“VERSO NUOVI MODELLI DI BUSINESS?” Dipartimento di Sociologia ‐ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Milano, 10/12/2010 La presente ricerca per la C.C.I.A. di Milano è stata svolta, in seno al Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dall’équipe di ricerca, coordinata dal Professor Mauro Magatti, composta da: Massimiliano Cossi, Laura Gherardi, Massimiliano Monaci e Stefano Santini. INDICE Capitolo I: Presentazione della ricerca p. 8 1.1 La duplice domanda di ricerca p. 8 1.2 Il nuovo spirito del capitalismo post-crisi. Dalle richieste sociali a nuovi modelli di business p. 12 1.2.1 Lo sfondo politico-istituzionale del cambiamento p. 17 1.3 Obiettivi e svolgimento della ricerca p. 20 Capitolo II: L’analisi della letteratura economica e manageriale internazionale p. 24 2.1. Metodologia e fondamenti dell’analisi p. 24 2.2 Il modello di impresa emergente p. 28 2.3 La sostenibilità come vantaggio competitivo e come business dell’impresa p. 33 Capitolo III: Il caso MEG (Marco polo Environmental Group) p. 38 3.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 38 3.2 La storia p. 38 3.3 I numeri di MEG p. 41 3.4 Mission e strategia p. 44 3.5 Cultura e struttura organizzativa p. 47 3.6 Le risorse umane p. 54 3.7 Ricerca e Sviluppo: la nascita di Terra S.r.l. p. 55 3.8 Il rapporto con il territorio p. 56 3.9 Focus conclusivo p. 59 Capitolo IV: Il caso Loccioni p. 61 4.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 61 4.2 La storia p. 61 4.3 I numeri di Loccioni p. 65 4.4 I valori p. 66 4.5 L’assetto organizzativo p. 70 4.6 Le politiche del personale p. 73 4.7 La comunicazione p. 78 4.8 Un business all’insegna della sostenibilità p. 80 4.8.1 Le persone p. 80 4.8.2 Il territorio p. 81 4.8.3 L’ambiente p. 82 4.9 Il futuro di Loccioni p. 84 Capitolo V: Il caso Foppapedretti p. 85 5.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 85 5.2 La storia p. 85 5.3 I numeri di Fappapedretti p. 89 5.4 I valori p. 92 5.5 Le politiche del personale p. 94 5.6 Una comunicazione ricca di contenuti p. 98 5.7 Foppapedretti e la salvaguardia dell’ambiente p. 100 5.7.1 La provenienza della materia prima p. 100 5.7.2 Le fasi della lavorazione p. 101 5.7.3 La principale innovazione di processo: la verniciatura p. 102 5.7.4 L’ultimo passaggio: il montaggio e l’imballaggio p. 104 5.7.5 L’impianto di aspirazione nel reparto macchine p. 105 5.8 Il rapporto con il territorio p. 105 Capitolo VI: Il caso Theblogtv p. 108 6.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 108 6.2 La storia di TheBlogTv p. 109 6.3 Visione, missione, strategia p. 111 6.3.1 Programmi con matrice User Generated per broadcaster televisivi p. 112 6.3.2 Social e User Generated Advertising p. 113 6.3.3 Piattaforme partecipative online p. 115 6.4 Organizzazione interna p. 118 6.5 Quali elementi distintivi? p. 120 Capitolo VII: Il caso Innogest p. 122 7.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 122 7.2 L’organizzazione e la sua storia p. 122 7.3 Missione e strategia p. 124 7.3.1 Analisi p. 127 7.3.2 Gestione p. 129 7.3.3 Disinvestimento p. 132 7.4 Il portfolio di Innogest Capital p. 133 7.5 Il rapporto con il territorio e gli altri elementi distintivi p. 136 Capitolo XVIII: Il caso Vita p. 138 8.1Profilo sintetico dell’impresa p. 138 8.2 La storia p. 138 8.3 Dalle persone alle cose: la demografia del personale e la situazione patrimoniale p. 141 8.4 I valori p. 145 8.5 L’organizzazione e le strategie p. 149 8.6 I prodotti e i servizi p. 151 8.6.1 Il magazine p. 151 8.6.2 La consulenza p. 152 8.6.3 Il web p. 154 8.6.4 Communitas p. 156 8.7 La quotazione in borsa p. 156 Capitolo IX: Il caso Habitech p. 162 9.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 162 9.2 Una storia tecno-green p. 163 9.3 I numeri di Habitech p. 165 9.4 Mission, vision e strategia p. 168 9.4.1 Progetti Habitech p. 175 9.5 Sintesi degli elementi innovativi p. 177 Capitolo X: Il caso Welfare Italia Servizi p. 179 10.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 179 10.2 La storia p. 179 10.3 I numeri di WIS p. 181 10.4 Mission, vision e strategia p. 182 10.5 Organizzazione interna e cultura d’impresa p. 185 10.5.1 Le parntership p. 189 10.6 Focus conclusivo. La valorizzazione delle risorse sociali p. 190 Capitolo XI: Il caso Engineering p. 192 11.1Profilo sintetico dell’impresa p. 192 11.2 Engineering: una storia in tre mosse p. 192 11.3 Engineering: una realtà in continua espansione p. 199 11.4 Organizzazione, strategia, competenze p. 200 11.5 I valori p. 209 11.6 Tradizione e innovazione: due criteri per la gestione delle risorse umane p. 211 11.6.1 La scuola di formazione Enrico della Valle p. 214 11.6.2 Come si coltivano i talenti p. 215 11.7 Un importante contributo alla sostenibilità ambientale: il centro di Point Saint Martin p. 218 11.8 “Dicono di noi”: il punto di vista dei clienti p. 221 11.9 Engineering tra passato e futuro p. 223 Capitolo XII p. 225 12.1 Profilo sintetico dell’impresa p. 225 12.2 La storia p. 225 12.3 I numeri e l’organizzazione p. 228 12.4 Missione, visione e strategia p. 230 12.5 I valori p. 233 12.6 Le politiche del personale p. 235 12.6.1 La selezione e la formazione p. 235 12.6.2 La tutela sindacale p. 238 12.6.3 La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro p. 239 12.7 L’impegno per la sostenibilità p. 241 12.7.1 L’attenzione alle persone: l’asilo nido p. 241 12.7.2 L’attenzione alle persone: dal Welfare al Wellness p. 243 12.7.3 L’impegno per l’ambiente p. 245 12.7.4 L’attenzione al territorio p. 247 12.8 I programmi per il futuro p. 250 Capitolo XIII p. 252 13.1 Un punto di partenza: le sfide della sostenibilità d’impresa nell’attuale scenario p. 252 13.2 Dalla logica del valore-profitto alla combinazione dei valori di benessere p. 259 13.3 Persone, culture, organizzazioni: l’innovazione e lo sviluppo di competenze nella sostenibilità come percorso p. 267 13.4 L’espansione nel contesto e l’inclusione del contesto: stakeholders engagement e Radicamento nei territori p. 280 13.5 Coinvolgimento e contributo delle risorse umane: il nesso tra cittadinanza dell’impresa e cittadinanza nell’impresa p. 286 13.6 La dimensione politica della sostenibilità p. 289 13.7 Riflessioni finali: le leve dell’innovazione sostenibile p. 291 Verso un nuovo modello di sviluppo? p. 296 Bibliografia p. 305 Capitolo I Presentazione della ricerca 1.1 La duplice domanda di ricerca Il presente lavoro di ricerca - la cui ipotesi è che stiamo entrando in una fase nuova della relazione tra crescita economica e trasformazioni sociali - nasce da una duplice domanda: esistono proposte, nell’alveo dei paesi occidentali avanzati, di nuovi modelli di business, dunque di innovazioni di processo e/o di prodotto, per il rilancio, nella fase attuale, della generazione di valore da parte delle imprese? Se sì, nel contesto italiano, abbiamo imprese che stanno investendo su tali innovazioni? Le domande articolano la ricerca, e il report che segue, su due livelli. Per comprendere la direzione del cambiamento, l’équipe di ricerca ha selezionato e analizzato oltre 50 testi di letteratura economica e manageriale internazionale che comprendono articoli apparsi su giornali economici, su periodici economici destinati ad operatori economici di diversi settori e livelli, e capitoli di libri in italiano, inglese, o francese, tutti editi tra il 30 giugno 2008 e il 1 luglio 2010 – segnalati in nota 21 e, a parte, in bibliografia. Il primo livello in cui si è articolata la ricerca ha dunque compreso il monitoraggio della stampa internazionale, la selezione e l’analisi testuale, allo scopo di fornire un quadro generale del pensiero prodotto sulla possibile emersione di nuovi modelli di business nell’ultimo biennio. L’importanza dell’analisi della letteratura deriva dal fatto che essa è la sede in cui vengono sistematizzate idee nascenti ed esperienze che indicano la direzione del cambiamento. Allo stesso tempo, in senso opposto, le formazioni discorsive che circolano sulla stampa economica e manageriale nazionale ed internazionale influenzano le pratiche imprenditoriali e la cultura sottesa al modello di sviluppo, poiché la letteratura propone un modello normativo, un dover essere dell’impresa. Nel periodo post-crisi, in particolare, in cui si ripensa il ruolo dell’impresa, la letteratura definisce e ridefinisce continuamente i riferimenti valoriali delle imprese buone, che il cliente, dunque il mercato, premia – e, viceversa, denuncia altri modelli come obsoleti. Dall’analisi emerge quella nuova concezione di impresa valorizzatrice delle risorse umane, sociali e ambientali di cui tratti specifici sono restituiti al capitolo 2. Anticipiamo che la letteratura analizzata indica come una tra le possibilità di rilancio del capitalismo e di uscita dalla crisi 7 l’appropriazione, da parte delle imprese, di quello che possiamo chiamare valore di contesto. Al paragrafo 1.3 vedremo che il valore di contesto si declina su diverse dimensioni, che fanno capo ad una maggiore attenzione per l’ambiente, per la qualità sociale del territorio e per lo sviluppo delle persone, dimensioni che possono originare business. In altre parole, non si tratta di una maggiore enfasi sulla vecchia nozione di responsabilità sociale dell’impresa, ma dell’apertura di nuovi mercati. La sostenibilità, concetto con una valenza politica, oltre che economica, a cui la letteratura fa riferimento, e di cui le discontinuità e i fili ripresi dalla fase precedente sono riportati nelle conclusioni al presente lavoro, non viene semplicemente ampliata nel senso dell’acquisizione, rispetto alla celeberrima definizione di sostenibilità proposta nel rapporto Brundtland (ONU Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo, 1987)1, di accezioni più complete dello sviluppo sostenibile, che includono giustizia sociale e crescita2. Piuttosto, essa è oggi considerata un vantaggio competitivo che deve entrare nella strategia dell’impresa. Di più, essa è proposta, in diversi testi, come un nuovo business, del verde e del sociale. Il valore di contesto viene tradotto in modelli di business che internalizzano le esternalità e assumono nella strategia d’impresa le richieste sociali emergenti di una maggiore attenzione per il sociale e per l’ambiente. L’assunzione delle richieste sociali trasforma in nuovi modelli di business la sensibilità culturale che emerge da una crisi sistemica, secondo la dinamica dettagliata al paragrafo seguente. Per questo, la duplice domanda di ricerca tocca, in modo più ampio, la questione dell’uscita da una crisi che ha rimesso in dubbio trent’anni di certezze, inserendosi nel dibattito sul futuro dell’economia. Nella fase storica attuale, la relazione tra crescita economica e ben-essere è rimessa in questione innanzitutto attraverso la condanna, anche da parte delle fucine internazionali di formazione dei manager e delle élites governative3, di quel modello americano di impresa che possiamo chiamare del capitalismo manageriale azionario (Gallino 2009), che in Italia ha preso piede integralmente solo in pochissimi casi. Tale modello muove dall’idea che il fine unico dell’impresa sia generare profitto nel breve periodo per i soli shareholders: si tratta, dunque, di un modello che esclude il contesto in cui opera l’impresa, perché considera la generazione di valore solo in termini di valore finanziario e nel breve periodo. Al contrario, vedremo come la letteratura 1 In cui sostenibilità significa uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. 2 “Originally, sustainable development was about the environment. Later, economic growth and social justice have been added to environmental quality. Sustainable development is often said to have three pillars (…) For companies, this has been called the triple bottom line: people, profit and the planet” (Richard S.J. Tol, economic models for sustainable development, p. 9). “Oggi, nell’accezione più completa, lo sviluppo sostenibile ha l’obiettivo di mantenere, per il medio e il lungo periodo, una crescita economica operante in un regime di equilibrio ambientale e urbano, di compatibilità con gli ecosistemi, di equità e benessere sociale” (L’impresa sostenibile, L’impresa 2009, p. 52). 3 Vedi, in particolare, M.B.A.s Seek Social Change, WSJ 2009) e The future of business schools Q&A, Financial Times, 5 june 2009, www.ft.com. 8 analizzata proponga come nuovi modelli di business quelli che creano valore a partire dal contesto, dunque che intendono la concezione di valore anche in senso extra-finanziario e la cui prospettiva temporale si sposta sul lungo periodo, fino ad includere gli effetti della crescita e le responsabilità sulle generazioni future. L’ampliamento della nozione di valore a criteri extrafinanziari risponde alle critiche di autoreferenzialità mosse alla sfera economica nel dopo-crisi, mentre l’ampliamento della prospettiva spaziale risponde alle critiche di shortermismo, entrambe onnipresenti nella letteratura manageriale ed economica internazionale analizzata. La crisi finanziaria, in quest’ottica, viene riletta come il sintomo dell’insostenibilità di un modello di crescita puramente funzionale, del tutto incurante della questione del senso. Uscire dalla crisi di quello che è stato definito capitalismo tecno-nichilista comporta la formazione di un “nuovo spirito del capitalismo” che sia capace di ri-coniugare funzioni e significati, così da ricostruire la legittimità sociale al processo produttivo. Il momento di crisi è, letteralmente, un momento di passaggio e di separazione, di cernita tra ciò che si prospetta come una nuova opportunità e ciò che rischia di rivelarsi inadeguato. Ad oggi, i segnali della ridefinizione dell'agenda imprenditoriale appaiono in gestazione, ma proprio per questo è apparso particolarmente utile svolgere una ricerca di scenario che rintracci le dimensioni e le direzioni del cambiamento sia nel discorsi, che traducono nuove sensibilità culturali, sia nella pratica delle imprese che testimonino l’investimento in tali direzioni. Ciò introduce il secondo livello, empirico, in cui si è articolata la ricerca. Esso è consistito nell’individuazione di realtà imprenditoriali, sul territorio nazionale, che, tramite innovazione, fanno profitto sulla valorizzazione delle risorse contestuali nelle diverse dimensioni in cui queste ultime si declinano. I dieci casi-studio che sono emersi dal lavoro esplorativo, selezionati e analizzati secondo la metodologia qualitativa esposta al paragrafo 1.3., sono riportati al capitolo 3. Le imprese oggetto dello studio - Marco Polo, Habitech, Foppapedretti, Welfare Italia Servizi, Innogest, Theblogtv, Vita, Engeneering, Loccioni, Ferrero - testimoniano la plausibilità della pista indicata, costituendo tracce dell’esistenza di imprese che fanno profitti grazie al valore di contesto. Esse non si vogliono, quindi, un campione rappresentativo ma, più semplicemente, possono essere considerate un campione di imprese che stanno investendo nelle innovazioni indicate dalla letteratura e che, per questo, incarnano l’attuazione di una possibilità, tra le diverse strade che potranno essere percorse per uscire dalla crisi. Se la relazione tra crescita economica e trasformazioni sociali sembra ridefinirsi a partire dalla consapevolezza dell’impossibilità di aumentare il benessere e la felicità trascurando la relazione tra il singolo individuo e il suo ambiente (fisico, sociale, istituzionale, umano), su scala locale e planetaria, siamo consapevoli del fatto che 9 ciò non costituisca la logica prevalente dell’organizzazione economica contemporanea. La presente ricerca, studiando alcune tra le imprese più innovative e avanzate nel panorama italiano, intende mostrare come i vincoli imposti dalla crisi possano essere trasformati in opportunità di business promotrici di una nuova ondata innovativa nel processo di creazione del valore. La sfida che la fase attuale, che potremmo chiamare del dopo-crisi, per quanto gli effetti della crisi non siano ad oggi esauriti, pone alle imprese, è proprio quella di trasformare le nuove richieste che provengono dall’ambiente sociale da semplici pressioni a opportunità di business in grado di sostenere la creazione di valore economico e sociale. All'ipotesi di fondo che la crisi e i suoi postumi facciano sorgere la necessità di riferirsi a nuovi criteri di legittimazione che, a loro volta, stimolano la ridefinizione dell’agenda imprenditoriale, la presente ricerca risponde che il processo innovativo si gioca oggi sulla valorizzazione del contesto, fino all’idea di sviluppare i business del verde e del sociale. Laddove la letteratura suggerisce alle imprese di trasformare i vincoli in opportunità, i dieci casi-studio suggeriscono che è possibile fare business prendendosi cura di elementi relazionali e ambientali di contesto, tramite innovazioni di processo, di prodotto e/o di gestione che valorizzano le risorse umane, sociali e/o ambientali. Nell’eterogeneità che le contraddistingue (che rientra come parametro di selezione, tra altri enunciati al paragrafo 1.3), esse hanno in comune il fatto di includere nel proprio core business la valorizzazione delle risorse afferenti a diversi ambiti. Il valore di contesto ridefinisce i temi della qualità ambientale, dal coinvolgimento delle imprese negli ecosistemi in cui operano alla produzione ecosostenibile di beni eco-compatibili, della qualità sociale, dalla nuova attenzione per il territorio - inteso come insieme di funzioni e di tradizioni, di relazioni e di connessioni - all’enfasi sulla qualità della vita che è sempre più un fatto relazionale, e della qualità umana, dalla valorizzazione del personale all’empowerment del consumatore-persona che, nelle società avanzate, apre nuove prospettive di business e offre lo spunto per nuovi modelli di organizzazione. Tale integrazione nella strategia dell’impresa del business della sostenibilità va nella direzione di utilizzare l’impatto determinato sugli stakeholder dell’impresa (impiegati, clienti, enti governativi e comunità locali, regolatori, media e opinion leader, investitori, cittadinanza comune e organizzazioni del lavoro) come un indicatore prezioso della capacità dell’impresa stessa di generare valore. Se, da un lato, tale considerazione può essere considerata estrinseca, dall’altro, essa può costituire lo stimolo intrinseco alla creazione di nuove pratiche di business volte ad attrarre e trattenere le risorse. I dieci casi-studio che esponiamo, includendo alcune di queste nuove dimensioni, costituiscono casi che emblematizzano l’individuazione e la gestione delle nuove fonti di pressione degli stakeholder, l’adozione di quelle tattiche necessarie per gestire l’integrazione nel core business dell’impresa di quegli aspetti sociali-politici-culturali che possono essere resi compatibili con le esigenze della produzione, lo spostamento dell’enfasi dai rischi alle opportunità 10 tramite una valorizzazione delle risorse che diventa profitto. Di più, essi emblematizzano l’inclusione in pratiche organizzative della risposta ad alcune delle richieste emergenti, la formulazione di nuove strategie, bilanciando il ritorno per gli azionisti con una maggior contribuzione a quei beni collettivi che verranno valorizzati, al punto da orientare le preferenze dei clienti e delle risorse umane sul mercato. Trasformare i vincoli in opportunità di business significa, per le imprese, fare propri i valori in nome dei quali la produzione è criticata, secondo un modello teorico di analisi, sotteso alle ipotesi di ricerca ed esposto al paragrafo seguente, che riprende ciò che è avvenuto dopo la crisi che ha investito il sistema negli anni ’70, quando le richieste sociali alle imprese erano, però, diverse. Se l’emersione delle nuove fasi di sviluppo è definita da un cambiamento culturale che poi si incarna in modelli economici (e politici), a monte della duplice domanda di ricerca ve ne è una terza: quali sono le istanze sociali che, nell’attuale passaggio storico, le imprese stanno provando ad internalizzare? 1.2 Il nuovo spirito del capitalismo post-crisi: dalle richieste sociali a nuovi modelli di business Storicamente, la ripresa dalle crisi economiche è avvenuta sempre grazie all’emersione di nuovi stili di consumo, nuovi modelli organizzativi e nuove aree di business. La sequenza del rilancio della creazione di valore è la seguente: mutamento delle sensibilità culturali - espressione di richieste sociali nuove o rafforzamento e sistematizzazione di richieste già presenti, ma minoritarie o deboli, nella fase di sviluppo precedente - internalizzazione, da parte delle imprese, delle richieste sociali che possono essere rese compatibili con la produzione e creare nuovi business e mercati, qualora le coordinate contestuali siano favorevoli - cambiamento nei modelli di business. Il periodo post-crisi degli anni ’70, ha visto esattamente lo sviluppo di un tale processo. Ci riferiamo a tale periodo come esempio della dinamica di trasformazione dei vincoli in opportunità di business, per istituire un paragone con la fase attuale le cui richieste sociali derivano dagli assetti post-’68, paragone da cui emergano anche le fondamentali differenze tra le due epoche. All’epoca, il mutamento delle sensibilità culturali era espresso, oltre che dalla critica sociale classica al sistema economico, che insisteva sul tema dello sfruttamento, da quella che è stata chiamata “critica soggettivista”4, o critica artistica5. Tale critica, mossa ad un sistema sociale ed economico avvertito come oppressivo e limitativo delle istanze individualistiche di autenticità e di espressione di sé, 4 5 Magatti M., Libertà immaginaria, Feltrinelli, Milano 2009. Boltanski L.-Chiapello E., Le Nouvel Esprit du Capitalisme, Gallimard, Paris 1999. 11 faceva emergere la questione della soggettività. In particolare, la rivendicazione di un’autorealizzazione sul posto di lavoro portava ad alzare l’asta delle richieste sociali all’ultimo scalino della scala di Maslow. Queste istanze hanno trovato soddisfazione nel contesto neo-liberista, che ha ridefinito la transazione tra individuo e istituzioni in direzione di un aumento dell’efficienza tecnica di queste ultime che supporta la libertà di scelta e l’ampliamento del potere di azione individuale, a scapito della tradizionale funzione di ricomposizione dei significati; il circuito di creazione del consenso ha progressivamente spostato il suo baricentro dal piano collettivo-politico a quello individuale-economico. La domanda di autonomia è stata incarnata da nuovi dispositivi d’impresa, tra cui la possibilità di lavoro per obiettivi, basato sull’autocontrollo invece che sulla sorveglianza costante; la domanda di creatività, portata avanti soprattutto da giovani laureati e quadri, si è tradotta nella messa a profitto delle risorse di inventività, innovazione e immaginazione, quegli untangible asse che hanno fatto da driver all’economia immateriale; la domanda di autenticità, infine, che nasceva dalle critiche alla produzione di massa, all’uniformazione degli stili di vita e alla standardizzazione, ha avuto risposta, in parte, nella moltiplicazione e nella diversificazione dei prodotti fino al consumo personalizzato. Dal punto di vista manageriale, rispetto ai modelli della razionalità burocratica di primo novecento, i principi organizzativi che si affermano - dal just in time, alla fabbrica sottile, all’esternalizzazione - traducono la necessità di un rapido adattamento, che si declina nel progetto come composizione provvisoria di agenti - che riprendiamo nella Postfazione - al contrario della programmazione caratteristica del modello fordista welfarista in cui era centrale la standardizzazione. La crisi di governamentalità degli anni ’60-’70 è stata quindi risolta, sul piano dei modelli business, tramite l’appropriazione, da parte delle imprese, delle domande sociali, appropriazione che è sfociata nella costruzione di un capitalismo a rete, trattandosi di superare le rigidità del mondo industriale centrato su gerarchia e produzione standard. In questo modo, la produzione è stata rilanciata, in uno sviluppo senza precedenti, a quelle aree geografiche e della vita in cui prima non era presente. Flessibilità e innovazione hanno preso il posto che ordine e standardizzazione avevano nella fase precedente. A seguito della crisi economica attuale, i problemi generati da un tale sistema sono esplosi in tutta la loro forza. Le critiche a cui deve rispondere oggi la produzione economica poggiano sui limiti qualitativi dello sviluppo, sugli squilibri che esso crea e sugli effetti collaterali della crescita; nella condanna di insostenibilità ambientale, umana e sociale di un turbo-capitalismo in mano ai flussi finanziari, si racchiudono una critica ecologica alla distruzione del pianeta, una critica sociale agli squilibri tra paesi e in seno ai paesi stessi e un’opposizione all’usura psicologica e sociale delle risorse umane, a tutti i livelli della gerarchia. L’ipotesi di fondo da cui nasce la presente ricerca è che, anche questa volta, la ripresa possa accompagnarsi all’emersione di nuovi stili di consumo, 12 nuovi modelli organizzativi, nuove aree di business che vanno nella direzione di rispondere alle nuove sensibilità culturali. In particolare, proprio gli effetti collaterali del capitalismo nella sua fase precedente, che offrono sputo per le attuali critiche alle imprese, possono oggi costituire il punto di partenza per un rilancio della creazione di valore. Questo a patto che le imprese sappiano appropriarsene. L’analisi della letteratura conferma l’ipotesi che stiamo entrando in una fase nuova della relazione tra crescita economica e trasformazioni sociali, simile a quella che ha attraversato il sistema negli anni ’70, quando, però, le richieste erano diverse da quelle che si stanno profilando oggi. Nella fase attuale, in cui le rivendicazioni avanzati nella fase precedente sono state ampiamente soddisfatte, e in cui emergono con forza gli effetti collaterali dell’individualismo, le richieste sociali si centrano sulle dimensioni sociali e ambientali. Dunque, su quelle condizioni contestuali che la fase precedente aveva trascurato in favore dell’individualismo. Il consumatore-cittadino che chiede un’impresa-civica non è solo una figura che sta prendendo piede nella letteratura manageriale, ma una realtà rilevata dalle ricerche più recenti, tra cui Climi Sociali e di Consumo portata avanti in Italia da GfK Eurisko6. Da quest’ultima, emerge, infatti, una tendenza alla rinegoziazione innanzitutto sociale del consumo, ovvero la richiesta di fare sintesi fra la dimensione privata e pubblica del consumatore7. A questo proposito, un’attenzione particolare è portata su quei beni il cui accesso per il singolo è vincolato all’aggregazione in un collettivo di consumatori, che richiama la teorizzazione di Ostrom (Olstrom 1990) sulla possibile ricomposizione tra benefici individuali nel breve periodo e interessi collettivi sul lungo periodo, relativamente allo sfruttamento delle risorse naturali. La rinegoziazione del consumo che si profila è ugualmente sia simbolica che quantitativa – dove il limite al consumo non è dato solo da difficoltà economica, ma innanzitutto si pone per un’esigenza “egologica” di sostenibilità. Le richieste sociali attuali portano ad ipotizzare uno scalino ulteriore nella scala di Maslow, che le imprese di cui riportiamo i casi-studio avvertono e incarnano, in cui il bisogno di autorealizzazione delle persone passa per il contesto in cui esse vivono. Contesto che in epoca di globalizzazione è inteso non più solo come contesto prossimo ma, in senso ampio, in relazione alla finitudine del globo - che le minacce ambientali globali, le guerre e le colonizzazioni, i media, le violazioni dei diritti umani e i corporate scandals degli anni ’90 hanno contribuito a radicare nell’immaginario dei consumatori. Per legittimarsi e per aprire nuove strade al profitto, le imprese devono rispondere a critiche che 6 Bosio A.C., Lozza E., Novello D., “Che fiducia dare alla fiducia? Aggiornamenti sul sentiment dei consumatori e delle imprese in Italia”, paper di aggiornamento 2010, in via di pubblicazione. Elaborazione dei dati dell’indagine continuativa quantitativa Climi Sociali e di Consumo di GfK Eurisko, iniziata nel novembre 2001 e tutt’ora in corso. 7 “Accanto a costruzioni di senso sul consumo ancorate all’esperienza privata, si va progressivamente affermando il bisogno di altre costruzioni, in parallelo, espressione di una elaborazione di tipo pubblico; ormai, quasi tutte le “offerte” di consumo (alimentazione, energia, salute, formazione, tempo libero, mobilità…) interrogano “la domanda” sul piano individuale-soggettivo (nella prospettiva tipica del consumatore) e contemporaneamente sul piano collettivo-sociale (nella prospettiva tipica del cittadino)” (Ibidem). 13 hanno diverse radici, e che accedono oggi ad una diffusione e ad una visibilità molto ampie. La sensibilità culturale che caratterizza il tempo presente, infatti, ha radici che affondano nell’idea, nata in seno alla critica ambientalista, di limiti dello sviluppo - che oggi si gioca su un terreno più complesso e che fa leva anche sui limiti qualitativi, di senso e di legame, oltre che quantitativi8 nella contestazione di ritmi di produzione disumanizzanti, del consumismo e della mercificazione di tutte le cose e riprende una critica sociale che traduceva lo sfruttamento delle risorse nel linguaggio delle disuguaglianze, della distruzione dei legami e delle solidarietà, e dei diritti anche in paesi non occidentali. La critica all’idea di progresso, considerata ideologia della crescita, è stata sostenuta tanto dalla consapevolezza degli effetti negativi dello sviluppo nei paesi poveri del mondo, quanto dalla conoscenza degli effetti collaterali della crescita in Occidente - nei termini della critica ecologista, da Chernobyl, al buco nell’ozono, all’effetto serra, al recente climate change. L’una e l’altra hanno contribuito, certo insieme ad altri fattori tra cui l’internazionalizzazione del capitalismo e la diffusione dei media, a legare l’azione immediata ad un divenire di più lungo termine, e al cambiamento radicale di scala sotteso al concetto di sviluppo sostenibile, per cui un’azione in un contesto immediato può avere ripercussioni a catena fino a mettere in pericolo la totalità del pianeta. Le connessioni tra azione puntuale e localizzata e il suo impatto globale, tra il gesto immediato e i suoi effetti su un lungo termine fanno da base all’approccio centrato sulle risorse, e alla nozione di responsabilità dell’impresa sui tre livelli sociale, ambientale e umano. La presente ricerca suggerisce che crescita economica in mercati e società maturi, in cui anche l’ultimo scalino che Maslow aveva ipotizzato è dato per acquisito, significa soddisfare le esigenze che stanno su uno scalino ulteriore, che lo sviluppo nella fase precedente ha contribuito a fare emergere e che potremmo chiamare “esigenze di autorealizzazione contestuale”. Abbiamo ricordato come, dopo la crisi degli anni ‘70, il superamento del vecchio modello di organizzazione della produzione sia stato annunciato, e introdotto, dalla diffusione di una nuova sensibilità verso le richieste di autorealizzazione individuale, della mobilità e della creatività che sono state inglobate in quelle innovazioni pratiche dei modelli organizzativi, inizialmente sperimentali e disperse, che hanno poi indicato il modello dell’impresa a rete, innovativa, internazionalizzata, modello diventato un riferimento a partire dal decennio successivo. Analogamente, oggi, le imprese “modello”, configurate dalla letteratura economica e manageriale, condividono le caratteristiche di attenzione al valore extrafinanziario e di cambiamento nella prospettiva temporale, ora spostata sul lungo periodo, riassunte nel principio di valorizzazione delle risorse. Valorizzando le risorse, l’impresa trova legittimazione perchè contribuisce direttamente al ben-essere di coloro che la sua azione 8 Si tratta di uno dei punti di partenza della critica in materia, dal pionieristico “Silent Spring” (Carston 1962) a “The Limits to Growth” (Meadows D.H – Meadows D.L., Randers, Behrens 1972). 14 impatta direttamente o indirettamente, di tutti i suoi stakeholders vicini o lontani nello spazio e nel tempo. Infatti, si dice che l’impresa debba considerare i diversi ecosistemi sociali e naturali che la sua azione impatta (potenzialmente l’intero pianeta) e nel tempo, fino alle generazioni future, in una prospettiva di equità intergenerazionale (oltre che intragenerazionale). Alla condanna dello sfruttamento intensivo delle risorse caratteristico del capitalismo degli shareholders, viene oggi opposto un modello di sviluppo sostenibile in cui le risorse umane, sociali e ambientali siano valorizzate e rigenerate. A dispetto della difficoltà di misurazione degli aspetti che concorrono alla formazione del valore di contesto, la letteratura analizzata ne predica la necessaria inclusione nella strategia di impresa, perché ad esso attribuisce un valore fondamentale rispetto a modelli di business che possano trarre profitti dal sociale e dall’ambientale. L’ostacolo maggiore alla realizzazione del modello proposto dal nuovo spirito del capitalismo, a cui sta cercando di rispondere un fiorire di pubblicazioni sull’argomento9, è la metrizzazione degli assett non economici, a cui porta un’ampliamento della nozione di valore a criteri contestuali, quindi inizialmente extra-finanziari. Laddove lo “scambio” con la società implica un carico diretto di maggiori output per le imprese, la difficoltà maggiore è il rendere computabili, dunque misurabili e spendibili, assets che non sono inizialmente monetari10, ovvero che solo in un secondo momento possono trasformarsi in profitto, a fronte di un investimento iniziale spesso ingente ed incerto. Per questo, il ruolo della regolamentazione appare tanto più fondamentale, come sostegno al cambiamento, in una fase in cui gli incentivi economici devono reggere una transizione in cui, in assenza di tali incentivi, l’innovazione volta a tenere insieme criteri ambientali e sociali spesso risulterebbe non sostenibile o sostenibile su un piano, ma non su un altro - come è ad esempio il caso del settore dell’auto ecologica quanto in quello dell’edilizia verde11. Infatti, appare essenziale 9 Per citare solo un testo tra quelli che propongono indici che traccino l’impatto sul business del valore di contesto, rimandiamo a Stiglitz, Sen, Fitoussi 2009. Eppure, alcuni strumenti di misura sono già stati sviluppati, si pensi ad esempio alla finanza socialmente responsabile (ISR) e allo SROI (Social Return On Investment), strumento volto a misurare e render conto di una concezione più ampia di valore che assegna valore economico ai valori sociale e ambientale per portarli dentro il decision making. Nel caso dell’inquinamento ambientale, la monetizzazione è stata facilitata, almeno in parte, dai permessi di emissione dei gas serra corredati dalla possibilità di compravendita di quote di inquinamento tra paesi. Il prezzo dell’inquinamento è, dunque, stabilito dal costo delle quote che i paesi che inquinano meno vendono, sotto forma di parte restante del loro permesso di emissioni, ai paesi che invece eccedono i limiti consentiti di emissioni. 10 “Une mesure exhaustive induit à coup sur le capital physique, le capital humain et le capital naturel (y compris l’environnement). (…) Un bon système de comptabilité nationale devrait faire état à la fois du niveau de consommation et d’une mesure exhaustive de l’évolution de la richesse. La tache est rendue difficile par le fait que de nombreuses composantes de la richesse ne sont pas du tout mesurées (le capital humain, par exemple) ou souvent mal appréhendées” (Stiglitz, Sen, Fitoussi 2009, p. 59). 11 Ad esempio, la regolamentazione ha supportato quella reazione a catena che ha caratterizzato lo spostamento di “tutti verso il verde” nell’industria automobilistica e che si prevede, stando alle stime di Enea, diffondersi al mercato dei materiali ecocompatibili e ad alta efficienza energetica (business che potrebbe generare nel giro di 15 anni un giro d’affari di oltre 20 miliardi di euro) che muove, in Italia, direttamente da indagini di mercato sui clienti. Sui costi aggiuntivi alla progettazione ecosostenibile, che necessita di incentivi adeguati in mancanza dei quali l’impatto si 15 che la valorizzazione di alcune risorse non sia effettuata a scapito di altre – su questo punto, rimandiamo al primo vicolo che si pone ad un mondo sostenibile (Analisi della letteratura e Postfazione). 1.2.1 Lo sfondo politico-istituzionale del cambiamento. Le domande di ricerca, come accennato, si inseriscono nel dibattito sul futuro dell’economia. Un dibattito che si svolge oggi su scene economiche e politiche di primo piano, basti menzionare qui il forum di Davos 2010 - dall’eloquente tema: “Being responsible for the future”12, in cui è discusso sulla povertà del criterio del solo profitto, mentre uno dei punti della Global Agenda 2010 recita: “new metrics are needed that integrate social goals and values”13 - e il simposio “New World, New Capitalism14” (Parigi 2010), in cui politici, economisti e accademici hanno rimesso in discussione il GDP come indicatore unico della crescita economica di un Paese. Si tratta di segnali favorevoli allo sviluppo di un modello economico più context-sensible, a cui certo se ne aggiungono altri, che riportiamo oltre nel presente paragrafo e che hanno contribuito alla formulazione dell’ipotesi di ricerca. L’importanza degli assetti istituzionali come condizione dell’emersione di un nuovo spirito del capitalismo è sempre stata capitale. Per riprendere il paragone istaurato, al paragrafo precedente, con il periodo post-crisi degli anni ’70, sappiamo che il breve termine nell’attività economica - che oggi, come vedremo, è di nuovo criticato a favore del medio-lungo periodo - ha iniziato a prendere il sopravvento con l’abbandono della disciplina keynesiana e con l’uscita dal sistema di Bretton Wood. Per sottolineare l’influenza dell’assetto politico-istituzionale globale, basta richiamare due dei meccanismi che hanno reso possibile tale uscita: un’offerta pressoché illimitata di moneta (associata al mantenimento di livelli molto bassi del tasso di interesse primario) e la deregolamentazione dei sistemi finanziari - in particolare attraverso la creazione di nuovi strumenti scaricherà sugli utenti finali, vedi ad esempio Vanin in G. Sarcina, Il nuovo mercato della casa ecologica, Corriere della Sera, 3 gennaio 2010, p. 15. 12 http://www.weforum.org/en/events/AnnualMeeting2010/Sun31/index.htm 13 http://www.weforum.org/en/knowledge/Events/2010/AnnualMeeting/KN_SESS_SUMM_30297?url=/en/knowledge/ Events/2010/AnnualMeeting/KN_SESS_SUMM_30297 14 http://www.colloquenouveaumonde.fr/home. In questo, sono state seguite le indicazioni dell’Unione Europea che, già da qualche anno e sotto il vessillo dello sviluppo sostenibile (vedi in particolare: http://pr.euractiv.com/releases/sustainable%20development) invita alla metrizzazione delle performance ambientali e sociali da affiancare al GDP dei diversi paesi. Il PIL è considerato espressione di un sistema economico autoreferenziale, poiché esso non include indicatori sulla qualità della vita, sulla qualità dei prodotti, sulla loro durata e compatibilità ambientale, sulla soddisfazione del consumatore, ma anche sulla capacità di produrre reddito per il futuro, sulla partecipazione del valore con gli stakeholders e sull’investimento nello sviluppo dei commons (Fabris 2010). 16 di gestione del rischio, l’abolizione delle norme sul commercio di derivati non regolamentati e del Glass-Steagal Act, la cartolarizzazione sistematica dei prestiti ipotecari sub-prime. Un tale sistema, per quanto all’origine di quella straordinaria accelerazione economica che ha portato gli indici delle borse a decuplicarsi negli ultimi vent’anni, ha fatto riemergere il “feticcio della liquidità” che la proposta Keynesiana aveva tentato di arginare. Il feticcio della liquidità, che spinge gli investitori a concentrare i propri mezzi sul possesso dei titoli liquidi, puntando sul guadagno a breve, oltre ad aver allontanato l’economia dalla realtà delle persone e dei contesti in cui le imprese operano, ha indebolito il legame sociale incentivando il consumo come fatto privato, in linea con l’enfasi neoliberista sulla scelta e sull’autodeterminazione individuale, e ha riorganizzato la vita sociale, oltre che il lavoro, attorno al valore della flessibilità. La presidenza Regan, l’incontrastato potere degli Stati Uniti sullo scacchiere globale, la possibilità di estensione su nuovi mercati, sono tra gli elementi che hanno sostenuto un modello di sviluppo di cui oggi emergono gli effetti collaterali sulla società e sull’ambiente. Nell’epoca presente, la crescente pressione della regolamentazione in materia ambientale e sociale si aggiunge alla discussione sul futuro del capitalismo come secondo indizio di una congiuntura politico-istituzionale attuale favorevole a reggere un modello di sviluppo di un tipo di attività economica che sia più context-sensible. La regolamentazione è infatti legata allo scenario politicosociale globale: la recessione economica, la presidenza Obama, le tensioni politiche internazionali, la questione ambientale, il dinamismo teorico all’interno di diverse discipline, sono tutti indicatori di una fase di cambiamento che può investire, nei prossimi anni, anche i modelli imprenditoriali e di business. In questo modo, si vanno delineando i termini di un nuovo compromesso civico- economico, che combina le pressioni che la crisi porta con sé con la crescente integrazione dell’impresa nell’ambiente circostante. Ciò significa, in certo qual modo, ritornare a declinare l’economia come oikos-nomia, cioè come norma dell’abitare, dove l’abitare ha a che fare con l’ambiente umano e fisico nel quale oggi viviamo. Accenni di nuove visioni politico-economiche che sostengono la direzione indicata sono anche i dati, e la diffusione capillare di tali dati, che incentivano l’appropriazione, da parte delle imprese, del valore di contesto. In questa sede basti riportare che, per ciò che concerne la valorizzazione dell’ambiente, a seguito del vertice di Copenaghen, gli indici della borsa di Londra legati al green business – dal Ftse4Good index al Ftse Environmental Opportunities Index – hanno raggiunto una capitalizzazione complessiva di 23 miliardi di euro destinata a salire15 e che il New Energy Finance stima che gli investimenti globali nel settore dovranno triplicare il livello del 2008 per adattarsi ad 15 Trend secolari, Corriere economia, Comelli E., 7 dicembre 2009. 17 una stabilizzazione del livello di Co2 e ad una sua diminuzione post 2020. Per non parlare della crescita dei business collaudati della green economy, solo in parte frutto dell’estensione della bioeconomy a settori diversi dal cibo16, né dell’elaborazione e applicazione di nuovi indici da parte di colossi come Nike e Walmart, o della domanda sul mercato del lavoro di nuove figure professionali legate alla green economy17. Solo in Italia, il mercato verde è stimato valere attorno ai 10 miliardi di euro18. Per ciò che concerne la valorizzazione del sociale, nell’aerea UE gli investimenti socialmente responsabili, intesi come declinazione finanziaria dello sviluppo sostenibile, si sono impennati nel dopo-crisi19 e in Italia l’occupazione nel low profit ha quasi duplicato i propri attivi tra il 2003 e il 200920, così come il Cause Related marketing, in controtendenza rispetto alla generale contrazione del mercato pubblicitario21. Il mercato del lavoro lega, infatti, ambiente e sociale: si parla di “doppio dividendo”, sociale e ambientale, e si guarda agli incentivi della regolamentazione per realizzare politiche ambientali socialmente equitables22. Infine, contribuiscono a sostenere la direzione indicata i molti compromessi, tra mondo industriale pre-crisi e il modo post-crisi, che sono già emersi nel lessico economico e manageriale: tra questi, menzioniamo, ad esempio, la performance sociale e ambientale dell’impresa, dove “performance” riporta al modello pre-crisi e “sociale e ambientale” al modello post-crisi, la logica della triplebottom-line, delle 3P (profit, people, planet) e gli investimenti etici dove “investimenti” è termine tipico già della fase precedente, mentre “etici” riporta al contesto nel modello post-crisi. Ugualmente, la stessa ricerca di indici di metrizzazione del valore di contesto, a cui ci siamo riferiti al paragrafo precedente, costituisce un ulteriore traccia del cambiamento possibile. 16 Come, ad esempio, la moda in cui il riuso diventa il mantra dell’eco-lusso o lusso sostenibile (La nobiltà dello scarto: il riuso diventa arte, Repubblica 16 febbraio 2009, p.28), la bio-cosmesi il cui business vale in Europa vale 613 milioni secondo le stime Icea (Cosmetica, abbigliamento, edilizia: le nuove frontiere del naturale, Cosmetica, abbigliamento, edilizia le nuove frontiere del 'naturale', Repubblica 23 febbraio 2009, p. 14) e l’hi tech (Energia: l’hi tech si fa sempre più verde: dopo Copenaghen Meno emissioni con le connessioni cellulari. Le strategie di Vodafone, Ericsson, Panasonic, Corriere Economia, C. Sottocorona, 18 gennaio 2010, p.22). 17 Come, ad esempio, gli Energy manager d’impresa che ottimizzino e razionalizzino i consumi. La campagna di iscrizioni agli eco-master registra il tutto esaurito nelle università italiane (Il master si fa sempre più verde, Corriere Mondo, E. Basilico, 6 novembre 2009, pp. 72-73), con promessa di placement del 90%. . 18 “Quanto vale il mercato verde? Non è calcolabile nel dettaglio. I business sono dispersi in segmenti diversissimi. Ma una stima sommaria si può azzardare: siamo nell'ordine di un fatturato sui 10 miliardi di euro” (Verde è speranza con la green economy, Il Sole 24 Ore 2009). 19 Stime Novethic 2009 ed Eurosif : 102% di aumento in 2 anni, dal 2007. 20 Coniugare solidarietà e utili: il low profit cerca managers, Corriere E. Riboni, 11 dicembre 2009. 21 Professioni. Il sociale si fa business, Corriere della Sera, E. Riboni, 9 marzo 2007. 22 Si segnala qui il problema del possibile effetto negativo sull’impiego della regolamentazione ambientale - che può essere compensato dalla creazione di nuovi impieghi “ambientali” all’interno e all’esterno delle imprese. Si tratta di quello che al paragrafo di analisi della letteratura () chiameremo vincolo di non valorizzare alcune risorse a detrimento di altre. La commissione Europea, che già nel rapporto dell’Ocde 2004, Environment and employment: an assessement, aveva sondato l’impatto proiettivo della regolamentazione ambientale sull’impiego (complessivamente positivo), commissiona, ad oggi, studi sul legame tra deprivazione sociale e bassa qualità ambientale dei luoghi. 18 1.3 Obiettivi e svolgimento della ricerca Coerentemente rispetto alle domande di ricerca, l’obiettivo della ricerca è duplice: a livello teorico, dall’analisi della letteratura manageriale ed economica internazionale, si sono voluti ricavare i principi del cambiamento, verificando l’emersione nei discorsi specialistici della necessità, per le imprese, di includere il valore di contesto nella strategia aziendale, per farne un vantaggio competitivo o un business. Il monitoraggio della letteratura prodotta nell’ultimo biennio ha portato alla selezione di oltre 50 testi, che comprendono articoli apparsi su giornali economici in versione on-line - Il Sole 24 ore, Wall Street Journal, Times, Les echos -, periodici economici destinati ad operatori economici di diversi settori e livelli - Harvard Business Review, The Economist, L’impresa, Revue Francaise de Gestion -, e capitoli di libri in italiano, inglese, o francese, sempre editi tra il 30 giugno 2008 e il 1 luglio 201023. I testi sono stati analizzati con l’ausilio del software 23 Elenco dei testi, per titolo, sottoposti all’analisi: A different class, The economist, 20/26 february 2010, p. 62; A gathering of the global counter-culture, The economist, 5 february 2009 (www.economist.com); A green new deal?, The economist, 6 november 2008; A need to reconnect (Guerrera F.), The Financial Times, 12 maggio 2009 (www.ft.com); A new idolatry, The economist, 24-30 april 2010, p. 57-58; A New Shade of Green (Ruckelshaus W.), The Wall Street Journal, April 17, 2010 (www.wsj.com); A Return to Old-Fashioned Principles (Wheatcroft P.), The Wall Street Journal, April 29, 2010 (www.wsj.com); Benessere organizzativo (Grassi M.), L’impresa, 5/2009, pp. 6467; Comment mesurer le progrès demain, Les echos 11/06/2009 (www.lesechos.fr); Comment penser l’entreprise dans la mondialisation (Palpacuer M., Balas N.), Revue Française de Gestion 36/201, 2010, pp. 89-100; Creating a sustainable work system (Decherty P., Forslin J., Shani A. B., Esty D. C.), Routledge, London 2008 pp. 3-12 e pp. 5274 [first edition: Routledge 2002]; Creating value in an economic crisis (Clinton B.), Harvard Business Review, september 2009, pp. 70-71; Croissance verte: l’envers du décor (Vincent C., Bernard C.), Les echos 01/11/2009 (www.lesechos.fr); De nouveaux concepts pour s'imposer dans le débat d'idées (Lefevre J.), Les echos 11/12/2009 (www.lesechos.fr); Globalopoli generazione 3.0 (Cappellini M.), Il Sole 24 Ore, 20 Aprile 2010 (www.ilsole24ore.com); Green to gold: How Smart Companies Use Environmental Strategy to Innovate, Create Value, and Build Competitive Advantage (Easty D. C., Winston A. S.), Wiley-Blackwell 2009, pp. 145-156; Growing green: three smart paths to developing sustainable products (Unruh G., Ettenson R.), Harvard Business Review, June 2010, pp. 94-100; Il ritorno agli stakeholders (Cutillo G., Miggiani F.), L’impresa, 2/2010, pp. 70-72; Impact on society: Measuring how companies shape the world (Tieman R.), The Financial Times, July 8 2008 (www.ft.com); IT can do far more than reduce its own footprint (Larilahti A.), Financial Times, October 9 2008; La classifica mondiale della sostenibilità: Italia al 15° posto (Verunelli I.), Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2009 (www.ilsole24ore.com); La formazione dopo la crisi (Trupia P.), L’impresa, 1/2009, p. 92 ; La lutte pour le climat ne peut oublier les pauvres d'Europe (Spidla V.), Les echos 13/08/09 (www.lesechos.fr); La società post-crescita (Fabris G.), Egea, Milano 2010, pp. 1-6 e 227-269; Le dévèloppement durable. L’émérgence d’une nouvelle convention? (Rémillard D., Wolf D.), Revue Française de Gestion, 35/194, may 2009, pp. 29-43; L’impresa sostenibile (Grassi M., Guzzo A.), L’impresa, 8/2009, pp. 52-55; Leadership in the age of transparency (Kirby J., Meyer C.), Harvard business Review, april 2010, pp. 38-46; Mainstreaming Corporate Responsability (Craig N., Lenssen G.), John Wiley & Sons, Oxford 2009, pp. 2-6 e XV-XVII; M.B.A.s Seek Social Change (Middleton D.), The Wall street Journal, 15 october 2009 (www.wsj.com); Modelling sustainable development (Gerlagh R., Bosetti V., Schleicher S. P.), Edward Elgar, Cheltenham Glos 2009, pp. 3-12; Modernità sostenibile: idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi (Rullani E.), Marsilio, Venezia 2010, pp. 4372 e 103-125; Obiettivi di lungo termine centrati sull'ecologia (Cerizza, M. A.), Il Sole 24 Ore, 21 Settembre 2009 (www.ilsole24ore.com); Oltre la CRS (Ferrari L, Renna S., Sobrero R.), Isedi 2009, pp. 273-298 e pp. 299- 307; Pool di coach in azienda, L’impresa, 10/2009, pp. 68-73; Réguler « le système » ne suffit pas (Ewald F.), Les echos 13/10/09 (www.lesechos.fr); Richesse des nations et bien-être des individus: performances économiques et progrès social (Stiglitz J.E., Sen A., Fitoussi J.-P.), Odile Jacob, Paris 2009, pp.126-149; Sustainable value: How the World's Leading Companies Are Doing Well by Doing Good (Lazlo C.), Stanford Business Books, Stanford 2008, pp. 73-80; The age of customer capitalism (Martin R.), Harvard business Review, jan-feb. 2010, pp. 58-65; The Color of Money: sustainability has become more than a buzzword among corporations. It has become smart business (Mincer J.), The Wall Street Journal, 6 october 2008 (www.wsj.com); The competitive imperative of learning (Edmondson A. C.), Harvard business Review, jul-aug. 2008, pp. 60-67; The durable corporation: strategies for sustainable development 19 per la ricerca qualitativa Envivo allo scopo di mostrarne le ricorrenze nei discorsi, oltre che di fornire un quadro generale del pensiero recentemente prodotto sul tema delle innovazioni sostenibili. I testi sono stati selezionati secondo i criteri di completezza (contengono discorsi ricorrenti in altri testi) e di introduzione di innovazioni di prodotto e/o di processo, e di esempi di tali innovazioni. Ad emergere sono l’attenzione al valore extrafinanziario, lo spostamento di prospettiva sul lungo periodo e il principio di valorizzazione delle risorse legato ad una ripresa dei discorsi sulla sostenibilità del modello di sviluppo, che approfondiamo nell’analisi della letteratura e che la Postfazione contestualizza. L’idea di sviluppare i business del verde e del sociale per uscire dalla crisi, ricorrente nella letteratura selezionata, traduce l’appropriazione, da parte del capitalismo, dei valori in nome dei quali era stato criticato nella sua fase di sviluppo precedente, secondo il modello teorico di analisi sotteso alle ipotesi di ricerca. A livello di ricerca sul campo, l’équipe di ricerca ha individuato dieci imprese, sul territorio nazionale, che traducono in innovazioni le nuove richieste sociali di valorizzazione del contesto: i casi-studio che sono risultati da tale studio esplorativo - Innogest, Habitech, Foppapedretti, Loccioni, MarcoPolo Environmental Group, Welfare Italia Servizi, TheBlogTV, Engineering, Ferrero, Vita - sono riportati sottoforma di testi al capitolo 3. Tali casi costituiscono tracce concrete di un nuovo spirito del capitalismo che potrebbe dare origine, durante i prossimi decenni, ad un diverso agire economico, attento al sociale e all’ambiente. L’eterogeneità delle dimensioni delle imprese rientranti nel campione e dei settori a cui esse afferiscono ha costituito un primo criterio di selezione. Infatti, proprio la diversità dei settori in cui operano le imprese selezionate testa la compatibilità del principio di valorizzazione delle risorse in business che spaziano, ad esempio, dal finanziario (Innogest) al sanitario (Welfare Italia Servizi), dalla comunicazione (TheBlogTV) all’energia pulita (MEG), dall’ingegneria informatica (Engineering) all’alimentazione (Ferrero). Essendo il valore di contesto pluridimensionale, poiché esso si declina in almeno due dimensioni principali, ovvero il piano umano e sociale e il piano ambientale, un ulteriore criterio di selezione delle imprese rientranti nel campione è stato dettato dalla valorizzazione dei diversi piani, in base (Aras G., Crowther D.), Ashgate, London 2009, pp. 103-132; The new economics: a bigger picture (Boyle D., Simms A.), Earthscan Publications, London 2009, pp. 31-47 e pp. 109-120; The sustainability imperative (Esty D.C., Lubin D. A.), Harvard business Review, may 2010, pp.42-50; The very long view, The economist, 27 feb-5 mar 2010, p. 74; Verde è speranza con la green economy (Giliberto J.), Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2009 (www.ilsole24ore.com); Vers de nouveaux systèmes de mesures : Performances économiques et progrès social (Stiglitz J.E., Sen A., Fitoussi J.-P.), Odile Jacob, Paris 2009, pp. 45-49; Verso una governance sostenibile (O. P., F., V.), L’impresa, 4/2009, pp. 25-27; What’s needed next: a culture of candor (O’Toole J., Bennis W.), Harvard business Review, june 2009, pp. 54-61; Why sustainability is now the key dirver of innovation (Nidumolu R., Prahalad C. K., Rangaswami M. R.), Harvard business Review, september 2009, pp. 57-64; Why sustainability is still going strong (Vermeer D., Clemen R.), The Financial Times, February 12 2009 (www.ft.com). 20 alla quale sono state scelte imprese con spiccata vocazione alla sostenibilità umana e sociale, imprese con vocazione ambientale, e imprese forti in entrambi gli ambiti. Sul versante della valorizzazione dell’ambito umano e sociale spiccano, in particolare: Welfare Italia Servizi, impresa che valorizza le risorse sociali e di networking nell’ambito della cura alla persona nel suo contesto, e la cui cittadinanza d’impresa ha vocazione dichiaratamente politica di diventare la prima public company italiana; Innogest, uno dei pochissimi fondi italiani “Seed and Early Stage”, ovvero che assume il rischio di far decollare le idee finanziando start-up innovativi, a cui fornisce, in particolare, anche supporto di management e rete relazionale; TheBlogTV, che introduce sul web un modello innovativo per l’empowerment dei contenuti degli utenti e che è composta, per oltre il 90%, da giovani under 35; Vita, una S.p.a che non distribuisce dividendi, perché non si basa sul valore, ma sui valori sociali, che offre consulenza su questi temi e che sta per essere quotata in Borsa. Sul piano della valorizzazione dell’ambiente, casi eccellenti che si è scelto di approfondire sono il Marcopolo Environmental Group, che trasforma gli scarti in risorse, trasformando in energia le deiezioni animali, e Habitech, distretto di imprese trentine volto alla sostenibilità ambientale in ambito tecnologico, che offre identità alle imprese che lo compongono tramite un’aggregazione che dà a queste ultime identità, relazioni e specializzazione. Tra i casi selezionati che combinano nel modo più evidente le diverse dimensioni della valorizzazione, rientrano: Engeneering, che coniuga ad un’attenzione per il personale, per l’ambiente e per il sociale, una dimensione che potremmo chiamare civico-politica; Loccioni, che valorizza le risorse umane, anche quando escono dall’impresa, il territorio e l’ambiente e che affianca a ricerca e innovazione una sezione ricerca e sviluppo i cui progetti sono di lungo periodo; Ferrero, che è contemporaneamente attenta alle persone, in particolare al wellness dei dipendenti, al territorio e all’ambiente, in favore del quale l’azienda, tra altre iniziative, opta per il rifornimento di energia rinnovabile; Foppapedretti, un’impresa orientata al cliente le cui innovazioni sono volte a proporre soluzioni di qualità rispettose dell’ambiente, quand’anche sia molto oneroso, e che sulla qualità educa il cliente. Gli studi qualitativi di caso sono stati svolti sulla base di tre fonti: interviste ai vertici aziendali e/o ai responsabili del(i) settore(i) che declinano l’innovatività sostenibile dell’organizzazione, osservazione non partecipante in azienda e raccolta di documenti che includono materiali forniti dall’azienda, libri o tesi sull’impresa, sitografia. I testi che costituiscono i casi studio sono restituiti, al capitolo 3, in forma di testi organizzati secondo la griglia di rilevazione che l’équipe di ricerca ha centrato principalmente sui seguenti item: profilo dell’impresa, modello organizzativo e strategico (con particolare attenzione alle innovazioni che traducono i principi enunciati nella mission), risorse 21 umane, clima e cultura d’impresa, relazioni con gli stakeholders, dimensione economico-finanziaria della sostenibilità, dimensione umano-sociale della sostenibilità, dimensione ambientale della sostenibilità, bilancio e prospettive. All’interno delle aree di approfondimento - dimensione economico-finanziaria della sostenibilità, dimensione umano-sociale della sostenibilità, dimensione ambientale della sostenibilità - sono state indagate sia la connessione esplicita di tali aree con la strategia attuale dell’organizzazione, sia le eventuali difficoltà derivanti dalla ricerca di una gestione sostenibile delle risorse nelle diverse aree. Più nel dettaglio, per ciò che concerne la dimensione economico-finanziaria della sostenibilità, le variabili che sono state approfondite vanno dall’attenzione alla creazione di valore sul medio-lungo periodo, alla qualità e all’eticità delle pratiche commerciali, ai benefici economici per il più vasto contesto territoriale, ai meccanismi di ascolto e conoscenza degli attori rilevanti, alla diffusione del know how all’interno e all’esterno dell’impresa, agli strumenti di valutazione, monitoraggio e comunicazione degli impatti (in particolare rispetto alle ricadute extra-organizzative). Per ciò che concerne la dimensione umanosociale della sostenibilità, la ricerca ha rilevato e dettagliato le politiche di reclutamento e di retention del personale, la promozione della diversità organizzativa e dell’empowerment dei dipendenti, la cittadinanza dell’impresa nella comunità locale alla sua capacità di fare rete aggregando interessi e bisogni collettivi, il ruolo e il coinvolgimento di leadership e management rispetto all’ambito umano e sociale e l’impegno per il riconoscimento di giustizia sociale e diritti umani sul lavoro. La dimensione ambientale della sostenibilità, invece, è stata sondata in riferimento alle pratiche centrate sulla progettazione sostenibile del prodotto e del processo (dunque di approvvigionamento, produzione e logistica), all’attività in business ambientali, ai benefici organizzativi di business e sociali derivanti, al ruolo e al coinvolgimento di management e leadership rispetto all’ambito ambientale. Ad essi si aggiunge l’analisi dei meccanismi collettivi e di apprendimento e condivisione interna delle prassi e del know how relativi all’ambito ambientale, degli strumenti di gestione, valutazione e comunicazione degli impatti (con approfondimento ulteriore sulla formalizzazione eventuale della “politica ambientale”), dell’adesione a standard certificati e della valutazione dei benefici rispetto agli investimenti effettuati. Nell’area bilancio e prospettive, sono state indagate, secondo check list, l’integrazione delle aree di sostenibilità e la percezione del contributo portato al processo di sviluppo sostenibile, l’evoluzione delle motivazioni e delle declinazioni dell’orientamento alla sostenibilità, le sfide future che si profilano per l’impresa, i punti di forza e le criticità di business context-sensibles. Senza voler anticipare le conclusioni, i casi confermano la riconcettualizzazione del valore della sostenibilità definita dall’analisi della letteratura, come vantaggio competitivo e come business, rispondendo all’obiettivo di individuare segni tangibili di nuovi modelli di business. 22 CAPITOLO II L’analisi della letteratura economica e manageriale internazionale 2.1 Fondamenti dell’analisi Con l’ausilio del software per la ricerca qualitativa Envivo, abbiamo analizzato oltre 50 testi di letteratura manageriale ed economica nazionale ed internazionale, tra cui articoli apparsi su giornali economici - Il Sole 24 ore, The Wall Street Journal, The Times, Les Echos - e su periodici economici destinati ad operatori economici di diversi settori e livelli - Harvard Business Review, The Economist, L’impresa, Revue Francaise de Gestion - e capitoli di libri (tutti i testi sono segnalati a parte in Bibliografia). I testi, tutti pubblicati tra il 30 giugno 2008 e il 1 luglio 1010, e analizzati in lingua originale, sono stati selezionati secondo il duplice criterio della completezza (racchiudono discorsi di altri testi) e della loro introduzione di proposte di innovazione manageriale e di modello di business. Nella letteratura analizzata, la crisi finanziaria ed energetica iniziata nel 2008, è letta come crisi di sostenibilità24 e come crisi di responsabilità - eg. “Cette crise est une immense crise de la responsabilité” (Réguler « le système » ne suffit pas, Les Echos 2009)25. La definizione forse più inclusiva di impresa irresponsabile è fornita da Gallino: “Si definisce irresponsabile un’impresa che, al di là degli elementari obblighi di legge, suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, né all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività”26 (Gallino 2009, Introduzione, p. VII). La crisi è dunque stata volano di critiche al modello di sviluppo del pre-crisi e di proposte per un modello nuovo di impresa, che riconcettualizza il legame con i contesti in cui l’impresa opera e, contemporaneamente, mostra le nuove opportunità di business iscritte in tale riconcettualizzazione – eg. “Pressing ecological and social challenges have become big business 24 Eg. “La crisi della sostenibilità ha almeno quattro epicentri diversi, che s'intrecciano tra loro: la crescita dissipativa delle quantità; la perdita di controllo sulla complessità, associata a disuguaglianze e conflitti crescenti; la perdita di senso nella produzione e nel consumo; la svalorizzazione delle ecologie naturali e dei commons cognitivi” (Rullani 2010, p. 37). 25 Eg. “Irresponsabilité d'institutions financières géantes, qui n'ont pas hésité à spéculer sur la maxime : « too big to fail ». Les pertes seront socialisées, quand les profits resteront privés. Irresponsabilité aussi de leurs dirigeants, qui n'ont cessé de s'organiser pour n'avoir pas à être responsables” (Ibidem). 26 “Tra queste vanno considerate: le strategie industriali e finanziarie; le condizioni di lavoro offerte ai dipendenti nel paese e all’estero; le politiche dell’occupazione; il rapporto dei prodotti e dei processi produttivi dell’ambiente; l’impiego dei fondi che le sono stati affidati dai risparmiatori in forma di azioni e obbligazioni; la redazione dei bilanci; la qualità conferita ai prodotti; i rapporti con le comunità in cui opera; le localizzazioni e le delocalizzazioni delle attività produttive; il comportamento fiscale” (Ibidem). 23 opportunities” (Lazlo 2008, p. 75). In tale letteratura, le proposte di un rinnovamento dei modelli di business, poste come condizione per la sopravvivenza di molte imprese, prendono le mosse dalle critiche di shortermismo, e di creazione di valore per i soli shareholders27 - eg. “«Immediate shareholder value maximisation, by itself, was always too short-term in natur» says Jeffrey Sonnenfeld at Yale School of Management. «It created a fleeting illusion of value creation by emphasising immediate goals over long-term strategies.» (A need to reconnec, FT 2009). Il problema dello shortermismo, con particolare riferimento agli azionisti e ai manager, è stato trattato a più riprese, nel corso del 2010, perfino dal giornale liberal per eccellenza, The Economist28. Alle critiche menzionate si affiancano quelle di riduzionismo29 economicista rivolte al modello di capitalismo manageriale azionario, che consuma risorse senza rigenerarle, dunque distrugge valore30 e scarica i propri costi sulle collettività - eg. “Non si può (…) continuare a trasferire sulle collettività certi costi sociali, come il disinquinamento, che dovrebbero essere imputati ai processi produttivi (…) I costi vengono pagati dalla collettività o trasferiti nel tempo scaricandoli sulle generazioni future” (Stefano Draghi in Ferrari-Renna-Sobrero 2009, p. 290). Di converso, come dettagliamo al paragrafo seguente dedicato al modello di impresa emergente, valorizzatrice delle risorse, le organizzazioni che la letteratura definisce virtuose sono caratterizzate da un’attenzione al valore extra-finanziario, che implica una più ampia concezione della ricchezza – eg. “By narrowing the definition of what constituted wealth we ended up narrowing all our lives” (Byle-Simms 2009, p. 38). Esse sono dunque sostenibili, perchè rigenerano le risorse31 in una prospettiva di lungo periodo – “The future orientation of performance management necessitate the creation of value over the longer term for all stakeholders” (Aras - Crowther 2009, p. 109). 27 Critica che, nel dopo-crisi, ha trovato ampia diffusione anche sulla stampa quotidiana generalista mondiale, per citarne solo pochi casi, all’infuori della letteratura analizzata: La grande crisi finanziaria può essere un’opportunità per trovare nuovi equilibri. I leader del futuro? Socialmente responsabili, Corriere Economia, E. Comelli 5 ottobre 2009; Il est temps de rompre avec les excès de l'idéologie actionnariale, Le Monde, P. Todorov, 11 Février 2010; Innovation leads to prosperity, Chinadaily, Z. Muzi, 2010-02-26; Is the plc a bankrupt model for business? Bankers’ bonuses are not the real problem; it’s the pursuit of short-term gain for shareholders, The Times, C. .Mayfield, September 9 2009; The Dharma Of Capitalism, Times of India, G. Das, 21 August 2009. 28 Eg. “Last year a task force of doughtily American investors (including Warren Buffett, Felix Rohatyn and Pete Peterson among others) convened by the Aspen Institute, a think-thank, published a report called Overcoming shorttermism. It advocated various measures to encourage investors to hold shares for longer, including withholding voting rights from new shareholders for a year”(A different class, The Economist 2010, p. 62); “Investors must learn to focus on the long term” (The very long view, The Economist 2010, p. 74). 29 Eg. “(…) la razionalità di cui si parla, dalla rivoluzione industriale in poi, è una razionalità dichiaratamente parziale. Non solo perché usa un metro di misura (il denaro) che riduce a un numero situazioni ed eventi complessi, multidimensionali; ma perché non riesce a gestire in modo efficace le persone, le ecologie e i beni comuni” (Rullani 2010, p. 47). 30 “Dalla creazione alla distruzione del valore” è il sottotitolo del capitolo X (“L’impresa irresponsabile all’opera”), di Gallino 2009. 31 Eg. “Sustainable work systems are based on the idea of re generation and development of human and social resources. In sustainable work systems resources are not consumed, but allowed to grow” (Docherty-Esty-Forslin-Shani 2002, p. 2). 24 Per valori extrafinanziari che devono orientare le imprese, si intendono lo sviluppo sociale, umano con i temi di equità, sostenibilità e sviluppo del capitale umano32 - e ambientale - con i temi del climate change e della riduzione dell’impatto ambientale, in cui l’innovazione tecnologica ha un ruolo cruciale, e della tutela del patrimonio ecologico e della (bio)diversità. L’ampliamento della nozione di valore a criteri extra-finanziari - eg. “[Megatrends] are expanding the scope of what it means to create business value from a narrow shareholders focus to one that includes stakeholders value based on the economic, environmental and social impacts a company has on its diverse constituents” (Lazlo 2008, p. 77) - pone il problema della metrizzazione degli assett non economici a cui si è fatto riferimento nell’introduzione del presente report. In tale ampliamento rientra quindi il monito di includere tutti gli stakeholders, o gli stakeholders prima sacrificati33 - eg. “La capacità di un’impresa di generare valore nel lungo periodo dipende dalla sua capacità di soddisfare tutti gli attori del contesto economico e sociale” (Il ritorno agli stakeholders, L’impresa 2010, p. 70) - e porta con sé l’idea di ampliamento anche nella prospettiva temporale (risultati) e spaziale (impatti) del fare profitto dell’impresa. L’ampliamento della prospettiva temporale è supportato dalla condanna unanime, che abbiamo menzionato, dello shortermismo34 e dall’enfasi sulle generazioni future – eg. “Our children and grandchildren will reap the gains of any costs that we bear in reducing our current use of carbon” (A New Shade of Green, WSJ 2010). L’ampliamento nella prospettiva spaziale, invece, è dato dall’allargamento dell’ecosistema di riferimento dell’impresa, potenzialmente l’intero pianeta – eg. “The planet is now a major stakeholder in industry, as its power and influence grow, the only question that matters is how to accommodate our new stakeholder” (IT can do far more than reduce its own footprint, FT 2008). Ne è esempio la proposta, già accolta da alcune grandi imprese, di riconsiderare il proprio impatto sociale e ambientale in ogni fase della catena del valore sui diversi territori in cui operano (Craig N., Lenssen G., 2009). Si registra un passaggio, unanimemente sottolineato nella letteratura analizzata, dalla vecchia responsabilità sociale dell’impresa, marginalizzata come fonte di costi, all’idea di business del verde e del sociale, di trasformazione della sostenibilità in vantaggio competitivo (prima riconcettualizzazione) e in una fonte di profitti (seconda trasformazione). Su tale passaggio si centra il paragrafo 1.3. La figura su cui si regge tale letteratura è quella dell’ecosistema in equilibrio – eg. 32 Tra gli altri, vedi in particolare Stigliz-Sen-Fitoussi 2009. Per proporre un altro esempio: “Rather than an ownership approach to accountability, a stakeholder approach, recognising the wide stakeholder community, is needed.” (Aras-Crowther 2009, p. 113). 34 Eg. “Veniamo da un momento in cui il focus dell’azienda era centrato sulle trimestrali, una concezione malsana che porta necessariamente a concentrarsi sulla performance gestionale di brevissimo periodo, non consentendo lo sviluppo e l’attuazione di un pensiero strategico di medio-lungo periodo” (Leonardo Totaro in Ferrari-Renna-Sobrero 2009, p. 294). 33 25 “Lors du récent sommet de Copenhague, les rôles et responsabilités des pays face aux enjeux de réduction des émissions de gaz à effet de serre, furent l’objet de tractations et négociations dont les fragiles équilibres - et les flagrants déséquilibres - pourraient se lire (…) selon le prisme des interdépendances nouvelles qui relient les économies nationales entre elles en contexte de mondialisation” (Comment penser l’entreprise dans la mondialisation? Revue Française de Gestion, 2010, p. 89). Laddove la preoccupazione è permettere uno sviluppo duraturo delle risorse, prevedibilmente nella letteratura trovano grande spazio elementi riconducibili alla green economy35 che è indicata come il volano di una nuova fase industriale – eg. “Oggi la "green economy" è quel segmento economico che (...) diventa un'occasione di fatturato, di arricchimento (in senso stretto ma anche in senso figurato” (Verde è speranza con la green economy, Il Sole 24 Ore 2009). Il bene a cui si riferisce più spesso è la salute degli uomini e del pianeta – eg. “We are all stakeholders in our children’s future and in the future of our planet, and by working together we can build an economy in which everyone can benefit form the free market” (Creating Value in an economic crisis, HBR 2009, p. 71). I tratti ricorrenti e specifici dell’impresa del futuro, che andiamo a descrivere nel prossimo paragrafo, derivano dal sistema di valori che è sotteso alla letteratura manageriale analizzata, le cui radici sono state ricordate nell’introduzione del presente report. Un’idea sintetica del mutamento di paradigma assiologico che si profila nella letteratura è offerta dalle seguenti ricorrenze che scegliamo di riportare, segnalando, come termine di confronto, che ad esempio la parola “business” compare 272 volte, e la parola “owners” 21 volte: 35 Tra questi elementi, ad esempio, le fonti energetiche alternative, declinate in un campionario che va dai mulini a vento alle centrali idro-elettriche ai pannelli solari, le leggi e i regolamenti per la riduzione delle emissioni e i dispositivi che ne accompagnano l’osservanza, dal cap-trade agli incentivi per l’auto elettrica, alla regolamentazione sullo smaltimento dei rifiuti, dalla raccolta differenziata al riciclo dei materiali – eg. “Just as information technology explode in the 1990s, green technology is set to be the next major growth sector. Renewable Energy, sustainable agriculture, green building design, eco-friendly construction and retrofits, greater efficiency in lighting and appliances, smart grids, and clean-energy transportation are all markets that promise to generate jobs and profit globally. Companies are also «going green» by producing and packaging the products they sell with less material and more recycled content, which conserves natural resources, reduce shipping costs, and cut carbon emissions” (Creating value in an economic crisis, HBR p. 71). 26 Tabella 1 - Ricorrenza totale di parole scelte nei testi analizzati Parola scelta dai testi analizzati Ricorrenza della parola nei testi analizzati (somma) Ambiente (environment/environnement) + natura (nature/nature e derivati: eg. natural) 286 Sociale (social/social(e)) + società (society, société) 406 Responsabilità (responsability/responsabilité) + RSI (CSR, RSE) 453 Sostenibilità/sostenibile (sustainability/durabilità, développement durable) 617 Globalizzazione/globale/pianeta (globalisationglobal/mondialisation/mondial/planet/planète) 258 2.2 Il modello di impresa emergente. Quale modello di impresa emerge dalla letteratura analizzata? Il modello normativo proposto si impernia sulla valorizzazione delle risorse intesa come investimento nel sociale e nell’ambiente eg. “Today, being a good corporate citizen requires more than business as usual – it requires investments in society and the environment. Short-term thinking got us to the financial mess, and long-term investments that also benefit the world around us can led us out of it” (Creating value in an economic crisis, HBR 2009, p. 71). In tale modello, come dettaglieremo al paragrafo 1.3, la responsabilità sociale dell’impresa fa parte della strategia aziendale. Nel sistema di valori in via di formazione, la buona organizzazione è responsabile verso l’intera società e il suo futuro – eg. “Converts to the creed had little time for other stakeholders: customers, employees, suppliers, society at large and so forth (…)” (A new idolatry, The economist, 2010, p. 57); La corretta concezione win-win, quella a cui dovrebbe essere ispirata la stakeholder vision consiste in un impegno forte verso la massimizzazione dei benefici per la società intera di cui l’azienda è consapevole di fare parte (…) L’interlocutore dell’azienda è la società. Sociale inteso come vita collettiva.” (Ferrari, Renna, Sobrero 2009, p.277). L’organizzazione modello facilita lo sviluppo delle risorse e delle diverse ecologie in cui opera, rispettandone le specificità36 e unisce sostenibilità economica, sociale e ambientale - eg. “[le 36 “Persone, ecologie e beni comuni (commons) sono dotati di unicità, storia, capacità di auto-organizzazione e di autorappresentazione, e sono stati fondamentali per secoli, nell'organizzazione produttiva premoderna” (Rullani 2010, p. 47). 27 recadrage du model actionnarial au modèle du DD] s’instrumente à l’intérieur d’une pluralité de décisions et de pratiques de gestion économiquement viable, socialement équitable et soutenable d’un point de vue environnemental » (Le développement durable, revue Française de Gestion 2009, p. 40). Le organizzazioni modello considerano i propri impatti sugli stakeholders - eg. “(…) les dirigeants des grandes entreprises sont désormais tenus d’agir de manière responsable et pour cela soupeser les incidences économiques, environnementales et sociales de leurs décisions” (Ibidem, p. 30)37. Esse riconoscono e internalizzano le eventuali esternalità che producono - eg. “The key to becoming a contemporary corporate leader is to take on responsibility for externalities - what economists call the impact you have on the world” (Leadership in the age of transparency, HBR 2010, p. 38). L’organizzazione modello favorisce lo sviluppo e l’empowerment del lavoratorepersona - eg. “Conviene all’azienda che il lavoratore-persona a ogni livello sia valorizzato nella sua peculiarità d’iniziativa e capacità decisionale, in una parola che sia empowered” (La formazione dopo la crisi, L’impresa 2009, p. 92) - occupandosi anche di ben-essere e salute di tutte le risorse umane - eg. “Una sostenibilità della gestione delle risorse umane che non può solo identificarsi nelle attuali dinamiche socio-economiche, con la Long Life learning nel lato cognitivo (sviluppo continuo di competenze e di impiegabilità delle risorse umane), ma che deve considerare anche la parte bio-psichica-sociale del coinvolgimento, della salute e dell’integrazione di tutti i lavoratori” 38 (Benessere organizzativo, L’impresa 2009, p. 67). In questo, l’organizzazione è attenta alla sicurezza delle risorse umane, nella sua accezione legalmente più ampia39, dunque anche psicologica: “Psychological safety does not operate at the expenses of employee accountability; the most effective organisations achieve high levels of both” (The competitive imperative of learning, HBR 2008, p. 64) oltre che alla loro formazione40. 37 “La convention du DD présente actuellement une solution “satisfaisante” et légitime aux problèmes de coordination des intérêts des parties prenantes en permettant de rallier plus harmonieusement leurs attentes dans une perspective à long terme” (Ibidem). 38 Altro esempio: “Les enjeux prioritaires (…) sont directement liés aux problématiques de santé et de sécurité au travail (…) et aux droits de l’homme, notamment pour les filiale set sous-traitants étrangers” (Le Développement durable, Revue Française de Gestion 2009, p. 37) 39 Le leggi sulla sicurezza si ampliano ad includere lo stress dei dipendenti inteso innanzitutto come consumo di risorse psicologiche, dall’Accordo europeo dell’(/!0/2004, diversamente tradotto nei paesi membri – in Itlai dal Dl 81/08. La rigenerazione del capitale umano, come valorizzazione delle risorse psico-fisiche, oltre che delle competenze professionali degli attivi, che si oppone al burn-out, alla depressione e allo stress lavoro-correlato – è considerata un elemento imprescindibile di un sistema di lavoro sostenibile (Docherty-Esty-Forslin-Shani 2002). Esempio: “le situazioni stresso gene predispongono gli individui a rischio sicurezza e salute/malessere in quanto situazione di squilibrio psico-sociale che comporta il dispendio, nonché lo spreco, di risorse umane e sociali” (Benessere organizzativo, L’impresa 2009, p. 65). 40 La letteratura riporta esperimenti di insegnamento diffuso, di Faculty interne ad alcune imprese e di coaching che può essere legato alla RSI (su quest’ultimo punto vedi anche: Dirigenti in cattedra, L’impresa 2/2010, p. 74). 28 Valorizzando la diversità come risorsa41, l’impresa la supporta anche al proprio interno, proponendo modelli inclusivi di leadership42 volta alla sostenibilità nelle sue diverse declinazioni – eg. “(…) it appears that the new metric of corporate leadership will be closer to this: the extent to which executives create organizations that are economically, ethically and socially sustainable” (What’s needed next: a culture of candor, HBR 2009, p. 56). Questo in un clima di trasparenza e di condivisione delle informazioni – eg. “Organizational transparency makes sense rationally and ethically, and it makes business run more efficiently and effectively (…) Leaders need to be role models: they must more information, look for counterarguments, admit their own errors, and behave as they want the others to behave” (Ibidem, p. 57-58). Di converso, sono condannate le imprese che consumano le risorse a detrimento del ben-essere dell’insieme degli stakeholders - eg. “(…) La prédominance des intérêts des actionnaires (…) aurait exacerbé les comportement court-termistes et cela au détriment du bien-être de l’ensemble des parties prenantes de l’entreprise” (Le développement durable, Revue Française de Gestion 2009, p. 30). Le cattive organizzazioni dissipano le risorse comuni43, abusando dei beni comuni - eg. “Trade masks corporate or National abuse of the global commons, using an un fair share of ressources like fossil fuel and open sea fisheries” (Boyle-Simms 2010, p. 113) – anziché valorizzarli44. L’antieroe è, per questo, l’impresa che sfrutta intensivamente l’ambiente e il sociale - eg. (…) Les dispositifs de régulation mis en place restent largement inopérants face au système d’exploitation sociale et environnementale promu à grande échelle au sein des chaines globales de valeur” (Comment penser l’entreprise dans la mondialisation, Revue Française de Gestion 2010, p. 96). In questo modo, essa danneggia le ecologie45 e impoverisce i contesti in cui opera, mentre l’organizzazione modello valorizza competenze e risorse locali – eg. “[les entreprises] qui participent à la CGV spécifique (…) valorisent et renouvellent les ressources et compétences locales (…)” (Ibidem, p. 98). 41 Come predicato dai tanti testi esistenti sul diversity management, al di fuori della bibliografia analizzata, si rimanda ad esempio al numero 3/2009 di Hamlet, rivista dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, in particolare a: La responsabilità sociale di fronte alla crisi (Rebora G., Hamlet 3/2009): “[Le HR] sapranno assumere un ruolo di integratori della diversità all’interno delle organizzazioni (www.aidp.it). Sulla trasformazione dell’obiettivo dell’unità risorse umane in impresa - passato dall’amministrazione del conflitto, al cui scopo erano state introdotte diffusamente nelle imprese negli anni ’60-’70, alla valorizzazione del capitale umano – e sul nesso tra tale trasformazione e l’emergere dell’economia della conoscenza, rimandiamo in particolare a Boldizzoni 2003. 42 Per le similitudini con lo stile coaching, vedi ad esempio Bodega 2002; sulla diffusione del coach vedi ad esempio: Pool di coach in azienda, L’impresa, 10/2009. 43 Eg. “[La distorsione razionalistica] ha cercato di decomporre le ecologie naturali, biologiche e sociali ereditate dalla storia, riducendole a pura e semplice fonte di materiali grezzi (…) la modernità ha trascurato o dissipato i beni comuni, attribuendone la gestione al mercato o allo Stato” (Rullani 2010, p. 45). 44 Eg. “I beni comuni, in questa prospettiva, non devono soltanto essere usati in modo efficiente o essere conservati/tutelati dagli usi dissipativi. Bisogna fare molto di più, imparando a valorizzarli” (Rullani 2010, p. 107). 45 Eg. “Bisogna rendersi conto del fatto che la natura dissipativa dello sviluppo (…) ha manomesso le ecologie naturali e sociali ereditate dal passato (…)” (Rullani 2010, p. 43). 29 Sa la prova della bontà dell’azione dell’impresa è un risultato positivo nella durata, come acquisizione equilibrata di valore delle risorse nel tempo, ovvero come creazione di valore sul lungo periodo – eg. “Le DD trouverait sa légitimité auprès des parties prenantes parce qu’il permet une meilleure conciliation de leurs intérêts dans une perspective de création de valeur à long terme” (Le développement durable, Revue Française de Gestion 2009, p. 21) -, l’impresa ideale sottostà a tre vincoli, in particolare, che la letteratura stessa presenta contemporaneamente come necessari e di difficile applicazione. Il primo vincolo è che l’impresa non effettui un trade-off tra le risorse, secondo il principio di equità. Ovvero, che l’impresa non valorizzi alcune risorse a detrimento di altre, come ad esempio nella costruzione di case ecologiche a prezzi tali da non permettere l’housing a diversi gruppi sociali o nel perseguire la sostenibilità su un livello sfruttandone un altro – eg. Eg. “Post-crescita significa perseguire un tipo di crescita diversa, che coniughi la compatibilità ambientale con quella psicologica e sociale. Una green economy che non sia soltanto verde – essa non può certo disinteressarsi dei livelli occupazionali, che devono costituire una costante fonte di attenzione, ma non un alibi per legittimare qualsiasi tipo di crescita – rivolta a soddisfare consistenti sistemi di bisogni e non a moltiplicare desideri o a generare pretestuose esperienze” (Fabris 2010, p. 4); “At the organizational level, sustainability means potential for competitive existence. A sustainable organisation is able to realise its potential and to generate value continuously for its stakeholders. Sustainability – as we understands it – encompasses three levels: the individual, the organizational and the societal. Sustainability at one level cannot be built on the exploitation of the others. These levels are intimately related to the organization’s key stakeholders: personnel, consumers, owners and society. An organisation cannot be sustainable by prioritizing the goals and needs of some stakeholders at the expenses of others, for example customers and owners at the expenses of personnel (through their exploitation) or of society (through environmental neglect)” (Docherty, Esty, Forslin, Shani 2002, p. 12). Si aggiunge che le risorse impattate e le conseguenze delle azioni appartengono di norma a diversi territori - eg. “ (…) certaines initiatives destinées à réduire l'impact des changements climatiques sur l'écosystème peuvent conduire à une marginalisation des membres les plus pauvres de notre société. Les biens électroniques et les voitures à faible consommation énergétique sont certes d'une utilisation peu coûteuse, mais leur prix d'achat initial est élevé. La possibilité de réductions fiscales pour les ménages économes en énergie tout comme les taxes punitives perçues à l'encontre de consommateurs plus énergivores risquent d'accroître le fossé entre les riches et les pauvres d'Europe. La seule manière de remporter la lutte contre les changements climatiques est de produire une stratégie qui fonctionne - une stratégie qui surmonte l'épreuve du temps, équitable pour tous les membres de la société. Généralement, les aspects 30 techniques de l'économie verte sont surestimés, tandis que les aspects sociaux ne bénéficient pas d'une attention suffisante.” (La lutte pour le climat ne peut oublier les pauvres d'Europe, Les Echos 2009). Tale dispersione geografica delle attività dell’organizzazione implica un secondo vincolo, ovvero che l’impatto dell’azione dell’organizzazione non sia calcolato solo nel suo output, ma durante le sue diverse fasi, dunque in una prospettiva estesa a tutti gli anelli della catena del valore46 e a tutto il ciclo di vita del prodotto – eg. “Life-cycle assessment is particularly useful: it captures the environment-related inputs and outputs of entire value chains, from raw materials supply through product use to returns (…) To design sustainable products, companies have to understand consumer concerns and carefully examine product life-cycles” (Why sustainability is now the key driver of innovations, HBR 2009, p. 59 e p. 63). In questa direzione vanno alcune tra le recenti proposte di ampliamento della nozione di corporate social responsability secondo le quali, come vedremo al paragrafo seguente, occorre passare da una logica di compatibilità e di compensazione dei danni ad una di valorizzazione delle risorse. Le nuove opportunità di business sono infatti accumunate dalla produzione di beni con alto valore contestuale, mentre sono devalorizzati i beni la cui produzione o consumo determina esternalità negative sul piano ambientale e/o sociale – ad esempio, i prodotti fabbricati in luoghi che non rispettano i diritti umani e, più estesamente, sono criticati i prodotti che non bilanciano le sostenibilità nei diversi ambiti, che quindi si offrono a critiche di insostenibilità su un piano. Un terzo vincolo è costituito dal fatto che l’organizzazione ideale non effettui trade-off entro una stessa risorsa, secondo un principio di equilibrio - è il caso della crescita di produttività di un suolo tramite fertilizzanti che sul lungo periodo distruggono il terreno stesso o, ancora, è il caso dell’aumento dell’occupabilità che si ottenga attraverso la richiesta di auto-sfruttamento dell’effettivo, ad esempio, per mezzo di un prolungamento dell’orario di lavoro che ne disequilibra il working-life balance – eg. “The balance between work and life also emerged a major concern for many (…) Human resources' consumption is always characterized by some kind of an imbalance between people and their work” ((Docherty, Esty, Forslin, Shani 2002, p.10). Infine, la letteratura analizzata segnala come possibili alcune ambiguità da parte dell’impresa profit in cui la sostenibilità economica sia presentata come mezzo per altre sostenibilità. Tra queste, 46 Eg. “Sustainability in the 21 century will require companies to «go deep, go wide and go local». «Going deep» means institutionalising sustainability into the company’s DNA to the extent that it becomes part and parcel of strategy. «Going wide» implies a full understanding of how sustainability impinges on every aspect of the organization’s value chain. Finally, «going local» paradoxically goes hand in hand with globalisation, forcing companies to examine their global operations in order to identify and ameliorate specific local issues” (Why sustainability is still going strong, Ft 2009). 31 emergono le accuse di greenwashing - eg. (…) understanding customers’ expectations and competitors’ capabilities and aligning offering and message to prevent charges of greenwashing are essentials to success” (Growing Green, HBR 2010, p. 97) - e di strumentalizzazione, laddove la pubblicizzazione della valorizzazione di una risorsa da parte di un’impresa è sospettata di avere la funzione di occultare lo sfruttamento, presente o passato, di un’altra47. Quest’ultimo è il caso di conflitto tra diverse sostenibilità, dunque di non rispetto del primo vincolo. 2.3 La sostenibilità come vantaggio competitivo e come business dell’impresa. Per legittimarsi, e per aprire nove strade al profitto, la letteratura analizzata indica alle imprese profit di includere nella strategia la logica della valorizzazione nei suoi diversi ambiti – eg. “Manager must grapple with increasingly complex social and environmental problems as an integral part of business strategy and operations” (J.F.Brown e T.H. Robertson in Craig-Lenssen 2009, Foreward, p. XVII). Tale logica viene tradotta nella letteratura in termini di sostenibilità - da precedente paragrafo, il modello di impresa emergente è essenzialmente quello di un’impresa sostenibile48, ma l’espressione viene riconcettualizzata rispetto al suo significato canonico. Mostriamo di seguito, sempre attraverso evidenze-esempi estratti dalla letteratura come la sostenibilità sia passata dall’essere considerata un costo dell’impresa ad un vantaggio competitivo (prima trasformazione) e ad essere proposta, nelle formulazioni più radicali, come un business in sé (seconda trasformazione) attraverso la nozione di “innovazione sostenibile”. Nella letteratura analizzata, la sostenibilità implica la responsabilità intesa come creazione di valore per gli stakeholders oltre che per gli shareholders – eg. “Stephen Green, the chairman of HSBC (…) argued: «For any organisation, to be sustainable, it must serve the interests of all its stakeholders».” (A return to old-fashion principles, WSJ 2010); “Sustainable value occurs only when a company creates value that is positive for its shareholders and its stakeholders” (Lazlo 2008, p. 123). In questo essa si lega ad una RSI naturale, ovvero riferita alla natura propriamente sociale dell’impresa (Sena 2009), e non di facciata, al punto che nella letteratura analizzata “sostenibilità” e “responsabilità sociale” sono utilizzate più spesso come sinonimi. La letteratura più recente in materia di responsabilità sociale ne predica, infatti, la necessaria inclusione nella strategia aziendale come profittevole pratica di sostenibilità – eg. “The business case at the level of the firm is becoming increasingly clear as more companies are coming to understand that, aside from any 47 Ad esempio, nei casi Nike e Coca-Cola. Per un approfondimento del legame tra gli scandali societari degli anni ’90 e lo sviluppo della discussione sulla Corporate Social Responsibility, rimandiamo a Gallino 2009. 48 Eg. The durable corporation, Aras-Crowther 2009. 32 moral obligation, it is in their economic interest to address environmental, social and governance issues and in a manner that is integrated with their strategy and operations”(Craig-Lenssen 2009, p. 2)49. Nella letteratura analizzata, la sostenibilità valorizzatrice degli stakeholders è richiamata come una necessità, poiché aumenta le possibilità di sopravvivenza delle imprese stesse nel medio-lungo termine - eg. “Most executives know that how they respond to the challenge of sustainability will profoundly affect the competitiveness and perhaps even the survival of their organisations (...) Sustainability is an emerging business mega-trend like electrification and mass production” (The sustainability imperative, HBR 2010, p. 45) - e come una fonte di vantaggio competitivo - eg. “In the future, only companies that make sustainability a goal will achieve competitive advantage. That means rethinking business models as well as products, technologies and processes” (Why sustainability is now the key driver of innovation, HBR 2009, p. 58). Nell’alveo di questa prima reinterpretazione della sostenibilità, nella letteratura analizzata vengono menzionati i vantaggi dell’introduzione di un modello di sviluppo sostenibile nella governance strategica, ben riassunti nella seguente carrellata: “L’introduzione di un modello di sviluppo sostenibile nella governance strategica e l’integrazione di ogni funzione dell’organizzazione permette di ottimizzare i costi, creare innovazione, aumentare la capacità di attraction e retention dei talenti e della clientela, migliorare il clima aziendale e la perfomance dei dipendenti, incrementare il valore per gli shareholders”50 (Verso una governance sostenibile, L’impresa 2009, p. 27). Non si prospettano, quindi, vantaggi in prima istanza in termini di immagine e di reputazione, che potevano rientrare nelle vecchie concezioni della RSI (Lazlo 2008) e della sostenibilità – eg. “Ormai anche in Italia molte imprese di diverse dimensioni hanno sposato la sostenibilità come strategia e non solo come un restyling di immagine” (L’impresa sostenibile, L’impresa 2009, P. 54). I vantaggi che la letteratura analizzata prospetta sono direttamente profitorinted: tra essi figura, oltre all’attrazione e retention del personale51 e della clientela – 49 Eg.. “Non si tratta più di distribuire in charities una piccola frazione dei profitti, bisogna mettere in atto un più ampio disegno strategico” (Leonardo Totaro in Ferrari- Renna-Sobrero 2010, p.295). Vedi anche, tra altri, Griseri-Seppala 2009. 50 “(…) la sostenibilità è al centro della terza rivoluzione industriale e unico antidoto per superare la crisi” (Ibidem). 51 Eg. “Recruiting and retaining the right kind of people is important. Recent research suggests that three-fourths of workforce entrants in the United States regard socially responsibility and environmental commitment as important criteria in selecting employees” (Why sustainability is now the key driver to innovation, HBR 2009, p. 64) - e la motivazione del personale. Rispetto a quest’ultima vale la pena di menzionare come spiegare le motivazioni al lancio del programma “Danone supporting life”, Jean Cristophe Laugée, direttore della responsabilità sociale di Danone, abbia richiamato tre fattori: la risposta alle attese della società civile, il bisogno dell’impresa la cui durabilità si basa sul suo impegno nel costruire progetti impattanti e di lungo periodo e il bisogno di motivazione dei salariati, che cercano un senso nuovo nel lavoro che può essere colmato dalla partecipazione a progetti sociali nell’ambito del lavoro (www.danone.com). 33 sull’aumentata sensibilità della clientela per i valori contestuali torniamo a conclusione del presente paragrafo -, la capacità innovativa - eg. “Our research shows that sustainability is the mother lode of organizational and technological innovations that yield both the bottom-line and top-line returns. Becoming environmental-friendly lowers costs because companies end up reducing the inputs they use. In addition, the process generates additional revenues from better products or enables companies to create new businesses. In fact, because those are the goals of corporate innovation, we find that smart companies now treat sustainability as innovation’s new frontier” (Why sustainability is now the key driver of innovation, Harvard Business Review 2009, p.57). L’innovazione sostenibile è il cavallo di Troia per il passaggio dalla prima reinterpretazione della sostenibilità come vantaggio competitivo alla seconda interpretazione della sostenibilità come business: “Sustainability innovations become the source of new revenues and growth” (Ibidem, p. 47). La sostenibilità è diventata un business eg. “Sustainability has become more than a buzzword among corporations. It has become smart business.” (The color of Money, WSJ 2008). La declinazione green dell’idea è ben riassunta da Unruh ed Ettenson: “(…) thank to the aggressive leadership by some of the world’s biggest companies – Wal-Mart, GE, and DuPont among them – green growth has risen to the top of the agenda for many businesses. From 2007 to 2009 ecofriendly products launches increase by more than 500%. A recent IBM survey found that two-thirds of executives see sustainability as a revenue driver, and half of them expert green initiatives to confer competitive advantage. This dramatic shift in corporate mind-set and practices over the past decade reflects a growing awareness that environmental responsibility can be a platform for both growth and differentiation” (Growing green, HBR 2010, p. 94-96). Nel linguaggio della responsabilità sociale dell’impresa, non si tratta più solo di compensare gli impatti, ma di ridurli alla fonte, innovando, e facendo con questo profitti52. Dunque, la letteratura predica l’esigenza di rendere la valorizzazione di cui il contesto presenta richiesta funzionale alla performance aziendale (prima riconcettualizzazione) o di incorporarla nel core business dell’impresa per renderla il business stesso dell’azienda (seconda riconcettualizzazione). L’idea alla base del discorso proposto dalla letteratura manageriale analizzata è l’assunzione da parte dell’impresa delle istanze e delle questioni sociali - eg. “La gestione responsabile deve entrare nella strategia, non deve essere più un concetto difensivo: uno deve attrezzarsi per essere in grado di leggere le istanze sociali e trasformarle in istanze strategiche positive. E’ necessario cogliere e saper valutare gli impatti dell’evoluzione sociale dell’impresa, 52 Vedi anche l’intervista a Craig, www.knowledge.insead.edu/video/index.cfm?vid=371. 34 attuare le optionalities strategiche e quindi includere dichiaratamente le questioni sociali nel business plan” (Leonardo Totaro in Ferrari- Renna-Sobrero 2010, p.295). E ciò per volgerle in profitti, per fare profitti risolvendo problemi ambientali e sociali - eg. “Those that offer solutions to environmental and social challenges are discovering huge profit opportunities. The corporate path to doing well by doing good has become the smart way to do business” (Lazlo 2008, p. 80). Il processo di trasformazione in opportunità di business delle richieste sociali non è una novità storica, come mostrato nell’Introduzione del presente report53. La novità sta piuttosto temi delle richieste sociali stesse, diversi rispetto a quelle che nell’Introduzione al presente lavoro abbiamo visto essere state avanzate nella fase di trasformazione precedente, sebbene alcune radici siano comuni, e nella forza che hanno attinto dall’attuale congiuntura di crisi. Oggi, per le imprese, si esacerbano le richieste che vanno nella direzione di un’attenzione forte per le dimensioni sociali e ambientali54, e la nuova fase della relazione tra crescita economica e trasformazioni sociali sembra passare per una concezione olistica di benessere, in cui è centrale la relazione tra il singolo individuo e il suo contesto (fisico, sociale, istituzionale, umano), su scala locale e planetaria – eg. “Civil society is experiencing rising expectations of business in terms of health, safety, social wellbeing, and the environment” (Ibidem, p. 77). La nuova fase appare passare, dunque, per l’internalizzazione nella produzione e nel business del valore di contesto, quindi del legame sociale, del legame con altri anche lontani nel tempo e nello spazio55. Questo non solo per le pressioni della regolamentazione che pure sono spesso menzionate nella letteratura analizzata – eg. “Changing economic and regulatory environments will lead more companies to adopt corporate strategies that include sustainability as a core issue” (Why Sustainability is still going strong, Ft 2009) -, ma in particolare per le richieste che vengono dai cittadini-consumatori. Non sarà sfuggito che la sostenibilità, basandosi sull’inclusione di comunità diverse da quella degli shareholders nell’orizzonte di azione dell’impresa, è un concetto tanto economico quanto politico che suggerisce un modello civico di impresa. Le riconcettualizzazioni della nozione di sostenibilità che abbiamo mostrato, nella letteratura analizzata sono motivate spesso da una mutata sensibilità diffusa dei consumatori, interclassista e intergenerazionale, che si traduce in consumatori disposti a pagare di più per beni durevoli, di qualità, il cui uso e produzione rispettano l’ambiente e i diritti dei lavoratori che li producono 53 A cui rimandiamo anche per i dati che supportano l’idea che i valori contestuali non solo convivano con la logica del profitto, ma che possano essere trasformati in opportunità di business tramite innovazioni di processo e/o di prodotto 54 Eg. “Depuis le début des années 90, de fortes pression s’exercent sur les entreprises afin qu’elles prennent davantage en compte les dimensions environnementales et sociales dans leurs décisions stratégiques et leur gestion en général” (Le Développement durable, Revue Française de Gestion 2009, p. 30). 55 Ad esempio, nel caso dell’investimento su prodotti ecologici rispetto ai quali gli stakeholders sono i cittadini del mondo accomunati dalla finitudine del globo, da un lato, le generazioni future, dall’altro. 35 (Fabris 2010). Essa si accompagna alle dinamiche di globalizzazione e di evoluzione tecnologica che hanno permesso il consumer empowerment – eg. “Many types of externalitiey that used to be minor have grown too large to ignore. Simply put, commercial activity has reached the planetary scale (…) Given the heightened sensibilities of ordinary people, any apparent callousness by corporations is more likely to raise hackles” (Leadership in the age of transparency, HBR 2010, pp. 42). La letteratura invita quindi le imprese a sfruttare le richieste dei consumatori, laddove i sondaggi parlano di cittadini disposti a pagare di più per prodotti che soddisfino criteri ambientali e sociali (Introduzione). Il capitalismo fondato sul cliente56 - che si basa sull’idea che solo anteponendo l’interesse dei clienti al profitto si generi valore duraturo per l’azionista - costituisce un ribaltamento di priorità che apre la strada a nuovi modelli di impresa, quanto una risposta, che chiude il cerchio, alle critiche di creazione del valore per i soli azionisti con cui è stata aperta l’analisi della letteratura. 56 The age of customer capitalism, HBR 2010, pp. 58-65. Per ciò che concerne i dati sui consumatori rimandiamo all’Introduzione al presente lavoro. 36 Capitolo III Il caso MEG (Marcopolo Environmental Group) 3.1 Profilo sintetico dell’impresa Marcopolo è un Gruppo impegnato nella messa in sicurezza di discariche, attraverso la captazione di biogas, che viene depurato e reimpiegato sotto forma di energia, utilizzata in luogo del più tradizionale combustibile fossile. Inoltre, esso recupera biomasse zootecniche – deiezioni animali –, trasformandole nuovamente in “energia verde”. Al termine del processo, queste sono pronte per essere inoculate nei terreni, come concimante organico naturale. Negli ultimi anni, infine, Marcopolo ha avviato con successo programmi per l’erogazione di energia eolica, idroelettrica e fotovoltaica. Il quartier generale dell’azienda è a Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, ma altre sedi sono sparse per l’Italia e per il mondo. I dipendenti sono circa 140 e i ricavi, con riferimento al 2008, superano i 39 milioni di euro, a fronte di un utile che oltrepassa i 2 milioni di euro. 3.2 La storia Marcopolo Environmental Group è un marchio che raggruppa un insieme di aziende, attive nel campo del risanamento ambientale e della valorizzazione delle fonti di energia rinnovabili. L’impegno ecologico è sempre stato una caratteristica distintiva del gruppo, fin dai suoi esordi, risalenti agli anni ’70. In quel periodo, il fondatore di Marcopolo, Antonio Bertolotto, si trovò di fronte ad un problema concreto da risolvere: l’attività di famiglia – l’allevamento e la commercializzazione di vitelli piemontesi – rischiò di subire una battuta d’arresto. In base alla legge 319/1976, più nota con il nome di legge Merli, infatti, per ogni chilogrammo di carne allevata era obbligatorio disporre, in proprietà, in affitto o in altra forma, di un preciso numero di ettari di terra57. Come smaltire, quindi, i liquami e le deiezioni animali, senza essere obbligati a dissipare l’intero patrimonio a causa della necessità di acquistare, di volta in volta, ulteriori appezzamenti? 57 Il rapporto era di 400 Kg di carne allevabile, per ogni ettaro a disposizione. Come ha avuto modo di precisare lo stesso Antonio Bertolotto, con un intervento al convegno Biometano. Potenzialità, tecnologie, impieghi, tenutosi a Milano tra il 25 ed il 28 settembre 2009, la Legge Merli fu disattesa in buona parte d’Italia, nel senso che non venne applicata se non “sulla carta”. Per aggirarla, i contadini affittavano terreni anche a 100 chilometri di distanza 37 Ma procediamo con ordine. Bertolotto è originario di Scarnafigi, in provincia di Cuneo. Lì è nato nel 1953, secondo di cinque figli. Dopo aver conseguito la licenza media, si è applicato allo studio della chimica e della biologia da vero autodidatta. Prima di avviare la propria attività industriale, però, ha esercitato diversi mestieri, tra cui quello di commerciante di vitelli – la stessa professione dei genitori –, tra Saluzzo e Pinerolo. È successo quando è arrivata la bocciatura alle scuole medie, che Bertolotto frequentava a Valdocco, noto quartiere di Torino e sede storica del primo oratorio istituito da Giovanni Bosco, il fondatore dei Salesiani. Fu il padre Modesto ad indurlo a passare da una cascina all’altra, in cerca di bovini da acquistare. Il giovane trovò anche il tempo di mettersi in proprio: con i soldi delle mance, comprò 18 vitelli e li affidò a diversi contadini, perché li crescessero. Lui metteva a disposizione il bestiame, il latte in polvere e i medicinali; gli altri il lavoro, un luogo per accudirli e l’acqua. Ad un certo punto, complici le non perfette condizioni di salute, decise di vendere tutto e di partire per gli Stati Uniti. Era il 1977 ed eccolo a Columbus, nell’Ohio, ospite di un amico emigrato dalla Calabria il quale, per mantenersi, faceva il panettiere. Antonio si arrangiava come garzone di bottega, finché il padre, “uomo di principi ma di poche parole”, non lo richiamò in Italia (Mazzuca, 2007). La breve lontananza non gli aveva fatto dimenticare le origini. Così, a partire dal 1978, utilizzò le risorse economiche che aveva per studiare la biotrasformazione attiva dei rifiuti e per aprire i primi impianti. Lo sviluppo scientifico dei processi era affidato al Prof. Guido Sasso, già rettore dell’Università di Torino58 – a cui Bertolotto doveva tutte le proprie conoscenze sulla fertilità dei terreni (ibid.) –, ai laboratori francesi INRA59, e all’equipe del Prof. Lorenz della Südvieh GMBH di Monaco, in Baviera (Referenze di gruppo, 2010). Nel 1985, l’azienda dell’imprenditore piemontese, che allora si chiamava CICLO s.r.l., cambiò la propria ragione sociale in Marcopolo B.O.S. S.r.l., in onore dell’esploratore veneziano, viaggiatore infaticabile ed autore de Il milione, che non esitò a raggiungere le sconosciute terre dell’Oriente, scoprendo nuove tradizioni, civiltà e facendo conoscere agli altri la sua cultura e il modo di vivere tipico degli occidentali. È lo stesso Bertolotto a ricordare: «Chiamai così la mia realtà imprenditoriale in quanto, a mio parere, i grandi ecologisti sono stati: i religiosi-missionari, i commercianti-viaggiatori, i conquistatori-condottieri. Inoltre, un altro motivo è legato alla comunicazione, poiché Marcopolo è un nome facile da ricordare e denso di significato positivo» (Viglione, 2009, pp. 28-29). L’acronimo B.O.S. stava per Bodino Bertolotto dall’allevamento, magari in montagna, con la sicurezza che non vi si sarebbero mai recati per spandere liquami e scarti solidi. 58 Tra il 1972 ed il 1975. 59 L’INRA è stato fondato nel 1946, subito dopo la seconda Guerra mondiale. Si tratta di uno dei più importanti istituti di ricerca agronomica del mondo, che conduce studi finalizzati ad un’alimentazione sana e di qualità, ad un’agricoltura competitiva e sostenibile, nel rispetto e nella valorizzazione dell’ambiente. 38 Organizzazione Servizi e Bodino è il cognome della moglie del fondatore, Noris, ancora oggi il suo braccio destro in campo amministrativo (Mazzuca, 2007). Di lei, il marito dice: «[è] la donna della mia condivisione totale dalla quale ho avuto coraggio, fiducia, amore, due figli meravigliosi, certezza nella fede cristiana. Insieme cerchiamo di raggiungere il traguardo di tanti sogni in cui lavoro, fede e famiglia sono la pietra d’angolo (Bortolotto, in Viglione 2009, p. 29)». La rilevanza della componente religiosa, peraltro già evidente da questa affermazione, viene enfatizzata ancora dal Bertolotto ed intrecciata con la sua attività quotidiana – gli affari –, dal momento che egli si definisce «specializzato nella valorizzazione energetica e materiale di biomasse, scarti, rifiuti liquidi e solidi non tossici e nocivi, il tutto per contribuire al disegno divino della creazione, oggi fisicamente e moralmente inquinata dall’esasperazione consumistica e individulista» (Ibid.). Con siffatta carica interiore, il numero uno di Marcopolo ha finanziato una serie di studi di fattibilità riguardanti il compostaggio della parte organica dei rifiuti solidi urbani60: Italia, Portogallo, Tunisia, Tanzania, Costa D’Avorio, Sudafrica e Filippine sono state le aree geografiche dove ha investito maggiormente. Nello stesso periodo, ha dedicato particolare cura allo sviluppo di tecnologie capaci di produrre energie rinnovabili finché, nel 1989, Marcopolo B.O.S. S.r.l. non è diventata Marcopolo Engineering S.r.l. ed ha iniziato a commercializzare processi e brevetti, nel tentativo di «coniugare economia ed ecologia nel rispetto dell’ambiente e delle leggi economiche»61. Le sperimentazioni non vennero effettuate all’estero per caso, ma si fecero in quei Paesi che già si contraddistinguevano per una più spiccata sensibilità ecologista. Lì, la partnership con aziende locali che potevano vantare una significativa esperienza riguardo a tematiche ambientali ed energetiche permise di realizzare ricerche e prove di laboratorio, che in Italia rappresentavano ancora un’attività priva d’interesse. Fino all’inizio degli anni ’90, infatti, da noi non si parlava di valorizzazione dei rifiuti; l’unica via di smaltimento praticabile era il loro conferimento in discarica (Referenze di gruppo, 2010). Nel 1992, le normative del settore si aggiornarono, con l’incentivazione della cosiddetta energia verde: le disposizioni note come CIP 6/9262 introducevano delle tariffe agevolate, della durata di 8 anni, a sostegno dell’energia elettrica prodotta da impianti la cui alimentazione proveniva da fonti rinnovabili e assimilate, che comprendevano anche le morchie del petrolio e i rifiuti urbani (Candolo, 2008, p. 41). Bertolotto fu quindi contattato dal presidente dell’azienda municipalizzata 60 Il compostaggio è, dal punto di vista tecnico, un processo biologico aerobico e controllato dall’uomo, che porta alla produzione di una miscela di sostanze umificate – il compost –, a partire da residui vegetali, sia verdi che legnosi o anche animali, mediante l'azione di batteri e funghi. 61 Si veda, in proposito, Marcopolo Environmental Group, reperibile al sito http://www.marcopolo-e.com. 62 Si fa qui riferimento al Provvedimento n° 6 del Comitato Interministeriale Prezzi (CIP), attuato, appunto, nel 1992. 39 di Bassano del Grappa, che gli propose un progetto volto a trasformare i biogas63 della discarica locale proprio in energia. Questi venivano captati e convogliati in un impianto, per essere “ripuliti” e, grazie al potere calorifico del metano, usati come combustibili. Di qui, la più importante azienda del MEG64 spiccò il volo (Mazzuca, 2007), diventando una S.p.A65. «[Ciò che ci contraddistingue – affermano oggi con soddisfazione i vertici del gruppo – ] dagli altri è che noi facciamo quella che amiamo chiamare la vera energia verde, cioè quella che, oltre a fare un Kilowatt verde sottraendolo a un fossile, risolve il grande problema dell’inquinamento atmosferico e terrestre bonificando l’ambiente» (Viglione, 2009, p. 28). È difficile, però, anche solo immaginare che si sarebbero raggiunti gli attuali risultati senza la MESEN, la divisione Ricerca & sviluppo del MEG, oggi diventata Terra S.r.l. – Ricerca & Sviluppo, impegnata nella ricerca scientifica di base e applicata e convenzionata con una decina di università, nazionali ed estere. Basti pensare che, in termini di fatturato, l’investimento annuo in R&S e nelle risorse umane oscilla tra il 2% ed il 4%66 (Referenze, 201). 3.3 I numeri di MEG Dal punto di vista legale, Marcopolo Engineering S.p.A. – SISTEMI ECOLOGICI è partecipata dalla società Colombo Ambiente S.r.l., che fa sempre capo alla famiglia Bertolotto. A sua volta, però, essa controlla altre imprese, che nel loro complesso costituiscono il MEG, come si può ricavare dalla tabella 1: Tabella 1 – Imprese controllate da Marcopolo Engineering S.p.A. – al 31/12/2008 Impresa controllata Marcopolo Beijing Environment Consulting Co., Ltd. Noris Bodino Niuco Energia 1 S.r.l Amber Capital Pan Anemos Sila S.r.l. 63 Il biogas è, in realtà, una miscela di sostanze allo stato volatile – con una prevalenza di Metano, presente tra il 50% e l’80% –, prodotte dalla fermentazione batterica, in assenza di ossigeno (anaerobiosi), di residui organici provenienti dalle sostanze di rifiuto, di vegetali in decomposizione e liquami zootecnici. Attraverso il processo suddetto, il materiale organico viene decomposto da alcuni tipi di batteri, in maniera da produrre anidride carbonica, idrogeno e metano. 64 Marcopolo Environmental Group. 65 Marcopolo Engineering S.p.A. - SISTEMI ECOLOGICI. 66 Ricerca & Sviluppo. 40 Pan Anemos Trinacria S.r.l. Parco Eolico Torremaggiore S.r.l.67 S.E.S. Secure Energy Service S.r.l. Cesano Energia S.r.l. Terra S.r.l. Ricerca&Sviluppo Energie Rinnovabili Manduria S.r.l. Euvis S.r.l. Sila Energy S.r.l. Fonte: Marcopolo Engineering S.p.A. – SISTEMI ECOLOGICI. Referenze di gruppo, 2010. MEG ha altre 4 aziende collegate come mostra la tabella seguente: Tabella 2 – Imprese collegate a Marcopolo Engineering S.p.A. – SISTEMI ECOLOGICI al 31/12/2008. Impresa collegata Far Energia S.r.l. Pan Anemos Magna Grecia S.r.l. Pan Anemos Sila S.r.l. Pan-Eco Balkan D.O.O. Fonte: Marcopolo Engineering S.p.A. – SISITEMI ECOLOGICI. Bilancio al 31/12/2008. Il personale è costantemente in aumento, poiché è progressivamente cresciuto anche il volume di affari di Marcopolo. Dagli 81 dipendenti del 2004, si è passati ai 91 del 2005, per finire con i 134 del 200868. Sempre tra il 2005 ed il 2008, si deve segnalare, in particolare, l’incremento del numero di dirigenti e quadri – da 5 a 13 –, di impiegati – da 16 a 48 e di operai – da 60 a 73. Il fatturato, che nel 2003 si attestava intorno ai 24 milioni di euro, nel 2004 ha raggiunto il 27 e nel 2008 i 39, come illustrato dalla tabella 3. 67 Parco Eolico Torremaggiore S.r.l. è una società costituita nel 2008, di cui Marcopolo ha sottroscritto il 51% del capitale sociale, per avviare progetti di sviluppo dei parchi eolici nella regione Puglia. Va aggiunto che Marcopolo Engineering S.p.A. – SISTEMI ECOLOGICI possiede il 100% del capitale sociale di Pan Eco Poland, che ha sede in Varsavia. 68 Il dato va interpretato in termini di numero medio di persone ogni anno. 41 Tabella 3 – Ricavi, utili e composizione del personale di Marcopolo Engineering S.p.A. – quinquennio 2004-2008, in milioni di euro. 2008 2007 2006 2005 2004 Ricavi 39.079.305 34.807.515 34.753.501 31.692.747 27.031.082 Utile 2.253.979 2.589.301 899.878 2.186.513 887.388 134 112 106 91 81 - dirig./quadri 13 9 8 6 5 - impiegati 48 32 31 24 16 - operai 73 71 67 61 60 Personale (num. medio comples. annuo), di cui: Fonte: Marcopolo Engineering S.p.A. – SISITEMI ECOLOGICI. Bilanci 2004-2008. All’inizio del 2010, i lavoratori di Marcopolo erano 137. Di questi, circa una sessantina risultava impiegata presso la sede di Borgo San Dalmazzo, 10 dei quali viaggiavano costantemente per raggiungere le diverse aziende del gruppo, dislocate in Italia e all’Estero. Gli altri dipendenti erano equamente distribuiti sul suolo nazionale, dove, ad oggi, sono presenti impianti di bonifica ambientale con una media di 1,5 lavoratori per ciascun sito. Dei 137, 21 sono stati assunti a tempo determinato, con discrete possibilità di stipulare, in seguito, contratti a tempo indeterminato. Quando, malauguratamente, il rapporto di lavoro si risolve, ciò avviene perlopiù per la chiusura della discarica. Talvolta, capita che esso venga rinegoziato, nel senso che gli operai sono assunti per un numero più esiguo di ore rispetto al passato, a causa della minore percentuale di biogas presente nel luogo deputato alla raccolta dei rifiuti. Le donne, obiettivamente, sono poche: il loro numero, al gennaio 2010, è di 28 unità e si trovano prevalentemente nella sede di Borgo San Dalmazzo. Ciò si spiega perfettamente con il tipo di mansione che sono chiamate a ricoprire. In provincia di Cuneo, queste occupano posizioni essenzialmente impiegatizie; altrove, avrebbero dovuto lavorare nelle discariche, svolgendo compiti che non si addicono ad una forza lavoro femminile. Benché tale situazione si sia occasionalmente verificata, pare innegabile l’esistenza di una variabile “di genere”, che induce le donne medesime a non prendere nemmeno in considerazione un’ipotesi di questo tipo. Tenuto conto dell’azienda nel suo complesso, però, l’età media del personale è di 37 anni69. Ben 40 su 137 sono in possesso di un diploma di laurea; 60 hanno un diploma di scuola media superiore; il resto ha conseguito la licenza media o elementare. Naturalmente, il livello d’istruzione più alto è detenuto dai manager, dai quadri e dagli impiegati. È interessante notare, in proposito che, al 31 dicembre 2009, le forze attive in Marcopolo erano così suddivise: 3 dirigenti, 10 quadri, 55 69 Il valore medio è di poco inferiore ai 37 anni per gli uomini e di poco superiore per le donne. 42 impiegati e 69 operai. Ebbene, sui 55 impiegati, 27 erano laureati. In azienda, poi, vi sono anche 5 collaboratori a progetto – 3 maschi e 2 femmine – la cui età media si aggira intorno ai 47 anni. Si tratta di persone che hanno maturato esperienze significative in altre realtà imprenditoriali e quindi capaci di curare nuove attività quali l’organizzazione degli uffici, la logistica, ecc70. 3.4 Mission e strategia La mission del MEG è focalizzata intorno alla «ricerca sulle energie rinnovabili e [la] valorizzazione, con profitto economico e beneficio sociale, di tutti quei prodotti considerati scarti, sia solidi che liquidi, urbani, zootecnici o industriali»71. Questa, a sua volta, si traduce in una serie di scopi più definiti, che possono essere sintetizzati nel modo seguente: - pulizia dell’aria, con l’eliminazione di una delle più notevoli cause delle piogge acide. Ciò si verifica attraverso la messa in sicurezza delle discariche, dopo che sono state riempite di rifiuti solidi urbani. Il processo ha luogo captando il biogas tossico, il quale, senza alcun intervento di bonifica da parte dell’uomo, si diffonderebbe nell’ambiente per circa trent’anni, e trasformandolo in “energia verde”; - riqualificazione dei terreni, con il recupero delle deiezioni animali in eccesso depositate sui medesimi appezzamenti. È così possibile produrre migliori alimenti per animali, ma insieme ripulire i fiumi e i corsi d’acqua. Si deve ricordare, in proposito, che le feci animali non sono di per sé dannose. È l’eccessiva concentrazione della sostanza nel terreno il vero problema; - riduzione del quantitativo di derivati fossili, che immettono anidride carbonica nell’atmosfera, per mezzo della trasformazione degli escrementi animali in energia. Il mutamento avviene grazie a processi come la metanogenesi, con cui si immagazzina CO2 e si produce ossigeno72; - recupero delle deiezioni animali, trasformate in sostanza concimante. Marcopolo ha svolto delle ricerche, che le hanno permesso di brevettare un prodotto, denominato HUMUS ANENZY®. Il suo aspetto è quello di un comune terriccio, impiegato per riqualificare i terreni che i contadini hanno sfruttato con le monoculture. I ricercatori di Terra 70 Da ultimo, si forniscono alcuni dati relativi a Terra S.r.l., la società di ricerca e sviluppo del gruppo. Qui, i dipendenti sono 8 – 4 maschi e 4 femmine –, con un’età media di quasi 35 anni – 36 per i primi e 33,5 per le seconde. 6 sono laureati e 2 diplomati, 4 a tempo determinato e 4 a tempo indeterminato. Un nono componente, infine, è assunto con contratto a progetto. 71 Cfr. il sito http://www.marcopolo-e.com. 72 Con il termine metanogenesi, s’intende la produzione di metano da parte di un determinato gruppo di microbi. 43 attribuiscono a questo preparato alcune fondamentali proprietà: la fertilizzazione dei campi e l’introduzione di una microbiodiversità microbica, senza tralasciare la capacità di eliminare i residui chimici, che inevitabilmente si trovano quando si fa un consistente uso di fitofarmaci, diserbanti e concimi chimici73; - accelerazione dei processi di decomposizione di eventuali sostanze farmaceutiche – antibiotici, sulfamidici – lasciate sul terreno per la cura del bestiame, di detergenti e disinfettanti, impiegati nella profilassi igienizzante degli allevamenti, ecc. L’attività del MEG che, come si è detto, cerca di coniugare profitto e salvaguardia dell’ambiente, sposa la filosofia secondo cui, quanto l’uomo considera scarto, può e deve essere convogliato nell’ambiente come risorsa, in linea con i principi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Rispetto alla prima, una testimonianza concreta è offerta dalla difesa del suolo e dall’utilizzo di concimazioni organiche appena descritti. La sostenibilità ambientale, naturalmente, concerne anche l’uso di energie rinnovabili come le biomasse, le fonti eoliche, idroelettriche, solari, termiche e fotovoltaiche. Per quanto concerne la sostenibilità sociale, Marcopolo appoggia concretamente i piccoli produttori agricoli e le aziende dello stesso settore impegnati in sede locale, ma insieme gli allevatori, i cui capi producono carne e latte di qualità, purché appartengano a comprensori geografici sensibili alla produzione di energia elettrica e termica proveniente da fonti rinnovabili. In tal senso, gioca un ruolo fondamentale la ricerca universitaria, che collabora alla definizione di tecnologie all’avanguardia da impiegare nel campo agroindustriale e, non da ultimo, sostiene economicamente la formazione di figure professionali da inserire nel mondo del lavoro (Gianti, 2008, p. 74). In relazione alla sostenibilità economica, infine, Marcopolo non solo si prodiga nel trovare forme di risparmio energetico a partire dalla lavorazione delle biomasse, ma promuove attivamente la cosiddetta “filiera corta”, espressione sulla quale è opportuno soffermarsi brevemente, per descriverne gli elementi costitutivi. La filiera corta è una forma di commercializzazione dei prodotti, che consente ai consumatori di acquistare i generi alimentari necessari alla loro alimentazione direttamente dai produttori. Tale modalità di scambio si fonda su un rapporto senza mediazioni tra le due parti. L’acquirente può appropriarsi della merce sottraendosi al sistema di distribuzione tradizionale, che comprende le fasi di confezionamento, di imballaggio e di trasporto 73 La componente acquosa ricavata dalla valorizzazione delle deiezioni animali viene trasformata in HUMUS ANENZY® liquido, un preparato sterilizzato, con aggiunta di specifici microrganismi, che si applica sulle foglie dei vegetali, dove sono continuamente depositate sostanze acide, destinate all’alimentazione animale e umana. 44 degli alimenti stessi, con il conseguente aggravio in termini di inquinamento e sovrapprezzo. D’altro canto, così facendo esiste la possibilità di confrontarsi con chi vende, il vero responsabile della qualità dei beni, trattati esclusivamente secondo procedure rispettose dell’ambiente. La filiera corta, inoltre, istituisce uno stretto legame tra coloro che abitano il medesimo territorio, garantendo la provenienza diretta di ciò che si mangia dai campi, che significa anche freschezza, a prezzi ragionevoli. Di più: essa riduce il consumo dell’energia, dell’inquinamento e del traffico generati dal trasporto delle derrate. La conoscenza del produttore consente di comprenderne i metodi di lavoro, contestualmente alla storia dei cibi, valorizzando le ricette e le tradizioni, tramandate spesso per via orale. La freschezza, poi, garantisce la stagionalità della merce e il prezzo finale è più “trasparente” per chi compra. Il produttore, a sua volta, riceve un compenso commisurato alla passione e all’impegno profusi nell’espletamento delle proprie attività, che sarebbe necessariamente decurtato dalle usuali pratiche di intermediazione intercorrenti tra la coltivazione e la vendita. La filiera corta, pur non lasciando da parte i ristoratori e i commercianti, che acquistano all’ingrosso, si rivolge precipuamente ai privati cittadini, che fanno quotidianamente la spesa74. Attraverso i processi sopradescritti, in specie con la bonifica delle discariche e con la produzione di “energia verde”, Marcopolo ha attuato una strategia in linea con le norme europee in materia ambientale e coerente con gli accordi di Kyoto75, il cui protocollo è stato fedelmente osservato in più punti: 1) “produzione di Kilowatt verdi”, che sostituiscono in parte l’uso di combustibili fossili; 2) utilizzo del biogas come carburante e 3) uso di biomasse per produrre energia. A testimonianza del fatto che le procedure poste in essere sono conformi alle normative vigenti, il MEG ha conseguito alcune certificazioni di qualità, tra cui giova ricordare: a) il certificato n. 39061044, riguardante la gestione di impianti per la produzione di energia elettrica attraverso il biogas da discarica; b) il certificato n. 39061044/1, relativo alla progettazione, costruzione e installazione di impianti per la produzione di energia elettrica attraverso il biogas da discarica; c) il certificato n. 74 Ottima esemplificazione del concetto di sostenibilità economica nel settore agroalimentare è il farmer’s market, espressamente previsto dalla finanziaria 2007 da parte del Ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro, il cui decreto attuativo è entrato in vigore il 1 gennaio 2008. Il farmer’s market è noto, in Italia, con l’espressione “mercato degli agricoltori”, per agevolare proprio il rapporto diretto tra produttore e consumatore, nella prospettiva di preservare i criteri di qualità e freschezza del prodotto. La vendita diretta può avvenire: a) in azienda, b) presso dei punti ubicati in corrispondenza degli impianti di trasformazione (cantine, frantoi, caseifici, cooperative), c) negli agriturismi; ma possono esserci anche d) consegne a domicilio per mezzo del commercio elettronico o e) redistribuzione dei prodotti acquistati all’ingrosso da un insieme di persone, che se li suddividono in funzione delle esigenze famigliari – è il caso dei GAS, i gruppi di acquisto solidale. Il farmer’s market e, più in generale, i prodotti biologici, al di là delle considerazioni di carattere economico testimoniano l’attenzione delle persone nei confronti di se stesse, degli altri e dell’ambiente, dato il più alto livello di qualità della vita cui essi conducono. 75 Quello di Kyoto è un trattato internazionale, sottoscritto nell’omonima città l’11 dicembre 1997 da circa 160 Paesi, dedicato ai temi ambientali, con specifico riferimento al riscaldamento del pianeta. Esso è entrato concretamente in vigore il 16 febbraio 2005, quando ha ottenuto anche la ratifica russa. In base agli accordi, le Nazioni che vi hanno aderito si sono impegnate a ridurre le emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera: biossido di carbonio, metano, ossido di diazoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoro di zolfo. Tale riduzione, per quanto concerne i ricordati gas serra, tra il 2008 e il 2012 dovrà essere inferiore almeno del 5% rispetto ai valori registrati nel 1990. 45 39061044/2, riguardante la progettazione, la costruzione e la gestione di impianti per la produzione di energia elettrica per mezzo di biogas da discarica (Id., p. 78). 3.5 Cultura e struttura organizzativa La cultura del MEG, incentrata sulla sostenibilità ambientale, riporta in primo piano il tema della responsabilità sociale. Di qui, il sostegno a tutte quelle associazioni che hanno scelto di schierarsi dalla parte della natura, perché sono convinti che la valorizzazione del verde sia un vantaggio per tutti. Questo è il motivo per cui Marcopolo ha dato il via ad alcuni progetti di sensibilizzazione della cittadinanza. Periodicamente, le scuole visitano le sedi del MEG, dove viene spiegata l’importanza di costruire impianti di bonifica, che arrecano vantaggi all’intero territorio. Se, infatti, essere responsabili costa talvolta fatica, indubbi sono ormai gli elementi che giustificano lo sforzo dei cittadini per preservare il bene comune. Per fare un esempio concreto – spiegano quelli del MEG –, con i suoi 50 MW installati presso 40 discariche, ogni ora, si distruggono 12.500m3 di biogas nocivo, equivalenti ad un palazzo alto 50m, largo 10 e profondo 25. Non solo; nella stessa unità di tempo si evita di immettere nell’atmosfera un quantitativo di anidride carbonica pari a 175 tonnellate, risparmiando 25 barili di petrolio e alimentando circa 85.000 abitazioni private. 121 alberi, grazie alla scelta di utilizzare “energia verde”, nel frattempo sono stati risparmiati. Per essere ancora più chiari, «la quantità di CO2 abbattuta può essere paragonata ad un lenzuolo gassoso spesso 11mm, che ogni ora si deposita su tutte le superfici edili ed agricole di 1.250 ettari»76. Marcopolo è partner di Slow Food, con il quale collabora attraverso la fornitura di HUMUS ANENZY®, per migliorare la qualità dei prodotti agricoli di numerosi suoi presidi. Questi ultimi, com’è noto, sono espressione di un nuovo modello di agricoltura, rispondente a precisi requisiti di qualità, che cerca di recuperare tecniche tradizionali rispettose del ciclo delle stagioni, della flora e la fauna circostanti. Ciò significa, in primo luogo, che viene valorizzato tutto ciò che è radicato in un dato territorio, se ottenuto con tecniche sostenibili e realizzato tenendo conto della dignità delle persone, dei loro diritti, della cultura alla quale appartengono e di una giusta remunerazione. I presidi, quindi, rafforzano le economie locali, costruendo un’alleanza tra produttore e consumatore. Sulle confezioni dei diversi generi alimentari compare il contrassegno “Presidio Slow Food”, che serve per identificarli e per sancire l’adesione dello stesso produttore77 ad un accordo finalizzato 76 77 Cos’è BEBSSS!!®, Buono e biologico soltanto se sano, materiale divulgativo pubblicato sotto forma di brochure. I produttori si riuniscono in forme associative, incaricate di vigilare sul rispetto delle regole da parte dei membri. 46 alla tutela della sostenibilità ambientale78. Inoltre, Marcopolo è diventato partner ambientale, in Piemonte, del presidio Peperone di Capriglio. Capriglio è un piccolo paese del Monferrato, situato tra Asti e Torino. Gli agricoltori della zona, negli ultimi anni, hanno aderito ad un progetto di Slow Food per evitare che scomparissero le sementi di questo ortaggio dalle ragguardevoli qualità organolettiche, ma dalle dimensioni ridotte, che lo hanno reso poco appetibile in un’ottica commerciale, al punto da decretarne quasi l’estinzione. Il MEG, insieme ad altre 18 aziende e a 4 istituzioni, è entrato anche nel club dei partner strategici dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, frazione del comune di Bra, nel Cuneese, con l’obiettivo di sostenere la ricerca dell’ateneo, offrendo la possibilità ai partner di utilizzarne il laboratorio di analisi e ricerca, così da avviare o perfezionare gli studi sui propri prodotti alimentari. Scopo della partnership è anche la nascita di nuove collaborazioni commerciali tra i membri, appartenenti all’ambito agroalimentare e non, a beneficio dell’intero territorio79. Il tema della responsabilità sociale trova ampio spazio pure dal punto di vista della mobilità sostenibile. Il MEG, in proposito, lavora in sinergia con Legambiente e le Ferrovie dello Stato, appoggiando la tesi secondo cui l’unica via percorribile è il ricorso al trasporto pubblico, con la necessità di diminuire il numero delle auto che circolano per le strade. Concretamente, il gruppo piemontese aderisce al progetto Trenoverde, un vettore che gira per l’Italia sostando in 9 città80. Alle fermate, salgono gruppi organizzati, scolaresche, ecc., prendendo confidenza con il mezzo di trasporto più ecologico, giacché «ogni passeggero che viaggia sul sistema ferroviario italiano produce mediamente il 76% di gas serra in meno di chi si sposta in aereo e il 66% rispetto a chi usa l’auto»81. Dalla recente introduzione dei locomotori ad alta velocità82 nella tratta Milano-Roma, per citare un caso concreto, più di un milione di Italiani scelgono ogni mese di servirsene, con un incremento di oltre 1.600 persone al giorno e un risparmio di 36.000 tonnellate di CO2 nel 2009. La responsabilità sociale si lega saldamente alla componente religiosa del fondatore di Marcopolo, dal momento che lui stesso è presidente della sezione piemontese di Greenaccord, un’associazione culturale di livello internazionale voluta dal Pontefice Giovanni Paolo II, ma rivolta a tutti gli uomini, a prescindere dalle convinzioni religiose, a tutela della natura. Con un’avvertenza: «Per Greenaccord la definizione del concetto di “ecologia” riguarda sia la salvaguardia ed il rispetto della 78 Cfr. www.presidislowfood.it. Le aziende che hanno aderito al club sono: Barilla, Coop Italia Eataly, Eurostampa, Ferrero, Finiper, Fontanafredda, Fratelli Carli, Gaja, Gruppo Tuo, Lavazza, Le Vigne di Zamò, Marcopolo Engineering S.p.A. – SISTEMI ECOLOGICI, Maina, Miroglio, Molino Casillo, Parmacotto, Pastificio Garofalo, Pontevecchio. I partner istituzionali, invece, sono: la Provincia di Cuneo, il Comune di Bra, il Comune di Alba e Slow Food Italia. 80 Genova, Milano, Vicenza, Ravenna, Ancona, Latina, Potenza, Crotone e Messina. 81 Cfr. 2010 – 20 anni di Trenoverde, 2010, http://www.legambiente.eu/documenti/2010/0128_trenoVerde/index.php. 82 Il treno Frecciarossa. 79 47 natura (ecologia ambientale), sia il rispetto dell’equilibrio dei processi psico-cognitivi, linguistici e comportamentali dell’individuo (ecologia mentale)»83. Altri due valori, nei quali il MEG crede fortemente, sono la solidarietà e lo sviluppo. Il gruppo, infatti, sostiene i progetti dell’LVIA, un’associazione di solidarietà e cooperazione internazionale che lotta contro le diseguaglianze. L’LVIA, in sostanza, si batte per il raggiungimento di una cittadinanza solidale, dove siano tutelate le libertà fondamentali, l’equo accesso alle risorse e ai servizi educativi e sanitari di base e, più in generale, dove vi sia la possibilità di migliorare il livello della propria qualità della vita. L’intreccio tra persone e la natura si fa ancora più saldo nel sostegno dato al’ISDE, l’Associazione Medici per l’Ambiente, che s’impegnano non solo in campo diagnostico-terapeutico, ma anche nel prevenire e nell’identificare i fattori di rischio. «Se una volta la tutela della salute era basata sul rapporto tra medico e paziente, oggi è sempre più evidente l’influenza dell’ambiente e la necessità di agire a questo livello. Il ruolo del medico si fa dunque sempre più complesso e non può non tener conto del fatto che il degrado ambientale genera nuove patologie e sarà determinante per la salute delle generazioni future»84. Ecco che la salute assurge ad un ruolo centrale – né potrebbe essere diversamente – sia rispetto alle persone sia al cibo. Quanto a quest’ultimo, Antonio Bertolotto ha coniato un motto – che poi è anche il titolo di un progetto ambientale zooagrobioenergetico – riassumibile nell’acronimo BEBSSS!!®: Buono e biologico soltanto se sano. In altre parole: «la certezza del cibo buono e sano dipende dalla certezza delle qualità sanitarie delle sue fonti»85. Il che significa presenza di terreni agricoli non degradati e pratiche agrarie rispettose dell’ambiente. Due altri punti fermi meritano di essere ricordati: il primo è la riutilizzabilità, che si declina concretamente con il reimpiego delle deiezioni di origine animale le quali, per definizione – dicono quelli di Marcopolo –, non sono scarti ma risorse. Ma su questo aspetto, forse, non è opportuno soffermarsi oltre. Il secondo riguarda la trasparenza, specie da un punto di vista della comunicazione con l’esterno. Bisognerà tornare più avanti sulla necessità di stringere stretti rapporti con i media e il territorio. Sin da ora, tuttavia, va precisato che l’informazione gioca un ruolo irrinunciabile nel divulgare uno stile, un certo modo di intendere il proprio rapporto con l’ambiente. Adottare dei comportamenti “ecologicamente compatibili”, infatti, per molti significa ancora compiere la buona azione quotidiana, “mettersi a posto la coscienza”, magari seguendo le indicazioni fornite dagli enti locali nell’effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti. Marcopolo ne fa una questione di principio; si potrebbe giustamente dire una ragione di vita, a partire dall’amministratore delegato fino all’ultimo dipendente. 83 Cfr. http://www.greenaccord.org/poit. Cfr. http://www.isde.it. 85 Cfr. http://www.marcopolo-e.com. 84 48 Figura 1. – Organigramma di Marcopolo Engineering S.p.A. Fonte: Dati forniti dalla Funzione Risorse Umane. Nella figura 1, è riportato l’organigramma aziendale, il cui dato di maggiore interesse non è costituito tanto da figure di “linea”, quali la direzione generale o tecnica a capo delle diverse business unit, quanto da un elemento dello “staff”: la funzione marketing e comunicazione. Non a caso, essa è stata ricoperta dalla figlia del fondatore e amministratore delegato, Alessia Bertolotto. La sua rilevanza, più che derivare dai nessi di quest’ultima con l’ufficio di direzione, è da correlarsi al rilievo conferito proprio alla comunicazione all’interno dell’intero sistema, cioè al suo valore strategico. In una società fondata sull’apparire, dove il modo di presentarsi è spesso una questione di sostanza, la comunicazione è necessaria per «pubblicizzare l’azienda e la sua attività per diffondere valore, attraverso una maggiore sensibilizzazione [nei confronti della] responsabilità sociale ed ambientale, […] ponendosi come punto di riferimento per la conoscenza di un tema non ancora totalmente esplorato e conosciuto dalla maggior parte dei cittadini»86. Inoltre, essa risulta un 86 Cfr. http://www.marcopolo.e-com. 49 servizio assai efficace per guadagnare all’impresa nuovi clienti e fidelizzare quelli già esistenti, ma insieme per «educare e motivare la “forza vendita”, affinchè […] sia capace di [trasmettere] […] l’importanza di un prodotto intangibile come l’energia»87. Ecco, in sintesi, i diversi tipi di comunicazione d’impresa cui fa riferimento il MEG. Tabella 4 - Le forme di comunicazione d’impresa del MEG. Comunicazione ambientale istituzionale Comunicazione ambientale di prodotto Comunicazione di progetto Comunicazione verso i media Comunicazione scientifico/ambientale Comunicazione ambientale di sito produttivo Comunicazione interna Comunicazione territoriale per la prevenzione dei conflitti ambientali Fonte: www.marcopolo.e-com. Dal punto di vista istituzionale, il gruppo promuove i propri valori e l’identità costruita nel corso di trent’anni di attività. Quanto al prodotto, invece, l’obiettivo è quello di offrire un’immagine di qualità e di unicità, capaci di soddisfare le esigenze del consumatore. In relazione al progetto, l’azienda intende garantire un alto livello di visibilità, così da infondere fiducia in chi, per motivi di lavoro o per semplice curiosità, ne viene in contatto. Non si trascurano neanche i media, visto che «i responsabili di relazioni pubbliche aggiornano periodicamente la rassegna stampa e la mailing list dei contatti, basandosi sulla filosofia che il tempo è un elemento strategico ed è per questo che le notizie ai giornalisti devono essere inviate in tempi brevi, affinché essi possano al meglio organizzarsi»88. In un’ottica scientifico/divulgativa, si rendono noti i risultati di una ricerca o si raggiunge un pubblico più vasto, con interventi sulla stampa locale e nazionale o sul notiziario periodico dell’organizzazione. Con la “comunicazione ambientale di sito produttivo”, Marcopolo prevede «costantemente delle giornate di “fabbriche aperte”, per far sì che la comunità locale possa visitare l’impianto»89. Su questa strada si potrebbe continuare, mettendo in luce i più piccoli risvolti legati alla comunicazione d’impresa. Una questione, però, merita forse di essere affrontata con più 87 Ibid. Ibid. 89 Ibid. 88 50 sollecitudine. Si prenda ad, esempio, l’installazione di impianti ad energia eolica. Tutti o quasi sono d’accordo nell’utilizzo delle fonti di energia rinnovabili; quando si passa dalle dichiarazioni di intenti ai progetti concreti, tuttavia, il suddetto agreement sembra scomparire, dando origine a quella che in azienda chiamano sindrome del Not in My Back Yard o, più semplicemente, NIMBY. Per essere più espliciti: «le persone sostengono l’energia eolica a livello astratto, ma mettono in discussione specifici progetti locali a causa delle temute conseguenze riguardo principalmente al rumore e agli impatti visivi»90. Ciò, evidentemente, non riguarda solo l’eolico, ma anche altre situazioni; lo si può osservare quando si costruiscono strade, ponti, gallerie, ecc. Le persone sono disposte ad accettare qualcosa nel momento in cui ricevono informazioni circostanziate, vengono coinvolte nell’intero processo. «La carenza di comunicazione fra chi abita dove sarà realizzato un impianto e chi lo vuole realizzare, le burocrazie locali, […] [sembrano] il perfetto catalizzatore per trasformare lo scetticismo locale [in un’azione di protesta]»91. Pazienza, determinazione e rapporto con il territorio, pertanto, si pongono come punti ineludibili a prescindere dagli specifici settori di attività. Box 1. – Cosa fa Marcopolo Engineering S.p.A. – Sistemi ecologici. Prospetto di Sintesi Il Marcopolo Environmental Group è un insieme di aziende con la propria base nella provincia di Cuneo, a Borgo San Dalmazzo. Da circa trent’anni, esso è attivo nella produzione di energia verde. Il suo core business è la messa in sicurezza di discariche: il biogas viene captato, depurato e reimpiegato sotto forma di energia, in luogo del tradizionale combustibile fossile. Il MEG, tuttavia, si occupa anche di recuperare ed impiegare le biomasse zootecniche. Ritirando dagli allevatori le deiezioni animali, dietro corresponsione di una cifra in danaro simbolica, si innesca un processo di lavorazione anaerobica – in assenza di ossigeno – dei cosiddetti “scarti”, trasformati nuovamente in “energia verde”. Inoltre, il prodotto del suddetto processo, tecnicamente chiamato “digestato”, viene inoculato da particolari microrganismi92 e diventa un fertile concimante organico naturale, in grado di migliorare le capacità chimico-fisiche e biologiche dei terreni, specie se inquinati o sfruttati con il sistema della monocultura. Nel tentativo di far fronte ad esigenze di diversificazione e potenziamento del mercato ecoenergetico, negli ultimi anni Marcopolo ha avviato e realizzato progetti per l’erogazione di energia eolica, idroelettrica e fotovoltaica. 90 Ibid. Ibid. 92 Il consorzio di microrganismi non geneticamente modificati, che fa parte della linea di prodotti brevettata ENZYVEBA®, è stato messo a punto da Terra S.r.l. – Ricerca & Sviluppo. 91 51 3.6 Le risorse umane Attualmente, il MEG conta circa 160 dipendenti. Nel selezionarli, la direzione del personale è stata particolarmente attenta ai caratteri “umani” dei singoli individui. Ciò è avvenuto anche nei primi tempi di attività di Marcopolo, quando bisognava stare molto attenti ai costi, benché tale politica potesse andare, in qualche caso, a discapito della professionalità. Si è sempre preferito, insomma, insistere su aspetti quali l’affidabilità, la lealtà, la trasparenza. La formazione avveniva sul campo, attraverso la modalità dell’affiancamento, fatti salvi quei casi in cui i profili ricercati erano di carattere altamente specialistico. Di solito, quando necessario seguire dei corsi strutturati, si usufruiva delle possibilità offerte da enti e organizzazioni che già erogavano servizi del genere. Il dipendente li seguiva e l’azienda garantiva la copertura delle spese. «Laddove abbiamo potuto scegliere – afferma il direttore del personale, Michele Parigi –, le qualità umane hanno sempre costituito una discriminante. Per capirci, se mi capitava di selezionare 10 ingegneri su un gruppo di 50, la carta vincente era rappresentata dal carattere, dalla capacità di inserirsi in un gruppo, dalle abilità di problem solving e dalla resistenza allo stress». I candidati alle diverse posizioni sono soggetti ad un certo numero di colloqui, da parte di valutatori interni. Al termine del percorso, si investe su coloro che hanno destato la migliore impressione, a prescindere dal curriculum. Naturalmente, si tratta di una scommessa, dal momento che la certezza di aver assunto la persona giusta si avrà soltanto in seguito, quando si potrà effettivamente verificare de visu che il dipendente ha fatto propri la mission e gli obiettivi dell’organizzazione. È l’adesione a questi ultimi, infatti, il più potente fattore di motivazione e di retention, cui si affiancano anche politiche di natura retributiva. In Marcopolo, le differenze tra i dipendenti stessi non hanno un impatto rilevante sull’attività e la vita dell’azienda, se non quelle correlate con le qualità personali dei soggetti in questione. Non esiste, in altri termini, una formazione sulla diversità; né si trovano forme di worklife balance. D’altro canto, lo stile adottato è perlopiù informale. «Nel rispetto del proprio lavoro e di quello degli altri, le persone possono autodeterminarsi, cioè pensare con la loro testa e prendere decisioni. Se qualcosa non va bene, si bussa alla porta dell’amministratore delegato e si fa presente il problema. I vertici dell’impresa sono capaci di ascoltare. In questo senso, c’è un grande rispetto per la diversità di opinioni, anche perché una buona parte delle nuove “accessioni” proviene da contesti aziendali affini o diversi dal nostro; comunque da un altro ambiente. Insomma, non esiste una squadra i cui membri dicono le stesse cose. Io trovo che lo spazio per la discussione sia piuttosto ampio. Prima di venire qui, ho lavorato altrove e ho potuto constatare il basso livello di differenziazione a tutti i livelli. Si usavano parole simili, per ribadire i medesimi concetti. La sintonia con la proprietà era “naturale”, nel senso sopra 52 precisato. Naturalmente, la possibilità di esprimersi dipendeva dal posizionamento del dipendente all’interno dell’organigramma» (Michele Parigi, DRH). Nonostante la formazione non sia strutturata, in Marcopolo si possono trovare percorsi mirati di progressione di carriera, se gli interessati mostrano di possedere determinate potenzialità di crescita. Quando la situazione si verifica, si procede con degli assessment, cui seguono delle azioni di coaching. Gli aspiranti al cambio di posizione vengono sostenuti individualmente, affinché acquisiscano consapevolezza delle risorse a disposizione, dei punti di forza e di debolezza, per migliorare sempre di più, incrementare il coinvolgimento nel proprio lavoro così come il grado di responsabilizzazione, in un’ottica di empowerment. In linea generale, comunque, si preferisce assumere persone in possesso di una forte “carica passionale”, meno inclini alla standardizzazione, anche se sono più difficili da gestire. 3.7 Ricerca e Sviluppo: la nascita di Terra S.r.l. Fin dalle sue origini, il MEG ha dedicato parte delle sue risorse umane ed economiche alla ricerca e allo sviluppo. Il gruppo ha sempre creduto nella necessità di stabilire una relazione tra il mondo accademico ed il suo sapere scientifico da un lato e la realtà industriale, che ha maturato know how e competenze specifiche dall’altro. Perciò è nata Terra S.r.l., formatasi a partire dalla divisione MESEN93 di Marcopolo. I principali settori di ricerca e sviluppo sono 3 e riguardano i settori microbiologico, agronomico, ma insieme il comparto “bioattivatori e abbattitori di odore”. Il primo concerne «studi di caratterizzazione ed applicazione di consorzi di microrganismi non geneticamente modificati, caratterizzati da un’elevata diversità microbiologica. Questi […] possono essere utilizzati per favorire e bilanciare i processi naturali di degradazione degli scarti organici concorrendo, inoltre, a ridurre significativamente la produzione di cattivi odori»94. Nel settore agronomico, gli sforzi profusi si riversano sul già ricordato HUMUS ANENZY®, utilizzato per migliorare le caratteristiche chimico-fisiche dei terreni e per combattere lo sviluppo dei parassiti di piante e colture95. In ordine alla realizzazione di prodotti de odorizzanti ad azione immediata, le sperimentazioni si sono concentrate, tra l’altro, sulla messa a punto di dispositivi a rilascio 93 La divisione Ricerca & Sviluppo di Marcopolo Engineering S.p.A. – SISTEMI ECOLOGICI. Cfr. www.terra-meg.com/1/settore_microbiologico_3312428.html. In relazione al settore microbiologico, il MEG collabora con l’Università degli Studi di Torino (Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali; Dipartimento di biologia vegetale), l’Università “Amedeo Avogadro” del Piemonte orientale, sede di Novara (Facoltà di Farmacia; Dipartimento di Scienze chimiche, alimentari, farmaceutiche e farmacologiche), l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma (Facoltà di Medicina; Dipartimento di Medicina sperimentale e Patologia), l’Università degli Studi di Bologna (Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Chimica applicata e Scienza dei Materiali). 95 In proposito, si devono ricordare le collaborazioni con l’Università degli Studi di Milano (Facoltà di Agraria; Dipartimento di Produzione vegetale), con l’Accademia di Agricoltura di Torino, l’Università degli studi di Bari (Facoltà di Agraria; Dipartimento di Biologia e Patologia vegetale) e con l’Associazione Slow Food. 94 53 controllato, da introdurre nei comuni cassonetti di raccolta dei rifiuti96. La stretta sinergia tra il MEG e gli atenei sopraccitati ha consentito a Marcopolo di registrare numerosi prodotti, tutelandoli con il copyright. Per citarne soltanto qualcuno, nel dicembre 2002 sono stati brevettati tre ceppi fungini, classificati come “basidiomiceti”, noti per la loro capacità di degradare un’ampia messe di composti aromatici; nel 2006, altri tre ceppi fungini hanno consentito al gruppo cuneese di creare un prodotto capace di assorbire i reflui industriali che contengono coloranti. Nel 2007, infine, è stato avviato un processo su alcune sostanze microbiche del consorzio della linea EZYVEBA®, per verificare l’effettiva possibilità di produrre molecole biosurfattanti: sostanze in grado di proteggere le risorse naturali, di prevenire taluni danni ambientali, di trattare rifiuti solidi e liquidi, emissioni gassose e di biorisanare le aree contaminate. 3.8 Il rapporto con il territorio Il tema del rapporto con il territorio è stato affrontato più volte, nel presente contributo. Le numerose forme di collaborazione con enti e istituzioni pubbliche – le università – o afferenti alla sfera privata – lo stesso Ateneo di Pollenzo, di cui Marcopolo è partner strategico – ne rappresentano una viva testimonianza. Ma si potrebbero anche ricordare gli accordi con le Ferrovie dello Stato, a proposito dell’iniziativa Treno verde, ecc. Ciò non toglie, tuttavia, che, in certi frangenti, interagire con la cittadinanza sia stato effettivamente difficile, come illustra il caso della costruzione dell’impianto di Vignolo, il piccolo paese vicino a Borgo San Dalmazzo, dove ha sede il gruppo MEG. Lì è stato realizzato un sito per la produzione di sostanze concimanti e per la produzione di energia, attraverso la distruzione del biogas, ottenuto per mezzo della digestione anaerobica delle biomasse provenienti dal comparto agro-zootecnico industriale. Si tratta, evidentemente, di un solo esempio. Esso, tuttavia, dimostra il carattere strategico della comunicazione – in particolare, di una buona comunicazione –, da curare con attenzione se s’intende portare a termine un progetto, magari con un alto valore aggiunto in termini ambientali, condividendolo con la cittadinanza. I vertici di Marcopolo ne sono perfettamente coscienti, al punto da riservare alla comunicazione medesima un ruolo, si diceva, di primo piano. L’impianto di Vignolo è stato inaugurato ufficialmente, con tanto di cerimonia, il 5 luglio 2010. Le bozze del progetto, però, risalgono alla fine degli anni ’90. Complessivamente, i costi sono stati stimati intorno ai 20 milioni di euro e il gruppo, rinunciando a qualsiasi forma di finanziamento pubblico – i tempi di realizzazione sarebbero stati troppo lunghi –, ha deciso di erogare in proprio 96 Relativamente al terzo settore di ricerca, vanno citate le partnership con le Università degli Studi di Ferrara (Facoltà di Farmacia; Dipartimento di Scienze farmaceutiche), di Torino, sede di Grugliasco (Facoltà di Agraria; Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio) e di Milano (Facoltà di Medicina veterinaria; Dipartimento di Sicurezza alimentare). 54 l’intera somma. L’iniziativa, salutata con il plauso dei clienti dell’azienda: orticoltori, frutticoltori, allevatori ed esponenti dell’agroindustria, ha trovato una forte opposizione da parte dei cittadini residenti nelle vicinanze della costruzione, i quali si sono addirittura rivolti al Tribunale Amministrativo del Piemonte. Prima di adire alle vie legali, è stato formato un comitato, denominato Difesa e territorio, composto da una cinquantina di membri97. Quali i motivi di una protesta così decisa? In primo luogo, gli interessati lamentavano il fatto di essere venuti a conoscenza in ritardo dell’edificazione dell’impianto. Inoltre, sospettavano che, con la chiusura della tradizionale discarica di Borgo San Dalmazzo, il MEG potesse sfruttare rifiuti solidi urbani – e non gli scarti zootecnici – per produrre energia, anche costruendo tubature sotterranee. A loro avviso, non ci sarebbe stata trasparenza nell’informazione alla cittadinanza. Non da ultimo, i latori dei reclami erano convinti dell’esistenza «di un interesse privato in grado di subordinare l’interesse pubblico dell’abitato di Vignolo, ovvero la ricerca, da parte del leader del gruppo Antonio Bertolotto, di ottenere un profitto personale tralasciando in realtà l’etica rispettosa nei confronti della tutela ambientale» (Gianti, 2008, p. 91). Si paventavano i rischi di un’eventuale svalutazione del valore commerciale dei terreni, della presenza di odori sgradevoli, a causa dell’attività di lombricoltura – viste le consistenti dimensioni delle lettiere –, un incremento del traffico automobilistico e il peggioramento della qualità dell’aria. Il comitato ha organizzato con una certa continuità incontri tra i cittadini, richiedendo visibilità attraverso le televisioni locali e comunicando il diffuso malcontento alla “colpevole” amministrazione locale, che tutto aveva permesso, nella completa mancanza di rispetto nei confronti della popolazione. Erano state raccolte 630 firme, ma soprattutto si era fatto ricorso ad un’equipe di avvocati torinesi disposti ad intentare la causa. Che il caso di Vignolo, pur rappresentando una singola istanza, non si debba considerare qualcosa di eccezionale, è un dato di fatto, dal momento che tali situazioni si verificano «costantemente anche per le frequenti opposizioni alla costruzione di centrali idroelettriche in grado di produrre energia pulita, allo sviluppo del nucleare e alla volontà di innovare qualsiasi settore nel contesto ambientale» (id., p. 93). Come si è comportata, in una situazione del genere, l’amministrazione locale? Dapprima, si è trovata nella situazione di dover motivare il proprio parere favorevole alla realizzazione dell’impianto, inviando a tutti i cittadini una lettera dove si riportavano puntualmente i riscontri positivi riguardo alla fattibilità dell’operazione da parte della competente commissione edilizia98, dei Vigili del fuoco, dell’Arpa, della Provincia di Cuneo e dello Sportello Unico delle Attività Produttive99. Per rispondere all’accusa di scarsa informazione, poi, il sindaco ha messo a disposizione di chiunque ne avesse avuto interesse, la relativa documentazione prodotta nel corso 97 Solo 10 di questi, in realtà, hanno poi deciso di rivolgersi al TAR. 2004. 99 2008. 98 55 del tempo riguardo alla struttura di Vignolo. Per non lasciare nulla d’intentato, il Comune ha pure istituito un gruppo di lavoro, incaricato di studiare l’impatto ambientale del sito “incriminato”, con l’intento di convincere gli oppositori più scettici. Le conclusioni della commissione hanno confermato la bontà del progetto, pur fissando alcuni “paletti”, quali «il numero massimo consentito di camion in transito e la chiusura immediata dell’impianto in caso di manifestazione di odori: precauzioni che tuttavia non hanno evitato lo svolgimento dell’azione legale promossa dal Comitato per la valorizzazione e salvaguardia del territorio di Vignolo al Tar del Piemonte» (Id., p. 98). Marcopolo ha continuato i lavori in corso, apportando alcune modifiche volte al coinvolgimento della collettività e facendo alcune precisazioni volte a portare un po’ di chiarezza nell’intricata situazione. Si sapeva fin dall’inizio, infatti, che gli appezzamenti acquistati dal gruppo sarebbero stati destinati a quell’uso – facevano fede le dichiarazioni scritte in sede di compromesso. Perché – sottolineava Antonio Bertolotto – alcuni tra coloro che avevano venduto i terreni si sono schierati, successivamente, tra i più accesi contestatori, dopo aver ricevuto con soddisfazione una somma assolutamente congrua rispetto ai prezzi di mercato? Risultava strano, inoltre, il fatto che una zona in grado di fruire di un impianto capace di riscaldare diverse abitazioni100 avrebbe potuto perdere di valore. Il tribunale respinse la sospensiva dei lavori, riconoscendo comunque «la legittimazione ad agire dei ricorrenti, in particolare sulla contestazione della materia prima utilizzata dall’impresa per la produzione di energia» (Id., p. 101). Oggi, la sede di Vignolo è perfettamente funzionante; buona parte dei problemi sembra risolta; alle polemiche sono seguiti i fatti. Un dato, senza dubbio, risulta però acquisito: rinunciare alla comunicazione sarebbe un grave errore strategico, anche se l’impegno costa fatica e spesso non è sufficiente per convincere chi non vuol sentir parlare di innovazione, nemmeno quando essa si sposa con la salvaguardia dell’ambiente. 3.9 Focus conclusivo Marcopolo è un’azienda in continuo sviluppo, abituata a muoversi sul territorio con una certa frequenza. «Partiamo da Borgo San Dalmazzo e ci rechiamo spesso a Roma o a Taranto – chiosa il Direttore del personale, Michele Parigi. Qualche volta, abbiamo l’impressione che si tratti di frazioni di Borgo. Vogliamo diffondere la cultura del buono e del sano in giro per il mondo. So che si tratta di un’utopia, ma anche di ciò da cui prendono il via tutte le nostre azioni»101. Al di là di questa dichiarazione di intenti e alla retorica ad essa sottesa, l’idea che i problemi possano trasformarsi in risorse – che dagli scarti e dalle deiezioni animali si possa ricavare energia e che, soprattutto, i “resti” possano essere riutilizzati – sembra essere un elemento cardine della cultura 100 101 Con il teleriscaldamento. San Dalmazzo. 56 aziendale del MEG. Non basta che lo sappiano in pochi; bisogna che tale percezione sia diffusa. «La nostra – aggiunge Valeria Bruno, vice di Alessia Bertolotto102 - è un’attività di formazione e di informazione. A noi interessa differenziarci dagli altri, portare un messaggio a quante più persone sia possibile». In effetti, la lotta per la salvaguardia dell’ambiente, in questi ultimi anni, è andata di pari passo con l’internazionalizzazione del gruppo. Pur rimanendo Italiano al 100%, il Marcopolo Environmental Group ha rafforzato la propria presenza all’estero, sbarcando anche in Cina. Nel Paese più popolato del mondo è recentemente103 nata Marcopolo Beijing Environment Consulting Co. Ltd. Lo staff, per ora, è composto di 4 unità, tra cui figurano un direttore generale, una interprete/traduttrice e un’assistente del general manager, che si occupa anche di rapporti con l’esterno, di pubbliche relazioni e ricopre funzioni di tesoreria. Il MEG ha aperto una sede in Cina per esplorare le possibilità di acquisire nuovi mercati, dove costruire e gestire centrali bioelettriche con l’utilizzo di biogas da discarica. Concretamente, MEB104 sta cercando di trovare discariche di rifiuti urbani adatte allo scopo e, al contempo, con un vero e proprio scouting, di identificare un partner locale con cui condividere l’impresa. A tal fine, è stata individuata la China Energy Conservation Investment Corporation (CECIC), con cui si dovrebbe sottoscrivere un protocollo d’intesa in un tempo ragionevole. Il compito appare quanto mai urgente, in quanto, nella Repubblica Popolare Cinese, «gli scarichi e sversamenti industriali negli specchi d’acqua sono stati sino a pochi anni fa la norma, come pure le discariche a cielo aperto»105 e, nella sola Pechino, circolano cira 5 milioni di autovetture. I gas di scarico regnano sovrani e le biciclette sono soltanto un lontano ricordo. C’è bisogno di una formazione culturale in materia ambientale, ad oggi praticamente inesistente. Basti pensare che, sempre a Pechino, l’amministrazione ha da poco introdotto degli incentivi per la raccolta differenziata dei rifiuti, attirandosi le ire dei cittadini, che non hanno preso nemmeno in considerazione l’idea di disporre di diversi contenitori in casa, di raggiungere dei centri di raccolta o di servirsi dei cassonetti ai lati delle strade106. C’è anche bisogno di abbandonare quell’approccio superficiale che rappresenta i Cinesi alla stregua di individui sprovveduti, aumentando gli sforzi per evidenziare, in primo luogo, i benefici sociali e personali nei confronti dell’esistenza dei quali costoro sono, per ora, molto scettici. 102 Responsabile del settore “Comunicazione”. 2007. 104 Acronimo di Marcopolo Beijing Environment Consulting Co. Ltd. 105 Cfr. Intervista al direttore, 2010, «Marcopolo in azienda», n. 9, maggio/agosto, pp. 6-7. 106 Ibid. 103 57 Capitolo IV Il caso Loccioni 4.1 Profilo sintetico dell’impresa Il Gruppo Loccioni è attivo nella misurazione e nel controllo sia dei prodotti sia dei processi industriali. Caratterizzato per un altissimo livello di innovazione tecnologica e per la centralità della ricerca, esso ha sviluppato competenze nei settori Automotive, Environment, Home, Humancare, Energy technologies e Service. La sua base è in Italia, nelle Marche – Ad Angeli di Rosora e Moie di Maiolati –; i collaboratori sono 321. Il punto di forza del Gruppo stesso sembra essere proprio l’elevato contenuto tecnologico delle “creazioni” e delle attività implementate, che gli consentono di lavorare in un regime poco frequentato dalla concorrenza. Un numero esiguo di clienti, ma di primissimo piano; ecco la filosofia di una realtà che, nonostante la crisi economica, ha presentato – nel 2008 e nel 2009 – bilanci consolidati che raggiungevano i 50 milioni di euro, vale a dire il miglior traguardo di sempre. 4.2 La storia Il tentativo di descrivere adeguatamente l’attività del Gruppo Loccioni conduce necessariamente chi se ne assume l’onere a commettere una serie di imprecisioni, almeno in principio, data la complessità dell’oggetto in questione. In prima approssimazione, tuttavia, si potrebbe affermare che esso si occupa di monitoraggio, collaudo e controllo di prodotti e processi industriali. In sintesi, il termine “misurazione” sembra essere al centro di una serie di azioni, che afferiscono al mercato dell’Automotive come a quello dell’Information & Communication Technology (ICT), sconfinando nella gestione e nel risparmio di energia. Nemmeno un breve profilo storico dell’azienda, però, è possibile tracciare, senza una sommaria ricostruzione del contesto socio-economico entro il quale il Gruppo stesso si radica: le Marche della fine degli anni Sessanta. Per essere più precisi, il quartier generale è ad Angeli di Rosora, il cui Comune non raggiunge oggi nemmeno i 2.000 abitanti. Nonostante il boom economico del secondo dopoguerra, quei territori si sono connotati in senso prevalentemente agricolo. Quando si diede avvio all’industrializzazione, territorialmente dispersa, andò affermandosi lo sviluppo della piccola impresa, a gestione essenzialmente familiare (Fuà, 1983). Il tutto avvenne all’insegna «della continuità tra comunità agricola preesistente e successiva industrializzazione del medesimo territorio, carattere saliente del cosiddetto “modello marchigiano”» (Bonti e Cori, 2006, p. 16). Chi 58 lavorava la terra, in effetti, si dimostrò spesso ben disposto ad accettare la nuova sfida; la presenza di famiglie “allargate” permise addirittura alla stessa persona di dedicare la maggior parte delle proprie energie alla fabbrica, riversando nei campi quelle residue. La comune provenienza di contadini ed operai, insomma, funse da “collante”, evitando – o quantomeno limitando – il formarsi di distanze sociali eccessivamente marcate. Nessuna frattura, secondo Giorgio Fuà (1983), autorevole voce del pensiero economico marchigiano; il che implicava, di conseguenza, un basso livello di mobilità geografica e l’assenza di fenomeni di sradicamento sociale e culturale. Per concludere, va aggiunto che, nell’industria locale, si trasferì un carattere peculiare della mezzadria – che tanta importanza avrà nel presente studio: la condivisione del rischio imprenditoriale. Nel mondo agricolo, mezzadro e proprietario del fondo mettevano rispettivamente il lavoro e il capitale; nella nuova situazione, i collaboratori vengono talvolta chiamati a partecipare alla proprietà dell’azienda, sottoscrivendone delle quote. Nel 1968, Enrico Loccioni lavorava come elettricista ma, desideroso di mettersi in proprio, decise di aprire con altri due soci la I.C.I.E., una piccola azienda impegnata nella realizzazione di impianti elettrici. La sua era una famiglia di mezzadri del luogo, che aveva pensato per il figlio un futuro diverso, nel solco della tradizione. Il giovane, però, aveva voluto dare alla propria vita un corso differente; ci teneva ad essere indipendente. Le prime commesse arrivarono esclusivamente dalla Merloni – oggi Indesit Company –, gigante nella produzione dei grandi elettrodomestici, che aveva sede nella vicina Fabriano107. Nonostante si trattasse di un’impresa di tipo artigianale, il suo fondatore si contraddistinse per la cura della dimensione relazionale – al cliente non bisognava soltanto vendere – e per la ricerca di soluzioni innovative, cioè “su misura”. Egli comprese da subito l’importanza di fidelizzare coloro che acquistavano, «di un modello organizzativo fondato su rapporti di fiducia, sulla trasparenza e sulla condivisione di conoscenza» (Bonti e Cori, 2006, p. 18). L’esperienza di I.C.I.E. durò poco, perché, nel 1971, nacque General Impianti S.r.l., una realtà più strutturata, il cui obiettivo era sempre la realizzazione di impianti elettrici, questa volta soltanto su commessa e per grandi gruppi industriali. Merloni rimase ancora il maggior acquirente. Sarà, questa, una costante della filosofia di Enrico Loccioni pure in seguito: i progetti avrebbero coinvolto esclusivamente leader di mercato. Dal punto di vista delle dimensioni, del fatturato e di una lunga serie di indicatori, esisteva una netta 107 Indesit Company è attualmente leader, a livello europeo, nella produzione e nella commercializzazione di grandi elettrodomestici (lavabiancheria, asciugabiancheria, lavastoviglie, frigoriferi, congelatori, cucine, cappe, forni e piani di cottura). In particolare, il gruppo ha conquistato Paesi come l’Italia, l’Inghilterra e la Russia, dove i risultati raggiunti lo collocano al primo posto nel settore. L’azienda è stata fondata nel 1975 ed è stata quotata nel 1987 alla Borsa di Milano. Il suo fatturato, nel 2009, è stato di 2,6 miliardi di euro. Nel complesso, Indesit Company ha 16 stabilimenti produttivi (Italia, Polonia, Regno Unito, Russia e Turchia) e dà lavoro a 16.000 persone. I marchi più prestigiosi ad esso riconducibili sono, oltre ad Indesit, Hotpoint-Ariston e Scholtès. 59 sproporzione tra il committente e General Impianti. Essa era molto più piccola, eppure risultava assai “appetibile”, per l’alto contenuto tecnologico associato alle sue soluzioni. In un certo senso, aveva “imparato facendo”, senza mai trascurare, in ogni caso, una seconda modalità di apprendimento: il learning by interacting. Con la controparte, si cercava di attivare «un flusso di conoscenze che all’inizio [era] necessariamente più consistente dal cliente al fornitore, ma che in seguito si [sarebbe stabilizzato] nei due sensi, offrendo reciproche opportunità alle imprese del Gruppo […] e ai suoi prestigiosi clienti» (Ibi, p. 19). Nel 1980, Loccioni creò anche AEA (Applicazioni Elettroniche Avanzate) S.r.l108., con l’idea di produrre sistemi di controllo e di collaudo per elettrodomestici109 e componenti auto. Rimase fermo il principio di collaborare esclusivamente con partners di eccellenza, ma ben presto si estese l’attività ai sistemi di collaudo del settore Automotive, pur non tralasciando l’impegno nell’ambito degli oggetti elettrici ad uso domestico. Che si trattasse di General Impianti o di AEA, Enrico Loccioni non esitava nemmeno ora ad usare espressioni come “sartoria tecnologica” o “realizzazioni su misura”, benché, nell’ultima nata, l’hi-tech ricoprisse un ruolo più evidente e la dimensione della ricerca prevalesse sulla stretta necessità di “produrre”, ancorché in maniera personalizzata. In General Impianti, poi, la manodopera operaia ricopriva un peso rilevante, mentre in AEA i collaboratori erano diplomati o laureati, con un’età media più bassa. Nel 1992, arrivò il momento di Summa S.r.l. che, a differenza delle precedenti, «si configura[va] essenzialmente come società di servizi interna che non prevede[va] la fornitura di servizi all’esterno. La sua mission consiste[va] nel “pensare e progettare” lo sviluppo delle imprese del gruppo nel medio-lungo periodo, proiettandosi in una dimensione temporale di 5-10 anni avanti» (Ibi, 2006, p. 22). Chi entrò a farne parte? Essenzialmente, i collaboratori che Loccioni già si ritrovava sul “libro paga”, specie quelli che, nel tempo, avevano mostrato esplicite propensioni al lavoro di team, con un attento “dosaggio” di capacità tecniche e gestionali. Summa lavorava per “il futuro”, senza sottostare ai lacciuoli imposti dalle esigenze di breve periodo e a logiche di natura commerciale. Suo compito era la ricerca. In Summa, confluirono, appunto, le attività di ricerca, la pianificazione strategica, il controllo di gestione, l’area dei sistemi informativi, la gestione delle risorse umane e, in uno step successivo, l’amministrazione, la logistica, il marketing e la comunicazione. Ciò che, evidentemente, la connotava era «una marcata autonomia dalle contingenze produttive e di mercato» (Ibi, 2006, p. 23). Il principale cliente era nuovamente Merloni, le cui lavatrici, all’epoca, raggiunsero alti livelli di qualità grazie all’implementazione dei sistemi di controllo in produzione. 108 60 Dagli anni Novanta, le tre componenti del gruppo sono andate incontro ad un processo isomorfico, assumendo sempre più dei tratti comuni, nella direzione di un incremento in termini tecnologici. Di conseguenza, il personale operaio si è ridotto da 100 a 20 unità110. Nel corso del tempo, General Impianti, AEA e Summa si sono evolute l’una indipendentemente dall’altra. Dagli anni ’90, però, si è scelto di raggrupparle sotto un unico brand: Gruppo Loccioni Imprese Integrate. Giuridicamente, le tre realtà continuavano ad esistere, ma, a livello di comunicazione esterna (ed interna), la decisione della proprietà fu chiara: bisognava dare un’immagine univoca. Del resto, non si trattava di una questione soltanto formale. Le tre imprese erano decentrate in entrambe le sedi – quella di Angeli di Rosora e di Moie di Maiolati –; le competenze raggiunte da ciascuna di esse si intrecciavano a tal punto da integrarsi a vicenda, nel soddisfare le specifiche esigenze del cliente. Inoltre, la Direzione, la Comunicazione, il Marketing, ecc. erano gli stessi. Dal punto di vista dell’affiliazione, poi, tutti dovevano sentirsi partecipi dei risultati raggiunti dai colleghi. Dal 2005, il “marchio” è mutato di nuovo, diventando Loccioni111. Da qui, pertanto, è necessario ripartire, per descriverne gli ulteriori cambiamenti intervenuti nel frattempo. Cinque anni non sono molti; eppure, in un periodo così breve, molto è cambiato, poiché sono state create nuove unità di business. Da un lato, si deve ricordare l’impegno nel settore energetico; dall’altro quello sul fronte sanitario. Nel primo caso, spicca il progetto Leaf Community, che si fonda sull’idea di costruire una vera e propria comunità, il cui stile di vita è ispirato al rispetto dell’ambiente, alla diminuzione degli sprechi, all’efficienza energetica e all’uso delle fonti rinnovabili. Non si tratta di un’utopia, come si cercherà di mostrare, bensì di una realtà che ha già mosso passi significativi e che di nuovi sta compiendone. Gli studi, in proposito, sono talmente avanzati che, dal 2010, ciò che apparteneva all’ambito “ricerca e innovazione” è diventato, appunto, una vera e propria business unit. Nel campo dell’Humancare, infine, Loccioni ha realizzato la prima macchina al mondo, Apoteca chemo, capace di preparare farmaci per la chemioterapia in modo automatizzato. 4.3 I numeri di Loccioni Loccioni annovera tra le proprie fila 321 collaboratori112: 284 maschi (88,4%) e 37 femmine (11,5%). Il forte sbilanciamento in favore degli uomini si spiega essenzialmente con il tipo di lavoro eseguito e la prevalenza della componente maschile negli istituti tecnici, dai quali proviene la 110 Ciò è avvenuto senza ricorrere a licenziamenti o a provvedimenti drastici, quali la cassa integrazione, per esempio. Chi si trovava “a disagio” in General Impianti ha scelto perlopiù di cambiare datore di lavoro o di avviare un’attività in proprio (Bonti e Cori, 2006, p. 23). 111 Naturalmente, quando è necessario partecipare ad una gara d’appalto o formalizzare una richiesta, per esempio, sui documenti compaiono le ragioni sociali delle singole imprese. 112 Rilevazione al 31 luglio 2010. 61 maggior parte della forza lavoro impiegata – il divario è meno pesante qualora si considerino i laureati. Dal 2007, l’impresa marchigiana è diventata una holding, come può evincersi dal grafico sottostante, che ne evidenzia, in forma disaggregata, la distribuzione dei lavoratori in termini percentuali. Grafico 1 - Distribuzione dei collaboratori all’interno del Gruppo Loccioni. Valori percentuali Fonte: Ufficio Stampa del Gruppo Loccioni Il personale di AEA raggiunge le 188 unità, mentre in General Impianti se ne trovano 127, in Summa 4 e in Blu Solutions 2. Il tasso di scolarità è decisamente alto, a causa degli altrettanto elevati know how richiesti dal segmento di mercato nel quale l’impresa si colloca. 161, infatti, sono i diplomati, 139 i laureati, 19 i possessori della licenza media e 2 di quella elementare. Grafico 2. – Tasso di scolarità dei collaboratori del Gruppo Loccioni. Valori percentuali Fonte: Ufficio stampa del Gruppo Loccioni 62 Quasi tutti sono assunti a tempo indeterminato – soltanto il primo anno, il contratto è a tempo determinato. È chiara, inoltre – per motivi che si comprenderanno meglio più avanti –, la scelta di rivolgersi ai giovani, piuttosto che a soggetti con esperienza: l’età media dei “dipendenti”113 non supera i 33 anni. A costoro vengono offerte annualmente circa 8.000 ore di formazione, a titolo gratuito114. Ogni anno, quasi 1000 studenti visitano le sedi di questa interessante realtà imprenditoriale marchigiana, che esporta in 43 Paesi e fattura circa 50 milioni di euro – il dato va riferito ai bilanci consolidati del 2008 e 2009 –, in parte reinvestiti nella ricerca (4%). 4.4 I valori «Il nostro compito – afferma Maria Paola Palermi, responsabile della comunicazione – o meglio, la nostra mission è quella di integrare idee, persone e tecnologie, per dare anima e valore all’impresa. Un’operazione del genere produce innovazione tecnologica, organizzativa e a livello di gestione delle persone. Non vorrei essere fraintesa. Se noi esistiamo, è per il business, ma, allo stesso tempo, ci teniamo a trasferire un modello imprenditoriale assolutamente peculiare». Per comprendere meglio questo periodare denso di significato, è utile partire da una parola: “dati”. Il Gruppo Loccioni misura, confronta e trasferisce dati. In sé e per sé, essi non costituiscono un valore, ma lo diventano quando le persone se li scambiano, comparando quanto hanno rilevato con le osservazioni di altri esperti del settore, nell’ottica di una crescita costante. Al di là della presente considerazione, di carattere preliminare, i punti fermi dello stesso Gruppo Loccioni possono essere sintetizzati come in tabella 1. Tabella 1 – I valori del Gruppo Loccioni Tradinnovazione Immaginazione Energia Responsabilità Fonte: www.loccioni.com 113 Ci sono alcune parole bandite dal lessico “loccioniano”: “azienda”, “prodotto” e “dipendente”. Il motivo è piuttosto semplice. Non esiste un prodotto standardizzato, una realizzazione uguale ad un’altra. Tutte le creazioni sono diverse, uniche. Pertanto, se per “prodotto” s’intende un oggetto fisico, dotato di una consistenza tale da essere percepito dai 5 sensi, la parola non è usata in modo improprio. Se, al contrario, indica ciò che è soggetto a produzione seriale, appunto, è fatto espresso divieto di chiamarlo così. Non si parla nemmeno di “dipendente”, ma di “collaboratore”, dal momento che ciascuno è investito di grande responsabilità ed organizza in autonomia il proprio lavoro. Nessuno gli dice come svolgerlo. 114 Il numero di ore è da intendersi su base annuale. L’impegno di Loccioni, in tal senso, incide per il 7% sui costi del personale. 63 Il termine “tradinnovazione” è la sintesi dei vocaboli “tradizione” e “innovazione”. Per affrontare il futuro, è necessario tenere il passato nella debita considerazione. I trascorsi della famiglia Loccioni rimandano al già citato ambiente contadino, dov’erano presenti la fiducia e il sostegno reciproco, uniti ad una spiccata intraprendenza. È il fondatore del gruppo a raccontare che, prima dell’industrializzazione, la vita di campagna, nelle Marche, era permeata da una cultura incentrata sulla condivisione. Se si trattava di battere il grano e qualcuno non aveva forze sufficienti, altri si prestavano gratuitamente a completare l’opera. Chi aveva ricevuto, a suo tempo si sdebitava, mettendosi a disposizione dei vicini. E, sempre in tema di reciprocità, ricorda che la sua famiglia possedeva 4 buoi, in grado di tirare 2 carri. Quando uno di essi morì, i mezzadri del luogo si autotassarono, comprarono un vitello e glielo donarono senza “batter ciglio”. Il futuro, però, non può prefigurarsi senza l’immaginazione. Siccome tutti hanno un progetto da realizzare e i compiti assegnati pongono le persone di fronte a sfide sempre nuove, chi è dotato di fervida immaginazione cammina meglio su terreni inesplorati. È tipico di chi fa ricerca e sviluppo e, ancor di più, di chi è impegnato nella ricerca per l’innovazione115. L’energia è strettamente connessa con l’entusiasmo e la passione, fondamentali per presidiare processi particolarmente complessi. «Da noi non si viene per il “posto di lavoro” – continua Maria Paola Palermi – ma per avere un posto in cui lavorare. Abbiamo bisogno di qualcuno che sia davvero capace di coinvolgersi, che sia dotato di un innato senso della curiosità e della sperimentazione. Insomma, vogliamo chi “ci mette il cuore”, per “saltare oltre l’ostacolo”. Del resto, la nostra attività non è mai ripetitiva. Coloro che lavorano nei laboratori, infatti, sono impiegati su commessa. Se anche due commesse fossero simili, le squadre incaricate di portarle a termine varierebbero di volta in volta – a seconda delle competenze richieste –, come i clienti, ciascuno dei quali ha esigenze specifiche». Infine, la responsabilità. Quando si seguono progetti in autonomia, si è responsabili degli strumenti utilizzati, dell’ambiente che ci circonda e, in qualche modo, del team di cui si fa parte. Alto è pure il grado d’indipendenza. Sonia Cucchi, responsabile dell’ufficio stampa, precisa: «Non si troverà mai, in Loccioni, qualcuno che ti dice come fare una cosa piuttosto che un’altra. Tutti hanno un obiettivo da raggiungere. Essere responsabili di un progetto significa anche capire come muoversi». Con grande enfasi, si è affermato che, per il Gruppo Loccioni, «la cultura – costruita, ovviamente, a partire dai valori – non costituisce un attributo posseduto, sorta di “elemento esterno” per taluni 115 Chi si occupa di ricerca e sviluppo studia delle soluzioni a breve termine insieme a clienti e fornitori. Chi, invece, si dedica alla ricerca per l’innovazione, lavora sul lungo termine – 5 anni o più –, collaborando con la comunità scientifica internazionale, cercando di anticipare le tendenze del mercato e di intuire quali saranno le nuove aree di business o le soluzioni tecnologiche del futuro, che al momento non esistono. 64 aspetti subìto dagli attori organizzativi […], quanto piuttosto il principio ispiratore incastonato […] nell’assetto, nelle relazioni, nelle attività, nei comportamenti organizzativi, la caratterizzazione genetica dell’azienda che emerge in ogni sua singola manifestazione» (Ibi, p. 121). Come si è detto, già da tempo sono state messe al centro le relazioni. Gli assunti di base – le linee guida date per scontate –, da impliciti sono diventati dichiarati, almeno a partire dal 1992, quando il riassetto organizzativo ha posto il problema di conferire un’identità ben precisa al Gruppo. Tradinnovazione, immaginazione, energia e responsabilità, pertanto, rappresentano l’attuale sintesi di una riflessione cominciata ben prima, con la redazione della Carta dei valori e del Dodecalogo della squadra vincente. La Carta, come mostra la tavola 1, si sofferma su 6 punti, che richiamano da vicino la struttura valoriale odierna: ascolto, energia e volontà, trasparenza nella comunicazione, innovarsi per innovare, flessibilità e adattabilità, iniziativa e intelligenza. Tavola 1 – La Carta dei Valori del gruppo Loccioni Fonte: Bonti e Cori (2006), p. 125. Ecco, invece, il Dodecalogo della squadra vincente: 65 Tabella 2 – Il Dodecalogo della squadra vincente 1. Le aziende sono fatte dalle persone, dal prodotto, dal profitto. Senza le persone non c’è né prodotto né profitto 2. Il cliente è un nostro collaboratore, soddisfare le sue aspettative è il nostro obiettivo. Il nostro profitto è il profitto del cliente 3. Si vince collaborando insieme, o si perde tutti. “Chi fa da sé…” non ha capito niente 4. La mentalità vincente è fiducia, rispetto, comunicazione, disponibilità al sacrificio, concentrazione, preparazione, determinazione, iniziativa, flessibilità. 5. Ognuno deve conoscere e sviluppare le proprie attitudini, per usarle al meglio a beneficio della squadra. Per rimanere vincenti, bisogna migliorare sempre 6. La prima soluzione non è (sempre) la migliore. La prima soluzione è solo la più ovvia 7. Il risultato della squadra è più della somma dei risultati dei singoli. Due più due è uguale a cinque 8. La mentalità vincente è saper trasformare le difficoltà e le minacce in opportunità 9. La ricerca del colpevole non risolve i problemi, li crea; dobbiamo cercare le soluzioni 10. Ogni capo è al servizio della squadra, rispetta le persone, le fa crescere e le difende 11. La fiducia è uno strumento di conquista 12. In una squadra vincente, i ruoli e le regole vanno rispettati. L’intelligenza sta nel cambiarli al momento giusto Fonte: Bonti e Cori (2006), p. 126 I dodici punti, a differenza dei quattro ormai divenuti canonici, parlano espressamente di “prodotto” e di “azienda” (punto 1), termini attualmente banditi proprio dal lessico loccioniano, mentre si utilizza la parola “collaboratore” (punto 3), insistendo sull’importanza del team, della fiducia e dei rapporti personali. 4.5 L’assetto organizzativo Dal punto di vista organizzativo, almeno fino alla fine degli anni Novanta, le imprese di Enrico Loccioni hanno assunto un modello di tipo funzionale. Se, infatti, si fa eccezione per il periodo antecedente al 1974116, dove la struttura era limitatamente sviluppata in senso verticale, con una bassissima differenziazione riguardo a capacità e competenze dei collaboratori – alto, invece, era il 116 Anno in cui venne fondata General Impianti. 66 grado di informalità, poi mantenuto – (Ibi, p. 68), in seguito si scelse un nuovo approccio117. Dall’ultimo decennio del secolo scorso, però, prese piede l’ipotesi di un profondo riassetto, che in seguito venne attuato, piegando verso un’organizzazione matriciale. Più complessa della precedente, essa si giustificava per il fatto che il Gruppo Loccioni lavorava per progetti spesso unici, ma soprattutto perché il suo Presidente intendeva raggiungere «la massima diffusione di responsabilità per obiettivi e risultati e il massimo coinvolgimento individuale attraverso il potenziamento delle capacità di problem solving» (Ibi, p. 81). L’andamento a matrice, in effetti, valorizzava «l’esistenza di un sistema di poli di competenza che si aggregano in maniera flessibile, in funzione delle esigenze che si manifestano, facendo ricorso – ormai non è più una novità – su una articolata rete di relazioni partecipative» (Ibid.). Tavola 2 – Organigramma Aziendale del Gruppo Loccioni Fonte: Direzione generale del Gruppo Loccioni «Un importante salto di qualità è stato fatto mettendo al centro il cliente. Il cliente ci dà lavoro e a lui dobbiamo rispondere. Nell’organigramma a matrice, a mio avviso, sono ben visibili le tracce della tradizione contadina di Loccioni. La differenziazione, in termini di business unit, è ragguardevole. Allo stesso modo, il mezzadro coltivava i campi dedicandosi a diverse colture, senza 117 General Impianti aveva adottato il modello funzionale per l’incremento e la diversificazione delle attività. AEA, si era incamminata sulla stessa strada (l’assunzione del modello funzionale), con la necessità ancor più pronunciata di armonizzare, all’interno del medesimo gruppo, il business tradizionale e quelli nuovi. 67 limitarsi ad un solo prodotto. Se avesse avuto problemi con il grano, ci avrebbe guadagnato con le patate o con qualcos’altro» (Maria Paola Palermi, Responsabile della comunicazione). Per Loccioni, diversificare significava muoversi entro ambiti capaci di valorizzare ciò che sapeva fare meglio: misurare e presidiare i processi di automazione. Fino ad ora, le unità di business sono 6: Automotive, Environment, Home, Humancare, Energy Technologies e Service. Ad ogni business area è assegnato un responsabile, ma insieme un referente per le parti commerciale e ricerca & sviluppo, al quale essi riportano. Dalla Tavola 2, sono ben visibili anche le funzioni di staff: Comunicazione, Research for Innovation, Risorse Umane, Controllo di Gestione, Logistica e Sistemi di Gestione. Come si conviene ad una struttura matriciale, il Marketing, la Ricerca & Sviluppo e la Produzione hanno una persona dedicata ad ogni area di business. Le altre funzioni sono trasversali, cioè al servizio di tutti. Quando si parla di Direzione Generale, il riferimento va alla famiglia Loccioni e a Renzo Libenzi : «Io sono General Manager, ma l’espressione è alquanto altisonante, visto che l’organizzazione è intrisa d’informalità. Scherzando, quando ci fanno visita gli studenti del Master della Luiss, diciamo loro che abbiamo licenziato il Presidente (Enrico Loccioni), poiché, al di sopra di tutto, c’è il cliente. È un’immagine assai suggestiva, benché si tratti di una battuta. Sono qui da vent’anni ed ho avuto la fortuna di stare al fianco dell’Imprenditore, seguendone da vicino tutti i progetti. Prima, quando ancora si puntava l’attenzione su General Impianti, AEA e Summa, Enrico Loccioni e la moglie, Graziella Rebichini, ricoprivano a volte il ruolo di presidente, a volte quello di amministratore delegato, a seconda della società considerata. Adesso, da un punto di vista legale entrambi sono a capo di Summa, che possiede il 100% delle altre due. Insomma, abbiamo costituito una holding e, dal 2007, si redige il bilancio consolidato» (Renzo Libenzi, DG). La suddetta riorganizzazione ha agevolato la nascita di più di uno spin-off e, di conseguenza, la valorizzazione di collaboratori e partner in affari. Prima, la situazione era più statica. Quando, per esempio, Loccioni ha rilevato Titan Meccanica, il 95% delle quote è stato conferito a Summa, mentre il restante 5% è finito nelle “mani” di un collaboratore, colui che ha avuto l’idea di acquisirla. Le partecipazioni assomigliano molto alle stock options, capaci di soddisfare contemporaneamente due obiettivi: in primis, la fidelizzazione di chi è disposto a gettarsi in una nuova avventura (il collaboratore); in seconda battuta, il desiderio di rimanere sempre “impresa giovane”: «Quando dico “impresa giovane”, non m’interessa la sua “età cronologica”, bensì l’impulso a gettarsi in mercati prima inesplorati. Mi piace la sfida». Con questo spirito, si è investito sulla sanità. Loccioni non aveva mai realizzato nulla per le imprese sanitarie. «Uno dei nostri ragazzi – aggiunge – ha visto casualmente una macchina, a Bolzano, che avrebbe dovuto preparare 68 le dosi dei farmaci per la chemioterapia. Solo che non funzionava. Così ha affermato: Ma noi non facciamo cose tanto diverse. Ecco che ci siamo lanciati ed abbiamo aperto un’ulteriore frontiera, valorizzando le competenze di cui eravamo detentori: misurazione, automazione spinta, piccoli robot che eseguono operazioni e software per il controllo dei processi» (Renzo Libenzi, DG). «La nostra strategia – ribadisce Sonia Cucchi, responsabile dell’Ufficio stampa – è quella di inaugurare nuovi business, poiché abbiamo la sicurezza – anche economica – che si radica su altri business, già consolidati. Summa è servita proprio a questo e ci ha permesso di non subire la crisi recente, quanto piuttosto di cavalcarla: nel 2008, si è registrato il fatturato più alto di sempre, consolidato nel 2009118». È singolare che, in un Gruppo che fa della specializzazione tecnologica il punto di forza, il fondatore non sia un tecnico, non abbia cioè delle competenze specifiche, se non quelle accumulate in una vita contrassegnata dal desiderio d’innovare. La carenza strutturale, tuttavia, lungi dal rivelarsi un ostacolo, si è tramutata in un’opportunità. Non avendo particolari know how da custodire, Enrico Loccioni non è mai stato geloso di tenere per sé i “segreti” del mestiere; l’idea di avere al fianco dei collaboratori che ne sapessero più di lui non lo ha mai disturbato (Ibi, p. 18). Al contrario, li assumeva sapendo che alcuni di loro, prima o poi, se ne sarebbero andati altrove, magari aprendo un’attività in proprio. Il problema, però, non era il turnover. Loccioni voleva che il rapporto costruito nel tempo potesse mantenersi. Paradossalmente, avere ex collaboratori impiegati presso altre imprese poteva essere un vantaggio competitivo, se s’intendeva ampliare la rosa delle conoscenze, “agganciare” il grande cliente. Nel passaggio da manager-lavoratore a manager tout court, egli aveva cominciato a “reclutare” i primi laureati, che, in un secondo tempo, avrebbero costituito la prima classe dirigente. Mano a mano che la situazione si delineava, la percentuale di persone altamente qualificate cresceva sempre più, fino a diventare la componente numericamente preponderante. Si trattava, in larga parte, di ingegneri e di diplomati presso gli istituti tecnici. Pur lavorando per obiettivi, attualmente essi timbrano il cartellino di presenza. Ma questo non è un vincolo ineludibile. «E’ un retaggio del passato. Prima si usava così e, nonostante i tanti cambiamenti, su questo punto la situazione non è mutata, almeno in un’ottica formale. In sostanza, però, se l’orario d’uscita è alle 6 e tu te ne vai alle 4, nessuno ti fa notare che devi recuperare 2 ore. Capita spesso che uno lavori da casa. Quando succede, lo si comunica al responsabile; tutto qui. Possiamo senz’altro dire che timbrare il cartellino è un modo per verificare la presenza119. Noi sappiamo chi accede al computer da casa ed entra nel server. Un collaboratore, tuttavia, non è obbligato a lavorare online. Potrebbe Il fatturato del Gruppo Loccioni, nel 2008 e nel 2009, ammonta a 50 milioni di euro circa. In un’ottica amministrativa, timbrare il cartellino serve anche all’ufficio competente, per calcolare le ferie e i permessi. Chi compila le buste paga, poi, senza queste indicazioni sarebbe indotto in errore. 118 119 69 anche concentrarsi su una presentazione in powerpoint e nessuno ne saprebbe niente. In definitiva, conta il rapporto di fiducia tra l’Imprenditore e lo stesso collaboratore. Se uno non si trova qui, chiama gli uffici e comunica quante ore ha impiegato per fare una certa cosa. Lo stesso vale per le trasferte. Più della metà del nostro personale viaggia continuamente e si gestisce gli spostamenti in maniera autonoma. Certo, esiste il travel service che si occupa della logistica, ma cosa fare e come agire sono iniziative prese dall’interessato» (Maria Paola Palermi, Responsabile della comunicazione). 4.6 Le politiche del personale Non è compito facile cercare di descrivere le politiche del personale del Gruppo Loccioni. Innanzitutto, perché non esiste un reclutamento in senso classico. In effetti, non si troverebbe alcun annuncio sul giornale, con le caratteristiche di chi dovrebbe ricoprire la posizione prescelta. La gente non fa colloqui per ottenere un posto di lavoro. Semmai, si procede al contrario: prima si trova la persona, poi il lavoro. Uno dei principali canali di recruitment – che poi è pure un esempio di sostenibilità rispetto al territorio – è dato dal progetto Bluzone, «lo spazio fisico e metaforico che rappresenta l’interfaccia ed il raccordo tra il mondo della scuola ed il lavoro. […] L’obiettivo è “offrire un’area di integrazione tra Scuola e Lavoro per progettare insieme il futuro”. Il progetto Bluzone si colloca all’interno di un progetto più ampio di “formazione continua” che Enrico Loccioni porta avanti da sempre [dagli anni Settanta] per stimolare la nascita di sinergie positive tra persone, imprese e attori del sistema economico e sociale» (www.loccioni.com). Bluzone, in altri termini, è il contenitore in cui viene convogliata tutta l’attività che coinvolge la scuola. Fu proprio Loccioni, a suo tempo, a recarsi presso uno dei docenti dell’istituto professionale che aveva frequentato in gioventù, per chiedergli se ci fossero ragazzi disponibili per fare degli stages. Attualmente, circa 1000 studenti ogni anno si recano in visita presso le sedi del Gruppo; la loro età è estremamente variabile; si trovano bambini della quinta elementare e laureati che stanno frequentando un master. In che senso, viene reso un servizio al territorio? I “visitatori” comprendono cosa significhi lavorare, attraverso sessioni pratiche: divisi in gruppi, a ciascuno è affidata una “commessa”, per realizzare un obiettivo entro un tempo stabilito. Al termine della permanenza negli edifici di Angeli di Rosora, le persone devono aver realizzato qualcosa. Se non sanno come fare o quali strumenti utilizzare, chiedono a chi è impegnato in un progetto “vero” per un cliente, ai collaboratori. Nel 2010, il progetto Classe Virtuale120, iniziato nel 2000, ha 120 All’interno del “contenitore” Bluzone. 70 selezionato 25 ragazzi provenienti da 19 città e da 4 province: Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata e Perugia. Tutti regolarmente iscritti agli I.T.I.S. del territorio, tendenzialmente essi non si conoscevano. Anche gli indirizzi di specializzazione erano diversi: informatico, meccanico ed elettronico. Il compito di quest’anno è consistito nella costruzione di 2 veicoli elettrici, in grado di trasportare ognuno una persona del peso massimo di 100 Kg, alla velocità di 20 Km/h. Inoltre, nella prospettiva della sostenibilità ambientale, i ragazzi hanno progettato una stazione di ricarica dei veicoli con pannelli fotovoltaici, corredati di dislpay di visualizzazione dello stato di ricarica121. «Con progetti come Bluzone e Classe Virtuale – commenta Sonia Cucchi –, si cerca di rendere un servizio al territorio ed ai ragazzi; da esperienze come queste, gli studenti possono focalizzarsi sul proprio futuro e decidere il loro percorso di studi in modo più consapevole». Alla fine, si organizza un evento alla presenza di genitori e professori. La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è la seguente: che relazione c’è tra Bluzone e le politiche del personale? 30 frequentanti – scelti tra i neodiplomati e i neolaureati – su 1000 vengono avviati ad un percorso nel Gruppo Loccioni. Non sono assunti; tecnicamente non sono nemmeno dei collaboratori, ma, per il resto, li si considera a tutti gli effetti alla pari degli altri122. Siccome non appartengono giuridicamente all’impresa, rientrano in una fase denominata “prima”. Il passaggio tra il “prima” e il “durante”123, in cui ci si continua a misurare con lo stesso progetto, di durata pluriennale, comporta dei cambiamenti. Concretamente, uno fa sempre lo stesso lavoro; però, dal momento che è stato selezionato in precedenza, frequenta un master di tipo manageriale, a prescindere dal ruolo che andrà a ricoprire. Impara come funziona l’impresa ad ogni livello; dalla gestione dei magazzini a quella delle commesse. I capi delle singole business area, inoltre, raccontano quali sono le attività che si svolgono in ciascuna di esse. Bisogna aggiungere dei momenti con altri formatori esterni. Naturalmente, la persona non è esentata dallo svolgimento del proprio lavoro, che va portato avanti al termine del master. Nel “durante”, ci si trova di fronte al collaboratore in senso stretto, al “dipendente”. Oltre alle normali attività lavorative, sono stati sviluppati numerosi progetti paralleli per poter dare ai collaboratori la possibilità di arricchirsi e esplicitare i propri skill. Tra le varie possibilità, costoro possono avvalersi di un’ampia scelta formativa. Il Gruppo Loccioni, in proposito, prevede momenti di formazione124 per un totale di 8.000 ore annue. Una professoressa di Inglese, regolarmente assunta, è a disposizione. I suddetti step sono gratuiti e non obbligatori. I percorsi sono talmente Nell’autunno del 2010, scatterà la decima edizione di Classe Virtuale. Si ricorda che, nel Gruppo Loccioni, il termine utilizzato è “collaboratori” e non “dipendenti”. 123 Nel “durante”, le persone acquisiscono lo status di “collaboratori”. Nel primo anno di questa fase, il loro contratto è a tempo determinato; poi diventa a tempo indeterminato. 124 Si tratta di formazione manageriale, tecnica, linguistica, ecc. 121 122 71 connaturati all’attività lavorativa, che nessuno addurrebbe come scusa la frequenza ai moduli didattici, per non aver raggiunto l’obiettivo lavorativo prefissato. Prendervi parte è certo conveniente per la crescita personale ma, più in generale, è un criterio che induce la proprietà a scegliere chi dovrà affrontare le sfide professionalmente più gratificanti. «Solitamente, partecipano tutti i collaboratori – precisa nuovamente Sonia Cucchi125. Potresti rifiutarti di aderire, però non sarebbe il comportamento di un “loccioniano”: trovo difficile che qualcuno si rifiuti di fare qualcosa che vada a beneficio della sua crescita personale e professionale. Anche perché, quando ci sono delle opportunità, si pensa in primo luogo ad un soggetto che abbia un approccio positivo e a 360 gradi alle cose». All’inizio, le politiche di selezione del personale privilegiavano gli abitanti delle Marche, con l’obiettivo di valorizzare le risorse del territorio. Con la riorganizzazione, si è allargato il raggio d’azione. Ha cominciato a trasferirsi nelle vicinanze una “comunità campana” e, con il tempo, ci si è addirittura internazionalizzati. Ciò è avvenuto, in particolare, con 100 talenti, un’iniziativa rivolta a 100 giovani per “progettare la sostenibilità”. Coerentemente con le politiche del Gruppo, l’appello è stato rivolto a neodiplomati e a neolaureati, da impiegare nella Leaf Community – di cui si parlerà diffusamente più avanti – , «la prima community ecosostenibile d’Italia […] che in un solo anno è diventata il punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale sul tema delle tecnologie per l’energia»126. Ma non finisce qui. I giovani saranno indirizzati anche al Centro Ricerca e Innovazione, al presidio Humancare e al Laboratorio di Business Marketing. «I 100 talenti, che faranno passare il Gruppo Loccioni a quota 400 collaboratori, saranno selezionati tra neolaureati o laureandi non solo di facoltà tecnico/scientifiche, ma anche economiche e umanistiche; arriveranno da ogni parte d’Italia e del mondo»127. Al di là di Bluzone, un altro modo per entrare nel Gruppo Loccioni è quello, più tradizionale, di consegnare il proprio curriculum. In tal caso, le persone fanno un colloquio di gruppo, dove ricevono informazioni generali sull’impresa; sostengono un test psicoattitudinale ed, eventualmente, successivi colloqui. «Abbiamo ripensato anche il meccanismo di selezione interna. – dice Sonia Cucchi - Quando, per esempio, si crea un “buco”, i nostri collaboratori vengono puntualmente avvisati. Se qualcuno desidera cambiare area, per i motivi più diversi, si segnala e partecipa alla selezione. La procedura è la stessa cui andrebbe incontro un candidato esterno. È chiaro che, a parità di condizioni, si cerca di favorire la crescita del collaboratore, ma non c’è nulla di scontato. Se un esterno è davvero bravo e non desideriamo privarcene, gli proponiamo qualcos’altro». Quali sono i criteri che indirizzano la selezione? Gli incaricati guardano soprattutto alla persona, non al 125 La formazione aziendale è prevista durante l’orario di lavoro. Cfr. Comunicato stampa – 100 giovani per progettare la sostenibilità, s.d., www.loccioni.com. 127 Ibid. Normalmente chi non è alle “prime armi”, collabora in altro modo, ad esempio come consulente. 126 72 lavoro che andrà a svolgere. Quello s’impara. In linea di principio, si presta particolare attenzione a tipi “svegli” e intraprendenti, capaci di accettare con entusiasmo le sfide. Da circa un quindicennio, ciascun responsabile procede ad una valutazione annuale dello stesso collaboratore, di concerto con la dirigenza, il referente d’area e delle risorse umane. Di lì, si prendono decisioni riguardanti benefit, premi e avanzamenti di carriera. Ad essere valutato, benché in maniera indiretta, è pure il responsabile, in base all’abilità nello scegliersi coloro che gli stanno intorno. Fino ad ora, non si è reso necessario elaborare strategie di retention, «perché – ricorda con orgoglio il Direttore generale Renzo Libenzi –, non ho mai sentito parlare di un datore di lavoro che mette da subito in contatto gli ultimi arrivati, senza esperienza, con i numero 1 al mondo nel settore nel quale operano. Senza contare che, a prescindere dall’inquadramento gerarchico, chi desidera dire qualcosa può esprimersi liberamente, e gli altri sono pronti all’ascolto. Quando ti trovi in una riunione e vuoi dire la tua, lo fai senza problemi». Perché assumere dei neofiti e non persone con esperienza? Tutti in coro rispondono: «L’esperienza l’abbiamo già. Chi vuole imparare, fa sempre in tempo. Preferiamo rivolgerci a chi esce dall’università o dalle superiori, perché ci porta conoscenze nuove». Ciononostante, qualcuno sceglie egualmente di andarsene. Il turnover, per certi versi, è fisiologico; per altri – affermano tranquillamente in Loccioni –, risulta addirittura salutare, in quanto apporta nuova linfa al Gruppo. Se uno è determinato ad andarsene, non sarà certo un’offerta economica “sopra le righe” a trattenerlo. Per entrare un po’ di più nel complesso mondo di quest’impresa, però, è opportuno soddisfare un ulteriore quesito: Chi se ne va, rompe davvero i rapporti? La risposta, a scanso di equivoci, è no. Se l’ex collaboratore sceglie un altro datore di lavoro, il rapporto di fiducia venutosi a creare in precedenza potrebbe essere un ottimo “stratagemma” per procacciarsi un nuovo cliente. Se, invece, decide di mettersi in proprio, le possibilità di mantenere i rapporti – in altra forma, s’intende – risultano addirittura maggiori. Con l’uscita da Loccioni, inizia la fase del “dopo”. In 40 anni di attività, si sono verificati circa 80 casi del genere. Perciò, alle soglie del 2000, è nato il progetto Avvia l’impresa, che prevede un aiuto concreto alla neonata “Partita I.V.A.”. Di solito, Loccioni diventa il suo primo cliente, affidandole parte di una commessa e permettendole di lavorare con i grandi protagonisti della scena mondiale – cosa che, senza la mediazione del Gruppo stesso, non potrebbe mai verificarsi. Qualora non possedesse gli strumenti necessari per portare a compimento l’opera, troverebbe ospitalità gratuita negli edifici di Angeli di Rosora. «Così – dicono i vertici aziendali –, non perdiamo uno che abbiamo formato e ci garantiamo ampi margini di flessibilità, nel senso che, se arrivasse improvvisamente un’ordinazione dal committente, non saremmo costretti a declinarla. A parte questi spin-off, che potremmo chiamare tecnici, di tanto in 73 tanto nascono opportunità davvero singolari. La nostra precedente responsabile del Marketing si è licenziata, aprendo un’azienda di natura completamente differente. È diventata un’esperta di tea provenienti da tutto il mondo. Quando organizziamo eventi, ci capita di chiamarla come consulente e lei provvede ai diversi abbinamenti tra la bevanda e il cibo, come si fa con il vino. Per quanto la riguarda, è una vera e propria occasione di business». In sostanza, «”uscire per entrare”, più che un paradosso è un’opportunità. Significa condividere una diversa cultura del lavoro e diventare imprenditore, per scoprire e perseguire nuove prospettive di crescita personale e […] [negli affari]» (Avvia l’impresa, s.d., p. 5). Oltre ai già citati “spin-off”, delle realizzazioni senza dubbio peculiari, visto che l’impresa-madre non finanzia ciò che nasce dalla sua gemmazione, ma si “limita” a favorirne lo sviluppo, anche per evidenti vantaggi di natura economica – come si è cercato di mostrare –, non si può tralasciare la nascita di Nexus, cioè «l’idea di creare una rete di “cultura imprenditoriale” [che] viene ad Enrico Loccioni durante un viaggio al Polo Tecnologico di Montpellier, all’inizio degli anni ‘90» (Bonti e Cori, 2006, p. 150). Qui, l’obiettivo prescinde dall’accumulazione di profitti. Mensilmente, si riuniscono il piccolo artigiano, l’esperto di comunicazione, il professore universitario, il campione sportivo e, ovviamente, Enrico Loccioni, per raccontare ciascuno la propria esperienza. Nessuno viene pagato. Le informazioni che circolano – questo, semmai, è il vero scopo – dovrebbero arricchire il bagaglio personale dei convitati. Ciò non toglie, è chiaro, che qualcuno, tra i presenti, intenda farsi soltanto una chiacchierata e nemmeno può escludere che, in futuro, possa nascere un’occasione di guadagno per i personaggi seduti al tavolo. Ma il fine deliberato, è bene sottolinearlo, è la creazione di una rete di persone le quali, magari, al termine del confronto, si chiedono, nell’ottica della sociologia della traslazione: “Che insegnamento posso trarre da quanto ho ascoltato? In che maniera mi può servire?”. La rete vorrebbe incidere a livello di sostenibilità del territorio, al pari di Bluzone. La precisazione dell’Ufficio Comunicazione, del resto, non da adito ad ambiguità: «Uno della rete ci chiede se può utilizzare la nostra sala, perché ha un cliente importante e noi gliela cediamo volentieri. Ci chiedono qualche nome da inserire nell’organico; se l’abbiamo, glielo forniamo, creando lavoro per chi prima non l’aveva e togliendo “le castagne dal fuoco” a chi fa la ricerca. Similmente, ci sentiamo liberi di ricorrere all’aiuto di qualcuno se ne abbiamo bisogno. A Nexus partecipano pure gli ex collaboratori di Loccioni. Ci guadagniamo tutti. Se fai crescere la cultura d’impresa, arricchisci il territorio e ne hai un ritorno. Talvolta, visto il circolo virtuoso che si è venuto a creare, puoi fare a meno di consulenti, profumatamente retribuiti, per risolvere un problema!». 74 4.7 La comunicazione Alla domanda: «Quali sono le peculiarità della comunicazione del Gruppo Loccioni?», la responsabile del settore, Maria Paola Palermi, ha risposto: «Se consideriamo che in un’impresa contano il saper fare, il far sapere e il far fare, l’ufficio di cui mi occupo si muove entro l’orizzonte del far sapere. Si possono realizzare le cose migliori, ma se non le comunichi, nessuno ne verrà mai a conoscenza». La comunicazione è senz’altro finalizzata all’incremento del profitto, ma possiede anche una valenza culturale, che rimanda al territorio e alla tradizione. «Il desiderio di dire agli altri chi siamo, da dove veniamo e cosa facciamo ha un impatto pure sugli affari, benché non vi sia direttamente collegato. Il nostro approccio ci impedisce di usare la tecnica del “mordi e fuggi”; noi vogliamo lavorare con partners di caratura internazionale; pochi, ma di altissimo livello. Uno dei messaggi che lanciamo continuamente è quello della sostenibilità. A differenza di chi l’ha considerata alla stregua di una moda, ci proponiamo di farne il nostro “cavallo di battaglia”». Quando Maria Paola Palermi ha iniziato a collaborare con Enrico Loccioni – correva l’anno 1996 –, si puntava essenzialmente sul settore degli elettrodomestici e il suo compito era quello di sviluppare le relazioni con i clienti esteri. Si partecipava a fiere internazionali, dov’era il cliente stesso a pubblicizzare i “prodotti” di Loccioni. Per lui, allestire uno stand con la strumentazione di quest’ultimo costituiva un valore aggiunto. Dal punto di vista della comunicazione, gli anni ’90 sono stati uno spartiacque. Chi esponeva un frigorifero o una lavatrice teneva gelosamente per sé i segreti del co-design, un vantaggio competitivo che meritava di rimanere riservato. Ora, la comunicazione viene fatta direttamente dal Gruppo. Se, tra il 1995 ed 2001, le fiere dell’elettrodomestico erano un’occasione imperdibile – si facevano anche inserzioni pubblicitarie –, in seguito si è data maggiore importanza alle attività interne: workshops, open house, ecc. «Con il nuovo millennio – continua Maria Paola Palermi – abbiamo cominciato a far venire i clienti da noi. Quando si espone insieme alla concorrenza, chi potrebbe essere interessato a te ti concede poco tempo. Se, al contrario, viene a trovarti, gli si dedica la massima attenzione; si sta con lui l’intera giornata, gli si organizzano dei momenti ad hoc, compresa la degustazione di piatti e bevande tipici delle Marche». Mediamente, Loccioni organizza una ventina di eventi interni l’anno, ma le persone in visita sono oltre 3000. Per quanto concerne i media, non s’investe quasi più in campagne pubblicitarie128. Si preferisce dedicarsi all’innovazione, in maniera che siano i giornalisti – di testate specializzate e non – ad utilizzare il materiale inviato loro, magari corredato dall’intervista, perché giudicano che vale 128 Raramente, il Gruppo Loccioni fa campagne pubblicitarie. 75 veramente la pena di pubblicarlo, senza l’esborso di un euro da parte dell’azienda. Il già citato progetto Leaf Community, per esempio, è stato, indirettamente, un grande investimento in comunicazione ed ha fruttato, sempre in un anno, oltre 300 articoli. “L’unificazione della mia area” dice la responsabile della comunicazione Maria Paola Palermi – “è avvenuta nel 2003129. Prima, io ero in AEA e mi occupavo appunto di elettrodomestici. Nel 2003, è cambiato tutto. Un solo ufficio è a disposizione di tutto il Gruppo”. Per quanto riguarda la comunicazione interna, le occasioni di diffusione delle notizie sono molteplici: dalle tradizionali bacheche alla newsletter, per terminare con internet e il periodico aziendale spedito a casa dei collaboratori. Di solito, vengono organizzati eventi due volte l’anno, dove si invitano tutti i “dipendenti”. Il primo messaggio che s’intende “far passare” – con riferimento ai medesimi collaboratori – è che ciascuno è investito di una grande responsabilità. Con umiltà, essi devono sentirsi all’altezza di interloquire con le grandi realtà industriali, si tratti di Ferrari, Williams o Porsche. 4.8 Un business all’insegna della sostenibilità 4.8.1 Le persone Isao Hosoe130, designer giapponese residente a Milano, ha elaborato il concetto di Play Factory, «un luogo culturale dove gli incontri interpersonali e le relazioni con la materia trovano lo spazio essenziale del gioco, sviluppando conoscenze attive, esperienze e scoperte innovative […]. Per gioco – afferma Hosoe –, intendo quello dei bambini, fatto di curiosità, di imprevisti e sorpresa. […] [Lì] l’uomo esprime il massimo della sua intelligenza»131. Questo tipo di attività ludica non è fine a se stesso, ma stimola un nuovo modo di progettare. Giocare significa essenzialmente conoscere e conoscersi, scoprire le affinità, i punti di forza e di debolezza, ma in maniera gradevole. Con la crescita, i momenti dedicati a tutto ciò diventano assolutamente marginali e, al contempo, «si perde quella dinamicità fondamentale per l’innovazione»132. È proprio Hosoe ad aver definito il gruppo di Angeli di Rosora una Play Factory, contribuendo, insieme all’Italiano Lorenzo de Bartolomeis, alla realizzazione di Play 40. Il numero quaranta richiama i quarant’anni di attività dell’impresa marchigiana. Di tanto in tanto, i suoi collaboratori vi si cimentano, per lanciarsi in nuovi progetti. A Play 40 si gioca con due mazzi; le carte del primo presentano una parola e un’immagine; le altre, un breve commento alle precedenti. Il gioco consiste nell’associare 129 Attualmente, l’ufficio comunicazione è costituito di 5 persone. Isao Hosoe, nato a Tokio nel 1942, si è laureato nel 1965 in Ingegneria aerospaziale e diventato Designer di fama internazionale. Da anni vive in Italia, dove abbina l’attività di docente a quella di consulente. 131 Cfr. www.play-factory.it. 132 Ibid. 130 76 immagini, parole e concetti. La regola fondamentale è che non ci sono regole, per stimolare la creatività dei giocatori e trovare spunti inediti. Proprio la creatività e l’associazione di idee sono state al centro di un’altra iniziativa riguardante la sostenibilità delle persone: il progetto Apoteca, fiore all’occhiello dell’area Humancare. Il prodotto in questione è APOTECAchemo, una macchina in grado di automatizzare del tutto la preparazione dei composti destinati alla chemioterapia. Lo strumento pesa i principi attivi e le soluzioni, dosa i componenti, servendosi di un braccio meccanico, prepara le siringhe, allestisce i dispositivi di infusione133 e si libera dei materiali utilizzati in sicurezza. La procedura, prima riservata a personale specializzato, oggi viene eseguita da piccoli robot, a tutela dei pazienti e degli operatori; essa, «grazie ad una camera ad auto-contenimento […], che garantisce anche l’igiene, previene e contiene forme di contaminazione, [ma insieme] limita l’interazione con i farmaci ad alto rischio»134. La possibilità di cadere in errore è praticamente nulla. Dalla prima realizzazione ottenuta attraverso la collaborazione con la farmacia oncologica dell’ospedale regionale di Ancona – ottimo esempio di integrazione tra pubblico e privato –, gli avanzamenti sono stati notevoli, sia in termini di ottimizzazione delle prestazioni, sia riguardo alla valorizzazione dell’aspetto ergonomico. Quanto alla comodità d’uso, APOTECAchemo è nata anche grazie al contributo di Isao Hosoe, che ha progettato piani di lavoro pensati per agevolare l’attività dell’operatore, nelle fasi di carico e scarico della macchina. Per parlare di persone, tuttavia, non è necessario fare riferimento a sofisticate tecnologie. Presso le sedi di Loccioni, esistono dei locali adibiti a sala mensa, con tavoli, sedie, forni a microonde, frigoriferi, biliardino e tavolo da ping pong. Ebbene, in questo caso è stato avviato con successo un esperimento di sostenibilità “dal basso”. I collaboratori si organizzano per il pranzo come se fossero una famiglia. A turno, uno prepara la pasta ed altri lavano i piatti. Tutti possono accedervi; basta prenotarsi… 4.8.2 Il territorio Alla centralità del territorio, si è in qualche modo accennato citando iniziative come Nexus, Bluzone e Avvia l’impresa, azioni capaci di valorizzarlo e, al contempo, di arrecare beneficio alle persone che lo abitano. La panoramica, però, sarebbe quantomeno incompleta se si omettesse un riferimento 133 Si tratta di composti chemioterapici intravenosi. Si veda, in proposito, http://humancare.loccioni.com. L’utilizzo di mezzi meccanici consente sia di non commettere errori di dosaggio, che si rivelerebbero fatali all’atto della somministrazione dei medicinali ai pazienti, sia di evitare l’insorgere di malattie professionali, legate alla considerevole tossicità dei preparati. 134 77 al progetto LOV, acronimo di Land of Values. I clienti e i visitatori hanno la possibilità di compiere una significativa esperienza di accoglienza e di convivialità. Come si concretizza il tentativo di rendere l’ambiente familiare e confidenziale? Loccioni ha stretto una partnership con alcune strutture ricettive135 e ristorative della zona, rappresentative del patrimonio eno-gastronomico locale. Ad Angeli di Rosora, una collaboratrice si occupa esclusivamente di questi aspetti. A lei è spettato il compito di creare una rete di agriturismi e di ristoranti convenzionati, allacciare rapporti con i migliori produttori di prelibatezze del luogo: dal salame di fico al formaggio, passando per il vino. Basti pensare che, nel 2009, gli attori coinvolti hanno maturato profitti per complessivi 60.000 euro, senza che nulla entrasse nelle “tasche” di Enrico Loccioni, almeno direttamente. Certo – questo è sicuro –, il Gruppo ci ha guadagnato in termini di immagine. «Quando arrivano i clienti – sottolinea Sonia Cucchi – , non li mandiamo in albergo. Facciamo in modo che possano sperimentare l’ospitalità delle Marche e, soprattutto dei Marchigiani.. In questo modo, la visita diventa molto piacevole. Se ci sono le condizioni, organizziamo momenti culturali. Capita addirittura che qualcuno ritorni nell’agriturismo che gli abbiamo prenotato, portandoci gli amici e non per motivi di lavoro». Prima di concludere la breve introduzione alla sostenibilità del territorio, bisogna ricordare ancora due progetti: U_Net ed il Laboratorio di Business Marketing. U_Net è una rete di Università; l’incontro con professori e studenti ha permesso a Loccioni di inserirsi in un contesto di continua evoluzione, di grande importanza per chi mette al primo posto la ricerca e l’innovazione. In effetti, le numerose partnership strette nel corso degli anni hanno consentito l’avvio di attività compartecipate, come pure il recruiting di talenti, sui quali investire136. Il Laboratorio di Business Marketing, invece, ha aperto i battenti nel 2005, in virtù di una convenzione stipulata con la Facoltà di Economia “G. Fuà” di Ancona, con l’obiettivo di valorizzare lo scambio di know how scientifico e, più in dettaglio, di realizzare un network universitario e di far crescere una cultura di marketing industriale. Particolare cura viene posta nel seguire progetti di mercato, rivolti allo sviluppo di clienti e aree di business potenziali, all’individuazione di nuovi scenari di riferimento e alla verifica della congruenza tra i modelli scientifici e la quotidiana attività riguardante la gestione aziendale. 135 Bed&Breakfast. Riguardo alla ricerca, la rete del Gruppo Loccioni è composta da: CCR Ispra, CNR Pisa, CNR Istituto Motori, IPA Fraunhofer (Germany), SINTEF (Norway), VTT Technical Research Centre (Finland), CEA-LETI (France), Campinas University (Brazil), Chalmers University of Technology (Sweden), University of South Carolina (USA), Instituto Politécnico de Bragança (Portugal), Scuola Superiore Sant’Anna, Luiss, Politecnico di Milano, Polo Scientifico Didattico di Forlì, Università Commerciale Luigi Bocconi, Università di Bologna, Università degli Studi di Camerino, Università degli Studi di Cassino, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università degli Studi di Perugia, Università di Pisa, Università Politecnica delle Marche, Università di Urbino ‘Carlo Bo’. 136 78 4.8.3 L’ambiente Loccioni ha iniziato ad interessarsi di risparmio energetico circa 10 anni fa. Negli edifici del quartier generale, non bisogna più accendere o spegnere le luci. Il tutto avviene automaticamente. La struttura è provvista di una serie di tubi solari tondi e di sensori: quando la luce solare filtra in quantità, l’impianto d’illuminazione interno dimmerizza137 la luce artificiale. Un software di gestione si occupa di monitorare la situazione. Le tradizionali caldaie sono state sostituite da quelle a condensazione, causando un cospicuo risparmio di energia. Ci sono poi i pannelli solari sui tetti e delle pompe geotermiche, responsabili del riscaldamento e del raffrescamento degli ambienti. In tema di sostenibilità ambientale, però, il progetto più interessante è Leaf Community138, una comunità integrata completamente ecosostenibile – la prima in Italia – in cui sono stati coinvolti partner d’eccezione tra cui Enel e Whirlpool, unitamente al territorio. Non si tratta di un esperimento, ma di una realtà che esiste davvero, con una casa carbon neutral, cioè ad emissioni zero di anidride carbonica, dei mezzi elettrici che consentono di spostarsi da una parte all’altra, una scuola alimentata ad energia solare, luoghi di lavoro che utilizzano fonti energetiche rinnovabili, confortevoli e moderni. Il luogo d’insediamento è tra Angeli di Rosora e Moie di Maiolati. La casa139 è costituita da 6 appartamenti, abitati da 8 collaboratori del Gruppo Loccioni. La sua esposizione a Sud consente di sfruttare al meglio l’energia e di ottimizzare l’uso di pannelli solari, termici e fotovoltaici. Anche in tal caso, delle pompe di calore geotermiche e dei sistemi di umidificazione garantiscono una climatizzazione ottimale. L’acqua piovana viene convogliata in un apposito sito, per essere successivamente riutilizzata. Come se non bastasse, l’isolamento acustico è garantito fino a 43 decibel e la qualità dell’aria interna è controllata in modo costante. Una piccola centrale idroelettrica è in grado di produrre circa 160MWh l’anno di energia – è il fabbisogno di una sessantina di famiglie –, per un risparmio di 90 tonnellate di CO2. Il contatore elettronico memorizza e documenta i dati riguardanti i consumi. Quanto si è speso per la luce, per il forno e per gli elettrodomestici in generale? Basta guardare sul display. I grandi produttori internazionali di elettrodomestici ne “approfittano” per realizzare lavatrici più performanti e a più basso impatto energetico, per esempio, eseguendo dei test periodici. 137 “Dimmerizzare” significa risparmiare energia elettrica in tutte quelle occasioni in cui la luce serve, ma non necessariamente al livello massimo. In sostanza, il termine è sinonimo di “ridurre”. 138 Il progetto, avviato nel 2008, è stato completamente finanziato dal Gruppo Loccioni. 139 La Leaf Community – la Leaf House in particolare – è l’unico caso di studio preso a modello dallo IEA, L’International Energy Agency, per determinare i parametri che definiscono un edificio carbon neutral, ad emissioni zero. 79 Gli abitanti della casa possono rendersi conto, in ogni momento, del loro “comportamento di consumo” e regolarsi di conseguenza, raggiungendo un migliore livello di efficienza. In altri termini, nel bel mezzo della Leaf Community si trova un laboratorio a cielo aperto con tutti i crismi. Gli stessi test non sono virtuali, simulazioni, ma rilevazioni condotte sulla vita reale, sul quotidiano affaccendarsi di una comunità: gente che abita, lavora, i cui bambini frequentano la scuola per l’infanzia. Loccioni Energy Technologies, come business unit, ha preso il via nel 2010, e l’impulso è stato dato a partire dalla community, su cui si è cominciato a ragionare molto prima140. 4.9 Il futuro di Loccioni Cosa si può chiedere ad un’azienda che eccelle nella misurazione, in qualsiasi campo? L’obiettivo dichiarato è la ricerca di settori dove dare prova delle competenze maturate. «Vogliamo farlo – argomenta Renzo Libenzi –, rimanendo in contatto con i numeri 1. Cercare altri segmenti di mercato ha senso solo in quest’ottica. Non c’interessa dispiegare forze ed energie, se non siamo riusciti a costruirci la rete giusta. Lasciamo volentieri ad altri il cliente di serie B. Perciò, non bisogna avere fretta; l’occasione buona potrebbe presentarsi anche dopo 2 o 3 anni dall’acquisizione di determinati know how». L’importante è lavorare in presenza di un notevole sviluppo tecnologico, laddove la rosa dei committenti è necessariamente limitata. Esclusivamente in questa maniera è configurabile un rapporto alla pari, anche se è con Ferrari o Porsche: qui, l’oggetto del contendere è talmente specialistico che le due parti sono investite di eguale dignità. Quali sono i parametri utili per misurare il successo di Loccioni? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il dato fondamentale non è l’entità del fatturato – che pure ha la sua importanza –, ma la capacità di costituire una rete. «Alla fine dell’anno – sono ancora parole del Direttore generale, Renzo Libenzi –, dobbiamo chiederci: Quanti uomini abbiamo piazzato presso i centri di ricerca dei clienti? E quanti sono impiegati presso di noi? In quanti progetti a medio-lungo termine siamo impegnati insieme?». Lavorare in un sistema integrato a tal punto, secondo Libenzi, non avviene per solidarietà. «Non siamo buoni Samaritani – aggiunge. Il nostro movente è il business». Però, non ci 140 L’impegno imprenditoriale del Gruppo gli ha fruttato un gran numero di premi, specie per i risultati ottenuti nel campo della sostenibilità, sia essa quella ambientale, rispetto al territorio o alle persone. Se ne dà, qui di seguito, un elenco non esaustivo: Premio Nazionale dell’Innovazione (2010); Premio Imprese per l’innovazione (2010); Premio Impresa Ambiente – Menzione speciale per la Leaf Community (2010); Premio Sua Eccellenza FdR (2010); Premio Label (2009); Premio Orientagiovani per la Scienza e la Tecnologia (2009); Premio Sviluppo Sostenibile (2009); Premio Legambiente “Innovazione amica dell’ambiente” (2009); Premio imprenditore olivettiano (2008); Green Engineering Application of the Year – National Instruments (2008, Austin – Texas); Migliori fornitori di Production equipment – Magneti Marelli Powertrain (2008); Premio Marchigiani dell’anno (2008); Premio National Instruments “Migliore applicazione Automotive Forum 2008” (2008); Premio Ernst&Young – Imprenditore dell’anno 2007 per Quality of Life (2007); Premio Valore Lavoro – Tra le 10 migliori “buone pratiche aziendali 2007” nelle Marche (2007); Best Workplaces Italia (2003-2004-2005-2006-2007); Premio Impresa e Cultura (2003); Riconoscimento europeo per la ricerca (s.d.); finalista al Premio Sodalitas nella categoria “Processi interni aziendali di responsabilità sociale” (2005); finalista al Premio Sodalitas nella categoria “Iniziative di sostenibilità” (2008 e 2009). 80 si può affidare solo alle competenze tecniche. Chi lo fa, si espone ad un serio rischio e dovrebbe anche domandarsi, invece, come sia possibile innovare il rapporto con i fornitori, i clienti, il territorio. «L’energia – conclude il General manager – sarà il settore di investimento dei prossimi vent’anni. Lì, si trovano i più grandi margini di sviluppo e di guadagno. Se potessi scegliere, oggi, mi presenterei alle elezioni per diventare sindaco, creando il primo Comune carbon neutral. Coinvolgerei tutti i cittadini; metterei un totem in piazza per la ricarica di biciclette, monopattini, scooter e automobili. In una prospettiva sostenibile, mi comporterei in egual misura a proposito dell’illuminazione. Sull’energia, c’è ancora un intero mondo da esplorare; potremmo produrla “in casa” e invece la importiamo!». 81 Capitolo V Il caso Foppapedretti 5.1 Profilo sintetico dell’impresa Foppapedretti S.p.A., fondata nel 1945 da Ezio Foppa Pedretti, è oggi un’azienda leader a livello nazionale nella lavorazione del legno141, dal quale ricava piccoli mobili per l’infanzia, per il giardino e per la casa. Essa controlla Foppapedretti Technology S.r.l., Plastikopolis S.r.l. e L’Albero delle idee S.r.l142. Quando l’attività è a pieno regime – specie durante le festività natalizie –, l’organico raggiunge circa le 250 unità, cui se ne devono aggiungere altre 300 che confluiscono nel cosiddetto “indotto”: imprese e artigiani ai quali il gruppo bergamasco si affida regolarmente. Il suo fatturato, negli ultimi 5 anni, si è sostanzialmente ridotto (dai 62 milioni di euro del 2004 ai 46 del 2009), così come l’utile di esercizio (dai 580.616 euro del 2004 ad un passivo di più di 2 milioni e mezzo del 2009). La delicata situazione, certo influenzata dalla crisi economico-finanziaria internazionale, ha risentito anche della coraggiosa politica di investimenti attuati dai vertici di Foppapedretti, che l’hanno portata a progettare e costruire prodotti di alta qualità, al contempo rispettosi delle normative ambientali (si utilizza in gran parte legno certificato) e di una clientela sempre più esigente (il legno viene verniciato con una costosa vernice ad acqua, atossica). 5.2 La storia Tutto è nato per iniziativa dello stesso Ezio, che «porta ancora i pantaloni corti quando nella grande soffitta della casa dei nonni si ritaglia un angolo segreto, un laboratorio fantastico dove la sua fantasia galoppante dà forma a straordinarie invenzioni realizzate con gli avanzi del legno. Un materiale che in famiglia non manca di certo» (Marsano, 2006, p. 15). Suo nonno Paolo aveva un’azienda, che costruiva mobili per arredamento, carri agricoli e casse da imballo. Pierino, fratello di Paolo, era a sua volta imprenditore e produceva manici per ombrelli. Luigi, infine, il padre di Ezio, era impiegato presso la fabbrica dello zio. Il cuore pulsante di tutte le attività era Telgate, in provincia di Bergamo, un paesino agricolo che, tra le due guerre, guardava all’industria «con molta diffidenza e a stento i contadini [abbandonavano] il pur duro e mal retribuito lavoro della terra per 141 Oggi, il legno è stato affiancato da materiali innovativi, ben visibili nei prodotti che espongono il marchio Foppapedretti Atelier, creato per competere nella fascia alta del mercato grazie alla collaborazione di prestigiosi designer. Per saperne di più, si veda il sito www.foppapedrettiatelier.com. 142 A L’albero delle idee S.r.l. fa capo una decina di negozi monomarca, alcuni di proprietà altri in franchising, che espongono i marchi Foppapedretti e Lazzari. 82 gettarsi in un’avventura che [sembrava] a molti senza futuro» (Ibid.). Il legno, insomma, era “di casa”. In soffitta, Ezio, chiamato grè de pier – granello di pepe – per il carattere vivace e l’incapacità di restare inoperoso a lungo, intagliava già all’età di sei-sette anni gli scarti dei manici difettosi, per costruirne oggetti con cui giocare. Terminati gli studi presso un istituto tecnico industriale, il giovane fu costretto dai suoi a lavorare alla Servet, un’industria meccanica della vicina Seriate, dove rimase fino al 1944. Nel luglio di quell’anno, infatti, gli Americani bombardarono Dalmine e anche il suo stabilimento fu raso al suolo; persero la vita 278 persone; altre 800 rimasero ferite. Erano tutti civili (Magni e Foppa Pedretti, 1995, p. 19). Dopo quell’evento luttuoso, convinto che “si vive una sola volta”, abbandonò la Servet, per dedicarsi alla passione dell’infanzia: la costruzione dei giocattoli. Allora, Ezio chiese allo zio Pierino il permesso di utilizzare i suoi macchinari; lo avrebbe fatto la sera, al termine dell’ultimo turno dei suoi operai. Così, si diede alla progettazione ed alla costruzione di carriole, piccoli animali e locomotive, che mise in vendita a Telgate, nel negozio del fruttivendolo. Il successo di quei manufatti lo persuase a cercare sedi più adatte per la vendita. Alla fine del 1945, inoltre, acquistò i primi macchinari ed allestì un laboratorio, di fronte a casa, dove andò a lavorare con il fratello Tito. La ditta si chiamava Fabbrica Giocattoli dei fratelli Ezio e Tito Foppa Pedretti. Ne uscivano dei pezzi davvero unici, delle piccole opere d’arte. La madre, Matilde, che di mestiere faceva l’insegnante, curò personalmente la contabilità, mentre il padre, Luigi, si occupò della manutenzione dei macchinari. Tutto procedeva nel migliore dei modi e, ben presto, ci si dovette trasferire in capannoni più grandi, che durante la guerra la famiglia aveva affittato ad un imprenditore. Nel 1947, le proporzioni dell’azienda avevano raggiunto dimensioni considerevoli, dal momento che «l’attività a conduzione domestica si avvia[va] così a trasformarsi in una concreta realtà industriale, capace di dare forma a sogni sempre più ambiziosi» (Marsano, 2006, p. 23). Quando irruppe la plastica nel mercato dei giocattoli, la competizione si fece assai dura, ma i Foppa Pedretti non mollarono; anzi, risposero diversificando la produzione, con i giocattoli didattici – banchetti pieghevoli per la scuola, seguiti da lavagne e scrivanie – ed una serie di articoli per la prima infanzia. Negli anni Sessanta, si aggiunsero i mobili da giardino: sedie a sdraio, tavoli pieghevoli, ecc. Gli affari, insomma, andavano benissimo, quando, verso la fine del decennio, la contestazione raggiunse anche l’azienda bergamasca. «Io ero disorientato: per me la fabbrica era come una grande famiglia; avevo sempre trattato ogni operaio come un membro di essa. Non riuscivo a capire questo capovolgimento nei nostri rapporti. Tutte le mattine, in pieno inverno, dovevo appostarmi all’ingresso dello stabilimento a fianco dei sindacalisti che facevano blocco all’esterno per vietare al personale l’accesso in fabbrica. Si levavano varie voci di protesta in chi riteneva violata la propria libertà di scelta e a esse se ne 83 univano altre di rivolta e io mi sentivo solo di fronte alle grida di persone che mi parevano all’improvviso diverse da quelle che per tanti giorni avevano lavorato insieme con me con tanta passione e delle quali conoscevo ogni problema, anche familiare (Ezio Foppa Pedretti, Ibi, p. 32)». In quel periodo, spinto dalla necessità di tutelare i propri dipendenti, Ezio Foppa Pedretti pensò addirittura di vendere l’azienda; aveva solo figlie femmine; l’unico maschio era troppo piccolo per potersene sobbarcare le sorti. Poi, decise di assumere un manager che potesse guidarla. Ne frattempo – correva l’anno 1976 –, entrò in azienda il genero, l’ingegner Luciano Bonetti, come responsabile della produzione. La convivenza con il dirigente durò soltanto 2 anni, dopodiché quest’ultimo se ne andò, portando con sé tutti gli addetti alle vendite. Così, Bonetti divenne amministratore delegato del gruppo. A partire dagli anni Ottanta, ci furono i primi passaggi in televisione, per promuovere i propri prodotti. Il catalogo cominciò a proporre stabilmente articoli per l’infanzia, per il giardino e per la casa, i tre settori merceologici sui cui a tutt’oggi si concentra l’impresa. L’alto ritmo di produzione la costrinse ad acquistare pezzi già parzialmente lavorati – sempre in legno massello di prima qualità –, ma anche a cercare una nuova sede. Nel 1987, Foppapedretti si trasferì a Grumello del Monte, vicino all’autostrada, a pochi chilometri da Bergamo. Lì, ci sono attualmente l’amministrazione, gli studi tecnici di progettazione e i depositi. L’immagine di un albero inizia a comparire sulle confezioni dei vari oggetti: è il marchio di fabbrica, il quale sta a simboleggiare che ogni stagione fiorisce e ritorna alla vita. Per tutti, sarà l’albero delle idee, a testimonianza di una ricerca e di un’innovazione continue. È il settore domestico, ad un certo punto, a prevalere sugli altri due, per «una serie di considerazioni legate a due precisi fattori: il progressivo calo delle nascite, che non invita certo a investire in maniera massiccia sulla produzione di articoli per la prima infanzia, e la variazione delle condizioni climatiche, che limita la collocazione dei mobili all’aperto» (Ibi, p. 39). Uno straordinario sistema per farsi conoscere è la pubblicità e Foppapedretti vi farà un assiduo ricorso, attraverso la televisione e i giornali, investendo circa il 14% del fatturato ogni anno. I messaggi sono chiari, semplici, immediatamente comprensibili, perché cercano di enfatizzare le caratteristiche degli oggetti conducendo “per mano” il cliente all’acquisto. Pure lo sport si è rivelato un efficace mezzo di promozione; si è cominciato con lo sponsorizzare la squadra di football americano locale, divenuta campione d’Italia nel 1993, per passare alla pallavolo femminile, il Foppapedretti Volleyball Team, che può vantare un cospicuo numero di trofei a livello nazionale e continentale. L’azienda conta oggi circa 250 dipendenti ed esporta l’11% dei manufatti in 15 Paesi. I prodotti stessi sono acquistabili in circa 2.500 punti vendita, cui se ne devono aggiungere una 84 decina, di proprietà, disseminati per l’Italia. La filosofia che sta alla base di tutto s’ispira all’utilità, alla sicurezza, alla solidità e alla pieghevolezza – massima efficienza in poco spazio. In altri termini, ciò che esce dalle macchine dell’azienda deve essere funzionale. Accanto allo stabilimento di Grumello, sorge quello di Bolgare143, Foppapedretti Technology144, ampliato di 12.000mq nel 2002 per ospitare nuovi depositi e per aumentare in maniera significativa le aree di montaggio, imballaggio e controllo della qualità. Attenta all’impatto ambientale della lavorazione dei materiali, l’azienda ha cominciato ad utilizzare, nel nuovo millennio, una vernice atossica per i lettini, i mobili e l’arredo da giardino. Gli scarti del legno si utilizzano per riscaldare uffici e parte dei luoghi deputati alla produzione. Non solo. Il legno proviene da foreste certificate e «i mobili Foppapedretti sono costruiti per durare più del tempo che ci mettono le piante a riprodurre il legno che abbiamo usato» (Ibi, p. 47). Nel complesso, quindi, la presenza nelle case degli Italiani da oltre 60 anni, unita ad una politica che ha fatto della sostenibilità ambientale un “cavallo di battaglia”, hanno permesso alla realtà lombarda di collocarsi nella parte alta di una classifica stilata da Young&Rubicam145 – al terzo posto dopo Ferrari e Parmigiano Reggiano –, che rilevava “la forza del marchio”. L’indagine, commissionata dal Corriere della Sera146, ha messo in luce la straordinaria capacità del gruppo di stabilire un rapporto di fiducia con il suo consumatore finale, attribuendogli un punteggio superiore a 99 su 100. Tabella 1. – La forza del marchio, espressa in centesimi Posizione Denominazione azienda Punteggio 1 Ferrari 99,91 2 Parmigiano Reggiano 99,44 3 Foppapedretti 99,16 4 Valentino 98,51 5 Barilla 97,86 Fonte: http://www.foppapedretti.it/it/informazioni/azienda/la-comunicazione. 143 Sempre in provincia di Bergamo. Foppapedretti Technology è nata nel 1998, per dare nuovo impulso alla produzione e alla finitura degli oggetti a catalogo. 145 Young&Rubicam è un gruppo di aziende specializzato nel settore della comunicazione. Fondata nel 1923, esso è presente in Italia dal 1963, con sedi a Milano e a Roma. 146 Comparsa sulle pagine dello stesso Corriere, il 12 marzo 2001. 144 85 5.3 I numeri di Foppapedretti Foppapedretti S.p.A. è l’azienda capogruppo della famiglia omonima e controlla Foppapedretti Technology S.r.l., Plastikopolis S.r.l. e L’Albero delle idee S.r.l147. Nei periodi in cui il livello di produzione aumenta – nelle principali festività, specie quelle natalizie –, si aggiunge del personale selezionato da agenzie interinali, consentendo all’intero sistema di lavorare a pieno regime, con circa 250 unità148. Se ne devono poi considerare altre 300, che vanno a costituire il cosiddetto “indotto”: artigiani, imprese e, più in generale, soggetti che lavorano interamente o parzialmente per l’impresa di Grumello del Monte. Tavola 1 – Organigramma del gruppo Foppapedretti Fonte: Documento ad uso interno, non pubblicato. Presso la capogruppo, vi sono 101 lavoratori, quasi tutti a tempo indeterminato149. Esperienza, possesso di abilità pratiche e padronanza dei processi produttivi rivestono senz’altro un’importanza fondamentale, lì come nelle altre realtà Foppapedretti, dal momento che solo il 6,9% è in possesso di una laurea, il 32,6% di un diploma, il 51,4% della licenza media e l’8,9% di un attestato di scuola professionale. La percentuale di laureati e diplomati, comunque, si concentra essenzialmente qui, 147 A L’albero delle idee S.r.l. fa capo una decina di negozi monomarca, alcuni di proprietà altri in franchising, che espongono i marchi Foppapedretti e Lazzari. 148 Foppapedretti può contare anche su 50 agenti e 30 collaboratori, attivi nel settore commerciale, che consentono all’azienda di raggiungere tutte le aree del mondo nelle quali il prodotto è commercializzato. 149 Al mese di luglio 2010, i lavoratori che provengono da agenzie interinali sono 6. 86 con la presenza di posizioni manageriali e amministrative, e tende ad assottigliarsi nelle imprese controllate. L’età media del personale raggiunge i 40,7 anni. In generale – la considerazione vale ancor di più mano a mano che si analizzano proprio le “controllate” –, è presumibile che buona parte dei dipendenti – coloro che hanno conseguito solo la licenza media – abbia deciso a suo tempo di porre fine agli studi al compimento del quattordicesimo anno di età, preferendo iniziare un percorso che potesse dare loro l’agognata autonomia economica e chiudendo una volta per tutte le porte agli studi150. Da un punto di vista numerico, invece, la suddivisione in base al genere rivela un certo equilibrio: 53 uomini e 48 donne (52,3% contro 47,5%). Foppapedretti Technology S.r.l. ha 89 dipendenti ed annovera, tra le sue fila, un solo laureato (1,1%), 5 diplomati (5,6%) e ben 83 lavoratori in possesso del titolo immediatamente inferiore (93,2%). L’età media si alza di quasi un punto percentuale, rispetto alla capogruppo (41,6 anni) e le componenti maschile e femminile si equivalgono: 45 donne e 44 uomini. Plastikopolis S.r.l.151 è invece composta da 8 dipendenti: 5 donne e 3 uomini, la cui età152 è di circa 49,9 anni. Non ci sono laureati; si trovano un solo diplomato e 7 operai con la licenza media. Tavola 2 – Le aziende del gruppo Foppapedretti Fonte: www.foppapedretti.it. In sintesi, se si fa eccezione per L’albero delle idee S.r.l., rispetto al titolo di studio la situazione del gruppo153 è illustrata nel grafico che segue. 150 Per il quarantenne di oggi, l’obbligo scolastico si fermava a 14 anni. Come suggerisce il nome, Plastikopolis realizza materie plastiche per le aziende del gruppo. 152 S’intende riferirsi, ovviamente, all’età media. 153 I dipendenti, oggi, sono 198, se non si tiene conto della decina di negozi che costituiscono L’albero delle idee S.r.l. 151 87 Grafico 1. – Composizione del gruppo Foppapedretti, per titolo di studio. Valori percentuali. Fonte: Rielaborazione di materiale fornito dal settore Risorse Umane Foppapedretti Quanto vale la produzione di Foppapedretti? Uno sguardo al suo bilancio mostra una costante flessione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, così come una diminuzione degli utili, che negli ultimi 3 anni sono sempre di più scesi sotto lo 0. Ciò, peraltro, è da imputarsi anche ai cospicui investimenti fatti per migliorare l’ambiente di lavoro, grazie all’introduzione di nuove tecnologie, oltre che alla crisi economica dell’ultimo biennio. Grafico 2 – Ricavi delle vendite e prestazioni di Foppapedretti S.p.A., in migliaia di euro Fonte: Rielaborazione di materiale fornito dal settore Risorse Umane Foppapedretti 88 Tra il 2004 ed il 2009, in effetti, i ricavi si sono ridotti di 16 milioni di euro. Allo stesso modo, gli utili sono passati da 580.616 euro a -2.558.459, con una perdita di oltre 1.900.000 euro. Tabella 3 – Utile di esercizio di Foppapedretti S.p.A., tra il 2004 ed il 2009. Utile di esercizio 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2.558.459- 437.223- 438.930 148.844 195.697 580.616 Fonte: Rielaborazione di materiale fornito dal settore Risorse Umane Foppapedretti 5.4 I valori La filosofia di Foppapedretti è quella che, nel corso degli anni, l’ha portata a realizzare prodotti utili, vicini alla donna di casa, con pochi fronzoli, «perché le grandi aziende – afferma Luciano Bonetti, presidente e amministratore delegato – sono quelle che lasciano un segno, una traccia a chi viene dopo di noi». L’uso del legno non si giustifica solo sulla base dell’intrinseca qualità che lo contraddistingue, ma anche perché si tratta di una delle poche materie prime che si riproducono. La mentalità dell’azienda è fortemente orientata all’ecologia; il materiale da lavorare proviene da foreste protette, dove le piante di grandi dimensioni vengono tagliate per fare spazio a quelle piccole. La vernice utilizzata nelle fabbriche è ad acqua. Con l’ecologia, si sposa anche la qualità degli articoli Foppapedretti, destinati a durare più tempo di quanto sia necessario per la nascita di una nuova pianta. Insieme ad altre aziende, lo storico produttore di articoli in legno sta finanziando un progetto di riforestazione nell’area amazzonica, per una superficie interessata pari all’estensione dell’intera provincia di Bergamo. Ecologia, infine, significa rispetto dell’uomo. «Ecco perché – chiosa l’amministratore delegato –, sono assolutamente d’accordo con la sindacalizzazione dei dipendenti, che devono essere tutelati». Quando idee del genere vengono messe in pratica, fare l’imprenditore ha un costo superiore rispetto alla norma. Il consumatore, infatti, non ripaga, da un punto di vista economico, lo sforzo profuso. La sua attenzione si concentra sul prezzo. Foppapedretti ha avvertito in profondità gli effetti della crisi economica; il suo fatturato si è ridotto del 10% nel 2009 e dell’8% nel 2010, per la contrazione del mercato. A ciò, in definitiva, si deve la cassa integrazione di un centinaio di persone, impiegate presso lo stabilimento di Bolgare. «Lo scenario è completamente cambiato e il mutamento è avvenuto in maniera violenta. Da un punto di vista culturale, intendo. I grandi centri commerciali hanno preso il posto dei negozietti; 89 tutto tende all’omologazione. Se all’inizio si creano nuovi posti di lavoro, in seguito si uccidono i piccoli commercianti. La conseguenza? Non esiste più alcun rapporto diretto con le persone. Nei centri commerciali, l’orario prolungato fa sì che non incontri mai le stesse persone; ci sono sempre facce nuove. È venuto meno il rapporto fiduciario tra venditore e cliente e l’unico elemento che li lega è proprio il prezzo». Io stesso ho dei negozi nei centri commerciali, ma devo farlo perché il luogo ha per noi un valore strategico” (Luciano Bonetti, AD). Le esigenze del mercato hanno seriamente indotto i “piani alti” di Foppapedretti a considerare l’ipotesi di utilizzare un marchio del gruppo, Reguitti154, per realizzare articoli low cost. Non c’è ancora niente di concreto; si tratta di una possibilità che l’azienda sta vagliando attentamente. L’idea è il frutto della constatazione per cui la cosiddetta “middle class”, nel nostro Paese, sta assottigliandosi sempre più, tendendo a confluire o nella fascia medio-alta o in quella medio-bassa della popolazione. Di conseguenza, differenziare i prodotti in base al costo pare un’opzione decisamente sensata. Il problema, si badi bene, non riguarda la vendita dello stesso articolo ad una cifra più abbordabile, come accade spesso con alcuni grandi nomi del commercio, i quali non fanno altro che acquistare un ulteriore marchio e collocare la merce del primo nel secondo, in funzione della condizione socio-economica dei potenziali clienti. La qualità è la stessa. Ciò che cambia, piuttosto, è l’organizzazione, vale a dire l’utilizzo più efficiente delle risorse. Si farebbe sempre ricorso alle foreste protette – il solo pensiero di rinunciare al legno, sostituendolo con la plastica o con il metallo, non viene preso nemmeno in considerazione –; ci si servirebbe di una struttura più snella e di tutte le risorse informatiche disponibili per garantire alcuni standard irrinunciabili. Se anche i prodotti low cost uscissero dalle fabbriche Foppapedretti, sarebbe un vantaggio, perchè il surplus da destinare eventualmente a Reguitti non comporterebbe oneri aggiuntivi, poichè la stessa Foppapedretti ha già ammortizzato alcuni dei costi che peserebbero su qualsiasi bilancio. Si pensi all’acquisto dei macchinari, per esempio. Nessun progetto, insomma, dovrebbe scalfire quei punti di riferimento, cui il cliente conferisce un valore aggiunto molto alto. Vi si è già fatto cenno a proposito della “forza del marchio” e dell’indagine svolta da Young&Rubicam. Il terzo posto della speciale classifica, dietro Ferrari e Parmigiano Reggiano, non sta ad indicare i nomi più famosi delle imprese italiane, ma quelli che riescono ad entrare nel “cuore” della gente. «Se l’uomo fosse capace di ascoltare il proprio corpo, saprebbe cosa gli fa bene e cosa no. Similmente, mi pare di poter affermare che le persone ci percepiscano in maniera positiva. Di noi, il consumatore si fida e, per nostra fortuna, lo fa istintivamente. Meno male, altrimenti sarebbe un 154 Reguitti era un’azienda affine a Foppapedretti, per tipologia di prodotti e, di conseguenza, per segmento di mercato. Quest’ultima ne ha acquisito il marchio quando quella ha chiuso i battenti. 90 disastro, visto che la gente, di solito, è poco attenta alla miriade di messaggi che circola. Ce ne rendiamo conto prima di entrare in un negozio. Sulla porta c’è scritto spingere, anche se qualcuno si ostina a tirare. Quanto noi rappresentiamo, viene recepito anche se non lo diciamo: rispetto dell’uomo, della natura e un modo etico di fare impresa. Se mi fossi comportato diversamente, avrei potuto guadagnare molto di più. È sufficiente dire, del resto, che perdo quasi il 30% del mio fatturato per il comportamento illegale dei miei competitori» (Luciano Bonetti, AD). 5.5 Le politiche del personale Fino all’inizio degli anni Novanta, in Foppapedretti il reclutamento del personale avveniva in modo piuttosto tradizionale: si assumevano i famigliari dei dipendenti, i parenti o gli amici, per i quali erano i medesimi lavoratori a presentare le opportune credenziali e garanzie. Non esisteva un protocollo codificato e ciò esponeva talvolta l’azienda a dei rischi. Nel complesso, tuttavia, le persone si sono dimostrate affidabili, sono state formate all’interno dell’impresa e ancora oggi, in buona parte, mettono a disposizione le loro competenze per la realizzazione di prodotti di pregio. In quel decennio, da quando Enrica Foppa Pedretti ha assunto responsabilità manageriali in seno all’area risorse umane, i criteri di selezione sono cambiati. Ha preso forma un sistema più strutturato, in cui, certo, non si rinuncia a chiedere informazioni – le classiche referenze –, ma si cerca di associarle al possesso di alcuni prerequisiti fondamentali. In primo luogo, si valuta la congruenza tra le esperienze di lavoro pregresse ed il nuovo ruolo che ci si appresterebbe a ricoprire. Se, per il candidato, si tratta del primo impiego, la direzione delle risorse umane punta soprattutto sulla qualità della scolarizzazione, con particolare riferimento alla tipologia del titolo di studio, ai punteggi conseguiti nelle singole discipline e, non da ultimo, al voto finale di laurea o di diploma. Capita che il neoassunto non possieda nessuna esperienza nel settore della lavorazione del legno. In tal caso, viene affiancato da un collega esperto, che lo accompagna in un percorso di circa 6 mesi e gli trasmette i know how necessari per raggiungere un sufficiente grado di autonomia. Al contempo, il dipendente sviluppa la propria capacità di lavorare in team e, infine, si misura con l’impegno più complesso: il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, senza fare ricorso ai colleghi. Per quanto riguarda gli operai, non esistono procedure standardizzate, capaci di rilevare la qualità di quanto viene fatto, a differenza dei capi-linea, dei capi-reparto e del responsabile di produzione. L’opera di quelli riceve una validazione immediata, per così dire, che avviene “sul campo”. 91 I più, dall’ingresso in fabbrica, vi rimangono fino al pensionamento, non tanto per l’entità del compenso – spiega Enrica Foppa Pedretti –, quanto piuttosto per gli specifici benefici connessi con il contesto ambientale. Aggiunge la Responsabile del personale: «Oggi si sono fatti ulteriori passi in avanti. Poiché è stata accertata la natura cancerogena della polvere di legno, abbiamo realizzato un nuovo sistema di aerazione. In Italia, siamo gli unici ad aver sottoscritto e avviato in via sperimentale, con il Ministero del Welfare, un accordo che prevede la costruzione di impianti in grado di aspirare l’aria, purificarla dalle impurità ed immetterla nuovamente in circolazione durante l’inverno. Se ne facessimo entrare dell’altra, nelle stagioni più fredde, dovremmo riscaldarla. Così, invece, si ha un vantaggio economico, con ricadute positive sulla salute dei lavoratori. L’ossigeno respirato, infatti, possiede una qualità decisamente superiore a quello presente all’esterno dell’edificio. Non sono io a dirlo, ma indagini svolte dall’ASL di Bergamo e dagli uffici competenti della Regione Lombardia. A ciò, bisogna aggiungere l’uso della nuova vernice atossica, in cui il solvente è presente in quantità infinitesimale rispetto a prima. Chi sta alle macchine non indossa nemmeno la mascherina. Di conseguenza, non sappiamo cosa significhi avere un problema di retention. Di recente, abbiamo accettato di far parte di un gruppocampione di aziende, per la rilevazione del rischio di stress. Un esperto veniva periodicamente da noi, per intervistare il segmento medio-alto della forza lavoro. Ebbene, Foppapedretti è la realtà dove gli addetti risultano più soddisfatti, nell’intera provincia di Bergamo» (Enrica Foppa Pedretti). Un motivo di rammarico, forse, è la cassa integrazione155 del personale di Foppapedretti Technology, che rimarrà fermo per 3 mesi e rientrerà in azione nell’autunno 2010. «Accedervi, dicono i vertici dell’azienda, è stata quasi una vergogna per noi, perché non siamo abituati a lasciare a casa la gente, anche se per qualche mese». Il motivo è la sovrapproduzione degli articoli a catalogo, che hanno riempito i depositi e non riescono ad essere smaltiti in tempo utile. Lo stop dell’unità di Bolgare156, quindi, è motivato dalla necessità di vendere il surplus accumulato. Naturalmente, la battuta d’arresto non riguarda i magazzinieri, gli spedizionieri e gli uffici commerciali, che continuano ad operare per evadere gli ordini via via effettuati dai diversi negozi, disseminati sul territorio nazionale. Più in generale, dicono ancora in Foppapedretti, l’instabilità del mercato non consente più di effettuare una programmazione a lungo termine, costringendo l’azienda ad uno sforzo nel progettare nuovi articoli che stimolino il cliente all’acquisto, che sollecitino il produttore a trovare altri settori di mercato, in Italia e all’estero, nella consapevolezza – come si è visto – che i piani e le strategie di marketing presentano sempre dei margini di errore. 155 156 Si tratta di cassa integrazione ordinaria. Paesino in provincia di Bergamo, dove ha sede Foppapedretti Technology S.r.l. 92 Complice la crisi economica internazionale, il ricorso alla cassa integrazione non annulla certo l’attenzione che il gruppo dedica costantemente ai propri dipendenti, a partire dalla formazione, che avviene, come si è detto, in buona parte on the job. Chi entra in Foppapedretti impara dai colleghi, quale che siano l’area, il profilo o il livello che lo riguardano. Si fa anche uso dei fondi interprofessionali, attraverso Fondimpresa157. In sintesi, anziché versare i contributi all’INPS, la stessa Foppapedretti – e, con lei, tutte le aziende che ritengono opportuno sfruttare questo importante canale formativo – li destina ad un fondo inteprofessionale, appunto, che così dispone delle risorse necessarie per erogare i corsi. Il ventaglio delle possibilità è estremamente vario e spazia dall’approfondimento delle lingue alle discipline tecniche, Per fare solo degli esempi. Una terza via, anch’essa battuta, riguarda i corsi interni, tenuti da professionisti di uno specifico settore, che si recano direttamente presso Foppapedretti per svolgere la loro attività. Al di là dei dipendenti regolarmente assunti, in azienda vi sono pure degli “interinali”, benché la percentuale di questi ultimi non superi il 2-3%. Chi arriva tramite le agenzie di lavoro temporaneo non di rado modifica, dopo qualche tempo, la propria posizione contrattuale, diventando a tutti gli effetti lavoratore subordinato a tempo indeterminato. Per comprenderne gli sviluppi di carriera, tuttavia, è necessario verificare i motivi per cui Foppapedretti ha deciso di avvalersi delle sue prestazioni. Quando la sostituzione avviene a causa del pensionamento di una persona – il livello di fedeltà aziendale è molto alto –, sono pochi i soggetti non confermati. Se uno resta a casa, in tal caso, significa che “qualcosa non ha funzionato”. Ma non succede così spesso, dal momento che gli “interinali”, quando entrano in azienda, hanno già subito un accurato processo di selezione. «È chiaro, invece, che, se l’assunzione intende far fronte ad una sovrapproduzione dovuta alle feste natalizie o pasquali, l’operaio non viene confermato. Altrimenti, dopo, non sapremmo cosa fargli fare. Di solito, però, le sostituzioni non riguardano l’area produttiva, per la quale la programmazione prevede, con un certo anticipo, quanto e quando intensificare o diminuire i ritmi di lavoro. Ci arrangiamo con i turni, cercando di ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili. Gli interinali sono in genere destinati al montaggio dei pezzi o al reparto spedizione, dove bisogna caricare e scaricare i camion. Insomma, dove il tipo e la qualità delle competenze richieste non è particolarmente significativo. Chi assembla i diversi componenti, lavora in squadra ed impara dagli altri cosa fare. Se gli affidassimo una macchina, dovremmo spiegargli come funziona, come si 157 Fondimpresa è un fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua, istituito da Confindustria, CGIL, CISL e UIL. La sua mission consiste nel consentire alle aziende e ai lavoratori – anche alle realtà di piccole dimensioni – l’accesso alla formazione, in un’ottica d’innovazione e sviluppo. Concretamente, è possibile accedervi secondo due modalità: Conto formazione e Conto sistema. Con il primo, è il piano formativo della singola azienda, di una certa dimensione, ad essere finanziato. Il secondo è collettivo ed è pensato per le imprese di piccole dimensioni, che si associano elaborando una strategia formativa comune. 93 comporta il legno durante la lavorazione e ci vorrebbe troppo tempo. Dovrebbe capire cosa scartare e cosa no, cosa fare quando trova un nodo e così via» (Manuel Belotti, Responsabile della produzione). In effetti, l’assemblaggio è l’ultimo step e ci si arriva dopo aver risolto una serie di criticità, legate alle fasi precedenti. I componenti da montare non hanno difetti e il materiale non subisce più modifiche per la temperatura, la stagionatura, ecc. In verità, vi sono alcune circostanze, non molto frequenti, nelle quali il “lavoratore temporaneo” è chiamato alla guida di una macchina. Quando accade, il processo di selezione è ancora più rigido e, di solito, c’è un motivo ben preciso: la sostituzione del personale che si appresta a godersi una serena vecchiaia. Più raramente, si è costretti ad assumere uno perché non si riesce a trovare forza lavoro qualificata disponibile. «A prescindere dalle ragioni che hanno spinto Foppapedretti a richiederne l’opera – sono ancora parole di Manuel Belotti –, comunque, i lavoratori in esubero costituiscono indubbiamente una risorsa che permette all’azienda di “respirare”, pesando meno sul bilancio e consentendole di mettere alla prova, per un tempo sufficientemente lungo, una persona che potrebbe rivelarsi non particolarmente adatto a ricoprire un certo ruolo». Il tipo di lavoro – quello manifatturiero e, più in dettaglio, la lavorazione del legno – non si sposa bene con la flessibilità riguardo alle politiche del personale. Il materiale non può essere lavorato e poi lasciato da parte, consentendo agli operai di programmare a piacimento le vacanze o i periodi di festività, e di riprendere l’attività al loro ritorno. Quando il processo inizia, lo si deve portare a termine; altrimenti, il materiale – modificando le proprie dimensioni – diventerebbe inutilizzabile. Perciò, tutti – dirigenti, impiegati e operai – fanno le vacanze nello stesso periodo158. Foppapedretti non ha attuato particolari politiche, nell’ottica del diversity management. Esistono, piuttosto, misure in favore dei dipendenti a prescindere dal sesso o dall’età, tra cui spicca l’anticipo del TFR, il trattamento di fine rapporto, anche a chi non ne avrebbe diritto. «Se un lavoratore si trova in difficoltà economiche – ricorda Enrica Foppa Pedretti –, di solito gli si conferisce la somma prima della pensione. Intendiamoci, si tratta sempre di soldi che gli appartengono; ma la legge è chiara: glieli si può dare, se sussiste la necessità di acquistare la casa o per spese mediche documentate. Ecco, se c’è n’è bisogno, non ci andiamo troppo per il sottile. Glieli diamo e basta, senza verificare con troppo rigore perché ce li chiede». 158 Tendenzialmente, si programmano le vacanze in modo tale che gli stabilimenti chiudano nel mese di agosto. I lavoratori sono impiegati quasi tutti a “tempo pieno”. Fruisce del part-time il 5% circa dei lavoratori. «Ci è capitato di concederlo – aggiunge Enrica Foppa Pedretti – anche quando non ce lo saremmo potuti permettere. Ma si è trattato di casi in cui la salute dei dipendenti era compromessa. Davanti ad una grave malattia, il dovere morale ci ha portato a chiudere un occhio di fronte al piano aziendale». 94 5.6 Una comunicazione ricca di contenuti Quando un’azienda investe quasi il 15% del fatturato, ogni anno, in comunicazione esterna, è chiaro che essa attribuisce un ruolo centrale ai media, cartacei o digitali che siano. Lo spot pubblicitario e l’articolo di giornale “guidano il cliente all’acquisto”, come ha sottolineato l’amministratore delegato del gruppo, Luciano Bonetti. Il messaggio che giunge loro è schietto, diretto, illustra in tempo reale gli effettivi vantaggi che la donna di casa può aspettarsi se viene in possesso dell’oggetto reclamizzato. Quali sono i tratti distintivi di una comunicazione così efficace? In un recente e raffinato contributo, Maria Sebregondi ha condotto il lettore in un’interessante analisi delle parole-chiave, che in qualche modo sintetizzano l’esperienza vincente di Foppapedretti (Sebregondi, 2006). È una sorta di grammatica, composta da verbi e da aggettivi, che ne hanno sancito dapprima l’alta qualità, quindi la diffusione presso un pubblico sempre più vasto, nonostante i prezzi non siano sempre accessibili a tutti. Se si vuol davvero “lasciare un segno”, come auspicava Luciano Bonetti, le idee devono produrre qualcosa che funzioni nel concreto vivere quotidiano. Le case sono più piccole, gli ambienti più ristretti. L’uomo stesso è continuamente in movimento; di conseguenza, bisogna cercare di «produrre oggetti a sua immagine e somiglianza, sfruttando al meglio le caratteristiche della [sua] specie che gli paiono più produttive» (Ibi, p. 134). Ecco perché il primo aggettivo deve essere “pieghevole”. D’altro canto, non si può nemmeno rinunciare a ciò che è “trasformabile”. I potenziali clienti devono sapere che, grazie a qualche piccola modifica, una cosa muta in un’altra: la culla diventa un lettino, accompagnando il bambino lungo l’infanzia e consentendo al genitore di recuperare, quand’è giunto il momento, parte della somma spesa con il primo acquisto. “Trasformabile” si sposa bene con “portatile”, per assecondare le esigenze di spostamento delle persone. Riaffiorano allora alla mente le prime borse di legno di Foppapedretti che, raggiunto un certo benessere, le famiglie italiane riempivano di ogni genere di cibo, in occasione delle gite “fuori porta”. Ma è proprio la natura che enfatizza uno dei cardini della comunicazione dell’azienda: l’approccio ecologico. Se n’è già parlato, in questa sede, e se ne dirà ancora. Vale la pena, tuttavia, di sottolineare, per quanto banale possa sembrare, come l’epoca attuale sia segnata dalla “consumabilità”, specie nella sua accezione consumistica; le cose si comprano e si buttano quasi simultaneamente. Con il ricorso alle foreste certificate e al legno di qualità, ci si può senz’altro aspettare che l’articolo duri più di vent’anni – in tal caso, “ecologico” fa rima con “durevole”. Semplice da usare, esso è fatto di legno massello. Certamente, la plastica è il simbolo del mutamento rapido, della maneggevolezza, della leggerezza, ma è pure inquinante. In confronto, il legno pare decisamente “caldo” e “affettuoso”, contrapposto al carattere effimero della 95 prima. Il legno, insomma, è come il vino buono: quanto più invecchia, tanto più migliora (Ibi, p. 143). Accanto agli aggettivi, i verbi completano ciò che Foppapedretti intende comunicare. Essi si prestano perfettamente a descrivere le “funzioni” svolte dagli esseri umani, prima semplici e poi più complicate, a causa del contestuale variare degli stili di vita. Forse, “stendere” non è una delle azioni preferite dalla casalinga; certo è una delle più ricorrenti. La riduzione degli spazi domestici, i nuovi regolamenti urbani, l’aria più sporca rispetto al passato e, perché no?, il formarsi di un adeguato senso estetico, tendono a far sparire i panni dalla vista. «Dai centri alle periferie […], dal Nord a Sud, dalla città ai paesi […] il bucato è diventato sempre più un problema eminentemente privato e occultato dal comune senso del pudore» (Ibi, p. 144). Per questo, gli stendipanni pieghevoli ed estensibili, che si allungano o accorciano a seconda delle quantità di biancheria da asciugare, si sono sviluppati in orizzontale o in verticale, per compensare proprio l’esiguità degli spazi. Come spiegare alle interessate che “stirare” può essere gradevole? Probabilmente, si tratta di un’impresa senza possibilità di successo. Gli assi da stiro Foppapedretti, resistenti e ben attrezzati, al termine dell’annosa operazione prendono le sembianze di un piccolo mobile compatto, con la possibilità di “appendere” i capi nei famosi portaometti trasportabili. Talvolta, le suppellettili e gli stessi vestiti abbisognano di una collocazione che non è “a portata di mano”, che costringe a “salire” lungo scale sicure e facilmente spostabili, i cui appigli limitano il rischio di eventuali cadute. L’ultimo verbo, “giocare”, riconduce all’origine, riporta al motivo dal quale tutto è partito. «I giochi, i giocattoli raccontano di epoca in epoca che tipo di rapporto c’è tra adulti e bambini. Anzi, essi raccontano qual è l’immagine che gli adulti hanno dei bambini, l’idea del ‘compito’ dei bambini nella società» (Ibi, p. 152). La costruzione di oggetti di legno, per Ezio Foppa Pedretti, è partita proprio da lì, da «un rapporto felice con l’infanzia» (Ibi, p. 155), dalla realizzazione di pezzi unici destinati ai bambini, che il suo creatore esponeva nella vetrina del negozio del fruttivendolo del paese e poi ai mercatini locali. L’attenzione alle questioni ambientali, che in questi ultimi anni si è radicalizzata sempre più, almeno all’inizio ha avuto un impatto non proprio positivo nei confronti del cliente-tipo. L’introduzione della vernice ad acqua non ne incontrava i gusti, essendo stato questi largamente abituato agli effetti visivi provocati dal solvente, primo fra tutti la lucentezza. «All’inizio il prodotto sembrava sbiadito, non piaceva. Solo ora, dopo 10 anni, il livello di qualità percepita dai consumatori è alto e la gamma di colori disponibile è molto ampia. La [loro] fredda accoglienza iniziale […] bene evidenzia come molto spesso le innovazioni di processo richiedano anche un 96 intenso lavoro sul fronte della domanda per ‘educare’ alla novità e farne percepire i vantaggi» (Fondazione ISTUD, 2008, p. 83). 5.7 Foppapedretti e la salvaguardia dell’ambiente 5.7.1 La provenienza della materia prima Il legno del quale fa uso Foppapedretti proviene da foreste certificate, cioè da siti in cui si pratica il rispetto dell’ambiente e delle persone che lo abitano. In particolare, l’85% del materiale lavorato possiede la certificazione FSC159, che l’azienda ha conseguito nel 2007. I suoi principali fornitori ne erano già venuti in possesso l’anno prima, mentre lo stesso non si può dire per i terzisti160. Essi hanno dovuto affrontare un lungo e delicato processo, specie sotto il profilo economico ed organizzativo, che ha avuto termine solo di recente, grazie all’attivo coinvolgimento dei consulenti e del personale amministrativo Foppapedretti (Ibi, p. 75). Ciò, peraltro, non significa che a tutti gli elementi di debolezza sia stato posto rimedio, poiché «i problemi maggiori risiedono nella presenza, all’interno di molti prodotti, di componenti che provengono da legni non certificati. È il caso, ad esempio, dei pannelli multistrato, presenti negli assi da stiro e in molti altri articoli: esiste un unico fornitore di pannelli multistrato certificati, ma non è in grado di garantire i quantitativi necessari alla produzione Foppapedretti»161 (Ibid.). Infine, quand’anche il prodotto fosse certificato al 100%, prima di metterlo in commercio bisognerebbe svuotare i magazzini, dove sono ancora presenti articoli di vecchia concezione162. 159 FSC è l’acronimo di Forest Stewardship Council, una ONG internazionale che annovera, tra le sue fila, «gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo». Si veda, in proposito, il sito http://www.fsc-italia.it/index.php, che illustra le caratteristiche della sezione italiana dell’organizzazione. I prodotti recanti il marchio FSC contengono legno proveniente da foreste gestite responsabilmente, secondo precisi standard ambientali. 160 Il terzista è, in genere, colui che lavora per conto di terzi, come suggerisce il termine. Più in dettaglio, il termine sta ad indicare chi effettua lavorazioni che, alla fine, vengono assemblate sul prodotto del committente. 161 La maggior parte delle considerazioni sulle procedure di certificazione, lavorazione e verniciatura del legno sono state attinte dal presente saggio, che costituisce la base su cui è stata condotta questa indagine, riguardo alle tematiche legate al rispetto dell’ambiente e delle persone. 162 Non certificati o non certificati al 100%. 97 5.7.2 Le fasi della lavorazione Il legno massello, nella sua lavorazione, necessita di una serie di controlli in ogni fase, fondamentali per mantenerne le caratteristiche naturali. Quando viene consegnato agli addetti di Foppapedretti, però, è già andato incontro ai processi di sezionatura163, essiccazione e stagionatura. È il fornitore che vi provvede direttamente, su indicazione del committente. In primo luogo, il materiale viene depositato in locali ventilati, dove l’umidità è costante, a temperatura ambiente. Gli operatori, quindi, lo prelevano e lo trasferiscono al reparto macchine, dove inizia il vero e proprio processo di lavorazione (Il ciclo produttivo, s.d., p. 1), che si suddivide nella maniera indicata in tabella 5. Tabella 5 – Le fasi della lavorazione del legno 1. Scorniciatura 2. Intestatura 3. Tenonatura 4. Lavorazione ai pantografi 5. Calibratura e levigatura del grezzo Fonte: Il ciclo produttivo. Foppapedretti Technology, s.d., documento ad uso interno, non pubblicato. Con la scorniciatura, il pezzo viene piallato, raggiungendo le misure indicate dal relativo disegno; si asporta il materiale in eccedenza e si eliminano «le asperità superficiali dovute al processo di segagione» (Ibi, p. 2). Il materiale viene trattato con pialle multi-utensile, automatizzate, capaci di intervenire contemporaneamente su tutte le superfici in oggetto. La seconda fase è l’intestatura, dove la “testa” dell’articolo viene troncata, sagomata e levigata; la terza è la tenonatura. Anche in tal caso, si agisce sulla parte terminale del legno164, per dare forma, appunto, al tenone, la protuberanza che permette all’oggetto medesimo di incastrarsi nella mortasa, la parte intagliata. Così, è possibile unire le varie parti per formare i telai, limitando l’uso di viti o di altri elementi metallici, che potrebbero compromettere «la qualità estetica del prodotto finale» (Ibi, p. 3). A questo punto, il manufatto è pronto per essere lavorato ai pantografi, delle macchine ad alta tecnologia che intervengono con la massima precisione, praticando fori di vario genere. Da ultimo, si passa alla calibratura e levigatura del grezzo, per «uniformare lo spessore e la larghezza degli 163 164 Con la sezionatura, avviene il taglio dei pannelli. La testa. 98 elementi, cancellando ogni eventuale anomalia causata dalle lavorazioni precedenti e rendendo le superfici lisce e pronte per le operazioni di verniciatura» (Ibi, p. 4). 5.7.3 La principale innovazione di processo: la verniciatura Verso la fine degli anni Novanta, si è pensato di introdurre un nuovo sistema di verniciatura, che fosse innovativo soprattutto per l’impatto sull’ambiente e le persone. La vernice tradizionale – quella ad oggi più utilizzata – conteneva circa il 70% di solvente, una sostanza nociva per gli esseri umani che la respiravano e per la difficoltà di smaltimento. Quella attualmente in uso, costituita essenzialmente da acqua, mantiene sì una percentuale di solvente, che però si riduce al 5-6%. È facile immaginare le conseguenze: i bambini – nel caso di prodotti per l’infanzia – si troverebbero in presenza di materiale atossico, così come gli adulti, seduti su un mobile da giardino o nell’atto di servirsi di un ferro da stiro. Quanto al succitato smaltimento dei rifiuti, il legno massello verniciato una prima volta deve essere pulito e rilavorato, prima di subire una “seconda mano”. Se questo è trasparente, il residuo di vernice che si ottiene dalla pulitura viene riutilizzato nuovamente, nel senso che lo si miscela con del prodotto nuovo. Se, al contrario, è colorato, il fornitore s’incarica personalmente di “rigenerarlo”, per renderlo disponibile al momento del bisogno. Nonostante l’intero processo abbia richiesto alti costi, sia una tantum – per l’acquisizione dei macchinari – sia in corso d’opera – si veda l’acquisto delle vernici, assai più “care” rispetto al vecchio solvente –, Foppapedretti ha mostrato grande sollecitudine affinché, al cliente finale, non fosse arrecato danno di sorta. Seggioloni, scale e lettini non potevano essere di qualità inferiore rispetto a quelli realizzati nel corso di più di cinquant’anni di onorata carriera. Eppure, tra esperimenti ed “entrata a regime”, il tempo richiesto per raggiungere un risultato del genere non è stato del tutto trascurabile165. Lo sforzo, oltre a coinvolgere l’azienda, ha chiamato in causa la Mauri Macchine, che ha realizzato i mezzi di produzione, e la Icro Coatings, la ditta produttrice delle vernici. Va aggiunto che, siccome nessuno si era mai misurato prima con un esperienza simile, il carattere pionieristico dell’operazione era assolutamente privo di termini di confronto. Quali sono stati, in sostanza, i vantaggi del nuovo sistema? In primo luogo – lo si è già sottolineato –, il 95% in meno del solvente ha ridotto in misura cospicua le emissioni di sostanze tossiche inalate dai dipendenti, con delle ricadute anche sugli utilizzatori del prodotto finito: i clienti. D’altro canto, è calata drasticamente la quantità di sostanze organiche, in forma volatile, disperse all’esterno. Se si tengono in considerazione il recupero dei residui di vernice, la minore produzione di rifiuti e 165 Sono stati necessari circa 2 anni. 99 l’esiguità delle precauzioni da adottare da parte del lavoratore in fase di produzione, il quadro che ne emerge non può che essere positivo. Le macchine, poi, possono essere lavate con normalissima acqua corrente – niente più solventi da lavaggio. Il rischio d’incendio è praticamente nullo, così come la possibilità di contrarre malattie nell’esercizio della professione. Il processo, tuttavia, presenta anche alcuni svantaggi, primo tra tutti il costo dei macchinari e della vernice ad acqua che richiede l’esborso di una somma di quattro volte superiore rispetto a prima. Inoltre, si è dovuto cambiare il modo di lavorare, studiando un processo di essiccazione del legno più efficiente, una procedura che ne preservasse la giusta durezza – la quale esige tempi più lunghi –, la capacità di resistere al gelo – specie per gli articoli da giardino. Non da ultimo, si è dovuto riflettere su come integrare le parti in plastica, che presentano problemi in fase di carteggiatura (Fondazione ISTUD, 2008, p. 77). Oggi, tutto funziona perfettamente. In realtà, nei primi 6/7 mesi dall’introduzione del nuovo sistema di verniciatura, non poche sono state le questioni da risolvere. Si è cercato di farvi fronte in 3 modi: a) modificando il ciclo produttivo166, b) cambiando le caratteristiche del prodotto, c) trovando soluzioni alternative. Rispetto al secondo punto, per fare un caso concreto, dal momento che «l’impianto non consente di verniciare le parti trafilate (ovvero tonde), gli articoli contenenti particolari di questa forma sono stati modificati laddove possibile» (Ibi, p. 79). In terza battuta, dopo aver deciso che l’oggetto avrebbe dovuto mantenere integralmente le caratteristiche originarie, si è proceduto con la verniciatura a mano. Nel complesso, il rivoluzionario modo di lavorare ha richiesto un’intensificazione dei controlli, per evitare che il materiale ligneo potesse essere danneggiato o mostrasse delle “smagliature”. Quanto le vernici tradizionali riuscivano a mascherare, infatti – per l’azione “coprente” dei solventi –, emerge prepotentemente con il preparato ad acqua che, al contrario, non fa altro che enfatizzare il “patrimonio genetico” della materia prima. Il modo completamente nuovo – ecocompatibile, sarebbe meglio dire – di realizzare i prodotti ha collocato l’azienda in una posizione d’avanguardia, nel nostro Paese, sotto il profilo normativo. Ciò le ha arrecato significativi vantaggi nei confronti dell’UE che, con le sue regolamentazioni piuttosto rigide in materia di sostanze tossiche espulse dagli stabilimenti, crea problemi a non poche imprese, del settore e non. Ebbene, Foppapedretti è già oltre; l’investimento cospicuo di risorse sull’uso responsabile del legno l’ha portata a conferire ancora maggiore risalto al tema della qualità. Essa è entrata a far parte di Bioforest167, un ente che si occupa, tra le altre cose, di finanziare il ripristino 166 Introducendo alcune modifiche nelle fasi di lavorazione. Bioforest é una ONLUS nata nel 1998, con lo scopo di promuovere una cultura produttiva sensibile all’ambiente e di tutelare le risorse naturali. Perciò, essa intende “costruire un ponte” tra ecologia e industria, in maniera che quest’ultima maturi un’adeguata conoscenza dei problemi ambientali. I costi di gestione dell’associazione sono a carico di un pool di 167 100 della flora, su cui si è abbattuta l’azione distruttrice dell’uomo. Le iniziative di quest’ultimo sono riassunte nella tabella 5 (Id., p. 82). Tabella 6 – Gli obiettivi di Bioforest Aggregare le realtà che intendono contribuire alla rigenerazione e alla ricostruzione degli ecosistemi forestali, degradati o danneggiati per l’incuria o la mancanza di rispetto ambientale da parte dell’uomo Collaborare economicamente alla riforestazione, nel tentativo di non mutare l’assetto dell’ecosistema originario ed acquistando, eventualmente, le aree boschive interessate Sviluppare progetti di ricerca, relativi alle aree d’intervento Diffondere, attraverso un’azione mirata nelle Università e nei centri di ricerca, la sensibilità legata ai progetti realizzati, informando le persone sugli eventi di cui Bioforest si fa promotrice Promuovere un confronto costante con i media e con l’opinione pubblica, organizzando dibattiti, conferenze e convegni Diffondere una ‘mentalità ecologica’, specie su tematiche quali il riciclaggio, la riduzione dei consumi energetici e di materie prime, l’eliminazione di sostanze tossiche dai processi produttivi Fonte: Il ciclo produttivo. Foppapedretti Technology, s.d., documento ad uso interno, non pubblicato. 5.7.4 L’ultimo passaggio: il montaggio e l’imballo Le cave e i tenoni costituiscono delle lavorazioni essenziali nell’ottica del premontaggio dei telai e sono incastrati le une negli altri tramite particolari presse. Una colla speciale, l’araldite168, fa il resto. La tenuta, nel tempo, è ottima. Un’ulteriore garanzia di fissaggio, inoltre viene garantita, dopo l’assemblaggio, dall’uso di minuterie metalliche e di componenti in plastica, applicati per mezzo di rivettatrici, avvitatori ed altri utensili. Il prodotto passa quindi al collaudo e, in caso positivo, viene aziende, le quali ne finanziano personalmente i lavori di segreteria, le attività amministrative, la pubblicazione periodica di materiale informativo e la promozione dei progetti. 168 L’araldite è una colla assai resistente. In seguito all’essiccazione, che richiede circa 48 ore, può addirittura essere lavorata al tornio. 101 in genere confezionato con film termoretraibile169, imballato in scatoloni di cartone e collocato nei magazzini, in attesa della vendita. 5.7.5 L’impianto di aspirazione nel reparto macchine Il processo produttivo non è certo esente da scarti di materia prima, ma questi ultimi vengono riutilizzati poiché, come si è detto, esiste un sistema di aspirazione e di filtraggio dell’aria, che viene successivamente reintrodotta nell’ambiente di lavoro. Scarti e polveri sono aspirati e filtrati, producendo aria pulita, a sua volta reintegrata con aria fresca. Inoltre, i materiali recuperati servono per produrre energia termica, in sostituzione di quella non rinnovabile. I trucioli e le polveri passano attraverso dei tubi, per raggiungere dei “depuratori” situati all’esterno. Al termine del percorso, vengono depositati in due silos. Dal silo più grande, «lo scarto di lavorazione viene trasportato alle caldaie a combustibile solido per la produzione di acqua calda necessaria al riscaldamento degli ambienti lavorativi e agli impianti di essiccazione della verniciatura. […] Nel periodo estivo, quando il materiale di scarto non è totalmente assorbito dalle caldaie, […] si utilizza l’eccedenza per produrre “bricchetti”, […] immagazzinati per formare una scorta da utilizzare nel periodo invernale per alimentare le caldaie di tutti gli stabilimenti Foppapedretti» (Id., p. 7). 5.8 Il rapporto con il territorio Foppapedretti S.p.A. ha stabilito un particolare rapporto con il territorio, specie dopo l’acquisizione del Volley Foppapedretti Bergamo, la squadra femminile di pallavolo della città. Rilevata all’inizio degli anni Novanta nelle serie minori, la società milita attualmente nella massima divisione dopo aver vinto, nel corso di un ventennio, ben 7 campionati italiani e trionfato 5 volte in Coppa Italia e 7 in Coppa dei Campioni. I motivi per cui l’azienda è entrata nel mondo dello sport sono essenzialmente due. Il primo si basa sull’assunto per cui «un’azienda debba contribuire allo sviluppo del territorio sul quale opera e, in qualche modo, restituire parte di ciò che prende» (Filì, 2010, p. 77). D’altro canto, l’avventura nel volley si è deliberatamente posta nell’ottica della promozione del proprio marchio; cosa non facile da realizzare, dal momento che la pallavolo è uno sport privo di diritti televisivi; cosicché, afferma Luciano Bonetti, per farsi notare «bisognava 169 Il film termoretraibile è una pellicola in polietilene o in altre sostanze che, sottoposta ad una fonte di calore, si contrae, assumendo dimensioni ridotte fino al 50% di quelle iniziali e aderendo all’oggetto intorno a cui è stata avvolta. In seguito al raffreddamento, il film acquisisce nuovamente la forma originaria. 102 vincere e […], solo vincendo, in uno sport considerato “minore” rispetto al calcio si poteva[no] ottenere una notorietà e un positivo effetto di comunicazione [sul brand]» (Ibid.). Foppapedretti S.p.A. si rivolge principalmente alle donne; il team è composto di sole donne; di conseguenza, sono loro il target dell’azienda. È soprattutto il sesso femminile – ma non esclusivamente – a seguire la squadra e ad assistere alla crescita di un senso di appartenenza alla comunità bergamasca, senza dar luogo a contrapposizioni tra città o scatenare un tifo violento. Oggi – il fatto è assolutamente degno di nota –, 10.000 tra giovani e giovanissime praticano questo sport nell’intera Provincia. In prima squadra, vi sono ben 2 giocatrici bergamasche; altre sono state cedute in prestito a squadre di serie A1 o della categoria immediatamente inferiore. L’impegno richiesto alle atlete è davvero notevole: «una ragazza under 18 delle nostre – aggiunge il presidente Bonetti – deve allenarsi dal lunedì al venerdì […]. Tempo di andare in discoteca o di andare a sballare ne rimane pochino…» (Ibid.). In un periodo in cui si fatica ad investire sui giovani, ad ogni livello, è partita la quarta edizione della Scuola Foppa, destinata ai più piccoli, nati nel 1999, 2000 e 2001. In tre anni, l’iniziativa ha avuto un tale successo che le iscrizioni sono triplicate rispetto all’inizio. Gli insegnanti sono dei diplomati ISEF, «che lavorano e collaborano con le squadre del Settore Giovanile del Volley Bergamo, garantendo […] sia il corretto approccio all’attività motoria, sia gli appropriati insegnamenti delle tecniche pallavolistiche di base»170. Ai fanciulli e alle fanciulle, tra l’altro, sono assicurati momenti di contatto con la prima squadra, dal momento che essi potranno assistere gratuitamente agli incontri del campionato di serie A1, di Coppa Italia e di Champions League171. Tirando le somme – sono ancora parole dell’amministratore delegato di Foppapedretti – «credo di non aver mai avuto un ritorno pari agli investimenti che questa squadra ci è costata…» (Ibid.). Si è cercato più volte, insieme al Patron dell’Atalanta Calcio, Antonio Percassi, di costruire una “cittadella dello sport”, ma le diverse amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni non hanno mai preso il progetto in seria considerazione. Il palazzetto del volley, il PalaNorda, è fatiscente. Andrebbe raso al suolo e ricostruito daccapo. Anche il team dell’Azerbaijan, che fa tappa a Bergamo per la Coppa dei Campioni, è rimasto sorpreso per la precarietà di una struttura che, ogni anno, riceve una deroga dall’ente locale per ospitare incontri di alto livello. Ciononostante, l’assessore alle Attività produttive del comune è, a partire dal 2009, Enrica Foppa Fedretti, manager di punta dell’omonima azienda e vicepresidente della squadra di pallavolo. 170 171 www.volleybergamo.it. Naturalmente, si fa riferimento alle partite disputate in casa. 103 Perché aspettare, allora, a metter mano al rifacimento dell’impianto? «Non è facile come sembra – precisa l’assessore. Mi rendo conto che possa apparire paradossale; tuttavia, per quanto concerne il palazzetto, ho preferito defilarmi, adottando un basso profilo. Già m’immagino le voci, secondo cui l’impresa fondata da mio padre si servirebbe di soldi pubblici, per sistemare i propri affari. A questo prezzo, è meglio lasciar perdere!». Il progetto della “cittadella dello sport” è lì, sul tavolo del sindaco – di quello attuale come dei precedenti. Percassi e Bonetti si accollerebbero gli oneri della costruzione, se ci fosse la possibilità di ammortizzare l’investimento fatto, magari anche in tempi medio-lunghi. In sostanza, nel caso della Foppapedretti, bisognerebbe usare la nuova costruzione «anche per altre manifestazioni, come concerti e realizzando servizi attinenti allo sport e una struttura alberghiera […] adatta alla vocazione internazionale della squadra» (Ibi, p. 78). Però, a tutto c’è un limite, conclude Bonetti: «Non posso più aspettare così tanto… Sono dieci anni [che se ne parla] e potrei anche essere costretto, dopotutto, a chiudere questa esperienza. Non è un discorso ricattatorio ma in questo momento sono costretto a pensare ai miei operai prima che alla pallavolo. Non posso più spendere più di quanto è giusto che io spenda per il ritorno che ne ho. Questo è il problema. Per il momento è tutto fermo e pare che per i politici esistano solo i comitati del no e mai quelli del sì… Il politico oggi lavora solo per essere rieletto, non per fare il bene della città e così nessuno fa squadra» (Luciano Bonetti, AD, Ibi, pp. 78-79 104 Capitolo VI Il caso TheBlogTV 6.1 Profilo sintetico dell'impresa TheBlogTv S.p.a. è una media company che basa la sua attività ed il suo successo sui contenuti generati dagli utenti, raccolti attraverso piattaforme di community building per la comunicazione, la collaborazione e lo scambio di idee, sviluppate dall'azienda stessa. Con due sedi operative in territorio nazionale, l’una su Roma, l’altra su Torino, e la sede legale e commerciale a Milano, a cui si aggiungono le sedi di Madrid, Barcellona e Parigi e 100 dipendenti (di cui il 90% ha meno di 35 anni), TheBlogTv ha un capitale sociale di € 194.975 e nell’anno 2009 ha fatturato € 4,25M con un utile netto di - € 1,994M. Lo slogan dell'azienda “Value behind community” ben sintetizza il credo e la mission di TheBlogTV: prima media company europea specializzata in web 2.0 a lanciare il crowdsourced advertising, TheBlogTV ha accolto la pratica innovativa di rivolgersi al pubblico per la produzione di contenuti mediali. I fondatori dimostrano da subito la consapevolezza profonda – da un lato – della debolezza del modello Youtube, in termini di qualità dei contenuti e di mancanza di format editoriali – con conseguente difficoltà di monetizzazione e di gestione delle infrazioni delle norme sul copyright; percepiscono – per altro verso – la poca innovatività di una proposta contemporanea e apparentemente analoga come Current TV, che si è limitata, sin dal 2005, a riproporre in TV i contenuti più interessanti generati dai contributori senza editing di sorta, richiedendo agli autori delle produzioni amatoriali un elevato livello qualitativo di partenza. “...se nel 2005 la proposta di Current era molto avanzata, oggi appare piuttosto banale, schematica. In fondo si tratta di raccogliere video interessanti e mandarli in tv. “ (Bruno Pellegrini, fondatore di TheBlogTV) 105 6.2 La storia di TheBlogTv. TheBlogTV nasce, come società autonoma, nell’ottobre del 2006, ma deriva da un progetto analogo lanciato oltre un anno prima dal fondatore – Bruno Pellegrini – sull'onda dell'esplosione del videoblogging in USA. Pellegrini, già consulente strategico ed owner del primo blog italiano sugli User Generated Contents, ed esperto di “cose del web”, arriva all'idea di un'azienda interamente basata sui contenuti generati dagli utenti al termine di un percorso che, dalla laurea in economia aziendale alla Bocconi di Milano, l'ha portato ad esperienze nel mondo dei media e della produzione per la TV – passando per grandi realtà come Procter&Gamble, Bain&Co e Mediaset. Proprio in Mediaset Pellegrini esplora il rapporto tra Internet e TV, creando una web tv per la prima edizione del Grande Fratello. Successivamente fonda Offside, società di produzione di programmi per la TV. A valle di tali esperienze, agli albori della comunicazione cross-mediale, Pellegrini dà vita a NessunoTV, web tv basata su un forte coinvolgimento dello spettatore, e sulla collaborazione di giornalisti e blogger d'eccezione. In seno a NessunoTV nasce il progetto di televisione user-generated Blog Tv, che ben presto, sotto la direzione dello stesso Pellegrini – con la partecipazione al 60% dal socio industriale Digital Magics SpA di Milano – acquisirà una sua autonomia, divenendo TheBlogTv. 106 NessunoTV diventerà successivamente (4 novembre 2008) la sfortunata RedTV, canale dedicato all'informazione politica e alla cultura, di area centro-sinistra, oggi in via di dismissione, a causa della modifica sulla legislazione relativa ai contributi pubblici all'editoria. Dopo un primo periodo dedicato esclusivamente al consolidamento del modello organizzativo intorno alla produzione per la TV, ed all'affinamento del modello di business, TheBlogTV inizia lo sviluppo di nuovi tipi di prodotti legati al contributo degli utenti, introducendo in Europa forme di pubblicità costruite a partire da esso, ed iniziando a retribuire regolarmente gli autori di tutti i video utilizzati. Con l'ulteriore evoluzione legata alla costruzione di piattaforme ad-hoc dirette al community building per il mercato b2b, l'attività di TheBlogTV si stabilizza sulle tre aree di prodotto attuali. Parallelamente allo sviluppo del portafoglio d'offerta, vi è un'evoluzione rilevante nell'assetto societario: a maggio 2007 il fondo di venture capital piemontese Innogest entra nella società; nel secondo semestre 2008 il fondo di investimento inglese TlCom sottoscrive - assieme ad Innogest e a Magnolia S.p.A., società di produzioni per il cinema e la TV (Boris, SOS Tata, L'Eredità ...) - un secondo aumento di capitale. La compagine societaria risulta oggi così composta: Innogest (30,6%), TlCom (28,4%), Magnolia (27,3%), fondatori (13,7%). L'entrata di player di livello internazionale del mondo della finanza e dei media nella compagine sancisce la definitiva uscita di TheBlogTV dalla fase di start-up, da un lato operando un consolidamento in termini organizzativi ed economici, dall'altro migliorando l'immagine della società sui mercati. “I nuovi soci si sono 'tirati dietro' – inoltre – una rete di partner di alto livello dal mondo della consulenza strategica, ciò favorisce l'afflusso di competenze e professionalità di altissimo profilo” (Pietro Dore, General Manager di TheBlogTV). Consapevole della fecondità del modello utilizzato, TheBlogTV punta sin dalla nascita a penetrare altri mercati europei – oltre a quello italiano – attraverso collaborazioni con soggetti omologhi (web-tv) con sede in altri Paesi: alla fine del 2007 viene aperta un ufficio a Madrid grazie alla collaborazione con la locale Boomerang TV, cui ne fanno seguito altre due – ancora Madrid, e Barcellona; nel 2009 è invece il turno di Parigi. Alla fine del 2009, TheBlogTV dà il via al trasloco in una nuova sede italiana, alla luce dalle nuove aree di attività – la sola produzione video, per esempio, richiede ambienti dedicati alla ripresa ed al montaggio – e dalla crescita costante del numero di dipendenti e clienti. Con il cambio di sede entrano stabilmente a far parte della policy aziendale i primi elementi di sostenibilità ambientale e sociale, grazie all'introduzione della raccolta differenziata enterprise-wide e di standard di sicurezza interna. 107 Il fatturato di TheBlogTV è cresciuto da 0,9 mln € nel 2007 a 4,25 mln € nel 2009. Il Piano Strategico 2011-2012 è focalizzato sull’espansione internazionale – con l'apertura di una sede inglese – con l’obiettivo di acquisire la leadership di mercato sui settori di business più innovativi (content crowdsourcing), consolidando una rapida crescita di fatturato ed EBITDA. 6.3 Visione, missione e strategia. Nonostante il fenomeno degli User Generated Content sia ormai noto, e nonostante diversi analisti l'abbiano studiato approfonditamente, sono ancora poche le aziende, specie europee, che vi basano il proprio modello di business; sono ancora meno quelle che riescono a realizzare produzioni di qualità (al di là di esperienze circoscritte) capaci di valicare la “barriera” che sembra separare la TV ed il web. Crowdsourcing, neologismo composito, crasi dei termini inglesi crowd – folla – e outsourcing, vuol dire aggregare quella che Chris Anderson (direttore di Wired US) chiamava, già nel 2004, coda lunga (“long tail”)172: una grande massa di contenuti dal basso valore unitario, se presi singolarmente, ma dal grande valore totale, se raccolti e valorizzati adeguatamente. Dal punto di vista dell'azienda, ciò vuol dire esternalizzare parte dell'ideazione e della produzione di prodotti e contenuti non ad un fornitore esterno, ma ad una comunità di persone il più ampia possibile. L'innovatività della proposta TheBlogTV risiede proprio nelle modalità di valorizzazione dei contenuti generati dagli utenti: la generazione di valore attraverso il contributo di community webbased passa per la collaborazione di (e tra) creativi di ogni genere, stimolati adeguatamente su temi specifici, ed assistiti da un team con funzione autoriale. Gli utenti pubblicano le loro proposte su una piattaforma web preparata per l'occasione, che ne permette la valutazione ed il commento collettivo. I contenuti migliori vengono selezionati, rielaborati ed “impacchettati” in prodotti mediali completi, e successivamente trasmessi sui circuiti “tradizionali”, spesso instaurando un legame di feedback con la community in rete. Pur riguardando principalmente il processo produttivo, tale approccio incide profondamente anche sulla caratterizzazione del prodotto offerto, per forza di cose più vicino al gusto del grande pubblico, più spontaneo e “fresco” dei prodotti tradizionali. 172 Chris Anderson,, The Long Tail, Wired Magazine, 12-10-2006 - The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More. Hyperion, 2006 (La coda lunga - Da un mercato di massa a una massa di mercati, edito in Italia da Codice Edizioni) 108 “Se io invio alla community del web una richiesta mirata, attirerò una risposta altrettanto precisa, non generica, avrò molti filmati belli, ben fatti. E se tra questi scelgo quelli più riusciti la qualità sarà ancora più alta. E se poi monto il tutto con sapienza e seguendo un'idea editoriale forte e raffinata il salto sarà ancora più alto. Così avrò dei format belli e innovativi, interessanti per gli investitori e dai costi molto contenuti” (Bruno Pellegrini, fondatore di TheBlogTV). L'azienda che scelga di avvalersi del contributo di TheBlogTV beneficia di ulteriori vantaggi: da un lato vi è un vantaggio competitivo sostenibile, derivante dalla riduzione dei costi di produzione a parità di qualità e share, e dall'aumento dei ricavi da vendita pubblicitaria e delle opportunità di coinvolgimento degli sponsor; dall'altro lato si registra un coinvolgimento attivo del pubblico, ed una maggiore fidelizzazione. “La nostra mission è creare valore per i nostri Clienti attraverso il coinvolgimento delle loro community.” (TheBlogTV – Presentazione Corporate) Il cliente del brand che usufruisce dei servizi offerti da TheBlogTv è attirato al centro del processo produttivo dei contenuti, e non più solo di quello fruitivo. L'applicazione di tale principio agli ambiti della TV, della pubblicità e della brand identity ha permesso a TheBlogTV di articolare un portafoglio prodotti variegato, composto da tre aree principali: Produzione di contenuti e programmi con matrice User Generated per broadcaster televisivi Content Crowdsourcing, in particolare Social e User Generated Advertising Ideazione, sviluppo e gestione di piattaforme partecipative online, social tv e social network 6.3.1 Programmi con matrice User Generated per broadcaster televisivi L'approvvigionamento dei materiali video attuato da TheBlogTV, ed i contatti con il pubblico di giovani creativi oggetto della strategia adottata, avvengono principalmente attraverso UserFarm, community di videomaker gestita dalla media company cui partecipano centinaia di creativi italiani, francesi e spagnoli. I videomaker ricevono un brief, attorno cui produrre contenuti; la remunerazione dei contenuti selezionati avviene mediante l’acquisto degli stessi o attraverso concorsi di creatività indetti dalla compagnia stessa. Userfarm permette sia di aggregare i creativi attorno ad un brand o ad un messaggio specifico, per la realizzazione di advertising mirato, sia di proporre tematiche ampie, per stimolare la generazione di contenuti da riutilizzare in produzioni per la TV (più o meno generalista). 109 Questo modello produttivo ha permesso la realizzazione di diversi programmi per la TV, tra cui – per esempio: Citizen Report – primo esperimento di serie televisiva basata sul citizen journalism, prodotto per RAI Educational. Nel giornalismo partecipativo temi, filmati, foto e articoli, sono prodotti dal pubblico sotto la supervisione di una redazione: il valore aggiunto è rappresentato dal punto di vista, che consente uno sguardo alla realtà “dal basso”; Blog – è un vero e proprio “Blob” costruito a partire da video trovati in rete. Prodotto da TBTV per Rai 4, è uno zibaldone costruito a partire dal “meglio della rete” e dal “peggio della tv”, sulla base delle segnalazioni del pubblico attraverso il sito www.blog4you.tv; Mammenellarete – è una social web tv per neogenitori con contenuti prodotti da una community molto attiva – che porta lo stesso nome – prodotto per Discovery RealTime. Il portale di Mammenellarete è una risorsa utile per tutte quelle mamme che ricercano consigli utili per una gravidanza serena: la caratterizzazione “peer to peer” dei consigli e delle richieste di aiuto, e l'informalità della community, hanno reso Mammenellarete un luogo molto popolare dove “confessare” le proprie paure; Tifosi 2.0 – è un format dedicato al calcio ed al mondo del tifo, prodotto per La3, la tv digitale di 3 Italia. Il format, che punta ad estremizzare il concetto di “visione collettiva della partita” che sorregge pressoché tutte le trasmissioni sportive italiane, si basa sul contributo dei tifosi, invitati a videoraccontare la propria passione e a diventare veri e propri “inviati sul campo”. 6.3.2 Social e User Generated Advertising TheBlogTV è attiva, oltre che nella gestione (e leverage) di UserFarm, nella costruzione di strategie promozionali basate sulla generazione di contenuti da parte degli utenti (User Generated Advertising). Le strategie proposte ai clienti sono generalmente multicanale, utilizzando a vario titolo diverse modalità di comunicazione e strumenti basati sul web, per dare visibilità all'iniziativa o al marchio da promuovere. Il modello produttivo utilizzato si compone di alcune fasi principali: 1. briefing – condivisione dei requisiti progettuali con il cliente 2. call-to-action – diffusione del brief sulle community di creativi 110 3. produzione – realizzazione dei contenuti promozionali 4. diffusione – pubblicazione dei contenuti generati su piattaforme atte ad ospitarli (network di proprietà del cliente, network gestiti da TheBlogTV, network “esterni” - Facebook, Twitter, Flickr, Youtube, ... ) 5. selezione – valutazione delle idee e selezione del vincitore La call-to-action è usualmente costituita da un concorso online, con premi in denaro o servizi, al fine di attirare anche professionisti appartenenti al mondo del free-lancing. La dimensione ludica e competitiva diviene centrale per stimolare gli utenti a dare il meglio: il pubblico è coinvolto nell'attività del brand non più come acquirente passivo, ma come strumento di comunicazione, e come marketing executive. Divenuto ambasciatore della marca, l'utente approfondisce il rapporto con essa, aiutando nel contempo l'azienda che offre il prodotto o servizio, oggetto della promozione, in diversi modi: declinando lo spot principale della marca e creandone versioni originali e virali; realizzando campagne a supporto di nuovi prodotti o servizi non sostenuti dalla comunicazione mainstream; rappresentando diverse situazioni o modalità d’uso del prodotto. Questa modalità di promozione è stata utilizzata con successo in diversi casi: Intesa San Paolo – organizzazione del contest “Scopri i tuoi Superpoteri”, a supporto della nuova carta Surperflash. La community, chiamata a dimostrare le proprie abilità in modo ironico e divertente, ha risposto alla call-to-action di Intesa San Paolo con oltre 55 video spot virali prodotti; Burn – copertura ed aggregazione di video e foto dell’evento legato agli sport estremi Burn RiverJump di Livigno, organizzato dalla nota società produttrice di energy drink. L'organizzazione dell'evento ha comportato la creazione e l'aggiornamento di Fan page e profili sui principali social network (Facebook, Youtube, Flickr), al fine ad avvicinare il brand al pubblico degli snowboarder e dei praticanti di sport estremi; 111 Atlas – creazione di una strategia finalizzata al presidio e al rafforzamento della brand awareness online, attraverso l'attivazione, in Francia, di una community di appassionati del punto croce veicolandone l’iscrizione anche attraverso un contest; Maschio – organizzazione e promozione del Prime Uve Experience Day, destinato a foodblogger, esperti e appassionati, in collaborazione con Madeinkitchen.tv. TBTV ha coordinato la produzione di materiale video promozionale da diffondere sul web, da parte di utenti di UserFarm e clienti del brand Prime Uve; Inglesina – realizzazione di una web-serie in collaborazione con la community Mammenellarete. La serie è stata realizzata con attori e temi scelti online, con l’obiettivo di mostrare le funzionalità della nuova collezione di prodotti del noto marchio di passeggini. 6.3.3 Piattaforme partecipative online Generalizzando l'idea di valorizzazione del coinvolgimento del pubblico, TheBlogTV ha sviluppato 4 modelli di riferimento che permettano all'azienda cliente di far leva sulle nuove opportunità di creazione del valore basate sul coinvolgimento diffuso, la collaborazione emergente, la condivisione della conoscenza e lo sviluppo e valorizzazione di reti sociali interne e esterne ad un’organizzazione, che il web 2.0 ha reso possibili. Ciascuno di tali modelli declina il principio generale del community buiding in risposta ad esigenze di volta in volta differenti. Social TV Consumer Social Platform Corporate Social Platform Web TV Le piattaforme di SocialTV consentono alle organizzazioni di diventare editori assieme alle proprie community oppure permettono di avviare progetti di casting e contest su base continuativa. Alcuni esempi sviluppati da TheBlogTV: Viaje, San Miguel – piattaforma partecipativa per viaggiatori spagnoli, in cui gli utenti pubblicano commenti e contenuti multimediali; una redazione dedicata individua i contenuti 112 più interessanti e li riorganizza in “rutas” – percorsi a tema in paesi stranieri, dotati di informazioni valide ed attuali perché collezionate dai viaggiatori stessi, e basati sul video; Romaeuropa Webfactory – piattaforma partecipativa dedicata ad autori e creativi di tutto il mondo, a supporto del famoso festival internazionale di arte contemporanea e multimediale RomaEuropa, ideato dall'omonima organizzazione. 300.000 visitatori unici, 13.000 iscritti, 700 opere in concorso. NokiaPlay – Social TV realizzata per Nokia, destinata a chi vuole condividere le proprie esperienze in relazione a concerti ed eventi in Italia. È organizzata come un'agenda di eventi suddivisi per giorno e locazione, con funzioni di commento e di upload di contenuti multimediali collegati ai singoli eventi. Presentata al World Nokia Forum del 2009. Le Consumer Social Platform sono ambienti partecipativi costruiti attorno ad un brand per mantenere una relazione costante con il suo pubblico. Sempre più organizzazioni decidono di servirsi di questo strumento per avvicinare il brand al cliente, sia al fine di consolidare il rapporto con l'audience, sia per diminuire i costi di customer care e ricerca (grazie alla disponibilità di un canale aperto 24 ore su 24, esclusivamente dedicato al feedback degli utenti su prodotti e servizi). Esempi del lavoro di TheBlogTV in quest'ambito sono: VodafoneLab - piattaforma in cui gli utenti Vodafone condividono informazioni e conoscenza; Alejandro Sanz, Warner Music – community dedicata ai fan dell’Artista spagnolo; JuventusMember – nuova versione della piattaforma partecipativa dedicata ai tifosi della “signora”. Le Corporate Social Platform, invece, servono principalmente allo scopo di migliorare la comunicazione interna, rinforzando la condivisione della visione aziendale, e rendendo più efficienti i processi produttivi. TheBlogTV ha creato, per Zodiak Entertainment Network, terza società di produzione televisiva al mondo, una piattaforma di collaborazione per i creativi e gli autori delle sue 27 società. All’interno del sito, i creativi possono condividere idee e conoscenze e dare avvio a progetti collaborativi per la realizzazione di nuovi programmi televisivi. La comunicazione on line trae grandi vantaggi dalla dimensione audiovisiva. Per questo videocomunicati stampa, spot ufficiali, video tutorial, riprese di conferenze ed eventi, web serie devono trovare un adeguato spazio di diffusione on line. TheBlogTV offre ai propri clienti un servizio di 113 costruzione ad-hoc di piattaforme per Web-TV e video sharing che permetta loro di far leva sulle potenzialità della comunicazione video, garantendo elevati standard qualitativi, e consentendo un contenimento dei costi di realizzazione e gestione. Creati da TheBlogTV: Gruppo Ambra WebTV – webtv del gruppo di artisti facenti capo al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, che riunisce talenti comici come Corrado Guzzanti e cantanti come Fiorella Mannoia; Sabina Guzzanti VideoBlog – videoblog della più graffiante autrice di satira italiana, visitato ogni giorno da decine di migliaia di fan; People Motodays – blog che anticipa la web community di motociclisti, scooteristi ed appassionati che si confrontano sul mondo “bikers”. Oltre alle attività b2b volte a valorizzare la dimensione sociale della rete, TheBlogTV ha investito direttamente nel lancio internazionale di quattro Social Platform gestite in-house, dedicate a segmenti specifici di popolazione ed interesse: PetPassion – community dedicata interamente agli animali domestici: trovano posto nella piattaforma consigli utili per la cura degli animali da compagnia, materiali multimediali generati dai proprietari, l'”angolo dell'esperto”, informazioni commerciali georeferenziate sui negozi per animali, ...; Madeinkitchen – è una community per gli appassionati di ricette di cucina. La piattaforma è organizzata come un database di ricette e videoricette segnalate dagli utenti. Supporta un sistema di votazione che incorona settimanalmente gli “chef della settimana”; BabelTV – Tutti i colori dell'Italia – è il primo, ed unico, canale televisivo satellitare e social network completamente dedicato ai nuovi italiani e alle seconde generazioni che vivono in Italia. Volto ad affrontare tematiche relative all'immigrazione e a raccontare le loro storie e della nuova Italia che cambia, Babel si propone come strumento con finalità civiche, educative, sociali e di intrattenimento. La formula adottata miscela “l'education all'entertainement per promuovere e incoraggiare l'integrazione presentando all’opinione pubblica, storie di stranieri che si sono integrati e hanno trovato un loro spazio in Italia” (Luca Barbareschi, presentazione di BabelTV a Montecitorio). "Immaginiamo un mondo dalle mille sfaccettature, formato da tutte le etnie, che comunica in una miriade di lingue, e che celebra insieme i più diversi usi e costumi. Crediamo in una società in cui luoghi e 114 religioni si incontrano nelle idee, nelle credenze e nel rispetto. Vogliamo una comunità in cui il lavoro e la creatività nascano dal reciproco rispetto e dalla passione per il domani. Vogliamo un'Italia nuova e diversa" (Babel Philosophy). A fronte di un bacino potenziale d'utenza in continua crescita, la piattaforma punta a divenire volano di occupazione e crescita, favorendo l'integrazione degli immigrati nella cultura (anche televisiva) italiana. Il palinsesto di Babel è composto da un mix di appuntamenti fissi e ricorrenti: dall'informazione e dalle tematiche civiche e sociali in lingua italiana, all'intrattenimento, Babel propone programmi indirizzati tanto agli immigrati quanto agli italiani grazie a un'efficace sottotitolatura; Ecozoom, è un social network dedicato alla difesa dell'ambiente. La piattaforma si configura come una social Tv & Radio dedicata a chi vuole raccontare, promuovere, e diffondere la cultura del rispetto per l’ambiente – siano essi cittadini, associazioni e aziende.. 6.4 Organizzazione interna Il crowdsourcing è l'unica forma di outsourcing sfruttata da TheBlogTV: a parte sporadiche partnership, infatti, il prodotto è sviluppato interamente all'interno dell'azienda (fatta eccezione, ovviamente, per i contributi degli utenti delle piattaforme). Il personale di TheBlogTV ammonta a circa 100 unità, con uffici in Francia e Spagna (meno di 10 dipendenti per sede), suddivisa in un comparto dedicato allo sviluppo software, un comparto editoriale/autoriale, ed un comparto commerciale. Una struttura ad-hoc si occupa di curare l'immagine dell'azienda, facendo leva principalmente sui nuovi media online, con sporadiche incursioni nei media “tradizionali”. Anagraficamente, i collaboratori di TheBlogTV sono per la gran parte giovani (circa il 90% dei dipendenti è under 35), e provengono da Italia, Francia e Spagna, in conseguenza della direzione presa dall'espansione internazionale dell'azienda. L'apertura delle sedi estere ha introdotto nelle fila di TheBlogTV un certo grado di diversità culturale interna prima assente, nonostante la provenienza dei dipendenti sia comunitaria. Per quanto non siano ancora ritenuti necessari programmi strutturati volti ad individuare ed appianare eventuali differenze culturali, il management si dichiara consapevole del rischio inerente la nascita di sottogruppi culturali interni all'azienda, ed è di conseguenza attivamente impegnato, da un lato, nella valorizzazione delle differenze – tratto indispensabile per comprendere i diversi mercati ed intervenirvi efficacemente – 115 dall'altro nella coesione del personale – attuata anche attraverso strumenti tecnologici innovativi come la videoconferenza ed il lavoro collaborativo a distanza. La coesione interna, e la gestione dei progetti, sono supportate anche dall'utilizzo di Basecamp, popolarissimo software di project management e collaborazione a sorgente chiuso, scritto da 37signals. Basecamp permette la gestione ed il monitoraggio dell'andamento dei progetti, oltre alla segnalazione di idee progettuali da parte della forza lavoro. Un sistema di profili individuali supporta bacheche, messaggistica sia asincrona che istantanea (tramite il modulo CampFire), to-do list, calendario personale, e gestione di milestone e scadenze. Sul versante della collaborazione, Basecamp offre la possibilità di gestire documenti caricati sulla piattaforma e di allestire wiki per ciascun progetto in cui l'utente è coinvolto. Gli strumenti di Basecamp, peraltro, sono accessibili anche attraverso client per dispositivi mobili, rendendo Basecamp una piattaforma ubiqua ed always-on. Sul versante del recruitment, TheBlogTV si avvale di diversi canali per reperire potenziali candidati, pubblicando i profili ricercati sul web, ma privilegiando le reference dirette. La selezione è effettuata su base meritocratica; costituiscono elementi di preferenza la comprovata esperienza nel campo del web 2.0 e del community management (di cui viene valutata anche la qualità) e la capacità di lavorare in team. Non vi sono procedure strutturate di formazione interna, sebbene i dipendenti più “anziani” assumano di volta in volta il ruolo di project leader, con la responsabilità di trasferire le conoscenze necessarie per il corretto svolgimento del progetto ai gruppi di lavoro; periodicamente TheBlogTV organizza seminari di formazione, i cui argomenti sono scelti a partire dai desiderata espressi dai lavoratori stessi. Gli elementi migliori dell'azienda sono incentivati a rimanere con TheBlogTV attraverso un sistema di incentivi su quattro livelli. Al livello superiore vi sono i manager, che beneficiano di un meccanismo premiale basato sulle stock option – in linea con quella che è ormai una prassi consolidata nelle maggiori aziende operanti sul Web. Il sistema di benefici per la forza vendite fa riferimento agli schemi retributivi tipici dell'attività commerciale, composta da una parte fissa, e da una parte variabile, la cui consistenza varia a seconda dei risultati conseguiti (c. d. provvigioni). Gli sviluppatori dei prodotti (montatori, registi, autori, programmatori, grafici) non sono direttamente dipendenti da TheBlogTV, ma sono lavoratori autonomi (“a partita iva”) 116 contrattualizzati come fornitori per ciascun progetto in cui sono coinvolti. Tale circostanza è prassi abbastanza consolidata nel mondo del software, poiché la gran parte degli sviluppatori preferisce sacrificare una remunerazione sicura in cambio della possibilità di seguire diversi progetti per diversi committenti. Proprio per via di tale differenza di fondo il sistema di retention delle figure migliori passa, non tanto (e non solo) per incentivi di tipo monetario, quanto per l'assegnazione di progetti di complessità, sofisticazione e prestigio sempre crescente, rendendone i curricula via via più appetibili per committenti di alto profilo. I restanti dipendenti (quota minoritaria) sono incentivati attraverso aumenti e premi di produzione. Il sistema di incentivi adottato, peraltro, rispecchia in maniera abbastanza fedele le convinzioni dei vertici dell'azienda circa i rapporti interni ad essa, non solo in senso orizzontale – i.e. il rapporto tra i dipendenti – ma soprattutto verticalmente. L'orientamento impresso dal management è fortemente orientato al conseguimento dei risultati ed allo sviluppo verso nuovi mercati o fasce di mercato “di frontiera”, dove poter consolidare rapidamente un vantaggio competitivo legato all'innovatività dei prodotti offerti. Purtuttavia TheBlogTV riconosce all'interno, come all'esterno, i valori della condivisione e dell'apertura alle spinte dal basso: lo stile decisionale è consultivo173, aperto al contributo della forza lavoro, pur rimettendo le decisioni finali all'opinione ed al volere dei top-manager. A valle del consolidamento effettuato con l'entrata di Magnolia, Innogest e TlCom, i rapporti dell'azienda con realtà omologhe si sono stabilizzati. Come detto TheBlogTV non intrattiene rapporti di esternalizzazione, né fa parte di reti d'impresa. Il rapporto con le istituzioni e con gli enti territoriali si limita alla valutazione sistematica dei bandi di gara pubblicati dalle amministrazioni. Sono correntemente in corso di adozione certificazioni di qualità del prodotto e dei processi produttivi. Per quanto riguarda l'approccio alle problematiche ambientali, TheBlogTV promuove, all'interno come all'esterno, la cultura della sostenibilità ambientale. 6.5 Quali elementi distintivi ? TheBlogTV spicca nel panorama imprenditoriale italiano per via dell'approccio radicale all'innovazione, che investe i prodotti dell'azienda così come i processi che ne permettono la realizzazione, basata sul contributo attivo del consumatore. La cultura dell'innovazione continua – e la tensione verso di essa, volta a mantenere il vantaggio sui competitor – permea l'azienda, ed è ravvisabile nelle pratiche organizzative e nei modelli di business da essa adottati. 173 Likert, R. (1967) – The human organization: Its management and value – Likert distingue quattro tipi fondamentali di leadership nelle organizzazioni : autoritativo/utilitaristico, autoritativo/benevolo, consultivo e partecipativo. 117 Le modalità di generazione di nuove idee progettuali, che valorizza le spinte provenienti dal personale e dal pubblico, ed il sistema di incentivo agli sviluppatori, basato sull'offerta di progetti di profilo progressivamente crescente, che contribuisce ad attirare i migliori professionisti del settore, danno luogo ad un circolo virtuoso che consente a TheBlogTV di presidiare efficacemente le frontiere dell'innovazione. Lo stile della leadership rappresenta un ulteriore elemento di diversità rispetto all'orizzonte nazionale: la centralità dei valori della meritocrazia e della condivisione generano uno stile di conduzione dell'impresa consultivo ed orientato al team building ancora poco diffuso nel nostro Paese. 118 Capitolo VII Il Caso Innogest 7.1 Profilo sintetico dell'impresa Innogest è un fondo di Venture Capital operante prevalentemente in Italia, caratterizzato da un focus sull'innovazione tecnologica e da un portfolio variegato di imprese, localizzate in prevalenza nell'area centrosettentrionale del paese. Investe principalmente in aziende che operano nei settori della meccanica avanzata, delle nanotecnologie, dell’information & communication technology, dei media digitali, delle energie rinnovabili e del biomedicale, finanziando iniziative nella prima fase della loro esistenza, posizionandosi in un segmento ancora poco sviluppato in Italia (Seed Fund & Early Stage). Innogest ha sede legale e commerciale a Torino e tre sedi operative, a Torino, Milano e Padova. Con una dimensione di € 80.000.000, Innogest Capital “è il più grande fondo di investimento Seed & Early Stage in Italia” (Innogest – Presentazione corporate). 7.2 L’organizzazione e la sua storia Compatibilmente con la legislazione nazionale in materia di intermediazione finanziaria174, Innogest si articola al suo interno in due soggetti separati: Innogest Capital e Innogest SGR S.p.a. Innogest Capital è il primo fondo di investimento gestito da Innogest SGR, la società di gestione del risparmio responsabile della conduzione operativa del fondo. Si compone di due organi: il Board of Directors: responsabile delle decisioni finali circa gli investimenti nelle opportunità di business, della strategia e della gestione del fondo in generale; l'Advisory Board: struttura con funzione consultiva su tematiche specifiche, coinvolge rappresentanti degli shareholder del fondo; il Management Team, responsabile delle attitività di individuazione, selezione delle opportunità di investimento e monitoraggio e gesitone delle società di portafoglio 174 Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 – "Testo unico della finanza", e successive modifiche 119 Board of Directors Director Director CEO Chairman CEO Director Dott. Emanuele Cottino Dott. Guido Giubergia Ing. Claudio Giuliano Dott. Alberto Peyrani Ing. Marco Pinciroli Prof. Rodolfo Zich ADVISORY BOARD Michele Appendino Teresio Barioglio Gianni Borghi Giampio Bracchi Umberto Bussolati Enrico Casini Mario Costantini Founding Partner, NetPartners Chief Financial Officer, Fondazione CRT Chairman Associazione Industriali di Reggio Emilia Chairman, Fondazione Politecnico Milano; Chairman, AIFI Partner Spencer&Stuart CEO GW Holding, former CEO I.Net, Aeroporti di Roma, Blu Head of Technology Innovation, Intesa-SanPaolo Gianfranco Favaro Simone Fubini Roberto Galimberti Michael Gera Michel Guillet Marco Landi Marco Lavazza Pasquale Pistorio Francesco Profumo Alberto Sangiovanni Vincentelli Roberto Saro Ronald Spogli Umberto Rosa Bjorn Tremmerie Director, Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone former General Manager with Olivetti and Fiat Founder I.Net, Etnoteam Partner, Pond Ventures former Chairman BC Partners former Chief Operation Officer Apple, Chairman Enerqos Board Member, Lavazza Chairman emeritus, ST Microelectronics Rector, Politecnico di Torino Founder, Cadence and Synopsis General Secretary, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo Founder Freeman Spogli & Co., former USA Ambassador to Italy former Chairman Sorin; Snia Investment Manager, European Investment Fund Innogest SGR S.p.A. nasce nel gennaio 2005 su impulso della Fondazione Torino Wireless (struttura di coordinamento del distretto dedicato all’Information and Communication Technology) e della società di gestione patrimoniale Ersel, con il supporto determinante di importanti esponenti del mondo della ricerca e dell'accademia, tra i quali Rodolfo Zich, già rettore del Politecnico di Torino. Pur nascendo per volere e con il contributo di soggetti afferenti all'ambito pubblico, mantiene sin dall'inizio una governance esclusivamente privata, al fine di difenderne l'autonomia e massimizzarne l'utilità. 120 "Innogest nasce dalla scommessa dei suoi fondatori" (Claudio Giuliano – CEO e Founder): Claudio Giuliano – ex Carlyle e Bain co., già direttore di Torino Wireless e di Piemontech – e Marco Pinciroli – ex BC Partners – entrambi consulenti strategici di grande esperienza, dotati delle qualità necessarie a costruire un team di alto livello. Il fondo Innogest Capital nasce invece nel maggio 2006, con un capitale operativo iniziale di 40 milioni di euro – 80 al termine della fase di sottoscrizione – ed una durata di 10 anni (più 2 per completare l'uscita dagli investimenti effettuati). Tra gli investitori istituzionali più importanti Intesa-SanPaolo, Gruppo Generali, European Investment Fund, Fondazione CRT, Fondazione CARIPARO. A questi si aggiungono investitori privati appartenenti alle maggiori famiglie dell'imprenditoria italiana. Innogest capital è partecipato anche dal fondo Next, il fondo di fondi creato da Finlombarda gestioni Sgr. Marco Nicolai, amministratore delegato di Finolmbarda gestioni Sgr, ha peraltro sottolineato in più occasioni l'affinità tra Innogest e Next sia come mission aziendale, sia come visione del Venture Capital e del suo rapporto con il mondo delle istituzioni. 7.3 Missione e strategia "La mission di Innogest SGR è la generazione di ritorni elevati per i suoi investitori, attraverso la creazione di aziende di successo ed in rapida crescita all'interno del panorama tecnologico ed imprenditoriale italiano." (www.innogest.it) La specificazione geografica, gli obiettivi di crescita e di ritorno economico, il focus sull'innovazione sono certamente gli elementi caratterizzante di Innogest: il suo posizionamento deriva direttamente tanto dagli obiettivi in termini di performance, quanto dall'intenzione di giocare un ruolo rilevante nella crescita del panorama imprenditoriale innovativo in Italia. Innogest nasce dall'osservazione del panorama nazionale dei capitali di rischio e dalla valutazione circa la discreta disponibilità di fonti di finanziamento per imprese già affermate, a fronte di una carenza di fondi dedicati alle iniziative imprenditoriali nelle (difficili) fasi iniziali della loro vita. L'investimento nel segmento Seed & Early stage è, infatti, caratterizzato da un profilo di rischio consistente, pur avendo garantito nelle esperienze di maggior successo a livello internazionale ritorni ingenti e tassi di crescita elevati. 121 VC Investment as a % of GDP by Geography (2008) Israel 1.033% United States 0.202% Sweden 0.145% United Kingdom 0.091% Scandinavia 0.090% Ireland 0.083% 0.066% Spain France 0.055% Europe 0.053% Switzerland 0.047% Germany 0.042% Portugal 0.041% Poland 0.014% Italy 0.014% Greece 0.012% 0.000% 0.200% 0.400% 0.600% 0.800% 1.000% 1.200% La decisione di focalizzare il fondo Innogest Capital sul segmento del Venture Capital a maggiore profilo di rischio non discende unicamente dalla mission aziendale e da valutazioni di carattere economico circa la redditività degli investimenti in startup, ma esprime altresì la precisa volontà dei promotori del fondo di incidere positivamente sull'intero tessuto imprenditoriale locale, instaurando un processo innovativo che supporti con finanziamenti e supporto manageriale un'efficace sinergia tra enti di ricerca e imprese, e faccia da volano all'innovazione tecnologica in Italia. "La sua importanza non dipende dalla quantità di soldi a disposizione, ma dal fatto che si tratta di risorse accompagnate da competenze, che arrivano in maniera veloce e libera e non vincolata ai tempi di un bando." (Claudio Giuliano – Fondatore e CEO di Innogest) Il Venture Capital – indicato già nel documento che ha posto le basi per la fondazione del distretto Torino Wireless come uno dei filoni principali per la promozione dell'innovazione175 – può essere, 175 Memorandum of Understanding per il lancio del Distretto ICT Torino, 11 Dicembre 2001 – Sono stati identificati tre filoni principali su cui articolare le iniziative per la realizzazione del distretto: Sviluppo, nell'ambito principale di focalizzazione, di un polo di eccellenza nella ricerca e nell'alta formazione; Accelerazione dell'impatto economico delle idee innovative; 122 nella visione portata avanti da Innogest, il "sale" capace di innescare la medesima alchimia su cui si fonda la leadership trentennale delle imprese della Silicon Valley nella rivoluzione digitale176. Gli elementi di differenziazione più rilevanti, quindi, attengono al rapporto di Innogest con il territorio, con le autorità locali e con il mondo della ricerca; esistono tuttavia elementi di difformità più sfumati, che riguardano l'approccio di Innogest all'attività tradizionale dei fondi di Venture Capital, la cui analisi può essere utile per cogliere appieno l'innovatività del fondo piemontese. "In Italia abbiamo una situazione tale che, se non fosse per quel poco di intervento pubblico, il venture capital non esisterebbe: Innogest, senza l’intervento di Torino Wireless, di Next, del Fondo Europeo degli Investimenti, non esisterebbe. I fondi pubblici sono stati il nostro trampolino di lancio, poiché i fondi privati, che rappresentano l’80% dei fondi gestiti da Innogestn, sono arrivati dopo l’investimento da parte del pubblico. Questo, credo, sia un buon esempio di effetto moltiplicatore reso possibile dall’intervento pubblico." (Claudio Giuliano – Fondatore e CEO di Innogest, Forum "Venture Capital pubblico-privato: stato dell’arte, condizioni e opportunità di sviluppo" ). L'attività dei fondi di Venture Capital, quale che sia il settore imprenditoriale su cui decidono di investire, consiste nel finanziamento in capitale di rischio – eventualmente in round successivi vincolati al raggiungimento di determinati obiettivi – e nel supporto gestionale ad imprese o a progetti specifici da loro attuati, al fine di ottenere profitti rilevanti a lungo termine al momento dell'uscita dall'investimento, attuata secondo modalità ben precise. Il finanziamento in capitale di rischio assume un profilo tipico e nettamente distintivo rispetto al tradizionale finanziamento bancario: a tutti gli effetti il fondo diviene "socio" dell'azienda. È possibile distinguere tre fasi principali nella relazione con le imprese candidate a ricevere i finanziamenti: analisi, gestione e deinvestimento. Costituzione di un fondo di Venture Capital, dedicato alla promozione di nuove iniziative imprenditoriali hi-tech, che effettuerà investimenti di seed ed early stage. 176 L'impulso allo sviluppo dell'area meridionale della Bay Area di San Francisco partì dall'Università di Stanford (in cui nacque la Hewlett-Packard, nel 1939, e successivamente l'incubatore Stanford Research Park, nel 1950, che permise la nascita di numerosi spin-off), e si consolidò con l'ingente afflusso di capitali di rischio (la cui disponibilità esplose con la quotazione in borsa di Apple Computers nel 1980). Ad oggi la Silicon Valley assorbe circa 1/3 di tutto il Venture Capital disponibile negli U.S.A. 123 7.3.1 Analisi L'analisi delle occasioni di business è l'attività attraverso cui un fondo di investimento seleziona le iniziative imprenditoriali meritevoli di finanziamento: si compone a sua volta di una fase di screening, in cui rappresentanti del fondo raccolgono le candidature ed effettuano una prima selezione, ed una fase di due diligence, in cui si analizzano a fondo le caratteristiche dei progetti imprenditoriali selezionati, e decidono quali imprese supportare. In Innogest lo screening è una pratica solo parzialmente attiva e pull, basandosi piuttosto su un'ampia e diffusa rete di raccolta, capace di intercettare le proposte progettuali più fresche dal panorama imprenditoriale italiano. Il vasto network di partners e contatti costruito da Innogest gioca un ruolo determinante in questa attività di raccolta, grazie alla presenza rilevante di rappresentanti del mondo accademico e del mondo dell'intermediazione: le Università (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Università Cà Foscari di Venezia, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Ferrara, Università degli Studi di Padova, Università degli Studi di Trieste, Università degli Studi di Udine, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Università di Napoli Federico II) gli intermediari professionisti (commercialisti, consulenti, boutique di advisory finanziaria, ecc.) le agenzie territoriali (Torino Wireless, Finlombarda, gli Incubatori Universitari, i centri di ricerca pubblici e privati, ecc.) altri investitori (business angels clubs, altri fondi di venture capitale edi private equity, ecc.) All'attività di questo network si aggiunge la partecipazione dei membri di Innogest ad iniziative ed eventi volti a promuovere l'innovazione e l'imprenditorialità giovanile, come il Premio Nazionale per l'Innovazione – veri e propri bacini cui attingere, alla ricerca di proposte progettuali promettenti. "Oggi Innogest è abbastanza 'inondata' di proposte ed iniziative per via della visibilità acquisita nel tempo" (Claudio Giuliano – Fondatore e CEO di Innogest): la visibilità, e la poca concorrenza nel segmento Seed & Early stage, contribuiscono alla continuità del flusso di business plan e proposte progettuali valutate da Innogest, circa 500 ogni anno. A livello preliminare vengono scartate le iniziative imprenditoriali che si discostano dal target di elezione di Innogest: 124 meno di cinque anni di attività; ambito d'attività innovativo; appartenenza a uno dei settori ad altissimo tasso di crescita: meccanica avanzata, information & communication technology, media digitali, energie rinnovabili, biomedicale e biotecnologie, materiali innovativi e nanotecnologie. Ogni occasione di business è successivamente analizzata approfonditamente durante la due diligence. Lo scopo di questa fase è l'esplicitazione di potenzialità e rischi dell'occasione di business, analizzata sotto più punti di vista: tecnologico, di mercato, manageriale, legale e finanziario. Nell'arco di un periodo di 3-4 mesi, la proposta viene sottoposta ad una minuziosa analisi da parte di una pluralità di soggetti, interni o esterni a Innogest, a stretto contatto con l'impresa candidata ed il suo staff. Le attività principali di revisione, così come l'interazione con l'imprenditore dell'impresa target e/o il Consiglio d'Amministrazione, sono gestite direttamente dal management di Innogest SGR, con il supporto di professionalità eterogenee convocate ad-hoc per l'indagine di elementi specifici. Il management del fondo, coadiuvato dall'Advisory Board, valuta approfonditamente il business plan testando la validità del modello di business e degli assunti su cui si basa anche attraverso una analisi di sensitività condotta tramite la formulazione di best case e worst case scenario. Attraverso una serie di colloqui viene valutata la qualità del management, per valutarne ambizione e visione del mercato, ma anche aspetti relativi alla coesione del team e alla "chimica" interpersonale. Risultano determinanti per la decisione finale di investimento anche qualità che trascendono la capacità gestionale e la conoscenza del mercato, come onestà, etica e responsabilità, nella convinzione che "un management onesto ed affidabile è in grado di costruire una rete di partner più stabile ed un miglior clima in azienda" (Claudio Giuliano – CEO e fondatore). Particolare attenzione viene posta nella valutazione del contesto competitivo, nell'analisi della pipeline commerciale177 e delle partnership, e nello studio del posizionamento sul mercato. Uno o più tecnici, esperti della tecnologia in uso, ne studiano il funzionamento, i requisiti tecnici, e le possibili evoluzioni, tenendo in debita considerazione aspetti come scalabilità e sostenibilità. Consulenti legali specializzati valutano la difendibilità delle proprietà intellettuali coinvolte e la possibilità di ricorrere a brevetti, a tutela di un eventuale vantaggio competitivo. 177 La pipeline commerciale (o Sales Tunnel) è la serie di "passi" necessari per trasformare un prospect (cliente potenziale) in cliente fidelizzato: il primo passo è usualmente l'individuazione del cliente potenziale, l'ultimo il mantenimento dell'account 125 L'output più importante di questo articolato processo riguarda la valutazione del rischio di investimento, e del valore monetario dell'impresa candidata. Tale stima permetterà da un lato di specificare i termini dell'accordo tra Innogest e l'impresa finanziata (i.e. l'entità dell'investimento e la quota acquisita dell'azienda target), dall'altro di effettuare una previsione dei ritorni attesi dall'investimento. A partire da una serie di regole di tipo euristico – che permettono di effettuare una previsione approssimativa del ritorno sull'investimento, a partire dal capitale investito, dal grado di sviluppo dell'impresa target, e dalla performance di soggetti analoghi – viene calcolato il potenziale valore all'uscita dell'investimento attraverso l'applicazione di moltiplicatori o demoltiplicatori legati al livello di rischio – sia percepito che calcolato. Il calcolo dei rischi è effettuato utilizzando metodologie formali applicate ai dati rilevati durante la due diligence, ma si coniuga con la valutazione di parametri fuzzy, come la qualità e l'esperienza del management, o la competitività della tecnologia utilizzata. Ove il Board of Directors dia parere favorevole all'investimento, Innogest "entra" nel capitale, di fatto acquisendo temporaneamente una quota dell'impresa generata ex-novo dall'investimento, calcolata sulla base della valutazione degli asset dell'impresa178. Con la consapevolezza dei volumi di capitale necessari al pieno sviluppo di un'iniziativa imprenditoriale innovativa, in special modo in ambiti in cui la componente tecnologica e di R&D sia molto rilevante, Innogest attua una strategia attiva di co-investimento, volta a reperire – attraverso il suo network – partner finanziari disposti ad incrementare ulteriormente i capitali investiti: a fronte di 22 milioni di euro investiti direttamente da Innogest Capital, il capitale investito complessivamente dai co-investitori su aziende appartenenti al portfolio di Innogest ammonta a oltre 65 milioni di euro. 7.3.2 Gestione Il rapporto tra Innogest e l'impresa target si esplicita, come detto, in una serie di attività di supporto di tipo gestionale più o meno strutturate. Alla base della relazione vi è il contatto diretto e continuato tra il team di Innogest ed il management dell'impresa finanziata: 178 La c.d. pre-money valuation è la valutazione degli asset dell'impresa target prima dell'investimento, ove la post-money valuation indica la valutazione degli asset dell'impresa a valle dell'investimento. La pre-money valuation permette di calcolare la quota dell'impresa acquisita dal fondo al momento dell'investimento 126 "Al minimo un esponente di Innogest partecipa alle riunioni del Consiglio d'Amministrazione, al massimo la frequenza del contatto è quotidiana e multiforme" (Claudio Giuliano – CEO e Fondatore). L'esperienza delle risorse interne ad Innogest assume una particolare rilevanza in questa fase: l'abilità nel relazionarsi con manager ed executive, la capacità di comprenderne motivazioni e visione, l'attitudine all'analisi di situazioni complesse e sempre differenti, sono alla base di una forma di empatia con il management dell'impresa target utile a cementare la relazione nelle prime fasi della collaborazione. Contatti frequenti tramite mail, telefono o colloquio diretto – ove possibile – sono finalizzati alla condivisione della strategia generale dell'azienda, alla risoluzione di problematiche specifiche ed alla discussione di decisioni rilevanti. Innogest pone pochi vincoli generali al potere decisionale del management dell'azienda target, limitandosi a situazioni in grado di influire pesantemente sull'assetto generale della stessa – come acquisizioni e fusioni – per le quali il fondo si riserva la decisione ultima, a valle di analisi approfondite. Fanno eccezione eventuali clausole all'investment agreement179 legate alla retention di "key executive", manager particolarmente capaci, o ritenuti strategici a fronte degli obiettivi di crescita stabiliti. Vi sono poi tre ambiti specifici in cui si manifesta il valore aggiunto della partnership tra il fondo e l'azienda stessa: Governance Apertura di canali commerciali Recruitment Primo e più importante contributo di Innogest è il consolidamento della governance della start-up, supportando l'affermazione di linee-guida che mantengano "ordinata" l'azienda, aiutino a stabilire ruoli ed incombenze, e permettano di strutturare con chiarezza i rapporti tra gli stakeholder. Un'impresa in fase di start-up è infatti spinta principalmente dall'entusiasmo dei suoi fondatori – il più delle volte partecipi degli sforzi operativi necessari – e dalla forza di un'idea progettuale valida, su cui spendere grandi quantità di energia per permetterle di raggiungere i mercati. Tali fattori 179 Contratto di investimento che contiene l'insieme delle clausole che regolano l'operazione di acquisizione della partecipazione 127 sopperiscono usualmente all'inesperienza dei fondatori stessi, all'incertezza con cui vengono gestite le relazioni con gli stakeholder e con altri operatori economici, ed alla mancanza di strutturazione e rigore nella gestione aziendale, ma possono generare, nel lungo periodo, problematiche che possono arrivare a paralizzare l'attività dell'impresa, o a farne lievitare i costi in modo incontrollabile. Innogest ha costruito un team di professionisti provenienti in larga parte dal mondo della consulenza strategica che può sopperire, proprio grazie alle proprie competenze specifiche, alle problematiche tipiche delle aziende in fase di startup. Il fondo fa leva sulla "contiguità disciplinare" tra Venture Capital e consulenza strategica: il consulente e l'operatore di un fondo di investimento di capitali di rischio condividono un set di competenze, conoscenze e strumenti, che permette l'analisi dello stato di salute di un'azienda, ed il disegno di strategie volte alla generazione di valore. La grande esperienza di settore degli uomini di Innogest torna quindi tutta a vantaggio delle aziende target sia nel breve periodo, consolidandone l'attività day-to-day nella fase embrionale, sia nel lungo, rafforzandone la posizione sui mercati e dettagliando un percorso possibile per il raggiungimento della leadership. L'esperienza di settore del team di Innogest, si manifesta poi nella capacità di aprire nuovi canali commerciali, e più in generale connessioni nell'industria, in grado di favorire lo sviluppo del business dell'impresa target. L'interazione con la rete di imprese ed imprenditori di alto livello facente capo ad Innogest può essere utile per: favorire partnership inattese – con ritorni positivi in termini di R&D e sviluppo di nuovi prodotti generare domanda – aprendo nuovi sbocchi per prodotti e servizi già commercializzati migliorare la struttura dei costi e del capitale circolante – modulando il rapporto con i fornitori esistenti, o reperendone di nuovi. Sul fronte del recruitment delle risorse umane, infine, l'apporto di Innogest si esplicita "tanto nel reperimento di figure professionali specifiche, quanto nella loro attrazione" (Claudio Giuliano, CEO e fondatore). Il reperimento di professionalità di alto profilo, in settori così innovativi come quelli in cui operano le aziende finanziate dal fondo è attività non banale, che richiede – ancora una volta – il leverage del network di università ed imprese che fa capo ad Innogest. Inoltre, per professionalità di profilo elevato, un'offerta da parte di una start-up può non risultare attraente, per via dei rischi inerenti, se non per il livello della retribuzione. La presenza di un fondo di investimento come Innogest (o più d'uno, come visto in precedenza) contribuisce a migliorare l'immagine dell'impresa 128 finanziata, conferendole maggiore stabilità a livello finanziario, ma anche e soprattutto a livello manageriale, a vantaggio della capacità di attrazione dei migliori talenti in circolazione, allettati dal potenziale di crescita e dal contatto con il prestigioso network di Innogest. 7.3.3 Disinvestimento L'obiettivo di qualunque fondo di venture capital è massimizzare il valore dell'impresa su cui si è investito, al fine di ottenere il massimo profitto al momento dell'uscita da essa: dopo un periodo prestabilito il fondo valuta i risultati conseguiti e decide quale exit strategy adottare. Innogest stima in 5-6 anni il periodo necessario a sviluppare adeguatamente le imprese selezionate, o a rendere palese l'eventuale impossibilità di realizzare il profitto atteso: durante il periodo di mantenimento della società in portafoglio, il Board of Directors valuta i risultati raggiunti e con essi il livello di sviluppo dell'azienda target. L'exit strategy è stabilita in base a criteri di opportunità e redditività e si compendia nelle seguenti dimensioni: 6. ricerca di un partner strategico in grado di rilevare le quote in possesso di Innogest; 7. ricerca di un fondo di Venture Capital/Private Equity più grande che possa supportare ulteriormente lo sviluppo dell'azienda (c.d. Secondary buy out); 129 8. IPO: quotazione pubblicazione della società sulla borsa valori. Vista la relativa giovane età del fondo (terzo-quarto anno di attività su 10+2 complessivi) non è ancora possibile valutarne le performance complessiva: ad oggi Innogest ha operato un solo disinvestimento – a soli 5 mesi dall'entrata nel capitale – con la vendita della propria quota di SingularID, con un ritorno netto del 70% sul capitale investito (IRR 200%). Pur non essendo ancora uscita dall'investimento, un altro grande successo di Innogest è rappresentato da Mobango, quarto mobile application store al mondo con oltre 800.000 download al giorno. Mobango si è recentement fusa con una società indiana (Mauj) che ha tra i propri investitori Sequoia e Intel Capital, per creare un leader mondiale nel settore dei servizi VAS e applicazioni mobile. 7.4 Il Portfolio di Innogest Capital "Il portfolio di Innogest è variegato e focalizzato su settori di mercato dall'alto tasso di crescita: meccanica avanzata, nanotecnologie, information & communication technology, media digitali, energie rinnovabili e biomedicale" (www.innogest.it). Il grafico che segue ne descrive le proporzioni di investimento: 130 Le imprese finanziate da Innogest sono: SingularID – soluzioni nano- e micro-tecnologiche per sistemi di tracciatura ed anticontraffazione (Enterprise Brand Security) basati su tag. Sedi: Singapore, Padova; Silicon Biosystems – soluzione lab-on-a-chip proprietaria, basata sulla tecnica della dielettroforesi, per la miniaturizzazione dei sistemi di analisi cellulare. Campi di applicazione: diagnosi prenatale non invasiva; Diagnosi oncologica avanzata; Investigazione cellule rare e test del DNA "single cell". Silicon Biosystems vende strumenti e materiali di consumo per l'analisi cellulare a laboratori specializzati. Sede: Bologna; TheBlogTV – aggregazione e valorizzazione di contenuti video user-generated raccolti sul World Wide Web attraverso l'editing e la costruzione di format da parte di professionisti del settore media, primi produttori di user generated advertising in Europa. TheBlogTV offre piattaforme per il social networking personalizzate, e promuove community autonome . Il modello di business adottato da TBTV si basa principalmente sulla vendita di format e contenuti a grandi broadcaster internazionali. Sedi: Milano, Roma, Torino, Madrid, Barcellona, Parigi; HT – software forense per il monitoraggio dei sospetti da parti delle forze dell'ordine. Il modello di business si basa sulla personalizzazione e concessione del software in licenza. Sede: Milano; TwoF – sistema di produzione a basso costo di microarray di DNA (usati per esaminare il profilo d’espressione di un gene o per identificare la presenza di un gene o di una breve sequenza all'interno di una miscela di geni) per soluzioni lab-on-a-chip, sviluppato al MIT dal Prof. F. Stellacci. Modello di business basato sull'alta personalizzazione dei prodotti venduti. Sedi: Lodi, Trento; Intelligence Focus – piattaforma di web analytics focalizzata sul rilevamento di comportamenti complessi all'interno di community online. La piattaforma, accessibile in modalità SaaS, permette lo sviluppo di applicazioni da parte di terze parti attraverso API. Sede: Torino; Mobango – piattaforma di erogazione di contenuti per dispositivi mobili, con personalizzazione per dispositivo. La piattaforma di distribuzione è accessibile anche in 131 modalità WAP da telefoni cellulari non-evoluti, ed è promossa sulle principali piattaforme di social networking. Sede: Milano; Igea – soluzioni per elettrochemioterapia, basate sulla tecnica nota come elettropermeabilizzazione, per la somministrazione in loco di farmaci antitumorali a bassa permeabilità ed elevata citotossicità. Il modello di business si basa sulla distribuzione gratuita di macchinari, e sulla vendita dei materiali di consumo necessari al loro uso. Sede: Carpi (Modena); Authix – soluzione anticontraffazione basata su tag a radiofrequenza basati su protocolli Bluetooth o NFC, per il controllo di autenticità di prodotti cosmetici, farmaceutici e di lusso, attraverso telefoni cellulari dotati di Bluetooth. Sede: Torino, Israele (R&D); Adriacell – soluzione proprietaria per lo sviluppo di proteine chimeriche per applicazioni biomedicali oncologiche: rottura delle catene di DNA cancerose, test per papilloma virus, sistemi di somministrazione di antitumorali ad alta citotossicità. Modello di business basato su partnership con grandi soggetti dell'industria farmaceutica. Sede: Basovizza (Trieste) Erydel – sistema innovativo di delivery di composti farmaceutici basato sul "caricamento" all'interno di eritrociti opportunamente trattati. Il processo è replicabile e relativamente breve (2,5 ore). Il modello di business si basa sul leasing della macchina per il "caricamento" degli eritrociti, e sulla vendita dei materiali di consumo necessari. Sede: Urbino; Cascaad – sviluppo di applicazioni mobile, basate su un motore, semantico e personalizzabile, per la segnalazione di informazioni interessanti o rilevanti raccolte dai più noti social network. Il modello di business si basa sulle revenue degli Store di applicazioni per piattaforme mobili, e sulle revenue per la pubblicità contestuale. Sede: Milano; Noodls – aggregatore (e filtro) di comunicati stampa ufficiali raccolti da una pluralità di fonti, con interfaccia in tempo reale, rivolto principalmente ai professionisti dei media: da un lato si offre come strumento utile a giornalisti (e mestieri analoghi) per la raccolta di informazioni aggiornate ed affidabili, dall'altro si propone come canale di comunicazione privilegiato per uffici stampa, con una consolidata base di utenti "professionisti dell'nformazione". Il modello di business si basa sulla raccolta di fee annuali da parte degli utenti. Sede: Genova; 132 BeeTV – piattaforma di personalizzazione, segnalazione e distribuzione di programmi TV, basata su un sofisticato algoritmo che, a partire dal comportamento dell'utente e dalle sue interazioni, suggerisce show televisivi "adatti" al singolo utente. BeeTV permette di visualizzare un vero e proprio canale televisivo personalizzato (Personal Content Channel), a partire dai palinsesti di diversi TV provider, con possibilità di fruizione su PC, televisione (attraverso set top box) o dispositivi mobili. Il modello di business è basato principalmente sul revenue sharing con i provider di contenuti. Sede: Milano, Israele (R&D); M.Booster – società attiva nell’aggregazione di progetti imprenditoriali nell’ambito web e dei media digitali fortemente innovativi, con società consolidate caratterizzate da un forte brand offline. M.Booster intende realizzare una holding industriale di primario standing a livello italiano nell’ambito dei media digitali. Sede: Torino, Roma. 7.5 Il rapporto con il territorio e gli altri elementi distintivi Il legame di Innogest con il territorio va ben oltre la concentrazione degli investimenti nell'area centrosettentrionale del paese – in prevalenza Piemonte e Lombardia. Il rapporto di Innogest con i territori su cui investe si radica in una complessa rete di relazioni, che è intimamente connessa con la struttura stessa di Innogest. Innogest ha un controllo privato, ma nasce dall'impulso pubblico-privato della Fondazione Torino Wireless, che ha lanciato l'iniziativa, ma che ha lasciato che fosse gestita in una logica privatistica e quindi che la governance e gli shareholder di Innogest fossero privati; ciò con l'obiettivo di ridurre al minimo la commistione con la politica e per garantire l'adeguata professionalità del management coinvolto. Torino Wireless è un Distretto Tecnologico focalizzato sull’ICT e sulle sue applicazioni. Il modello di sviluppo del Distretto si fonda sull’integrazione di ricerca, imprenditoria e Venture Capital per accelerare l’impatto che l’innovazione ha sul sistema economico locale. Innogest è quindi uno "strumento distrettuale", introdotto per dare impulso al mondo dell'impresa ed a quello della ricerca sul territorio piemontese, insieme a Piemontech – focalizzato sul segmento Angel Investment, con finanziamenti fino a 200mila euro. L'iniziativa pubblica ha permesso la costruzione di un vero e proprio ecosistema, cui Innogest ha contribuito attivamente, facendosi promotore del Polo Italiano del Venture Capital – che riunisce tutti i principali attori attivi in Italia sul finanziamento di start-up innovative, tra cui diversi fondi italiani ed internazionale e alcuni gruppi di business angel nazionali. Tali fondi rappresentano complessivamente risorse finanziarie gestite per circa un miliardo di euro. L'operazione, nata in Piemonte, si amplia con l'entrata nel fondo di Next – fondo di fondi mobiliare 133 chiuso sottoscritto da investitori istituzionali e istituito dalla Regione Lombardia con lo scopo di sviluppare sul territorio lombardo un mercato del venture capital orientato all’innovazione e allo sviluppo di nuove tecnologie – e costruisce un vero e proprio asse di sviluppo MI-TO che si allarga velocemente fino ad includere tutto il centro-nord Italia, sebbene il focus geografico di Innogest si stenda a tutto il territorio nazionale. Le sinergie tra territori, tra enti pubblici e privati, tra il mondo della ricerca e quello dell'imprenditoria, tra fondi di investimento eterogenei, sono alla base della costruzione di un ecosistema che ha ritorni vistosi e rilevanti sull'intero tessuto imprenditoriale centro-settentrionale. Sebbene il funzionamento dei fondi di Venture Capital si basi su alcune pratiche consolidate e condivise, vi sono alcuni elementi che portano a considerare Innogest come un esempio di particolare interesse nel mondo dei capitali di rischio. Innanzitutto l'ambito operativo scelto: investire in Seed & Early Stage in settori industriali ad altissimo tasso di crescita è sintomo di una propensione all'innovazione molto elevata, e si inserisce, in Italia, in un panorama molto poco popolato in cui, a fianco di Innogest compaiono pochi altri grandi nomi come Annapurna Ventures, H-Farm, Dpixel, IAG – Italian Angels for Growth, Atlante Ventures, Aladdin Ventures. La governance di Innogest rappresenta un ulteriore elemento di differenziazione: l'azione congiunta di interessi pubblici e privati che hanno dato vita al fondo, unitamente alla libertà d'azione propria di una governance esclusivamente privata, danno luogo ad interessanti sinergie che integrano efficacemente il mondo dell'impresa e quello della ricerca – ambiti tradizionalmente separati capaci in questo modo di collaborare a vantaggio dell'intero tessuto imprenditoriale. La centralità della dimensione umana – che si estrinseca nell'estrema importanza di tratti come responsabilità, etica, onestà, e "chimica interpersonale" nel management dell'impresa target, fra i criteri di selezione delle occasioni di business – rappresenta infine il tratto maggiormente "di rottura" rispetto ad iniziative omologhe, ulteriore sintomo della continuità tra interesse pubblico e privato, e tra profitto e crescita sana del panorama imprenditoriale giovanile realizzato voluta da Innogest e dai suoi stakeholder. 134 Capitolo VIII Il caso Vita 8.1 Profilo sintetico dell’impresa Vita opera a Milano da più di 15 anni, avvalendosi della collaborazione di una trentina di persone. Si tratta di una Content Company, nota soprattutto per il suo settimanale, Vita non profit magazine, nelle edicole dal 1994. All’attività editoriale, si sono aggiunti servizi di consulenza, erogati da Vita Consulting per sostenere le organizzazioni del Terzo Settore italiano e le imprese che hanno implementato progetti di RSI, ed una serie di iniziative sul web. Infine, si deve segnalare Communitas, un mensile di approfondimento dedicato a tematiche di natura sociale. Gli ultimi anni si sono caratterizzati per il raggiungimento del pareggio di bilancio (il fatturato del 2008 è di poco superiore ai 2 milioni e seicentomila euro), ma soprattutto per l’ingresso in Borsa. Il tutto – ecco la particolarità – è avvenuto con l’intento – sancito dallo statuto societario – di non distribuire dividendi. Si reinveste l’intera somma, cercando di creare “valore sociale”, come si tenterà di argomentare nelle pagine che seguono, inaugurando una strada non ancora battuta da nessun soggetto attivo a sostegno dello stesso Terzo Settore. 8.2 La storia Vita180 è una S.p.A. nata verso la fine del 1994, con l’impegno di pubblicare un magazine a cadenza settimanale, che documentasse per la prima volta in Italia – ma anche in Europa – il faticoso affaccendarsi della società civile. La sede operativa è a Sud di Milano, nei pressi di Piazzale Corvetto, dove termina la metropoli e ha inizio la campagna. Poco distante, infatti, si trova l’abbazia di Chiaravalle, pregevole costruzione medievale nella quale i Cistercensi, monaci operosi, mettevano in pratica il noto principio dell’ora et labora, preghiera e lavoro. Il 24 ottobre di quell’anno, uscì nelle edicole italiane il primo numero di Vita, un modo rivoluzionario per dar voce al volontariato e al mondo del nonprofit. Tutto era nato nei tre anni precedenti, nei corridoi della RAI, dove Riccardo Bonacina, l’attuale presidente e direttore editoriale, conduceva una trasmissione intitolata Il coraggio di vivere181. Anche in questo caso, si trattava della prima testata di informazione sociale (Teruzzi, 2002, p. 171) del Paese. Le associazioni venivano periodicamente Abbreviazione di Società Editoriale Vita S.p.A. Riccardo Bonacina, giornalista, nato a Lecco nel 1954, ne era autore e conduttore. Il coraggio di vivere andò in onda ogni giorno su Raidue, alle 17.30. Su Radio Rai, Bonacina è stato ideatore, autore e conduttore di Radio Help, programma di informazione sociale (1995), di Lavori in corso (1997). Al 1999, invece, risale Senza fine di lucro, ospitato dalle frequenze di Radio 24. 180 181 135 chiamate a discutere, ad offrire il loro punto di vista sulla realtà, a contribuire con una personale lettura, insomma, che non si riducesse alla pur importante testimonianza o al racconto del “caso umano”, capace di ispirare un sentimento di vicinanza e, non di rado, di pietà negli ascoltatori. Nel 1994, però, a Raidue ci fu il cambio del direttore di rete e nacquero delle incomprensioni, come spesso succede, in casi del genere. È lo stesso Bonacina a sottolineare come «ci litigai, per problemi di libertà» (Maltese, 2006, p. 90). Al di là dei difficili rapporti venutisi a creare in seno alla televisione pubblica, tuttavia, si avvertiva potentemente la necessità di un giornale, di uno strumento culturale che consentisse al volontariato di prendere coscienza di sé (Ibid.). Così, quell’estate fu completamente dedicata alla ricerca di fondi e abbonamenti, perché il nuovo soggetto vedesse la luce (Franzetti, 2001, p. 5). Contestualmente, poi, venne diffuso un quartino, che recava la seguente dicitura: «Può un giornale nascere non per l’iniziativa di gruppi forti in cerca di consenso e di voti? Può oggi uno strumento di comunicazione, uno spazio di informazione e di dibattito nascere dal basso, da una esigenza diffusa nella società civile?» E continuava: «Vita, si chiamerà così il nostro giornale, una parola sola senza articoli né aggettivi, la parola prima, il sostantivo essenziale da cui bisogna sempre ripartire se non si vuole soccombere alle astrazioni con cui si vorrebbe catalogare, imbrigliare le nostre azioni, i nostri ragionamento ed anche i nostri sentimenti. Vita è anche il nome del nostro obiettivo: fare irrompere nel dibattito politico e sociale i problemi, le ragioni e le speranze del nostro vivere concreto e quotidiano» (Ibid.). Quando i giornalisti de Il coraggio di vivere uscirono dalla RAI, Bonacina contattò alcune realtà associative pronunciando la frase magica: «Allora! Lo facciamo o no questo giornale?». Ecco come nacque il progetto, cui si aggregò un certo numero di persone. Tra i più noti, il sondaggista Nicola Piepoli, Maurizio Costanzo, che si appassionò all’idea, Gavino Sanna, il decano della pubblicità italiana, che studiò il logo, contribuì alla definizione del nome e cominciò a regalare al periodico, settimana dopo settimana, le caricature e le vignette che ancora, dopo 15 anni di attività, compaiono regolarmente. Con l’inizio del nuovo millennio, a distanza di 6 anni, Vita poteva contare su quasi 25.000 lettori e su un comitato editoriale composto da più di 30 membri (Ibid.). Tale livello di articolazione consentiva all’organizzazione di rappresentare, da un lato, gli interessi comuni degli associati e, dall’altro, di tutelare le specificità legate ai singoli attori del privato sociale coinvolti. Non sembra azzardato affermare, in altri termini, che, attraverso Vita, il Terzo Settore italiano abbia incrementato, in misura sostanziale, le possibilità di essere rappresentato (Ibi, p. 6). Non si è mai fatto ricorso a finanziamenti pubblici; le uniche fonti di sostegno sono sempre stati i proventi della vendita del magazine, insieme al contributo degli sponsor, che comparivano con le loro inserzioni pubblicitarie (Ibi, p. 7). L’ingresso delle associazioni come azionisti è avvenuto soltanto nel 2001, 136 con il raggiungimento del pareggio di bilancio. «A quel punto – continua Bonacina –, abbiamo detto: “Apriamo il nostro azionariato anche a coloro che appaiono sulle pagine del nostro settimanale. Non potevamo farlo prima, perché ciò avrebbe comportato una partecipazione ai debiti e non ai profitti». I nuovi azionisti sono subito stati coinvolti con un alto livello di responsabilità, nel senso che hanno immesso liquidità nel progetto. Di conseguenza, automatica è stata la loro comparsa nel consiglio di amministrazione dell’azienda. Attualmente, esso è costituito da 7 membri, di cui 3 appartengono all’universo nonprofit. È interessante notare il fatto che, molte delle leggi di riferimento del Terzo Settore, sono nate da dibattiti in cui Vita figurava alla stregua di interlocutore di primo piano. Basti pensare alla normativa sulle Onlus del 1997 o al provvedimento normativo conosciuto dai più con l’espressione “Più dai, meno versi”, basato sul principio che le donazioni non dovessero “fare cumulo” e potessero essere dedotte in sede di dichiarazione dei redditi. Vita, però, oggi non s’identifica più solo con il periodico. Con il tempo, essa è andata incontro ad una crescita significativa poiché, oltre al magazine, è nata una sezione web, con un portale182 suddiviso in varie sezioni: CSR, Leggi, News, Cerco e offro lavoro183. Al suo interno, inoltre, vi sono altri 2 “prodotti”, entrambi in lingua inglese. Il primo è www.vitaeurope.org, realizzato con 18 dei 27 partners dell’Unione Europea. In un’ottica partecipativa, lo strumento è stato pensato sì per rendere visibili dei contenuti, ma al contempo per elaborare un linguaggio comune e consentire, com’era stato fatto sul piano nazionale, il sorgere di una coscienza europea relativa al volontariato e al Terzo Settore. Il secondo si chiama afronline.org e dà spazio a protagonisti italiani e continentali, offrendo anche ad alcuni media indipendenti della realtà africana una buona visibilità mediatica. Per la precisione, i media sono 12. Giornalmente, si scelgono i contenuti più rilevanti di ciascuno di essi. Compaiono informazioni, approfondimenti e video. L’iniziativa sta avendo un discreto successo; è l’ultima scommessa, nata circa 7 mesi fa. A completare il quadro, concorre un servizio di consulenza, che si occupa di comunicazione alle organizzazioni nonprofit e alle aziende che intendono impegnarsi nella progettazione sociale. Le difficoltà incontrate, piuttosto, sono riconducibili al fermo proposito di non avere un editore, vale a dire un padrone. È una sfida molto complicata – a Vita ne sono ben coscienti –, quella di svolgere un’attività ed autosostenersi. Nel 1997, infatti, finiti i soldi degli azionisti, si è andati incontro ad una prima crisi. Al termine del 2007, il CdA pensava che fosse giunto il momento di chiudere i battenti. Fortunatamente, c’è stata una svolta quando Rusconi, uno dei più importanti manager dell’editoria italiana, ha deciso di dare 182 183 www.vita.it. Gi annunci di ricerca e di offerta di lavoro sono relativi al mondo nonprofit. 137 il proprio contributo dopo un’intera esistenza passata al timone di RCS e del Sole24 ore, portando con sé alcuni fidati collaboratori, esperti di marketing e pubblicità. Tali ingressi hanno innalzato considerevolmente il know how ed il livello di professionalità aziendale, dando ulteriore impulso allo sviluppo di un’impresa in seria difficoltà. Nel complesso, 15 anni di attività hanno permesso l’affermarsi di un modello editoriale che, tra alti e bassi, ha dimostrato di saper reggere nel tempo. Il suo carattere distintivo risiede nella capacità di Vita di concepirsi non solo come un giornale, ma di configurarsi come una content company, una compagnia di giornalisti e comunicatori esperti nel trattare tematiche relative al volontariato e al non profit o, se si preferisce, ai soggetti intermedi – così li definisce la nostra carta costituzionale –, sia attraverso un periodico sia per mezzo di un portale o la costituzione di una rete di consulenti. L’obiettivo, naturalmente, è quello di aumentare il numero di copie vendute del magazine, di incrementare tanto il traffico del portale quanto il numero dei clienti cui vengono resi dei servizi. Il desiderio di crescere poggia sulla speranza di potere incidere ancora di più, rispetto a questi primi 15 anni, relativamente alla capacità di rappresentare il punto di osservazione della società civile, specie in una prospettiva che valorizzi la responsabilità e la solidarietà. 8.3 Dalle persone alle cose: la demografia del personale e la situazione patrimoniale Nonostante Vita sia una società per azioni, il numero complessivo di dipendenti raggiunge le 13 unità184. Di questi, 8 sono uomini e 5 donne185. Esse, però, diventano la maggioranza se, oltre ai dipendenti, si considerano i collaboratori a progetto e i consulenti; 16 in tutto. Rispetto a tale segmento, infatti, le donne sono 11 e gli uomini solo 5. Sotto il profilo della stabilità occupazionale – ecco una prima riflessione –, quindi, i maschi godono di una maggiore sicurezza. Considerando, invece, il tempo di lavoro dei 13 dipendenti, ben 12 sono impiegati full-time186, mentre uno è parttime187. Quanto alla suddivisione per funzione, è possibile conoscere esclusivamente il dato aggregato188. I 29 membri del personale sono allocati nel settore Amministrazione e Servizi generali, nell’area Giornalisti, nella Comunicazione e nel Marketing, infine nell’area Consulenza. Tra costoro, le donne sono 16 e gli uomini 13. Vien da sé, sempre da un punto di vista globale, che le donne prevalgano numericamente in quasi tutti i settori. Mentre esiste un perfetto bilanciamento 184 In senso stretto, vengono considerati dipendenti coloro che lavorano con un contratto a tempo indeterminato o determinato. 185 Tutti i dati riportati in questo paragrafo sono aggiornati al 31 dicembre 2009. 186 4 donne e 8 uomini. 187 Donna. 188 Vale a dire la somma dei dipendenti, dei collaboratori e dei consulenti. D’ora in poi, è al dato aggregato che si farà riferimento. 138 nell’amministrazione189, quelle costituiscono la maggioranza nell’ambito del core business di Vita, cioè l’informazione giornalistica.. Nella consulenza, su 5 persone impiegate 3 sono donne, benché i loro colleghi monopolizzino quasi la comunicazione e il marketing190. Le proporzioni, però, si ribaltano immediatamente se si presta attenzione al titolo di studio, come può evincersi dai grafici 1 e 2. Grafico 1 – Titoli di studio delle donne. Valori percentuali Fonte: Rielaborazione di dati forniti dall’Ufficio Amministrazione di Vita. Grafico 2 – Titoli di studio degli uomini. Valori percentuali Fonte: Rielaborazione di dati forniti dall’Ufficio Amministrazione di Vita. Qualora si facesse riferimento alla laurea, le donne sarebbero in vantaggio sugli uomini, che battono di 11 punti percentuali. L’alto livello di formazione che le contraddistingue, implica che solo una quota residuale (6%) delle stesse sia in possesso del diploma di maturità, rispetto al 23% dei maschi. D’altro canto, coloro che hanno una scolarità più bassa militano prevalentemente proprio 189 190 2 uomini e 2 donne. Su 6 persone che lavorano alla comunicazione e al marketing, 5 sono uomini (l’83,3%). 139 tra le donne191. Quanto all’età, non ci sono uomini al di sotto dei trent’anni, mentre la quota femminile compresa in quella fascia è del 31,2% rispetto all’intera coorte. Il 43,7% di queste ultime si colloca nel segmento dei 31-40enni ed il 25% va oltre i 40 anni. I maschi afferenti alla fascia 3140 raggiungono il 46% e gli over 40 costituiscono il 54%. Con riferimento al luogo di residenza, gli uomini provengono principalmente dalla città di Milano, mentre le prime raggiungono la metropoli da un’altra zona192. L’ultimo dato riguarda l’anzianità di servizio, il cui dettaglio è mostrato nel grafico 3. Grafico 3 – Anzianità di servizio dei dipendenti di Vita. Valori percentuali Fonte: Rielaborazione di dati forniti dall’Ufficio Amministrazione di Vita. Sono i maschi a poter vantare una più lunga permanenza in azienda; al contrario, le donne si collocano perlopiù nella fascia “con meno di 3 anni di anzianità”193. Il range intermedio194, invece, presenta dei valori più o meno equivalenti195. Una considerazione speciale è rivolta alle lavoratrici – o ai lavoratori – qualora nascesse un figlio. In tal caso, si offre la possibilità di un impiego a distanza, sotto forma di telelavoro, per periodi piuttosto lunghi, anche oltre gli obblighi fissati per legge. Al di là del canonico lasso temporale, infatti, il dipendente può rimanere a casa ancora un 191 Che si attestano al 13%, contro l’8% degli uomini. Le donne che abitano a Milano sono il 31%; quelle che la raggiungono quotidianamente il 69%. Per gli uomini, le percentuali si attestano rispettivamente all’85% e al 15%. 193 Per tutti i lavoratori, dipendenti o collaboratori, Vita compartecipa alle spese di formazione nella misura del 50%. Nella fattispecie, vengono cofinanziate le attività di aggiornamento relative alla conoscenza e all’uso degli strumenti informatici, unitamente all’approfondimento della lingua inglese. Inoltre, sono previsti periodicamente degli step di formazione in sede. 194 Da 4 a 6 anni di anzianità. 195 A margine, per quanto riguarda il 2009, si devono ricordare anche 162 collaboratori a borderò. Con il termine borderò, s’intende riferirsi ai costi variabili del numero di una rivista. Collaboratori a borderò, pertanto, sono coloro che, al di là del personale di redazione, contribuiscono con articoli, foto, traduzioni ed altro. 192 140 anno e mezzo circa – ha solo l’obbligo di partecipare alle riunioni di redazione. Nell’astensione obbligatoria dal lavoro, viene sostituito196; poi, è sufficiente un pc e una connessione ad internet. A fronte dell’utilizzo di un numero comunque esiguo di risorse umane, il fatturato è costantemente cresciuto negli anni, fino a superare i 2.600.000 euro nel 2008. Grafico 4 – Andamento dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, tra il 2003 e il 2008, in migliaia di euro Fonte: Bilanci Vita 2003-2008. Il suo incremento, tra il 2003 ed il 2008, è stato del 714%. È pur vero, tuttavia, che la differenza tra il valore e i costi della produzione è talvolta scesa sotto lo 0, generando dei passivi di lieve entità, come risulta dalla tabella 1. Tabella 1 – Differenza tra il valore e i costi della produzione, in migliaia di euro 2008 2007 2006 2005 2004 2003 42.178 56.009 25.330- 67.654 168.821- 100.55- Fonte: Dati forniti dall’Ufficio Amministrazione di Vita. Negli ultimi anni, si è finalmente raggiunto il pareggio di bilancio. Tra le voci che hanno inciso maggiormente sui costi di produzione, si devono segnalare gli oneri sociali (+84,3% tra il 2003 e il 2008197), i salari e gli stipendi (+45,5%), i servizi (+29,4%), le materie prime, sussidiarie, di consumo e le merci (+21,2%). In controtendenza con il generale aumento, però, va altresì 196 197 Chi sostituisce il personale in maternità è assunto con un contratto a tempo determinato. Anche il raffronto tra i dati riportati nelle righe seguenti prende, come anni di riferimento, il 2003 e il 2008. 141 sottolineata la diminuzione degli oneri diversi di gestione (-5,5%). Scartata, al momento, l’ipotesi di uno sviluppo, per crescere il gruppo Vita ha deciso di entrare in borsa, a partire dal settembre 2010. Ma proprio di questo, si cercherà di render conto nelle pagine che seguono. 8.4 I valori Al centro dell’attività del gruppo, quale che sia il canale di comunicazione utilizzato, c’è, almeno a livello programmatico, la passione per la verità – la quale dovrebbe essere il movente di chiunque si dedichi alla professione giornalistica, seppur con le sue diverse sfumature ed i suoi differenti punti di vista, «nella convinzione – si legge nei principii, una sorta di carta valoriale – che non devono esistere limiti alla libertà di raccontare e rappresentare la società italiana»198. Essa si articola attraverso una particolare attenzione a quella complessità sociale, che è possibile cogliere parzialmente se si valorizzano le differenze. Ecco perché Vita intende porsi come la cassa di risonanza della realtà che “nasce dal basso”, dei gruppi intermedi – il Terzo Settore – e delle libere aggregazioni di cittadini. Fare ciò, a sua volta, le richiede l’assunzione di precise responsabilità, nelle forme che le sono proprie, prendendo posizione di fronte alle domande che gli interlocutori le pongono, in maniera più o meno esplicita. Per non rischiare che tutto ciò rimanga “lettera morta”, la redazione è affiancata da un comitato editoriale, “luogo di riflessione e di indirizzo”, composto da alcuni tra i principali attori dell’universo nonprofit italiano. Coerentemente con la denominazione del magazine, l’obiettivo principale consiste nel «riportare al centro dell’agone sociale e politico la vita» di chiunque, soprattutto di chi non ha di solito voce in capitolo, essendogli precluso l’accesso ai media o a posizioni di potere. L’idea di creare e gestire uno spazio libero, soggiungono i principii, è possibile in quanto «tutto quello che abbiamo costruito non lo dobbiamo a nessuno, se non al nostro lavoro, al nostro sacrificio, alla nostra passione e alla stima che abbiamo suscitato nel nostro cammino. Vita è una comunità crescente di persone, di amici e di gruppi che […] si stimano». Il tutto, continua il documento con una certa dose di retorica, senza dimenticare l’impegno di servire il lettore: «Non lavoriamo solo per noi stessi, per la nostra gratificazione, crescita e affermazione professionale, lavoriamo soprattutto per chi ci legge». L’informazione è a trecentossessanta gradi; perciò, Vita ama definirsi una content company, cioè un luogo di produzione di notizie, veicolate su più tipologie di media, «così che sia possibile raggiungere un pubblico più vasto e diverso». Infine, non manca un richiamo esplicito al punto di partenza: la società civile. Di qui è doveroso prendere le mosse per raccontare, cercando anche di «frugare nei cestini dei rifiuti delle notizie del circuito 198 Si veda, in proposito, www.vita.it/pages/principii. 142 della grande informazione e delle agenzie di stampa nazionali e internazionali, davvero zeppe di sorprese. I loro scarti sono per noi ottime notizie». I Principii, in verità, costituiscono una delle principali sezioni del Codice Etico (2009), che vincola l’attività di una serie di soggetti, primi tra tutti gli amministratori, ma anche del management, dei dipendenti, dei collaboratori e di chiunque abbia in essere rapporti di natura contrattuale, fossero anche occasionali o temporanei, con l’azienda. I componenti del consiglio d’amministrazione sono tenuti ad osservarli nel fissare gli obiettivi dell’impresa, nel proporre investimenti e nel realizzare i progetti; il management nell’attività di direzione; i dipendenti, i collaboratori e i partners d’affari nello svolgimento delle loro attività quotidiane che abbiano una qualche attinenza con il gruppo Vita. Il tentativo di declinare i sudetti principi in comportamenti concreti assume grande importanza soprattutto rispetto agli stakeholders, il cui elenco è riprodotto in tabella 2. Tabella 2. – Gli stakeholder del gruppo Vita Lettori e community Dipendenti e collaboratori Clienti (imprese, inserzionisti, ecc.) Organizzazioni non profit Soci (imprese nonprofit, istituzioni, persone fisiche) Pubblica Amministrazione Finanziatori Fornitori Fonte: La scelta di Vita. Identità e piano strategico 2010 – 2012. Materiale ad uso interno, non pubblicato. Di fronte ai lettori e alla community, raggiungibile attraverso le moderne tecnologie informatiche, Vita s’impegna ad assicurare un alto livello di trasparenza nei criteri e nelle modalità che hanno presieduto alla diverse scelte, condivise, come si diceva, dai membri del Comitato editoriale. Quanto ai dipendenti e ai collaboratori, l’azienda ne «tutela l’integrità contro ogni forma di discriminazione. Si impegna a valorizzare la loro professionalità e le loro competenze anche attraverso attività di formazione e aggiornamento» (Ibi, p. 5). Con riferimento ai clienti, è necessario mantenere, con il passare degli anni, i medesimi valori professati, tra i quali spicca l’indipendenza. Verso le organizzazioni nonprofit, la content company si configura alla stregua di laboratorio permanente, per fornire nuove sollecitazioni al mondo del Terzo Settore, insieme ad 143 un’ampia visibilità. Le indicazioni più interessanti, però, giungono forse dal rapporto con i soci: «[Nei loro confronti], Vita si impegna a far crescere il valore dell’azienda attraverso scelte gestionali coerenti con la realizzazione della propria missione e ad allargare la partecipazione includendo sia le nuove realtà del Terzo Settore sia, più in generale, tutte le rappresentanze interessate alla solidarietà e alla responsabilità; garantisce inoltre trasparenza nella governance attraverso il confronto costante con le diverse componenti della base sociale e una comunicazione chiara e tempestiva delle scelte strategiche […]. Per ogni operazione […], deve esservi una documentazione di supporto in modo da consentire, in ogni momento, l’effettuazione di controlli in grado di attestare le caratteristiche e le motivazioni dell’operazione contabile e la verifica del processo di decisione, autorizzazione e di realizzazione, nonché l’individuazione dei vari livelli di responsabilità» (Ibi, p. 6). Tra gli interlocutori figura anche l’Ente pubblico, la cui relazione è ispirata «alla più rigorosa osservanza delle disposizioni di legge e regolamentari applicabili» (Ibid.). Due stakeholder mancano ancora all’appello. In primo luogo, i finanziatori, cioè gli istituti di credito, spesso coinvolti nelle iniziative di responsabilità sociale. Tali rapporti, naturalmente, non esimono il gruppo dal monitorare la propria gestione economico-finanziaria, così da far fronte nei tempi stabiliti alla propria esposizione debitoria. Riguardo ai fornitori, le partnership instaurate puntano alla ricerca condivisa delle migliori soluzioni concretamente attuabili in termini di qualità, prezzi e tempi di pagamento. Il Codice etico è vincolante per tutti coloro che prestano servizio presso il gruppo, come si è già ricordato, al punto da compromettere, in caso di inosservanza del medesimo, addirittura il rapporto di lavoro. L’osservanza delle norme del Codice Etico deve considerarsi parte essenziale delle obbligazioni contrattuali dei dipendenti ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2014 del Codice Civile. Le violazioni delle norme del Codice Etico potranno costituire inadempimento delle obbligazioni primarie del rapporto di lavoro o illecito disciplinare, nel rispetto delle procedure previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, con ogni conseguenza di Legge, anche in ordine alla conservazione del rapporto di lavoro, e potranno comportare il risarcimento dei danni dalle stesse derivanti. L’osservanza del Codice deve altresì considerarsi parte essenziale delle obbligazioni contrattuali assunte dai collaboratori non subordinati e/o soggetti aventi relazioni d’affari con la società […]. L’ingresso in borsa, a partire dal settembre 2010 – cioè dalla quotazione –, ha indotto una modifica dello statuto, per cui, la società, nel perseguire il proprio oggetto sociale – lo svolgimento di attività editoriali e di comunicazione multimediale con particolare attenzione a tutto ciò che sviluppa la cultura della solidarietà –, è tenuta ad operare in base a criteri di economicità, con lo scopo di 144 conseguire utili, reinvestiti «per l’autofinanziamento dello sviluppo di nuove iniziative ed il mantenimento e miglioramento dei progetti esistenti»199. La comunicazione, poi, assume un rilievo assolutamente centrale, ancor più di quanto non sia avvenuto finora, dal momento che gli Azionisti Significativi sono obbligati – in base all’articolo 9 – a trasmettere al gruppo Vita, per iscritto e con nota indirizzata al CdA e al collegio sindacale, ogni cambiamento sostanziale, entro e non oltre i 3 giorni lavorativi a decorrere dal verificarsi dello stesso. Cosa debba intendersi per cambiamento sostanziale è spiegato chiaramente dal suddetto articolo, che parla del «raggiungimento o il superamento della soglia del 3 per cento e tutte le successive variazioni (in aumento o in diminuzione) dell’1 per cento nonché la riduzione sotto la soglia del 3 per cento»200. La comunicazione deve identificare l’azionista, l’ammontare della partecipazione, nonché la data dell’operazione. Se quello non si sottomette agli adempimenti previsti, il CdA può richiedere formalmente il documento che attesti l’entità della partecipazione. Nel caso in cui vi sia effettivamente omissione «il diritto di voto e il diritto agli utili inerenti le azioni per le quali siano state omesse le comunicazioni non potrà essere esercitato per un periodo di tempo massimo di un anno decorrente dalla data di notifica»201. 8.5 L’organizzazione e le strategie Fino alla fine del 2009, esisteva la Società Editoriale Vita S.p.A., che deteneva il 95% di Vita Consulting S.r.l. Il core business era l’editoria202, ai margini della quale si collocava l’attività di consulenza. Oggi, dopo il passaggio da magazine leader dell’informazione sociale a content company leader nel settore dei comportamenti responsabili, VITA Società Editoriale S.p.A., oltre a possedere la sopraccitata quota della società di consulenza, può contare sul 100% di Vita Web S.r.l. Ciò significa che gli ambiti d’azione sono diventati 3, essendosi aggiunto il segmento correlato all’uso delle nuove tecnologie informatiche. Si potrebbe dire, forse, che il core business sia, in senso più generale, l’informazione, diffusa attraverso una pluralità di piattaforme. In previsione dell’imminente ingresso in Borsa, si è provveduto al rinnovo del consiglio di amministrazione, che ha confermato Riccardo Bonacina quale suo presidente203. L’investimento, dal punto di vista strategico, riguarderà tutte le aree nelle quali il gruppo si è strutturato. Per quanto concerne 199 Statuto (efficace a decorrere dall’ammissione alla negoziazione sull’AIM Italia), 2010. Materiale ad uso interno, p. 1. Ibi, p. 3. Ibid. 202 E lo è anche attualmente. 203 Il nuovo C.d.A. di Vita Società Editoriale S.p.A. è costituito da Riccardo Bonacina (presidente), Paolo Migliavacca (amministratore delegato), Claudia Fiaschi, Marco Fumagalli, Vincenzo Manes, Filippo Spina (consiglieri), Andrea Agnelli, Aldo Bonomi, Andrea Olivero (consiglieri indipendenti), Sergio Pivato (presidente CS), Francesco Perrini e Stefano Groppi (sindaci), Laura Guazzoni e Anna Laura Lanfredini (sindaci supplenti). 200 201 145 l’editoria, dalla fine del 2010 si è pensato di introdurre alcune novità nel magazine, tra cui una maggiore foliazione, la presenza di approfondimenti, il potenziamento della funzione marketing e del sistema di raccolta pubblicitaria. La crescita del bagaglio di competenze, invece, sembra essere la chiave di volta dell’ambito consulenziale, mentre per il web sono state ritenute prioritarie la riorganizzazione e l’ottimizzazione sia dei contenuti sia del portale. Anche qui, tuttavia, l’investimento dovrà indirizzarsi pure verso la crescita delle competenze, la diversificazione dei servizi e l’incremento della raccolta pubblicitaria (La scelta di vita, 2010, p. 19). In ogni caso, la realizzazione dell’intero progetto richiederebbe, in una prospettiva aziendale, la capacità di affrontare e supportare organizzativamente alcune problematiche non facili da risolvere, che obiettivamente costituiscono un elemento di criticità del sistema: l’armonizzazione «tra le naturali sovrapposizioni del gruppo» (Ibi, p. 22), cioè le posizioni di soci, amministratori, ecc., che non sempre convergono, com’è naturale, all’interno di un contesto che fa del confronto e della dialettica i suoi caratteri distintivi e l’opportunità di «potenziare coordinamento e sinergie» ai diversi livelli (Ibid.). Tavola 1. – Il nuovo Consiglio di Amministrazione di Vita Fonte: La scelta di Vita. Identità e piano strategico 2010 – 2012. Materiale ad uso interno, non pubblicato. Quanto alla crescita esterna, «l’offerta nel complesso è poco sistematica e strutturata. In numerosi contesti europei [infatti] si assiste ad un vero e proprio buco di offerta. L’expertise e la riconoscibilità del Gruppo VITA e la sua capacità di attenzione possono offrire notevoli opportunità di sviluppo» (Ibi, p. 26). Il piano strategico prevede delle linee guida ben precise, che puntano a) 146 all’aggregazione di iniziative editoriali che abbiano un pubblico di riferimento omogeneo a livello internazionale; b) all’integrazione, verticale e orizzontale, del portafoglio di servizi di consulenza. Nella fattispecie, sono in fase di valutazione delle azioni in direzione: - dell’Advertising204 e della pianificazione di media con contenuto sociale; - della responsabilità sociale d’impresa; - della gestione di eventi a contenuto etico; - della sostenibilità ambientale e dei consumi. Infine, si sta vagliando l’ipotesi c) di un’internazionalizzazione dell’azienda, «per allargare la leadership nazionale e sfruttare la riconosciuta unicità dell’iniziativa imprenditoriale a livello europeo» (Ibi, p. 27) 8.6 I prodotti e i servizi 8.6.1. Il magazine Il prodotto che meno di altri necessita di presentazioni è certamente Vita non profit magazine, in edicola tutti i venerdì a partire dal 1994, al costo di 2 euro. Diretto da Giuseppe Frangi, lo si potrebbe definire il “cuore” della content company, uno strumento realizzato da una redazione in possesso di uno specifico know how. Il magazine, lo si è ricordato in precedenza, è l’unico settimanale europeo completamente rivolto al volontariato e al mondo del nonprofit. Al di là del racconto dei fatti più rilevanti del panorama nazionale e internazionale, esso presenta inserti fissi mensili, tra cui si devono ricordare E&F – Etica e Finanza, dedicato all’economia e all’investimento sociale responsabile; Ecomondo, incentrato sulle tematiche ambientali e le nuove fonti di energia rinnovabili; Social Job, per chi lavora nel non profit; Consumer’s Magazine, il mensile dei consumatori; Yalla Italia, il punto di riferimento per le seconde generazioni, di cui si dirà tra poco, ma insieme dossier speciali di carattere monografico, pubblicazioni di quaderni di approfondimento e guide ragionate su tematiche specifiche. Naturalmente, esiste anche una versione del magazine online, accessibile per chi si abbona. Nella prospettiva della sostenibilità ambientale, va sottolineato che il periodico è stampato su carta riciclata al 100% e che, la confezione appositamente concepita per proteggerlo dall’azione degli agenti atmosferici, è in bioplastica Mater-Bi. Come suggerisce il termine, si tratta di plastica biodegradabile, ricavata da un processo di lavorazione di materie prime vegetali non inquinanti. Per decomporsi, è sufficiente 204 L’attività pubblicitaria. 147 qualche mese di compostaggio205, al contrario di quanto avviene con le materie plastiche di origine sintetica, derivate dal petrolio. Il Mater-Bi, in verità, è solo uno dei tipi di bioplastica presenti sul mercato, prodotto con amido di mais, grano e patata e può anche servire per la fabbricazione di cotton fioc biodegradabili o di materiale da imballaggio. Il sacchetto che avvolge il settimanale, inoltre, non produce alcun tipo di danno al terreno sul quale viene eventualmente abbandonato ed è riutilizzabile, una volta decomposto, sotto forma di concime fertilizzante. Yalla Italia risale al 2006. «Alla base c’è un’idea semplice: dar voce e visibilità al processo d’identità delle seconde generazioni, a quelle nuove cittadinanze che mantengono le loro radici vitali nei paesi di provenienza dei loro genitori e che fanno crescere i rami della loro vita in Italia»206. Si tratta di un inserto di Vita Magazine, dove si cerca di mettere in luce il modo in cui gli interessati tentano di rielaborare una visione complessiva tra quanto gli è stato trasmesso dal contesto di provenienza e quanto, invece, proviene dal Paese d’origine. Com’è possibile trovare una via di mezzo tra le aspirazioni del nucleo famigliare e quelle personali? Quanto incidono i costumi e la tradizione religiosa sul modo di agire? Su questi ed altri quesiti, le persone interagiscono e discutono, in una prospettiva che spesso ci sfugge per il fatto di essere, noi, troppo ancorati ad una chiave di lettura eurocentrica: «In Yalla Italia comunichiamo noi stessi, quale può essere il nostro ruolo in un Italia che sta cambiando e lo facciamo con senso dell’ umorismo, con autocritica, senza essere autorefenziali, senza dare licenze di moralità alla politica e alla società, senza imporre la nostra identità a nessuno. Qualcuno ci ha definito nuovo ossigeno per l’Italia, altri un promo dell’Italia del futuro»207. L’inserto è diretto da Giuseppe Frangi, con la collaborazione di Paolo Branca, docente alla Cattolica di Milano, in qualità di coordinatore. Oltre all’approfondimento mensile, Yalla Italia ha anche un sito, un blog208 ed è presente su Facebook, il noto social network209, con circa 1.350 simpatizzanti da tutto il mondo. Le seconde generazioni, qui, si considerano testimonial di un’Italia multietnica e globalizzata, che certo non è esente da alcuni aspetti problematici, ma almeno possono «uscire in superficie e […] interrogar[si] su molte questioni fondamentali, come appunto il […] [loro] ruolo nella società italiana»210. 205 Il compostaggio «è una tecnica attraverso la quale viene controllato, accelerato e migliorato il processo naturale a cui va incontro qualsiasi sostanza organica per effetto della flora microbica naturalmente presente nell'ambiente. Si tratta di un "processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate che permette di ottenere un prodotto biologicamente stabile in cui la componente organica presenta un elevato grado di evoluzione"; la ricchezza in humus, in flora microbica attiva e in microelementi fa del compost un ottimo prodotto, adatto ai più svariati impieghi agronomici, dal florovivaismo alle colture praticate in pieno campo» (www.compost.it., Il sito del Consorzio Italiano Compostatori). 206 www.yallaitalia.it. 207 Ibid. 208 http://blog.vita.it/yalla. 209 http://www.facebook.com/group.php?v=wall&ref=mf&gid=19887612280. 210 www.yallaitalia.it. 148 8.6.2 La consulenza Vita Consulting è attiva dal 1996, per assistere le organizzazioni del Terzo Settore italiano e le aziende che hanno avviato progetti di RSI, con lo scopo di istituire un dialogo tra realtà profit e nonprofit. Da un punto di vista organizzativo, Vita Consulting S.r.l. è strutturata in 3 settori: a) Area Imprese, b) Area Nonprofit, c) Area Eventi. La prima affianca le aziende tradizionali, quando decidono di intervenire nel sociale, con una specifica attenzione alle strategie di queste ultime e alla loro valorizzazione. La seconda è la più importante, almeno da un punto di vista della mole di lavoro da svolgere. Qui, si studiano e si attuano strategie di marketing e fund raising, suddividendo l’attività per target di utenza. La terza si occupa di assistere il committente in ordine alla progettazione e alla produzione di eventi sociali, coerentemente con la sua mission ed i suoi obiettivi. All’Area Eventi fa capo anche Club Vita211, una sorta di spazio destinato ad incontri, seminari e momenti legati alle realtà di volontariato. Vita Consulting S.r.l. possiede il più aggiornato database sul nonprofit europeo. Per un’analisi di maggior dettaglio, si riportano in tabella 3 i più rilevanti servizi da essa erogati. Tabella 3 – Servizi di Vita Consulting S.r.l alle imprese e alle organizzazioni nonprofit. Servizi alle imprese Servizi alle organizzazioni nonprofit Realizzazione di report e bilanci sociali Progettazione di iniziative di fund raising Progetti di stakeholder engagement Progettazione e realizzazione di eventi Sviluppo di partnership con organizzazazioni Sviluppo delle relazioni con le imprese e cura delle non profit partnership Progetti di volontariato d’impresa Sviluppo delle attività di comunicazione, dallo studio della creatività alla pianificazione dei mezzi, curando la coerenza con la mission e i valori del brand e insieme sviluppandone i messaggi e i pubblici potenziali Sviluppo di attività di filantropia strategica Attività di media relation Consulenza strategica e campagne di comunicazione e di marketing sociale Fonte: La scelta di Vita. Identità e piano strategico 2010 – 2012. Materiale ad uso interno, non pubblicato. L’organizzazione di Club Vita è demandata a VITA Comunicazione Società Cooperativa Sociale, il cui amministratore unico è Giuseppe Ambrosio. La cooperativa è nata nel dicembre 1995, in vista della promozione umana e dell’integrazione sociale dei cittadini. Oltre ad occuparsi di Club Vita, essa partecipa a progetti, sia nazionali sia internazionali, «orientati a soddisfare i bisogni di chiarezza e di maggiore comprensione rispetto alle tematiche dell'impegno civile o che sviluppino dibattito e promozione delle principali istanze sociali» (www.vita.it). 211 149 Alcuni tra i più importanti clienti, che attualmente ricorrono all’azienda del gruppo sono: Acea, Allianz, Cesvi, Coopi, Holcim, Banca Prossima, Fondazione Aiutare i Bambini, Fondazione Dynamo, Lega del Filo d’Oro, Mediafriends, Nike, Novartis, Roche, Telefono Azzurro, UBI Banca e Unicredit. 8.6.3 Il web Per gestire i contenuti web, il 16 dicembre 2009 è nata Vita Web S.r.l., una società apposita. Tra tutti i mezzi del gruppo che si propongono di trasmettere informazioni, questo sembra essere il più interessante, se non altro in prospettiva, nell’ottica di una diffusione internazionale in buona parte già in atto. Il web, in fondo, per i suoi costi contenuti è assai facilmente fruibile da un’utenza sempre più vasta. Nel sito212, si trovano degli spazi fissi per coloro che cercano ed offrono un lavoro. I primi possono pubblicare online il loro curriculum vitae, rigorosamente in formato europeo, senza alcuna spesa. I loro profili sono visibili da più di 8.000 organizzazioni nonprofit. I secondi, se lo desiderano, in pochi minuti sono in grado di inserire le offerte che li interessano – anche in questo caso, l’operazione è gratuita –; dopodiché non resta che attendere l’arrivo di una mail con le candidature o, in alternativa, selezionare quelle ritenute più interessanti, attingendo ad un bacino di oltre 9.000 curricula. Un’altra sezione si occupa delle norme, dei bandi e dei finanziamenti che hanno attinenza con il sociale. Si riportano le ultime notizie, i provvedimenti legislativi più recenti e si trova pure un motore di ricerca, capace di trovare istantaneamente proprio la legge che interessa. Se qualcuno intende pubblicare un appuntamento, è sufficiente compilare un modulo di facile lettura213; se, invece, intende consultare le schede di tutte le associazioni di volontariato o delle persone fisiche che hanno portato a termine con successo la registrazione a vita.it, non ha che da inserire pochi dati identificativi e il gioco è fatto214. La quinta sezione si affaccia sul mondo delle donazioni. Vita Giving Europe, una Onlus che si occupa di donazioni online per l’Italia, ha attivato un servizio215 che mette in contatto i donatori con le Onlus stesse. Tutto avviene mediante l’utilizzo di carta di credito. I versamenti sono accreditati su un conto bancario intestato a Vita Giving Europe Onlus (VGE), che mensilmente trasferisce il denaro agli enti beneficiati, trattenendo la quota necessaria alla copertura delle spese di gestione della piattaforma. Completano il quadro uno spazio 212 Si veda, in proposito, www.vita.it. Per effettuare l’operazione, bisogna essere registrati. 214 Anche la richiesta di consultazione del database, naturalmente, richiede la registrazione. 215 Tale servizio si chiama Vita donazioni. 213 150 denominato Csr news, dove sono reperibili iniziative, leggi e notizie riguardanti la responsabilità sociale d’impresa ed un’area dedicata allo shopping, nella quale si possono acquistare in rete libri, gadgets e materiali di diverso tipo. Vita Europe216 è un portale in lingua inglese dalle grandi ambizioni. Il suo obiettivo, infatti, è la creazione di un’identità e di una cultura omogenee all’interno della società civile del Vecchio Continente. Concretamente, esso si propone di dare spazio ai protagonisti del Terzo Settore, a quanto hanno da raccontare, alle buone prassi che hanno realizzato. Il team di lavoro è giovane e dinamico; la sede operativa si trova a Milano. A parte il progetto Non Profit Atlas, che ha consentito – e consente tuttora – di offrire una mappatura aggiornata del Terzo Settore in ciascun Paese, mettendone in evidenza il valore economico e sociale, si somministrano interviste, si cercano storie interessanti, si creano blog e si stabiliscono partnership con soggetti del nonprofit quali imprese sociali, cooperative, fondazioni, ecc. La collaborazione dovrebbe rendere queste ultime in grado di diffondere messaggi che valorizzino, a livello locale, una serie di tematiche care all’universo del volontariato217. Afronline218 è l’ultima nata di casa Vita; la sua mission si esprime attraverso il tentativo di favorire lo sviluppo di relazioni culturali tra Africa ed Europa, con particolare riferimento all’Italia. Come? Dapprima, con la diffusione di un’informazione di qualità, riguardante le condizioni sociali che contraddistinguono l’area in questione. Perché ciò possa tradursi in pratica, si è convenuto sulla necessità di creare una vera e propria alert agency, un’agenzia di stampa vigile e attenta, distribuita da Telpress219, che si avvale dell’apporto di collaboratori esperti, i quali conoscono le sfide lanciate dal Continente africano e le sue prospettive di sviluppo. Il portale, in tal senso, aumenterebbe la visibilità di uno sforzo che altrimenti avrebbe un’eco mediatica minore. Con il tempo, però, sarebbe opportuno implementare una serie di attività dedicate all’addestramento di giornalisti locali, ma insieme progettare programmi di scambio culturale220. Il sito www.vita.it, infine, permette anche di accedere alla web tv del gruppo: Vita channel. Il canale online permette di recuperare un’ingente messe di notizie che, di solito, i quotidiani e i periodici nazionali ed internazionali non selezionano, poiché li ritengono poco interessanti. È un altro modo, in sostanza, per garantire una comunicazione sociale di qualità e per fare informazione sui temi della solidarietà e del volontariato (Sangiorgio, 2004). 216 Si veda, in proposito, www.vita.it/europe. Lo staff di Vita Europe è formato da Carlotta Jesi, che esercita funzioni di direzione, Rose Hackman, Maddalena Plebani e Cristina Barbetta. A titolo di collaboratori freelance, tuttavia, si devono segnalare Liuba Jannsen, Ruben Soza, Vita Sgardello e Olivia McConhay, che regolarmente si prodigano nell’offrire il proprio apporto con articoli e servizi giornalistici. 218 Cfr. www.afronline.org. 219 Telpress è un player italiano che offre tecnologie e servizi per la racconta e la diffusione di notiziari multimediali. 220 www.afronline.org. 217 151 8.6.4. Communitas Alcuni giornalisti di Vita hanno costituito Vita altra idea, una piccola società cooperativa che elabora contenuti per vari committenti, tra i quali la stessa Società Editoriale Vita, e il mensile Communitas, diretto da Aldo Bonomi. Esso sviluppa e propone monografie tematiche di rilevanza sociale. Come suggerisce Riccardo Bonacina, «i corpi intermedi, la società di mezzo, con Communitas hanno deciso di darsi una casa comune per raccontare il nostro tempo ed elaborare idee, proposte, giudizi. Un luogo, plurale, di riflessione che mette insieme centri di ricerca, sociologi, professori, leader dell'associazionismo, sindacalisti, uomini e donne di impresa»221. In vendita anche nelle librerie Feltrinelli, la pubblicazione gode del sostegno di un comitato scientifico di prim’ordine222 ed è giunta ormai alla sua quarantaduesima uscita. Oltre a Bonomi, la direzione può contare su Stefano Zamagni, Marco Revelli, Riccardo Bonacina e Giuseppe Frangi, mentre il comitato di redazione è formato da poco più di 15 unità223. 8.7 La quotazione in borsa Ci sono diversi modi per definire il “fenomeno” Vita. Si potrebbe parlare di un’azienda profit che si occupa di nonprofit, di «un ibrido tra una società per azioni e un ente no profit, con l’obbiettivo di generare valore sociale» (Vita, in Borsa, p. 38), ecc. L’aspetto che rende il caso ancora più interessante di quanto già non sia, però, è senz’altro l’imminente quotazione in borsa, nell’attesa della quale si è anche detto, con grande enfasi, che «l’etica approda a Piazza Affari» (Montanari, 2010, p. 13). Che cosa spinge un’impresa con 56 azionisti a fare il grande passo? Pare che, dietro il febbrile lavoro di preparazione che ha accompagnato questi ultimi mesi, ci sia un’idea sostenuta con forza da Stefano Zamagni, docente di Economia politica dell’Università degli Studi di Bologna. Secondo Riccardo Bonacina, infatti, lui «è stato il nostro mentore ricordandoci che la natura profonda della 221 www.communitasonline.it. Fanno parte del Comitato scientifico Giuseppe De Rita (presidente), Alberto Abruzzese, Giulio Albanese, Alessandro Azzi, Gianpaolo Barbetta, Pierpaolo Baretta, Pietro Barcellona, Lea Battistoni, Paolo Bedoni, Marino Bergamaschi, Ugo Biggeri, Riccardo Bonacina, Aldo Bonomi, Carlo Borgomeo, Massimo Cacciari, Maurizio Carrara, Virginio Colmegna, Giacomo Contri, Riccardo Della Valle, Camillo De Piaz, Giuseppe Dolcini, Luca Doninelli, Johnny Dotti, Giulio Ecchia, Roberto Esposito, Carlo Formenti, Giuseppe Frangi, Cesare Fumagalli, Bruno Genovese, Giuseppe Guzzetti, Stefano Marchettini, Sergio Marelli, Salvatore Natoli, Andrea Olivero, Laura Olivetti, Fabrizio Palenzona, Franco Pasquali, Edoardo Patriarca, Silvano Petrosino, Savino Pezzotta, Davide Rampello, Ermete Realacci, Marco Revelli, Enzo Rullani, Marina Salamon, Giuliano Segre, Fabio Terragni, Riccardo Terzi, Marco Vitale, Stefano Zamagni e Flavio Zandonai. 223 I membri del Comitato di redazione sono Sergio Gatti, Maurizio Regosa, Claudio Donegà, Albino Gusmeroli, Riccardo Bagnato, Linda Barsotti, Francesco Cancellato, Daniele Germignani, Salvatore Cominu, Rosa Rossini, Luca Romano, Cristiana Colli, Joshua Massarenti, Giulio Mauri, Sara De Carli, Simone Bertolino e Stefano Arduini. 222 152 borsa è la mutualità e non la speculazione» (Ibid.). Nell’avventura, si è lanciato anche Andrea Agnelli, figlio di Umberto e socio in affari di Paolo Migliavacca224, l’A.D. del gruppo Vita. Il 28 aprile 2010, Agnelli è entrato nel suo CdA come consigliere indipendente; sua Zia, Marella, era la moglie di Carlo Caracciolo, uno degli storici fondatori del colosso l’Espresso-Repubblica, che, a suo tempo, aveva acquisito il 5,8% delle azioni della content company milanese (Ibid.). Attualmente, il 50,2% del capitale di quest’ultima è in mano ad enti operanti nel nonprofit. L’intenzione è di quotarne una percentuale variabile tra il 30% ed il 40%, raccogliendo circa 4 milioni di euro. E poi? Come verranno impiegate le risorse? Per uno o due anni, inanzitutto, i soci si impegneranno al lock up (Biscella, 2010, p. 25). Ciò significa che vi sarà il congelamento dei pacchetti azionari. Si tratta di un’esigenza di tutela che prevede, nel caso di una start up, l’impossibilità di cedere anche solo una quota nei primi 365 giorni; per quelli successivi, invece, gli azionisti sono tenuti a non vendere più dell’80% delle azioni stesse225. Inseriti stabilmente nel mercato azionario, si cercherà di espandersi inglobando realtà complementari, anche se affini, alla content company, tentando di esportare all’estero il “nostro” modello, afferma Paolo Migliavacca, che aggiunge: «Il mercato avrà […] una società capace di generare valore economico che si tramuta in valore sociale» (Ibid.). Nemmeno da settembre226, sarà possibile distribuire dividendi. In tal senso, la situazione non cambierà. L’articolo 25 del nuovo Statuto parla chiaro: «La società non intende distribuire ai soci remunerazioni periodiche dell’investimento azionario sotto forma di dividendi di utili. […] In ogni caso […], non può essere deliberata la distribuzione di utili se non con il voto favorevole di almeno il novanta per cento del capitale sociale, sia in prima convocazione che nelle convocazioni successive alla prima». Perché investire o acquistare delle quote, allora? È lo stesso Migliavacca a ribadire: «Creare valore sociale […] è […] il dividendo che Vita intende pagare» (Vita, in Borsa, 2010, p. 38). Il fatturato del 2009 era di 3,5 milioni di euro, ma l’esercizio si è chiuso con perdite per 60.000 euro (Carlevaro, 2010). Perciò è ancora più urgente l’ingresso all’AIM227, del quale Vita entrerà a far parte tra breve. L’AIM è un mercato per piccole e medie imprese ed esiste da quando la Borsa 224 Dopo aver conseguito il PhD in Management, Paolo Migliavacca ha insegnato presso l’Università Bocconi di Milano e l’Università degli Studi di Torino. Dal 2006, è partner di Lamse Financial Holding S.p.A., che investe in PMI e in società finanziarie. Dal 2007, è membro indipendente del CdA di Fondazione Piemontese per l’Oncologia e, dal 2009, vicepresidente di Lucos Alternative Energies S.p.A., azienda attiva nel settore del risparmio energetico. Nel 2010, ha fatto il proprio ingresso in Vita come amministratore delegato. 225 Cfr. http://www.mrprofit.it/magazine/pagina.php?ID_categoria=6&ID_pagina=207&cat=Special+Box&altra=1. 226 Con la quotazione. 227 Acronimo di Alternative Investment Market. 153 italiana è stata rilevata da quella londinese. Lì, c’era da tempo un segmento specifico di questo tipo, con più di 1.200 società quotate. Dal maggio 2009, lo si può trovare anche in Italia228. Chi decide di investirvi gode di particolari incentivazioni fiscali; i costi sono minori rispetto a chi è inserito nella Borsa tradizionale, il mondo delle blue chips, e la regolamentazione è meno stringente, poiché non viene richiesta una rendicontazione trimestrale, ma semestrale. Vita, non potendo interagire direttamente con CONSOB, l’autorità di vigilanza, si affida ad un intermediario riconosciuto dalla Borsa stessa, un ente terzo, chiamato Nominated Advisor (NOMAD), che, nel suo caso, è Unipol Gruppo Finanziario (UGF)229. Il Nomad, naturalmente, possiede sia la responsabilità civile sia quella penale rispetto alla società rappresentata. Più precisamente, esso valuta l’appropriatezza dell’azienda per l’ammissione all’AIM, pianifica e gestisce il medesimo processo di quotazione, assiste l’impresa per tutto il periodo di permanenza sul mercato. Alla domanda: «Perché vi quotate?», Riccardo Bonacina risponde: «Entriamo in Borsa perché, banalmente, il gruppo vuole crescere, raccogliere capitali per sostenere in futuro un piano di sviluppo. Per conseguire l’obiettivo, le strade sono molteplici. Puoi chiedere ad una banca di farti un fido o un prestito obbligazionario. La Borsa ci sembrava l’ipotesi più stimolante, dal momento che obbliga i suoi membri a raggiungere elevati standard di trasparenza. Per entrarci, abbiamo dovuto adempiere a tutta una serie di procedure; tutti i documenti societari sono finiti nelle mani del Nomad. Inoltre, se scegli di quotarti, devi investire in comunicazione, informare chi ha investito su di te. Di conseguenza, abbiamo dovuto assumere personale dedicato a tempo indeterminato. Al di là della trasparenza, però, è un punto centrale della nostra filosofia il non dover ringraziare un solo soggetto, perché preferiamo ringraziarne cento. Il altre parole, dipendere da molti significa non dipendere da nessuno. È sempre stata la nostra logica, e non intendiamo certo abbandonarla adesso. Noi siamo già una public company e crediamo che la Borsa ci permetterà di preservare l’indipendenza attraverso una forma di azionariato diffuso» (Riccardo Bonacina, Presidente e Direttore Editoriale). In terzo luogo, il ricorso all’AIM è dovuto al fatto che «noi crediamo – sono ancora parole di Bonacina – che un’azione del genere possa far sorgere un dibattito interessante. È la prima volta al 228 Attualmente, le società quotate ad AIM Italia sono 8. Per la fine del 2010, si prevede che il numero salirà a 12. I regolamenti vigenti presso AIM Italia sono simili a quelli presenti nella realtà inglese, con alcuni adattamenti peculiari, che tengono conto del differente contesto economico ed imprenditoriale del nostro Paese. 229 In Italia, i Nomad operanti all’AIM sono circa una decina. Come Advisor finanziario, invece, il gruppo Vita ha scelto En Vent. L’Advisor finanziario è un consulente capace di supportare un’azienda in una delicata fase di cambiamento, dove si verifica una fusione, un’acquisizione, la quotazione in borsa, ecc. Il suo intervento è fondamentale, poiché, il livello di complessità tipico dell’azienda, non permette a quest’ultima di gestire personalmente l’intero processo. 154 mondo che in Borsa si trova una società che non distribuisce dividendi. Si reinveste tutto. I mercati tradizionali sono piuttosto depressi. Il fatto che, dopo 2 mesi di discussione, abbiano accettato la nostra presenza, è un segno culturalmente significativo. Infine, se ce la facciamo, altri, dopo di noi, potranno seguire la stessa strada. Magari, con il tempo, nascerà anche un apposito segmento, una “Borsa sociale”. Adesso, la questione riguarda noi e basta; parlo di Vita e dei suoi azionisti. Con la quotazione, ci apriamo alla “pubblica piazza”. Non è male, per un gruppo dove, più del 50% delle quote, è in mano a realtà del nonprofit». Al 2010, il 21,3% è detenuto dalla Fondazione Vita, il 18,6% da PIA230, il 9,6% da ICCREA HOLDING231, il 9,4% dal Consorzio Gino Mattarelli (CGM) ed il resto da altre realtà sia dell’universo profit sia del nonprofit. Solo 8 soggetti sono in possesso di più del 3% delle azioni, raggiungendo una percentuale complessiva del 78,6% del capitale sociale. Il rimanente 21,4 è distribuito tra ulteriori 33 soci, con quote sempre inferiori al 2%, fatta eccezione per la Fondazione Umano Progresso (2,1%). Grafico 5 – Struttura azionaria di Società Editoriale Vita S.p.A. Fonte: La scelta di Vita. Identità e piano strategico 2010 – 2012. Materiale ad uso interno, non pubblicato. Riguardo alla suddivisione degli azionisti per tipologia, le aziende profit hanno il 37,9% del gruppo, mentre l’11,5% è appannaggio di singoli investitori. 230 231 Partecipazioni Interessenze Azionarie S.p.A. La Holding delle banche di credito cooperativo. 155 Grafico 6 – Tipologia degli azionisti di Vita Fonte: La scelta di Vita. Identità e piano strategico 2010-2012. Materiale ad uso interno, non pubblicato. L’entrata in Borsa ha imposto un riassetto organizzativo cui l’azienda ha già iniziato a far fronte, dati i tempi brevi entro i quali l’operazione dovrà essere conclusa. Oltre Paolo Migliavacca, il già citato A.D., si deve segnalare l’arrivo di Enrico Morandi, a capo di Vita Consulting232, di Edoardo Quaglia233 nel web marketing e di Costante Casali234 alla divisione pubblicità. I cambiamenti di maggiore rilievo, quindi, si sono verificati a livello dirigenziale; tuttavia, è stato assunto personale anche per seguire i rapporti con i mercati azionari e le autorità e per potenziare il settore amministrativo. Rispetto al settimanale, il cambio di rotta porterà, a partire dalla metà di ottobre 2010, non solo ad un restyling, ma anche ad un aumento del numero delle pagine, come si diceva, che permetterà di realizzare dei dorsi tematici di approfondimento. Il logo sarà sempre quello disegnato da Gavino Sanna, mentre scomparirà il sottotitolo non profit magazine. La revisione grafica sarà a cura di Francesco Camagna, mentre la copertina verrà realizzata con il sostanziale apporto dello stesso Sanna. A Carmi e Ubertis235 spetterà il compito di studiare la brand architecture, vale a dire l’organizzazione di un insieme di marchi diversi, per ottimizzare il portfolio di prodotti e definire il Enrico Morandi è stato, tra il 2000 ed il 2003, direttore generale di Rapp Collins (mnicom/DDB); poi è passato a Wunderman (WPP/Young & rubicam) come amministratore delegato, fondandone la Digital Unit. Dal 2010 è A.D. di Vita Consulting. 233 Dal 2001, Edoardo Quaglia è site manager di Zapnet S.r.l., società attiva nel segmento Web TV e nell’editoria digitale. Dal 2003, ha lavorato a lastminute.com, prima come responsabile del settore pubblicitario, in seguito come direttore dell’area Marketing Online. Nel 2010 è approdato a Vita. 234 Costante Casali vanta un’esperienza pluriennale nel campo della pubblicità, ricoprendo ruoli di responsabilità in SEAT – Pagine Gialle, Rusconi Editore, Sipra e Mondadori. Fino al 2009, è stato amministratore delegato di Fiera Milano Editore S.p.A. Dal 2010, collabora con Vita. 235 Carmi e Ubertis nasce dall’esperienza di Elio Carmi e Alessandro Ubertis che, per più di vent’anni, hanno lavorato per società note a livello internazionale. L’azienda è specializzata nel creare e nel gestire l’immagine di marca. 232 156 modello d’identità cui legare le società del gruppo. L’obiettivo è l’aumento delle tirature, che, dalle 34.000 copie attuali, dovrebbero raggiungere i 50.000 esemplari (Parazzoli, 2010, p. 16). D’altro canto, oggi i ricavi poggiano per il 75% sull’editoria, che non vive un momento felice. Sull’84% delle copie diffuse in abbonamento, si abbatterà tra poco il gravoso aumento delle tariffe postali. Quindi, è quantomai opportuno diversificare l’offerta, incrementando le aree web e consulenza (Ferraris, 2010, p. 25). Con riferimento a quest’ultima, consolidata è ormai la collaborazione con ICCREA Holding, uno degli azionisti più importanti, ma si collabora anche con UBI Banca, con Banca Prossima, di Intesa Sanpaolo e con Universo non profit, «la branch dedicata al terzo settore del gruppo Unicredit» (ibid.). Insomma, «Vita Consulting erogherà consulenza progettuale in ogni ambito del marketing della sostenibilità. L’idea di fondo è quella di applicare le abilità creative del marketing e del design alle proposte di rinnovamento degli stili di vita e del sistema sociale […] Marketing non vorrà più dire sedurre le persone con promesse vuote, ma al contrario, coinvolgerle e istruirle» (Parazzoli, 2010, p. 17). Il sito, infine, fino ad ora ha fornito essenzialmente informazioni, ma dovrà ampliare il proprio raggio d’azione offrendo pure servizi alle piccole realtà associative. 157 Capitolo IX Il caso Habitech 9.1 Profilo sintetico dell'impresa Habitech è il Distretto Tecnologico Trentino per l'Energia e l'Ambiente, con sede a Rovereto (TN). Gestito dalla Società Consortile Distretto Tecnologico Trentino, Promosso dalla Provincia Autonoma di Trento e riconosciuto dal Ministero dell'Università e della Ricerca, nasce dalla collaborazione tra Università, laboratori di ricerca, imprese private e istituzioni locali, con l'obiettivo di realizzare in Trentino filiere produttive specializzate nei settori legati all’edilizia sostenibile, alla produzione di energia da fonti rinnovabili e alle tecnologie intelligenti per la gestione del territorio. Con un capitale sociale di € 302.000 e 21 dipendenti, Habitech ha un fatturato, al 2009, di € 1.277.428,79 e un utile netto di - € 32.594,28. Al di là dell'attività "tipica" dei distretti tecnologici, fondata sul finanziamento diretto di progetti volti a trasferire know-how dagli enti di ricerca alle imprese, Habitech porta avanti una serie di attività mirate principalmente a favorire un’innovazione organizzativa e di mercato all'interno delle singole aziende, lavorando sui sistemi di certificazione nell'edilizia, sull'organizzazione degli strumenti di mercato dell'efficienza energetica e sulla certificazione delle competenze. Questa differenza di fondo con organizzazioni omologhe mette in luce un approccio all'innovazione differente, perché focalizzato sull'impresa, sulle sue esigenze, sulla competitività sui mercati, in un'ottica non assistenziale ma sistematica e "di rete". Habitech è, in breve: un polo nazionale per l'edilizia sostenibile, l'energia e la mobilità un motore di sviluppo del green-business un sistema di 300 imprese che interpreta la sostenibilità come un'opportunità di sviluppo e affermazione territoriale e imprenditoriale un partner fondamentale per le imprese che vogliono crescere in un mercato in continua evoluzione il Distretto Tecnologico dell'Energia e dell'Ambiente riconosciuto dal Ministero dell'Università e della Ricerca 158 9.2 Una storia tecno-green. La nascita, perlomeno a livello concettuale, del Distretto Tecnologico Energia e Ambiente del Trentino può a buon diritto essere fatta risalire all'intuizione dell'allora Assessore alla programmazione e alla ricerca della Provincia Autonoma di Trento – Giancluca Salvatori – che, nel marzo del 2005, mette in luce l'esigenza di ammodernare "il sistema regionale dell'innovazione e della ricerca", indicando l'ambito delle tecnologie green come grande opportunità per il futuro. A fronte dell'eccessiva dipendenza dai "trasferimenti statali", ed in previsione della crisi del modello distributivo/assistenziale dovuta all'imporsi di quello federalista, Salvatori manifesta alla Giunta ed agli operatori economici l'esigenza di un nuovo modello di sperimentazione che sia sostenibile, che ponga al centro la "ricerca applicata" e che sia in grado di costruire una forte identità tecnica ed economica incentrata sulle tecnologie verdi: un "distretto tecnologico dell'energia e dell'ambiente". La proposta è controversa, ma incontra progressivamente il favore di gran parte del tessuto imprenditoriale locale, pur con ambiguità nella sua interpretazione: la possibilità di cogliere nuove opportunità di finanziamento dallo Stato Centrale – frutto del fraintendimento degli scopi del Distretto – attrae anche gli operatori più scettici e conservatori. La crisi energetica del 2006-2007 irrompe in una situazione resa incerta dalla mancanza di una chiara identità produttiva del territorio trentino. La creazione, nell'ottobre del 2006, della Società Consortile per il Distretto Tecnologico Trentino – con l'adesione di un centinaio di operatori privati, e dei più importanti centri di ricerca dell'area trentina – si incardina nel tentativo di razionalizzare il mercato locale dell'energia operato dall'autorità territoriale: la Provincia acquisisce la rete di distribuzione dell'energia elettrica, ristruttura le imprese che producono energia – creando Dolomiti Energia236 – e riforma il sistema della ricerca, dando maggiore impulso alla ricerca diretta dal mercato. È il primo intervento della PAT, che abbandona progressivamente il paradigma distributivo ed orizzontale del passato, di strutturare un nuovo segmento di mercato attorno alle tecnologie green. Alla fine del 2006 le resistenze degli imprenditori ancora legati al modello distributivo/assistenziale sono sopite, e – con il riacutizzarsi della crisi energetica e l'impennata del prezzo del petrolio, nel 2007 – si comincia a parlare in tutto il mondo di green economy: l'Europa inserisce tra gli obiettivi 236 Dolomiti Energia S.p.A. e' una societa' di distribuzione multiutility che gestisce i servizi dell'energia elettrica, gas naturale, ambiente, il ciclo completo delle acque, illuminazione pubblica, teleriscaldamento e servizi aggiuntivi nella Provincia di Trento. 159 programmatici degli investimenti strutturali per il periodo 2007 – 2013 interi capitoli del Protocollo di Kyoto237, mentre il governo Prodi lancia, nell'ambito di "Industria 2015"238, una serie di provvedimenti a favore delle green technologies. L'idea lanciata con lungimiranza nel 2005 acquisisce nuova credibilità, anche grazie al successo di un'iniziativa affine come Casaclima239: il programma di Habitech presentato a Bruxelles ad ottobre del 2006 nell'ambito della Giornata delle Regioni, esprime l'intenzione di rendere il Distretto lo strumento di un processo di innovazione del tessuto produttivo volto alla creazione di "un sistema di mercato che sia capace non solo di rendere 'sostenibile' il territorio trentino, ma anche di sviluppare soluzioni innovative di interesse globale" (Paolo Gurisatti – consulente Habitech, membro del CdA) e di un "quadro tecnologico" incentrato sulle tecnologie green. Da fonte di finanziamento per progetti di trasferimento tecnologico Habitech diviene strumento di una politica di sviluppo industriale più ampia: iniziano a funzionare al suo interno tavoli tecnici e gruppi di lavoro (cui partecipa un numero crescente di imprenditori ed enti di ricerca) volti a definire la strategia di sviluppo, i temi della sostenibilità attorno cui lavorare – green building, efficienza energetica, case di legno, ciclo dell'acqua, mobilità sostenibile, etc. – ed i progetti di ricerca integrata da attuare. Il lavoro del DTTN viene organizzato in tre sezioni: edilizia ad alte prestazioni, efficienza energetica e produzione di energia da fonti rinnovabili, sistemi di controllo per la gestione del territorio e mobilità sostenibile. Delle tre sezioni, la prima ottiene i risultati più incoraggianti, anche per via della preesistente tradizione legata alle costruzioni in legno nel territorio trentino, ed assurge al ruolo di modello per l'evoluzione delle altre due. 237 Da http://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Ky%C5%8Dto : Il protocollo di Kyōto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyōto l'11 dicembre 1997 da più di 160 paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia. 238 È il disegno di legge sulla politica industriale innovativa varato dal governo italiano il 22 settembre 2006, le cui previsioni sono state recepite dalla Legge Finanziaria 2007. Industria 2015 stabilisce le linee strategiche per lo sviluppo e la competitività del sistema produttivo italiano del futuro, fondato su: un concetto di industria esteso alle nuove filiere produttive che integrano manifattura, servizi avanzati e nuove tecnologie; un’analisi degli scenari economico-produttivi futuri che attendono il nostro Paese in una prospettiva di medio-lungo periodo (il 2015). Ha permesso alle imprese di scegliere sia la tipologia che la forma di sostegno finanziario maggiormente confacenti alle proprie esigenze nell’ambito di attività che vanno dalla ricerca industriale, allo sviluppo sperimentale fino alla definizione di prototipi ed impianti dimostrativi per la realizzazione di nuovi prodotti e servizi pronti a competere sui mercati internazionali. 239 CasaClima (in tedesco KlimaHaus) è un metodo di certificazione energetica degli edifici presentato nel 2002 in ottemperanza a quanto già licenziato dalla Comunità Europea come Direttiva Cee 2002/91/Ce, che, a seguito del protocollo di Kyōto, tratta la questione della certificazione energetica degli edifici. È stato ideato da Norbert Lantschner, ex direttore dell'ufficio "Aria e Rumore", del Dipartimento all'Urbanistica, Ambiente ed Energia della provincia di Bolzano. 160 Nel gennaio del 2008 nasce formalmente, per iniziativa di Habitech e di 47 soci fondatori – non solo trentini – il GBC Italia (Green Building Council Italia), allo scopo di consolidare in Italia lo standard LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) per la certificazione e la misurazione della sostenibilità di edifici ad alte prestazioni, e di "agganciare" il segmento innovativo ad esso collegato. A cinque anni di distanza dalla formulazione dell'idea che ha originato il Distretto Tecnologico Energia e Ambiente emergono i primi frutti del difficile processo di ristrutturazione affrontato dal panorama industriale trentino: a fianco del persistente e "costoso" modello distributivo/assistenziale, si registrano i primi risultati positivi dell'iniziativa di sistema legata alla certificazione LEED, con lo sviluppo di nuove competenze e di una nuova filiera legata all'edilizia sostenibile ad alte prestazioni. Il successo del modello attuato, seppur di difficile replicazione negli altri due ambiti di attività di Habitech, dimostra la fecondità dell'approccio adottato: l'offerta di beni e servizi pubblici per la competitività favorisce relazioni generative tra imprese che contribuiscono ad orientare il mercato attraverso il consolidamento di un "quadro tecnologico" di riferimento, capace di imporsi anche al di fuori del territorio trentino. 9.3 I numeri di Habitech Il Consorzio Habitech raccoglie in totale 185 soci, in rappresentanza di più di 300 imprese, per un totale di circa 8000 addetti ed 1 miliardo di euro di fatturato. Habitech è guidato da un Consiglio d'Amministrazione composto da 7 elementi. Il presidente (nominato nel maggio 2010) è Sergio Bortolotti. La governance del Consorzio è in larga maggioranza privata con solo 15 soci riconducibili alle istituzioni – che nominano un solo consigliere – e ben 170 facenti capo a imprese o consorzi privati – nominano 6 consiglieri. 161 Habitech beneficia di un contributo provinciale di cinque anni – fino al 2011 – del valore complessivo di 1.8 milioni di euro. La sostenibilità finanziaria è tuttavia garantita dall'offerta di servizi a pagamento: i servizi legati alla certificazione LEED costituiscono poco meno della metà del giro di affari di Habitech, con una elevato potenziale di crescita nel breve periodo. Consiglio d'Amministrazione della Società Consortile per il Distretto Tecnologico Trentino Sergio Bortolotti Petrolvilla & Bortolotti – Presidente del C. d'A Gianni Lazzari Marco Merler Marco Pedri Petra Ragona Giuseppe Salvaterra Paolo Tonelli Fondazione B. Kessler – rappresentante dei soci pubblici Dolomiti Energia Pre-Metal Consorzio Prometeo – Ragona s.n.c. Costruzioni Martinatti Consorzio Lavoro Ambiente 162 163 9.4 Mission, visione e strategia Il concetto di sostenibilità ambientale è l'elemento centrale dell'attività di Habitech e delle riflessioni che occorrono al suo interno. Nell'ottica portata avanti dal Distretto la sostenibilità è sia un modo di approcciare i problemi globali, l'impresa, la persona, che un driver per lo sviluppo dell'economia locale. La mission di Habitech è l'offerta di servizi ai suoi soci per migliorarne il posizionamento e la performance sui mercati, perseguendo secondariamente l'obiettivo di favorire lo sviluppo imprenditoriale attraverso il sostegno alla ricerca guidata dal mercato negli ambiti della sistenibilità ambientale. Habitech si differenzia da altri Distretti Tecnologici italiani per via del mutato approccio nei confronti delle politiche assistenziali, e per la sua governance. La governance dell'organizzazione è multilivello240. "Il Distretto Tecnologico Trentino non assomiglia agli altri distretti italiani e soggetti di ricerca che si riuniscono per utilizzare fondi pubblici, per offrire servizi di laboratorio ad alcune imprese, ma non entrano nei problemi di 'costruzione' del sistema di mercato. Il caso trentino non assomiglia neppure a un distretto classico della tradizione italiana (di quelli studiati in letteratura) che si costituisce grazie ad un meccanismo di interazione bottom-up" (Paolo Gurisatti – consulente Habitech, membro del CdA – tratto da "Innovazione e sostenibilità " di Patrizia Messina). L'indirizzo è impresso in maniera top-down dal Consiglio d'Amministrazione del Consorzio – espressione degli interessi dei soci e della PA – ma le interazioni a livello micro sono gestite da agenti pubblici di sviluppo che si occupano di facilitare le relazioni tra imprese e con gli enti di ricerca, di analizzare il panorama imprenditoriale, di individuare le potenziali collaborazioni e le possibili occasioni di business. Gli agenti di sviluppo posseggono background eterogenei, provenendo da ambienti pubblici e privati. La loro attività ricade principalmente in due ambiti: networking – il team di agenti di sviluppo si occupa di individuare possibili collaborazioni e liaison progettuali, sia all'interno del Distretto che all'esterno, coinvolgendo in certi casi reti professionali preesistenti facenti capo ai suoi membri; l'intima conoscenza del panorama tecnologico ed imprenditoriale trentino, maturata attraverso una serie di analisi e carotaggi realizzati nel tempo – questionari collettivi, colloqui individuali – coniugata con l'esperienza 240 Con governance multilivello si intende che gli attori sono pubblici, privati e posti a diversi livelli territoriali; scambi negoziati e non gerarchici fra istituzioni a livelli transnazionali, nazionali, regionali e locali 164 professionale pregressa, permette di individuare reti d'impresa ad alto potenziale di crescita ancora inespresse o non adeguatamente valorizzate; il rapporto preferenziale con la PAT, infine, permette al team di agenti di sviluppo di individuare punti di snodo tra l'attività delle imprese e gli obiettivi espressi in sede pubblica, indirizzando sforzi progettuali di rete nella direzione che meglio si sposa con le politiche di sviluppo del territorio stabilite dalla Pubblica Amministrazione; supporto strategico – il team di agenti di sviluppo analizza business plan o iniziative progettuali al fine di valutarne le potenzialità tecniche e commerciali, individuare eventuali problematiche che possano ostacolarne il successo, e più in generale effettuare un'attività di accompagnamento che ne permetta la realizzazione Il ruolo degli agenti di sviluppo comporta attività di "progettazione" ed indagine a valore aggiunto, caratterizzandosi a tutti gli effetti come consulenza di tipo strategico. Le ricadute positive di questo tipo di approccio vanno dallo sviluppo del territorio grazie ad un'attività imprenditoriale informata da obiettivi condivisi, all'evoluzione del tessuto imprenditoriale in termini di diffusione di una cultura della pianificazione basata su best practice consolidate, al superamento dei limiti geografici del territorio trentino. La strategia attraverso cui Habitech intende portare avanti i propri obiettivi imprenditoriali e di incentivo all'innovazione sostenibile si basa principalmente su due elementi: la "verticalizzazione" del panorama industriale locale intorno ad ambiti tecnologici green ben definiti; la creazione di beni pubblici locali per la competitività. La scelta degli ambiti industriali attorno cui costruire l'attività di Habitech deriva in parte da valutazioni circa l'evoluzione futura di quei segmenti a livello internazionale, ed in parte dalla preesistenza in Trentino di imprese riconducibili a quegli ambiti. Si parla di "verticalizzazione" in contrapposizione con la situazione precedente alla crisi energetica del 2006-2007: il tessuto imprenditoriale, in risposta ad incentivi "a pioggia" ed a fondo perduto, erogati dalla PAT, tendeva a svilupparsi senza una direzione precisa, a detrimento del consolidarsi di una (o più) identità industriale ben precisa. 165 La proposta di Habitech punta invece a strutturare il panorama industriale in senso verticale, lungo filiere sostenute da competenze e tecnologie ben precise. I settori scelti da Habitech: 9. edilizia sostenibile 10. produzione di energia da fonti rinnovabili 11. tecnologie intelligenti per la gestione del territorio (con particolare attenzione a smart grid e mobilità sostenibile) L'attenzione per l'edilizia sostenibile nasce in primo luogo dalla valutazione circa l'impatto ambientale degli edifici, responsabili per più del 40% delle emissioni dannose nell'atmosfera terrestre, e dalla tradizione legata alle costruzioni in legno in Trentino. È il gruppo di lavoro più sviluppato all'interno di Habitech, e, per tale ragione, è utilizzato come riferimento per la crescita degli altri due tavoli, ancora relativamente inattivi. Il relativo successo del gruppo di lavoro sull'edilizia sostenibile è frutto della felice intuizione circa all'adozione dello standard internazionale LEED come driver per lo sviluppo locale, ed ha avuto un primo risultato molto importante con la creazione del GBC Italia; "la PAT [...] accetta – peraltro – di introdurre vicnoli e incentivi alla certificazione LEED degli edifici pubblici" (Paolo Gurisatti – consulente Habitech, membro del CdA – tratto da "Innovazione e sostenibilità " di Patrizia Messina) , dando di fatto impulso al settore e creando posti di lavoro. I servizi erogati da Habitech in questo settore sono legati alla consulenza su progetti LEED, ed alla loro certificazione. La riflessione circa la sostenibilità della produzione di energia ruota attorno a due problematiche: le Fonti Rinnovabili, la loro integrazione con i sistemi produttivi industriali, e l'importanza della riduzione della dipendenza da fonti non rinnovabili derivate del petrolio; l'Efficienza Energetica, la ricerca di modalità per ridurre i consumi ed ottimizzare l'utilizzo dell'elettricità A valle della crisi energetica la PAT ha dato vita a Dolomiti Energia con l'intenzione di operare una razionalizzazione delle risorse energetiche locali, e di rendere, in una prospettiva di lungo periodo, il Trentino autonomo sotto il profilo energetico. Vi è la necessità di operare ulteriori interventi che da un lato permettano di individuare i trend rilevanti di mercato, dall'altro consentano di dialogare con il sistema regolatorio nazionale. 166 I servizi erogati da Habitech relativamente a quest'ambito sono: Supporto alla Pubblica Amministrazione nella definizione della politica energetica e nell'adozione di strumenti attuativi Supporto a privati ed enti locali per la creazione di Energy Service Companies Consulenza per la redazione di bandi di gara basati su Finanziamento Tramite Terzi e garanzia delle prestazioni (Energy Performance Contracting) Supporto per la collocazione sul mercato di soluzioni tecnologiche innovative Supporto per il reperimento di finanziamenti di progetti di ricerca e sviluppo Valutazione delle tendenze del settore e delle tecnologie pertinenti in campo energetico Il terzo gruppo di lavoro di occuperà dell'ambito più vasto: i sistemi di monitoraggio e gestione del territorio sono strumentali agli altri ambiti industriali, e perciò risorsa strategica da valorizzare. Reti intelligenti di sensori per il rilevamento di dati ambientali in tempo reale, smart grid per l'integrazione ed il controllo di risorge energetiche rinnovabili molteplici, sistemi di mobilità sostenibile (sia in senso ambientale che logistico), saranno al centro dell'attività distrettuale con l'intensificarsi delle attività di questo tavolo di lavoro. Ad oggi i servizi erogati da Habitech in quest'ambito sono: Attività di scouting e transfer tecnologico di soluzioni innovative Analisi di specifici trend tecnologici di settore Sviluppo di progetti integrati per il trasporto di merci e persone Creazione di contesti locali adatti all'implementazione di soluzioni innovative L'altro elemento caratterizzante della strategia di Habitech è la centralità della creazione di beni collettivi per la competitività delle imprese, anche detti scaffold. Le scaffold241 - dall'inglese impalcature - sono strutture pubbliche o collettive che contribuiscono a facilitare e sistematizzare le 241 Il concetto di scaffold è introdotto dal Prof. David Lane, ordinario presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università di Modena e Reggio Emilia, per indicare strutture collettive o pubbliche capaci di generare "economie esterne", soprattutto di natura normativa e relazionale, a vantaggio delle imprese (in "Distretti industriali come sistemi complessi" apparso sul num. 63-64/2003 di Impresa&Stato, rivista della Camera di Commercio di Milano) 167 relazioni ricorrenti tra imprese, e con gli enti di ricerca, indirizzandole verso obiettivi specifici (ed il più possibile condivisi), collocandole in quadri normativi e tecnologici di riferimento. Si possono considerare scaffold gruppi di utenti, fiere commerciali, organizzazioni di professionisti, enti di standardizzazione, luoghi di interazione e mezzi di comunicazione – riviste professionali, giornali aziendali, gli organi delle associazioni di categoria, siti internet. Per chiarire la portata del concetto, e l'impatto sulla strategia del Distretto Tecnologico Trentino Energia e Ambiente, due esempi di scaffold: LEED Italia e GBC Italia. LEED è contemporaneamente uno strumento di certificazione ed uno strumento di misurazione delle performance degli artefatti242: fornisce alle imprese uno standard di riferimento che possa orientare la nascita di filiere produttive, ma anche uno schema condiviso di valutazione delle proposte tecnologiche, un vero e proprio "quadro tecnologico" e linguistico su cui fondare le collaborazioni e che permetta la migrazione di competenze dall'ambito della ricerca. Il tavolo sull'edilizia sostenibile ha adattato LEED – originariamente nato in ambito statunitense – al sistema italiano, "agganciando" in tal modo il movimento globale legato allo strumento di certificazione. Il Green Building Council Italia, di cui fanno parte imprese ed enti di ricerca, nasce con l'obiettivo di trasformare il mercato dell'edilizia, introducendo un nuovo modo di progettare e costruire nuovi edifici e di riqualificare il patrimonio esistente, caratterizzato da una forte riduzione di impatto ambientale in trend con tutte le politiche internazionali sui cambiamenti climatici e con un aumento del comfort e della salubrità degli interni. Strumento di elezione con cui raggiungere tale obiettivo è proprio la certificazione LEED, di cui GBC Italia diventa, nel settembre 2008, "standard setter e certificatore". 242 Vedi box LEED – Cos'è e come funziona 168 LEED – Cos'è e come funziona Il sistema di certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) è uno standard applicato in oltre 100 Paesi nel mondo, sviluppato dall’U.S. Green Building Council (USGBC), associazione no profit che promuove e fornisce un approccio globale alla sostenibilità, dando un riconoscimento alle performance virtuose in aree chiave della salute umana ed ambientale. Gli standard LEED, elaborati dall’USGBC e presenti anche in Italia grazie al lavoro di GBC ITALIA che ne ha creato una versione locale, indicano i requisiti per costruire edifici ambientalmente sostenibili, sia dal punto di vista energetico che dal punto di vista del consumo di tutte le risorse ambientali coinvolte nel processo di realizzazione. L’organizzazione che definisce e promuove lo standard LEED è l’US Green Building Council, associazione non-profit nata nel 1993 che oggi conta più di 20mila membri. Oltre ad un a ruolo “tecnico”, lo USGBC ha anche il compito di informare, sensibilizzare ed orientare la comunità verso un’edilizia ecosostenibile. Il GBC Italia, grazie ad una struttura molto simile al GBC Americano e agli ottimi rapporti con lo stesso, svolge le stesse funzioni su scala nazionale, conta oggi più di 400 associati e ha presentato il protocollo LEED Italia il 14 aprile 2010. LEED è un sistema volontario e basato sul consenso, per la progettazione, costruzione e gestione di edifici sostenibili ad alte prestazioni e che si sta sviluppando sempre più a livello internazionale; può essere utilizzato su ogni tipologia di edificio e promuove un sistema di progettazione integrata che riguarda l’intero edificio. LEED è un sistema flessibile e articolato che prevede formulazioni differenziate per le nuove costruzioni (Building Design & Construction – Schools – Core & Shell), edifici esistenti (EBOM, Existing Buildings), piccole abitazioni (LEED for Homes), pur mantenendo una impostazione di fondo coerente tra i vari ambiti. GBC Italia, grazie alla collaborazione attiva e volontaria dei soci, ha lavorato per due anni all’adattamento dello standard LEED per il contesto italiano; dal 14 aprile 2010 sarà possibile utilizzare LEED Italia 2009 : Nuove Costruzioni / Ristrutturazioni. Perché LEED? - Stabilire uno standard comune di misurazione dei “green buildings”, definiti come edifici a basso impatto ambientale; - Fornire e promuovere un sistema integrato di progettazione che riguarda l’intero edificio; - Dare riconoscimento a chi realizza prestazioni virtuose nel campo delle costruzioni; - Stimolare la competizione sul tema della prestazione ambientale; - Stabilire un valore di mercato con la creazione di un marchio riconosciuto a livello mondiale; - Aiutare i committenti e accrescere in loro la consapevolezza dell’importanza di costruire green; - Trasformare il mercato e il settore delle costruzioni. Il sistema si basa sull’attribuzione di crediti per ciascuno dei requisiti caratterizzanti la sostenibilità dell’edificio. Dalla somma dei crediti deriva il livello di certificazione ottenuto. I criteri sono raggruppati in sei categorie, che prevedono prerequisiti prescrittivi obbligatori e un numero di performance ambientali, che assieme definiscono il punteggio finale dell’edificio: Sotenibilità del Sito (2 prerequisiti – 10 crediti ): gli edifici certificati LEED devono avere il minor impatto possibile sul territorio e sull’area di cantiere Gestione dell’Acque (1 Prerequisito – 4 Crediti): la presenza di sistemi per il recupero dell’acqua piovana o di rubinetti con regolatori di flusso deve garantire la massima efficienza nel consumo di acqua. Energia ed Atmosfera (3 Prerequisiti, 6 Crediti): Utilizzando al meglio l’energia da fonti rinnovabili e locali, è possibile ridurre in misura significativa la bolletta energetica degli edifici. Negli Stati Uniti, ogni anno le costruzioni LEED immettono nell’atmosfera 350 tonnellate metriche di anidride carbonica in meno, rispetto ad altri edifici, garantendo un risparmio di elettricità pari al 32% circa. Materiali e Risorse (1 Prerequisito, 7 Crediti): Ottengono un punteggio superiore, nel sistema di valutazione LEED, gli edifici costruiti con l’impiego di materiali naturali, rinnovabili e locali, come il legno. Qualità ambientale Interna (3 Prerequisiti, 10 Crediti): Gli spazi interni dell’edificio devono essere progettati in maniera tale da consentire una sostanziale parità del bilancio energetico e favorire il massimo confort abitativo per l’utente finale. Innovazione nella Progettazione + Priorità Regionale (3 Crediti + 1 Credito e 4 Crediti): L’impiego di tecnologie costruttive migliorative rispetto alle best practice è un elemento di valore aggiunto, ai fini della certificazione LEED. Sommando i crediti conseguiti all’interno di ciascuna delle sei categorie, si ottiene uno specifico livello di certificazione, che attesta la prestazione raggiunta dall’edificio in termini di sostenibilità ambientale. La certificazione LEED si articola in: - BASE (40 - 49 punti) - ARGENTO (50 - 59 punti) - ORO (60-79 punti) - PLATINO (80 o più punti) Lavorando sull’intero processo, dalla progettazione fino alla costruzione vera e propria, LEED richiede un approccio olistico pena il non raggiungimento degli obiettivi preposti. Solo con un ampio sforzo di progettazione integrata e di coordinamento è possibile creare un edificio armonioso in tutte le aree sopra menzionate. 169 LEED Italia e GBC Italia presentano diversi vantaggi, sia per la singola impresa costruttrice o produttrice di artefatti per l'edilizia sostenibile, che per l'intero tessuto imprenditoriale locale: per prima cosa, LEED favorisce la nascita di nuove competenze e professionalità legate a materiali, metodologie e servizi che realizzino la conformità con lo standard; in secondo luogo, LEED rende possibile la strutturazione in Trentino di una filiera certificata "a chilometro zero" per la realizzazione di edifici sostenibili – il "quadro tecnologico" descritto da LEED funge da vero e proprio framework che determini i presupposti di comunicazioni e collaborazioni tra imprese; in terzo luogo, l'adesione a GBC Italia colloca l'operatore economico (e/o l'ente di ricerca) nella "sala dei bottoni" che definisce gli elementi base del "quadro tecnologico" condiviso; ciò permette ai soci di essere parte del processo innovativo, ed in ultima analisi di coloro i quali "fanno" il mercato. La certificazione LEED fornisce al mercato un approccio condiviso, su cui basare le scelte ed uno standard misurabile per ogni aspetto trattato; "un sistema di misura della performance degli artefatti, [che] aumenta la probabilità di innovazione, perché fornisce agli agenti uno schema condiviso di valutazione delle diverse proposte tecnologiche" (Paolo Gurisatti – consulente Habitech, membro del CdA – tratto da "Innovazione e sostenibilità " di Patrizia Messina). Un esempio di filiera nata intorno al sistema LEED Italia è la filiera trentina degli edifici in legno: contribuendo all'elaborazione di una nuova organizzazione del processo produttivo che semplifica notevolmente il cantiere – dando grande peso alla progettazione e predisposizione di componenti standard – Habitech ha dato vita, insieme ad un gruppo di tecnici delle imprese trentine più attive nel settore delle produzioni in legno per l'edilizia, ad un protocollo tecnico ed un sistema certificativo (Disciplinare di filiera) che permettono di qualificare e distinguere, valorizzandoli, gli edifici progettati e prodotti dai soci del Distretto. Il progetto di valorizzazione è chiamato "Progetto Casa Legno Trentino"; ha acquisito straordinaria visibilità grazie al contributo di Habitech alla ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo: provengono dalle imprese del Distretto gli alloggi e gli altri edifici in legno costruiti ad Onna e a Villa Sant'Angelo, certificati secondo lo standard LEED. Habitech ha attuato inoltre diverse misure per favorire la diffusione dello standard in Italia, effettuando ricognizioni volte a identificare prodotti capaci di contribuire al raggiungimento della certificazione (100 prodotti individuati a valle di oltre 200 interviste), veicolando opportunità di 170 business e di networking ai propri soci, organizzando eventi ad-hoc (60) o promuovendo l'attività del Distretto e dei soci nell'ambito di oltre 200 tra eventi, conferenze e workshop. L'influenza di Habitech è stata determinante per la diffusione dello standard, sia in termini di notorietà, che di mercato: 45 progetti LEED registrati in Italia, di cui 21 certificati con consulenza da parte di Habitech; di questi ben 14 sono stati presentati in Trentino, 6 da soci del Consorzio; dal 2007 ad oggi si è passati da 3 LEED AP in Italia a 105, di cui 30 in Trentino (10 nello staff del Distretto); prima scuola LEED certificata in Europa realizzata da un socio Habitech; 9.4.1 Progetti Habitech Habitech persegue gli obiettivi strategici sin qui descritti attuando iniziative progettuali che coinvolgono di volta in volta gruppi di imprese differenti, anche non appartenenti al Distretto. Ciascun progetto è riconducibile ad uno degli ambiti industriali "verticali" individuati dal Distretto. Casa Legno Trentino: progetto volto alla certificazione, valorizzazione e promozione della Casa Legno Trentino. Al suo interno è stato sviluppato il Disciplinare di filiera che funge da punto di convergenza e di aggregazione con gli altri sistemi per l'edilizia in legno, e che permette di valorizzare adeguatamente sui mercati i prodotti di alta qualità generati dalla filiera e certificati attraverso LEED. Industria 2015 – Nuove tecnologie per il Made In Italy, Architettura della performance: Il progetto, tra i cento ammessi ai finanziamenti, è stato presentato da una cordata comprendente, oltre ad Habitech, 10 aziende, molte delle quali socie del Distretto. Il progetto riguarda la realizzazione all'estero di un prototipo di sopraelevazione su edifici esistenti, utilizzando una tecnica costruttiva modulare basata su pannelli di legno strutturali X-Lam (Cross-Lam). L'obiettivo del progetto, che include – oltre al prototipo – lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e gestionali necessarie – è la creazione di un punto di promozione all'estero in cui le aziende appartenenti alla filiera dell'edilizia in legno possano esporre prototipi e vendere soluzioni complete. Il progetto coniuga in modo esplicito il Design Made in Italy, le competenze "artigianali" e le prestazioni certificate dell'edilizia LEED. 171 Industria 2015 – Azioni connesse: Habitech ha seguito, per conto della PAT, un articolato progetto (composto da 8 sotto-azioni) volto a consolidare la posizione del Trentino come catalizzatore di eccellenza sulla sostenibilità ambientale. Le sotto-azioni che compongono il progetto: 1. Centro delle regioni italiane sull'edilizia sostenibile; 2. Piattaforma digitale ed interattiva per l'edilizia sostenibile; 3. sistema informativo Edificio-Ambiente; 4. Database dei prodotti per l'edilizia sostenibile; 5. Definizione di standard per gli EPC (Energy Performance Contract); 6. Interventi di indagine, modellazione e ricerca della riqualificazione energetica degli edifici; 7. Realizzazione prototipo pilota di scuola sostenibile; 8. Energy Lab Trento, fondazione senza scopo di lucro con l’obiettivo di sviluppare programmi di approfondimento, divulgazione e sensibilizzazione sulle tematiche energetiche, ambientali e del territorio. Baite: il progetto prevede interventi di restauro conservativo del patrimonio edile rurale, volti alla creazione di un'offerta ricettiva innovativa a sostegno di forme di turismo ecosostenbile. Il finanziamento da 22 milioni di euro erogato dalla PAT permetterà ad Habitech di selezionare – in base a criteri architettonici e qualitativi – e restaurare un centinaio di edifici rurali, rendendoli autonomi sotto il profilo energetico, lasciandone intatto il contesto e rispettandone l'integrazione con la natura. Contratti EPC per Servizi di Efficienza Energetica: studio e messa a punto di strumenti giuridici, tecnici e finanziari per la creazione di un Sistema di Mercato legato all'offerta di servizi di efficienza energetica con clausole di assunzione del rischio e garanzia della prestazione energetica. Il contratto EPC (Energy Performance Contract) è una scaffold potenzialmente in grado di creare un segmento industriale innovativo legato alla certificazione delle performance energetiche, similmente a LEED per la certificazione della sostenibilità dell'edilizia ad alte prestazioni. Crisalide: sperimentazione di sistemi di micro-generazione basati su pile a combustibile alimentate a gpl, metano o biometano volta alla creazione di una filiera trentina per la produzione di sistemi di riscaldamento e co-generazione innovativi. Il progetto, della durata di 3 anni, prevede l'analisi di un centinaio di soluzioni e lo sviluppo di un nuovo prodotto per il segmento residenziale competitivo a livello mondiale (sia per costi che per prestazioni). Aderiscono all'iniziativa: SOFCpower, Dolomiti Energia, Habitech, Consorzio Prometeo, Moratelli Impiantistica, Università di Trento, Fondazione Edmund Mach, ACSM. 172 EcoHEat4EU: Il progetto Ecoheat4EU è stato ideato con lo scopo di sostenere la creazione di un equilibrato ed efficace meccanismo legislativo per favorire lo sviluppo dei moderni sistemi di teleriscaldamento/raffrescamento in tutta Europa, nei quattordici paesi interessati dal progetto. Habitech è il coordinatore nazionale del progetto. I partner italiani che aderiscono al progetto sono: il Ministero dello Sviluppo Economico, l'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas,la Provincia Autonoma di Trento, la Regione Piemonte, la Regione Lombardia, il GruppoHera HoldingEnergia Risorse Ambiente, Bioenergia Fiemme S.p.A, Alto Garda Servizi S.p.a., il Consorzio Biomassa Alto Adige, Dolomiti Energia S.p.A, ACSM PrimieroS.p.A, ASM Bressanone S.p.A, STET S.p.A, InnovHub - Azienda speciale della Camera di Commercio di Milano per l'Innovazione, ENEA Centro Ricerche Casaccia, il Politecnico di Milano, la Comunità Montana della Carnia, la Comunità Montana di Camerino e la Comunità Montana del Mugello. Benimpact: progetto di ricerca co-finanziato FESR volto allo sviluppo di metodologie per il supporto ad architetti ed ingegneri nella progettazione di edifici eco-sostenibili, in particolar modo nell'ottimizazzione del trade-off costi-prestazioni ambientali. Capofila del progetto è EnginSoft; partecipano: Habitech, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell'Università di Trento, l'Istituto Trentino per l'Edilizia abitativa. Oil free zone: progetto pilota per la creazione di un'area indipendente dai derivati del petrolio, progressivamente sostituiti da energie rinnovabili. Perseguito da Habitech e ACSM S.p.A, è attualmente in corso nella zona a vocazione turistica del Primiero e Vanoi in Trentino. 9.5 Sintesi degli elementi innovativi Habitech è un distretto tecnologico nato per favorire l'innovazione e lo svilupo industriale nel territorio Trentino intorno ai temi della sostenibilità ambientale. Pur facendo parte di una tradizione ormai consolidata in Italia, e derivando da un modello principalmente basato sui trasferimenti dallo Stato Centrale – come quello distrettuale – il Distretto Tecnologico Trentino Energia e Ambiente si discosta sensibilmente dai propri omologhi. Al di là dell'unicità nel panorama dei distretti, vi sono elementi metodologici che concorrono a caratterizzarne l'esperienza come altamente innovativa. 173 La governance multilivello è un elemento differenziante decisivo: introducendo figure intermedie in veste di facilitatori dei contatti tra imprenditori, Habitech assicura quella coesione tra i soci che è alla base del corretto funzionamento dei distretti, e del successo delle iniziative progettuali portate avanti; la figura dell'agente di sviluppo "rompe" nettamente con la tradizione, introducendo un elemento di supporto, autonomo ed intermedio, con capacità progettuali e manageriali più affini al mondo del Venture Capital che a quello dell'iniziativa pubblica. La strategia basata sulla produzione di beni collettivi per la competitività appare l'intuizione più feconda in seno ad Habitech: costruire scaffold, in opposizione a distribuire finanziamenti a fondo perduto, consente l'emersione di relazioni generative tra imprese altrimenti in ombra. La filiera della Casa in Legno rappresenta un caso emblematico in tal senso: la strutturazione di un framework tecnologico, linguistico e normativo permette a produttori di artefatti diversi di individuare iniziative progettuali strategiche per tutti, eventualmente gettando le basi per consolidare quei rapporti potenzialmente alla base di collaborazioni sistematiche. La "verticalizzazione" in ambiti industriali ben definiti ben si sposa con la strategia basata sullo scaffolding: la circoscrizione degli ambiti produttivi favorisce la creazione di identità produttive forti su cui far leva al momento della promozione e valorizzazione, al fine di migliorare le performance su mercati. 174 Capitolo X Il caso Welfare Italia Servizi 10.1 Profilo sintetico dell’impresa Welfare Italia Servizi S.r.l. è un’impresa privata in fase di start-up (costituita nel febbraio 2009), soggetta a direzione e controllo da parte di CGM (Consorzio nazionale per la cooperazione sociale Gino Mattarelli), volta all'implementazione di servizi sanitari di qualità a un costo accessibile (30% inferiore rispetto al costo dei servizi sanitari privati) tramite il modello di sviluppo dell'affiliazione commerciale su territorio nazionale. Ad oggi sono aperti 6 centri, da piano industriale l’obiettivo entro il 2015 è l'apertura di 130 centri tra ambulatori odontoiatrici e poliambulatori specialistici, con previsione di ricavi complessivi dei centri di oltre 140 milioni di euro nel 2015 (base case). Questo in ottica di collaborazione e complementarietà rispetto al servizio pubblico e privato, dai quali pure intende distinguersi, nascendo dalle criticità di risposta che questi presentano rispetto ai bisogni delle persone, delle famiglie, in particolare di reddito medio-basso e delle comunità - per statuto WIS reinveste l’80% degli utili netti da bilancio sul territorio. Il nuovo modello di business (dettagliato ai paragrafi 4 e 5) che l'impresa incarna - impresa privata con finalità di interesse generale, che coniuga progetti sociali con una logica di mercato - si basa essenzialmente sulla valorizzazione delle risorse sociali, dunque relazionali, di contesto. Tale modello, che ambisce a sfociare nella costituzione di una public company, fa del benessere pubblico, inteso nell’accezione più ampia, il proprio core business. 10.2 La storia La storia di WIS si innesta su quella di CGM, che ne ha direzione e controllo. CGM è nata nel 1987 come struttura imprenditoriale di portata nazionale che offre alle persone e alle famiglie servizi diversificati, anche grazie al trasferimento di saperi e competenze tra territori. CGM, che tra il 1998 al 2008 ha triplicato il numero delle imprese aderenti – la maggior parte dei consorzi e delle imprese sociali ha una dimensione provinciale talvolta metropolitana, con una diffusione capillare sul territorio – è ad oggi la più grande rete italiana di imprese sociali (ne conta 1200), con 79 consorzi, 40.000 operatori, 700.000 famiglie fruitrici dei servizi, 5000 unità operative e progetti in 175 35 paesi del mondo. Complessivamente realizza e distribuisce servizi per un valore di oltre un miliardo di euro. Nel 2005 nasce il gruppo CGM, sotto la Presidenza di Johnny Dotti che è attuale presidente di WIS. Esso comprende, oltre alla capogruppo CGM e ad una finanziaria interna al gruppo (CGM Finance), i seguenti marchi: Luoghi per Crescere (agenzia per l’educazione), Accordi (consorzio per la creazione di pratiche di tutela dei territori e dell’ambiente243, Comunità Solidali (sviluppo della rete e dell’eccellenza nella salute mentale)244, Consorzio Mestieri (intermediario al lavoro che affianca il servizio pubblico e privato, con particolare attenzione all’inserimento di un’utenza debole). Negli stessi anni inizia l’incubazione di Welfare Italia Servizi srl, costituita poi il 24 febbraio 2009: “Nel piano di impresa Cgm 2004-2006, si vede l’esigenza di innovare che è poi sfociata nella costituzione di WIS, sulla base di quattro esigenze: smarcarsi dalla relazione di dipendenza dalla pubblica amministrazione, agganciare elementi industriali senza perdere l’artigianato che è la combinazione di piccolo e rete – allora si è dovuto ripensare come si tiene al centro il territorio quando si cambia modello -, creare nuove forme di accessibilità nel welfare e accompagnare anche le persone normali, nel senso che non sono perennemente fuori ciclo economico e sociale come invece gli utenti del welfare classico” (Johnny Dotti, Presidente WIS). Queste esigenze vengono compendiate “nell’idea di creazione di una società in un campo off-limits per la cooperazione: la lampadina si accende nel 2007, le ipotesi erano due: l’abitare e la sanità. Il primo era troppo costoso, allora sono nati quattro piloti, nei territori che parevano più ricettivi, poi lo stacco è arrivato con il coinvolgimento delle banche (…) Cgm aveva avuto rapporti con sia con Intesa che con Unicredit, allora sono andato a proporre l’idea prima a Corrado Passera, che ha convinto Totaro [Direttore Finance McKinsey] a metterla alla prova facendo creare un business plan che ha richiesto 6 mesi di lavoro245. Io non sono andato a chiedere beneficienza, questo è molto importante, ma a proporre un’idea, e lo stesso ho fatto con Banco Popolare” (Johnny Dotti, Presidente WIS). L’8 giugno 2009 entrano in WIS i Soci finanziatori Intesa, attraverso il ramo merchant bank, e Banco Popolare, ad affiancare con un aumento di capitale l’azionista di maggioranza, CGM, che rimarrà sempre tale grazie al meccanismo del sovrapprezzo - per il quale le banche versano principalmente sul fondo comune, mentre il capitale versato da CGM è elevato ad un multiplo. In seguito è stato costituito il primo nucleo operativo di WIS che ha dato vita alla sede 243 Le aree di intervento prioritarie sono: energie alternative, turismo sociale ed educazione ambientale, piattaforme ecologiche, rifiuti e riciclaggio, manutenzione del verde (appalti pubblici). 244 in collaborazione con università con 30 consorzi operanti nella salute mentale volta all’integrazione 245 Il servizio di McKinsey è stato effettuato pro-bono, così come pro-bono sono state elargite a WIS le prestazioni professionali, in particolare legali e commerciali, da parte di altri gruppi e soggetti che hanno concorso allo start-up. 176 milanese (20 persone le cui caratteristiche sono dettagliate ai paragrafi seguenti) e sono stati lanciati i primi centri WI in franchising. 10.3 I numeri di WIS WIS ha approvato di recente il proprio primo bilancio di esercizio, in linea con le previsioni. Occorre considerare che sei centri in quattro sedi sono stati ad oggi aperti (Acireale: studio odontoiatrico; Canegrate, Milano: poliambulatorio e centro odontoiatrico; Pontedera: poliambulatorio e studio odontoiatrico; San Pellegrino, Bergamo: poliambuilatorio), e che per la fine del 2010 è prevista l’apertura di altri 5 centri (Biella, Sesto Fiorentino: solo studio odontoiatrico, Milano) e sono state già deliberate affiliazioni per oltre 25 ulteriori centri che andranno in start-up nel primo semestre 2011. Altri 50 soggetti circa sono in fase di trattativa per pervenire a possibili affiliazioni, con una copertura pressoché totale del territorio nazionale. Il business plan contiene, oltre all’ipotesi ordinaria (base case), una sotto standard (worst case) ed una ottimale (best case): entro il 2015 saranno aperti 135 centri (tra poliambulatori e odontoiatria, al ritmo di 25 all’anno) nel base case, 250 nel best case e 95 nel worst case. Nell’ipotesi ordinaria di apertura di circa 130 centri in 5 anni - che entrino a regime in 3 anni con prezzi medi inferiori del 30% a quelli di mercato - i servizi di sanità leggera genereranno, in termini di ricavi complessivi dei centri, in milioni di euro: € 156.366.251 (best case), o € 140.410.222 (base case) o € 98.925.491 (worst case). Da business plan, la tabella seguente mostra le previsioni del conto economico di WIS: Tabella 1 - Proiezioni conto economico di WIS Fonte: documentazione WIS 2010, business plan 177 Per ciò che concerne le proiezioni dello stato patrimoniale di WIS, esse sono visibili nella tabella seguente: Tabella 2 - Stato patrimoniale di WIS Fonte: documentazione WIS 2010, business plan. La società è appena stata ricapitalizzata, come previsto al termine del primo anno di start-up, da parte dei soci presenti nella base sociale (CGM, Intesa, Banco Popolare), e si stanno studiando forme di ricorso a finanza esterna (fondi etici di private equity vocati alla funzione sociale e banche locali) al fine di mettere a disposizione degli affiliati ulteriori risorse per la capitalizzazione ed il credito, senza che ciò sia una scelta obbligata per la sopravvivenza dell’azienda. Il personale operativo in sede milanese al momento conta 20 unità, di cui 13 uomini e 7 donne246, di un’età media di 39,5 anni (25-30: 5 unità; 30-40: 8 unità, 40-50: 7 unità) e di cui i laureati sono l’80%, i diplomati il restante 20%. Sulle diverse competenze e background del personale rimandiamo al paragrafo 5. 10.4 Mission, vision e strategia Welfare Italia Servizi S.r.l. è una impresa privata, controllata dal gruppo CGM, che si configura come network di imprese operanti in franchising, la cui mission dichiarata è quella di “Essere accanto alle famiglie, migliorando continuamente i servizi in essere e individuando nuove nicchie in cui creare servizi di qualità a tariffe accessibili, coniugando solidarietà e progetti sociali con una 246 Le proporzioni, da 70-30, salgono a circa 50-50 se si considera il tempo lavoro reale anzichè le teste. Le donne, infatti, sono quasi tutte a tempo pieno, mentre gli uomini usufruiscono più spesso di forme di part-time. Riguardo il top management, il genere femminile è stato considerato requisito non derogabile per il recruitment del DG, essendo l’AD in carica di genere maschile così come il resto del management. 178 logica di mercato e capacità competitiva. WIS mira a costruire alleanze forti e stabili con partner del settore pubblico e privato per dare risposte concrete ai bisogni delle persone, tramite la ricerca e lo sviluppo sul territorio di un’offerta completa di servizi a marchio di qualità a tariffe accessibili nell’area sanitaria” (documentazione WIS 2010). Va premesso che il modello di offerta prevede un nucleo stabile di prestazioni, specialità richieste nei centri odontoiatrici247 e polispecialistici248, spesso compresenti all’interno di un’unica struttura di servizio, a cui si aggiungono i servizi per la riabilitazione (ortopedia, fisiatria, fisioterapia e massofisioterapia) e per la psicoterapia (psichiatria, psicoterapia, counselling familiare). Le due linee di intervento sono pensate come un’entry level, poiché già nel medio periodo, se lo start-up avverrà secondo i programmi, WIS svilupperà con la medesima formula di mercato servizi nei campi della childcare, del home care, dell’housing, dei servizi per il tempo libero. Inoltre, al nucleo stabile di prestazioni sanitarie ciascun Centro potrà innestare ulteriori specialità mediche valutate in base alla domanda locale, ma sempre sulla base degli elementi distintivi della proposta WIS che sono: qualità, prezzo e capitale relazionale. Per ciò che concerne la qualità249, essa è la prima leva di WIS per distinguersi dai competitors lowcost che si stanno moltiplicando sul territorio nazionale, e da un servizio pubblico che presenta bassa qualità dei processi (ambiente poco curato, lunghe liste di attesa, scarsa individualizzazione dell’offerta etc.). Rispetto al privato, orari flessibili e apertura prolungata dei centri WIS si combinano con il secondo elemento distintivo, ovvero un prezzo del 30% inferiore alle tariffe del privato; WIS si rivolge principalmente a un’utenza composta da famiglie di reddito medio-basso. WIS ha una visione olistica, personalista e relazionale: “La sua cultura è fondata sulla centralità della persona e delle sue relazioni” (documentazione WIS 2010) ed essa si declina innanzitutto rispetto ai clienti. Nel capitale relazionale rientrano le reti da cui WIS scaturisce, con il radicamento territoriale che le contraddistingue250, la concezione del rapporto medico-paziente improntata su una 247 Negli studi odontoiatrici viene erogata l’intera gamma delle prestazioni dentali: dalla diagnostica per immagini (radiografie endorali, ortopantomografie, ecc.), alla conservativa, fino alla protesica e alla chirurgia orale, passando per pedodonzia e ortodonzia. 248 Cardiologia, Dermatologia, Dietologia, Ecografia , Geriatria, Oculistica, Ostetricia-ginecologia, Urologia. 249 Le modalità di rilevazione della qualità approntate da WIS, tra cui questionari di équipe satisfaction (tra cui rientrano parametri quali la disponibilità e l’essere collaborativi dei colleghi), oltre che di custode satisfaction, testimoniano di un’attenzione volontaria al tema, laddove i vertici di WIS ritengono le certificazioni esistenti “non del tutto adeguate a rendere conto dell’idea e delle pratiche di qualità anche relazionale che WIS intende sviluppare” (Documentazione WIS 2010). 250 “Facendosi promotore e garante di Welfare Italia, Cgm vi fa confluire le risorse, i metodi, le connessioni costruite in vent’anni come impresa sociale a rete diffusa e radicata su tutto il territorio nazionale, capace di offrire soluzioni innovative rispettando i valori fondamentali di fiducia, condivisione e cura (…)WIS ha con la società civile un rapporto strutturale e diretto. Proprio in virtù di tale appartenenza tuttavia WIS tende a non gestire in maniera diretta i rapporti non strettamente funzionali con altre organizzazioni della società civile, rinviando tale competenza alla controllante 179 visione del care che combina professionalità, calore e coinvolgimento, e la messa in pratica del valore della partecipazione estesa, che prevede il coinvolgimento dei clienti e delle loro comunità nella creazione di valore attraverso: modalità di rilevazione della qualità fortemente interattive ed aperte al contributo dei clienti; creazione, nei centri Welfare Italia, di occasioni più ampie di relazione, socialità e confronto; uso intensivo delle tecnologie informatiche 2.0 e delle possibilità del social networking; coinvolgimento dei cittadini nella vita sociale e nella governance di alcuni centri - sia dando loro accesso alla base associativa, sia promuovendo la costituzione di associazioni comunitarie fra cittadini/clienti poi cooptate nel CdA del soggetto gestore locale -; promozione di forme orizzontali di mutualità tra clienti, che, raggiunta una massa critica adeguata, consentano la costituzione di forme di copertura dai bisogni essenziali della famiglia mediante canoni assicurativi piuttosto che mediante il pagamento di singole prestazioni. “La vision è quella di costituire la prima vera public company italiana, l’idea fondamentale è quella di centralità e partecipazione del cliente e di creazione di “luoghi” densi di senso e significati relazionali dentro ed intorno ai centri WI” (Pezzana). In questo senso, la visione di WIS è “politica”251. WIS si propone di riconfigurare il valore prodotto dai servizi sanitari bypassando l’intermediazione del quasi-mercato sviluppatosi nei circuiti tradizionali del welfare industriale: “Welfare Italia intende rappresentare un punto di riferimento sicuro per i cittadini e un autorevole partner per gli enti locali, con l’obiettivo di realizzare assieme un modello avanzato di welfare che coniughi solidarietà e capacità competitiva, avvicinando ancora di più la distanza tra chi produce e chi riceve, creando inclusione e valorizzando il capitale sociale” (www.welfareitalia.com). WIS declina di un modello di sanità che riempie il vuoto tra medico di base e ospedali anonimi. Sulle possibili partnership tra WIS e settori pubblico e privato, rimandiamo al paragrafo 5.1. Il rapporto massimo tra la remunerazione più bassa e la remunerazione più alta in WIS è di 5:1, e viene escluso l’ultizzo della remunerazione via formula stock options, anche per il futuro. Rispetto alla missione aziendale e ai suoi valori, la rilevante copertura mediatica di WIS252, che pure rappresenta un vantaggio competitivo evidente, rischia di rappresentare un boomerang, poiché CGM o alla società Welfare Italia impresa sociale srl, che CGM ha costituito per gestire l’intero Progetto Welfare e che controlla al 100% (…) La presenza attiva del Presidente nazionale di CGM nel CdA di WIS è l’elemento di garanzia finale che il sistema si è dato per assicurare coerenza ed efficacia a questi processi.” (Documentazione WIS 2010). 251 Non a caso, nei documenti forniti da WIS, il cliente compare più spesso come “cittadino” e “utente”: destinatario di azioni di sensibilizzazione e comunicazioni per la costruzione corresponsabile di un sistema di welfare sostenibile e partecipato, destinatario di azioni di prevenzione ed educazione sanitaria, utente web del sito istituzionale di WIS e delle sue funzionalità di social networking, fruitore degli eventi culturali e di animazione sociale promossi o sostenuti dai centri WI, valutatore dei servizi WIS, membro attivo dei comitati e delle associazioni locali legate a WIS ed ai suoi affiliati. 252 WIS ha ottenuto coperture rilevanti anche dai media mainstreaming con sforzi e costi estremamente contenuti. Essa fa leva su tre opportunità principali - i legami consolidati con i media che sussistono presso le reti dei soci di WIS e che sono stati messi a disposizione dell’azienda, l’innovatività e la relativa semplicità della proposta e la rilevanza che viene 180 WIS vuole attenzione prevalente alla sostanza ed alla relazionalità diretta. Il rapporto di WIS con i media deriva da una duplice esigenza, di marketing, legata alla necessità di attrarre e fidelizzare i clienti e articolata a livello locale, e di comunicazione istituzionale, legata alla necessità di posizionare il sistema ed il suo brand sul mercato e nella società, articolata a livello nazionale253. La forma più efficace di reputazione per il sistema sarà data dal “passaparola” tra la clientela, che si intende amplificare attraverso l’utilizzo di strumenti web 2.0 e tecniche mirate di Customer Relationship Management. WIS ha optato di non aderire ad iniziative filantropiche non dirette al raggiungimento degli scopi sociali, non ritenendo di doversi accreditare mediante pratiche di beneficenza o forme marketing oriented di responsabilità sociale di impresa. Per riassumere i tratti innovativi del modello di business, l’innovazione riguarda principalmente: la governance (sistema del sovrapprezzo e distribuzione di parte degli utili al territorio), il franchising (in particolare, il tipo di contratti), la convergenza di professioni sulla missione di cura e la generazione di un’équipe medica di territorio che non costa alla collettività – di più, lo statuto prevede il reinvestimento sul territorio dell’80% degli utili netti da bilancio254. 10.5 Organizzazione interna e cultura d’impresa La politica aziendale di recruiting è stata basata sull’obbiettivo di pervenire ad un mix sostanziale di competenze ed esperienze nel personale tale da consentire una sintesi delle diverse “anime” dell’azienda in una formula gestionale efficace ed efficiente. Il personale proviene da settori quali il bancario, il marketing multinazionale e locale, il cooperativo, il socioeconomico e sociopolitico, l’educativo; tale diversità è considerata fondamentale e arricchente da WIS, quand’anche fonte di conflittualità tra diverse logiche manageriali255, in particolare, anche riguardo ai principali stakeholder, tra settore imprenditoriale-bancario e sociale. Il personale è di 20 unità con attribuita dal pubblico al tema della salute. Per fare solo un esempio, la dizione “sanità leggera” come etichetta descrittiva del tipo di servizi che WIS intende sviluppare (sanità ambulatoriale privata a basso livello di complessità), che è stata coniata e per la prima volta utilizzata da WIS al momento di presentare al pubblico il proprio business plan poco più di un anno fa, conta oggi (esclusi i siti istituzionali di WIS e CGM), più di cinquecento ricorrenze su Google, ed è stata utilizzata come categoria descrittiva da media nazionali e in documenti istituzionali di livello regionale e nazionale, anche non riferiti a Welfare Italia. 253 Il modello incontra ampi consensi, secondo la ricerca di mercato di People su un campione di oltre 1000 individui, giacchè il 77% giudica distintivo il modello di business e il 79% interessante (da abbastanza a molto). 254 Gli utili netti sono accantonati in un’apposita riserva che deve essere utilizzata per il finanziamento dell’avvio e dello sviluppo di nuove iniziative, nonché per il mantenimento e lo sviluppo dei progetti rientranti nell’oggetto sociale. 255 Le diverse matrici culturali all’opera - tra le quali la cultura dell’impresa sociale, la cultura politica del lavoro sociale come legame pubblico e collaborazione diretta alla funzione pubblica delle istituzioni, la cultura (organizzativa ma non solo) aziendale “classica”, la cultura medica, la cultura personalista - per quanto in tensione e a volte in contraddizione, non paiono determinare insiemi sottoculturali disfunzionali (da interviste a due membri del personale WIS in sede milanese). 181 caratteristiche (dettagliate al paragrafo 3) di: età media contenuta sotto i 40 anni, elevata scolarizzazione, background personale composito, discreto equilibrio di genere. La selezione del management che ha progettato e diretto l’inizio dello start-up, in collaborazione con la consulenza a titolo gratuito di McKinsey, è stata svolta in-house, entro i network attivi nella società o a questi vicini (CGM, Banca Intesa, Banco Popolare, McKinsey, Università Cattolica del Sacro Cuore, Caritas). Per richiesta di CGM essa si è orientata su persone giovani e motivate256, provenienti da precedenti esperienze professionali sia nel campo del lavoro sociale che nel campo dell’impresa profit e dei servizi finanziari. La selezione successiva e progressiva del personale operativo, ha combinato cooptazione di persone esperte nel settore, e già precedentemente operanti in questo ambito, head hunting professionale per i ruoli di supporto tecnico, segretariale e organizzativo alla direzione257 e stage in collaborazione con le Università dell’Area Milanese (in particolare Cattolica e Bocconi), quasi tutti trasformati in seguito in assunzioni con contratti di apprendistato professionale. In parallelo è stata condotta da WIS, come modalità di assistenza ai propri affiliati, la selezione delle risorse umane cui gli imprenditori affiliati intendono affidare ruoli di management nei centri, utilizzando una modalità di valutazione basata sul sistema Persolog – DISC. Dal 2011 il sistema retributivo adottato è destinato ad essere integrato con sistemi incentivanti costruiti per obiettivi, e prevede un investimento da parte di WIS anche in forme remunerative indirette come il sostegno alla formazione personale di nuove o più solide competenze e la valorizzazione del capitale umano e sociale di tutto il personale. Dal secondo semestre 2010 è attivo l’affidamento ad un consulente esterno di formazione psicosociologica dell’incarico di stendere e sperimentare, con il management, un Piano per lo “sviluppo di pratiche congruenti di sviluppo personale e professionale in Welfare Italia”, che riguarda anche la formazione e la supervisione nei centri affiliati - sulla formazione del personale dei centri, rimandiamo al paragrafo 5.1. “Il clima aziendale, che nel complesso è buono e sostenuto da un miglioramento, per molti, nel work-life balance, in questo momento è sotto stress, il rischio nello start-up è che la leva motivazionale ceda ai livelli operativi più bassi” (Direttore area sanità leggera). Dall’ultimo quarto 2010 entrerà in servizio un Direttore Generale (selezionato con processo esterno di head hunting condotto da azienda leader del settore) in posizione apicale rispetto all’organigramma che segue: 256 “L’offerta di un livello retributivo sotto gli standard dirigenziali medi, la condivisione sostanziale del rischio di fallimento e dell’incertezza insiti in uno start-up sono compensati però dall’offerta di un lavoro creativo, innovativo, dinamico e con buone possibilità di crescita interna e di arricchimento di competenze” (Paolo Pezzana, Direttore area sanità leggera). Due dei primi manager selezionati hanno lasciato l’impresa prima dell’avvio dello start up. 257 Tali attività sono state svolte sia mediante incarichi a società esterna sia mediante colloqui di selezione interni assistiti da consulenti tecnici esterni (in particolare KPMG, l’advisor IT di WIS). 182 Figura 1 - Organigramma WIS Collegio Sindacale CDA Vice Presidente Presidente /AD Segreteria Societaria Comitato Qualità Controllo di Gestione Direttore Generale Segreteria e Personale Audit Amministraz. Legale E Finanza Direzione Operativa Direzione Marketing Direzione Sviluppo Fonte: Documentazione WIS, business plan. Il Direttore Generale solleverà l’AD da alcuni compiti tecnici di programmazione e controllo di gestione e opererà come figura di coordinamento e garanzia dell’operato dei Direttori d’Area. Nell’attività di pianificazione e controllo, l’AD ed il CdA hanno una responsabilità generale, il DG una responsabilità tecnica complessiva, i Direttori di Area una responsabilità di budget per gli ambiti di competenza - le attività delle tre direzioni relative ai franchisee sono dettagliate al paragrafo 5.1. La finanza è materia sulla quale il management ha funzioni consultive, mentre il DG, l’AD, il Vicepresidente hanno funzioni operative dirette, sotto la responsabilità complessiva del CdA. CGM ha diritto a nominare la maggioranza dei membri del CDA, mentre ai soci di minoranza è garantito il diritto di nominare la maggioranza dei membri del Collegio Sindacale. CGM ha diritto di veto su questioni che potrebbero snaturare l’essenza della società o compromettere la posizione di CGM quale socio di maggioranza. 183 “La leadership di fondo di Welfare Italia è certamente di tipo carismatico ed è legata alla figura del Presidente e Amministrazione Delegato, oltre che ideatore del progetto e fondatore della società” (Paolo Pezzana, Direttore dell’aera sanità leggera). Pezzana sottolinea l’abilità del primo nello sviluppare altre forme e modalità di leadership accanto alla prevalente, di tipo partecipativo. Il Presidente spiega così la propria leadership: “Il potere in WIS, come altrove, deve essere democratico, ovvero, innanzitutto breve, cioè si devono mettere le persone nelle condizioni di non dipendere da una persona per la sopravvivenza dell’organizzazione, bisogna accompagnarle per prepararle a quando si lascerà, come ho fatto con Claudia (attuale Presidente CGM) prima di lasciare la presidenza, e lei adesso è più brava di me, poi è un po’ come un elastico: a volte sono io ad andare avanti, ma mi preoccupo di portare tutti dove arrivo, coinvolgendo le persone, altre volte vanno avanti altri e poi tornano a portarci dove arrivano loro” (Johnny Dotti, presidente WIS). Gli strumenti di comunicazione interna, che pure è più spesso informale, sono rappresentati da: un core meeting settimanale tra i Direttori delle tre aree, un office meeting settimanale, in cui si incontrano i presenti in ufficio al momento, un team meeting con cadenza legata alle necessità contingenti, in cui, area per area, si incontrano i diversi team operativi a fini organizzativi del lavoro in corso, l’incontro di direzione sanitaria, ogni tre settimane, a cui partecipano i professionisti che svolgono ruoli di direzione sanitaria in WIS, la plenaria aziendale con una cadenza tendenzialmente trimestrale. Con l’evoluzione dello strumento informatico e la crescita del numero di centri affiliati sono previsti l’avviamento di un forum informatico di comunicazione e scambio peer to peer tra i centri e WIS e la creazione di luoghi di incontro e di confronto periodico con il management dei centri (per ora informalmente noti come “cenacoli di Welfare Italia”). Non è ancora stato redatto un primo bilancio sociale autonomo di WIS (inserita comunque nel Bilancio Sociale di gruppo di CGM), che tuttavia è in preparazione come un punto di partenza per elaborazioni successive, che guardano all’idea di bilancio di sostenibilità e di global reporting258. I tratti comuni che emergono dalle interviste condotte con il personale WIS nella sede di Milano sono la trasparenza organizzativa e lo scambio di competenze: 258 Scarsa è stata invece, fino ad oggi, la sensibilità diretta ed esplicita per le questioni di sostenibilità ambientale, molto presenti, culturalmente e storicamente, nelle esperienze degli operatori coinvolti, ma poco strutturate nel modello organizzativo. 184 “Sarà anche il fatto che siamo in fase di start-up, ma qui si esce spesso dal proprio ruolo, si cresce perché, sebbene ognuno abbia compiti specifici, ci si occupa un po’ di tutto, anche per la disposizione degli spazi qui il segreto è impossibile!” (Operatrice Comunicazione e Marketing). 10.5.1 Le partnership Configurandosi come network di imprese operanti in franchising, a loro volta nella maggior parte dei casi membri di network sociali e di impresa (come ad es. CGM ed i consorzi territoriali di cooperative sociali), WIS ha scelto per ora di non aderire ad altri network di settore o di processo. WIS ed i centri WI si presentano ai soggetti istituzionali come possibili partners su un piano paritario, nel perseguimento di obiettivi di utilità comune; sono stati conclusi con una ASL accordi che vanno in questo senso. E’ in corso un’attività specifica di elaborazione culturale e di modellizzazione dei processi e degli strumenti da impiegare nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e degli obiettivi da perseguire in questo ambito259. Per l’erogazione di prestazioni di sostegno psicologico-psicoterapico nell’ambito dei Centri WI, si segnala la partnership con l’Associazione Jonas260 - che da tempo opera su scala nazionale per rendere accessibili i servizi di psicoterapia ad un numero crescente di persone, anche per mezzo dell’abbattimento dei prezzi delle prestazioni. I partner per eccellenza del franchisor WIS sono i suoi centri franchisee e chi vi opera: “Rispetto alla filiera produttiva può essere interessante rilevare come, forse in maniera un po’ paradossale, WIS abbia considerato sinora come propri partner esterni anche i medici collaboratori dei centri261, che sono però anche, da un punto di vista pratico, lo “strumento core” per la produzione (…) WIS ha concepito come proprio “mezzo di produzione” il sistema complessivo di erogazione del servizio e la cultura aziendale (…) Ma lasciare la scelta dei medici in mano ai franchisee si sta rivelando un elemento di debolezza, la prossima sfida è offrire ai medici uno strumento di networking sulla scia di Sermo” (Direttore dell’area Sanità Leggera). WIS passa ai franchisee il suo know-how, formalizzato in un documento denominato Blue Box (riservato) ed in una serie di altri documenti 259 “Dai settori più avanzati della pubblica amministrazione sono pervenute diverse proposte di collaborazione, in parte considerate dai vertici WIS “irricevibili” per contrasto con la missione aziendale” (Paolo Pezzana, Direttore area sanità leggera). 260 Jonas è un’Associazione Onlus che si occupa di ricerca, formazione e intervento sui nuovi sintomi del disagio contemporaneo (anoressie-bulimie, depressioni, attacchi di panico, dipendenze) e sugli effetti del discorso sociale attuale (infanzia, adolescenza e nuove famiglie). L’associazione è presente con i suoi presidi in 17 città italiane. 261 Che non sono assunti con contratti a tempo indeterminato. 185 (riservati), cosicchè il franchisee ha a propria disposizione un modello operativo per la sanità leggera. A ciò si aggiungono gli interventi di affiancamento-verifica, formazione e informazione per gli affiliati sul senso e sugli obiettivi del Progetto Welfare Italia. Con gli affiliati che hanno aperto i loro centri, o li apriranno all’inizio del 2011, sono stati tenuti due percorsi sperimentali di condivisione della cultura Welfare Italia e di addestramento pratico ai processi operativi previsti, della durata di sei mezze giornate cadauno. Formatori sono stati in tal caso i manager ed il personale di WIS. Tra i criteri di selezione dei partner rientra la condivisione culturale degli obiettivi dell’impresa, valutata al pari di altre dimensioni tecnico-economiche delle offerte ricevute262. Riguardo l’affiancamento, in fase di apertura, la direzione sviluppo di WIS costruisce i contatti territoriali, condivide il modello WIS, verifica l’idoneità del progetto locale e cura la transizione alla fase operativa, la direzione operativa offe supporto alla realizzazione in situ delle attività necessarie alla realizzazione del centro (dalla progettazione alla formazione del personale), la direzione marketing si occupa dell’analisi di geomarketing per finalizzare il piano di comunicazione e del mercato potenziale, definisce il layout architettonico e pianifica il marketing locale. In fase di gestione del centro, la direzione operativa affianca al controllo quali-quantitativo e normativo la formazione e la manutenzione/aggiornamento di strumenti e servizi, mantre la direzione marketing, implementato il piano marketing locale, si occupa del monitoraggio. Tra i meccanismi di motivazione e di incentivazione segnaliamo, oltre alla possibilità di contribuire attivamente ad uno start-up con una vision ed una mission rilevanti, l’incentivo di tipo economico laddove le retribuzioni, sebbene sotto lo standard medio del mondo profit, sono comunque superiori a quelle del mondo not for profit. Nel rispetto dell’autonomia imprenditoriale dei singoli affiliati, WIS non rende obbligatorie le forniture di tutti presso i soli partner selezionati a livello centrale263. Sono quindi stati stabiliti dei livelli essenziali di servizio e dei benchmark qualitativi che i Centri sono tenuti per contratto a rispettare, dopo di che WIS ha provveduto a stipulare con i fornitori degli accordi quadro di fornitura recanti l’offerta ai centri di condizioni particolari - generalmente di favore rispetto al mercato, o comunque rispetto ai livelli di ingresso nel mercato di cui un centro in start-up può mediamente beneficiare. E’ stato poi lasciata ai centri, una volta garantito a WIS il rispetto dei parametri di qualità richiesti, libertà di scelta. 262 Questo ha portato a scelte anche non semplici, ad esempio a preferire prezzi magari più elevati ma in offerte che accettavano una certa condivisione dei rischi di start-up del modello e manifestavano disponibilità ad una relazione con WIS più ampia del solo oggetto negoziale in questione. 263 In relazione a forniture di alcune apparecchiature, elettromedicali e per l’odontoiatria, sono state fatte indagini sui fornitori per garantire massima qualità effettiva dei prodotti (approccio no frills) ed evitare subforniture da produttori esteri low cost di dubbia affidabilità quanto a pratiche etiche e rispetto dei diritti dei lavoratori (segnatamente sono stati esclusi alcuni prodotti di provenienza cinese di apparente buona fattura, ma a prezzi sorprendentemente bassi). Si sta pensando di introdurre esplicitamente, per la selezione dei fornitori, il criterio dell’operato in filiere rispettose dei diritti umani. 186 10.6 Focus conclusivo. La valorizzazione delle risorse sociali. Il caso WIS è emblematico della valorizzazione delle risorse sociali, umane e contestuali, dal momento che il suo modello di business dipende in larga parte da essa: “Proponendosi tout court come impresa privata a finalità pubblica, come tale WIS ha configurato il proprio sistema di franchising e le proprie relazioni esterne con la comunità ed i soggetti istituzionali. Il modello di business di WIS non sarebbe semplicemente concepibile senza una tale “cittadinanza” dell’impresa e dei suoi affiliati nella società. WIS in questo senso è un’impresa con una chiara vocazione “politica”, che colloca quindi il suo orizzonte di senso e le sue stesse prospettive di successo nel business nell’animazione della polis di cui è parte, nella sua interezza” (Pezzana). Concretamente, cultura di Welfare Italia, che è fondata sulla centralità della persona e delle sue relazioni, si declina in pratiche di partecipazione ed empowerment sia al suo interno, inclusi i franchisee a cui, da paragrafo precedente, elargisce formazione e accompagnamento, sia all’esterno, rispetto al consumatore-cliente. Infatti, i processi di servizio sono volti ad offrire al cliente un’esperienza di accoglienza, si qualità e di fruizione di opportunità relazionali, il cliente è coinvolto a vari livelli e con varie modalità nella valutazione dei servizi e nel loro continuo adeguamento, il marketing e la comunicazione sono tesi ad assumere una prospettiva relazionale e di social networking che offra al cliente, ed anche al mero visitatore, la possibilità di sviluppare e valorizzare conoscenze proprie e relazionalità positive nella comunità territoriale a cui appartiene. Ciò mediante il tentativo di offrire servizi ed opportunità anche ulteriori rispetto alla sfera sanitaria (grazie alle reti del territorio e a quelle CGM in particolare), in una chiave non solo individualistica ma anche aperta alle relazioni con le persone circostanti, in luoghi che siano realmente tali. Sul piano tecnico, ogni centro sanitario dovrebbe beneficiare il proprio territorio in termini di risultati prodotti nel livello di soddisfazione del bisogno di salute, nella razionalizzazione della spesa complessiva (i.e. pubblica+privata) per spese sanitarie sul territorio, nella riduzione dei tempi territoriali di attesa per le prestazioni sanitarie in cui anche WIS sarà attiva. La finalità pubblica, che include un obiettivo di giustizia sociale, essendo il target principale le famiglie a reddito medio-basso è la più forte motivazione per un personale a cui non vengono elargite stock options e la cui remunerazione è inferiore alla media del privato. La finalità pubblica, a cui si accompagna l’ambizione di diventare la prima vera public company italiana a mezzo della mutualità tra gli associati, influisce sulle scelte strategiche lungo tutta la catena del valore, dalla scelta dei partner ai fornitori, alle collaborazioni con il servizio pubblico e privato (paragrafi 4, 5 e 5.1). Nel caso di WIS, l’operazione di valorizzazione del capitale umano, sociale e relazionale, è 187 sostenuta dalle reti cooperative da cui origina, ma la sostenibilità economica dell’impresa da piano industriale, e dai riscontri sui primi centri aperti, vuole dimostrare la possibilità di un modello di welfare alternativo a quelli tradizionali che “coniughi solidarietà e capacità competitiva, creando inclusione” (www.welfareitalia.com). 188 Capitolo XI Il caso Engineering 11.1 Profilo sintetico dell’impresa Engineering Ingegneria Informatica S.p.A. è una delle più importanti società italiane operanti nel settore dell’IT, l’Information Technology. Potendo contare su più di 6.300 dipendenti – quasi tutti assunti con un contratto a tempo indeterminato –, nel 2009 essa ha prodotto un utile di esercizio pari a 34.045.416 euro, a fronte di un fatturato di 697.069.351 euro. Presente sulla scena da 30 anni soltanto – anche se, nell’ IT, tre decenni non sono poi così pochi –, Engineering si è assai radicata nel contesto nazionale, maturando significative relazioni pure in campo internazionale. In Italia, il Gruppo è presente con una quarantina di sedi; all’Estero, si trova a Bruxelles (Belgio), Dublino (Irlanda), San Paolo (Brasile) e Wilmington (USA). La principale attività dell’impresa consiste nella creazione e nella gestione di software – proprietario e non –, unitamente all’erogazione di servizi di consulenza, System & Business Integration e Outsourcing. La specializzazione per mercati e l’integrazione dei know how, infine, le assicurano una visione completa della complessa realtà IT. 11.2 Engineering: una storia in tre mosse Tutto ha avuto inizio a Padova, per l’impulso di Michele Cinaglia e Arrigo Abati, cui, in un secondo tempo, si aggiunse Rosario Amodeo. Michele Cinaglia era il creativo, l’uomo delle grandi intuizioni. Gli altri due pensavano a declinarne concretamente il disegno, a «dissodare terreni che le facoltà visionarie di Michele additano come siti da bonificare e coltivare» (Melideo, 2000, p. 54). Arrigo era Toscano; Michele veniva dall’Umbria. Si erano conosciuti a Pisa, negli anni Sessanta; frequentavano la facoltà di Ingegneria. Il secondo era nato e cresciuto in un contesto rurale, con un saldo patrimonio di valori e con una visione del mondo che s’inseriva nel solco della tradizione cattolica. Dopo la laurea, Abati aveva trovato un impiego presso la Piaggio di Pontedera, mentre l’amico cominciò a muovere i primi passi in Olivetti. Per qualche tempo, si erano anche persi di vista, quando Michele Cinaglia, trasferitosi alla Sperry Univac264, lo chiamò, offrendogli un lavoro. Lui ci era arrivato tramite Rosario Amodeo, a sua volta ex dipendente dell’Olivetti, chiamato a dirigere la filiale fiorentina dell’Univac nel 1968. In verità, l’estrazione contadina di Cinaglia non 264 La Sperry Univac, che attualmente si chiama Unysis, era una grande multinazionale nel campo della produzione di calcolatori elettronici. 189 aveva convinto del tutto Amodeo, che lo aveva definito «un giovane un po’ grezzo anche se, secondo me, ce la può fare» (Id., p. 59). Comunque, in quel periodo le risorse umane erano piuttosto scarse; così, con qualche remora, lo prese con sé. Michele si dimostrò una persona di grande lealtà, benché possedesse un’innata capacità di influenzare il capo, inducendolo a fare ciò che riteneva giusto. Non si alterava; la calma e la mitezza che lo contraddistinguevano, tuttavia, non celavano uno spirito determinato ed implacabile nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato, insieme ad una capacità di apprendimento non comune. Nel 1975, Amodeo dovette trasferirsi a Milano, come responsabile vendite di Univac per il Nord Italia. A quel punto, però, la stima per il proprio collaboratore era cresciuta notevolmente. Infatti, liberatasi la poltrona di direttore della sede padovana dell’azienda, pensò a Michele, il quale accettò di buon grado. Qui, il nuovo responsabile strinse diverse relazioni, ma una fu determinante: quella con il Presidente della Camera di Commercio locale, Mario Volpato. Fu sua l’idea di costituire un centro regionale per l’elaborazione elettronica dei dati, ad uso delle Camere di Commercio e di diverse realtà afferenti all’area veneta. L’altro si dimostrò entusiasta, rilanciando la proposta con alcune significative variazioni: Perché limitare l’azione al Veneto e non estenderla all’intero Paese, informatizzando il patrimonio di tutti gli enti camerali? Cinaglia, allora, chiamò Abati, «il migliore dei tecnici da lui incontrati» (Id., p. 63). Le Camere di Commercio attraversavano un momento difficile; da poco, era stata approvata la legge che riconosceva le Regioni sotto il profilo amministrativo. Si paventava addirittura una loro chiusura. Ma esse ricevettero nuova linfa quando entrarono a far parte di un sistema integrato. Per compiere l’operazione, Cinaglia e Abati avevano creato Cerved. D’altro canto, i due si resero conto che «i presidenti delle Camere di Commercio, e le correnti politiche che li esprimono, mal sopportano la presenza di un outsider [Cinaglia], di uno che si muove da padrone nel loro mondo senza essere dei loro. [In tal modo, nacque una vera e propria] avversione tra il milieu politico e l’humus aziendale di Cerved» (Id., p. 64). Quanto alla costituzione dell’azienda, Amodeo fu scettico: non riusciva a condividere l’entusiasmo degli altri; era pieno di dubbi. Arrigo Abati lo riteneva un progetto interessante. Perciò aveva accettato di trasferirsi a Padova, con la moglie e due figli a carico. Verso la metà degli anni Settanta, giova ricordarlo, in Italia e non solo la parola “informatica” era sinonimo di IBM. La Big Blue, come viene usualmente chiamata l’impresa omonima, da noi aveva aperto i battenti nel 1927. I suoi rappresentanti commerciali crescevano professionalmente in azienda, frequentando scuole non accessibili a chi avesse altri background – anche agli informatici di diversa provenienza. Pochi lasciavano IBM. La mobilità era un fenomeno che riguardava gli altri. 190 Univac era uno dei concorrenti, e disponeva di calcolatori assai competitivi sul mercato, sviluppati anche grazie alle consistenti commesse del Governo americano, poco propenso a dipendere da un solo fornitore. Michele Cinaglia era convinto che, se lui e i suoi si fossero formati in IBM, non sarebbero nate né Cerved prima né Engineering poi, per questioni di natura culturale, perché «la cultura IBM ti induce a pensare che gli affari piovano dall’alto, quasi per volontà divina. Noi invece eravamo abituati a conquistarci ogni affare contando quasi esclusivamente sull’abilità personale» (Id., p. 73). L’idea di creare Cerved Engineering nacque in seguito ad un viaggio in India di Michele Cinaglia e Arrigo Abati, che oltrepassarono l’oceano per conto della Comunità Europea: dovevano stabilire dei contatti con alcune aziende locali di software. Della comitiva, faceva parte anche un gruppo di Francesi, impiegati presso aziende statali, pur detenendo delle azioni della realtà nella quale lavoravano, sotto forma di stock options. Cinaglia ne parlò con Giancarlo Biraghi, l’amministratore delegato di Cerved, nonché segretario generale della Camera di Commercio di Torino. Biraghi affermo che nessuno avrebbe mai accettato di cedere azioni Cerved ai dirigenti, ma si disse favorevole a sponsorizzare la nascita di una nuova società, una sorta di spin-off. Le due imprese avrebbero lavorato in stretta sinergia, fungendo l’una da referente istituzionale265, l’altra266 da “laboratorio”, capace di misurarsi con il mercato e di sperimentare tecnologie innovative, che avrebbe messo al servizio della prima. Michele Cinaglia, certamente, pensava anche ai profitti e desiderava ardentemente condurre un’azienda. L’affare si concluse, non senza polemiche, ed egli ricordava come, negli ambienti delle Camere di Commercio, si fosse soliti ripetere l’adagio: «ma sì, tanto è un giocattolo (Cerved Engineering)… Facciamogli fare ‘sto giocattolo a questi»267 (Id., p. 81). L’esito positivo era stato possibile grazie all’appoggio del già citato Biraghi e di Enrico Salza268; l’opposizione, che pure non si era manifestata apertamente, pareva piuttosto diffusa. Comunque, alla fine la cosa si fece per il decisivo patrocinio dei cosiddetti “Torinesi”. Cerved Engineering poteva contare su un capitale modesto, ma insieme sulla sicurezza offerta dalle Camere di Commercio e soprattutto sulle relazioni che la direzione aveva potuto costruirsi all’interno di quell’ambiente. Tra il 1980 ed il 1984 – tanto durò Cerved Engineering –, l’impresa acquisì solidità e compattezza, forte dei suoi 130 dipendenti e di 13 miliardi di fatturato269. Perché, allora, si rese necessaria una nuova separazione? A giudizio del management, Cerved era assai 265 Cerved. Cerved Engineering. 267 Il 60% di Cerved Engineering apparteneva a Cerved, il 40% era suddiviso tra i managers di quest’ultima, vale a dire Cinaglia, che era anche direttore generale di Cerved, e Abati. 268 Presidente della Camera di Commercio di Torino. 269 I dati si riferiscono al 1984. 266 191 ambita dai “politici” delle Camere di Commercio, cioè dai loro presidenti. Ciò risultò chiarissimo – riferisce Rosario Amodeo – nel momento in cui «eravamo assieme, Michele e io, quando arrivò, per lui, una telefonata di Gian Vittorio Cauvin, presidente della Camera di Commercio di Genova e autorevolissimo consigliere di amministrazione di Cerved. Cauvin lo invitò a un colloquio riservato e Michele intuì, forse dal tono della voce, che si trattava di una convocazione “speciale”» (Id., p. 83). Era il febbraio 1984. In base alla testimonianza di Amodeo, Cinaglia non voleva rinunciare alla propria posizione in seno a Cerved Engineering. La situazione si protrasse all’insegna dell’incertezza fino al mese di luglio; all’inizio dell’estate, quest’ultimo si trovò con lo stesso Cauvin e con Piero Bassetti, Presidente della Camera di Commercio di Milano, di Unioncamere e di Cerved. Per mettere la parola fine alla controversia – è ancora Amodeo ad informarci –, «Bassetti – fu l’unica volta che lo sentii alzare la voce – disse: “Cinaglia, basta perdere tempo, o stamattina rassegna le dimissioni o risolviamo noi il rapporto. [E quello rispose]: “Va bene” e passò, insieme ad Arrigo Abati, anche lui presente all’incontro, a negoziare le intese connesse all’uscita» (Id., p. 84). Quali furono le ragioni che spinsero Piero Bassetti a comportarsi così? Nell’ambiente di Cerved Engineering, non c’era spazio per i dubbi: «Per il nome che porta, la fama che lo precede nel mondo politico e in quello imprenditoriale, nonché per la rilevanza politica che egli stesso si attribuisce, l’ascesa di Bassetti al vertice del sistema camerale e di Cerved viene vissuta dal suo elettorato come la prova provata che le Camere di Commercio sono diventate istituzioni di rango politico elevato. Piero Bassetti è intelligente, brillante, affascinante. La fama che lo precede intimorisce tutti in Cerved e mette in allarme Michele Cinaglia […] A Bassetti non interessa “comandare nell’azienda che Michele Cinaglia ha costruito, ma cerca attenzione e visibilità per il suo progetto politico. Vuole assicurarsi una leadership che vada al di là dell’angusto mondo delle Camere di Commercio e comprende in fretta che la ribalta più promettente di un “protagonismo ampio” è proprio Cerved» (Id., p. 86). A separazione avvenuta – con Cerved da una parte ed Engineering dall’altra –, le comprensibili paure riguardanti la capacità di contare solo sulle proprie forze vennero mitigate, fortunatamente, dalla partecipazione dell’IMI e di Mediocredito al capitale di Engineering. Ma i problemi non erano finiti. Di lì a qualche anno, infatti, sarebbero sorte delle incomprensioni all’interno dell’azienda, tra Michele Cinaglia e Arrigo Abati. Tra il 1985 ed il 1988, il primo viveva e lavorava a Roma, senza intervenire nelle questioni riguardanti la gestione: si decideva a Padova, dove risiedeva Abati. Intorno alla fine degli anni ’80, le differenze tra i due azionisti vennero a galla: Michele era disposto a sperimentare, a cercare sempre nuove strade; Arrigo aveva un approccio più razionale, voleva che 192 i business plan fossero realizzati con tutti i crismi. Si trovò una soluzione, purtroppo dolorosa, con l’entrata in scena di Rosario Amodeo, che aveva preso il posto di Cinaglia alla Cerved, diventandone direttore generale. Rosario sapeva perfettamente delle tensioni esistenti tra gli azionisti di riferimento. Pertanto, chiarì che avrebbe considerato la proposta solo se fossero stati entrambi a chiedergli di entrare in azienda. il che, naturalmente, avvenne. Ma il nuovo ingresso coincise con l’uscita di Arrigo. Nell’ottobre del 1988, Abati, alludendo a sé e ai due compagni, affermò: «Così non va. Dividiamoci le aree di competenza: uno comanda su un’area, uno sull’altra e uno su un’altra ancora. Poi, ben sapendo che in un’azienda come la nostra il vero potere è quello commerciale, propose anche una spartizione del territorio in termini di mercato» (Id., p. 102). Si diedero due o tre mesi di tempo per pensarci. La possibile frattura del settore commerciale precipitò Rosario in una condizione di disagio. Terminate le vacanze natalizie, questi si rivolse a Michele, dicendogli chiaramente che bisognava mandare via Arrigo. E Cinaglia, tirando un sospiro di sollievo, convoco immediatamente il consiglio di amministrazione per procedere con la destituzione dell’Abati (Id., p. 103)270. Nell’ultimo decennio del XX secolo, la storia di Engineering testimonia un percorso in continua ascesa. Aumentano le dimensioni, che richiedono nuove modalità di gestione, e i due azionisti sono tenuti a ricorrere senza indugi al meccanismo della delega. Tra il 1995 ed il 1996, viene istituita la funzione di direttore generale, affidata a Paolo Pandozy, che dispone di spazi significativi sul piano operativo. Al suo insediamento, Pandozy dovette riconoscere che l’azienda era ben organizzata dal punto di vista delle procedure – ammettendo esplicitamente i meriti di Arrigo Abati –, anche se qualche sede commerciale andava rafforzata, in alcune aree geografiche – quali la Sicilia, per esempio – Engineering era assente, così come in alcuni settori – uno su tutti la Pubblica Amministrazione. La sua prima preoccupazione fu di procedere ad una ristrutturazione, con qualche cambiamento di rilievo. Si era sempre agito in un’ottica territoriale: ogni filiale rispondeva di tutte le iniziative realizzate sul territorio. Pandozy, invece, diede vita ai centri di competenza: «In Lombardia […] c’è un centro di competenza271 che si occupa esclusivamente di sviluppare il mercato delle banche […]; a Roma e a Bologna il centro si occupa specificamente del mercato pubblica amministrazione» (Id., p. 120). Nonostante qualche timore, soprattutto da parte di Rosario Amodeo, tutto filò liscio e il direttore generale ebbe completa libertà d’azione. 270 Al termine della propria esperienza in Engineering, Abati fondò Wintec, azienda attiva sempre nel settore IT, con sede a Padova. 271 Per una più dettagliata descrizione della natura e delle funzioni dei Centri di competenza, si rimanda alle pagine che seguono. 193 Per quanto concerne il 2000, si devono segnalare due ulteriori passi in avanti. Il primo, sul quale ci si soffermerà adeguatamente in seguito, si è concretizzato con l’istituzione della Scuola di Formazione ICT, intitolata alla memoria del compianto Enrico Della Valle, manager del gruppo scomparso anni fa. Il secondo è coinciso con l’impegnativa quotazione in borsa. Paolo Pandozy paventò il rischio che Cinaglia e Amodeo potessero non divertirsi più, essendo quotidianamente controllati e valutati per ogni decisione presa. In ogni caso, riconosceva che la borsa era una necessità (Id., p. 123). La quotazione a Piazza Affari è avvenuta il 12 dicembre e le azioni sono state offerte a 40 euro. In principio, il titolo ha mantenuto invariato il proprio valore, costringendo il management di Engineering ad impostare una politica il più possibile rigorosa. Ogni trimestre, del resto, era necessario predisporre l’opportuna documentazione. Perseguire il rigore significava, tra l’altro, integrare i sistemi contabili e di controllo delle aziende del gruppo; il problema non era più procrastinabile, anche se, tutto sommato, l’assetto “federalista” della compagnia, dove ogni azienda consociata godeva di ampia indipendenza, tendeva ad enfatizzare le differenze piuttosto che le prassi condivise. Nel prospetto informativo redatto prima della quotazione, alla voce “programmi futuri”, Engineering insisteva sull’esigenza di ampliare il mercato, l’offerta dei servizi e di investire nei campi della ricerca e dello sviluppo. E ciò si è puntualmente verificato, con l’acquisizione di aziende, la valorizzazione dell’outsourcing e la partecipazione a progetti di dimensioni europee. Nel febbraio 2001, intanto, il titolo raggiungeva i 48 euro, per cadere, sette mesi dopo, sotto i 30 euro. Nel maggio 2002 si era passati a 25 e nel giugno 2002 si era scesi sotto i 20. Stefano Ranaldi, allora dirigente dell’area Pubblica Amministrazione sottolineò: «siamo entrati in borsa nel momento che si prestava ancora a creare euforia e aspettative straordinarie, come guadagni miliardari, ma questo non c’è stato. Il titolo è andato anche a 48 euro, ma oggi il suo valore è più che dimezzato rispetto al prezzo di 40 euro di collocamento. All’inizio, i clienti hanno apprezzato la nostra entrata in borsa; oggi ci chiedono perché il titolo è sceso in questo modo. Penso non ci siano spiegazioni logiche». (Scifo, 2005, p. 80). Qual era il parere degli azionisti, che in buona parte lavoravano in azienda? Come spiegare il gap tra gli obiettivi raggiunti sul mercato e il crollo delle azioni? Non sapevano darsi una risposta, confortati dal valore della produzione, che continuava a crescere: dai 182,2 mln di euro del 2000 ai 256,5 mln del 2002; dai 276,1 mln del 2003 – quando il mercato dell’IT entrò in crisi – ai 334,8 mln del 2004, con un incremento del 21,3% rispetto all’anno precedente. Quel periodo, poi, come il successivo, si è caratterizzato per una serie di acquisizioni e di altre operazioni finanziarie. Basti ricordare l’acquisto di Caridata S.p.A. da Banca Intesa, insieme alle partecipazioni in Neta S.p.A, passata dal 70% al 98% e in BIP S.p.A, cresciuta dal 53% al 55%. Nel 2007, è arrivato il momento 194 di Atos Origin Italia S.p.A., una delle maggiori realtà italiane nel settore IT, di cui Engineering detiene il 100%. L’operazione le ha consentito di accrescere ulteriormente il portafoglio clienti, aumentando in maniera considerevole l’esposizione nei campi delle telecomunicazioni e dell’industria (Gerosa, 2007). Tabella 1 - Il Consiglio di Amministrazione del gruppo Engineering Presidente Michele Cinaglia Amministratore delegato Rosario Amodeo Direttore Generale Paolo Pandozy Consigliere Costanza Amodeo Consigliere Alberto De Nigro Consigliere Enzo Lucaccini Consigliere Giuliano Mari Consigliere Massimo Porfiri Consigliere Dario Schlesinger Consigliere Giancarlo Vitali Segretario Armando Iorio Fonte: www.eng.it 11.3 Engineering: una realtà in continua espansione Engineering Ingegneria Informatica è una realtà complessa, la capogruppo di 11 aziende, che contano complessivamente 6.315 dipendenti. Il suo carattere distintivo è la fornitura di servizi e prodotti IT innovativi, che riguardano essenzialmente tre ambiti: a) lo sviluppo di applicazioni informatiche, su richiesta del cliente, b) la creazione e la commercializzazione di realizzazioni proprie e c) la gestione di infrastrutture per conto terzi, in modalità outsourcing272. Il primo, denominato comunemente system integration273, rappresenta il segmento principale. I profili professionali ricercati sono essenzialmente 2: quello dirigenziale e quello impiegatizio. I dati forniti dalla Direzione del personale, guidata dall’ingegner Luigi Palmisani, mostrano una chiara prevalenza della componente maschile, che si attesta al 67,2%, a dispetto della rappresentanza 272 Il servizio viene cioè esternalizzato. Con l’espressione system integration s’intendeva riferirsi, in origine, alla possibilità di far interagire due o più sistemi informatici diversamente concepiti, al punto da non poter comunicare tra di loro. Attualmente, essa designa, in senso più ampio, anche la realizzazione di un prodotto ad hoc, in base alle specifiche richieste del cliente. 273 195 femminile, ferma ad un pur significativo 32,7%274. L’età media dei dipendenti, quasi tutti assunti con contratto a tempo indeterminato, è al di sotto dei 40 anni: le donne raggiungono i 38,5 e gli uomini il 39,4, mentre il dato aggregato è di 39,1. Ciò che appare in tutta la sua evidenza non è tanto l’ampia presenza degli uomini nelle posizioni di vertice, quanto piuttosto la percentuale di tale affermazione, che raggiunge l’88,1%, contro l’11,9% delle donne. L’indicazione relativa ai titoli di studio, anch’essa in linea con le imprese attive nel campo tecnologico, rivela un livello di scolarizzazione medio-alto: il 46,2% del personale è diplomato, perlopiù in discipline tecniche, il 50,1% è in possesso di una laurea, triennale, quinquennale o conseguita con il vecchio ordinamento. In netta minoranza, vanno segnalati coloro che hanno la licenza media (0,9%) o una qualifica professionale (0,5%). Incrociando i dati riguardanti il genere con il titolo di studio, si nota che le donne, in proporzione, pur svolgendo essenzialmente mansioni impiegatizie presentano un curricolo formativo più ricco ed articolato: il 54,6% della popolazione lavorativa femminile dell’intero gruppo ha raggiunto la laurea, contro il 47,8% dei maschi. Di conseguenza, visto che le figure di basso profilo non presentano differenze degne di nota, agli uomini spetta il primato dei diplomi di scuola media superiore (48,8% contro 41,1% delle donne). I bilanci consolidati del gruppo che fa capo ad Engineering, facilmente reperibili a causa della sua quotazione in borsa, offrono una serie di indicazioni decisamente interessanti, riportate nella tabella 2. Tabella 2 - Alcuni dati relativi ai bilanci consolidati degli anni 2005-2009 (in euro). Anno Ricavi Utile di esercizio Numero dipendenti 2005 373.826.505 19.703.559 3.698 2006 410.223.763 22.591.895 3869 2007 442.780.244 25.920.966 3.888 2008 717.604.141 12.229.093 6.636 2009 697.069.351 34.045.416 6.332 Fonte: www.eng.it Nonostante il calo del valore delle azioni di cui si diceva – attualmente, il titolo viaggia al di sopra dei 22 euro –, il fatturato è costantemente cresciuto, trascinando con sé anche l’utile di esercizio. Tra il 2005 ed il 2009, ricavi e utili sono quasi raddoppiati, come il numero dei dipendenti, passato da 3.698 a 6.332. Tutto ciò, a dispetto della crisi verificatasi nel settore IT e, più in generale, della 274 In termini di valori assoluti, le donne assunte per ricoprire funzioni manageriali sono 42, gli uomini 310. 196 grave congiuntura economica mondiale. La consistente flessione dell’utile nel 2008, peraltro, si spiega con il cospicuo investimento necessario per l’acquisizione di Atos Origin Italia, accompagnata dal poderoso incremento del numero dei dipendenti, saliti da 3.888 (2007) a 6.636 (2008). Come si è già ricordato, le assunzioni sono quasi tutte a tempo indeterminato, fatta eccezione per il personale disabile che lavora in azienda e coloro che sostituiscono le lavoratrici in maternità275, cui si devono aggiungere altri 350 contratti di apprendistato. 11.4 Organizzazione, strategia, competenze Le parole d’ordine, in Engineering, sono autonomia e imprenditorialità, anzi, intraprenditorialità. Secondo Sergio De Vio, che fu direttore del personale tra il 1997 ed il 2000, un tratto fondamentale dell’azienda era la possibilità d’azione per tutti, entro certi limiti fissati dal management. In tal senso, infatti, a suo avviso «è difficile riscontrare pronunciamenti costrittivi che definiscano a priori ciò che può essere fatto e ciò che non deve essere fatto» (De Vio, 2000, p. 16). Nel tentativo di spiegare su quali principi si regga l’intera impresa, lo stesso De Vio rifugge dagli orientamenti e dalle teorie più noti per abbracciare una visione che definisce marginale, quanto a rilevanza, entro il panorama delle scienze organizzative: quella di Stefford Beer (1991), incentrata sui capisaldi della vitalità, dell’autonomia, appunto, e della ricorsività. Vitale è quel sistema che, nel rapporto con il proprio ambiente di riferimento, è in grado di controllarsi e gestirsi dall’interno. Il riferimento, ovviamente, non riguarda soltanto il gruppo nel suo complesso, ma insieme le singole realtà che lo compongono e ciascuna delle unità organizzative. La ricorsività «è quel procedimento che consiste nell’applicazione ripetuta di un’operazione o serie di operazioni con l’utilizzo, a ogni applicazione, del risultato dell’operazione precedente come base di partenza» (De Vio, 2000, p. 17). questo significa che l’unità vitale di riferimento contiene a sua volta sistemi anch’essi vitali, che si propagano verso il basso fino a raggiungere le singole persone. La parziale ma significativa indipendenza delle parti garantisce loro una ragguardevole autonomia, al contrario di quanto accade nei contesti dominati da una logica tayloristica, dove la suddetta caratteristica si smarrisce progressivamente, mano a mano che si incontrano le funzioni esecutive. Cosa rende possibile una siffatta libertà d’azione? Il principio di sussidiarietà, che De Vio formula così: «ciò che può fare un’entità organizzativa di livello inferiore non deve farlo un’altra di livello superiore. Il livello superiore gerarchico non interviene se il livello inferiore è in grado di fare le cose che può e deve 275 La quota, in tal caso, è compresa tra l’1% e il 2%. 197 fare. In effetti, la parola stessa “sussidiarietà” allude al fatto che il livello superiore interviene come in aiuto, in sussidio del livello inferiore» (Id., pp. 18-19). Volendo essere più precisi, si potrebbe affermare, com’è noto, che “chi sta sopra” interviene solo in caso di necessità, quando non è possibile farne a meno, e che il singolo individuo, in ultima analisi, è il centro propulsore dell’azione. Un esempio? Nel 2000, Engineering partecipò ad una gara per la gestione, la manutenzione e il controllo del sistema informativo delle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti. Né il direttore generale, Paolo Pandozy, né l’amministratore delegato, Rosario Amodeo, volevano prendervi parte, perché pensavano di essere sconfitti in partenza. In fondo, la Corte si era servita, fino a quel momento, presso un’altra azienda, che aveva progettato e in parte implementato il tutto e, di conseguenza, si trovava in una situazione di reale vantaggio. Il responsabile della Direzione Vendite – Amministrazione Centrale, però, che allora era Stefano Ranaldi, non si diede per vinto, ed il suo opposto orientamento prevalse. A Cinaglia e Amodeo non restò che fare il possibile per preparare un’offerta competitiva. Il 25 maggio 2000 Engineering seppe di essersi aggiudicata la gara. Così, Pandozy inviò a Ranaldi una breve lettera, che merita di essere riportata integralmente. «Caro Stefano, quando mi proponesti di partecipare alla gara della Corte dei Conti ti invitai a pensare ad altro. La situazione oggettiva, la griglia di valutazione e le alleanze in campo sembravano non lasciare scampo. Tu insistesti a lungo ed alla fine mi lasciai convincere pensando, onestamente, che avremmo perso tempo. Oggi celebriamo una grande vittoria, che è la vittoria di tutti quelli che hanno partecipato alla stesura dell’offerta, ma è soprattutto la vittoria della tua determinazione. Bravo!» (Id., p. 21). Si potrebbe pensare che, dietro un’azione così complessa, ci fosse una particolare strategia. Invero, sempre secondo De Vio, la cosa non stava in questi termini, perché «in Engineering, il termine [strategia] […] è bandito, non ci sono dichiarazioni strategiche, non c’è un luogo, un momento organizzativo dedicato all’elaborazione della strategia aziendale. Il termine “marketing” non “circola”, anzi c’è una sorta di ostracismo rispetto a tutto ciò che sa di marketing o di marketing strategico» (Id., p. 14). Se il termine è inteso nell’accezione di pianificazione “a tavolino”, se allude alla progettazione di un obiettivo da raggiungere – come avviene usualmente –, allora esso è privo di senso. Di norma, 198 infatti, la parola designa un insieme di «riflessioni che attribuiscono, retrospettivamente, senso o significato a un complesso di accadimenti» (Id., p. 23). Ma queste sono considerazioni ritenute ovvie o banali. Almeno da chi lavora in Engineering (Ibid.). Beninteso, nelle altre aziende si tengono riunioni strategiche; i manuali di gestione aziendale dedicano ampio spazio a quest’aspetto, ma ciò non toglie – dicono gli interessati – che se ne possa fare a meno. De Vio ricorda come, tra il 1997 e il 2000, il volume di affari proveniva sempre meno dal settore industriale e sempre più dai rami bancario e finanziario. Il motivo? Non ci fu pianificazione. La situazione andò così e basta. Per avvalorare la spiccata tendenza all’ostracismo nei confronti della strategia, l’allora direttore del personale disse che si trattava di un’astrazione, di un prodotto della mente umana completamente avulso dalla realtà concreta, che costringeva le persone a fissare dapprima un punto di arrivo, poi a pensare a come conseguirlo. Egli era solito raccontare un celebre retroscena, divenuto poi un aforisma, attribuito al generale Eisenhower in occasione dello sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944. Ai suoi collaboratori, che gli chiedevano lumi sulla strategia da adottare, il futuro presidente degli Stati Uniti rispondeva: «I piani strategici sono tutto prima della battaglia, ma del tutto inutili quando è cominciata» (Id., p. 24). Della strategia, insomma, non si dà alcuna forma di scienza. Il gruppo di lavoro di Engineering, in verità, si è distinto fin da principio per uno spiccato pragmatismo, mantenendo l’azienda a stretto contatto con la realtà concreta. Se proprio di strategia si deve parlare, bisogna farlo senza troppi progetti che prefigurino un punto d’arrivo, magari lontano nel tempo, ma con riferimento al punto d’inizio, il quale implica la precisa conoscenza del contesto in cui si opera e degli attori che ne fanno parte. È la situazione che suggerisce se è giunto il momento di agire oppure no. Ecco, allora, che «la strategie in Engineering c’è, ma ha regole abbastanza originali, che fanno parte della cultura diffusa. Dunque, attenzione al punto di partenza e alla configurazione della situazione iniziale» (Id., p. 28). Un’ultima questione riguarda il riconoscimento delle competenze. Anche in tale circostanza, il modo di procedere è piuttosto originale. Si prenda, ad esempio, il caso dell’attribuzione dei cosiddetti superminimi, le forme di ricompensa aggiuntive non previste dai contratti collettivi nazionali. Chi li assegna? Di solito, è la direzione del personale ad occuparsene. Per favorire la meritocrazia, dicono quelli di Engineering, il superminimo276 è un’incombenza della linea – che conosce bene l’interessato ed ha più strumenti per giudicarne l’operato –, non dello staff. Come sottolinea Adam Smith – citato espressamente da De Vio –, la conoscenza è frutto di attenzione, che l’individuo desidera per se stesso nella sua vita in società e, di conseguenza, anche sul luogo di lavoro (Smith, 1995). Chi non è attento al prossimo, non può riconoscerne neanche i meriti. Se 276 Nel 2000, esso costituiva mediamente circa la terza parte del monte delle retribuzioni. 199 l’autonomia è un fattore così importante, a tutti i livelli, ne consegue che il sistema della delega risulta assai diffuso, specie rispetto alla concorrenza. L’essere concentrati prioritariamente sul raggiungimento degli obiettivi, inoltre, ha portato i vertici dell’azienda a conferire alla parte variabile del salario un peso decisivo, corrispondente, in media, alla terza parte dello stipendio. I rapporti tra il personale non si dispiegano all’insegna della spersonalizzazione, come avviene in altri contesti. E ciò, naturalmente, spiega perché l’azienda prediliga una crescita professionale dei propri membri al punto che, quando bisogna trovare un candidato per ricoprire una posizione, nel 90% dei casi non si ricorre al mercato, ma ai propri collaboratori, consentendo loro un’effettiva progressione di carriera. Le imprese del gruppo sono 11, come risulta dalla tabella 3, ma vengono gestite in maniera unitaria. Tabella 3 – Il gruppo Engineering Engiweb Security Engineering International Belgium Over It Engineering Tributi Engineering Sardegna Sitel Nexen Engineering do Brasil Engo Engineering.it Engitech Fonte: www.eng.it In effetti, Engineering opera per linee di business ed è specializzata per differenti segmenti di mercato, con una presenza nel campo dell’ IT a 360°. Le Business units sono 5: Finanza, Pubblica Amministrazione e Sanità, Energy & Utilities, Industria e Servizi, Telco & Media277. La Direzione 277 L’unità Finanza si occupa prevalentemente di assistere le banche e le assicurazioni nelle loro pratiche di adeguamento informatico; l’offerta nel campo della PA e Sanità è attiva sia sul fronte locale sia su quello nazionale, coprendo, in relazione alla sanità, tutte le sue aree funzionali e affiancando anche la consulenza direzionale e quella tecnologica nella fase di cambiamento. La divisione Energy e Utilities si rivolge a più di 12 milioni di utenze, per un totale di 14 milioni di cittadini, e più di un terzo del mercato delle utility, dal punto di vista dei contatori serviti. Per quanto concerne il settore Industria e Servizi, sono oltre 200 le aziende clienti, italiane ed estere. In relazione all’unità Telco & media, infine, vent’anni di esperienza consolidata hanno consentito ad Engineering di indirizzare con profitto le sfide di un mercato globale in continua evoluzione, con azioni di consulenza, system integration e soluzioni software. Ciascuna business unit si compone di due funzioni, una commerciale ed una tecnica. La prima si occupa delle vendite e la seconda di preventivare i costi delle diverse forniture. L’una e l’altra, in un certo senso, si integrano 200 Ricerca e Innovazione, invece, trasferisce pressoché in tempo reale gli esiti del proprio lavoro all’interno del ciclo produttivo. Poi, si trovano le consuete “strutture trasversali”, quali l’amministrazione, la direzione del personale, etc. e i centri di competenza, organismi voluti espressamente da Paolo Pandozy, quando fece il proprio ingresso in Engineering in qualità di Direttore Generale. Essi sono nuclei di professionisti che lavorano in affiancamento o in affidamento – si potrebbe dire in “subappalto”, utilizzando una terminologia inappropriata ma efficace –, rispetto alle singole business units. Queste ultime, naturalmente, hanno la responsabilità della gestione del cliente e del risultato finale. I centri di competenza, coordinati dalla Direzione Ricerca e Innovazione, sono 7. Tabella 4 – I centri di competenza Erp278 Open Source & Business Intelligence Broadband Media Services Sicurezza Outsourcing Automazione e Controlli Enterprise Content Management Fonte: Profilo di gruppo, p. 8, www.eng.it. La ricerca è possibile ricorrendo a fondi pubblici – statali o comunitari – o convenzioni stipulate con le università. Le procedure poste in essere in relazione a tutte le attività del gruppo, infine, «sono certificate secondo standard internazionali di qualità, […] come ad esempio i prodotti del segmento Finance […] e la sicurezza dei dati nei servizi di outsourcing [per citare solo qualche esempio]». Giova ricordare che, a queste, si è fatto ricorso già in tempi non strategicamente rilevanti per l’ICT. vicendevolmente anche perché, se i “commerciali” richiedono prodotti a prezzi competitivi, per collocarli più agevolmente sul mercato, i “tecnici”, interessati alla loro qualità, sono tenuti a garantire la bontà del prodotto o del servizio, che spesso richiedono investimenti cospicui. 278 Erp è l’acronimo di Enterprise Resource Planning, un sistema dedicato alla programmazione dei piani di produzione e alla gestione dei materiali, all'interno dei cicli di lavorazione di un'impresa. Attraverso un ERP è possibile gestire e tenere sotto controllo l’azienda nel suo complesso. 201 Tabella 5 – Alcune tra le più importanti certificazioni del gruppo Engineering. Azienda Engineering Certificazione/ mod. Ente di riferimento certificazione ISO 9001: 2000 Dnv Det Norske Data inizio 21.1.1994 Veritas - Italia Campo applicativo - Fornitura di soluzioni informatiche complete: analisi, progettazione, sviluppo di applicazioni; - Progettazione, sviluppo e commercializzazione di prodotti software; - Realizzazione di soluzioni informatiche basate su System Integration di prodotti; - Progettazione ed erogazione di servizi full outsourcing (Application, Facility, Network, Management e Customer Support); - Erogazione di servizi (correlati ai precedenti) di installazione, formazione, conduzione, avviamento e assistenza; - Erogazione di servizi T&M per consulenze tecniche, applicative, organizzative; - Progettazione ed erogazione di corsi di formazione professionale, anche in modalità e-learning; - Progettazione ed erogazione di servizi di consulenza strategica, organizzativa, metodologica, di infrastruttura ICT e reingegnerizzazione di processi. Engineering Nato AQAP Ministero della 2110/160 Difesa - 4.12.1996 - Progettazione, sviluppo e manutenzione di software applicativo per sistemi informativi per uso militare. TELEDIFE Engineering Engineering Capability Maturity Engineering Model Integration Software Institute (CMMi-DEV vers. (ESI) – Bilbao – 1.2 – liv. 3) Spagna UNI EN ISO 14001: Dnv Det Norske 2004 (ISO 14001: Veritas – Italia 2004) 5.10.2007 - Assesment condotto con il metodo SCAMPI – Staged. Ha riguardato tutte le divisioni di produzione dell’azienda: Finanza, Pubblica Amministrazione Centrale, Pubblica Amministrazione Locale e Sanità, Industria, TLC e servizi, Energy & Utilities. 8.7.2009 - Progettazione, sviluppo, integrazione di sistemi informativi, installazione, formazione, conduzione, avviamento ed assistenza. 202 Azienda Engineering.it Certificazione/ mod. Ente di riferimento certificazione ISO 9001: 2000 SGS Data inizio 20.1.2003 Campo applicativo - Attività tipiche della system integration e dell’outsourcing. Nel certificato è riportato il seguente ‘scopo’: Progettazione, sviluppo, integrazione, personalizzazione, installazione e assistenza di sistemi, prodotti e soluzioni software; - Progettazione ed erogazione di consulenze e di servizi tecnologici e continuativi. Engineering.it ISO-IEC 27001: 2005 DNV 23.4.2007 - Facility Management di Internet Data Center dedicati; - Gestione di sistemi di Carte di Pagamento. Engineering.it SW-CMM Maturity Q-LABS Dicembre 2003 AXOA Maggio 2006 Level 3 Engineering.it Attestato di qualificazione SOA - Attività tipiche della system integration. - Categoria OS 19 (Impianti di reti di telecomunicazione, di trasmissione e di trattamento dati) in classe quinta; - Categoria OS 30 (Impianti interni elettrici, telefonici, radiotelefonici e televisivi) in classe terza. Engineering.it PCI-DSS KIMA Luglio 2008 Nexen ISO 9001: 2008 Dnv Det Norske 10.6.2009 Veritas – Italia - Gestione della sicurezza delle informazioni relative alle carte di credito/debito e dei legittimi titolari. - Progettazione ed erogazione di servizi di consulenza direzionale. Fonte: www.eng.it. 203 11.5 I valori Parlare di valori, significa, in ultima istanza, trattare di nuovo della leadership, vale a dire degli orientamenti di Michele Cinaglia e Rosario Amodeo, gli attuali azionisti di riferimento. Dal loro punto di vista, ciò che più conta sembra essere il realismo, inteso come capacità istintiva di adattarsi alle circostanze (De Vio, p. 36), prassi che consente di interpretare le diverse situazioni. Di conseguenza, non interessa l’ideologia, quanto piuttosto l’insieme delle occasioni concrete in cui si dispiega il potere, che coincide con la possibilità di far valere, entro una relazione sociale, la propria volontà (Id., p. 37). In sostanza, la domanda che il realista si pone è la seguente: «Cosa si nasconde, al di sotto delle apparenze?». Egli è dotato di un grande “fiuto”, di un’astuzia opportunamente forgiata per ottenere il massimo dalle situazioni che gli si presentano; sa che, se non ne approfittasse al momento giusto, potrebbero anche sfuggirgli. Perciò, la strategia è sinonimo di astrazione; di teoria, appunto. Ben si spiega, allora, il primato che la funzione commerciale ricopre in azienda, dal momento che proprio questa è tenuta a “fare i conti” con il potere e con la realtà concreta, in una condizione di perenne incertezza. Ciò non significa, però, che l’unico obiettivo sia il raggiungimento del profitto. Anzi, «ho frequentemente sentito dai protagonisti di questa storia affermazioni che rivelavano una propensione per un impegno di rilevanza pubblica; o, detto altrimenti, un impegno di lavoro imprenditoriale che potesse avere anche un significato per l’intera comunità civile. La storia di Cerved dalla sua fondazione nel 1975 fino al 1984, per come è stata vissuta dai suoi protagonisti, è la dimostrazione che accanto all’impegno imprenditoriale c’era la consapevolezza e il desiderio di creare qualcosa non a beneficio di pochi privati, ma della collettività. L’orgoglio di lavorare per il Paese è sempre stato forte e manifesto. [Da un punto di vista simbolico, per esempio], il tricolore è sempre stato presente nella sala riservata alle riunioni del consiglio di amministrazione e dell’assemblea societaria» (Id., p. 43). Il successo è uno dei principali desiderata, ma viene prima del riconoscimento monetario. Conta più investire, reimpiegare gli utili e alimentare la crescita aziendale – stando a quanto dichiarano in Engineering. Una delle prove più convincenti in favore di questa tesi sarebbe la richiesta, accordata, di un ingente finanziamento richiesto all’IMI e regolarmente concesso. Tra le condizioni del prestito, vi era il divieto di distribuire dividendi per l’intera durata dell’operazione. Essere realisti, inoltre, significa confrontarsi, a volte anche entrare in conflitto, con le prassi radicate nel contesto locale o italiano. Per Cinaglia e Amodeo, Engineering costituisce una sorta di orgoglio nazionale, 204 visto che il colosso nostrano si trova a dover fronteggiare una competizione cui prendono parte essenzialmente attori stranieri, in buona parte statunitensi. Per certi versi, essa esprime in modo paradigmatico lo spirito pragmatico dell’Italia rinascimentale e moderna che, ai grandi sistemi, antepone l’uomo e le sue capacità. Basti pensare, tra gli altri, a un Machiavelli e al suo disprezzo per le astrazioni, in nome di una politica “del reale”. D’altronde, in contrapposizione con un sistema produttivo fondato sulla piccola e media impresa, esiste la ferma intenzione di superare i confini, mentali e operativi, di quello peculiari, di espandersi, allargando sempre l’angusto orizzonte che si para di fronte. Insomma, «Engineering ha superato, rara avis, questo atteggiamento “fondiario” o da piccolo artigiano e ha sempre corso il rischio di investire per espandere la capacità produttiva. Ha superato dunque un condizionamento culturale italiano» (Id., p. 48). Il che, naturalmente, necessita di una buona dose di pragmatismo e dell’abilità nel procacciarsi gli strumenti utili all’azione in tempo adatto. 11.6 Tradizione e innovazione: due criteri per la gestione delle risorse umane In base alle indicazioni fornite dalla Direzione del Personale, le risorse umane presenti in azienda si dividono tra neolaureati e professionals. Per quanto concerne i primi, la selezione avviene sulla base dei curricula vitae, cui seguono colloqui per un’eventuale assunzione. Le risorse vengono segnalate direttamente dagli atenei279, con cui Engineering collabora costantemente e il percorso, che segue un iter tendenzialmente standardizzato, prevede prima 3 o 4 mesi di stage, poi un periodo di apprendistato. Nei grandi centri – come Milano e Bologna, per esempio –, esso non supera i 24 mesi, per il dinamismo del mercato del lavoro. Laddove quest’ultimo presenta delle condizioni più sfavorevoli, tuttavia, l’arco temporale si estende di regola a 36 mesi. In relazione ai professionals, argomenta il direttore della funzione Risorse Umane Luigi Palmisani, il bacino d’utenza è dato dalle aziende concorrenti, con cui si è collaborato in passato o con i quali ci si è misurati, in occasione della comune partecipazione ad un bando di gara. Ciò che attrae di Engineering, continua Palmisani, non è certo lo stipendio, ma la credibilità e la reputazione costruite negli anni, anche se, quando il know how richiesto risulta di difficile reperibilità, è impossibile non tener conto delle richieste economiche dell’interessato. L’elemento di maggiore interesse, però, strettamente legato alla dimensione umano-sociale della sostenibilità d’impresa, è costituito dalla formazione. Engineering è forse l’unica realtà italiana 279 I rapporti con le università sono garantiti soprattutto dalle frequenti collaborazioni con la Direzione Ricerca e Sviluppo, oltre che dai momenti istituzionali quali open days, presentazioni delle facoltà, ecc. 205 nell’ambito ICT ad avere una scuola interna, intitolata al compianto Enrico della Valle, storico membro del gruppo. L’istituto ha sede a Ferentino, in provincia di Frosinone e dispiega la propria attività lungo 4 linee d’azione. La prima è rappresentata dalla formazione tecnica. In funzione delle indicazioni ricevute dalla direzione del personale, la scuola allestisce un catalogo di corsi. Il singolo dipendente può accedervi su autorizzazione del superiore diretto e del responsabile di divisione, che si accerta della sostenibilità economica della richiesta. La seconda è la formazione obbligatoria, collegata con l’apprendistato. È infatti necessario, in tal senso, redigere un piano dettagliato al momento dell’assunzione, che verte sui temi della sicurezza, delle strategie di sviluppo, di gestione delle risorse umane, etc. Il percorso dura due settimane, distribuite su due annualità280. Una terza linea d’azione insiste sulle figure manageriali281 e una quarta sui talenti, i 40/50 giovani più brillanti e con il miglior potenziale di crescita, la cui età si aggira intorno ai 35 anni. Per loro, che provengono perlopiù dal settore tecnico, è previsto un master della durata di 12 mesi, in cui si apprendono le nozioni fondamentali dell’economia, s’impara a leggere un bilancio, a gestire le persone ed altro ancora. È una vera e propria formazione trasversale, insomma, in vista di un probabile avanzamento di carriera. Ma anche su questo punto, si dovrà tornare più avanti. Quanto alla motivazione del personale, invece, non esistono strategie precise. L’attività è, in un certo senso, decentrata, poiché, afferma Palmisani «dove c’è un capo capace di motivare, le persone restano, altrimenti se ne vanno. È la conseguenza dell’applicazione del principio della delega. Il problema, quindi, è formare adeguatamente i capi, rendendoli capaci di gestire i rispettivi collaboratori». Gli strumenti per armonizzare tempi di lavoro e vita privata, in un’ottica di work-life balance, sono piuttosto scarsi, anche se si fa un buon uso del part-time e non esiste un sistema di rilevazione automatica delle presenze. Nessuno timbra il cartellino; se il responsabile non ha nulla da eccepire, la direzione del personale non verrà mai a conoscenza di un ritardo o di un’assenza. «Sicuramente, qualcuno ne approfitta – soggiunge Luigi Palmisani – benché, a conti fatti, ci convenga comportarci così, dal momento che ci interessano i risultati. Qualche volta si lavora di più, qualche altra di meno, a seconda di quanto c’è da fare. I dipendenti sembrano piuttosto soddisfatti». La parziale autogestione è uno degli elementi che ha contribuito a contenere il livello di sindacalizzazione nell’azienda. Da questo punto di vista, va ricordato che, fino al 2000, Engineering è cresciuta per via “endogena”, vale a dire attraverso contratti. Dal 2000 in poi, le dimensioni sono aumentate a causa di una serie di acquisizioni. Fino al 2004, la sindacalizzazione 280 Tutti gli apprendisti, senza eccezione, partecipano alle attività della scuola di Ferentino, fruendo dei corsi in modalità residenziale. 281 Se, per i primi 2 profili, i docenti appartengono al gruppo Engineering, per la formazione dei manager vengono invitati prevalentemente professionisti esterni all’azienda. 206 stessa era bassissima. Proprio le acquisizioni hanno polarizzato l’attenzione delle rappresentanze sindacali, che di lì hanno cominciato a crescere. La crisi degli ultimi anni si è fatta sentire anche sull’ICT e, di conseguenza, sulle politiche retributive, specie rispetto alla questione dei superminimi. Fino ad oggi, comunque, non ci sono stati licenziamenti. Con “l’acquisto” di Atos Origin Italia, che versava in condizioni precarie, il gruppo ha chiesto la cassa integrazione per 24 mesi, sottoscritta alla fine del 2008. Ora, bisognerà decidere il da farsi. In origine, gli esuberi sono stati stimati in 230 unità; oggi, si parla di 70/80 persone. D’altro canto l’azienda, che tra il 2004 e il 2007 ha accumulato perdite per 200 milioni di euro, oggi risulta in attivo. Per quanto riguarda le funzioni dirigenziali, i manager di Engineering – almeno la maggior parte – hanno vissuto a stretto contatto con i fondatori, assorbendone i valori e gli orientamenti culturali. Il forte legame creatosi deriva dalla condivisione che dura ormai da 30 anni, la quale, se rappresenta un punto di forza per ovvi motivi, mostra alcuni aspetti indubbiamente problematici. Uno su tutti è la scarsa composizione “esogena” del top management, cioè dei dirigenti che provengono da diversi contesti aziendali. Ai primi 2 livelli gerarchici, per esempio, 30 persone su 40 si trovano in questa situazione. Ciò comporta, sotto il profilo organizzativo, che spesso non si convochino le classiche riunioni, perché basta un giro di telefonate, a testimonianza di uno stile informale. Nonostante la realtà stia lentamente cambiando – l’importante ingresso nel gruppo di Atos Origin Italia ha condotto giocoforza all’entrata in scena di personale con mansioni direttive e prassi consolidate sensibilmente diverse –, lo “zoccolo duro” resiste ancora, a conferma del fatto che “La cultura – intesa come sistema coerente di assunti e di valori fondamentali che distinguono un gruppo e ne orientano le scelte – è per sua natura persistente e non modificabile, e lo è tanto più quanto più il sistema di valori ha radici antiche ed è condiviso. La cultura di un’azienda può essere perciò costretta e piegata in una nuova direzione con costi organizzativi altissimi, ma tende a riassumere la posizione e la predisposizione originaria non appena la pressione diminuisce. Sulla base di questa constatazione è possibile capovolgere la concezione tradizionale del rapporto esistente tra strategia e struttura, secondo la quale la struttura è una variabile adattiva e dipendente dalla strategia, per ammettere che le sole strategie possibili per un’organizzazione sono quelle che la struttura “naturalmente” produce” (Gagliardi, 1986, p. 420). Engineering è un “prodotto” italiano. Gli stranieri, presenti in numero esiguo, non rappresentano un campione significativo: le sedi di Dublino, Bruxelles, come quella brasiliana, non contano nel complesso più di 25 dipendenti. Non esiste alcuna diversità di formazione tra uomini e donne, non v’è traccia di sensibilità o pratiche che introducano al tema del diversity management o a quello 207 della cittadinanza d’impresa282. Ma non sono solo questi i punti di debolezza. Oltre alla già accennata “impermeabilità” del topo management – che, per altri versi, costituisce un elemento di forza –, si devono ricordare il ricorso ad un mercato in prevalenza nazionale, l’assenza di pianificazione e di analisi di mercato, lo stile e l’impostazione essenzialmente autoreferenziali, la scarsità di esperienze nelle pratiche di gestione, l’imminenza del cambio generazionale al vertice dell’azienda, per finire con la visibilità non adeguata al valore dell’impresa e all’eccesiva enfasi sull’operatività, con la conseguente carenza di riflessione sul medio e lungo periodo (Bolognani, 2008, p. 15). Quali sono, allora, gli ambiti in cui emerge con evidenza l’aspetto della sostenibilità legato all’azienda? E da che punto di vista? 11.6.1 La scuola di formazione Enrico della Valle La Scuola di formazione Enrico Della Valle283 ha aperto i battenti nel 2000, a Ferentino284, con l’obiettivo di incrementare le competenze manageriali interne. Il suo sviluppo è stato assai rapido, se si considera che, nel solo biennio 2008-2009, sono stati formati più di 6.000 corsisti, per un totale di 18.000 giornate285. Il successo ottenuto ha portato, nel 2009, ad una modifica del progetto originario, mettendo a disposizione la propria offerta formativa anche ad un pubblico esterno. Senza contare che, il know how tecnologico, ha persuaso i vertici dell’istituzione ad erogare, oltre ai tradizionali corsi in presenza, anche moduli a distanza, in modalità e-learning e blended learning286. La valorizzazione delle risorse, manager e specialisti IT, è l’obiettivo principale, cui si associano la necessità di rispondere ai bisogni formativi delle imprese, pubbliche o private, coinvolte nelle delicate fasi di reingegnerizzazione dei processi interni e di change management, l’intento di progettare e realizzare percorsi di sviluppo manageriale e organizzativo, l’offerta di un servizio di certificazione delle competenze ed un’attività di consulenza, per chi desiderasse accedere ai finanziamenti destinati alla formazione, attraverso i fondi interprofessionali. Quest’ultima si rivolge ai settori di mercato su cui opera Engineering: finanza, Pubblica Amministrazione centrale e locale, 282 Iniziative che coinvolgano la comunità locale, ecc. L’unico fatto degno di nota consiste in una serie di adozioni a distanza, a titolo individuale, che i dipendenti dell’azienda hanno sottoscritto con l’intermediazione di un sacerdote salesiano residente in Africa. 283 Enrico Della Valle ha iniziato a lavorare presso la FIAT, nel 1966; poi è passato in RAI e successivamente in Sperry Univac. Di lì, ha fatto il proprio ingresso in Cerved, come Direttore Sviluppo Sistemi e, nel 1980 in Cerved Engineering. Nel 2001 è stato nominato amministratore delegato e, in seguito, presidente di Engisanità, divenuta successivamente Engineering Sanità Enti Locali, prima di fondersi con l’azienda capogruppo. Nel 2000, Della Valle è stato uno dei soci fondatori della Scuola di formazione Engineering, che successivamente gli è stata dedicata. Si è spento a Roma, il 2 aprile 2004. 284 In provincia di Frosinone. 285 Il dato è da intendersi rispetto a ciascuna persona formata. 286 Il blended learning si avvale di moduli in presenza e di altri a distanza. 208 sanità, industria e servizi, energy & utilities, telco & media, con una proposta globale, che parte dall’analisi del fabbisogno per concludersi con l’implementazione dell’intervento. Per formare una risorsa, tre sono i criteri di riferimento: a) il mercato in cui essa si troverà ad operare; b) il ruolo che occupa o al quale aspira; c) il livello o inquadramento all’interno dell’azienda. Per definire con precisione il bisogno formativo, tali criteri vengono incrociati con 4 Knowledge Area (KA), rappresentate dalle sezioni metodi e strumenti287, tecnologie e prodotti288, soft skill289 e business290. Al di là dei presupposti di carattere metodologico, tuttavia, lo scopo della formazione è quello di «rispondere direttamente ad un problema operativo, reale, del singolo o di un’organizzazione»291. Lezioni ed interventi sono tenuti da docenti senior, che hanno maturato una significativa esperienza sul campo, relativamente a progetti ad alta complessità. Si deve peraltro sottolineare che la scuola dispone di personale regolarmente incardinato e si suddivide in un’area didattica, impegnata nella progettazione e nell’organizzazione dei corsi, nel corpo docenti292, il secondo elemento della struttura, e di un comitato scientifico di alto profilo che comprende, tra gli altri, Sergio De Vio, già Direttore del personale e Presidente di Engineering, Raoul Nacamulli, professore di Organizzazione aziendale presso l’Università di Milano-Bicocca, Giulio Sapelli, professore di Storia Economica alla Statale di Milano, Giuseppe Scifo, Direttore del CeRiCo, il Centro Ricerche sulla Complessità dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Va) ed ex membro del CDA del gruppo guidato da Michele Cinaglia, Orazio Viele, responsabile della già ricordata divisione Ricerca e Innovazione dello stesso293. 11.6.2 Come si coltivano i talenti Oltre ai corsi e alle attività in calendario, fruibili da utenti interni ed esterni, Engineering prevede una specifica formazione dedicata ai dipendenti che abbiano compiuto un’importante esperienza in azienda, «ma ancora sufficientemente giovani per iniziare una carriera manageriale» (Casini, 2009, 287 Riguardante la conoscenza degli standard e delle metodologie di progettazione più affermati, delle tecniche di sviluppo e gestione di progetti e servizi nel settore IT. 288 Si tratta, in tal caso, della conoscenza degli strumenti informatici. 289 Competenze per interagire in maniera efficace. 290 Conoscenze attinenti ai diversi settori di mercato. 291 Si veda, in proposito, Scuola di formazione Enrico Della Valle. Fabbrica di conoscenza, reperibile all’indirizzo www.engineeringformazione.it/index.php. 292 La scuola Enrico Della Valle dispone di circa 80 formatori. 293 La scuola pubblica i Quaderni di Ferentino, alla redazione dei quali collaborano dipendenti, consulenti esterni, clienti e docenti universitari. La collana, che per ora è costituita di 7 numeri, si è occupata di economia d’impresa, economia internazionale, organizzazione aziendale, sviluppo delle competenze, project management, open source, attività di vendita, formazione continua e certificazione ICT. Accanto ai Quaderni, sono usciti anche tre numeri di una seconda collana, denominata La Biblioteca di Ferentino. 209 p. 2). Si tratta di un Master, i cui partecipanti hanno mediamente 35 anni e si sono distinti per la qualità del lavoro svolto, le competenze acquisite, mostrando particolari potenzialità di crescita sotto il profilo professionale e manageriale. I fortunati non sono più di 40/50 e vengono selezionati ogni due anni. Poiché la loro formazione è perlopiù afferente al settore tecnico, la scuola fornisce loro una preparazione di tipo “trasversale”, cercando di accrescerne la flessibilità in campo cognitivo, aumentandone le abilità comunicative e creando nei corsisti una lucida consapevolezza riguardo al grado di capacità possedute. Tre sono le aree di intervento: conoscenze, relazioni e sviluppo personale, come può evincersi dalla tavola 1. Tavola 1. – Aree di intervento Fonte: Casini, P., 2009, Master Engineering in Management, p. 5, www.eng.it. Rispetto alla metodologia utilizzata, si ricorre alle lezioni in aula, ai workshop, a testimonianze ed ad altre modalità meno tradizionali come i momenti conviviali, caratterizzati da uno stile più informale. Nell’arco di 12 mesi, vengono proposti 9 moduli formativi, della durata di tre giorni ciascuno, concentrati nei fine settimana294. Agli incontri, svolti in plenaria, in aule parallele o in sessioni separate, prendono parte a turno, come insegnanti, docenti universitari, professionisti, responsabili e specialisti delle direzioni aziendali. Le tre aree di intervento, a loro volta, si articolano in maniera più dettagliata affrontando temi quali il rapporto tra economia, organizzazione e politica – cui vengono destinate ben due sessioni –, il self empowerment, la lettura dei bilanci economici, l’intelligenza e la consapevolezza emotive, la gestione delle risorse umane, con specifico riferimento alla loro selezione e valutazione, senza trascurare problematiche riguardanti il parlare in pubblico, la leadership e l’innovazione tecnologica. La frequenza al modulo riguardante gli Scenari macroeconomici, tra politica e organizzazione, fornisce un quadro generale riguardo ai 294 Per l’anno 2009/2010, i corsi sono previsti il giovedì, il venerdì e il sabato. 210 mutamenti geoeconomici e geopolitici su scala globale, con esplicito riferimento alla posizione occupata dall’Italia nel contesto internazionale. Di seguito, vengono illustrati e discussi i più importanti modelli di organizzazione aziendale, enfatizzando i punti di forza e di debolezza di ognuno di essi e comparando le realtà incentrate sulla divisione funzionale con quelle che adottano, invece, una prospettiva divisionale, tipiche delle aziende che presentano un più alto grado di differenziazione e dinamismo. In terzo luogo, si studiano i cambiamenti introdotti nella società post-moderna dall’avvento del web sui processi di produzione e di erogazione dei servizi. Il laboratorio di self-empowerment ha il compito di offrire ai manager stimoli e strumenti per attivare il loro potenziale, incrementare le capacità personali, le energie e la motivazione. Chi lo frequenta, viene abituato a compiere una sorta di “autoanalisi”, grazie alla quale dovrebbero emergere proprio le sue potenzialità, da utilizzare nel mondo del lavoro ma anche nella vita quotidiana. Attraverso il self-empowerment, inoltre, il manager è chiamato ad infondere nei propri collaboratori quanto ha capitalizzato nel corso del master. Il modulo di Tecniche di lettura e Analisi di Bilancio, com’è naturale, dota il corsista dei mezzi necessari per comprendere la struttura e la logica del bilancio di esercizio e di quello consolidato, ma si preoccupa pure di abituare le persone a “leggere tra le righe” un documento che, troppo spesso, viene consultato meccanicamente, senza il giusto livello di riflessione. Le indicazioni che se ne ricavano, di tipo sia quantitativo sia qualitativo, sono infatti indispensabili per coloro che debbono prendere decisioni, soprattutto se di ordine strategico. La scuola Enrico Della Valle, argomenta il suo direttore Pieraldo Casini, non trascura nemmeno l’intelligenza e la consapevolezza emotive, che mirano ad «introdurre il sistema degli affetti e il sistema della ragione e le relazioni tra di essi, [a] mettere in luce la vita affettiva nelle organizzazioni, [a] sviluppare […] la valorizzazione di emozioni e sentimenti, riconoscendoli come risorsa nelle relazioni personali» (Id., p. 12). Il tema in questione, che si traduce nella capacità di controllare i sentimenti propri e quelli altrui, si articola secondo alcune direttrici ben codificate dagli operatori del settore: consapevolezza di sé, autodominio, scoperta di ciò che spinge davvero all’azione, empatia – la capacità che consente di entrare in sintonia con gli altri – e abilità sociali, che consentono di interagire positivamente con gli altri (Goleman, 1996). Il corso è strettamente connesso con lo step dedicato alla gestione delle risorse umane, dove i “talenti” imparano a valutarle e a selezionarle, interiorizzando le best practices relative ai metodi e alle tecniche di comunicazione manageriale e di gestione dei collaboratori, unitamente agli strumenti operativi utili alla somministrazione di colloqui con il personale medesimo. Completano il master un laboratorio di public speaking, un approfondimento sull’innovazione tecnologica ed un altro su Leadership e 211 complessità. Il primo si sofferma intorno alle strategie per rinforzare le capacità di parlare in pubblico, superando eventuali “blocchi”, sorti a causa dell’eccessiva emotività che potrebbe venirsi a creare. Il secondo – davvero irrinunciabile per un’impresa attiva nell’Information and Communication Technology – ha il fine di illustrare i trend evolutivi del settore ICT. L’ultimo – conclude Pieraldo Casini – vuole «trasferire il concetto di complessità come “visione del mondo” nelle sue diverse articolazioni […], individuare il livello di complessità più adatto all’interpretazione della propria identità personale, trasferire le interpretazioni alternative di Leadership e di Complessità e stabilire relazioni tra i due concetti» (Casini, 2009, p. 16). 11.7 Un importante contributo alla sostenibilità ambientale: il centro di Point Saint Martin Engineering Ingegneria Informatica è un’azienda che presenta almeno un altro aspetto degno di nota, questa volta sotto il profilo della sostenibilità ambientale. Infatti, è notevole il suo impegno nel campo delle politiche di Green IT, cioè nello «studio e [nel]la pratica di progettazione, utilizzo e smaltimento di computer, server e sottosistemi associati – quali monitor, stampanti, dispositivi di archiviazione, reti e sistemi di comunicazione – in modo efficiente ed efficace con il minimo o nullo impatto ambientale –, [nel tentativo di] raggiungere la redditività economica e migliori prestazioni del sistema e del suo utilizzo, rispettando al contempo le responsabilità sociali ed etiche» (Buonora, 2009, p. 5). Se è vero, purtroppo, che pochi degli obiettivi del Green IT sono effettivamente misurabili, secondo gli esperti – nel senso che non esiste una formale certificazione attestante lo stesso comportamento green da parte di un’impresa –, risulta altresì chiaro che esso produce un risparmio, in termini economici ed energetici, stimabile entro un range compreso tra il 20% ed il 50%, con la conseguente riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. A Pont Saint Martin, un paese di 4.000 abitanti della Valle D’Aosta, sito alla confluenza del Lys e della Dora Baltea, Engineering ha allestito un data center, una struttura costituita da sistemi di elaborazione, archiviazione e telecomunicazione. Il suo compito è quello di garantire alla piattaforma informatica una corretta alimentazione, dal punto di vista elettrico, mantenendo le condizioni di temperatura adatte perché l’impianto possa funzionare correttamente. Il centro di Pont Saint Martin è stato creato per erogare servizi di outsourcing, in Italia e in Europa, con una copertura di 365 giorni l’anno. La realizzazione appare piuttosto imponente, visto che occupa 12.000 mq ed è provvista di una centrale di conversione elettrica, di una centrale termica ed di un impianto di refrigerazione autonomi, che esprimono un fabbisogno di circa 4,2 GWh ogni anno. Per 212 ridurre i consumi di raffreddamento si è ricorso alle tecniche di free-cooling, termine di origine anglosassone con cui si designa un meccanismo che sfrutta la temperatura ambiente per raggiungere lo scopo, senza l’ausilio di macchine, evitando il surriscaldamento delle sale computer e delle aree tecnologiche. Per far sì che il calore prodotto dai sistemi non venga disperso, poi, lo si convoglia per riscaldare gli uffici. Attualmente, esistono tre refrigeratori: «uno è sempre funzionante a pieno carico 24 ore al giorno tutto l’anno, compreso il periodo invernale, uno viene avviato solo in periodo estivo quando, oltre alla richiesta di smaltimento di calore nel centro di calcolo, si ha anche la richiesta di raffrescamento degli uffici, mentre il terzo […] è sempre in stand-by per ogni tipo di emergenza» (Id., p. 11). Per apportare ulteriori migliorie, sono in fase di avanzata valutazione dei progetti volti all’incremento del COP, acronimo di Coefficient of Performance295. In sostanza, s’intende mantenere la situazione attuale con spese energetiche più modeste e costi di investimento più vantaggiosi. Concretamente, l’impegno verrebbe profuso nel modificare il marchingegno di raffreddamento dell’acqua che giunge al condensatore, giacché lì sono state individuate le maggiori inefficienze. Una seconda linea d’azione percorrerebbe la via dello sfruttamento delle fonti rinnovabili, nell’ottica della produzione autonoma di energia elettrica. Il centro di Pont Saint Martin, come si è già ricordato, ha una centrale capace di convertire l’energia elettrica ad alta tensione in corrente, che può essere utilizzata nei processi aziendali. In tal senso, i progetti della Direzione Ricerca e Innnovazione, anche se implementati, non sarebbero comunque sufficienti per produrre i 4,2 GWh richiesti e, di conseguenza, servirebbero soltanto per integrare le fonti di energia tradizionali. Ciononostante, si tratterebbe di un passo in avanti assai significativo. Le risorse verrebbero impiegate nella realizzazione di impianti in grado di sfruttare l’energia eolica e quella fotovoltaica. Quanto alla prima iniziativa, bisogna precisare che la Valle d’Aosta non appartiene ad un’area geografica particolarmente favorita, visto che i dati forniti dall’atlante del vento non sono molto incoraggianti. Per funzionare a dovere, in effetti, i generatori eolici necessiterebbero di condizioni di stabilità dei venti, in termini di direzione, intensità e continuità. Un generatore tradizionale, ad esempio, per attivarsi richiede una velocità minima (del vento) non inferiore ai 3-5m/s. Il luogo ideale per il suo impianto, quindi, sarebbe una superficie lineare e pianeggiante o, in alternativa, un litorale costiero. Considerando la conformazione valliva valdostana, quindi, un’iniziativa del genere pare quantomeno improbabile, tenuto conto anche delle modifiche paesaggistiche che l’operazione produrrebbe e delle prevedibili proteste da parte della cittadinanza, benché i tecnici di Engineering non l’abbiano ancora del tutto scartata. 295 Coefficiente di prestazione. 213 Dal quadro tratteggiato fin qui deriva che, la maggior parte delle speranze, poggia sulla valorizzazione dell’energia fotovoltaica. La percorribilità di quest’opzione è seriamente presa in considerazione dai vertici aziendali, poiché, nell’ambito suddetto, le tecnologie sono sensibilmente più efficienti rispetto al passato e per le vantaggiose tariffe statali, che, dal 2007, insieme alle incentivazioni renderebbero l’operazione veramente appetibile. L’uso del fotovoltaico, tra l’altro, non garantirebbe soltanto guadagni di tipo economico. Oltre che una fonte di reddito, esso contribuirebbe alla salvaguardia ambientale, perché minore sarebbe la necessità di bruciare energia nelle centrali termoelettriche. Tavola 2. – Pianta del Data Center di Pont Saint Martin, con il previsto posizionamento degli impianti fotovoltaici. Fonte: Buonora, 2009, p. 17. La Tavola 2 mostra l’allocazione dei pannelli solari, istallati su delle pensiline che coprono parzialmente il parcheggio e sul terrazzo della struttura. I due impianti, nell’insieme, non riuscirebbero a produrre i 4,2 GWh ogni anno, per i limiti di estensione del sito e la sua esposizione all’ombra. In ogni caso, l’investimento sembra avere molti vantaggi. I moduli fotovoltaici montati nell’area parcheggio garantirebbero un quantitativo di energia pari a 146.866 kWh stimati l’anno. 214 Ci vorrebbero poco più di 5 anni per ammortizzare i costi, ma gli incentivi rimarrebbero in vigore per 20. A ciò, si aggiungerebbero i benefici provenienti dal contratto di scambio sul posto296 o di cessione in rete297. La struttura posta sul terrazzo è di dimensioni più ridotte e produrrebbe, nello stesso arco temporale, 36.261 kWh/anno e sarebbero necessari meno di 365 per ammortizzare i costi. A conti fatti, la potenza dei due impianti raggiungerebbe i 183.127 kWh/anno. I due progetti «recherebbero al Data Center di Pont-Saint-Martin un risparmio energetico di circa 1 GWh, ossia quasi il 24% del suo fabbisogno complessivo» (Id., p. 22). In termini di impatto ambientale, tuttavia, si risparmierebbero annualmente 40,29 TEP298 e 105,3 tonnellate di anidride carbonica non verrebbero immesse nell’atmosfera. 11.8 “Dicono di noi”: il punto di vista dei clienti. Il cliente tipo di Engineering è solito sottolineare la vicinanza dell’azienda nei confronti del cliente. Maria Adinolfi, per esempio, già responsabile della divisione Organizzazione e Informatica della Regione Campania, ricorda che, nel 2001, l’Ente locale presso cui lavorava indisse una gara per la realizzazione di un portale generalista. L’azienda di Michele Cinaglia se l’aggiudicò, anche se non poche furono le difficoltà incontrate lungo il percorso: «il portale, alla sua prima uscita, era deludente. Non funzionava, era anonimo, non era stato progettato per noi, non rispecchiava le nostre esigenze. Natale Di Giovanna (il responsabile della filiale Engineering di Napoli) fu messo in croce, divenne il terminale di ogni nostra critica» (Melideo, 2005, p. 117). Poi, la cosa andò a buon fine, perché le parti trovarono un accordo. Ma i problemi non cessarono, dal momento che il personale non era abituato ad interagire con il nuovo “prodotto”; forse, lo riteneva uno strumento inutile. Engineering, portato a termine il compito assegnatogli, avrebbe potuto lasciar perdere il seguito. Il fondo, l’obiettivo era stato raggiunto, dal suo punto di vista. Ciononostante, accettò di assistere chi avrebbe dovuto utilizzarlo, formando ad una ad una le persone interessate. Che non si fosse trattato solo di una strategia di marketing, fu chiaro quando la Regione bandì un concorso per assumere un certo numero di profili professionali. Si decise che la gestione delle candidature sarebbe passata interamente attraverso il portale. Così, venne chiesta ad Engineering un’assistenza a 360°. Non si 296 Dal 1 gennaio 2009, il nuovo regime di Scambio sul Posto individua in GSE S.p.A. (Gestore dei Servizi Elettrici), il solo attore preposto all’erogazione dello stesso. Pertanto, il servizio di GSE consente al richiedente di ottenere annualmente un contributo in conto scambio, quantificato in euro e non più in KWh. In altri termini, c’è un riconoscimento “alla pari” tra l’energia acquistata dalla rete e quella ceduta in rete, conteggiate dai relativi contatori. Detto scambio, è possibile attraverso il rimborso delle cifre già pagate per le bollette. 297 Con la Cessione in rete, l’energia in eccesso ceduta viene remunerata a prezzi più alti rispetto a quelli di mercato, dal momento che essa deriva da fonti di energia rinnovabili. 298 La TEP è un’unità di misura di energia che sta ad indicare la tonnellata equivalente di petrolio. 215 trattava più di realizzare un software dedicato; bisognava coinvolgere i dipendenti campani e coloro che avevano presentato domanda per ottenere il posto di lavoro in un’operazione complessa. Le candidature stesse, però, erano ben 700.000 e i promotori dell’iniziativa temettero di non riuscire nell’impresa. Invece, il processo si svolse senza intoppi, dalla protocollazione della richieste alla fornitura dei test, dalla valutazione alla pubblicazione degli esiti. La vicinanza al cliente è ribadita anche da Rossano Bagnai che, verso la metà degli anni Novanta, era vicedirettore generale del Monte dei Paschi di Siena. Tra il 1995 ed il 1996, l’istituto di credito si trovò nella necessità di modificare le procedure di gestione dei titoli. Che fare? Tra le due alternative possibili – servirsi di Engineering, con cui la banca aveva lavorato fino a quel momento, o rivolgersi ad altri –, si optò per la seconda. Il gruppo di Cinaglia e Amodeo “accusò il colpo senza fare una piega”; anzi, si offrì di integrare il nuovo sistema con quelli già esistenti, visto che li aveva progettati e implementati. Maurizio Bruschi, a suo tempo dirigente generale dello Stato, offre un’altra testimonianza in tal senso, per quanto datata, nella sua veste di Direttore Centrale Finanza Locale. Dopo una serie di collaborazioni di secondaria importanza, Bruschi si rivolse ad Engineering perché curasse la gestione informatizzata delle procedure relative al personale della Polizia di Stato299. Nel suddetto frangente, egli apprezzò «la volontà di conoscere il cliente, il suo profilo, la sua organizzazione, i suoi fabbisogni, le persone, i rapporti, prima ancora di elaborare un’offerta, di pensare all’affare» (Id., p. 135). La società alla quale si era affidato gli sembrò seria, concreta e affidabile. Tuttavia, Bruschi non evitò di esprimere qualche rilievo critico, anche piuttosto importante, sottolineando la scarsa attenzione mostrata nei confronti della Pubblica Amministrazione: Engineering non s’impegnava a conoscerla “dal di dentro”, non ne studiava le dinamiche e le linee di tendenza; pareva muoversi come se la PA non costituisse un mercato strategico, che andava continuamente sollecitato. L’atteggiamento passivo lo sorprese; se ci si poteva aspettare un contegno del genere da molti tra i principali attori ICT, non era ammissibile che tra questi figurasse Engineering, «visto il suo culto del cliente» (Id., p. 137). Chi vuol essere leader in questo mercato, chiosava Bruschi, non può limitarsi ad attendere un bando. Per lui, la realtà considerata era espressione di un modello patriarcal-padronale, una «mirabile macchina per vincere le gare» (Ibid.), ma un protagonista non certo innovativo. Infatti, «c’è stato un momento, all’inizio degli anni ’90, in cui Engineering ha rischiato di grosso: internet cominciava ad affermarsi e loro si attardavano ancora sul COBOL, e ne andavano fieri. Hanno corso il rischio di perdere il treno. Poi hanno recuperato». [Senza contare che l’azienda è stata assente] dal progetto sulle impronte digitali e un’altra occasione non colta è stata quella della carta di identità elettronica» (Id., p. 138). 299 Era la metà degli anni Ottanta. 216 Si tratta di un giudizio assai severo, specie se riferito ad un’azienda che afferma esplicitamente di distinguersi dalle altre per il proprio approccio innovativo. La stessa debolezza, tra l’altro, è stata notata almeno da un secondo testimone, Romano De Carlo, manager di Banca Intesa all’inizio di quest’ultimo decennio. De Carlo è approdato a Banca Intesa nel bel mezzo del processo di fusione degli istituti che l’avrebbero poi costituita: Ambroveneto, Cariplo e COMIT. Engineering, in precedenza, aveva collaborato con tutte e tre e la continuazione del rapporto non era stata difficile nemmeno con il nuovo soggetto, poiché il gruppo di Michele Cinaglia aveva acquisito il 100% delle azioni di Caridata S.p.A., società partecipata per il 60% dalla stessa Intesa, la quale gliel’aveva ceduta con i suoi 250 dipendenti. Quali furono le impressioni di De Carlo? Engineering si configurava, a suo avviso, alla stregua di un’azienda ben gestita, di tipo padronale, anche se non del tutto, perché «i padroni sono due, e sempre gli stessi da molti anni, e che due padroni possano aver collaborato così a lungo è davvero fuori dell’ordinario. Ed è ancor più fuori dell’ordinario il fatto che il duo continui a funzionare, […] senza sostanziali cambiamenti anche dopo la quotazione in borsa» (Id., p. 142). Il dirigente apprezzava anche la capacità di muoversi con tempestività: non erano necessarie lunghe riunioni; con due o tre telefonate, si capiva se l’affare meritava oppure no (Ibid.), enfatizzando insieme la centralità del meccanismo della delega, di cui si è già detto nelle pagine precedenti. Prova ne è, per De Carlo, la decisione di assumere, in qualità di direttore generale, Paolo Pandozy, un professionista di spessore e non uno dei numerosi yes men che spesso si trovano nel mondo dell’imprenditoria (Id., p. 143). D’altro canto, di fronte alla fatidica domanda: “Engineering è un gruppo innovativo?”, anch’egli rispose testualmente: «Non direi. È, piuttosto, una società che brilla per il fatto di saper combinare capacità specialistiche all’interno di una più ampia capacità gestionale» (Ibid.). 11.9 Engineering tra passato e futuro. Si tratta davvero di un gruppo scarsamente innovativo, come hanno affermato alcuni importanti clienti? Secondo Pieraldo Casini, direttore della scuola di formazione Della Valle, è probabile che giudizi così drastici abbiano una spiegazione più semplice di quanto possa sembrare: «Se hanno detto così, forse, è perché avevano bisogno di servizi di tipo tradizionale, come spesso accade. Engineering, naturalmente, offre anche questo. Con la system integration e l’outsourcing, però, dove il cliente stesso è seguito nel dettaglio dall’azienda, l’innovazione è inevitabile. È vero, piuttosto, che il gruppo non cavalca le mode, non sale con troppa fretta sul “carro delle novità”, ma 217 preferisce attendere, per capire davvero se è il caso di fare un investimento»300. Ciò lo ha portato a correre qualche rischio. Quando si è trattato di convogliare energie e risorse sul “fenomeno internet”, Enginering si è mossa con molta cautela. All’inizio, pochi avrebbero davvero potuto immaginare gli sviluppi futuri della vicenda. Così, aggiunge Pieraldo Casini, «l’azienda di cui faccio parte preferisce dedicarsi a business che abbiano un certo livello di consolidamento. Chi parte in ritardo, potrebbe perdere il treno. A volte succede. Non mi sembra, però, che il tempo abbia penalizzato la nostra politica. Engineering è una realtà solida, una delle più rilevanti nell’ICT italiano». La sfida che l’aspetta, oggi, è quella dell’internazionalizzazione, con cui si è cominciato a fare i conti tre anni fa, con l’acquisizione di Atos Origin Italia. Origin è stata la rampa di lancio per lanciarsi sul mercato estero. Quand’era ancora la filiale italiana della nota multinazionale, infatti, essa si occupava in particolare di clienti del nostro Paese residenti al di fuori dei confini nazionali. Tra questi, ricordiamo FIAT, Whirlpool e Telecom – per ricordare i nomi più noti. Il fatturato proveniente dagli affari condotti in Europa e nel mondo, attualmente, incide per il 10%, sull’ammontare dei ricavi. Prima dell’acquisizione, però, quella percentuale era pressoché nulla. La sfida va affrontata senza grandi rivoluzioni: «Basta essere Engineering, conclude Casini, fronteggiando i grandi cambiamenti che ci attendono senza mutare i tratti che ci hanno sempre contraddistinto: pragmatismo, determinazione, autonomia e forza commerciale». L’azienda funziona, realizza profitti, evidenzia ancora margini di crescita, specie a livello internazionale. Al momento, è difficile trovare veri punti critici. I suoi due leader, Cinaglia e Amodeo, pur avendo superato i 70 anni d’età, partecipano in prima persona, prendono decisioni strategiche, si sentono giovani, come dice il direttore della scuola ICT, nella mente e nel corpo. Anche i problemi della leadership e della successione, par di capire, per ora possono aspettare… 300 Intervista con Pieraldo Casini, direttore della scuola di formazione Enrico Della Valle. 218 Capitolo XII Il caso Ferrero 12.1 Profilo sintetico dell’impresa Ferrero S.p.A. è uno dei più importanti gruppi del mondo attivi nel settore dolciario. Per la precisione, esso può contare, in termini di fatturato, su una posizione che lo colloca al quarto posto dopo Nestlé, Kraft, Foods e Mars. Al 31 agosto 2009, i ricavi raggiungevano i 6,35 miliardi di euro, mentre l’utile netto si attestava intorno ai 508 milioni. Per raggiungere risultati di simili proporzioni, sono state impiegate più di 21.500 persone, utilizzando varie tipologie contrattuali: dal tempo indeterminato a quello determinato, per finire con la collaborazione stagionale. Con investimenti assai cospicui in Advertising e con prodotti che eccellono per il loro grado di freschezza, la holding italiana, che possiede stabilimenti in tutti i Continenti, è riuscita a collocarsi sempre in una posizione dominante, rispetto al suo mercato di riferimento. Laddove la concorrenza si mostra particolarmente agguerrita, è stato il Marketing a fare la differenza, attraverso la creazione di prodotti/brand assai innovativi, capaci di generare nuovi bisogni e di aprire al grande pubblico nuove aree di consumo. 12.2 La storia Le origini di Ferrero si radicano nella prima metà del Novecento. Tutto ebbe inizio a partire da Pietro Ferrero, il capostipite, il vero iniziatore di un’attività, la quale presto avrebbe raggiunto dimensioni che sarebbero andate ben al di là dei confini nazionali. Nell’imminenza del secondo conflitto mondiale, Pietro si era trasferito a Torino, in pieno centro, dove aveva aperto una pasticceria. Tuttavia, gli esiti della guerra lo obbligarono a riparare altrove; così, stabilì la propria residenza nella vicina Alba. Qui, la moglie Piera era stata incaricata della gestione di un’altra pasticceria, l’assai rinomata Biffi, mentre lui aveva aperto un laboratorio – sempre nell’ambito dolciario –, che lo vedeva impegnato non solo nella produzione, ma anche nel tentativo di “inventare” qualcosa di nuovo, che potesse incontrare il favore dei clienti. Nel 1946, Pietro iniziò a commercializzare la sua prima creazione, la Pasta Gianduja, meglio conosciuta come Giandujot. In tempi difficili, si trattava di coniugare le limitate disponibilità economiche della gente con un preparato a base di cioccolato, che costasse poco, ma fosse buono. Perciò, aggiunse le nocciole macinate, presenti in grande quantità in Piemonte. La crema Giandujot, all’inizio, venne confezionata in panetti, avvolti nella carta stagnola, pronti per essere tagliati a fette. 219 Successivamente, si decise di commercializzarla in barattoli di vetro, vista la tendenza a sciogliersi con grande facilità. Nel 1946, Pietro ne produsse solo alcuni chili da vendere ai negozianti di Alba. La voce si diffuse velocemente e la richiesta di crema crebbe in maniera esponenziale. Così, il suo ideatore fu “costretto” sia ad incrementare il livello di produzione sia ad avvalersi della collaborazione di nuovi dipendenti. In quello stesso anno, nacque ufficialmente Ferrero, con tanto d’iscrizione alla Camera di Commercio. Ci lavoravano una cinquantina di persone, ma si potevano intravvedere ulteriori sviluppi, in termini di assunzioni. In seguito, infatti, ci fu un nuovo trasferimento in uno stabilimento più grande. Il braccio destro di Pietro, suo fratello Giovanni, contribuì alla crescita dell’impresa specie da un punto di vista organizzativo. Si racconta che, negli anni Quaranta, «Un giorno [egli] [capitò] a Milano con un furgone carico di qualche quintale di pasta Gianduja destinata ad un grossista. Il magazzino nel quale si [doveva] scaricare [era] chiuso ed il suo camioncino [venne] circondato da una folla di persone desiderose di comprare il prodotto: in breve tempo, [smaltì] tutta la partita. L’avventura milanese gli [suggerì] l’idea di saltare i grossisti e di vendere […] direttamente ai negozianti risparmiando, in questo modo, le spese di distribuzione ed utilizzando automezzi propri come agenti pubblicitari»301. Per venire incontro ai singoli clienti, nel 1948 si provvide alla commercializzazione della confezione monodose di Gianduja, il Cremino. L’aver inaugurato la vendita al dettaglio non fu un particolare secondario, giacché, in quel periodo, dalla fabbrica uscirono ben 3.000 chili di pasta. L’attenzione dei Ferrero si concentrò quindi sulla creazione di una propria rete distributiva, per mezzo di furgoncini, fino a raggiungere le 250 unità, per garantire la tempestività nelle consegne e la freschezza dei prodotti, che dovevano arrivare a destinazione intatti, senza risentire minimamente degli effetti del trasporto. In seguito302, si decise di compiere un altro grande passo, superando i confini nazionali, con l’inaugurazione di uno stabilimento ad Allendorf303, in Germania. Il mercato tedesco venne dapprima affrontato con una certa cautela, poiché si pensò di prendervi parte dapprima con un solo prodotto, la Cremalba304. Poi, visti gli ottimi risultati conseguiti, venne lanciato anche Mon Chéri305. Nel 1957 – una data decisamente importante per l’impresa di famiglia 301 www.ferrero.it. Nel 1956. 303 Allendorf è a 150 chilometri da Francoforte. 304 La Crema Alba è un preparato a base di grassi vegetali, zucchero, latte e aromi per ammorbidire il cioccolato. Viene usata anche per la fabbricazione dei cioccolatini. 305 Mon Chéri è un cioccolatino ripieno di ciliegia, bagnata nel liquore. Il frutto proviene da Fundão, una zona rurale del Portogallo. Ogni anno, gli approvvigionamenti di ciliegie da parte di Ferrero si attestano intorno alle 150.000 tonnellate. Va ricordato che, nel mercato sudamericano, il prodotto è sensibilmente differente, poiché il ripieno è di nocciole e non di liquore. 302 220 –, morì Giovanni Ferrero e le redini dell’azienda furono prese dal nipote Michele, che ne ereditò l’attenzione per l’organizzazione commerciale, unitamente al talento creativo del padre. Nonostante le dimensioni ormai raggiunte, Michele riuscì a sintetizzare abilmente tradizione e innovazione: da un lato, mantenendo l’antico spirito artigiano votato all’eccellenza – assaggiava personalmente i nuovi prodotti –; dall’altro, per crescere non rinunciava all’impiego di sofisticate tecnologie e di macchinari all’avanguardia. I tempi, intanto, erano maturi per dare nuovo impulso al processo di internazionalizzazione. Nel 1960, nacque Ferrero Francia, cui fece seguito Ferrero Belgio. Il consistente sviluppo della rete vendite consentì di aprire delle sedi in Olanda, in Lussemburgo, in Gran Bretagna, Austria, Danimarca, Svezia e Svizzera. L’investimento a 360 gradi nel Vecchio Continente pose il problema di una diversa educazione al gusto. Non tutti possedevano le stesse abitudini alimentari ed era necessario prenderne atto, per studiarne i risvolti più minuti, in modo da soddisfare le esigenze dei consumatori stranieri. Il programma di espansione riguardò pure l’Italia. Si aprì una sede a Pozzuolo Martesana, nei pressi di Milano, dove veniva lavorata Brioss, il primo dei prodotti “da forno” di Ferrero. Un secondo sito vide la luce ad Avellino, per il trattamento delle nocciole. Infine, viva fu l’esigenza di costruire un centro direzionale più moderno, che nacque a Pino Torinese306, nel 1964. Proprio nel 1964 – è doveroso ricordarlo, almeno en passant –, l’Imprenditore reinvestì pesantemente sul cioccolato: così, tutti conobbero Nutella. Era la fase del baby boom e il relativo benessere della popolazione rendeva quest’ultima più propensa ai consumi. Allora, Michele Ferrero propose, nel 1968, Kinder Cioccolato, un marchio che successivamente avrebbe portato all’istituzione, nel 1974, di una linea di prodotti alimentari espressamente dedicati ai ragazzi: Kinder Division. L’impegno nei confronti dei giovanissimi, peraltro, non impedì alla proprietà di mostrare la dovuta sollecitudine verso gli adolescenti e gli adulti, con la commercializzazione di Pocket Coffee307, delle mentine Tic Tac e del dissetante Estathé. Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, la parola-chiave fu ancora “internazionalizzazione”. Al 1969, risale l’inaugurazione di Ferrero Usa, seguita da una serie di società commerciali in Canada, America Latina, Australia e Sud-Est asiatico. Tutti i Continenti vennero praticamente rappresentati. Con la massiccia espansione e la conseguente lievitazione del fatturato, si mise a punto una precisa strategia, che consisteva nel presentare ai clienti i singoli prodotti come se fossero delle “imprese” «a sé stanti. […]. La scelta di un nuovo marchio, infatti, 306 307 Pino Torinese è un Comune di circa 8.600 abitanti, sito in Provincia di Torino. Cioccolatini al latte, ripieni di caffè. 221 consente di valorizzare al massimo il prodotto [medesimo] e permette di instaurare un rapporto di fiducia con il consumatore, destinato a durare nel tempo»308. Dopo la caduta del Muro di Berlino, si sono aperte le porte dell’Europa dell’Est e Ferrero si è insediata in Polonia, in Ungheria e nella Repubblica Ceca. Al vertice dell’azienda, si è dato luogo ad importanti cambiamenti: Pietro e Giovanni Ferrero, figli di Michele, sono diventati Chief Executive Officers (CEO) di Ferrero International, la holding del Gruppo che ha sede in Lussemburgo. I grandi mutamenti in atto, però, non hanno impedito che questo continuasse a considerarsi una “grande famiglia”. Se ne ha una testimonianza concreta in occasione della spaventosa alluvione del 1994. Era il mese di novembre e venne colpito anche lo stabilimento di Alba. Si dovette arrestare la produzione – com’era già successo nel 1948 –, ma i dipendenti – pure coloro le cui abitazioni avevano subito danni ingenti – decisero di rimanere al fianco di Michele Ferrero, dotandosi di vanghe e strumenti di fortuna, per liberare la sede dai detriti portati dall’inondazione e riavviare il processo produttivo dopo sole due settimane. 12.3 I numeri e l’organizzazione I numeri di Ferrero, a livello mondiale, pongono in gruppo omonimo in una posizione di assoluto rilievo, dal punto di vista del fatturato consolidato. Con riferimento al 31 agosto 2009309, esso ha raggiunto i 6,35 miliardi di euro, registrando un utile netto di 508 milioni. Per conseguire un profitto così ingente, sono state impiegate 21.555 persone310, con una sensibile prevalenza degli uomini (56%) sulle donne (44%)311. Data la centralità della funzione produttiva, poi, la percentuale più ampia dei dipendenti è costituita dagli operai, come mostra la tabella 1. Tabella 1. – Suddivisione dei dipendenti per funzione. Valori assoluti e percentuali. Anno 2008/2009 Funzione Valore assoluto Valore percentuale Operai 12.993 60% Impiegati 6.067 28% Quadri e funzionari 1.724 8% 771 4% Dirigenti Fonte: Ferrero, Responsabilità sociale d’impresa, rapporto 2008/2009, “ Condividere valori per creare valore”, p.40. 308 www.ferrero.it. I dati si riferiscono al Bilancio consolidato 2008-2009. 310 Al 31 agosto dell’anno precedente, le unità erano 21.625. 311 Gli uomini erano 12.069 e le donne 9.486. L’83% del personale Ferrero lavorava in Europa. 309 222 Seguono gli impiegati, i quadri e i funzionari e i dirigenti. Quanto alla tipologia contrattuale, prevale nettamente il rapporto subordinato a tempo indeterminato, che interessa ben 17.460 persone, cioè l’81%, come mostrato dal grafico seguente: Fonte: www.ferrero.it Il tempo determinato, che comunque raggiunge la soglia del 7%, è meno utilizzato rispetto allo stagionale, che coinvolge ben l’11% della popolazione lavorativa. Trattandosi di prodotti freschi, da consumare tassativamente entro la data di scadenza prefissata, Ferrero necessita di personale da impiegare in maniera intensiva soprattutto in alcuni momenti dell’anno, in corrispondenza della raccolta e del trattamento degli stessi312. Dal punto di vista organizzativo, Ferrero si è contraddistinta, fin dalla nascita, per la presenza di una proprietà di tipo familiare e per una progressiva e capillare diffusione, avvenuta in molti dei Paesi dove i suoi articoli sono commercializzati. All’agosto 2009, il Gruppo era costituito da una settantina di società, controllate da Ferrero International S.A., la holding con sede in Lussemburgo, giuridicamente identificabile come una société anonyme. Rispetto ai processi direzionali e di controllo (corporate governance), il modello di riferimento è di tipo tradizionale. I centri pulsanti e i luoghi di decisione sono concentrati nelle mani del Consiglio di Amministrazione313 e dell’Assemblea. il CDA si avvale dell’ausilio di comitati gestionali e di una rete di comitati di audit, 312 I contratti stagionali vengono anche stipulati con coloro che si occupano del confezionamento dei prodotti, in particolari periodi dell’anno – come le festività –, che richiedono un surplus di manodopera. 313 Il Presidente del CDA non ha un ruolo esecutivo. 223 strutture deputate all’analisi e alla revisione dell’attività professionale, con l’obiettivo di valutare l’operato delle realtà del Gruppo stesso. Insediati a livello centrale e locale – e costituiti da esperti perlopiù esterni a Ferrero –, essi esercitano altresì un’azione di consulenza e formulano proposte in relazione ai sistemi di controllo interno, ma insieme si occupano del monitoraggio relativo ai processi di formazione e revisione del bilancio – individuale e consolidato – della multinazionale italiana. Va poi ricordato il Career and Remuneration Committee, organismo il cui compito è fissare le linee guida della politica retributiva dei Top Manager, ipotizzare piani di sviluppo e di carriera per queste figure e studiare strategie concernenti le relazioni con il personale314. 12.4 Missione, visione e strategia La mission di Ferrero è quella di garantire prodotti freschi di altissima qualità, preparati con cura artigianale ed ottenuti attraverso un’accurata selezione delle materie prime. L’azienda piemontese si colloca attualmente al quarto posto, per fatturato, fra le industrie dolciarie nel mondo, dopo Nestlé, Kraft Foods e Mars. All’origine del successo, secondo Michele Ferrero, vi è un fattore assai importante: la dedizione delle persone che lo circondano, capaci di assicurare al Gruppo un avvenire in linea con i risultati attualmente maturati. «La Ferrero ha al suo interno un patrimonio di risorse che le consente di superare le difficoltà e di proseguire il suo cammino verso un futuro di solidità e di crescita. Sono risorse che derivano dalla forza dei suoi prodotti e dallo spirito che unisce tutti i collaboratori. (...). Siate quindi fiduciosi, continuate con serenità a dare il vostro impegno con quello spirito di lealtà, coscienza professionale e dedizione che ha sempre caratterizzato la vostra azione: è un valore inconfondibile che ha contribuito al raggiungimento dei nostri successi nel passato e che sarà un fattore determinante per assicurare il nostro avvenire» (Michele Ferrero)315. Del resto, Ferrero è uno dei pochi players italiani che può vantare una brand equity a livello internazionale. Se, infatti, il marchio rappresenta per un’azienda una risorsa intangibile, è fuor di dubbio che i consumatori gli attribuiscano talvolta un valore aggiunto, che poi ha delle ricadute notevoli in termini economico-finanziari, in grado di “fare la differenza”, a vantaggio di chi ne detiene la proprietà. Nel caso in oggetto, il discorso sulla brand equity va di pari passo con l’innovazione, dal momento che la realtà albese316 si è contraddistinta fin da principio per la ricerca Il Committee formula anche proposte di nomina dei consiglieri delle società del Gruppo. Messaggio di fine anno 2008 ai collaboratori. 316 Ferrero ha sede in Alba, in Provincia di Cuneo, mentre a Pino Torinese si trovano gli uffici direzionali. 314 315 224 di novità che potessero però affermarsi stabilmente sui mass market di riferimento, nazionali e non (Schilling, 2009, p. 368). Innovare ha sempre significato pensare e realizzare prodotti unici, all’insegna della differenziazione, per intercettare i gusti di un pubblico tanto variegato quanto esigente, diverso soprattutto per sesso e per età. Al centro del processo, si collocano la qualità e la creatività, insieme all’alto livello di know how tecnologico, che all’eccellenza unisce i prezzi concorrenziali, conferendo a Ferrero un consistente vantaggio competitivo (Ibi, p. 39). Spesso, le strategie di marketing si rivelano complesse, come dimostra l’esempio di Kinder Sorpresa, per la necessità di soddisfare contemporaneamente le richieste di figli e genitori. In ogni caso, i piani di crescita dell’azienda vengono implementati «per gradini: a ogni salto corrisponde una nuova area di consumo […]. L’ultima a essere sviluppata è stata quella delle merende fresche (Fetta al Latte, Paradiso, Pinguì)» (Ibi, p. 370). Ogni passaggio è studiato fin nei minimi dettagli, anche dal punto di vista della comunicazione. Il marchio Kinder – ecco un altro esempio – è il solo, tra quelli del Made in Italy, ad essere stato preso in considerazione da una ricerca condotta da Nielsen317, nell’azione di monitoraggio dei brand più noti dai consumatori su scala planetaria. In tutto, esso riguarda 43 aziende, di cui otto hanno la sede in Europa. La comunicazione esterna è sempre di carattere informativo; le numerose pubblicità, che compaiono sui diversi mezzi d’informazione, si propongono sic et simpliciter di “spiegare” di quali ingredienti siano costituite le merendine, la Nutella, ecc. (Brugnoli, 2008, p. 86). In tal senso, negli ultimi anni la strategia è profondamente cambiata, come ricorda Francesca Poggiali, manager del gruppo che si occupa delle relazioni con l’Unione Europea e di temi riguardanti la responsabilità sociale d’impresa: «Fino al 2000 circa, il nostro è stato un approccio “difensivo”, nel senso che ci chiedevano informazioni e noi le fornivamo puntualmente. Oggi, però, vuoi per il ricambio del personale all’interno del gruppo, vuoi per il progressivo interesse degli stakeholders nei nostri confronti, abbiamo deciso di essere proattivi – per esempio redigendo il primo rapporto CSR318 – e di non limitarci ad attendere». Per fidelizzare fanciulli e ragazzi, dal 2002 è stata introdotta Internet Surprise, una sala giochi online319, accessibile per mezzo di un “codice magico”, posto negli ovetti Ferrero. Digitando la stringa alfanumerica presente all’interno della forma di cioccolato, i giovani possono incominciare a 317 Nielsen è un istituto di ricerca, con sedi in tutto il mondo, che misura la performance di mercato dei propri clienti, ne diagnostica e risolve i problemi relativi al marketing e alle vendite, identificando le opportunità di crescita degli stessi. 318 Il primo (e unico) rapporto sulla CSR è relativo all’anno 2008/2009. 319 Il sito è addirittura consultabile in 9 lingue. 225 giocare320. Il tipo di attività ludica è differente, in funzione dell’età dell’utente, ma non si protrae oltre i 20 minuti; dopodiché, si interrompe, per evitare che i minori ne approfittino, passando tutto il tempo a disposizione nello svolgimento di un’attività che, alla lunga, si rivelerebbe diseducativa. Quanto alla posizione di mercato, l’azienda si colloca sempre in una posizione dominante: «In qualche [circostanza], la quota di mercato può anche essere più bassa, ma il posizionamento è talmente differenziante da rendere il prodotto leader assoluto della propria area […]. È il caso di Tic Tac, che ha una piccola quota dell’intero mercato delle caramelle, ma che in realtà detiene il 100% del proprio segmento; o di Estathé, che è leader con il 37% del mercato, ma che soprattutto detiene il 100% del segmento dei barattoli con funzione merenda» (Ibi, p. 87). Nel settore delle merendine, Ferrero si trova a competere con interlocutori di pari forza. In tal caso, però, la differenza – non potendo contare sull’unicità dei prodotti – viene fatta proprio dalle strategie di marketing. In che modo? Non – come si diceva – attraverso una gamma di articoli “indifferenziati” o anonimi, ma «[con] una sommatoria di prodotti/brand ognuno con il suo target e la sua funzione d’uso, arricchimenti promozionali, concorsi e gadget e fortissimi investimenti in Advertising. […] Nel complesso, l’offerta di Ferrero è basata sull’innovazione […], in grado di aprire grandi aree di consumo e di porre alte barriere all’ingresso alla concorrenza. Tali barriere sono costituite da tecnologia e competitività di costo» (Brugnoli, 2008, p. 87). Se si considera la comunicazione interna, grande importanza ricopre il portale my.ferrero.com, uno strumento intranet dove si condivide una serie di informazioni utili. 5.000 persone circa vi accedono regolarmente. Lì, sono visibili “i vari portali locali con [messaggi e comunicati] provenienti da aree aziendali [differenti] e a volte geograficamente lontane. Inoltre le diverse aziende del Gruppo promuovono attività, che hanno come obiettivo la comunicazione e l’informazione fra le persone. In molti Paesi, ad esempio, si utilizzano diversi mezzi di comunicazione (house organ, portali locali, blog, analisi di clima) al fine di informare le persone su ciò che accade nel Gruppo e nell’entità locale” (Ferrero, 2009, p.48). 12.5 I valori I valori cui Ferrero s’ispira sono stati formalmente raggruppati in un Codice Etico (Codice Etico, 2010), entrato in vigore il 1 gennaio 2010. Questo si propone di orientare i comportamenti di tutti i dipendenti, dagli operai al management, specie nei confronti dei consumatori. In effetti, «è […] dovere di ogni risorsa Ferrero, ovunque essa operi, rispettare non solo le leggi e i regolamenti vigenti ma anche il presente Codice Etico […], che deve essere rispettato anche dai consulenti, 320 Si veda www.magickinder.com. 226 fornitori, clienti e da chiunque abbia rapporti con Ferrero, cui verrà richiesto un esplicito impegno in tal senso» (Ibi, p. 9). Già raccolti una prima volta nel 2004, i suddetti principi possono essere sintetizzati nel modo indicato dalla Tabella 2. Tabella 2 - I valori di Ferrero Lealtà e fiducia Rispetto e responsabilità Integrità e sobrietà Passione per la ricerca e l’innovazione Fonte: www.ferrero.it. Come si è riusciti a costruire nel tempo un rapporto di fiducia con il cliente, così è necessario rivolgersi a lui, in un clima di trasparenza. I vertici dell’azienda, inoltre, ritengono che lo stesso atteggiamento – di lealtà e fiducia – debba svilupparsi intra muros, cioè tra colleghi, poiché il successo di una determinata pratica all’esterno è strettamente correlato allo stile di vita e alle abitudini consolidate nell’ambiente professionale. Ma c’è di più. Sempre sul fronte della fiducia, nel 1983 è stato costituito un ente denominato Opera Sociale, con il compito di accogliere i pensionati dell’industria dolciaria che, nel 1991321, si è trasformato nella Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero. L’istituzione, la quale ha fatto proprio il motto “lavorare, creare, donare”, da un lato ha inteso rafforzare il senso di appartenenza al Gruppo, da parte di chi si è speso per anni nel farlo progredire; dall’altro, ha intrapreso un insieme di iniziative di tipo umanitario, di cui si darà conto più avanti. Per ora, è sufficiente ricordare che la sua guida è stata affidata alla signora Maria Franca Ferrero, moglie di Michele, molto attiva in ambito sociale, filantropico, culturale ed artistico, anche oltre i confini nazionali, in favore degli anziani e dei bambini322. Dal punto di vista del rispetto e della responsabilità, Ferrero esprime chiaramente la grande ambizione di valorizzare le proprie risorse umane, favorendone la realizzazione sia sul piano personale sia lavorativo. In primis, senza attuare forme di discriminazione sul luogo di lavoro, in maniera che i medesimi rapporti si protraggano nel tempo. In seconda battuta, garantendo un 321 Per volere di Michele Ferrero. Il 14 dicembre 2005, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito la Medaglia d’oro a 26 benemeriti della scuola, della cultura, della scienza e dell’arte, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti. Tra i premiati, figurava anche Maria Franca Ferrero, in rappresentanza della Fondazione, che – si legge dalla motivazione - «ha svolto una intensa ed encomiabile attività per la diffusione della cultura e dell’educazione contribuendo allo sviluppo di un intenso reticolo di relazioni con Università e Centri di ricerca di diversi paesi». Si veda, in proposito, il sito http://archivio.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicati/2005/1412.shtml. 322 227 effettivo esercizio – e godimento – delle prerogative maturate in sede sindacale. Infine, tutelando la salute del personale, con un ambiente accogliente e sicuro ed un uso sostenibile delle risorse idriche, delle materie prime e dell’energia, che concretamente si traduce nella riduzione di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, in una politica di limitazione degli sprechi e di corretto smaltimento dei rifiuti. L’integrità e la sobrietà afferiscono al tema della comunicazione con l’esterno, rispettosa della dignità delle famiglie e dei bambini ed ispirata alla promozione di uno stile di vita sano. In relazione alla passione per la ricerca e l’innovazione, la memoria corre alla creazione di prodotti unici. A garanzia della loro qualità, il Gruppo applica un consolidato sistema di tracciabilità, che gli ha consentito di fare significativi passi in avanti rispetto al passato. Prima, ci si accontentava di apporre l’etichetta; attualmente, è fondamentale conoscere la storia degli alimenti acquistati. Il cliente può verificare, per esempio, il luogo di provenienza, il dettaglio delle fasi di produzione, di trasformazione e di distribuzione della merce. In sostanza, si tratta di monitorare un intero processo, dalla selezione e dal trattamento delle materie prime fino alla vendita. Ciò dovrebbe favorire, oltre ad un’adeguata presa di coscienza da parte del consumatore, l’uso di prassi volte alla prevenzione nei confronti di frodi o adulterazioni. I numerosi sforzi profusi da Ferrero in tali direzioni, gli hanno meritato il prestigioso premio Reputation Award, conferitogli il 29 maggio 2009 ad Amsterdam. Il Reputation Award è uno dei più significativi riconoscimenti internazionali per un’azienda. I consumatori di 32 Paesi valutano 600 imprese di tutto il mondo, attribuendo un punteggio a voci quali fiducia, ammirazione, innovazione, stima, ecc. 12.6 Le politiche del personale 12.6.1 La selezione e la formazione I vertici di Ferrero definiscono la loro azienda una “grande famiglia”. La ricerca di nuovi candidati – si legge dagli annunci di lavoro e si comprende dalle parole dei responsabili delle Risorse Umane – è indirizzata a persone con un forte orientamento ai risultati, con la giusta ambizione e, allo stesso tempo, con disponibilità al cambiamento, all’apprendimento e al team working. Le posizioni ricercate riguardano essenzialmente tutti i livelli e si rivolgono sia al neolaureato sia al manager esperto, in un’ottica di collaborazione a lungo termine. Date le dimensioni dell’azienda, infatti, vi sono spesso delle opportunità nel Marketing, nel settore Vendite, nella Logistica, nel Supply 228 Chain323, nella Finanza e Controllo, nella Ricerca e Sviluppo, nella Qualità o nella Produzione. Per valorizzare i “talenti”, sono previsti percorsi di crescita personale e professionale, attraverso step formativi on the job e momenti strutturati “in aula”, di natura manageriale e tecnica. Spesso, il primo approccio a questa grande impresa dolciaria si ha appunto attraverso annunci sui giornali; in alternativa, è possibile accedere ad un sito dedicato324, dove sono presenti le posizioni aperte, o inviare il curriculum vitae, anche se, al momento, non si trovasse alcun profilo coerente con le caratteristiche del candidato. «Per la verità – chiosa la già citata manager CSR di Ferrero, Francesca Poggiali –, prima partecipavamo costantemente anche alle giornate universitarie dedicate all’orientamento, dove stabilivamo contatti, prendevamo nominativi, ecc. Poi, specie in Italia, siamo stati sommersi da richieste di assunzione, soprattutto nei settori Marketing e Comunicazione. Così, abbiamo mollato un po’ la presa». In tutti gli stabilimenti Ferrero, si realizzano pacchetti formativi di contenuto tecnico, destinati agli operai. Nel 2008, sono stati censiti 110 corsi. Nella tedesca Stadtallendorf, per esempio, esperti di manutenzione impiegati ad Alba, Balvano325, San’Angelo dei Lombardi326, Cork327, Vladimir328 e nel sopraccitato centro ubicato in Germania hanno partecipato ad un programma di formazione, mettendo a confronto strumenti e metodologie peculiari del loro settore. Va aggiunto, inoltre, che la stessa Ferrero progetta e collauda personalmente i macchinari destinati alla produzione dei dolciumi, lasciandone la realizzazione ad altri e richiedendo, di conseguenza, ai suoi operai, un costante sforzo in termini di aggiornamento circa il modo di lavorare alla catena di montaggio. Con riferimento alle figure direttive329, il Gruppo piemontese investe sui collaboratori anche attraverso la Ferrero Geie Learning lab, una sua società capace di delineare percorsi di sviluppo mirati. Tra gli argomenti trattati, figurano la diffusione della cultura e dei principi d’impresa, il supporto alla crescita e alla diffusione dei know how che essa detiene, la trasmissione di strumenti e di metodologie ai manager, per agevolarli nell’opera di promozione e di stimolo verso i rispettivi “subordinati”330. Lì, gli interessati imparano pure a valutare il personale di cui sono responsabili. Con l’espressione Supply Chain, s’intende riferirsi alla pianificazione, implementazione e controllo del flusso e dello stoccaggio delle materie prime o dei semilavorati, in maniera da soddisfare le esigenze dei clienti. 324 www.ferrerocareers.com. 325 In provincia di Potenza. 326 Avellino. 327 Irlanda. 328 Russia. 329 Dirigenti, quadri e funzionari. 330 Ferrero Learning Lab ha incamerato, a partire dal 2005, la Corporate University interna. 323 229 Tabella 3 – I seminari interni di formazione manageriale, nel triennio 2006-2009. Numero Numero Tipologia di progetti sessioni partecipanti formativi 2006-2007 58 965 20 2007-2008 91 1433 21 2008-2009 100 1500 23 Anno Fonte: www.ferrero.it Gestire le persone, per Ferrero, significa necessariamente tenere conto delle differenze culturali, data la diffusione dell’azienda medesima, anche a livello direzionale. Il learning lab, in proposito, ha affrontato la questione del diversity management, chiedendosi come sia possibile integrare persone di diverse culture, etnie, religioni o, più semplicemente, lavoratori appartenenti a diverse generazioni. In Italia, la pratica non è particolarmente sviluppata, al contrario di quanto si verifica nei Paesi dove ci si è insediati di recente, come l’Asia. Qui, tanto per ricordare un caso, si è deciso d’intervenire attraverso la realizzazione incontri ad hoc, al di fuori del lavoro, mettendo al centro piccole iniziative gastronomiche, come la preparazione e la diffusione di cibi tipici del luogo d’origine. Tra i progetti realizzati, si deve senz’altro ricordare Capire Ferrero, che, fino ad oggi, ha accolto più di 200 giovani neolaureati provenienti da differenti aree geografiche. Per circa 2 mesi, questi approfondiscono la cultura del gruppo, cioè l’insieme dei valori, unitamente al modello di business, alle strategie organizzative, così da esercitare con maggiore consapevolezza il proprio ruolo. In sintesi, il messaggio che s’intende comunicare riguarda l’eccellenza dei prodotti Ferrero, che non nasce soltanto dalla qualità delle materie prime, dalle tecnologie o da i profitti, ma soprattutto da una filosofia imprenditoriale ben precisa, la quale, nonostante i mutamenti avvenuti negli anni, ha saputo rimanere fedele ad alcuni principi basilari. X Generation, invece, è un programma realizzato per formare professionisti nel campo dell’Information Technology, dove si valorizzano le competenze tecniche e le capacità gestionali dei collaboratori, anche in vista di una loro progressione di carriera. Infine, vale la pena di ricordare il workshop Principi di nutrizione, il cui obiettivo è offrire una panoramica esaustiva circa i valori nutrizionali dei prodotti Ferrero. Non vi partecipano solo coloro che appartengono alle varie direzioni tecniche; ci sono anche collaboratori che, per l’attività svolta, non si occupano specificamente di alimentazione. Ebbene, il workshop 230 intende offrire ai corsisti una visione generale degli stessi fondamenti nutrizionali, insieme ad un prospetto sui nuovi orientamenti della ricerca nel settore. Fino ad ora, più di 550 persone hanno partecipato al laboratorio; provenivano da quasi tutti i Paesi nei quali la multinazionale è presente. L’attività è organizzata in collaborazione con Soremartec331, società di ricerca della realtà dolciaria italiana332. 12.6.2 La tutela sindacale In tema di relazioni industriali, Ferrero riconosce la legittimità delle istanze presentate dalle organizzazioni sindacali, «mantenendo – si legge nel Rapporto 2008/2009 sulla Responsabilità Sociale d’Impresa –, con le stesse, relazioni improntate al reciproco riconoscimento, al dialogo e al confronto costruttivo» (Ferrero, 2009, p. 42). Le varie realtà che fanno capo al Gruppo si uniformano alla contrattazione nazionale, là dove essa è presente, integrandola spesso con quella aziendale. In ogni caso, l’azienda ritiene che l’iscrizione ai sindacati sia una prerogativa legittima dei singoli lavoratori, così come la presenza di organismi elettivi, agevolati nella ricerca di strategie condivise con la proprietà, nel rispetto delle logiche produttive e di mercato. L’idea di fondo è quella di perseguire l’instaurazione di un clima positivo, con un basso livello di conflittualità, garantendo un equilibrio tra il business e l’attenzione alle risorse umane. In tal senso, i contratti di lavoro offrono sovente possibilità d’impiego full-time, part-time, stagionale, con un certo grado di flessibilità garantita dalla turnazione, compatibilmente con la posizione occupata. È comunque significativo il fatto che – dicono in Ferrero – le astensioni dal lavoro, non siano mai state dovute a specifiche azioni di protesta nei suoi confronti, quanto piuttosto a deliberazioni prese in sede nazionale o dai sindacati di categoria333. Soremartec è l’acronimo di Société de recherche de marketing et tecnique. Essa inventa letteralmente i nuovi prodotti e li testa, prima di immetterli sul mercato. Soremartec, quindi, contribuisce allo sviluppo di Ferrero, servendosi di tecnologie sofisticate e mettendo a profitto un’alta capacità d’innovazione, per migliorare il vantaggio competitivo sulla concorrenza. 332 Per la formazione dei profili più qualificati sul tema della nutrizione, l’Università degli Studi di Torino attiverà, a partire dall’ottobre 2010, la terza edizione del Master di secondo livello in Scienza e tecnologia dell’alimentazione e nutrizione umana – Michele Ferrero. L’iniziativa, realizzata dalla Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero, coinvolgerà laureati e professionisti e prevederà un periodo di stage presso la sede di Alba, per agevolare il (re)inserimento dei corsisti nel sistema produttivo, soprattutto con l’illustrazione delle strategie vincenti nella scelta di nuovi prodotti alimentari o nella riproposizione dei medesimi, con le opportune variazioni e modifiche. 333 Mediamente, i dipendenti Ferrero rimangono in azienda per 30/40 anni, vale a dire per l’intero percorso lavorativo. A testimonianza del clima interno non conflittuale vanno segnalati, per quanto concerne l’Italia, soltanto 2 o 3 casi l’anno in cui esponenti del management aprono vertenze sindacali con l’azienda. «Nessuna class action – ricorda Francesca la responsabile CSR Ferrero Francesca Poggiali –; soltanto azioni individuali. Poiché Ferrero è una grande famiglia, il clima interno è assolutamente familiare. Abbiamo scelto di non entrare in borsa per non avere l’assillo di rendicontare periodicamente al mercato azionario, visto che intendiamo rendere conto esclusivamente al cliente, al consumatore. Ciò indubbiamente, abbassa in maniera esponenziale la possibilità di stress e conflitti». 331 231 Per dare vita ad una sede idonea dove i lavoratori di Ferrero – in Europa – potessero confrontarsi, nel 1996 è nato il CAE, cioè il Comitato Aziendale Europeo. Lì, avviene una costante comparazione tra i vari modelli di relazioni industriali dei singoli contesti. Il 75% dei dipendenti, su scala mondiale, vi aderisce, con un significativo incremento della percentuale – già di per sé assai rappresentativa – nel Vecchio Continente. Presso il CAE, rappresentanti dei lavoratori e dirigenti svolgono step di formazione congiunta, in maniera da istituire «un confronto qualificato sulle principali tematiche all’ordine del giorno delle relazioni industriali a livello internazionale e locale» (Ibi, p. 43). 12.6.3 La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro La sicurezza sul luogo di lavoro è una delle priorità del Gruppo, a partire dalla prevenzione, che ha l’obiettivo di rimuovere o limitare il più possibile il verificarsi di incidenti o l’insorgere di malattie legate alla professione. Ciascuna unità, produttiva e non, è dotata di una struttura che si occupa di gestire questi aspetti, strettamente connessi con l’attività lavorativa e non considerati come una questione di secondo piano. Ciò significa che la tutela del personale è un problema che si pone fin dalla progettazione degli impianti, delle macchine e dall’allestimento degli ambienti. Nel corso della propria storia, tuttavia, Ferrero ha dovuto fronteggiare situazioni che, sotto questo profilo, gli hanno creato non pochi problemi. Verso la fine di febbraio 2001, una delle più importanti firme del giornalismo italiano, Gian Antonio Stella, ha pubblicato un pesante J’accuse dal titolo: Le brutte sorprese degli ovetti Kinder334. Il suo articolo faceva riferimento all’insostenibile condizione delle lavoratrici di Pankota, in Romania. Con il consueto stile ironico e graffiante, Stella scriveva: «Nell’ovetto colorato di Joana e Mariana e Krina, il Sol dell’Avvenire turbo-liberista ha messo una bella sorpresa: la proroga quotidiana del lavoro se arrivano ciascuna a montare mille pezzi al giorno. Minimo minimo: 900. Cosa vuol dire, che se non arrivano alla soglia vengono licenziate in tronco? “Ma no, risponde amabile la kapò: Chi non ce la fa non viene mai buttata fuori: se ne va da sola”. Dovreste vederlo, il laboratorio da cui escono gli ovuli di plastica della Kinder Ferrero coi pinguini, le farfalline e le macchinine che piacciono tanto ai nostri piccini. Immaginatevi una grande fabbrica sgangherata e pericolante sulla strada che solca Pankota, un paese agricolo vicino a Timisoara ammazzato da piani quinquennali capaci di far morire le vigne e rendere sterili i conigli. Immaginate: scrostate i muri, incrinate le piastrelle, spaccate un po’ di vetrate, buttate un mucchio di rifiuti nel cortile e salite al primo piano. Aprite una porta e sarete in 334 Si veda il sito /www.promiseland.it/2001/02/20/le-brutte-sorprese-degli-ovetti-kinder. 232 una stanza dove decine di Joana, Mariana e Krina (i nomi sono inventati: non vorrei si licenziassero da sole) preparano gomito a gomito scatoloni di sfere da mettere negli ovetti di cioccolata. Nel loculo accanto, di due metri per due, riscaldate da una vetusta stufa a legna, lavorano in quattro, a cottimo, a ritmi da far spavento, manovrando certe macchinette punzonatrici che se ci lasci sotto un dito, addio. Contente? Ridono: “Tutto bene, paga buona, padroni gentili”». La notizia, ovviamente, ha scatenato una coda di polemiche, con la conseguente campagna di boicottaggio nei confronti del colosso dolciario piemontese. Diverse sono state le richieste di chiarimento da parte dei consumatori. L’azienda ha perciò proceduto ad un’ispezione straordinaria, per verificare le condizioni di qualità del prodotto e l’effettivo rispetto delle normative riguardanti la tutela di chi era sotto contratto. L’“inchiesta” interna, però, ha raggiunto altre conclusioni, rilevando come non fosse stata perpetrata alcuna violazione delle leggi rumene in materia. Ferrero, peraltro, ha pure ribadito che, a partire dal 1998, quando è stata inaugurata la Campagna mondiale contro il lavoro infantile, viene fatta esplicita richiesta ai propri fornitori di firmare una Dichiarazione di salvaguardia dei lavoratori. Eccone il contenuto, che si ripropone per intero: «I nostri lavoratori e ogni persona coinvolta nella nostra attività lavorativa non subiranno discriminazioni per motivi razziali, politici, religiosi, di lingua, di sesso o di ogni altra ragione in contrasto con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo approvata dalle Nazioni Unite. Rispetteremo tutte le leggi sul lavoro vigenti nei territori ove sono dislocati i siti produttivi; in ogni caso, i lavoratori riceveranno un trattamento equo ed appropriato. Non verrà impiegato alcun minore, in nessuna forma, né direttamente né indirettamente. Si intende per ‘minore’ ogni persona che non abbia compiuto il sedicesimo anno di età, a meno che le leggi locali impongano un limite più restrittivo. Applicheremo tutte le misure richieste delle leggi locali in materia di rispetto delle norme igienico- sanitarie, del diritto del lavoro, ivi compresa la sicurezza sul lavoro, e di tutela dell’ambiente. Prima di assegnare qualsiasi lavoro in subappalto a terzi informeremo Ferrero. Sarà nostra responsabilità comunicare ai nostri terzisti i contenuti di questa Dichiarazione ed ottenere la loro piena adesione, della quale ci rendiamo garanti e responsabili»335. In risposta alla missiva inviata da un consumatore, preoccupato per le notizie che andavano diffondendosi, il Gruppo ha essenzialmente riproposto gli argomenti utilizzati nella Dichiarazione, con lo scopo di smentire in maniera categorica le voci relative ad un suo presunto coinvolgimento in pratiche del genere. 335 Dichiarazione di salvaguardia dei lavoratori, www.mailarchive.com/[email protected]/msg00251.html. 233 «Facciamo seguito alla Sua lettera per precisarLe quanto segue. La Ferrero ha sempre richiesto il rispetto di tutte le normative in materia igienico-sanitaria, di diritto del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento anche al divieto di utilizzo di lavoro minorile. Inoltre ha sempre preteso parità di trattamento senza discriminazioni di razza, lingua, sesso o religione. All’uopo la nostra Società, tramite il proprio personale, si impegna a verificare direttamente che vengano costantemente rispettate le condizioni di cui sopra. Pertanto crediamo di contribuire a svolgere un ruolo sociale molto significativo, creando lavoro per molte persone. Le segnaliamo infine che abbiamo già provveduto a fornire idonee comunicazioni di smentita sulle notizie da Lei riportate. Certi di aver esaurientemente risposto dandoLe le più ampie rassicurazioni in merito, ci è grata l’occasione per porgere distinti saluti, FERRERO S.p.A336”. 12.7 L’impegno per la sostenibilità 12.7.1. L’attenzione alle persone: l’asilo nido337 In Italia, una delle più importanti misure di welfare aziendale del Gruppo Ferrero si è concretizzata con l’apertura di un asilo nido, in grado di accogliere 60 bambini, la cui età è compresa tra i 3 mesi e i 3 anni. La struttura si trova nei pressi dello stabilimento di Alba ed è in funzione dal 14 settembre 2009. L’intero edificio è stato costruito con materiali ecosostenibili e si alimenta attraverso fonti rinnovabili di energia. Da un punto di vista organizzativo, si è deciso di aprire quattro sezioni, in base all’età dei frequentanti, dotandosi di una cucina interna, dove vengono usati prodotti biologici e materie prime fresche, a seconda delle differenti stagioni338. Accessibile ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato, al nido «un numero di posti, variabile da 3 a 6, sarà ogni anno a disposizione per i bambini residenti nel comune di Alba e inseriti nelle graduatorie dell’asilo nido comunale»339. La famiglia Ferrero ha finanziato in toto l’iniziativa340, affidata alla Fondazione Ferrero, che ha effettuato gli studi di fattibilità riguardanti l’edificazione del sito, con collaborazione della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Statale di Milano – Bicocca341. L’azienda, inoltre, partecipa in prima persona alla maggior parte delle spese relative al suo funzionamento. Ciò significa, in primo luogo, che ai dipendenti è richiesto il pagamento di una retta mensile ridotta, il cui calcolo viene effettuato a partire dal reddito 336 Ibid. L’asilo nido, così come le altre iniziative di welfare aziendale, fanno parte di un programma chiamato Ferrero Care. 338 Nessun prodotto deriva da Organismi Geneticamente Modificati (O.G.M.). 339 Cfr. il sito www.fondazioneferrero.it. 340 Per costruire l’asilo, Ferrero Ha investito circa 2,5 milioni di euro. 341 Il progetto è stato firmato dall’architetto Ferdinando Fagnola. 337 234 dello stesso nucleo familiare342. In linea di principio, se le domande inoltrate risultano superiori ai posti effettivamente disponibili, si procede ad una selezione343. Tra i caratteri distintivi del progetto, vi è la stretta collaborazione tra scuola e genitori, unitamente alla consulenza psicopedagogica fornita dalla Fondazione Movimento Bambino344. Al di là dell’evidente intento di tipo conciliativo, che permette ai padri e alle madri degli alunni di gestire in maniera più adeguata i tempi destinati al lavoro e alla vita privata, il nido rappresenta una vero e proprio provvedimento nel campo della sostenibilità delle risorse umane, di attenzione dell’azienda al collaboratore in quanto persona e non solo come lavoratore. Senza contare l’incremento delle possibilità di carriera delle donne lavoratrici. La sollecitudine nei loro confronti, poi, si riverbera positivamente sui piccoli, educati ad assumere uno stile capace di favorire l’integrazione sociale e l’accoglienza dell’altro per mezzo dei linguaggi verbale, mimico-gestuale, grafico, pittorico, musicale, fotografico, ecc. L’obiettivo è la creazione di un mondo a misura di bambino, dove siano tutelate le esigenze dell’infanzia. Perciò, anche l’ambiente esterno è stato allestito con la massima cura, in maniera che gli interessati possano muoversi in piena libertà, a contatto con la natura. Il piano didattico prevede esplicitamente che i genitori – nell’ottica di una continuità tra scuola e famiglia – possano partecipare alla cura dell’orto, alla costruzione dei giochi, all’animazione dei momenti di festa o ad attività che si svolgono in cucina – oltre che al giardinaggio e all’accompagnamento dei bambini in occasione delle uscite. Il nido viene gestito dalla Cooperativa Sociale Orsa, realtà del privato sociale costituita da professionisti specializzati in servizi rivolti ai minori, che concorre all’elaborazione della metodologia pedagogica, sceglie gli alimenti da somministrare al momento del pranzo e seleziona i materiali con cui verranno costruiti i giochi. L’adeguatezza del personale e la continuità didattica sono stati riconosciuti, tra l’altro, con la stipulazione di contratti di assunzione a tempo 342 Il contributo richiesto alle famiglie va da un minimo di 100 euro ad un massimo di 250 euro. I criteri di selezione sono essenzialmente 2: la composizione del nucleo famigliare e il reddito dello stesso. 344 La Fondazione Movimento Bambino fa capo a Maria Rita Parsi, psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, impegnata in attività formative e didattiche presso diversi atenei. Nel suo percorso professionale, la Parsi ha collaborato, tra gli altri, con il sociologo Franco Ferrarotti, il pedagogista Lombardo Radice e lo psicanalista Cesare Musatti. Ha ideato ed applicato una metodologia operativa, afferente ai campi psicologico e psico-pedagogico, chiamata Psicoanimazione. Per diffonderla, ha fondato la SIPA, Scuola Italiana di Psicoanimazione, un istituto ad orientamento umanistico. Tra i suoi incarichi più recenti, si devono ricordare la consulenza tecnica presso il Tribunale Civile di Roma e quella nei confronti della Commissione Parlamentare per l’Infanzia. Tra il 2003 ed il 2006, Maria Rita Parsi è stata membro del Comitato di applicazione del Codice di Autoregolamentazione TV e minori, istituito dal Ministero delle Telecomunicazioni. La Fondazione Movimento bambino si propone di promuovere una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, fondata sul rispetto dei diritti peculiari di queste età. Dapprima, essa è nata sotto la denominazione Movimento Bambino (1992), come associazione senza scopo di lucro. Dal 2005, si è trasformata in Fondazione, con sedi a Milano, Roma, Cosenza e Vittorio Veneto. 343 235 indeterminato, accompagnati da percorsi di formazione permanente, atti a mantenere e a potenziare il know how professionale degli operatori345. Tabella 3 – Principi pedagogici utilizzati nell’asilo nido Ferrero Qualità delle relazioni Qualità delle attività Qualità degli spazi Rapporti con la famiglia Documentazione quotidiana (da parte dei docenti) Partecipazione dei genitori alla vita del nido Presenza di operatori con atteggiamento non direttivo Presenza di arredi e giochi in materiale naturale Cibo biologico, fresco e di stagione Rispetto dei “tempi” del bambino Strutturazione di “routines”, atte a formare le abitudini dei bambini Gestione del personale orientata alla crescita professionale e alla responsabilità educativa Fonte: www.ferrero.it 12.7.2 L’attenzione alle persone: dal Welfare al Wellness L’asilo nido non è l’unica iniziativa per fornire un concreto aiuto ai collaboratori del Gruppo. Nel 2010, sono nati nuovi progetti come il bus-navetta, che porta i lavoratori al centro direzionale di Pino Torinese, o la palestra, aperta da mattina a sera, con il suo personal trainer. Ciascuno può programmare la giornata, in maniera da non dover rinunciare allo sport né ad uno stile di vita sano, dove anche il fitness, per le conseguenze che ha sulla salute, riveste la sua importanza. Frequentare la palestra durante il giorno, significa dedicare la sera ai propri cari, senza chiedere ulteriori sacrifici alle persone con cui si è scelto di vivere. L’accesso a questi servizi è assolutamente gratuito. La palestra sorge addirittura nelle adiacenze degli uffici, dai quali è visibile, poiché il suo perimetro è circondato da vetrate che consentono un’ampia visuale da ambo le parti. Simbolicamente, il fatto Oltre al nido Ferrero, si devono ricordare altre due istituzioni dedicate alla prima infanzia, con cui l’azienda ha stipulato delle convenzioni. Anche in tal caso, i dipendenti Ferrero ricevono un contributo per il pagamento delle rette. 345 236 che ci si possa osservare a vicenda vorrebbe introdurre un cambiamento di tipo culturale, rendendo la frequentazione della palestra un fatto normale anche sul luogo di lavoro. La convinzione che s’intende scardinare è che esista una cesura netta tra l’attività professionale – degna di essere praticata – e lo sport – un aspetto ritenuto secondario, in quanto entrambi contribuiscono alla crescita dell’individuo. Sempre nell’ottica della sostenibilità delle risorse umane, è stato inaugurato uno sportello, il Ferrero Pass, che offre una serie di servizi, «dalla lavanderia all’acquisto di farmaci, dal pagamento delle bollette a un libro urgente» (Schiavazzi, 2010, p.1). Banalmente, chi non ha tempo di fare la fila in posta affida l’incombenza ad una persona preposta; lo stesso succede negli altri casi, come la farmacia o la tintoria. Dei 270 dipendenti di Pino Torinese, l’80% si è iscritto a Ferrero Pass – in prevalenza donne, con un’età media inferiore ai 40 anni. Infatti, «pensavamo che sarebbe stato apprezzato – dice un portavoce – ma non così tanto! Stiamo già pensando a come ampliare il servizio per far fronte a tutte le esigenze, perché chi lavora qui sta in un bel posto ma un po’ isolato e non può andare a far compere o commissioni vicino all’ufficio» (Id.). Bisogna aggiungere la colonia estiva per i figli dei dipendenti e la possibilità di ricorrere ad un pediatra, con una cadenza quindicinale, nel caso in cui ciò si rivelasse necessario per la prole. Lo specialista riceve a Torino; è sufficiente telefonare e fissare una visita. A beneficio dei lavoratori del centro direzionale di Pino Torinese, è stata creata un’infermeria ed è presente, di tanto in tanto, un medico, per l’eventuale prescrizione di farmaci. Completa il quadro la vaccinazione gratuita, di cui si può fruire in autunno contro l’influenza. Il nido, il trasporto con il bus-navetta, la palestra, la lavanderia, i momenti di aggregazione organizzati in occasione delle feste, i viaggi aziendali e quanto è contemplato da Ferrero Pass rientrano in un progetto più ampio: Ferrero Care. In tutto, si tratta di una ventina di iniziative ed altre se ne aggiungeranno. L’elemento caratterizzante è che ciascuna di esse potrebbe essere definita una buona pratica, capace di diffondersi nelle altre realtà del Gruppo, dopo essere stata sperimentata in una delle sue aziende. Non succede mai, insomma, che un modello venga teorizzato dalla funzione Risorse Umane della “casa madre” e replicato negli specifici contesti geografici, senza essere stato messo prima alla prova. I vantaggi di una politica illuminata, proprio da parte delle Risorse umane, non sono di natura economica. Almeno, non direttamente. È chiaro che, se il dipendente si sente preso in considerazione, l’impegno da lui profuso nel lavoro quotidiano ne è influenzato in misura significativa. Di conseguenza, egli rende di più. Non solo, i problemi di retention, in genere, tendono a scomparire, per i non trascurabili benefici di cui il soggetto fruisce. 237 12.7.3 L’impegno per l’ambiente In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, la Germania, il Belgio e la Polonia Ferrero ha fatto cospicui investimenti in direzione della valorizzazione ambientale. In particolare, lo sforzo dell’azienda in tal senso è orientato a) alla riduzione dei consumi e all’uso più razionale dell’energia; b) al minore impiego di combustibili fossili, con il conseguente decremento dei gas serra immessi nell’atmosfera. Sul primo fronte, si è provveduto all’installazione di inverter346, alla realizzazione di sistemi capaci di recuperare il calore e di impianti di illuminazione attraverso sistemi “intelligenti”, per il controllo della luminosità. In base alle condizioni atmosferiche e al livello di luce naturale interna, in sostanza, le lampade si attivano dosando la loro intensità. Un’altra strategia implementata per limitare i consumi è fornita dalla produzione congiunta di energia elettrica e termica, per mezzo di impianti di cogenerazione ad alta efficienza. La cogenerazione, conosciuta anche come CHP347, consente di usare lo stesso combustibile per due scopi differenti. A prescindere dagli aspetti tecnici, che non è il caso d’indagare in questa sede, il risparmio è sia economico sia in termini di emissioni di sostanze inquinanti e di gas. Il progressivo abbandono dei combustibili fossili è stato affiancato dal rifornimento di energia rinnovabile. In alcune sedi Ferrero, a partire dal 2007 si è proceduto all’installazione di impianti fotovoltaici. È inoltre prevista, per il biennio 2010-2012, l’inaugurazione di due impianti a biomasse liquide348, per una potenza elettrica complessiva pari a 26,3 Megawatt. La Tavola 1 riassume la situazione riguardo all’uso delle nuove tecnologie impiegate. La successiva (Tavola 2), invece, fornisce un ragguaglio in ordine alle necessità complessive del gruppo, precisando l’incidenza dell’energia ricavata dalla cogenerazione ad alta efficienza o da fonti rinnovabili da un lato e dalle usuali modalità di approvvigionamento dall’altro. 346 L’inverter è un dispositivo elettronico, che converte la corrente continua in corrente alternata. In sostanza, è necessaria una macchina di questo tipo quando, a partire da una sorgente continua (batterie, celle solari, ecc.), bisogna alimentare un motore elettrico o una rete elettrica (sorgente alternata). 347 Acronimo di Combined Heat and Power. 348 Le biomasse liquide sono sostanze ricavate dalla lavorazione e dal trattamento di semi oleosi, come pure dal recupero degli scarti prodotti dai processi industriali. 238 Tavola 1 – Impianti di cogenerazione ad alta efficienza ed impianti che fanno uso di fonti rinnovabili già realizzati o da realizzare (con data prevista). Fonte: Ferrero S.p.A. Rilevazione interna. Tavola 2. – Fabbisogni energetici complessivi, con indicazione dell’energia autoprodotta ad alta efficienza o da fonte rinnovabile. Fonte: Ferrero S.p.A. Rilevazione interna. 239 Il calo globale delle emissioni annue di CO2 , per il 2013, è stimato intorno a -17% rispetto al 2007349. L’impianto di cogenerazione di Alba, Alba Power350, oltre a rifornire parzialmente gli edifici di proprietà di Ferrero, produce energia elettrica a vantaggio della rete pubblica, coprendo il fabbisogno di più di 800 famiglie del comune omonimo. A proposito dell’ambiente, il Gruppo ha anche stabilito partnership con università e istituti di ricerca. Una di esse ha portato alla costruzione di un impianto fotovoltaico sperimentale, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni legate a questo tipo di tecnologia, in continua evoluzione. Nel 2009, Ferrero ha partecipato ad un bando della Regione Piemonte, che prevedeva la forma del cofinanziamento, in relazione ad un progetto volto al “miglioramento della sostenibilità della filiera agroalimentare”. Di durata triennale, esso è già stato preselezionato tra le iniziative che beneficeranno del relativo contributo. Dal punto di vista che si sta considerando, degna di nota è pure la politica concernente gli imballaggi, deputati alla protezione del prodotto, in maniera che non si deteriori o venga contaminato, a distanza di tempo. In tal senso, Ferrero fa uso di carta, cartone, plastica, vetro ed alluminio. L’esperienza ha consentito di ridurre mano a mano la quantità di questi materiali – e, di conseguenza, anche degli scarti –, facendo progressi significativi rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti. Quanto agli imballi, è stata adottata la “strategia delle 5 R”, vale a dire: a) rimozione, b) riduzione, c) riciclabilità, d) riutilizzo ed e) rinnovabilità. Circa la rimozione, si fa riferimento all’eliminazione di oltre 2 milioni di fiocchi in polipropilene351, con la dismissione di circa 11 tonnellate dello stesso. Ridurre, invece, significa essenzialmente procedere alla costruzione di involucri più leggeri (sgrammatura). Dal 2001, per esempio, l’imballo di Kinder è stato ridotto del 41%, con riferimento al peso. La riciclabilità si sostanzia attraverso la sostituzione, ogni qualvolta tale operazione si possa compiere, di materiali compositi con quelli “semplici”, per rendere più facile il riciclo e la raccolta differenziata. Nel 2008/2009, Ferrero ha usato 1.000 tonnellate di PET rigenerato (RPET); nel 2009/2010, si dovrebbero raggiungere le 2.000 tonnellate. Il riutilizzo è evidente con prodotti come Nutella, i cui bicchieri, consumata la cioccolata che vi è contenuta, possono essere utilizzati quotidianamente oppure collezionati, o con i vassoi destinati al trasferimento delle uova Kinder Gran Sorpresa, Ferrero Rocher e Rondnoir. Infine, la rinnovabilità. Dal 2009, gli espositori da 3 e 4 praline di Ferrero Rocher in polistirene hanno lasciato il posto ad altri, provenienti da fonti rinnovabili, generando addirittura un risparmio di 200 tonnellate annue di materiale. 349 Il suddetto 17% si riferisce sia alle emissioni provenienti da combustibili fossili sia a quelle che riguardano l’energia elettrica acquistata. 350 Alba Power ha cominciato a funzionare dal 2007. Questo impianto di cogenerazione è in grado di produrre, ogni anno, 330 GW/h elettrici e 420 GW/h termici. 351 Il dato è riferito al 2007/2008, in confronto all’anno precedente. 240 12.7.4 L’attenzione al territorio L’attenzione al territorio, come si è avuto modo di argomentare, è legata in buona parte alle attività svolte dalla Fondazione Ferrero e dalle molteplici iniziative di cui costantemente essa si fa carico, a partire dal ruolo strategico attribuito ai pensionati dell’azienda, con i quali quest’ultima mantiene un rapporto privilegiato. Oltre a fornire loro agevolazioni sotto il profilo medico-sanitario – nel caso si rendano necessarie delle visite352, per esempio –, la Fondazione li coinvolge da un punto di vista sociale, culturale e relazionale. Gli ex lavoratori, infatti, partecipano a laboratori di sartoria, ceramica, fotografia, pittura, ricamo, informatica e a corsi di attività motoria, senza dimenticare l’organizzazione di viaggi e soggiorni. Ma non si tratta soltanto di utenti; in verità, costoro contribuiscono attivamente all’allestimento di mostre, si dedicano all’accoglienza degli ospiti o alla sorveglianza in occasione di particolari eventi, gestendo pure un banchetto per la vendita dei libri, quando se ne presenza l’opportunità. Tra il 2003 ed il 2004, la Fondazione ha avviato corsi sul tema del volontariato e dell’assistenza ai malati o agli indigenti; poi si è attivata concretamente per la predisposizione di una sala operatoria presso L’Istituto Nazionale Tumori – Fondazione Pascale di Napoli. All’Asilo, costruito nel Comune di Alba, si è fatto riferimento nelle pagine precedenti. Va aggiunto, tuttavia, che, sempre in collaborazione con Movimento Bambino di Maria Rita Parsi, è stata redatta, nel 2008, la Carta di Alba, un codice di comportamento costituito di 12 punti, per stimolare il confronto sulla questione più generale della tutela dei minori e, in particolare, sulle azioni da intraprendere perché possano usare internet in sicurezza (dalla vigilanza all’esplicitazione, sui portali online, dei rischi ai quali i bambini e gli adolescenti vanno incontro). È la stessa Parsi, infatti, ad affermare che: «È ora di dialogare e di stabilire regole nette e chiare per tutti. La tutela dei diritti dei minori deve essere uguale nel virtuale come nel reale e ci sono provvedimenti e iniziative possibili per realizzare questo obiettivo»353. In una prospettiva più spiccatamente culturale, la Fondazione Ferrero finanzia progetti attinenti a tutti gli ambiti del sapere scientifico, promuove convegni, conferenze e seminari. Peraltro, a partire Per i suoi ex dipendenti, Ferrero ha stretto delle convenzioni con alcuni centri medici specialistici, tra cui si devono ricordare la Fondazione per la Macula di Genova, dove si curano le patologie della retina, L’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo (To), l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO) e l’Istituto Nazionale Tumori di Napoli – Fondazione Pascale. 353 Si veda, in proposito, il sito www.pubblicaamministrazione.net. 352 241 dal 2008, si è ulteriormente rafforzata la partnership con la Regione Piemonte, con la mostra Il cioccolato, dai Maya al XX secolo354. L’interesse per il territorio si è consolidato con l’esposizione di opere del pittore Macrino d’Alba355 e di artisti locali, che vissero nello stesso periodo. La Fondazione, inoltre, ha dedicato particolare cura alla realizzazione di eventi incentrati su figure quali Roberto Longhi, noto storico dell’arte e collaboratore della Voce del Prezzolini, Beppe Fenoglio356, uno dei più importanti autori del Novecento italiano, scomparso prematuramente nel 1963, all’età di 41 anni e il pittore Giuseppe “Pinot” Gallizio, esponente del movimento situazionista. Rispetto agli studi storici, sono state finanziate ricerche sull’imperatore romano Publio Elvio Pertinace357, anch’egli nato ad Alba, e sul giurista Pietrino Belli, vissuto nel Cinquecento358. Accanto alle borse di studio erogate in favore dei figli dei dipendenti, in Italia e all’estero, non va infine sottaciuto che la Fondazione ospita annualmente l’Alba International Film Festival – Cinema e ricerca dello spirito, un evento di caratura internazionale e collabora alla realizzazione dell’Alba Music Festival. Con l’impegno della Fondazione, si deve sottolineare quello di tutta l’azienda in campo sportivo. Kinder + Sport, per citare un caso concreto, è un progetto all’insegna di uno stile di vita sano, dove l’attività fisica ricopre un ruolo fondamentale. Dal 2007 ad oggi, esso ha coinvolto circa 6 milioni di ragazzi in tutto il mondo, con tornei organizzati in partnership con associazioni sportive e scuole, investendo ogni anno 12 milioni di euro. Un altro modo per arrecare benefici al territorio, coniugando imprenditorialità e solidarietà, si è concretizzato attraverso l’istituzione delle Imprese sociali, creando nuovi posti di lavoro in alcune aree depresse del Terzo Mondo. La logica che ne sta alla base è differente da quella che concerne la Fondazione, il cui funzionamento è piuttosto tradizionale: l’azienda trasferisce sul suo conto corrente del denaro, da utilizzare per iniziative a vantaggio del territorio. Le Imprese sociali sono aziende vere e proprie, che impiegano personale locale per contribuire alla crescita del fatturato di Ferrero. Non si fa alcuna forma di beneficienza, insomma. I dipendenti si occupano di 354 Negli incontri, organizzati a partire dal 1996, sono stati invitati, tra gli altri, Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace (2003), il teologo Mons. Gianfranco Ravasi, il sociologo Luciano Gallino, lo scrittore Vincenzo Cerami, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, Giuseppe De Rita, Segretario Generale del Censis, Pascual Chàvez Villanueva, Rettore Maggiore dei Salesiani, i filosofi Edgar Morin e Umberto Galimberti, Jean Todt e Rubens Barrichello, dirigente e pilota del team Ferrari, l’imprenditrice Marina Salamon. Si devono inoltre ricordare i giornalisti Mario Calabresi, Giorgio Forattini, Piero Angela, Folco Quilici, Gian Paolo Ormezzano, il critico d’arte Philippe Daverio e il climatologo Luca Mercalli. 355 Macrino d’Alba – il vero nome era Gian Giacomo de Alladio – visse tra la metà del Quattrocento ed il primo ventennio del Cinquecento, lavorando in Piemonte e nel Pavese. 356 La Fondazione Ferrero è sede del Centro di Documentazione Beppe Fenoglio, il quale, da più di 10 anni, conserva e rende disponibile alla consultazione materiale relativo al letterato albese. 357 Publio Elvio Pertinace (126-193 d.C.), divenne imperatore dopo la morte del predecessore Commodo. Nella piazza a lui dedicata, ad Alba, per iniziativa della Fondazione è stato collocato un busto bronzeo che lo raffigura, il cui originale è custodito a Roma, presso i Musei Vaticani. 358 Sotto gli auspici della medesima Fondazione, è stato tradotto in Francese ed in Italiano il suo De re militari et bello tractatus, del 1563. La versione italiana è stata presentata alla romana Accademia dei Lincei, quella francese al Parlamento Europeo di Bruxelles. 242 confezionamento e di assemblaggio, senza essere coinvolti nella preparazione degli alimenti. In ogni caso, una somma pari all’1% del valore della produzione, ogni anno, viene destinata all’implementazione di attività quali la costruzione di asili, ospedali, ecc. I collaboratori, naturalmente, vengono adeguatamente formati e possono ambire ad un avanzamento di carriera. Il progetto Impresa sociale è stato deliberato nel 2004 e i primi risultati si sono visti nel 2005, con la costruzione di uno stabilimento in Camerun. 12.8 I programmi per il futuro Nel futuro di Ferrero, c’è il progetto di incrementare i segmenti di mercato nei quali l’azienda è già presente e crearne di nuovi. Tutto ciò, però, dovrà avvenire contestualmente al raggiungimento di una serie di obiettivi, da conseguire a medio e lungo termine. Per iniziare, sarà necessario sviluppare ulteriormente il programma di condivisione dei valori, che ha già raggiunto un buon livello di diffusione. In tale direzione, si stanno aggiornando le procedure interne che i collaboratori possono (e devono) usare, segnalando violazioni ai principi enunciati nel Codice Etico. Sul fronte ambientale, l’imperativo è consentire agli stabilimenti europei di produrre in proprio l’energia necessaria per farli funzionare, attingendo a fonti rinnovabili, con l’impegno di ridurre drasticamente da subito l’uso dei combustibili fossili e, di conseguenza, l’emissione di anidride carbonica. In relazione all’approvvigionamento di materie prime, entro il 2015 ci si vorrebbe servire solo di olio di palma certificato, coprendo il 100% della produzione. Infine, per quanto concerne la comunicazione responsabile, Ferrero si è impegnata, entro il 2012, ad elaborare un codice di autoregolamentazione globale per i messaggi rivolti ai bambini. Il Gruppo ha fatto suo il Regolamento-quadro per una comunicazione pubblicitaria responsabile in ambito alimentare, di cui si serve la Camera di Commercio Internazionale (ICC), fa parte della World Federation of Advertisers (WFA) e dell’International Food and Beverage Alliance (IFBA). Nell’agenda della Fondazione Ferrero, si trovano progetti d’interesse locale e nazionale, avviati sia in partenariato sia in proprio, quali l’istituzione di Dottorati di Ricerca e di iniziative di carattere medico-scientifico. Entro il 2012, ci si è proposti di sviluppare il sistema di rilevazione del clima interno e, non oltre il 2013, c’è in calendario la realizzazione di altri corsi di formazione sulla salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, sull’aggiornamento delle competenze, sul supporto alla mobilità ed alla progressione di carriera. Per ciò che riguarda il monitoraggio della qualità, sarà disponibile un nuovo sistema informatico, capace di integrare tutti i dati dei quali Ferrero dispone. Si prevede, inoltre, di consolidare il sistema di audit e controllo su scala mondiale, coinvolgendo i fornitori di 243 materie prime e di materiali da imballo, in particolare in merito alla presenza di OGM, al piano HACCP359 e ad altro ancora. Nel campo delle certificazioni, infine, lo scopo è conseguire la certificazione ISO 22000360 per gli stabilimenti europei e l’ISO 9001:2008361 per tutti i siti di proprietà. 359 L’HACCP è un metodo di autocontrollo igienico, con lo scopo di tutelare la salute del consumatore. La certificazione ISO 22000 (Food Safety Management Systems-Requirements) è uno standard concernente i sistemi di gestione della sicurezza in campo alimentare. Può essere applicata al complesso di aziende operanti nella filiera agroalimentare, ivi comprese quelle che producono packaging, detergenti, imprese di pulizia, società di disinfestazione, lavanderie industriali, fornitori di servizi, ecc. 361 La certificazione ISO 9001:2008 è il punto di riferimento, a livello internazionale, dei sistemi di gestione per la qualità delle imprese produttive, a prescindere dal settore e dalle dimensioni. 360 244 Capitolo XIII Sostenibilità e nuovi modelli di business: il connubio tra responsabilità e opportunità sociali dell’impresa 13.1 Un punto di partenza: le sfide della sostenibilità d’impresa nell’attuale scenario Lo spunto per avviare questa sezione finale dedicata alla discussione dei risultati emersi dalla ricerca ci viene fornito dal riferimento a un paio di indicazioni proposte nei capitoli iniziali del rapporto. Innanzitutto, è opportuno riallacciarsi a quanto anticipato nell’introduzione a riguardo della selezione dei casi-studio analizzati, che è stata guidata da due generali criteri di scelta: a) la varietà delle imprese indagate sotto i profili delle dimensioni e delle aree sia geografiche che di business in cui esse operano; b) un loro impegno già riconoscibile nell’inclusione di attenzioni di natura sociale e ambientale all’interno, se non al centro, della gestione competitiva dell’attività di business; un incorporamento, peraltro, non necessariamente o principalmente segnalato attraverso i tradizionali indicatori formali delle pratiche social/environment oriented (creazione di funzioni ad hoc, codici etici, bilanci sociali e di sostenibilità, certificazioni di terze parti) enfatizzati dall’ormai imponente letteratura sia descrittiva che prescrittiva sulla Corporate Social Responsibility (CSR). L’esplorazione “dall’interno”, e in un preciso arco temporale (primavera-autunno 2010), delle situazioni organizzative prescelte ha portato in primo piano altri fattori di eterogeneità del nostro campione che, pur nei noti e invalicabili limiti di generalizzazione degli studi qualitativi di caso (Yin 2003), sembrano aumentarne il grado di rappresentatività relativa rispetto a tendenze che si possono ritenere in corso di sviluppo anche nel nostro paese. Infatti, e per quanto in vari casi ci si sia in verità trovati di fronte a collocazioni multiple e fluide, non solo le aziende selezionate si distinguono per settore di appartenenza, che, a parte la fondamentale differenza tra attività business-to-business e business-to-consumer, spazia da comparti più o meno tradizionali (il settore alimentare-dolciario, la produzione di oggetti in legno per la casa e la famiglia, i servizi sanitari, l’edilizia, la stessa intermediazione finanziaria) a mercati di più recente definizione, di per sé fortemente esposti ai rapidissimi cambiamenti dell’evoluzione tecnologica e caratterizzati dall’esigenza di perseguire lo sviluppo dell’innovazione come requisito “normale” di competitività (la fornitura di servizi IT integrati, la comunicazione crossmediale, il risanamento ambientale, la produzione di energia da fonti rinnovabili). Non solo esse operano o 245 hanno i propri centri strategico-decisionali in diverse zone dell’Italia centro-settentrionale (principalmente la Lombardia e il Piemonte, ma anche il Trentino, le Marche e il Lazio). E non solo le loro rispettive dimensioni in termini di addetti possono essere ricondotte ai parametri convenzionali sia della piccola, sia della media, sia della grande impresa, peraltro con una presenza bilanciata delle tre categorie all’interno del campione. L’indagine sul campo ha evidenziato ulteriori elementi di differenziazione “all’ingresso” delle nostre imprese, non esplicitamente considerati o ricercati nella preparazione dello studio, che riguardano in particolare tre aree: - la fase del ciclo di vita dell’organizzazione (due imprese affondano le proprie radici nell’epoca appena anteriore o successiva al secondo conflitto mondiale, tre fra gli anni ’60 e ’80, altre tre non hanno più di un lustro di vita e una, infine, è in fase di start-up da poco più di un anno); - il modello di management e di assetto societario, e dunque della governance formale d’impresa, che include, ad esempio, tipologie così dissimili come l’azienda a proprietà e indirizzo familiari (anche di grandi dimensioni) e la società costituita o cresciuta attraverso una partecipazione azionaria e spesso strategico-gestionale di natura più diffusa; - il grado di esposizione diretta agli impatti dell’attuale congiuntura di crisi economicofinanziaria, che, in dipendenza prevalentemente delle tendenze dei rispettivi settori di mercato, al momento della raccolta dei dati si è rivelato più critico per alcuni dei nostri operatori piuttosto che per altri. In ultima analisi, la combinazione di queste dimensioni di varietà aggiuntive con l’insieme dei criteri iniziali di selezione dei casi-studio rende più plausibile pensare che le realtà concretamente osservate risultino in qualche modo “esemplari” o quanto meno indicative di altre situazioni emergenti nel panorama italiano. L’accenno precedente ai vincoli e agli stimoli generati dalla crisi consente di sottolineare il secondo punto di raccordo alla parte introduttiva del presente lavoro, in particolare all’analisi preliminare della letteratura economica e manageriale internazionale. L’idea di fondo scaturita da quella ricognizione è che proprio la crisi economica globale – con le sue conseguenze e implicazioni sul piano dell’esistenza individuale e collettiva, nonché delle interdipendenze e della permeabilità tra sfere di “vita istituzionale” (l’azione pubblica, il mercato, le dinamiche della società civile) – abbia operato da acceleratore di una riconcettualizzazione del discorso della CSR in tre direzioni principali: i) l’insistenza sul business case, ossia il valore di opportunità degli investimenti in impegno sociale ai fini della prestazione economica e del vantaggio competitivo aziendali, e sulla necessità di integrare le questioni socio-ambientali direttamente nella pianificazione ed azione 246 strategica dell’impresa, rendendole connaturate alla gestione corrente dei suoi core processes ma anche, in modo inevitabile, dei suoi processi “di supporto” (gestione delle risorse umane, meccanismi di controllo, ecc.); ii) l’identificazione della sostenibilità, in sé stessa, come area di business per le organizzazioni di mercato; iii) l’attenzione e le aspettative crescenti verso il ruolo politico delle imprese, data la loro capacità di incidere sulle trasformazioni sociali, limitando o viceversa assecondando, o addirittura potenziando, le nuove istanze di benessere e qualità della vita provenienti dai cittadini-consumatori. Come si potrebbe giustamente far notare, almeno due di queste sensibilità – la prima e la terza – non rappresentano una novità rispetto alla retorica della CSR con cui, dai primi anni ’90, la concezione delle dimensioni sociali e degli “impatti di contesto” dell’agire d’impresa si è diffusa in maniera pressoché inarrestabile nel mondo economico-manageriale, tra i soggetti pubblicoistituzionali di livello nazionale e sovranazionale, nel composito universo della società civile e nella ricerca accademica, consolidandosi anche nella realtà italiana (p.es.: Ferrari et al. 2009, Hinna 2005, Molteni 2004, Sacconi 2005, Sciarelli 2007, Sena 2009). Non appare certo inedita l’enfasi sul business case, secondo cui le pratiche di CSR possono generare per le aziende un valore economico diretto, mediante l’incremento degli invisible assets (risorse intangibili quali la reputazione nei mercati, il commitment dei dipendenti, la capacità di attrazione di talenti ad alto potenziale) e l’ottenimento di benefici relativi, per esempio, alla possibilità di godere di un business environment più supportivo (in termini di coesione sociale, capitale umano disponibile, ecc.), attirare investimenti da “finanziatori etici” e operare in condizioni più sicure di risk management (riducendo o disinnescando i rischi legali e finanziari connessi alla violazione della regolamentazione). Ugualmente, l’esigenza di rendere pervasivi i requisiti della responsabilità sociale nel complesso delle strategie produttive, gestionali e commerciali dell’impresa risulta già implicata dalle classiche teorie degli stakeholder, che, se prese sul serio, richiedono di valutare e ricercare la corrispondenza agli interessi e alle attese degli interlocutori sociali in una molteplicità di aree quali la gestione del prodotto/servizio (qualità, sicurezza, accesso), le pratiche di marketing (vendita, credito, informazione al consumatore), il controllo degli impatti ambientali, lo sviluppo della comunità, la gestione della catena di fornitura, le relazioni con le agenzie pubbliche, le politiche del personale (reclutamento, formazione, sicurezza e pari opportunità, relazioni industriali, incentivazione e carriera, outplacement) e la corporate governance. 247 Infine, la stessa idea che le imprese possano o debbano acquisire un esplicito ruolo di interlocutore e canalizzatore di bisogni e istanze sociali presenta significativi punti di contatto con le punte più avanzate del dibattito sulla “cittadinanza d’impresa”, da vari anni in corso specie in ambito anglosassone. Tuttavia, nella forma in cui sembra essersi configurato come una delle più potenti retoriche trasversali dell’ultimo decennio, il campo della CSR rimane caratterizzato da notevoli ambiguità. Una, per iniziare, è di natura squisitamente concettuale e riguarda l’indeterminatezza semantica ravvisabile nell’utilizzo comune di un ventaglio di terminologie che talora vengono trattate come semplici sinonimi della nozione di CSR e in altre occasioni intendono accentuarne o anche modificarne importanti aspetti; è il caso non solo della già citata “cittadinanza d’impresa” (corporate citizenship) e della più tradizionale espressione “business ethics”, ma anche di concetti ormai altrettanto popolari, sia in letteratura che nella prassi, come la “sostenibilità d’impresa” e la “triple bottom line”. Ma il principale aspetto di problematicità è dato dall’agevole constatazione di come i comportamenti reali delle aziende e le “logiche in uso” (Argyris e Schön 1978) al loro interno sovente si sottraggano alle aspettative e ai discorsi dominanti in tema di CSR, traducendosi, oltre che nelle azioni apertamente condannabili o tout court illegali di cui la cronaca non cessa di essere specchio, in condotte essenzialmente mimetiche nell’adozione di strumenti (o, meglio, di indicatori di immediata visibilità) in grado di segnalare conformità ritualistica (Meyer e Rowan 1995) a una serie di criteri “convenzionali” di responsabilità sociale. Proprio la proliferazione di pratiche opportunistiche di window dressing è una delle situazioni maggiormente criticate nella prospettiva dell’“impresa irresponsabile”, avanzata da autori quali Mitchell (2001) e Gallino (2005). Secondo questa posizione, gli assetti dell’attuale capitalismo manageriale azionario, orientato alla massimizzazione di breve termine del valore finanziario di mercato quale missione prioritaria delle imprese, tendono a rendere queste ultime strutturalmente insensibili a istanze etiche e di responsabilità “oltre gli obblighi di legge”, se non sotto forma di tattiche reversibili o variabili (p.es.: l’adozione e comunicazione di “buone prassi” nei paesi di origine e la pratica del dumping sociale nei contesti di delocalizzazione), volte in larga misura alla protezione di interessi specifici o contingenti (p.es.: l’obiettivo di prevenire l’intervento pubblico, e dunque mantenere margini di autonomia, in determinate materie). La drastica argomentazione che ne consegue è che, date le irrimediabili lacune della concezione della CSR come impegno o strategia volontari362, si impone la necessità di un approccio legalmente prescrittivo alla questione: 362 L’approccio volontaristico è quello predominante – come prevedibile – negli Stati Uniti, ma caratterizza anche la realtà europea (specialmente attraverso gli orientamenti e le linee-guida fornite dall’UE), quantunque in una cornice 248 “il potere acquisito dalle imprese ai tempi della globalizzazione può essere contenuto solamente dalla legge” (Gallino 2005, p. 225), in modo da ottenere da esse comportamenti responsabili perché a ciò le vincola una legislazione internazionale, eventualmente adattata dagli stati alle realtà locali e basata sull’evoluzione delle norme, delle aspettative e dei valori etici riconosciuti a livello sociale più ampio. A loro volta, analisi come le precedenti non appaiono prive di limiti. Così, se da un lato danno il giusto rilievo ai possibili effetti di incentivazione esterna derivanti dalla pressione regolamentare dell’attore pubblico (e non solo dalle sue iniziative promozionali), dall’altro sottovalutano il decisivo ruolo, nel processo di incorporamento di logiche socialmente orientate nelle strategie d’impresa, di fattori auto-propulsivi e “situati” connessi ai meccanismi intraorganizzativi di ideazione, sviluppo, realizzazione e percezione collettiva di “modi distintivi di fare le cose”. Di fatto, però, e senza appunto giungere a sposare letture così radicali, occorre riconoscere che fino a tempi assai recenti nel mondo d’impresa, ma anche con la spinta di una fetta consistente dei suoi stakeholder (specie le controparti culturalmente più scettiche nei riguardi delle forze di mercato e del management), si è consolidata una traduzione pratica prevalentemente “in negativo” – limitata e adattiva – dell’idea di CSR. Una concezione e una prassi, cioè, incentrate soprattutto sulla necessità, da parte delle imprese, di ottenere la propria “licenza” di operare corrispondendo alla richiesta, proveniente da interlocutori provvisti di crescenti poteri di accesso alle informazioni, di ispezione e di aggregazione, di ridurre e prevenire i costi sociali e le “diseconomie esterne” legate alla loro attività (degrado ambientale, impatti urbanistici, dipendenza dei consumatori, disoccupazione conseguente a ristrutturazioni organizzative, impatti di operazioni speculative sui risparmiatori, ecc.). Non altrettanto agevole è trovare tracce concrete di una visione più costruttiva, in cui l’impresa, oltre a rispondere alle sollecitazioni del contesto, assume un “mandato” ad agire in maniera socialmente proattiva, sviluppando – per usare un’incisiva immagine proposta in passato da Sethi (1975) – l’attitudine a pensare e anticipare le direzioni del cambiamento sociale, con i suoi bisogni e i suoi problemi. In altri termini, gli impegni assunti dalle aziende si sono in primo luogo inquadrati in strategie reattive di legittimazione e ri-legittimazione (p.es., per ridimensionare precedenti pratiche irresponsabili o addirittura illegali) di fronte al pubblico più ampio, alle comunità di insediamento e a stakeholder particolarmente rilevanti per l’andamento del business (come i dipendenti, i clienti e le autorità pubbliche) in specifici stadi dell’evoluzione organizzativa (start-up, consolidamento, istituzionale più articolata e aldilà di alcuni recenti obblighi introdotti dal legislatore francese in merito all’“informazione sociale” fornita dalle società quotate in borsa nei propri rapporti annuali. 249 ingresso in nuove aree di attività, fasi di declino). Ed è proprio nelle maglie dei processi di legittimazione sociale delle imprese o di ripristino della loro legittimità, di norma alimentati dai loro interlocutori cruciali, che si creano occasioni per “espressioni di facciata” della valorizzazione di beni o risorse di significato sociale, ossia i fenomeni di image marketing – come il greenwash363 – giustamente stigmatizzati dalle prospettive critiche sull’intero movimento della CSR. Un indicatore di massima di questa tendenza adattiva o difensiva è la maggiore facilità con cui le correnti prassi di CSR e sostenibilità si possono ritrovare, solitamente corredate da un ricco bouquet di strumenti di gestione e comunicazione formali (codici di autoregolamentazione, bilanci sociali, certificazioni), in settori ad “elevata sensibilità socio-ambientale” – come i comparti chimico, petrolifero, meccanico e finanziario – i cui operatori risultano naturalmente e ragionevolmente più esposti alle attenzioni, preoccupazioni e valutazioni di vari segmenti di pubblico. D’altro canto, e a prescindere dai settori di business, la diffusione di un approccio essenzialmente reattivo verso le pressioni al conformismo è testimoniata dalla frequenza con cui nelle imprese tali questioni vengono tuttora delegate a funzioni e programmi periferici ai processi core dell’azienda (tipicamente nell’ambito delle relazioni esterne e della direzione delle risorse umane), routinizzando una pratica della gestione responsabile come attività “separata” e quindi, in qualche modo, marginale364. Ebbene, l’attuale periodo di crisi – scenario in cui la nostra ricerca si colloca e in cui, forse come mai in precedenza, si è collettivamente spinti a interpellare la condotta d’impresa rispetto ai suoi meccanismi di “ordinario funzionamento” prima ancora che ai suoi effetti finali – si propone come una fase singolarmente favorevole affinché certe idee si tramutino in azioni. Abbiamo visto che un assortimento di retoriche talora sofisticate si e già accumulato, ed è disponibile, a riguardo della responsabilità sociale e della sostenibilità del business. Tuttavia, come ricordano Czarniawska e Joerges (1995), “la maggior parte delle idee fluttua continuamente nel tempo e nello spazio, ma è il fatto che esse abbiano o meno ripetuti impatti su luoghi/momenti locali a fare la differenza” (p. 245). È quando un insieme di questioni riesce a entrare nel raggio dell’attenzione collettiva, attraverso stimoli e “punti di transito” capaci di generare inediti spazi di mobilitazione dell’azione, 363 Il greenwash consiste nell’informazione selettiva, distorta o del tutto infondata appositamente diffusa da un’organizzazione per presentare un’immagine pubblica di responsabilità ambientale. 364 In quanto disgiunto dai processi operativi, andrebbe ricompreso in questa categoria l’intero campo della filantropia d’impresa, volta alla promozione e al sostegno di iniziative di interesse collettivo e che denota gli impegni puramente volontari dell’azienda a vantaggio del benessere di determinati interlocutori sociali. In realtà, pur considerando la funzione più che altro reattiva o persino ritualistica che l’attività filantropica può assumere nel contesto di strategie di legittimazione (specie laddove non si sostenga su un radicamento socio-culturale di contesto), essa sovente comporta orizzonti di lungo periodo, tratti di sistematicità e una consapevolezza del ruolo sociale delle imprese difficilmente associabili a un impegno residuale. 250 che “tutte le idee che possono ricollegarsi ad esso hanno maggiori probabilità di essere realizzate e tutte le azioni già in corso che possono essere viste come connesse con esso hanno maggiori probabilità di essere legittimate” (ibid., p. 232) e – si potrebbe aggiungere – di essere seguite. L’ipotesi che ha accompagnato questo studio è che oggi quella della sostenibilità nel mercato sia un’idea il cui spazio/tempo è effettivamente arrivato. Riprendendo una delle immagini più suggestive della teoria del “viaggio delle idee” di Czarniawska e Joerges, la congiuntura presente può realmente tradursi in “un momento magico in cui le parole diventano fatti” (ibid., p. 245); in cui, cioè, si sviluppa terreno adatto per l’attecchire e la materializzazione di concezioni avanzate della sostenibilità d’impresa, in buona parte già in circolazione ma spesso (tacitamente) ritenute “visionarie” o irrealizzabili, che enfatizzano istanze quali la combinazione di valore sia economico che socio-ambientale nel nucleo centrale dei processi strategico-produttivi dell’attività di business e la graduale diffusione di un modello civico di impresa. In tal senso, le situazioni organizzative prese in esame appaiono indicative non perché consentano di stabilire dirette e precise correlazioni tra gli attuali fattori di contesto e determinate “svolte” o scelte recenti d’impresa improntate alla sostenibilità economica, sociale e ambientale; ciò tanto più per il fatto che in diversi dei nostri casi le opzioni e gli investimenti su questo versante si radicano nella storia e nella cultura aziendali (e di per sé, come vedremo, questo dato merita attenzione). Piuttosto, il panorama affiorante dall’indagine appare significativo perché nel suo complesso documenta la plausibilità – intesa innanzitutto come praticabilità – degli approcci che scorgono o pongono un nesso virtuoso tra sostenibilità e innovazione competitiva d’impresa e che, innestandosi su idee già veicolate dal tradizionale discorso della CSR, vengono “scoperti” e auspicati con sempre maggiore insistenza dalla pubblicistica e letteratura manageriali correnti. Peraltro, com’era lecito attendersi, lo spaccato di realtà rappresentato nella ricerca propone una considerevole eterogeneità dei processi con cui si può perseguire e realizzare il raccordo tra priorità economiche e attenzioni e prestazioni socio-ambientali. Nondimeno, su un piano generale e nei limiti della portata esplorativa dello studio, è possibile cogliere una serie di elementi centrali e ricorrenti nell’adozione di comportamenti di business sostenibili tra le imprese osservate, concernenti principalmente la logica di definizione e produzione del valore, il percorso storico e culturale dell’organizzazione, la costruzione di relazioni con gli stakeholder, il coinvolgimento e la partecipazione delle risorse umane, nonché la ricerca o il riconoscimento di una valenza, in senso lato, “politica” negli obiettivi, nelle forme e nei risultati dell’attività di mercato. Su tali aspetti ci si soffermerà nel resto del capitolo, dedicando il paragrafo conclusivo ad alcune brevi considerazioni 251 che riportano alla questione basilare del passaggio a una pratica strategica e proattiva della sostenibilità. 13.2 Dalla logica del valore-profitto alla combinazione dei valori di benessere Un dato da cui si può partire è che, sebbene tra i materiali documentali e d’intervista raccolti siano numerosi i riferimenti ai propri sforzi e impatti di responsabilità sociale, tra le imprese del campione la nozione di “sostenibilità” viene esplicitamente e abitualmente utilizzata soltanto in alcuni casi (Habitech, MEG, Foppapedretti, Loccioni e – in modo meno sistematico – Engineering, Ferrero) e per lo più nella sua accezione ecologica. Questa sorta di incompetenza retorica è di primo acchito quasi sorprendente alla luce del loro concreto modus operandi e potrebbe suggerire, tra gli altri spunti, che si è distanti da situazioni di “incapsulamento” della sostenibilità (Couper et al. 2009), attraverso il quale essa viene semplicemente razionalizzata come una categoria tripartita in “economica + ambientale + sociale” (ibid., p. 69) o con l’equivalente formula delle 3P (Profit, Planet, People) in voga nel decennio trascorso presso qualche nota multinazionale, con una certa probabilità di sfociare in condotte di business as usual365. Il richiamo alle tre dimensioni codificate della sostenibilità permette di sottolineare un secondo dato: mentre nella maggioranza del campione esse risultano tutte variamente significative, altre volte si ravvisa uno sbilanciamento, in particolare a favore della componente sociale (riferita agli utenti, ai collaboratori, ai partner e alla comunità) rispetto a quella ambientale. Queste differenze nel ventaglio di attenzioni, innanzitutto riconducibili ai diversi settori di appartenenza (in alcuni dei quali l’innovazione ambientale meno direttamente può incidere sul posizionamento di mercato), lasciano comunque trasparire i segni di un orientamento “olistico” ai temi della sostenibilità. A tale livello, che ci sia una tendenza a porsi nell’ottica di un approccio d’impresa complessivo – più che di categorie delimitate e predefinite – è testimoniato, per esempio, dalla frequenza con cui nelle imprese con forti investimenti sul fronte ecologico si mette strettamente in relazione la strategia ambientale con gli impegni e le responsabilità verso l’“ambiente sociale”; ma anche, in maniera più 365 Ad esempio, nel campo della gestione ambientale si può riscontrare un comportamento, non necessariamente connesso alla dinamica mimetica del greenwash, che consiste nella ricostruzione della questione ecologica sotto forma di problema tecnico-strumentale da affrontare in maniera del tutto congruente con le categorie convenzionali della prassi produttiva e commerciale. Un caso tipico nel quale questo meccanismo di “appropriazione del discorso” (Crane 2001) pare all’opera è quando un sistema per la riduzione degli impatti ambientali viene implementato e giustificato sulla base dei criteri condensati dal popolare acronimo BATNEEC (Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs). 252 sfumata, dalla consapevolezza spesso espressa dalle imprese meno attive nella gestione ambientale dell’opportunità di avviare cambiamenti in questo campo. Fatta tale precisazione, nelle condotte strategiche e operative osservate non solo, in generale, è chiaramente distinguibile l’integrazione nel sistema d’impresa di ciò che i commentatori definiscono aspetti e requisiti di sostenibilità, ma si possono individuare – per così dire – tre modelli di gestione e di innovazione sostenibili. Nel primo la sostenibilità viene praticata come modalità di fare business finalizzata all’efficacia, all’efficienza e al cambiamento organizzativi, alla differenziazione di mercato, alla costruzione di barriere competitive attraverso la scarsa replicabilità del know-how implicato e costantemente generato nei propri processi-chiave (p.es.: meccanismi decisionali, ideazione e sviluppo del prodotto, interazioni tra funzioni e aree organizzative, gestione della filiera, politiche commerciali). È questa la condizione che primariamente intravediamo in casi quali Foppapedretti, Innogest, Loccioni, Engineering e Ferrero. In secondo luogo, la sostenibilità si configura direttamente come oggetto dell’attività di business in quanto tale, condizione proposta in maniera evidente dall’azione di MEG e di Habitech. Infine, in casi come WIS e Vita, possiamo identificare un modello in base a cui la sostenibilità costituisce innanzitutto un obiettivo – e in particolare una finalità di condivisione, rinnovamento o giustizia sociali – che viene perseguito attraverso il business. Queste distinzioni non devono però essere prese in modo rigido. Nel campione i confini tra i tre profili precedenti risultano di fatto permeabili e, pur riconoscendo la prevalenza di uno di essi in ciascuna delle nostre imprese, sarebbe forse opportuno riferirsi a dei livelli più che a dei modelli dell’agire sostenibile; livelli che spesso si contaminano, sono compresenti e prefigurano successive evoluzioni organizzative nelle quali i loro rapporti potrebbero intensificarsi e i loro equilibri modificarsi. Ad esempio, nelle realtà che abbiamo principalmente caratterizzato sotto il profilo della sostenibilità come modalità competitiva è di norma riscontrabile una predisposizione a valutare i contenuti socio-ambientali del proprio operato non come “risvolti” o effetti collaterali, ma come risultati in sé essenziali o anche ricercati; e nelle due sperimentazioni di Pont Saint Martin e della Leaf Community che hanno rispettivamente avviato, Engineering e Loccioni sembrano avere apertamente assunto l’ecosostenibilità come core business della propria strategia aziendale. D’altro canto, le realtà che fanno della sostenibilità in primo luogo il proprio mercato di riferimento o una finalità da tradurre nel contesto sociale tendono anche ad adottarne le istanze (ambientali e/o di soggettività e qualità della vita e delle relazioni) come stile di gestione, funzionale al vantaggio competitivo e comunque allo sviluppo di risorse organizzative (motivazione, partecipazione, 253 diversità, capitale intellettuale, partnership con gli stakeholder…) fondamentali per la conduzione del business. Per altri versi, è possibile rintracciare nell’insieme delle imprese studiate i tre approcci centrali indicati dalla ricerca per rendere le imprese più orientate ed efficienti in senso ecologico-sociale (p.es.: Dunphy et al. 2000, Lehni 2000, Shaetegger et al. 2004). Come del resto in letteratura, nei nostri casi questi meccanismi di operazionalizzazione della sostenibilità riguardano specialmente la dimensione ambientale, ma trovano interessanti occasioni di applicazione anche dal punto di vista degli impatti umani e sociali. Essi sono: - la “riprogettazione dei prodotti” al centro della propria offerta di business rispetto agli standard di settore prevalenti, che rappresenta un’opzione non soltanto ricorrente tra le aziende con elevata performance ambientale (p.es.: Foppapedretti, Habitech, MEG) ma anche visibile nelle imprese istituzionalmente impegnate a fornire servizi di rilievo sociale (Vita, WIS); - la “reingegnerizzazione dei processi”, volta da un lato a ridurre l’inquinamento, il consumo di forme di energia non rinnovabili e di altre risorse naturali, i rischi per la salute connessi in particolare alla produzione e al successivo utilizzo dei prodotti, e dall’altro a valorizzare l’impiego di fonti di energia rinnovabili e di altre risorse “innovative” di tipo materiale, tecnologico e sociale; da tale punto di vista, e limitandosi a un paio di casi, se appaiono esemplari le scelte operate da Foppapedretti, che ha incorporato criteri di sostenibilità ambientale nell’intero ciclo progettazione-approvvigionamento-lavorazione-assemblaggio- packaging, colpiscono i crescenti investimenti in politiche green effettuati da Ferrero all’interno di un segmento industriale meno esposto di altri a criticità di gestione ambientale; - il “ripensamento del mercato”, ossia la capacità, attraverso la differenziazione della propria offerta, di intercettare (se non di anticipare) nuovi bisogni emergenti nei consumatori o nel pubblico dei cittadini, in modo da sviluppare ed eventualmente espandere il target dell’azione commerciale; questo aspetto è distinguibile in maniera chiara in tutti i casi studiati, con alcune punte date, per esempio, da Innogest, TheBlogTV, Loccioni, la stessa Foppapedretti e le due organizzazioni a orientamento sociale. Andando oltre quanto rappresentabile con delle classificazioni, nel campione si può cogliere, a vari gradi, una propensione a combinare più logiche del valore e a generare valori di natura diversa. Non pare forzato scorgere, nelle strategie messe a fuoco e poi avviate o realizzate da buona parte di queste imprese, alcuni tratti dell’idea di “valore aggiunto complessivo” declinata nel modello dell’“impresa del benessere” di Ricotti (2010). Tale nozione si differenzia alquanto da quella tipica 254 del capitalismo finanziario – e tuttora dominante – di “valore aggiunto economico” (EVA, Economic Value Added), che enfatizza il valore di un’azienda nei termini di profitto finalizzato alla remunerazione del capitale di rischio. Più ampiamente, il valore aggiunto complessivo costituisce la sintesi o la ricomposizione di molteplici “valori” che concorrono alla creazione di benessere per l’azienda, nell’azienda e tra i soggetti che con essa interagiscono (clienti, comunità locali, ecc.); in quest’ottica, il profitto perde il ruolo di finalità intrinseca dell’azione d’impresa e indice assoluto del suo valore per assumere quello di componente o addirittura di “derivato naturale” del valore aggiunto di un’organizzazione ben funzionante. Una simile concezione residuale del profitto non è circolante tra le nostre aziende, e se ne può al limite cogliere qualche riflesso nelle due situazioni in cui la gestione economica è al servizio del perseguimento di scopi di rilevanza sociale o pubblica. Come accennato, è invece diffusa un’esplicita attenzione – sia nelle pratiche che come focalizzazione ex ante e consapevolezza a valle – verso la molteplicità dei valori gestiti e prodotti dall’organizzazione, materiali e immateriali, a parte quelli di carattere economico-monetario. È presente la valorizzazione delle risorse ambientali, con le sue implicazioni di vario respiro (impatti sulla qualità della vita collettiva attuale e futura, influenza sulle prassi di settore, riconoscimento di identità sociali emergenti). È coltivato il valore umano, nel rapporto di frequente personalizzato con i clienti e i partner di business ma innanzitutto nella vita e nel clima “interni” all’impresa, attraverso dinamiche che possiamo ben tradurre nel linguaggio dello human resource management (reclutamento mirato, politiche formative avanzate e sistematiche, sviluppo delle competenze e dei talenti, responsabilizzazione e sbocchi di carriera, incentivazione e fidelizzazione) e che in sostanza creano spazi per la soddisfazione di svariati bisogni e aspirazioni che gli individui riversano nella sfera lavorativa, aldilà di quelli retributivi: la possibilità di esprimere abilità professionali ma anche altre inclinazioni personali, una certa libertà del proprio agire, il “piacere” di lavorare con gli altri, un senso di fiducia reciproca, l’orgoglio di partecipare alla realizzazione di scopi che si ritengono significativi e di contribuire al loro raggiungimento (cfr. par. 5). C’è produzione ed empowerment del legame sociale e di risorse relazionali, dentro e intorno all’organizzazione (cfr. par. 4); sovente questo livello si intreccia con la gestione di valori di cittadinanza, del tutto manifesta nei “casi-limite” in cui si procede da una vocazione “politica” e di rinnovamento sociale (cfr. par. 6), ma all’opera ogniqualvolta le strategie e la condotta d’impresa 255 sono fortemente legate ad aspetti di radicamento territoriale e valorizzazione dello sviluppo locale (p.es.: Loccioni, Innogest, Habitech, Ferrero). Troviamo inoltre, nell’intero campione, quello che si può definire “valore etico”. Più ancora che nell’assunzione di responsabilità verso gli effetti – reali o potenziali, positivi o critici – della propria azione nei confronti di vari interlocutori, ciò è visibile nel modo in cui una serie di principi morali (p.es.: la trasparenza, il mantenimento degli impegni, il rispetto di diritti delle persone) da un lato costituiscono criteri ispiratori della globale attività di business e dall’altro ne escono rafforzati e legittimati come ingredienti dell’agire di mercato. In base alle retoriche manageriali correnti, questi principi-guida e valori fondanti della condotta collettiva d’impresa si collocano, insieme all’enunciazione degli scopi di lungo termine, al centro della cosiddetta vision organizzativa e la loro forza è correlata principalmente al grado di formalizzazione, in particolare mediante l’adozione di codici etici (presenti in qualcuna delle nostre realtà). Tra le aziende studiate, la qualità morale delle scelte strategiche e operative tende a configurarsi più nettamente come “ethos culturale” (Snell 2000), ancorandosi anzitutto alle dinamiche di sviluppo nel tempo di distintive culture d’impresa (cfr. par. 3). E c’è, naturalmente, valore competitivo, inteso come capacità di esistere, svilupparsi e “avere successo” nel mercato in un orizzonte di lungo termine, condizione che accomuna più della metà delle organizzazioni del campione e che in futuro sarebbe interessante (e opportuno) verificare più compiutamente per quelle di recente fondazione. Su tale versante, e quasi a prescindere dal settore di appartenenza, i casi di studio forniscono almeno tre indicazioni di rilievo. La prima è che si ribadisce l’importanza della leva economico-finanziaria, usata però essenzialmente come risorsa irrinunciabile per l’investimento in innovazione e non nella prospettiva finance-driven (a tutt’oggi prevalente, di solito sotto la più accreditata etichetta “profit-oriented”), ossia l’orientamento sistematico al contenimento dei costi monetari e a economizzare su qualche fattore di gestione a partire da quelli non immediatamente produttivi. In secondo luogo, la disponibilità e la produzione di valore competitivo si sorreggono in modo considerevole su una serie di fattori immateriali. A parte la gestione delle risorse umane, cui si tornerà a fare riferimento più avanti, due appaiono centrali. Uno consiste nella ricerca e nello sviluppo di know-how, concernenti prima di tutto – spesso con decisi connotati di sperimentazione (p.es.: MEG, Engineering, Loccioni, Foppadretti, Habitech) o di attraversamento e ricombinazione dei confini tra settori (TheBlogTV) – il sapere “esperto” che confluisce nelle soluzioni e nell’offerta di business. Accanto a questo sapere “tecnico” (benché non 256 esclusivamente tecnologico), la generazione di know-how d’impresa riguarda anche mappe di conoscenza, logiche d’azione e relazione, criteri di valutazione collegati in larga parte alla cultura aziendale e in grado di sostenere, ad esempio, processi organizzativi cruciali quali i meccanismi decisionali, la circolazione e la condivisione della stessa expertise tecnica, il coordinamento, la comunicazione interna e verso gli interlocutori del proprio ambiente di riferimento; al riguardo, uno degli esempi più pertinenti, e al contempo originali, è fornito da Vita. L’altro fattore intangibile alla base del valore competitivo coincide con un accentuato posizionamento di marchio, o valore di brand, ricercato e conseguito in special modo nelle imprese operanti da più tempo, tanto nel business-to-business (Loccioni, Engineering) quanto nei comparti a diretto contatto con i consumatori finali (Ferrero, Foppapedretti). In questi casi, un obiettivo366 e comunque uno sbocco riconoscibili della strategia aziendale sono quelli di determinare e adattare costantemente un’offerta complessiva che presenta: a) forti caratteri distintivi rispetto ai concorrenti, dati da originalità, specifici contenuti tecnici di qualità e professionalità, ma soprattutto e più in generale dalla corrispondenza alle esigenze e stili di vita dei clienti/consumatori e al loro cambiamento; b) bassa replicabilità da parte di altri operatori, dovuta al fatto che le peculiarità dell’offerta sono strettamente legate alla “miscela”, a sua volta distintiva, degli altri valori appena considerati (valore umano, risorse relazionali, know-how, radicamento territoriale, ecc.). Quello della marca è una valore che prescinde dal singolo prodotto/servizio commercializzato, che pure lo rispecchia, e tende a generare altri valori intangibili come la fidelizzazione di clienti e consumatori. La natura immateriale del brand acquisisce di frequente una valenza “espressiva” per i fruitori, oltre che per gli stessi membri d’impresa, perché consente loro di soddisfare e sviluppare istanze eticoidentitarie collegate a un certo genere di consumo367 e in diversi casi, come palese per Foppapedretti, costruite direttamente intorno ai temi dell’ecologia. Ciò ha un’ulteriore implicazione competitiva per la maggioranza delle nostre imprese: il riconoscimento di mercato del più cospicuo valore complessivo della loro offerta è la principale condizione che permette loro di sottrarsi a una competizione primariamente di prezzo, la quale reca con sé, in maniera quasi automatica, rischi di erosione delle componenti di qualità più intangibili del prodotto e della retrostante catena del valore (selezione delle materie prime e controllo della filiera di fornitura, basso impatto ambientale, sicurezza, progettualità orientata all’evoluzione dei bisogni del mercato, valorizzazione di risorse 366 Sul piano delle finalità, e dunque del “pensiero strategico”, in tutte le nostre realtà d’impresa più recenti troviamo i presupposti dello sviluppo di un marchio sintetizzati nei successivi punti a) e b). 367 Secondo Musso (2009), i più avanzati “territori della marca” si aprono dove il marketing d’impresa riesce ad amplificare, o a creare, il potenziale di identificazione culturale di una serie di prodotti o servizi. 257 sociali di contesto, correttezza etica nella gestione, ecc.)368. Per certi versi, sembrerebbero derogare a questa logica WIS e, paradossalmente, la medesima Foppapedretti. Invero, si tratta di eccezioni apparenti. Nel primo caso, infatti, la politica di prezzo risulta una variabile centrale in quanto direttamente connessa agli obiettivi di sostenibilità sociale dell’organizzazione ed è tenuta “sotto controllo” mediante una serie di accorgimenti gestionali (p.es.: recruiting diversificato, riduzione della complessità in un quadro di “sanità leggera”) che assicurano la qualità del nucleo di prestazioni core. Quanto a Foppapedretti, è vero che la diminuzione degli utili, nell’ultimo periodo, ha portato a progettare la realizzazione di una linea separata di articoli low cost; tuttavia, vanno considerati due aspetti fondamentali di questo parziale riorientamento: sul piano “interpretativo”, le attuali criticità finanziarie vengono ricondotte alla contrazione del mercato dei beni ecocompatibili presidiato da tempo dall’azienda, e indotta dalla crisi economica a un ritmo e con effetti sui consumatori non prevedibili, più che ai recenti e ulteriori investimenti nel campo ambientale e della sicurezza (i cui notevoli costi sono stati pienamente accettati in un’ottica di medio-lungo termine); a livello strategico e operativo, l’opzione per un utilizzo più efficiente di alcune risorse non ha in alcun modo condotto a mettere in discussione gli impegni e gli standard di sostenibilità ambientale (a partire dalla provenienza e dalla lavorazione della materia prima, il legno) su cui l’impresa ha negli anni costruito il suo impianto di business e la sua reputazione. Tali dimensioni intangibili della capacità competitiva – ricerca e sviluppo del know-how e valore di marchio, sovente entrambi alimentati dalla costante attenzione alla formazione del personale – sono sicuramente presenti nelle organizzazioni esaminate. Di per sé questo non pare introdurre un elemento di discontinuità con molteplici teorie e pratiche d’impresa oggi popolari, accomunate dall’insistenza – per usare il gergo manageriale – su approcci quali il knowledge management o il reputation building. Occorre però ribadire con forza che, nei nostri casi, lo sviluppo di questi assets immateriali (compresa la formazione continua) è principalmente concepito come investimento e volano della prestazione di mercato piuttosto che come voce di costo, con un sensibile scostamento da una cultura gestionale finanziaria orientata a ritenere “spreco” processi non monetizzabili o non oggettivamente produttivi nel breve periodo. 368 La “sindrome dei prezzi bassi” ha ricevuto ulteriori impulsi proprio nell’attuale crisi economica, trovando una potente – e, in parte, plausibile – giustificazione sociale nel riferimento al diminuito potere di acquisto delle persone. In verità, che le dinamiche di mercato siano contrassegnate da una più radicata istituzionalizzazione della competizione basata sul confronto e il ribasso dei prezzi di vendita, e dunque sulla compressione dei costi d’impresa, trova riscontri persino nel campo delle pratiche di CSR. Lo si nota, per esempio (e per limitarsi al caso italiano, Monaci 2007), nell’incoerenza manifestata da alcuni soggetti della grande distribuzione laddove, mentre richiedono formalmente ai propri fornitori “storici” un impegnativo rispetto di disciplinari e standard per la “produzione di qualità” (p.es., nel campo agro-alimentare), dall’altro lato tendono a impostare la trattativa commerciale su variabili strettamente monetarie, grazie anche alla disponibilità di altri produttori in grado di offrire migliori condizioni di costo (ma minori garanzie di qualità). 258 Infine, la terza indicazione proposta dai casi in merito alla produzione di valore competitivo, e in qualche modo già anticipata, è la seguente: oltre a incrementarli (si veda, per esempio, il progetto Bluezone con le scuole locali inserito da Loccioni nella politica del personale), il valore competitivo si alimenta degli altri valori d’impresa sopra citati; basti pensare alle risorse di commitment e motivazione del personale sviluppate, in tutte queste imprese, dall’attenzione al valore umano. Attraverso questo raccordo prendono reale consistenza le nozioni già diffuse (e talora abusate) di “capitale umano”, “capitale sociale/relazionale”, “capitale intellettuale”, ma soprattutto si accentua l’idea che il “valore aggiunto complessivo” d’impresa possa venire concepito e realizzato sotto forma di combinazione e sintesi, anziché sommatoria o giustapposizione369, di risorse e prestazioni. In definitiva, nelle nostre organizzazioni la sostenibilità si esprime non solo come impegno di rilevanza socio-ambientale ma, più profondamente, come fattore strategico rilevante, in virtù della capacità di generare – e, insieme, riconoscere e mobilitare – una pluralità di valori di benessere nell’attività di business. Ciò accade anche quando, cioè nella gran parte dei casi, si afferma che la finalità ultima e il valore per eccellenza ricercati dall’impresa non possono che identificarsi con il profitto, riecheggiando talora il noto modello “piramidale” della CSR (Carroll 1991)370 secondo cui le responsabilità sociali di base delle imprese sono e rimangono quelle economiche, in quanto motivo originario per cui esse normalmente vengono create nella società. Proprio l’aver saputo attivare diversi logiche ed effetti del valore dimostra che, in generale, i modelli di sostenibilità definiti da tali imprese vanno oltre la visione di quest’ultima come limite, come “freno” all’espressione e al soddisfacimento di bisogni e desideri individuali e collettivi, spesso prevalente nel dibattito di senso comune; una concezione che resta, in buona sostanza, contigua all’approccio “in negativo” che ha per lo più accompagnato l’interpretazione e l’implementazione della pratica della CSR tra gli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. Porre in primo piano questo aspetto di proattività non deve, peraltro, lasciare in ombra le prestazioni fornite dalle nostre organizzazioni sul fronte della prevenzione e del contenimento degli impatti socio-ambientali lungo l’intera filiera dei processi di business: impiego di materie prime selezionate (p.es., non inquinanti); progettazione e realizzazione di impianti di produzione che consentono la riduzione delle forme di energia deperibili e inquinanti e l’utilizzo di materiali riciclabili e risorse 369 Come spesso si sottintende negli approcci di triplice rendicontazione (triple bottom line, Elkington 1997), che valutano i risultati economici, sociali e ambientali dell’impresa nel quadro di un “bilancio aggregato”. Per altre riflessioni critiche sul modello e le applicazioni della TBL, si veda Norman e MacDonald 2004. 370 Per inciso, la figura verticale e stratificata della piramide mal si adatta a rendere l’idea di “valore composto” di cui stiamo trattando. 259 energetiche rinnovabili (p.es., quella fotovoltaica); logistica e packaging dei prodotti con mezzi ecocompatibili; adozione di sistemi di sicurezza interna per la minimizzazione dei rischi sul lavoro; regolarità contrattuale e contributiva del rapporto di impiego con i collaboratori; selezione dei fornitori sulla base di parametri di basso impatto ambientale, correttezza delle pratiche del personale e collegati alla qualità e sicurezza del prodotto finale; sviluppo d’impresa per processi competitivi interni e non supportati da incentivi e forme di sostegno esogeni (p.es., sussidi di provenienza pubblica371). In tal senso, la catena del valore generata dalle imprese indagate si caratterizza non soltanto come catena “densa”, data la combinazione dei valori generati, ma anche come catena “lunga” (Ricotti 2010), poiché in ciascuna di esse troviamo molteplici punti di assorbimento dei possibili costi sociali e ambientali dell’attività, che in tal modo non vengono “scaricati” all’esterno. 13.3 Persone, culture, organizzazioni: l’innovazione e lo sviluppo di competenze nella sostenibilità come percorso Nell’ambito del campione, si individuano ripetutamente una serie di condizioni che la letteratura pone alla base dell’innovazione sostenibile di carattere ambientale e/o sociale. Si riscontra l’orientamento di lungo periodo, con la disponibilità iniziale – visibile sia nella storia delle imprese più mature che nella prima fase di vita di quelle create di recente – ad attendersi, ma anche ad attendere, dei ritorni tangibili di competitività. Di nuovo trasversalmente agli stadi del ciclo di vita organizzativa rappresentati, troviamo la “tempestività”, la propensione a porsi “fin da subito”, in chiave di ragionamento strategico più che di adattamento alle pressioni di contesto, in un’ottica di sostenibilità. Strettamente legato a quest’ultimo, si distingue anche il requisito dell’“anticipazione”, la capacità di collocarsi in una posizione di avanguardia e – si potrebbe aggiungere – di conformità preventiva nei confronti di regolamentazioni pubbliche in grado di incidere seriamente sulle pratiche del mercato di riferimento; emblematica, a riguardo, la situazione di vantaggio conseguita da MEG, Loccioni e soprattutto Foppapedretti rispetto a una normativa europea sempre più stringente. Accanto a tali fattori, è necessario rimarcare la presenza di un ulteriore elemento. In omaggio a una terminologia consolidata, lo potremmo chiamare la “lungimirante influenza” dell’imprenditore 371 Fa eccezione a questo Habitech, che, come distretto tecnologico regionale promosso dalla Provincia Autonoma di Trento, si avvale della possibilità di usufruire anche di fonti di finanziamento pubbliche. Oltre all’inquadramento dell’attività del consorzio in una politica per lo sviluppo industriale di matrice istituzionale, occorre poi considerare come in questo caso la sostenibilità finanziaria del business sia assicurata dalla capacità di offrire, a regime di mercato, servizi ad alto contenuto di innovazione. 260 fondatore o del nucleo di persone che hanno condiviso l’ideazione e il lancio dell’iniziativa d’impresa, i quali tendenzialmente mantengono tutti un ruolo-guida negli attuali assetti proprietari e organizzativi. In verità, nel complesso delle traiettorie aziendali documentate, il ruolo ricoperto da questa variabile di natura individuale non è di componente della “formula della sostenibilità”, bensì di catalizzatore nell’attivazione degli altri drivers organizzativi dell’innovazione sostenibile. L’influsso decisivo delle figure degli imprenditori/fondatori riguarda senza dubbio i loro tratti di personalità. Non di rado, infatti, si ravvisano processi di leadership carismatica, particolarmente accentuati nel caso di WIS e palesi anche nel percorso di Loccioni, Engineering e Vita. Più profondamente ancora delle personalità, però, sono le persone dei fondatori ad avere fornito una netta impronta a queste “imprese della sostenibilità”, dove il riferimento alla “persona” include l’intero bagaglio (che possiamo ben definire “patrimonio”, alla luce delle successive traduzioni organizzative) di esperienze sviluppate fin dalle prime fasi della loro esistenza e di seguito confluite nell’avvio e nella conduzione dell’iniziativa imprenditoriale. A rivelarsi fondamentale, quindi, è la storia dei fondatori/imprenditori, fatta, tra l’altro, di specifici eventi (anche traumatici, come l’esperienza della guerra per Ezio Foppa Pedretti e Pietro Ferrero) e parentesi “illuminanti” (come il breve soggiorno di Antonio Bortolotto negli USA, all’origine della collocazione di MEG nel settore della biotrasformazione dei rifiuti); di incontri e amicizie (come quelle che hanno segnato gran parte dell’evoluzione di Engineering); di esperienze e relazioni nel mondo delle associazioni e delle imprese sociali (alla base del progetto sia di WIS che di Vita); di appartenenze familiari e di forti legami con specifici territori del nostro paese e le loro tradizioni sociali, economiche e culturali (del tutto visibili in varie modalità attuali di fare business di Loccioni, ma anche chiaramente implicati nell’attività di Ferrero e Foppapedretti, nonché – quasi per definizione – in quella del distretto Habitech). Il “repertorio personale” dell’imprenditore, o presente nel nucleo dei fondatori, ha di solito rappresentato un significativo bacino di incubazione dell’esperienza di business, caratterizzandola fin dalle scelte e dalle operazioni iniziali. Il principale veicolo attraverso cui tutto ciò si è combinato e riversato nella sfera imprenditoriale consiste nelle concezioni della realtà e nel sistema di valori appresi, maturati, condivisi da questi soggetti nel corso e nell’ambito della loro più ampia esperienza di vita, che vengono importati, ma anche affinati e innanzitutto messi alla prova (e normalmente convalidati) 372, nella gestione e nelle sfide dell’attività d’impresa. In altri termini, la 372 Si intravedono, qui, in filigrana un paio di logiche di senso – verrebbe da dire “calvinistiche” – già riscontrate in una nostra precedente ricerca sulla dimensione etica del comportamento d’impresa (Magatti e Monaci 1999): da un lato, la fiducia nel nesso implicito tra uno stile di condotta ritenuto “appropriato” e i ritorni di mercato che ne potranno 261 cultura e i riferimenti identitari dei nostri imprenditori/fondatori hanno costituito una matrice potente e duratura nel tempo (tanto più nelle varie circostanze in cui essi continuano a conservare ruoli direttivi o di leadership sostanziale) nella dinamica di formazione delle culture delle loro imprese, orientando in primo luogo i processi collettivi di produzione e di attivazione di codici di senso connessi alla percezione comune – all’interno dell’impresa – dell’“unicità” delle proprie competenze distintive e del proprio “stile di stare sul mercato”. È esattamente su questo piano che siamo spinti a cogliere il primo impulso generativo sotteso alla costruzione di modelli di business sostenibile nel corso della storia, più o meno estesa, delle nostre organizzazioni. Meritevole di attenzione non è soltanto l’influenza di tali figure nello sviluppo delle distintive culture d’impresa presenti nel campione, che si dimostra coerente con quanto indicato, in generale, dalla ricerca sul ruolo del fondatore nella formazione delle culture organizzative (p.es.: Gagliardi 1995, Schein 1983). Occorre anche sottolineare la frequente diretta inclusione, nel sistema di credenze e valori fondamentali traslati dall’imprenditore nell’attività aziendale, di principi e modelli di azione che presuppongono, in varia maniera, apertura e impegno verso i temi della sostenibilità. L’intervento di queste premesse di significato è esplicito nella costituzione e nella gestione di WIS e Vita (oltre che, per i motivi già ricordati, di Habitech), ma si segnala anche per i casi di Meg ed Engineering (dove, specie nel primo, appare rilevante l’incidenza della formazione religiosa di stampo cattolico del fondatore), di Loccioni (p.es., tramite la riproduzione, nel rapporto con i collaboratori, del modello di condivisione delle responsabilità e dei rischi tipico della mezzadria, praticata nei luoghi e nella famiglia di origine dell’imprenditore), di Foppapedretti e Ferrero (p.es., attraverso l’attenzione verso il territorio in cui, da sempre, è localizzato il centro dell’attività e verso il benessere dei dipendenti). Talora, oltre ad apparire distintive e orientate socialmente, le mappe cognitive e di valore poste alla base dell’avvio e della conduzione d’impresa si caratterizzano per contenuti e implicazioni che – più radicalmente – è possibile definire alternativi e, per certi aspetti, “sovversivi”, specie se confrontati con le tendenze di contesto al momento della loro proposta sotto forma di azione organizzativa. Ne è espressione emblematica l’assunto culturale della “valorizzazione dello scarto” (si tratti di rifiuti materiali oppure intangibili come le “notizie che non fanno notizia”), il quale sostiene la globale business idea di MEG e ha ispirato il lancio di Vita nel mondo dell’editoria, e derivare; dall’altro, corrispondentemente, l’attribuzione ai risultati economici ottenuti anche di un significato di conferma della validità, in quanto tale, degli orientamenti di fondo che ispirano le opzioni business. 262 che può sembrare una sorta di ossimoro nell’ottica convenzionale secondo cui, al limite, lo “scarto” deve essere smaltito o accantonato in condizioni di sicurezza373. Nella maggioranza dei casi, dunque, la storia e la visione dell’imprenditore forniscono essenziali punti di riferimento e criteri di valutazione utilizzati fin dall’inizio nella definizione degli obiettivi e delle strategie aziendali. È principalmente mediante tale canale che l’impresa recepisce opzioni di significato sociale e ambientale già nella fase di avvio, in cui si mettono a punto e sperimentano pratiche e soluzioni di business da sottoporre al vaglio del mercato. Questo, d’altro canto, non deve far pensare a un processo di influenza deterministico, nel solco delle concezioni riduzionistiche (Gagliardi e Monaci 1997) dell’“ingegneria della cultura” che accreditano la possibilità di plasmare unilateralmente dall’alto una cultura d’impresa secondo modalità programmate, quasi a prescindere dal fatto che essa si colleghi in qualche modo all’esperienza concretamente vissuta e condivisa dai membri organizzativi. L’evoluzione delle nostre imprese conferma che la stessa figura del leader – incarnata dai fondatori, dagli azionisti di riferimento o anche da manager professionali – appare situata all’interno delle dinamiche della cultura organizzativa e non al di sopra di esse (Hatch 2004). Questa dimensione più partecipata dello sviluppo di un sistema culturale coerente con le logiche dell’azione sostenibile traspare nitidamente dai meccanismi di “estensione” e “inclusione” tramite cui spesso le imprese studiate co-producono i propri orientamenti strategici e operativi con diversi loro interlocutori sociali e di business, sostenendo un costante processo di “sintonizzazione” con determinate istanze e risorse di contesto (cfr. par. 4). Ma il carattere socialmente costruito della cultura organizzativa pare emergere fin dal primo periodo di vita e direttamente all’interno di molte di queste imprese. Così, è vero che in questa fase i fondatori tendono a circondarsi di collaboratori provvisti di requisiti corrispondenti (in termini di inclinazioni, valori e aspirazioni, oltre che di abilità professionali) alla propria visione e alle proprie priorità, come ben visibile per Loccioni, Foppapedretti, WIS, Vita e TheBlogTV; e ciò, innegabilmente, rappresenta una delle modalità più efficaci con cui si esprime il potere di queste figure nell’indirizzare l’attività collettiva verso le direzioni desiderate. La loro influenza, però, non si esercita mediante il modellamento dei codici di significato che danno senso all’azione collettiva374, bensì nella capacità di supportarne la disseminazione favorendo, da un lato, le condizioni per la sperimentazione condivisa e continuata di modalità distintive di “fare le cose” e, dall’altro, la successiva comprensione del nesso tra la visione 373 Nella piena consapevolezza della sproporzione di questo accostamento, e sebbene nessuno degli intervistati vi abbia fatto riferimento, è difficile trattenersi dal rilevare la consonanza col noto paradosso biblico (Salmo 117) ed evangelico (Mt 21, 42): “La pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta testata d’angolo”… 374 È proprio questa idea delle dinamiche culturali come “variabile dipendente”, pianificabile e implementabile attraverso i normali strumenti del controllo manageriale, che troviamo al centro delle concezioni riduzionistiche della cultura organizzativa. 263 sottesa alle pratiche utilizzate e gli eventuali risultati positivi di business conseguiti. Riallacciandosi a un concetto formulato da Pfeffer (1995) e Gagliardi (1995), si potrebbe anche dire che il contributo decisivo di questi imprenditori alla formazione di culture aziendali improntate alla sostenibilità si realizza primariamente tramite un’azione manageriale e di leadership di tipo simbolico. Il successo di tale azione simbolica, tuttavia, ha un punto di passaggio obbligato negli atti di interpretazione con cui altri soggetti nell’impresa, e in particolare coloro che detengono responsabilità nella gestione delle attività critiche dell’organizzazione (ricerca e sviluppo, produzione, commercializzazione, ecc.), “contestualizzano” attivamente nell’operatività ordinaria i principi e i messaggi veicolati dal vertice. Pertanto, è attraverso dinamiche più complesse di quanto evocato dall’attraente immagine dell’“influenza culturale” che le visioni dei nostri imprenditori riescono a filtrare nella vita d’impresa, materializzandosi in specifiche attività e raggiungendo le singole funzioni maggiormente coinvolte nel core business (dalle divisioni di gruppi come MEG, Loccioni ed Engineering ai centri in franchising affiliati a WIS). Più ampiamente, questo meccanismo di “dispersione” – di traduzione, di attivazione e di possibile evoluzione, nei vari componenti e livelli d’impresa, delle opzioni fondamentali alla base della costituzione del business e dei suoi processi di posizionamento nel mercato – sembra avere molto a che fare con ciò che Butera (2009) definisce le “forze di integrazione”: da intendersi come una delle due fonti di energia375 dell’“impresa integrale”376, esse “muovono dai valori dei fondatori e si sviluppano attraverso un modo condiviso di praticarli nella quotidianità377” (p. 22). L’indicazione di fondo che si trae da tutto questo è riassumibile come di seguito: in molte delle nostre imprese esistono e sono routinizzati (o si stanno istituzionalizzando) delle concezioni e dei valori che ruotano intorno a istanze riconducibili ai temi della sostenibilità; che si legano a forti convincimenti da parte dei fondatori e/o di altre figure interne di riferimento e, al contempo, si sono 375 Si avrà occasione di riferirsi poco più avanti alla seconda fonte, data dalle “forze di espansione”. Il modello dell’impresa integrale presenta sostanziali corrispondenze con i modelli di business sostenibile di cui ci stiamo occupando. In particolare, le imprese integrali sono organizzazioni “che perseguono in modo integrato elevate performance economiche e sociali, che agiscono concretamente per proteggere e sviluppare l’integrità degli stakeholder e dell’ambiente fisico, economico e sociale, che hanno condotte eticamente integre” (Butera 2009, p. 20, corsivo mio). Secondo Butera, questo profilo d’impresa non rappresenta un profilo utopico o un idealtipo, ma un modello di fatto perseguibile da aziende “normali” costruite per durare. Anche questo aspetto – la praticabilità, più che l’eccezionalità, delle condotte messe a tema – si pone in forte continuità con le premesse e le indicazioni della nostra ricerca. 377 Il modo singolare con cui Butera ricostruisce una vicenda convenzionalmente mitica della storia dell’imprenditoria italiana, lo sviluppo del modello Olivetti, è illuminante proprio perché porta alla luce il rapporto di circolarità (e spesso velato) tra imprenditori straordinari e le loro “creazioni”; così, fa notare Butera (2009, p. 20), mentre fino alla morte del co-fondatore Adriano Olivetti “chi parlava di Olivetti parlava soprattutto di Adriano Olivetti e la sua azienda sembrava il prodotto irripetibile di un grande visionario”, è nel successivo decennio, tra il 1961 e il 1972, che “emergono invece l’originalità e la forza intrinseca del modello di impresa che si era sviluppata”. 376 264 sviluppati attraverso la storia e le tradizioni organizzative; e che sono giunti o tendono quasi a “personalizzare” l’azienda rispetto ad altre, conferendole – per così dire – un suo DNA che sostiene l’esercizio di certe competenze collettive, tra cui la stessa apertura (cruciale per l’innovazione) alla sperimentazione e all’apprendimento continui. Per usare i termini tuttora illuminanti del sociologo classico dell’organizzazione Philip Selznick (1976), nella maggior parte dei casi indagati è riconoscibile, in diversi stadi di evoluzione, un processo longitudinale di formazione di un distintivo “carattere organizzativo”. Come sottolinea Selznick, il carattere di un’impresa è un prodotto storico, poiché rispecchia le esperienze specifiche dell’organizzazione (comprese quelle orientate dalle figure di riferimento), funzionale, poiché permette all’organizzazione di conseguire degli equilibri nel proprio ambiente sociale interno e nei rapporti con quello esterno, e dinamico, in quanto comunque genera costantemente nuovi bisogni, problemi da affrontare e linee di azione. Ma soprattutto – e punto centrale per il nostro discorso – la formazione del carattere organizzativo comporta la graduale assunzione di modi di pensare e di agire che sono considerati importanti in se stessi: mentre il carattere d’impresa si esprime operativamente nella pratica di competenze distintive, la sua definizione implica “infondere valori al di là delle esigenze tecniche del compito immediato” (Selznick 1976, p. 24); in tal modo, si consolida una struttura dell’agire organizzativo tramite l’elaborazione di impegni generali “che incidono sulla capacità dell’organizzazione di controllare il proprio comportamento futuro” (ibid., p. 40)378. In ultima analisi, impiegando una terminologia oggi molto seguita, sono le concezioni, i valori e gli impegni istituzionalizzati attraverso lo sviluppo di uno specifico carattere organizzativo a connotare primariamente la vision e la mission di queste imprese nel senso dell’aderenza a criteri di azione sostenibile; laddove, anche indipendentemente dalla loro enunciazione sotto forma di documenti pubblici (che nel campione talora è trascurabile o formulata in maniera non sistematica), la “visione” indica lo scopo fondamentale e la direzione complessiva verso i quali l’organizzazione 378 Più complessivamente, a offrire strumenti efficaci per interpretare le dinamiche sociali e culturali in cui si radicano i percorsi nella sostenibilità da noi osservati è l’intera prospettiva istituzionalista di Selznick (non a caso ripresa e potenziata da molteplici approcci neoistituzionalisti dell’ultimo decennio; p.es.: Greenwood et al. 2008). Per Selznick, “l’istituzionalizzazione è un processo. È qualcosa che avviene ad un’organizzazione attraverso il tempo, rispecchiante la particolare storia dell’organizzazione stessa, le persone che ne hanno fatto parte, i gruppi che essa incorpora e gli interessi costituiti che questi ultimi hanno creato, nonché il modo in cui ha saputo adattarsi al suo ambiente” (1976, p. 24). L’intervento di meccanismi “politici” (di confronto e negoziazione tra diversi interessi e priorità) nell’istituzionalizzazione del carattere organizzativo, ai quali l’autore qui allude, si riscontra chiaramente in qualcuno dei nostri casi; si pensi alle tappe principali della storia di Engineering o anche al contesto di dialettica interna, e di confronto con alcuni stakeholder privilegiati, in cui di solito maturano le decisioni strategiche di Vita. 265 intende muoversi, insieme al contesto di lungo periodo in cui intende operare, e la “missione” fa riferimento alle linee e priorità d’azione da perseguire di conseguenza. L’accenno di poco fa all’apprendimento collettivo sia come meccanismo nella formazione del carattere organizzativo, sia come “competenza” al centro del distintivo carattere sviluppato (o in via di sviluppo) dalla maggioranza delle imprese esaminate, permette di focalizzarsi più direttamente sulle loro capacità di innovazione. Diversi spunti già forniti nel corso della discussione portano a individuare una serie di fattori che alimentano questa predisposizione. Senza dubbio, in diversi casi si riscontra un’abilità di creare e offrire prodotti o servizi che “eccellono” in alcune aree (al limite anche una sola) a cui i clienti attribuiscono veramente valore; come fa notare Christianson (1997), e come ad esempio pare esemplificato dalle strategie di Vita, questa capacità rappresenta un tratto costante delle organizzazioni innovatrici perché è decisiva per la differenziazione di mercato anche quando, rispetto ai concorrenti, altre condizioni della performance d’impresa (p.es., la “potenza” sul piano della capitalizzazione o delle economie di scala) risultino inferiori. Ancora, le dinamiche di “leadership dispersa” che si generano anche nei contesti contrassegnati da un notevole impulso culturale proveniente dalla figura dell’imprenditore appaiono basilari ai fini della disseminazione, nei processi-chiave dell’impresa, di istanze e modelli di azione/valutazione orientati all’innovazione sostenibile di lungo periodo379. È nei meccanismi culturali appena discussi, inoltre, che possiamo trovare elementi in grado di spiegare il legame tra sostenibilità e innovazione nell’attività di queste organizzazioni. Tali meccanismi, infatti, non riguardano soltanto la fase di formazione della cultura organizzativa ma anche i suoi “aggiustamenti” nel tempo. In particolare, nelle nostre traiettorie d’impresa si segnala l’importanza di processi di “cambiamento culturale incrementale” (Gagliardi 1995, Swanson 1999) ai fini delle attuali prestazioni di sostenibilità nel mercato. Questo tipo di mutamento comporta sì la sperimentazione di pratiche e competenze più o meno inedite rispetto al passato, ma si realizza e ha successo in quanto le opzioni valoriali sottese alle nuove condotte si inseriscono coerentemente nel tessuto di significati e valori già in vigore e disponibili nell’impresa, espandendoli o addirittura potenziandoli. In virtù di questa dinamica, le mutevoli esigenze ed opportunità che si presentano nella concreta gestione d’impresa conducono all’adozione di ulteriori valori integrabili con quelli tradizionali, a differenza di quanto accade nel “cambiamento culturale apparente”, che sfocia nella 379 In qualche modo, è possibile rintracciare nel funzionamento quotidiano di queste imprese i segni di quella “leadership partecipata” che, secondo diversi commentatori (p.es.: Parry e Bryman 2006), stanno subentrando – o dovrebbero sostituirsi – al paradigma tradizionale della leadership come meccanismo unidirezionale di influenza leadergruppo. 266 semplice adozione di condotte completamente delimitate dal nucleo di valori originario, e nella più traumatica “rivoluzione culturale”, attraverso cui delle trasformazioni strategiche radicali – fondate su tratti culturali e di identità collettiva in aperto conflitto con quelli preesistenti (p.es.: da una concezione finanziaria del successo aziendale a una visione composita del valore d’impresa) – vengono implementate mediante la rimozione, socialmente assai costosa, dei vecchi “impegni” organizzativi, spesso traducendosi di fatto nella nascita di una nuova organizzazione380. Non a caso, il ruolo dell’“incrementalismo culturale” affiora distintamente nell’evoluzione delle due imprese più longeve del campione, ovvero Foppapedretti e Ferrero: l’una capace di innestare l’adozione esplicita di principi di sostenibilità ambientale su un substrato culturale già imperniato sulla filosofia della qualità, dell’affidabilità e della sicurezza della propria offerta; l’altra in grado di integrare la vocazione creativa e artigianale nell’ideazione e nella “cura” del prodotto, tipica del primo periodo di attività, con le successive opzioni strategiche da multinazionale leader nell’industria dolciaria (programmazione, ricerca e sviluppo di prodotti in sintonia con i gusti e le esigenze di target variegati di consumatori, costante investimento in tecnologie di produzione d’avanguardia, marketing mix dato dall’impiego di molteplici canali promozionali e dalla creazione di una gamma estesa di marchi accomunati dalla “tipicità” Ferrero, ecc.). In entrambi i casi, è la combinazione di una serie di competenze e di riferimenti di valore sviluppatisi tanto dalla tradizione organizzativa che attraverso successivi ri-orientamenti nelle politiche di business a determinare l’odierno posizionamento aziendale nel rispettivo settore, a partire dal rapporto di fiducia instaurato con il consumatore. D’altra parte, anche nelle organizzazioni di costituzione più recente sono già riconoscibili meccanismi ed effetti, virtuosi per il consolidamento di un approccio strategicogestionale improntato alla sostenibilità, che si può ricondurre alla logica dell’incrementalismo culturale; ne è un esempio il percorso di Vita, nel quale l’attuale articolazione del business in tre ambiti d’azione (editoria, consulenza, comunicazione web-based) si basa sulla mutua fertilizzazione tra l’iniziale missione di valorizzare le esperienze sociali che “nascono dal basso” – dando innanzitutto loro visibilità mediante l’informazione – e la successiva focalizzazione sull’obiettivo di favorire il dialogo tra diversi attori che concorrono al pluralismo della società civile italiana e internazionale (realtà non profit e profit, gruppi di cittadini di diversa origine etnico-nazionale, ecc.). L’insieme di queste considerazioni porta a cogliere nuovamente una significativa corrispondenza tra le situazioni organizzative osservate e il modello dell’ “impresa integrale” di Butera (2009) 380 Si può così concordare con Gagliardi (1995), quando conclude che la situazione creata da un mutamento incrementale “è probabilmente la sola in cui si può parlare propriamente di cambiamento culturale” (p. 434). 267 richiamato in precedenza. Per l’autore, la seconda fonte di energia che – congiuntamente alle “forze di integrazione” – sostiene questo profilo di impresa è dato dalle “forze di espansione”, tra le quali spiccano “gli impossibile goals, ossia gli obiettivi di lungo periodo e i sogni che il vertice propone e che esso pratica quotidianamente” (p. 22). L’impressione suscitata da diversi nostri casi è che proprio l’attuazione di cambiamenti evolutivi (e non radicali), insieme ai processi di diffusione interna delle priorità d’azione e di inclusione sostanziale degli stakeholder esterni (cfr. par. 4), abbia sostenuto quello che Walker (2009) definisce il sense of agency delle persone (imprenditori, professionisti e manager situati nelle posizioni organizzative core) che avviano e coordinano attività d’impresa all’insegna dell’innovazione sostenibile. Le figure di riferimento operanti, o che hanno operato, nelle realtà del campione si propongono in maggioranza come soggetti estremamente pragmatici e, allo stesso tempo, idealistici. La parte – per così dire – più visionaria della loro concezione imprenditoriale pare essere stata salvaguardata e persino rafforzata da quei meccanismi di condivisione, estensione e realizzazione progressiva di un certo progetto d’impresa, come testimoniato chiaramente dal graduale consolidamento delle opzioni di business “anticonformistiche” di MEG e Vita381, ma anche – per converso – dalla piena tenuta degli ambiziosi impegni di sostenibilità ambientale sviluppati nel tempo da Foppapedretti, a fronte delle correnti criticità del suo settore industriale. In altre parole, se – com’è plausibile sostenere – le condotte innovative e i risultati di mercato delle nostre imprese sono strettamente legati a processi di apprendimento e più ancora alla loro capacità di continuare ad apprendere, il ruolo della cultura e di un certo modello di evoluzione culturale, nel contesto del loro apprendimento organizzativo, appare essenziale. Cercando di qualificare ulteriormente la natura di queste dinamiche di apprendimento, possiamo rilevare come di frequente, nel campione, si concretizzino alcuni tratti della learning organization codificati in letteratura (p.es.: Dodgson 1993, Huber 1991). Anzitutto, sebbene il livello delle competenze individuali resti vitale (poiché un’organizzazione concretamente acquisisce e utilizza know how attraverso la formazione, le esperienze e le azioni dei suoi membri), si manifesta la capacità dell’impresa nel suo complesso di generare e mantenere conoscenze indipendentemente dai singoli individui. Ciò che incide sulla conduzione del business e 381 Butera, per esemplificare la carica visionaria delle strategie dell’impresa integrale, cita gli investimenti di una nota casa automobilistica nella produzione di auto ibride e nella progettazione di auto all’idrogeno: “Quando recentemente Toyota decide di fare auto che ‘migliorano la qualità dell’aria’ afferma un controsenso: ma questa ‘follia’ ha un grande peso…” (2009, p. 22). È di questo genere l’apparente “non senso”, nell’ottica convenzionale, implicato dall’orientamento di MEG e Vita alla “valorizzazione degli scarti” che si è già commentato, per non parlare della recente scelta della seconda di quotarsi in borsa senza lo scopo di distribuire dividendi. 268 il suo sviluppo innovativo non è dato dai saperi e dalle soluzioni creative “nelle teste” delle persone (o di alcune persone), ma dal fatto che essi vengono trasferiti e si incorporano in pratiche collettive, modalità operative condivise, istituzionalizzandosi entro forme di conoscenza circolanti in una rete di rapporti sociali oltre che formali. Quasi paradigmatica, al proposito, si dimostra la l’esperienza di Loccioni in settori ad elevata intensità tecnologica: in una realtà guidata da un imprenditore privo di preparazione specifica in questi campi, dei meccanismi di reale apprendimento organizzativo, in grado di riverberarsi sulla produzione e l’offerta di servizi, vengono attivati incessantemente all’interno di un reticolo di relazioni professionali e personali che tendono a coinvolgere i collaboratori anche dopo la loro uscita dall’impresa. In secondo luogo, pare evidente che il know how che per queste organizzazioni rappresenta un set di risorse intangibili, determinanti e difficilmente riproducibili in altri contesti d’impresa, ai fini delle prestazioni di business non consiste soltanto di repertori squisitamente “tecnici” (cognizioni specializzate di settore, procedure e schemi operativi, sistemi di raccolta ed elaborazione di informazioni, meccanismi di monitoraggio dei mutamenti e delle richieste dell’ambiente, ecc., che vengono dinamicamente incorporati nell’assetto strutturale e nei processi di ricerca, sviluppo e commercializzazione di prodotto). In linea con quanto notato sull’influenza della dimensione espressiva e valoriale, infatti, tali componenti interagiscono e si combinano con più ampi codici di senso sulla missione e l’identità collettive nel generare, sostenere e adattare nel tempo le “conoscenze” su cui si costruisce la condotta organizzativa; ed è significativo ribadire come questo tipo di apprendimento, che è insieme – inestricabilmente – tecnico e socio-culturale, sembri caratterizzare l’esperienza delle stesse imprese operanti in campi ad alta specializzazione tecnologica (quali Loccioni, MEG, Engineering, Habitech e TheBlogTV). Proprio traendo spunto da un’espressione abituale nella vita di una di queste ultime organizzazioni per indicare le linee guida del proprio agire – il neologismo “tradinnovazione” coniato all’interno di Loccioni – possiamo avanzare un’interpretazione più generale, e forse ancor più incisiva, dello stile di apprendimento alla base dei modelli di business sostenibile proposti dal campione. In particolare, una feconda chiave di lettura proviene dalla nozione di March (1991) di organizational learning come capacità di situarsi il più costantemente possibile in un punto di equilibrio tra l’apprendimento in quanto “valorizzazione e sfruttamento” e l’apprendimento quale “esplorazione” (nella formulazione originale i due concetti sono resi in maniera assai efficace tramite il binomio exploitation/exploration). Con ciò si intende suggerire che un aspetto di fondo, e relativamente comune, nei processi di apprendimento e sviluppo di competenze delle nostre imprese coincide con la tendenza a utilizzare in profondità – in tutte le loro possibilità di vantaggio – i modi già scoperti e 269 “tradizionali” di definire e affrontare i problemi, mantenendosi nel contempo aperti alla novità e all’imprevisto; un bilanciamento che si può ritenere essere favorito dalla diretta inclusione di un orientamento alla sperimentazione e alle sfide dello “stare sul mercato” nel nucleo originario delle opzioni valoriali di queste organizzazioni, in primis di quelle strettamente tecnologiche, ma anche – in forma ben riconoscibile – nelle altre (da Ferrero a WIS, da Vita a Foppapedretti a Innogest). Da questa angolatura, quindi, si coglie anche il ruolo di fattori di paradosso nei percorsi delle imprese analizzate, laddove la stabilità si associa alla discontinuità e l’“ordine” non impedisce di ricavare risorse dal “disordine”. In tal senso, i medesimi processi di cambiamento incrementale sopra accennati non risultano necessariamente così lineari e immediati come si potrebbe essere indotti a pensare. Più arduo, però, è percepire gli elementi di esplicita contraddizione enfatizzati da alcuni studi radicali sull’apprendimento. È il caso, ad esempio, delle dinamiche di disapprendimento (unlearning, Weick 1993), attraverso cui si “scarta” il sapere accumulato per lasciare spazio a nuove mappe di riferimento e che un’organizzazione attiva (o dovrebbe avviare) allorché i vecchi modelli di comprensione-azione si rivelano inadeguati per fronteggiare il mutamento della realtà interna ed esterna382. Verosimilmente, i presupposti o l’esigenza di questa sorta di “apprendimento negativo” non sono mai sorti nel corso dell’evoluzione delle nostre imprese perché mai, nella loro esperienza, esse sono rimaste “prigioniere” dei propri schemi interpretativi; anzi, come più volte sottolineato, proprio la resistenza di alcuni “paradigmi” fondamentali istituzionalizzatisi sin dalla loro origine ha consentito loro di anticipare le istanze e attese di sostenibilità che oggi vengono rivolte con sempre maggiore insistenza agli operatori di mercato. Per vari versi, sembra eccessivo anche applicare ai casi studiati l’intrigante teoria del “senso della dissonanza” proposta di recente da Stark (2009). Al centro di questa interpretazione troviamo l’idea che, negli odierni scenari di incertezza ed estrema mutevolezza dei mercati, l’apprendimento e la “riflessività” organizzativi che conducono al successo d’impresa siano quelli che fanno leva sulla risorsa dell’ambiguità. Secondo tale logica, “la rivalità nell’impresa” (2009, p. 16) tra vari principi di azione organizzativa le permette di “sfruttare l’indeterminatezza della situazione lasciando aperti differenti criteri di prestazione piuttosto che creando consenso intorno a uno specifico set di regole”: contenendo e mantenendo attivi, nella sua azione, “ordini di valore” alternativi (ibid., p. 11) – p.es. il valore economico e i valori etici – essa riesce a produrre una “frizione generativa” (ibid., p. 16) essenziale per l’innovazione e che la pone nelle condizioni di “operare all’interno di 382 Evidente è l’affinità di questo genere di cambiamento con la situazione-limite della “rivoluzione culturale” richiamata poco fa. 270 molteplici giochi” (ibid., p.15), ad esempio per gestire efficacemente le aspettative e gli interessi, quando discordanti, di molteplici stakeholder. Nella misura in cui questa visione riconduce la possibilità della dissonanza organizzativa di generare risorse per l’innovazione al “potere” della contraddizione, attraverso la compresenza permanente di approcci incompatibili, è difficile individuare punti di contatto con il nostro campione. Le strategie di sostenibilità delle imprese osservate, infatti, tendono a sostenersi sull’integrazione di molteplici valori di benessere (par. 2); una combinazione che, pur sviluppata – come visto – anche mediante l’apertura alla discontinuità, pare attualmente inquadrarsi in una cornice culturale unitaria e non di sostanziale ambiguità, in cui c’è una relativa condivisione dei diversi significati che si attribuiscono alle condotte e ai risultati di business. Tuttavia, una serie di indicazioni con cui Stark elabora il suo modello, e che in verità sembrano renderlo meno provocatorio, fanno scorgere interessanti agganci alle situazioni indagate. Innanzitutto, è vero che spesso in queste esperienze l’azione imprenditoriale si configura, schumpeterianamente, come azione “distruttiva” e “ricombinatoria”, con l’enfasi che va mantenuta anche sul secondo termine. Si mettono, cioè, in esplicita discussione delle categorie diffuse di business as usual, ricevute dal contesto di mercato più che dalla propria tradizione organizzativa, e si ridefinisce il repertorio di criteri e risorse disponibili per la prestazione d’impresa tramite la contaminazione di logiche eterogenee. Una qualche rottura degli schemi convenzionali di mercato o di settore, condotta passando dalla ricombinazione di criteri d’azione diversi, figura alla base del core business di varie nostre imprese, da WIS (con la missione di erogare servizi sanitari di qualità a un costo contenuto) a TheBlogTV (con il superamento delle barriere tra produzioni web e televisive generate dagli utenti), da Innogest (con la promozione di singolari sinergie tra enti pubblici, aziende e mondo della ricerca in vista della crescita del tessuto imprenditoriale locale) a Habitech (con modalità a loro volta originali di contaminare i fini dell’iniziativa pubblica con strategie manageriali affini al venture capital). Inoltre, come già segnalato, questa propensione emerge palesemente nell’attività di MEG e Vita; e nella decisione della seconda di quotarsi nel mercato azionario, il potenziale del movimento di rottura-ricomposizione (assenza di remunerazioni monetarie per gli investitori, distribuzione di dividendi di valore sociale) appare dirompente. Pur insistendo a situare l’azione dell’azienda innovativa in un contesto di costante ambiguità, lo stesso Stark precisa in più passaggi che la dissonanza generativa di novità richiede non il semplice contatto o la giustapposizione di opzioni differenti attivabili alternativamente, ma che tali criteri interagiscano tra di loro; ed è esattamente questa la logica che ravvisiamo nella ricombinazione di 271 molteplici principi di valore attuata dalle nostre organizzazioni nei propri orientamenti e soluzioni di business. Nell’analisi di questo autore, troviamo poi altri spunti preziosi per delineare o ribadire i meccanismi dell’innovazione nei nostri casi: che le idee innovative non sono da “scoprire” nell’ambiente dell’organizzazione, bensì vanno generate; che l’imprenditoria, in ultima analisi, non costituisce la prerogativa di un individuo ma una proprietà dell’organizzazione complessiva; e che la distribuzione dell’intelligenza collettiva e dei processi di problem solving accresce l’interdipendenza reciproca tra i diversi gruppi e unità dell’impresa, la cui complessità e circolarità vengono governate mediante forme di coordinamento che non si esauriscono – e non potrebbero solo coincidere – con i tradizionali strumenti della pianificazione e del controllo gerarchico. Quest’ultimo aspetto è di particolare rilevanza, perché in qualche modo nel campione – e specie tra le imprese operanti in settori caratterizzati da notevoli incertezza e rapidità di cambiamento – possiamo intravedere le dinamiche dell’“eterarchia”, nella quale i rapporti e gli scambi tra unità vengono governati da forme di coordinamento che emergono lateralmente e non secondo il principio verticale di autorità. In tal senso, fanno, ad esempio, variamente testo le modalità con cui si organizzano e si rendono interdipendenti le diversità interne in Loccioni (tramite le relazioni partecipative tra “poli di competenza”), in Habitech (con la governance multilivello tra agenti di sviluppo con background in contesti professionali pubblici e privati), in TheBlogTV (mediante l’afflusso nella compagine societaria di partecipanti dalle professionalità di altro profilo nel campo della finanza e dei media), ma anche in Vita (in cui il confronto tra le molteplici “anime” della società è alla base della formulazione delle strategie di questa content company nel variegato settore dei comportamenti responsabili). Si potrebbe anche aggiungere che, non di rado, questi tratti eterarchici dell’attività organizzativa si estendono all’interazione e alla collaborazione con gli interlocutori nell’ambiente di business e sociale delle nostre imprese; quando accade, ecco che delle relazioni di interdipendenza prevalgono, oltre che sui rapporti di dipendenza gerarchica tra le unità nell’organizzazione, anche sui rapporti di indipendenza (tipici, per molti, del mercato) con altre entità del proprio contesto d’azione383. A ciò si avrà occasione di accennare nel paragrafo seguente. 383 Nel lavoro di Hedlund (1986), che introduce il concetto nella teoria organizzativa, la novità dell’eterarchia è infatti duplice: essa, come logica di coordinamento, si pone in alternativa sia ai rapporti di dipendenza della gerarchia che all’indipendenza tra attori delle transazioni di mercato. 272 13.4 L’espansione nel contesto e l’inclusione del contesto: stakeholder engagement e radicamento nei territori In realtà, semmai ce ne fosse stato bisogno, i percorsi di gran parte delle imprese esaminate dimostrano l’inappropriatezza della tradizionale e rigida distinzione tra un’organizzazione e il suo ambiente. L’immagine che essi ci rimandano è che i confini dell’organizzazione – o, quanto meno, di un’impresa impegnata nell’innovazione sostenibile – siano permeabili, mobili e comunque non definiti secondo parametri dati. Per cominciare, il meccanismo di espansione già riscontrato nel senso della “profondità”, mediante l’affinamento e il rafforzamento della missione distintiva d’impresa, si ripropone in senso “orizzontale”, sotto forma di un ininterrotto movimento per estensione e apertura del business all’esterno. Questo aspetto si manifesta su un piano molto visibile in un paio di circostanze che possono anche presentarsi simultaneamente. La prima è quando l’evoluzione organizzativa si è accompagnata a consistenti processi di crescita dimensionale e diversificazione delle linee di attività, nonché, eventualmente, all’internazionalizzazione: aldilà delle differenze nei numeri dei dipendenti (le prime due ne hanno migliaia), Ferrero, Engineering, Loccioni e MEG rappresentano, non solo in termini formali, delle vere e proprie holdings di più società attive in peculiari segmenti di business. Inoltre, se è vero che Loccioni ha saputo consolidare rapporti con aziende-clienti di primo piano a livello mondiale, la grande azienda dolciaria ha avviato fin quasi dall’inizio strategie di internazionalizzazione che oggi la rendono presente in tutti i continenti attraverso sussidiarie commerciali e produttive; e, del resto, la creazione di partnership internazionali è al centro di programmi di sviluppo già in corso in realtà notevolmente diverse dalla multinazionale di Alba, come TheBlogTV e Vita384. La seconda situazione significativa è quella delle imprese che agiscono in campi ad elevato tasso di cambiamento tecnologico (Loccioni, MEG, Engineering, Habitech e TheBlogTV): ambiti naturalmente favorevoli all’espansione plurisettoriale e in cui si accentuano le spinte all’attraversamento dei confini, alla contaminazione tra aree di attività (specie fra i processi di concezione e di esecuzione/produzione ) e alla costruzione di forme di collaborazione laterale – eterarchica – tra le funzioni/unità dell’organizzazione e fra questa e stakeholder cruciali del business environment quali i clienti e i fornitori. Peraltro, essendo le imprese operanti in tali campi 384 Anche Engineering opera all’estero con tre sedi e un numero esiguo di dipendenti. Tuttavia, a questa presenza formale non corrisponde ancora una chiara politica di internazionalizzazione delle attività del gruppo. 273 in prevalenza del tipo business-to-business, si nota una modalità emergente di interdipendenza con le organizzazioni-clienti nel co-design del prodotto; processo ravvisabile anche nelle relazioni di mercato, con targets consistenti in altre organizzazioni, di almeno due realtà impegnate in settori non tecnologici per quanto orientate all’innovazione tecnologica o alla sua promozione (Innogest e Vita, quest’ultima nella propria azione consulenziale). Con una minima forzatura, si potrebbe ipotizzare che nel business-to-business questa modalità di coinvolgimento dei fruitori (estesa ben al di là dei requisiti e dei limiti della transazione commerciale) equivale al meccanismo di interazione continuata con i clienti attivato, nel business-to-consumer (p.es.: Foppapedretti), con la fidelizzazione simbolico-identitaria al brand, in cui tendono ad assumere un ruolo primario i contenuti di “qualità integrale” di prodotti e marchi, compresi i loro connotati di sostenibilità ed eticità (cfr. par. 2)385. Guardando oltre questi indicatori (dimensioni, diversificazione delle aree di attività e dell’offerta, internazionalizzazione, sperimentazione o apertura tecnologiche), a colpire è l’approccio inclusivo delle nostre imprese nei riguardi di vari stakeholder economico-sociali. Ciò si segnala a partire da una singolare predisposizione a “conoscere” e “farsi conoscere”, come testimoniato, ad esempio, dai progetti Capire Ferrero e Bluezone di Ferrero e Loccioni, rispettivamente rivolti a neolaureati e a studenti di ogni grado scolastico (dall’istruzione dell’obbligo a corsi post-laurea): indiscutibilmente legati a obiettivi della politica del personale (p.es.: la pre-selezione di “talenti” attraverso il canale degli stage), la sistematicità di queste iniziative e l’importanza loro attribuita rivelano l’intento meno strumentale di favorire la comprensione della propria specifica realtà imprenditoriale da parte di giovani e giovanissimi; come dichiara la responsabile della comunicazione di Loccioni, per un’impresa convinta della propria unicità è importante “il desiderio di dire agli altri chi siamo, da dove veniamo e cosa facciamo”. Ampliando le osservazioni di poco fa, comune nel campione è la propensione a portare “direttamente dentro” le strategie di ideazione e costruzione dell’offerta di business le esperienze, istanze e competenze di una serie di interlocutori del contesto di mercato e sociale, con effetti che appaiono decisivi per le capacità e i risultati di innovazione sostenibile. E non ci si riferisce soltanto 385 Il valore relativo di questa distinzione affiora già dal campione; si pensi, ad esempio, alla forte reputazione conseguita da Loccioni ed Engineering presso le organizzazioni-clienti e, di converso, all’attività di TheBlogTV, interamente basata sui contenuti generati dagli utenti della sua comunità on-line. D’altronde, proprio le tecnologie di rete favoriscono oggi la combinazione tra branding e intervento dei cittadini-consumatori nei processi aziendali di sviluppo dei prodotti, anche in comparti industriali tradizionali (p.es., il settore automobilistico). Ne è un’espressione il fenomeno crescente delle brand communities, comunità virtuali in cui per i partecipanti si moltiplicano le occasioni di scambio con altre persone che condividono la “passione” per determinati prodotti, ma anche di comunicazione nonmediata con le aziende che li immettono sul mercato. 274 alla focalizzazione sul cliente e i suoi bisogni, che pure è parte integrante della cultura e delle pratiche di mercato di quasi tutte le nostre imprese. Sotto tale profilo, si è già sottolineato il ruolo basilare che nell’attività innovativa di Habitech e Innogest ricopre la realizzazione di sinergie tra le risorse e tra le concezioni di sviluppo imprenditoriale del territorio provenienti dal mondo d’impresa e da soggetti politico-istituzionali. Una simile funzione-ponte – “dialogare con” e insieme “mettere in dialogo” – al crocevia tra aree pubbliche e privata è al centro del modello gestionale di WIS, che non solo non può prescindere dalla valorizzazione del proprio network di centri affiliati, ma ha impostato la propria azione nel settore sanitario (e progettato l’espansione in altri campi quali l’housing e l’home care) sulla collaborazione con partner tanto del settore economico-finanziario quanto dell’amministrazione pubblica, oltre che sul coinvolgimento diretto degli utenti e delle loro comunità. Ancora, si pensi alle ricadute sugli indirizzi strategici e operativi di MEG e TheBlogTV generate dalle loro partnership, rispettivamente, con soggetti impegnati nel miglioramento della qualità dei prodotti agroalimentari (Slow Food, il network dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo) e con altre media companies europee all’avanguardia delle produzione web-TV. Un modello di ricerca di contributi da – e di costruzione del prodotto/servizio con – gli stakeholder di riferimento traspare chiaramente nelle condotte di Vita: esso si esprime anzitutto attraverso la traduzione concreta dell’orientamento esplicito a dare voce ai principali attori dell’universo non profit italiano e a offrire un laboratorio permanente e partecipato per introdurre sollecitazioni nella società civile; ma si sostiene anche, nuovamente, sulla tendenza a confrontarsi sia con l’iniziativa pubblica (p.es., come interlocutore di primo piano nel dibattito sullo statuto delle Onlus), sia con l’ambito profit (nella consulenza customer-tailored su progetti di CSR, oltre che nel processo di quotazione in borsa). L’esempio forse più eclatante, in cui il coinvolgimento degli stakeholder e il partnership building si tramutano in risorsa dei processi di produzione e di distribuzione del valore, sembra rappresentato da Loccioni. Qui la missione di integrare idee, persone e tecnologie a beneficio dell’innovazione d’impresa – rafforzata dall’intento di trasferire nel territorio (e oltre) un modello imprenditoriale ritenuto vincente – comporta logiche di networking assolutamente peculiari, che non si esauriscono nel co-design con i clienti e dove la componente tecnico-professionale si fonde spesso con elementi di conoscenza e fiducia personali nella creazione di opportunità per i partecipanti (crescita individuale, acquisizione e sperimentazione di know how, nuovi sbocchi commerciali). Lo si può notare nella rete Nexus, promossa per sviluppare cultura d’impresa tra imprenditori piccoli e grandi ed “esperti” di altri mondi (l’università, lo sport, la comunicazione…); nella gestione, in collaborazione con Enel e Whirlpool, del progetto Leaf Community, col suo stile di vita associata ispirato all’uso di fonti energetiche rinnovabili; e nella prassi – caso originale di reinvenzione 275 continua dei confini dell’impresa – di supportare l’avvio di attività autonome da parte dei propri collaboratori e mediarne il successivo inserimento nei propri circuiti di business, a vantaggio sia dell’azienda che dello spin-off. Tutte dinamiche relazionali che, evidentemente, incidono sulle complessive prestazioni di sostenibilità di questa impresa. Come anticipato nel paragrafo precedente, la continua apertura agli stakeholder ha contribuito a potenziare l’orientamento a principi di sostenibilità esistente sin dalle origini in gran parte delle nostre imprese, arricchendone i caratteri autopropulsivi (piuttosto che ridimensionandoli) e favorendone l’evoluzione nelle fasi di cambiamento organizzativo. Da questo punto di vista, accanto a quello dell’apprendimento come – simultaneamente – exploitation ed exploration, si potrebbe giungere a individuare un ulteriore fecondo paradosso alla base della capacità di innovazione sostenibile delle organizzazioni indagate: il movimento tra spinte centripete (talora ai limiti dell’autoreferenzialità, come per Engineering) e centrifughe (tramite la porosità dei confini d’impresa che favorisce gli scambi e la “conversazione” con realtà diverse) nelle loro ordinarie logiche di business. Implicazioni altrettanto interessanti scaturiscono leggendo queste indicazioni di ricerca nell’ottica dello stakeholder approach, ovvero una delle questioni teorico-empiriche che ha segnato l’intero dibattito sulla CSR fin dal suo avvio. Le condotte di interazione e dialogo di molte delle nostre imprese nei confronti degli stakeholder economico-sociali – in cui vanno ricomprese le azioni di “cittadinanza d’impresa” che commenteremo di seguito – le collocano in una posizione decisamente avanzata in due aree cruciali. La prima è quella dell’inclusività come estensione dell’apertura: in linea con una concezione “integrale” dell’approccio degli stakeholder (Clarkson 1995, Rusconi 2006)386, l’attenzione agli attori di contesto non rimane circoscritta, in modo selettivo, agli interlocutori evidentemente decisivi per la performance economico-competitiva, ma si apre alle aspettative, agli interessi e ai contributi di controparti “secondarie”387, il cui ruolo, cioè, non appare necessariamente o direttamente essenziale per il successo o la sopravvivenza d’impresa in termini di proft making. In secondo luogo, è palese il superamento di un’impostazione di stakeholder management, tipica delle prime fasi di diffusione della CSR e fondata su comunicazioni unilaterali 386 Questa visione, del resto, è coerente con l’originale formulazione di Freeman (1984), secondo la quale la prospettiva degli stakeholder comporta un distanziamento tanto dall’“approccio produttivo” (che considera interlocutori rilevanti soltanto i clienti e i fornitori), quanto dall’“approccio manageriale” (che aggiunge a quei due gruppi i soli azionisti e dipendenti). 387 La distinzione terminologica tra stakeholder “secondari” e “primari” (senza la cui costante partecipazione l’impresa non può funzionare nel mercato) è parimenti suggerita dai primi lavori di Freeman con un intento descrittivo; di fatto, è stata frequentemente intesa come principio di rigida gerarchizzazione, se non di esclusione selettiva, degli stakeholder d’impresa effettivi o potenziali. 276 e sul controllo degli stakeholder da parte dell’organizzazione. Ma non basta. Per alcuni versi, in virtù dei meccanismi di inclusione come incorporamento della “voce” (istanze, competenze ecc.) degli interlocutori all’interno dell’impresa, ci si pone anche a un punto molto estremo – se non oltre – del modello dello stakeholder engagement, successivamente auspicato da molti (p.es.: Andriof et al. 2002) e basato su processi di ascolto reciproco fra l’impresa e soggetti del contesto. Ciò si manifesta in particolare – ma non esclusivamente – nelle organizzazioni in cui troviamo strutture e processi formali allargati di corporate governance, ossia di governo degli indirizzi strategici d’impresa, che “recepiscono” la partecipazione di varie parti interessate nell’ambito, peraltro, di un approccio complessivo di per sé orientato a prestazioni e criteri di sviluppo sostenibile: è il caso di Habitech e Vita; ma anche di WIS (principalmente mediante il rapporto col consorzio di riferimento CGM e le sue linee di azione nella cooperazione sociale) e di Innogest, attraverso non soltanto l’ovvia presenza dei rappresentanti degli shareholders del fondo nei boards al vertice della struttura, ma anche l’intervento diretto dei soggetti inclusi nel vasto reticolo di partner (università, agenzie pubbliche, professionisti e investitori privati) nella definizione di nuovi progetti imprenditoriali da promuovere con azioni di supporto finanziario e gestionale. L’ampio capitolo che riguarda i pervasivi processi di interdipendenza tra le nostre imprese e i loro stakeholder si arricchisce, infine, di spunti relativi al rapporto col territorio. Su tale versante, si conferma una caratteristica peculiare, storica e già molto nota sia del modello imprenditoriale italiano, sia, più in generale, dei processi di sviluppo del tessuto socio-economico del nostro paese: il radicamento delle imprese nel territorio. In linea di massima e in vario grado, il senso di appartenenza a una distintiva comunità si rispecchia nella cultura e, sovente, nelle pratiche e scelte di business di queste organizzazioni. Tale meccanismo di identificazione e una certa predisposizione a far corrispondere il “bene” della propria società (l’impresa) al “bene” della società (il contesto di riferimento locale più o meno esteso) risultano naturalmente al centro degli orizzonti e dell’attività delle organizzazioni impegnate, per missione, nello sviluppo economicoimprenditoriale di un dato territorio, quali Habitech e Innogest nei confronti delle realtà trentina e piemontese. Nondimeno, il ruolo di questi legami di contesto è riconoscibile nell’insieme del campione e trasversalmente alle categorie dimensionali e di settore che lo compongono. Lo ritroviamo nelle numerose e diversificate forme di collaborazione di MEG con istituzioni pubbliche, enti privati e atenei piemontesi; nelle iniziative di sponsorizzazione sportiva o filantropiche, nella cultura del “fare di qualità”, nell’investimento continuo in creazione di benessere sui luoghi di lavoro per i collaboratori delle proprie sedi centrali (in prevalenza residenti) sia di Foppapedretti che di Ferrero; nell’impegno alla valorizzazione delle risorse relazionali di specifiche comunità, o di 277 loro energie vitali per la società civile, implicato dalle strategie di portata nazionale di WIS e Vita; e, in maniera più sfumata, nel riferimento simbolico diffuso in Engineering intorno al significato per il “sistema Italia” dei propri risultati nel campo dell’information technology. Ancora una volta, inoltre, merita una menzione a parte l’esperienza di Loccioni. Si è già accennato all’influsso della cultura locale, improntata ai valori contadini della fiducia reciproca e della condivisione del rischio, sulla visione di business del fondatore successivamente rielaborata nell’evoluzione d’impresa; nonché a una serie di pratiche (il coinvolgimento delle scuole, il sostegno alle autonome carriere dei dipendenti, la creazione di un laboratorio sull’imprenditorialità) che generano considerevoli benefici per persone e gruppi innanzitutto situati nel territorio. Tuttavia, vale la pena ricordare la forma di partecipazione più creativa – e dalle ricadute più immediate – alla vita della comunità, attuata dall’azienda: il progetto che reca l’eloquente denominazione Land of Values, con il coinvolgimento regolare di strutture ricettive e di ristorazione rappresentative del patrimonio eno-gastronomico marchigiano nelle operazioni aziendali di “cura” di clienti e visitatori ospiti dell’impresa. In questo caso, la produzione di mutui vantaggi dalla collaborazione con i soggetti della comunità circostante (innalzamento della reputazione dell’impresa, incremento del giro d’affari e attrazione di nuovi clienti per i partner) fa leva direttamente sulla valorizzazione di culture, professionalità e beni locali388. L’insieme di queste indicazioni dà quindi spessore alla riflessione iniziale (par. 2) sulla presenza, nella gamma di valori combinati e generati dalle nostre imprese, di risorse e benefici di contesto attinenti le une al capitale socio-culturale dei propri territori e gli altri allo sviluppo locale. Volendo interpretare tutto questo attraverso le lenti del dibattito sulla CSR, possiamo cogliere rilevanti corrispondenze con le prerogative della cosiddetta “cittadinanza d’impresa” (corporate citizenship). Con tale concetto ( p.es.: Altman e Vidaver-Cohen 2000), si allude alla capacità delle imprese di dedicare attenzione alle componenti dell’ambiente sociale più prossimo alla propria azione, “coltivando” relazioni con le comunità dove sono materialmente situate le loro attività. In particolare, si pone in primo piano l’interdipendenza tra l’impresa e gli altri attori del territorio, secondo un principio di reciprocità: se da un lato essa ricava risorse e contributi dal territorio (capitale umano, infrastrutture, ecc.), dall’altro contraccambia volontariamente tali benefici offrendo beni e servizi – aggiuntivi a quelli di carattere commerciale – che sono funzionali al 388 Nella sua semplicità, tale esempio rafforza gli argomenti di chi ritiene che in Italia non si sia ancora ben compreso il potenziale di valore aggiunto di beni culturali, storici, artistici e naturali fortemente localizzati nei nostri territori; un patrimonio di risorse non replicabili altrove, in grado di appagare bisogni immateriali oggi crescenti nel pubblico internazionale, sfruttabili e fruibili – secondo logiche di sostenibilità – anche da parte di operatori e consumatori che non si incontrano nel tradizionale mercato turistico. 278 miglioramento della qualità della vita nel contesto. In effetti, nel campione, a parte la tendenza a coinvolgere partner locali direttamente nei processi di business e il sostegno ai volumi occupazionali del territorio, è possibile riscontrare molteplici prestazioni di corporate citizenship a favore della comunità, quali gli investimenti nella tutela dell’ambiente naturale (che è innanzitutto un ecosistema locale), la produzione di capitale professionale e i servizi di welfare aziendale a vantaggio dei collaboratori e delle loro famiglie (cfr. par. 5), gli impegni filantropici in iniziative di rilevanza sociale. In definitiva, il rapporto con la dimensione locale permane e ha risvolti significativi anche laddove l’evoluzione d’impresa si è associata o si sta accompagnando a processi di espansione geografica e/o multisettoriale del business. Anzi, proprio in tali situazioni pare verosimile scorgere un nesso virtuoso tra la matrice locale di determinati stili di azione e il riuscire a muoversi con efficacia in arene più “globali”. È il caso non solo di Habitech e Innogest, che stanno progressivamente estendendo oltre i confini regionali i servizi e le pratiche già sperimentati con successo in Trentino e Piemonte, ma anche di aziende come Loccioni e la stessa Ferrero, per le quali il riferimento a elementi tipici del proprio territorio di origine (valori, relazioni, concezioni della qualità di prodotto, ecc.) si è tradotto in risorsa competitiva delle loro strategie di internazionalizzazione. Rovesciando – o, meglio, integrando – un adagio ricorrente nell’era della globalizzazione, secondo cui occorre pensare globalmente per sapere agire localmente (think globally, act locally), si potrebbe dire che la capacità di innovazione sostenibile di diverse nostre imprese si regge anche sul movimento opposto: think locally, act globally. 13.5 Coinvolgimento e contributo delle risorse umane: il nesso tra cittadinanza dell’impresa e cittadinanza nell’impresa Le risorse umane risultano sicuramente tra i principali beneficiari delle pratiche di sostenibilità delle nostre organizzazioni. Lo si constata a partire dalla presenza di climi d’impresa positivi, tendenzialmente improntati al rispetto dei diritti, dei bisogni e dell’autonomia individuali e basati su modelli di relazione collaborativi, con impatti indubbiamente rilevanti per la qualità della vita sul luogo di lavoro. Le indicazioni di maggiore interesse, però, affiorano a livello dei processi-chiave del ciclo di gestione del personale. È il caso, in primo luogo, delle modalità di recruiting, nell’ambito delle quali – a dispetto delle odierne retoriche sui vantaggi sia per l’impresa che per le persone della flessibilità del rapporto di impiego – il contratto di lavoro a tempo indeterminato, con i suoi 279 connotati di stabilità e di impegno reciproco nel lungo periodo, viene normalmente concepito e utilizzato come prerequisito fondamentale per un funzionamento organizzativo coerente con gli orientamenti delle strategie di impresa. Il significato attribuito all’intensità, innanzitutto nel senso della continuità, della relazione con i collaboratori affiora chiaramente anche nell’unica situazione in cui temporanee difficoltà di mercato hanno costretto a compromessi come la cassa integrazione (si consideri il rammarico del management di Foppapedretti per aver dovuto temporaneamente ricorrervi, unito al forte proposito di rientrare quanto prima da questa “deviazione”); e in quella singolare, proposta da Loccioni, in cui si incoraggiano forme di collaborazione con l’impresa anche al di fuori – prima e dopo – del rapporto formale di impiego. Eloquente appare poi, nei termini della capacità di integrazione delle pratiche di human resource management nel quadro delle strategie di innovazione sostenibile, la propensione a utilizzare – nelle fasi di selezione – criteri di valutazione delle “competenze” e del “potenziale” dei candidati direttamente riferiti ai contenuti della missione organizzativa, in modo tale che sovente è la considerazione della persona nel complesso delle sue predisposizioni (valori, apertura alle relazioni e al cambiamento, pregresse esperienze non solo professionali, ecc.) a prevalere sugli aspetti di job description collegati al lavoro da svolgere. Questo approccio – per così dire – olistico alla valutazione di ingresso del personale non soltanto caratterizza, come più logico, le due organizzazioni orientate a finalità politico-sociali (Vita e WIS), ma è ben riscontrabile in vari altri casi come quelli di MEG, Loccioni ed Engineering. Un altro ambito presidiato dalle organizzazioni studiate, e non di rado in forma avanzata (specie nelle realtà più strutturate), è quello dei sistemi di sviluppo, carriera e incentivazione. Su tale versante, a colpire è soprattutto l’attenzione alla formazione delle risorse umane. A parte diffusi meccanismi di learning by doing/interacting, nei quali le persone e in particolare i “neofiti” apprendono distintivi modi di fare (spesso non formalizzabili) connessi alla gestione del business attraverso il graduale inserimento in “comunità di pratica” (Wenger 2006) date dall’organizzazione stessa o dalle sue unità di lavoro, troviamo una notevole sistematicità delle iniziative di formazione. La consistenza di questo impegno è testimoniata, da una parte, dalla presenza di processi di pianificazione (e di successiva valutazione) degli interventi, nonché di ruoli e strutture dedicati; dall’altra, dal grado di varietà delle iniziative, sotto il profilo sia dell’erogazione (interventi interni o reperiti sul mercato) che dei contenuti (aggiornamento tecnico per le mansioni operative, formazione manageriale, sviluppo dei “talenti”). Su tale fronte, un caso emblematico coincide certamente con le attività della scuola interna “Enrico Della Valle” operante da circa un decennio in Engineering; ma meritano di venire sottolineati gli investimenti continui – nei fatti, strategici – di imprese come Loccioni e Ferrero. 280 Se in queste linee di azione si possono ravvisare importanti prestazioni a favore dello stakeholder “collaboratori” (crescita professionale, risorse di occupabilità sul mercato), proprio Ferrero si colloca in una posizione tout court d’avanguardia – nello stesso panorama nazionale – nell’implementazione di un vero e proprio sistema di wellness d’impresa, con l’offerta di una ricca gamma di servizi funzionali alle esigenze di work-life balance dei dipendenti (dall’asilo nido aziendale, ai servizi sanitari e ricreativi, allo sportello per la gestione delle incombenze della vita quotidiana). Peraltro, Ferrero rappresenta l’unica realtà del campione impegnata ad affrontare direttamente, nella gestione del personale, le questioni e le sfide del diversity management. Oltre a rilevare che si tratta di un’attenzione senza dubbio favorita dalla peculiare proiezione internazione di questa azienda, possiamo però aggiungere che processi di integrazione e fertilizzazione delle differenze (p.es.: di estrazione professionale, di esperienza, di età e anzianità di servizio) paiono all’opera anche in altri contesti indagati; per molti versi, le dinamiche di collaborazione eterarchica che abbiamo già identificato costituiscono sostanziali meccanismi di organizzazione della diversità a vantaggio delle strategie organizzative. In una prospettiva più generale, e riallacciandosi alla discussione precedente sullo sviluppo e la pervasività di un distintivo “carattere culturale” all’interno di queste organizzazioni, merita di venire sottolineato come la gran parte di esse riesca a utilizzare, generare e sostenere il commitment personale dei collaboratori (coinvolgimento, impegno, senso di identificazione) nei riguardi delle finalità organizzative e in particolare delle sue componenti più legate a istanze di sostenibilità. Tale situazione apre il campo a una serie di riflessioni. Ad esempio, la si potrebbe considerare anomala alla luce delle indicazioni di chi (p.es.: Cappelli 1999, Santin 2001), tra le profonde trasformazioni che stanno investendo le organizzazioni economiche contemporanee, identifica la graduale sostituzione di modelli di gestione delle risorse umane fondati sull’inclusione culturale con nuove pratiche incentrate sull’idea di scelte libere, razionali e self-interested – svincolate da una logica di appartenenza – da parte tanto delle imprese che dei lavoratori. Oppure, e in maniera più convincente, è possibile leggere queste dinamiche in un’ottica di internal branding (Musso 2007), ponendo l’accento sulla capacità delle nostre imprese non solo di dare risposta alle esigenze materiali e immateriali dei consumatori, ma anche di corrispondere ai bisogni simbolici di ricerca e costruzione di senso nell’esperienza soggettiva delle proprie persone. Coniugando questa idea nelle categorie della classica teoria di Etzioni (1961), si potrebbe affermare che forme di coinvolgimento di natura “utilitaristica” (connessa a incentivi e benefits materiali) e “solidaristica” (legata a incentivi immateriali relativi, per esempio, alla crescita e alla reputazione professionali e allo sviluppo di reti di relazioni personali) si combinano con meccanismi di natura “normativa”, dati da 281 incentivi immateriali che fanno riferimento agli scopi stessi dell’organizzazione e al suo modo di operare; se quest’ultima condizione si impone primariamente nelle due organizzazioni orientate per definizione a fini di portata sociale, si è indotti a ritenere che la sua influenza non sia estranea agli elevati livelli di retention del personale manifestati da altre imprese del campione. Ancora più feconda, nell’ottica del nostro progetto di ricerca, può tuttavia rivelarsi una chiave di lettura che muove dalla considerazione dei collaboratori d’impresa, oltre che come destinatari, anche come “veicoli” delle pratiche organizzative di sostenibilità. In particolare, diverse situazioni proposte dal campione avvalorano la convinzione (Swanson e Niehoff 2001) che il coinvolgimento e la partecipazione interni dei membri organizzativi nelle priorità perseguite dall’impresa costituiscano una condizione imprescindibile per riuscire a generare attendibili condotte di sostenibilità rivolte al contesto “esterno” dell’organizzazione. In altri termini, si può scorgere una relazione diretta tra “cittadinanza nell’impresa” e “cittadinanza dell’impresa”. 13.6 La dimensione politica della sostenibilità Come più volte ricordato, il nostro campione comprende due realtà esplicitamente impegnate nella valorizzazione di relazioni sociali e nella produzione di beni e servizi, in senso lato, collettivi (WIS e Vita) e un’organizzazione operante nella cornice di politiche di sviluppo imprenditoriale di matrice pubblico-istituzionale (Habitech). In tali casi, la propensione a intervenire nelle trasformazioni socio-economiche di contesto – promuovendo direttamente principi di partecipazione e giustizia sociali o di sviluppo eco-sostenibile – è quindi una componente già inscritta nella missione organizzativa; a risultare significativa, semmai, è la capacità di questi attori di realizzare i propri obiettivi sociali sotto le condizioni e i vincoli dell’azione di mercato. Una tendenza a muoversi come “attori politici”, in sintonia o comunque a contatto con le direzioni del mutamento sociale e le problematiche ad esse sottese, è riscontrabile però anche nel resto del campione. La cornice interpretativa che meglio consente di cogliere questi aspetti è, nuovamente, quella della “cittadinanza d’impresa”. Già si è evidenziato come le nostre imprese esercitino delle responsabilità che le rendono interdipendenti con altri soggetti dei territori in cui operano. Sotto tale profilo, va sicuramente enfatizzato anche il ruolo della filantropia di impresa (particolarmente avanzato, p.es., nelle iniziative della Fondazione Ferrero) come disponibilità volontaria a erogare servizi di rilievo sociale nelle comunità di insediamento delle attività di business. 282 È anche possibile andare oltre questa visione canonica, e tutto sommato limitata, della corporate citizenship (le imprese come “buoni cittadini” nella comunità), esplorando l’idea che imprese come quelle indagate possano assumere – o, nei fatti, già ricoprano – un ruolo più attivo nel campo della cittadinanza e nel governo delle sue dinamiche. L’implicazione centrale del porsi in quest’ottica più “allargata” è l’avvicinamento a una serie di posizioni molto recenti e quasi alternative nel dibattito sulla cittadinanza d’impresa (p.es.: Andriof e McIntosh 2001, Crane e Matten 2007, Matten e Crane 2005, Moon et al. 2005), secondo le quali le imprese entrano nel campo della cittadinanza non tanto per la titolarità di aspetti assimilabili a quelle dei “normali” cittadini, ma perché, nel contesto delle attuali trasformazioni, hanno la capacità di influenzare (e avrebbero la responsabilità di contribuire ad assicurare) le prerogative dei “reali” soggetti della cittadinanza; tra queste, i bisogni e le aspirazioni emergenti – di tutela di diritti, riconoscimento identitario, legame e giustizia sociali, salute fisica ed emotiva, armonia con l’ambiente naturale – espressi dal pubblico dei cittadiniconsumatori-lavoratori. Rispetto alla garanzia dei titoli fondamentali di cittadinanza, come l’erogazione di servizi pubblici e di welfare, solamente l’attività imprenditoriale di WIS propone un esempio esplicito di intervento nella vita sociale che in qualche modo ha a che fare con la progressiva erosione della capacità degli attori istituzionali di governo, innanzitutto di livello nazionale, di corrispondere alle proprie tradizionali funzioni di gestione di questa sfera di servizi389. Tuttavia, sul piano – insieme materiale e simbolico – degli stili di vita e di consumo e delle aspirazioni di benessere, diversi sono i nostri casi in cui si distingue chiaramente un orientamento a riflettere, favorire o persino amplificare delle identità sociali emergenti. L’applicazione più visibile la troviamo nel campo della sostenibilità ambientale. Se si concepisce lo spazio ecologico come una delle principali aree delle dinamiche di riconfigurazione delle identità sociali (Dobson 2003), il coinvolgimento dei soggetti d’impresa supera la semplice disponibilità alla gestione tecnico-operativa degli impatti ambientali dell’attività aziendale e può venire interpretato come dimensione più “costitutiva” della loro possibile partecipazione a questi processi del mutamento sociale; può cioè tradursi – come ben riconoscibile nei modelli di business di MEG, Loccioni e Foppapedretti (ma anche in Ferrero ed Engineering) – nell’impegno a potenziare le istanze di cittadinanza che ruotano intorno ai temi ecologici conferendo loro legittimità e nuovi contenuti attraverso prodotti, pratiche e culture d’impresa ecosostenibili. 389 L’altra e più accentuata situazione di “vuoto istituzionale” in cui, da questa prospettiva, l’agire ‘impresa può – o dovrebbe – partecipare al governo dei titoli di cittadinanza riguarda la presenza di imprese multinazionali nei paesi in via di sviluppo e la loro possibile scelta di supplire alle carenze o alla riluttanza degli attori di governo nel garantire diritti basilari. 283 In tutto ciò va anche apprezzata l’azione squisitamente educativa e di sensibilizzazione – si potrebbe dire di “responsabilizzazione” del contesto – svolta da molte di queste imprese intorno alle questioni della sostenibilità. Ne sono, ad esempio, un’espressione il laboratorio di idee sullo sviluppo imprenditoriale promosso da Loccioni e il modo in cui l’innovativo concetto di “sanità leggera”, al centro del modello strategico di WIS, si sta progressivamente istituzionalizzando nel campo dei servizi sanitari. 13.7 Riflessioni finali: le leve dell’innovazione sostenibile Complessivamente, dai casi del campione emergono indicazioni che, nella loro varietà, appaiono suffragare la generale ipotesi alla base del progetto di ricerca: la praticabilità e la plausibilità, tanto più nell’attuale scenario, di modelli di business che ruotano direttamente intorno a strategie e criteri orientati alla sostenibilità (ambientale, umana e sociale, di produzione e distribuzione di valore economico); modelli in cui la sostenibilità, nelle proprie diverse dimensioni e soprattutto nel loro intreccio, può o tende a divenire motore di innovazione. È questa – in ultima analisi – la condizione fondamentale che sembra avere accompagnato il percorso di sviluppo, e contraddistinguere l’attuale azione, delle nostre imprese e che ha pertanto ispirato il titolo del presente capitolo: la rappresentazione e l’“attivazione” dei principi di sostenibilità in termini non soltanto di responsabilità sociale ma anche di opportunità sociale, rendendoli cardini della propria competitività e dei proprio processi di posizionamento nel mercato. Le esperienze indagate confermano, in primo luogo, la crucialità di alcuni drivers dell’innovazione sostenibile enfatizzati dalla letteratura più recente in questo campo. Tra di essi, si impongono all’attenzione almeno tre fattori generali e interconnessi: a) la “precocità” e l’orientamento di lungo periodo degli impegni e investimenti in strategie di sostenibilità, entrambi senza dubbio favoriti – nella quasi totalità dei nostri casi – dal ruolo centrale ricoperto da istanze socio-ambientali nelle fasi e nella visione iniziali dell’attività d’impresa; b) la disseminazione di consapevolezza e condivisione collettive, a partire dai livelli decisionali dell’organizzazione, intorno al significato di obiettivi e modalità operative riconducibili alla sostenibilità per le strategie d’impresa; c) in qualche modo logica conseguenza dei due aspetti precedenti, l’incorporamento “strutturale” degli strumenti e delle soluzioni innovativi generati dall’orientamento a standard di azione sostenibile nei core-processes organizzativi: dalla ricerca e sviluppo di prodotti/servizi 284 all’approvvigionamento, dall’infrastruttura produttiva (anche nei casi di prodotti immateriali) al marketing, fino a processi cosiddetti soft – ma dall’impatto vitale – quali la comunicazione e la gestione delle risorse umane. Altre implicazioni di notevole interesse scaturiscono poi dallo studio. Ad esempio, esso porta a ridimensionare il luogo comune, tipico di una concezione limitata della sostenibilità, secondo cui “prendere sul serio” questa cornice di riferimento – applicandone requisiti e principi alla condotta organizzativa – si traduce necessariamente in un effetto frenante per le potenzialità e i risultati di business. Rispetto a diverse imprese del campione, infatti, l’uso del termine (talora abusato) di “eccellenza” non è fuori luogo per definirne sia il modus operandi (p.es., nei criteri di selezione degli interlocutori commerciali) che i risultati nel mercato, come testimoniato innanzitutto dalle esperienze di Loccioni, Ferrero e Foppapedretti. Ancora, le evidenze di ricerca inducono a inquadrare in un’ottica più complessa certi punti fermi della stessa retorica della CSR, per esempio l’idea che l’adozione di pratiche di responsabilità sociale comporti automatici vantaggi sul fronte del risk management. In tal senso, se è vero che le opzioni di sostenibilità di alcune delle imprese indagate si rivelano oggi anche un’efficace forma di prevenzione delle incertezze (si veda, p.es., l’allineamento anticipato di MEG e Foppapedretti alle esigenti regolamentazioni ambientali di prossima introduzione nei loro settori), occorre riconoscere i rischi assunti da queste organizzazioni, e in particolare dai loro fondatori, con la scelta di avviare e sviluppare progetti imprenditoriali alternativi e talora controcorrente; si tratta di soggetti – persone e imprese – che hanno dimostrato il coraggio, prima ancora che la capacità, di innovare, prefigurando e anticipando i cambiamenti di contesto. Più in generale, va enfatizzato il ruolo probabilmente decisivo di un paio di fonti di tensione creativa (in precedenza li abbiamo definiti “paradossi”) alla base dei percorsi nell’innovazione sostenibile osservati: il delicato equilibrio, da un lato, tra riferimento alla tradizione e apertura alla novità e, dall’altro, tra forze centripete e centrifughe. La presenza e gli effetti generativi di queste tensioni permettono persino di intravedere delle corrispondenze con la “prospettiva del valore sostenibile” (Sustainable Value Framework; Hart 2005, Hart e Milstein 2003), un modello decisamente avanzato dell’azione organizzativa sostenibile che per il momento si segnala più per la valenza prescrittiva che per la capacità di rispecchiare il “reale mondo d’impresa”. Tale modello si sviluppa, a sua volta, intorno a una tensione bi-dimensionale (fig. 1): l’asse orizzontale si riferisce all’esigenza di un’impresa di proteggere le distintive competenze sviluppate e disponibili al proprio interno, ricavando simultaneamente nuovi contributi (in termini di conoscenze, focus di attenzione, stimoli all’azione) dal rapporto con gli stakeholder esterni; l’asse verticale riflette l’esigenza di 285 concentrarsi sulla gestione delle attività correnti e di breve-medio periodo (p.es., nel senso della riduzione degli impatti socio-ambientali), lavorando simultaneamente alla creazione delle condizioni e delle soluzioni per l’innovazione futura (p.es., sotto il profilo tecnologico e dell’ingresso in nuovi mercati). Figura 1 - Il modello “del valore sostenibile” Preparazione al futuro Espansione delle opportunità “Scoperta” di bisogni ed opportunità Applicazion e della conoscenza consolidata Competenze Competenze Integrazion e di nuove Riduzione dei costi Reputazione sociali e ambientali e prospettive legittimazione Produzione di risultati immediati Con le inevitabili imprecisioni e cautele del caso, l’impressione è che diverse situazioni individuate nel campione si approssimino a un modello del genere, rendendo in vario modo disponibili spunti per operazionalizzarne la logica di fondo. D’altra parte, e senza scendere sul terreno scivoloso delle “buone prassi”390, dall’intero discorso con cui si è cercato di interpretare le condotte di queste imprese è possibile “distillare” delle linee-guida di riferimento e confronto per altri operatori che oggi, nel nostro paese, siano sollecitati o già coinvolti dalle sfide dell’innovazione sostenibile. Su un piano generale, quattro “aree di attenzione gestionale” sembrano avere reso possibile 390 L’ambiguità della logica delle best practices è proporzionale alla credenza nella loro trasferibilità, col rischio di sottovalutare le peculiarità sia dei contesti di origine delle pratiche che di quelli di ricezione. Tanto più, il ruolo di questi fattori deve essere attentamente considerato rispetto ai risultati di una ricerca esplorativa e qualitativa come la presente. 286 l’evoluzione delle nostre imprese lungo traiettorie di business sostenibile; possiamo definirle come aree dell’ispirazione (lo sviluppo di visioni culturali e di sistemi dispersi di leadership), dell’integrazione (di strategie, prassi operative, collaboratori e stakeholder), dell’apprendimento (radicato e insieme aperto) e del feed back (la conoscenza e valutazione degli impatti generati dalle proprie azioni e l’inclinazione a utilizzarle come input per le azioni successive). Queste componenti, già in grado di suggerire alcuni campi da presidiare e “coltivare” in un’ottica orientata alla sostenibilità, si declinano poi in una serie di fattori (sintetizzati nella tabella 1) che, per il loro più diretto potenziale applicativo, possiamo definire come “facilitatori dell’innovazione sostenibile”. Tabella 1 - I “facilitatori” dell’innovazione sostenibile Valori Radicamento dei principi di sostenibilità nel carattere culturale dell’organizzazione Disseminazione interna di priorità condivise Persistenza e potenziamento degli impegni/orientamenti di sostenibilità nel mutamento culturale Senso della direzione Incorporazione di scopi di sostenibilità socio-ambientale nell’azione collettiva: strategie, sistema decisionale, unità/funzioni organizzative Leadership Perseveranza a fronte di difficoltà Sponsorship, impegno ed esempio dei vertici d’impresa Coinvolgimento dei livelli intermedi del management, nel loro frequente ruolo di supervisori e coaches interni e di membrane rispetto agli interlocutori di contesto Engagement Coinvolgimento e responsabilizzazione dei collaboratori Trasmissione di strumenti e “cornici di pensiero” nella formazione e nella socializzazione on-the-job 287 Coinvolgimento e responsabilizzazione degli stakeholder economico-sociali Enfatizzazione dei risultati di sostenibilità (riconoscimento degli effetti win-win rispetto agli stakeholder, incentivazione nei collaboratori di competenze/prestazioni orientate alla sostenibilità Intelligenza Modalità multiple di apprendimento e sviluppo della conoscenza organizzativa Orientamento culturale all’inclusione e all’innovazione Meccanismi “a due vie” della comunicazione interna ed esterna Un’ultima riflessione ci riporta al tema del ruolo “politico” che le imprese, nel contesto delle attuali trasformazioni e criticità sociali, potrebbero acquisire – e, di fatto, sovente già esercitano – come interlocutori e canalizzatori diretti (o addirittura privilegiati) di istanze e attese del pubblico dei cittadini, nella loro veste di consumatori, lavoratori, soggetti organizzati nei gruppi della società civile. L’ambivalenza intrinseca al nesso potere/responsabilità genera, da più parti, comprensibili perplessità nei riguardi di una visione “estesa” della corporate citizenship, di fronte alla realtà o comunque alla prospettiva di un crescente intervento delle imprese nelle dinamiche di governo della cittadinanza (p.es., attraverso l’erogazione, collegata o collaterale all’attività di business, di servizi di rilevanza sociale) e di riconfigurazione delle identità sociali. Come assicurarsi che un incremento dell’influenza diretta delle imprese nella gestione di beni e questioni pubblici non si traduca semplicemente in un aumento dei loro differenziali di potere nei riguardi di altri attori, in primo luogo di quelli, in senso stretto, di governo? Come riuscire a distinguere l’ascolto e la cocostruzione, da parte delle imprese, delle identità e dei bisogni delle persone da meccanismi di sostanziale manipolazione? Nella consapevolezza della pertinenza di tali questioni, dal nostro studio siamo almeno sollecitati a spogliare di parte del loro corrente alone provocatorio le proposte di chi da tempo invita a pensare all’impresa come istituzione (Sapelli 1993) e a valorizzarne le capacità di lavorare per il benessere e lo sviluppo sociali (Frederick 1986). 288 Verso un nuovo modello di sviluppo? In questa sede, inquadriamo il cambiamento culturale di cui la letteratura economica e manageriale analizzata è espressione, leggendolo con gli strumenti teorici della sociologia. L’agire economico fa parte, infatti, di un’assiologia e di una normatività più ampie che definiscono i comportamenti sociali e i parametri di giudizio delle azioni, delle persone, delle cose, in particolare dei beni di consumo. Il principio sociale emergente è oggi il principio di valorizzazione delle risorse. In altre parole, nel dopo crisi, si diffonde una nuova prospettiva, una nuova logica d’azione e di giudizio o, nei termini della teoria di riferimento (Boltanski-Thévenot 1991), un nuovo mondo, il mondo sostenibile (Magatti-Gherardi 2010). In tale mondo, grande è chi, o ciò, che valorizza le risorse umane, sociali e ambientali, mentre piccolo è chi, o ciò, che consuma le risorse senza rigenerarle, quindi chi, o ciò, che mortifica-sfrutta-dissipa le risorse creando, in una prospettiva di lungo periodo, un mondo insostenibile. Prima di descrivere la nuova prospettiva racchiusa nel mondo sostenibile, gli oggetti e i dispositivi su cui poggia, occorre accennare brevemente ai sette mondi da cui si differenzia, individuati dalla sociologia pragmatica francese391: il mondo connessionista, il mondo industriale, il mondo mercantile, il mondo civico, il mondo domestico, il mondo dell’ispirazione, il mondo dell’opinione. Anticipiamo che i diversi mondi non si riferiscono ad ambiti, ma a logiche d’azione, a principi che le persone applicano nella vita quotidiana, quando si tratti, ad esempio, di giudicare il valore di qualcuno o la fondatezza di un’azione: ad esempio, nel mondo domestico, in cui, lo vedremo, il grande è colui che viene prima, secondo la relazione idealtipica capistipite-eredi, rientrano gli avanzamenti di carriera per scatto di anzianità; ugualmente, l’imprenditore che tratta paternalisticamente i propri operai è una figura del mondo domestico. Iniziamo dall’ultimo mondo in ordine cronologico: il mondo connessionista che Boltanski e Chiapello hanno individuato sulla base di un’analisi di testi della letteratura manageriale degli anni ’90 (Boltanski e Chiapello 1999). I due sociologi vi hanno rinvenuto la formazione di un nuovo sistema di valori392, molto diverso da quello che emerge dalla comparazione con testi degli anni ’60, centrato sulle nozioni di rete e di progetto, da cui il nome di mondo a rete, o connessionista. In un mondo a rete, il grande, che ne incarna i valori, è colui che sa adattarsi ed essere flessibile, dunque che è mobile ed in grado di inserirsi in progetti sempre nuovi - per questo, nel linguaggio dell’impresa, è occupabile. Il grande è attivo ed autonomo, sa assumersi rischi per allacciare contatti sempre nuovi e gravidi di possibilità, a sacrificio della stabilità e delle forme di attaccamento a ciò che dura e che ne intralcia, per questo, 391 Come segnalato, gli autori di riferimento per questo approccio sono Boltanski, Chiapello e Thévénot. Su cui poggiano i giudizi quando si tratti di identificare chi è grande (degno di stima) e chi, al contrario, è piccolo, o quando si tratti di approntare dispositivi riguardanti la vita quotidiana, in particolare quella lavorativa, e di giustificarli. 392 289 la disponibilità. Il grande estende le reti esplorandole, tesse legami e crea contatti che poi ridistribuisce ai piccoli che, in un mondo a rete, sono rigidi, chiusi, radicati e, per questo, non occupabili. Il mondo connessionista, popolato da tecnologia e legami deboli, funziona “per progetti”393, in analogia con l’impresa per progetti, poiché l’attività per eccellenza consiste qui nell’inserirsi nelle reti ed esplorarle per dare forma a progetti che possono essere condotti in successione o in parallelo. Il progetto è un dispositivo a cui risponde l’olrganizzazione più complessiva della vita sociale: le vite professionali e affettive delle persone sembrano organizzarsi, diversamente dal passato, attorno ad una molteplicità di progetti professionali e di legami che possono succedersi a intervalli brevi, o sovrapporsi nei diversi ambiti (Boltanski 2008). Introduciamo gli altri sei mondi (Boltanski, Thévénot 1991)394, premettendo le condizioni che ogni mondo deve soddisfare: ogni mondo è costruito attorno ad un diverso principio di equivalenza, che detta chi è grande e chi è piccolo in quel mondo e che deriva da uno specifico principio superiore in riferimento ad un bene comune395. In ogni mondo, accedere allo stato di grande comporta uno specifico sacrificio396 (nel mondo a rete, ad esempio, il sacrificio della stabilità), la grandezza deve apportare benefici ai piccoli (nel mondo a rete, ai piccoli vengono ridistribuiti i legami che il grande tesse esplorando le reti) e gli esseri hanno una peculiare modalità di relazione o tipo di legame (nel mondo a rete, la connessione). Ogni mondo poggia su una figura (nel nostro esempio, la rete), su un principio di equivalenza (sempre utilizzando come esempio il mondo a rete, l’attività volta a generare progetti) stabilisce dei parametri e una “prova” a cui sono sottoposti i soggetti (nel mondo a rete, la prova è il passaggio da un progetto ad un altro) ed è caratterizzato da oggetti, soggetti e dispositivi (nel nostro esempio, rispettivamente, le Ict, il project manager e l’organizzazione del lavoro per progetti). Oltre al mondo a rete abbiamo: il mondo industriale, il cui principio superiore comune è quello dell’efficacia, da cui discende che il grande è chi produce di più e meglio, mentre il piccolo è qualcuno di improduttivo, inefficace, misurazione dei risultati alla mano, qualcuno che, come si dice di una macchina, non funziona. I piccoli beneficiano dell’efficienza che il grande 393 Il mondo realizza nelle pratiche la Città per progetti: il modello teorico di riferimento, che nasce come grammatica del senso ordinario della giustizia, presenta mondi e Città omonime. Le forme ideal-tipiche dell’accordo che costituiscono la metafisica dei mondi comuni sono chiamate Città, per mostrare il legame tra gli “abitanti” immaginari; l’estensione delle Città ai mondi comuni corrispondenti, attraverso prove, dispositivi e repertorio dei soggetti e degli oggetti. Per esigenze di semplificazione, in questa sede ci riferiamo solo al temine “mondi”, anche quando sarebbe più corretto l’utilizzo del termine Città. 394 accennare alla struttura teorica di riferimento, senza pretendere di riassumere un modello, quello delle economie della grandezza (Boltanski-Thévenot 1991), famoso tanto per la sua forza quanto per la sua complessità (Nachi 2006). 395 È tale riferimento a legittimare l’ordine dettato dal principio di equivalenza; si tratta, quindi, di un modello pluralista, che consente di avere una pluralità di ordini di grandezza legittimi, senza cadere nel relativismo. 396 In ognuno dei sette mondi, accedere allo stato di grande (dove grande significa più generale) comporta dei costi rispetto ad un qualche tipo di jouissance égoiste, a cui fanno da controparte ricompense materiali e simboliche. Sugli importanti vincoli al modello, in particolare della dignità delle persone e della comune umanità, rimandiamo all’opera di riferimento (Boltanski-Thévenot 1991). 290 garantisce loro, l’avanzamento è posto come necessario. Se tale mondo ha come riferimento l’organizzazione, il mondo mercantile ha, invece, come riferimento, transazioni puntuali tra clienti, venditori e concorrenti sul libero mercato. Il grande è il vincente che sa cogliere l’opportunità e chiudere l’affare, mentre il piccolo è il perdente. Nel mondo civico, in cui il principio superiore comune è il primato del collettivo, il grande è colui che è più in grado di rappresentare l’interesse generale, mentre il piccolo non può farsi un portavoce, un delegato, perché è colui che non sa staccarsi dal proprio interesse particolare. Il mondo domestico, in cui vige la gerarchia sul modello di quella familiare, è il mondo delle relazioni di dipendenza personale, anche in gruppi ed organizzazioni che rientrano formalmente in un altro mondo comune, spesso nel mondo industriale. Il grande è colui che è venuto prima, sul modello della relazione capostipite-eredi. Infine, mentre il grande del mondo dell’opinione è una celebrità, poichè il principio di equivalenza è il numero di persone da cui qualcuno è conosciuto – e, di converso, il piccolo è qualcuno di sconosciuto -, nel mondo dell’ispirazione, che è il mondo degli artisti, il grande è un illuminato, che ha talento a livello mondano e grazia a livello mistico, mentre il piccolo è chi segue le regole, chi non si avventura su strade inesplorate, che è la forma di sacrifico richiesta per accedere qui alla grandezza397. Dall’analisi della letteratura presentata, e dagli esperimenti che in ordine sparso stanno prendendo piede nelle aziende, si evince la formalizzazione, nel dopo-crisi, di un ottavo mondo comune, che chiamiamo mondo sostenibile, che nasce dalle critiche al modello di sviluppo precedente. Giunti a questo punto, possiamo dire che le critiche, esposte nell’analisi della letteratura, di shortermismo e di creazione di valore per i soli azionisti sono critiche rivolte al mondo mercantile, e che quelle di riduzionismo economicista e di non assunzione delle esternalità negative sono critiche rivolte al mondo industriale. In ambito economico, l’attenzione al valore extra-finanziario e alla ricreazione delle risorse, e la prospettiva di lungo periodo che caratterizzano il mondo sostenibile, si oppongono, infatti, alle transazioni puntuali nel breve periodo del mondo mercantile, ma anche all’efficienza e alla perfomance come valori in sé, tipici del mondo industriale nel quale non sono pertinenti i costi collettivi che esse comportano, ovvero delle risorse che esse consumano. Dalla prospettiva del mondo sostenibile, la logica del mondo industriale è riletta come logica dello sfruttamento delle risorse, a cui il nuovo mondo comune oppone una logica di ricreazione delle risorse. Il mondo sostenibile si centra sul principio di valorizzazione delle risorse, secondo il quale grande è un facilitatore dello sviluppo congiunto delle diverse ecologie umane, sociali e ambientali, mentre il piccolo è, al contrario, un dissipatore-mortificatore di risorse, che sfrutta le risorse comuni 397 Il caso del genio incompreso esemplifica come chi è grande in un mondo (genio=grandezza nel mondo dell’ispirazione) possa essere piccolo in un altro (incompreso=sconosciuto=piccolo nel mondo dell’opinione). 291 senza rigenerarle. Abbiamo visto, nell’analisi della letteratura, che piccole, nel mondo sostenibile, sono le organizzazioni che impattano negativamente gli stakeholders, o alcuni di essi, che non favoriscono, ad esempio, l’empowerment e il ben-essere delle risorse umane, né lo sviluppo armonioso delle ecologie sociali e naturali in cui operano, che rifiutano di riconoscere e internalizzare le eventuali esternalità negative di cui sono causa. In analogia con le organizzazioni, il piccolo del mondo sostenibile è l’irresponsabile che dissipa le risorse, che abusa dei beni comuni anziché valorizzarli, distruggendo così valore, laddove la nozione di valore, l’abbiamo visto, si amplia a comprendere risorse extra-finanziarie, incurante delle conseguenze della propria azione sulla collettività. Distruggendo legami e specificità a proprio vantaggio, e in questo senso è un colonizzatore-sfruttatore. Ha una visione ristretta all’affare tipica del mondo mercantile e all’efficienza, tipica del mondo industriale398, manca dunque di una prospettiva ampia, come si dice meschino di qualcuno che guarda solo nel proprio orto e solo l’oggi. È autoreferenziale, come viene detto del sistema economico, nel senso che manca di slancio verso l’esterno e verso il futuro, in questo senso è nichilista (Magatti 2009), sul modo di: “Après-moi, le déluge!”. Laddove il principio superiore comune, secondo il quale sono giudicate cose, azioni e persone, è la valorizzazione delle risorse, esempi emblematici della figura del grande, in impresa, sono il mentore, il coach, il formatore, il direttore delle risorse umane i cui sforzi sono tesi all’empowerment di coloro di cui è responsabile, a partire dai collaboratori, che considera persone e non fattori di produzione come avviene, invece, nel mondo industriale. Ciò occupandosi non solo della formazione di queste ultime, ma anche della loro qualità della vita, del loro benessere come sicurezza e salute psichica e sociale. Nel repertorio dei soggetti del mondo sostenibile rientrano dunque figure che hanno ruoli già esistenti all’interno delle imprese399, a cui si potrebbero aggiungere, ad esempio, all’esterno delle imprese, l’insegnante, l’assistente sociale, il ricercatore, il medico. Così come l’organizzazione facilita lo sviluppo delle risorse valorizzando l’unicità delle diverse ecologie in cui opera, il grande sviluppa sostenibilmente i talenti, che integra nella loro diversità. Il grande è un facilitatore, la cui grandezza si basa sulla capacità di valorizzazione, che intrattiene con i piccoli una modalità di relazione che possiamo definire “generativa”, in assonanza con la teorizzazione di Eriksson (Erikson 1950; 1959). La generatività, che è il tipo di legame nel mondo sostenibile, prospera in un clima di apprendimento diffuso, di trasparenza e di trasmissione integrale delle competenze e delle informazioni. che contribuiscono all’accrescimento dell’autonomia dei piccoli. Diversamente dal grande del mondo domestico, il grande della mondo sostenibile si oppone alla dipendenza personale dei piccoli, poiché la generatività è proiettata nel rendere possibile qualcosa 398 Si vede qui come i grandi in un mondo possano essere piccoli in un altro. Altri ruoli sono in via di creazione all’interno delle imprese, ad esempio, per ciò che concerne la valorizzazione ambientale, il consulente etico interno e l’ingegnere ottimizzatore del consumo energetico 399 292 di autonomo, dunque nel valorizzare anche chi supera il valorizzatore. La generatività, di cui alcuni tratti si ritrovano, ad esempio, nello stile trasformativo di leadership (Nye 2008), altri nella leadership volta alla sostenibilità, coincide con un arrotondamento per eccesso400, opposto al gioco al ribasso sul prezzo del mondo mercantile, con una modalità di co-produzione che supera il valore dello scambio di mercato, perchè pensa lo scambio in maniera più aperta e differita, aprendo la reciprocità, come quando considera le generazioni future (che, secondo la celeberrima battuta di Allen, “non hanno mai fatto qualcosa per noi”). Il sacrificio richiesto al grande è, da un lato, la rinuncia alla massimizzazione dell’utile che verrebbe dallo sfruttamento delle risorse (a cui fa da correlato l’incertezza sul lungo periodo), dall’altro, il sacrificio di tempo e di energie dedicate all’empowerment delle risorse. Le organizzazioni proposte come modello, che ora possiamo definire grandi, sono le imprese sostenibili, ovvero quelle che tengono conto del contesto non solo in ingresso, ma anche in uscita, che dunque sono istituzioni, responsabili, che valorizzano le risorse umane, sociali e ambientali in una prospettiva di lungo periodo. La prova della sostenibilità è, infatti, la creazione di valore sul lungo periodo per tutti gli stakeholders, come acquisizione equa di valore, nel tempo, da parte di tutte le risorse, e cioè senza che ne siano valorizzate alcune a spese di altre. Sappiamo, dall’analisi della letteratura, che questo è un primo vincolo che pesa su un mondo sostenibile. Se la prospettiva di lungo periodo che caratterizza il mondo sostenibile sposta nel futuro la prova della valorizzazione delle risorse, gli indicatori ancora in via di formulazione, che poggiano su scenari definiti da expertise (e controexpertise), faticano a disancorarsi dagli strumenti di misura tipici del mondo industriale401. La figura su cui poggia il mondo sostenibile è quella dell’ecosistema in equilibrio, il bene comune la salute degli uomini e del pianeta. Così come oppone il lungo periodo al breve, il mondo sostenibile oppone agli indici di ricchezza tipici del mondo industriale - tra cui, ad esempio, il PIL a cui abbiamo elencato le critiche provenienti anche da scene economiche di primo piano - una più ampia concezione della ricchezza comporta un ampliamento sia nella prospettiva temporale (generazioni future), sia nella prospettiva spaziale (intero pianeta). In un mondo in cui l’operazione principale è permettere uno sviluppo duraturo e armonioso delle risorse, è normale trovare esseri come le fonti energetiche alternative, declinate in un campionario che va dai mulini a vento alle centrali idro-elettriche ai pannelli solari, le leggi e i regolamenti per la 400 La generatività non è un donare, ma un dare, dunque non coincide con agape (Boltanski 1990) per il fatto di dover essere sostenibile, anche economicamente. 401 Su questo punto vedi, in particolare il paragrafo “Difficultés liées à la mesure de la durabilité” dans Stiglitz, Sen, Fitoussi 2009; gli autori trattano anche dell’ampio sviluppo, in termini recenti, di indici di misurazione del valore di risorse diverse da quelle economico-finanziarie, tra cui quelle ambientali e sociali - queste ultime intese principalmente come benessere sociale, qualità della vita e felicità - di cui rinvengono il precursore nel pionieristico Sustainable Measure of Economic Welfare (SMEW) di Nordhouse e Tobin. 293 riduzione delle emissioni e i dispositivi che ne accompagnano l’osservanza, dal cap-trade - esempio di compromesso tra il mondo sostenibile e il mondo mercantile, trattandosi di una cartolarizzazione delle emissioni che permette il commercio di quote di inquinamento, sotto la soglia fissata, tra paesi - agli incentivi per l’auto elettrica, alla regolamentazione sullo smaltimento dei rifiuti, dalla raccolta differenziata al riciclo dei materiali. Prevedibilmente, dunque, nella letteratura analizzata trovano grande spazio oggetti eco-compatibili, o che hanno una seconda vita perché sono riciclati, o facilmente smaltibili e, più in generale, oggetti riconducibili alla green economy. Ad essi si aggiungono, in virtù del vincolo di non effettuare un trade-off tra le risorse ambientali e sociali, gli oggetti che permettono contemporaneamente una valorizzazione sul piano sociale, come i prodotti equi e solidali, le forme di condivisione della conoscenza su internet e, più in generale, i beni in cui è iscritto un legame con altri, da quelli che favoriscono la convivialità ai commons (Olstrom 1990). Nel mondo sostenibile, sono devalorizzati i beni la cui produzione o consumo determina esternalità negative sul piano ambientale – ad esempio i Suv – e/o sociale – dai prodotti fabbricati in luoghi che non rispettano i diritti umani, ai super-bonus che simboleggiano una non-equità sociale, ai videogiochi per bambini che ne ostacolano la socialità, agli emblemi razzisti che mortificano la diversità – e/o umano, dove sono piccoli gli oggetti nocivi per il benessere psico-fisico dell’individuo – e in particolare gli oggetti e i dispositivi che creano una dipendenza. In modo più esteso, sono piccoli gli oggetti che non bilanciano le sostenibilità nei diversi ambiti, quindi si offrono a critiche di insostenibilità su un piano. Sul piano della valorizzazione umana, gli oggetti tipici sono quelli che sostengono l’apprendimento e la salute. Tipici dispositivi del mondo sostenibile sono, sul piano sociale, i sistemi di integrazione e di aggregazione, di istruzione e di formazione, di counseling e di (ri)qualificazione, le leggi che li abilitano e i relativi esperimenti che stanno prendendo piede in alcune aziende - dall’insegnamento diffuso alle Faculty interne, al coaching a tutti i livelli aziendali al welfare aziendale personalizzato (che costituisce un compromesso civico-industriale) alla co-produzione dei servizi. Ancora, le proposte di sottoscrizione di codici etici per alcune professioni, tra cui quella del manager, e quelle che legano la parte variabile del salario di qualcuno all’acquisizione di skills da parte dei collaboratori402, le leggi sulla sicurezza che si ampliano ad includere lo stress dei dipendenti, dunque gli indici che misurano il dispendio e lo spreco di risorse psicologiche e sociali. Sempre nel mondo sostenibile rientrano le proposte di ridefinizione del lavoro volte a riconoscere un compenso economico per 402 In particolare, la parte variabile del salario dei responsabili delle risorse umane. Un’estensione di tali proposte a tutto il management potrebbe appoggiarsi su un dispositivo di doppia “rendicontazione” dei risultati a fine anno, costituita da due relazioni, la prima riguardante l’operato del manager, la seconda l’operato dei collaboratori con riferimento specifico alle competenze acquisite e al supporto fornito loro. Questo rende comparabile la generazione di valore da parte di qualcuno attraverso la valorizzazione che ha fatto di altri, portando inoltre ad una concorrenza più perfetta sul mondo del lavoro (perché sarebbe ostacolato il non passaggio di conoscenze ed informazioni utili ai sottoposti per paura della loro concorrenza) e, valorizzando il sacrificio delle ore di lavoro, incentiverebbe la formazione. 294 attività che hanno un impatto positivo sul territorio (Boyle - Simms 2009) e di potenziamento delle capabilities della popolazione, oltre che le proposte di indicizzazione della valorizzazione avanzate da diverse parti sociali, tra cui l’elaborazione e l’applicazione di nuovi indici di corporate social responsibility da parte di imprese come ad esempio Nike e Walmart. Sono anche già emerse critiche e compromessi tra il mondo sostenibile e gli altri sette mondi. Da ogni mondo, infatti, possono essere lanciate critiche verso tutti gli altri403, con i quali vi è sempre anche la possibilità di un compromesso404. Ad esempio, dal mondo industriale si può criticare il mondo mercantile di aleatorietà e di distorsione dei prezzi, mentre dal mondo mercantile si può criticare quello industriale di rigidità, espressa dalla pianificazione; un compromesso tra i due mondi è esemplificato dall’espressione “investimenti finanziari dell’impresa”, dove il primo termine (“investimenti finanziari”) si riferisce al mondo mercantile, il secondo (“dell’impresa”) riporta al mondo industriale; parlare di “manager creativo” significa tentare un’unione del mondo industriale (manager) e del mondo dell’ispirazione (creativo), parlare di “mercato dell’arte” significa tentare un compromesso tra mondo mercantile (mercato) e mondo ispirato (dell’arte), mentre l’espressione “diritti dei lavoratori” tenta un compromesso civico (diritti) – industriale (dei lavoratori). I compromessi che stanno emergendo, tra il mondo sostenibile e i mondi industriale e mercantile, sono numerosi, sia perché, come già accennato nell’analisi della letteratura, la sostenibilità è diventata un fattore competitivo e un business, sia per il fatto che i risultati della valorizzazione spesso vengono trasposti in cifre per essere riconosciuti, trovando un equivalente generale nella misura e nel prezzo, come nel caso menzionato della cartolarizzazione delle quote di inquinamento. La performance sociale e ambientale dell’impresa è esempio di compromesso tra mondo industriale (“performance”) e mondo sostenibile (“sociale e ambientale”), così come la green (sostenibile) economy (industriale), il diversity (mondo sostenibile) management (mondo industriale), mentre gli investimenti socialmente responsabili sono un esempio di compromesso tra il mondo mercantile (“investimenti”) e il mondo sostenibile (“socialmente responsabile”), così come il green index sul mercato borsistico405. Dal mondo sostenibile si può criticare quello 403 Per portare un esempio di critiche da un mondo a tutti gli altri, prendiamo il mondo domestico: da esso si può criticare il mondo civico puntando sulla irresponsabilità morale del dirigente, il mondo mercantile sul modo del “non tutto si compra”, il mondo industriale di fare valere criteri di esperienza sui titoli, il mondo dell’opinione per la logica dell’apparire che gli è connaturata, il mondo dell’ispirazione di sovversione. 404 Nell’ambito della teoria di riferimento, un compromesso è una formula, in cui resta la ricerca di un bene comune, che cerca di comporre grandezze che afferiscono a due mondi diversi. 405 Altri esempi di compromessi possibili tra il mondo sostenibile e gli altri sono: con il mondo dell’opinione, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica ai temi dell’ambiente e del sociale (ad esempio, tramite campagne informative e non-profit), con il mondo dell’ispirazione, con cui condivide i valori di autenticità e di diversità, le filosofie del benessere, in particolare la critica ai ritmi imposti dalla produzione, con il mondo civico, la valorizzazione dei commons, con quello domestico, l’idea di tutela del patrimonio per le generazioni future (Lafaye-Thévenot 1993), con quello connessionista, le reti di condivisione della conoscenza. 295 dell’ispirazione di individualismo; quello mercantile di shortermismo; quello industriale di riduzionismo economicista, di proceduralismo tecnicizzante e di sfruttamento; quello civico di non prendere in considerazione le generazioni future; quello connessionista di colonizzazione del pianeta, di artificiaità e di precarizzazione delle esistenze; quello domestico di ostacolare l’autonomia delle persone; infine, quello dell’opinione di incitare all’iperconsumo a detrimento della convivialità406. Una critica tutta interna al mondo sostenibile è, invece, quella di greenwashing, oggi mossa alle imprese da diverse parti sociali, e di strumentalizzazione, laddove la pubblicizzazione della valorizzazione di una risorsa da parte di un’impresa è sospettata di avere la funzione di occultare lo sfruttamento, presente o passato, di un’altra - è il caso di conflitto tra diverse sostenibilità. Ancora, alla critica di ignorare i risultati di più difficile computazione, si aggiunge quella, laddove le risorse siano discrete, di un empowerment dei soli elementi già forti tra quelli che compongono la risorsa407. Tali critiche segnalano i rischi di un’appropriazione dimezzata del valore della sostenibilità nel post-crisi. Parliamo di appropriazione dimezzata in riferimento alla dinamica dello sviluppo del capitalismo restituita nell’Introduzione al presente lavoro, secondo la quale per legittimarsi ed aprire al profitto nuove strade, esso può fare propri, in parte, alcuni dei valori in nome dei quali è criticato, a patto che tali valori possano essere resi compatibili con il funzionamento delle imprese408. Per quanto il business del verde, del sociale e delle competenze costituisca un’evoluzione del modello di sviluppo e per quanto possano essere in via di sperimentazione, in alcune imprese, innovazioni volte ad una valorizzazione delle risorse che non ne sacrifichi alcune a scapito di altre, occorre segnalare che l’assunzione delle istanze sociali dei cittadini-consumatori da parte di un’impresa-civica, se distorta, può diventare il cavallo di Troia per la colonizzazione del mondo civico da parte del mondo industriale. La teoria delle imprese come possibili governi della cittadinanza si concentra su come esse possano supportare o, in alcune versioni estreme, sostituire gli attori pubblici nell’amministrare fondamentali diritti e servizi, dalla tutela dei diritti umani e dell’ambiente all’erogazione di servizi fondamentali di welfare e 406 Esempi delle critiche dal mondo sostenibile a tutti gli altri si trovano in Latouche 2010. Il mondo sostenibile, a sua volta, si presta a critiche di prescrittività da parte del mondo ispirato, di sciupare opportunità e di irrealtà dal mercantile, di scarsa efficacia dal mondo industriale, di destabilizzazione dal mondo domestico, di marginalità dal mondo dell’opinione, di lobbismo dal mondo civico, di lentezza dal mondo connessionista. 407 Nell’ambito delle risorse umane, ad esempio, ciò si traduce in un supporto allo sviluppo del potenziale unicamente degli attivi più di talento (How to keep your top talent, Harvard Business Review 2010) - per una critica, rimandiamo a Sennett 2008. Lo sviluppo di tutti gli elementi che compongono una risorsa discreta è dunque da considerarsi un quarto vincolo (paragrafo 2). 408 E’ il caso di valori che, come accennato nell’Introduzione al presente report, negli anni ’70 rientravano nella critica al capitalismo e di cui l’assiologia capitalista si appropria negli anni ’90, come dimostra la letteratura manageriale dell’epoca, e come riassunto al capitolo 1 del presente report, ad esempio l’autenticità - diventata un fiorente business e la mobilità - che, da fattore di liberazione dai vincoli spaziali e temporali imposti dalla produzione, è diventata un obbligo per gli effettivi che seguono i flussi di investimento (Gherardi-Pierre 2008). 296 protezione sociale. E ciò in un momento, come quello attuale, in cui si esacerbano, per le imprese, quelle richieste da parte della società civile che abbiamo visto andare nella direzione di un’attenzione forte per le dimensioni sociali e ambientali e che hanno attinto forza dall’attuale congiuntura di crisi. Proprio dall’azione delle istituzioni potrà dipendere, per una larga parte, quel cambiamento nella morale quotidiana - che oggi si limita per lo più alla sola sfera ecologica sottoforma di eco-comandamenti - come cambiamento nel rapporto degli individui ai beni, agli altri e a se stessi, di cui è promotore un mondo sostenibile che si dispieghi nelle pratiche. 297 Bibliografia Altman B.W. e Vidaver-Cohen D., “A framework for understanding corporate citizenship”, Business and Society Review, 105, 2000, pp. 1-8. Andriof J. e McIntosh M. (a cura di), Perspectives on corporate citizenship, Greenleaf, Sheffield, 2001. Andriof J., Waddock S., Husted B. e Sutherland Rahman S. 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