20.02.2002 La cooperazione nei primati I dati indicano che i comportamenti aggressivi sono molto infrequenti Due primatologi statunitensi hanno proposto un’alternativa all’attuale teoria basata sulla competizione del comportamento sociale dei primati. In luogo del modello “aggressionecompetizione-riconciliazione”, nel nuovo paradigma presentato da Paul Garber, dell’Università del’Illinois, e Robert Sussman, dell’Università di Washington a St. Louis, è la cooperazione a essere individuata come comportamento sociale primario. Una delle critiche portate al modello attuale riguarda la base di dati usata per valutare le teorie della socialità dei primati. "Finora – hanno spiegato Garber e Sussman all’annuale convegno dell’American Association for the Advancement of Science. - i dati sui contesti e sulle funzioni dei comportamenti nei primati selvatici sono state molto limitati. La questione di base sui primati diurni che vivono in gruppo è quanto tempo impiegano in comportamenti sociali e quanto tempo in comportamenti cooperativi e agonistici”. Ciò che è stato riscontrato durante lo studio nelle colonie di proscimmie è che esse dedicano solo il 5-10 per cento del tempo alle interazioni sociali. I dati indicano inoltre che le aggressioni sono molto infrequenti e occupano solo l’1 per cento del tempo, mentre i comportamenti di cooperazione sono 10-20 volte più comuni. Tenuto conto di questo, il nuovo modello prende in esame gli effetti delle dimensioni del gruppo su costi e benefici della socialità e fornisce una spiegazione di come i primati riescano a vivere in gruppi pacifici e relativamente stabili, e a risolvere i problemi che si presentano quotidianamente. 25.06.2003 Cooperazione sociale fra lucertole Lo studio aiuterà gli scienziati a comprendere l’origine e l’evoluzione del comportamento sociale I maschi di un tipo di lucertole (Uta stansburiana) che si aiutano reciprocamente si riproducono con maggior successo e potrebbero aiutare gli scienziati a capire come si è evoluta la cooperazione sociale. La maggior parte dei comportamenti cooperativi negli animali coinvolge individui legati geneticamente, come spiega la cosiddetta teoria della “selezione per parentela”. Ora, tuttavia, ricercatori dell’Università della California di Santa Cruz hanno descritto un esempio di cooperazione fra membri di una specie di lucertole maculate degli Stati Uniti occidentali geneticamente simili ma non imparentati. La scoperta, pubblicata sul numero del 20 giugno della rivista “Science”, getta nuova luce sull’origine del comportamento sociale animale. Barry Sinervo, ecologo e biologo evolutivo, studia le lucertole sin dal 1989. Recentemente ha collaborato con l’ecologo francese Jean Clobert per analizzare i dati dei suoi studi. “Inizialmente - spiega Sinervo - credevo di trovarmi di fronte un comportamento di selezione per parentela. Sono rimasto sorpreso quando ho scoperto che le lucertole che collaboravano non erano imparentate”. Le lucertole sono divise in tre diverse sottospecie che si distinguono morfologicamente per il colore. Le lucertole arancioni, gialle e blu non differiscono solo per il colore della gola, ma anche per il loro comportamento. I maschi arancioni sono molto aggressivi e si accoppiano con numerose femmine impadronendosi del territorio di altri maschi. I maschi gialli non difendono il proprio territorio ma imitano le femmine e si introducono di nascosto nelle aree dei maschi territoriali per accoppiarsi furtivamente. I maschi blu mantengono costantemente la guardia sulle loro compagne, riconoscono e cacciano via i maschi gialli ma perdono spesso il confronto con gli “usurpatori” arancioni. La situazione è stabile ed equilibrata: gli arancioni sconfiggono i blu, i blu sconfiggono i gialli, i gialli sconfiggono gli arancioni. Ma Sinervo e Clobert hanno scoperto che i maschi blu tendono a stabilire il proprio territorio vicino a quello di altri maschi blu, allo scopo di lavorare insieme per custodire e proteggere le proprie compagne. Il risultato è un livello di “fitness” (misurato in termini della progenie prodotta) tre volte superiore a quello dei maschi blu senza alcun vicino. Eppure, l’analisi del DNA mostra che le lucertole vicine, pur simili geneticamente, non sono imparentate fra loro. 30.08.2004 L'evoluzione sociale del cervello umano La competizione sociale ha innescato la crescita cerebrale dell'uomo Pur possedendo molte caratteristiche che lo distinguono dalle altre specie, sono soprattutto le capacità cognitive e il modo di pensare che hanno permesso all'uomo di dominare il pianeta. Alcuni ricercatori dell'Università del Missouri hanno scoperto che lo sviluppo di un grande cervello sarebbe dovuto alla capacità di risolvere i problemi sociali. Gli antropologi Mark Flinn e Carol Ward e lo psicologo David Geary hanno integrato questa nuova teoria sull'evoluzione dell'intelligenza umana con i recenti sviluppi nei campi della paleoantropologia, della psicologia cognitiva e della neurobiologia. Analizzando alcuni fossili per determinare la dimensione del cervello, del corpo ed eventuali indizi archeologici del comportamento, i ricercatori hanno trovato le prove a sostegno della teoria proposta dal zoologo Richard Alexander, secondo il quale gli esseri umani hanno sviluppato un grande cervello per negoziare e gestire complesse relazioni sociali. Gli scienziati hanno anche confrontato le nostre capacità mentali con quelle delle scimmie. "La maggior parte delle teorie tradizionali, compresa quella di Charles Darwin - sostiene Flinn suggeriscono che a favorire l'evoluzione di un grande cervello sia stata una combinazione dell'uso di utensili e della caccia, ma il fatto che anche altre specie, come gli scimpanzé, usino strumenti e caccino dimostra che i nostri antenati non erano unici da questo punto di vista. La caratteristica più eccezionale dell'uomo, invece, riguarda la comprensione del pensiero altrui grazie a capacità quali l'empatia o l'autocoscienza". Ward spiega che il cervello degli ominidi è cresciuto del 250 per cento in meno di 3 milioni di anni, in particolare nell'area neocorticale che controlla lo sviluppo cognitivo. La scienza sostiene che la dimensione assoluta (non relativa) del cervello è legata da vicino all'intelligenza, e probabilmente questa evoluzione è dovuta alla crescente importanza delle coalizioni sociali complesse. Lo studio verrà pubblicato prossimamente sulla rivista "Evolution and Human Behavior". Geary ha anche curato un libro sullo stesso soggetto, "The Origin of Mind: Evolution of Brain, Cognition and General Intelligence", che verrà pubblicato in ottobre. 11.10.2004 I geni della cooperazione sociale Esiste un blocco molecolare contro i "truffatori" La cooperazione sociale costituisce uno degli adattamenti più difficili da spiegare per i biologi evolutivi. Questo perché la competizione per le risorse all'interno della collettività dovrebbe portare a caratteristiche evolute che consentano agli individui di "barare", di ottenere maggiori risorse e di riprodursi più in fretta dei loro colleghi più cooperativi, rendendo di fatto inutile la collettività sociale. Ora alcuni ricercatori della Rice University e del Baylor College of Medicine hanno isolato un meccanismo genetico che ostacola le pressioni competitive e stabilizza la cooperazione. Lo studio è stato pubblicato sul numero del 7 ottobre della rivista "Nature". Usando i più avanzati strumenti di genetica molecolare, i ricercatori hanno scoperto che il fenomeno noto come pleiotropia - ovvero quando un gene influenza più di una caratteristica ereditaria - svolge un ruolo cruciale nell'impedire ai "truffatori" di sfruttare i propri vicini all'interno di colonie formate dall'ameba sociale Dictyostelium discoideum. "Si tratta di un vero e proprio blocco molecolare, - spiega Joan Strassman, uno degli autori dello studio - che consiste nel legare insieme i geni cooperativi con le funzioni essenziali della riproduzione. Un simile meccanismo pleiotropico rende estremamente costosa la perdita dei geni sociali, e di fatto potrebbe costituire un metodo generale utilizzato da molte specie per stabilizzare la cooperazione". © 1999 - 2004 Le Scienze S.p.A. 12.06.2005 Il DNA spazzatura influenza il comportamento sociale La scoperta potrebbe fornire nuovi indizi sull'autismo e altri disturbi Perché alcune persone sono timide mentre altre sono estroverse? Uno studio pubblicato sulla rivista "Science" dimostra per la prima volta che il comportamento sociale può essere plasmato da differenze nella lunghezza di frammenti di DNA apparentemente privi di funzione, il cosiddetto "DNA spazzatura". La scoperta dei ricercatori dello Yerkes National Primate Research Center di Atlanta e del Center for Behavioral Neuroscience ha forti implicazioni per la comprensione del comportamento sociale umano e di disturbi come l'autismo. Elizabeth A. D. Hammock e Larry J. Young hanno indagato se il DNA spazzatura, noto anche come DNA microsatellitare, associato con il gene per il recettore della vasopressina influenzasse il comportamento sociale dei maschi di topo della prateria, una specie di roditore. Studi precedenti avevano mostrato che questo gene regolava il comportamento sociale in molte specie. I ricercatori hanno allevato due gruppi di topi della prateria con versioni brevi e lunghe del frammento di DNA in questione. Confrontando il comportamento dei maschi dopo la maturazione, hanno scoperto che la lunghezza dei microsatelliti influenza gli schemi di espressione genica nel cervello. I topi con microsatelliti lunghi avevano livelli più alti di recettori della vasopressina nelle aree del cervello coinvolte nel comportamento sociale e nelle cure paterne, in particolare nel bulbo olfattivo e nel setto laterale. Questi maschi trascorrevano più tempo a studiare odori sociali e si avvicinavano più rapidamente agli estranei, oltre a formare più facilmente legami con i compagni e a trascorrere più tempo ad accudire la prole. "Il nostro - spiega Young - è il primo studio a indicare un legame fra la lunghezza dei microsatelliti, gli schemi di espressione genica nel cervello e il comportamento sociale di diverse specie. Poiché una porzione significativa del genoma umano consiste di DNA spazzatura, i microsatelliti potrebbero rappresentare un fattore finora sconosciuto di diversità sociale". © 1999 - 2006 Le Scienze S.p.A.