UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN COMUNICAZIONE
DI IMPRESA E PUBBLICA
TESI DI LAUREA
IN
DIRITTO COMPARATO DELLA COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE
Quando le imprese mentono: la repressione della pubblicità
ingannevole tra autodisciplina e ordinamento statuale
Relatore
Ch. mo Prof.
Virgilio D’ANTONIO
Candidata
Manuela Branco
Matr. 0320400128
Correlatrice
Dott.ssa Chiara DI MARTINO
ANNO ACCADEMICO 2007-2008
1
Alla mia famiglia, custode del mio passato, sostegno del mio presente, guida del mio futuro.
2
INDICE
Introduzione………………………………………………………..7
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA’
COMMERCIALE: UN EXCURSUS
1.
Definizioni e profili di analisi della pubblicità……………………….11
2.
Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di un difficile
equilibrio……………………………………………………………14
3.
Il percorso italiano…………………………………………………17
CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE IN
ITALIA
1. Il D. Lgs. n.74 del 25 gennaio 1992……………………………………...20
1.1. Finalità………………………………………………………….21
1.2. Definizioni……………………………………………………...24
1.3. Elementi di valutazione…………………………………………30
1.4. Trasparenza della pubblicità…………………………………….33
1.5. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei
consumatori ………………………………………………………...38
1.6. Bambini e adolescenti…………………………………………...39
2. Il Codice del Consumo…………………………………………………..39
3. I decreti legislativi attuativi della direttiva 29/2005/CE………………….41
3.1. I soggetti protetti………………………………………………..45
3.2. Le fattispecie di pratiche commerciali scorrette: pratiche
ingannevoli e pratiche aggressive……………………………………46
3.3. Le “black list”……………………………………………………51
4. L’Autodisciplina pubblicitaria……………………………………………54
3
4.1. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria………………………...54
4.2. Gli organi dell’Autodisciplina: composizione del Comitato di
Controllo e del Giurì di Autodisciplina e loro funzioni……………....63
5. I rapporti tra Autodisciplina e ordinamento statuale: l’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato…………………………………………...70
CAPITOLO III
GIURI’ E A.G.C.M. A CONFRONTO: STUDIO DI ALCUNE
DECISIONI DEL PERIODO 2006-2008
1. Il settore delle telecomunicazioni: l’obbligo di chiarezza, correttezza e non
ambiguità delle informazioni sull’offerta………………………………...79
1.1. Gli interventi del Giurì……………………………………………...79
1.1.1. Comitato di Controllo vs Wind Telecomunicazioni per
Infostrada “Absolute Adsl” (2007)……………………………...79
1.1.2. Telecom vs Fastweb per "Telefono, Internet o Tv a 9.90 euro al
mese sino al 2009" (2008, non violazione)……………………....81
1.2. Interventi dell’A.G.C.M…………………………………………….84
1.2.1. Numero verde Gruppo Banca CR Firenze (2006)…………….84
1.2.2. Noi Wind Roaming (2007)…………………………………...88
1.2.3. Alice 20 mega con modem in noleggio (2007, non violazione)..92
2. Il settore agroalimentare: l’obbligo di correttezza delle informazioni su
caratteristiche, composizione e provenienza degli alimenti……………94
2.1. Interventi del Giurì………………………………………………..94
2.1.1. Unilever Italia vs Kraft Foods Italia per maionese “senza
colesterolo” (2008)……………………………………………94
4
2.1.2. Latte crescita Mellin (2006, non violazione)…………………..97
2.1.3. “Ovito” Gruppo Novelli (2008)……………………………..100
2.2. Interventi dell’A.G.C.M…………………………………………...103
2.2.1. Patasnella 70% di grassi in meno (2006)……………………..103
2.2.2. Salmone affumicato KV Nordic (2006)……………………...107
2.2.3. Omogeneizzati Plasmon (2007)……………………………...111
3. Prodotti potenzialmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei
consumatori: trattamenti dimagranti, bevande alcoliche……………….113
3.1. Interventi del Giurì………………………………………………..113
3.1.1. Beauty Center “Cellu-Shock” (2008)………………………...113
3.1.2. In Linea + Light (2008, ingiunzione del Comitato di
Controllo)……………………………………………………..115
3.1.3. Cynar Martini (2007, non violazione)………………………..116
3.2. Interventi dell’A.G.C.M…………………………………………...118
3.2.1. Www.zerodiet.org (2007)……………………………………118
3.2.2. Antismoking System (2006)…………………………………120
3.2.3. Pub “Los Panineros”(2007)…………………………………123
4. Due esempi di intervento dell’A.G.C.M. in materia di bambini e
adolescenti : le patatine Wacko’s (2006) e le Suonerie scaricabili al 48428
(2007)…………………………………………………………………125
5
Conclusioni……………………………………………………………...129
Bibliografia e webgrafia………………………………………………...137
6
INTRODUZIONE
Il 25 gennaio del 1992 il Parlamento approvò il decreto legislativo n. 74,
meglio noto come decreto sulla pubblicità ingannevole, in recepimento della
direttiva comunitaria n. 450 del 1984, che individuava le fattispecie di
ingannevolezza della pubblicità commerciale, nell’intento di indurre i paesi
membri ad adottare una normativa nazionale a tutela dei consumatori contro
le piccole o grandi truffe perpetrate dagli operatori commerciali attraverso i
messaggi pubblicitari.
Lo stesso decreto legislativo ha attribuito il compito di vigilare sul
rispetto della normativa e di applicare le relative sanzioni all’AGCM (Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato), la stessa autorità a cui spetta il
controllo sull’osservanza della Legge Antitrust n.287 del 1990 a tutela di
consumatori e imprese per garantire il corretto svolgimento del gioco
concorrenziale.
Nei 16 anni trascorsi dall’introduzione nell’ordinamento italiano della
suddetta normativa, si sono verificati molti cambiamenti che stanno
caratterizzando il panorama mass-mediatico e pubblicitario italiano. Lo
sviluppo della tecnologia ha, infatti, favorito l’espansione di mezzi di
comunicazione vecchi e nuovi: in primis, la rete Internet e le sue diverse
declinazioni (e-mail, chat, newsletter, forum), poi la telefonia mobile (ed
insieme ad essa sms, mms e videochiamate) e, da ultimo, l’incremento di
7
canali televisivi per effetto della diffusione tra il pubblico della parabola
satellitare e del cosiddetto «digitale terrestre».
Per anni la pubblicità è stata legata esclusivamente ai media tradizionali.
La comunicazione d'impresa, tuttavia, è sempre stata alla ricerca di nuovi
mezzi attraverso i quali diffondere i propri messaggi fra il pubblico dei
potenziali consumatori, ed ha trovato, in questi ultimi anni, il favore di nuovi
media che a loro volta l’hanno utilizzata come strumento legittimo di
sostentamento. L'avvento di tali cambiamenti è stato, quindi, salutato con
entusiasmo dagli operatori del settore. Per gli inserzionisti pubblicitari risulta,
insomma, sempre più facile comunicare. Tale progresso, tuttavia, sebbene
abbia favorito la crescita della comunicazione di massa, di contro ha anche
accresciuto le probabilità di un uso illecito e dannoso della pubblicità.
Le disposizioni entrate in vigore con il D. Lgs. n. 74/1992, integrate da
norme in tema di pubblicità comparativa illecita, attuative della direttiva
97/55/CE, sono state in seguito trasposte negli articoli da 18 a 27 del D.lgs.
n. 206/2005 (c. d. Codice del consumo). La disciplina così introdotta mirava
espressamente a tutelare tutti gli interessi potenzialmente coinvolti dalla
comunicazione commerciale ingannevole, ossia quelli dei consumatori, vittime
dirette dell’inganno, quelli dei concorrenti, svantaggiati a favore delle imprese
che ricorrono all’inganno o alla comparazione illecita e, più in generale, quelli
del pubblico alla correttezza della comunicazione commerciale.
Con i decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007, in vigore dal 21
8
settembre 2007, infine, il Governo ha recepito le Direttive comunitarie
2006/114/CE e 2005/29/CE. La prima modifica la vigente normativa sulla
pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese; la
seconda introduce la nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali (ivi
incluse le comunicazioni ingannevoli), per disciplinare i rapporti tra le imprese
e i consumatori. Anche in questo caso, entrambe le discipline sono applicate
dall’AGCM, dotata allo scopo, oltre che del potere di attivarsi d’ufficio, di
penetranti poteri investigativi e sanzionatori.
Il presente lavoro di tesi propone, dopo il primo capitolo dedicato ad
un breve excursus sulla disciplina in tema di pubblicità commerciale, un’ampia
riflessione sull’evoluzione della normativa della pubblicità ingannevole, con
particolare riguardo alla modifica determinata dai D.lgs. nn. 145 e 146/2007,
con i quali il legislatore, integrando ed innovando la disciplina complessiva, ha
dimostrato maggiore attenzione per la tutela del consumatore, oltre che per la
tutela del mercato e dei meccanismi concorrenziali.
Per evidenziare l’importanza della predetta evoluzione normativa nei
suoi aspetti pratici ed applicativi, nel terzo capitolo si analizzano le funzioni di
controllo ed i poteri sanzionatori dell’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato, e li si mette a confronto con quelli del Giurì di Autodisciplina,
esaminandone alcune recenti sentenze in settori di intervento analoghi,
confrontandole al fine di far emergere affinità e divergenze tra i criteri
decisionali dei due sistemi, ed evidenziandone il ruolo di strumenti operativi
9
da cui dipende la realizzazione di una efficace tutela del consumatore contro la
pubblicità ingannevole.
10
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA’
COMMERCIALE: UN EXCURSUS
1. Definizioni e profili di analisi della pubblicità
In Italia la prima definizione normativa di “pubblicità” è contenuta nell’
art.2, comma 1 del D.Lgs. 25/01/1992 n. 74, che la definisce come “ qualsiasi
forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la vendita di
beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi,
oppure la prestazione di opere o servizi”. Questo decreto legislativo rappresenta
l’attuazione nel nostro ordinamento dell’art.2 comma 1 della direttiva
84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, che a sua volta definisce
pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di
beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi”. Prima ancora, era stata
la legge ordinaria, ed in particolare la L.06/08/1990 N°223 sulla disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato (la cosiddetta legge Mammì) a
fornire un’articolata disciplina della pubblicità, anche se limitatamente al
settore televisivo e radiofonico, definendo per la prima volta alcuni principi
essenziali sul tema. Ancora più ampio risulta essere il significato dato al
termine dal Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria (CAP) adottato
dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), ente privato che raccoglie
11
numerose associazioni, organizzazioni ed enti del settore e che ha affidato ad
un apposito Giurì il controllo della pubblicità diffusa dai propri associati.
Nel CAP la pubblicità è definita come “ogni forma di comunicazione, anche
istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano le modalità
utilizzate”.1 Quest’ultima definizione fa rientrare nella pubblicità commerciale
anche quella “istituzionale”, che, pur non avendo come obiettivo diretto
quello della vendita di beni o servizi, persegue in realtà lo stesso scopo, ovvero
l’accreditamento dell’immagine dell’azienda agli occhi dei consumatori,
promuovendo condizioni generali favorevoli all’accettazione diffusa dei suoi
beni o servizi.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ,
autorità indipendente con competenze anche in materia di pubblicità
ingannevole, fornisce una sua definizione di pubblicità considerando tale
“quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici
(attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che
tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli
individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.”.2
La comunicazione pubblicitaria attualmente costituisce lo strumento di
realizzazione di una serie di molteplici rapporti, se si considera che essa
rappresenta, per le imprese, lo strumento più importante di valorizzazione di
1
Definizione tratta dal sito web dell’IAP, www.iap.it
2
Definizione tratta dal sito web dell’AGCM, www.agcm.it
12
prodotti e servizi, e che, per quanto concerne le imprese di comunicazione,
(radio, TV e giornali), le risorse pubblicitarie costituiscono la principale fonte
di finanziamento.3
La pubblicità può essere osservata sotto tre specifici profili: quello
contrattuale, nel quale essa assume rilievo in quanto qualifica un’offerta diretta
al pubblico, o il contenuto delle obbligazioni assunte dal venditore/fornitore
nei confronti del consumatore; quello concorrenziale, dal momento che la
promozione della propria immagine e dei propri prodotti/servizi svolge un
ruolo fondamentale nelle relazioni tra imprese appartenenti allo stesso
segmento di mercato; e infine un terzo profilo, aggiunto più di recente, che è
quello della tutela dei consumatori e la conseguente disciplina a protezione di
interessi collettivi e individuali. A questi fattori se ne aggiunge un quarto: la
pubblicità ha un forte potere di persuasione che non può essere lasciato
incontrollato, e che costituisce la principale motivazione di molti interventi di
disciplina.4
3
S. SICA – V. D’ANTONIO, Commento degli artt. 19-27, in P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di),
Commentario al Codice del Consumo, IPSOA 2006, p.100 ss.
4
V. ZENO ZENCOVICH, Prospettive di disciplina delle risorse e dei messaggi pubblicitari, in Diritto
dell’Informazione e dell’Informatica,1996, 7ss.
13
2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di
un difficile equilibrio
In Italia, tali iniziative legislative presero spunto da una vecchia querelle
che per alcuni decenni divise dottrina e giurisprudenza sul tema degli effetti
prodotti dalla diffusione di messaggi pubblicitari sugli equilibri concorrenziali
del mercato.
Per vari decenni, la maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati
economicamente più evoluti è stata del tutto sprovvista di una disciplina
normativa organica, che comprendesse una adeguata regolamentazione delle
molteplici fattispecie di rilievo giuridico connesse con il fenomeno
pubblicitario. I primi interventi normativi posti in essere nei vari Paesi,
peraltro, prendevano in considerazione, tra le diverse problematiche giuridiche
connesse al fenomeno pubblicità, esclusivamente quelle attinenti alla leale
concorrenza tra imprese, e agli episodi di sviamento di clientela derivanti dalla
diffusione di messaggi pubblicitari dal contenuto ingannevole;
nessuna
attenzione veniva, invece, riservata alla possibilità che tali messaggi potessero
causare danni concreti ai consumatori.5
La Magistratura ordinaria riteneva censurabili esclusivamente i messaggi
pubblicitari strutturati in maniera tale da arrecare pregiudizio alla reputazione
personale o commerciale di un concorrente; al di là di questo, tutto (comprese
5
Cfr. D. MARRAMA, La pubblicità ingannevole – Il giudice amministrativo e la natura giuridica delle
decisioni delle authorities, Editoriale Scientifica, Napoli 2003, p.17.
14
lodi eccessive e affermazioni false), veniva considerato lecito, sulla base del
cosiddetto dolus bonus, ovvero il costume dei produttori e dei commercianti di
esaltare esageratamente le merci e i servizi. Tale principio determinava
l’indulgenza dei giudici nei confronti dei comportamenti suddetti,
demandando integralmente il rischio connesso all’inganno pubblicitario sulle
spalle dei consumatori.6
Si dovette attendere la fine degli anni Sessanta per alcune sporadiche
pronunce che portarono i primi colpi al monolite del dolus bonus, censurando
quei messaggi pubblicitari che, in virtù di affermazioni false in essi contenute,
risultavano anche solo potenzialmente idonei a determinare ingiustificati
trasferimenti di preferenze. Infatti, a seguito dello sviluppo delle tecniche e dei
media pubblicitari, con la loro smisurata capacità di penetrazione e di
suggestione, si é reso opportuno restringere i confini della tollerabilità di
affermazioni che in mercati meno evoluti si traducono in un inganno del
pubblico.
Fu proprio a partire da quegli anni che la comunicazione promozionale
poté approfittare in maniera considerevole dei nuovi ritrovati dell’industria
tecnologica; l’ingresso della televisione in un numero sempre maggiore di
abitazioni conferì, infatti, alla réclame, quella familiarità che è stata uno tra i
principali fattori che hanno innescato la miccia del boom economico. Con il
passare degli anni, il rapporto tra pubblicità e mezzi di comunicazione di
6
D. MARRAMA, Op. Cit., p.21 ss.
15
massa è andato intensificandosi in maniera esponenziale; si è passati da una
situazione di partenza nell’ambito della quale i media si limitavano ad ospitare
al loro interno annunci pubblicitari estemporanei ed isolati, all’attuale
situazione caratterizzata da un controllo diffuso ed un’influenza pressante del
sistema pubblicitario sulle scelte di programmazione e di palinsesto. Il
consolidarsi di sistemi economici strutturati sulla mass production e sulla mass
distribution,
e
l’ormai
imprescindibile
considerazione
delle
rilevanti
ripercussioni concrete che potevano indubbiamente prodursi sui singoli
individui in seguito alla diffusione capillare di messaggi pubblicitari, imposero
alla dottrina giuridica degli Stati economicamente più sviluppati un
ampliamento di orizzonti. Fino ad allora, come si è detto, i giuristi che si
erano cimentati con le problematiche connesse alla comunicazione
promozionale si erano limitati ad analizzare esclusivamente gli aspetti
concorrenziali del fenomeno pubblicitario; da quel momento in poi, invece, ai
giuristi fu praticamente imposto lo studio di tematiche nuove, quali la tutela
dei consumatori (i cosiddetti contraenti deboli) e gli aspetti giuridici della
comunicazione promozionale.
Successivamente, intorno alla metà degli anni Settanta, i ricercatori di
diversi Paesi compresero che un’adeguata tutela degli interessi dei
consumatori poteva essere garantita esclusivamente da forme di controllo e di
verifica delle modalità attraverso le quali le singole imprese promuovevano sul
16
mercato i loro prodotti. Da quel momento in poi, nei diversi Paesi europei, la
dottrina di settore ha seguito un percorso evolutivo pressoché uniforme.
3. Il percorso italiano
In Italia, in assenza di una normativa specifica sulla materia, gli
operatori pubblicitari, hanno costituito lo IAP ( Istituto Autodisciplina
Pubblicitaria ), ente privato a base associativa, che ha affidato a un Giurì
appositamente costituito il controllo della pubblicità diffusa dai suoi associati.
L'Istituto ha elaborato un Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, pubblicato
per la prima volta nel 1966 e da allora costantemente aggiornato. Tale codice
prevede, tra l'altro, la repressione della pubblicità ingannevole ed il controllo
della correttezza della pubblicità comparativa.
Il Codice vincola solo gli
associati, che a loro volta, si impegnano ad obbligare contrattualmente al suo
rispetto i soggetti, eventualmente non associati, con i quali concludono
contratti pubblicitari. Le norme di legge esistenti ed il Codice di
Autodisciplina non erano però sufficienti a tutelare il diritto del consumatore
a ricevere una informazione pubblicitaria veritiera e affidabile. È stata la
Comunità Europea a dare un forte impulso allo sviluppo della materia,
adottando nel 1984 la direttiva 84/450/CEE, che stabiliva i principi generali
in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli stati membri
dovevano uniformarsi. Dopo un lunghissimo dibattito, la prima direttiva è
stata modificata, con l'emanazione, nel 1997, della direttiva 97/55/CE, che
17
tratta, appunto, della pubblicità comparativa. L'Italia ha dato attuazione alla
Direttiva Comunitaria 84/450/CEE adottando il decreto legislativo n. 74 del
25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole; in seguito, ha recepito le
prescrizioni comunitarie in materia di pubblicità comparativa attraverso una
modifica dello stesso decreto legislativo. Tale modifica è stata apportata dal
decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio 2000.
L'organo incaricato
dell'applicazione di entrambe le discipline così in vigore è l'Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, cioè la medesima autorità amministrativa
che applica la legge antitrust ( legge 10 ottobre 1990, n. 287 ).
In sede comunitaria, tuttavia, il cammino dell’evoluzione delle discipline
a tutela del consumatore non si era arrestato, e si era posto in agenda
l’apprestamento di strumenti di protezione massima dei consumatori nei
confronti di tutte le pratiche “sleali”. È da qui che scaturisce la Direttiva
2005/29/CE, che, oltre ad introdurre, appunto, una nuova disciplina delle
pratiche commerciali sleali (che includono le comunicazioni ingannevoli) tra
imprese e consumatori, modifica la precedente disciplina della pubblicità
ingannevole e comparativa illecita (la modifica è stata poi codificata con la
Direttiva 2006/114/CE), in modo da riservarla all’esclusiva tutela delle
imprese. Nel recepire i cambiamenti, il legislatore italiano ha inserito le norme
in materia di pratiche commerciali sleali (che ha preferito denominare
“scorrette”) nel Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005), per poi riportarle al
di fuori di esso con il D. Lgs. 146/2007, assieme alla disciplina della pubblicità
18
ingannevole e comparativa illecita, per la quale si deve fare autonomo
riferimento al D.Lgs. n. 145/2007.
19
CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE IN
ITALIA
1. Il D. Lgs. n.74 del 25 gennaio 1992
Con il d.lgs. n. 74/92, il legislatore italiano ha dato attuazione alla
direttiva CEE del 10 settembre 1984, n. 450, dedicata alla repressione della
pubblicità ingannevole. Comincia così a delinearsi un nuovo sistema di
regolazione dei contenuti della pubblicità.
Il decreto indica come “pubblicità ingannevole” ogni messaggio che, in
qualunque modo, possa essere tale da «…indurre in errore le persone fisiche e
giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere
ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo
motivo, leda o possa ledere un concorrente». L’idoneità dannosa della condotta si
esplica, dunque, sia nella direzione dei consumatori, che rischiano di subire
lesioni dall’affidamento riposto nel messaggio decettivo (lesioni tipicamente
economiche, ma che potrebbero colpire altresì la stessa integrità fisica del
consumatore: si pensi ad esempio al messaggio ingannevole relativo a
specialità medicinali, cosmetiche o comunque destinate ad uso corporeo), sia
in quella dei concorrenti, che rischiano di subire sviamenti di clientela
illegittimi, perché conseguenza di giudizi formulati sulla base dei falsi dati ad
essi forniti dal concorrente.7
7
G. ROSSI, La pubblicità dannosa – Concorrenza sleale, “diritto a non essere ingannati”, diritti della
personalità, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, Milano, 2000, p.6.
20
Questo decreto legislativo consente, così, alle imprese concorrenti, alle
associazioni di consumatori e ai singoli consumatori, oltre che alle Pubbliche
Amministrazioni, di denunciare comportamenti pubblicitari ritenuti illeciti e
sottoporre così la denuncia all’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato.
1.1. Finalità
Il 1° comma dell’articolo 1 riproduce sostanzialmente l’art. 1 della
direttiva CEE, il quale dichiara di voler tutelare “ il consumatore e le persone che
esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi
del pubblico in generale dalla pubblicità ingannevole e dalle sua conseguenze sleali”. Una
tale disciplina contro la pubblicità ingannevole può essere posta a tutela di una
molteplicità di interessi e presenta, pertanto, una collocazione teorica
articolata. Scopo della normativa è, dunque, quello di assicurare una
generalizzata tutela della collettività contro la pubblicità ingannevole.8 Mentre
la norma comunitaria, tuttavia, menziona in primo luogo il consumatore, e
solo al secondo posto “ le persone che esercitano un’attività commerciale,
industriale o artigianale”, ( il che ha condotto alcuni a concludere per la
centralità dell’interesse del consumatore nell’ottica adottata dal legislatore
8
P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza antitrust,
concorrenza sleale, pubblicità, marchi, brevetti, diritto d’autore,CEDAM, Padova, 2004, p. 1930 ss.
21
comunitario9), l’ordine adottato dalla norma nazionale è esattamente inverso.
Tale inversione non ravvisa, peraltro, la volontà di ridurre la repressione della
pubblicità ingannevole in un’ottica di tipo concorrenziale, assegnando
importanza solo secondaria alla tutela degli interessi del consumatore e del
pubblico in generale. Appare, invece, più plausibile una equiparazione, da
parte del legislatore nazionale, dell’interesse del consumatore e di quello dei
soggetti che svolgono un’attività economica,10 protetti il primo contro la
“pubblicità ingannevole”, i secondi contro le sue “conseguenze sleali”.
L’ampiezza di tale formulazione sembra dunque, estendere la tutela
contro la pubblicità ingannevole a tutti coloro che svolgono un’attività di
produzione o di scambio di beni o servizi. La stessa nozione di consumatore è
da intendersi in senso estremamente ampio, comprendendo non solo chi
abbia effettivamente acquistato il prodotto o servizio pubblicizzato, ma anche
chi si proponga di farlo e, più in generale, tutti coloro cui il messaggio
pubblicitario sia indirizzato o che possano essere raggiunti da esso.11
Conseguentemente, godono della medesima legittimazione e tutela sia i
consumatori che sono rimasti concretamente “ingannati” dalla pubblicità, sia
tutte le persone fisiche o giuridiche che, pur non avendo subito alcun danno,
rappresentano i destinatari cui la pubblicità è rivolta o che essa raggiunge. E’
9
V. MELI, La repressione della pubblicità ingannevole: commento al D. Lgs. 25 gennaio 1992, n.74,
Torino 1994, p.8 ss.
10
M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole: commento al D.Lg. 25 gennaio 1992,
n.74, Giuffrè, Milano 1993, p.77 ss.
11
M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, Op. cit., p. 81.
22
stato osservato che la genericità di tale formulazione rende difficile, se non
impossibile, l’individuazione di una vera e propria categoria di consumatori a
cui dovrebbero far capo gli interessi tutelati dal decreto, finendo per far
coincidere il consumatore con qualunque membro della collettività. 12
Tale profilo di tutela dei destinatari della comunicazione pubblicitaria
contro le scelte economicamente pregiudizievoli cui essi possano essere
indotti da false rappresentazioni della realtà, non rappresenta
che una
conquista di quel movimento di consumerism che, sviluppatosi da più di mezzo
secolo negli Stati Uniti, ha attraversato l’oceano, finendo con l’interessare
anche Paesi come il nostro, che per ragioni sociali ed economiche, si erano
mostrati, fino a questo momento, restii a recepire nel proprio ordinamento
strumenti di consumer protection13.
Il 2° comma dell’ art.1 indica i tre requisiti fondamentali del messaggio
pubblicitario: trasparenza, veridicità e correttezza. Che la pubblicità debba
essere palese, ovvero immediatamente riconoscibile, viene approfondito e
meglio precisato nell’art. 4. Con il principio della veridicità, il legislatore ha
voluto richiamare l’esigenza che la comunicazione pubblicitaria sia sincera,
cioè che, non per questo rinunciando alle tecniche di persuasione, si rivolga ai
suoi destinatari nel rispetto di un criterio di ragionevolezza e che fornisca dati
sufficienti ed esatti su di un prodotto concreto, ben determinato e definito
12
A. M. DELFINO, La pubblicità ingannevole (D.Lg. 25.1.1992 n.74), in G. VETTORI (a cura di), Materiali e
commenti sul nuovo diritto dei consumatori, CEDAM, Padova, 1999, p.477 ss.
13
V. MELI, Op. Cit. p.7.
23
nelle sue caratteristiche. Infine, la pubblicità deve essere corretta, ossia non
deve contenere elementi che possano in qualsiasi modo screditare o ledere
l’immagine dei concorrenti. Con questo decreto pertanto, l’ordinamento
italiano assume tra i suoi principi, l’accettazione di quei pregiudizi, anche
gravi, che possono derivare ad un imprenditore dal successo del suo
concorrente conquistato per effetto di una pratica commerciale sleale.
1.2. Definizioni
L’art. 2 è suddiviso in 4 commi, dedicati rispettivamente alle definizioni
di “pubblicità”, “pubblicità ingannevole”, “pubblicità comparativa” e
“operatore pubblicitario”.
La definizione della nozione di pubblicità commerciale è la prima
contenuta in un testo legislativo italiano.14 Essa è molto ampia, in quanto non
pone alcun limite né alla forma del messaggio né al suo mezzo di diffusione,
essendo essenzialmente concentrata sul “profilo teleologico” della pubblicità,
ovvero sulla promozione di un’attività economica, prescindendo dalla
qualifica di imprenditore e dalla natura pubblica o privata del soggetto nel cui
interesse la comunicazione è diffusa. Infatti viene riconosciuta natura
pubblicitaria anche a quei messaggi che promuovono attività professionali
esercitate in forma non imprenditoriale, o prestazioni di servizi erogate dalla
14
Per la definizione di “pubblicità” contenuta nell’ art. 2 a si rimanda al paragrafo 1.1.
24
Pubblica Amministrazione o da altre organizzazioni collettive.15 Non rientra,
invece, nella nozione di pubblicità accolta del D. Lgs. n. 74/1992, la
comunicazione non proveniente da un operatore economico che sia volta a
promuovere un’iniziativa senza fine di lucro16, ovvero la cosiddetta pubblicità
sociale, quella diretta a promuovere comportamenti di carattere sociale (ad
esempio le campagne “Pubblicità Progresso”, “Telefono Azzurro”, quelle
contro la droga, per la prevenzione dell’ AIDS, gli annunci diffusi da
organizzazioni no profit volte a sensibilizzare il pubblico sull’importanza della
diagnosi precoce dei tumori), oppure ad informare sui diritti e doveri dei
cittadini (campagne promosse dalle pubbliche amministrazioni per la
compilazione della dichiarazione dei redditi, per l’istruzione sulle modalità di
esercizio del voto ecc.). Non rientrano in tale nozione di pubblicità neppure le
comunicazioni a contenuto politico, ideologico o religioso. Non è invece
necessario che il messaggio persegua direttamente uno scopo promozionale,
essendo sufficiente che questo sia perseguito anche solo in maniera indiretta,
come accade nel caso della pubblicità istituzionale, finalizzata all’affermazione
dell’immagine dell’impresa.
Il messaggio pubblicitario comprende svariate forme: l’advertising
classico (cioè la pubblicità diffusa attraverso stampa, televisione, radio,
affissioni), ma anche la pubblicità cosiddetta below the line (pubblicità sul punto
15
A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 483.
16
M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, Op. Cit., p. 91 ss, V. MELI, Op. Cit., p. 28 ss.
25
vendita, volantini e simili), il mailing (promozione di vendite per
corrispondenza), addirittura la carta intestata dell’operatore economico.17 Le
opinioni sono concordi nel ritenere che costituiscano forme di comunicazione
pubblicitaria anche le sponsorizzazioni, le telepromozioni e le televendite.18
L’assenza di riferimenti all’etichettatura e all’ insieme delle componenti di
natura grafica, decorativa, strutturale e verbale della confezione di un
prodotto, ha dato adito a interpretazioni differenti. Alcuni ritengono che
anche tali elementi, data la loro valenza comunicazionale, siano da qualificarsi
come messaggio pubblicitario,19 mentre altri introducono una distinzione tra
la confezione intesa come presentazione al pubblico, che non rientrerebbe
nella nozione di pubblicità, e il messaggio apposto sulla confezione, che
sarebbe invece soggetto alla disciplina del decreto in questione.20
Secondo la definizione fornita dall’ art. 2 b, che riproduce quasi
testualmente l’art. 2 n. 2 della direttiva 84/450/CEE, deve intendersi per
17
P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1933 ss.
18
V. MELI a tal proposito, precisa, ne La repressione della pubblicità ingannevole, p.33: “La
sponsorizzazione è un’operazione di finanziamento di persone o eventi spettacolari da parte di
un’impresa, finalizzata ad ottenere un ritorno pubblicitario (…) Il messaggio pubblicitario, spesso
rappresentato dalla mera presentazione di prodotti e marchi dello sponsor, consegue all’accordo di
finanziamento. Ciò che l’ Autorità può valutare, alla luce del decreto n. 74/92, non è dunque il contenuto
di tale accordo, che resta del tutto indifferente ai fini della disciplina, ma il contenuto del messaggio che
eventualmente ne scaturisce. Lo stesso discorso si può fare per le c.d. telepromozioni (…): l’Autorità non
è certo competente a valutare se si sia in presenza di uno spot o di diversa fattispecie, (…), ma potrà
valutare l’eventuale ingannevolezza dell’invito all’ acquisto che comunque ne scaturisce.”
19
V .MELI. Op. cit., p.31-33.
20
M. FUSI – P .TESTA – P. COTTAFAVI, Op. Cit., p. 99.
26
“pubblicità ingannevole” la pubblicità che presenti contemporaneamente le
seguenti caratteristiche:
a)
idoneità ad indurre in errore i destinatari o le persone che
comunque raggiunge;
b)
idoneità, a causa del suo carattere ingannevole, a
pregiudicare il comportamento economico di tali soggetti;
c)
idoneità a ledere un concorrente, a causa dello sviamento
di clientela provocato dalla deviazione delle scelte economiche dei
consumatori.
La norma configura una parificazione tra l’effettiva induzione in errore
e/o l’effettiva lesione del concorrente, e l’idoneità a produrre l’effetto
rispettivamente ingannevole e lesivo; è infatti sufficiente la mera potenzialità
ingannatoria del messaggio. L’intera valutazione dell’Autorità Garante dovrà,
pertanto, basarsi su un giudizio “ex ante” (formulato, cioè, in termini di
“idoneità”), anche nei casi in cui gli effetti decettivi della pubblicità si siano
concretamente prodotti.21
La definizione di pubblicità ingannevole, inoltre, riguarda solo
parametri oggettivi, e prescinde totalmente dal dolo o dalla colpa
dell’operatore pubblicitario; l’ingannevolezza deve, tuttavia, essere esclusa
21
A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 491.
27
quando la discrepanza tra la realtà e le affermazioni pubblicitarie sia
accidentale, e dipenda da cause non imputabili all’operatore pubblicitario.
Il primo elemento da considerare è il contenuto del messaggio
pubblicitario, il quale deve essere interpretato nella sua globalità, senza
isolarne artificiosamente determinate espressioni; ogni messaggio va valutato
individualmente, senza tener conto di altre comunicazioni precedenti o
successive; il contenuto del messaggio va valutato non solo con riguardo a
quanto è in esso affermato, con parole o immagini, ma anche riguardo alle
omissioni, con la precisazione che non ogni omissione è rilevante, ma solo
quella da cui derivi un pericolo di inganno per il destinatario della
comunicazione. Il carattere ingannevole del messaggio può anche conseguire
all’uso di espressioni ambigue, o esagerate ( le c.d. “iperboli”, affermazioni di
primato contenute in un contesto generico e non accompagnate da riferimenti
specifici relativi alle caratteristiche del prodotto o servizio pubblicizzato: es.
“leader nel Lazio”, “la prima e più grande agenzia matrimoniale in Italia”, “la
struttura alberghiera più prestigiosa della regione”)22.
All’ingannevolezza del messaggio può contribuire anche la sua forma
espositiva e le sue modalità di presentazione; di fatto, sono state ritenute
ingannevoli pubblicità che, pur contenendo affermazioni veritiere, apparivano,
tuttavia, idonee a disorientare il consumatore a motivo dell’estrema
22
P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1936.
28
complessità e disordine dell’esposizione, nonché dell’uso di espressioni
accattivanti o ambigue.
L’attitudine ingannatoria del messaggio deve essere valutata sia con
riferimento al target specifico della pubblicità, sia con riferimento più generale
ai soggetti che possano comunque ricevere il messaggio, ossia ai potenziali
fruitori del bene o servizio pubblicizzato. Nel caso di messaggi rivolti ad una
collettività indifferenziata, si è sottolineata la necessità di assumere come
parametro di riferimento il consumatore più “sprovveduto”.23 Tale esigenza
non è stata tuttavia recepita dall’Autorità, la quale adotta generalmente il
parametro del “consumatore medio”, inteso come consumatore non esperto
dello specifico settore interessato. La circostanza che il messaggio sia rivolto
ad un target professionale, oppure ad un target di consumatori medio-alto,
non determina, secondo l’orientamento più recente dell’Autorità, l’adozione di
criteri di valutazione dell’ingannevolezza del messaggio meno severi di quelli
abituali.
Infine, la nozione di “operatore pubblicitario” individua in primo luogo
l’utente pubblicitario o committente, ossia il soggetto nel cui interesse il
messaggio è stato divulgato (l’impresa produttrice e/o distributrice del bene),
e l’agenzia o il libero professionista autore del messaggio. La responsabilità del
proprietario del mezzo è prevista dalla norma a titolo sussidiario,
23
V. MELI, Op. cit., p. 57 ss.
29
attribuendogli solo un obbligo di comunicazione dell’identità dell’inserzionista
e dell’autore del messaggio pubblicitario.
1.3. Elementi di valutazione
Anche l’ art. 3 riproduce quasi testualmente il contenuto dell’ art. 3 d.
84/450/CEE , ed elenca a titolo esemplificativo alcune possibili ipotesi di
inganno pubblicitario, suddividendole rispettivamente in tre gruppi, relativi
rispettivamente:
a)
alle caratteristiche dei beni e servizi pubblicizzati, ai loro
effetti, ai risultati di prove o tests effettuati su di essi;
b)
al prezzo e alle condizioni di vendita;
c)
all’identità e alle caratteristiche dell’operatore pubblicitario.
Le caratteristiche strutturali o funzionali del bene fatte oggetto
dell’inganno possono riguardare il prodotto o il servizio in sé, oppure in
rapporto a prodotti concorrenti (come nel caso in cui si crei confusione con i
prodotti concorrenti). Una tipica fattispecie di pubblicità ingannevole legata
alle caratteristiche del prodotto è data dall’appropriazione di pregi, come
l’attribuzione di riconoscimenti inesistenti, o comunque appartenenti solo ad
alcuni dei prodotti reclamizzati, o l’omessa indicazione, invece, della
mancanza di caratteristiche o autorizzazioni essenziali. Sempre in questa
categoria rientrano quelle ipotesi di comparazioni tra prodotti concorrenti in
30
cui vengono isolati arbitrariamente alcuni risultati, ed omesse altre circostanze
e precisazioni essenziali perché la comparazione possa essere intesa in modo
corretto. Soprattutto rientrano in questa categoria le ipotesi di pubblicità
ingannevole in relazione alle caratteristiche in senso stretto del prodotto, alle
modalità di assunzione e agli effetti. L’ingannevolezza relativa alle
caratteristiche in senso stretto del prodotto può riguardare l’origine geografica
e commerciale, la composizione, la quantità (quando quella effettiva è minore
di quella indicata sulla confezione del prodotto), l’uso e così via. I messaggi
denunciati sotto il profilo degli effetti del prodotto riguardano prodotti
“miracolosi” negli effetti promessi, come dimagranti portentosi, prodotti anticellulite o anti-età, integratori alimentari, scuole ed istituti di insegnamento
privati (idonei ad illudere circa la possibilità di conseguire un titolo di studio
legalmente valido velocemente e senza sforzo), talismani, amuleti e simili,
oppure quelli che, pur essendo veritieri sulla natura degli effetti prodotti,
mentono sulla loro velocità e quantità. Infine l’ingannevolezza può riguardare
anche le caratteristiche degli omaggi o delle operazioni promozionali, perché
anche questi sono idonei ad attirare le scelte dei consumatori.24
L’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario in relazione al prezzo si
ha quando viene indicato un prezzo diverso da quello che l’acquirente si
troverà a pagare, o quando, comunque, viene indicato in modo equivoco, cioè
da poter indurre in errore circa la sua effettiva entità. Tale principio ha trovato
24
A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 499 ss.
31
specifica applicazione in particolar modo nei settori della telefonia, dei
carburanti, delle tariffe aeree, dei “numeri verdi” (che comportavano in realtà
un costo a carico del chiamante), dei servizi di accesso a Internet.25
L’ingannevolezza può riguardare anche le condizioni in generale alle quali i
prodotti o servizi vengono forniti: omaggi in realtà subordinati ad un acquisto,
sconti praticati, garanzie prestate, partecipazione a concorsi a premio fittizi
che in realtà dissimulano un’operazione promozionale, e così via.
L’inganno può provenire anche dall’identità dell’impresa inserzionista,
fornendo un’immagine diversa ( e migliore ) della stessa, rilevante ai fini di una
maggiore affidabilità circa la qualità dei beni o servizi da essa offerti. Sono
pertanto da ricondurre alla previsione in esame i messaggi che accreditano nel
consumatore la convinzione che l’inserzionista fruisca di una struttura
aziendale maggiore o più articolata di quella che possiede nella realtà, o abbia
una qualificazione giuridica diversa e più affidabile, o svolga un’ attività
diversa, o che ancora possa vantare, contrariamente al vero, una specifica
esperienza nel settore interessato. Sono stati ritenuti ingannevoli anche
messaggi nei quali l’impresa vantava certificazioni di qualità inesistenti, oppure
le false affermazioni di superiorità, unicità e primato (es. l’espressione “primi
nel mondo” riferita agli operatori di un centro estetico, il claim “il nuovo
leader italiano della multiproprietà”).26
25
26
P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1946.
AG n. 1949, AG n. 2528, in P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Op. cit., p. 1947 ss.
32
1.4. Trasparenza della pubblicità
L’ art. 4 sulla trasparenza della pubblicità, è ritenuta una specificazione
del principio generale dettato dall’ art.1 comma 2 del decreto, secondo cui la
pubblicità deve essere palese, oltre che veritiera e corretta. Scopo della norma
è quello di consentire ai consumatori, attraverso la riconoscibilità della natura
promozionale e non indipendente del messaggio, di attivare quella reazione
critica e mantenere quella soglia di attenzione, che mancherebbero qualora la
comunicazione apparisse di provenienza autonoma. Il divieto di pubblicità
non riconoscibile non è volto, tuttavia, a tutelare solo i consumatori, ma anche
i concorrenti, i quali possono risultare svantaggiati nel competere con coloro
che fanno ricorso a questo scorretto espediente per promuovere i loro beni e
servizi.27 Ci sono essenzialmente due ipotesi di pubblicità occulta: quella in cui
non viene resa manifesta la natura pubblicitaria della comunicazione, così che
il destinatario è indotto a farvi maggiore affidamento, confidando su una
maggiore imparzialità, e quella in cui non si ha chiara percezione neanche
dell’esistenza del messaggio stesso, come nel caso della pubblicità subliminale,
espressamente vietata dal comma terzo dell’art. 4. La pubblicità occulta va
distinta dalla sponsorizzazione occulta o product placement, tipo di pubblicità che
comporta l’evidenziazione di un marchio nel corso di spettacoli
cinematografici o televisivi, attuata nel contesto narrativo della situazione
rappresentata e in modo che la presenza del bene appaia essere il frutto della
27
AG n. 3654 in MARCHETTI – UBERTAZZI, Op. cit., p. 1951, FUSI – TESTA – COTTAFAVI , Op. cit. p. 167,
MELI, Op. cit. p. 70.
33
scelta culturale dell’autore dello spettacolo, mentre in realtà costituisce
l’oggetto di un accordo tra il produttore dell’opera e l’azienda da cui
provengono i beni indirettamente promozionati. Gli esempi più comuni di
tale pratica si riscontrano nel settore cinematografico (numerose sono le scene
di film in cui si vedono marchi di auto, sigarette, vestiario ecc.). La definizione
di sponsorizzazione occulta è tuttora in uso, nonostante il d.m. 30/07/2004,
in attuazione del d. lgs. n. 28/2004, abbia introdotto nel nostro ordinamento
la fattispecie di “opera cinematografica product placement” per indicare una
ipotesi di sponsorizzazione palese e perciò consentita, alle condizioni
specificate dalla stessa normativa. La normativa del 2004 consente
l’inquadratura di marchi e prodotti nelle scene di opere filmiche realizzate per
le sale cinematografiche, anche quando questo avvenga in esecuzione di un
accordo oneroso fra l’azienda a cui sono riferibili marchi e prodotti e il
produttore dell’opera, a condizione che di ciò il pubblico sia reso edotto
mediante un apposito avvertimento da collocare nei titoli di coda dell’opera,
confermando così che ad essere consentita è l’attività promozionale palese,
mentre quella occulta resta vietata. Nella sponsorizzazione occulta è
ravvisabile una forma di pubblicità non trasparente ogniqualvolta
l’inquadratura sul prodotto (o sul suo marchio) appaia artificiosa, insistente e
non giustificata da ragioni tecniche o artistiche.28
28
Concorrenza sleale e pubblicità, estratto da L.C. UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su
proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova 2007, p. 265.
34
Il problema della pubblicità non trasparente, infine, si pone anche in
relazione all’indipendenza di giornalisti ed editori, al rispetto della libertà di
manifestazione del pensiero, del diritto all’informazione, dei tetti di
affollamento della comunicazione commerciale. Proprio alla pubblicità diffusa
a mezzo stampa fa riferimento il comma primo dell’art.4, nel richiedere che
essa sia percepibile mediante modalità grafiche di evidente percezione, allo
scopo, appunto, di differenziare gli articoli a carattere giornalisticoinformativo dai messaggi a carattere promozionale. L’idoneità di un messaggio
a generare un oggettivo effetto promozionale non è sufficiente a farne
presumere la natura pubblicitaria, in quanto un effetto promozionale indiretto
a favore di determinati prodotti o servizi potrebbe legittimamente
determinarsi, in conseguenza di apprezzamenti positivi espressi nell’ambito di
un contesto puramente informativo.29 La valutazione della trasparenza di un
messaggio pubblicitario si svolge in due fasi: la prima è volta a verificare se la
comunicazione in esame costituisca pubblicità, ovvero una comunicazione a
scopo promozionale; la seconda, che ha luogo in caso di accertata natura
promozionale del comunicato, è volta a stabilire se tale natura sia percepibile.
Sono ritenuti indici intrinseci della natura pubblicitaria della comunicazione il
ricorso a toni enfatici ed elogiativi, e l’assenza di spunti critici nella descrizione
del prodotto o servizio citati, la loro raffigurazione in assenza di motivi che ne
giustifichino la visualizzazione per esigenze informative, il rinvio per
29
C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e
giurisdizionale in Dir. Inf. 2008, p. 19.
35
informazioni al numero telefonico dell’inserzionista, la citazione del o dei
prodotti di una sola azienda in un contesto che legittimerebbe la menzione
anche di prodotti concorrenti.30 Una volta appurata la natura pubblicitaria di
un articolo giornalistico, pertanto, la valutazione dell’ Autorità garante sarà
indirizzata ad accertare la sussistenza di quelle “modalità grafiche di evidente
percezione” che l’art. 4 richiede per rendere la pubblicità palese, ossia la
presenza di scritte “pubblicità”, “campagna pubblicitaria” e simili, caratteri
grafici diversi per dimensioni o caratteristiche cromatiche rispetto al resto del
contesto, la presenza di margini, filettature, o particolari titoli o sottotitoli, la
preponderanza della parte figurativa, l’inserimento dei messaggi in un’apposita
pagina separata, la presenza del marchio d’azienda e così via. Viene
considerato lecito il cosiddetto giornalismo di servizio, cioè la segnalazione e
descrizione anche particolareggiata di beni che risponda ad autonome scelte
redazionali della testata giornalistica e ad un interesse del consumatore a tali
dati. L’accertamento dello scopo promozionale presuppone l’individuazione
di un rapporto di committenza tra l’impresa che beneficia della citazione dei
propri prodotti o servizi e il mezzo su cui è diffuso il messaggio. Tuttavia,
nell’estrema difficoltà o impossibilità di raggiungere una prova diretta del
rapporto di committenza, il criterio seguito dall’ Autorità fin dalle prime
pronunce è quello della prova presuntiva, in forza del quale la natura
promozionale di un messaggio viene desunta da elementi indiziari, purché
30
L.C. UBERTAZZI, Op. cit. p. 23.
36
gravi, precisi, concordanti e valutati tenendo conto dell’esigenza di
contemperare la tutela dei consumatori con la libertà di manifestazione del
pensiero e delle scelte editoriali, le quali possono lecitamente avere per
oggetto la descrizione di beni o servizi.
L’art. 4 disciplina anche l’utilizzazione dei termini “garanzia” e
“garantito”. Lo scopo di tale disposizione è quello di evitare che si creino nei
consumatori inutili affidamenti in ordine alla possibilità di ottenere, da parte
del produttore, delle prestazioni riparatorie o sostitutive. Si richiede infatti,
che l’utilizzazione di tali termini sia accompagnata dalla precisazione del
contenuto e delle modalità, e solo qualora la brevità del messaggio non lo
consenta, si ritiene sufficiente un “riferimento sintetico” con rinvio ad un
testo “facilmente riconoscibile dal consumatore”.
Il comma terzo vieta la pubblicità subliminale, una tecnica
comunicazionale che tende a stimolare un bisogno all’insaputa del
consumatore, inducendolo quindi a compiere l’atto economico per riflesso
condizionato, ad esempio attraverso messaggi audiovisivi in cui siano inseriti
fotogrammi di brevissima durata non percepibili direttamente, ma capaci di
creare suggestioni a livello inconscio.
37
1.5. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza
dei consumatori
L’ art. 5 considera ingannevole la pubblicità relativa a prodotti
pericolosi per la sicurezza e la salute dei consumatori che ometta di darne
notizia, in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di
prudenza e vigilanza.
La norma delinea una fattispecie di illecito per il quale non è sufficiente
la sola reticenza sulla pericolosità, ma occorre anche un nesso di causalità tra
la omessa informazione e l’induzione a trascurare le normali regole di
sicurezza e vigilanza, e non è quindi applicabile a messaggi per prodotti
notoriamente pericolosi, per i quali l’inosservanza delle comuni cautele non
potrebbe essere imputata all’omissione di avvertenze nella relativa pubblicità.
L’Autorità Garante ha identificato alcune categorie di prodotti suscettibili di
rientrare nel campo di applicazione della norma: bevande alcoliche, medicinali,
prodotti dell’elettricità, trattamenti dimagranti. La violazione dell’ art. 5 è stata
inoltre affermata in relazione alla dicitura “light” apposta su un pacchetto di
sigarette con contenuto di nicotina inferiore al normale, in quanto idonea a
suggerire una minore pericolosità del prodotto, mentre in sede di istruttoria
era emerso che i danni provocati dalle sigarette leggere non sono inferiori a
quelli delle sigarette normali; per messaggi che attribuivano al prodotto la
capacità, in realtà non posseduta, di prevenire rischi per la salute, creando un
affidamento negli utilizzatori ed inducendoli a non adottare le comuni cautele;
38
per messaggi che affermavano la proprietà di prodotti non farmaceutici di
combattere varie patologie, giudicati idonei ad indurre i consumatori a
trascurare o ritardare la consultazione del medico; per messaggi a favore di
preparati dimagranti che omettevano di segnalare effetti collaterali o
controindicazioni al loro uso, o problemi inerenti la loro tollerabilità da parte
dell’organismo, o che promettevano risultati miracolosi, potendo indurre i
consumatori a trascurare un regime dietetico adeguato o il ricorso a cure
medico-specialistiche.
1.6. Bambini e adolescenti
L’art. 6 contempla altre tre ipotesi di pubblicità espressamente
assimilate a quella ingannevole. La prima riguarda quelle comunicazioni che si
rivelano idonee a minacciare la sicurezza sia fisica che mentale dei minori. La
minaccia alla sicurezza psichica si attua attraverso la diffusione di immagini
particolarmente crude e raccapriccianti.31 La minaccia alla sicurezza fisica si
attua, invece, essenzialmente attraverso la proposizione di modelli di
comportamento pericolosi che i più piccoli, grazie al loro naturale spirito di
emulazione, potrebbero essere portati a ripetere.
La seconda ipotesi è quella che più si avvicina alla definizione di
ingannevolezza data dall’art. 2: è infatti considerata ingannevole la pubblicità
che abusi della naturale credulità o inesperienza dei minori, evidentemente allo
31
FUSI – TESTA – COTTAFAVI, Op. cit., p. 236 ss.; MELI, Op. Cit. p. 96 ss.
39
scopo di indurli in errore. I minori vengono, pertanto, fatti oggetto di una
tutela più incisiva rispetto agli adulti, proprio per via dei diversi livelli
percettivi e cognitivi posseduti. L’ampiezza del concetto di “abuso” è
suscettibile di ricondurre nell’ambito della norma anche fattispecie estranee ad
ipotesi di raggiro vero e proprio, nelle quali lo sfruttamento del minor senso
critico dei più giovani al fine di promuovere l’acquisto del bene pubblicizzato
venga attuato attraverso mezzi come la pressione psicologica, volta ad
incoraggiare il consumismo eccessivo o la competizione con i coetanei, o ad
indurre sentimenti di inferiorità in relazione al mancato possesso del bene
reclamizzato o, ancora, invidia nei confronti di chi ne abbia la disponibilità.
Ulteriore differenza rispetto alla fattispecie di pubblicità ingannevole dell’ art.
2 è che la vittima dell’inganno pubblicitario (il minore) generalmente non
coincide con colui il cui comportamento economico sarà in concreto
pregiudicato, dal momento che i minori, in quanto tali, non sono capaci di
autonome scelte di acquisto, ma potranno solo far pressione in tal senso sugli
adulti.32
E’ considerata ingannevole, infine, la pubblicità che, impiegando
bambini e adolescenti nei messaggi pubblicitari, abusi dei naturali sentimenti
degli adulti per i più giovani, attuando una sorta di “ricatto dei sentimenti”. Si
tratta, in sostanza, di una forma di pubblicità suggestiva, basata sullo
sfruttamento dei sentimenti, delle emozioni che certe immagini o espressioni
32
A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 510.
40
possono suscitare nel pubblico, risultando, così, molto più incisiva e
convincente, ad esempio suscitando sensi di colpa e dubbi sull’adeguatezza
delle cure prestate dai primi ai secondi33, e la convinzione che tale ruolo
sarebbe svolto più adeguatamente acquistando il prodotto pubblicizzato.
Gli artt. 7 e 8 del d. lgs. n. 74/92, aventi ad oggetto la tutela
amministrativa e giurisdizionale e l’autodisciplina,
saranno oggetto dei
paragrafi n. 2.4 e 2.5.
2. Il Codice del consumo
Le disposizioni entrate in vigore con il D. Lgs. n. 74/92, integrate da
norme in tema di pubblicità comparativa illecita, attuative della Direttiva
97/55/CEE, sono poi state trasposte negli articoli da 18 a 27 del D.lgs. n.
206/2005 (Codice del consumo). La disciplina così introdotta mirava
espressamente a tutelare tutti gli interessi potenzialmente coinvolti dalla
comunicazione commerciale ingannevole, ossia quelli dei consumatori, vittime
dirette dell’inganno, dei concorrenti, svantaggiati a favore delle imprese che
ricorrono all’inganno o alla comparazione illecita e, più in generale, quello del
pubblico alla correttezza della comunicazione commerciale.
Il Codice del Consumo in sostanza, ripropone quasi pedissequamente la
disciplina previgente, riconducendola però, nell’orbita dei diritti dei
consumatori. Esso cerca, in tal modo, di ovviare alla genericità della direttiva
33
MELI, Op. cit., p. 99.
41
84/450/CEE, la quale si limita ad indicare, con formule generali, gli strumenti
tramite i quali gli stati membri possono sanzionare le fattispecie di pubblicità
ingannevole, nell’interesse sia dei consumatori che del pubblico in generale. La
disciplina comunitaria, infatti, definisce le fattispecie di pubblicità
“ingannevole”, ma non prende in considerazione né la pubblicità scorretta né
quella comparativa.
Di conseguenza, la nuova collocazione della disciplina della pubblicità
ingannevole sembra far emergere un nuovo orientamento del legislatore
italiano, che ritiene prevalente il profilo della protezione del consumatore
rispetto a quello della tutela della concorrenza. Nonostante ciò, gli artt. 18-27
del Codice del Consumo conservano quel carattere ibrido, tipico delle materie
ove la linea di confine tra profili pubblicistici e privatistici è più labile.34
3. I decreti legislativi attuativi della direttiva 2005/29/CE
Negli ultimi anni la tutela del consumatore ha subito un importante
riconoscimento ed un incisivo rafforzamento sul piano comunitario. L’11
giugno 2005 viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, la
direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e
consumatori. Tale direttiva, sul piano normativo, modifica la direttiva
84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE.
34
S. SICA – V. D’ANTONIO, Commento degli artt. 19-27, in P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di),
Op. cit., p. 103 ss.
42
Con la direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali si
rafforza la tutela dei consumatori europei. I dati raccolti a livello comunitario
mostravano la carenza di fiducia dei consumatori per la tutela non uniforme
dei loro diritti specie negli acquisti internazionali. Pertanto, in primo luogo la
normativa di recepimento nel diritto interno assicura l’uniformità e la
trasparenza delle disposizioni all’interno dell’Unione Europea.35
Lo scopo principale che tale direttiva quadro si propone, dunque, è
quello di realizzare un’”armonizzazione massima” della normativa a tutela del
consumatore, all’interno di tutti gli Stati membri, colmando le lacune e le
notevoli differenze delle varie legislazioni nazionali. Ciò comporta che gli Stati
membri non hanno la possibilità di mantenere o stabilire norme più restrittive
o ampliative di quelle previste dal testo comunitario per imporre prescrizioni
supplementari nel settore coordinato dalla direttiva stessa.
La direttiva, in secondo luogo, si propone di disciplinare “l’atto del
consumo nel suo aspetto dinamico”, cioè disciplinare quella fase in cui il
professionista, attraverso comunicazioni, informazioni, messaggi pubblicitari,
si mette in contatto con il consumatore, un altro soggetto che, agendo al di
fuori della sua attività, non conosce (o conosce ben poco) le caratteristiche del
bene o servizio che gli viene offerto e che dunque, per questa ragione, può
cadere vittima di scelte poco vantaggiose che incidono sui propri interessi
35
http://pratichesleali.sviluppoeconomico.gov.it/Documentazione/comunicato%20PCS.pdf
43
economici.36 Essa, dunque, armonizza interamente la normativa vigente in
questo settore istituendo un divieto di ordine generale: si tratta infatti di una
direttiva quadro che si applica a tutte le transazioni delle imprese con il
consumatore, al fine di evitare i sempre più frequenti casi in cui il
consumatore viene influenzato da una pratica commerciale sleale.
In Italia, la suddetta direttiva è stata attuata dai decreti 145 e 146 del 2 agosto
2007. Il d.lgs. 145/2007, attuando l’art. 14 della direttiva 2005/29/CE, che a
sua volta modifica la direttiva 84/450/CEE, disciplina la pubblicità
ingannevole
nei
rapporti
tra
professionisti.
Esso
contiene
norme
specificamente dirette a tutelare “i professionisti” dalla pubblicità ingannevole
e dalle sue conseguenze sleali, ma viene sostanzialmente riprodotto l’impianto
normativo già previsto dagli articoli da 18 a 27 del codice del consumo.
Esso indica, a titolo esemplificativo, alcuni elementi di valutazione sulla cui
base è possibile formulare il “giudizio di ingannevolezza” della pubblicità.
Fissa, inoltre, le condizioni in presenza delle quali è considerata lecita la
pubblicità comparativa.
Il d.lgs. 146/2007 modifica, invece, gli articoli da 18 a 27 del d.lgs. 206/2005,
introducendo
la
disciplina
delle
pratiche
commerciali
scorrette,
distinguendole in “pratiche ingannevoli” e “pratiche aggressive”, e
36
L. DI MAURO, L’iter normativo: dal libro verde sulla tutela dei consumatori alla direttiva sulle pratiche
commerciali sleali, in E.MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali –
Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Giuffrè, Milano 2007, p. 27 ss.
44
presentando una black list delle condotte considerate in ogni caso vietate. Di
seguito si espongono i punti fondamentali di tale disciplina.
3.1. I soggetti protetti
A differenza della precedente disciplina della pubblicità ingannevole, la
nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali individua esplicitamente
come soggetto da proteggere il consumatore, definito come “qualsiasi persona
fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non
rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale”
(art. 1 a). Il parametro di riferimento della tutela viene ulteriormente
specificato nell’art. 20 comma 2, in cui la nuova disciplina invita a tenere
conto del “consumatore medio” del gruppo che rappresenta il target cui la
pratica è diretta o che essa raggiunge, quello che nel considerando 18 della
direttiva 29/2005/CE è definito come il consumatore normalmente
informato e ragionevolmente attento ed avveduto, considerando però che la
pratica
potrebbe
coinvolgere
anche
sottogruppi
di
consumatori
particolarmente vulnerabili (ad es. i minori). In tal caso, come consumatore di
riferimento viene considerato un esponente medio di quel gruppo. Tale
previsione chiarisce il criterio che i tribunali nazionali devono applicare, onde
ridurre considerevolmente la possibilità di valutazioni divergenti all’interno
dell’UE di pratiche tra loro simili.
45
L’art. 1 b
definisce il concetto di “professionista”, ossia “qualsiasi
persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel
quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque
agisce in nome o per conto di un professionista” . La direttiva 2005/29/CE,
modificando la direttiva 1984/450/CEE, consente espressamente agli Stati
membri di adottare “disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più
ampia tutela, in materia di pubblicità ingannevole, dei professionisti e dei
concorrenti”,37 consentendo, pertanto, regolamentazioni differenziate in ogni
ordinamento nazionale. L’Italia, quindi, può disciplinare i profili delle
comunicazioni commerciali riguardanti i competitors
in maniera analoga o
corrispondente con quelli relativi ai consumatori, purché tali norme siano
direttamente fondate sulla direttiva 1984/450/CEE, come emendata dalle
direttive 1997/55/CE e 2005/29/CE. La tutela delle categorie più deboli
invece, non può differire da quanto previsto nella direttiva 2005/29/CE.38
3.2. Le fattispecie di pratiche commerciali scorrette:
pratiche ingannevoli e pratiche aggressive
La direttiva sulle pratiche commerciali sleali rappresenta l’attuazione
delle considerazioni svolte dalla Commissione Europea in occasione della
stesura del Libro Verde del 2 ottobre 2001, “Sulla tutela dei consumatori
37
Cfr. considerando n.14 della direttiva 2005/29/CE.
38
A. SACCOMANI, Le nozioni di consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2005/29/CE, in E.
MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Op. cit., p. 146.
46
nell’Unione Europea”. Tale Libro Verde mirava ad individuare i possibili futuri
orientamenti politico-legislativi sulla tutela dei consumatori nell’Unione
Europea, svolgendo una serie di considerazioni, sia di carattere politico, che
economico-giuridico, relative alla necessità di un intervento legislativo
organico che mirasse a realizzare la piena armonizzazione della normativa
comunitaria in relazione alla tutela del consumatore.
“Pratica commerciale” è definita “qualsiasi azione, omissione, condotta o
dichiarazione,
comunicazione
commerciale
ivi
compresa
la
pubblicità
e
la
commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla
promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori” (art. 1 d).
Una pratica commerciale è scorretta “se è contraria alla diligenza
professionale, o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in
relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del
membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato
gruppo di consumatori” (art. 20, comma 2).
Accanto, dunque, al divieto generale imperniato sulla violazione della
diligenza professionale ( “principi generali di correttezza e buona fede nel settore di
attività di un professionista”39 ), unita all’idoneità a falsare il comportamento
economico del consumatore, le fattispecie di pratiche commerciali scorrette
vengono successivamente bipartite in pratiche ingannevoli (artt. 21 e 22) e
39
Art. 1 h del d.lgs. 146/2007.
47
aggressive (artt. 24 e 25). A chiusura,40 segue un’analitica elencazione delle
ventitré fattispecie in ogni caso vietate (c.d. black list), ossia giudicate scorrette
senza necessità di dimostrare la contrarietà alla diligenza professionale o la
loro idoneità a falsare le scelte del consumatore, sia rispetto alle pratiche
ingannevoli (art. 23), che a quelle aggressive (art. 26).
L’art. 2141 fornisce i parametri per operare la valutazione di
ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, i quali rappresentano una
sostanziale trasposizione delle originarie fattispecie di pubblicità ingannevole,
con il valore aggiunto rappresentato, oltre che dalla citata black list di cui all’art.
23, dalla previsione di un’organica disciplina delle omissioni ingannevoli
contenuta nell’art. 22.
In particolare, il comma 1 considera ingannevole quella pratica
commerciale che “contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto
corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad
indurre in errore il consumatore medio (…), e, in ogni caso, lo induce o è idonea ad indurlo
ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Gli
elementi rispetto ai quali valutare l’induzione in errore sono rappresentati, in
sintesi, dall’esistenza, dalla natura e dalle caratteristiche strutturali e funzionali
del prodotto, tra le quali la sua disponibilità, la sua natura, l’esecuzione, la
composizione, gli usi, la quantità, l’origine geografica o commerciale, i risultati
40
Cfr. Allegato I della direttiva 29/2005/CE.
41
Cfr, 2005/29/CE, art.6.
48
ottenibili(lettere a e b); dagli impegni assunti dal professionista (lettera c); dal
prezzo e dal modo in cui esso viene calcolato (lettera d); dalla necessità di un
servizio post-vendita a scopi di manutenzione, ricambio, sostituzione o
riparazione (lettera e), dalla natura e dalle qualifiche del professionista, come la
qualificazione giuridica, i diritti di proprietà industriale e intellettuale, in
quanto idonee a creare un maggiore o minore affidamento circa la qualità dei
beni e servizi offerti (lettera f); e infine, dai diritti del consumatore, incluso
quello di sostituzione o di rimborso (lettera g).42 Il comma 2, nelle lettere a e
b, parifica alle illustrate fattispecie la confusione sull’attività, i prodotti, i
marchi o altri segni distintivi di un concorrente, compresa la comparativa
illecita, e il mancato rispetto dei codici di condotta che lo stesso professionista
si è impegnato a rispettare. Infine, i commi 3 e 4 sanzionano come pratica
commerciale ingannevole quella che omette di dare notizia della pericolosità
del prodotto e quella che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini e
adolescenti, è idonea a minacciare la loro sicurezza.
Oltre alle azioni ingannevoli, il d.lgs. 146/2007 contempla, all’art. 22, le
omissioni ingannevoli,43 definendole come quelle pratiche commerciali che
omettono informazioni rilevanti, necessarie affinché il consumatore medio
possa adottare una scelta consapevole, le quali inducano o siano idonee ad
42
I. PRINCIPE, Pratiche ingannevoli e pubblicità ingannevole, in E. MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura
di), Op. cit., p. 188.
43
Cfr. 2005/29/CE, art.7.
49
indurre all’adozione di una decisione di natura commerciale, che non avrebbe
altrimenti preso.
Rispetto all’elencazione del Codice del consumo, quella fornita dall’art.
22 del decreto è più puntuale, e la formulazione della norma sembra indicare
dei parametri di valutazione dell’induzione in errore maggiormente aderenti
all’istanza di tutela del consumatore. In particolare, tali parametri, contenuti
nel comma 4, alle lettere da a ad e, e nel comma 5, rilevano le omissioni
rispetto alle caratteristiche e alla provenienza del bene ( lettere a e b ), al
prezzo e alle modalità del suo calcolo ( lettera c ), alle modalità di pagamento,
di consegna, esecuzione e trattamento dei reclami ( lettera d ), all’esistenza di
un diritto di recesso o scioglimento del contratto ( lettera e ), e infine, rispetto
ad obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario (art.22, comma 5).
All’omissione informativa viene parificata l’opacità , ossia il riportare le
medesime informazioni rilevanti per la scelta d’acquisto in maniera oscura,
incomprensibile, ambigua o intempestiva (comma 2), imponendo di tener
conto, in tale valutazione, delle caratteristiche del mezzo di comunicazione,
laddove comportino delle limitazioni in termini di spazio e tempo, oltre che
delle misure adottate dal professionista per ovviare a tali circostanze (comma
3).
Pratica aggressiva è invece definita (art. 24) una pratica commerciale
che, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o
indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la
50
libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio. In sostanza, a
differenza delle pratiche ingannevoli, che ledono la libertà del consumatore
distorcendo il percorso cognitivo che porta all’adozione delle decisioni
economiche, le pratiche aggressive la ledono esercitando sul consumatore
indebite pressioni. Gli elementi per determinare se una pratica comporta
molestia o coercizione sono dettati nelle lettere da a ad e dell’art. 25 e, oltre ad
una valutazione sui tempi, sul luogo, la natura e la persistenza (lettera a), fanno
riferimento alla minaccia fisica, verbale, contrattuale, legale, oltre che allo
sfruttamento di una situazione tragica, o alla minaccia, manifestamente
temeraria o infondata, di promuovere un’azione legale (lettere da b ad e).44
3.3. Le “black list”
L’art. 23 e l’art. 26 del d.lgs. n. 146/2007 contengono la black list delle
trentuno fattispecie di pratiche commerciali considerate in ogni caso scorrette,
così come elencate nell’allegato I della direttiva 29/2005/CE, definendone
rispettivamente ventitré come ingannevoli e otto come aggressive.
Le pratiche considerate in ogni caso ingannevoli possono essere
ricondotte alle seguenti macro-categorie:
a)
pratiche commerciali fondate sull’inganno dell’apparenza: si
tratterebbe di condotte commerciali caratterizzate tutte dall’essere lesive
dell’affidamento fatto dal consumatore sulla sussistenza di iniziative di
44
C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e
giurisdizionale in Dir. Inf. 2008, p.11.
51
autoregolamentazione e codici di condotta (lettere a, b, c, d); sulla natura del
prodotto (lettere i, l, n, r, s) e sulla garanzia (lettere h, bb); sulla figura del
venditore stesso (lettere o, aa).
b)
pratiche commerciali fondate sull’inganno della propaganda:
mirano ad indurre il consumatore ad acquistare facendo leva su ingannevoli
dichiarazioni relative al prezzo (lettere e, f, v), alle condizioni di mercato
(lettere p, t, u, z), alla pubblicità (lettera m), o quelle che mettono fretta al
consumatore (lettere g, q).45
L’elenco si apre con alcune pratiche lesive della fiducia del consumatore
nel campo dell’autoregolamentazione; è ingannevole dunque, “l’affermazione,
da parte del professionista, di essere firmatario di un codice di condotta ove egli non lo sia”.
Allo stesso modo, sono pratiche in ogni caso ingannevoli l’esibire un marchio
di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto
la necessaria autorizzazione; l’asserire, contrariamente al vero, che un codice
di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura;
l’asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche
commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da
un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni
dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta, ecc.
Le pratiche commerciali aggressive, invece, possono immaginarsi
ripartite in tre categorie: quelle minatorie (a, g), ossia le condotte commerciali
45
M. DONA, L’elenco delle fattispecie considerate in ogni caso sleali nell’allegato I della direttiva
2005/29/CE, in E. MINERVINI – L. ROSSI CARLEO (a cura di), Op. cit., p. 197 ss.
52
tendenti ad intimidire il consumatore allo scopo di indurlo ad un
comportamento diverso da quello che avrebbe tenuto se fosse stato libero di
autodeterminarsi; quelle petulanti (b, c, e, f, g), caratterizzate dall’insistenza del
professionista, che con i suoi comportamenti invadenti mira a condizionare le
scelte negoziali del consumatore; quelle defatiganti (d, h), ossia quelle condotte
poste in essere dal professionista allo scopo di stancare il consumatore,
fiaccarne la resistenza, demotivarlo per ottenere che receda da una legittima
richiesta o da una aspettativa indotta da altri.
Sono esempi di pratiche in ogni caso scorrette, tra le altre: effettuare
visite non gradite a casa del consumatore; effettuare ripetute sollecitazioni
commerciali per telefono, posta elettronica o altro mezzo; esortare i bambini o
convincere i genitori ad acquistare i prodotti reclamizzati; lasciar intendere che
il consumatore abbia già vinto un premio in caso di acquisto di un prodotto;
far credere al consumatore che, in caso di mancato acquisto del prodotto, sia
in pericolo l’attività lavorativa del venditore; presentare come gratuita l’offerta
di un prodotto quando in realtà, saranno caricati sul consumatore i costi di
spedizione; esibire al consumatore un marchio di qualità non autorizzato, o
presentare un prodotto con certificazioni non veritiere; sollecitare all’acquisto
dichiarando che il consumatore non troverà quel prodotto ad un prezzo così
basso presso nessun altro venditore; fare pressing psicologico sul
consumatore, dando l’impressione che non possa lasciare i locali senza
acquistare un qualche prodotto o concludere un contratto; dare informazioni
53
non veritiere sulla qualità del prodotto, sui prezzi di mercato e sulle proprietà
curative del prodotto.
4 L’ autodisciplina pubblicitaria
4.1. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria
Prima dell’attuazione della direttiva 84/450/CE era opinione diffusa in
dottrina, che l’autodisciplina avrebbe potuto proporsi in Italia non tanto come
alternativa alla normativa statale, quanto piuttosto come integrazione di
questa, limitando l’intervento dello Stato alla disciplina di quei settori – come i
medicinali, gli alimenti ecc – in cui gli interessi della collettività sono
particolarmente forti. Con il d. lgs. n. 74/92 si assiste ad un sostanziale
riconoscimento del fenomeno autodisciplinare (v. art. 8 d. lgs. 74/92). L’art.8
consente infatti alle parti interessate di ricorrere ad “organismi volontari e
autonomi di autodisciplina”.46
L'autodisciplina è il fenomeno per il quale una pluralità di soggetti,
appartenenti ad una o più categorie professionali, si impegnano a conformare
il proprio comportamento a regole di correttezza, da loro stessi formulate, e
creano gli strumenti di controllo necessari per assicurarne l’attuazione.
Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria ha lo scopo di assicurare che la
pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel processo
economico, venga realizzata come servizio per il pubblico, con speciali
46
L.C. UBERTAZZI , Concorrenza sleale e pubblicità, estratto da Commentario breve alle leggi su
proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova 2007, p.97.
54
riguardo alla sua influenza sul consumatore. Esso fu promanato nel 1966
dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, associazione costituita da
organismi rappresentativi delle diversa categorie di operatori pubblicitari, al
fine di supplire alla mancanza, all’epoca (e fino all’emanazione del d.lgs. n.
74/92), di una disciplina statuale del fenomeno pubblicitario. L’Istituto è stato
per decenni un’associazione ai sensi dell’art. 36 ss c.c., vale a dire
un’associazione non riconosciuta, derivante da un atto di autonomia
contrattuale. Lo statuto iniziale dello IAP, dell’8 febbraio 1977, è stato più
volte modificato, in funzione dell’adesione, nel tempo, di nuove associazioni
accomunate dallo stesso interesse collettivo, finché, il 4 luglio 2001, è stata
riconosciuta la personalità giuridica dello IAP.
Per la sua natura strettamente privatistica, il C.A.P. non ha l’efficacia
erga omnes propria della legge, ma vincola solo chi, a diverso titolo, risulti
aderirvi: aziende che investono in comunicazione, agenzie, consulenti, mezzi
di diffusione, le loro concessionarie e per tutti coloro che lo abbiano accettato
direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la
sottoscrizione di un contratto di inserzione. Il C.A.P. dunque, ponendo regole
di condotta per gli operatori del settore, tutela non solo l’interesse, di natura
anche e soprattutto concorrenziale, dell’imprenditore a non essere leso dalla
scorretta comunicazione pubblicitaria altrui, ma anche quello del fruitore del
messaggio a non venire sviato nelle proprie scelte di consumo o a non essere
55
altrimenti pregiudicato da messaggi pubblicitari, anche eventualmente nelle
proprie convinzioni morali o ideali.47
Il C.A.P. si configura come fenomeno autonomo rispetto a quello
statuale. Ciò significa che una condotta, sia pure non in contrasto con alcuna
norma dello Stato, potrebbe ugualmente risultare non consentita secondo le
regole dettate dal C.A.P. e viceversa. Esso è composto da 46 articoli suddivisi
in sei titoli, oltre alle Norme Preliminari e Generali. Il primo di essi detta le
regole generali di comportamento nel settore della comunicazione
pubblicitaria; il secondo disciplina particolari forme di pubblicità (relativa alle
vendite a credito, alle vendite a distanza, alle vendite promozionali, alle
manifestazioni a premio, e a una serie di particolari settori merceologici); il
terzo descrive composizione e funzioni dei due organi preposti a garantire
l’osservanza del C.A.P., nonché a dirimere le controversie che dovessero
insorgere in ordine alla violazione dello stesso da parte dei soggetti vincolati: il
Comitato di Controllo e il Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria; il quarto
delinea i meccanismi normativi e sanzionatori che regolano l’attività dei due
organi suddetti; il quinto disciplina la tutela dei progetti creativi; il sesto,
infine, definisce i principi di una corretta comunicazione sociale, ossia quella
categoria di messaggi volti a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse
sociale.
47
B. GRAZZINI, Autodisciplina pubblicitaria e ordinamento statuale, Giuffrè, Milano 2003, p.3 ss.
56
Come si è detto, il C.A.P. ha efficacia limitata solo a coloro che vi
abbiano aderito. Esso infatti “è vincolante per utenti, agenzie, consulenti di pubblicità,
gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che lo abbiano accettato
direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un
contratto di pubblicità”, all’interno del quale ciascun soggetto associato è tenuto
ad inserire “una speciale clausola di accettazione del Codice, dei regolamenti
autodisciplinari e delle decisioni assunte dal Giurì, anche in ordine alla loro pubblicazione,
nonché delle ingiunzioni del Comitato di Controllo divenute definitive”.48
Le modalità di adesione al C.A.P. possono essere ricondotte a due
categorie: l’adesione per via associativa, oppure attraverso la stipulazione di un
contratto di pubblicità contenente la clausola di accettazione.
L’adesione in via associativa concerne in primo luogo gli organismi
costituenti ed associati allo IAP
49
: per essi la soggezione al sistema
autodisciplinare deriva dall’obbligo di osservare le delibere associative e lo
statuto che adotta il Codice per la regolamentazione dell’attività pubblicitaria.
Vi sono poi altri soggetti, i cosiddetti iscritti, la cui adesione allo IAP non è
48
Lettere b e d delle Norme Preliminari e Generali del C.A.P.
49
Organismi costituenti: AssoComunicazione (Associazione delle Imprese di Comunicazione); FIEG
(Federazione Italiana Editori Giornali); UNICOM (Unione Nazionale Imprese di Comunicazione); RAIRadiotelevisione Italiana S.p.a; TP-Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti; UPA (Utenti Pubblicità
Associati). Organismi associati: AAPI (Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane); ACPI (Associazione
Consulenti Pubblicitari Italiani); AERANTI-CORALLO (Associazione delle Imprese Radiofoniche e
Televisive locali, satellitari e via Internet); AICUN (Associazione Italiana Comunicatori d’Università); ANES
(Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata); Club del marketing e della Comunicazione –
Puglia; FCP (Federazione Concessionarie di Pubblicità); FEDERpubblicità (Federazione Sindacale
Operatori della Pubblicità); FEDOWEB (Federazione Operatori Web); FRT (Federazione Radio
Televisioni); Gruppo Mediaset; P.PRO – Pubblicità Progresso; RNA (Radio Nazionali Associate). Fonte:
http://www.iap.it/it/asso.htm.
57
diretta, bensì mediata dall’appartenenza a una delle associazioni di categoria
che fanno parte dello IAP. Mediante questa rete di relazioni associative,
l’ordinamento autodisciplinare copre la maggior parte delle agenzie e dei
mezzi operanti nel settore, nonché un gran numero di “utenti” (cioè di
imprenditori
che commissionano la pubblicità),
attraverso
la
loro
organizzazione, l’U.P.A., che aderisce al sistema e ne compare tra i fondatori.
Per gli utenti di pubblicità che rimangono estranei al sistema, la
soggezione al C.A.P si realizza attraverso la c.d. clausola di accettazione che i
“mezzi”, e comunque i soggetti aderenti, sono tenuti ad inserire nei propri
contratti di pubblicità50, e attraverso la quale le disposizioni del Codice
diventano parte integrante del regolamento negoziale con l’”utente”. La
fondamentale differenza tra questo tipo di adesione e quella che si realizza in
via associativa consiste nel carattere stabile con cui quest’ultima si inserisce
all’interno del sistema, laddove invece la clausola di accettazione crea un
vincolo occasionale che si esaurisce nell’ambito del contratto di pubblicità in
cui è inserita.
In questo paragrafo vale la pena soffermarsi, seppur brevemente, sul
titolo II del C.A.P., con particolare riferimento alle norme di autodisciplina in
settori merceologici particolari.
L’art.22 del C.A.P. introduce una serie di divieti alla pubblicità delle
bevande alcoliche, volti ad impedire che gli operatori pubblicitari facciano leva
50
Lettera d delle Norme Preliminari e Generali del CAP.
58
su determinate occasioni di consumo dell’alcool per incrementarne il
consumo in direzioni nelle quali i suoi effetti dannosi si manifesterebbero con
particolare gravità, come ad esempio il consumo da parte dei minori, degli
automobilisti, delle persone afflitte da frustrazioni in ordine alla loro efficienza
fisica o mentale. La prima parte dell’art.22 stabilisce che la pubblicità delle
bevande alcoliche non deve contrastare con l’esigenza di favorire
l’affermazione di modelli di consumo delle bevande ispirati a misura,
correttezza e responsabilità. La nuova formulazione dell’art.22 enuncia,
inoltre, l’interesse primario delle persone, e in particolare dei bambini e degli
adolescenti, ad una vita protetta dalle conseguenze connesse all’abuso di
bevande alcoliche, e impone agli operatori pubblicitari obblighi specifici al
fine di perseguire le esigenze cui la norma è ispirata.51
L’art.23 impone il divieto di mendacio sulle caratteristiche dei prodotti
cosmetici e per l’igiene personale. Esso tutela i consumatori, in particolare
quelli che, a causa dei problemi estetici che li affliggono, si trovano
maggiormente esposti alle promesse di risultati illusori. Il comma 1 dell’art.23
consente di attribuire ad un cosmetico determinate funzioni, purché tali
proprietà siano effettivamente possedute dal prodotto e la rivendicazione
pubblicitaria sia appropriata. Il comma 2 vieta qualsiasi assimilazione dei
51
V. LANDI, commento all’art. 22 del C.A.P., Bevande alcoliche, in U.RUFFOLO (a cura di), Commentario
al Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Giuffrè, Milano, 2003, p.388.
59
cosmetici ai medicinali, affermazioni e accostamenti tali da indurre in
equivoco sulla vera natura del prodotto.52
L’art. 23-bis del C.A.P. è stato introdotto a seguito dell’enorme
espansione che, negli ultimi tre decenni, ha avuto l’industria ed il mercato dei
prodotti dedicati alla dieta ed al benessere dell’individuo. In considerazione
della particolare sensibilità del pubblico verso i temi della salute e dell’aspetto
estetico, la comunicazione pubblicitaria deve essere improntata al massimo
senso di responsabilità. I consumatori, dunque, devono essere oggetto di una
tutela rafforzata nei confronti delle pubblicità relative a integratori alimentari e
dietetici. L’art. 23-bis C.A.P. infatti, è norma diretta ad impedire
un’attribuzione al prodotto reclamizzato di proprietà che esso non possiede
realmente, facendo leva sulla allettante promessa del facile ottenimento di un
risultato fortemente ambito.53
Lo stesso divieto sussiste per i trattamenti fisici ed estetici (art.24
C.A.P.), prodotti merceologicamente disomogenei, ma accomunati dalla
promessa pubblicitaria di risultati duraturi e/o restituivi, come creme
cosmetiche e lozioni tricologiche, generatori di impulsi elettrici, attrezzi
meccanici, preparati dimagranti ecc. A tali categorie di prodotti non possono
essere attribuite funzioni restitutive, terapeutiche o risultati radicali; inoltre, dal
1997 è stato inserito l’obbligo di astenersi da richiami a raccomandazioni o
52
L.C. UBERTAZZI, Concorrenza sleale e pubblicità, Op. cit., p. 188 ss.
53
S. CARDILLO, commento all’art. 23-bis C.A.P., in U.RUFFOLO (a cura di), op. cit., p. 417.
60
attestazioni di tipo medico, onde evitare accostamenti suggestivi tra la scienza
e l’attività medica e i trattamenti pubblicizzati, che possono trarre in errore il
consumatore circa la natura e l’efficacia di questi ultimi.
L’art.25 C.A.P. stabilisce che la pubblicità dei prodotti farmaceutici
deve essere realizzata con il massimo senso di responsabilità; richiamare
l’attenzione del consumatore sulla necessità di opportune cautele, con
esplicito invito alla lettura delle avvertenze nella confezione; non indurre ad
usi scorretti del prodotto; non attribuire a prodotti da banco e a trattamenti
curativi efficacia o indicazioni terapeutiche in contrasto con quelle loro
riconosciute; non far apparire superflua o inutile la consultazione del medico;
non rivolgersi ai minorenni; non indurre i bambini ad utilizzare il prodotto
senza un’adeguata sorveglianza.54
L’art. 26 C.A.P. disciplina la pubblicità di corsi di istruzione e metodi di
studio o insegnamento, e viene applicato principalmente contro messaggi
pubblicitari che promettono diplomi, lauree, dottorati, collegati a corsi che
non attribuiscono titoli riconosciuti in Italia, oppure il miraggio
dell’ottenimento di un’abilitazione professionale o di un sicuro impiego, o
infine, possibilità di alti e facili guadagni.55
L’art.27 disciplina la correttezza della pubblicità delle operazioni
finanziarie e immobiliari; l’art.28 quella dei viaggi organizzati, basata
54
F .CALA’, Commento all’art, 25 C.A.P. in U.RUFFOLO (a cura di), op. cit., p. 431.
55
G. DI MARCO, Commento all’art.26 C.A.P. in U.RUFFOLO (a cura di), op. cit., p. 440.
61
principalmente sull’imposizione di un obbligo informativo a carico
dell’inserzionista a favore dei destinatari del messaggio, che consenta loro di
comprendere appieno i termini contrattuali dell’operazione economica
(soprattutto riguardo al prezzo e alle prestazioni in esso incluse) che la
pubblicità stimola ad intraprendere.
Infine, l’art. 28-bis C.A.P. ha per oggetto la pubblicità di giocattoli,
giochi e prodotti educativi per bambini. Esso prescrive che la pubblicità dei
suddetti prodotti non deve indurre in errore, in particolare, sulle seguenti
caratteristiche del prodotto: natura, prestazioni, dimensioni, grado di abilità
necessario per utilizzarlo, entità della spesa. La ratio dell’art. 28-bis C.A.P. è
quella di non mistificare la realtà nei confronti dei bambini, e di abituarli al
rispetto della verità, anche quando si proponga loro un oggetto, come un
giocattolo, che stimola e alletta la capacità di fantasticare. L’errore di cui è
vietata l’induzione deve considerarsi tanto quello dei più piccoli, quanto
l’equivoco in cui sono suscettibili di cadere gli adulti, anch’essi potenziali
fruitori della pubblicità per giocattoli o prodotti educativi, nella loro qualità di
acquirenti dei beni a favore dei più piccoli. In particolare, appaiono
preordinati più alla tutela degli adulti che a quella dei bambini, il secondo e il
terzo alinea della norma, i quali vietano, rispettivamente, di indurre in errore
circa il grado di abilità necessario per utilizzare il prodotto pubblicizzato – e
tende, pertanto, ad evitare l’equivoco dell’adulto che acquista un prodotto non
idoneo all’età del bambino cui è destinato – e di indurre in equivoco sull’entità
62
della spesa, specie quando il funzionamento del prodotto comporti l’acquisto
di prodotti complementari. E’ fatto divieto, inoltre, di minimizzare il prezzo,
in relazione all’incapacità dei più piccoli di valutare l’eventuale sproporzione
tra la promessa pubblicitaria e il prodotto realmente offerto, inducendo così il
bambino a sentirsi autorizzato a desiderarlo e a chiederlo ai genitori.
4.2. Gli organi dell’Autodisciplina: composizione del Comitato di
Controllo e del Giurì di Autodisciplina e loro funzioni
Gli articoli dal 29 al 35 (Titolo III) del Codice definiscono
composizione e funzionamento degli organi dell’autodisciplina.
Il Comitato di Controllo è composto da dieci a venti membri56,
nominati per un biennio dallo I.A.P. e rieleggibili, scelti tra persone
particolarmente qualificate nel settore giuridico, pubblicitario, dei mass media,
ed esperte di problemi dei consumatori. Esso ha anzitutto il compito di
vigilare sull’applicazione e sul rispetto delle norme autodisciplinari poste a
tutela dei consumatori e della pubblicità. Qualora ritenga che queste norme
siano state violate, è legittimato a promuovere il procedimento avanti al Giurì.
Il Comitato di Controllo è un organo consultivo, in quanto esprime
pareri (non vincolanti) su richiesta del Giurì, ma non si può negare al
Comitato anche la funzione di organo giudicante. Esso può, in qualsiasi
momento, chiedere all’utente dati per controllare la liceità del messaggio. Nel
56
In conformità alla 45esima edizione del C.A.P., in vigore dal 21 aprile 2008 (fonte
www.iap.it/it/codice.htm),
63
caso in cui consideri soddisfacenti i chiarimenti ottenuti non potrà più
promuovere l’azione davanti al Giurì.
Il Comitato svolge un’importante funzione preventiva. Può infatti
“invitare in via preventiva” l’advertiser (o il mezzo) a modificare la pubblicità
che appaia in contrasto con le norme del C.A.P. Questo “invito” non è
ritenuto vincolante e deve piuttosto essere considerato come una semplice
esortazione ad apportare le modifiche suggerite. Su richiesta della parte
interessata, il Comitato può inoltre esprimere in via preventiva il proprio
parere circa la conformità di un messaggio pubblicitario non ancora diffuso
rispetto alle norme del C.A.P.
Se la pubblicità presa in esame appare manifestamente contraria a una o
più norme del C.A.P., il Presidente del Comitato di Controllo può ingiungere
alle parti di desistere dalla medesima, ossia può emanare un’”ingiunzione di
desistenza”, ossia un provvedimento accompagnato da una motivazione.
L’ingiunzione di desistenza viene trasmessa dalla Segreteria dell’I.A.P. alle
parti, le quali possono porvi opposizione entro il termine perentorio di dieci
giorni. In caso di mancata proposta di opposizione, o se l’opposizione non
risulti sufficientemente motivata, o non sia stato osservato il termine
prescritto, il provvedimento acquista efficacia di decisione: l’ingiunzione viene
cioè, equiparata a tutti gli effetti alla decisione del Giurì.
64
A T T I V I T À
D E L
C O M I T A T O
C O N T R O L L O
(fonte: www.iap.it)
65
D I
Il Giurì è anch’esso un organo collegiale, composto da un numero di
membri compreso tra dieci e venti, scelti tra esperti di diritto, problemi dei
consumatori e di comunicazione, nominati ogni due anni dallo IAP, secondo
un criterio di scelta che garantisca la massima professionalità e indipendenza
del collegio dall’Istituto, nonché dalle categorie economiche interessate.57
Funzione del Giurì è quella di esprimere un giudizio limitato ad una
valutazione della conformità al C.A.P. della comunicazione commerciale che
gli viene sottoposta.
L’istanza al Giurì può essere presentata anzitutto dal Comitato di
Controllo, in via autonoma o in seguito a segnalazioni pervenute. L’azione
avanti al Giurì compete, inoltre, a chiunque ritenga di subire pregiudizio da
attività pubblicitarie contrarie al C.A.P. Secondo la giurisprudenza
autodisciplinare, sono, dunque, legittimati, in primo luogo, i concorrenti;
altresì il singolo consumatore, le associazioni di consumatori, le associazioni di
categoria di imprenditori (quando l’attività dei propri associati può essere
colpita dalla pubblicità di un imprenditore concorrente), i rappresentanti di un
raggruppamento politico, ordini o associazioni professionali o culturali
(quando la pubblicità possa nuocere all’immagine della categoria), le agenzie
pubblicitarie (in caso di imitazione dell’ideazione pubblicitaria di cui l’agenzia
è creatrice).58
57
Art. 31 C.A.P.
58
L. C. UBERTAZZI, Concorrenza sleale e pubblicità, Op. cit., p. 210 ss.
66
L’istanza deve contenere l’indicazione della pubblicità contestata,
esponendo le proprie ragioni e allegando i documenti a sostegno della
domanda. L’intervento del Giurì può essere provocato, oltre che dalla
presentazione di un’istanza da parte del Comitato di Controllo e dalla
presentazione di un ricorso di parte, anche dalla presentazione di
un’opposizione all’ingiunzione di desistenza pronunciata dal presidente del
Comitato di Controllo a norma dell’art.39. Una volta ricevuta l’istanza, il
presidente del Giurì nomina, fra i componenti dell’organo giudicante, un
relatore. Il giudizio autodisciplinare si svolge senza particolari formalità, e la
sua efficacia dipende innanzitutto dalla sua tempestività. Per questa sua
peculiarità, il Giurì ha assimilato il procedimento autodisciplinare a quello
statale cd. d’urgenza, sufficiente a determinare in tempi brevissimi il
convincimento del giudice.
Dopo che il relatore ha illustrato i termini della controversia, al termine
della discussione tra le parti, in presenza anche di un rappresentante del
Comitato di Controllo, il Giurì si riunisce in camera di consiglio per
deliberare. Le decisioni del Giurì sono definitive e incontestabili, pertanto
vincolanti per tutti i mezzi pubblicitari che, direttamente, o tramite le proprie
associazioni, hanno accettato il C.A.P. Come già evidenziato, il Giurì ha
anzitutto il potere di decidere se una campagna pubblicitaria sia o meno
conforme alle disposizioni sostanziali del C.A.P. All’accertamento di illiceità
autodisciplinare segue l’inibitoria, ossia l’ordine che il Giurì rivolge alla parte
67
soccombente di desistere dalla pubblicità condannata. L’osservanza delle
decisioni del Giurì e del Comitato di Controllo presuppone anche che
l’adeguamento avvenga tempestivamente, e quindi nei tempi indicati dal
Regolamento sui tempi tecnici di attuazione delle decisioni autodisciplinari. In
caso di inosservanza della decisione, il Giurì o il suo Presidente reiterano
l'ordine di cessazione della comunicazione commerciale interessata e
dispongono che si dia notizia al pubblico dell'inottemperanza, attraverso gli
organi di informazione indicati, a cura dell'Istituto dell'Autodisciplina
Pubblicitaria.59
59
http://www.iap.it/it/codice.htm.
68
A T T I V I T À
D E L
G I U R Ì
(fonte www.iap.it)
69
5. I rapporti tra Autodisciplina e ordinamento statuale: l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato
L’analisi dei rapporti intercorrenti tra il sistema Autodisciplinare e
l’ordinamento statuale è stata, nel tempo, oggetto di un lungo dibattito
dottrinale.
Secondo
l’interpretazione
maggiormente
accreditata,
l’Autodisciplina è un sistema avente origine e natura negoziale che si pone su
un piano distinto, parallelo ma non interferente con quello dell’ordinamento
statale. Le norme dell’Autodisciplina non vengono certo a supplire alla
normativa statale, né si pongono in condizione di sussidiarietà rispetto a
questa; al contrario, il rapporto che si instaura tra l’ordinamento
autodisciplinare e quello statuale è di complementarietà.60
Il Giurì autodisciplinare ha esercitato a lungo, nel nostro Paese, una
sorta di “monopolio” di fatto del controllo sulla correttezza e liceità dei
messaggi pubblicitari, in ragione dell’inerzia del legislatore italiano, a lungo
protrattasi, nell’adozione di una disciplina organica del fenomeno
pubblicitario. Tale prolungato vuoto normativo, che è la ragione primaria
dell’ampio sviluppo e della acquisita autorevolezza dell’Autodisciplina in Italia,
è venuto infatti meno solo con l’emanazione, in attuazione della citata
direttiva CEE 84/450 in tema di pubblicità ingannevole, del D.Lgs. n. 74/92,
che ha attribuito la competenza ad applicare la disciplina in materia di
60
D. ARCHIUTTI, I rapporti tra l’autodisciplina pubblicitaria e la normativa statale in materia di
pubblicità ingannevole e comparativa illecita, in U. RUFFOLO (a cura di), op. cit., p.481 ss.
70
pubblicità ingannevole all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
istituita dall’art.10 della legge 10 ottobre 1990 n.287 (la c.d. legge antitrust).
Pare che il legislatore, inserendo i principi di cui all’art.8 d.lgs. 94/72, abbia
voluto conservare i meccanismi di autoregolamentazione esistenti nel settore
pubblicitario, che così a lungo hanno dimostrato la loro idoneità al controllo
dell’advertising, sfruttando la loro comprovata efficienza ed autorevolezza, al
fine di sgravare l’operato dell’amministrazione statale. Peraltro, l’eventuale
scelta di ricorrere ai sistemi di autodisciplina non comporta alcuna
irrimediabile incisione nel rapporto controverso. Le parti potranno infatti
decidere di riproporre il vaglio della medesima comunicazione pubblicitaria
innanzi all’Autorità garante, la cui competenza non è affatto preclusa, né in
alcun modo limitata, dall’eventuale ricorso all’organo autodisciplinare.
Semmai, la precedente pronuncia del Giurì può avere, di fatto, l’effetto di
rendere superfluo il ricorso all’Autorità, poiché verrebbe meno l’interesse delle
parti a ricorrere all’organo statale per una pubblicità di cui sia già stata
ottenuta la cessazione in via autodisciplinare. Ed è proprio in tale effetto che
si concretizza la funzione di “strumento di prevenzione” che la legge
riconosce all’Autodisciplina. L’intervento dell’Autorità potrà così essere
ristretto ai soli casi necessari, quando la pubblicità non sia cessata per effetto
della pronuncia autodisciplinare. Inoltre, a differenza dell’I.A.P., il quale fa
capo ad un'associazione di utenti che si autodisciplinano e quindi non ha alcun
71
potere censorio e sanzionatorio sui non aderenti, l’AGCM è competente per
tutti gli operatori sul mercato.
Attualmente, le competenze dell’AGCM consistono nell’applicazione
della legge n.287 del 1990, nell’applicazione delle norme contenute nel Titolo
III del d.lgs. 206/2005 (il già citato Codice del Consumo) in materia di
pratiche commerciali, e del d.lgs. 145/2007 in materia di pubblicità
ingannevole e comparativa a tutela delle imprese nei loro rapporti
commerciali.
Essa, nota anche come Antitrust, è una "Autorità indipendente". Con il
termine Autorità indipendente si fa riferimento a un'amministrazione pubblica
che prende le proprie decisioni sulla base della legge, senza possibilità di
ingerenze da parte del Governo né di altri organi della rappresentanza politica.
L'Autorità è un organo collegiale, composto da un Presidente e da
quattro componenti nominati, di concerto, dai Presidenti del Senato della
Repubblica e della Camera dei Deputati. A norma dell'art. 11, c. 5, legge
287/90, il complesso dei servizi ed uffici dell'Autorità è posto sotto la
supervisione del Segretario Generale che ne risponde direttamente al
Presidente.
Prima dell’approvazione del d. lgs. 146/2007, l’Autorità non poteva
iniziare
nessun
procedimento
d’ufficio,
non
poteva
cioè,
agire
autonomamente per l’individuazione e la repressione della pubblicità
ingannevole, ma solo su impulso dei soggetti legittimati; ciò doveva garantire
72
la massima imparzialità ed indipendenza dell’Autorità, cui spettavano solo
funzioni decisorie.61 Essa poteva attivarsi solo a seguito di una denuncia, con
la quale veniva richiesto il suo intervento. Con la nuova versione dell’art.27
del Codice del Consumo introdotta dal d. lgs. n. 146/2007, l’attivazione del
procedimento può, oltre che essere rimessa all’istanza di parte (consumatori,
concorrenti, associazioni di tutela dei consumatori, Ministero delle attività
produttive, pubbliche amministrazioni), essere anche d’ufficio, consentendo
all’AGCM la possibilità di effettuare interventi mirati su specifiche fattispecie.
Quando l’Autorità riceve la segnalazione di una presunta pubblicità
ingannevole o comparativa illecita, verifica innanzitutto se la denuncia è
completa, regolare e se non è manifestamente infondata.
Se la verifica ha esito negativo, la denuncia viene archiviata, dandone
pronta comunicazione al denunciante. Se invece la segnalazione risponde ai
requisiti richiesti, la Direzione competente comunica l’avvio del procedimento
a chi ha presentato la denuncia e a chi ha diffuso il messaggio pubblicitario,
assegnando un termine, di solito di 15 giorni, entro il quale possono essere
presentate memorie da parte dei soggetti interessati.
Nel corso del procedimento, l’Autorità esamina il messaggio e le
memorie eventualmente ricevute. Nei casi più complessi ascolta le parti, in
audizioni appositamente convocate. Se lo ritiene necessario ai fini della
decisione,può disporre perizie, analisi e consulenze di esperti. L’Autorità può
61
A. M. DELFINO, La pubblicità ingannevole, in F. VETTORI, op. cit. p. 511.
73
anche richiedere che sia l’operatore pubblicitario a fornire la prova della
veridicità delle affermazioni contenute nel messaggio da lui diffuso
(si tratta della cosiddetta “inversione dell’onere della prova”). A tale mezzo si
ricorre quando la pubblicità comunica informazioni che l’operatore
pubblicitario dovrebbe conoscere. In questo caso, il silenzio o l’invio di prove
insufficienti fa presumere l’inesattezza dei dati contenuti nel messaggio.
Un’altra rilevante novità introdotta dalla nuova disciplina consiste
nell’attribuzione all’Autorità, “ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità
della pratica commerciale”, del potere di chiedere all’operatore pubblicitario
l’assunzione di impegni volti a porre fine all’infrazione: un intervento di
carattere regolatorio e di natura consensualistica, che consente anche di
decongestionare l’attività dell’Autorità.62
Il procedimento resta imperniato sulla garanzia della “tutela del
contraddittorio”, di cui è espressione il diritto delle parti di presentare
memorie e prendere visione dei documenti, e prevede un termine di durata di
novanta giorni, prorogabile di altri settantacinque giorni, nelle ipotesi in cui
siano richieste informazioni o esperiti altri mezzi istruttori. Un ulteriore
termine di trenta giorni è stabilito per la richiesta di parere all’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, nelle ipotesi di messaggio pubblicitario diffuso
via internet, televisione, radio, fax o stampa (periodica o quotidiana). Tale
parere non è vincolante, nel senso che l’Autorità può motivatamente
62
C. PIAZZA, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e
giurisdizionale in Dir. Inf. 2008, p.13.
74
discostarsene. Se, con la decisione finale, l’Autorità ritiene la pubblicità
esaminata ingannevole o la pubblicità comparativa non conforme alle
condizioni in precedenza elencate, ordina che ne sia impedita o interrotta la
diffusione. Il provvedimento di ingannevolezza o di illiceità della pubblicità
comparativa, opportunamente motivato,
viene pubblicato sul Bollettino
settimanale dell’Autorità.
Per mettere sull’avviso il pubblico l’Autorità può perciò disporre che
l’operatore pubblicitario che ha violato la legge, diffonda, a sua cura e spese,
su un quotidiano o un’emittente televisiva, un estratto del provvedimento o
una dichiarazione di rettifica nella quale vengono segnalati i profili di illiceità
del messaggio, ristabilendo così la correttezza delle informazioni. L’operatore
che subisce una condanna per pubblicità ingannevole è ad ogni modo tenuto
ad adeguarsi a quanto disposto dall’Autorità, interrompendo immediatamente
la diffusione del messaggio e, se richiesto, effettuando la pubblicazione della
dichiarazione di rettifica. In caso di inottemperanza a quanto da essa disposto,
l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000
euro, e, in caso di reiterata inottemperanza, può disporre la sospensione
dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. A seguito
della novella del settembre 2007, inoltre, in caso di pratica commerciale
scorretta, il quantum è stato innalzato da un minimo di 5.000 a un massimo di
500.000 euro, non inferiore a 50.000 euro nelle ipotesi delle violazioni relative
75
ad omissioni informative sulla pericolosità di un prodotto e di pratiche
indirizzate a bambini ed adolescenti.
Contro i provvedimenti dell’Autorità Garante è possibile presentare
ricorso
giurisdizionale,
entro
sessanta
giorni,
presso
il
Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio. L’intervento dell’Autorità è a tutela
dell’interesse collettivo dei consumatori, e non del singolo denunciante.
Quest’ultimo, con la sua segnalazione, produce l’impulso che fa scattare la
tutela di tutti i consumatori. Per questo un provvedimento di ingannevolezza
da parte dell’Autorità non conduce mai ad un risarcimento dei danni
eventualmente già subiti dal denunciante. Questo può essere ottenuto soltanto
rivolgendosi al giudice ordinario.63
63
“Pubblicità ingannevole e comparativa”, pubblicazione a cura del sito web dell’AGCM,
http://www.agcm.it
76
CAPITOLO III
I.A.P. E A.G.C.M. A CONFRONTO: STUDIO DI ALCUNE
DECISIONI DEL PERIODO 2006-2008
I NUMERI DELL'AUTODISCIPLINA
PRONUNCE DEL
ATTIVITÀ DEL COMITATO DI CONTROLLO
GIURÌ
Totale
Casi
Anni
Su
Pareri
risolti
Ingiunzioni
Istanze
preventivi
in via
di desistenza al Giurì
Casi
Totale
casi
pronunce
definiti
istanza
esaminati
di parte
(a)
breve
(a+b)
dal C.d.C.
(b)
(*)
2007
56
558
100
35
749
44
79
793
2006
49
505
140
30
724
52
82
776
(*) Casi definiti grazie alla collaborazione dell'inserzionista nell'emendare, su intervento del Comitato, il
messaggio pubblicitario (registrati dal 1975); nonché casi esaminati e archiviati per non contrasto con le
norme del Codice (registrati dal 1995).
(L’attività in numeri dell’IAP degli ultimi due anni. Fonte: www.iap.it)
77
2007- gennaio - dicembre
Ingannevole
Non
Inottemperanza
violazione
Non
Totale
Sanzioni
applicabilità
Macrosettore
(euro)
del decreto
Energia
2
3
0
0
5
20.700
Comunicazioni
35
5
4
0
44
1.518.500
Credito e assicurazioni
35
4
0
0
39
646.700
trasporti
49
2
2
0
53
1.099.100
Industria e servizi
82
10
8
1
101
1.444.900
Varie
11
2
1
1
15
292.900
214
26
15
2
257
5.022.800
Alimentare, farmaceutico e
Totale complessivo
maggio 2005 - dicembre 2007
Ingannevole
Non
Inottemperanza
violazione
Totale
Sanzioni
applicabilità
Macrosettore
Energia
Non
(euro)
del decreto
4
3
0
0
7
29.800
Comunicazioni
93
11
12
0
116
3.604.500
Credito e assicurazioni
52
7
2
0
61
1.017.800
97
9
4
0
110
2.377.000
156
23
19
4
202
2.602.900
30
2
2
1
35
934.300
432
55
39
5
531
10.566.300
Alimentare, farmaceutico e
trasporti
Industria e servizi
Varie
Totale complessivo
(Sintesi delle attività dell’AGCM nel triennio 2005-2007; fonte: www.agcm.it)
78
1. Il settore delle telecomunicazioni: l’obbligo di chiarezza,
correttezza e non ambiguità delle informazioni sull’offerta
1.1.Gli interventi del Giurì
1.1.1. Comitato di Controllo vs Wind Telecomunicazioni per
Infostrada “Absolute Adsl” (2007)
Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di
Wind Telecomunicazioni spa in relazione ai diversi soggetti dei telecomunicati
"Infostrada Absolute Adsl", relativi all'abbonamento al servizio di telefonia e
accesso a Internet, trasmessi sulle reti Mediaset nel mese di ottobre 2007,
ritenendoli in contrasto con gli artt. 2 e 20 del C.A.P. Ad avviso dell'organo di
controllo i messaggi, nel pubblicizzare un'offerta promozionale a prezzo
ridotto di un abbonamento che consente di pagare "meno di 10 euro al mese"
(9,95 euro) per telefonate a zero e Adsl senza limiti, ometterebbero di
segnalare con uguale risalto la valenza del prezzo ridotto solo fino al marzo
del 2008, invece del prezzo pieno dal 1º aprile 2008 fino alla scadenza del
contratto; inoltre risulterebbe ingannevole il claim "telefonate a zero", posto
che i messaggi non conferirebbero sufficiente risalto alla circostanza che ogni
chiamata nazionale ai numeri di rete fissa prevede sempre uno scatto alla
risposta di 12 centesimi; oltre al costo dello scatto alla risposta, essendo altresì
previsti costi ulteriori per le chiamate ai numeri di rete mobile, risulterebbe
decettiva la promessa di un costo complessivo dell'abbonamento (seppure in
79
promozione) di 9,95 euro mensili; infine, il messaggio violerebbe l'art. 20
perché, nel prospettare una favorevole occasione d'acquisto, ometterebbe di
indicare
la
data
entro
cui
si
possa
aderire
ad
essa.
La resistente ha eccepito che: 1) gli spot, attraverso il parlato e le scritte in
sovrimpressione, riporterebbero tutte le informazioni necessarie per
consentire al consumatore di comprendere e valutare l'offerta proposta; 2) la
scritta fissa e visibile in sovrimpressione "12 centesimi alla risposta"
informerebbe in modo adeguato l'utente sulla presenza dello scatto alla
risposta; 3) il super "Fino a Primavera" in sovrimpressione con un carattere di
grandi dimensioni informa sulla scadenza della promozione; 4) ulteriori
indicazioni sarebbero fornite da un altro super che scorre in sovrimpressione.
Il Giurì non ritiene di poter dichiarare l'asserita violazione dell'art. 2 CAP,
rilevando che l'indicazione essenziale del costo fisso di 12 centesimi alla
risposta appare con chiarezza nella dicitura visualizzata sullo schermo e che la
mancata informativa su altri costi (per chiamate ai cellulari nazionali e
all'estero) non vale a qualificare il messaggio come decettivo tenuto conto che,
in tema di telefonia, è dato di conoscenza ed esperienza l'esistenza di un
tariffario variabile. La funzione promozionale della pubblicità esclude di per sé
e ragionevolmente che il messaggio debba risolversi in un modulo contrattuale
con l'indicazione di ogni clausola dell'accordo. Il Giurì ritiene invece
sussistente nel caso di specie la contestata violazione dell'art. 20 CAP perché
dal messaggio non emerge un'indicazione chiaramente percepibile della data di
80
scadenza dell'offerta, cioè di una informazione sicuramente essenziale per
consentire all'utente la valutazione di convenienza della promozione
reclamizzata. Né varrebbe fare riferimento all'informativa al riguardo veicolata
nel super in movimento, informativa che a causa della velocità di scorrimento
del super non consente all'utente l'effettiva percezione delle notizie veicolate.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto che la pubblicità contestata non è
conforme all'art. 20 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria nella parte in cui non
evidenzia adeguatamente la data di scadenza dell'offerta.
1.1.2.
Telecom vs Fastweb per "Telefono, Internet o Tv a 9.90
euro al mese sino al 2009" (2008, non violazione)
Telecom Italia spa (di seguito Telecom) ha chiesto l'intervento del Giurì nei
confronti di Fastweb spa (di seguito Fastweb) in relazione allo spot diffuso
sulle principali emittenti televisive nazionali volto a promuovere il servizio
"Telefono, Internet o Tv a 9.90 euro al mese sino al 2009", ritenendolo in
contrasto con gli artt. 2, 15 e 20 CA. Il telecomunicato, contraddistinto dalla
partecipazione del noto campione di motociclismo Valentino Rossi, vanta il
primato del servizio offerto da Fastweb: "Prendi Fastweb che è meglio!", con
la possibilità di avvalersi autonomamente e/o cumulativamente delle tre
diverse opzioni telefono, Internet o tv, rispettivamente denominate "Parla,
Naviga e Guarda", ognuna al medesimo prezzo di 9,90 euro al mese sino al
2009.
81
In particolare, ad avviso dell'istante lo spot contrasterebbe con gli artt. 2 e 15
CA perché sarebbe illecita la rivendicazione di una pretesa superiorità del
servizio Fastweb pubblicizzato sotto il profilo della convenienza economica e
quindi ingannevole l'implicita comparazione con il servizio offerto da altre
imprese. La disamina delle reali condizioni del servizio mostrerebbe
l'impossibilità per il consumatore di limitarsi a pagare la somma di € 9,90
indicata dallo spot, perché a questa andrebbe aggiunta sia la tariffazione a
consumo riferita a tutte e tre le opzioni, sia il costo di attivazione dell'offerta
(che può arrivare fino a 100 euro). Lo spot contrasterebbe anche con l'art. 20
CA perché il riferimento alla possibilità di usufruire del servizio "fino al 2009"
non consentirebbe di comprendere l'effettiva durata della promozione:
secondo quanto riportato nel sito Internet, infatti, "gli sconti previsti dalla
promozione sono validi fino al 4 gennaio 2009 per chi sceglie di mantenere il
proprio numero telefonico Telecom Italia e fino al 31 maggio 2008 per chi
chiede un nuovo numero telefonico". Inoltre, le informazioni riportate nei
super in calce allo schermo sarebbero incomplete e troppo piccole da decifrare
e il messaggio non riporterebbe nemmeno la notizia che alla scadenza della
promozione il prezzo del servizio risulterà aumentato, essendo il forfait elevato
a 20/25 euro (secondo l'opzione prescelta).
La resistente ha eccepito che: 1) la versione attuale dello spot è priva
dell'affermazione "Prendi Fastweb che è meglio!" e i super sono redatti in
caratteri di dimensioni maggiori; 2) il rinvio, evidenziato in caratteri grandi, a
82
fonti di informazione esterna (quali il sito Internet e il numero verde) sarebbe,
oltre che corretto, inevitabile a causa dell'estrema brevità della comunicazione
veicolata dal messaggio pubblicitario; 3) l'esclamazione "Prendi Fastweb che è
meglio!" non mirerebbe a sostenere la superiorità economica dell'offerta
Fastweb rispetto ad altre, ma ad affermare che la soluzione Fastweb è
"risolutiva delle incertezze del consumatore"; 4) non sarebbe ravvisabile
alcuna difformità tra l'offerta esposta in pubblicità e il suo reale e completo
contenuto, così come interamente riportato nel sito Internet con riguardo a
ciascuna delle tre versioni "Parla, Naviga e Guarda"; 5) in ordine alla scadenza
dell'offerta, l'espressione "sino al 2009" nel senso comune vorrebbe dire "fino
all'inizio del 2009", fermo restando che la scadenza esatta, ossia il 31 gennaio
2009,
viene
fornita
dal
super
contestualmente
all'annuncio
vocale.
Il Giurì ritiene di non poter condividere la censura che Telecom pone alla
base della ipotizzata violazione degli artt. 2 e 20 CA per cui la formula "9,90
euro al mese" alluderebbe al "tutto incluso", rilevando che la dicitura "tutto
incluso" non compare mai nel messaggio in esame e che questo contiene
ripetuti e ben evidenziati inviti al consumatore ad attivarsi, via Internet o
numero verde, per conoscere appieno e in ogni particolare tutte le condizioni
della promozione in relazione a ciascuna delle offerte reclamizzate. Il Giurì
sottolinea la piena legittimità del rinvio così operato a fonti di informazioni
esterne, il cui accesso non può ritenersi di certo estraneo all'esperienza del
consumatore interessato al tipo di messaggio reclamizzato. Le informazioni
83
acquisite in tal modo dal consumatore non contraddicono, per alcun verso, il
telecomunicato diffuso dalle emittenti televisive, ponendosi come fonti
integrative
di
conoscenza
dell'intero
contenuto
delle
condizioni
(promozionali) di sicuro non riassumibili in uno spot di pochi secondi.
Quanto alla pure ipotizzata violazione dell'art. 15 CA riferita alla prima
versione dello spot Fastweb, il Giurì ritiene che l'attenzione al surreale
scambio di battute tra i testimonial, rende credibile l'affermata intenzione di
Fastweb di escludere qualsiasi finalità comparativa dell'affermazione "Prendi
Fastweb che è meglio!". A conferma della veridicità di questa intenzione,
secondo il Giurì, è da apprezzare l'eliminazione della frase anzidetta nella
seconda e attuale versione dello spot, al fine proprio di rimuovere ogni, sia pur
vago, sospetto e motivo di fraintendimento (nel senso ipotizzato da Telecom)
del messaggio diffuso.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto che la pubblicità contestata non è in
contrasto con gli articoli 2, 15 e 20 del Codice.
1.2.
Interventi dell’A.G.C.M.
1.2.1. Numero verde Gruppo Banca CR Firenze (2006)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 6 aprile 2006, un’associazione di
consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III,
Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, del messaggio pubblicitario
diffuso, in data 12 marzo 2006, sul quotidiano “La Nazione”, dal gruppo Banca
84
CR Firenze, relativo all’offerta di apertura di un conto corrente gratuito,
riservata ai nuovi correntisti delle banche del gruppo.
Nella richiesta di intervento si segnala come il messaggio, al fine di ottenere
maggiori informazioni circa l’apertura del conto corrente, inviti a chiamare un
“numero verde” il quale, in realtà, non sarebbe gratuito, ma prevedrebbe un
onere a carico degli utenti, essendo ad addebito ripartito ed iniziando con le
cifre “840”.
In data 5 maggio 2006 è stato comunicato al segnalante e alla Banca CR
Firenze S.p.A., in qualità di operatore pubblicitario, l’avvio del procedimento
ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, precisando
che l’eventuale ingannevolezza del messaggio pubblicitario oggetto della
richiesta di intervento sarebbe stata valutata ai sensi degli artt. 19, 20, 21 del
citato Decreto Legislativo, con riguardo alle condizioni di fruizione del
servizio pubblicizzato con la dicitura “numero verde” e avente come prefisso
“840”.
Con memoria pervenuta in data 26 maggio 2006, la Banca CR Firenze S.p.A.,
nel trasmettere il resoconto della programmazione pubblicitaria del messaggio
contestato, ha riconosciuto che la qualificazione del numero in questione
come numero verde è stata frutto di un mero errore materiale non voluto e
causato da una svista ingenua. Nel dichiarare di aver confuso le cifre iniziali
dei numeri verdi gratuiti (800) con quelle dei numeri ad addebito ripartito
(840), l’operatore pubblicitario ha affermato di non aver avuto alcuna
85
intenzione di indurre in errore i potenziali clienti, precisando che il messaggio
era finalizzato a pubblicizzare la gratuità dell’apertura di un conto corrente e
quindi un servizio diverso da quello offerto attraverso l’invito a chiamare il
numero telefonico reclamizzato, che assume, pertanto, una valenza
strumentale ed accessoria rispetto al contenuto globale del messaggio.
L’operatore ha sottolineato, inoltre, che le diffusioni del messaggio avvenute
attraverso il canale radio non prevedevano alcun riferimento a numeri
telefonici. Infine, non appena evidenziatosi l’errore, la Banca CR Firenze
S.p.A. ha provveduto prontamente a correggere il contenuto del messaggio
pubblicitario ed ha totalmente eliminato ogni riferimento a qualsivoglia
numero telefonico, sostituendolo con l’indicazione di rivolgersi alla filiale di
competenza e producendo, a riprova di quanto affermato, copia dei nuovi
dépliant e delle nuove locandine inerenti alla pubblicità in questione.
Con parere pervenuto in data 27 luglio 2006, l’Autorità ha ritenuto che il
messaggio in esame costituisce una fattispecie di pubblicità ingannevole ai
sensi degli artt. 19, 20 e 21 del Decreto Legislativo n. 206/05, sulla base delle
seguenti considerazioni: - nella delibera dell’AGCOM n. 417/01 del 7
novembre 2001, riguardante: “Linee guida in merito alle comunicazioni al
pubblico delle condizioni di offerta dei servizi di telecomunicazioni offerti al
pubblico ed alla introduzione dell’Euro” viene precisato che le informazioni
sui costi e sulle tariffe dei servizi di telecomunicazione costituiscono
informazioni essenziali sull’offerta pubblicizzata in quanto direttamente
86
determinanti alla fruizione del servizio stesso, e che pertanto esse devono
essere
fornite
in
maniera
evidente
e
chiaramente
percepibile;
- l’assenza di intenzionalità dell’evento da parte dell’operatore pubblicitario e
la condotta diligente per rimuovere gli effetti dell’affermazione non veridica,
non sono elementi idonei a escludere l’ingannevolezza del messaggio, posto
che questo deve essere valutato nella sua potenzialità decettiva, con esclusivo
riferimento al suo contenuto e alla sua portata, riferita alle circostanze spaziotemporali della sua diffusione; - il messaggio in questione – finalizzato alla
promozione dell’offerta di servizi – contiene la falsa affermazione relativa alla
gratuità dell’accesso al servizio di informazione sui servizi stessi, in particolare
in relazione alle tariffe telefoniche, per le quali l’indicazione “numero verde”
equivale a “gratuito”, inducendo nel destinatario del messaggio il
convincimento che l’adesione al servizio pubblicizzato sia esente da costi;
- il messaggio in esame, inoltre, è in grado di orientare indebitamente le scelte
dei consumatori, in considerazione del fatto che la conoscenza delle
condizioni per accedere al servizio di informazione è elemento determinante
nella scelta economica dei destinatari del messaggio di avvalersi di tale mezzo
in luogo di un altro per prendere contatto con la committente del messaggio e
aderire all’iniziativa pubblicizzata; - pertanto, il messaggio relativo all’offerta di
apertura di un conto corrente gratuito, riservata ai nuovi correntisti delle
banche del gruppo, diffuso dal gruppo Banca CR Firenze sul quotidiano “La
Nazione” in data 12 marzo 2006, nella parte riguardante l’erronea
87
qualificazione come numero verde del recapito telefonico 840 00 88 66, risulta
idoneo ad indurre in errore le persone alle quali è rivolto o da esso raggiunte,
in considerazione della falsa indicazione della gratuità delle chiamate, verso
l’utenza telefonica 840 00 88 66.
1.2.2. Noi Wind Roaming (2007)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 26 luglio 2007, una società
concorrente ha segnalato la presunta ingannevolezza di un messaggio
pubblicitario, diffuso attraverso l’emittente televisiva nazionale Canale 5 il
giorno 24 luglio 2007, alle ore 22:15 circa, dalla società WindTelecomunicazioni S.p.A., diretto a promuovere l’offerta denominata “Noi
Wind Roaming”. Nella richiesta di intervento si lamenta l’inidoneità del
messaggio a veicolare correttamente, sotto il profilo della chiarezza e
completezza informativa, le effettive condizioni economiche e le limitazioni
dell’offerta proposta. In particolare, la società segnalante lamenta:
l’erronea/ingannevole indicazione di gratuità che caratterizza il claim principale
del messaggio in esame, posto che l’offerta reclamizzata prevede un costo di
attivazione di sette euro annui e la previa attivazione dell’opzione “Noi
Wind”, al costo di sei euro mensili, rinnovata automaticamente ogni trenta
giorni; l’omessa o, comunque, non sufficientemente percepibile indicazione
dei limiti di fruibilità dell’offerta, posto che la stessa può essere utilizzata sino
al raggiungimento di una soglia massima di traffico in uscita, pari a quaranta
minuti mensili, unicamente all’interno di sedici Paesi europei (e non, come
88
affermato nello spot televisivo in contestazione “In Europa”) e previa
anteposizione del codice “124” e, inoltre, non è indicata la tariffazione
applicata al superamento del monte minuti massimo di validità dell’offerta.
Con la stessa richiesta di intervento, l’associazione segnalante ha richiesto,
altresì, la sospensione provvisoria dei messaggi in questione, ai sensi
dell’articolo 11, comma 2, del D.P.R. n. 284/03.
Il messaggio pubblicitario oggetto di segnalazione consiste in un breve spot
televisivo interpretato da tre noti attori. Nel corso dello sketch si inserisce una
voce fuori campo che afferma: “Da oggi con Noi Wind parli gratis con tutti i
telefonini Wind anche in Europa”. In contemporanea alla voce fuori campo,
appaiono in sovrimpressione le scritte fisse molto grandi in cui si legge: “Noi
Wind
Roaming
parli
gratis
con
i
telefonini
Wind
in
Europa”.
Contemporaneamente, si nota la presenza di un super che scorre molto
velocemente al di sotto delle due scritte fisse e con caratteri grafici molto
ridotti in cui, mediante l’utilizzo del fermo immagine, si legge: “Noi Wind
Roaming: fino a 40 minuti/mese utilizzando il bonus di Noi Wind. Attivazione 7
Euro/anno. Info offerta e Paesi 155.it”.
Con nota pervenuta in data 2 agosto 2007, la società Wind Telecomunicazioni
S.p.A. si è opposta all’istanza di sospensione provvisoria avanzata dalla
segnalante, rilevando l’insussistenza, allo stato, del richiesto requisito del
periculum: la programmazione dello spot oggetto di analisi, infatti, era stata
89
prevista per pochi giorni e non era in programma una sua ulteriore diffusione.
Nella medesima nota, inoltre, l’operatore ha sostenuto che il mezzo di
diffusione utilizzato per sua natura comportasse limiti strutturali alla
comunicazione dei dettagli dell’offerta e che un conforme orientamento di
questa Autorità già aveva considerato circostanze di diffusione analoghe
necessariamente implicanti una minima soglia di omissioni.
L’Autorità ha osservato che, sotto il profilo delle modalità grafiche adottate
per la comunicazione pubblicitaria in esame, le informazioni attraverso cui
l’operatore pubblicitario ha inteso caratterizzare la sua offerta sono state
veicolate combinando voce, immagini e un testo scorrevole che, per il tempo
di permanenza in video assai breve e per la misura ridotta del corpo grafico,
non è di immediata e agevole lettura. E ciò anche in considerazione della
circostanza che lo sketch che caratterizza lo spot in esame è congegnato in
modo da assorbire l’attenzione del telespettatore che viene, così, focalizzata
sulla parte del messaggio che presenta la particolare convenienza dell’offerta
in questione(“Parli gratis”). A causa della velocità di scorrimento del super sopra
descritto
e
della
dimensione
dei
caratteri
utilizzati,
visibilmente
sottodimensionati rispetto a quelli della scritta fissa, il destinatario del
messaggio non percepisce in modo sufficientemente chiaro e completo le
informazioni fondamentali in esso contenute, ovvero che l’offerta
pubblicizzata comporta, comunque, esborsi pecuniari (un costo di attivazione
di sette euro annui; la previa attivazione dell’opzione “Noi Wind” al costo di
90
sei euro mensili, rinnovata automaticamente ogni trenta giorni) e che la sua
fruibilità è subordinata alla condizione che non si superi una soglia massima di
traffico in uscita (quaranta minuti mensili). Né il messaggio veicola in alcun
modo le ulteriori informazioni caratterizzanti l’offerta pubblicizzata, ovvero
che essa può essere utilizzata unicamente all’interno di sedici Paesi europei (e
non, come affermato nel messaggio, “In Europa”) e previa anteposizione del
codice “124”; né risulta indicata la tariffazione applicata al momento del
superamento del monte minuti massimo di validità dell’offerta stessa.
Come rilevato anche nel parere reso dall’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni, deve, pertanto ritenersi che, ai fini della esatta percezione del
contenuto qualificante l’offerta reclamizzata sotto il profilo sia delle
condizioni economiche che delle sue limitazioni di fruizione, il messaggio
appare del tutto inidoneo a soddisfare quell’ onere minimo di completezza e
chiarezza
informativa
che
deve
caratterizzare
ogni
comunicazione
pubblicitaria e che si presenta particolarmente stringente riguardo alle
iniziative pubblicitarie relative a servizi di comunicazione, in considerazione
del continuo proliferare di offerte, del continuo progresso tecnico e
tecnologico del settore nonché della forte asimmetria informativa a vantaggio
degli operatori e, quindi, del conseguente disorientamento commerciale che
tutto questo ingenera nel consumatore. Neppure può valere a sanare i
riscontrati aspetti di decettività il rinvio al sito Internet dell’operatore per
reperire informazioni circa l’offerta pubblicizzata. Tutte le informazioni che
91
attenuano in maniera considerevole la portata della promozione pubblicizzata
devono essere fornite contestualmente, potendo servire il rimando ad altra
fonte informativa al più a integrare i contenuti dell’offerta proposta ma non a
circoscriverne significatamene la portata.
1.2.3. Alice 20 mega con modem in noleggio (2007, non
violazione)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 20 aprile 2007, Altroconsumo in qualità di associazione di consumatori - ha segnalato la presunta
ingannevolezza, per conto di un singolo consumatore, di un messaggio
pubblicitario volto a promuovere il collegamento ad internet denominato
“Alice 20 Mega”. In particolare, il messaggio segnalato è rappresentato da
alcune
pagine
web
del
sito
internet
www.alice.adsl.it.
Nella richiesta di intervento si lamenta l’indisponibilità di alcuni elementi
dell’offerta. In particolare, il messaggio lascerebbe intendere contrariamente al
vero che, per coloro che non sono clienti “Alice”, aderendo alla promozione,
sia possibile usufruire di un numero telefonico aggiuntivo con il relativo
servizio di telefonia e di fax, laddove invece il servizio offerto consente
unicamente di navigare su internet.
Il messaggio in esame presenta un’offerta tariffaria per la navigazione in
internet attraverso rete fissa “Alice 20 mega”, cui può essere aggiunto un servizio
telefonico denominato “Alice Voce”( “Se sei un nuovo cliente e scegli la versione con
92
modem hai, incluso nel costo di abbonamento mensile, anche il servizio Alice voce”).
Nella richiesta d’intervento si lamenta l’ingannevolezza del messaggio nella
misura in cui non sarebbe stato attivato il servizio con le caratteristiche
prospettate nel messaggio e, in particolare, non sarebbe stato possibile
usufruire del servizio “Alice Voce”. Al riguardo, gli elementi prodotti in atti
dalla Telecom indicano la sussistenza di un numero cospicuo di attivazioni del
servizio “Alice 20mega” con associato il servizio voce. Inoltre, dagli stessi atti,
emerge che la vicenda che ha dato luogo alla denuncia è stata generata da un
errore nell’attivazione da parte degli operatori del servizio clienti “187” di
Telecom che, nel caso di specie, hanno omesso di attivare il previsto servizio
“Alice
Voce”,
una
volta
installata
la
necessaria
linea
aggiuntiva.
Pertanto, in assenza, oltre che di omissioni informative rilevanti rispetto a
caratteristiche e condizioni dell’offerta, di una generalizzata indisponibilità del
servizio nei termini e nelle condizioni prospettate nel messaggio, vi è motivo
di ritenere che l’episodio che ha dato luogo alla denuncia sia riconducibile ad
un singolo disguido tecnico. Esso, richiamando l’orientamento dell’Autorità
rispetto all’irrilevanza di un singolo episodio, ad inficiare di ingannevolezza
una comunicazione pubblicitaria, è di per sé inidoneo a configurare un’ipotesi
di ingannevolezza del contenuto complessivo del messaggio, con riferimento
alla possibilità di usufruire del servizio “Alice Voce” nell’ambito dell’offerta
“Alice 20Mega”, in difformità dal parere dell’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni. Ritenuto, pertanto, che, in difformità dal parere dell’Autorità
93
per le Garanzie nelle Comunicazioni, il messaggio segnalato non è idoneo ad
indurre in errore i destinatari rispetto alle effettive caratteristiche del servizio
offerto; ha deliberato che il messaggio pubblicitario descritto, non costituisce,
per le ragioni esposte in motivazione, una fattispecie di pubblicità ingannevole
i sensi degli artt. 19, 20 e 21 del Decreto Legislativo n. 206/05, nella versione
vigente prima dell’entrata in vigore dei Decreti Legislativi 2 agosto 2007, n.
145 e n. 146.
2. Il settore agroalimentare: l’obbligo di correttezza delle
informazioni su caratteristiche, composizione e provenienza
degli alimenti
2.1.
Interventi del Giurì
2.1.1. Unilever Italia vs Kraft Foods Italia per maionese “senza
colesterolo” (2008)
Unilever Italia srl ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Kraft
Foods Italia spa in relazione a un messaggio pubblicitario volto a promuovere
una nuova salsa tipo maionese "Senza Colesterolo", pubblicato sul "Corriere
della Sera" del 2 dicembre 2007 ritenendolo in contrasto con l'art. 2 del
Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. Ad avviso
dell'istante, le affermazioni "Nuova da Kraft. Tutto il piacere della maionese
senza il colesterolo", "Dall'esperienza Kraft nasce Senza Colesterolo, la nuova
94
maionese leggera senza tuorlo, ideale per chi sceglie un'alimentazione attenta
ma ricca di gusto. Versatile e adatta per tante ricette, Kraft ti offre tutto il
piacere della maionese, senza colesterolo", nonché l'immagine del vasetto che
contiene il prodotto, molto simile al vasetto usato per la vera maionese,
sarebbero ingannevoli perché presenterebbero al pubblico come maionese un
prodotto che non lo è, essendo del tutto privo del tuorlo d'uovo, riconosciuto
come uno degli ingredienti essenziali della salsa maionese. Pertanto, il
consumatore percepirebbe la maionese come prodotto realizzato con il tuorlo
d'uovo e quindi la presentazione del prodotto "Senza Colesterolo" nella
pubblicità di Kraft come maionese o assimilato alla maionese costituirebbe un
inganno per il pubblico.
Kraft ha eccepito che: 1) il prodotto "Senza Colesterolo" ha un gusto
estremamente simile a quello delle maionesi industriali in commercio e
verrebbe considerato dai consumatori fungibile rispetto a queste, potendo
quindi essere legittimamente definito una "salsa maionese leggera senza
tuorlo"; 2) la pubblicità fornirebbe al consumatore un'esatta rappresentazione
delle caratteristiche del prodotto, soprattutto nella versione che Kraft ha
modificato dopo lo scambio di corrispondenza con Unilever, il cui slogan non
presenta più il prodotto come "nuova maionese leggera senza tuorlo", ma
come "nuova salsa tipo maionese leggera e senza tuorlo".
Il Giurì, ritiene che la pubblicità Kraft denunciata da Unilever sia ingannevole.
La prima versione di essa presenta una salsa fredda di nuova produzione, del
95
tutto priva di tuorlo d'uovo e la chiama maionese. Pur non esistendo una
definizione normativa o regolamentare, nella lingua italiana la parola
"maionese" è utilizzata per denominare una salsa fredda, realizzata con il
tuorlo d'uovo, come risulta peraltro inequivocabilmente dai dizionari e dai
ricettari di varia epoca e come attestato anche dal Code of Practice approvato
dalla Federation of the Condiment Sauce Industries of Mustard and Fruit and Vegetables
prepared in Oil and Vinegar of the European Union (cd. FIC Europe), cui
aderiscono le maggiori associazioni di categoria nel campo alimentare a livello
europeo, compresa l'Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari.
Ritiene, quindi, il Giurì che il tuorlo d'uovo rappresenti un elemento
essenziale anche della maionese industriale e che il consumatore medio
identifichi la maionese come una salsa nella cui composizione il tuorlo d'uovo
è essenziale. Pertanto, una pubblicità che espressamente chiami maionese un
prodotto privo di tale elemento è da ritenere ingannevole in quanto contraria
all'art. 2 CA.
Il Giurì ritiene che anche la seconda versione della pubblicità Kraft incorra
nella stessa censura perché, pur non dicendo espressamente che il prodotto è
una maionese, contiene due affermazioni che indirettamente veicolano
messaggi antitetici (quanto alla natura del prodotto), e di essi quello che
induce ad accostare il prodotto alla maionese ha sicura prevalenza grafica. La
prima frase, in caratteri particolarmente grandi "il piacere della maionese,
senza colesterolo" è in grado di indurre il consumatore a ravvisare nel
96
prodotto una vera maionese. La seconda frase, "Dall'esperienza Kraft nasce
Senza Colesterolo, la nuova maionese leggera senza tuorlo, ideale per chi
sceglie un'alimentazione attenta ma ricca di gusto. Versatile e adatta per tante
ricette, Kraft ti offre tutto il piacere della maionese, senza colesterolo",
chiarisce che il prodotto non è una maionese, ma un prodotto nuovo, che può
essere accostato alla maionese ("tipo maionese"), senza esserlo, proprio in
quanto privo di tuorlo d'uovo. Tuttavia questa seconda frase è scritta in
caratteri notevolmente più piccoli rispetto alla precedente e la sua modesta
evidenza grafica la rende incapace di contrastare l'effetto opposto della prima
frase. In definitiva, anche nella seconda versione della pubblicità Kraft il
consumatore medio è indotto a individuare nel prodotto presentato una
maionese, laddove però il prodotto non è una maionese.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto la prima pubblicità di Kraft
esaminata in contrasto con l'art. 2 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione
Commerciale e ne ha ordinato la cessazione; la seconda pubblicità di Kraft esaminata è
parimenti in contrasto con l'art. 2 CA nella misura in cui la frase "salsa tipo maionese"
non riceve idonea evidenza grafica rispetto al contesto, ed in questi limiti ne ha ordinato la
cessazione.
2.1.2. Latte crescita Mellin (2006, non violazione)
Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di
Mellin spa in relazione al telecomunicato diffuso sulle reti Mediaset nel mese
97
di settembre 2006 e relativo al prodotto "Latte Crescita Mellin", ritenendolo in
contrasto con gli artt. 2 - Pubblicità ingannevole, e 8 - Superstizione, credulità,
paura - del CAP. Lo spot riprende una mamma che allatta e un ombrello che
reca la scritta "sistema immunitario". Sotto l'ombrello viene poi inquadrato un
bambino che beve dal biberon, mentre lo speaker sottolinea la continuità
dell'allattamento cosiddetto misto, cioè seno più biberon. L'ombrello si chiude
per un attimo in corrispondenza dell'indicazione del primo anno di età,
raffigurando il momento in cui il latte materno o quello formulato vengono
sostituiti dal latte vaccino. Il messaggio continua con la ripresa della
confezione del prodotto, mentre lo speaker ne illustra i vantaggi. Il parlato
recita via via: "Dal primo giorno lo hai protetto costruendo il suo sistema
immunitario. Poi hai continuato tu o con il biberon. Ora che ha 1 anno perché
smettere? Continua a proteggerlo con il latte Crescita Mellin. Il primo latte che
da 1 a 3 anni aiuta a rinforzare il suo sistema immunitario, giorno dopo
giorno. E tu lo vedi crescere sano e protetto. Latte Crescita Mellin continua a
proteggerlo. Adesso puoi". Ad avviso dell'organo di controllo, il messaggio
appare ingannevole ai sensi dell'art. 2 CAP, in quanto la documentazione
prodotta dall'inserzionista non prova la sua veridicità in relazione ai vantati
effetti utili sul sistema immunitario. Inoltre essa, in uno studio, fa riferimento
a risultati ottenuti sui bambini dai 30 ai 120 giorni di vita, mentre lo spot
reclamizza l'efficacia del prodotto sui bambini da 1 a 3 anni. Le promesse
dello spot appaiono, inoltre, eccessivamente perentorie, giungendo persino a
98
istituire un suggestivo ma inammissibile confronto tra la protezione fornita dal
latte materno e quella offerta dal prodotto Mellin. Il tono particolarmente
enfatico appare idoneo a suscitare ingiustificati allarmi o ansie delle madri per
la salute dei propri figli, in violazione dell'art. 8 CAP.
La Mellin spa ha eccepito quanto segue: 1) la documentazione fornita prova la
veridicità del messaggio in questione; 2) lo studio contestato testimonia che il
test condotto sui bambini da 30 a 120 giorni di vita è durato per dodici mesi,
quindi si è esteso anche all'età per cui il prodotto è reclamizzato; 3) il
messaggio non stabilisce un'equivalenza tra latte materno e latte di crescita
Mellin, soprattutto perché le mamme che hanno potuto allattare al seno, che
costituiscono il target di riferimento, conoscono la differenza tra i due sistemi
di nutrizione; 4) lo spot non può essere letto come enfatico o ricattatorio.
Il Giurì ritiene che Mellin abbia prodotto una documentazione idonea a
provare la veridicità dei claim presenti nello spot in oggetto. Un abstract
pubblicato su una rivista scientifica e un poster presentato a un convegno
internazionale dimostrano che i test sono stati effettuati e di essi si indicano
chiaramente i risultati utili sul sistema immunitario e sulle vie respiratorie in
particolare. La documentazione e i pareri scientifici provano, altresì, che gli
effetti utili del latte pubblicizzato si verificano per tutto il periodo indicato, da
1 a 3 anni. Il Giurì, inoltre, non condivide le contestazioni sollevate in merito
all'art. 8, in quanto il target di riferimento del telecomunicato è costituito in
prevalenza da mamme esperte, nonché spesso supportate dal pediatra, e
99
dunque è ragionevole ritenere che siano sufficientemente avvedute e non
suscettibili, pertanto, di ricavare dallo spot ansia o paura per i propri figli.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità in esame non è in
contrasto con gli artt. 2 e 8 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.
2.1.3. “Ovito” Gruppo Novelli (2008)
Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di
Gruppo Novelli srl in relazione al messaggio pubblicitario "Natura per
crescere", relativo al prodotto "Ovito", rilevato sul n. 44 del settimanale
"Oggi", datato 31 ottobre 2007, ritenendolo in contrasto con l'art. 2 del
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, chiedendo la pubblicazione ex art. 40
dell'emananda decisione.
Il messaggio consiste nell'immagine di un uovo avvolto in una foglia di mais a
forma di fagotto, come se fosse trasportato da una cicogna, mentre il claim
principale recita "Natura per crescere. L'unico uovo approvato dalla
Federazione Italiana Medici Pediatri". Nella body copy si specifica inoltre che le
uova "Ovito" danno a tutti "una nuova garanzia", in quanto approvate
appunto dalla FIMP che "riconosce le alte proprietà qualitative del primo
uovo in Europa con certificazione di prodotto". Ad avviso del Comitato,
l'impianto comunicazionale del messaggio appare suscettibile di veicolare un
contenuto ambiguo e fuorviante, in quanto al fine di accreditare l'uovo
pubblicizzato di maggiore sicurezza esalta l'unicità dell'approvazione
100
proveniente da una associazione sindacale, trasferendo tale unicità
all'esaltazione dell'eccellenza delle qualità del prodotto, lasciando intendere
che esso sia particolarmente adatto per l'alimentazione dei bambini. La
"certificazione di prodotto" di cui parla il messaggio non sarebbe stata
rilasciata dalla stessa FIMP, ma da un organismo terzo ("Bureau Veritas"), che
il messaggio identifica solo attraverso una sigla e un codice alfanumerico, non
specificando null'altro. La resistente ha eccepito che: 1) le uova "Ovito"
vengono prodotte nell'ambito di una filiera integrata, con mangimi di
produzione propria, senza grassi animali e coloranti sintetici; 2) l'ente di
certificazione terzo "Bureau Veritas", dopo aver svolto adeguati controlli, ha
rilasciato il certificato di conformità e un disciplinare tecnico di conformità
che la società si è impegnata a rispettare: il Gruppo Novelli sarebbe stata la
prima azienda società in Europa a ottenere tale certificazione; 3) l'associazione
FIMP su queste basi avrebbe approvato le uova "Ovito" quali prodotti
particolarmente adatti per l'alimentazione dei bambini, autorizzando la società
a utilizzare il proprio logo; 4) il messaggio si limita a comunicare al pubblico
l'approvazione FIMP ottenuta, che peraltro non sarebbe in possesso di altri
operatori, senza toni eccessivi e riportando contenuti che corrisponderebbero
al
vero;
5) l'approvazione
vantata
sarebbe
sostenuta
da
adeguata
documentazione tecnico-scientifica e il messaggio pubblicitario chiarirebbe il
suo contenuto.
101
Il Giurì ritiene che il fulcro del messaggio esaminato sia costituito dalla frase
"L'unico uovo approvato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri", in
evidenza sotto l'immagine che inequivocabilmente indirizza l'attenzione verso
l'alimentazione della prima infanzia. A prescindere dal fatto che agli atti non si
riscontra alcun documento di provenienza diretta della FIMP, e pur volendo
sorvolare sull'assenza di elementi in ordine alle finalità di questa associazione e
al potere della Gestifimp, che ha sottoscritto il contratto con la resistente, di
concedere l'utilizzo della dicitura contestata, il Giurì ritiene che tale contratto,
laddove conferisce una esclusiva per periodi determinati e a titolo oneroso,
non si configura come una certificazione di qualità, ma come una vera e
propria sponsorizzazione. Da ciò l'ingannevolezza del messaggio, che al
contrario utilizza il riferimento alla FIMP come un'attestazione di qualità
superiori, anzi uniche rispetto a qualunque altro prodotto sul mercato, come
se "Ovito" fosse l'unico prodotto italiano ad avere le qualità indicate nella body
copy del messaggio. Pertanto, limitatamente alla frase che rivendica i caratteri di
unicità dell'approvazione FIMP, il messaggio in questione va dichiarato in
contrasto con l'art. 2 CAP. Non sussistono i requisiti per ordinare la
pubblicazione della decisione ex art. 40 CAP.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità denunciata è in
contrasto con l'art. 2 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria limitatamente alla
rivendicazione dell'unicità dell'approvazione della FIMP, e ne ordina in questi limiti la
cessazione.
102
2.2.
Interventi dell’A.G.C.M.
2.2.1. Patasnella 70% di grassi in meno (2006)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 12 maggio 2006, integrata
mediante acquisizione di copia del messaggio televisivo e identificazione del
committente in data 6 e 12 giugno 2006, un’associazione di consumatori ha
segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del
Decreto Legislativo n. 206/05, di alcuni messaggi pubblicitari, diffusi dalla
società Pizzoli S.p.A., relativi al prodotto alimentare Patasnella, patatine
surgelate. Detti messaggi sono stati diffusi in data 9 aprile 2006, sull’emittente
televisiva Rete 4, alle ore 20,38 circa, sui siti Internet www.patasnella.it e
www.pizzoli.it rilevati il 2 maggio 2006, nonché attraverso la stessa confezione
del prodotto alimentare. Nella richiesta di intervento si evidenzia come, nelle
informazioni pubblicitarie relative al prodotto in questione, siano rinvenibili
diversi profili di ingannevolezza a seconda delle richiamate modalità di
diffusione dei vari messaggi e precisamente: - con riferimento allo spot televisivo,
la mancata specificazione del fatto che il prodotto pubblicizzato, prima di
essere surgelato, sia già stato sottoposto ad un primo processo di cottura
(frittura tradizionale) e che quella in forno, cioè la cottura effettuata dal
consumatore, sia soltanto successiva; che nell’inquadrare una confezione di
Patasnella, sulla quale si legge la scritta “70% di grassi in meno”, non venga
specificato rispetto a quale termine di paragone sia riferita la percentuale di
riduzione nell’assunzione di grassi; lo spot induce i consumatori a ritenere che
103
il prodotto Patasnella non faccia ingrassare e che il relativo consumo si associ
alle caratteristiche di bontà e salutarietà delle patate cotte in forno; - con
riferimento ai siti Internet, l’espressione “70% di grassi in meno”, esplicitata come
in riferimento alle patate fritte in generale, non risponda al vero in base ai dati
contenuti nella tabella delle informazioni nutrizionali presente sulla
confezione Patasnella e che, anche in questo caso, non sia evidenziato che si
tratti di un prodotto prefritto. Inoltre, anche in riferimento ad altre confezioni
di patate fritte surgelate, l’associazione segnalante rileva che altre marche di
prodotti analoghi riportano un contenuto di grassi inferiore (3 grammi di
grassi per 100 grammi di prodotto) rispetto a quello indicato sulla tabella delle
informazioni nutrizionali presente sulle confezioni Patasnella (6 grammi di
grassi per 100 grammi di prodotto); - con riferimento alla confezione, oltre ai
profili sopra evidenziati, si rileva la diversità nell’indicazione degli ingredienti
(patate, olio vegetale) rispetto a quanto riportato sui siti Internet (patate, oli,
grassi vegetali idrogenati).
Dopo aver preso esame delle argomentazioni dell’operatore pubblicitario e
delle memorie difensive da esso presentate (per le quali si rimanda al sito
www.agcm.it), l’Autorità ha deliberato quanto segue.
Per quanto concerne la natura del prodotto, appare opportuno evidenziare
che, in ogni modalità di diffusione pubblicitaria oggetto di segnalazione (spot
televisivo, sito internet, confezione), è chiaramente desumibile la natura del
prodotto Patasnella (patata fritta e surgelata). Tali elementi portano a ritenere
104
che, sotto questo profilo, i messaggi segnalati non presentano aspetti di
ingannevolezza per i consumatori in quanto essi sono messi in condizione di
percepire con immediatezza che Patasnella è una patata che, prima di essere
surgelata, è già stata sottoposta ad un primo processo di cottura (frittura
industriale) e che quella in forno, cioè la cottura effettuata dal consumatore, è
soltanto successiva.
Riguardo all’affermazione “70% di grassi in meno”, occorre, preliminarmente,
soffermarsi sul parametro di riferimento utilizzato. In particolare, è necessario
definire a quale termine di paragone far riferimento al fine di constatare la
veridicità delle caratteristiche pubblicizzate (in particolare della leggerezza,
derivante dal minore contenuto in grassi) e cioè stabilire cosa il consumatore
sia portato a ritenere con l’espressione “rispetto alle patatine fritte tradizionali”
utilizzata in alcuni dei messaggi pubblicitari in esame (confezione e sito Internet
www.patasnella.it). Il messaggio veicolato sul sito Internet www.patasnella.it,
riguardo all’espressione sullo stesso riportata con riferimento al prodotto “Ho il 70% di grassi in meno rispetto alle patatine fritte tradizionali […]”, esso appare
eccessivamente assertivo rispetto ad una caratteristica del prodotto, cioè la
minore percentuale di grassi (70%) in esso contenuti rispetto alle patatine
fritte tradizionali, che non è dato definire con certezza. Per quanto le
risultanze istruttorie abbiano dimostrato che, effettivamente, le Patasnella, al
momento del consumo, hanno un contenuto inferiore di grassi, non solo
rispetto alle patate fresche fritte in maniera tradizionale, ma anche, ed in
105
misura ancor più netta, paragonandole ai prodotti similari (patate prefritte e
surgelate) non è possibile attribuire a tale minore contenuto il dato in termini
“assoluti” del 70% in meno, sia con riferimento alle prime che alle seconde.
Quanto, infine, alle presunte proprietà dietetiche del prodotto in esame,
sollevate dall’associazione segnalante, secondo la quale, in riferimento al
contenuto dello spot televisivo, il messaggio lascerebbe intendere che il
prodotto Patasnella non faccia ingrassare e che il relativo consumo si associ alle
caratteristiche di bontà e salutarietà delle patate cotte in forno, non è dato
rilevare indicazioni ingannevoli.
Del resto, neppure le immagini costituenti lo spot, sebbene raffigurino una
giovane donna snella e dalle agili movenze, non possono considerarsi
allusione in tal senso, bensì associate alle modalità di cottura, in forno, senza
aggiunta di grassi, delle Patasnella. Le caratteristiche di leggerezza evidenziate
nello spot, pertanto, sono ragionevolmente attribuibili al fatto che il prodotto
in questione, come desumibile dalle immagini stesse, non prevede un’ulteriore
frittura in olio, responsabile dell’innalzamento del contenuto lipidico
dell’alimento prima del consumo e giustificano anche la denominazione
commerciale del prodotto volta a differenziarlo dai similari proprio per le
diverse modalità di cottura. Pertanto, sotto questo profilo, il messaggio
pubblicitario non appare suscettibile di una valutazione di ingannevolezza, ai
sensi degli articoli 19, 20 e 21, lettera a), del Decreto Legislativo n. 206/2005.
106
Ritenuto, pertanto, che i messaggi pubblicitari diffusi sul sito Internet
www.patasnella.it, nonché attraverso la stessa confezione del prodotto Patasnella
nei suoi diversi formati da 1 Kg, 600 gr. e 750 gr., sono idonei a indurre in
errore
i
consumatori
in
ordine
alle
caratteristiche
del
prodotto
pubblicizzato;delibera:
a) che i messaggi pubblicitari relativamente al sito Internet www.pizzoli.it -,
concernenti il prodotto alimentare Patasnella, diffusi dalla società Pizzoli
S.p.A., non costituiscono una fattispecie di pubblicità ingannevole in
contrasto con il Decreto Legislativo n. 206/05;
b) che i messaggi pubblicitari - relativamente al sito Internet www.patasnella.it e concernenti il prodotto alimentare Patasnella, diffusi dalla società Pizzoli
S.p.A., costituiscono, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una
fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi degli articoli 19, 20 e 21, lettera a),
del Decreto Legislativo n. 206/05, e ne vieta l’ulteriore diffusione.
2.2.2. Salmone affumicato KV Nordic (2006)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 30 dicembre 2005, integrata in
data 11 gennaio 2006, un concorrente ha segnalato la presunta
ingannevolezza, ai sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n.
206/05, dei messaggi pubblicitari relativi ai prodotti a marchio “KV
NORDIC”:
“Salmone
Norvegese
affumicato”,
“Salmone
Irlandese
affumicato” e “Salmone Scozzese affumicato”, diffusi dalla società Eurofood
107
S.p.A. tramite il sito internet www.eurofood.it, in data 6 dicembre 2005, nonché
sulle confezioni degli alimenti, in vendita presso la grande distribuzione dei
mesi di novembre e dicembre 2005. Nella richiesta di intervento si evidenzia
l’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari in quanto idonei ad indurre in
errore i destinatari in ordine alle caratteristiche dei prodotti, con riguardo alla
loro origine geografica e commerciale nonché al metodo utilizzato per la loro
lavorazione. In particolare, il segnalante ha contestato: a) l’indicazione
“Prodotto da: Koenvisser – Olanda”, riportata nella pagina internet dedicata al
“Salmone Norvegese Affumicato”, in quanto sull’etichetta apposta sul retro
delle confezioni è indicato quale Paese in cui ha sede lo stabilimento di
produzione la Polonia; b) l’indicazione quale irlandese del “Salmone Irlandese
Affumicato”, riportata sulla pagina internet e sulle confezioni del prodotto, in
quanto tale tipologia di salmone non sarebbe allevata in Irlanda bensì in Gran
Bretagna, come risulterebbe dall’etichetta posta sul retro delle confezioni; c) le
affermazioni presenti sulle confezioni dei tre prodotti e nella pagina del sito
internet dedicata al “Salmone Norvegese affumicato” che fanno riferimento
all’antica tradizione della famiglia Visser, in quanto improbabile che tutte e tre
le tipologie di salmone, allevate ed affumicate in stabilimenti posti in territori
diversi tra loro siano lavorate secondo una ricetta che sembrerebbe
appartenere alla tradizione di una famiglia olandese.
Per quanto riguarda la pagina web dedicata al salmone norvegese, i profili di
ingannevolezza segnalati concernono, innanzitutto, l’affermazione “Prodotto da:
108
Koenvisser – Olanda”, in quanto incoerente rispetto alle indicazioni riportate
sull’etichetta, dove, conformemente a quanto prescritto dal Decreto
Legislativo 531/1992, compare quale sigla dello stabilimento quella della
Polonia. In effetti, come confermato dallo stesso operatore pubblicitario nelle
sue memorie, il “Salmone Norvegese affumicato” viene allevato e macellato in
Norvegia, mentre viene affumicato e confezionato in uno stabilimento sito in
Polonia.
Pertanto, l’indicazione “Prodotto da: Koenvisser – Olanda” risulta ingannevole nei
confronti del pubblico, in quanto induce a credere, contrariamente al vero,
che tale tipologia di salmone sia prodotta direttamente dalla famiglia
Koenvisser in Olanda, quando, in realtà, come emerso nel corso del
procedimento, la società Eurofood S.p.A. ha acquisito da essa il marchio “KV
Nordic” e lavora il salmone proveniente da allevamenti norvegesi in uno
stabilimento polacco. L’affermazione, pertanto, riguardando una caratteristica
del prodotto offerto, quale la sua origine commerciale, è idonea ad indurre in
errore i consumatori potendone pregiudicare in tal modo il comportamento
economico.
Con riferimento al metodo di lavorazione utilizzato per le tre tipologie di
salmone, il segnalante ha contestato le affermazioni pubblicitarie: “E’ tra i
marchi europei più importanti e storici per quanto riguarda l’affumicazione del salmone. La
famiglia Visser, infatti, ne tramanda da più di un secolo la tradizione. In tutto il mondo
Koenvisser è sinonimo di qualità” (pagina internet dedicata al “Salmone Norvegese
109
Affumicato”) e “Viene lavorato con grande passione avvalendosi dell’antica tradizione
della famiglia Visser e seguendo le rigorose procedure di pulitura, salatura e affumicatura
tramandate da generazione in generazione” (presente sulle confezioni dei prodotti).
Tali affermazioni inducono il pubblico dei consumatori a credere che la
lavorazione, ed in particolare il processo di pulitura, salatura e affumicatura,
cui vengono sottoposti i tre salmoni a marchio “KV Nordic” rispondano ad
un’unica tradizione tramandata per anni all’interno della famiglia olandese
Visser, che il segnalante ritiene, invece, del tutto insussistente. Nel corso del
procedimento, in effetti, è emerso che il gruppo Koenvisser, da cui Eurofood
avrebbe acquistato il marchio “KV Nordic”, opera da anni nel business dei
prodotti alimentari freschi e conservati, mentre non risulta alcuna particolare
specializzazione nella lavorazione del salmone. Dai dati forniti dall’operatore
sembra emergere, al contrario, che le tre tipologie di salmone, norvegese,
irlandese e scozzese, vengono lavorate secondo metodologie differenti tra di
loro. Ciò posto, si ritiene che le affermazioni pubblicitarie sopra riportate
sono idonee ad indurre in errore i consumatori in ordine al metodo di
lavorazione utilizzato per le tre tipologie di salmone a marchio “KV Nordic”,
e pertanto alle caratteristiche dello stesso, potendo influire indebitamente sulle
scelte di acquisto del pubblico dei consumatori nella misura in cui inducono
ad attribuire ai prodotti particolari pregi in termini di qualità e genuinità.
110
2.2.3. Omogeneizzati Plasmon (2007)
Con richieste di intervento pervenute in data 11 e 17 aprile 2007, alcuni
consumatori hanno segnalato la presunta ingannevolezza di un messaggio
pubblicitario, diffuso tramite le confezioni dei prodotti omogeneizzati di
frutta “Plasmon” commercializzate, nei mesi di marzo e aprile 2007, dalla
società Plasmon Dietetici Alimentari S.r.l. , e tramite uno spot pubblicitario
diffuso sull’emittente Canale 5.
Nelle richieste di intervento si ritiene che quanto riportato sulle confezioni dei
prodotti “Nuovo Plasmon 100% - Banana omogeneizzato” e “Nuovo Plasmon 100% Prugna omogeneizzato”, lascerebbe intendere che gli omogeneizzati siano
composti totalmente (100%) dal frutto indicato e illustrato sulla confezione
(Banana nel primo caso, Prugna nel secondo), mentre invece essi contengono
anche il 36% di mela, il 4% di succo concentrato deacidificato di mela e
vitamina C. La reale composizione del prodotto è desumibile dall’elenco degli
ingredienti riportato sull’etichetta apposta sui barattoli avvolti dalla
confezione, la cui lettura non è agevolmente accessibile.
Nella richiesta di intervento medesima si segnalano, altresì, le pagine web del
sito internet www.plasmon.it, rilevate in data 5 luglio 2007, laddove, nella
sezione I nostri prodotti/Categoria/Omogeneizzati/Frutta riporta gli slogan
"100% Frutta senza zucchero aggiunto" e "100% Natura solo frutta biologica". Il
segnalante rileva che, nella stessa pagina, sotto agli slogan sopra citati, è
111
riportata la dicitura " La frutta [...] è integrata con vitamina C, zuccheri, [...]",
generando quindi un messaggio poco chiaro.
Il primo profilo di ingannevolezza sollevato dai consumatori segnalanti,
riguardo alle confezioni dei prodotti in esame, è relativo all’effettiva
composizione degli omogeneizzati. le modalità di presentazione al pubblico
del prodotto, in particolare la confezione in cui esso è racchiuso - principale
fattore di attrazione per il consumatore che con essa ha il primo impatto in
sede di acquisto - non dà a quest’ultimo l’immediata percezione della reale
composizione dell’omogeneizzato dal momento che, raffigurando e
menzionando soltanto il frutto prevalente in esso contenuto, lo induce a
ritenere che questo sia l’unico componente il prodotto e non assicura,
pertanto, una corretta e trasparente informazione.
Inoltre, la scelta dell’operatore pubblicitario di aggiungere ai propri
omogeneizzati il succo concentrato di mela non appare compatibile con il
claim “senza zuccheri aggiunti” utilizzato.
Pertanto, relativamente ai claims utilizzati - “100% frutta” e “senza zuccheri
aggiunti” - nelle diverse modalità di diffusione dei messaggi segnalati
(confezioni, spot televisivi, sito Internet Plasmon), i messaggi pubblicitari
appaiono suscettibili di una valutazione di ingannevolezza, ai sensi degli
articoli 19, 20 e 21, lettera a), del Decreto Legislativo n. 206/05 in quanto
112
lasciano intendere, contrariamente al vero, che essi siano costituiti totalmente
da frutta e senza zuccheri aggiunti.
3. Prodotti potenzialmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei
consumatori: trattamenti dimagranti, bevande alcoliche
3.1.
Gli interventi dell’I.A.P.
3.1.1. Beauty Center “Cellu-Shock” (2008)
Il Comitato di Controllo ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti della
Beauty Center srl in relazione ai messaggi pubblicitari "Hai paura della
liposuzione? Nessun problema, c'è Cellushock. La vera alternativa alla lipo",
rilevato su "Chi" n. 2, data di copertina 16/1/2008, e "L'alternativa alla
liposuzione, Scegli Cellushock", rilevato su "Starbene" di febbraio, relativi
all'elettrostimolatore "Cellushock", ritenendoli contrari agli artt. 2 e 24 CA.
Ad avviso del Comitato le affermazioni "la cellulite ha i giorni contati",
"l'onda d'urto degli ultrasuoni scioglie il grasso", "le onde elettrolipolitiche
frammentano i depositi di cellulite" e "una taglia di abito in meno in sole 10
sedute" sarebbero tali da attribuire al prodotto un'efficacia certa, rapida e
definitiva, che non risulta provata. L'ingannevolezza del messaggio sarebbe
aggravata dai riferimenti alle percentuali di efficacia: "inestetismi della cellulite
ridotti dal 100 al 70%", "azione drenante +70%", "pelle compatta e tonica
+100%", ma anche dall'accostamento tra gli effetti del trattamento con
113
"Cellushock" e la liposuzione, che indurrebbe il pubblico a credere che sia
possibile ottenere gli stessi risultati senza sottoporsi a interventi chirurgici.
Inoltre, lo slogan "una taglia in meno in solo 10 sedute" prospetterebbe poteri
dimagranti del trattamento con il dispositivo reclamizzato, pur essendo la
cellulite non necessariamente correlata al sovrappeso corporeo, aumentando
così l'effetto decettivo del messaggio, soprattutto in considerazione della
particolare sensibilità femminile ai problemi degli inestetismi.
Ad avviso del Giurì il processo di scelta consapevole del consumatore
appartenente a un target psicologicamente debole come chi è alla ricerca di
una promozione estetica, risulta da questa opportunistica declinazione del
binomio chirurgia/trattamento non chirurgico fortemente perturbato e,
quindi, in contrasto con la ratio degli artt. 2 e 24 CA. Il Giurì condivide
l'addebito del Comitato relativo all'omissione grave, nelle comunicazioni
pubblicitarie in questione, della necessità di associare alle applicazioni di
"Cellushock" uno stile di vita sano, con la conseguenza che i messaggi
possono indurre il consumatore in errore su "caratteristiche ed effetti del
prodotto".
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha dichiarato che i messaggi contestati sono in
contrasto con gli artt. 2 e 24 CA nella misura in cui il trattamento 'Cellushock' è
presentato come 'alternativo' alla liposuzione, nel mentre si dà atto (anche nella pubblicità
su 'Starbene') che la liposuzione non elimina la cellulite e si rivendica un effetto migliorativo
di 'Cellushock' quanto meno sugli inestetismi della cellulite; e sono altresì in contrasto con
114
l'art. 2 in quanto non circostanziano gli effetti riduttivi di circonferenza corporea con
l'osservanza di stili di vita. E ne ha ordinato in questi limiti la cessazione.
3.1.2. In Linea + Light (2008, ingiunzione del Comitato di
Controllo)
Il Presidente del Comitato di Controllo,visto il messaggio pubblicitario
"L'incredibile nuovo marchio 'Equikall' – Provato – Certificato – Garantito",
relativo al prodotto "Equikall", rilevato sul n. 14 di "Oggi", data di copertina 2
aprile 2008, ritiene lo stesso manifestamente contrario agli artt. 2, 4, 12
comma 2, 23 bis del Codice della Comunicazione Commerciale, nonché ai
punti 1, 6, 7 e 8 del "Regolamento per la pubblicità degli integratori alimentari
proposti per il controllo o la riduzione del peso", che costituisce parte
integrante del predetto Codice. La comunicazione pubblicitaria, infatti, stante
la presenza di molteplici affermazioni esorbitanti e palesemente ingannevoli, è
tale da creare la falsa speranza di risolvere facilmente e in tempi brevi un
problema che, per i disagi di salute ed estetici che provoca, rende chi ne è
afflitto particolarmente sensibile e vulnerabile. In particolare, si alletta il
pubblico con promesse illusorie inducendolo a credere che con il trattamento
"Equikall" sia possibile ottenere una sicura e notevole perdita di peso senza
che sia necessario sostenere sacrifici in termini di riduzione dell'apporto
calorico giornaliero, svolgimento di attività fisica e, più in generale, di
adozione di un regime di vita coerente con l'obiettivo.
115
3.1.3. Cynar Martini (2007, non violazione)
Una consumatrice ha chiesto l'intervento del Giurì nei confronti di Davide
Campari spa in relazione al filmato pubblicitario relativo all'amaro "Cynar"
diffuso dalle emittenti RAI, Mediaset e La7 a partire dall'8 settembre 2007,
ritenendolo in contrasto con gli artt. 2 e 22 del Codice di Autodisciplina
Pubblicitaria.
Ad avviso dell'istante la pubblicità in oggetto creerebbe la falsa convinzione
che il "Cynar", definito "leggero", sia una bevanda a bassa gradazione alcolica,
favorendo così un'insufficiente attenzione alle regole di prudenza e
responsabilità nel consumo; indurrebbe i consumatori a un uso eccessivo e
incontrollato della bevanda; rappresenterebbe una situazione di inclinazione
morbosa al prodotto, presentandolo come soluzione allo stress della vita
quotidiana e, infine, assocerebbe il consumo di bevande alcoliche alla guida di
veicoli.
Il Giurì ritiene che le contestazioni mosse dalla ricorrente alla pubblicità in
esame non siano condivisibili e vadano respinte. Quanto alla presunta
contrarierà dello spot all'art. 2 CAP, la censura non merita accoglimento
poiché le resistenti hanno dimostrato che il claim "Amaro vero ma leggero"
risponde a verità, essendo il prodotto contraddistinto da una gradazione
alcolica del 16,5%, che si colloca al limite inferiore della categoria
merceologica degli amari e inoltre la qualità della leggerezza viene accreditata
dallo spot, inequivocabilmente, in specifica relazione alla natura di amaro della
116
bevanda, e non già in termini assoluti. Il Giurì ritiene che non ricorra una
violazione neppure dei precetti di cui all'art. 22 CAP. La valutazione dello spot
ai fini in esame non può prescindere dalla considerazione di taluni elementi
essenziali che lo caratterizzano: dall'idea pubblicitaria al concreto contenuto e
stile volutamente umoristico e paradossale della narrazione e delle scene, dalle
parole del sonoro al commento musicale, alla peculiare scelta di Elio e le
Storie Tese come gruppo testimonial.
Benché lo spot offra la rappresentazione di un gruppo di persone al tavolino
che bevono e gradiscono il prodotto fino ad accorgersi che il contenuto della
bottiglia è terminato, non pare corretto desumerne la conseguenza che il
filmato incoraggi un consumo incontrollato di bevande alcoliche, o
rappresenti un accanimento morboso al prodotto, o comunque induca il
pubblico a trascurare le differenti modalità di consumo necessarie in relazione
alle caratteristiche del prodotto. In ogni caso, la chiave di citazione parodistica
dello spot, il contenuto autoironico e di fantasia, la cifra di nonsense impressa
anche dal profilo dei protagonisti, introducono tra le scene del filmato
elementi di distacco e di distanza che, ad avviso del Giurì, prevengono il
rischio che lo spot, nella percezione del pubblico, produca quegli effetti
pericolosi e censurabili a cui talora indulge la pubblicità di bevande alcoliche e
che la disciplina dell'art. 22 intende evitare.
Si deve infine osservare, a ulteriore sostegno del giudizio di liceità, che lo spot,
nell'ultima
inquadratura,
rende
visibile
117
la
scritta
"Bevi
Cynar
responsabilmente", che apporta, sia pur incidentalmente, un invito alla cautela
rispetto alle modalità di consumo del prodotto.
Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, ha ritenuto che la pubblicità contestata non è in
contrasto con il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.
3.2.
Gli interventi dell’A.G.C.M.
3.2.1. Www.zerodiet.org (2007)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 13 luglio 2007, un consumatore
ha segnalato la presunta ingannevolezza di alcuni messaggi pubblicitari, relativi
alla possibilità di perdere peso attraverso l’utilizzo di alcuni magneti, diffusi,
sul sito internet www.zerodiet.org, in data 5 luglio 2007, e attraverso banner posto
sul portale “Alice.it”, in data 6 luglio 2007, dalla società Zeropiù S.r.l..
Nella richiesta di intervento si evidenzia il dubbio che i risultati prospettati dal
metodo pubblicizzato, attraverso le indicazioni riportate sul sito internet
www.zerodiet.org, laddove viene specificato che il metodo utilizzato “…permette di
perdere da 3,6 kg a 9,8 kg al mese” e che sia possibile perdere peso “in 30 giorni
senza privazioni e senza seguire alcun regime alimentare specifico”, e quella presente sul
banner, “perdere peso senza dieta”, siano corrispondenti al vero.
La valutazione della fattispecie in esame è stata effettuata ai sensi del Decreto
Legislativo n. 206/05, nella versione vigente prima dell’entrata in vigore dei
118
Decreti Legislativi 2 agosto 2007, n. 145 e n. 146 e che l’operatore
pubblicitario è individuato, alla luce di quanto indicato nelle memorie del 6
settembre 2007, nella società Zeropiù S.r.l.. I messaggi pubblicitari in esame
lasciano intendere, attraverso le indicazioni “Perdere peso senza dieta” e
“consente una perdita di peso che va dai 3,6 fino ai 5,3 kg. Il tutto in 30 giorni senza
privazioni e senza seguire alcun regime alimentare specifico”, che, con il prodotto
pubblicizzato, sia possibile per chiunque ottenere cali ponderali di notevole
entità ed in breve tempo, senza necessità di ricorrere ad un regime alimentare
restrittivo o ad un esercizio fisico controllato.
Sull’argomento, tuttavia,
l’Autorità ha più volte recepito quanto affermato dall’Istituto Nazionale di
Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), secondo il quale non è
possibile ottenere risultati a carico del tessuto adiposo senza sottoporsi a
restrizioni caloriche e ad un esercizio fisico adeguato. Inoltre, come soglie di
sicurezza relativamente alla rapidità del calo di peso, sono state considerate
accettabili per la salute e la sicurezza dei consumatori le diminuzioni ponderali
dell’ordine di 500-1000 grammi in media a settimana nel medio-lungo
periodo.
I claims riportati nei messaggi appaiono, conseguentemente, eccessivamente
enfatici e ingannevoli, essendo idonei ad ingenerare l’erroneo convincimento
di un’efficacia generalizzata e sicura nel conseguire i risultati prospettati e
risultando, in questo modo, potenzialmente in grado di orientare le scelte
economiche di acquisto dei consumatori, che versano, peraltro, anche in una
119
situazione di particolare debolezza psicologica, circa il conseguimento dei
risultati ottenibili tramite la sottoposizione al trattamento e a pregiudicarne il
comportamento economico.
3.2.2. Antismoking System (2006)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 14 ottobre 2005 ed integrata in
data 7 e 24 novembre 2005, la società Antismoking Center S.r.l., in qualità di
concorrente, ha segnalato la presunta ingannevolezza ai sensi del Decreto
Legislativo n. 206/05, ora Titolo III, Capo II, del Decreto Legislativo n.
206/05, di diversi messaggi volti a promuovere l’affiliazione ed i trattamenti
offerti da Antismoking System, ed in particolare: il messaggio pubblicato sul
numero 4 di aprile 2005 della rivista “Millionaire” ;la brochure informativa
diffusa presso la sede della società nel luglio 2005, e le pagine del sito internet
www.antismokingsystem.it.
I messaggi in esame sono volti a pubblicizzare, sia l’affiliazione in franchising
alla società Antismoking System, che attesta di operare sul mercato da più di
10 anni e di disporre della prima rete nazionale in questo mercato, definito
“praticamente privo di concorrenza”, sia il trattamento effettuato attraverso
interventi di elettrostimolazione, proposto come metodo per smettere di
fumare, sperimentato ed innovativo, efficace, privo di effetti collaterali e
controindicazioni e “l’unico” che rilascia un certificato di garanzia “soddisfatti o
rimborsati”.
120
I messaggi internet e la brochure informativa presentano contenuti del tutto
simili. In entrambi, infatti, ci si sofferma ampiamente a descrivere, con un
linguaggio di stampo medico-scientifico, le origini del trattamento e
l’innovatività dello stesso, che sarebbe stato perfezionato sulla base di
metodiche già da tempo impiegate per la dissuefazione dal fumo quali
l’auricoloterapia e l’auricolomedicina. Si afferma che il trattamento viene
effettuato con una sofisticata apparecchiatura, frutto dell’esperienza di tali
tecniche e di studi successivamente condotti, lasciando in tal modo intendere
che il metodo abbia un fondamento di tipo scientifico.
Non sussistono riscontri documentali di tipo scientifico che supportino
quanto dichiarato nel messaggio in ordine agli effetti che lo stesso sarebbe in
grado di produrre sull’organismo ed all’efficacia del metodo - di fatto del tutto
ipotetica ed eventuale - come strumento per sopprimere il vizio della sigaretta.
La circostanza che il metodo si ispiri ai principi dell’auricoloterapia e
agopuntura, non trattandosi di un trattamento di tipo terapeutico, non
consente di attribuire ad esso i risultati di studi condotti su tali metodiche
medico-scientifiche.
Ciò premesso, i messaggi sono da ritenersi ingannevoli in quanto, nella parte
in cui descrivono le origini del trattamento vantandone la particolare efficacia,
anche attraverso riferimenti a tecniche di tipo terapeutico, inducono un
affidamento sul funzionamento e la possibilità di riuscita del metodo
121
ingiustificato ed eccessivo, che non trova conferme né di tipo scientifico né
documentale.
Con riferimento al messaggio stampa, si rileva che lo stesso, principalmente
volto a pubblicizzare l’affiliazione alla catena in franchising, prospetta il
trattamento come un metodo di particolare efficacia, che cura gli aspetti fisici
e psicologici della dipendenza. Tali affermazioni, accreditando il trattamento
come una metodologia di tipo medico-scientifico che offre elevate possibilità
di successo, sono del tutto improprie e fuorvianti, in quanto l’elettrostimolazione su cui si basa l’apparecchio pubblicizzato non può proporsi
quale metodo di trattamento terapeutico, non essendo svolto in ambito
medico.
Il messaggio, pertanto, sotto tale profilo è ingannevole e idoneo ad indurre i
destinatari ad orientarsi verso tale operatore o ad aderire alla rete gestita dallo
stesso sulla base di caratteristiche del trattamento inesistenti.
L’esistenza
di
effetti
collaterali
e
controindicazioni,
inoltre,
viene
espressamente esclusa nel messaggio via internet. In realtà, come ammesso
dallo
stesso
operatore
pubblicitario
e
emerso
chiaramente
dalla
documentazione dallo stesso prodotta, l’uso di apparecchiature di
elettrostimolazione è controindicato per particolari categorie di soggetti quali i
portatori di pacemaker, i soggetti affetti da epilessia e le donne in stato di
gravidanza. Pertanto, i messaggi essendo volti a promuovere un trattamento
122
realizzato attraverso l’elettrostimolazione e omettendo di fornire indicazioni in
merito all’esistenza di controindicazioni all’utilizzo del metodo per alcune
categorie di persone, devono ritenersi idonei ad indurre i consumatori a
trascurare le normali regole di prudenza o vigilanza, con conseguente pericolo
per la loro salute. Sotto tale aspetto si ritiene di particolare gravità la
circostanza che il sito internet non solo si configuri del tutto omissivo sul
punto, ma sottolinea, in modo fuorviante, il carattere assolutamente innocuo
del trattamento che definisce “privo di effetti collaterali e controindicazioni”.
3.2.3. Pub “Los Panineros”(2007)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 8 novembre 2006,
un’associazione di consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai
sensi del Titolo III, Capo II, del Decreto legislativo n. 206/05, del volantino
pubblicitario diffuso in alcune località della Provincia di Livorno, nel periodo
dal 14 al 21 ottobre 2006, in occasione dell’inaugurazione del locale adibito ad
uso birreria denominato “Los Panineros”, in località Campiglia Marittima,
frazione di Venturina, provincia di Livorno. Nella richiesta di intervento si
evidenzia la presunta ingannevolezza del messaggio pubblicitario in quanto lo
stesso conterrebbe l’esplicita incitazione ad abusare delle bevande alcoliche
vendute nel locale, trascurando le normali regole di prudenza e di vigilanza
con grave pregiudizio alla salute e conseguenze sociali, attraverso l’adozione di
comportamenti trasgressivi.
123
Sulla base del claim pubblicitario che invita a recarsi presso la nuova birreria
dal pomeriggio inoltrato “fino a tarda notte per …..ubriacarti con le tue birre preferite
(e non solo)…!!!, il messaggio riporta un’esplicita esortazione ad assumere le
suindicate bevande alcoliche con estrema facilità, naturalezza e superficialità.
La stessa struttura grafica e l’utilizzo del termine “ubriacarti” rimarcato con un
colore diverso dal resto del testo, rispetto a quello utilizzato per le lettere degli
altri caratteri rappresenta una strategia comunicativa di immediato richiamo
dell’attenzione dei potenziali frequentatori del locale.
Sulla base dei dati statistici ufficiali, la pericolosa crescita esponenziale dell’uso
e dell’abuso di bevande alcoliche esige una politica di prevenzione e di tutela
relativa anche ai rischi di incidenti stradali causati dall’uso di tali bevande,
specialmente tra i giovani all’uscita da discoteche e disco pub e locali simili.
Nella fattispecie in esame, infatti, l’invito a recarsi presso la birreria
reclamizzata unitamente all’esortazione a “…..ubriacarti con le tue birre preferite (e
non solo)…!!!”, pur non essendo direttamente correlato al rischio di incidenti
stradali conseguenti all’abuso di sostanze alcoliche, propone tuttavia la
diffusione di modelli comportamentali rischiosi per la salute dei consumatori
potendoli indurre a trascurare le normali regole di prudenza e di vigilanza.
124
4. Due esempi di intervento dell’A.G.C.M. in materia di bambini e
adolescenti : le patatine Wacko’s (2006) e le Suonerie scaricabili
al 48428 (2007)
Con richiesta di intervento pervenuta in data 21 giugno 2006, un’associazione
di consumatori ha segnalato la presunta ingannevolezza, ai sensi del Titolo III,
Capo II, del Decreto Legislativo n. 206/05, del messaggio pubblicitario,
contenuto nella confezione delle patatine Wacko’s.
Nella richiesta di intervento si lamenta che nel messaggio, sotto al claim “Anche
i tuoi genitori impazziranno per Wacko’s […] dopo aver letto qui sotto!” viene
prospettata la possibilità di fornire importanti valori nutrizionali e tanta
energia attraverso una confezione di Wacko’s con affermazioni categoriche,
quali “sapete che vostro figlio ha bisogno di almeno 2.500 calorie al giorno per affrontare
con energia la scuola, i giochi e lo sport? Una confezione di Wacko’s gli fornisce importanti
valori nutrizionali e tanta energia: 25 grammi di Wacko’s hanno addirittura lo stesso
valore nutritivo di una mela di 100 grammi […]”. In realtà, tali affermazioni non
sarebbero veritiere, e sarebbero altresì idonee ad indurre in errore i
consumatori sulla caratteristiche del prodotto, in quanto solo bambini a
partire dagli 8-10 anni di età hanno un fabbisogno che si colloca intorno alle
2.500 calorie al giorno; inoltre, i valori nutrizionali forniti da questo genere di
prodotti si basano essenzialmente su grassi, e, pertanto, non sarebbero apporti
nutrizionali importanti né assolutamente comparabili con il valore nutritivo di
una mela.
125
L’indicazione circa il fabbisogno energetico è pertanto ingannevole ed è atta a
trarre il consumatore in inganno circa il reale apporto del prodotto al proprio
fabbisogno quotidiano, inducendolo a ritenere che quel pacchetto di patatine
abbia una bassa incidenza sul regime alimentare. In ciò, il consumatore è
indotto ad avere una percezione non veritiera dello stesso. Tale
ingannevolezza è atta ad incidere sul suo comportamento economico. Si rileva
peraltro l’inadeguatezza del fatto stesso di operare un raffronto tra una mela e
uno snack, notoriamente molto poco salutare, a differenza di quanto si ritiene
comunemente del frutto. Il consumatore viene così indotto considerare sullo
stesso piano due prodotti che hanno in realtà caratteristiche ben diverse.
Il messaggio de quo, ricade invece nella fattispecie di cui all’articolo 25 del
Codice del consumo. Infatti, pur trattandosi di un messaggio apparentemente
rivolto ai genitori, mediante il claim di apertura: “Anche i tuoi genitori
impazziranno per Wacko’s dopo aver letto qui sotto” sfrutta la naturale credulità dei
bambini ed adolescenti inducendoli a porre in essere, quale leva psicologica,
un’opera di convincimento nei confronti dei loro genitori non solo per la
lettura del messaggio ma anche per l’acquisto del prodotto stesso.
Nel corso del 2007, l’Autorità ha contestato la violazione dell’articolo 25 del
Codice del consumo, nella formulazione antecedente alla riforma, in un unico
caso, relativo a una pubblicità televisiva volta a promuovere l’acquisto di
suonerie, loghi e sfondi per telefoni cellulari. L’attivazione del servizio
avveniva tramite l’invio di un SMS a un numero dedicato, il 48428. A seguito
126
dell’attivazione
dell’abbonamento,
il
consumatore
avrebbe
ricevuto
settimanalmente sul proprio apparecchio un logo e una suoneria, a titolo
oneroso, mentre al primo invio sarebbe stata collegata una prestazione
aggiuntiva gratuita.
In ottemperanza al disposto degli articoli 12 e 23 del decreto del Ministero
delle comunicazioni del 2 marzo 2006, n. 145, il messaggio indicava che il
servizio a sovrapprezzo era destinato ai soli maggiorenni. Questa
informazione, tuttavia, era fornita in una sovrimpressione passante non
agevolmente leggibile, a causa della velocità di scorrimento e delle ridotte
dimensioni dei caratteri tipografici impiegati. In realtà, diversi elementi fattuali
deponevano nel senso che il messaggio pubblicitario in questione fosse
indirizzato a un pubblico giovanile: in primo luogo i potenziali acquirenti della
tipologia dei prodotti offerti sono per lo più adolescenti; in secondo luogo,
l’ambientazione complessiva della pubblicità televisiva era volta a catturare
l’attenzione prevalente dei minori; infine, la stessa fascia oraria di
programmazione (cosiddetta “di protezione rafforzata”), benché elemento
non autonomamente decisivo, confortava la conclusione che il messaggio
intendesse raggiungere i telespettatori più giovani.
L’Autorità ha concluso che il messaggio fosse suscettibile di abusare della
credulità dei minori, inducendoli in errore in relazione alle effettive
caratteristiche del servizio effettivamente proposto dall’impresa, in quanto la
pubblicità attribuiva un rilievo del tutto sproporzionato all’omaggio collegato
127
ai primi due invii rispetto al vincolo contrattuale derivante dalla sottoscrizione
dell’abbonamento mediante SMS. Inoltre, le indicazioni relative al prezzo da
corrispondere per la fruizione del servizio apparivano imprecise e fortemente
lacunose. Pertanto, l’Autorità ha comminato all’operatore pubblicitario una
sanzione di € 46.500.
128
Conclusioni
Il presente lavoro di tesi ha proposto un excursus sugli aspetti connessi al tema
della pubblicità ingannevole, un problema che, in un contesto di sempre
maggiore concorrenzialità, va acquisendo crescente rilievo. Il messaggio
ingannevole infatti, provoca un danno alle imprese concorrenti, che vedono
catalizzare l’attenzione e gli acquisti del pubblico sui prodotti di un’impresa
che pretende di affermarsi sul mercato con argomentazioni e immagini non
veritiere, che influenzano con l’inganno i consumatori, e spostano la domanda
dalle imprese che si avvalgono di una pubblicità corretta a quelle che si
avvalgono di argomentazioni ingannevoli. Ecco perché le imprese, riunite nell’
UPA (Utenti Pubblicità Associati), hanno voluto costituire, diversi decenni fa,
l’Istituto di Autodisciplina, con il suo Codice e il suo Giurì, e hanno accolto
con favore il d. lgs. 74/1992, che attribuisce competenza in tema di pubblicità
ingannevole all’A.G.C.M., detta anche Antitrust.
Quello della pubblicità ingannevole è, tuttavia, un argomento che non
coinvolge soltanto le imprese, ma anche e soprattutto il pubblico di
consumatori. Il messaggio ingannevole infatti, come più volte emerso nel
corso della trattazione, trae in errore i consumatori sulle caratteristiche, la
qualità o le prestazioni dei prodotti pubblicizzati. La presente tesi ha esposto i
passi avanti compiuti a tutela dei consumatori, in seguito all’approvazione dei
d. lgss. 145 e 146 del 2007. Tali decreti hanno ampliato il campo delle
condotte sanzionabili e rafforzato le competenze dell’Antitrust. Il nuovo
129
campo di applicazione previsto, infatti, non comprende più solo i messaggi di
pubblicità ingannevole o comparativa illecita, ma investe, sotto la dicitura di
“pratiche commerciali scorrette”, qualsiasi azione, omissione, condotta o
dichiarazione, comunicazione commerciale, ivi compresi la pubblicità e il
marketing, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione,
vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.
Si rafforzano, inoltre, come già sottolineato, le competenze dell’Antitrust, già
previste in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, stabilendo la
procedibilità d’ufficio (non più, dunque, su denuncia di un consumatore, di
un’impresa, di un’associazione che ne abbia interesse) allo scopo di rendere
maggiormente rapido ed effettivo l’intervento sanzionatorio, e infine
prevedendo il raddoppio, rispetto al sistema precedente, dei limiti massimi
dell’importo dovuto a titolo di sanzione per le condotte ritenute scorrette. La
possibilità di agire d’ufficio e l’inasprimento delle sanzioni rappresentano un
ulteriore incremento delle forme di tutela del consumatore.
L’entrata in vigore delle nuove norme si presenta tutt’altro che priva di
incognite per gli operatori economici, che si trovano a dover fronteggiare
maggiori oneri conoscitivi in sede di predisposizione delle strategie
pubblicitarie e di marketing.
Da oggi, pertanto, le imprese dovranno essere in grado di valutare in anticipo
le implicazioni legali - anche di carattere trasnfrontaliero – delle
comunicazioni pubblicitarie e delle pratiche dirette ai consumatori, per evitare
130
di incorrere nelle maglie sempre più stringenti dei controlli dell’Autorità
Garante.
Dall’analisi della recente casistica emerge che entrambi i sistemi, quello
dell’Autodisciplina e quello dell’Autorità, presentano normative e criteri di
valutazione sostanzialmente convergenti sulla pubblicità ingannevole, pur
rappresentando organismi di natura assai diversa. Entrambi vietano qualsiasi
dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i
consumatori e pregiudicare il loro comportamento economico, non solo
tramite affermazioni palesemente false, ma anche per mezzo di omissioni,
ambiguità, esagerazioni sulle caratteristiche e gli effetti del prodotto, sul
prezzo e sulle condizioni di vendita. Tale orientamento comune emerge con
chiarezza dall’esame delle decisioni del Giurì e dell’Autorità nel settore delle
telecomunicazioni (Infostrada Absolute Adsl, Alice Adsl Tutto incluso,
Numero Verde Gruppo Banca CR Firenze, Noi Wind Roaming).
Nell’ultimo biennio, il settore delle telecomunicazioni ha visto confermato il
proprio assoluto rilievo nell’ambito dell’attività svolta sia dall’Autorità ai sensi
del Codice del consumo che dal Giurì ai sensi del CAP. In particolare,
numerosi interventi hanno riguardato messaggi pubblicitari volti a
promuovere servizi di telecomunicazione integrati e offerte promozionali nei
mercati della telefonia fissa e mobile.
I mercati in questione sono caratterizzati da un vivace confronto
concorrenziale tra gli operatori, che si estrinseca principalmente attraverso due
131
direttrici: da un lato, si registra un tasso assai elevato di innovazione, che
conduce alla continua emersione di nuovi prodotti e servizi destinati ai
consumatorie alla rapida obsolescenza delle precedenti proposte commerciali;
dall’altro, gli operatori del settore impiegano piani tariffari relativamente
articolati, che prevedono significative discriminazioni di prezzo, al fine di
offrire a ciascun gruppo di potenziali acquirenti le griglie tariffarie più adatte al
rispettivo modello di consumo.
Le caratteristiche dei mercati interessati incentivano dunque il ricorso
allo strumento pubblicitario da parte delle imprese, che si avvalgono di una
pluralità di mezzi di comunicazione: la rete Internet, la stampa quotidiana e
periodica, l’emittenza televisiva e la pubblicità affissionale risultano
tutteimpiegate
abitualmente
al
fine
di
promuovere
servizi
di
telecomunicazione.
Tuttavia, la relativa complessità delle caratteristiche dei nuovi prodotti offerti
sul mercato e delle rispettive condizioni di fruizione mal si presta a essere
illustrata con accuratezza nel contesto di messaggi pubblicitari tenuti di norma
a rispettare dei precisi vincoli di spazio e di tempo. Anche la particolare
articolazione dei piani tariffari, talvolta portata all’estremo, può essere riflessa
solo con difficoltà negli stilemi tipici della comunicazione d’impresa, basata su
semplici frasi a effetto e su vanti prestazionali che facciano immediatamente
presa sul potenziale acquirente.
132
Non sorprende, dunque, che la grande maggioranza degli interventi nel settore
delle telecomunicazioni sia intesa appunto a garantire la chiarezza e la
completezza dei messaggi promozionali in ordine alle caratteristiche del
servizio offerto e al prezzo che il consumatore deve effettivamente
corrispondere per il suo impiego.
Nel valutare l’eventuale ingannevolezza dei messaggi pubblicitari oggetto di
richiesta di intervento, entrambi gli organismi hanno confermato il proprio
orientamento ormai consolidato, secondo il quale la completezza e la
comprensibilità delle informazioni fornite al consumatore si configurano
come l’onere minimo che l’operatore pubblicitario deve assolvere al fine di
consentire la corretta percezione dell’effettiva convenienza della proposta.
Tale
orientamento
viene
mantenuto
negli
interventi
nel
settore
agroalimentare, finalizzati a garantire al consumatore una corretta
informazione circa le caratteristiche, la provenienza e la composizione degli
alimenti (maionese Kraft “senza colesterolo”, Patasnella 70% di grassi in
meno, salmone affumicato KV Nordic, omogeneizzati Plasmon). Nel caso di
“Ovito” gruppo Novelli, si ritiene, inoltre, di poter ravvisare anche una
fattispecie di pratica commerciale scorretta, nella misura in cui il suddetto
messaggio pubblicitario attribuisce al prodotto qualità uniche sul mercato, e
asserisce, contrariamente al vero, che il prodotto sia stato approvato da un
organismo pubblico o privato (nel caso specifico la FIMP, Federazione
Italiana Medici Pediatri).
133
Tanto l’Autodisciplina quanto l’Autorità Garante, inoltre, considerano
ingannevole la pubblicità di prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e
la sicurezza dei consumatori, che ometta di darne notizia, in modo da indurre i
consumatori a trascurare le normali regole di sicurezza e vigilanza, come
testimonia l’analisi delle decisioni riguardanti pubblicità di trattamenti
dimagranti o per smettere di fumare, e bevande alcoliche. Denominatore
comune delle decisioni di entrambi gli organismi è il sanzionamento dei
messaggi basati su promesse illusorie riguardo all’efficacia e alla rapidità di
azione dei prodotti (Beauty Center CelluShock, InLinea + Light,
www.zerodiet.org, Antismoking System). In casi come questi, la valutazione
relativa all’idoneità ingannatoria della comunicazione pubblicitaria presenta dei
profili peculiari, in ragione della particolare vulnerabilità di alcuni tra i
potenziali acquirenti, ossia consumatori presumibilmente afflitti da problemi
ponderali, che versano dunque in una situazione di particolare fragilità
psicologica. Riguardo alla pubblicità di bevande alcoliche, viene condannato
dall’Autorità il volantino pubblicitario che promuove le serate al pub “Los
Panineros”, in quanto contenente l’esplicita incitazione ad abusare delle
bevande alcoliche vendute nel locale, trascurando le normali regole di
prudenza e di vigilanza. La sentenza del Giurì presa in esame in materia di
bevande alcoliche, presenta invece peculiarità differenti. Il messaggio che
pubblicizza l’amaro Cynar viene assolto dall’accusa di ingannevolezza, in
quanto basato su delle esagerazioni palesemente iperboliche, e sul contenuto
134
umoristico e paradossale delle scene rappresentate, non ritenute idonee,
dunque, a trarre in inganno nemmeno il consumatore più sprovveduto.
Infine, esplicitamente condannata è la pubblicità suscettibile di raggiungere
bambini e adolescenti che possa minacciare la loro sicurezza, o che abusi della
loro naturale credulità e mancanza di esperienza, e che induca gli stessi ad
esercitare pressioni sugli adulti per l’acquisto del prodotto. E’ il caso delle
pubblicità delle patatine Wacko’s e delle suonerie scaricabili al 48428
sanzionate dall’Autorità.
Una differenza fondamentale tra l’organo autodisciplinare e quello statuale
risiede nella tempistica dei procedimenti: il procedimento davanti all’Autorità
Garante segue un rituale che, per forza di cose, si protrae a lungo, in media dai
3 ai 6 mesi, a differenza dei pronunciamenti del Giurì di Autodisciplina, che si
hanno in media entro trenta giorni dall’avvio dell’ iter.
La riflessione di fondo che tale studio si propone riguarda il ruolo della
pubblicità, e l’uso che le imprese ne fanno. Strumento insostituibile di
propulsione sul mercato, la pubblicità viene spesso utilizzata dalle imprese in
modo improprio, per costruire un’immagine volutamente attraente del
proprio prodotto, capace di distinguerlo, agli occhi del consumatore, da quelli
offerti dai concorrenti.
La pubblicità ha il diritto di sedurre, ma non di trarre in inganno: questo è un
principio imprescindibile tanto per una sana e corretta concorrenza, quanto
135
per una legittimazione della pubblicità stessa, che sia tale da riscuotere
consenso e affidabilità presso i suoi destinatari.
Alla luce di quanto finora trattato, e in particolare dei cambiamenti apportati
recentemente dal legislatore, si ritiene di poter affermare che sia l’azione
rapida ed efficace del Giurì, che quella incisiva e ulteriormente potenziata
dell’Antitrust, rappresentano strumenti validi a reprimere in maniera
soddisfacente i frequenti casi di ingannevolezza e scorrettezza della pubblicità
operata nel nostro Paese, tutelando adeguatamente sia il pubblico dei
consumatori che le aziende danneggiate.
136
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