, integrate da norme in tema di pubblicità comparativa illecita, attuative della Direttiva 97/55/CEE, sono poi state trasposte negli articoli da 18 a 27 del D.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo). La disciplina così introdotta mirava espressamente a tutelare tutti gli interessi potenzialmente coinvolti dalla comunicazione commerciale ingannevole, ossia quelli dei consumatori, vittime dirette dell’inganno, dei concorrenti, svantaggiati a favore delle imprese che ricorrono all’inganno o alla comparazione illecita e, più in generale, quello del pubblico alla correttezza della comunicazione commerciale. Il Codice del Consumo in sostanza, ripropone quasi pedissequamente la disciplina previgente, riconducendola però, nell’orbita dei diritti dei consumatori. Esso cerca, in tal modo, di ovviare alla genericità della direttiva 33 MELI, Op. cit., p. 99. 41 84/450/CEE, la quale si limita ad indicare, con formule generali, gli strumenti tramite i quali gli stati membri possono sanzionare le fattispecie di pubblicità ingannevole, nell’interesse sia dei consumatori che del pubblico in generale. La disciplina comunitaria, infatti, definisce le fattispecie di pubblicità “ingannevole”, ma non prende in considerazione né la pubblicità scorretta né quella comparativa. Di conseguenza, la nuova collocazione della disciplina della pubblicità ingannevole sembra far emergere un nuovo orientamento del legislatore italiano, che ritiene prevalente il profilo della protezione del consumatore rispetto a quello della tutela della concorrenza. Nonostante ciò, gli artt. 18-27 del Codice del Consumo conservano quel carattere ibrido, tipico delle materie ove la linea di confine tra profili pubblicistici e privatistici è più labile.34 3. I decreti legislativi attuativi della direttiva 2005/29/CE Negli ultimi anni la tutela del consumatore ha subito un importante riconoscimento ed un incisivo rafforzamento sul piano comunitario. L’11 giugno 2005 viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, la direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori. Tale direttiva, sul piano normativo, modifica la direttiva 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE. 34 S. SICA – V. D’ANTONIO, Commento degli artt. 19-27, in P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di), Op. cit., p. 103 ss. 42 Con la direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali si rafforza la tutela dei consumatori europei. I dati raccolti a livello comunitario mostravano la carenza di fiducia dei consumatori per la tutela non uniforme dei loro diritti specie negli acquisti internazionali. Pertanto, in primo luogo la normativa di recepimento nel diritto interno assicura l’uniformità e la trasparenza delle disposizioni all’interno dell’Unione Europea.35 Lo scopo principale che tale direttiva quadro si propone, dunque, è quello di realizzare un’”armonizzazione massima” della normativa a tutela del consumatore, all’interno di tutti gli Stati membri, colmando le lacune e le notevoli differenze delle varie legislazioni nazionali. Ciò comporta che gli Stati membri non hanno la possibilità di mantenere o stabilire norme più restrittive o ampliative di quelle previste dal testo comunitario per imporre prescrizioni supplementari nel settore coordinato dalla direttiva stessa. La direttiva, in secondo luogo, si propone di disciplinare “l’atto del consumo nel suo aspetto dinamico”, cioè disciplinare quella fase in cui il professionista, attraverso comunicazioni, informazioni, messaggi pubblicitari, si mette in contatto con il consumatore, un altro soggetto che, agendo al di fuori della sua attività, non conosce (o conosce ben poco) le caratteristiche del bene o servizio che gli viene offerto e che dunque, per questa ragione, può cadere vittima di scelte poco vantaggiose che incidono sui propri interessi 35 http://pratichesleali.sviluppoeconomico.gov.it/Documentazione/comunicato%20PCS.pdf 43 economici.36 Essa, dunque, armonizza interamente la normativa vigente in questo settore istituendo un divieto di ordine generale: si tratta infatti di una direttiva quadro che si applica a tutte le transazioni delle imprese con il consumatore, al fine di evitare i sempre più frequenti casi in cui il consumatore viene influenzato da una pratica commerciale sleale. In Italia, la suddetta direttiva è stata attuata dai decreti 145 e 146 del 2 agosto 2007. Il d.lgs. 145/2007, attuando l’art. 14 della direttiva 2005/29/CE, che a sua volta modifica la direttiva 84/450/CEE, disciplina la pubblicità ingannevole nei rapporti tra professionisti. Esso contiene norme specificamente dirette a tutelare “i professionisti” dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, ma viene sostanzialmente riprodotto l’impianto normativo già previsto dagli articoli da 18 a 27 del codice del consumo. Esso indica, a titolo esemplificativo, alcuni elementi di valutazione sulla cui base è possibile formulare il “giudizio di ingannevolezza” della pubblicità. Fissa, inoltre, le condizioni in presenza delle quali è considerata lecita la pubblicità comparativa. Il d.lgs. 146/2007 modifica, invece, gli articoli da 18 a 27 del d.lgs. 206/2005, introducendo la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, distinguendole in “pratiche ingannevoli” e “pratiche aggressive”, e 36 L. DI MAURO, L’iter normativo: dal libro verde sulla tutela dei consumatori alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in E.MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali – Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Giuffrè, Milano 2007, p. 27 ss. 44 presentando una black list delle condotte considerate in ogni caso vietate. Di seguito si espongono i punti fondamentali di tale disciplina. 3.1. I soggetti protetti A differenza della precedente disciplina della pubblicità ingannevole, la nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali individua esplicitamente come soggetto da proteggere il consumatore, definito come “qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale” (art. 1 a). Il parametro di riferimento della tutela viene ulteriormente specificato nell’art. 20 comma 2, in cui la nuova disciplina invita a tenere conto del “consumatore medio” del gruppo che rappresenta il target cui la pratica è diretta o che essa raggiunge, quello che nel considerando 18 della direttiva 29/2005/CE è definito come il consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, considerando però che la pratica potrebbe coinvolgere anche sottogruppi di consumatori particolarmente vulnerabili (ad es. i minori). In tal caso, come consumatore di riferimento viene considerato un esponente medio di quel gruppo. Tale previsione chiarisce il criterio che i tribunali nazionali devono applicare, onde ridurre considerevolmente la possibilità di valutazioni divergenti all’interno dell’UE di pratiche tra loro simili. 45 L’art. 1 b definisce il concetto di “professionista”, ossia “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista” . La direttiva 2005/29/CE, modificando la direttiva 1984/450/CEE, consente espressamente agli Stati membri di adottare “disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela, in materia di pubblicità ingannevole, dei professionisti e dei concorrenti”,37 consentendo, pertanto, regolamentazioni differenziate in ogni ordinamento nazionale. L’Italia, quindi, può disciplinare i profili delle comunicazioni commerciali riguardanti i competitors in maniera analoga o corrispondente con quelli relativi ai consumatori, purché tali norme siano direttamente fondate sulla direttiva 1984/450/CEE, come emendata dalle direttive 1997/55/CE e 2005/29/CE. La tutela delle categorie più deboli invece, non può differire da quanto previsto nella direttiva 2005/29/CE.38 3.2. Le fattispecie di pratiche commerciali scorrette: pratiche ingannevoli e pratiche aggressive La direttiva sulle pratiche commerciali sleali rappresenta l’attuazione delle considerazioni svolte dalla Commissione Europea in occasione della stesura del Libro Verde del 2 ottobre 2001, “Sulla tutela dei consumatori 37 Cfr. considerando n.14 della direttiva 2005/29/CE. 38 A. SACCOMANI, Le nozioni di consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2005/29/CE, in E. MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Op. cit., p. 146. 46 nell’Unione Europea”. Tale Libro Verde mirava ad individuare i possibili futuri orientamenti politico-legislativi sulla tutela dei consumatori nell’Unione Europea, svolgendo una serie di considerazioni, sia di carattere politico, che economico-giuridico, relative alla necessità di un intervento legislativo organico che mirasse a realizzare la piena armonizzazione della normativa comunitaria in relazione alla tutela del consumatore. “Pratica commerciale” è definita “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori” (art. 1 d). Una pratica commerciale è scorretta “se è contraria alla diligenza professionale, o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori” (art. 20, comma 2). Accanto, dunque, al divieto generale imperniato sulla violazione della diligenza professionale ( “principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività di un professionista”39 ), unita all’idoneità a falsare il comportamento economico del consumatore, le fattispecie di pratiche commerciali scorrette vengono successivamente bipartite in pratiche ingannevoli (artt. 21 e 22) e 39 Art. 1 h del d.lgs. 146/2007. 47 aggressive (artt. 24 e 25). A chiusura,40 segue un’analitica elencazione delle ventitré fattispecie in ogni caso vietate (c.d. black list), ossia giudicate scorrette senza necessità di dimostrare la contrarietà alla diligenza professionale o la loro idoneità a falsare le scelte del consumatore, sia rispetto alle pratiche ingannevoli (art. 23), che a quelle aggressive (art. 26). L’art. 2141 fornisce i parametri per operare la valutazione di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, i quali rappresentano una sostanziale trasposizione delle originarie fattispecie di pubblicità ingannevole, con il valore aggiunto rappresentato, oltre che dalla citata black list di cui all’art. 23, dalla previsione di un’organica disciplina delle omissioni ingannevoli contenuta nell’art. 22. In particolare, il comma 1 considera ingannevole quella pratica commerciale che “contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio (…), e, in ogni caso, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Gli elementi rispetto ai quali valutare l’induzione in errore sono rappresentati, in sintesi, dall’esistenza, dalla natura e dalle caratteristiche strutturali e funzionali del prodotto, tra le quali la sua disponibilità, la sua natura, l’esecuzione, la composizione, gli usi, la quantità, l’origine geografica o commerciale, i risultati 40 Cfr. Allegato I della direttiva 29/2005/CE. 41 Cfr, 2005/29/CE, art.6. 48 ottenibili(lettere a e b); dagli impegni assunti dal professionista (lettera c); dal prezzo e dal modo in cui esso viene calcolato (lettera d); dalla necessità di un servizio post-vendita a scopi di manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione (lettera e), dalla natura e dalle qualifiche del professionista, come la qualificazione giuridica, i diritti di proprietà industriale e intellettuale, in quanto idonee a creare un maggiore o minore affidamento circa la qualità dei beni e servizi offerti (lettera f); e infine, dai diritti del consumatore, incluso quello di sostituzione o di rimborso (lettera g).42 Il comma 2, nelle lettere a e b, parifica alle illustrate fattispecie la confusione sull’attività, i prodotti, i marchi o altri segni distintivi di un concorrente, compresa la comparativa illecita, e il mancato rispetto dei codici di condotta che lo stesso professionista si è impegnato a rispettare. Infine, i commi 3 e 4 sanzionano come pratica commerciale ingannevole quella che omette di dare notizia della pericolosità del prodotto e quella che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti, è idonea a minacciare la loro sicurezza. Oltre alle azioni ingannevoli, il d.lgs. 146/2007 contempla, all’art. 22, le omissioni ingannevoli,43 definendole come quelle pratiche commerciali che omettono informazioni rilevanti, necessarie affinché il consumatore medio possa adottare una scelta consapevole, le quali inducano o siano idonee ad 42 I. PRINCIPE, Pratiche ingannevoli e pubblicità ingannevole, in E. MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Op. cit., p. 188. 43 Cfr. 2005/29/CE, art.7. 49 indurre all’adozione di una decisione di natura commerciale, che non avrebbe altrimenti preso. Rispetto all’elencazione del Codice del consumo, quella fornita dall’art. 22 del decreto è più puntuale, e la formulazione della norma sembra indicare dei parametri di valutazione dell’induzione in errore maggiormente aderenti all’istanza di tutela del consumatore. In particolare, tali parametri, contenuti nel comma 4, alle lettere da a ad e, e nel comma 5, rilevano le omissioni rispetto alle caratteristiche e alla provenienza del bene ( lettere a e b ), al prezzo e alle modalità del suo calcolo ( lettera c ), alle modalità di pagamento, di consegna, esecuzione e trattamento dei reclami ( lettera d ), all’esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto ( lettera e ), e infine, rispetto ad obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario (art.22, comma 5). All’omissione informativa viene parificata l’opacità , ossia il riportare le medesime informazioni rilevanti per la scelta d’acquisto in maniera oscura, incomprensibile, ambigua o intempestiva (comma 2), imponendo di tener conto, in tale valutazione, delle caratteristiche del mezzo di comunicazione, laddove comportino delle limitazioni in termini di spazio e tempo, oltre che delle misure adottate dal professionista per ovviare a tali circostanze (comma 3). Pratica aggressiva è invece definita (art. 24) una pratica commerciale che, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la 50 libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio. In sostanza, a differenza delle pratiche ingannevoli, che ledono la libertà del consumatore distorcendo il percorso cognitivo che porta all’adozione delle decisioni economiche, le pratiche aggressive la ledono esercitando sul consumatore indebite pressioni. Gli elementi per determinare se una pratica comporta molestia o coercizione sono dettati nelle lettere da a ad e dell’art. 25 e, oltre ad una valutazione sui tempi, sul luogo, la natura e la persistenza (lettera a), fanno riferimento alla minaccia fisica, verbale, contrattuale, legale, oltre che allo sfruttamento di una situazione tragica, o alla minaccia, manifestamente temeraria o infondata, di promuovere un’azione legale (lettere da b ad e).44 3.3. Le “black list” L’art. 23 e l’art. 26 del d.lgs. n. 146/2007 contengono la black list delle trentuno fattispecie di pratiche commerciali considerate in ogni caso scorrette, così come elencate nell’allegato I della direttiva 29/2005/CE, definendone rispettivamente ventitré come ingannevoli e otto come aggressive. Le pratiche considerate in ogni caso ingannevoli possono essere ricondotte alle seguenti macro-categorie: a) pratiche commerciali fondate sull’inganno dell’apparenza: si tratterebbe di condotte commerciali caratterizzate tutte dall’essere lesive dell’affidamento fatto dal consumatore sulla sussistenza di iniziative di 44 C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e giurisdizionale in Dir. Inf. 2008, p.11. 51 autoregolamentazione e codici di condotta (lettere a, b, c, d); sulla natura del prodotto (lettere i, l, n, r, s) e sulla garanzia (lettere h, bb); sulla figura del venditore stesso (lettere o, aa). b) pratiche commerciali fondate sull’inganno della propaganda: mirano ad indurre il consumatore ad acquistare facendo leva su ingannevoli dichiarazioni relative al prezzo (lettere e, f, v), alle condizioni di mercato (lettere p, t, u, z), alla pubblicità (lettera m), o quelle che mettono fretta al consumatore (lettere g, q).45 L’elenco si apre con alcune pratiche lesive della fiducia del consumatore nel campo dell’autoregolamentazione; è ingannevole dunque, “l’affermazione, da parte del professionista, di essere firmatario di un codice di condotta ove egli non lo sia”. Allo stesso modo, sono pratiche in ogni caso ingannevoli l’esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione; l’asserire, contrariamente al vero, che un codice di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura; l’asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta, ecc. Le pratiche commerciali aggressive, invece, possono immaginarsi ripartite in tre categorie: quelle minatorie (a, g), ossia le condotte commerciali 45 M. DONA, L’elenco delle fattispecie considerate in ogni caso sleali nell’allegato I della direttiva 2005/29/CE, in E. MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Op. cit., p. 197 ss. 52 tendenti ad intimidire il consumatore allo scopo di indurlo ad un comportamento diverso da quello che avrebbe tenuto se fosse stato libero di autodeterminarsi; quelle petulanti (b, c, e, f, g), caratterizzate dall’insistenza del professionista, che con i suoi comportamenti invadenti mira a condizionare le scelte negoziali del consumatore; quelle defatiganti (d, h), ossia quelle condotte poste in essere dal professionista allo scopo di stancare il consumatore, fiaccarne la resistenza, demotivarlo per ottenere che receda da una legittima richiesta o da una aspettativa indotta da altri. Sono esempi di pratiche in ogni caso scorrette, tra le altre: effettuare visite non gradite a casa del consumatore; effettuare ripetute sollecitazioni commerciali per telefono, posta elettronica o altro mezzo; esortare i bambini o convincere i genitori ad acquistare i prodotti reclamizzati; lasciar intendere che il consumatore abbia già vinto un premio in caso di acquisto di un prodotto; far credere al consumatore che, in caso di mancato acquisto del prodotto, sia in pericolo l’attività lavorativa del venditore; presentare come gratuita l’offerta di un prodotto quando in realtà, saranno caricati sul consumatore i costi di spedizione; esibire al consumatore un marchio di qualità non autorizzato, o presentare un prodotto con certificazioni non veritiere; sollecitare all’acquisto dichiarando che il consumatore non troverà quel prodotto ad un prezzo così basso presso nessun altro venditore; fare pressing psicologico sul consumatore, dando l’impressione che non possa lasciare i locali senza acquistare un qualche prodotto o concludere un contratto; dare informazioni 53 non veritiere sulla qualità del prodotto, sui prezzi di mercato e sulle proprietà curative del prodotto. 4 L’ autodisciplina pubblicitaria 4.1. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria Prima dell’attuazione della direttiva 84/450/CE era opinione diffusa in dottrina, che l’autodisciplina avrebbe potuto proporsi in Italia non tanto come alternativa alla normativa statale, quanto piuttosto come integrazione di questa, limitando l’intervento dello Stato alla disciplina di quei settori – come i medicinali, gli alimenti ecc – in cui gli interessi della collettività sono particolarmente forti. Con il d. lgs. n. 74/92 si assiste ad un sostanziale riconoscimento del fenomeno autodisciplinare (v. art. 8 d. lgs. 74/92). L’art.8 consente infatti alle parti interessate di ricorrere ad “organismi volontari e autonomi di autodisciplina”.46 L'autodisciplina è il fenomeno per il quale una pluralità di soggetti, appartenenti ad una o più categorie professionali, si impegnano a conformare il proprio comportamento a regole di correttezza, da loro stessi formulate, e creano gli strumenti di controllo necessari per assicurarne l’attuazione. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria ha lo scopo di assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel processo economico, venga realizzata come servizio per il pubblico, con speciali 46 L.C. UBERTAZZI , Concorrenza sleale e pubblicità, estratto da Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova 2007, p.97. 54 riguardo alla sua influenza sul consumatore. Esso fu promanato nel 1966 dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, associazione costituita da organismi rappresentativi delle diversa categorie di operatori pubblicitari, al fine di supplire alla mancanza, all’epoca (e fino all’emanazione del d.lgs. n. 74/92), di una disciplina statuale del fenomeno pubblicitario. L’Istituto è stato per decenni un’associazione ai sensi dell’art. 36 ss c.c., vale a dire un’associazione non riconosciuta, derivante da un atto di autonomia contrattuale. Lo statuto iniziale dello IAP, dell’8 febbraio 1977, è stato più volte modificato, in funzione dell’adesione, nel tempo, di nuove associazioni accomunate dallo stesso interesse collettivo, finché, il 4 luglio 2001, è stata riconosciuta la personalità giuridica dello IAP. Per la sua natura strettamente privatistica, il C.A.P. non ha l’efficacia erga omnes propria della legge, ma vincola solo chi, a diverso titolo, risulti aderirvi: aziende che investono in comunicazione, agenzie, consulenti, mezzi di diffusione, le loro concessionarie e per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di inserzione. Il C.A.P. dunque, ponendo regole di condotta per gli operatori del settore, tutela non solo l’interesse, di natura anche e soprattutto concorrenziale, dell’imprenditore a non essere leso dalla scorretta comunicazione pubblicitaria altrui, ma anche quello del fruitore del messaggio a non venire sviato nelle proprie scelte di consumo o a non essere 55 altrimenti pregiudicato da messaggi pubblicitari, anche eventualmente nelle proprie convinzioni morali o ideali.47 Il C.A.P. si configura come fenomeno autonomo rispetto a quello statuale. Ciò significa che una condotta, sia pure non in contrasto con alcuna norma dello Stato, potrebbe ugualmente risultare non consentita secondo le regole dettate dal C.A.P. e viceversa. Esso è composto da 46 articoli suddivisi in sei titoli, oltre alle Norme Preliminari e Generali. Il primo di essi detta le regole generali di comportamento nel settore della comunicazione pubblicitaria; il secondo disciplina particolari forme di pubblicità (relativa alle vendite a credito, alle vendite a distanza, alle vendite promozionali, alle manifestazioni a premio, e a una serie di particolari settori merceologici); il terzo descrive composizione e funzioni dei due organi preposti a garantire l’osservanza del C.A.P., nonché a dirimere le controversie che dovessero insorgere in ordine alla violazione dello stesso da parte dei soggetti vincolati: il Comitato di Controllo e il Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria; il quarto delinea i meccanismi normativi e sanzionatori che regolano l’attività dei due organi suddetti; il quinto disciplina la tutela dei progetti creativi; il sesto, infine, definisce i principi di una corretta comunicazione sociale, ossia quella categoria di messaggi volti a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale. 47 B. GRAZZINI, Autodisciplina pubblicitaria e ordinamento statuale, Giuffrè, Milano 2003, p.3 ss. 56 Come si è detto, il C.A.P. ha efficacia limitata solo a coloro che vi abbiano aderito. Esso infatti “è vincolante per utenti, agenzie, consulenti di pubblicità, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di pubblicità”, all’interno del quale ciascun soggetto associato è tenuto ad inserire “una speciale clausola di accettazione del Codice, dei regolamenti autodisciplinari e delle decisioni assunte dal Giurì, anche in ordine alla loro pubblicazione, nonché delle ingiunzioni del Comitato di Controllo divenute definitive”.48 Le modalità di adesione al C.A.P. possono essere ricondotte a due categorie: l’adesione per via associativa, oppure attraverso la stipulazione di un contratto di pubblicità contenente la clausola di accettazione. L’adesione in via associativa concerne in primo luogo gli organismi costituenti ed associati allo IAP 49 : per essi la soggezione al sistema autodisciplinare deriva dall’obbligo di osservare le delibere associative e lo statuto che adotta il Codice per la regolamentazione dell’attività pubblicitaria. Vi sono poi altri soggetti, i cosiddetti iscritti, la cui adesione allo IAP non è 48 Lettere b e d delle Norme Preliminari e Generali del C.A.P. 49 Organismi costituenti: AssoComunicazione (Associazione delle Imprese di Comunicazione); FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali); UNICOM (Unione Nazionale Imprese di Comunicazione); RAIRadiotelevisione Italiana S.p.a; TP-Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti; UPA (Utenti Pubblicità Associati). Organismi associati: AAPI (Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane); ACPI (Associazione Consulenti Pubblicitari Italiani); AERANTI-CORALLO (Associazione delle Imprese Radiofoniche e Televisive locali, satellitari e via Internet); AICUN (Associazione Italiana Comunicatori d’Università); ANES (Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata); Club del marketing e della Comunicazione – Puglia; FCP (Federazione Concessionarie di Pubblicità); FEDERpubblicità (Federazione Sindacale Operatori della Pubblicità); FEDOWEB (Federazione Operatori Web); FRT (Federazione Radio Televisioni); Gruppo Mediaset; P.PRO – Pubblicità Progresso; RNA (Radio Nazionali Associate). Fonte: http://www.iap.it/it/asso.htm. 57 diretta, bensì mediata dall’appartenenza a una delle associazioni di categoria che fanno parte dello IAP. Mediante questa rete di relazioni associative, l’ordinamento autodisciplinare copre la maggior parte delle agenzie e dei mezzi operanti nel settore, nonché un gran numero di “utenti” (cioè di imprenditori che commissionano la pubblicità), attraverso la loro organizzazione, l’U.P.A., che aderisce al sistema e ne compare tra i fondatori. Per gli utenti di pubblicità che rimangono estranei al sistema, la soggezione al C.A.P si realizza attraverso la c.d. clausola di accettazione che i “mezzi”, e comunque i soggetti aderenti, sono tenuti ad inserire nei propri contratti di pubblicità50, e attraverso la quale le disposizioni del Codice diventano parte integrante del regolamento negoziale con l’”utente”. La fondamentale differenza tra questo tipo di adesione e quella che si realizza in via associativa consiste nel carattere stabile con cui quest’ultima si inserisce all’interno del sistema, laddove invece la clausola di accettazione crea un vincolo occasionale che si esaurisce nell’ambito del contratto di pubblicità in cui è inserita. In questo paragrafo vale la pena soffermarsi, seppur brevemente, sul titolo II del C.A.P., con particolare riferimento alle norme di autodisciplina in settori merceologici particolari. L’art.22 del C.A.P. introduce una serie di divieti alla pubblicità delle bevande alcoliche, volti ad impedire che gli operatori pubblicitari facciano leva 50 Lettera d delle Norme Preliminari e Generali del CAP. 58 su determinate occasioni di consumo dell’alcool per incrementarne il consumo in direzioni nelle quali i suoi effetti dannosi si manifesterebbero con particolare gravità, come ad esempio il consumo da parte dei minori, degli automobilisti, delle persone afflitte da frustrazioni in ordine alla loro efficienza fisica o mentale. La prima parte dell’art.22 stabilisce che la pubblicità delle bevande alcoliche non deve contrastare con l’esigenza di favorire l’affermazione di modelli di consumo delle bevande ispirati a misura, correttezza e responsabilità. La nuova formulazione dell’art.22 enuncia, inoltre, l’interesse primario delle persone, e in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita protetta dalle conseguenze connesse all’abuso di bevande alcoliche, e impone agli operatori pubblicitari obblighi specifici al fine di perseguire le esigenze cui la norma è ispirata.51 L’art.23 impone il divieto di mendacio sulle caratteristiche dei prodotti cosmetici e per l’igiene personale. Esso tutela i consumatori, in particolare quelli che, a causa dei problemi estetici che li affliggono, si trovano maggiormente esposti alle promesse di risultati illusori. Il comma 1 dell’art.23 consente di attribuire ad un cosmetico determinate funzioni, purché tali proprietà siano effettivamente possedute dal prodotto e la rivendicazione pubblicitaria sia appropriata. Il comma 2 vieta qualsiasi assimilazione dei 51 V. LANDI, commento all’art. 22 del C.A.P., Bevande alcoliche, in U.RUFFOLO (a cura di), Commentario al Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Giuffrè, Milano, 2003, p.388. 59 cosmetici ai medicinali, affermazioni e accostamenti tali da indurre in equivoco sulla vera natura del prodotto.52 L’art. 23-bis del C.A.P. è stato introdotto a seguito dell’enorme espansione che, negli ultimi tre decenni, ha avuto l’industria ed il mercato dei prodotti dedicati alla dieta ed al benessere dell’individuo. In considerazione della particolare sensibilità del pubblico verso i temi della salute e dell’aspetto estetico, la comunicazione pubblicitaria deve essere improntata al massimo senso di responsabilità. I consumatori, dunque, devono essere oggetto di una tutela rafforzata nei confronti delle pubblicità relative a integratori alimentari e dietetici. L’art. 23-bis C.A.P. infatti, è norma diretta ad impedire un’attribuzione al prodotto reclamizzato di proprietà che esso non possiede realmente, facendo leva sulla allettante promessa del facile ottenimento di un risultato fortemente ambito.53 Lo stesso divieto sussiste per i trattamenti fisici ed estetici (art.24 C.A.P.), prodotti merceologicamente disomogenei, ma accomunati dalla promessa pubblicitaria di risultati duraturi e/o restituivi, come creme cosmetiche e lozioni tricologiche, generatori di impulsi elettrici, attrezzi meccanici, preparati dimagranti ecc. A tali categorie di prodotti non possono essere attribuite funzioni restitutive, terapeutiche o risultati radicali; inoltre, dal 1997 è stato inserito l’obbligo di astenersi da richiami a raccomandazioni o 52 L.C. UBERTAZZI, Concorrenza sleale e pubblicità, Op. cit., p. 188 ss. 53 S. CARDILLO, commento all’art. 23-bis C.A.P., in U.RUFFOLO (a cura di), op. cit., p. 417. 60 attestazioni di tipo medico, onde evitare accostamenti suggestivi tra la scienza e l’attività medica e i trattamenti pubblicizzati, che possono trarre in errore il consumatore circa la natura e l’efficacia di questi ultimi. L’art.25 C.A.P. stabilisce che la pubblicità dei prodotti farmaceutici deve essere realizzata con il massimo senso di responsabilità; richiamare l’attenzione del consumatore sulla necessità di opportune cautele, con esplicito invito alla lettura delle avvertenze nella confezione; non indurre ad usi scorretti del prodotto; non attribuire a prodotti da banco e a trattamenti curativi efficacia o indicazioni terapeutiche in contrasto con quelle loro riconosciute; non far apparire superflua o inutile la consultazione del medico; non rivolgersi ai minorenni; non indurre i bambini ad utilizzare il prodotto senza un’adeguata sorveglianza.54 L’art. 26 C.A.P. disciplina la pubblicità di corsi di istruzione e metodi di studio o insegnamento, e viene applicato principalmente contro messaggi pubblicitari che promettono diplomi, lauree, dottorati, collegati a corsi che non attribuiscono titoli riconosciuti in Italia, oppure il miraggio dell’ottenimento di un’abilitazione professionale o di un sicuro impiego, o infine, possibilità di alti e facili guadagni.55 L’art.27 disciplina la correttezza della pubblicità delle operazioni finanziarie e immobiliari; l’art.28 quella dei viaggi organizzati, basata 54 F .CALA’, Commento all’art, 25 C.A.P. in U.RUFFOLO (a cura di), op. cit., p. 431. 55 G. DI MARCO, Commento all’art.26 C.A.P. in U.RUFFOLO (a cura di), op. cit., p. 440. 61 principalmente sull’imposizione di un obbligo informativo a carico dell’inserzionista a favore dei destinatari del messaggio, che consenta loro di comprendere appieno i termini contrattuali dell’operazione economica (soprattutto riguardo al prezzo e alle prestazioni in esso incluse) che la pubblicità stimola ad intraprendere. Infine, l’art. 28-bis C.A.P. ha per oggetto la pubblicità di giocattoli, giochi e prodotti educativi per bambini. Esso prescrive che la pubblicità dei suddetti prodotti non deve indurre in errore, in particolare, sulle seguenti caratteristiche del prodotto: natura, prestazioni, dimensioni, grado di abilità necessario per utilizzarlo, entità della spesa. La ratio dell’art. 28-bis C.A.P. è quella di non mistificare la realtà nei confronti dei bambini, e di abituarli al rispetto della verità, anche quando si proponga loro un oggetto, come un giocattolo, che stimola e alletta la capacità di fantasticare. L’errore di cui è vietata l’induzione deve considerarsi tanto quello dei più piccoli, quanto l’equivoco in cui sono suscettibili di cadere gli adulti, anch’essi potenziali fruitori della pubblicità per giocattoli o prodotti educativi, nella loro qualità di acquirenti dei beni a favore dei più piccoli. In particolare, appaiono preordinati più alla tutela degli adulti che a quella dei bambini, il secondo e il terzo alinea della norma, i quali vietano, rispettivamente, di indurre in errore circa il grado di abilità necessario per utilizzare il prodotto pubblicizzato – e tende, pertanto, ad evitare l’equivoco dell’adulto che acquista un prodotto non idoneo all’età del bambino cui è destinato – e di indurre in equivoco sull’entità 62 della spesa, specie quando il funzionamento del prodotto comporti l’acquisto di prodotti complementari. E’ fatto divieto, inoltre, di minimizzare il prezzo, in relazione all’incapacità dei più piccoli di valutare l’eventuale sproporzione tra la promessa pubblicitaria e il prodotto realmente offerto, inducendo così il bambino a sentirsi autorizzato a desiderarlo e a chiederlo ai genitori. 4.2. Gli organi dell’Autodisciplina: composizione del Comitato di Controllo e del Giurì di Autodisciplina e loro funzioni Gli articoli dal 29 al 35 (Titolo III) del Codice definiscono composizione e funzionamento degli organi dell’autodisciplina. Il Comitato di Controllo è composto da dieci a venti membri56, nominati per un biennio dallo I.A.P. e rieleggibili, scelti tra persone particolarmente qualificate nel settore giuridico, pubblicitario, dei mass media, ed esperte di problemi dei consumatori. Esso ha anzitutto il compito di vigilare sull’applicazione e sul rispetto delle norme autodisciplinari poste a tutela dei consumatori e della pubblicità. Qualora ritenga che queste norme siano state violate, è legittimato a promuovere il procedimento avanti al Giurì. Il Comitato di Controllo è un organo consultivo, in quanto esprime pareri (non vincolanti) su richiesta del Giurì, ma non si può negare al Comitato anche la funzione di organo giudicante. Esso può, in qualsiasi momento, chiedere all’utente dati per controllare la liceità del messaggio. Nel 56 In conformità alla 45esima edizione del C.A.P., in vigore dal 21 aprile 2008 (fonte www.iap.it/it/codice.htm), 63 caso in cui consideri soddisfacenti i chiarimenti ottenuti non potrà più promuovere l’azione davanti al Giurì. Il Comitato svolge un’importante funzione preventiva. Può infatti “invitare in via preventiva” l’advertiser (o il mezzo) a modificare la pubblicità che appaia in contrasto con le norme del C.A.P. Questo “invito” non è ritenuto vincolante e deve piuttosto essere considerato come una semplice esortazione ad apportare le modifiche suggerite. Su richiesta della parte interessata, il Comitato può inoltre esprimere in via preventiva il proprio parere circa la conformità di un messaggio pubblicitario non ancora diffuso rispetto alle norme del C.A.P. Se la pubblicità presa in esame appare manifestamente contraria a una o più norme del C.A.P., il Presidente del Comitato di Controllo può ingiungere alle parti di desistere dalla medesima, ossia può emanare un’”ingiunzione di desistenza”, ossia un provvedimento accompagnato da una motivazione. L’ingiunzione di desistenza viene trasmessa dalla Segreteria dell’I.A.P. alle parti, le quali possono porvi opposizione entro il termine perentorio di dieci giorni. In caso di mancata proposta di opposizione, o se l’opposizione non risulti sufficientemente motivata, o non sia stato osservato il termine prescritto, il provvedimento acquista efficacia di decisione: l’ingiunzione viene cioè, equiparata a tutti gli effetti alla decisione del Giurì. 64 A T T I V I T À D E L C O M I T A T O C O N T R O L L O (fonte: www.iap.it) 65 D I Il Giurì è anch’esso un organo collegiale, composto da un numero di membri compreso tra dieci e venti, scelti tra esperti di diritto, problemi dei consumatori e di comunicazione, nominati ogni due anni dallo IAP, secondo un criterio di scelta che garantisca la massima professionalità e indipendenza del collegio dall’Istituto, nonché dalle categorie economiche interessate.57 Funzione del Giurì è quella di esprimere un giudizio limitato ad una valutazione della conformità al C.A.P. della comunicazione commerciale che gli viene sottoposta. L’istanza al Giurì può essere presentata anzitutto dal Comitato di Controllo, in via autonoma o in seguito a segnalazioni pervenute. L’azione avanti al Giurì compete, inoltre, a chiunque ritenga di subire pregiudizio da attività pubblicitarie contrarie al C.A.P. Secondo la giurisprudenza autodisciplinare, sono, dunque, legittimati, in primo luogo, i concorrenti; altresì il singolo consumatore, le associazioni di consumatori, le associazioni di categoria di imprenditori (quando l’attività dei propri associati può essere colpita dalla pubblicità di un imprenditore concorrente), i rappresentanti di un raggruppamento politico, ordini o associazioni professionali o culturali (quando la pubblicità possa nuocere all’immagine della categoria), le agenzie pubblicitarie (in caso di imitazione dell’ideazione pubblicitaria di cui l’agenzia è creatrice).58 57 Art. 31 C.A.P. 58 L. C. UBERTAZZI, Concorrenza sleale e pubblicità, Op. cit., p. 210 ss. 66 L’istanza deve contenere l’indicazione della pubblicità contestata, esponendo le proprie ragioni e allegando i documenti a sostegno della domanda. L’intervento del Giurì può essere provocato, oltre che dalla presentazione di un’istanza da parte del Comitato di Controllo e dalla presentazione di un ricorso di parte, anche dalla presentazione di un’opposizione all’ingiunzione di desistenza pronunciata dal presidente del Comitato di Controllo a norma dell’art.39. Una volta ricevuta l’istanza, il presidente del Giurì nomina, fra i componenti dell’organo giudicante, un relatore. Il giudizio autodisciplinare si svolge senza particolari formalità, e la sua efficacia dipende innanzitutto dalla sua tempestività. Per questa sua peculiarità, il Giurì ha assimilato il procedimento autodisciplinare a quello statale cd. d’urgenza, sufficiente a determinare in tempi brevissimi il convincimento del giudice. Dopo che il relatore ha illustrato i termini della controversia, al termine della discussione tra le parti, in presenza anche di un rappresentante del Comitato di Controllo, il Giurì si riunisce in camera di consiglio per deliberare. Le decisioni del Giurì sono definitive e incontestabili, pertanto vincolanti per tutti i mezzi pubblicitari che, direttamente, o tramite le proprie associazioni, hanno accettato il C.A.P. Come già evidenziato, il Giurì ha anzitutto il potere di decidere se una campagna pubblicitaria sia o meno conforme alle disposizioni sostanziali del C.A.P. All’accertamento di illiceità autodisciplinare segue l’inibitoria, ossia l’ordine che il Giurì rivolge alla parte 67 soccombente di desistere dalla pubblicità condannata. L’osservanza delle decisioni del Giurì e del Comitato di Controllo presuppone anche che l’adeguamento avvenga tempestivamente, e quindi nei tempi indicati dal Regolamento sui tempi tecnici di attuazione delle decisioni autodisciplinari. In caso di inosservanza della decisione, il Giurì o il suo Presidente reiterano l'ordine di cessazione della comunicazione commerciale interessata e dispongono che si dia notizia al pubblico dell'inottemperanza, attraverso gli organi di informazione indicati, a cura dell'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria.59 59 http://www.iap.it/it/codice.htm. 68 A T T I V I T À D E L G I U R Ì (fonte www.iap.it) 69 5. I rapporti tra Autodisciplina e ordinamento statuale: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato L’analisi dei rapporti intercorrenti tra il sistema Autodisciplinare e l’ordinamento statuale è stata, nel tempo, oggetto di un lungo dibattito dottrinale. Secondo l’interpretazione maggiormente accreditata, l’Autodisciplina è un sistema avente origine e natura negoziale che si pone su un piano distinto, parallelo ma non interferente con quello dell’ordinamento statale. Le norme dell’Autodisciplina non vengono certo a supplire alla normativa statale, né si pongono in condizione di sussidiarietà rispetto a questa; al contrario, il rapporto che si instaura tra l’ordinamento autodisciplinare e quello statuale è di complementarietà.60 Il Giurì autodisciplinare ha esercitato a lungo, nel nostro Paese, una sorta di “monopolio” di fatto del controllo sulla correttezza e liceità dei messaggi pubblicitari, in ragione dell’inerzia del legislatore italiano, a lungo protrattasi, nell’adozione di una disciplina organica del fenomeno pubblicitario. Tale prolungato vuoto normativo, che è la ragione primaria dell’ampio sviluppo e della acquisita autorevolezza dell’Autodisciplina in Italia, è venuto infatti meno solo con l’emanazione, in attuazione della citata direttiva CEE 84/450 in tema di pubblicità ingannevole, del D.Lgs. n. 74/92, che ha attribuito la competenza ad applicare la disciplina in materia di 60 D. ARCHIUTTI, I rapporti tra l’autodisciplina pubblicitaria e la normativa statale in materia di pubblicità ingannevole e comparativa illecita, in U. RUFFOLO (a cura di), op. cit., p.481 ss. 70 pubblicità ingannevole all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, istituita dall’art.10 della legge 10 ottobre 1990 n.287 (la c.d. legge antitrust). Pare che il legislatore, inserendo i principi di cui all’art.8 d.lgs. 94/72, abbia voluto conservare i meccanismi di autoregolamentazione esistenti nel settore pubblicitario, che così a lungo hanno dimostrato la loro idoneità al controllo dell’advertising, sfruttando la loro comprovata efficienza ed autorevolezza, al fine di sgravare l’operato dell’amministrazione statale. Peraltro, l’eventuale scelta di ricorrere ai sistemi di autodisciplina non comporta alcuna irrimediabile incisione nel rapporto controverso. Le parti potranno infatti decidere di riproporre il vaglio della medesima comunicazione pubblicitaria innanzi all’Autorità garante, la cui competenza non è affatto preclusa, né in alcun modo limitata, dall’eventuale ricorso all’organo autodisciplinare. Semmai, la precedente pronuncia del Giurì può avere, di fatto, l’effetto di rendere superfluo il ricorso all’Autorità, poiché verrebbe meno l’interesse delle parti a ricorrere all’organo statale per una pubblicità di cui sia già stata ottenuta la cessazione in via autodisciplinare. Ed è proprio in tale effetto che si concretizza la funzione di “strumento di prevenzione” che la legge riconosce all’Autodisciplina. L’intervento dell’Autorità potrà così essere ristretto ai soli casi necessari, quando la pubblicità non sia cessata per effetto della pronuncia autodisciplinare. Inoltre, a differenza dell’I.A.P., il quale fa capo ad un'associazione di utenti che si autodisciplinano e quindi non ha alcun 71 potere censorio e sanzionatorio sui non aderenti, l’AGCM è competente per tutti gli operatori sul mercato. Attualmente, le competenze dell’AGCM consistono nell’applicazione della legge n.287 del 1990, nell’applicazione delle norme contenute nel Titolo III del d.lgs. 206/2005 (il già citato Codice del Consumo) in materia di pratiche commerciali, e del d.lgs. 145/2007 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa a tutela delle imprese nei loro rapporti commerciali. Essa, nota anche come Antitrust, è una "Autorità indipendente". Con il termine Autorità indipendente si fa riferimento a un'amministrazione pubblica che prende le proprie decisioni sulla base della legge, senza possibilità di ingerenze da parte del Governo né di altri organi della rappresentanza politica. L'Autorità è un organo collegiale, composto da un Presidente e da quattro componenti nominati, di concerto, dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. A norma dell'art. 11, c. 5, legge 287/90, il complesso dei servizi ed uffici dell'Autorità è posto sotto la supervisione del Segretario Generale che ne risponde direttamente al Presidente. Prima dell’approvazione del d. lgs. 146/2007, l’Autorità non poteva iniziare nessun procedimento d’ufficio, non poteva cioè, agire autonomamente per l’individuazione e la repressione della pubblicità ingannevole, ma solo su impulso dei soggetti legittimati; ciò doveva garantire 72 la massima imparzialità ed indipendenza dell’Autorità, cui spettavano solo funzioni decisorie.61 Essa poteva attivarsi solo a seguito di una denuncia, con la quale veniva richiesto il suo intervento. Con la nuova versione dell’art.27 del Codice del Consumo introdotta dal d. lgs. n. 146/2007, l’attivazione del procedimento può, oltre che essere rimessa all’istanza di parte (consumatori, concorrenti, associazioni di tutela dei consumatori, Ministero delle attività produttive, pubbliche amministrazioni), essere anche d’ufficio, consentendo all’AGCM la possibilità di effettuare interventi mirati su specifiche fattispecie. Quando l’Autorità riceve la segnalazione di una presunta pubblicità ingannevole o comparativa illecita, verifica innanzitutto se la denuncia è completa, regolare e se non è manifestamente infondata. Se la verifica ha esito negativo, la denuncia viene archiviata, dandone pronta comunicazione al denunciante. Se invece la segnalazione risponde ai requisiti richiesti, la Direzione competente comunica l’avvio del procedimento a chi ha presentato la denuncia e a chi ha diffuso il messaggio pubblicitario, assegnando un termine, di solito di 15 giorni, entro il quale possono essere presentate memorie da parte dei soggetti interessati. Nel corso del procedimento, l’Autorità esamina il messaggio e le memorie eventualmente ricevute. Nei casi più complessi ascolta le parti, in audizioni appositamente convocate. Se lo ritiene necessario ai fini della decisione,può disporre perizie, analisi e consulenze di esperti. L’Autorità può 61 A. M. DELFINO, La pubblicità ingannevole, in F. VETTORI, op. cit. p. 511. 73 anche richiedere che sia l’operatore pubblicitario a fornire la prova della veridicità delle affermazioni contenute nel messaggio da lui diffuso (si tratta della cosiddetta “inversione dell’onere della prova”). A tale mezzo si ricorre quando la pubblicità comunica informazioni che l’operatore pubblicitario dovrebbe conoscere. In questo caso, il silenzio o l’invio di prove insufficienti fa presumere l’inesattezza dei dati contenuti nel messaggio. Un’altra rilevante novità introdotta dalla nuova disciplina consiste nell’attribuzione all’Autorità, “ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale”, del potere di chiedere all’operatore pubblicitario l’assunzione di impegni volti a porre fine all’infrazione: un intervento di carattere regolatorio e di natura consensualistica, che consente anche di decongestionare l’attività dell’Autorità.62 Il procedimento resta imperniato sulla garanzia della “tutela del contraddittorio”, di cui è espressione il diritto delle parti di presentare memorie e prendere visione dei documenti, e prevede un termine di durata di novanta giorni, prorogabile di altri settantacinque giorni, nelle ipotesi in cui siano richieste informazioni o esperiti altri mezzi istruttori. Un ulteriore termine di trenta giorni è stabilito per la richiesta di parere all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nelle ipotesi di messaggio pubblicitario diffuso via internet, televisione, radio, fax o stampa (periodica o quotidiana). Tale parere non è vincolante, nel senso che l’Autorità può motivatamente 62 C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e giurisdizionale in Dir. Inf. 2008, p.13. 74 discostarsene. Se, con la decisione finale, l’Autorità ritiene la pubblicità esaminata ingannevole o la pubblicità comparativa non conforme alle condizioni in precedenza elencate, ordina che ne sia impedita o interrotta la diffusione. Il provvedimento di ingannevolezza o di illiceità della pubblicità comparativa, opportunamente motivato, viene pubblicato sul Bollettino settimanale dell’Autorità. Per mettere sull’avviso il pubblico l’Autorità può perciò disporre che l’operatore pubblicitario che ha violato la legge, diffonda, a sua cura e spese, su un quotidiano o un’emittente televisiva, un estratto del provvedimento o una dichiarazione di rettifica nella quale vengono segnalati i profili di illiceità del messaggio, ristabilendo così la correttezza delle informazioni. L’operatore che subisce una condanna per pubblicità ingannevole è ad ogni modo tenuto ad adeguarsi a quanto disposto dall’Autorità, interrompendo immediatamente la diffusione del messaggio e, se richiesto, effettuando la pubblicazione della dichiarazione di rettifica. In caso di inottemperanza a quanto da essa disposto, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro, e, in caso di reiterata inottemperanza, può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. A seguito della novella del settembre 2007, inoltre, in caso di pratica commerciale scorretta, il quantum è stato innalzato da un minimo di 5.000 a un massimo di 500.000 euro, non inferiore a 50.000 euro nelle ipotesi delle violazioni relative 75 ad omissioni informative sulla pericolosità di un prodotto e di pratiche indirizzate a bambini ed adolescenti. Contro i provvedimenti dell’Autorità Garante è possibile presentare ricorso giurisdizionale, entro sessanta giorni, presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. L’intervento dell’Autorità è a tutela dell’interesse collettivo dei consumatori, e non del singolo denunciante. Quest’ultimo, con la sua segnalazione, produce l’impulso che fa scattare la tutela di tutti i consumatori. Per questo un provvedimento di ingannevolezza da parte dell’Autorità non conduce mai ad un risarcimento dei danni eventualmente già subiti dal denunciante. Questo può essere ottenuto soltanto rivolgendosi al giudice ordinario.63 63 “Pubblicità ingannevole e comparativa”, pubblicazione a cura del sito web dell’AGCM, http://www.agcm.it 76 CAPITOLO III I.A.P. E A.G.C.M. A CONFRONTO: STUDIO DI ALCUNE DECISIONI DEL PERIODO 2006-2008 I NUMERI DELL'AUTODISCIPLINA PRONUNCE DEL ATTIVITÀ DEL COMITATO DI CONTROLLO GIURÌ Totale Casi Anni Su Pareri risolti Ingiunzioni Istanze preventivi in via di desistenza al Giurì Casi Totale casi pronunce definiti istanza esaminati di parte (a) breve (a+b) dal C.d.C. (b) (*) 2007 56 558 100 35 749 44 79 793 2006 49 505 140 30 724 52 82 776 (*) Casi definiti grazie alla collaborazione dell'inserzionista nell'emendare, su intervento del Comitato, il messaggio pubblicitario (registrati dal 1975); nonché casi esaminati e archiviati per non contrasto con le norme del Codice (registrati dal 1995). (L’attività in numeri dell’IAP degli ultimi due anni. Fonte: www.iap.it) 77 2007- gennaio - dicembre Ingannevole Non Inottemperanza violazione Non Totale Sanzioni applicabilità Macrosettore (euro) del decreto Energia 2 3 0 0 5 20.700 Comunicazioni 35 5 4 0 44 1.518.500 Credito e assicurazioni 35 4 0 0 39 646.700 trasporti 49 2 2 0 53 1.099.100 Industria e servizi 82 10 8 1 101 1.444.900 Varie 11 2 1 1 15 292.900 214 26 15 2 257 5.022.800 Alimentare, farmaceutico e Totale complessivo maggio 2005 - dicembre 2007 Ingannevole Non Inottemperanza violazione Totale Sanzioni applicabilità Macrosettore Energia Non (euro) del decreto 4 3 0 0 7 29.800 Comunicazioni 93 11 12 0 116 3.604.500 Credito e assicurazioni 52 7 2 0 61 1.017.800 97 9 4 0 110 2.377.000 156 23 19 4 202 2.602.900 30 2 2 1 35 934.300 432 55 39 5 531 10.566.300 Alimentare, farmaceutico e trasporti Industria e servizi Varie Totale complessivo (Sintesi delle attività dell’AGCM nel triennio 2005-2007; fonte: www.agcm.it) 78 1. Il settore delle telecomunicazioni: l’obbligo di chiarezza, correttezza e non ambiguità delle informazioni sull’offerta 1.1.Gli interventi del Giurì 1.1.1. Comitato di Controllo vs Wind Telecomunicazioni per Infostrada “Absolute Adsl” (2007) Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Wind Telecomunicazioni spa in relazione ai diversi soggetti dei telecomunicati "Infostrada Absolute Adsl", relativi all'abbonamento al servizio di telefonia e accesso a Internet, trasmessi sulle reti Mediaset nel mese di ottobre 2007, ritenendoli in contrasto con gli artt. 2 e 20 del C.A.P. Ad avviso dell'organo di controllo i messaggi, nel pubblicizzare un'offerta promozionale a prezzo ridotto di un abbonamento che consente di pagare "meno di 10 euro al mese" (9,95 euro) per telefonate a zero e Adsl senza limiti, ometterebbero di segnalare con uguale risalto la valenza del prezzo ridotto solo fino al marzo del 2008, invece del prezzo pieno dal 1º aprile 2008 fino alla scadenza del contratto; inoltre risulterebbe ingannevole il claim "telefonate a zero", posto che i messaggi non conferirebbero sufficiente risalto alla circostanza che ogni chiamata nazionale ai numeri di rete fissa prevede sempre uno scatto alla risposta di 12 centesimi; oltre al costo dello scatto alla risposta, essendo altresì previsti costi ulteriori per le chiamate ai numeri di rete mobile, risulterebbe decettiva la promessa di un costo complessivo dell'abbonamento (seppure in 79 promozione) di 9,95 euro mensili; infine, il messaggio violerebbe l'art. 20 perché, nel prospettare una favorevole occasione d'acquisto, ometterebbe di indicare la data entro cui si possa aderire ad essa. La resistente ha eccepito che: 1) gli spot, attraverso il parlato e le scritte in sovrimpressione, riporterebbero tutte le informazioni necessarie per consentire al consumatore di comprendere e valutare l'offerta proposta; 2) la scritta fissa e visibile in sovrimpressione "12 centesimi alla risposta" informerebbe in modo adeguato l'utente sulla presenza dello scatto alla risposta; 3) il super "Fino a Primavera" in sovrimpressione con un carattere di grandi dimensioni informa sulla scadenza della promozione; 4) ulteriori indicazioni sarebbero fornite da un altro super che scorre in sovrimpressione. Il Giurì non ritiene di poter dichiarare l'asserita violazione dell'art. 2 CAP, rilevando che l'indicazione essenziale del costo fisso di 12 centesimi alla risposta appare con chiarezza nella dicitura visualizzata sullo schermo e che la mancata informativa su altri costi (per chiamate ai cellulari nazionali e all'estero) non vale a qualificare il messaggio come decettivo tenuto conto che, in tema di telefonia, è dato di conoscenza ed esperienza l'esistenza di un tariffario variabile. La funzione promozionale della pubblicità esclude di per sé e ragionevolmente che il messaggio debba risolversi in un modulo contrattuale con l'indicazione di ogni clausola dell'accordo. Il Giurì ritiene invece sussistente nel caso di specie la contestata violazione dell'art. 20 CAP perché dal messaggio non emerge un'indicazione chiaramente percepibile della data di 80 scadenza dell'offerta, cioè di una informazione sicuramente essenziale per consentire all'utente la valutazione di convenienza della promozione reclamizzata. Né varrebbe fare riferimento all'informativa al riguardo veicolata nel super in movimento, informativa che a causa della velocità di scorrimento del super non consente all'utente l'effettiva percezione delle notizie veicolate. Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto che la pubblicità contestata non è conforme all'art. 20 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria nella parte in cui non evidenzia adeguatamente la data di scadenza dell'offerta. 1.1.2. Telecom vs Fastweb per "Telefono, Internet o Tv a 9.90 euro al mese sino al 2009" (2008, non violazione) Telecom Italia spa (di seguito Telecom) ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Fastweb spa (di seguito Fastweb) in relazione allo spot diffuso sulle principali emittenti televisive nazionali volto a promuovere il servizio "Telefono, Internet o Tv a 9.90 euro al mese sino al 2009", ritenendolo in contrasto con gli artt. 2, 15 e 20 CA. Il telecomunicato, contraddistinto dalla partecipazione del noto campione di motociclismo Valentino Rossi, vanta il primato del servizio offerto da Fastweb: "Prendi Fastweb che è meglio!", con la possibilità di avvalersi autonomamente e/o cumulativamente delle tre diverse opzioni telefono, Internet o tv, rispettivamente denominate "Parla, Naviga e Guarda", ognuna al medesimo prezzo di 9,90 euro al mese sino al 2009. 81 In particolare, ad avviso dell'istante lo spot contrasterebbe con gli artt. 2 e 15 CA perché sarebbe illecita la rivendicazione di una pretesa superiorità del servizio Fastweb pubblicizzato sotto il profilo della convenienza economica e quindi ingannevole l'implicita comparazione con il servizio offerto da altre imprese. La disamina delle reali condizioni del servizio mostrerebbe l'impossibilità per il consumatore di limitarsi a pagare la somma di € 9,90 indicata dallo spot, perché a questa andrebbe aggiunta sia la tariffazione a consumo riferita a tutte e tre le opzioni, sia il costo di attivazione dell'offerta (che può arrivare fino a 100 euro). Lo spot contrasterebbe anche con l'art. 20 CA perché il riferimento alla possibilità di usufruire del servizio "fino al 2009" non consentirebbe di comprendere l'effettiva durata della promozione: secondo quanto riportato nel sito Internet, infatti, "gli sconti previsti dalla promozione sono validi fino al 4 gennaio 2009 per chi sceglie di mantenere il proprio numero telefonico Telecom Italia e fino al 31 maggio 2008 per chi chiede un nuovo numero telefonico". Inoltre, le informazioni riportate nei super in calce allo schermo sarebbero incomplete e troppo piccole da decifrare e il messaggio non riporterebbe nemmeno la notizia che alla scadenza della promozione il prezzo del servizio risulterà aumentato, essendo il forfait elevato a 20/25 euro (secondo l'opzione prescelta). La resistente ha eccepito che: 1) la versione attuale dello spot è priva dell'affermazione "Prendi Fastweb che è meglio!" e i super sono redatti in caratteri di dimensioni maggiori; 2) il rinvio, evidenziato in caratteri grandi, a 82 fonti di informazione esterna (quali il sito Internet e il numero verde) sarebbe, oltre che corretto, inevitabile a causa dell'estrema brevità della comunicazione veicolata dal messaggio pubblicitario; 3) l'esclamazione "Prendi Fastweb che è meglio!" non mirerebbe a sostenere la superiorità economica dell'offerta Fastweb rispetto ad altre, ma ad affermare che la soluzione Fastweb è "risolutiva delle incertezze del consumatore"; 4) non sarebbe ravvisabile alcuna difformità tra l'offerta esposta in pubblicità e il suo reale e completo contenuto, così come interamente riportato nel sito Internet con riguardo a ciascuna delle tre versioni "Parla, Naviga e Guarda"; 5) in ordine alla scadenza dell'offerta, l'espressione "sino al 2009" nel senso comune vorrebbe dire "fino all'inizio del 2009", fermo restando che la scadenza esatta, ossia il 31 gennaio 2009, viene fornita dal super contestualmente all'annuncio vocale. Il Giurì ritiene di non poter condividere la censura che Telecom pone alla base della ipotizzata violazione degli artt. 2 e 20 CA per cui la formula "9,90 euro al mese" alluderebbe al "tutto incluso", rilevando che la dicitura "tutto incluso" non compare mai nel messaggio in esame e che questo contiene ripetuti e ben evidenziati inviti al consumatore ad attivarsi, via Internet o numero verde, per conoscere appieno e in ogni particolare tutte le condizioni della promozione in relazione a ciascuna delle offerte reclamizzate. Il Giurì sottolinea la piena legittimità del rinvio così operato a fonti di informazioni esterne, il cui accesso non può ritenersi di certo estraneo all'esperienza del consumatore interessato al tipo di messaggio reclamizzato. Le informazioni 83 acquisite in tal modo dal consumatore non contraddicono, per alcun verso, il telecomunicato diffuso dalle emittenti televisive, ponendosi come fonti integrative di conoscenza dell'intero contenuto delle condizioni (promozionali) di sicuro non riassumibili in uno spot di pochi secondi. Quanto alla pure ipotizzata violazione dell'art. 15 CA riferita alla prima versione dello spot Fastweb, il Giurì ritiene che l'attenzione al surreale scambio di battute tra i testimonial, rende credibile l'affermata intenzione di Fastweb di escludere qualsiasi finalità comparativa dell'affermazione "Prendi Fastweb che è meglio!". A conferma della veridicità di questa intenzione, secondo il Giurì, è da apprezzare l'eliminazione della frase anzidetta nella seconda e attuale versione dello spot, al fine proprio di rimuovere ogni, sia pur vago, sospetto e motivo di fraintendimento (nel senso ipotizzato da Telecom) del messaggio diffuso. Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto che la pubblicità contestata non è in contrasto con gli articoli 2, 15 e 20 del Codice. 1.2. Interventi dell’A.G.C.M. 1.2.1. Numero verde Gruppo Banca CR Firenze (2006) Con richiesta di intervento pervenuta in data 6 aprile 2006, un’associazione di consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, del messaggio pubblicitario diffuso, in data 12 marzo 2006, sul quotidiano “La Nazione”, dal gruppo Banca 84 CR Firenze, relativo all’offerta di apertura di un conto corrente gratuito, riservata ai nuovi correntisti delle banche del gruppo. Nella richiesta di intervento si segnala come il messaggio, al fine di ottenere maggiori informazioni circa l’apertura del conto corrente, inviti a chiamare un “numero verde” il quale, in realtà, non sarebbe gratuito, ma prevedrebbe un onere a carico degli utenti, essendo ad addebito ripartito ed iniziando con le cifre “840”. In data 5 maggio 2006 è stato comunicato al segnalante e alla Banca CR Firenze S.p.A., in qualità di operatore pubblicitario, l’avvio del procedimento ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, precisando che l’eventuale ingannevolezza del messaggio pubblicitario oggetto della richiesta di intervento sarebbe stata valutata ai sensi degli artt. 19, 20, 21 del citato Decreto Legislativo, con riguardo alle condizioni di fruizione del servizio pubblicizzato con la dicitura “numero verde” e avente come prefisso “840”. Con memoria pervenuta in data 26 maggio 2006, la Banca CR Firenze S.p.A., nel trasmettere il resoconto della programmazione pubblicitaria del messaggio contestato, ha riconosciuto che la qualificazione del numero in questione come numero verde è stata frutto di un mero errore materiale non voluto e causato da una svista ingenua. Nel dichiarare di aver confuso le cifre iniziali dei numeri verdi gratuiti (800) con quelle dei numeri ad addebito ripartito (840), l’operatore pubblicitario ha affermato di non aver avuto alcuna 85 intenzione di indurre in errore i potenziali clienti, precisando che il messaggio era finalizzato a pubblicizzare la gratuità dell’apertura di un conto corrente e quindi un servizio diverso da quello offerto attraverso l’invito a chiamare il numero telefonico reclamizzato, che assume, pertanto, una valenza strumentale ed accessoria rispetto al contenuto globale del messaggio. L’operatore ha sottolineato, inoltre, che le diffusioni del messaggio avvenute attraverso il canale radio non prevedevano alcun riferimento a numeri telefonici. Infine, non appena evidenziatosi l’errore, la Banca CR Firenze S.p.A. ha provveduto prontamente a correggere il contenuto del messaggio pubblicitario ed ha totalmente eliminato ogni riferimento a qualsivoglia numero telefonico, sostituendolo con l’indicazione di rivolgersi alla filiale di competenza e producendo, a riprova di quanto affermato, copia dei nuovi dépliant e delle nuove locandine inerenti alla pubblicità in questione. Con parere pervenuto in data 27 luglio 2006, l’Autorità ha ritenuto che il messaggio in esame costituisce una fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi degli artt. 19, 20 e 21 del Decreto Legislativo n. 206/05, sulla base delle seguenti considerazioni: - nella delibera dell’AGCOM n. 417/01 del 7 novembre 2001, riguardante: “Linee guida in merito alle comunicazioni al pubblico delle condizioni di offerta dei servizi di telecomunicazioni offerti al pubblico ed alla introduzione dell’Euro” viene precisato che le informazioni sui costi e sulle tariffe dei servizi di telecomunicazione costituiscono informazioni essenziali sull’offerta pubblicizzata in quanto direttamente 86 determinanti alla fruizione del servizio stesso, e che pertanto esse devono essere fornite in maniera evidente e chiaramente percepibile; - l’assenza di intenzionalità dell’evento da parte dell’operatore pubblicitario e la condotta diligente per rimuovere gli effetti dell’affermazione non veridica, non sono elementi idonei a escludere l’ingannevolezza del messaggio, posto che questo deve essere valutato nella sua potenzialità decettiva, con esclusivo riferimento al suo contenuto e alla sua portata, riferita alle circostanze spaziotemporali della sua diffusione; - il messaggio in questione – finalizzato alla promozione dell’offerta di servizi – contiene la falsa affermazione relativa alla gratuità dell’accesso al servizio di informazione sui servizi stessi, in particolare in relazione alle tariffe telefoniche, per le quali l’indicazione “numero verde” equivale a “gratuito”, inducendo nel destinatario del messaggio il convincimento che l’adesione al servizio pubblicizzato sia esente da costi; - il messaggio in esame, inoltre, è in grado di orientare indebitamente le scelte dei consumatori, in considerazione del fatto che la conoscenza delle condizioni per accedere al servizio di informazione è elemento determinante nella scelta economica dei destinatari del messaggio di avvalersi di tale mezzo in luogo di un altro per prendere contatto con la committente del messaggio e aderire all’iniziativa pubblicizzata; - pertanto, il messaggio relativo all’offerta di apertura di un conto corrente gratuito, riservata ai nuovi correntisti delle banche del gruppo, diffuso dal gruppo Banca CR Firenze sul quotidiano “La Nazione” in data 12 marzo 2006, nella parte riguardante l’erronea 87 qualificazione come numero verde del recapito telefonico 840 00 88 66, risulta idoneo ad indurre in errore le persone alle quali è rivolto o da esso raggiunte, in considerazione della falsa indicazione della gratuità delle chiamate, verso l’utenza telefonica 840 00 88 66. 1.2.2. Noi Wind Roaming (2007) Con richiesta di intervento pervenuta in data 26 luglio 2007, una società concorrente ha segnalato la presunta ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, diffuso attraverso l’emittente televisiva nazionale Canale 5 il giorno 24 luglio 2007, alle ore 22:15 circa, dalla società WindTelecomunicazioni S.p.A., diretto a promuovere l’offerta denominata “Noi Wind Roaming”. Nella richiesta di intervento si lamenta l’inidoneità del messaggio a veicolare correttamente, sotto il profilo della chiarezza e completezza informativa, le effettive condizioni economiche e le limitazioni dell’offerta proposta. In particolare, la società segnalante lamenta: l’erronea/ingannevole indicazione di gratuità che caratterizza il claim principale del messaggio in esame, posto che l’offerta reclamizzata prevede un costo di attivazione di sette euro annui e la previa attivazione dell’opzione “Noi Wind”, al costo di sei euro mensili, rinnovata automaticamente ogni trenta giorni; l’omessa o, comunque, non sufficientemente percepibile indicazione dei limiti di fruibilità dell’offerta, posto che la stessa può essere utilizzata sino al raggiungimento di una soglia massima di traffico in uscita, pari a quaranta minuti mensili, unicamente all’interno di sedici Paesi europei (e non, come 88 affermato nello spot televisivo in contestazione “In Europa”) e previa anteposizione del codice “124” e, inoltre, non è indicata la tariffazione applicata al superamento del monte minuti massimo di validità dell’offerta. Con la stessa richiesta di intervento, l’associazione segnalante ha richiesto, altresì, la sospensione provvisoria dei messaggi in questione, ai sensi dell’articolo 11, comma 2, del D.P.R. n. 284/03. Il messaggio pubblicitario oggetto di segnalazione consiste in un breve spot televisivo interpretato da tre noti attori. Nel corso dello sketch si inserisce una voce fuori campo che afferma: “Da oggi con Noi Wind parli gratis con tutti i telefonini Wind anche in Europa”. In contemporanea alla voce fuori campo, appaiono in sovrimpressione le scritte fisse molto grandi in cui si legge: “Noi Wind Roaming parli gratis con i telefonini Wind in Europa”. Contemporaneamente, si nota la presenza di un super che scorre molto velocemente al di sotto delle due scritte fisse e con caratteri grafici molto ridotti in cui, mediante l’utilizzo del fermo immagine, si legge: “Noi Wind Roaming: fino a 40 minuti/mese utilizzando il bonus di Noi Wind. Attivazione 7 Euro/anno. Info offerta e Paesi 155.it”. Con nota pervenuta in data 2 agosto 2007, la società Wind Telecomunicazioni S.p.A. si è opposta all’istanza di sospensione provvisoria avanzata dalla segnalante, rilevando l’insussistenza, allo stato, del richiesto requisito del periculum: la programmazione dello spot oggetto di analisi, infatti, era stata 89 prevista per pochi giorni e non era in programma una sua ulteriore diffusione. Nella medesima nota, inoltre, l’operatore ha sostenuto che il mezzo di diffusione utilizzato per sua natura comportasse limiti strutturali alla comunicazione dei dettagli dell’offerta e che un conforme orientamento di questa Autorità già aveva considerato circostanze di diffusione analoghe necessariamente implicanti una minima soglia di omissioni. L’Autorità ha osservato che, sotto il profilo delle modalità grafiche adottate per la comunicazione pubblicitaria in esame, le informazioni attraverso cui l’operatore pubblicitario ha inteso caratterizzare la sua offerta sono state veicolate combinando voce, immagini e un testo scorrevole che, per il tempo di permanenza in video assai breve e per la misura ridotta del corpo grafico, non è di immediata e agevole lettura. E ciò anche in considerazione della circostanza che lo sketch che caratterizza lo spot in esame è congegnato in modo da assorbire l’attenzione del telespettatore che viene, così, focalizzata sulla parte del messaggio che presenta la particolare convenienza dell’offerta in questione(“Parli gratis”). A causa della velocità di scorrimento del super sopra descritto e della dimensione dei caratteri utilizzati, visibilmente sottodimensionati rispetto a quelli della scritta fissa, il destinatario del messaggio non percepisce in modo sufficientemente chiaro e completo le informazioni fondamentali in esso contenute, ovvero che l’offerta pubblicizzata comporta, comunque, esborsi pecuniari (un costo di attivazione di sette euro annui; la previa attivazione dell’opzione “Noi Wind” al costo di 90 sei euro mensili, rinnovata automaticamente ogni trenta giorni) e che la sua fruibilità è subordinata alla condizione che non si superi una soglia massima di traffico in uscita (quaranta minuti mensili). Né il messaggio veicola in alcun modo le ulteriori informazioni caratterizzanti l’offerta pubblicizzata, ovvero che essa può essere utilizzata unicamente all’interno di sedici Paesi europei (e non, come affermato nel messaggio, “In Europa”) e previa anteposizione del codice “124”; né risulta indicata la tariffazione applicata al momento del superamento del monte minuti massimo di validità dell’offerta stessa. Come rilevato anche nel parere reso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, deve, pertanto ritenersi che, ai fini della esatta percezione del contenuto qualificante l’offerta reclamizzata sotto il profilo sia delle condizioni economiche che delle sue limitazioni di fruizione, il messaggio appare del tutto inidoneo a soddisfare quell’ onere minimo di completezza e chiarezza informativa che deve caratterizzare ogni comunicazione pubblicitaria e che si presenta particolarmente stringente riguardo alle iniziative pubblicitarie relative a servizi di comunicazione, in considerazione del continuo proliferare di offerte, del continuo progresso tecnico e tecnologico del settore nonché della forte asimmetria informativa a vantaggio degli operatori e, quindi, del conseguente disorientamento commerciale che tutto questo ingenera nel consumatore. Neppure può valere a sanare i riscontrati aspetti di decettività il rinvio al sito Internet dell’operatore per reperire informazioni circa l’offerta pubblicizzata. Tutte le informazioni che 91 attenuano in maniera considerevole la portata della promozione pubblicizzata devono essere fornite contestualmente, potendo servire il rimando ad altra fonte informativa al più a integrare i contenuti dell’offerta proposta ma non a circoscriverne significatamene la portata. 1.2.3. Alice 20 mega con modem in noleggio (2007, non violazione) Con richiesta di intervento pervenuta in data 20 aprile 2007, Altroconsumo in qualità di associazione di consumatori - ha segnalato la presunta ingannevolezza, per conto di un singolo consumatore, di un messaggio pubblicitario volto a promuovere il collegamento ad internet denominato “Alice 20 Mega”. In particolare, il messaggio segnalato è rappresentato da alcune pagine web del sito internet www.alice.adsl.it. Nella richiesta di intervento si lamenta l’indisponibilità di alcuni elementi dell’offerta. In particolare, il messaggio lascerebbe intendere contrariamente al vero che, per coloro che non sono clienti “Alice”, aderendo alla promozione, sia possibile usufruire di un numero telefonico aggiuntivo con il relativo servizio di telefonia e di fax, laddove invece il servizio offerto consente unicamente di navigare su internet. Il messaggio in esame presenta un’offerta tariffaria per la navigazione in internet attraverso rete fissa “Alice 20 mega”, cui può essere aggiunto un servizio telefonico denominato “Alice Voce”( “Se sei un nuovo cliente e scegli la versione con 92 modem hai, incluso nel costo di abbonamento mensile, anche il servizio Alice voce”). Nella richiesta d’intervento si lamenta l’ingannevolezza del messaggio nella misura in cui non sarebbe stato attivato il servizio con le caratteristiche prospettate nel messaggio e, in particolare, non sarebbe stato possibile usufruire del servizio “Alice Voce”. Al riguardo, gli elementi prodotti in atti dalla Telecom indicano la sussistenza di un numero cospicuo di attivazioni del servizio “Alice 20mega” con associato il servizio voce. Inoltre, dagli stessi atti, emerge che la vicenda che ha dato luogo alla denuncia è stata generata da un errore nell’attivazione da parte degli operatori del servizio clienti “187” di Telecom che, nel caso di specie, hanno omesso di attivare il previsto servizio “Alice Voce”, una volta installata la necessaria linea aggiuntiva. Pertanto, in assenza, oltre che di omissioni informative rilevanti rispetto a caratteristiche e condizioni dell’offerta, di una generalizzata indisponibilità del servizio nei termini e nelle condizioni prospettate nel messaggio, vi è motivo di ritenere che l’episodio che ha dato luogo alla denuncia sia riconducibile ad un singolo disguido tecnico. Esso, richiamando l’orientamento dell’Autorità rispetto all’irrilevanza di un singolo episodio, ad inficiare di ingannevolezza una comunicazione pubblicitaria, è di per sé inidoneo a configurare un’ipotesi di ingannevolezza del contenuto complessivo del messaggio, con riferimento alla possibilità di usufruire del servizio “Alice Voce” nell’ambito dell’offerta “Alice 20Mega”, in difformità dal parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Ritenuto, pertanto, che, in difformità dal parere dell’Autorità 93 per le Garanzie nelle Comunicazioni, il messaggio segnalato non è idoneo ad indurre in errore i destinatari rispetto alle effettive caratteristiche del servizio offerto; ha deliberato che il messaggio pubblicitario descritto, non costituisce, per le ragioni esposte in motivazione, una fattispecie di pubblicità ingannevole i sensi degli artt. 19, 20 e 21 del Decreto Legislativo n. 206/05, nella versione vigente prima dell’entrata in vigore dei Decreti Legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e n. 146. 2. Il settore agroalimentare: l’obbligo di correttezza delle informazioni su caratteristiche, composizione e provenienza degli alimenti 2.1. Interventi del Giurì 2.1.1. Unilever Italia vs Kraft Foods Italia per maionese “senza colesterolo” (2008) Unilever Italia srl ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Kraft Foods Italia spa in relazione a un messaggio pubblicitario volto a promuovere una nuova salsa tipo maionese "Senza Colesterolo", pubblicato sul "Corriere della Sera" del 2 dicembre 2007 ritenendolo in contrasto con l'art. 2 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. Ad avviso dell'istante, le affermazioni "Nuova da Kraft. Tutto il piacere della maionese senza il colesterolo", "Dall'esperienza Kraft nasce Senza Colesterolo, la nuova 94 maionese leggera senza tuorlo, ideale per chi sceglie un'alimentazione attenta ma ricca di gusto. Versatile e adatta per tante ricette, Kraft ti offre tutto il piacere della maionese, senza colesterolo", nonché l'immagine del vasetto che contiene il prodotto, molto simile al vasetto usato per la vera maionese, sarebbero ingannevoli perché presenterebbero al pubblico come maionese un prodotto che non lo è, essendo del tutto privo del tuorlo d'uovo, riconosciuto come uno degli ingredienti essenziali della salsa maionese. Pertanto, il consumatore percepirebbe la maionese come prodotto realizzato con il tuorlo d'uovo e quindi la presentazione del prodotto "Senza Colesterolo" nella pubblicità di Kraft come maionese o assimilato alla maionese costituirebbe un inganno per il pubblico. Kraft ha eccepito che: 1) il prodotto "Senza Colesterolo" ha un gusto estremamente simile a quello delle maionesi industriali in commercio e verrebbe considerato dai consumatori fungibile rispetto a queste, potendo quindi essere legittimamente definito una "salsa maionese leggera senza tuorlo"; 2) la pubblicità fornirebbe al consumatore un'esatta rappresentazione delle caratteristiche del prodotto, soprattutto nella versione che Kraft ha modificato dopo lo scambio di corrispondenza con Unilever, il cui slogan non presenta più il prodotto come "nuova maionese leggera senza tuorlo", ma come "nuova salsa tipo maionese leggera e senza tuorlo". Il Giurì, ritiene che la pubblicità Kraft denunciata da Unilever sia ingannevole. La prima versione di essa presenta una salsa fredda di nuova produzione, del 95 tutto priva di tuorlo d'uovo e la chiama maionese. Pur non esistendo una definizione normativa o regolamentare, nella lingua italiana la parola "maionese" è utilizzata per denominare una salsa fredda, realizzata con il tuorlo d'uovo, come risulta peraltro inequivocabilmente dai dizionari e dai ricettari di varia epoca e come attestato anche dal Code of Practice approvato dalla Federation of the Condiment Sauce Industries of Mustard and Fruit and Vegetables prepared in Oil and Vinegar of the European Union (cd. FIC Europe), cui aderiscono le maggiori associazioni di categoria nel campo alimentare a livello europeo, compresa l'Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari. Ritiene, quindi, il Giurì che il tuorlo d'uovo rappresenti un elemento essenziale anche della maionese industriale e che il consumatore medio identifichi la maionese come una salsa nella cui composizione il tuorlo d'uovo è essenziale. Pertanto, una pubblicità che espressamente chiami maionese un prodotto privo di tale elemento è da ritenere ingannevole in quanto contraria all'art. 2 CA. Il Giurì ritiene che anche la seconda versione della pubblicità Kraft incorra nella stessa censura perché, pur non dicendo espressamente che il prodotto è una maionese, contiene due affermazioni che indirettamente veicolano messaggi antitetici (quanto alla natura del prodotto), e di essi quello che induce ad accostare il prodotto alla maionese ha sicura prevalenza grafica. La prima frase, in caratteri particolarmente grandi "il piacere della maionese, senza colesterolo" è in grado di indurre il consumatore a ravvisare nel 96 prodotto una vera maionese. La seconda frase, "Dall'esperienza Kraft nasce Senza Colesterolo, la nuova maionese leggera senza tuorlo, ideale per chi sceglie un'alimentazione attenta ma ricca di gusto. Versatile e adatta per tante ricette, Kraft ti offre tutto il piacere della maionese, senza colesterolo", chiarisce che il prodotto non è una maionese, ma un prodotto nuovo, che può essere accostato alla maionese ("tipo maionese"), senza esserlo, proprio in quanto privo di tuorlo d'uovo. Tuttavia questa seconda frase è scritta in caratteri notevolmente più piccoli rispetto alla precedente e la sua modesta evidenza grafica la rende incapace di contrastare l'effetto opposto della prima frase. In definitiva, anche nella seconda versione della pubblicità Kraft il consumatore medio è indotto a individuare nel prodotto presentato una maionese, laddove però il prodotto non è una maionese. Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto la prima pubblicità di Kraft esaminata in contrasto con l'art. 2 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e ne ha ordinato la cessazione; la seconda pubblicità di Kraft esaminata è parimenti in contrasto con l'art. 2 CA nella misura in cui la frase "salsa tipo maionese" non riceve idonea evidenza grafica rispetto al contesto, ed in questi limiti ne ha ordinato la cessazione. 2.1.2. Latte crescita Mellin (2006, non violazione) Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Mellin spa in relazione al telecomunicato diffuso sulle reti Mediaset nel mese 97 di settembre 2006 e relativo al prodotto "Latte Crescita Mellin", ritenendolo in contrasto con gli artt. 2 - Pubblicità ingannevole, e 8 - Superstizione, credulità, paura - del CAP. Lo spot riprende una mamma che allatta e un ombrello che reca la scritta "sistema immunitario". Sotto l'ombrello viene poi inquadrato un bambino che beve dal biberon, mentre lo speaker sottolinea la continuità dell'allattamento cosiddetto misto, cioè seno più biberon. L'ombrello si chiude per un attimo in corrispondenza dell'indicazione del primo anno di età, raffigurando il momento in cui il latte materno o quello formulato vengono sostituiti dal latte vaccino. Il messaggio continua con la ripresa della confezione del prodotto, mentre lo speaker ne illustra i vantaggi. Il parlato recita via via: "Dal primo giorno lo hai protetto costruendo il suo sistema immunitario. Poi hai continuato tu o con il biberon. Ora che ha 1 anno perché smettere? Continua a proteggerlo con il latte Crescita Mellin. Il primo latte che da 1 a 3 anni aiuta a rinforzare il suo sistema immunitario, giorno dopo giorno. E tu lo vedi crescere sano e protetto. Latte Crescita Mellin continua a proteggerlo. Adesso puoi". Ad avviso dell'organo di controllo, il messaggio appare ingannevole ai sensi dell'art. 2 CAP, in quanto la documentazione prodotta dall'inserzionista non prova la sua veridicità in relazione ai vantati effetti utili sul sistema immunitario. Inoltre essa, in uno studio, fa riferimento a risultati ottenuti sui bambini dai 30 ai 120 giorni di vita, mentre lo spot reclamizza l'efficacia del prodotto sui bambini da 1 a 3 anni. Le promesse dello spot appaiono, inoltre, eccessivamente perentorie, giungendo persino a 98 istituire un suggestivo ma inammissibile confronto tra la protezione fornita dal latte materno e quella offerta dal prodotto Mellin. Il tono particolarmente enfatico appare idoneo a suscitare ingiustificati allarmi o ansie delle madri per la salute dei propri figli, in violazione dell'art. 8 CAP. La Mellin spa ha eccepito quanto segue: 1) la documentazione fornita prova la veridicità del messaggio in questione; 2) lo studio contestato testimonia che il test condotto sui bambini da 30 a 120 giorni di vita è durato per dodici mesi, quindi si è esteso anche all'età per cui il prodotto è reclamizzato; 3) il messaggio non stabilisce un'equivalenza tra latte materno e latte di crescita Mellin, soprattutto perché le mamme che hanno potuto allattare al seno, che costituiscono il target di riferimento, conoscono la differenza tra i due sistemi di nutrizione; 4) lo spot non può essere letto come enfatico o ricattatorio. Il Giurì ritiene che Mellin abbia prodotto una documentazione idonea a provare la veridicità dei claim presenti nello spot in oggetto. Un abstract pubblicato su una rivista scientifica e un poster presentato a un convegno internazionale dimostrano che i test sono stati effettuati e di essi si indicano chiaramente i risultati utili sul sistema immunitario e sulle vie respiratorie in particolare. La documentazione e i pareri scientifici provano, altresì, che gli effetti utili del latte pubblicizzato si verificano per tutto il periodo indicato, da 1 a 3 anni. Il Giurì, inoltre, non condivide le contestazioni sollevate in merito all'art. 8, in quanto il target di riferimento del telecomunicato è costituito in prevalenza da mamme esperte, nonché spesso supportate dal pediatra, e 99 dunque è ragionevole ritenere che siano sufficientemente avvedute e non suscettibili, pertanto, di ricavare dallo spot ansia o paura per i propri figli. Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità in esame non è in contrasto con gli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. 2.1.3. “Ovito” Gruppo Novelli (2008) Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Gruppo Novelli srl in relazione al messaggio pubblicitario "Natura per crescere", relativo al prodotto "Ovito", rilevato sul n. 44 del settimanale "Oggi", datato 31 ottobre 2007, ritenendolo in contrasto con l'art. 2 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, chiedendo la pubblicazione ex art. 40 dell'emananda decisione. Il messaggio consiste nell'immagine di un uovo avvolto in una foglia di mais a forma di fagotto, come se fosse trasportato da una cicogna, mentre il claim principale recita "Natura per crescere. L'unico uovo approvato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri". Nella body copy si specifica inoltre che le uova "Ovito" danno a tutti "una nuova garanzia", in quanto approvate appunto dalla FIMP che "riconosce le alte proprietà qualitative del primo uovo in Europa con certificazione di prodotto". Ad avviso del Comitato, l'impianto comunicazionale del messaggio appare suscettibile di veicolare un contenuto ambiguo e fuorviante, in quanto al fine di accreditare l'uovo pubblicizzato di maggiore sicurezza esalta l'unicità dell'approvazione 100 proveniente da una associazione sindacale, trasferendo tale unicità all'esaltazione dell'eccellenza delle qualità del prodotto, lasciando intendere che esso sia particolarmente adatto per l'alimentazione dei bambini. La "certificazione di prodotto" di cui parla il messaggio non sarebbe stata rilasciata dalla stessa FIMP, ma da un organismo terzo ("Bureau Veritas"), che il messaggio identifica solo attraverso una sigla e un codice alfanumerico, non specificando null'altro. La resistente ha eccepito che: 1) le uova "Ovito" vengono prodotte nell'ambito di una filiera integrata, con mangimi di produzione propria, senza grassi animali e coloranti sintetici; 2) l'ente di certificazione terzo "Bureau Veritas", dopo aver svolto adeguati controlli, ha rilasciato il certificato di conformità e un disciplinare tecnico di conformità che la società si è impegnata a rispettare: il Gruppo Novelli sarebbe stata la prima azienda società in Europa a ottenere tale certificazione; 3) l'associazione FIMP su queste basi avrebbe approvato le uova "Ovito" quali prodotti particolarmente adatti per l'alimentazione dei bambini, autorizzando la società a utilizzare il proprio logo; 4) il messaggio si limita a comunicare al pubblico l'approvazione FIMP ottenuta, che peraltro non sarebbe in possesso di altri operatori, senza toni eccessivi e riportando contenuti che corrisponderebbero al vero; 5) l'approvazione vantata sarebbe sostenuta da adeguata documentazione tecnico-scientifica e il messaggio pubblicitario chiarirebbe il suo contenuto. 101 Il Giurì ritiene che il fulcro del messaggio esaminato sia costituito dalla frase "L'unico uovo approvato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri", in evidenza sotto l'immagine che inequivocabilmente indirizza l'attenzione verso l'alimentazione della prima infanzia. A prescindere dal fatto che agli atti non si riscontra alcun documento di provenienza diretta della FIMP, e pur volendo sorvolare sull'assenza di elementi in ordine alle finalità di questa associazione e al potere della Gestifimp, che ha sottoscritto il contratto con la resistente, di concedere l'utilizzo della dicitura contestata, il Giurì ritiene che tale contratto, laddove conferisce una esclusiva per periodi determinati e a titolo oneroso, non si configura come una certificazione di qualità, ma come una vera e propria sponsorizzazione. Da ciò l'ingannevolezza del messaggio, che al contrario utilizza il riferimento alla FIMP come un'attestazione di qualità superiori, anzi uniche rispetto a qualunque altro prodotto sul mercato, come se "Ovito" fosse l'unico prodotto italiano ad avere le qualità indicate nella body copy del messaggio. Pertanto, limitatamente alla frase che rivendica i caratteri di unicità dell'approvazione FIMP, il messaggio in questione va dichiarato in contrasto con l'art. 2 CAP. Non sussistono i requisiti per ordinare la pubblicazione della decisione ex art. 40 CAP. Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità denunciata è in contrasto con l'art. 2 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria limitatamente alla rivendicazione dell'unicità dell'approvazione della FIMP, e ne ordina in questi limiti la cessazione. 102 2.2. Interventi dell’A.G.C.M. 2.2.1. Patasnella 70% di grassi in meno (2006) Con richiesta di intervento pervenuta in data 12 maggio 2006, integrata mediante acquisizione di copia del messaggio televisivo e identificazione del committente in data 6 e 12 giugno 2006, un’associazione di consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, di alcuni messaggi pubblicitari, diffusi dalla società Pizzoli S.p.A., relativi al prodotto alimentare Patasnella, patatine surgelate. Detti messaggi sono stati diffusi in data 9 aprile 2006, sull’emittente televisiva Rete 4, alle ore 20,38 circa, sui siti Internet www.patasnella.it e www.pizzoli.it rilevati il 2 maggio 2006, nonché attraverso la stessa confezione del prodotto alimentare. Nella richiesta di intervento si evidenzia come, nelle informazioni pubblicitarie relative al prodotto in questione, siano rinvenibili diversi profili di ingannevolezza a seconda delle richiamate modalità di diffusione dei vari messaggi e precisamente: - con riferimento allo spot televisivo, la mancata specificazione del fatto che il prodotto pubblicizzato, prima di essere surgelato, sia già stato sottoposto ad un primo processo di cottura (frittura tradizionale) e che quella in forno, cioè la cottura effettuata dal consumatore, sia soltanto successiva; che nell’inquadrare una confezione di Patasnella, sulla quale si legge la scritta “70% di grassi in meno”, non venga specificato rispetto a quale termine di paragone sia riferita la percentuale di riduzione nell’assunzione di grassi; lo spot induce i consumatori a ritenere che 103 il prodotto Patasnella non faccia ingrassare e che il relativo consumo si associ alle caratteristiche di bontà e salutarietà delle patate cotte in forno; - con riferimento ai siti Internet, l’espressione “70% di grassi in meno”, esplicitata come in riferimento alle patate fritte in generale, non risponda al vero in base ai dati contenuti nella tabella delle informazioni nutrizionali presente sulla confezione Patasnella e che, anche in questo caso, non sia evidenziato che si tratti di un prodotto prefritto. Inoltre, anche in riferimento ad altre confezioni di patate fritte surgelate, l’associazione segnalante rileva che altre marche di prodotti analoghi riportano un contenuto di grassi inferiore (3 grammi di grassi per 100 grammi di prodotto) rispetto a quello indicato sulla tabella delle informazioni nutrizionali presente sulle confezioni Patasnella (6 grammi di grassi per 100 grammi di prodotto); - con riferimento alla confezione, oltre ai profili sopra evidenziati, si rileva la diversità nell’indicazione degli ingredienti (patate, olio vegetale) rispetto a quanto riportato sui siti Internet (patate, oli, grassi vegetali idrogenati). Dopo aver preso esame delle argomentazioni dell’operatore pubblicitario e delle memorie difensive da esso presentate (per le quali si rimanda al sito www.agcm.it), l’Autorità ha deliberato quanto segue. Per quanto concerne la natura del prodotto, appare opportuno evidenziare che, in ogni modalità di diffusione pubblicitaria oggetto di segnalazione (spot televisivo, sito internet, confezione), è chiaramente desumibile la natura del prodotto Patasnella (patata fritta e surgelata). Tali elementi portano a ritenere 104 che, sotto questo profilo, i messaggi segnalati non presentano aspetti di ingannevolezza per i consumatori in quanto essi sono messi in condizione di percepire con immediatezza che Patasnella è una patata che, prima di essere surgelata, è già stata sottoposta ad un primo processo di cottura (frittura industriale) e che quella in forno, cioè la cottura effettuata dal consumatore, è soltanto successiva. Riguardo all’affermazione “70% di grassi in meno”, occorre, preliminarmente, soffermarsi sul parametro di riferimento utilizzato. In particolare, è necessario definire a quale termine di paragone far riferimento al fine di constatare la veridicità delle caratteristiche pubblicizzate (in particolare della leggerezza, derivante dal minore contenuto in grassi) e cioè stabilire cosa il consumatore sia portato a ritenere con l’espressione “rispetto alle patatine fritte tradizionali” utilizzata in alcuni dei messaggi pubblicitari in esame (confezione e sito Internet www.patasnella.it). Il messaggio veicolato sul sito Internet www.patasnella.it, riguardo all’espressione sullo stesso riportata con riferimento al prodotto “Ho il 70% di grassi in meno rispetto alle patatine fritte tradizionali […]”, esso appare eccessivamente assertivo rispetto ad una caratteristica del prodotto, cioè la minore percentuale di grassi (70%) in esso contenuti rispetto alle patatine fritte tradizionali, che non è dato definire con certezza. Per quanto le risultanze istruttorie abbiano dimostrato che, effettivamente, le Patasnella, al momento del consumo, hanno un contenuto inferiore di grassi, non solo rispetto alle patate fresche fritte in maniera tradizionale, ma anche, ed in 105 misura ancor più netta, paragonandole ai prodotti similari (patate prefritte e surgelate) non è possibile attribuire a tale minore contenuto il dato in termini “assoluti” del 70% in meno, sia con riferimento alle prime che alle seconde. Quanto, infine, alle presunte proprietà dietetiche del prodotto in esame, sollevate dall’associazione segnalante, secondo la quale, in riferimento al contenuto dello spot televisivo, il messaggio lascerebbe intendere che il prodotto Patasnella non faccia ingrassare e che il relativo consumo si associ alle caratteristiche di bontà e salutarietà delle patate cotte in forno, non è dato rilevare indicazioni ingannevoli. Del resto, neppure le immagini costituenti lo spot, sebbene raffigurino una giovane donna snella e dalle agili movenze, non possono considerarsi allusione in tal senso, bensì associate alle modalità di cottura, in forno, senza aggiunta di grassi, delle Patasnella. Le caratteristiche di leggerezza evidenziate nello spot, pertanto, sono ragionevolmente attribuibili al fatto che il prodotto in questione, come desumibile dalle immagini stesse, non prevede un’ulteriore frittura in olio, responsabile dell’innalzamento del contenuto lipidico dell’alimento prima del consumo e giustificano anche la denominazione commerciale del prodotto volta a differenziarlo dai similari proprio per le diverse modalità di cottura. Pertanto, sotto questo profilo, il messaggio pubblicitario non appare suscettibile di una valutazione di ingannevolezza, ai sensi degli articoli 19, 20 e 21, lettera a), del Decreto Legislativo n. 206/2005. 106 Ritenuto, pertanto, che i messaggi pubblicitari diffusi sul sito Internet www.patasnella.it, nonché attraverso la stessa confezione del prodotto Patasnella nei suoi diversi formati da 1 Kg, 600 gr. e 750 gr., sono idonei a indurre in errore i consumatori in ordine alle caratteristiche del prodotto pubblicizzato;delibera: a) che i messaggi pubblicitari relativamente al sito Internet www.pizzoli.it -, concernenti il prodotto alimentare Patasnella, diffusi dalla società Pizzoli S.p.A., non costituiscono una fattispecie di pubblicità ingannevole in contrasto con il Decreto Legislativo n. 206/05; b) che i messaggi pubblicitari - relativamente al sito Internet www.patasnella.it e concernenti il prodotto alimentare Patasnella, diffusi dalla società Pizzoli S.p.A., costituiscono, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi degli articoli 19, 20 e 21, lettera a), del Decreto Legislativo n. 206/05, e ne vieta l’ulteriore diffusione. 2.2.2. Salmone affumicato KV Nordic (2006) Con richiesta di intervento pervenuta in data 30 dicembre 2005, integrata in data 11 gennaio 2006, un concorrente ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, dei messaggi pubblicitari relativi ai prodotti a marchio “KV NORDIC”: “Salmone Norvegese affumicato”, “Salmone Irlandese affumicato” e “Salmone Scozzese affumicato”, diffusi dalla società Eurofood 107 S.p.A. tramite il sito internet www.eurofood.it, in data 6 dicembre 2005, nonché sulle confezioni degli alimenti, in vendita presso la grande distribuzione dei mesi di novembre e dicembre 2005. Nella richiesta di intervento si evidenzia l’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari in quanto idonei ad indurre in errore i destinatari in ordine alle caratteristiche dei prodotti, con riguardo alla loro origine geografica e commerciale nonché al metodo utilizzato per la loro lavorazione. In particolare, il segnalante ha contestato: a) l’indicazione “Prodotto da: Koenvisser – Olanda”, riportata nella pagina internet dedicata al “Salmone Norvegese Affumicato”, in quanto sull’etichetta apposta sul retro delle confezioni è indicato quale Paese in cui ha sede lo stabilimento di produzione la Polonia; b) l’indicazione quale irlandese del “Salmone Irlandese Affumicato”, riportata sulla pagina internet e sulle confezioni del prodotto, in quanto tale tipologia di salmone non sarebbe allevata in Irlanda bensì in Gran Bretagna, come risulterebbe dall’etichetta posta sul retro delle confezioni; c) le affermazioni presenti sulle confezioni dei tre prodotti e nella pagina del sito internet dedicata al “Salmone Norvegese affumicato” che fanno riferimento all’antica tradizione della famiglia Visser, in quanto improbabile che tutte e tre le tipologie di salmone, allevate ed affumicate in stabilimenti posti in territori diversi tra loro siano lavorate secondo una ricetta che sembrerebbe appartenere alla tradizione di una famiglia olandese. Per quanto riguarda la pagina web dedicata al salmone norvegese, i profili di ingannevolezza segnalati concernono, innanzitutto, l’affermazione “Prodotto da: 108 Koenvisser – Olanda”, in quanto incoerente rispetto alle indicazioni riportate sull’etichetta, dove, conformemente a quanto prescritto dal Decreto Legislativo 531/1992, compare quale sigla dello stabilimento quella della Polonia. In effetti, come confermato dallo stesso operatore pubblicitario nelle sue memorie, il “Salmone Norvegese affumicato” viene allevato e macellato in Norvegia, mentre viene affumicato e confezionato in uno stabilimento sito in Polonia. Pertanto, l’indicazione “Prodotto da: Koenvisser – Olanda” risulta ingannevole nei confronti del pubblico, in quanto induce a credere, contrariamente al vero, che tale tipologia di salmone sia prodotta direttamente dalla famiglia Koenvisser in Olanda, quando, in realtà, come emerso nel corso del procedimento, la società Eurofood S.p.A. ha acquisito da essa il marchio “KV Nordic” e lavora il salmone proveniente da allevamenti norvegesi in uno stabilimento polacco. L’affermazione, pertanto, riguardando una caratteristica del prodotto offerto, quale la sua origine commerciale, è idonea ad indurre in errore i consumatori potendone pregiudicare in tal modo il comportamento economico. Con riferimento al metodo di lavorazione utilizzato per le tre tipologie di salmone, il segnalante ha contestato le affermazioni pubblicitarie: “E’ tra i marchi europei più importanti e storici per quanto riguarda l’affumicazione del salmone. La famiglia Visser, infatti, ne tramanda da più di un secolo la tradizione. In tutto il mondo Koenvisser è sinonimo di qualità” (pagina internet dedicata al “Salmone Norvegese 109 Affumicato”) e “Viene lavorato con grande passione avvalendosi dell’antica tradizione della famiglia Visser e seguendo le rigorose procedure di pulitura, salatura e affumicatura tramandate da generazione in generazione” (presente sulle confezioni dei prodotti). Tali affermazioni inducono il pubblico dei consumatori a credere che la lavorazione, ed in particolare il processo di pulitura, salatura e affumicatura, cui vengono sottoposti i tre salmoni a marchio “KV Nordic” rispondano ad un’unica tradizione tramandata per anni all’interno della famiglia olandese Visser, che il segnalante ritiene, invece, del tutto insussistente. Nel corso del procedimento, in effetti, è emerso che il gruppo Koenvisser, da cui Eurofood avrebbe acquistato il marchio “KV Nordic”, opera da anni nel business dei prodotti alimentari freschi e conservati, mentre non risulta alcuna particolare specializzazione nella lavorazione del salmone. Dai dati forniti dall’operatore sembra emergere, al contrario, che le tre tipologie di salmone, norvegese, irlandese e scozzese, vengono lavorate secondo metodologie differenti tra di loro. Ciò posto, si ritiene che le affermazioni pubblicitarie sopra riportate sono idonee ad indurre in errore i consumatori in ordine al metodo di lavorazione utilizzato per le tre tipologie di salmone a marchio “KV Nordic”, e pertanto alle caratteristiche dello stesso, potendo influire indebitamente sulle scelte di acquisto del pubblico dei consumatori nella misura in cui inducono ad attribuire ai prodotti particolari pregi in termini di qualità e genuinità. 110 2.2.3. Omogeneizzati Plasmon (2007) Con richieste di intervento pervenute in data 11 e 17 aprile 2007, alcuni consumatori hanno segnalato la presunta ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, diffuso tramite le confezioni dei prodotti omogeneizzati di frutta “Plasmon” commercializzate, nei mesi di marzo e aprile 2007, dalla società Plasmon Dietetici Alimentari S.r.l. , e tramite uno spot pubblicitario diffuso sull’emittente Canale 5. Nelle richieste di intervento si ritiene che quanto riportato sulle confezioni dei prodotti “Nuovo Plasmon 100% - Banana omogeneizzato” e “Nuovo Plasmon 100% Prugna omogeneizzato”, lascerebbe intendere che gli omogeneizzati siano composti totalmente (100%) dal frutto indicato e illustrato sulla confezione (Banana nel primo caso, Prugna nel secondo), mentre invece essi contengono anche il 36% di mela, il 4% di succo concentrato deacidificato di mela e vitamina C. La reale composizione del prodotto è desumibile dall’elenco degli ingredienti riportato sull’etichetta apposta sui barattoli avvolti dalla confezione, la cui lettura non è agevolmente accessibile. Nella richiesta di intervento medesima si segnalano, altresì, le pagine web del sito internet www.plasmon.it, rilevate in data 5 luglio 2007, laddove, nella sezione I nostri prodotti/Categoria/Omogeneizzati/Frutta riporta gli slogan "100% Frutta senza zucchero aggiunto" e "100% Natura solo frutta biologica". Il segnalante rileva che, nella stessa pagina, sotto agli slogan sopra citati, è 111 riportata la dicitura " La frutta [...] è integrata con vitamina C, zuccheri, [...]", generando quindi un messaggio poco chiaro. Il primo profilo di ingannevolezza sollevato dai consumatori segnalanti, riguardo alle confezioni dei prodotti in esame, è relativo all’effettiva composizione degli omogeneizzati. le modalità di presentazione al pubblico del prodotto, in particolare la confezione in cui esso è racchiuso - principale fattore di attrazione per il consumatore che con essa ha il primo impatto in sede di acquisto - non dà a quest’ultimo l’immediata percezione della reale composizione dell’omogeneizzato dal momento che, raffigurando e menzionando soltanto il frutto prevalente in esso contenuto, lo induce a ritenere che questo sia l’unico componente il prodotto e non assicura, pertanto, una corretta e trasparente informazione. Inoltre, la scelta dell’operatore pubblicitario di aggiungere ai propri omogeneizzati il succo concentrato di mela non appare compatibile con il claim “senza zuccheri aggiunti” utilizzato. Pertanto, relativamente ai claims utilizzati - “100% frutta” e “senza zuccheri aggiunti” - nelle diverse modalità di diffusione dei messaggi segnalati (confezioni, spot televisivi, sito Internet Plasmon), i messaggi pubblicitari appaiono suscettibili di una valutazione di ingannevolezza, ai sensi degli articoli 19, 20 e 21, lettera a), del Decreto Legislativo n. 206/05 in quanto 112 lasciano intendere, contrariamente al vero, che essi siano costituiti totalmente da frutta e senza zuccheri aggiunti. 3. Prodotti potenzialmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori: trattamenti dimagranti, bevande alcoliche 3.1. Gli interventi dell’I.A.P. 3.1.1. Beauty Center “Cellu-Shock” (2008) Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti della Beauty Center srl in relazione ai messaggi pubblicitari "Hai paura della liposuzione? Nessun problema, c'è Cellushock. La vera alternativa alla lipo", rilevato su "Chi" n. 2, data di copertina 16/1/2008, e "L'alternativa alla liposuzione, Scegli Cellushock", rilevato su "Starbene" di febbraio, relativi all'elettrostimolatore "Cellushock", ritenendoli contrari agli artt. 2 e 24 CA. Ad avviso del Comitato le affermazioni "la cellulite ha i giorni contati", "l'onda d'urto degli ultrasuoni scioglie il grasso", "le onde elettrolipolitiche frammentano i depositi di cellulite" e "una taglia di abito in meno in sole 10 sedute" sarebbero tali da attribuire al prodotto un'efficacia certa, rapida e definitiva, che non risulta provata. L'ingannevolezza del messaggio sarebbe aggravata dai riferimenti alle percentuali di efficacia: "inestetismi della cellulite ridotti dal 100 al 70%", "azione drenante +70%", "pelle compatta e tonica +100%", ma anche dall'accostamento tra gli effetti del trattamento con 113 "Cellushock" e la liposuzione, che indurrebbe il pubblico a credere che sia possibile ottenere gli stessi risultati senza sottoporsi a interventi chirurgici. Inoltre, lo slogan "una taglia in meno in solo 10 sedute" prospetterebbe poteri dimagranti del trattamento con il dispositivo reclamizzato, pur essendo la cellulite non necessariamente correlata al sovrappeso corporeo, aumentando così l'effetto decettivo del messaggio, soprattutto in considerazione della particolare sensibilità femminile ai problemi degli inestetismi. Ad avviso del Giurì il processo di scelta consapevole del consumatore appartenente a un target psicologicamente debole come chi è alla ricerca di una promozione estetica, risulta da questa opportunistica declinazione del binomio chirurgia/trattamento non chirurgico fortemente perturbato e, quindi, in contrasto con la ratio degli artt. 2 e 24 CA. Il Giurì condivide l'addebito del Comitato relativo all'omissione grave, nelle comunicazioni pubblicitarie in questione, della necessità di associare alle applicazioni di "Cellushock" uno stile di vita sano, con la conseguenza che i messaggi possono indurre il consumatore in errore su "caratteristiche ed effetti del prodotto". Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha dichiarato che i messaggi contestati sono in contrasto con gli artt. 2 e 24 CA nella misura in cui il trattamento 'Cellushock' è presentato come 'alternativo' alla liposuzione, nel mentre si dà atto (anche nella pubblicità su 'Starbene') che la liposuzione non elimina la cellulite e si rivendica un effetto migliorativo di 'Cellushock' quanto meno sugli inestetismi della cellulite; e sono altresì in contrasto con 114 l'art. 2 in quanto non circostanziano gli effetti riduttivi di circonferenza corporea con l'osservanza di stili di vita. E ne ha ordinato in questi limiti la cessazione. 3.1.2. In Linea + Light (2008, ingiunzione del Comitato di Controllo) Il Presidente del Comitato di Controllo,visto il messaggio pubblicitario "L'incredibile nuovo marchio 'Equikall' – Provato – Certificato – Garantito", relativo al prodotto "Equikall", rilevato sul n. 14 di "Oggi", data di copertina 2 aprile 2008, ritiene lo stesso manifestamente contrario agli artt. 2, 4, 12 comma 2, 23 bis del Codice della Comunicazione Commerciale, nonché ai punti 1, 6, 7 e 8 del "Regolamento per la pubblicità degli integratori alimentari proposti per il controllo o la riduzione del peso", che costituisce parte integrante del predetto Codice. La comunicazione pubblicitaria, infatti, stante la presenza di molteplici affermazioni esorbitanti e palesemente ingannevoli, è tale da creare la falsa speranza di risolvere facilmente e in tempi brevi un problema che, per i disagi di salute ed estetici che provoca, rende chi ne è afflitto particolarmente sensibile e vulnerabile. In particolare, si alletta il pubblico con promesse illusorie inducendolo a credere che con il trattamento "Equikall" sia possibile ottenere una sicura e notevole perdita di peso senza che sia necessario sostenere sacrifici in termini di riduzione dell'apporto calorico giornaliero, svolgimento di attività fisica e, più in generale, di adozione di un regime di vita coerente con l'obiettivo. 115 3.1.3. Cynar Martini (2007, non violazione) Una consumatrice ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Davide Campari spa in relazione al filmato pubblicitario relativo all'amaro "Cynar" diffuso dalle emittenti RAI, Mediaset e La7 a partire dall'8 settembre 2007, ritenendolo in contrasto con gli artt. 2 e 22 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. Ad avviso dell'istante la pubblicità in oggetto creerebbe la falsa convinzione che il "Cynar", definito "leggero", sia una bevanda a bassa gradazione alcolica, favorendo così un'insufficiente attenzione alle regole di prudenza e responsabilità nel consumo; indurrebbe i consumatori a un uso eccessivo e incontrollato della bevanda; rappresenterebbe una situazione di inclinazione morbosa al prodotto, presentandolo come soluzione allo stress della vita quotidiana e, infine, assocerebbe il consumo di bevande alcoliche alla guida di veicoli. Il Giurì ritiene che le contestazioni mosse dalla ricorrente alla pubblicità in esame non siano condivisibili e vadano respinte. Quanto alla presunta contrarierà dello spot all'art. 2 CAP, la censura non merita accoglimento poiché le resistenti hanno dimostrato che il claim "Amaro vero ma leggero" risponde a verità, essendo il prodotto contraddistinto da una gradazione alcolica del 16,5%, che si colloca al limite inferiore della categoria merceologica degli amari e inoltre la qualità della leggerezza viene accreditata dallo spot, inequivocabilmente, in specifica relazione alla natura di amaro della 116 bevanda, e non già in termini assoluti. Il Giurì ritiene che non ricorra una violazione neppure dei precetti di cui all'art. 22 CAP. La valutazione dello spot ai fini in esame non può prescindere dalla considerazione di taluni elementi essenziali che lo caratterizzano: dall'idea pubblicitaria al concreto contenuto e stile volutamente umoristico e paradossale della narrazione e delle scene, dalle parole del sonoro al commento musicale, alla peculiare scelta di Elio e le Storie Tese come gruppo testimonial. Benché lo spot offra la rappresentazione di un gruppo di persone al tavolino che bevono e gradiscono il prodotto fino ad accorgersi che il contenuto della bottiglia è terminato, non pare corretto desumerne la conseguenza che il filmato incoraggi un consumo incontrollato di bevande alcoliche, o rappresenti un accanimento morboso al prodotto, o comunque induca il pubblico a trascurare le differenti modalità di consumo necessarie in relazione alle caratteristiche del prodotto. In ogni caso, la chiave di citazione parodistica dello spot, il contenuto autoironico e di fantasia, la cifra di nonsense impressa anche dal profilo dei protagonisti, introducono tra le scene del filmato elementi di distacco e di distanza che, ad avviso del Giurì, prevengono il rischio che lo spot, nella percezione del pubblico, produca quegli effetti pericolosi e censurabili a cui talora indulge la pubblicità di bevande alcoliche e che la disciplina dell'art. 22 intende evitare. Si deve infine osservare, a ulteriore sostegno del giudizio di liceità, che lo spot, nell'ultima inquadratura, rende visibile 117 la scritta "Bevi Cynar responsabilmente", che apporta, sia pur incidentalmente, un invito alla cautela rispetto alle modalità di consumo del prodotto. Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto che la pubblicità contestata non è in contrasto con il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. 3.2. Gli interventi dell’A.G.C.M. 3.2.1. Www.zerodiet.org (2007) Con richiesta di intervento pervenuta in data 13 luglio 2007, un consumatore ha segnalato la presunta ingannevolezza di alcuni messaggi pubblicitari, relativi alla possibilità di perdere peso attraverso l’utilizzo di alcuni magneti, diffusi, sul sito internet www.zerodiet.org, in data 5 luglio 2007, e attraverso banner posto sul portale “Alice.it”, in data 6 luglio 2007, dalla società Zeropiù S.r.l.. Nella richiesta di intervento si evidenzia il dubbio che i risultati prospettati dal metodo pubblicizzato, attraverso le indicazioni riportate sul sito internet www.zerodiet.org, laddove viene specificato che il metodo utilizzato “…permette di perdere da 3,6 kg a 9,8 kg al mese” e che sia possibile perdere peso “in 30 giorni senza privazioni e senza seguire alcun regime alimentare specifico”, e quella presente sul banner, “perdere peso senza dieta”, siano corrispondenti al vero. La valutazione della fattispecie in esame è stata effettuata ai sensi del Decreto Legislativo n. 206/05, nella versione vigente prima dell’entrata in vigore dei 118 Decreti Legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e n. 146 e che l’operatore pubblicitario è individuato, alla luce di quanto indicato nelle memorie del 6 settembre 2007, nella società Zeropiù S.r.l.. I messaggi pubblicitari in esame lasciano intendere, attraverso le indicazioni “Perdere peso senza dieta” e “consente una perdita di peso che va dai 3,6 fino ai 5,3 kg. Il tutto in 30 giorni senza privazioni e senza seguire alcun regime alimentare specifico”, che, con il prodotto pubblicizzato, sia possibile per chiunque ottenere cali ponderali di notevole entità ed in breve tempo, senza necessità di ricorrere ad un regime alimentare restrittivo o ad un esercizio fisico controllato. Sull’argomento, tuttavia, l’Autorità ha più volte recepito quanto affermato dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), secondo il quale non è possibile ottenere risultati a carico del tessuto adiposo senza sottoporsi a restrizioni caloriche e ad un esercizio fisico adeguato. Inoltre, come soglie di sicurezza relativamente alla rapidità del calo di peso, sono state considerate accettabili per la salute e la sicurezza dei consumatori le diminuzioni ponderali dell’ordine di 500-1000 grammi in media a settimana nel medio-lungo periodo. I claims riportati nei messaggi appaiono, conseguentemente, eccessivamente enfatici e ingannevoli, essendo idonei ad ingenerare l’erroneo convincimento di un’efficacia generalizzata e sicura nel conseguire i risultati prospettati e risultando, in questo modo, potenzialmente in grado di orientare le scelte economiche di acquisto dei consumatori, che versano, peraltro, anche in una 119 situazione di particolare debolezza psicologica, circa il conseguimento dei risultati ottenibili tramite la sottoposizione al trattamento e a pregiudicarne il comportamento economico. 3.2.2. Antismoking System (2006) Con richiesta di intervento pervenuta in data 14 ottobre 2005 ed integrata in data 7 e 24 novembre 2005, la società Antismoking Center S.r.l., in qualità di concorrente, ha segnalato la presunta ingannevolezza ai sensi del Decreto Legislativo n. 206/05, ora Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, di diversi messaggi volti a promuovere l’affiliazione ed i trattamenti offerti da Antismoking System, ed in particolare: il messaggio pubblicato sul numero 4 di aprile 2005 della rivista “Millionaire” ;la brochure informativa diffusa presso la sede della società nel luglio 2005, e le pagine del sito internet www.antismokingsystem.it. I messaggi in esame sono volti a pubblicizzare, sia l’affiliazione in franchising alla società Antismoking System, che attesta di operare sul mercato da più di 10 anni e di disporre della prima rete nazionale in questo mercato, definito “praticamente privo di concorrenza”, sia il trattamento effettuato attraverso interventi di elettrostimolazione, proposto come metodo per smettere di fumare, sperimentato ed innovativo, efficace, privo di effetti collaterali e controindicazioni e “l’unico” che rilascia un certificato di garanzia “soddisfatti o rimborsati”. 120 I messaggi internet e la brochure informativa presentano contenuti del tutto simili. In entrambi, infatti, ci si sofferma ampiamente a descrivere, con un linguaggio di stampo medico-scientifico, le origini del trattamento e l’innovatività dello stesso, che sarebbe stato perfezionato sulla base di metodiche già da tempo impiegate per la dissuefazione dal fumo quali l’auricoloterapia e l’auricolomedicina. Si afferma che il trattamento viene effettuato con una sofisticata apparecchiatura, frutto dell’esperienza di tali tecniche e di studi successivamente condotti, lasciando in tal modo intendere che il metodo abbia un fondamento di tipo scientifico. Non sussistono riscontri documentali di tipo scientifico che supportino quanto dichiarato nel messaggio in ordine agli effetti che lo stesso sarebbe in grado di produrre sull’organismo ed all’efficacia del metodo - di fatto del tutto ipotetica ed eventuale - come strumento per sopprimere il vizio della sigaretta. La circostanza che il metodo si ispiri ai principi dell’auricoloterapia e agopuntura, non trattandosi di un trattamento di tipo terapeutico, non consente di attribuire ad esso i risultati di studi condotti su tali metodiche medico-scientifiche. Ciò premesso, i messaggi sono da ritenersi ingannevoli in quanto, nella parte in cui descrivono le origini del trattamento vantandone la particolare efficacia, anche attraverso riferimenti a tecniche di tipo terapeutico, inducono un affidamento sul funzionamento e la possibilità di riuscita del metodo 121 ingiustificato ed eccessivo, che non trova conferme né di tipo scientifico né documentale. Con riferimento al messaggio stampa, si rileva che lo stesso, principalmente volto a pubblicizzare l’affiliazione alla catena in franchising, prospetta il trattamento come un metodo di particolare efficacia, che cura gli aspetti fisici e psicologici della dipendenza. Tali affermazioni, accreditando il trattamento come una metodologia di tipo medico-scientifico che offre elevate possibilità di successo, sono del tutto improprie e fuorvianti, in quanto l’elettrostimolazione su cui si basa l’apparecchio pubblicizzato non può proporsi quale metodo di trattamento terapeutico, non essendo svolto in ambito medico. Il messaggio, pertanto, sotto tale profilo è ingannevole e idoneo ad indurre i destinatari ad orientarsi verso tale operatore o ad aderire alla rete gestita dallo stesso sulla base di caratteristiche del trattamento inesistenti. L’esistenza di effetti collaterali e controindicazioni, inoltre, viene espressamente esclusa nel messaggio via internet. In realtà, come ammesso dallo stesso operatore pubblicitario e emerso chiaramente dalla documentazione dallo stesso prodotta, l’uso di apparecchiature di elettrostimolazione è controindicato per particolari categorie di soggetti quali i portatori di pacemaker, i soggetti affetti da epilessia e le donne in stato di gravidanza. Pertanto, i messaggi essendo volti a promuovere un trattamento 122 realizzato attraverso l’elettrostimolazione e omettendo di fornire indicazioni in merito all’esistenza di controindicazioni all’utilizzo del metodo per alcune categorie di persone, devono ritenersi idonei ad indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza o vigilanza, con conseguente pericolo per la loro salute. Sotto tale aspetto si ritiene di particolare gravità la circostanza che il sito internet non solo si configuri del tutto omissivo sul punto, ma sottolinea, in modo fuorviante, il carattere assolutamente innocuo del trattamento che definisce “privo di effetti collaterali e controindicazioni”. 3.2.3. Pub “Los Panineros”(2007) Con richiesta di intervento pervenuta in data 8 novembre 2006, un’associazione di consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto legislativo n. 206/05, del volantino pubblicitario diffuso in alcune località della Provincia di Livorno, nel periodo dal 14 al 21 ottobre 2006, in occasione dell’inaugurazione del locale adibito ad uso birreria denominato “Los Panineros”, in località Campiglia Marittima, frazione di Venturina, provincia di Livorno. Nella richiesta di intervento si evidenzia la presunta ingannevolezza del messaggio pubblicitario in quanto lo stesso conterrebbe l’esplicita incitazione ad abusare delle bevande alcoliche vendute nel locale, trascurando le normali regole di prudenza e di vigilanza con grave pregiudizio alla salute e conseguenze sociali, attraverso l’adozione di comportamenti trasgressivi. 123 Sulla base del claim pubblicitario che invita a recarsi presso la nuova birreria dal pomeriggio inoltrato “fino a tarda notte per …..ubriacarti con le tue birre preferite (e non solo)…!!!, il messaggio riporta un’esplicita esortazione ad assumere le suindicate bevande alcoliche con estrema facilità, naturalezza e superficialità. La stessa struttura grafica e l’utilizzo del termine “ubriacarti” rimarcato con un colore diverso dal resto del testo, rispetto a quello utilizzato per le lettere degli altri caratteri rappresenta una strategia comunicativa di immediato richiamo dell’attenzione dei potenziali frequentatori del locale. Sulla base dei dati statistici ufficiali, la pericolosa crescita esponenziale dell’uso e dell’abuso di bevande alcoliche esige una politica di prevenzione e di tutela relativa anche ai rischi di incidenti stradali causati dall’uso di tali bevande, specialmente tra i giovani all’uscita da discoteche e disco pub e locali simili. Nella fattispecie in esame, infatti, l’invito a recarsi presso la birreria reclamizzata unitamente all’esortazione a “…..ubriacarti con le tue birre preferite (e non solo)…!!!”, pur non essendo direttamente correlato al rischio di incidenti stradali conseguenti all’abuso di sostanze alcoliche, propone tuttavia la diffusione di modelli comportamentali rischiosi per la salute dei consumatori potendoli indurre a trascurare le normali regole di prudenza e di vigilanza. 124 4. Due esempi di intervento dell’A.G.C.M. in materia di bambini e adolescenti : le patatine Wacko’s (2006) e le Suonerie scaricabili al 48428 (2007) Con richiesta di intervento pervenuta in data 21 giugno 2006, un’associazione di consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, del messaggio pubblicitario, contenuto nella confezione delle patatine Wacko’s. Nella richiesta di intervento si lamenta che nel messaggio, sotto al claim “Anche i tuoi genitori impazziranno per Wacko’s […] dopo aver letto qui sotto!” viene prospettata la possibilità di fornire importanti valori nutrizionali e tanta energia attraverso una confezione di Wacko’s con affermazioni categoriche, quali “sapete che vostro figlio ha bisogno di almeno 2.500 calorie al giorno per affrontare con energia la scuola, i giochi e lo sport? Una confezione di Wacko’s gli fornisce importanti valori nutrizionali e tanta energia: 25 grammi di Wacko’s hanno addirittura lo stesso valore nutritivo di una mela di 100 grammi […]”. In realtà, tali affermazioni non sarebbero veritiere, e sarebbero altresì idonee ad indurre in errore i consumatori sulla caratteristiche del prodotto, in quanto solo bambini a partire dagli 8-10 anni di età hanno un fabbisogno che si colloca intorno alle 2.500 calorie al giorno; inoltre, i valori nutrizionali forniti da questo genere di prodotti si basano essenzialmente su grassi, e, pertanto, non sarebbero apporti nutrizionali importanti né assolutamente comparabili con il valore nutritivo di una mela. 125 L’indicazione circa il fabbisogno energetico è pertanto ingannevole ed è atta a trarre il consumatore in inganno circa il reale apporto del prodotto al proprio fabbisogno quotidiano, inducendolo a ritenere che quel pacchetto di patatine abbia una bassa incidenza sul regime alimentare. In ciò, il consumatore è indotto ad avere una percezione non veritiera dello stesso. Tale ingannevolezza è atta ad incidere sul suo comportamento economico. Si rileva peraltro l’inadeguatezza del fatto stesso di operare un raffronto tra una mela e uno snack, notoriamente molto poco salutare, a differenza di quanto si ritiene comunemente del frutto. Il consumatore viene così indotto considerare sullo stesso piano due prodotti che hanno in realtà caratteristiche ben diverse. Il messaggio de quo, ricade invece nella fattispecie di cui all’articolo 25 del Codice del consumo. Infatti, pur trattandosi di un messaggio apparentemente rivolto ai genitori, mediante il claim di apertura: “Anche i tuoi genitori impazziranno per Wacko’s dopo aver letto qui sotto” sfrutta la naturale credulità dei bambini ed adolescenti inducendoli a porre in essere, quale leva psicologica, un’opera di convincimento nei confronti dei loro genitori non solo per la lettura del messaggio ma anche per l’acquisto del prodotto stesso. Nel corso del 2007, l’Autorità ha contestato la violazione dell’articolo 25 del Codice del consumo, nella formulazione antecedente alla riforma, in un unico caso, relativo a una pubblicità televisiva volta a promuovere l’acquisto di suonerie, loghi e sfondi per telefoni cellulari. L’attivazione del servizio avveniva tramite l’invio di un SMS a un numero dedicato, il 48428. A seguito 126 dell’attivazione dell’abbonamento, il consumatore avrebbe ricevuto settimanalmente sul proprio apparecchio un logo e una suoneria, a titolo oneroso, mentre al primo invio sarebbe stata collegata una prestazione aggiuntiva gratuita. In ottemperanza al disposto degli articoli 12 e 23 del decreto del Ministero delle comunicazioni del 2 marzo 2006, n. 145, il messaggio indicava che il servizio a sovrapprezzo era destinato ai soli maggiorenni. Questa informazione, tuttavia, era fornita in una sovrimpressione passante non agevolmente leggibile, a causa della velocità di scorrimento e delle ridotte dimensioni dei caratteri tipografici impiegati. In realtà, diversi elementi fattuali deponevano nel senso che il messaggio pubblicitario in questione fosse indirizzato a un pubblico giovanile: in primo luogo i potenziali acquirenti della tipologia dei prodotti offerti sono per lo più adolescenti; in secondo luogo, l’ambientazione complessiva della pubblicità televisiva era volta a catturare l’attenzione prevalente dei minori; infine, la stessa fascia oraria di programmazione (cosiddetta “di protezione rafforzata”), benché elemento non autonomamente decisivo, confortava la conclusione che il messaggio intendesse raggiungere i telespettatori più giovani. L’Autorità ha concluso che il messaggio fosse suscettibile di abusare della credulità dei minori, inducendoli in errore in relazione alle effettive caratteristiche del servizio effettivamente proposto dall’impresa, in quanto la pubblicità attribuiva un rilievo del tutto sproporzionato all’omaggio collegato 127 ai primi due invii rispetto al vincolo contrattuale derivante dalla sottoscrizione dell’abbonamento mediante SMS. Inoltre, le indicazioni relative al prezzo da corrispondere per la fruizione del servizio apparivano imprecise e fortemente lacunose. Pertanto, l’Autorità ha comminato all’operatore pubblicitario una sanzione di € 46.500. 128 Conclusioni Il presente lavoro di tesi ha proposto un excursus sugli aspetti connessi al tema della pubblicità ingannevole, un problema che, in un contesto di sempre maggiore concorrenzialità, va acquisendo crescente rilievo. Il messaggio ingannevole infatti, provoca un danno alle imprese concorrenti, che vedono catalizzare l’attenzione e gli acquisti del pubblico sui prodotti di un’impresa che pretende di affermarsi sul mercato con argomentazioni e immagini non veritiere, che influenzano con l’inganno i consumatori, e spostano la domanda dalle imprese che si avvalgono di una pubblicità corretta a quelle che si avvalgono di argomentazioni ingannevoli. Ecco perché le imprese, riunite nell’ UPA (Utenti Pubblicità Associati), hanno voluto costituire, diversi decenni fa, l’Istituto di Autodisciplina, con il suo Codice e il suo Giurì, e hanno accolto con favore il d. lgs. 74/1992, che attribuisce competenza in tema di pubblicità ingannevole all’A.G.C.M., detta anche Antitrust. Quello della pubblicità ingannevole è, tuttavia, un argomento che non coinvolge soltanto le imprese, ma anche e soprattutto il pubblico di consumatori. Il messaggio ingannevole infatti, come più volte emerso nel corso della trattazione, trae in errore i consumatori sulle caratteristiche, la qualità o le prestazioni dei prodotti pubblicizzati. La presente tesi ha esposto i passi avanti compiuti a tutela dei consumatori, in seguito all’approvazione dei d. lgss. 145 e 146 del 2007. Tali decreti hanno ampliato il campo delle condotte sanzionabili e rafforzato le competenze dell’Antitrust. Il nuovo 129 campo di applicazione previsto, infatti, non comprende più solo i messaggi di pubblicità ingannevole o comparativa illecita, ma investe, sotto la dicitura di “pratiche commerciali scorrette”, qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori. Si rafforzano, inoltre, come già sottolineato, le competenze dell’Antitrust, già previste in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, stabilendo la procedibilità d’ufficio (non più, dunque, su denuncia di un consumatore, di un’impresa, di un’associazione che ne abbia interesse) allo scopo di rendere maggiormente rapido ed effettivo l’intervento sanzionatorio, e infine prevedendo il raddoppio, rispetto al sistema precedente, dei limiti massimi dell’importo dovuto a titolo di sanzione per le condotte ritenute scorrette. La possibilità di agire d’ufficio e l’inasprimento delle sanzioni rappresentano un ulteriore incremento delle forme di tutela del consumatore. L’entrata in vigore delle nuove norme si presenta tutt’altro che priva di incognite per gli operatori economici, che si trovano a dover fronteggiare maggiori oneri conoscitivi in sede di predisposizione delle strategie pubblicitarie e di marketing. Da oggi, pertanto, le imprese dovranno essere in grado di valutare in anticipo le implicazioni legali - anche di carattere trasnfrontaliero – delle comunicazioni pubblicitarie e delle pratiche dirette ai consumatori, per evitare 130 di incorrere nelle maglie sempre più stringenti dei controlli dell’Autorità Garante. Dall’analisi della recente casistica emerge che entrambi i sistemi, quello dell’Autodisciplina e quello dell’Autorità, presentano normative e criteri di valutazione sostanzialmente convergenti sulla pubblicità ingannevole, pur rappresentando organismi di natura assai diversa. Entrambi vietano qualsiasi dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori e pregiudicare il loro comportamento economico, non solo tramite affermazioni palesemente false, ma anche per mezzo di omissioni, ambiguità, esagerazioni sulle caratteristiche e gli effetti del prodotto, sul prezzo e sulle condizioni di vendita. Tale orientamento comune emerge con chiarezza dall’esame delle decisioni del Giurì e dell’Autorità nel settore delle telecomunicazioni (Infostrada Absolute Adsl, Alice Adsl Tutto incluso, Numero Verde Gruppo Banca CR Firenze, Noi Wind Roaming). Nell’ultimo biennio, il settore delle telecomunicazioni ha visto confermato il proprio assoluto rilievo nell’ambito dell’attività svolta sia dall’Autorità ai sensi del Codice del consumo che dal Giurì ai sensi del CAP. In particolare, numerosi interventi hanno riguardato messaggi pubblicitari volti a promuovere servizi di telecomunicazione integrati e offerte promozionali nei mercati della telefonia fissa e mobile. I mercati in questione sono caratterizzati da un vivace confronto concorrenziale tra gli operatori, che si estrinseca principalmente attraverso due 131 direttrici: da un lato, si registra un tasso assai elevato di innovazione, che conduce alla continua emersione di nuovi prodotti e servizi destinati ai consumatorie alla rapida obsolescenza delle precedenti proposte commerciali; dall’altro, gli operatori del settore impiegano piani tariffari relativamente articolati, che prevedono significative discriminazioni di prezzo, al fine di offrire a ciascun gruppo di potenziali acquirenti le griglie tariffarie più adatte al rispettivo modello di consumo. Le caratteristiche dei mercati interessati incentivano dunque il ricorso allo strumento pubblicitario da parte delle imprese, che si avvalgono di una pluralità di mezzi di comunicazione: la rete Internet, la stampa quotidiana e periodica, l’emittenza televisiva e la pubblicità affissionale risultano tutteimpiegate abitualmente al fine di promuovere servizi di telecomunicazione. Tuttavia, la relativa complessità delle caratteristiche dei nuovi prodotti offerti sul mercato e delle rispettive condizioni di fruizione mal si presta a essere illustrata con accuratezza nel contesto di messaggi pubblicitari tenuti di norma a rispettare dei precisi vincoli di spazio e di tempo. Anche la particolare articolazione dei piani tariffari, talvolta portata all’estremo, può essere riflessa solo con difficoltà negli stilemi tipici della comunicazione d’impresa, basata su semplici frasi a effetto e su vanti prestazionali che facciano immediatamente presa sul potenziale acquirente. 132 Non sorprende, dunque, che la grande maggioranza degli interventi nel settore delle telecomunicazioni sia intesa appunto a garantire la chiarezza e la completezza dei messaggi promozionali in ordine alle caratteristiche del servizio offerto e al prezzo che il consumatore deve effettivamente corrispondere per il suo impiego. Nel valutare l’eventuale ingannevolezza dei messaggi pubblicitari oggetto di richiesta di intervento, entrambi gli organismi hanno confermato il proprio orientamento ormai consolidato, secondo il quale la completezza e la comprensibilità delle informazioni fornite al consumatore si configurano come l’onere minimo che l’operatore pubblicitario deve assolvere al fine di consentire la corretta percezione dell’effettiva convenienza della proposta. Tale orientamento viene mantenuto negli interventi nel settore agroalimentare, finalizzati a garantire al consumatore una corretta informazione circa le caratteristiche, la provenienza e la composizione degli alimenti (maionese Kraft “senza colesterolo”, Patasnella 70% di grassi in meno, salmone affumicato KV Nordic, omogeneizzati Plasmon). Nel caso di “Ovito” gruppo Novelli, si ritiene, inoltre, di poter ravvisare anche una fattispecie di pratica commerciale scorretta, nella misura in cui il suddetto messaggio pubblicitario attribuisce al prodotto qualità uniche sul mercato, e asserisce, contrariamente al vero, che il prodotto sia stato approvato da un organismo pubblico o privato (nel caso specifico la FIMP, Federazione Italiana Medici Pediatri). 133 Tanto l’Autodisciplina quanto l’Autorità Garante, inoltre, considerano ingannevole la pubblicità di prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, che ometta di darne notizia, in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di sicurezza e vigilanza, come testimonia l’analisi delle decisioni riguardanti pubblicità di trattamenti dimagranti o per smettere di fumare, e bevande alcoliche. Denominatore comune delle decisioni di entrambi gli organismi è il sanzionamento dei messaggi basati su promesse illusorie riguardo all’efficacia e alla rapidità di azione dei prodotti (Beauty Center CelluShock, InLinea + Light, www.zerodiet.org, Antismoking System). In casi come questi, la valutazione relativa all’idoneità ingannatoria della comunicazione pubblicitaria presenta dei profili peculiari, in ragione della particolare vulnerabilità di alcuni tra i potenziali acquirenti, ossia consumatori presumibilmente afflitti da problemi ponderali, che versano dunque in una situazione di particolare fragilità psicologica. Riguardo alla pubblicità di bevande alcoliche, viene condannato dall’Autorità il volantino pubblicitario che promuove le serate al pub “Los Panineros”, in quanto contenente l’esplicita incitazione ad abusare delle bevande alcoliche vendute nel locale, trascurando le normali regole di prudenza e di vigilanza. La sentenza del Giurì presa in esame in materia di bevande alcoliche, presenta invece peculiarità differenti. Il messaggio che pubblicizza l’amaro Cynar viene assolto dall’accusa di ingannevolezza, in quanto basato su delle esagerazioni palesemente iperboliche, e sul contenuto 134 umoristico e paradossale delle scene rappresentate, non ritenute idonee, dunque, a trarre in inganno nemmeno il consumatore più sprovveduto. Infine, esplicitamente condannata è la pubblicità suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti che possa minacciare la loro sicurezza, o che abusi della loro naturale credulità e mancanza di esperienza, e che induca gli stessi ad esercitare pressioni sugli adulti per l’acquisto del prodotto. E’ il caso delle pubblicità delle patatine Wacko’s e delle suonerie scaricabili al 48428 sanzionate dall’Autorità. Una differenza fondamentale tra l’organo autodisciplinare e quello statuale risiede nella tempistica dei procedimenti: il procedimento davanti all’Autorità Garante segue un rituale che, per forza di cose, si protrae a lungo, in media dai 3 ai 6 mesi, a differenza dei pronunciamenti del Giurì di Autodisciplina, che si hanno in media entro trenta giorni dall’avvio dell’ iter. La riflessione di fondo che tale studio si propone riguarda il ruolo della pubblicità, e l’uso che le imprese ne fanno. Strumento insostituibile di propulsione sul mercato, la pubblicità viene spesso utilizzata dalle imprese in modo improprio, per costruire un’immagine volutamente attraente del proprio prodotto, capace di distinguerlo, agli occhi del consumatore, da quelli offerti dai concorrenti. La pubblicità ha il diritto di sedurre, ma non di trarre in inganno: questo è un principio imprescindibile tanto per una sana e corretta concorrenza, quanto 135 per una legittimazione della pubblicità stessa, che sia tale da riscuotere consenso e affidabilità presso i suoi destinatari. Alla luce di quanto finora trattato, e in particolare dei cambiamenti apportati recentemente dal legislatore, si ritiene di poter affermare che sia l’azione rapida ed efficace del Giurì, che quella incisiva e ulteriormente potenziata dell’Antitrust, rappresentano strumenti validi a reprimere in maniera soddisfacente i frequenti casi di ingannevolezza e scorrettezza della pubblicità operata nel nostro Paese, tutelando adeguatamente sia il pubblico dei consumatori che le aziende danneggiate. 136 BIBLIOGRAFIA TESTI MARCHETTI-UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza antitrust, concorrenza sleale, pubblicità, marchi, brevetti, diritto d’autore, CEDAM, Padova, 2004; MARCHETTI-UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza antitrust, concorrenza sleale, pubblicità, marchi, brevetti, diritto d’autore, CEDAM, appendice di aggiornamento, 2005; STANZIONE-SCIANCALEPORE (a cura di), Commentario breve al codice del consumo, IPSOA, 2006; V. MELI, La repressione della pubblicità ingannevole – Commento al D.Lgs. 25 gennaio 1992, n.74, Torino, 1994; FUSI-TESTA-COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole (commento al D.Lgs. 25 gennaio 1992, n.74), Giuffrè, Milano, 1993; D. MARRAMA, La pubblicità ingannevole – Il giudice amministrativo e la natura giuridica delle decisioni delle authorities, Editoriale Scientifica, Napoli 2003; U. RUFFOLO (a cura di), Commentario al Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Giuffrè, Milano 2003; B. GRAZZINI, Autodisciplina pubblicitaria e ordinamento statuale, Giuffrè, Milano 2003; 137 MINERVINI – ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, Milano 2007; VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova 1999; ALPA – ZATTI (a cura di) , Commentario breve al codice civile – Leggi complementari, Padova 1992; MASCIOCCHI, Concorrenza sleale e pubblicità ingannevole alla luce della vigente normativa e antitrust nazionale e comunitaria, Roma, 2000; UBERTAZZI (a cura di), Concorrenza sleale e pubblicità - Estratto da Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova 2007. G. ROSSI, La pubblicità dannosa – Concorrenza sleale, “diritto a non essere ingannati”, diritti della personalità, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, Milano, 2000; M. DE BENEDETTO, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Il Mulino, Bologna, 2000. M. FUSI – P. TESTA, Diritto e pubblicità, Lupetti, Milano 2006. C. BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, Giuffrè, Milano 2000. S. GATTI, Pubblicità commerciale, Enciclopedia del diritto, vol. XXXVII, Giuffrè, Milano, 1988. 138 RIVISTE V. ZENO – ZENCOVICH, Prospettive di disciplina delle risorse e dei messaggi pubblicitari, in Dir. Inf., 1996; C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e giurisdizionale, in Dir. Inf., 2008. SITI WEB E ARTICOLI ON LINE www.agcm.it, Relazione annuale dell’attività svolta, 2006 e 2007; www.iap.it; www.dirittoediritti.it; www.overlex.it; www.federconsumatori.it; www.sviluppoeconomico.gov.it; www.helpconsumatori.it; Introdotto in Italia il divieto di pratiche commerciali scorrette, www.freshfields.com, settembre 2007; La Direttiva sulle Pratiche Commerciali Sleali: acquisti in UE ancora più tutelati! , www.ecc-netitalia.it; F. SCIAUDONE, Pubblicità: nuovi poteri al garante, da Il Denaro, 17/11/2007; 139 Pubblicità ingannevole e formazione del contratto, incontro di studi del CSM: La tutela dei consumatori, Roma, 14-16 novembre 2005; Pubblicità ingannevole e comparativa: piccola guida per la tutela del consumatore, pubblicazione a cura dell’A.G.C.M., www.agcm.it, 2002; Strutture di controllo della pubblicità e dell’autodisciplina pubblicitaria, www.galenotech.org; A. BALDASSARRE – V. GUGGINO, L’autodisciplina pubblicitaria e il suo giurì, www.impresastato.mi.camcom.it; F. LOY, Il messaggio pubblicitario e la repressione della pubblicità ingannevole, www.ve.camcom.it L. MICHIELIN, Il problema di una responsabilità per danno derivante da pubblicità scorretta, www.ve.camcom.it 140 141