Dipartimento di Scienze giuridiche CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa Esdebitazione: casistica giurisprudenziale e questioni aperte. Teresa Tranchina Febbraio 2011 © Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. 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Tale novità, tradizionalmente propria di altre tradizioni giuridiche, fa scricchiolare principi cardine del nostro ordinamento e pone affascinanti interrogativi sostanziali e processuali. Il tema è amplissimo e non può essere interamente trattato nel corso di un breve saggio, pertanto l’obbiettivo di questo lavoro è individuare i problemi, affrontandone in modo ampio alcuni, senza pretesa di esaustività, nella consapevolezza che essi sono meritevoli di ulteriore approfondimento. La speranza tuttavia è quella che emerga un quadro, se non esaustivo, perlomeno sufficientemente delineato, dei primi confini e limiti applicativi di un istituto che, per i suoi notevoli elementi innovativi, necessita particolarmente di essere accompagnato da una attività di studio e di razionalizzazione, volta a seguirne l’ingresso nel nostro ordinamento. Oltre a un’ampia introduzione storico-sistematico-comparativa, ci si è incentrati sulla complessa questione del requisito oggettivo dell’art. 142 L.F. Si è poi ritenuto utile aggiungere un capitolo finale volto a offrire una panoramica delle principali sentenze pronunciate in materia di esdebitazione al fine di offrire un approccio casistico utile a comprendere meglio l’istituto. Il lavoro trae ispirazione da un caso concreto di esdebitazione, nel quale l’assistito è l’esdebitando. Tale prezioso collegamento con l’attività professionale concreta non può tuttavia non influenzare premesse e conclusioni del qui proposto saggio . Un sentito ringraziamento va all’ Avv. Augusto Federici, costante guida e stimolo nel mondo della professione e al Professor Andrea Palazzolo per l’interesse, la disponibilità e la passione con cui mi ha accompagnato in questo percorso. L’ESDEBITAZIONE DEL FALLITO Il nuovi articoli 142-3-4 legge fallimentare e l’istituto dell’esdebitazione Il nuovi articolo 142. 143, 14 L.F.1 hanno introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della esdebitazione. 1Si riporta il testo normativo in vigore: “Articolo 142 Esdebitazione Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che: 1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all'accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; 2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; 3) non abbia violato le disposizioni di cui all'articolo 48; 4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; 5) non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; L'esdebitazione è un procedimento che consente al debitore di liberarsi dei debiti che, a seguito della chiusura del fallimento, sono rimasti insoddisfatti. In tal modo il creditore torna in bonis e riacquista la possibilità di esercitare l’attività di impresa. Tale procedimento, attivabile dopo la chiusura del fallimento, è subordinato alla presenza di determinati presupposti e requisiti, sia oggettivi che soggettivi. 6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all'esito di quello penale. L'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Restano esclusi dall'esdebitazione: a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio dell'impresa ; b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti. Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso Articolo 143 Procedimento di esdebitazione Il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, verificate le condizioni di cui all'articolo 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. Contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo a norma dell'articolo 26. Articolo 144 Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti Il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo; in tale caso, l'esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado).” Si tratta di una delle novità più rilevanti introdotte dalla riforma del fallimento (attuata col D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, successivamente modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007 n. 169). L’aspetto più significativo è che grazie a questa innovazione il fallimento, attraverso il suo svolgimento fisiologico, non produce più, esclusivamente, effetti sfavorevoli a carico di chi vi è sottoposto (il fallito, appunto), ma procura allo stesso la possibilità giuridica di ottenere un beneficio, che si proietta sul suo patrimonio, al di là della procedura medesima. Pertanto il fallimento viene a costituire, per il fallito, anche un effetto favorevole che opera, per il futuro, agendo sul piano dei rapporti sostanziali. La novella ha eliminato gli artt. da 142 a 144, dedicati alla riabilitazione. Tale istituto faceva cessare le incapacità personali derivanti dalla sentenza dichiarativa di fallimento, prevedendo tuttavia integrale pagamento di tutti i crediti ammessi nel fallimento o l’adempimento del concordato. Tuttavia la riabilitazione non estingueva i debiti del fallito, ma si limitava ad evitare gli effetti maggiormente pregiudizievoli e poteva essere richiesta trascorsi cinque anni dalla chiusura del fallimento2. Pertanto, abolito con la riforma il registro dei falliti, ed eliminate le molte incapacità di natura personale derivanti dal fallimento, tale istituto era ontologicamente superato. Era quindi necessaria la creazione di un nuovo istituto che potesse, sotto il profilo soggettivo, concretizzare la nuova concezione alla base della riforma, volta al recupero produttivo, ove possibile, dell’impresa in crisi e dell’imprenditore “onesto ma sfortunato” 3 , nella consapevolezza che il fallimento potesse in alcuni casi essere un evento incolpevole, connaturato al rischio di impresa.4 Il nostro ordinamento, tradizionalmente creditor oriented, tuttavia non aveva saputo elaborare soluzioni coerenti con una nuova impostazione ideologico-sistematica del fallimento. Si è volto quindi lo sguardo oltre confine, là dove l’etica calvinista, incentrata sulla supremazia del lavoro come mezzo per beneficiare della grazia divina,5 aveva necessariamente elaborato meccanismi volti a recuperare il fallito quale soggetto produttivo. Si è quindi guardato al diritto americano, dove nel Bankrupcty Code è presente la “Discharge”6, di cui si tratterà più avanti. 2 Si veda Marina Cordopatri, Riabilitazione ed esdebitazione, in “Banca borsa e titoli di Credito” V, (2009) pp.559e seg. 3Come una volta si diceva per coloro che potevano accedere al concordato preventivo. 4 Si veda Piero Pajardi, il codice del fallimento, Milano, Giuffrè, 2009.,pag. 1556 . 5 Per approfondire il concetto si rimanda al noto testo di Max Weber, L’etica Protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, 1970. 6 Sulla Discharge l’opera ad oggi più completa risulta essere quella di Angelo Castagnola, La liberazione del debitore (discharge) nel diritto fallimentare statunitense., Milano, Giuffrè,1993. Con tale procedura il debitore viene liberato da tutte le sue obbligazioni, grazie alla liquidazione concorsuale dei suoi beni, qualunque sia la percentuale percepita dai creditori. L’applicazione della discharge consente pertanto al debitore un Fresh Start, un nuovo inizio che lo recupera alla economia nazionale. Il procedimento di esdebitazione italiano consente di liberare il fallito dai vincoli connessi al mancato pagamento dei creditori, al fine di fargli conseguire la possibilità di ripartire da zero con una attività di impresa, operazione che la permanenza dei debiti pregressi non consentirebbe. Si è consapevoli che è altamente improbabile che il debitore, dopo la chiusura del fallimento, riesca comunque a liberarsi dei debiti residui. Si vuole quindi recuperare un soggetto imprenditoriale all’economia nazionale, evitando anche che il fallito sia costretto a esercitare l’attività di impresa tramite prestanome. Come si legge nella relazione governativa di accompagnamento alla riforma: “L'istituto della esdebitazione, omologo a quello già presente nella legislazione europea ed americana, costituisce una assoluta novità introdotta nel sistema e consiste nella incentivante liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti integralmente, seppur in presenza di alcune condizioni.”7 7 Relazione di accompagnamento sub art 142. Se la relazione parla di “incentivante liberazione” è anche perchè tra i motivi che hanno spinto il legislatore a introdurre la nuova procedura, vi è la volontà, di creare un significativo incentivo al fallito a ricorrere alla procedura concorsuale, poiché essa può condurre a un rilevante vantaggio. L’imprenditore è poi incentivato a collaborare attivamente con gli organi della procedura, poiché il beneficio può essere concesso solo a quei soggetti che si siano comportati in modo onesto e collaborativo. La norma pone quindi delle condizioni che ineriscono alla condotta tenuta dall’ex fallito nel corso della procedura concorsuale e altre riguardati la condotta antecedente al fallimento e le cause che lo hanno provocato. Un’altra finalità è quella di premiare il fallito “onesto, ma sfortunato” e, dunque, di incentivare l’imprenditore assoggettabile a fallimento a tenere, sia prima che durante la procedura, una condotta irreprensibile, tesa a salvaguardare le aspettative di soddisfacimento dei creditori. Alla base pubblicistica dell’esdebitazione troviamo dunque, lo specifico fine di ottenere un reinserimento del fallito nel mondo della produzione e del consumo, con finalità di sviluppo per l’economia, e l’interesse pubblico a stimolare la correttezza dell’imprenditore-debitore nella gestione della sua impresa e la collaborazione fattiva dello stesso nello svolgimento della procedura concorsuale. Indirettamente pertanto viene tutelato anche l’interesse della collettività dei creditori alla migliore riuscita della stessa procedura. 8 Tuttavia, è la stessa relazione di accompagnamento a specificare che, nel prevedere le condizioni in presenza delle quali l’esdebitazione può essere concessa, l’istituto è stato strutturato in modo tale da evitare che, nella applicazione pratica, possa favorire distorsioni nei comportamenti del debitore insolvente. Altrimenti, il sistema si sbilancerebbe a danno dei creditori in un ottica di un vero privilegio e non del mero favor debitoris, in stridente contrasto rispetto alla finalità di sviluppo dell'economia. Precedentemente alla novella il termine esdebitazione era stato coniato dalla dottrina e dalla giurisprudenza per indicare l’effetto che conseguiva all’avvenuta esecuzione da parte del debitore degli obblighi assunti con il concordato preventivo o fallimentare. Infatti integrando il concordato un accordo tra debitore e creditori, questi ultimi, se il concordato veniva eseguito, rinunciavano a pretendere il pagamento di una parte del loro credito anche nei confronti del debitore tornato in bonis9. 8 In realtà, come riporta Vincenzo Santoro, “Esdebitazione” sub. Art. 142, 143, 144, in La riforma della legge fallimentare, (a cura di Alessandro Nigro e Michele Sandulli), Volume II, Torino, Giappichelli 2006 pag. 848 una forma arcaica e infamante di esdebitazione era presente a Napoli e a Firenze dove vi era l’uso di condurre i debitori insolventi presso il tribunale ove venivano denudati e costretti a battere il sedere su una colonna, o su un lastrone di marmo. Mediante tale sanzione corporale essi venivano sdebitati. 9 Sul punto si veda Angelo Bonsignori, Concordato, in “ Commentario Scialoja-Branca Legge fallimentare” (a cura di Franco Bricola, Francesco Galgano, Gerando Santini), Bologna, Zanichelli, 1977, pp. 425-438. L’introduzione, o forse dovremmo parlare di importazione, della esdebitazione comporta rilevanti conseguenze sul nostro ordinamento. In primis il superamento dell’art. 120 L.F. che , come è noto, al terzo comma, prevedeva che “I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi “. Oggi a tale articolo si è aggiunto l’inciso “salvo quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti”, che appunto disciplinano l’esdebitazione.10 L’esdebitazione costituisce pertanto un nuovo meccanismo di inesigibilità (o secondo parte della dottrina di estinzione) della obbligazione derogando anche e soprattutto alla responsabilità patrimoniale personale dell’art. 2740 del codice civile, che dispone che “il debitore risponde dell’adempimento della obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri”, e di cui l'art. l’art. 120. L.F è l’applicazione in sede fallimentare. 10 Sull’ istituto si veda anche Laura Marchitto, Appunti in tema di esdebitazione del Fallito, in “Rivista del notariato”, IV(2008), pp. 843 e seg., Lino Guglielmucci, Manuale di Diritto Fallimentare, Padova, Cedam, 2008 pp. 279 e seg. Emilio Norelli, L’esdebitazione del fallito, in “Rivista esecuzione forzata” IV(2006), pp .681 e seg., Federica Allegritti, L’esdebitazione nella legge fallimentare, in “Diritto e pratica del Fallimento”, III (2006), pp. 12-e seg., Stefano Ambrosini, L’Esdebitazione del fallito fra problemi interpretativi e dubbi di Costituzionalità, in “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, II (2009) pp. 129 e seg. Umberto Apice, Rassegna delle procedure Concorsuali:giurisprudenza di legittimità e di merito, in “Diritto e Pratica delle Società”, X (2010), pp. 70 e seg. Il superamento di un pilastro del nostro ordinamento, quale è la responsabilità personale appare incomprensibile laddove non si consideri che nel diritto americano, l'apertura della procedura di fallimento crea un patrimonio separato, scindendo il fallito dal proprio patrimonio. Il beneficio è riservato ai falliti persone fisiche. Non vi è d’altra parte alcun interesse alla applicazione alle società poiché l’art 118 L.F. impone che in permanenza di debiti non pagati le società siano cancellate dal registro delle imprese11. Inoltre per le società di capitali è la loro stessa natura ad evitare l'estensione ai soci degli effetti dell'insolvenza. Il beneficio dell’esdebitazione è applicabile al socio illimitatamente responsabile di società di capitali e al socio di società di persone. Va poi sottolineato che, presupponendo il fallimento, l’istituto è applicabile solo ai soggetti fallibili di cui all’art 1 L.F, che come novellato dalla riforma del 2006, riduce notevolmente i soggetti a cui è applicabile il fallimento, escludendo una ampia categoria di piccoli imprenditori. Questo costituisce il principale limite all’istituto, poiché esso non si applica a coloro che non sono imprenditori commerciali e pertanto non possono essere dichiarati falliti, né naturalmente all’insolvente civile. Pur estinguendo i crediti rimasti insoddisfatti l’esdebitazione non si applica ad alcune tipologie di crediti, previste dall’art. 142, penultimo comma: si 11 Confronta Gino Cavalli, Gli effetti del fallimento per il debitore, in La riforma della legge fallimentare, Profili della nuova disciplina (a cura di Roberto Ambrosini), Bologna, Zanichelli, 2008, pp 110 e seg. tratta di obbligazioni derivanti da diritti di carattere sociale, o estranei all’esercizio dell’impresa. Restano infatti esclusi dal beneficio, e pertanto continuano ad essere esigibili, gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque "le obbligazioni derivanti dai rapporti estranei all`esercizio dell`impresa", i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti. L’effetto è che con l’esdebitazione i crediti non soddisfatti diventano inesigibili, pertanto l’esdebitato potrà opporre l’avvenuta esdebitazione al fine di far dichiarare inammissibili le azioni esecutive intraprese contro di lui dai creditori concorsuali. L’obbligazione non si estingue ma diventa inesigibile, ed è per questo che l’art. 142 u.c. precisa che restano salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti dei coobbligati, quali i fideiussori, obbligati in via di regresso ecc., analogamente a quanto previsto dagli art 135 e 184 in materia di concordato. Se si ritiene che l'esdebitazione non estingua i debiti ma li renda inesigibili l'obbligazione esdebitata resterà in vita, venendo tuttavia meno la relativa azione. Pertanto il credito è degradato, secondo alcuni autori, ad obbligazione naturale, con la conseguenza che al debito esdebitato adempiuto si applicherà l'art. 2034 c.c. che sancisce che “non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di obblighi morali o sociali” 12. Dal punto di vista processuale l’esdebitazione è concessa con decreto del tribunale (che valuterà la sussistenza dei requisiti di cui all’art 142), o nello stesso decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore, presentato entro l’anno successivo alla dichiarazione del fallimento e sempre su istanza del fallito. Contro il provvedimento é ammesso reclamo ai sensi dell’art 26 L.F. Va poi specificato che il richiamo della norma ai debiti residui, ossia i «debiti concorsuali non soddisfatti integralmente» (art. 143, primo comma), fa si che alla esdebitazione possa farsi luogo solo nel caso di chiusura del fallimento per compiuta ripartizione finale dell’attivo (art. 118, n. 3), e non negli altri casi di chiusura elencati nell’art. 118. Ratio e portata innovativa dell’istituto: il cambiamento di prospettiva nell’approccio al fallimento Nella legislazione italiana, conformemente a quanto è avvenuto in altre esperienze transnazionali, si è assistito a un mutamento nell’approccio ideologico-sistematico al fallimento. 12Così V. Santoro, “Esdebitazione” cit. pag. 858. Contra Frascaroli Santi Elena, L’esdebitazione del fallito: un premio per il fallito o una esigenza di mercato?, In “Il Diritto Fallimentare” Il fallimento sta progressivamente perdendo la sua natura sanzionatorioafflittiva per diventare uno strumento concepito anche a tutela del fallito oltre che dei creditori. Tale concezione sazionatorio -afflittiva e infamante ha le sue origine storiche agli albori della nostra tradizione giuridica. Nel diritto romano arcaico il creditore, il cui credito fosse disposto con sentenza, o comunque certo, aveva a disposizione un’incisiva azione personale. Poteva condurre il creditore di fronte al magistrato ottenendo che egli pronunciasse l’addictio del debitore in favore del creditore. Il debitore era libero, quindi, di trascinare il creditore, divenuto addictus, in catene presso di se. Aveva tuttavia l'obbligo di portarlo a tre mercati consecutivi, dichiarando l’ammontare dei debiti, affinché qualcuno potesse riscattarlo. Se ciò non avveniva il creditore poteva venire venduto come schiavo al di là del Tevere.13 Tuttavia, a partire dall’età preclassica a tale procedimento si affiancò quello della bonorum venditio, con cui il creditore veniva immesso dal giudice nel possesso dei beni del debitore, con funzioni di custode e contemporaneamente si dava avviso (proscriptio) agli I (2009), pag. 47. 13 Si veda Matteo Marrone, Lineamenti di diritto privato romano, Torino, Giappichelli, 2006 pp. 32 e seg. Il procedimento poteva essere attuato se, entro trenta giorni dalla sentenza, il debitore non avesse pagato. Il creditore pronunciava, di fronte al giudice determinate parole sacrali (certa verba) con cui indicava la causa del credito e il suo ammontare. Il creditore poteva indicare un garante (vindex) che lo avrebbe sottratto alla manus iniecto, se il vindex negava l’esisteva del debito si instaurava un altro procedimento per accertare l’esistenza del debito, al termine del quale il vindex se soccombente avrebbe dovuto pagare il doppio del debito. Se nessuno si presentava a fare da garante il giudice pronunciava l’addictio. Inoltre le dodici tavole prevedevano che se erano presenti più creditori il debitore poteva essere fatto a pezzi altri creditori che potevano intervenire . Il debitore che non pagava entro trenta giorni dalla proscriptio era colpito da infamia. L’infamia causava la massima riprovazione sociale, l’incapacità a ricoprire qualsiasi carica pubblica. La procedura proseguiva poi mediante la designazione di un magister bonorum che preparava la vendita all’asta del patrimonio, decidendone le condizioni, che dovevano essere approvate dal magistrato. Vinceva l’asta, aggiudicandosi il patrimonio del debitore, chi si offriva di pagare la percentuale più alta di debiti ai creditori Nell’ età dei Comuni si ebbe la nascita del fallimento, come esecuzione attuata dalla pubblica autorità e il fallito venne sottoposto a sanzioni penale e a una varia serie di infamie, che variavano da comune a comune14. Le altre legislazioni preunitarie mantennero e contribuirono ad accentuare quella concezione di infamia dell’insolvente che sarebbe rimasta nella tradizione giuridica italiana fino alla novella 2006. Nella Firenze de’ Medici ad esempio, si affiggeva una caricatura del fallito sulla pubblica via. Il codice di commercio Albertino del 1842, primo codici preunitario, aveva previsto la riabilitazione ma solo in presenza dell’integrale pagamento di tutti i debiti e degli interessi, sulla scorte del Code du Commerce francese del 1807 . 14 Tra cui la tortura, l’obbligo di portare un berretto bianco e verde, l’assimilazione a ladri e frodatori , la perdita della cittadinanza. E tutti prevedevano l’iscrizione in un apposito albo, abolito solo nel 2006. Per una interessante analisi della concezione infamante del fallito nella storia italiana si veda Luciano Ghia, L'esdebitazione. Evoluzione storica, profili sostanziali procedurali e comparatistici, Milano, Ipsoa, 2008. pp. 17-51. E così il successivo codice di commercio del 1882. Tale codice si caratterizzava per l’esclusiva applicazione alla categoria dei commercianti, cioè di coloro che compivano per professione abituale atti di commercio. Il codice di commercio del 1882 è poi confluito nel codice civile. L’originaria impostazione del D.Lgs. 267/42 risente pesantemente della concezione afflittivo- sanzionatoria infamante del fallimento. Infatti fino alla novella del 2006, lo si ricorda, il fallito incorre in notevoli restrizioni, alcune delle quali non attinenti alla attività di impresa. Come è noto, la disciplina del fallimento di cui al R.D. n. 267/1942 prevedeva, all'art. 50, la creazione e la tenuta, presso la cancelleria di ogni tribunale, di un registro pubblico nel quale dovevano essere iscritti i nomi di coloro che dallo stesso tribunale erano stati dichiarati falliti. Ai sensi degli art. 350 n.5, 355 e 393 c.c. il fallito non poteva accedere all’ufficio di tutore, protutore e curatore, né poteva essere nominato arbitro (art. 812 c.p.c.) Il fallito non poteva essere nominato amministratore o sindaco di società di capitali (art. 2382 e 2399 c.c.) , né rappresentante comune degli obbligazionisti (art.2417 c.c.). Oltre, ma qui è più comprensibile, a non poter essere nominato liquidatore o commissario straordinario (art. 28 lettera c L.F. e art. 38 D.Lgs. 270/99). Sussisteva poi la limitazione più incisiva e ingiustificata ai diritti del fallito: la perdita dei diritti politici. La legge 92/15 infatti prevedeva la cancellazione del fallito dalle liste elettorali, con effetto immediato della sentenza anche non passata in giudicato. Tuttora restano in vigore una serie di norme che prevedono specifiche incapacità per il fallito, che vengono meno con l'esdebitazione. Tra di esse la più rilevante è quella che impedisce al fallito, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione, di esercitare l'attività commerciale (art. 5, comma 2, lettera a D.Lgs. n. 114/1998). Altre permangono in singole leggi speciali tra i quali il divieto di iscrizione nel ruolo di agente e rappresentante di commercio (art. 5, lettera c, legge n.204/1985), e di esercizio della professione medesima (art. 5, lettera c, legge 316/1968) e il divieto di iscrizione al registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi (art.110, comma 1, lettera c, D.Lgs. n. 209/05), infine è precluso al fallito di gestire esercizi di vendita di generi di monopolio (art. 6, n. 4 Legge 1293/1957). Ed è proprio il giudizio negativo che si ha del fallimento, e la pesantezza delle sue conseguenze a spiegare perché dal fallimento siano esclusi ampie categorie di piccoli imprenditori. Il testo precedente alla riforma dell’art 1 escludeva dal fallimento i piccoli imprenditori. “Sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attività commerciale, i quali sono stati riconosciuti, in sede di accertamento ai fini della imposta di ricchezza mobile, titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile. Quando e` mancato l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti una attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a lire novecentomila”. Il requisito delle novecentomila lire, che l’inflazione aveva reso inapplicabile, e l’abolizione dell’imposta di ricchezza mobile, ad opera del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 397 aveva portato ad assoggettare una vasta categoria di piccoli imprenditori al fallimento e a una difformità applicativa, da corte a corte su quali soggetti potessero essere assoggettati a fallimento. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 570 del 22 dicembre 1989. In tale sentenza la Corte sostiene che “ Le categorie di piccolo, medio e grande imprenditore, ed insolvente civile, nell'ordinamento economico e giuridico hanno posizioni nettamente differenziate. A fondare la distinzione, specie ai fini dell'assoggettabilità o meno alla procedura fallimentare, occorre un criterio assolutamente idoneo e sicuro. I limiti devono essere stabiliti in relazione all'attività svolta, all'organizzazione dei mezzi impiegati, all’entità dell'impresa ed alle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale. La insussistenza di validi presupposti per la diversificazione delle situazioni soggettive, che si volevano diversamente e distintamente disciplinate, crea anche disparità di trattamento, tanto più che, altre norme (artt. 2083 e 2221 del codice civile) pongono più validi criteri di distinzione.” La pronuncia della Corte muoveva dal presupposto che l'ordinamento dovesse essere chiaro nello stabilire chi dovesse essere assoggettato a fallimento e chi no. Le esigenze di certezza invocate dalla Corte hanno condotto al nuovo articolo 1 della legge fallimentare15 , che esclude dalla assoggettabilità a fallimento gli imprenditori esercenti un'attività commerciale, alla presenza congiunta di tre criteri: 1) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; 2) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; 3) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila. Questo fa quindi si che dal fallimento siano esclusi un vasto numero di piccoli imprenditori, che, per le ragioni sopra esposte, non possono beneficiare della esdebitazione. 15 Modificato prima con il D.lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006 e poi con il D.lgs. 169 del 12 Settembre 2007. Questa esclusione del piccolo imprenditore16, funzionale finchè l’imprenditore veniva considerato un soggetto debole da non sottoporre alle procedure di fallimento, appare non condivisibile, nel nuovo approccio della legge fallimentare. Questo nuovo approccio che abbandona le concezioni infamanti del fallimento, e di cui la riforma è espressione, è stato fortemente accelerato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali che, più volte, ha sanzionato l’Italia per le violazioni che derivano alla carta europea dalla nostra legge fallimentare. In particolar modo per il protrarsi e l’aggravarsi delle violazioni che la lunghezza della procedura fallimentare comportava17. Sottolineando più volte la Corte l’equilibrio che deve sussistere tra l’interesse generale al pagamento dei creditori del fallimento e l’interesse individuale del ricorrente al rispetto dei suoi beni Sono molte altre le sentenze della CEDU vanno nella stessa direzione. 18 16 Sul punto si veda anche: Francesca Sirianni, Il presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento dopo la riforma in”Ventiquattrore Avvocato”X( 2010), pp. 49-52. 17 In particolare con la sentenza N. 4778/99R del sanzionò l’Italia per un procedimento durato più di ventiquattro anni, ritenendo che un tale termine comportasse “la rottura del giusto equilibrio tra l'interesse generale al pagamento dei creditori del fallimento e gli interessi individuali del ricorrente, cioè il suo diritto al rispetto dei propri beni, al rispetto della propria corrispondenza e alla propria libertà di circolazione. Le ingerenze nei diritti e nelle libertà del ricorrente si sono rivelate sproporzionate all'obiettivo perseguito.” 18 Si veda, ex multis, CASO Luordo c. Italia (ricorso no 32190/96) (sentenza Luordo/Italia c. Italie (n° 3219096 del 17/7/20 03).In cui si può leggere “Se è vero che sono molteplici i processi suscettibili di avvio nel corso di una procedura fallimentare e che i ritardi derivanti dalla complessità di tale procedura non sono in sé imputabili allo Stato, è vero anche che la mancanza di mezzi per accelerare la conclusione di questa non può giustificare le restrizioni al diritto a una durata ragionevole del processo. La natura automatica delle incapacità in cui il fallito incorre e il lasso di tempo tra la data di dichiarazione del fallimento e quella della riabilitazione sono elementi per sostenere che il ricorrente subisce, per effetto del fallimento, un'ingerenza nel diritto alla vita privata. Il rifiuto delle autorità di far accedere il ricorrente al fascicolo del fallimento dichiarato nei suoi confronti, specie allo scopo di ottenere copia di documenti richiesti dalla cancelleria della Corte, potrebbe sollevare problemi di incompatibilità con l'obbligo degli Stati di non ostacolare l'esercizio effettivo del diritto al ricorso individuale di cui all'articolo 34, ma non con l'articolo 6 paragrafo 1 sotto il profilo del rispetto dei diritti della difesa - poiché il processo dinanzi alla Corte, non essendo un processo civile né un processo penale, è estraneo all'ambito materiale di tale ultima disposizione.” E ancora si veda la Sentenza n. 10644/02 dell’8 Giugno 2006 . folto gruppo di incapacità personali che derivano dall'iscrizione del nome del fallito nel pubblico registro implica di per sé un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata del soggetto interessato che, considerata la natura automatica dell'iscrizione, l'assenza di valutazione e di controllo giudiziario in ordine all'applicazione delle relative incapacità nonché il lasso di tempo previsto dalla legge per ottenere la riabilitazione civile, non è «necessario in una società democratica» e, pertanto, viola l'articolo 8, paragrafo 2 della Convenzione. L'articolo 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo garantisce l'esistenza in diritto interno di un ricorso che consenta di avvalersi dei diritti e delle libertà quali sanciti dalla Convenzione. Tale disposizione ha, dunque, come conseguenza di richiedere, per le doglianze che si possono ritenere «sostenibili» in relazione alla Convenzione e ai suoi Protocolli, un ricorso interno che autorizzi l'istanza nazionale competente a trattare il merito della doglianza e a offrire il rimedio adeguato, sebbene gli Stati contraenti godano di un certo potere discrezionale quanto al modo di conformarsi agli Il nostro legislatore a giunge così alla legge delega 14 maggio 2005, n. 80 per la riforma del diritto fallimentare, la quale, all’art. 1, comma 6, n. 4, ha previsto che la riforma organica delle procedure concorsuali provvedesse a obblighi loro imposti da tale disposizione. La portata dell'obbligo che discende dall'articolo 13 varia funzionalmente alla natura della doglianza che il ricorrente fonda sulla Convenzione. Tuttavia il ricorso richiesto deve essere «effettivo» in pratica come in diritto, nel senso che il suo esercizio non deve essere ostacolato in maniera ingiustificata da azioni od omissioni delle autorità dello Stato convenuto (sentenze Aydin/Turchia del 25/9/1997, Recueil 1997-VI, p. 1895, par. 103 e Kaya/Turchia del 19/2/1998, Recueil 1998-I, p. 329330, par. 106; per il carattere «sostenibile» della doglianza fondata sulla Convenzione, v. le sentenze Boyle e Rice/Regno Unito del 27/4/1988, serie A n. 131, p. 23, par. 52 e Powell e Rayner/Regno Unito del 21/2/1990, serie A n. 172, p. 14, par. 31). L'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, disciplinata dall'articolo 18 della legge fallimentare, prevede la possibilità per il fallito di adire il tribunale nei quindici giorni successivi all'affissione della sentenza per contestare la legittimità del fallimento e chiederne la revoca. A parere della Corte europea dei diritti dell'uomo tale ricorso non costituisce uno strumento efficace per dolersi delle limitazioni alle capacità personali del fallito che perdurano fino all'ottenimento della riabilitazione civile, tenuto conto in particolare del termine fissato per la sua introduzione (sentenza Campagnano/Italia del 23/3/2006, ricorso n. 77955/01, par. 67). Nemmeno l'articolo 26 della legge fallimentare che prevede la possibilità per il fallito di introdurre un reclamo al tribunale avverso i decreti del giudice delegato - avendo per oggetto solo le decisioni del giudice delegato - può costituire un rimedio efficace contro la limitazione prolungata delle capacità personali del fallito, conseguenza diretta della sentenza dichiarativa di fallimento e non di una decisione del giudice delegato. Vi è pertanto violazione dell'articolo 13 della Convenzione. “modificare la disciplina delle conseguenze personali del fallimento, eliminando le sanzioni personali e prevedendo che le limitazioni alla libertà di residenza e di corrispondenza del fallito fossero connesse alle sole esigenze di procedura.“ Cosa che è avvenuta nella successiva riforma fallimentare rimuovendo le limitazioni sopra esposte19. Questa nuova concezione del fallimento, è stata confermata dalla Corte Costituzionale, sulla scia della CEDU, con sentenza n.39 del 27 febbraio 2008, (quindi a riforma già entrata in vigore). La Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 50 e 142 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo anteriore all'entrata in vigore della riforma del diritto fallimentare, in quanto, nel tenore delle richiamate norme, le incapacità personali derivanti dal fallimento avrebbero protratto la loro durata temporale ben oltre la chiusura della procedura concorsuale e, comunque, fino a quando non fosse intervenuta la pronuncia giudiziale di riabilitazione. Inoltre la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittime le disposizioni degli artt. 50 e 142 previgenti, laddove lasciavano che le incapacità personali del fallito perdurassero anche oltre la chiusura della procedura. La giurisprudenza, dunque, più volte ha recentemente stabilito che il venir meno dell'istituto della riabilitazione, conseguente all'entrata in vigore della riforma della 19 Confronta anche sui principi sottesi alla legge delega. Giovanni Lo Cascio, I principi della legge delega della riforma fallimentare, in “Il Fallimento e le altre procedure concorsuali”, IX (2005), pp. 985 e seg. legge fallimentare, ha determinato una sorta di riabilitazione ex lege per tutti gli iscritti al registro dei falliti. E conseguentemente deve essere ordinata l'immediata cancellazione dal registro dei falliti di tutti i nominativi che vi sono attualmente iscritti.20 Questa tendenza allo spostamento dall’esclusivo interesse privatistico del baricentro del fallimento dei debitori all’interesse anche del fallito-creditore, a parere di chi scrive, deve orientare la dottrina e la giurisprudenza nell’ applicare l’istituto dell’esdebitazione, ancor più in una economia di crisi come quella odierna. In base al nuovo approccio il fallimento, diventa un giudizio non più sulla persona, ma sul suo operato. Esso viene considerato come un incidente di percorso, che non deve negare al fallito la possibilità di avere di avere una seconda chance. Il superamento della concezioni di infamia del fallimento crea il retroterra, per un approccio pragmatico al fallimento, anche da parte dell'insolvente. Si tratta, come abbiamo visto, di un approccio nuovo, che avrà bisogno di tempo per radicarsi nella nostra tradizione giuridica. Tale approccio incentiva notevolmente il fallito a comportamenti collaborativi, e crea ai fini degli effetti del fallimento, una scissione tra imprenditori onesti e disonesti. 20 Sul punto si veda Gaeta Maria Maddalena, Chiusura della procedura concorsuale e incapacità personali del fallito - IL COMMENTO”, In “ Diritto e Pratica delle società, 4(2008) pp. 21 e seg. Questo nuovo approccio dovrebbe guidare la dottrina e giurisprudenza nell’applicare la riforma fallimentare e con essa l’istituto della esdebitazione. Guardare al fallimento in ottica pragmatica anziché infamante, impone di ampliare la portata applicativa dell’istituto dell’esdebitazione. Va tenuta ben presente la consapevolezza che continuare a sottoporre il fallito alle procedure individuali comporta un notevole dispendio di energie e costi processuali, sottratti all’economia nazionale. La scissione tra falliti e onesti e disonesti e il recupero di un soggetto alla sfera produttiva del Paese giovano alla collettività. I crediti recuperabili dai debitori con complesse procedure successive al fallimento sono probabilmente inferiori, a quanto può essere recuperato in modo più semplice e meno dispendioso grazie a comportamenti corretti del fallito. Inoltre senza l’esdebitazione il fallito diventa un soggetto inevitabilmente improduttivo e parassitario, costretto per il suo stesso status giuridico a produrre reddito in modo occulto. Infine la stessa appetibilità del fare impresa aumenta notevolmente laddove si preveda una via d’uscita per lo status di fallito Se poi realmente il legislatore ha cercato di dare una concezione nuova al fallimento non appare affatto coerente come sottolineato da molti autori21 la 21 Si veda L. Ghia, esdebitazione cit. pp. 100 e seg., V. Santoro, esdebitazione cit. pp 850 e seg., Stefano Ambrosini, L’Esdebitazione del fallito fra problemi interpretativi e dubbi d costituzionalità, in “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, II (2009) pp. 129 e seg. Luciano Panzani, “Esdebitazione”, Sub art. 142-3-4 in “Il nuovo diritto Fallimentare”, (a cura di Alberto Iorio e Massimo Fabiani), Bologna, Zanichelli, 2008, pp. 2097 e seg. Angelo scelta di escludere il piccolo imprenditore dal novero dei soggetti fallibili. Tale scelta, pur rientrando nella discrezionalità del legislatore, pone delicate questioni di legittimità costituzionale, in particolare di compatibilità con il rispetto del principio di uguaglianza. Appare quindi, de iure condendo necessaria l’estensione della esdebitazione, oltre che al piccolo imprenditore, e in una prospettiva più ampia, anche all’insolvente civile, conformemente a molte legislazioni europee. Profili comparatistici: uno sguardo alle esperienze straniere, Discharge e Fresh Restart in Life Come abbiamo già visto, l’esdebitazione è un istituto “di importazione” che proprio nel diritto americano trova una compiuta regolamentazione. La discharge si può definire come la liberazione del fallito da tutti i debiti sorti prima della data dell’order for relief (l’equivalente della nostra dichiarazione di fallimento), e da quelli che, pur essendo sorti dopo l’inizio Castagnola, L`esdebitazione del fallito, in “Giurisprudenza Commentata”, III (2006), pp.. 490 e seg. L’eccezione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Bolzano (con ordinanza del 20.12.2006) ma la Corte con ordinanza 411/2007 ha ritenuto che fosse “manifestamente inammissibile, in quanto relativa a norma temporalmente non applicabile alla fattispecie ed in quanto formulata in modo contraddittorio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 142 L. F., nella parte in cui non si prevede il beneficio anche per i debitori dichiarati falliti prima del 16/7/2007 e per i debitori non imprenditori commerciali, in riferimento all'art. 3 Cost.” del procedimento, sono dalle legge parificati a quelli sorti prima dell’inizio del procedimento, eccettuati i debiti esclusi a norma della sez. 523 del titolo 11 dello United States Code.22 Essa viene pronunciata dal tribunale, con un atto detto order of dicharge, Con l’inizio del procedimento fallimentare si crea il cosiddetto estate, cioè un patrimonio separato comprendente tutti gli interest in property del debitore, che viene conferito a un trustee, che è l’amministratore e il rappresentante del patrimonio fallimentare, e come tale legittimato a resistere e ad agire in giudizio per i rapporti compresi all’interno di tale patrimonio.23 Questa segregazione patrimoniale è la categoria concettuale che fa si che sia possibile, terminata la procedura fallimentare, esdebitare il debitore eliminando i debiti residui, e questo perché tali debiti, sin dall’inizio della procedura, non appartengono più al debitore ma al patrimonio separato. Infatti nel diritto italiano il superamento concettuale dei principi dell’art 2740 c..c e 120 L.F. è concepibile solo ove si consideri che l’origine dell’istituto dell’esdebitazione è in paesi tradizionalmente non ancorati, come il nostro, alla necessità che come centro di imputazione di un patrimonio vi sia una persona o una associazione. Del resto l’istituto del 22 A.Castagnola, La liberazione del debitore discharge, cit. pp. 51 e seg. 23 A.Castagnola, La liberazione del debitore discharge, cit pp 57 e seg trust, lontanissimo dalla nostra tradizione giuridica, è stato, ormai, seppur con qualche difficoltà, metabolizzato dal nostro diritto interno. Il codice fallimentare statunitense oggi in vigore (Il Bankruptcy code contenuto nella sezione (Chapther) 11 dello United States Code) contiene diverse procedure di fallimento. Ognuna di esse prevede specifiche norme in base alle caratteristiche dei soggetti ai quali è indirizzata. La procedura del Chapter 7, prevista sia per le società che per le persone fisiche, è una procedura relativamente semplice, rapida e poco dispendiosa e utilizzabile da quanti siano consapevoli che i debiti sono superiori agli assets attivi. Al debitore “onesto e sfortunato” si chiede di consegnare le sue proprietà a un curatore che si occupa di liquidarle e ripartire l'attivo fra i creditori, questo consente al debitore di ottenere una fresh new start, tramite la discharge, riservata alle persone fisiche. Il debitore potrà accedere alla discharge solo se avrà cooperato con la procedura, si sia comportato in modo trasparente e non abbia compiuto atti volti a danneggiare i creditori. La procedura di cui al Chapter 11, consiste invece nel Corporate riorganizzation, attuabile quando si ritiene che l'impresa possa essere rilanciata, pur in momento di difficoltà economica. Anche tale procedura è accessibile sia alle imprese che alle persone fisiche. Si cercano gli accordi tra debitori e creditori e si suddividono i gruppi di creditori in classi omogenee, si nomina un giudice a presidio della intera procedura. E' una procedura che lascia ampio margine agli accordi tra debitori e creditori e ampio spazio al giudice. La peculiarità è che tale procedura, nei fatti analoga al nostro concordato preventivo, è la frequente applicazione pratica a imprese di dimensioni molto diverse dal piccolo imprenditore alla grande corporation. Il Chapter 13 prevede invece la procedura concorsuale per il singolo debitore persona fisica, mediante l'approvazione di un piano di rientro, approvato dal tribunale ma non dai singoli creditori, tramite gli introiti che il debitore potrà provare. A presidio della procedura è nominato un amministratore fiduciario. I creditori privilegiati devono essere pagati integralmente. Alla fine della procedura l'insolvente beneficerà della discharge, occorrerà tuttavia che siano trascorsi cinque anni. Con la discharge, quindi il debitore persona fisica (“individual debtor”) viene automaticamente liberato dai debiti insinuati o insinuabili al passivo indipendentemente dalla percentuale ricevuta dai creditori e dal consenso di questi ultimi, con efficacia reale.24 24 Sulla Discarge, si veda anche Maurizio Onza, Liquidation e Reorganization In “La ristrutturazione della impresa in crisi Una comparazione tra diritto italiano e statunitense”, a cura di Vincenzo de Sensi, pag. 100 e seg., Lorenzo Stanghellini, “"Fresh start" e implicazioni di "policy"”, in “Analisi giuridica dell'economia”, II (2004) pp. 437 e seg., Monica Marcucci, L’insolvenza del debitore civile negli USA, in “Analisi Giuridica dell’economia”, II (2004) pp. 363374. Va detto che, anche nel sistema statunitense, la discharge produce effetto solo relativamente alla responsabilità personale del debitore, rimanendo pertanto la possibilità di escutere il condebitore solidale o il fideiussore. Il debitore, inoltre, rimane sempre titolare del diritto di adempiere spontaneamente l’obbligazione discharged, che diventa pertanto una obbligazione naturale (moral obligation). A differenza che nell’ordinamento italiano, nel sistema statunitense, è prevista la revoca della discharge. La discharge può essere revocata, entro un periodo di tempo determinato, su istanza di un creditore, per una serie di motivazioni tassativamente indicate dal Code che si fondano principalmente sull’accertamento di una condotta fraudolenta del debitore. E’ previsto inoltre che il debitore può negoziare con uno o più creditori un contratto di reaffermation attraverso il quale si impegna ad adempiere a specifiche obbligazioni nonostante l’esdebitazione. Molti ordinamenti nazionali europei prevedono varie forme di esdebitazione, la maggioranza di essi prevede meccanismi che consentono la liberazione del debitore civile.25 25 Per una analisi nel diritto francese si veda Maria Cecilia Cardarelli, L'insolvenza del debitore civile in Francia, in “Analisi Giuridica dell'Economia”, II (2004), pp. 299 e seg. I Presupposti soggettivi e oggettivi Le condizioni per l'ammissione al beneficio di cui all'esdebitazione, sono previste dall'art. 142 L. F. E’ necessario che il fallito: a) abbia collaborato con gli organi della procedura; b) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; c) non abbia violato l`art.48 L.F. che prevede l`obbligo di consegna della corrispondenza al curatore; d) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni antecedenti alla presentazione della domanda; e) non abbia distratto l`attivo o esposto passività inesistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; f) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l`economia pubblica, l`industria ed il commercio o altri delitti connessi all`attività d`impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione .Le prime tre lettere rappresentano dei requisiti di meritevolezza le altre tre condizioni di procedibilità26. 26 Sul punto si veda: E. Frascaroli Santi, cit., pp. 44 e seg,. Emilio Norelli, L'esdebitazione, in La tutela dei diritti nella riforma fallimentare- scritti in onore di Giovanni Lo Cascio Per quanto riguarda i requisiti di meritevolezza possiamo innanzitutto affermare che siamo di fronte a comportamenti che il fallito deve aver tenuto nel corso della procedura e non prima di essa come si evince dal fatto che tale cooperazione debba rivolgersi agli “Organi della procedura”. La meritevolezza del fallito verrà accertata dal tribunale, anche sulla base del parere espresso sul comportamento del fallito dal comitato dei creditori e del curatore. In primo luogo la meritevolezza si manifesta nell’aver adempiuto a quanto imposto da specifiche prescrizioni della legge. Innanzitutto il fallito deve aver adempiuto all’ordine dato dal tribunale con la sentenza dichiarativa del fallimento, ex art. 16, secondo comma, n. 3 che prevede il “deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma dell'articolo 14” il quale ultimo precisa che bilanci e scritture sono quelli “concernenti i tre esercizi precedenti ovvero l’intera esistenza dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata”. Deve poi aver fornito “notizie e chiarimenti” da parte del comitato dei creditori o di un singolo componente di esso (art. 41, quinto comma), e deve aver rispettato le prescrizioni sul domicilio e sulla residenza ex art. 49 cioè “comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del (a cura di Adriano Patti e Massimo Fabiani), Milano, Ipsoa, 2006, pp. 255 e seg. L. Ghia L’esdebitazione cit. pp. 140 e seg. proprio domicilio”; e ancora l’obbligo di “presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura”. Deve aver correttamente adempiuto alle prescrizioni dell’art. 86, consegnando al curatore il denaro contante, le cambiali e gli altri titoli compresi quelli scaduti, le scritture contabili e ogni altra documentazione dal medesimo richiesta o acquisita, se non ancora depositate in cancelleria. E ancora deve aver adempiuto all’obbligo previsto dall’art. 87, terzo comma, dichiarando se ha notizia dell’esistenza di altre attività da comprendere nell’inventario (sotto comminatoria “delle pene stabilite dall’articolo 220 in caso di falsa o omessa dichiarazione”) E ancora aver adempiuto ai doveri risultanti dal combinato disposto degli artt. 49, secondo comma, e 89, primo comma, di fornire al curatore «notizie» al fine di consentirgli di “compilare l’elenco dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e diritti di prelazione, nonché l’elenco di tutti coloro che vantano diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, su cose in possesso o nella disponibilità del fallito, con l’indicazione dei titoli relativi” Inoltre, va chiarito cosa intenda la norma, laddove specifica “adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni”. Secondo alcuni autori27 sono da ricomprendere fra di essi i comportamenti collaborativi al fine della più completa acquisizione dell’attivo fallimentare. 27E. Norelli, Esdebitazione cit. pp. 257 e seg. Quindi oltre alla materiale messa a disposizione del curatore dei beni compresi nel fallimento (art. 42), anche la puntuale, tempestiva ed esaustiva informazione circa le attività da recuperare e le azioni da intraprendere o proseguire (art. 43). Tali comportamenti infatti sono volti a rendere proficue le operazioni fallimentari. I commi 4,5,6 dell’art 142 descrivono condizioni di procedibilità, necessarie per la concessione del beneficio. Le condizioni del non aver usufruito di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta e del non aver distratto l'attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito, sono previste per evitare abusi dell’istituto e il crearsi del fenomeno dei falliti di professione elencando e tipizzando quali comportamenti non devono essere commessi dal fallito. Per quanto attiene all’ultima delle condizioni che ostano alla riabilitazione la norma fa riferimento al reato di bancarotta fraudolenta (art. 216 L.F.), ai reati previsti dagli art. 449 e seg. c.p., e inseriti nel Titolo VIII del libro III che disciplina i reati contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio. Nel richiamare poi gli altri delitti connessi con l'attività di impresa, la norma richiama tutti gli altri delitti, contenuti nel codice o in leggi speciali, nei quali la condotta criminosa sia finalizzata alla attività di impresa o compiuta in connessione con l'attività stessa. La causa ostativa sussiste in presenza di una condanna, passata in giudicato, per un delitto e non per una mera contravvenzione. Nel caso in cui il procedimento penale sia in corso, il procedimento di esdebitazione resta sospeso. Si può ottenere la esdebitazione se in sede penale si è ottenuta la riabilitazione per i reati di cui sopra, ma considerando che l'esdebitazione deve essere richiesta entro un anno dal fallimento, e la riabilitazione penale può essere chiesta solo 5 anni dopo l'estinzione della pena, tale previsione appare applicabile solo a reati commessi molto tempo prima del fallimento.28 Questa previsione consente di applicare il beneficio solo all'imprenditore che si sia comportato correttamente e crea un forte disincentivo alla commissione di reati fallimentari. Per quanto riguarda la condizione oggettiva per la concessione del beneficio, la norma richiede che siano soddisfatti, almeno in parte i creditori concorsuali. Il punto, come si può evincere dal testo, dà luogo a notevoli problemi applicativi non specificando se per soddisfare almeno in parte i creditori concorsuali sia sufficiente che abbiano trovato soddisfazione i creditori privilegiati o debbano essere soddisfatti anche i creditori chirografari, e vi torneremo nel prossimo capitolo. Il Procedimento e gli effetti sostanziali e processuali dell’esdebitazione La procedura di esdebitazione è divisa in due fasi: una di prima istanza, aperta d'ufficio dal tribunale o su richiesta del debitore; l'altra di reclamo, ai sensi dell'art. 26, L. F., così come riformato dall'art. 3, comma 3, D. Lgs. n. 169 del 2007 . L’art. 143 L.F. regola il procedimento che può essere introdotto entro un anno dal decreto di chiusura del fallimento, su ricorso del debitore, la competenza spetta al Tribunale, che verifica la sussistenza delle condizioni e tiene conto dei comportamenti collaborativi del fallito. Il termine relativamente breve di un anno è stabilito per esigenze di certezza giuridica e anche perché una valutazione del comportamento del fallito diventa complicata trascorso troppo tempo dalla chiusura della procedura, inoltre in termini pratici diventa complessa, l'audizione del curatore e del comitato dei creditori.29 Si ritiene che il tribunale non possa concedere d'ufficio l'esdebitazione ma sia necessaria una espressa domanda del debitore.30 Il tribunale, per meglio valutare il comportamento del fallito, e la sua collaborazione con la procedura, deve sentire il curatore e il comitato dei 28Si veda:Luciano Panzani, sub art. 142, Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Alberto. Jorio e coordinato da Massimo Fabiani, Torino, 2007, 2096-2118.” pp. 2099 e seg. 29In 30In tal senso V. Santoroo , Esdebitazione cit. pag 858 e L. Panzani cit. pag. 143. tal senso Giorgio Costantino, L’ esdebitazione, in “Il Foro italiano”, V (2006), pp.208-212. e Luciano Panzani cit.2110 creditori, il cui parere tuttavia non è vincolante per la concessione del beneficio. A conclusione della procedura dichiara inesigibili nei confronti del debitore, già dichiarato fallito, i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. In base all'art. 23 comma 2 l'esdebitazione viene pronunciata con ordinanza al termine di un rito camerale. Contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo. Il reclamo, in base al disposto dell'art.26 L.F. va presentato entro dieci giorni. Tale temine decorre per il fallito dalla comunicazione o notificazione del provvedimento. Non è chiaro se il curatore e il comitato dei creditori abbiano legittimazione a proporre il reclamo, ma laddove li si ritenga legittimati, il termine è dieci giorni anche per loro. Per gli altri interessati (tra i quali creditori ammessi, creditori non insinuati e creditori esclusi) il termine in base all'art. 26 L.F. inizia a decorre dall'esecuzione delle formalità pubblicitarie, che vengono disposte dal giudice delegato. E' ipotizzabile che tra gli altri interessati possa rientrare anche il coobbligato del fallito poiché la concessione dell'esdebitazione ha rilevanti conseguenze anche nei suoi confronti, poiché egli resterà obbligato e perderà l'azione di rivalsa verso l'esdebitato. Tuttavia il suo interesse potrebbe essere di mero fatto, e pertanto non tutelato in sede giudiziale. Va ricordato che in sede di reclamo i creditori dell'esdebitato potranno far valere solo vizi formali o violazioni di legge, pertanto potranno dimostrare che mancavano i presupposti per la concessione del beneficio. Il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione ha effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione, che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo. Tuttavia, in questo caso, l'esdebitazione rende inesigibili solo i crediti eccedenti rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso. Da un punto di vista pratico è sufficiente segnalare che il ricorso del debitore di cui all'art. 143, volto a ottenere l'applicazione del beneficio dovrà essere depositato, corredato dalla documentazione comprovante i requisiti di cui all'art. 142, nella cancelleria del giudice delegato al fallimento. . La Corte Costituzionale con la sentenza n. 181 del 30 Maggio 2008 ha dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 143 del r.d. n. 267 del 1942 (cd. legge fallimentare), nel testo introdotto dal d.lgs. n. 5 del 2006, limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione attivato, ad istanza del debitore già dichiarato fallito, nell’anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e seg. c.p.c., ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonché del decreto col quale il giudice fissa l’udienza in camera di consiglio. La Corte Costituzionale ha ritenuto, pertanto che la disciplina processuale della esdebitazione non contempla alcun adempimento volto ad assicurare la partecipazione dei creditori ammessi al passivo, così, attraverso la conoscenza, ovvero la conoscibilità, della pendenza della procedura, pertanto ha ritenuto tale disciplina in contrasto con l’art. 24 Cost. (che prevede per tutti il diritto di azione per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi). Un punto da chiarire sul procedimento è se esso sia o meno un procedimento di volontaria giurisdizione31 o contenzioso. Il procedimento di esdebitazione è, a parere di chi scrive, più simile a un procedimento di tipo amministrativo che a un tradizionale contenzioso civile, e pertanto dovrebbe inquadrarsi in un procedimento di volontaria giurisdizione . Infatti, l’ attività discrezionale del tribunale è volta ad 31 Si veda Andrea Proto Pisani, Manuale di Diritto processuale civile, Napoli, Jovene, 2005. pag. 640. accertare la sussistenza dei presupposti di legge, in presenza dei quali l'esdebitazione deve essere concessa. Ma la cosa più rilevante è che in sede di reclamo i creditori potranno far valere solo il mancato rispetto dei presupposti per la concessione del beneficio e nulla più, un interesse dei creditori così concepito appare più assimilabile a un interesse legittimo che a un vero e proprio diritto soggettivo.32 Tuttavia la giurisprudenza, come vedremo nell’ultimo capitolo, è di diverso avviso ma quest’aspetto rimane discusso. Criticità e problemi aperti Come abbiamo visto, l'esdebitazione è un istituto, “trapiantato” nel nostro ordinamento, di fatto un corpo estraneo, proveniente da tradizioni giuridiche diverse e in parte distanti dalla nostra. Si è attuato un coraggioso ma necessario balzo in avanti, che ha portato a numerosi problemi, in massima parte, a tutt'oggi, irrisolti. Solo l'applicazione pratica dell'istituto, nelle interpretazione che ne daranno la dottrina e la giurisprudenza, ne traccerà i confini. Confini che ad oggi appaiono confusi, e perciò particolarmente meritevoli di approfondimento. Daremo quindi di seguito conto dei principali problemi sostanziali e processuali che il nuovo istituto ha creato. 32 Si veda “Giuliano Scarselli, La esdebitazione della nuova legge fallimentare, in “Il diritto fallimentare e delle società commerciali”, I (2007) pp. 29 e seg. Non possiamo tuttavia, per la intrinseca natura di questo breve saggio, analizzarli tutti, potendoli tuttavia elencare alcuni. Abbiamo scelto di concentrarci, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, sull’interpretazione dell’ art.143 comma 2. Questa scelta si spiega con l'attualità sostanziale e processuale del problema, e con la copiosità della giurisprudenza sul punto. Tuttavia vi sono altre aporie che l’istituto dell’esdebitazione pone. Alcuni autori hanno messo in dubbio la legittimità costituzionale della possibilità per il fallito di essere esdebitato anche contro la volontà del debitore e, prima della sentenza 181 del 2008, anche senza il contraddittorio con esso33. Va valutata poi la compatibilità della procedura di esdebitazione con in nuovi requisiti soggettivi dell'art.1 L.F. In particolare molti autori si sono chiesti se sia conforme alla Costituzione escludere il piccolo imprenditore (e eventualmente anche il consumatore) dal beneficio della esdebitazione, poiché chi non ha i requisiti dell'art 1 L. F. non può fallire non può neppure essere esdebitato e rimane soggetto alle procedure esecutive. Il nuovo articolo 1 L.F. ha infatti notevolmente ristretto il novero dei soggetti fallibili, anche laddove esercitino l'attività commerciale, non rende soggetti 33 In particolare sul punto si veda G. Scarselli, Ancora sull’esdebitazione cit. pp 1335 e seg.. al fallimento coloro i quali abbiano il possesso congiunto dei requisiti di cui all'art. 1 comma 2. Nel momento in cui il fallimento è il presupposto di un beneficio, l'esdebitazione diventando, in determinate circostanze appetibile, non appare conforme all'articolo 3 Cost.che un così ampio spettro di soggetti, non possano fallire, e siano, pertanto, esclusi dal beneficio. La disparità di trattamento era ragionevole fino a quando l'esclusione era motivata da una logica di tutela del piccolo imprenditore, al fine di evitargli le conseguenze pregiudizievoli del fallimento, viceversa appare incongrua, e incostituzionale oggi, poiché se si ammette l'esdebitazione per l'imprenditore commerciale non piccolo a fortiori la si deve ammettere per gli imprenditori che non hanno i requisiti di fallibilità dell'art.1. L.F. Dal punto di vista processuale, il procedimento di esdebitazione è particolarmente oscuro stante anche la scarsità di indicazioni del legislatore sul punto. E’ la natura stessa del procedimento a essere discussa. Non è chiaro, infatti, se il procedimento abbia natura di volontaria giurisdizione o contenziosa. Si discute poi se il decreto che dichiara inesigibili i crediti abbia natura dichiarativa o costitutiva. Naturalmente per capire la natura processuale del decreto di esdebitazione andrebbe colta la natura sostanziale dell’inesigibilità dei crediti con esso disposta. Secondo alcuni autori, infatti l’esdebitazione estingue i crediti solo dal punto di vista processuale, pertanto il credito esdebitato è assimilabile a una obbligazione naturale, altri autori facendo leva sull’effetto esdebitatorio dei concordati sostengono invece che siamo di fronte a un fenomeno di carattere sostanziale.34 L'art. 144 L:F: specifica poi che l'effetto esdebitatorio si produce anche nei confronti dei creditori non concorrenti o esclusi. Questi creditori hanno diritto al pagamento del loro credito, limitatamente a quanto avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso. Tale norma sembra destinata a porre problemi applicativi, poiché presuppone un giudizio ipotetico. Bisogna infatti immaginare che essi si siano insinuati tempestivamente, e di conseguenza quanto sarebbe spettato a ciascun creditore, se anche essi avessero partecipato al riparto. Tenendo ovviamente conto delle classi di creditori. La cifra poi che eccede quanto sarebbe spettato ai creditori non concorrenti se avessero partecipato al fallimento beneficia dell'esdebitazione. Pertanto i creditori privilegiati non concorrenti potrebbero in teoria avere diritto all'intero, laddove i creditori privilegiati concorsuali siano stati pagati per intero, ma solo a condizione che se loro avessero partecipato, sarebbero ugualmente stati pagati per intero, altrimenti si deve esdebitare l'eccedenza. 34 Sul punto si veda E. Frascaroli Santi cit. p. 47, e concordemente ma riferendosi agli effetti del concordato Renzo Provinciali , Trattato di diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 1962 pag. n.1195 e seg. Per i creditori chirografari non insinuati va fatto un complesso calcolo di quanto gli sarebbe spettato ipotizzando che anche loro avessero partecipato al riparto, insieme agli altri creditori chirografari. L’introduzione dell’esdebitazione ha poi causato notevoli contrasti di diritto transitorio e intertemporale35. Ciò in particolare perché l’art. 150 del D.Lgs. n. 5/2006 ha normato il diritto transitorio per l’entrata in vigore della riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, prevedendo che “i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data sono definiti secondo la legge anteriore”. Parte della giurisprudenza ha pertanto considerato che l’esdebitazione non potesse essere ottenuta laddove il fallimento non fosse stato pendente alla data del 16 Luglio 2006, data di entrata in vigore della riforma. Viceversa la dottrina, e altra parte della giurisprudenza, hanno sostenuto che l’art. 150 non fosse applicabile all’esdebitazione perché questa era estranea al procedimento fallimentare e pertanto, applicando il principio del 35 Sulla complessa questione del diritto intertemporale e transitorio si veda Donato Pletenda, Esdebitazione nel fallimento problemi di diritto intertemporale, in “Il fallimento e le altre procedure concorsuali, IV(2007), pp. 458-462. e Giuliano Scarselli, Ancora sulla esdebitazione (una questione temporale e altre più generali), in “Il Fallimento e le altre procedure concorsuali”, XI (2009), pp. 1335 e seg. . Ernestino Bruschetta, Il diritto transitorio dell’esdebitazione, in “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, VII(2010). pp. 789 e seg. tempus regit actum, ritenevano che l’unico limite temporale avrebbe dovuto essere quello previsto dall’art.143 comma 1 L.F. .Tale articolo precisa che la domanda volta ad ottenere l’esdebitazione deve essere presentata entro un anno dalla chiusura del fallimento. Sul punto è intervenuto il legislatore, con un’interpretazione autentica, mediante il decreto correttivo alla riforma fallimentare (D. Lgs. 169/07) che agli articoli 19 e 22, ha precisato che il nuovo istituto della esdebitazione si applica anche alle procedure aperte prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/2006, purché siano ancora pendenti a tale data. L’esdebitazione si applica inoltre alle procedure che vengano chiuse nel periodo intermedio compreso tra tale data (16 giugno 2006) ed il 1° gennaio 2008 (data di entrata in vigore del decreto correttivo n. 169 del 2007). In tale caso, la domanda di esdebitazione deve essere presentata entro un anno dalla data di entrata in vigore di detto ultimo decreto, cioè entro un anno dal 1° gennaio 2008. Ne consegue che l'istituto dell'esdebitazione non può trovare applicazione ai fallimenti che siano stati chiusi in epoca antecedente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/200636. Infine, in sede penale, l'abrogazione dell'istituto della 36Sul punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione 24121/2009 che si riporta poiché chiarisce esattamente l’ambito temporale di applicazione dell’istituto: “In tema di esdebitazione, il primo comma dell'art. 19 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, recante disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della Legge 14 maggio 2005, n. 80, dispone che "le disposizioni di cui al Capo IX "della esdebitazione" del Titolo II del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni, si applicano anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5", ovvero alle procedure pendenti alla data del 16 giugno 2006, atteso che l'art. 153 del citato decreto prescrive che quest'ultimo entri in vigore dopo sei mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (avvenuta sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2006). Il secondo comma dell'art. 19 del medesimo decreto legislativo n. 169/2007, dispone, inoltre, che "qualora le procedure fallimentari di cui al primo comma", vale a dire le procedure fallimentari pendenti alla data del 16 giugno 2006, "risultino chiuse alla data di entrata in vigore del presente decreto", vale a dire alla data del 1° gennaio 2008, "la domanda di esdebitazione può essere presentata nel termine di un anno dalla medesima data", vale a dire nel termine di un anno dal 1° gennaio 2008. Il quarto comma dell'art. 22 dello stesso decreto legislativo n. 169/2007, dispone, infine, che "l'art. 19 si applica alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 pendenti o chiuse alla data di entrata in vigore del presente decreto". La corte costituzionale poi con ordinanza a n. 61 del 24 Febbraio 2010 ha stabilito che ”È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del D.Lgs. 12/9/2007, n. 169, impugnati, in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto escludono dalla possibilità di godere del beneficio dell'esdebitazione i falliti per i quali sia intervenuto provvedimento di chiusura del fallimento prima del 16/7/2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006. Non sussiste, infatti, la denunciata violazione del principio di uguaglianza poiché il criterio di discrimine nell'applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento. Né si appalesa irragionevole la scelta del legislatore di fissare un limite temporale alla possibilità di accedere al suddetto beneficio; al contrario, essa è coerente con l'esigenza di compiere, al fine della concessione dell'esdebitazione, una serie di riscontri istruttori, volti alla verifica dell'effettiva meritevolezza del beneficio da parte del fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili o, comunque, fonte di risultati attendibili, ove fossero svolti in relazione a procedure concorsuali la cui chiusura rimonti a periodi troppo risalenti nel tempo. Sul consolidamento orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche, v. le citate sentenze n. 94/2009, n. 341/2007 e ordinanze n. 170/2009 e n. 212/2008.” riabilitazione pone delicati problemi di raccordo con il reato di bancarotta fraudolenta, per la quale la riabilitazione era causa estintiva37. ESDEBITAZIONE E PRESUPPOSTO OGGETTIVO DELLA SODDISFAZIONE DEI CREDITORI CONCORSUALI CHIROGRAFARI: UN PROBLEMA APERTISSIMO Inquadramento normativo-sistematico dell’inciso dell’art. 142 comma 2 del problema: l’analisi “L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali” L’art. 142 prevede, come presupposto oggettivo, che “L'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.” Tale disposizione pone notevoli problemi applicativi, di rilevante importanza pratica e sistematica per comprendere quale sia la natura della esdebitazione. Laddove infatti richiede che siano soddisfatti 37 Sugli aspetti di dirtto penale della esdebitazione si veda Eugenio Albamonte, Abrogazione della riabilitazione del fallito: effetti penali, in “Giurisprudenza di merito”, IX (2007), pp. 2309- e seg. Federico Cerqua, Il regime transitorio dell’ Esdebitazione: i riflessi penali, in “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, IV (2009) pp. 418 e seg. almeno in parte i creditori concorsuali non è chiaro se si debba soddisfare solo parte del credito o solo parte dei creditori. Questo è senz’altro l’aspetto che ha maggiormente impegnato e diviso dottrina e giurisprudenza, se si eccettuano le questioni di applicazione intertemporale dell’istituto, su cui tuttavia, come abbiamo visto, è già intervenuto il legislatore. Una prima tesi interpretativa sostiene che, per concedere il beneficio dell’esdebitazione, occorre che almeno parte dei creditori ammessi al passivo siano stati soddisfatti, seppur parzialmente, dalla ripartizione dell’attivo fallimentare. L’opposta tesi interpreta la disposizione nel senso che, per concedere il beneficio è necessaria la soddisfazione di tutti i creditori concorrenti, e pertanto implica che a chiusura del fallimento vi sia stata una ripartizione tale per cui tutti i creditori ammessi al passivo siano stati soddisfatti, anche in misura minima. La questione ha enorme portata pratica e dall’interpretazione che si vorrà dare alla norma dipenderanno i confini applicativi dell’istituto. E’ evidente infatti che imporre la soddisfazione dei creditori chirografari, anche in minima parte, comporta che siano soddisfatti per intero quelli privilegiati, sia quelli muniti di privilegio generale che quelli muniti di privilegio speciale, nei limiti del valore dei beni gravati, non potendosi provvedere a soddisfacimento dei chirografari se non nel rispetto delle cause di prelazione. L’esdebitazione diventerebbe quindi di difficile applicazione, stante l’esiguo numero di fallimenti che si concludono con una soddisfazione di questa categoria di creditori. Va però tenuto conto che una applicazione eccessiva dell’istituto rende più complessa la posizione dei creditori in caso di fallimento e rischia di far contrarre l’erogazione di credito, mortificando quelle esigenze di incentivo all’economia che hanno spinto il legislatore ad inserire l’istituto nel nostro ordinamento. La questione è stata ritenuta della massima importanza, in quanto dalla sua soluzione dipende l'applicabilità dell'esdebitazione ad un rilevante numero di procedure fallimentari, dalla Corte di Cassazione Sezione 1 Civile che con ordinanza del 21 ottobre 2010, n. 21641 ha disposto la rimessione degli atti al Primo Presidente per la valutazione dell'opportunità di sottoporla alle Sezioni Unite. Prima tesi interpretativa più ampia: argomenti a supporto seguiti da dottrina e giurisprudenza Gli argomenti a supporto dell’una e dell’altra tesi sono di due tipi.38 Un primo gruppo di argomenti si basa sull’esegesi, più o meno letterale, del 38 Oltre agli autori successivamente citati, sostengono questa tesi anche: G. Cavalli, Gli effetti del fallimento per il debitore, cit. pp. 110 e seg., Sido Bonfatti e Paolo Censoni. Manuale di Diritto Fallimentare, Padova, Cedam, 2007, pp. 361 e seg. testo normativo, peraltro impreciso. Un altro gruppo di argomenti si basa su letture di natura più sostanziale, riferiti alla natura della esdebitazione, alla suo ratio e alla necessità che si ritenga o meno che tale istituto debba essere esteso. Un primo argomento a supporto di tale tesi, che chiameremo estensiva39, è dato dal presupposto della meritevolezza del fallito su cui la riforma si basa. In presenza del requisito della meritevolezza non è possibile far dipendere la concessione del beneficio dalla ripartizione dell’attivo, i cui risultati dipendono da elementi estranei alla sfera della meritevolezza, tra i quali ad esempi il numero dei creditori ammessi, il numero delle cause di prelazione, quanto si è ottenuto dalla ripartizione dell’attivo. Abbiamo visto nel primo paragrafo come tutti i requisiti dell’esdebitazione siano tesi a creare una cesura tra imprenditori onesti e sfortunati e debitori che non si sono comportati correttamente e a incentivare il recupero di un soggetto meritevole dell’esdebitazione è all’economia nazionale. incentivare la Pertanto correttezza del se la ratio debitore, si disincentiverebbe il debitore onesto e sfortunato, ma consapevole di avere un ampio numero di creditori privilegiati, dal collaborare con la procedura. 39 Per una analisi compiuta del contrasto è di straordinario interesse Emilio Norelli, Contrasti giurisprudenziali in tema di esdebitazione, concorsuali”, X (2009), pp. 1194 e seg. in “ Il Fallimento e le altre procedure Tale argomentazione trova numerosi sostenitori sia in giurisprudenza40 che in dottrina41. Un altro argomento è dato dalla ratio dell’ istituto. L’esdebitazione, in Italia e all’estero, come già esaminato nel I capitolo, è infatti ancorata al principio del favor debitoris, alla incentivante liberazione volta a consentire un fresh start e il recupero di un nuovo soggetto all’economia nazionale. Utilizzando l’interpretazione teleologica si ha quindi la necessità di dare un interpretazione ampia all’istituto che ne consenta una effettiva applicazione.42 Va poi sottolineato in un ottica sostanziale, che richiedere la soddisfazione in qualche misura di tutti i creditori concorsuali comporterebbe la necessità 40Si veda sul punto anche Tribunale di Vicenza Decreto del 1.12.2009 in www.ilcaso.it “L'esdebitazione è un beneficio concesso al debitore meritevole, qualora il fallimento abbia effettuato anche un solo riparto in favore dei creditori privilegiati. I creditori concorsuali debbono essere avvisati per consentire loro di partecipare all'udienza, ma non possono opporsi all'esdebitazione per non essere stati soddisfatti, ma soltanto per motivi connessi alla meritevolezza del debitore.” In tal senso anche Tribunale di Firenze (inedita) Decreto della Terza sezione civile, emesso il 17 Dicembre 2008. Che sottolinea tra gli argomenti con cui è stata concessa l’esdebitazione che questa conclusione si impone anche in considerazione della ratio della norma, che è quella di favorire il reinserimento sociale e produttivo degli imprenditori onesti e sfortunati. Su questa ratio non vi sono dubbi, posto che in tutte le condizioni, poste specificamente e puntigliosamente dall’art. 142 attengono proprio a questo aspetto “comportamentale” del debitore. Ma se è questa la ratio della norma non v’è ragione di distinguere tra fallimenti che soddisfano, anche in minima parte, i chirografari, e fallimenti che toccano favorevolmente solo i privilegiati, giacchè significherebbe legare le sorti dell’istituto (e del debitore) ad un dato spurio rispetto allo scopo dichiarato; un dato che è consentaneo più alle disponibilità del debitore che alla sua condotta antecedente e successiva al fallimento. 41 In tal senso E. Frascaroli Santi L’esdebitazione del fallito, cit. pag 44 e seg. 42 Così si è pronunciata la Corte D’appello di Ancora, Sentenza del 12 dicembre 2008. del pagamento integrale dei creditori muniti di privilegio generale o speciale nei limiti del valore dei beni gravati, non potendo soddisfare i chirografari se non nel rispetto delle cause di prelazione; ne deriverebbe non solo l'ammissibilità dell'esdebitazione solo in presenza di una situazione patrimoniale che avrebbe consentito l'accesso al concordato ma anche, in concreto, una applicazione dell'istituto del tutto marginale.43 Venendo ad argomenti a supporto basati sull’esegesi della norma va detto che l’art.142 comma 1 parla semplicemente di “debitori concorsuali non soddisfatti”.44 La norma non aggiunge alcunché, quindi si riferisce a tutti i debiti residui, senza distinguere tra creditori che non sono stati soddisfatti interamente e creditori che non sono stati soddisfatti parzialmente. Analogamente il testo della legge delega che parlava semplicemente di “liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti e non richiede altro e quindi si riferisce a tutti i debitori”. 43 Si veda in tale senso la stessa ordinanza di rimessione Corte di Cassazione Sezione 1 Civile del 21 ottobre 2010, n. 21641, che in modo oltremodo schematico elenca una serie di argomenti a favore della prima o della seconda tesi. 44 Basandosi sull’interpretazione letterale e ricorrendo anche al criterio della meritevolezza concorda con questa ricostruzione anche L. Ghia, cit. pag 154 e seg e si confrontia anche Giuseppe Fauceglia e Luciano Panzani, Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, U.T.ET., 2009, pp. 135 e seg. Troviamo entrambi i motivi, ben rappresentati in Tribunale di Mantova 3 aprile 2008. Infatti in un passaggio della motivazione si può leggere che: “ la norma indicata non distingue tra creditori privilegiati e chirografari e specificatamente non esige l’intervenuto pagamento parziale anche dei creditori chirografari, considerato che questo presupporrebbe necessariamente la integrale soddisfazione di tutti i creditori ammessi con prelazione, e tale interpretazione pare porsi in contrasto con il disposto della legge di delega laddove è indicato che la disciplina della esdebitazione deve consistere “nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti” (art. 1, comma 6, lett. a), n. 13 della L.14.5.2005 n.80), e quindi dai debiti residui nei confronti di tutti i creditori non soddisfatti, sia parzialmente che totalmente”45 Pertanto il Tribunale giunge a ritenere che la soddisfazione solo parziale e solo dei creditori privilegiati non osti alla concessione del beneficio. Il Tribunale di Piacenza si spinge oltre ritenendo che l’espressione “neppure in parte” di cui all’art. 142 comma 2, L.F, attesa la non specifica indicazione legislativa, non può riferirsi solo alla parte del credito soddisfatto, ma anche al numero dei creditori soddisfatti che ricevono parte del loro credito, secondo l’ordine di legge, giungendo a ritenere che anche solo il pagamento parziale di un creditore (privilegiato o chirografario) potrà integrare la 45 In modo analogo si sono pronunciate Tribunale di Taranto Decreto dell' 8 Ottobre 2008 e Corte di Appello di Bologna in www.utetgiuridica.it. condizione per ottenere l’esdebitazione. 46 Vi è poi da aggiungere che, se la legge delega parla di “liberazione del debitore persona fisica di debiti residui dei creditori concorsuali non soddisfatti senza aggiungere altro e dato che i decreti legislativi hanno il dovere di rispettare limiti e prescrizioni della legge di delega, è necessario che la normativa delegata venga interpretata in modo più conforme possibile alla legge delegante. In caso contrario si violerebbero gli articoli 76 e 77 cost. 47 I fautori della prima tesi sostengono, inoltre, che a tale interpretazione estensiva non osti l’espressione “I debiti non soddisfatti integralmente diventano inesigibili di cui all’art. 143 comma 1” poiché non integralmente implica anche che vi siano alcuni crediti che non vengono soddisfatti affatto, non essendovi alcuna necessità che il non integralmente si riferisca a tutti i crediti. 46 Lo stesso tribunale poi specifica che anche l’applicazione delle pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c. p.p. per il reato di bancarotta, perchè tale forma di applicazione della pena costituisce una condanna sui generis che non può contenere dichiarazione di colpevolezza né indicazione di condanna. 47 In tal senso Tribunale di Firenze cit. che afferma” Se non fosse questa la interpretazione corretta della norma dovrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale della stessa, posto che la legge delega nel demandare all’esecutivo l’introduzione del nuovo istituto, ha previsto (…) che esso consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti di tutti i creditori non soddisfatti” Quindi la legge delega contemplava la liberazione del debitore da tutti i debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti “ e non solo la liberazione dai debiti che mettevano capo, dal lato attivo, ai creditori parzialmente soddisfatti. L’interpretazione proposta pertanto, oltre ad essere più aderente allo spirito della norma consente anche di superare il sospetto di costituzionalità insito nella interpretazione ripudiata” E allo stesso modo il “non integralmente soddisfatti” che è tra i requisiti per chiedere il reclamo deve essere interpretato nel senso che il reclamo è precluso solo ai creditori soddisfatti integralmente. Infine, c’è chi ha ritenuto che vi sia un vero e proprio diritto soggettivo del debitore a ottenere l’esdebitazione, a fronte del quale il creditore può solo pretendere il rispetto delle condizioni procedurali e sostanziali poste dall’ordinamento per il riconoscimento del beneficio. “Mutuando una terminologia tratta dall’ordinamento amministrativo può affermarsi che il debitore ha una posizione di interesse legittimo rispetto al procedimento di esdebitazione egli può cioè intervenire nel procedimento suddetto per controllarlo dall’interno, facendo valere eventuali condizioni ostative, ma non per opporre un suo (inesistente) diritto di veto.“48 Seconda tesi interpretativa più restrittiva: argomenti a supporto seguiti da dottrina e giurisprudenza Un argomento di natura sostanziale a favore della seconda tesi49 è rappresentato dal fatto che, seguendo l'opposta interpretazione, senza 48 In tal senso si veda Tribunale di Firenze cit. 49 Sostengono questa interpretazione, oltre agli autori successivamente citati. Lino Guglielmucci, Manuale di Diritto Fallimentare,cit. pp. 286., Michele Sandulli, La crisi di impresa, Torino, Utet, 2007 pp. 141 e seg. D. Pletenda, Esdebitazione nel fallimento problemi di diritto adeguati limiti e puntualizzazioni, il sistema si sbilancerebbe troppo a favore dei creditori chirografari. Infatti si potrebbe arrivare a ritenere che sia sufficiente la soddisfazione anche irrisoria di un solo creditore perchè il debitore sia liberato da tutte le sue obbligazioni, con la conseguente violazione del principio di ragionevolezza. Invece, secondo tale tesi, è evidente l’intento del legislatore di subordinare l’operatività dell’istituto premiale a un comportamento che sia non solo formalmente corretto da parte del debitore ma anche sostanzialmente utile alla massa dei creditori. 50 Poiché infatti siamo nell’ambito di una procedura di carattere sostanzialmente liquidatorio dell’intero patrimonio del debitore, appare necessariamente congruo ritenere che il legislatore abbia inteso stimolare una condotta di quest’ultimo più consapevole degli interessi e dei diritti dei creditori, tale da sollecitargli, al fine di godere del predetto beneficio, l’adozione anche prima del fallimento di tutte quelle cautele idonee a conservare al meglio la garanzia rappresentata ex art. 2740 c.c. dal patrimonio dell’impresa51 Del resto deporrebbe in tal senso la relazione ministeriale di accompagnamento al Dlgs n. 5/2006 , che stabilisce che “l’istituto è stato intertemporale, cit., pp. 458 e seg., Angelo Castagnola, L`esdebitazione del fallito, “Giurisprudenza Commentata”, III (2006), pp. 490-496. 50 In tal senso anche Tribunale di Bergamo, Decreto 22 .Marzo 2010. 51 Tribunale di Rovigo, Decreto 22 Novembre .2009 in www.ilcaso.it. in strutturato in modo da evitare che, nella applicazione pratica, possa incentivare distorsioni, nei comportamenti del debitore insolvente. Altrimenti, il sistema si sbilancerebbe a danno dei creditori in un ottica di un vero privilegio e non del mero favor debitoris .” Inoltre si deve considerare che l’esdebitazione va ad incidere, in maniera estremamente vessatoria, nei confronti dei creditori, ai quali risulta sottratta qualsiasi possibilità di un futuro soddisfacimento delle proprie ragioni nei confronti del fallito tornato in bonis, e quindi appare congruo pretendere che questi ultimi abbiano quanto meno recuperato una, sia pur modesta, quota di quanto loro dovuto.52 Inoltre non è mancato chi ha sottolineato in dottrina che con l’esdebitazione si “sarebbe di fronte a una vera e propria espropriazione giudiziale del credito” la cui introduzione è preclusa al legislatore, auspicando pertanto una applicazione il più possibile restrittiva dell’istituto. 53 Inoltre, secondo alcuni, la soluzione interpretativa opposta lascerebbe una eccessiva discrezionalità al giudice nel valutare quali crediti debbano essere stati soddisfatti per la concessione del beneficio.54 52 In tal senso Tribunale di Rovigo, cit. 53 Tale opinione è fortemente sostenuta da Giuliano Scarselli, La esdebitazione e la soddisfazione dei creditori chirografari, in “Il Fallimento e le altre procedure concorsuali”, VII (2008), pp. 819 e seg. In Giurisprudenza la ritroviamo in Corte D’Appello di Firenze (inedito) Sezione seconda Decreto del 9.Aprile 2008. 54 In tal senso Corte d’appello di Firenze, cit. E ancora si rileva che, sul piano sistematico, l’esdebitazione è un istituto di carattere eccezionale, poiché deroga a un principio cardine del nostro ordinamento secondo cui l’inadempimento del debitore non estingue l’obbligazione. In deroga, quindi alla responsabilità personale, per cui in base all’art. 2740 c.c. il debitore risponde dell’adempimento con tutti i suoi beni, presenti e futuri che rimangono pertanto aggredibili dal debitore ( ex art. 2910 c.c., e 120 coma 3 L.F.). Se tuttavia siamo di fronte a un istituto eccezionale allora i presupposti dell’articolo 142 devono essere interpretati in modo estremamente rigoroso dato che si deve delimitare l’ambito di operativa della norma eccezionale, anche in base all’art. 14 delle preleggi.55 Per quanto attiene alle argomentazioni esegetiche, basate sulla lettera della disposizione dell’art.142 secondo comma L.F. esse ritengono che la norma nello inciso “qualora non siano stati soddisfatti neppure in parte i creditori concorsuali” comprenda tutti i creditori come si evince anche da una interpretazione sistematica. Infatti si sottolinea come il successivo articolo 143 preveda che il tribunale dichiari inesigibili i crediti non soddisfatti “integralmente” e pertanto si non possa riferirsi ai debiti che non sono affatto stati soddisfatti. Inoltre l’art. 144 L.F., riferendosi ai creditori che non sono intervenuti nel concorso, 55 In tal senso si veda E. Norelli, Contrasti giurisprudenziali in tema di esdebitazione, cit. pag 1198 . specifica che “l’esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado” e quindi riferendosi all’eccedenza su somme che sarebbero spettate non potrebbe che essere inerente al pagamento di tutti i creditori senza distinzione tra privilegiati e chirografari, poiché prevede che tutti i creditori avrebbero dovuto essere almeno in parte soddisfatti.56 Un ampliamento di tale tesi, sostiene che l’esdebitazione è un effetto che viene creato proprio e solo dal provvedimento giudiziale, esso pertanto è un provvedimento di accertamento costitutivo ex. art. 2908 c.c. Quindi la norma cardine per comprendere l’istituto è rappresentata dall’art. 143 L.F. E allora l’espressione “i debiti non soddisfatti integralmente” si riferisce soltanto ai debiti, e a tutti i debiti, che siano stati pagati in parte (ossia non integralmente), cioè a tutti i crediti ammessi al passivo parzialmente soddisfatti i sede di ripartizione dell’attivo. Ne consegue che “La disposizione dell’art. 142, comma secondo, legge fallimentare, che vieta la concessione del beneficio “qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”, deve essere interpretata in stretta correlazione con la disposizione dell’art. 143, comma primo, legge fallimentare, nel senso che il soddisfacimento “in parte” è il soddisfacimento non integrale di tutti i debiti (rectius: crediti), cui si riferisce tale ultima disposizione, e non 56 In tal senso confronta Tribunale di Ancona, Decreto del 18. Giugno 2008 . già il soddisfacimento di una parte, ossia di alcuni o di uno solo, dei creditori concorrenti”. Infatti la pronuncia di esdebitazione, poiché ha ad oggetto i debiti non soddisfatti integralmente, non potrebbe estendersi ai debiti per nulla soddisfatti e quindi sarebbe possibile solo se tutti i crediti da dichiarare inesigibili siano stati almeno parzialmente soddisfatti.57 C’è chi poi come la Corte D’Appello di Firenze ha rilevato che, come si desuma dalla relazione illustrativa l’avverbio “integralmente” di cui all’art. 143 è stato inserito con una funzione limitativa del beneficio. Inoltre tale tesi troverebbe conforto nella sentenza della Corte Costituzionale numero 181 del 2008 che dichiara che “attraverso l’istituto della esdebitazione (…) il legislatore ha inteso dettare la disciplina applicabile successivamente alla chiusura del fallimento alle eventuali parti di debito che, all’esito della procedura concorsuale, a causa dell’incompleto adempimento delle obbligazioni del fallito, continuino a gravare su di lui” e che “l’effetto della esdebitazione sia quello di escludere la possibilità per i creditori rimasti solo parzialmente soddisfatti di pretendere, dopo la chiusura del fallimento il pagamento del loro residuo credito.”58 57 In tal senso si veda E. Norelli, Contrasti giurisprudenziali in tema di esdebitazione, cit. pag 1196 e seg. e L’esdebitazione del fallito al seguito del decreto correttivo della riforma del diritto fallimentare, in “Nuovo diritto delle società”, XX (2007), pp. 406 e seg. in giurisprudenza tale tesi è recepita da Tribunale Roma, Decreto 21 settembre 2010 in www.ilcaso.it, tale sentenza è redatta dallo stesso Norelli . 58 In Tal senso anche Tribunale di Bergamo, decreto dell’11 Ottobre 2010 in www.ilcaso.it “ L'interpretazione secondo la quale l’esdebitazione non può essere concessa Infine tale tesi fa leva sul fatto che la bozza di riforma della legge fallimentare, elaborata dalla commissione Trevisanato, pretendeva per la concessione del beneficio la soddisfazione di almeno il 25% dei creditori chirografari59. Tuttavia la tesi che prevede il soddisfo di tutti i creditori si scinde sulla misura in cui i debitori chirografari debbano essere soddisfatti. Una prima interpretazione si accontenta di un soddisfo anche solo irrisorio o simbolico dei creditori concorsuali per poter accedere al beneficio.60 Una tesi opposta ritiene che sia il prudente apprezzamento del giudice a dover stabilire la misura del soddisfo61, o si richiama alla percentuale stabilita dalla commissione Trevisanato62 In base a tale tesi, seguendo l'interpretazione opposta si determinerebbe un vero e proprio esproprio dei crediti, in analogia con l'espropriazione del diritto amministrativo, per la quale è tuttavia previsto un indennizzo, che viceversa nel caso dell'esdebitazione non vi è. Anche perchè si argomenta il creditore non dispone di un mezzo per opporsi alla esdebitazione diverso dal qualora non siano stati soddisfatti, neppure in minima parte, tutti i creditori concorsuali, trova conferma nella sentenza numero 181 del 2008 della Corte Costituzionale, la quale ha affermato che il legislatore, con l'istituto della esdebitazione, ha inteso dettare una disciplina applicabile non all'intero debito ma alla parte di esso rimasta insoddisfatta dopo la chiusura del fallimento.” 59 In tal senso si veda anche Giuliano Scarselli, La esdebitazione e la soddisfazione dei creditori chirografari, cit pp. 819. 60 In Tal senso Tribunale di Udine Dcredto 21 Dicembre 2007, pubblicata in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali. VII (2008 pp. 816 e seg. 61Giuliano Scarselli, ibidem. pp. 820. 62 In tal senso Corte d’appello di Firenze cit. sostenere che non siano presenti le condizioni previste dalla norma per la concessione del beneficio. Inoltre sulla espropriazione, a differenza dell’esdebitazione, è previsto un controllo giurisdizionale pieno, ed essa è disposta nell'interesse pubblico. Chi quindi ritiene che tutti i creditori debbano essere soddisfatti e in misura significativa fa leva sul fatto che lo stato non potrebbe espropriare crediti e che tale interpretazino è l'unica costituzionalmente orientata, e diversamente l'esdebitazione costituirebbe un corpo estraneo nel nostro ordinamento. Non è mancato poi, chi ha ritenuto del tutto equivalente la incompleta soddisfazione dei creditori a un loro soddisfacimento solo pro forma.63 Sul rischio che seguendo questa interpretazione si svuoti di significato l'istituto, i fautori di questa tesi sostengono che, ai fini della concessione del beneficio non è necessario che tutti i creditori privilegiati siano interamente pagati. Poiché è ben possibile che essi non siano interamente soddisfatti per incapienza dei beni su cui si esercita il privilegio o la prelazione, con la conseguente degradazione dei creditori privilegiati in chirografari.64 La soluzione che appare preferibile 63 In tal Senso Vincenzo Santoro, Esdebitazione, cit. pag. 852. 64 In tal senso E. Norelli, Contrasti giurisprudenziali in tema di esdebitazione, cit. pp. 1199 e seg. Abbiamo visto come, a sostegno dell’una e dell’altra tesi, sono stati addotti sia argomenti basati sulla esegesi delle norme sull’esdebitazione sia argomenti, sostanziali, volti a delineare quale sia il campo di applicazione dell’istituto e fondati sulle ragioni sottese alla sua introduzione. A parere di chi scrive, le norme sull’esdebitazione , come sovente avviene, sono scritte in modo sciatto e impreciso, pertanto l’analisi del testo non è sufficiente a sciogliere il nodo della sua applicazione. E’ infatti possibile, utilizzando il mero criterio esegetico, interpretare disposizione, come favorevole all’uno o all’altro orientamento.65 Se pertanto l’esegesi della norma non è dirimente è sul piano della sostanza che si deve decidere la soluzione preferibile. Gli argomenti di carattere principalmente sostanziale quindi, in un ottica interpretativa di tipo teleologico, sono pertanto maggiormente idonei a scegliere la soluzione preferibile . Si può affermare, in primis, che quella da fare è una scelta di campo: se si vuole ritenere che l’esdebitazione debba essere valorizzata, e se, eventualmente con i necessari temperamenti, la si vuole far entrare a pieno titolo nel nostro ordinamento allora si dovrà privilegiare una soluzione che la renda se non ampliamente applicata, almeno concretamente applicabile. 65 E del resto anche un fervente sostenitore di una interpretazione restrittiva dell’esdebitazione, quale G. Scarselli in “ Ancora sulla esdebitazione (una questione temporale e altre più generali “ Cit. pp.1333 ammette che “l’una e l’altra interpretazione non discendono da una esegesi oggettiva del testo di legge (che effettivamente, sul punto, può essere letto in un modo o nell’altro.)” Se viceversa si ritiene che l’esdebitazione debba avere una applicazione marginale, di poco più ampia all’istituto della riabilitazione, privilegiando la tutela del credito rispetto al recupero economico del fallito allora si potrà optare per la tesi che cerca di restringere notevolmente il campo applicativo dell’istituto. A ben vedere entrambe le soluzioni, se portate alle estreme conseguenze, hanno effetti paradossali e ai limiti della legittimità costituzionale. Accogliendo l’interpretazione secondo la quale è sufficiente un soddisfacimento parziale anche solo dei creditori chirografari si giungerebbe a poter paradossalmente applicare l’istituto a fallimenti che si sono chiusi con una soddisfazione irrisoria di un solo creditore privilegiato. Viceversa ritenendo che, per la concessione del beneficio, debbano essere soddisfatti interamente i creditori privilegiati e parzialmente i chirografari si svuoterebbe di significato l’istituto rendendolo di fatto inapplicabile e inutile. E si potrebbe giungere alla conseguenza, altrettanto paradossale, di non concedere il beneficio per fallimenti chiusi con un considerevole riparto dell’attivo e con la totale soddisfazione dei creditori privilegiati, ma in cui i creditori chirografari, di una cifra irrisoria, non vengano interamente soddisfatti. Inoltre situazioni uguali verrebbero trattate, irragionevolmente, in modo differente sulla base, esclusivamente, della natura del credito. Due falliti, che si sono comportati in modo ugualmente meritevole, a parità di esposizione debitoria, potrebbero vedersi applicato in modo differente il beneficio in funzione della sola diversità dei creditori. Ma se entrambe le tesi giungono all’irragionevolezza solo per una è prevista una possibilità di temperamento, per l’altra no. A ben vedere, seguendo la prima tesi, il giudice potrà valutare se la percentuale in cui sono soddisfatti i creditori sia tale da far ritenere rispettati tutti i requisiti richiesti dalla legge, e solo in questo caso, dopo un prudente apprezzamento concedere il beneficio. Se invece si ritiene che tutti i creditori privilegiati debbano sempre e comunque essere interamente soddisfatti, a prescindere da tutti gli altri dati (cioè da quanti creditori privilegiati vi siano, dalla percentuale in cui essi sono stati soddisfatti, da ,dalla meritevolezza dell’esdebitando ecc.). allora il giudice non avrà alcun potere di intervento. Non potrà concedere il beneficio, se non sono stati soddisfatti per intero i creditori privilegiati e, in parte, quelli chirografari, in modo automatico, a prescindere da ogni altra valutazione. Il giudice, per esempio, potrà concedere il beneficio a un fallito che ha soddisfatto interamente l’unico creditore privilegiato insinuato e in modo irrisorio un ampio numero di chirografari. Non potrà viceversa concederlo a un fallito che non abbia soddisfatto per intero i creditori privilegiati e conseguentemente neppure in parte quelli chirografari. Applicando la seconda tesi viene meno ogni valutazione in concreto e la decisione viene presa esclusivamente sulla base di un dato oggettivo, la soddisfazione dei creditori privilegiati e la soddisfazione parziale dei chirografari, che assorbe tutti gli altri criteri. Che senso ha aver introdotto l’istituto, aver previsto l’audizione dei creditori e del curatore, aver introdotto una specifica udienza, aver elencato dei comportamenti richiesti al fallito, se poi la decisione del giudice si riduce in prima e ampia battuta esclusivamente alla costatazione della soddisfazione o della insoddisfazione dei creditori privilegiati? Potendosi, al massimo, la sua attività estrinsecarsi, successivamente a tale verifica, che, nella maggior parte dei casi, risulterà negativa. Ma in tal modo l’imprenditore sarebbe incentivato a collaborare con la procedura solo se consapevole di poter soddisfare i creditori privilegiati. Potremmo esemplificare così, applicando la prima tesi basterebbe un pagamento “nummo uno” a un solo creditore privilegiato per accedere all’esdebitazione. Applicando la seconda tesi l’esdebitazione dovrebbe essere negata anche in un fallimento in cui vi siano molti privilegiati, soddisfatti per intero e un solo chirografario insoddisfatto “nummo uno”. Solo che mentre nel primo caso il giudice potrebbe negare l’esdebitazione, poiché godrebbe di una discrezionalità ampia non essendoci automatismi, nel secondo sarebbe obbligato a non concederla perché il dato oggettivo della soddisfazione dei creditori chirografari non ammette temperamenti o valutazioni complessive. E’ per questo che la prima tesi appare preferibile. Solo un prudente e costante apprezzamento del giudice, se del caso aiutato da criteri elaborati dalla giurisprudenza, può valutare in concreto quale percentuale di soddisfacimento dei creditori sia da ritenersi soddisfacente, per la concessione del beneficio. E’ appena il caso di rilevare, poi, che solo tale interpretazione appare connotata dalle realistica consapevolezza che in ogni caso è molto improbabile che il fallito, successivamente il fallimento e senza l’esdebitazione, produca o sia proprietario di beni su cui i creditori concorsuali si possano soddisfare, poiché basta tale possibilità a evitarli la produzione di qualsiasi reddito o l’intestazione di qualsiasi bene. Il fatto poi che la tesi che pretende di applicare l’esdebitazione solo a fronte di una totale soddisfazione dei creditori privilegiati, si scinda sulla percentuale in cui devono essere soddisfatti i creditori chirografari fa si che entrambe le tesi si prestino a una evidente critica. Infatti se si segue l’impostazione che si accontenta di un pagamento minimo o simbolico dei creditori chirografari, si rischia di sacrificare le lungamente esposte esigenze che hanno portato alla introduzione dell’istituto per una tutela solo simbolica dei creditori, da cui i creditori stessi non ricaverebbero pertanto alcun vantaggio concreto. Viceversa l’opposta tesi che, per la concessione del beneficio, pretende che siano soddisfatti i creditori privilegiati per intero e i creditori chirografari in una percentuale significativa svuota completamente di significato l’istituto e la sua appartenenza al diritto fallimentare. Infatti, generalmente, se un soggetto è in grado di soddisfare per intero i creditori privilegiati e in una percentuale significativa i creditori chirografari probabilmente non fallisce, e quindi la stessa esdebitazione nel fallimento è priva di senso. Pertanto e conclusivamente si può affermare che se è vero che l’esdebitazione è un istituto che fatica a innestarsi nel nostro ordinamento, per i suoi innegabili elementi di novità e il significativo superamento di principi fortemente incardinati nella nostra tradizione giuridica, tuttavia si può ritenere che solo la prudente prassi applicativa potrà in concreto renderlo conforme ai nostri principi senza snaturale le fondamentali esigenze che hanno portato alla sua introduzione. QUESTIONI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E CENNI SU ALTRE PRONUNCE RILEVANTI IN MATERIA DI ESDEBITAZIONE La scure della corte sulla notifica ai creditori concorsuali: la sentenza della Corte Costituzionale 181 del 2008 Un significativo provvedimento in materia di esdebitazione è stato preso con la sentenza della Corte Costituzionale numero 181 del 30 Maggio 2008.66 Tale provvedimento è l’unico caso di sentenza di declaratoria di illegittimità costituzionale, finora emesso, relativo all’esdebitazione. Con tale sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 143 (nel testo introdotto a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 9/1/2006 n. 5), limitatamente alla parte in cui non prevede, per il caso di domanda presentata dal debitore per ottenere 66 Sul punto si veda anche Federica Ruggiano, Occorre maggiore pubblicità per l'esdebitazione: la Consulta coinvolge anche i creditori concorrenti, in “Guida Normativa”XXV (2008), Eugenio Sacchettini , “Solo con adeguate informazioni resta tutelato il diritto di difesa”, in GUIDA AL DIRITTO XXIV (2008), p.p. 62-67. l'esdebitazione dopo la chiusura del fallimento, che il ricorso, e il successivo decreto del tribunale, siano notificati ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti. Il giudizio era stato promosso, con ordinanza del 13 luglio 2007, dalla Corte di Appello di Venezia La Corte, dopo aver premesso alcuni cenni sull’esdebitazione, parte dal presupposto che l'effetto della decreto, con cui il Tribunale pronuncia l’ esdebitazione, sia quello di escludere la possibilità per i creditori concorsuali, rimasti solo parzialmente soddisfatti, di pretendere il pagamento del loro residuo credito da parte del debitore che è già stato dichiarato fallito. Quindi è chiaro che l’applicazione dell’istituto ha un effetto pregiudizievole che, sotto l'aspetto sostanziale, va ad incidere sulla posizione soggettiva dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti. Questo effetto pregiudizievole, se la domanda di esdebitazione viene presentata, ai sensi dell’art.143 comma 1, entro un anno dalla chiusura del fallimento, si può determinare anche senza che i creditori siano in alcun modo coinvolti nella procedura di esdebitazione. Il novellato articolo 143, nel disciplinare il procedimento di esdebitazione, non ha previsto che il ricorso, con cui si chiede che venga concesso il beneficio, sia portato a conoscenza dei creditori rimasti insoddisfatti, al fine di consentirgli di tutelare le loro ragioni nel procedimento, avversando l’istanza di esdebitazione. La mancata previsione dell’obbligo di notiziare i creditori ammessi al passivo della presentazione del ricorso, viola l’articolo 24 della Costituzione, che stabilisce la possibilità per tutti di agire a tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Tali creditori hanno manifestato un interesse a partecipare alla procedura concorsuale, che è stato già ritenuto da parte degli organi preposti, meritevole di tutela e i loro recapiti sono noti. La Corte chiarisce che l’esdebitazione è un procedimento giurisdizionale, e pertanto è necessario che siano rispettate le garanzie dl contraddittorio. Il rispetto del contraddittorio impone, in primis, che sia l’attore che il contraddittore prendano parte, o abbiano la possibilità concreta di prendere parte, al procedimento. Questo implica la conoscenza o la conoscibilità della procedura. L’articolo 143 non prevede meccanismi volti a mettere i creditori concorsuali in grado di venire efficacemente a conoscenza della procedura pertanto è incostituzionale nella parte in cui tali meccanismi non sono previsti. Non si può pretendere, secondo la Corte, che i creditori, anche con periodici accessi alle cancellerie, vengano a conoscenza della presentazione del ricorso. Questo onere di informarsi, infatti, va ben oltre l’ordinaria diligenza esigibile, poiché il ceto creditorio è notevolmente ampio, ed è possibile che i creditori abbiano sedi diverse da quella nella quale si è svolta la procedura concorsuale. Per i creditori, quindi, nel ragionamento della Corte, sarebbe eccessivamente gravoso e vessatorio recarsi periodicamente in tribunale, durante l’anno successivo alla chiusura del fallimento, per verificare se sia stata presentata domanda di esdebitazione dal fallito. Inoltre la Corte specifica che è il reclamo l’unica forma di impugnazione dell’esdebitazione, che pertanto il giudice competente dovrà fissare una udienza per espletare la formalità dell’audizione del curatore e del comitato dei creditori e per discutere della concessione del beneficio. La possibilità di proporre reclamo ex art 26 L.F. non è sufficiente a tutelare i diritto di difesa, infatti, per il reclamo, sono previsti termini brevi. Inoltre il reclamo è una forma di tutela di tipo impugnatorio, pertanto grava sul creditore l’onere di dimostrare che non vi erano i presupposti per la concessione del beneficio. Quindi in mancanza di una informazione adeguata è preclusa al debitore anche questa forma di tutela giurisdizionale. Da un esame delle procedure concorsuali camerali la Corte ricava, pertanto, che la notificazione del ricorso, con cui si chiede che sia concessa l’esdebitazione, e del decreto di fissazione dell’udienza in Camera di Consiglio, sia una necessaria forma di pubblicità con cui i contro-interessati vengono messi a conoscenza della pendenza della procedura di esdebitazione. La Corte quindi con una sentenza tipicamente additiva, “dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 143 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo introdotto a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione attivato, ad istanza del debitore già dichiarato fallito, nell'anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonché del decreto col quale il giudice fissa l'udienza in camera di consiglio. La stessa esigenza di pubblicità non si pone nel caso in cui la pronuncia dell’esdebitazione sia contestuale al fallimento poiché, in tal caso, i creditori concorsuali sono necessariamente a conoscenza della domanda di esdebitazione. Stante anche la presunzione di conoscenza o conoscibilità dei provvedimenti assunti nel corso della procedura e non sussistono i rischi di una violazione delle garanzie minime del contraddittorio. Si può aggiungere che questa sentenza trova immediata applicazione con riguardo ai procedimenti ancora pendenti ai sensi della legge 183/195367. Queste nuove esigenze di notifica rendono più difficoltoso l’accesso all’esdebitazione in caso di fallimenti con molti creditori insinuati, ma si potrà sopperire con l’aumento delle richieste di esdebitazione contestuali alla procedura. Questa pronuncia si è limitata a porre alcuni punti fermi processuali sul procedimento di esdebitazione. Tuttavia ha lasciato ampliamente aperto il problema della natura del procedimento di esdebitazione, sostenendo solo, in via del tutto incidentale, che si tratta di un procedimento giurisdizionale, e chiarendo la posizione dei debitori concorsuali. Inoltre, il decreto di esdebitazione continuerà a dispiegare i suoi effetti anche nei confronti dei creditori concorsuali non insinuati, senza che verso di essi sorgano esigenze di notifica. In termini applicativi la Cassazione ha chiarito, con la sentenza 21864 del 25 ottobre del 2010, che la sentenza emessa in un procedimento in cui il ricorso e il decreto non sono stati notificati ai creditori concorrenti non soddisfatti è nulla per difetto di costituzione del contraddittorio. La 67 Si veda Giovanni Battista Nardecchia, Esdebitazione e illegittimità costituzionale art. 143 L.. fall., in “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, VIII (2008). Pag. 892. pronuncia additiva della corte ha infatti effetto ex tunc, poiché la norma deve essere riletta come se contenesse le parole aggiunte. Le questioni di legittimità costituzionale rigettate Una prima questione proposta68 e rigettata, con ordinanza numero 61 del 24 febbraio 2010, è quella sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, per gli artt. 19, comma 1, e 22, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, nella parte in cui "limitano in via transitoria l'applicazione retroattiva della disciplina in materia di esdebitazione ai soli fallimenti ancora pendenti" alla data del 16 luglio 2006, anziché estenderla "a tutti i fallimenti retti dall'originario testo" del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, cosa che avviene a prescindere dalla data della loro chiusura. I giudici a quo avevano rilevato che i requisiti per accedere alla esdebitazione sono gli stessi, sia che la procedura sia stata retta dalle norme della originaria disciplina fallimentare sia che, invece, sia stata applicata la legge riformata, e che l’abolizione dell'istituto della riabilitazione civile riguarda tutte le procedure fallimentari, anche se chiusesi prima del 16 luglio 2006. E quindi avevano ritenuto che la disciplina transitoria contenuta nelle norme censurate, 68 dal Tribunale ordinario di Tolmezzo con ordinanza del 15 maggio 2008, dal Tribunale ordinario di Udine con ordinanza del 27 gennaio 2009, dal Tribunale ordinario di Lucca con due ordinanze del 24 febbraio 2009 e dal Tribunale ordinario di Alessandria con ordinanza del 17 aprile 2009. restringendo la applicabilità del beneficio alle sole procedure ancora aperte al 16 luglio 2006, potesse introdurre una disparità di trattamento, in particolare fra le procedure chiuse prima di tale data e quelle chiuse fra tale data ed il 31 dicembre 2007, essendo state ambedue definite sulla base della originaria disciplina fallimentare e prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007. Inoltre, considerando le funzioni premiali connesse all'applicazione del beneficio, non ci sarebbero motivi per negare il beneficio a chi sia tornato in bonis prima di una determinata data, e pertanto la norma avrebbe violato i principi di ragionevolezza e di uguaglianza. In particolare perché in base a tale disciplina, si verificherebbe l'effetto paradossale di pregiudicare il debitore che, con la sua condotta collaborativa, abbia consentito una più celere definizione della procedura fallimentare tale da consentirne la chiusura prima del 16 luglio 2006. Inoltre, sarebbe controproducente non consentire di godere del beneficio a chi sia da più tempo rientrato in bonis. E ancora i rimettenti notano che in tal modo la possibilità di ottenere l’esdebitazione verrebbe a dipendere da fattori casuali e non riferibili alla condotta del fallito. La Corte, viceversa, ha ritenuto che, non sia irragionevole fissare un limite temporale alla possibilità di accedere al beneficio della esdebitazione. Questo perché la scelta del legislatore appare coerente con la esigenza di compiere, al fine della concessione della esdebitazione, una serie di riscontri istruttori, volti alla verifica della effettiva meritevolezza del beneficio da parte del fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili se svolti in relazione a procedure concorsuali chiuse da troppo tempo. La fissazione di un limite temporale rientra quindi nella discrezionalità del legislatore. Pertanto non sussiste la denunciata violazione del principio di uguaglianza, poiché il criterio di discrimine nell'applicazione di diverse discipline normative, basato su dati cronologici non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca, fonte di ingiustificata disparità di trattamento. Questa ordinanza di rigetto è estremamente rilevante perché fissa un punto fermo in materia di esdebitazione. Il diritto intertemporale dell’esdebitazione era talmente discusso da necessitare di un intervento del legislatore poiché non era chiara la disciplina applicabile. In particolare non si comprendeva se l’esdebitazione fosse applicabile alla procedure aperte al momento della entrata in vigore della riforma e vi erano sul punto due orientamenti.69 Come abbiamo visto 69 Sul punto ad esempio vi era una giurisprudenza che non avevano riconosciuto la possibilità di accedere al beneficio, ex multis, Tribunale Milano, 16 Novembre 2006 “I soggetti dichiarati falliti prima dell'entrata in vigore del d.lg. 5/2006 non possono giovarsi del beneficio della esdebitazione sia nell'ipotesi che il loro fallimento sia ancora pendente alla data del 16 luglio 2006 sia, a maggior ragione, qualora esso sia già stato chiuso prima di quella data.” Viceversa vi era un ordinamento opposto, poi avvalorato dal legislatore che prevedeva l’estensione del benefico ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma. Si veda Tribunale Piacenza, 21/ Marzo 2007 “ Con riferimento ad un’istanza di applicazione di esdebitazione presentata dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina, ma relativa ad un fallimento già chiuso all’entrata in vigore della novella, deve trovare applicazione la nuova nel primo capitolo invece il legislatore ha chiarito70 che l’esdebitazione si applica alle procedure aperte alla data del 16 luglio 2006, data di entrata in vigore della riforma. L’ordinanza di rigetto chiarendo che tale disciplina è ragionevole ha definitivamente chiarito la legittimità di tale previsione legislativa. Un'altra ordinanza rilevante è la numero 411 del 30 novembre 2007. Il Tribunale di Bolzano aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 142 L.F. (come sostituito dalla novella del 2006), “nella parte in cui, in modo irrazionale, introduce l'istituto dell'esdebitazione e, in subordine, limita l'istituto dell'esdebitazione al soggetto imprenditore fallito e ai fallimenti chiusi dopo l'entrata in vigore della legge”. Il Tribunale infatti rileva che esdebitazione apporta una modifica, con norma eccezionale e solo per alcuni soggetti, al precedente sistema generale, derogando alla regola generale del nostro diritto civile per cui i debiti vanno pagati fino a che non vengano “evangelicamente” rimessi, oppure fino a che non siano Il giudice a quo prosegue rilevando che prescritti. non vi è nessuna regola costituzionale espressa che osti alla cancellazione dei debiti, ma, proprio per la sua eccezionalità, una norma come quella censurata, deve essere sorretta da una razionalità assoluta volta a motivare in modo adeguato la sua disciplina dell’esdebitazione, non potendo più trovare applicazione quella relativa alla “riabilitazione”.” ragion d'essere, infatti essa viola, di per sé, il principio di eguaglianza. Secondo il remittente, infatti, si attua una distinzione separando dal grande insieme dei debitori, un sottoinsieme degli stessi, che fruisce di un trattamento di evidente miglior favore se non di privilegio. I problemi posti sarebbero rilevanti, tuttavia la formulazione della questione è ictu oculi illogica e irrazionale, poiché da un lato si chiede di dichiarare incostituzionale l’esdebitazione, dall’altro ne se chiede l’estensione a tutti i soggetti. Inoltre il giudice nel caso di specie, si trova di fronte un soggetto fallito prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 5 del 2006 e non poteva comunque applicare la norma sull’esdebitazione al caso concreto e quindi la questione è evidentemente irrilevante. Pertanto la Corte ha rigettato l’istanza solo sulla base de sopracitati aspetti senza entrare nel merito delle questioni poste. Difficile dire cosa sarebbe successo, o succederà, se i due quesiti fossero stati rilevanti e posti separatamente in modo da essere ragionevoli. Difficile comprendere se questa sentenza sia una implicita affermazione della legittimità costituzionale dell’esdebitazione o si tratti solo di un rigetto dovuto a un quesito obbiettivamente mal posto. Sarebbe eccessivo ritenere che, in base a questa ordinanza, la Corte ha accertato la piena legittimità costituzionale dell’esdebitazione ma a ben vedere l’ordinanza va quantomeno nella 70 Art. 19 e 22 del d. lg. n. 169 del 2007. direzione di ritenere che la cancellazione dei debiti residui rientri nella discrezionalità del legislatore. Cenni su altre decisioni rilevanti della giurisprudenza in materia di esdebitazione Oltre ai due problemi che hanno affannato la giurisprudenza (diritto intertemporale e posizione dei creditori chirografari), le altre sentenze in materie di esdebitazione hanno cercato di puntualizzare alcuni aspetti applicativi e procedimentali che si ritiene importante riportare per il notevole rilievo pratico delle stesse . Un primo aspetto riguarda l’estensione del beneficio ai soci illimitatamente responsabili delle società di capitali. Dato che il testo della norma parlava di persone fisiche, alcuni autori hanno dubitato che il beneficio fosse estensibile ai soci, dichiarati falliti, di società di capitali. Tuttavia la maggior parte della dottrina e una giurisprudenza unanime hanno ritenuto il beneficio applicabile. Tale soluzione è la più ovvia, ed è naturalmente condivisibile. Infatti ai fini della applicazione dell’esdebitazione la ratio della norma è identica sia per il socio di società di capitali che per l’imprenditore singolo. Il termine persona fisica è volto esclusivamente a escludere dal beneficio le società di capitali che ai sensi dell’art. 118 L.F. vengono cancellate dal registro delle imprese a seguito del fallimento. In tal senso si è espresso il Tribunale Roma 21 settembre 2010, che ha specificato che in quanto “fallito persona fisica”, anche il socio illimitatamente responsabile di società dichiarata fallita è legittimato a chiedere il beneficio dell’esdebitazione. Infatti la norma non differenzia il fallito nella veste di imprenditore individuale dal fallito in quanto socio illimitatamente responsabile di società dichiarata fallita, richiedendo solo che sia “persona fisica”. Quanto al procedimento preme sottolineare alcune pronunce, che hanno una notevole rilevanza applicativa, anche se il nodo della natura del decreto di esdebitazione non è ancora stato definitivamente sciolto. Prendendo le mosse dalla sopracitata sentenza 181 del 2008, il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 26 Febbraio 2010, sostiene che il procedimento per esdebitazione ha natura contenziosa poiché incide sulle posizioni soggettive del ricorrente e dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti che assumono la veste di contraddittori necessari e quindi esso richiede l'assistenza tecnica di un difensore. Inoltre ha specificato che il ricorso per l'esdebitazione va trattato con un fascicolo separato nell'ambito di una procedura autonoma, è quindi necessario che sia versato il contributo unificato e che venga integrato il contraddittorio nei confronti di tutti i creditori. Sul punto si è pronunciato anche il Tribunale di Tivoli, sez. fallimentare, con Sentenza del 5 maggio 2009, specificando che nel caso in cui la nullità del ricorso introduttivo per esdebitazione, proposto senza il patrocinio del difensore, venga successivamente sanata per effetto dell’atto di costituzione del difensore che ha sostituito la domanda inefficace, tale sanatoria ha effetto "ex nunc", poiché tale ultimo atto di costituzione assume il valore del ricorso introduttivo. Conseguentemente se essa avviene oltre i termini prescritti ex art. 19 d.lg. n. 169 del 2007 va considerata tardiva. In conclusione possiamo affermare che, lentamente e faticosamente, il campo applicativo dell’esdebitazione si stia delineando anche grazie a un robusto intervento della giurisprudenza costituzionale e alle quotidiane puntualizzazioni della giurisprudenza di merito. Restano molti problemi aperti, come per ogni novità legislativa, che solo l’esperienza applicativa , nel tempo, potrà chiarire. 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