Jean Grondin, Introduzione alla filosofia della

Introduzione alla filosofia della religione – Jean Grondin
INTRO
La filosofia nasce dalla domande “perché esistiamo?”
A questa domanda risponde la religione, in tutte le sue forme e la filosofia indaga su queste risposte e
analizza la logica o l’irrazionalità di esse.
Filosofia della religione può essere inteso come studio da lontano “sulla” religione o dall’interno, come
filosofia della religione inteso come appartenente a essa (o genitivo o dativo); come la frase “la paura dei
nemici” può essere intesa come la paura che abbiamo di loro, o quella che hanno loro.
1. Religione e Scienza moderna
Si tende a credere che la religione stia perdendo la sua imponenza, sostituita dalla scienza che appare
sempre di più come la via privilegiata per accedere alla conoscenza, ma non è del tutto vero. C’è anche un
ritorno alla religiosità in alcune parti del mondo. La religione è vista dallo scettico come un’ipotesi
matematica, ma non è così che va intesa (Come la scommessa di Pascal).
Il relativismo storico è un nemico della religione, che vede come assurda e fantascientifica la religione che
crede di essere l’unica verità e via di salvezza, lei tra oltre 10.000.
1: Il nominalismo del mondo contemporaneo
Il nominalismo ha grande seguito oggi, sembra anzi l’unico modo per intendere la realtà. Esso vede le cose
come oggetti materiali, esistono in quanto tali, percepibili e occupanti di spazio, fatti di materia. Ma non è il
solo modo per intendere la realtà. Platone, ad esempio, considerava la realizzazione di un oggetto o un
uomo, una secondaria manifestazione; la cosa primaria era la specie o l’essenza, che sopravviveva anche
alla scomparsa dell’oggetto stesso. questa concezione ha accompagnato l’uomo per tutto il Medioevo, fino
a Giuglielmo di Occam, che per scopi teologici ha finito per far sparire, o quasi, questa visione: le
denominazioni e le essenze periscono dinnanzi alla forza di Dio, che può modificarle in ogni istante. Non
sono esse così eterne, ma Dio può rivoluzionarle, può far volare gli uomini e far crescere mele su un albero
di limoni. La forza della religione però non si è mai spenta come molti uomini di scienza credevano (come
successo all’alchimia). Molti leader politici hanno una forte fede, come M.L.King, Il Dalai Lama, Elie Wiesel o
Giovanni Paolo II.
2: La religione è stata superata dalla scienza moderna?
La scienza ha senza dubbio messo in difficoltà molto credenze religiose, l’universo non si è fatto in 6giorni,
deriviamo dalle scimmie e Galieleo aveva ragione. Ciò nonostante le religioni continuano ad esistere.
Questo perché non finiscono lì nelle credenze, ma c’è qualcosa di più profondo, che non ha niente a che
vedere con la scienza. Einstein parla di religione e del suo concetto di Dio. Egli parla di una religione
cosmica, di un equilibrio imperscrutabile riconducibile solo a Dio. Lo scienziato non intende un Dio che si
preoccupa del destino dell’uomo, ma in senso Spinoziano come un equilibratore senza coscienza.
La teoria del Big Bang è stata formulata da un sacerdote cattolico, a testimonianza che la scienza può capire
ed indagare il come, ma quando si entra nella metafisica, si esce dalla scienza, che non può più raccogliere e
analizzare dati, entrando nella filosofia della religione.
2. Il vasto campo della filosofia della religione
Parlare di una filosofia della religione è complicato. Essa può prendere in esame una religione particolare
ed esporre la sua filosofia. Può cercare di riflettere in modo oggettivo sull’essenza della religiosità e della
spiritualità, ma è ben difficile farlo, per il numero esorbitante di religioni esistenti. Un filosofo può allora
parlare di suoi concetti, ma pur volendo essere il più lucido e oggettivo possibile, egli sarà vittime della
propria religione, ma non solo.
La religione cristiana si è imposta nell’universo occidentale influenzando drasticamente tutta la filosofia
della religione. Anche quando essa viene attaccata con ferocia, i suoi dogmi, strutture e gerarchie sono
ormai sinonimo di religione stessa. Per fare un panorama senza contaminazioni, è bene partire dalla
mitologia greca, poiché, seppur la religione nasce prima ed è pressoché impossibile stabilire un’origine, lì
nasce la filosofia.
3. L’Essenza della religione: Un culto credente
Come hanno detto Plotino e Agostino, fin quando non ci chiedono cosa è la religione, sappiamo più o meno
di cosa si tratta, ma appena viene fatta la domanda diretta, non sappiamo ce rispondere. Questo perché la
religione può essere tutto il contrario di tutto. Non esistono schemi prestabiliti, gerarchie o culti. Qual è il
fattore comune? Il compito della filosofia della religione è proprio questo: carpire il significato ultimo della
sua essenza.
1: Approcci essenzialisti e funzionalisti
Il metodo funzionalista della filosofia della religione vede quest’ultima come determinante per chi la
pratica, ma è trasparente a chi la osserva dall’esterno. Ci sono 5 risposte del perché la religione esiste:
1: la religione nasce in età antica per spiegare fenomeni naturali (idea diffusa da Comte)
2: spiega gli obblighi morali
3: ha un ordine di natura sociale e politica (faraone,re) e viene definita da Marx l’oppio dei popoli
4: come ha sostenuto Freud, è causa di una nevrosi collettiva dovuta a un senso di impotenza dinnanzi alla
natura. La religione, che vede Dio come un padre, serve da transfert
5: nasce in risposta alla paura della morte
2: Il carattere immemoriale del religioso
Le risposte funzionalisti che hanno probabilmente un senso, ma talvolta è necessario prendere fortemente
in considerazione non la funzione della religione, ma sua essenza. Spesso non è solo la fede ad essere
cruciale, ma ciò che ruota intorno ad essa, come i riti, i culti. La religione non è solo una scelta di credere,
l’uomo è religioso fin dall’inizio dei tempi, da prima che questa domanda fosse posta.
3: I due poli della religione
Oggi è diffusa l’idea che il nucleo centrale di una religione è la sua fede, il credere. Ma le religioni più
arcaiche (anche greco-romana) vanno contro questa concezione, basandosi più sui riti che la credenza. I riti
e i culti avevano un ruolo centrale nella società, comprendevano riti di iniziazione, per il matrimonio ecc.
Locke scrive che non c’è religione senza credenza e che questa sia intima. Questa concezione oggi appare
banale, ma incomprensibile per un religioso antico. Si può parlare quindi di due poli, uno arcaico che verte
verso i culti e i riti (ma che non hanno senso se non sono “creduti” o indirizzato a qualcuno) e uno moderno
che vede la religione come un percorso intimo, ma che ha una forma di culto spirituale che prepara al
divino.
4: Un senso della vita tradotto da simboli
In questo senso di unione tra culto e fede, si può parlare di culto credente. Il culto ha senso se si crede in
ciò che si fa, ma per codificarlo è necessario conoscere i simboli.
I simboli danno senso ai culti e danno senso alla realtà che ci circonda a seconda di essi.
La simbologia della religiosità ha un senso universale.
5: L’Universalità della religione
1: la religione è un qualcosa che fa parte dell’uomo, c’è in ogni luogo e in ogni civiltà esistita, di ogni tempo.
2: con la parola universalità si richiama all’idea dell’immensa gamma di religioni, che comprendono
praticamente ogni cosa. Da quelle naturalistiche, a quelle di un Dio trascendente.
3: con universalità si intende anche uno status che è proprio dell’uomo, quello dell’inquietudine verso la
proprio natura e ragione di esistere
4: infine con universalità si intende il principio propriamente universale che comprende ogni religione
La fine della religione può quindi esser proclamata solo se sostituita da qualcos’altro. A cosa? A questo
risponde chi vuole superare questa concezione, ma sicuro prenderà importanti prestiti dal passato religioso
che ha sempre accompagnato l’uomo.
4. Il mondo greco
1: La “religione” greca
Gli dei greci sono ricondotti alle forze naturali, ma non sono queste (il fulmine non è Zeus, ma di Zeus).
Inoltre interagiscono e governano il mondo, in quanto saggi e immortali. A ogni dio corrisponde un
particolare dio e veglia su determinate città o eroi (Atena veglia su Sparta e Atene, protegge Achille
nell’Iliade, mentre Apollo protegge Troia ed Ettore). Prima degli dei olimpici c’era il caos, Zeus impone
l’ordine.
2: I filosofi pre-socratici e la religione
Poeti e filosofi rimarcheranno sempre l’abisso che c’è tra uomini e dei. I primi privi di intelletto e mortali, gli
altri colmi di saggezza e immortali; la differenza è nella potenza di cui gli dei dispongono, potendo quindi
essere felici, a differenza dell’uomo che invece non può esserlo se non per volere divino. Senofane critica
l’antropomorfismo attribuito agli dei, dicendo che se cavalli o buoi avessero mani e capacità,
dipingerebbero e scriverebbero degli dei come di loro simili, ma in realtà differiamo da essi sia nel corpo
che nello spirito.
3: Platone: una religione diventa metafisica
Platone è il pensatore che più di tutti ha modificato la concezione del divino. Egli sostituisce in buona parte
gli dei con la metafisica. I principali candidati a questa sostituzione sono due, l’idea del Bene (o le idee in
generale) e il demiurgo, un artefice che avrebbe infuso dello spirito nella materia. Il cristianesimo fonderà
queste due concezioni in Dio, come creatore e come entità di puro Bene, ma è bene ricordare che il
demiurgo platonico non è affatto un dio creatore.
4: La fondazione platonica nella metafisica
Le fondamenta della metafisica di Platone si basano sulla divisione del mondo sensibile da quello
intellegibile. Il primo è quello dell’esperienza immediata, sensibile e ha come “re” il sole. Il secondo è quello
visibile solo con gli occhi dell’anima e vi sono le idee superiori, come giustizia, bellezza e ha come “re” l’Idea
del Bene, che sovrasta tutte le altre. In questo modo Platone dice che l’anima può essere “coltivata” e
l’uomo deve rendersi più possibile simile a Dio distaccandosi dai beni materiali e le esperienze sensibili.
Platone è uno dei padri dell’esperienza più mistica della relatà superiore, fondatori di concetti e miti (come
quello del Giudizio). ha inoltre detto che i nessun poeta sarà mai in grado di parlare “degnamente” degli dei
5: La critica della tradizione mitica: l’agathonizzazione del divino
È proprio da Platone che deriva l’idea che il bene provenga dal divino. Egli critica i poeti che, presi da troppa
immaginazione, parlano male degli dei, facendogli compiere atti indegni tipici degli uomini. Gli Immortali
non possono essere causa di male, ma solo di bene.
6: Platone e la religione della città
Platone parla attraverso Socrate della giustizia, dell’empietà, accusa rivolta ingiustamente a Socrate.
La giustizia consiste nel vivere una vita nel Bene e che i primi riguardi sociali siano rivolti agli dei, perché
non c’è modo più diretto per essere felici. Platone condanna tre tipi di empietà: la prima è il non credere
negli dei (Grondin sottolinea come il termine “credere” esista presso i greci), la seconda è il credere che gli
dei esistano ma non si curano degli uomini, accusandoli quindi di ozio, la terza è il credere che gli dei
possano essere sedotti da sacrifici e preghiere, subordinandoli dal loro status superiore, loro non hanno
infatti alcun bisogno delle lusinghe umane. Platone dimostra l’esistenza degli dei per la perfezione dei
movimenti cosmici, attribuibili solo ad un’opera divina. Platone fonda la religione su regole strettamente
morali, asserendo che Socrate le ha seguite più di chiunque altro.
7: Aristotele: la razionalizzazione del divino e della tradizione mitica
Metafisica = scienza divina. Questo per due motivi: 1, perché la metafisica indaga le sostanze primarie e
quindi sarebbe la conoscenza di dio. 2: perché ha come oggetto dio stesso, come origine delle cose. La
visione di Aristotele è fortemente scientifica.
8: La metafisica dello spirito
Aristotele intende dio come spiegazione razionale al movimento degli astri, quindi come motore primo. è
ciò da cui tutto scaturisce, il primo atto. Dio non è un essere al quale rivolgere preghiere, è un “dio dei
filosofi”, atto semplicemente a spiegare il perché (razionale) delle cose. Essendo egli immobile e un atto
puro, la sua attività non può essere che il pensare, e può pensare solo stesso, poiché è quanto di più nobile
esista. Dio quindi non sa niente del nostro mondo e non si occupa certo di noi. Aristotele quindi è il vero
primo filosofo che intende dio come puramente trascendente e non Platone (poiché l’idea del Bene per
quanto trascendente è applicabile al nostro mondo).
9: La demitizzazione di Aristotele
Aristotele individua nel mito un fondo di verità, quella del dio trascendente, ma riconosce anche una parte
“favolosa” indirizzata alle masse. Questo sarà un punto centrale nella filosofia della religione futura:
scindere ciò che è razionalmente accettabile da ciò che non lo è.
10: Lo sviluppo della filosofia della religione nell’ellenismo
L’ellenismo viene poco considerato nella storia della religione, ma in realtà la sua importanza è estrema. È
proprio qui, sul lascito di Platone e Aristotele che avvengono grandi innovazioni. Una delle più importanti è
il cambiamento che compie la filosofia, ovvero da una ricerca metafisica o scientifica, passa alla ricerca
della felicità per l’individuo. Allo stesso modo, la religione muta confondendosi con la filosofia stessa: essa
diviene da rituale a intima e tende a garantire una stabilità per il singolo.
5. Il mondo latino
1: La religione, una parola latina
Il termine religione ha origine latina e può avere più significati. Uno di questi è l’obbligo di coscienza, il
dovere morale o l’impossibilità di agire in modo “scorretto” perché qualcosa ti ferma. Un altro significato è
quello di credenza, il fondamento che ci porta a ritenere valida una religione. Infine significa anche
superstizione, perché nell’impero romano erano molti i culti e alcuni erano definiti chiaramente delle “false
religioni”.
2: La religione secondo Cicerone: da rileggere attentamente
Cicerone fa anzitutto una distinzione tra religio e superstitio. Per superstitio intende la cieca preghiera degli
stolti che pur di ingraziarsi gli dei affinché i figli sopravvivano (superstite). Religio è invece il termine
derivato da relegere, ovvero “rileggere”, nel senso di leggere più volte i simboli, gli scritti; analizzare e
prendere coscienza di una religione e quindi pregarla con convinzione. Analizzando le posizioni dei suoi
contemporanei che si dividevano in scetticismo, epicureismo e stoicismo, Cicerone definisce la più
plausibile proprio quest’ultima, abbracciando la posizione dello stoico Balbo. Riguardo all’esistenza di dio,
Cicerone e Balbo la identificano nei seguenti modi: 1: nella divinazione e la lettura del futuro (laddove c’è
un errore questo è da parte dell’uomo che codifica male); 2: gli innumerevoli benefici (come la terra fertile
o il clima temperato); 3: prodigi naturali riconducibili solo a potenze sovrannaturali, come comete,
terremoti, fulmini; 4: la costante regolarità dei movimenti celesti.
3: Il legame religioso secondo Lattazio
A differenza di Cicerone, Lattazio riconduce il termine religione a religare (religo=legare): ovvero il doppio
legame che lega l’uomo a dio. Anzitutto è il legame che pone dio all’uomo, fornendo un’alleanza alla
propria creatura, il secondo è il ri-legame che l’uomo stringe con dio dovuto alla pietà.
4: La sintesi del platonismo e del cristianesimo in Agostino
Il pensiero di Agostino è cruciale per la filosofia della religione. Egli vive a cavallo di epoche cruciali
(invasioni barbariche e il declino dell’impero romano d’Occidente). L’opera più celebre è confessioni, che
narra la vita di Agostino stesso e del suo avvicinamento alla religione e filosofia che avviene in vari punti:
1: conversione alla filosofia: anzitutto c’è la conversione filosofica, dovuta sotto stimolo della lettura di
Cicerone, che esortava all’abbandono dei piaceri materiali e la gloria per ricercare la saggezza. Agostino si
avvicina a questa concezione e abbandona la chiesa dei manichei (perché credevano che il bene e il male
avessero origine in dio, ma come può il male avere origine da dio che è bontà pura?)
2: conversione al platonismo: Agostino dice che è proprio la lettura di testi neo platonici che l’hanno
condotto ad avvicinarsi al cristianesimo (dei passaggi sono identici all’inizio del 4°Vangelo, dice). Accoglie
con entusiasmo l’idea del sommo bene incarnato in Dio e la visione intellettuale della conoscenza
attraverso l’occhio dell’anima. Critica però la presunzione di questa filosofia, che tradisce il messaggio di
Cristo di umiltà.
3: Conversione specifica al Cristianesimo: la conversione definitiva avviene per uno scritto che Agostino
legge e interpreta come un segno divino: rinuncia ai piaceri della carne. Questo era infatti l’ostacolo
principale che impediva il definitivo mutamento di Agostino. Fondamentale è l’elemento del rito di
iniziazione del battesimo, che lo purifica dai peccati.
Le tre conversioni confluiscono infine in una: quella ponderata filosofica che già di per sé comprende il
distacco dal mondo materiale e si incarna con la dottrina cristiana. A questa conversione segue gran parte
della rivoluzione spirituale dell’Occidente. Quando Agostino parla di “vera religione” intende chiaramente
quella cristiana in quanto depositaria della verità e rappresenta i principi della filosofia dominante del suo
tempo: il platonismo (o meglio, il neo-platonismo con la dottrina dell’Uno). Questa fusione tra religione e
filosofia prende forma in Cristo. Il messaggio di Cristo è quello di amare il prossimo e Dio con tutte le forze,
sopra di tutte le cose; Dio ci ha donato la sapienza e questa, insieme con l’amore verso Dio ci conduce alla
felicità. Agostino elogia Platone (definendolo il filosofo più vicino alla cristianità) per la sua divisione in tre
parti della conoscenza, quella fisica, quella morale e quella logica. Agostino afferma che la cristianità da
effettivamente la migliore risposta, che è sempre la stessa: Dio è effettivamente la causa delle cose, la retta
via da seguire e la luce dell’intelligenza. La sfida per la filosofia postuma ad Agostino sarà quella di scindere
questa unione dalla religione, e per farlo dovrà dare risposte più complete per condurre alla felicità.
6. Il mondo medioevale
1: Due fonti del sapere
Agostino non è l’unico pensatore che ha cercato di fondere la religione con la filosofia. Un esempio sono i
filosofi arabi Al-Farabi, Avicenna e Averroè o l’ebraico Maimonide, del tutto ignari della posizione
agostiniana. Questi filosofi arabi erano avidi lettori di Aristotele, interamente tradotto in arabo, e
affascinati dalla sua concezione fisica della realtà. Si occuperanno quindi di logica, etica e metafisica. Se dio
ci ha dotati di sapienza, essa va supportata e non soffocata. A questa visione si oppone Al-Gizali, non tanto
per la logica o l’etica ma contro la metafisica, argomento che può trattare solo la religione.
2: La filosofia della religione di Averroè e di Maimonide
Averroè si schiera apertamente contro Al-Gizali e afferma che la filosofia ha il diritto di indagare
razionalmente ciò che è scritto nel corano, poiché esso essendo indirizzato a tutti i tipi di credenti, contiene
parti simboliche, da interpretare e altre dirette. Questa differenza è dovuta alla differenza naturale tra gli
uomini, alcuni non sono in grado (la massa) di intendere la verità in modo critico e razionale; è compito dei
filosofi penetrare nel corano. Il compito della filosofia è quello di far calzare la rivelazione profetica con la
ragione. Esistono perciò due vie per la conoscenza, una razionale (o scientifica) e l’altra religiosa, propria
dei testi profetici. C’è senza dubbio un concetto elitario, dove solo i più evoluti possono essere filosofi e
apprendere la verità con la ragione.
La concezione fortemente metafisica di Maimonide gli fa intendere in senso puramente spirituale tutta la
Torah. Quando ci si riferisce, ad esempio, a Dio come “seduto”, non si intende certo uno stato fisico, ma ci
si riferisce alla sua “stabilità”. Dio non ha corpo e sarebbe irreligioso presupporre il contrario. Il problema è
che il linguaggio umano è sempre inteso in senso corporale, ne è imbevuto. È meglio quindi parlare di dio in
negazione (non è dotato di corpo, non c’è somiglianza tra la sua natura e la nostra). Lo scopo di Maimonide
è quello di illustrare la retta interpretazione dei religiosi, così che il linguaggio non li tragga in errore.
Per questi pensatori è impensabile mettere in discussione la rivelazione, ma vogliono solo metterla in
accordo con la ragione.
3: La virtù di religione secondo Tommaso D’Aquino
Tommaso parla di religione nel suo testo principale molto dopo aver trattato di dio. Questo perché la
religione è considerata da lui una virtù. Tommaso divide le virtù in intellettuali, morali e teologiali. La
religione, sorprendentemente, non fa parte di quest’ultime, ma di quelle morali; perché la religione è
legata alla giustizia. La religione non ha Dio come oggetto, ma il culto dell’uomo verso dio. D’altronde
Tommaso cita proprio Cicerone e alla sua etimologia del termine religio, che amplia in tre punti:
1: Rileggere: si rifà propriamente a Cicerone.
2: Ri-eleggere: Prestito che prende da Agostino: siccome dio è il Bene Supremo abbandonato dalla nostra
negligenza, dobbiamo rieleggerlo, sceglierlo nuovamente.
3: Rilegare: Sottolinea il legame che unisce uomo e Dio (riprende Lattazio)
Tommaso afferma infine che Dio non ha bisogno dell’uomo, del nostro raccoglimento, devozione o
preghiera. Tutto ciò è fondamentale però nella vita dell’uomo, che trova la felicità solo nel servire Dio ed
essergli sottomesso in quanto superiore.
7. Il mondo moderno
L’inizio della modernità ha visto dare molte scosse alla religione e alla filosofia della religione. Sono
determinanti pensatori come Cartesio e Copernico, che rivoluzionano il modo di intendere il mondo fisico e
quello spirituale. Qui porrà le radici anche il nominalismo, che sposta il soggetto da dio all’uomo, in quanto
solamente lui esiste realmente e percepisce il mondo. Questo porterà a materialismo di Hobbes o la critica
di Hume. Si ha quindi un cambiamento, lento e silenzioso, di come intendere la religione stessa: essa viene
visto sempre più intima e privata, depositaria di un sapere “debole” che la scienza potrà smentire e viene
distinta in due modi di essere: la religione naturale, fondata sulla natura e la perfezione che se ne deve al
Creatore; e la religione storica, ferma e istituzionale che si avvale di una rivelazione.
1: Spinoza e la critica della Bibbia
Spinoza scrive nella prima metà del ‘600 un celebre testo che inaugura la critica alla Bibbia. Egli spiega i tre
motivi per cui partorisce quest’opera: 1: perché i teologi limitano il sapere della filosofia coi loro pregiudizi
e intende liberare la mente di pensatori da loro. 2: perché di lui si dice che è ateo, e vuole riscattare la sua
vera posizione. 3: per difendere la libertà e l’autonomia della filosofia. Spinoza, come Averroè, distingue
due modi del sapere, uno per via della ragione, uno per via della rivelazione. Mentre il primo è vero perché
ponderato, il secondo è da interpretare. Infatti i profeti non sono che uomini che hanno a loro volta
interpretato i messaggi di Dio, nel contesto delle loro epoche, ma (forse per convenienza) sottolinea come
la rivelazione sia di derivazione divina. Spinoza finisce per scansare l’autorità “storica” del testo Sacro
rimpiazzandola con quella naturale della ragione.
2: La religione morale di Kant
La grande innovazione di Kant è intendere la religione non come un dogma o un ordine naturale, ma
dedurla dalla moralità che risiede nel cuore di ogni uomo.
1: La critica della coscienza metafisica: Con la critica della ragion pura, alcuni intendono la critica alla
metafisica estesa anche alla religione, perché Kant afferma che niente di ciò che sovrasensibile può essere
conosciuto. Con questo, però, Kant non esclude una religione, ma solo il conoscere metafisico, perché
l’unica conoscenza ammessa è quella che si ottiene con l’esperire, che però non è sufficiente.
2: Che cosa mi è permesso sperare: Kant pone tre grandi domande alla ragione, che sono proprie della
filosofia: Cosa posso sapere? Cosa devo fare? Cosa posso sperare? Alla prima domanda risponde che niente
di sovrasensibile è conoscibile e che possiamo conoscere l’apparenza delle cose tramite l’esperienza. Alla
seconda risponde con il dovere morale. L’obbligo morale è un punto centrale nella filosofia di Kant, che
richiama al dovere verso il prossimo, all’agire nel giusto in modo puro e senza un tornaconto, che altrimenti
contaminerebbe il senso del giusto. L’agire morale porta alla via della felicità, o almeno ad una giusta
aspettativa di quest’ultima. Il che riporta alla terza domanda, quella religiosa. Mi è permesso sperare nella
felicità, agendo nel giusto? Sì, e la felicità può essere garantita solamente dal Sommo Bene, che è Dio. In
questo modo la via morale coincide con quella religiosa e ci si arriva non per rivelazione, ma dalla ragione.
Kant crea quindi un’intesa religiosa a partire puramente dalla filosofia.
3: Posteriorità: il lascito di Kant influenzerà tutto il pensiero occidentale a lui postumo, per tre vie:
1: Kant ha demolito la metafisica e ne seguirà un forte incoraggiamento alla scienza, per poter superare i
limiti della conoscenza. (apre la strada al positivismo)
2: L’insistenza di Kant sull’autonomia dell’etica rispetto alla religione portò ad una scissione di queste, dove
la religione non era più necessaria per l’uomo giusto. L’uomo agisce sull’uomo (umanesimo).
3: La svalutazione Kantiana del culto porta da una parte ad un allontanamento da esso, ma dall’altra lo
rivitalizza
3: L’intuizione dell’infinito in Schleiermacher
Schleiermacher intende ridare auge all’esperienza religiosa, e lo fa partendo da una concezione di grande
tolleranza. Egli accoglie tutte le religioni, poiché l’importante non sono i suoi dogmi o gli oggetti particolari,
ma il sentimento di ammirazione e contemplazione dell’Infinito. La religione non ha un “argomento” o un
“oggetto”, ma fa parte del tutto. Il momento in cui scaturisce questo sentimento è fondamentale e
permette ad altri pensatori come R.Otto o W.James di poter riparlare di esperienza religiosa.
4: La sistemazione filosofica della religione di Schelling e Hegel
Hegel e Schelling vivono in un momento di scontro tra due immense linee di pensiero: quella kantiana e
quella francese. Il loro intento è quello di riprendere la filosofia della religione kantiana (che però rimane
troppo astratta) e inserirla in un mondo reale, pratico. Nasce così i loro concetto di spirito immerso nel
mondo e che si rileva all’uomo e a sé stesso mediante le religioni. Esse sono infatti semplicemente tappe in
cui lo spirito divino entra nella storia del mondo e inonda l’uomo. Il cristianesimo è il culmine massimo della
rivelazione. Hegel e Schelling si dividono su un nodo finale, che vede Hegel porre la filosofia al di sopra della
religione poiché essa, manifestandosi nel mondo, seppur necessaria e fondamentale al filosofo, non può far
intendere l’Assoluto, al quale ci si arriva solamente con il concetto e quindi il filosofare. Schelling critica
questa posizione affermando che il concetto sarebbe prigioniero di sé stesso e che solamente la rivelazione
può lasciar intendere l’assoluto.
5: Le critiche della religione dopo Hegel
Alla filosofia di Kant ed Hegel seguiranno risposte pro religione (come Kierkegaard) ma soprattutto anti
religiose, come quelle di Feuerbach, Nietzsche e soprattutto Marx. Quest’ultimo, riprendendo Feuerbach
parla di alienazione e di come essa agisca sull’uomo per via della religione. Critica la visione idilliaca e
paradisiaca definendola “oppio dei popoli”. Non dice “alchol”, ma Oppio, che in quell’epoca non era visto in
modo troppo negativo. Esso era un modo per provare piacere d’elite. Marx critica la possibilità illusoria e
lontana che la religione offre della felicità, che deve essere invece una prospettiva reale. La posizione di
Comte è più forte, critica la religione tutta, credendo imminente la sua morte per essere rimpiazzata dalla
ragione (filosofia e scienza), e che se essa perdura è dovuto a un fattore sociale “malato” (come dirà anche
Freud affermando che la religione è una nevrosi collettiva).
Dopo la demolizione di questi pensatori, la filosofia ha diminuito molto il suo interesse verso la religione.
6: Heidegger e la possibilità del sacro
Heidegger si interroga anzitutto sulla possibilità dell’esperienza del sacro. In un epoca dominata dal
nominalismo sembrerebbe negato ogni accesso al sacro, ma questo filosofo si oppone alla riduzione della
realtà semplicemente con ciò che è osservabile. Questa metafisica viene mossa da un desiderio di
dominazione, ponendo l’uomo al centro dell’essere. Ma qual è, si chiede Heideggar, il senso della vita se
tutto è spinto da un cieco movimento meccanico? Il nichilismo ha origine qui, senza una “stella” che sappia
orientare l’essere umano. La salvezza quindi non può che provenire da una nuova intelligenza dell’essere,
previo del percorso sacro e divino. La questione del divino è per il nominalismo “fuori luogo”; è una
dimenticanza della finalità dell’essere che può essere ripristinata solamente da una nuova filosofia
dell’essere, che però egli non pretende di poter concepire, ma ottimisticamente, di preparare il terreno
affinché questo accada. Il limite di Heideggar p l’aver associato al nominalismo anche Platone, e non aver
colto le profonde differenze che li separano. Platone intende il mondo come conoscibile, ma sempre
tramite una seconda via, che è quella della filosofia. Solamente con l’esercizio filosofico possiamo superare
la realtà illusoria che ci appare e cogliere l’idea.
L’immenso lascito di Heidegger sta però nel vedere il mondo come di per sé sensato in un altro livello
dell’essere, dove la manifestazione del divino ridiventa pensabile.
[…]
CONCLUSIONE