La necessità di mediare il carattere lineare dell`insegnamento con

annuncio pubblicitario
SOMMARIO
Brevi informazioni per riflettere …
Una nuova prospettiva
pag.
2
2
Neuropsicofisiologia
Dopo
questi
Neuropsicologia
5
presupposti…qualche
domanda
12
13
Attenzione
18
Disturbi dell’attenzione
23
Apprendimento
-
memoria
La costruzione interattiva della conoscenza - di Paolo Chellini
25
Memoria implicita e memoria esplicita
35
Dai la carica alla tua memoria
42
Strategie per migliorare la memoria
43
Il funzionamento ottimale della memoria
Quali nessi tra psichismo e funzioni cognitive ?
Una scuola per e con il bambino
57
69
75
Cosa spetta alla scuola per sostenere attenzione e memoria
82
Una psicologia metacognitiva
90
Training sulle strategie di memoria
108
La costruzione dell’apprendimento: stili di apprendimento e stili di
insegnamento. Didattiche interattive e di mutuo insegnamento .
( Dott.ssa Adalgisa Troiso )
114
Stili cognitivi
123
1
BREVI INFORMAZIONI PER RIFLETTERE …
La base scientifica poggerebbe sul fatto che il cervello non è “un
organo rigido” ma alcune cellule dell’ippocampo (area della
memoria-apprendimento) si rigenerano, se sollecitate a
mantenere collegamenti con altre aree cerebrali .Vi sono
sostanze particolari: le Neurotrofine che favoriscono lo sviluppo
di fibre più numerose che permettono più contatti con altri
neuroni (cellule celebrali). La produzione di queste sostanze
aumenta con lo stimolo dell’apprendimento in un programma di
autorigenerazione . L’evoluzione ha predisposto il nostro sistema
nervoso alla scoperta e alle novità per reagire in modo positivo
ad ogni evento imprevisto . Quali sono le novità che danno il
giusto stimolo a costruire nuovi circuiti cerebrali ?
La prima regola della Neurobica è rompere la routine e la
monotonia, coinvolgere i nostri sensi in situazioni diverse,
attivare la nostra attenzione e fantasia .
(Circolo Resegone Viale Brodolini 35 23900 Lecco- Cervello e
Neurobica – by Sergio Invernizzi Pagina 3 - II PARTE:
NEUROBICA, UNA NUOVA DISCIPLINA PER LA MENTE)
UNA NUOVA PROSPETTIVA …
L’espressione genica e la plasticità cerebrale sono emerse come
il cuore, l’elemento centrale, il nucleo della costruzione e
ricostruzione della memoria, dell’apprendimento e del
comportamento durante i nostri ritmi quotidiani naturali della
sveglia, del lavoro, del sonno, del sogno e della guarigione.
Sublimanti esperienze di arte, di bellezza e verità possono
attrarre la Coscienza Osservante che attiva i Neuroni Specchio
2
con le associate esperienze di Empatia, Transference e
Relazione esprimendo così il Ciclo Espressione Genica/Sintesi
Proteica . (…)
Questo ciclo terapeutico mente-corpo perviene come una
sorpresa alla maggior parte delle persone quando si rendono
conto che le frontiere delle attuali neuroscienze suggeriscono
una nuova visione del significato dell’arte, della bellezza e della
verità nella comprensione della condizione umana e della
guarigione. Già nel 1871 Charles Darwin, per esempio, fece
notare nel suo libro “ la Discendenza dell’Uomo”, l’importanza
della bellezza nella evoluzione umana attraverso la selezione
sessuale . Questa interpretazione sul ruolo della bellezza e delle
esperienze correlate all’arte ed alla verità, devono essere
ampiamente
privilegiate
sui
comuni
concetti
erronei
dell’evoluzione quando implicano come filosofia di vita solo “La
sopravvivenza del più forte” e la “natura sanguinosa (rossa) del
dente ed artiglio”. Più recentemente Roughgarden ed al. (2006)
hanno documentato come una teoria matematica di un gioco di
interazione cooperativa sociale possa condurre ad una
comprensione più ampia del comportamento riproduttivo umano a
paragone di una interpretazione ristretta della teoria della
selezione sessuale di Darwin, la quale pone enfasi sul concetto
dei geni egoisti e dei geni memi ( memoria e cognizioni analoghe
ai geni) in competizione per la sopravvivenza. (Dawkins, 1976).
Ora si sa bene che i nostri geni creano le proteine le quali sono
l’essenza (le fondamenta) della vita e plasmano la psicofisiologia
del corpo, del cervello, del comportamento, della coscienza e
della personalità . Da questa prospettiva possiamo definire la
coscienza come il fenotipo (la manifestazione esteriore)
dell’ontologia genica (la storia biologica a livello molecolocellulare) . Non viene, comunque, riconosciuto quanto sia vero
3
anche il contrario : le anse del feedback della coscienza elevata
attraverso le esperienze numinose dell’arte, della bellezza e del
vero possono innalzare il livello di attività dei nostri neuroni
specchio a tal punto da attivare il ciclo espressione
genica/sintesi proteica per costruire il protoplasma della vita.
Potremmo esprimere l’essenza di questa nuova visione della
comunicazione mente-corpo e della guarigione in una sola frase :
Le nostre esperienze novelle e numinose di fascinazione con i
misteri del mondo e di noi stessi eccitano i neuroni specchio nel
nostro cervello attivando il ciclo espressione genica/sintesi
proteica e la plasticità cerebrale per la continua costruzione e
ricostruzione della nostra coscienza e salute nella nostra vita
durante il giorno [nei cicli ultradiani] e durante [la notte
attraverso] i sogni.
I recenti sviluppi nel campo delle neuroscienze stanno generando
una profonda consapevolezza non solo nelle tradizionali arti della
guarigione dell’ipnosi terapeutica, della psicoterapia, e della
riabilitazione, ma anche nell’arte, nella bellezza, e nella verità in
filosofia, nelle scienze umanistiche e nelle scienze in generale .
Questa revisione concettuale delinea quattro principi base della
Nuova Scuola Neuroscientifica di Ipnosi Terapeutica, di
Psicoterapia e Riabilitazione.
1. Livelli elevati di espressione genica generano livelli elevati di
attività neuronale, che distingue il cervello umano e la
consapevolezza dagli altri primati .
2. Le nuove neuroscienze dei Neuroni Specchio, empatia,
relazione e trasferenza (transfert), forniscono nuova
consapevolezza nel talento psicosociale di base di tutti i
terapeuti .
4
3. L’attività mentale nuova e motivata genera nuovi neuroni,
significato e consapevolezza eliminando il cosiddetto “gap
cartesiano” tra mente, corpo e geni .
4. I processi normali della costruzione della consapevolezza,
della memoria e dell’apprendimento durante le importanti
transizioni della vita durante veglia, sonno e sogno, offrono un
modello naturale per i nostri innovativi approcci neuroscientifici
verso l’ipnosi terapeutica, la psicoterapia e la riabilitazione .
Proponiamo che i fenomeni classici dell’ipnosi terapeutica
descrivono le manifestazioni fenotipiche, osservabili da un punto
di vista cognitivo-comportamentale, dell’espressione genica
attività-dipendente, della plasticità cerebrale, e della guarigione
mente-corpo nella psicoterapia e nella riabilitazione. C’è adesso
ingente bisogno di valutare l’efficacia clinica del processo
creativo a 4 stadi nella ricostruzione della consapevolezza
(coscienza), memoria e comportamento nei nostri innovativi
approcci neuroscientifici e attività-dipendenti, per l’ipnosi
terapeutica, la psicoterapia e la riabilitazione, [attraverso
importante ricerca con studi basati su gene chips, DNA e Neuro
Imaging].
NEUROPSICOFISIOLOGIA
Il cervello umano è uno strumento meraviglioso, geneticamente
predisposto per far acquisire all’individuo conoscenza e
coscienza di sé e dell’ambiente, e poter utilizzare così lo spazio –
tempo della propria esistenza per esprimersi creativamente e
5
armonicamente partecipando all’evoluzione sociale, culturale e
umana (dott. Michele Trimarchi) . Gli studi effettuati dalla
Neuropsicofisiologia spiegano che nel cervello si strutturano sia
la personalità che l’individualità della persona (Io cosciente) . La
personalità è rappresentata da esperienze, informazioni culturali
acquisite e “conservate” (memorie) nel nostro cervello. Questi
engrammi neuronali che racchiudono le informazioni, le
esperienze pregresse, si attivano automaticamente nell’emisfero
sinistro del cervello, che risponde all’esterno sulla base di
meccanismi associativi che collegano per similarità gli stimoli in
arrivo a quelli memorizzati in precedenza . Quante volte ad
esempio un genitore, abituato da tempo ad osservare
atteggiamenti di aggressività da parte del figlio, attribuisce
loro sempre lo stesso significato (aggressività = mancanza di
rispetto, disobbedienza, negatività) mentre le motivazioni
vissute nel presente dal giovane sono completamente diverse da
quelle
del
passato?
In
contemporanea
all’attivazione
dell’emisfero sinistro del cervello si verifica l’attivazione
dell’emisfero destro, che codifica i messaggi informazionali in
arrivo nel loro contenuto sostanziale (caratteristiche fisiche) e
comunica un messaggio integrato ed integrabile all’emisfero
contro laterale (sinergismo interemisferico), arricchendo le sue
memorie e generando una sintesi dinamica . In poche parole i due
cervelli comunicano per loro fisiologia attraverso il corpo calloso
(commessura interemisferica delle fibre nervose) le proprie
identificazioni informazionali, parziali nel loro specifico, ma
ricostruite in maniera globale ed oggettiva alla realtà dai lobi
frontali dove, attraverso le afferenze sensoriali, arrivano tutti i
messaggi . La realizzazione di risposte diverse ed integrate da
parte dei due emisferi cerebrali concretizza nel tempo e nello
spazio lo sviluppo dell’Io cosciente (individualità della persona)
6
Il cervello umano con i suoi due emisferi elabora ed integra
dinamicamente le afferente sensoriali per la realizzazione
dell’Io cosciente. L’Io cosciente psicologico si concretizza
prevalentemente nell’emisfero sinistro, ma ciò non deve farci
pensare che tale coscienza è la nostra realtà oggettiva, poiché
contemporaneamente abbiamo un tipo di processo di
elaborazione dell’informazione che non sempre riusciamo a
concretizzare in coscienza psicologica . Tale elaborazione
avviene nel nostro emisfero destro e mette in risalto ciò che
comunemente chiamiamo ‘sensitività superiore ’. Possiamo oggi
godere della nostra esistenza se permettiamo un’integrazione
oggettiva tra elaborazione sensitiva dell’emisfero destro e
conseguente concretizzazione logica nell’emisfero sinistro .
Quando la sensazione viene trasformata in logica analitica si
verifica un sinergismo che possiamo identificare come ‘gioia’ o
‘sofferenza’ di tipo ‘superiore’, rispetto al processo di
interazione a Stimolo/Risposta che crea piacere temporaneo o
angosce, ansie e tensioni .
Sintetizziamo
come
dell’apprendimento:
segue
la
neuropsicofisiologia
1. l’input sensoriale raggiunge le aree specifiche dei due
emisferi cerebrali;
2. l’emisfero sinistro associa tale input per analogia al modello
precostituito
mnemonicamente
e
conseguentemente
formula una risposta in base alle richieste dell’informazione
ricevuta;
3. l’emisfero destro identifica l’input in una propria
costruzione integrativa, da cui ricava una risposta
concettuale e creativa che scompone in codici stimolativi da
proporre, attraverso le connessioni interemisferiche, alle
7
strutture neurologiche dell’emisfero sinistro, le quali,
guidate da tali impulsi, ricostruiscono la risposta logica
proposta dall’emisfero destro, concretizzandola con una
verbalizzazione od altra forma espressiva di tipo manuale o
di altro genere.
Il sinergismo emisfero destro – emisfero sinistro richiede delle
latenze abbastanza lunghe rispetto alle latenze del solo
emisfero sinistro ed infatti nella maggior parte dei casi si
verifica una risposta reattiva del solo emisfero sinistro . La
creatività,
la
saggezza,
l’altruismo
possono
verificarsi
esclusivamente con una risposta sinergica . L’Io cosciente
utilizza tutto lo spettro energetico delle informazioni, che
arrivano attraverso i cinque sensi codificate in maniera formale
e sostanziale dai due emisferi cerebrali (aree prefrontali e
prefrontali) e ne rappresenta la guida sostanziale, il pilota che
decide di revisionare, positivizzare, modificare il proprio vissuto
mnemonico (emisfero sinistro) in funzione di un presente che
l’emisfero destro rileva nella sua oggettività . Di conseguenza
l’Io imparerà ad esprimersi nella sua genialità, con ragionamenti,
progetti, azioni utili all’evoluzione del proprio esistere, in ogni
momento della vita fino alla morte : tappa, quest’ultima, che fa
parte di un processo dinamico
( infanzia, adolescenza fase
adulta, anzianità ) attraverso cui l’energia biologica e l’energia
psicologica
si
trasformano
.
Essere
se
stessi
e
quindi
protagonisti coscienti della propria vita comporta la conoscenza
di come il proprio cervello “lavora”. Se l’essere umano fin da
bambino è messo in condizione di attivarsi nelle sue potenzialità
8
biologiche sviluppando la coscienza di quanto apprende e vive,
egli imparerà gradualmente a riconoscersi nel proprio Io, con le
sue
emozioni,
razionalità,
creatività,
e
a
stimarsi
con
autodeterminazione e chiarezza . In sintesi il bambino utilizzerà
con coscienza la propria energia ( l’Io cosciente ) nel momento in
cui imparerà a comprendere la Vita nel suo dinamismo . Questa
costruzione e consapevolezza non invecchia . Purtroppo, a forza
di sottoporre l’essere umano a stimoli condizionanti abbiamo
separato la funzionalità dei suoi due emisferi cerebrali, destro e
sinistro, abbiamo dissociato l’essere dal suo Io, quell’Io che
dovrebbe usare entrambi gli emisferi per continuare a crescere
in coscienza e conoscenza . ( www.neuropsychophysiology.org.)
Nel corso dell’evoluzione biologica, il cervello si è perfezionato a
partire da due piccoli bulbi che si sono uniti per costituire il
primo abbozzo degli emisferi cerebrali . Il cervello ha acquisito
nella specie umana un volume e una differenziazione
straordinari. La corteccia cerebrale, formata da circa 10 milioni
di neuroni, è pieghettata, e forma delle circonvoluzioni separate
da fessure e da solchi. Si trovano, nelle diverse regioni
strutture specializzate nella percezione del mondo esterno, nel
linguaggio, nella memoria, nella sensibilità e nella motricità.
Gli studi sulla complessità dei circuiti cerebrali hanno tuttavia
messo in evidenza il coinvolgimento di altri punti del cervello in
funzioni definite, quindi in realtà si vede, si parla e si ascolta con
tutto
il
cervello
.
La neurodinamica ha sviluppato vari studi inerenti le emozioni
definendo il sistema limbico ed in particolare l’ipotalamo come il
centro interessato alle emozioni, all’istinto . La corteccia
cerebrale e neoencefalica inibisce l’insieme delle strutture che
9
costituiscono il cervello primitivo, sede delle funzioni
automatiche, viscerali, dell’affettività, del desiderio sessuale,
della fame e degli altri istinti . Questo complesso, che è
separato tramite una fessura dagli altri lobi, è stato denominato
“archeoencefalo” o “cervello primitivo”. La corteccia cerebrale
integra la percezione del mondo esterno . Essa è la sede del
pensiero, della coscienza e della riflessione, controlla l’attività
motoria volontaria e coordina anche quella viscerale .
Queste brevi considerazioni permettono di comprendere i
diversi livelli di partecipazione neurologica coinvolti nella danza,
in cui certi movimenti sono ordinati a partire dalla corteccia,
perfettamente controllati dalla volontà e guidati dal pensiero,
mentre altri, al contrario, sono legati agli impulsi e si impregnano
di affettività e di emozione . Le ricerche attuali sulle funzioni
cerebrali indicano una differenza di attività tra i due emisferi
cerebrali che sono collegati tra loro dal corpo calloso. L’emisfero
sinistro è la sede del linguaggio così come pure di tutte le
operazioni che richiedono un ordinamento lineare nel tempo;
anche il pensiero analitico e le funzioni razionali e cognitive
dipendono da questo emisfero, che tende perciò a discriminare
più che a percepire le somiglianze . L’emisfero destro è
specializzato nei processi e negli ordinamenti che non sono
lineari, ma spaziali : per esempio la geometria, la morfologia, le
funzioni non verbali, tattili, la coscienza musicale, la percezione
artistica, la similitudine, la poetica . L’emisfero destro sarebbe
dunque la sede delle funzioni unificanti, integranti, il luogo della
dissoluzione delle differenze, della percezione gestaltica . Le
attività in cui predomina questo emisfero sono per esempio
ascoltare la musica, modellare dei materiali, danzare . In una
danza che abbia l’obiettivo di introdurre e sostenere in un
percorso di ricerca della propria anima si sviluppa un’attitudine
10
mentale per cui le diverse funzionalità cerebrali possano essere
arricchite e integrate, a partire dall’introduzione teorica
iniziale, che accompagna ogni esperienza, e che trova nella
ricerca dei movimenti armonici, creativi e di gruppo, una prima
forma sintetica, orientata dal Ritmo verso la Bellezza . Tutta
l’attività creativa è collegata all’emisfero cerebrale destro, che
è l’emisfero del linguaggio non verbale, dell’intuizione,
dell’immaginazione, delle metafore, della musica, della danza . Il
sistema integratore-adattivo limbico-ipotalamico comprende
strutture diencefaliche, subcorticali e corticali, che svolgono
funzioni di regolazione dell’ambiente interno attraverso
l’integrazione con i sistemi neurovegetativo e neuroendocrino .
Nello stesso tempo operano la selezione e il rafforzamento delle
risposte appropriate agli stimoli provenienti dall’ambiente
esterno in relazione con l’autopreservazione e la preservazione
della specie . Il sistema integratore-adattativo limbicoipotalamico è strettamente legato all’espressione degli istinti, di
quell’energia che Rolando Toro “vivencia”, delle emozioni e degli
affetti . Esso contribuisce al consolidamento di modelli di
comportamento e influisce sulla corteccia cerebrale attraverso
le sue connessioni neocorticali . Il lobulo limbico possiede due
importanti componenti, che sono l’ippocampo e l’amigdala
cerebrale . Esperienze mistiche e stati di estasi si sono
verificati grazie alla stimolazione della parte media superiore di
questo lobulo . Il sistema limbico-ipotalamico comprende dunque
le formazioni neurologiche corrispondenti alla sfera del
comportamento adattativi, dell’istintività, dell’affettività .
Risulta particolarmente interessante considerare quello che
sappiamo a proposito del collegamento tra il cervello e la danza
Queste brevi considerazioni permettono di comprendere i
diversi livelli di partecipazione neurologica coinvolti nella danza,
11
in cui certi movimenti sono ordinati a partire dalla corteccia,
perfettamente controllati dalla volontà e guidati dal pensiero,
mentre altri, al contrario, sono legati agli impulsi e si impregnano
di affettività e di emozione . I movimenti danzati compiuti in
silenzio, con gli occhi chiusi e tramite movimenti lenti,
comportano il rallentamento dell’attività visiva e della motricità
volontaria, per consentire una maggiore espressione degli impulsi
limbico-ipotalamici . (La danza e le funzioni cerebrali - Testi a
cura dell'Associazione Dhyana) iscrnot@italiadon Iscrizione New sg http://w w w .italiad
DOPO QUESTI PRESUPPOSTI … QUALCHE DOMANDA …
Quale metodologia favorisce l’unicità e l’irripetibilità del
bambino, nella gestione cosciente di sé stesso e del proprio
cervello ? Quale metodologia insegna al bambino a diventare
ricco di saggezza e conoscenza, mettendo in discussione le
informazioni che non “sente” giuste e ad esprimere le sue
perplessità senza paura di essere penalizzato?
Lo sport, la danza, ecc., cioè un attività motoria coordinata di
tutte le funzioni inerenti al sistema piramidale ed
extrapiramidale, nonché una buona nutrizione, mantengono un
equilibrio somato-motorio che permette alle nostre funzioni
psicologiche superiori di utilizzare un corpo che risponde
rapidamente a tutte le esigenze creative e psicologiche .
Non si può prescindere quindi dall’inserire nell’apprendimento
educativo metodologie adatte che facciano crescere l’individuo
12
sano, forte e scattante. Inoltre la realizzazione gnoseologica
creativa deve sempre tener conto della sanità e dello sviluppo
nonché delle possibilità di utilizzazione del proprio corpo .
Pertanto l’uomo deve essere preparato fin dalla nascita ad una
globalità di sviluppo costruendo una coscienza che risponda a
tutte
le
esigenze
a
cui
dovrà
far
fronte
.
Riteniamo comunque che tutti gli esami di laboratorio e gli studi
sulla biochimica del comportamento sono di grande utilità per
meglio identificare e conoscere le specifiche aree cerebrali
relative ai processi comportamentali, nonché a quelli biochimici
relativi a specifici stimoli sensoriali .
NEUROPSICOLOGIA
La Neuropsicologia è assurta, in questi anni, ad essere una delle
componenti più importanti di quelle che vengono definite
“Neuroscienze”. Si interessa soprattutto della costruzione di
modelli mentali (architetture funzionali) che rappresentano le
principali funzioni del cervello. Non meno importante è la sua
funzione di ricerca di metodi di indagine che permettono di
chiarire i processi mentali . Essa si pone principalmente due
obiettivi : primo, capire il funzionamento normale del cervello;
secondo, offrire di conseguenza all’ambito clinico, dei modelli di
riferimento che inquadrino le osservazioni . Modelli che elevino
a livello di spiegazione delle semplici descrizioni e che
soprattutto permettano la scelta di pattern riabilitativi che
tengano conto del modello teorico stesso . Ogni blocco ed ogni
collegamento della “architettura funzionale”, non nasce, perciò,
13
da speculazioni astratte, ma viene ricavato da osservazioni su
pazienti o attraverso test mirati somministrati a soggetti
normali .
La plasticità del cervello è ora confermata anche nell’ adulto .
Le riabilitazioni cognitive (memoria, attenzione, percezione,
linguaggio, motricità fine) che avvengono dopo traumi di vario
genere alle cellule che compongono la materia cerebrale, hanno
cominciato a far supporre che il cervello umano adulto avesse
una sua plasticità ( cioè la possibilità di modificarsi anche in età
adulta ) . Recenti ricerche fatte su mammiferi superiori (vedi ad
esempio Jenkins et Altri, 1990 con i primati e Ungerleider, 1994
con l’uomo), hanno dimostrato che in effetti un iperallenamento
di una particolare struttura ne modifica ed amplia la sua
rappresentazione a livello di corteccia cerebrale ( è l’assunto di
corrispondenza che trova conferma ) . Avere una maggior
rappresentazione ne consegue come minimo che tale funzione
specifica ha a disposizione più risorse per essere eseguita e, in
caso di danno, avrà più facilità ad essere recuperata . Inoltre, si
è visto; proprio nel caso del recupero; come funzioni
parzialmente distrutte a livello cerebrale vengano recuperate
attraverso l’uso mirato (allenamento specifico solo per quella
funzione in base all’assunto di modularità . vedi Fodor 1973).
Sembra che, a livello cerebrale, i neuroni residui compensino il
danno con l’aumento delle loro connessioni ( tecnicamente si dice
“sprou-ting”, da germogliare). Quello che è importante sapere
che anche in età adulta vi è la possibilità di recuperare ( nel
caso del trauma ) o di potenziare ( nel caso del soggetto sano
che si allena ) determinate funzioni attraverso l’uso mirato . I
trattamenti neuropsicologici che sono indicati nel recupero in
età evolutiva ( ad es. disturbi di apprendimento, dell’attenzione
14
ecc..), in età adulta ( ad es. traumi cranici ), negli anziani ( ad es.
contenimento malattie cerebrali degenerative ), sono anche
utilizzati nel potenziamento di soggetti normali (ad es. sportivi ).
Sia per il potenziamento che per il recupero vi è una funzione
che comunque deve essere messa in gioco : quella attentiva.
Quindi prima di procedere cerchiamo di capire almeno
parzialmente che cosa sia l’attenzione (Benso). Il termine
generico di Attenzione ha ricevuto dalla fine degli anni ‘80 molte
puntualizzazioni, tanto che tale termine da solo, oggi, non ha
molto significato. In neuropsicologia si parla di Attenzione
sostenuta, orientata spazialmente, focalizzata, selettiva,
distribuita; l’Attenzione può distinguersi per modalità (visiva,
uditiva, etc..), può essere volontaria od automatica, rivolta verso
l’esterno o verso l’interno . La prima rassegna completa in
italiano sull’Attenzione la troviamo in Umiltà [1994] . Tutte
queste componenti attentive non sono frutto di speculazioni, ma
di acute osservazioni sperimentali, fatte in ambito
neuropsicologico, su pazienti lesionati e su soggetti normali
utilizzando opportuni test . Inoltre, nel campo della
riabilitazione, come è chiaramente riportato dal Manuale di
Neuropsicologia a cura di F. Denes e L. Pizzamiglio [1996], i
pazienti hanno ricevuto beneficio dal training di recupero solo
ed esclusivamente quando questo teneva conto della distinzione
gerarchica dei vari aspetti attentivi (vedi Sohlberg M.M. &
Mateer C.A. [1987]) . Recenti ricerche sembrano confermare
l’efficacia di questi tipi di training in molte patologie
psiocomotorie e psicocognitive anche in età evolutiva . Possiamo
considerare l’attenzione come una funzione che regola l’attività
dei processi mentali filtrando ( a diversi livelli del processo ) e
organizzando le informazioni provenienti dall’ambiente allo scopo
di emettere una risposta adeguata . Distinguiamo i vari tipi di
15
attenzione facendo un esempio molto semplice : immaginiamo di
essere in una piazza con molte confluenze stradali ad aspettare
un taxi giallo, non sappiamo da dove potrà arrivare, perciò
rimaniamo vigili su ogni possibile direzione . Questa disposizione
si chiama di attenzione distribuita; in questa fase l'individuo
controlla l'intero campo attentivo, in attesa di uno stimolo che
provochi il Riflesso di Orientamento (Sokolov, 1973) . Quando
appare qualcosa, nel nostro caso, una macchina, la nostra
attenzione si orienta verso l'oggetto, questo secondo tipo di
processo è detto: fase di orientamento dell'attenzione (Posner,
1980) . A questo punto dobbiamo decidere se la macchina che è
entrata nel nostro spazio visivo è gialla ed eventualmente, se su
questo giallo vi è scritto taxi ; dobbiamo quindi focalizzare
l’attenzione sull`oggetto e selezionare gli indizi e le
caratteristiche percettive necessarie per capire se l'oggetto
corrisponde oppure no a quello cercato. Si sovrappongono in
questo caso, due processi: quello di focalizzazione dell'attenzione e quello di selezione dell'attenzione (Benso et Altri, 1998).
L'attenzione inoltre può essere ancora distinta in automatica o
volontaria (Turatto et Altri, 1999), rivolta verso l’esterno o
verso l’interno. Per effettuare senza interruzione tutti questi
processi bisogna essere svegli (Arousal) e avere una certa
capacità di Attenzione Sostenuta . Il Riflesso di Orientamento è
automatico, ma se vogliamo mantenere attiva l'attenzione, ad
esempio per approfondire ulteriormente lo stimolo dopo circa
250/300 ms. deve intervenire l'attenzione volontaria, in tal caso
si può parlare anche di attenzione sostenuta . Nei bambini con
deficit di attenzione, sembra verificarsi un`incapacità di
mantenere volontariamente l'attenzione sostenuta su qualcosa di
poco stimolante per loro .
16
BIBLIOGRAFIA :
Anochim P.K., Bernstein N. A. e Sokolov E. N. (1973).
Neurofisiologia e Cibernetica. Ubaldini Roma
Baddeley, A. [1986]. Working memory. Oxoford: Clarendon
Press. -trad.ital.- [1990]. La memoria di lavoro. Milano: Cortina.
Denes, G, e Pizzamiglio L. [1990]. Manuale di neuropsicologia:
normalità e patologia dei processi cognitivi. Bologna: Zanichelli.
Mass.: The MIT Press.- trad. Ital.- [1988]. La mente modulare.
Bologna: Il Mulino.
Shallice T. [1988]. From neuropsychology to mental structure.
Cambridge: University Press. - trad. ital- [1990] Neuropsicologia
e struttura della mente. Bologna: Il Mulino
Umiltà C. [1994] Attenzione e Coscienza in Manuale di Psicologia
Generale a cura di P. Legrenzi. Bologna Il Mulino.
4 J. Dewey, Democrazia ed educazione, Firenze, La Nuova Italia,
1965,
Rita Minello – Rete Scuola a Colori di Montebelluna 4°
intervento: fenomeni di bullismo – 28 febbraio 2007
Bernabei P., Romani M. & Levi G., ADHD: sintomo o sindrome? in
Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 1995,
Bigozzi L., L’intervento metacognitivo nel deficit di attenzione:
un caso felice, in Psicologia Clinica dello Sviluppo, 2001, 5,
Bloch V., I livelli di vigilanza e l’attenzione, Erickson, Trento
1966
Boole G., Analisi matematica della logica, 1847, in Malusa L. (a
cura di) Forme del sapere filosofico, CUSL, Genova 1994,
Bruner J.S., Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due
culture, Armando, Roma,1998
Sternberg R. J. (1996). Stili di pensiero. Trento, Erickson.
17
ATTENZIONE
L’attenzione che è la capacità di focalizzare gli stimoli presenti
nell’ambiente esterno e di organizzare risposte appropriate, è
l’anello da cui hanno origine i processi cognitivi di ordine più
complesso, le emozioni e i comportamenti. Essa è pertanto un
processo basilare per lo sviluppo del pensiero (perché possiamo
imparare a discriminare, generalizzare, rendere elastici gli
apprendimenti stessi attraverso le operazioni della logica )
e
per la sopravvivenza stessa dell’individuo . Purtroppo non sempre
il
funzionamento dell’attenzione è normale : in alcuni casi
livelli
di
i
vigilanza sono così alti che i soggetti rischiano di
interpretare segnali neutri come importanti, in altri, viceversa, i
livelli di vigilanza sono molto bassi e la soglia di ricezione troppo
alta, con il rischio che stimoli anche rilevanti siano percepiti
come neutri o non siano selezionati del tutto . Sulla scia di
James si possono distinguere nell’a. vari aspetti, in base a tre
momenti costituenti: quello dell’attesa, quello dell’osservazione,
quello della riflessione . Nell’attenzione aspettante (Callieri, 19
81, sull’attesa) l’individuo si prepara all’azione, la quale è sempre
subordinata al verificarsi di certe condizioni attese ( ad es. il
cacciatore che attende al varco lo spuntare improvviso e fugace
della lepre ) . Nell’attenzione osservante il soggetto non prende
parte alla vicenda ma la segue con interesse, è uno spettatore in
toto, nessun particolare gli sfugge, la sua capacità di “cogliere”
(la sua Auffassung ) è piena ; riesce a mantenere a fuoco la
18
scena anche a lungo, pur se con qualche oscillazione . Qui il livello
dell’interesse si rivela essenziale, e le motivazioni sono
determinanti . Quest’ambito ci permette di intendere bene
anche il significato modale dell’attenzione oscillante ( ad es.
negli stati di perplessità di titubanza, di intensa stanchezza, di
leggero assopimento ) e di quella di mantenimento ( ad es. nella
guida di un automezzo in un lungo rettilineo poco trafficato )
L’attenzione
riflettente
si
esercita
appartenente all’esperienza interiore,
su
di
un
oggetto
oggetto verso cui si
tende come verso un fine, oggetto su cui si concentra appieno
l’attività mentale :
ad es. nel training autogeno, nella
meditazione trascendentale, nella soluzione di un problema di
matematica, di una questione filosofica, nell’esporre in pubblica
seduta un proprio pensiero in fieri, nell’esercizio ascetico e in
molte dimensioni contemplative . Vi sono numerose prove che
consentono di affermare che l’essere attenti rende più
consapevoli, più chiari e più vivaci i vari stati mentali, proprio
per l’attivazione della cosiddetta “capacità di concentrazione”.
Accanto e prima dell’inquadramento del processo attentivo
nell’ambito della psicologia cognitiva e delle attuali conoscenze
cibernetiche (cfr., particolarmente per l’attenzione selettiva,
Ceccato, Broadbent, Treisman e soprattutto Richard Jung) va
ricordato il pensiero anticipante di Freud (in vol. Iº, 1977,
Boringhieri), che descriveva l’attenzione come la risultante di
una serie di circuiti situati gerarchicamente fra la percezione e
l’idea del desiderio (anzi, l’idea del desiderio di aver desideri): la
differenza tensionale fra queste due componenti di origine al
19
processo di pensiero e alla catexi (investimento) attentiva.
Conclude dunque Freud che una sensazione diventa cosciente
solo attraverso l’intervento dell’attenzione . Cose importanti
hanno qui detto anche Moray (1969) e poi Mostofsky (1970) .
Silvio Ceccato ben più recentemente, muovendo da una teoresi
nettamente cognitiva, perviene a dire la stessa cosa quando
afferma che il meccanismo dell’attenzione è alla base del
pensiero: esso interviene sullo stimolo con un “ruolo di
frammentazione” tale da trattenere l’impulso, allungare il tempo
di esposizione dello stesso all’osservazione, per poterne quindi
affermare l’essenza e il divenire stesso nel pensiero
.
Altrettanto mi sembra possa dirsi del concetto di Sokolov, della
scuola riflessologica pavloviana, che intende l’attenzione come un
comportamento orientativo in atto ogni qualvolta compare una
discrepanza fra un’informazione attuale e un precedente modello
di orientamento . In definitiva possiamo oggi dire che la
sperimentazione psicofisiologica più recente, pur approfondendo
le
nostre
conoscenze
sulle
basi
fisiologiche
e
neurali
dell’attenzione (Kandell e coll., 1991, pag. 1135), ha rivelato la
complessità
terminologia
di
questo
che
si
processo,
discosta
da
introducendo
quella
della
però
una
psicologia
tradizionale, aprendosi invece largamente ad una ripresa del
discorso
husserliano:
tenacità
dell’intenzione,
vigilanza,
attenzione sostenuta, attenzione selettiva (Garmezy, 1977)
Recentemente è stato proposto (Mateer e Sohlberg, 1988) un
modello
che
considera
la
complessità
multidimensionale
dell’attenzione: a. focale, a. sostenuta, a. selettiva, a .alternata,
20
a. divisa (capacità di risposta simultanea a compiti differenti) .
Anche per 1’ a. va comunque conservato il concetto di fenomeno
psichico che intenziona un oggetto, “fenomeno “ che può esser
sostituito,
husserlianamente,
dal
concetto
di
“vissuto”.
L’attenzione e la cosa da essa messa a fuoco costituiscono
un’unità
immediata,
Husserl
qui
avrebbe
detto
“un’unica,
concreta cogitatio”. Il mondo è relativo ad una coscienza che,
tramite l’attenzione come suo motus a priori, dà senso alle cose
esperite . Va sempre tenuto presente, con Jaspers, che la vita
psichica “non è un agglomerato di singoli fenomeni isolabili ma un
insieme di relazioni in continuo svolgimento” cui è compito
dell’attenzione fornire l’accesso . Nell’atto di attenzione,
direbbe il Binswanger della Phaenomenologie, 1922, io sono
diretto verso un oggetto, mi rapporto ad esso, nella sua
singolarità e nella sua articolazione mondana, ed ho così la
possibilità di percepire, dunque di esistere (seguendo qui
dappresso Heidegger, nei Seminari di Zollikon): l’a. sorregge e
predispone l’affacciarsi dell’individuo al mondo (mondo interno,
mondo vissuto, mondoambiente) . Se vogliamo davvero esperire
il
mondo
e
con-prenderlo,
dovremo
pur
anche
scorgere
nell’attenzione, e nel nostro tentativo di coglierne le modalità
del darsi, il peso determinante della cultura fenomenologica . In
tal senso l’attenzione entra a far parte, proprio come momento
costituente, del mondo della cultura; e anche del mondo
psicoterapeutico, sia per far riemergere e dilatare i ricordi e, in
generale, la dimensione mnestica, anche quella mnemotiva
(di
particolare rilievo per gli anziani la “lebenssituative Relewanz”,
21
di Wieck), sia per far apprendere al paziente il riutilizzo della
propria attenzione per esercitare l’autocontrollo e per illuminare
i recessi più oscuri, nascosti o ignoti della sua coscienza, della
sua consapevolezza storica e situazionale (cfr. anche R. Rossi,
1989).
Ancilli E. (ed.) - La mistica: fenomenologia e riflessione
teologica. Roma, Città Nuova,1984.
Bazzi T., Giorda R. - I1 Training Autogeno. Roma Città Nuova
1979.
Benedetti G. - Neuropsicologia. Milano, Feltrinelli,1969.
Bruno L. e coll. - Processi di codifica delle informazioni e
disturbi selettivi dell’attenzione. Neur. Psich. Sci. Um. 14,1,
1994.
Callieri B. - Riflessione, Meditazione, Contemplazione. in: 3º
Internaz. CISSPAT,San Marino, Padova, 1978-79.
Callieri B. - L’accesso fenomenologico alla coscienza in
psichiatria. Riv. di Biologia 73,2,3,4 , 1980.
Callieri B.- Fenomenologia dell’attesa. in idem: Percorsi di uno
psichiatra.
Ed.Universitarie Romane, 1993. Callieri B. L’esperienza di fine del mondo. in idem: Quando vince l’ombra.
Roma,Città Nuova, 1982.
Callieri B., Priori R. - Contributo allo studio dell’esperienza
delirante dermatozoica,zooptica, zoopatica. Arch. Psicol. Neur.
Psich. 23,109,1962.
Canestrari R. - Struttura ed esperienza nella psicologia della
percezione. Sapienza 3, 1957.
22
De Martino E. - La fine del mondo (a cura di C.Gallino). Torino,
Einaudi, 1977.
Fraisse P., Piaget J. (eds.) - Trattato di psicologia sperimentale.
9 voll., P.U.F.,1963,3ªed. ital., Einaudi,Torino, 1972-79.
Freud S. - Opere. vol. I, Boringhieri, 1977.
Galimberti U. - Parole nomadi. Milano, Feltrinelli, 1994.
Garufi B. - Un metodo per immaginare. J. of Analyt. Psychol.
22,3,1977.
Goldwurm G.F., Sacchi D., Scarlato A. Le tecniche di
rilassamento nella terapia comportamentale. Milano, F. Angeli, 2ª
ediz., 1993.
Granone F. - Trattato di ipnosi. Iº vol. Torino, UTET, 1989.
Heidegger M. - Seminari di Zollikon. Napoli,Guida,1991
Kornfield J. - Buddha’s Little Instruction Book. Bantam
Doubleday Publ. (trad. it. M. Birattari) Sonzogno, 1594. Freud S.
- Opere. vol. I, Boringhieri, 1977..
DISTURBI DELL’ATTENZIONE
Eziologia: la causa più comune alla base dei disturbi
dell’attenzione è il trauma cranico, ma anche i danni
cerebrovascolari e le patologie cerebrali quali il Morbo di
Parkinson, la demenza di Alzheimer e la sclerosi multipla,
sono cause frequenti di deficit attentivi . Anche in
presenza di infezioni del sistema nervoso centrale, di abuso
di sostanze o esposizione a sostanze tossiche possono
rilevarsi disturbi dell’attenzione .
23
I disturbi attentivi possono essere suddivisi in tre grosse
categorie, in base alla specifica capacità attentiva che diviene
deficitaria
.
.
1
–
DISTURBO
DELL’ATTENZIONE
SOSTENUTA
L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere l’attenzione su
stimoli target per un protratto periodo di tempo.
Gli stimoli target possono essere stimoli visuo-spaziali e uditivoverbali.
SEDE DI LESIONI: prevalentemente a carico dell’emisfero
destro, che appare più abile, rispetto al sinistro, nel protrarre
l’attenzione per lungo tempo (Dimond, 1980); corteccia
prefrontale
e
parietale
posteriore,
lobo
temporale.
2
–
DISTURBO
DELL’ATTENZIONE
SELETTIVA
L’attenzione selettiva è la capacità che permette di concentrarci
su uno o più stimoli target selezionandoli tra altri stimoli
distrattori o tra informazioni in competizione tra loro.
Gli stimoli target possono essere stimoli visuo-spaziali e uditivoverbali.
SEDE DI LESIONI: lobo frontale sinistro, asse tronco-talamofrontale. Nei casi di deficit di attenzione selettiva spaziale
(neglet), le lesioni sono prevalentemente a carico del lobo
parietale
destro.
3
–
DISTURBO
DELL’ATTENZIONE
DIVISA
L’attenzione divisa è la capacità di prestare attenzione ed
24
elaborare
diverse
contemporaneamente
informazioni
che
si
presentano
.
SEDE DI LESIONI: prevalentemente diffuse, con una maggiore
estensione a carico dell’emisfero destro; lesioni del corpo
calloso,
del
lobo
frontale
e
parietale.
(Dott.ssa
Claudia
Iannotta
(Psicologa
Ipnologa
Psicoterapeuta
CognitivoComportamentale
Perfezionata in Neuropsicologia e Psicodiagnostica Forense)
e-mail (personale) : [email protected]
e-mail (servizio) : [email protected]
Sito aziendale : www.ausl.pe.it
Settore Dipartimenti e Servizi Tutela della salute nelle attività
sportive
APPRENDIMENTO - MEMORIA
La costruzione interattiva della conoscenza - di Paolo Chellini
Dal momento della nascita tutta la vita rappresenta un
apprendimento che avviene in modo semplice e continuo,
attraverso interazioni a diverso livello di complessità con
l'ambiente che ci circonda. Il concetto di apprendimento si
riferisce al manifestarsi di un cambiamento nel comportamento
di un soggetto di fronte a una data situazione, per il fatto che
25
quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente,
ammesso che il cambiamento del comportamento non possa
essere spiegato con tendenze innate alla risposta, maturazione o
stati temporanei del soggetto (fatica, droghe ecc.). In altre
parole, l'apprendimento è l'insieme di quei cambiamenti
relativamente stabili nel comportamento che sono la
conseguenza delle passate esperienze e hanno per lo più una
funzione
adattiva
per
l'organismo
.
L'apprendimento deriva dall'esperienza all'interno di un dato
contesto di vita, che si caratterizza come l'insieme di eventi
tipici di quella particolare situazione : quindi la sorgente del
cambiamento va ricercata nella relazione con l'ambiente, cioè in
quella somma totale di stimoli che l'individuo riceve e a cui
risponde, dal concepimento fino alla morte . L'organismo e
l'ambiente sono perciò immersi in un accoppiamento strutturale
capace di determinare, sia nell'uno, sia nell'altro, una serie di
perturbazioni che nella loro dinamica, possono modificare
l'espressione
ontogenetica
del
loro
divenire
.
L'epistemologo cibernetico Gregory Bateson in un suo famoso
saggio " Le categorie logiche dell'apprendimento e della
comunicazione", definisce l'apprendimento come divisibile in
livelli gerarchici (i livelli logici dell'apprendimento), aventi tra se
una relazione circolare a sviluppo progressivo . In altre parole,
ad un apprendimento iniziale dato dal patrimonio genico
dell'individuo, nel corso dell'ontogenesi dell'organismo si
evidenzia un aumento di complessità cognitiva capace di
contrapporsi agli automatismi codificati geneticamente, fino allo
sviluppo di una complessa funzione autoriflessiva che mette il
soggetto in grado di discriminare i contesti di vita, aumentando
così la sua plasticità alle richieste dell'ambiente .
Bateson a questo proposito, ipotizza una funzione dell'organismo
26
che ha denominato "Deutero Apprendimento", cioè una capacità
di apprendimento di tipo superiore in relazione al processo di
adattamento contestuale, cioè un imparare ad imparare .
Bateson scrive:"Ora accade che nei laboratori di psicologia si
verifica comunemente un fenomeno di un grado di astrazione o
generalità alquanto maggiore di quelli per lo studio dei quali sono
stati progettati gli esperimenti . E' luogo comune che il soggetto
sperimentale, sia esso uomo o animale, diventa un miglior
soggetto dopo ripetuti esperimenti . Egli non solo apprende a
salivare ai momenti opportuni o a recitare le appropriate sillabe
senza senso, ma anche, in qualche modo, apprende ad apprendere
Non solo risolve i problemi postigli dallo sperimentatore e che
singolarmente sono problemi di apprendimento semplice, ma al di
là di questo egli diventa sempre più capace di risolvere i
problemi
in
generale"
.
La
capacità
di
ricordare
Quell'insieme di eventi interni dell'organismo che nel loro
insieme vengono definiti con la parola apprendimento, nel
linguaggio comune ma anche nei più recenti manuali di psicologia
generale, vengono raggruppati all'interno della "parola" memoria
Per memoria si intende la capacità un organismo vivente di
conservare tracce della propria esperienza passata e di
servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri . La
funzione con cui si esprime la memoria è il ricordo la cui
scomparsa
determina
l'oblio
.
Con i termini memoria a breve termine, memoria a lungo termine,
memoria episodica e memoria semantica, memoria dichiarativa e
memoria procedurale, memoria immaginativa e memoria verbale,
non si intende tanto magazzini differenti di memoria o di parti
distinte della nostra memoria, si evocano piuttosto "aspetti" con
27
cui si rivela la nostra memoria . Col termine memoria a breve
termine si indica una forma di conservazione che dura poche
decine di secondi ; se il suo contenuto non viene trasferito in un
archivio più "resistente", ovvero nella memoria a lungo termine,
viene perduto . Tulving ha distinto una memoria episodica e una
memoria semantica, perciò secondo questo autore, uno stesso
stimolo può essere un "episodio", oppure qualche cosa che viene
assimilato a molte altre esperienze . Secondo Tulving, nella
memoria episodica vi sono conoscenze su oggetti ed eventi
riferibili a un momento preciso in cui un individuo le ha acquisite
La memoria semantica è svincolata, invece, dai riferimenti ad
esperienze individuali e contiene un insieme di proposizioni che
sono condivise da più individui . Questo tipo di conoscenza
sarebbe organizzato in reti in cui proposizioni diverse sono
interconnesse tra di loro spesso in modo gerarchico (uno dei
primi modelli a rete gerarchica della memoria semantica fu
quello di Collins e Quillian) . La memoria semantica è spesso
intesa come sinonimo di rappresentazione e organizzazione delle
conoscenze nella mente umana . La conoscenza dichiarativa è
qualcosa di simile alla map knowledge, mentre è tipicamente
procedurale la route knowledge . Per le conoscenze
preposizionali e immaginative, ci sono dati sperimentali che
dimostrano che le nostre elaborazioni cognitive si avvalgono sia
di una forma di rappresentazione spaziale e visiva, sia di una
forma preposizionale, cioè una serie di descrizioni sulle relazioni
tra oggetti ed elementi ( ad esempio, la proposizione "Il libro
sta sul tavolo" descrive la dislocazione nello spazio dei due
oggetti libro e tavolo e questa descrizione è il fondamento
dell'immagine relativa) .
I
modelli
teorici
28
della
memoria
Tra i primi modelli che concepivano la mente come una struttura
a stadi, ebbe una notevole influenza il modello di Atkinson e
Shiffrin sui due stadi della memoria (memoria a breve termine e
memoria a lungo termine) preceduto da un magazzino di
registrazione dell'informazione sensoriale . Tale modello fu
criticato da Craik e Lockhart (1972) nella loro nuova proposta
dei "livelli di elaborazione". La "forza della memoria" e la
prestazione nei compiti di memoria sarebbe dipesa da quella che
fu definita la "profondità" di elaborazione dell'informazione
piuttosto che dalla sua ripetizione continua . Ad un livello
superficiale di elaborazione (analisi delle caratteristiche
fisiche) sarebbero seguiti i livelli più profondi (fino all'analisi
semantica) . Su questa linea è possibile inserire la teoria della
doppia codifica di Paivio . Questa sostiene che i processi
cognitivi operano attraverso due modi distinti anche se
interagenti : da una parte un sistema non verbale, immaginativo,
e dall'altra un sistema verbale specializzato . Paivio mise in
evidenza nei suoi esperimenti che l'informazione verbale
relativa ad oggetti concreti, facilmente immaginabili, come ad
esempio "coniglio", è trattenuta in memoria in misura maggiore
dell'informazione verbale astratta, difficilmente immaginabile,
come ad esempio "virtù". Le parole a carattere immaginativo
traggono il loro vantaggio dalla doppia codifica cui sono
sottoposte (immaginativo e verbale), mentre le parole astratte,
a carattere non immaginativo, sono ricordate in misura minore
essendo state codificate solo con il codice verbale .
I modelli connessionistici derivanti dalle reti neurali propongono
l'ipotesi sub-simbolica della conoscenza, secondo questi modelli
nella memoria non si troverebbero simboli immagazzinati, ma
pattern di attivazione capaci nel loro incontro con la realtà
esterna all'organismo di ricreare l'esperienza del ricordo nelle
29
sue manifestazioni simboliche . In altre parole, la memoria di un
evento o cosa verrebbe ricreata ad hoc, tutte le volte che se
generi la necessità .
Comunicazione
e
linguaggio
Negli anni sessanta il gruppo di ricerca di Palo Alto studiò e
definì la funzione pragmatica della comunicazione, cioè la
capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso
l'esperienza linguistica (intesa sia nella sua forma verbale, sia
nella sua forma non verbale) . Gli autori definirono gli assiomi
della comunicazione (l'impossibilità di non comunicare, livelli
comunicativi di contenuto e di relazione, la punteggiatura della
sequenza di eventi, comunicazione numerica e analogica,
interazione complementare e simmetrica), producendo una
griglia di lettura capace di spiegare una serie di effetti
emergenti dall'interazione relazionale, all'interno dei vari
contesti di vita . Negli anni novanta la ricerca ha dato sempre
più importanza alla funzione linguistica umana, oggi è largamente
accettata l'idea che il bambino già al momento della nascita è
immerso attivamente in un universo di relazioni comunicative con
le figure di riferimento . Molti studi convalidano l'idea che la
nostra coscienza, o meglio la nostra autocoscienza, nasce dalla
funzione linguistica all'interno delle relazioni strutturate in cui
siamo immersi nel nostro quotidiano . H. Maturana nel suo libro
"Autocoscienza e realtà" scrive : Noi esseri umani siamo sistemi
viventi che esistono nel linguaggio . Questo significa che benché
esistiamo come esseri umani nel linguaggio e dunque i nostri
domini cognitivi (domini di azioni adeguate) hanno luogo
nell'agire linguistico, questo agire linguistico si attua attraverso
il funzionamento come sistemi viventi . Il linguaggio è dunque una
funzione che si evolve all'interno del nostro accoppiamento
30
strutturale con i nostri simili, in altre parole i partecipanti ad
una conversazione nel loro agire linguistico producono delle
distinzioni sulla realtà che vengono accettate e mantenute
stabili finendo per essere trasformate in simboli consensuali
che stanno al posto delle distinzioni consensuali operate dai
comunicanti . Il fenomeno del linguaggio nasce dunque dalla
coordinazione consensuale di azioni o distinzioni in un qualsiasi
dominio contestuale . All'interno dell'agire linguistico gli oggetti
sono coordinazioni consensuali di azioni che funzionano come
simboli al posto delle coordinazioni consensuali di azioni che essi
coordinano . Se usiamo la spiegazione biologica del linguaggio
diventa evidente che l'agire linguistico, quando nasce, nasce
come forma di coesistenza tra sistemi viventi . A questo
proposito, Maturana ha coniato il neologismo lingueggiare, cioè
l'atto
biologico
della
definizione
intersoggettiva
comunicazionale . Quanto detto sopra, porta allo sviluppo di
alcune considerazioni : l'agire linguistico è un fenomeno sociale,
gli esseri umani si realizzano all'interno di un mutuo
accoppiamento linguistico in quanto, i fenomeni come la
coscienza e in senso più ampio la mente, si generano all'interno
delle dinamiche interattive delle nostre coordinazioni
consensuali che si esprimono all'interno del nostro lingueggiare .
Le
emozioni
Oltre ad analizzare la funzione linguistica, che come abbiamo
visto ha rappresentato nella specie umana, a seguito delle sue
caratteristiche, un salto evolutivo esponenziale, è interessante
per la complessità esplicativa richiesta per una appropriata
spiegazione del fenomeno "conoscenza", spiegare brevemente
l'esperienza emozionale . L'emozione è un pattern complesso di
31
modificazioni che includono un'eccitazione fisiologica, dei
sentimenti,
dei
processi
cognitivi
e
delle
reazioni
comportamentali in risposta ad una situazione che è percepita
dal soggetto come importante per il mantenimento del proprio
equilibrio e del proprio benessere . L'eccitazione fisiologica
include : alterazioni neurali, ormonali, viscerali e muscolari . I
sentimenti includono stati e tonalità affettive lungo l'asse
buono-cattivo o l'asse positivo-negativo . I processi cognitivi
includono interpretazioni, ricordi e aspettative dell'individuo,
sia come contenuti, sia come modalità di "processare"
cognitivamente il proprio rapporto con la realtà . Le reazioni
comportamentali includono sia quelle espressive ( piangere,
ridere), sia quelle strumentali (chiedere aiuto, fuggire, ecc.) .
Da quanto detto sopra, consegue che l'agire linguistico è
connotato emotivamente in quanto presenta una valenza emotiva
per il soggetto che la esprime ed è, di per se, orientante
all'azione . La parola presenta dunque, nel suo dominio di
esistenza, un significato denotativo e uno connotativo .
Il significato denotativo della parola è il concetto cui la parola si
riferisce, ovvero la categoria di cose che la parola può indicare.
Il significato denotativo, equivale alla somma totale delle idee
condivise nella nostra cultura su quel che la parola rappresenta .
Il significato connotativo, o emotivo (talvolta detto significato
affettivo) di una parola riflette quel che sentiamo del concetto
simbolizzato dalla parola . Le parole hanno significati differenti
in contesti differenti . Quando le parole ambigue vengono usate
nel contesto di una conversazione, viene in mente solo il
significato appropriato . In generale, il fatto che la gran parte
delle parole sono ambigue non causa alcun problema, dal
momento che siamo in grado di usare il contesto per individuare
32
il significato appropriato .
Le
conclusioni
Azione ed emozione sono dunque elementi fondamentali per una
corretta comprensione della funzione linguistica, la coscienza
nasce nel linguaggio che è un'azione connotata emotivamente in
quanto atto biologico . Ne consegue che l'apprendimento di una
data lingua è legato all'esperienza che l'organismo ha nel suo
"essere nel mondo" e quindi, nel poter interagire con esso
attraverso la coordinazione di azioni consensuali connotate
emozionalmente e orientanti all'azione; in una ricerca continua
dell'adattamento contestuale in funzione della conservazione
della propria coerenza strutturale . In altre parole, noi
esprimiamo noi stessi all'interno di una serie di ricorsività che
emergono
dal
nostro
agire
linguistico
.
Il nostro senso autoriflessivo derivante dalle capacità funzionali
del nostro sistema nervoso ci dota di quella possibilità che
risulta capace di esprimere delle azioni attraverso dei simboli
linguistici che una volta concatenati, noi riconosciamo come
storie; storie che ci permettono di prevedere il flusso continuo
della realtà in cui siamo immersi, in quello che è possibile dire
essere
solo...
la
nostra
storia
.
BIBLIOGRAFIA :
Alkon D.L., I meccanismi molecolari della memoria; Atti del
Convegno Scientifico Meccanismi Molecolari in Neuroscienze,
Milano, 14-15 settembre 2000
Ausubel D.P., Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli,
Milano 1978
Bagnara S., L’attenzione, Il Mulino, Bologna 1984
33
Barkley R.A., Deficit di attenzione/iperattività, in Le Scienze,
Gennaio 1999, 15-23
Benedetti G., Neuropsicologia, Feltrinelli, Milano1969
Berlyne D.E., Conflitto, attivazione e creatività, Franco Angeli,
Milano 1971 (1960)
Garufi B. - Un metodo per immaginare. J. of Analyt. Psychol.
22,3,1977.
Kornfield J. - Buddha’s Little Instruction Book. Bantam
Doubleday Publ. (trad. it. M. Birattari) Sonzogno, 1594.
Jaspers K. - Allgemeine Psychopathologie. 5ª ed. Berlin,
Springer,1948. (trad.it.R. Priori, Roma, Pens.Sci., 1964.
La Barbera D. - La memoria di tutta una vita. Simposio
Psicogeriat. l991, Palermo, Boccone d.Povero, 1992.
Mathieu V. - Perché leggere Plotino. Milano, Rusconi, 1992.
Pallanti S.,Quercioli L.,Pazzagli A. - Schema mnemetico e
disturbo di base della memoria nella schizofrenia. Ist.
Neuroscienze Firenze, in corso di pubblicazione, 1995.
Perniola M. - Il sex appeal dell’inorganico. Torino, Einaudi, 1994.
Pinto A. - La suggestione in psicoterapia. Comprendre, 1995. In
corso di pubblicazione
Rosenfield I. - Il cantiere dei ricordi. Sfera 41, Sigma-Tau, ott.
1994, Roma.
Tart C. - Stati di coscienza. Astrolabio ,1 977.
Thomae H. - La dinamica della decisione umana. Zürich, PAS,
1958.
34
MEMORIA IMPLICITA ED ESPLICITA
I neuroscienziati hanno determinato l’importanza primaria dei
processi mnemonici per la costruzione di qualsiasi funzione della
mente umana . La memoria è importante per lo sviluppo delle
capacità cognitive, ma anche per la costruzione del Sé e della
coscienza del Sé . La memoria è una funzione multifattoriale.
Una prima divisione va fatta fra memoria ESPLICITA,
esplorabile e verbalizzabile, ed IMPLICITA, non esplorabile nè
verbalizzabile . Inoltre la memoria esplicita va suddivisa in
breve e lungo termine .
7. MEMORIA IMPLICITA ED ESPLICITA
Quella a breve termine è necessaria allo svolgimento di un
lavoro, per cui viene definita memoria di lavoro o operativa . La
memoria a lungo termine esplicita è necessaria alla costruzione
di varie capacità . Nella memoria esplicita cosciente è
compresa la capacità dichiarativa-autobiografica necessaria
alla costruzione di varie funzioni (sensoriale-motoria, cognitiva
e storica) e quella semantica (in cui al ricordo dell’episodio è
associato il significato emotivo) . La memoria implicita
inconscia è sempre a lungo termine, essa non è né esplorabile
né verbalizzabile; comprende la memoria procedurale ( per es.
l’acquisizione di un gesto sportivo o suonare strumenti musicali
) e quella affettivo-relazionale che costituisce la base del
carattere soprattutto quella formatasi prima dell’acquisizione
del linguaggio e della capacità ideativa ( primi anni di vita ) . La
possibilità di alterare biologicamente un circuito neuronale e,
quindi, di attivare la funzione della memoria, al fine di fissare
35
un’esperienza, è legata sia alla valenza emotiva ( qualità dello
stimolo ), sia
alla
quantità ( durata e potenza della
sollecitazione ) .
La memorizzazione di un evento
emotivamente intenso richiede un tempo breve , viceversa un
evento meno significante necessita di un tempo di
sollecitazione superiore . A livello educativo-didattico, questo
assunto implica la necessità di attivare la curiosità e l’interesse
dei ragazzi e di contenere un sentimento di noia, al fine di
ottimizzare le possibilità di apprendimento di ciascuno
(biologia dell’apprendimento ) .
Vi sono quindi due passaggi nello sviluppo della memoria : prima
si sviluppa la memoria procedurale, prassica, e poi si sviluppa la
memoria dichiarativa, della consapevolezza . La memoria
procedurale (che è anche la memoria della pronuncia di una
lingua) acquisisce informazioni in maniera non consapevole,
opaca all’introspezione, ed impara solo se non si sta attenti .
Quindi, se non si è ancora sviluppata la memoria dichiarativa in
un alunno, è inutile chiedergli memoria di episodi a livello
dichiarativo . Risulta altrettanto controproducente (cioè
fallisce l’attività) chiedere agli alunni il controllo delle loro
azioni mentre svolgono un’attività prassica . E’ lo stesso motivo
per cui non possiamo guidare l’automobile ragionando sui
movimenti che compiamo . Per questi motivi l’apprendimento di
una lingua straniera deve avvenire per immersione . Bisogna
lasciare che la comunicazione in un’altra lingua abbia esordio
spontaneo . Questo vale anche per l’aritmetica, quando i
bambini si aiutano imparando numeri e calcoli con meccanismi e
“tiritere”.
Su
questi
passaggi
36
meglio
non
esigere
consapevolezza perché è attiva la memoria procedurale,
l’emisfero
destro,
e
l’abilità
è
stata
acquisita
inconsapevolmente . Nel caso di alunni con ritardo mentale,
generalmente colpiti nelle aree del linguaggio, questa memoria
procedurale è una grande risorsa . Grazie alle capacità
plastiche del cervello e alle specificità cognitive di questa
memoria, diventa possibile insegnare loro abilità funzionali, cioè
far acquisire quelle competenze quotidiane necessarie per una
vita adulta abbastanza autonoma . Per agire nel modo opportuno
gli insegnanti dovrebbero conoscerne il processo di sviluppo
della memoria procedurale e della memoria iconica . Un
intervento didattico mirato si preoccupa di sviluppare prima di
tutto le competenze necessarie alla vita quotidiana . Se
permettiamo a questi alunni di conservare una buona memoria
iconica e percettiva, possiamo sviluppare poi le capacità di
riconoscimento visivo e di decodifica . Possiamo cioè insegnare
a riconoscere un pericolo, a leggere delle istruzioni o dei
segnali, a riconoscere contesti e situazioni .
La neuropsicologia ci fa sapere che l’apprendimento della
lettura
strumentale
interferisce
sulla
memoria
iconica,
fotografica . Ecco cosa scrive Geschwind : “E’ interessante il
fatto che la maggior parte dei bambini piccoli hanno una
memoria iconica e fotografica persistente . Essa va però
perduta quando cominciano ad imparare a leggere . Gli
antropologi riferiscono che una memoria iconica persistente è
molto più comune fra gli adulti in culture preletterate, società
37
in cui la gente non impara a leggere e a scrivere .
L’apprendimento della lettura potrebbe interferire in qualche
modo con la memoria fotografica .”(Geschwind, “Le basi
anatomiche della differenziazione”, pag.145)
Nel caso in cui l’età-mentale di un alunno di scuola primaria sia
riferibile ai due anni (o meno) diventa difficile supporre
l’apprendimento strumentale di lettura e scrittura, diventa
necessario avere anche obiettivi didattici funzionali e
integranti
(per
il
significato
di
“obiettivo
funzionale/integrante” si veda Cottini, op. cit.) . Con la
motricità guidata si riesce cioè a “bypassare la funzione
deficitaria attraverso la stimolazione di aree deputate alla
stessa funzione dell’emisfero contro laterale producendo una
risposta non casuale .” L’emisfero sinistro “Per stimolare
l’attivazione di un’area dell’emisfero sinistro è necessario
utilizzare come metodo l’associazione delle informazioni tra
loro, per somiglianza, conseguenza, identità”. Esso dipende da
emozioni, motivazione e subisce la paura bloccandosi.”
L’emisfero destro : “La stimolazione dell’emisfero destro è
sostanzialmente
basata
sulla
differente
percezione,
elaborazione, risposta e latenza di risposta.” L’emisfero destro
ha bisogno di informazioni con un corrispettivo reale,
integrabili con i dati precedenti e di un tempo maggiore per
dare risposta. Privilegia come canale la musica.” L’insegnante
dovrebbe tenere conto della individualità delle reazioni, per
esempio del blocco emotivo di chi è spaventato o dell’esigenza
di un tempo più lungo di reazione in un mancino . Sulla
dominanza di funzionamento del cervello sono stati
documentati molti aspetti curiosi grazie all’uso della PET
(tomografia a emissione di positroni) . Questa tecnica
38
permette di evidenziare sul video di un monitor il consumo di
energia nelle varie zone del cervello secondo una scala
cromatica . In questo modo è stato possibile raccogliere queste
informazioni : Il centro della visione non intenzionale è a destra
Quando ci lasciamo andare ad una musica impegniamo l’emisfero
destro . Se in una musica cerchiamo anche di riconoscere gli
strumenti (discriminare) usiamo la parte sinistra del cervello .
Se ascoltiamo una canzone, prestando attenzione alle parole,
usiamo entrambi gli emisferi . L’uso della memoria impegna
nello sforzo molte parti cerebrali . Queste documentazioni
tecnologiche hanno confermato che la creatività, la musica, le
belle arti, riguardano la percezione dello spazio e pertanto
interessano l’emisfero destro . Mentre l’emisfero sinistro è la
sede del linguaggio, dei calcoli, delle operazioni di
riorganizzazione delle percezioni e delle altre attività
intellettive . Quanto fin qui descritto riguarda la “dominanza”,
cioè il maggior impegno di un emisfero nello svolgere un
compito . Essa interessa una zona (negli emisferi) che risulta
marcatamente più attiva delle altre mentre svolgiamo una
funzione . In realtà l’attività cerebrale coinvolge sempre,
seppur in minima parte, tutto l’encefalo . Il potenziale di
recupero è una valenza data al cervello dalla sua plasticità di
funzionamento . Il cervello riesce a riabilitarsi a funzioni perse
Ecco cosa scrive al riguardo Geschwind :“Come il cervello può
mutare una risposta a condizioni ambientali a lungo termine,
così può anche mutare la propria organizzazione
per
compensare incidenti e mutamenti di richieste . Benché nella
maggior parte delle persone il linguaggio sia localizzato
nell’emisfero sinistro, persone con danni a questo emisfero
possono essere addestrate a produrre linguaggio usando
l’emisfero destro, anche se questa flessibilità è soggetta a
39
diminuire gradualmente con l’età . L’emisfero destro si assume
funzioni linguistiche in bambini piccoli che hanno sofferto danni
gravi all’emisfero sinistro . Nei sordi le aree della corteccia
temporale usate normalmente nell’elaborazione di suoni
linguistici vengono usate invece per l’elaborazione di
informazione visiva . Un esempio sorprendente di questa
capacità si ha quando una persona impara una seconda lingua…in
tale circostanza l’organizzazione del cervello può a volte
mutare : in qualche caso la prima lingua migra dall’emisfero
sinistro al destro;…”(N. Geschwind pag.175,176 “Le basi
anatomiche della differenziazione” Il Mulino) Perché questo
avvenga si debbono creare le condizioni favorevoli . In un
recente convegno (Treviso, giugno 2000) sul bilinguismo, il
prof. Fabbro dell’Università di Udine ricordava che nella
fissazione di capacità verbali sono importanti i sistemi
emozionali : situazioni molto piacevoli e poco piacevoli danno
esiti diversi . Di fronte a esperienze che generano forte
emozioni produciamo più corticosteroidi e gli effetti possono
andare dalla fissazione di un ricordo al suo rifiuto . Il nostro
organismo, in situazioni di stress estremo, è in grado di
produrre livelli molto alti di ormoni che distruggono alcuni
neuroni, fino ad arrivare, appunto in casi estremi, ad una
strectomia bitemporale da stress . Sempre il professor
Fabbro ricordava che il linguaggio coinvolge due tipi di
memoria, la dichiarativa e la procedurale . Quest’ultima,
essenzialmente motoria, funziona in modo inconsapevole, ha
bisogno di coinvolgimento . E’ prevalentemente prassica, ma è
anche cognitiva . L’affettività è un potente catalizzatore per
l’apprendimento ! Se la scuola imparasse a coniugare le
didattiche con la motivazione, con la sfera affettiva,
apprendere diventerebbe più facile ed il cervello imparerebbe
40
a mettersi in moto in tutte le sue parti .
BIBLIOGRAFA
PSICOLOGIA DELLA MEMORIA - SINTESI DEL VOLUME
DI MARIA ANTONELLA BRANDIMONTE
Progetto di Educazione alla Salute. Le basi biologiche del
comportamento. Dr.ssa Anna Rita Iannetti
J. P. Changeux. L’uomo neuronale. Feltrinelli, Milano, 1998
A. R. Damasio. L’errore di Cartesio. Adelphi, Milano, 1999
A. R. Damasio. Emozioni e coscienza. Adelphi, Milano, 2000
A. R. Damasio. Alla ricerca di Spinosa. Adelphi, Milano, 2003
E. De Bono. Il meccanismo della mente. Rizzoli, Milano, 2002
W. J. Freeman. Come pensa il cervello. Einaudi, Torino, 2000
J. Gottman & J. De Claire. L’intelligenza emotiva per un figlio.
Rizzoli, Milano, 2001
J. Horgan. La mente inviolata. Raffaele Cortina Editore, Milano,
2001
J. LeDoux. Il sé sinaptico. Raffaele Cortina Editore, Milano,
2002
Kirby E. e Grimley L., Disturbi dell’attenzione e iperattività.
Edizioni Erickson 1998
Levi G., Sechi E., Graziani A., Disturbi di attenzione nei bambini
con disabilità di apprendimento, in Psichiatria dell’infanzia e
dell’adolecenza, 1991,
DAI LA CARICA ALLA TUA MEMORIA
41
Poche semplici regole sono sufficienti ad ottenere una
buona elasticità mentale .Innanzitutto dedicare qualche
minuto alla propria persona: fare 4 respiri profondi e lenti,
meglio se in un bosco o sulla riva del mare ma anche in un
parco un po' lontano dal traffico più intenso, lasciando che
le tensioni se ne vadano durante l'espirazione è un ottimo
modo per ossigenare il cervello e migliorare i collegamenti
sinaptici . L'attività fisica aiuta molto questo processo,
quindi via libera al movimento, meglio se non troppo intenso
ma costante . Anche una normale passeggiata, se effettuata
con consapevolezza e tenendo un passo sostenuto ma non
esagerato, è più che sufficiente a stimolare le cellule
nervose presenti nell'ippocampo, la zona del cervello sede
della memoria .Riposare bene non è meno importante, perciò
bando alle cene troppo abbondanti e alle ore piccole che
mandano in crisi i bioritmi ma anche ai risvegli a mattinata
avanzata: un sonno ristoratore e regolare migliora la
memoria, sia a breve sia a lungo termine .L'allenamento
mentale è parimenti valido, perché contribuisce a tenere
attivi e funzionali i collegamenti tra i neuroni e ne stimola la
creazione di nuovi . A questo scopo sono adatti molti giochi
di
società,
privilegiando
quelli
con
una
componente
strategica elevata: il bridge innanzitutto, seguito dagli
scacchi, sembrano essere i più adatti grazie alle loro
caratteristiche . E quando ci si sente un po' già di tono
basta sedersi comodamente e ascoltare musica. Molte
composizioni di Mozart, ad esempio, stimolano il cervello
42
come avviene durante l'elaborazione di calcoli matematici
semplici ! Alcuni studi recenti hanno dimostrato come il
consumo di the, chewinggum e liquirizia, per motivi diversi,
coadiuvi il mantenimento di una buona attività mnemonica .
Ad esempio: la liquirizia, in special modo nelle persone
anziane, sembra ridurre gli effetti del cortisolo, un enzima
responsabile del calo di memoria . Se non ci sono
controindicazioni di qualche tipo è possibile battere anche
questa via, sempre tenendo presente l'importanza di una
dieta varia ed equilibrata, ricca di vitamine e povera (ma non
priva!) di grassi .E se scendendo dall'auto capita di prendere
una scossa, poco male: c'è chi sostiene che anche questo sia
di aiuto alla memoria!
STRATEGIE
(Barbara Bettetini)
PER MIGLIORARE LA MEMORIA
In un precedente contributo finalizzato a verificare la
possibilità di insegnare strategie di organizzazione mnestica
(Cottini e Martelli, 2004) abbiamo considerato la strategia di
reiterazione della codifica (rehearsal), la quale consiste nella
ripetizione mentale del materiale da memorizzare, una volta che
lo stesso sia stato opportunamente codificato . Tale procedura
ha particolari effetti nei compiti a breve termine (es., ricordare
un numero di telefono, dei nomi, ecc.) e rappresenta il primo
passo verso l’uso di strategie più complesse . I risultati ottenuti
hanno evidenziato che training strutturati e personalizzati
43
possono contribuire a potenziare competenze strategiche anche
nei soggetti con ritardo mentale di grado moderato-lieve .
Con questo studio prendiamo in considerazione una strategia di
elaborazione semantica del materiale che interviene in compiti di
memorizzazione a lungo termine: il clustering . L’intenzione è
sempre quella di verificare la praticabilità e l’efficacia di
percorsi abilitativi condotti attraverso uno specifico curricolo
(Cottini e Meazzini, 1997, 1999, 2005, in stampa) . La posizione
teorica di riferimento è quella che tende a spiegare le carenze
di memorizzazione e recupero presenti nel ritardo mentale
postulando l’esistenza di deficit ascrivibili soprattutto ai
processi di controllo . Gli autori che si rifanno a tale approccio
(Campione e Brown, 1977; Borkowski e Cavanaugh,1979; Brown,
Bransford, Ferrara e Campione, 1984; Pressley, Borkowski e
O’Sullivan, 1985;Belmont, 1989; Turner, Hale e Borkowski, 1996;
Conners, Rosenquist e Taylor, 2001; Perez e Garcia,2002)
sostengono che le persone con disabilità mentale si
caratterizzano per uno scarso utilizzo spontaneo di strategie di
memoria, il cui uso, invece, consente ai soggetti a sviluppo tipico
una più efficiente codifica delle informazioni in memoria e un più
facile recupero . Gli aspetti deficitari più importanti a questo
livello sono riconducibili a inadeguatezze nei processi di
valutazione del compito, selezione e uso di una strategia, alla
facile distraibilità, alla lentezza, alla scarsa riapplicazione
spontanea delle strategie di memoria apprese in contesti
differenti (Turner e Lane, 1987) .
Memoria strategica e ritardo mentale: training sul
raggruppamento semantico in categorie (clustering) . LUCIO
COTTINI Università di Udine - Bruna Lani Università di
Urbino, Centro socio-educativo “Francesca” di Urbino
44
Nel presente contributo viene descritto un training
sperimentale finalizzato a favorire l’acquisizione e l’utilizzo
spontaneo di strategie mestiche da parte di un soggetto affetto
da sindrome di Down . La proposta prende in considerazione la
strategia del raggruppamento semantico in categorie
(clustering), che interviene in compiti di memorizzazione a lungo
termine . Viene illustrata la procedura di valutazione adottata e
le linee dell’intervento centrato su uno specifico modello
curricolare elaborato dal nostro gruppo di ricerca . I risultati
ottenuti confermano l’utilità di prevedere training sulla memoria
esplicita per soggetti con disabilità cognitiva, quando il ritardo
mentale non è tale da determinare un deficit di grave entità
(deficit di mediazione) riferito alla singola strategia .
La strategia del raggruppamento semantico in categorie o
clustering
rappresenta
una
modalità
particolare
di
organizzazione delle informazioni da memorizzare, in grado di
facilitare l’operazione di recupero (Nelson, 1993; Ericsson e
Delaney, 1999; Sweller, Van Merrienboer e Paas, 2000; Cottini e
Meazzini, in stampa) . Fa riferimento alla situazione in cui il
materiale viene organizzato in gruppi di item caratterizzati da
una forte interattività, in quanto appartengono a una stessa
categoria (ad esempio: la categoria degli animali, degli abiti,
delle parti del corpo, ecc.) . È stata inizialmente studiata da
Bousfield con numerose ricerche finalizzate a rilevare in che
misura il raggruppamento semantico compariva nei processi
rievocativi . In uno dei suoi classici esperimenti, Bousfield
(1953) presentò ai soggetti una serie di 60 parole appartenenti
a quattro categorie semantiche (15 nomi di persona, 15 nomi di
animali, 15 nomi di professioni e 15 nomi di vegetali). Gli item,
presentati in maniera random, furono successivamente rievocati
45
dai soggetti con modalità libera. I risultati evidenziarono
l’esistenza di processi raggruppativi, nel senso che item della
stessa categoria semantica, che occupavano posizioni distanziate
nella serie, tendevano nella rievocazione a essere pronunciati di
seguito . Sperimentazioni successive hanno cercato di
evidenziare l’uso progressivo delle strategie in relazione all’età
(Flavell, 1970; Kobasigawa, 1974;Berti, Cornoldi, De Beni e
Martini, 1985) e ai suggerimenti che potevano essere dati in
fase di rievocazione (Tulving e Pearlstone, 1966; Broadbent,
Cooper e Broadbent, 1978; Meazzini, Cottini, Pediconi, Lani e
Angelini, 1993) . È stato dimostrato che i bambini tendono a
evidenziare un primo livello di padronanza verso la fine della
scuola elementare (9-10 anni) e che i raggruppamenti semantici
possono essere favoriti dalle istruzioni date dall’adulto .
Un ulteriore elemento emerso dalle diverse sperimentazioni
riguarda il fatto che i soggetti che avevano ricevuto
un’educazione formale usavano strategie più deliberate e
finalizzate rispetto a quelli non istruiti . Anche le ricerche sugli
anziani, a questo proposito, indicano che il declino mnestico dopo
i 70 anni è minore nei soggetti con istruzione elevata anche
quando imparano materiale nuovo (Andreani Dentici, 1993).
Training sulle strategie di memoria
Si è soliti distinguere fra tre tipi di training: approcci
strategici, approcci centrati sul deficit e approcci metacognitivi.
Secondo il primo approccio è sufficiente insegnare la strategia
senza considerare gli aspetti motivazionali e metacognitivi di chi
apprende .Tale tipo di intervento presenta il vantaggio di essere
di semplice conduzione ed efficace nell’immediato, ma presenta
maggiori difficoltà a livello di mantenimento e trasferimento
delle strategie insegnate . Il secondo approccio prevede che, una
volta diagnosticato il livello a cui si situa il problema, si attui un
46
intervento specifico centrato su quella specifica abilità che si è
dimostrata carente, nell’ipotesi che una volta superato il deficit
specifico si abbia un miglioramento anche a livello più generale .
Secondo l’approccio metacognitivo, un training strategico
efficace non dovrebbe limitarsi all’insegnamento delle sole
strategie, ma dovrebbe puntualizzare sia il valore strategico
(come applicarle), che il contesto d’uso (quando e come
applicarle) e avere come scopo di insegnare a controllare il
proprio apprendimento e ad avere consapevolezza (De Beni e
Moè, 1995) . Nel precedente contributo comparso su questa
stessa rivista (Cottini e Martelli, 2004) abbiamo già illustrato
come il nostro curricolo si muova in questa terza dimensione. È
finalizzato, infatti, a facilitare l’acquisizione e l’utilizzo
spontaneo, in contesti di vita scolastica e quotidiana, delle
strategie di memoria da parte di allievi in età evolutiva (scuola
elementare e media), con possibilità di essere generalizzato
nelle situazioni di difficoltà di apprendimento e nel ritardo
mentale moderato-lieve . Questo obiettivo è perseguito
attraverso tre linee integrate di intervento:
a) conoscenze delle strategie;
b) procedure metacognitive di controllo;
c) atteggiamenti generali verso le strategie.
L’intervento sperimentale
Il soggetto
Lo studio sperimentale ha coinvolto una ragazza con sindrome di
Down di 22 anni, frequentante il centro socio-educativo
“Francesca” di Urbino. Il soggetto presentava un deficit
intellettivo di grado moderato, con un QI di 48 rilevato
attraverso la scala WAIS (Wechsler, 1981) e con una buona
capacità adattiva (valutata attraverso le scala Vineland).
47
Per ciò che riguarda le abilità strumentali, la ragazza leggeva e
scriveva correttamente anche sotto dettatura. Era in grado,
inoltre, di riportare dei messaggi sia verbalmente che in forma
scritta, a cui collegava una buona capacità di utilizzare il
telefono sia per effettuare delle chiamate, che per riceverle .
Nell’ambito delle abilità logico-matematiche, la ragazza aveva
appreso in maniera soddisfacente le basi della matematica e
della geometria: svolgeva autonomamente le addizioni e le
sottrazioni, mentre manifestava delle difficoltà nelle
moltiplicazioni e divisioni . Le competenze matematiche, inoltre,
si associavano alla conoscenza e all’uso del denaro . Anche le
abilità inserite nell’area dell’autonomia erano abbastanza
strutturate : la ragazza era in grado di gestire l’igiene
personale, di spostarsi adeguatamente in ambienti conosciuti, di
mantenere ordinato l’ambiente di vita . Nel momento in cui si è
svolta l’esperienza sperimentale l’allieva partecipava a un
programma di insegnamento di abilità di cucina finalizzato alla
preparazione di alcune vivande . Il motivo per il quale si è deciso
di coinvolgerla in un training per lo sviluppo della strategia del
raggruppamento semantico in categorie è legato al fatto che
tale progetto di educazione cognitiva poteva connettersi con
l’attività di laboratorio, in quanto finalizzata a “imparare a
ricordarsi le cose da acquistare al supermercato”.
L’organizzazione del training
La scelta di intervenire sulla strategia del clustering è scaturita
a seguito dell’esame dei risultati ottenuti dall’allieva nella
valutazione focalizzata sulle diverse strategie prese in
considerazione dal curricolo .
La scheda che segue riporta i risultati riferiti alla strategia di
organizzazione semantica in categorie.
48
Scheda 1. Scheda per la valutazione focalizzata relativa alla
strategia di “Organizzazione semantica in categorie”.
1 Organizza il materiale che gli viene presentato utilizzando le
categorie preliminarmente indicate dall’educatore.
Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.). Ci
sono degli animali, degli abiti, ecc. Metti insieme gli animali,gli
abiti, ecc.”.
2 Classifica il materiale (a voce alta) secondo categorie
individuate autonomamente .
Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.). Fai
dei gruppi con le figure (parole) che stanno bene insieme e dimmi
perché”.
3 Rievoca il materiale quando l’educatore evoca le categorie
mediante le quali lo aveva classificato (voce alta).
Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.). Fai
dei gruppi con quelle che stanno bene insieme e dimmi perché”.
Dopo 30 secondi circa: “Adesso dimmi le figure (parole) che hai
visto. Ricordati che c’erano animali...”.
4 Rievoca il materiale quando l’educatore lo invita a servirsi
della strategia.
Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.) . Fai
dei gruppi con quelle che stanno bene insieme e dimmi perché”.
Dopo 30 secondi circa: “Adesso dimmi le figure (parole) che hai
visto . Ricordati che avevi fatto dei gruppi”.
5 Rievoca il materiale presentato servendosi autonomamente
della strategia .
Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.)”.
Dopo 30 secondi circa: “Dimmi le figure (parole) che hai visto”.
6 Generalizza l’uso della strategia ad altri compiti .
La ragazza padroneggiava i requisiti di base della strategia, in
quanto riusciva adeguatamente nei primi due item della scheda
49
(sono previsti 6 esercizi per ogni scheda e il livello si ritiene
superato quanto si affrontano con successo almeno 5 compiti).
In concreto, era in grado di organizzare il materiale che le
veniva fornito in categorie, ma non utilizzava questa competenza
a livello mnestico quando le condizioni lo richiedevano .
Rifacendoci alla terminologia proposta da Flavell (1970) e Brown
(1972), si può dire che manifestava un deficit di produzione . Un
deficit di mediazione,al contrario, si sarebbe registrato se il
soggetto non fosse riuscito a soddisfare le prestazioni previste
nei primi due item . Questa situazione di gravità avrebbe
portato a sconsigliare l’insegnamento diretto della strategia .
L’intervento è stato condotto utilizzando gli esercizi compresi
nel “curricolo strategico” (Cottini e Meazzini, 1997, in stampa),
con l’intenzione di stimolare l’utilizzo della strategia del
clustering nei compiti mnestici e la consapevolezza della sua
utilità e applicabilità nelle situazioni di vita quotidiana .
L’organizzazione degli esercizi (figura 1) prevede una serie
iniziale di schede con compiti di riconoscimento, per poi passare
a compiti di rievocazione . Riconoscimento e rievocazione sono le
due modalità fondamentali di lavoro sulla memoria .
Nel primo caso l’allievo viene aiutato dal fatto che le cose da
ricordare sono messe a sua disposizione, ma devono essere
discriminate da altre con cui sono mescolate; nel secondo caso,
invece, l’allievo è chiamato a ricordare utilizzando
esclusivamente i propri mezzi.
L’organizzazione degli esercizi di riconoscimento si fonda su
quattro tipologie di compiti :
– “cosa c’era e cosa non c’era”, in cui l’allievo deve ricordare se
uno o più item erano presenti nella prima illustrazione del
materiale organizzato in categorie ;
50
– “guarda cosa manca”, in cui l’allievo è invitato a riconoscere
quale item è stato sottratto dopo una prima presentazione di
vari elementi sistemati in categorie ;
– “guarda cosa è stato aggiunto”, in cui, al contrario del compito
precedente, l’allievo è invitato a individuare quale item è stato
aggiunto dopo una prima presentazione ;
– “dov’era?”, in cui l’allievo, dopo una prima presentazione di
elementi in categorie, deve indicare la collocazione spaziale degli
item ripresentati singolarmente .
Gli esercizi di rievocazione nel curricolo strategico prevedono:
– una prima serie di compiti in cui la rievocazione è facilitata
dall’educatore che richiama le categorie in cui sono organizzati
gli item ;
– una seconda serie di compiti specifici di rievocazione senza
alcun aiuto .
Gustavo, in classe, viene chiamato dalla maestra alla lavagna per
risolvere un compito: “Gustavo osserva bene questi disegni”
Esempio di scheda riferita al compito : “Guarda cosa manca”.
Ambrogio, Gustavo e Teo si preparano per una giornata sportiva.
Ognuno prepara le cose necessarie e le sistema nella borsa
Ambrogio gioca a tennis Teo nuota Gustavo scia
PALLINE COSTUME SCI
RACCHETTA CUFFIA SCARPONI
SCARPETTE ACCAPPATOIO GUANTI
MAGLIA CIABATTE TUTA
PANTALONCINI BASTONI
Strana coincidenza ! I tre amici hanno borse uguali .Per non
confondersi devono aprirle . Attenta, che poi dovrai aiutarli a
riconoscerle .
51
Esempio di rievocazione assistita .
Ambrogio, Gustavo e Teo aprono le borse . Ognuno riconosce la
sua e tutti tre si avviano per cominciare la loro giornata sportiva
Prova ora a ricordare l’attrezzatura sportiva di ognuno .
Esempio di rievocazione assistita .
La maestra dice :“Gustavo prova ora a ricordare quali sono gli
altri oggetti . Quali oggetti mancano?”
Esempio di scheda riferita al compito “Guarda cosa manca”.
Gustavo però si distrae guardando dalla finestra e non ricorda
più niente . Prova ad aiutarlo tu . Scrivi gli oggetti che mancano
sulle linee tratteggiate .
Tutte le esercitazioni erano seguite da un momento di
riflessione metacognitiva, nella quale l’educatore invitava la
ragazza a illustrare la modalità che aveva utilizzato per
ricordarsi, se poteva fare in altro modo, e in quali situazioni di
vita reale poteva essere utile utilizzare la stessa procedura per
ricordare . Quest’ultimo aspetto legato alla generalizzazione
rappresenta sicuramente l’aspetto centrale del training, in
quanto uno dei deficit specifici delle persone con ritardo
mentale riguarda appunto la capacità di trasferimento delle
competenze strategiche acquisite su situazioni diverse a quelle
di training . Sono state utilizzate a questo fine varie situazioni
che si prestavano a essere ricordate attraverso la strategia del
clustering (ricordarsi le cose da portare al Centro in relazione
all’orario, ricordarsi la lista della spesa in base ai piatti da
preparare, ecc.) .
52
Il disegno sperimentale
L’intervento educativo descritto è stato implementato
prevedendo un disegno sperimentale sul soggetto singolo di tipo
A-B-A (Hersen e Barlow, 1976; Fortin e Robert, 1984; Cottini,
1995, 2002) . Le tre fasi prevedevano le azioni di seguito
descritte .
Fase A (baseline)
In questa fase di misurazione di base le prestazioni mnestiche
del soggetto sono state monitorate presentando liste di 16
parole appartenenti a 4 categorie . Sono state individuate 8
categorie e selezionate 12 parole per categoria . Le parole erano
tutte ad alta frequenza d’uso e ad alto valore di immagine . Le
liste venivano composte attraverso una selezione random delle
categorie da considerare e delle parole da inserire nelle
categorie . Dopo la presentazione della lista di parole si
lasciavano passare 2 minuti nei quali il soggetto non era
impegnato in nessun compito, per poi chiedere di rievocare le
parole presentate . Il soggetto veniva sempre informato
preliminarmente del fatto che dopo un po’ di tempo gli sarebbe
stato chiesto di ricordare le parole presentate . La fase di
baseline è stata condotta per un totale di 8 misurazioni .
Fase B (intervento sperimentale)
In questa fase il soggetto è stato coinvolto nell’intervento
educativo descritto nel precedente paragrafo . Erano previste
due lezioni individuali alla settimana, della durata di circa 45
minuti . È continuato il monitoraggio della capacità di
rievocazione .
TUTTI A CENA CON GUSTAVO
Gustavo, Teo e Mario organizzano una cena per i loro amici
Ognuno deve preparare qualcosa da mangiare . Gustavo va allora
53
dal fruttivendolo a fare la spesa e compera : PERE CIPOLLA
CAROTA MELE KIWI UVA OLIVE BANANE FINOCCHIO
ANANAS SEDANO POMODORO
Esempio di rievocazione libera .
Teo e Mario sono molto curiosi di sapere cosa sta preparando il
loro amico . Gustavo è il solito burlone e dice agli amici che
dovranno risolvere un piccolo gioco per scoprirlo . Nello schema
sono nascosti i nomi degli ingredienti . Aiuta Teo e Mario a
trovarli : le lettere che restano formeranno il nome di quello
che Gustavo sta preparando .
È importante sottolineare che la valutazione non seguiva la
lezione, ma veniva effettuata il giorno successivo, per verificare
meglio la stabilità delle acquisizioni a livello di utilizzo della
strategia .
Fase A (inversione)
In questa fase, come prevede il disegno ABA, il training è stato
interrotto, mentre si è continuato il monitoraggio delle capacità
di rievocazione del soggetto coinvolto nell’intervento educativo.
La fase di inversione si è articolata in 4 misurazioni .
Follow-up
Sono stati effettuati due controlli a distanza rispettivamente di
uno e tre mesi dall’interruzione dell’intervento, condotti con le
stesse modalità descritte per le fasi A. Ogni follow-up si è
articolato su 3 misurazioni .
Risultati e commento
Si è avuto un progresso molto significativo nella fase B, a
dimostrazione dell’efficacia dell’insegnamento strategico per
favorire la rievocazione . Per avere riscontri più probanti è stata
54
effettuata anche un’analisi attraverso il test C (Von Neumann,
1941; Young, 1941; Tryon, 1982; Caracciolo, Larcan e Cammà,
1986; Di Nuovo,1992) . Si tratta di un test adatto per la ricerca
sul soggetto singolo, il quale segue una logica simile a quella
dell’analisi visiva, in quanto consente di valutare il livello di
inclinazione delle curve nelle singole fasi di un esperimento e
l’evoluzione del trend fra una fase e l’altra (es., fase di baseline
in confronto all’introduzione del trattamento) . Attraverso il
test viene calcolata la probabilità che i punti di una serie
temporale siano disposti a caso; se tale probabilità è limitata, si
può concludere che esiste un trend significativo . Si ricorda che,
in ambito educativo, riabilitativo e clinico, si tendono a
considerare statisticamente significative quelle sperimentazioni
nelle quali la probabilità che i risultati dipendano da fattori
casuali è inferiore al 5% ( p <0,05) . L’applicazione del test C alla
fase B per quanto riguarda il numero di parole rievocate, ha
evidenziato un trend significativamente crescente (p< 0,05).
Tale evoluzione positiva si è sostanzialmente mantenuta anche
durante la fase di inversione e i controlli nel tempo,
evidenziando una competenza consolidata e stabile del soggetto.
Da sottolineare come anche la riproposizione a distanza di
cinque mesi della scheda di valutazione focalizzata relativa alla
strategia di organizzazione semantica abbia confermato questo
incremento. La ragazza, inoltre, ha dimostrato di utilizzare la
strategia in compiti di vita quotidiana, anche se questa
generalizzazione è rimasta limitata alle sole situazioni prese in
considerazione durante il training (soprattutto il fare la spesa).
Questo fatto porta a ritenere di dover continuare l’intervento
per quanto concerne gli aspetti metacognitivi, senza necessità di
proseguire il lavoro specifico sulla strategia, i cui elementi
basilari sono da ritenersi sostanzialmente acquisiti . In
55
conclusione, l’esperienza testimonia ulteriormente l’utilità di
prevedere training sulla memoria esplicita per soggetti con
disabilità cognitiva, quando il ritardo mentale non è tale da
determinare un deficit di mediazione riferito alla singola
strategia .
Nel caso specifico sarà comunque necessario monitorare nel
tempo la situazione per appurare se tali acquisizioni si
mantengono e, soprattutto, se determinano una reale
modificazione delle capacità del soggetto di vivere in maniera
più autonoma e adattata nell’ambiente .
BIBLIOGRAFIA :
Andreani Dentici, O. (1993). Lo sviluppo dell’apprendimento e
della memoria. In L. Camaioni (a cura di). Manuale di psicologia
dello sviluppo. Bologna: Il Mulino.
Caracciolo, E., Larcan, R., & Cammà, M. (1986). Il test C: un
modello statistico per l’analisi clinica e sperimentale di dati in
serie temporali relativi ad un soggetto singolo (N=1). Bollettino
di Psicologia Applicata
Cottini, L. (1995). Quando N=1. Gorizia: Tecnoscuola.
Cottini, L. (2002). La ricerca nella scuola dell’autonomia. Milano:
Mursia.
Cottini, L., & Martelli, A. (2004). Memoria strategica e ritardo
mentale: un training sulla reiterazione della codifica. American
Journal of Mental Retardation (Edizione italiana),
Cottini, L., & Meazzini, P. (1997). Il training sulle strategie di
memoria. In P. Meazzini (a cura di), Handicap: passi verso
l’autonomia (pp. 340-361). Firenze: Giunti.
Cottini, L., & Meazzini, P. (1999). La memoria strategica. Come
studiarla. Psicologia e Scuola,
56
Cottini, L., & Meazzini, P., (2005). MnemoTest. Test di
valutazione delle strategie di memoria. Firenze: Organizzazioni
Speciali.
Cottini, L., & Meazzini, P. (in stampa). La memoria come risorsa.
Gussago (BS): Vannini.
De Beni, R., & Moè, A. (1995). Fasi di acquisizione e livelli di
mantenimento delle strategie di memoria in bambini normali,
Down e ritardati non-Down. In C.Cornoldi e R. Vianello (a cura
di), Handicap e apprendimento . Brescia: Junior.
Di Nuovo, S. (1992). La sperimentazione in psicologia applicata.
Milano: Angeli
Fonagy, P., Target. M., Attaccamento e funzione riflessiva,
Raffaello Cortina, Milano 2001
Fortin, A., & Robert, M. (1984). Piani di ricerca su casi unici. In
M. Robert (a cura di), La ricerca scientifica in psicologia (pp.
149-168). Bari: Laterza
Per contattare gli autori, scrivere a Lucio Cottini, Facoltà di
Scienze della Formazione, Università di Udine, Via Petracco, 8,
33100 Udine. E-mail: [email protected]
Il funzionamento ottimale della memoria
Il ricordo sarà in funzione dell'entità dell'organizzazione che si
è stati in grado di fornire al materiale . Ma come fare per
individuare questo tipo del tutto personale di organizzazione,
come fare per uscire dal circolo vizioso che vuole che la
prestazione di memoria aumenti a causa della maggiore
organizzazione e inferisce quest'ultima solo da quella
prestazione (Crowder, 1976). Tulving (1962) ha proposto una
57
metodologia per l'analisi dell' organizzazione soggettiva che è
stata ampiamente usata e se pur con una serie di limiti, primo
tra tutti quello di non rendere conto di item che possono
apparire non addiacenti, pur essendo associati, perchè
l'organizzazione complessiva ha preso in considerazione ulteriori
parole, mostra in realtà come la quantità di ricordo sia in chiara
relazione col grado in cui il materiale è organizzato (Cornoldi,
1986). Tale procedura prevede una serie ripetuta di prove di
rievocazione libera in cui vengono presentate sempre le stesse
parole, ma sempre con un ordine differente. Se due o più parole,
che pur sono state presentate in ordini diversi, compaiono
costantemente adiacenti nel protocollo di rievocazione ciò
significa che il soggetto le ha in qualche modo connesse . Ora,
dato che tale modalità di associazione non è prevedibile, ne' vale
per tutti i soggetti, possiamo definirla soggettiva. I risultati
ottenuti da Tulving mostravano che col procedere delle prove
aumentava sia la quantità di parole ricordate, sia la quantità di
adiacenze costanti e dunque l'organizzazione soggettiva che da
queste si poteva evidenziare, tanto che alla sedicesima
presentazione di una lista di sedici parole la correlazione tra
questi due indici raggiungeva un valore di .96. Il valore
dell'organizzazione non è limitato alle liste di parole: brani con
una buona organizzazione sono ricordati meglio di brani che ne
sono privi; e non è limitato al materiale verbale: oggetti
rappresentati in figure organizzate e coerenti sono ricordati
meglio che se rappresentati alla rinfusa in una figura caotica .
Da un certo punto di vista noi non possiamo modificare la nostra
memoria. Non si conoscono modi per ampliare i sistemi neurali
che sono alla base di essa. Riprendendo la metafora della
biblioteca, non ci sono mezzi per ampliarne le dimensioni. Ma è
58
questo che ci serve? La capienza che abbiamo a disposizione è
più che sufficiente, tutto quello che dobbiamo fare è usare il
sistema di cui disponiamo con maggiore efficienza . Innanzitutto
bisogna sfatare antichi miti. "Memoria minuitur nisi exerceas"
dicevano gli antichi. Vediamo quanto di vero e di errato c'è in
questa antica massima. Anche se opportuno tenere attiva la
propria mente ponendole richieste di memoria ed escogitando
sempre nuovi modi per garantirsi il ricordo, non e' vero che la
memoria sia come un muscolo che il mero esercizio può
potenziare. L'imparare a memoria un cumulo di nozioni non
migliora il nostro modo di ricordare . E stato questo un errore
comune tra gli educatori dell'800 ed anche oggi la scuola non ne
è del tutto immune . Sin dagli inizi del nostro secolo era stato
invece dimostrato sperimentalmente che gruppi di soggetti
sottoposti rispettivamente a compiti di memorizzazione di versi,
di formule scientifiche, distanze geografiche e di brani di
argomento geografico, storico e scientifico, dopo un
addestramento durato 6 settimane non mostravano prestazioni
di memoria superiori ad un gruppo controllo che non aveva fatto
alcun esercizio. Di contro, in un altro esperimento vennero
distinti tre gruppi di soggetti : il primo impegnato a
memorizzare poesie e sillabe senza senso, il secondo addestrato
ad usare strategie con cui memorizzare poesie e sillabe senza
senso, il terzo usato come controllo e senza alcun
addestramento. Al termine delle 4 settimane di addestramento
tutti e tre i gruppi furono sottoposti a test di memoria . Il primo
gruppo fornì risultati uguali a quelli del gruppo di controllo . Il
secondo gruppo, che aveva ricevuto l'addestramento su come
memorizzare, diede risultati migliori degli altri gruppi in tutti i
test, anche in quelli molto diversi da quelli usati nel periodo di
addestramento. I risultati di questo esperimento sono
59
inequivocabili: non è l'esercizio di per sé, ma l'uso di appropriate
strategie a favorire il ricordo (Hunter, 1962).
Attenzione e interesse
Bisogna aver colto le cose prima di poter dire di averle
dimenticate. Spesso diciamo di aver dimenticato qualcosa quando
in realtà sarebbe più corretto affermare che non l'abbiamo mai
recepito, non vi abbiamo mai prestato attenzione in modo
cosciente. Le informazioni che ci interessano richiamano la
nostra attenzione e si fissano nella nostra memoria perché in
essa esistono già delle strutture, schemi di memoria,
paragonabili agli scaffali della metaforica biblioteca, pronti a
riceverle . Non per nulla siamo più interessati a ciò che ci è più
familiare e più siamo esperti in un argomento più siamo attenti
alle informazioni ad esso inerenti . Queste informazioni poi non
incontrano nessuna difficoltà ad imprimersi nella nostra mente .
D'altra parte, se qualcosa non ci interessa risulta anche molto
difficile da ricordare . La ripetizione meccanica in questo caso è
spesso inutile come è stato dimostrato da uno studio su una
campagna pubblicitaria per saturazione condotta dalla BBC. La
rete radiofonica inglese voleva informare il proprio pubblico
delle nuove lunghezze d'onda su cui in seguito avrebbe dovuto
sintonizzarsi per seguire i programmi . Per un periodo di due
mesi i programmi radiofonici vennero interrotti regolarmente da
informazioni dettagliate su queste nuove lunghezze d'onda . Ma
ad una verifica condotta presso l'Unità di Psicologia Applicata di
Cambridge, la maggior parte delle persone intervistate, che
aveva per altro ascoltato gli annunci più di un migliaio di volte,
non fu in grado di fornire indicazioni in questo senso (Bekerian e
60
Baddeley, 1980) . Come si può spiegare il fatto che un migliaio di
ripetizioni non siano state sufficienti ad insegnare
un'informazione numerica? Innanzitutto la semplice ripetizione
non assicura l'apprendimento . E invece determinante il modo in
cui l'informazione viene elaborata da chi l'apprende. La seconda
ragione consiste nel sospetto che la gente semplicemente non
prestasse attenzione al messaggio . Quando fu presentato per la
prima volta il messaggio riguardava un evento che si sarebbe
verificato dopo parecchie settimane, e quindi poteva essere
ignorato, almeno momentaneamente . Dopo due mesi il messaggio
era diventato così ripetitivo e noioso da essere ignorato
automaticamente. Questo ci insegna che persino la
presentazione delle stesse informazioni per un migliaio di volte
cadrà nel vuoto se queste non verranno elaborate in modo
completo ed integrate nelle strutture di memoria .Tutto ciò può
sembrare un circolo vizioso: codifichiamo in modo organico e
ricordiamo ciò che ci interessa, ignoriamo ciò che non ci
interessa . Come è possibile allora apprendere materiali che
potrebbero essere, sotto ogni punto di vista noiosi e monotoni?
E proprio questo il caso in cui è più necessario uno sforzo
deliberato, tanto più efficace quanto più si basa sull'uso di
strategie e piani che mettano in funzione efficaci processi di
memoria .
Significato e ricordo
Tanto meno il materiale è significativo, tanto più è difficile
mantenere viva l'attenzione e costante l'interesse . Per contro
più il materiale è significativo e più facile è apprenderlo . Le
parole sono più facili da ricordare che le sillabe senza senso . Le
61
frasi sono più facili da ricordare che non serie di parole a caso.
A tutti i livelli la pregnanza di significato influisce sul ricordo Le
serie di cifre costituiscono uno dei materiali più difficili da
ricordare . I numeri infatti hanno poco significato ed è facile
confonderli. Prendiamo ad esempio in considerazione la serie :
581215192226
e alcune possibili strategie, più o meno efficaci per apprenderla .
Una prima strategia potrebbe consistere nel raggruppare le
cifre, tale strategia detta "raggruppamento percettivo" per
indicare che il tipo di organizzazione del materiale è precedente
a quella semantica e si basa su elementi uditivi o visivi, permette
di formare quei chunk o unità di informazioni che consentono di
conservare un maggior numero di informazioni nella MBT. Già
Miller nel 1956 aveva individuato nel "magico numero sette" (+ o
- due) la quantità di informazione che poteva essere tenuta
presente in MBT, ma aveva anche osservato come tale quantità
non fosse assoluta ed oggettiva e si riferisse piuttosto a numero
di unità di informazioni raggruppate, i chunk per l'appunto.
Con il raggruppamento percettivo sarebbe più facile conservare
la serie di cifre nella memoria a breve termine, ma certo il suo
recupero sarebbe arduo dopo soli pochi minuti . Si potrebbe
cercare di apprendere la serie ripetendo le cifre
meccanicamente più volte ma i risultati non sarebbero sicuri. Un
altro sistema consiste nel cercare una regola sottostante .
Osservate bene la serie, è possibile fare ciò? La prima cifra è 5
e la seconda 8 (5+3), la terza è 12 (8+4) e la quarta 15 (12+3).
Ecco la regola: parti dal 5 e aggiungi alternativamente 3 e 4. A
questo punto la sequenza può essere ricordata anche dopo 3
settimane come ha dimostrato un classico esperimento di Katona
(1940) in cui si confrontava il ricordo di chi si era sforzato di
individuare una qualche regola all'interno di una sequenza di
62
cifre con quello, praticamente nullo, di chi aveva cercato di
impararla meccanicamente .I due gruppi di soggetti
dell'esperimento di Katona si erano trovati di fronte ad un
carico di memoria molto diverso: i soggetti che avevano imparato
meccanicamente avevano caricato la loro memoria di molte
informazioni scarsamente significative, per quelli invece che
avevano utilizzato la regola era stato sufficiente ricordare una
cifra da cui partire e una semplice regola per generare la
sequenza.
Comprensione e ricordo
Ciò che è difficile da capire è anche difficile da ricordare.
Comprensione e memoria sono abilità distinte e da non
confondersi ma strettamente collegate come testimoniano
ricerche che hanno trovato molte analogie tra quanto i soggetti
riferivano essere il contenuto di un brano che avevano sotto gli
occhi e il ricordo che dello stesso brano avevano dopo un certo
tempo . Più che di comprensione tout court sarebbe corretto
parlare di processi implicati nell'attività di comprensione .
Questi sono molteplici e vanno dall'attribuzione di un significato
alle parole, all'assegnazione di un ruolo sintattico, ai processi
inferenziali, all'individuazione delle idee centrali e della
struttura del brano (sui processi sottostanti la comprensione di
brani si veda in italiano De Beni e Pazzaglia, 1992) . In
generale,però parlando di comprensione si intende l'attività di
integrare le nuove informazioni in arrivo con quelle già
possedute. Tale attività può avvenire a diversi livelli ed è
direttamente proporzionale al grado di elaborazione a cui è
sottoposta l'informazione in entrata. Dato che più il materiale
viene elaborato tanto più profondamente è compreso, ma anche
63
tanto più viene elaborato tanto più è facile da ricordare,
difficile che ci sia ricordo se non c'è stato un qualche livello di
comprensione. Ad esempio le inferenze effettuate nel
comprendere un testo sono poi ricordate come parti del testo
stesso. Soggetti che sentono il seguente brano: "Era notte
fonda quando il telefono squillò e una voce esplose in un grido
furioso. La spia gettò il documento segreto nel caminetto appena
in tempo perché 30 secondi dopo sarebbe stato troppo tardi"
(Johson, Bransford e Salomon cit. in Roncato, 1982), compiono
l'inferenza che la spia abbia gettato il documento nel caminetto
per distruggerlo. Dunque il caminetto doveva essere acceso ed il
documento bruciato. Essi perciò riconoscono come nota la frase:
"La spia bruciò il documento segreto appena in tempo perché 30
secondi dopo sarebbe stato troppo tardi". Tale frase non viene
invece riconosciuta da quei soggetti che avevano sentito il brano
nella seguente forma: "...La spia tolse i documenti segreti appena
in tempo perché 30 secondi dopo sarebbe stato troppo tardi",
perché tale versione produce differenti inferenze . Ci possono
essere valide eccezioni alla regola che vuole associati
comprensione e ricordo, se spesso infatti accade che ad una
buona comprensione sia associato un ricordo sia garantito,
questo non vale sempre e se si vuole garantire il ricordo è
opportuno utilizzare strategie specifiche di memoria. D'altra
parte esistono pure situazioni, anche se sono meno comuni, in cui
si è memorizzato qualcosa e a distanza di anni lo si recupera
avendo dimenticato il significato attribuitogli in precedenza e
reinterpretandolo nella condizione presente . Questo vale in
generale per i versi di poesie o per le parole delle canzoni .
Definizione di strategia, problemi e metodi nello studio e
nell'insegnamento delle strategie.
64
Il termine “strategia” appare spesso nella psicologia cognitiva
contemporanea con varietà di sfumature di significato e per
definirla occorre tener presente alcune variabili :
1. le caratteristiche che distinguono una strategia dai processi
cognitivi e dalle abilità cognitive, 2. il livello di complessità, 3. il
suo carattere di consapevolezza esplicita.
La strategia è qualcosa di più e al di sopra dei processi cognitivi,
pur avendo in grado di complessità variabile e si differenzia
dalle abilità che sequenze del tutto automatizzate di processi (si
veda a questo proposito anche Garner, 1987). La caratteristica
inerente alla consapevolezza esplicita viene ritenuta essenziale
da parte di alcuni ricercatori, ad esempio quelli che fanno parte
del gruppo di ricerca di Paris (e.g. Paris, Newman,Jacobs, 1985),
mentre secondo altri (e.g. Campione e Arbruster, 1985; Flavell,
1985) deve essere interpretata in maniera meno restrittiva e
riguardare un possibile criterio di intenzionalità . Ancor oggi e
anche alla luce dell'odierno dibattito su cosa debba intendersi
con il termine strategia la definizione proposta da
Pressley,Forrest-Pressley, Ellis-Faust e Miller sempre nel
fatidico 1985 sembra essere la più dettagliata e comprensiva.
Secondo tale definizione " una strategia e' composta di un
insieme di operazioni cognitive su e al di sopra di quei
processi che sono naturale conseguenza dello svolgere un
compito e che vanno da una di queste operazioni ad una
sequenza di operazioni interdipendenti . Le strategie si
propongono scopi cognitivi (come comprendere e ricordare) e
sono potenzialmente attivita' consce e controllabili " .
Il nodo riguardante la consapevolezza della strategia viene in
questa definizione risolto con l'introduzione della potenzialità di
tale aspetto, per cui la strategia può anche essere utilizzata in
modo automatico, ma su di esse deve essere possibile riflettere
65
e portarla a livello di consapevolezza . Ciò può rendere conto di
alcune situazioni critiche in cui i processi automatici producono
gli stessi effetti dell'uso consapevole di una strategia (e.g.
Haser e Zacks, 1979) o in cui talune attività vengono
interpretate come strategia consce quando in realtà sono
riflettono processi automatici . Ad esempio Schneider e
Pressley (1989) richiamano l'attenzione sul fatto che a volte il
clustering categoriale che si osserva nelle prestazioni degli
studenti e'dovuto più ad un tipo automatico di associazione che
non ad una conscia attività strategica .
IL
DIMENTICARE
Chi non si è trovato nell'imbarazzante situazione di essere
incapace di ricordare il nome di un conoscente magari proprio nel
momento in cui lo stava presentando ad un altro? E chi non è mai
entrato in una stanza con un ben preciso intento per poi scoprire
di aver dimenticato cosa era entrato a fare? Per non parlare
delle situazioni avvilenti in cui si dovrebbero esibire conoscenze
il cui studio ci è costato ore e ore di fatica e che non siamo in
gradi di ricordare nel momento cruciale . L'oblio costituisce uno
degli aspetti più frustranti che caratterizzano la vita degli
esseri umani: capirne i fattori che lo governano significa non solo
comprendere i processi su cui la nostra memoria si basa, ma
anche come sia possibile evitare di incappare nei suoi punti
deboli. In altre parole la comprensione delle cause dell'oblio è il
primo passo per cercare di comprendere e migliorare la nostra
memoria .Anche se di primo acchito appaiono solo i danni derivati
dall'oblio, ad una riflessione più attenta esso presenta accanto
agli svantaggi anche dei vantaggi. Una delle importanti
caratteristiche del Registro Sensoriale e della MBT è costituita
66
dalla rapidità di perdita dell'informazione in essi contenuta che
consente l'inserimento sostitutivo di nuova informazione. Se
l'oblio non funzionasse in maniera tanto rapida ed efficace ci si
verrebbe a trovare nella medesima drammatica situazione di
Funes, uno dei personaggi dei racconti di Borges : incapace di
pensare dato che la sua mente era sovraccarica di tutti i
dettagli di ogni cosa percepita, per sempre indelebilmente
impressa nella sua memoria. Anche la MLT implica la necessità di
dimenticare informazioni diventate obsolete, per sostituirle con
nuove più appropriate . E inutile infatti continuare a ricordare il
vecchio numero telefonico del nostro medico di famiglia una
volta che questo è stato sostituito, meglio dimenticarlo per
poter ricordare quello attuale . D'altra parte se spesso ci si
lamenta della nostra scarsa memoria, talvolta si è ardentemente
desiderato di poter dimenticare . L'oblio riguarda la perdita o
l'impossibilità di recuperare informazioni che prima si
possedevano . Quindi, prima di analizzare le possibili cause
dell'oblio e prima di imputare all'oblio il fatto che non riusciamo
a ricordare qualcosa, è necessario escludere innanzitutto la
possibilità che il materiale in questione in realtà non sia mai
stato appreso . Chi si lamenta di aver dimenticato dove ha
posato le chiavi di casa, il nome del conoscente che gli è stato
appena presentato, o nel momento dell'esame quell'argomento
che aveva studiato, dovrebbe sinceramente porsi le seguenti
questioni:
- ho riflettuto su dove ho posato le chiavi? O non le ho messe
meccanicamente in un posto qualunque mentre i miei pensieri
erano concentrati altrove?
- quando mi è stato presentato questo signore che non ricordo
come si chiama, ho prestato attenzione al suo nome, I'ho
67
registrato nella mia memoria? O non stavo forse pensando a cosa
avrei dovuto dirgli e a come io mi sarei presentato a lui?
- quell'argomento l'ho realmente studiato? O non ho passato
piuttosto un certo numero di ore seduto ad un tavolo con il libro
aperto davanti, facendo scorrere lo sguardo sulle pagine e
lasciando in realtà fluttuare il pensiero su mille altri argomenti?
E chiaro che tutto ciò che non è in realtà mai stato appreso non
può essere dimenticato .
BIBLIOGRAFIA :
Edelman, G.M. (1989): Il presente ricordato: una teoria biologica
della coscienza, Tr. It. Rizzoli, Milano 1991.
Edelman, G.M., Tononi, G. (2000): Un universo di coscienza, Tr.
It. Einaudi, Torino 2000.
Fisher, H. (1992): Anatomia dell’amore, Tr. It. Longanesi, Milano
1993.
Flavell, J.H. (1963): La mente dalla nascita all’adolescenza nel
pensiero di Jean Piaget, Tr. It. Astrolabio, Roma 1971.
Fonagy, P., Steele, M., Steele, H. et al. (1995): “Attaccamento,
Sé riflessivo e disturbi borderline”. Tr.It. In Fonagy, P., Target,
M., Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina,
Milano 2001.
Fonagy, P., Target, M. (1996) : “Giocare con la realtà. I. Teoria
della mente e sviluppo normale della realtà psichica”. Tr. It. In
Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Ed. Adelphi, 2000
Maturana H., Autocoscienza e realtà, Ed. Raffaello Cortina, 1993
Maturana H.; Varela Francisco J. L' albero della conoscenza, Ed.
Libri Garzanti, 1999
68
QUALI NESSI TRA PSICHISMO
E FUNZIONI COGNITIVE ?
Uno stato mentale sicuro è pertanto caratterizzato da una
buona qualità della coscienza e della funzione metacognitiva, che
a loro volta sembrano essere gli elementi maggiormente
responsabili nel determinare il pattern di attaccamento del
bambino : come ha sottolineato van Ijzendoorn (1985), più che la
sensibilità del genitore, infatti, sembra essere la sua capacità
metacognitiva la caratteristica favorente la sicurezza del
bambino . Reflective Self Capacity Scale hanno comunque figli
valutati sicuri alla Strange Situation . La metacognizione o
funzione riflessiva è alla base dell’organizzazione del sé perché
è coinvolta nella coscienza di sé, nell’autonomia e nella
responsabilità, creando quindi la continuità dell’esperienza di sé
(Fonagy e Target, 2001). Se è vero che l’attaccamento sicuro
facilita la coerenza dei propri significati attraverso lo sviluppo
della metacognizione, è possibile anche che individui con
esperienze infantili negative, ma con notevoli capacità di
mentalizzazione, siano in grado di ottenere da adulti uno stato
mentale sicuro sull’attaccamento . Infine, è importante citare
l’uso clinico del concetto di metacognizione, ormai sempre più
rilevante soprattutto per le psicopatologie più gravi e
disorganizzate, che stanno rappresentando la nuova sfida e il
recente campo di interesse del cognitivismo (Liotti,1992, 1994,
1999a; Semerari, 1999).
Il tema dell’influenza dell’attaccamento sui vari sistemi
motivazionali può essere considerato come un argomento a
69
favore della continuità : lungo l’intero arco di vita,
l’attaccamento sicuro sembra cioè essere un fattore protettivo
dell’equilibrato funzionamento dei sistemi motivazionali, con
intuibili conseguenze sull’adattamento dell’individuo . Ci si può
chiedere ora se sia possibile ipotizzare un nesso costante tra
esperienze infantili e costruzione dei significati personali
autobiografici .
Narrazioni e esperienze infantili
I vari contenuti conoscitivi riguardanti l’identità personale
possono essere elaborati in gradi diversi e possono essere più o
meno dominanti nell’organizzazione cognitiva di un individuo .
Alcuni temi della conoscenza di sé, quindi, possono essere
organizzati in nuclei di significato, che formano una sorta di
tema narrativo peculiare per ogni individuo . Lo stesso concetto
è stato sviluppato in campo psicoanalitico dalla prospettiva
intersoggettiva, che ha descritto come il ripetersi di modelli
relazionali nel corso dello sviluppo porti alla formazione dei
“principi organizzatori inconsci”, cioè di principi invarianti che
organizzano le successive esperienze del bambino (Stolorow e
Atwood, 1992). Formatisi all’interno della relazione madrebambino, costituiscono la base della personalità, e
rappresenterebbero degli organizzatori dell’esperienza .
Analogamente, anche le prospettive narrativiste e cultura liste
della psicologia contemporanea propongono il rapporto tra una
descrizione generale,autobiografica, di sé e alcuni temi intorno
ai quali l’individuo articola la propria narrazione .
L’identità personale deriverebbe quindi da questa continua
organizzazione delle memorie e dei dati percettivi che riempiono
la coscienza .
L’ipotesi cognitivista è che la psicopatologia derivi da una
eccessiva rigidità o da una disorganizzazione di questo
70
funzionamento mentale (Liotti, 2001) . Nel caso dell’eccessiva
rigidità, non sarebbe possibile assimilare alcuni dati su di sé e
sull’esperienza in atto, che diventerebbero quindi contenuti non
comprensibili per la coscienza, e contribuirebbero quindi alla
formazione dei sintomi; nel caso della disorganizzazione, invece,
non si formerebbero dei temi di vita ricorrenti intorno ai quali
strutturare l’esperienza soggettiva e l’autonarrazione, con
conseguenze sulla continuità del proprio senso di identità . Le
organizzazioni cognitive possono essere considerate come nuclei
di significato che si ripetono in alcune classi di pazienti e che,
come dicevamo, organizzano la conoscenza di sé ma non
permettono l’integrazione dei contenuti mentali alla base dei
sintomi . Prendendo come esempio il caso dell’organizzazione
agorafobica, ( Liotti, 1981; 1991; 2001) i pazienti non riescono ad
attribuire senso e scopo all’ansia di separazione e ne
misconoscono la natura,il contesto di insorgenza, l’obiettivo
evolutivo. L’ansia viene interpretata come una malattia fisica che
li rende deboli, e non come un’ emozione che salvaguarda il
legame, mentre questa debolezza li spingerebbe a cercare la
compagnia di persone affettivamente significative, con le quali il
legame è in quel momento minacciato. Il tema narrativo centrale
verte quindi sulla necessità di mantenere un rapporto affettivo,
anche se non voluto, per evitare la sensazione di debolezza e di
vulnerabilità: il legame acquista quindi i connotati ambivalenti di
necessario per evitare una solitudine dalle spaventose e temute
conseguenze, ma al tempo stesso soffocante e costrittivo. Per
gli obiettivi di questo lavoro è opportuno rimandare il lettore
interessato agli altri temi narrativi alla bibliografia sulle
organizzazioni cognitive (Bara, 1996; Guidano, 1987,1991;
Lorenzini, Sassaroli, 1987; Reda, 1986) . Le organizzazioni
cognitive hanno in comune l’incapacità di riconoscere e regolare
71
classi di emozioni, e nella storia di un paziente è possibile
ricostruire il percorso evolutivo che l’ha condotto alla
costruzione di un determinato nucleo di significati, e
discriminare
alcuni elementi ricorrenti nell’infanzia degli
individui appartenenti alle varie organizzazioni .
Parliamo ad esempio del particolare stile comunicativo tipico
delle famiglie con disturbi alimentari, o della perdita di un
genitore nella vita del futuro depresso, o del particolare stile di
accudimento improntato al controllo ansioso del genitore del
fobico: tutti questi elementi sono stati riccamente descritti
nella letteratura cognitivista, alla quale rimandiamo (Lorenzini e
Sassaroli, 1987; Aquilar, 1999). Riteniamo però che tale
incapacità di lettura e attribuzione di senso a certe emozioni,
pur essendo legata ad una scarsa capacità metacognitiva
presumibilmente all’interno di una relazione insicura di
attaccamento, non sia rigidamente predeterminata da una serie
di fattori di rischio, e che non sia possibile parlare di percorsi
“obbligati” che conducano da certe esperienze infantili a
determinati disturbi nella età adulta. Anche se l’infanzia della
maggior parte degli adulti Dismissing intervistati è
caratterizzata da rifiuti e privazioni affettive, può accadere
che un individuo acquisisca uno stato mentale Dismissing per
distaccarsi da un ambiente familiare troppo invischiante; oppure,
la presenza di una relazione di attaccamento sicura può essere
un fattore protettivo rispetto all’insorgenza di un disturbo
depressivo, nel caso della perdita precoce di un genitore,
avvenuta nell’infanzia di un individuo (Brown e Harris, 1978).
Conclusioni
In conclusione, è vero che una delle conseguenze “prevedibili”
dei modelli operativi di un attaccamento insicuro è quella di
ostacolare il corretto formarsi di conoscenze episodiche e
72
semantiche su di sè-con-gli altri, che siano coerenti, concordanti
nel significato e in reciproca connessione. E’ anche vero, però,
che quanto abbiamo citato riguardo la ricerca sperimentale
sull’attaccamento in età adulta, incentrata prevalentemente sulle
rappresentazioni qualificanti lo stato mentale, ha mostrato due
punti fondamentali per il nostro discorso: il primo è che
esperienze infantili di qualità diverse possono portare allo
stesso stato mentale sull’attaccamento; il secondo è che
nonostante esperienze negative e dolorose nell’infanzia, un
individuo può raggiungere uno stato mentale sicuro
sull’attaccamento, sviluppando nel corso di nuove esperienze
interpersonali la capacità di riflettere su di sé e sulle sue
relazioni significative, passate e attuali .
Possiamo concludere che, rispetto alla dicotomia continuitàdiscontinuità, la teoria dell’attaccamento propone il concetto
alternativo di sensibilità al cambiamento, e considera
quest’ultimo come un processo attivo: attraverso il modello di sé,
degli altri e della relazione, che si stabiliscono a partire dal
primo anno di vita, l’individuo costruisce attivamente il suo
ambiente interpersonale, scegliendo le persone che ne fanno
parte e assimilando le nuove esperienze affettive ai modelli
interiorizzati preesistenti. Non si può parlare di una completa
suscettibilità al cambiamento, dal momento che i modelli
operativi precoci non vengono cancellati, ma sono modificati dagli
eventi successivi, ritornando attivi in caso di avvenimenti
stressanti come lutti o separazioni: è vero però che grazie alla
dimensione interpersonale della coscienza e alla possibilità che
venga plasmata dalla qualità delle relazioni in atto, è possibile
che un individuo possa giungere ad una conoscenza di sé e ad un
adattamento più positivi, avvalendosi di relazioni di qualità
migliore rispetto alle esperienze più negative della sua infanzia.
73
BIBLIOGRAFIA :
A. Oliverio e A. Oliverio Ferraris. Le età della mente. Rizzoli,
Milano, 2004
D. L. Schacter. Alla ricerca della memoria. Einaudi, Torino, 2001
D. J. Siegel. La mente relazionale. Raffaele Cortina Editore,
Milano, 2001
E. Soresi. Il cervello anarchico. UTET, Bologna, 2005
B. Strauch. Capire un adolescente. Mondadori, Milano, 2004
Luria A.R., Le funzioni corticali nell’uomo, Ed. Universitaria,
Firenze 1967
Marzocchi G. M., Molin A. & Poli S., Attenzione e meta
cognizione . Come migliorare la concentrazione della classe,
Trento: Erickson 2000
Aquilar, F. (1999): Psicoterapia delle fobie e del panico, Franco
Angeli, Milano.
Bara, B. (a cura di) (1996): Manuale di psicoterapia cognitiva,
Bollati Boringhieri, Torino.
Bowlby, J. (1969): Attaccamento e perdita. Vol. 1. Tr. It.
Boringhieri, Torino 1972.
Bowlby, J. (1973): Attaccamento e perdita. Vol. 2. Tr. It.
Boringhieri, Torino 1975.
Bowlby, J. (1980): Attaccamento e perdita. Vol. 3. Tr. It.
Boringhieri, Torino 1983.
Bucci, W. (1997): Psicoanalisi e scienza cognitiva, Tr. It. Fioriti
Editore, Roma 1999.
Dennett, D.C. (1991): Coscienza, Tr. It. Rizzoli, Milano 1993.
De Waal, F. (1989): Far la pace tra le scimmie, Tr. It. Rizzoli,
Milano1990.
74
De Waal, F. (1996) : Naturalmente buoni : il bene e il male
nell’uomo e in altri animali, Tr. It. Garzanti, Milano 1997.
UNA SCUOLA PER E CON IL BAMBINO
La nuova scuola ci mette tutti in gioco: educatori, genitori e
società.
Viviamo in un periodo di profondi cambiamenti. Quando
cambia un elemento all’interno della società, le “vibrazioni”
che esso causa si ripercuotono sulla società in generale.
Famiglia : elenchiamo alcuni tra i cambiamenti macroscopici
avvenuti negli ultimi 50 anni
 dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare;
 ruolo paterno e materno sono cambiati;
 minor numero di figli;
 minor presenza di persone anziane in nuclei famigliari
giovani;
 vita dei bambini organizzata (conseguenza della diversa
organizzazione della famiglia e del maggiore “investimento”
che i genitori fanno sui figli).
75
Società :
oggi la realtà si trasforma velocemente ed è
necessario
acquisire
nuove
competenze,
cambiare
ottica,
cambiare i propri punti di riferimento con altrettanta velocità.
 In passato non era necessario come oggi un “ricambio”
continuo
di
apprendimenti
e
di
competenze,
una
ristrutturazione del modo di guardare alla realtà.
 La società richiede persone superspecializzate, ma anche
estremamente duttili e flessibili, pronte ad affrontare il
“nuovo”, capaci di pianificare, ma anche di rivedere i loro
piani in base alla situazione di “continua emergenza”. La
capacità di far fronte alle situazioni richiede che le
persone riescano a tollerare il cambiamento ed accettino
“l’instabilità” come vero elemento costantemente presente.
 Si sta delineando un nuovo modo di vedere “l’altro”. Le
capacità relazionali hanno un peso considerevole in molti
ambiti. Oggi saper stabilire una relazione di empatia è
richiesto anche a persone che occupano cariche importanti
nel mondo del lavoro perché un buon clima relazionale può
essere garanzia di ottenere risultati migliori anche in
ambito lavorativo. Accanto al QL (quoziente intellettivo)
76
acquista sempre più importanza QE (quoziente emotivo),
cioè la capacità di conoscere e gestire le proprie emozioni
e di tenere presenti le emozioni dell’altro nello stabilire e
strutturare una relazione con lui.
QUALI
SONO
LE
CONSEGUENZE
DI
QUESTI
CAMBIAMENTI SULLO SVILUPPO DEL BAMBINO?
Il bambino risente profondamente della situazione in cui
vive . Il bambino che si presenta ai nostri occhi è, per usare
una frase nota, “ il prodotto di questa società”. Egli porta in
sé i tratti determinati dal suo stile di vita, dai messaggi che
riceve, dal tipo di relazioni che vive . Ed è di questo
bambino che i genitori e la scuola si devono occupare senza
rimpianti per un passato che non potrà tornare e neppure
perdendo di vista le tante possibilità che la nostra società
può offrire .
QUALI
SONO
LE
CONSEGUENZE
DI
QUESTI
CAMBIAMENTI SULLA SCUOLA ?
Anche la scuola è coinvolta nel cambiamento perché il
bambino che si trova di fronte è il “prodotto delle
modificazioni” sociali . Non è possibile, quindi, che educatori
77
ed insegnanti si pongano di fronte ai bambini con le stesse
predisposizioni metodologiche, didattiche, con lo stesso
approccio relazionale che avevano anche solo qualche anno
fa . Non è possibile inoltre che chi opera nella scuola non
tenga conto delle molte ricerche che offrono dati sul modo
di apprendere dei bambini, sugli stili relazionali, sul modo di
vedere il mondo …. Che hanno ampliato l’orizzonte delle
nostre conoscenze e impongono di ripensare alla scuola e al
suo significato per il bambino, in particolare, e per la
società in generale .
Scuola:
Il
modo
in
cui
guardiamo
al
significato
dell’apprendimento e dell’esperienza deve essere più dinamico,
improntato ai concetti di trasformazione e cambiamento.
 La scuola deve proporsi come luogo in cui il bambino non solo
impara (aspetto cognitivo) ma anche impara ad imparare
(metaconoscenza). Questa è una competenza indispensabile
oggi e deve essere acquisita . Mentre il bambino nasce con
una predisposizione a fare esperienze ed è sufficiente che
le persone attorno a lui siano attente sul piano affettivo e
relazionale e che gli offrano la possibilità di vivere
78
situazioni interessanti perché possa sviluppare molte sue
capacità, la capacità di imparare ad imparare deve essere
acquisita .
 In parallelo la scuola deve poter offrire esperienze di
socializzazione, che “colmino” spesso quello che la vita fuori
dalla scuola non può offrire o offre solo in parte ( per
esempio la possibilità di stare con coetanei e di condividere
con
loro
esperienze
).
Inoltre
sul
fronte
della
socializzazione la scuola deve proporsi, in collaborazione
con la famiglia, di sollecitare lo sviluppo delle capacità
prosociali ( aiutare, condividere, prendersi cura dell’atro) .
 Non deve essere trascurato neppure l’aspetto emotivo. La
scuola non può trascurare di sollecitare i bambini a parlare
di ciò che provano nelle diverse situazioni, di educarli a
collegare l’emozione che provano in un certo momento con
ciò ( persona o situazione ) che l’ha prodotta ( l’antecedente
emozionale ), al rispetto per l’emozione che l’altro prova in
una certa situazione e che può essere differente rispetto
all’emozione che provano loro, a riconoscere le emozioni
attraverso i tratti comportamentali… .
79
 Inoltre non può essere trascurato dalla scuola anche
l’aspetto motivazionale cioè le tendenze emotive che
facilitano o guidano il raggiungimento degli obiettivi,
l’impegno, l’iniziativa .
 Anche la creatività deve fare la sua parte in una scuola che
intenda occuparsi di tutto il bambino, cercando di non
trascurarne aspetti solo in apparenza diversi, ma in realtà
complementari .
I punti qui presentati sono parte di un tutto inseparabile.
Infatti quando il bambino fa esperienze “si mette in gioco tutto
intero”. La cognizione, l’emozione, la socializzazione e la
creatività sono separabili solo in linea teorica perché nei
fatti agiscono in sinergia e “cooperano” allo sviluppo del
bambino. Nulla può essere trascurato !
Questa visione nuova e diversa, in parte, del modo di far scuola,
comporta delle trasformazioni che si traducono, a volte, in vere
e proprie rivoluzioni metodologico didattiche, le quali devono
essere presentate anche a chi affida i propri figli alla scuola.
Non è infatti semplice a volte comprendere “cosa sta accadendo”
o i tanti “perché” che stanno alla base dei mutamenti che si
80
offrono ai nostri occhi . Genitori sempre più attenti hanno voglia
di capire . E solo comprendendo possono accettare che la scuola
si presenti in un modo differente rispetto al passato, che mostri
“prodotti” diversi oppure non li mostri affatto perché il fare
scuola o lo stare a scuola spesso passa attraverso esperienze
che non lasciano una “traccia” visibile, ma nella testa del bambino
lasciano invece una traccia indelebile. Anche gli “Orientamenti”
della scuola materna parlano di “campi di esperienza” per
qualificare le tante e variegate esperienze che la scuola deve
offrire ai bambini, così come mettono bene in evidenza
l’importanza
che
il
bambino
sia
“protagonista”
degli
apprendimenti e delle esperienze e non semplice “esecutore”.
Alle insegnanti spetta quindi il compito di creare luoghi e
situazioni all’interno delle quali il bambino possa fare esperienze
sui diversi fronti (cognitivo, sociale, emotivo, creativo), ma
soprattutto devono tenere presente che ogni bambino è unico,
originale e competente, dotato cioè di un notevole bagaglio di
esperienze e di conoscenze che costituiscono il punto di
partenza imprescindibile . Per questo motivo è difficile pensare
di individuare percorsi “chiusi” ( tesi al raggiungimento
81
dell’obiettivo ) che vadano bene per tutti . La situazione ideale,
anche se sicuramente più faticosa per gli adulti, è quella in cui
ogni bambino trova il modo e la possibilità di esprimere ciò che
sa, di implementare le sue capacità grazie all’esperienza vissuta
e al confronto con gli altri, adulti o bambini che siano.
( Dott.sa
Manuela Mistri -Docente Università Cattolica di
Milano )
COSA
SPETTA
ALLA
SCUOLA
PER
SOSTENERE
ATTENZIONE E MEMORIA ?
- l’atteggiamento dell’insegnante e il clima della classe
possono favorire la modificazione dei comportamenti
problematici di qualunque tipologia essi siano .
- mantenere un vigile contatto oculare con l’allievo è un buon
facilitatore per la sua attenzione
- occorre prestare aiuto all’alunno nella gestione del proprio
materiale e nell’organizzazione rispetto al compito
- le regole della classe devono essere chiare e semplici,
formulate in modo tale da indicare i comportamenti
adeguati da assumere
- orientare l’attenzione sulle conseguenze dei comportamenti
positivi e di quelli negativi
82
- rinforzare i comportamenti positivi, piuttosto che punire
quelli negativi
- cambiare i rinforzi quando perdono di efficacia
- indicare semplici obiettivi da raggiungere quotidianamente
- informare frequentemente l’allievo su come sta procedendo,
ricordando di ridurre la dimensione solo valutativa delle
affermazioni
- evitare situazioni di competizione durante il lavoro
- focalizzare l’attenzione sulla qualità del lavoro non sui tempi
di esecuzione
- puntare sui punti di forza del ragazzo, riducendo l’impegno
delle capacità deficitarie
- dare consegne semplici e chiare, verificandone attraverso
domande la comprensione
- instaurare delle routine. Ripetere sistematicamente gli
avvenimenti (ogni giorno, ogni settimana…) in modo da
aiutare il bambino a tenere presente i suoi impegni e a
pianificare in modo più adeguato i suoi tempi; il
comportamento del bambino sarà in tal modo meno instabile
Più routine ci sono nella classe, più il bambino può prevedere
tempi e richieste e può cercare di adattare ad essi il
proprio comportamento. Esempi di routine nella classe sono:
- ingresso in classe ad un’ora fissata;
- routine di inizio lezione (controllo del materiale, dei compiti
o altro di stimolante);
- presentazione delle attività previste per la giornata
comprensiva dei tempi di lavoro;
- pause concordate possibilmente alla stessa ora ;
- dettatura dei compiti ad ora stabilita;
- routine di saluto e di uscita a fine lezione .
83
- prevedere la possibilità di contenere l’ingresso in aula, nei
momenti di lavoro, di persone estranee
- controllare che le condizioni di temperatura e illuminazione
artificiale siano
regolari e
non diventino fattori di
eccitazione nervosa
- All’interno di un’aula i banchi possono essere disposti in
molti modi; è opportuno scegliere insieme agli alunni
disposizione
la
tenendo conto dei potenziali distrattori al
fine di assegnare ad ogni bambino un posto adatto alle sue
esigenze .
LA LEZIONE EFFICACE
Al fine di favorire il manifestarsi di un’adeguata abilità di
modulazione dell’attenzione anche nel bambino con DDAI è utile
ed opportuno:
a. seguire l’ordine degli argomenti dato all’inizio della mattina;
b. usare tempi di lavoro corretti e non troppo lunghi;
c. presentare l’argomento in modo stimolante con figure,
audiovisivi, stimoli colorati e coinvolgendo direttamente i
bambini;
d. usare un tono di voce variato e vivace;
e. alternare compiti attivi che richiedono al bambino di agire e
compiti passivi quali ad esempio l’ascolto di una spiegazione;
f. favorire la partecipazione attiva ma rispettando le regole
stabilite (ad esempio alzare la mano, non interrompere un
compagno che parla…);
84
g. accorciare i tempi di lavoro quando possibile spezzettandolo
con brevi pause; le novità vanno il più possibile esplicitate e
spiegate, per evitare l’insorgere di ansia e agitazione
h. prevedere tempi brevi di lavoro, frequenti pause, rapide e
sistematiche interlocuzioni con gli alunni
i. insegnare a ricorrere all’uso dell’orario di attività
settimanale
per
facilitare
la
pianificazione
e
l’organizzazione del proprio lavoro
j. chiarire i tempi di lavoro, il grado di difficoltà del compito
e i materiali utili al suo svolgimento.
Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F., Il bambino con deficit di
attenzione/iperattività. Diagnosi psicologica e formazione
dei genitori.,Erikson ed.
Di Pietro M.,Bassi E., Filoramo G., L’alunno iperattivo in
classe, Problemi di comportamento e strategie educative,
Erikson ed.
Cornoldi
C.,
De
Meo
T.,e
altri,
Iperattività
e
autoregolazione cognitiva, Erikson ed.
J. Dewey, Scuola e società, Firenze, La Nuova Italia, 1949,
cfr. G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano,
Adelphi, 1976,
D.R. Olson, Linguaggi, media e processi educativi, Torino,
Loescher, 1979
Kirby E. e Grimley L., Disturbi dell’attenzione e iperattività.
Edizioni Erickson 1998
85
Levi G., Sechi E., Graziani A., Disturbi di attenzione nei
bambini con disabilità di apprendimento, in Psichiatria
dell’infanzia e dell’adolescenza, 1991
ATTIVITA’ CON IL COMPUTER
L’uso del computer si rivela un mezzo assai utile con il bambino
disattento e iperattivo perché è molto motivante per lui; è a
colori, le attività prevedono di solito grafica e musica e
permette
una
certa
autogestione
rispetto
alla
proposta
didattica tradizionale. I vantaggi dell’uso del computer si basano
sulla possibilità di pensare percorsi individualizzati, sull’offerta
di feedback frequenti e immediati riguardo alla correttezza
della prestazione e sull’interazione con l’insegnante che ha il
compito di monitorare e gratificare il bambino per il suo
impegno.
IL COINVOLGIMENTO NELLA CLASSE
Sono molto buone le strategie di lavoro con la risorsa compagni
quali il tutoring, l’apprendimento cooperativo che favoriscono
anche nel bambino con DDAI:
- l’ apprendimento attivo e quindi di per sé più motivante;
- l’ immediato controllo della prestazione e della correttezza
del proprio operato;
86
- la valorizzazione le differenze individuali e quindi il bambino
può mettere in luce l’entusiasmo, la vivacità, la fantasia e
l’originalità che lo caratterizzano;
- l’apprendimento delle abilità sociali utili all’interazione
cooperativa e a una corretta comunicazione;
- il miglioramento della qualità dei rapporti tra i pari;
- l’autovalutazione dei risultati, l’assunzione di responsabilità,
la valorizzazione del proprio ruolo .
TENER CONTO CHE E’ NECESSARIO …
bambino compiti molto brevi all’inizio,
siano
fatti
esigendo
correttamente,
per
però
che
aumentare
progressivamente i tempi
a tensione nella vita
quotidiana del può agire da solo, deve fare appello alla buona
volontà di varie persone attorno
le
azioni,
partendo
dai
punti
al
bambino
positivi
e
coordinare
della personalità,
per esempio la buona comprensione dei concetti, la vivacità, la
volontà, l’emotività bambino.
87
padronanza di
sé. Questo punto che a parole sembra facile, è
in realtà il più difficile da realizzare .
positivi
ottenuti
per
incoraggiarlo a perseguire nello sforzo
mostrare molto affetto, poiché si tratta di
un
soggetto
che,
al
di
là dell’atteggiamento, è invece
molto sensibile.
oraggiando le sue capacità
creative ed i
suoi gusti
: disegno, pittura, o qualunque cosa
cui si possa dedicare soltanto perché gli piace .
sport; l’importante è che gli piaccia e lo faccia volentieri . Se non
ha preferenze marcate, un buon indirizzo è quello dell’atletica
leggera perché molto varia nei suoi componenti : si passa dalla
corsa di velocità al salto in alto, dalla corsa di resistenza al
salto in lungo od alla corsa ad ostacoli, ecc.
88
BIBLIOGRAFIA :
Di Pietro M. (1995). Disturbi da deficit d’attenzione e
iperattività: l’intervento razionale motivo in Difficoltà di
Apprendimento, 1
Di Pietro M., Bassi E., Filoramo G., L’alunno iperattivo in classe.
Problemi di comportamento e strategie educative, Erickson,
Trento 2001
Douglas M.L. Quella peste di mio figlio, Franco Angeli Editore,
Milano 1991,
Fabio R. A., L’attenzione. Franco Angeli Editore, Milano 2001
Marcelli D., Psicopatologia del bambino, Masson, Milano 1999
Marzocchi G.M. e Cornoldi C., Una scala di facile uso per la
rilevazione dei comportamenti problematici in bambini con
deficit di attenzione/iperattività, in Psicologia Clinica dello
Sviluppo, 2000,
Marzocchi G.M. & Cornoldi C., Disturbi di impulsività e ricerca
visiva in bambini con Deficit di Attenzione/Iperattività, in
Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 1998,
Marzocchi G. M., Molin A. & Poli S., Attenzione e
metacognizione. Come migliorare la concentrazione della classe,
Trento: Erickson 2000
Marzocchi G.M., Oosterlaan J., De Meo T., Di Pietro M., Pezzica
S., Cavolina P., SergeantJ.A., Zuddas A., Scala di valutazione dei
Comportamenti Dirompenti per insegnanti (SCODI): validazione
e standardizzazione di un questionario per la valutazione dei
comportamenti
dirompenti
a
scuola, in Giornale
di
Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva, 2001,
Maslow, A. H. Verso una psicologia dell'essere. Astrolabio, Roma
1971
89
Kandii E.R. & Schwartz J.H., Principi di neuroscienze, Ed.
Ambrosiana, Milano 1988
Una psicologia metacognitiva
Il concetto di metacognizione ha due sensi diversi ma
complementari. Flavell (1976) designa con questo termine
la
conoscenza che un soggetto ha del proprio funzionamento
cognitivo e di quello degli altri, il modo attraverso il quale egli
può prenderne coscienza e renderne conto. Questo termine
designa anche i meccanismi di regolazione o di controllo del
funzionamento cognitivo che fanno riferimento alle attività che
permettono di guidare e di
funzionamento
regolare l'apprendimento e il
cognitivo in situazione di problem-solving
(Brown, 1987).
Si distinguono diversi meccanismi o
funzioni metacognitive
come, per esempio, - la pianificazione (immaginare come
procedere per risolvere un problema, elaborare delle strategie)
- la
previsione (stimare i risultati di una attività cognitiva
90
specifica) - la
guida
(gerarchizzare l'informazione, testare,
rivedere, modificare le strategie attivate, ecc.) - il controllo dei
risultati ottenuti ( valutare i risultati dell'attività in funzione
dello scopo prefissato ) - il transfer, il mantenimento, la
generalizzazione di una strategia di soluzione per problemi o
contesti nozionali identici o diversi, più o meno complessi .
La
costruzione
dell'intelligenza,
pertanto,
consiste
nell'arricchimento da una parte, della conoscenza che il soggetto
ha del proprio funzionamento e di quello degli altri e, dall'altra,
dei processi o attività metacognitive che
permettono le
acquisizioni di nozioni . Più specificamente, è essenziale lo
sviluppo della funzione di controllo o di autovalutazione delle
proprie prestazioni e delle proprie strategie . In effetti, come
sottolineano Baird & White (1982), solo aumentando la capacità
del soggetto di
apprendimento
si
autovalutare
rinforza
la
le proprie strategie di
sua
capacità
generale
di
apprendere . Viene così attribuito un ruolo decisivo alla capacità
del bambino di valutare le proprie attività e strategie, ciò che
Brown (1974) designa con il termine di controllo esecutivo .
Tutti i diversi modelli teorici che si inseriscono nella corrente
91
della metacognizione definiscono un livello che supervisiona le
attività del soggetto, ma questo livello prende una designazione
diversa da un modello all'altro (per esempio il "livello esecutivo"
in Campione & Brown, 1978; le "metacomponenti" in Sternberg,
1984; la "memoria di lavoro" in Anderson, 1985, ecc.) . Per
spiegare lo sviluppo di questa capacità di autovalutazione, i
metacognitivi, ispirandosi per questo alle concezioni di Vygotsky
(1934/1985; si veda a questo proposito Schneuwly & Bronckart,
1985),
attribuiscono
un
ruolo
decisivo
ai
meccanismi
di
regolazione ( nel senso di controllo e correzione delle produzioni
del soggetto ) : lo sviluppo dell'intelligenza è concepito come il
passaggio progressivo da meccanismi eteroregolatori ( la cui
attivazione dipende dal
ruolo giocato da un terzo, come
l'insegnante ) a meccanismi autoregolatori ( la cui attivazione
dipende dal bambino stesso ) . In particolare DeLoache, Cassidy
& Brown (1985) e Campione et al. (1985) constatano che la
capacità di autocorreggere i propri errori si sviluppa con l'età...
Il
bambino
diventa
autonomo,
responsabilizzandosi
progressivamente del proprio funzionamento attraverso un
processo
graduale
di
interiorizzazione
delle
funzioni
metacognitive ( pianificazione, previsione, guida, controllo,
92
transfer, mantenimento e generalizzazione ) necessari agli
apprendimenti . L'origine di queste funzioni si situa nelle
interazioni sociali, principalmente tra genitori e figli, tra
insegnanti e allievi . Nel contesto scolastico l'apprendimento
consiste, quindi, nel lavorare sul transfer dei processi di
controllo e di valutazione, ( ma anche di pianificazione, di
previsione ) dall'insegnante-esperto all'allievo . Oltre a queste
diverse funzioni metacognitive il soggetto costruisce anche un
repertorio di strategie di problem-solving . Nella corrente
metacognitiva si considera unanimemente che le strategie, per
esempio di memorizzazione, evolvano con l'età : nel corso dello
sviluppo del soggetto si attua un arricchimento del suo
repertorio di strategie, cosa che permette una maggiore
flessibilità nell'utilizzo delle strategie in funzione dei problemi
da risolvere (Schneider, 1990). Così non solamente il soggetto
individua più facilmente i propri errori, ma le sue strategie di
correzione diventano più efficaci, poiché prendono sempre più
in
considerazione i molteplici elementi e le relazioni tra
elementi che costituiscono il problema (Wilkinson, 1982) . La
genesi dell'intelligenza è quindi concepita come un arricchimento
dei meccanismi cognitivi e delle strategie che permette anche la
93
acquisizione di nozioni
( ad esempio i contenuti che compaiono
nei programmi scolastici ) . L'autonomia ha dunque un ruolo
centrale e, nel contesto teorico della metacognizione, ogni
insegnante dovrebbe avere l'obiettivo principale di promuovere
l'autonomia intellettiva dell'allievo . In funzione di quanto detto,
un allievo che tende all'autonomia intellettiva ( sapendo che ciò
non è mai uno stato, ma un processo in continuo sviluppo ) deve
costruire :
- conoscenze sul proprio funzionamento intellettuale e su quello
degli altri;
- funzioni metacognitive efficaci;
- un vasto repertorio di strategie di problem-solving .
Questi
tre
elementi
gli
permetteranno
di
costruire
successivamente un repertorio vasto e strutturato, non solo di
saperi e abilità, ma anche di competenze che gli permettono di
giudicare la pertinenza di questi saperi e abilità in funzione del
contesto e del problema da risolvere, e di adottarli al momento
opportuno ( Perrenoud, 1997).
94
In questo contesto i disturbi dello sviluppo possono essere visti
come disturbi del processo di autonomizzazione del bambino.
Difatti non è tanto a livello del proprio apparato cognitivo di
base che il bambino incontra difficoltà, ma piuttosto a livello
della sua capacità di assumere in modo autonomo certe funzioni
metacognitive,
e cioè a selezionare nel suo repertorio di
strategie quella più efficace, a modificare, organizzare le
componenti di una procedura di problem-solving, e a valutare
l'efficacia dell'approccio utilizzato (Doudin, 1992).
A ciò
bisogna aggiungere il problema del transfer... I bambini che
presentano difficoltà scolastiche, possono apprendere strategie
semplici di soluzione di problemi. Questo apprendimento è
duraturo nella misura in cui lo si verifichi relativamente al
compito specifico sul quale l'apprendimento ha avuto luogo; di
contro l'estensione di questo apprendimento a nuove soluzioni
pone gravi problemi . Per porre rimedio a queste generali
difficoltà di apprendimento constatate in alcuni soggetti, sono
stati elaborati diversi modelli di intervento (Feuerstein e al.,
1980; Büchel, 1995a; Paour, 1995). Tutti questi modelli
intendono, attraverso la mediazione di un esperto, permettere al
bambino di (ri)costruire degli strumenti di pensiero necessari
95
agli apprendimenti (Büchel, op. cit.).
Essi hanno almeno tre
caratteristiche comuni :
- l'intelligenza è modificabile, e quindi (ri)educabile;
- l'accento è messo sulla necessità di imparare ad imparare
piuttosto che sull'apprendimento di nozioni particolari;
- l'esperto (come per esempio l'insegnante) è un agente del
cambiamento, un mediatore tra soggetto e ambiente, ed è
proprio
attraverso gli interventi ripetuti di un esperto che
critica, valuta, e amplia il quadro dell'esperienza che il soggetto
costruirà i propri strumenti di pensiero.
L’acquisizione di un buon livello di motivazione porta l’allievo
a
resistere
maggiormente
alla frustrazione e alla dilazione
della gratificazione che si connettono sempre al tentativo di
perseguire apprendimenti complessi; il soggetto riesce, in altre
parole, a
tollerare vari
tentativi andati a vuoto senza
abbandonare la situazione . A questo proposito
è molto
importante che la metodologia educativa si fondi su una
chiara
definizione
degli
obiettivi
e
del
loro
grado
di
raggiungibilità in relazione alle capacità personali . L’allievo va
96
costantemente stimolato ( se necessario anche aiutato )
ad
attivare processi di automonitoraggio, in modo da poter
controllare non soltanto le sue acquisizioni ( il raggiungimento
degli obiettivi ), ma anche il percorso che sta sviluppando .E
questo è uno degli elementi centrali della autoregolazione
cognitiva, su cui si fonda ampiamente la didattica metacognitiva.
E’ stato anche notato (Graham e Baker, 1991) che l’aiuto
eccessivo e non necessario prestato all’allievo con difficoltà può
produrre un senso di inferiorità rispetto ai compagni, con
conseguente sofferenza a livello di autostima e motivazione.
La
stessa
situazione
può
essere
determinata,
in
certe
condizioni, dall’utilizzo di materiale totalmente diverso o
dallo
svolgere
osservazioni,
le
attività
in
chiaramente,
luoghi
riportano
diversi.
Queste
all’esigenza
già
sottolineata di integrare o avvicinare gli obiettivi e di
promuovere una didattica
inclusiva, che
stimoli anche una
riflessione sui propri processi mentali, con gli strumenti di cui
l’allievo può disporre . La
dimostrato
competenze
metodo di
la
sua
didattica
efficacia
trasversali, come
studio, che per
sia
metacognitiva
per
l’attenzione,
l’affinamento
la memoria,
l’apprendimento di abilità
97
ha
di
il
più
prettamente curricolari, come la lettura e comprensione del
testo,
la matematica,
la
scrittura . Tali
riscontri
positivi
sono stati osservati anche con allievi che presentavano
bisogni educativi speciali, in particolari nei deficit d’attenzione
con iperattività, nelle difficoltà di apprendimento, nel ritardo
mentale e nell’autismo ( per quanto concerne soprattutto i
programmi per favorire lo sviluppo di una teoria della mente ).
Anche con allievi che presentano disabilità mentali è possibile
spiegare aspetti del funzionamento cognitivo, seppure ad un
livello non troppo sofisticato .
esempio,
Ci si può soffermare, ad
ad illustrare come
la mente
raccolga dati ed
informazioni dall’esterno, ma possa produrre anche
idee
partendo dall’interno e come queste possano essere giuste o
sbagliate . Si possono portare gli allievi a distinguere fra fatti
reali e sensazioni, sogni, aspettative . Una ulteriore applicazione,
su cui si è particolarmente
bambini
autistici
attribuzione
di
di
stati
Howlin
centrato
et
mentali
al.
alle
il
programma
(1999),
altre
è
per
quello
persone
e
di
di
adattamento del comportamento sulla base di credenze e false
credenze .
98
b)
Autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo
L’allievo viene aiutato ad apprezzare le capacità ed i limiti
della propria mente, nel momento in cui vengono messi in atto
processi cognitivi di diversa natura . In questo contesto gioca
un ruolo molto importante l’educatore, il quale fornisce dei
feedback
sulle
prestazioni
dell’allievo
e
lo
stimola
ad
indagare aspetti connessi al modo in cui i compiti vengono
condotti ed ai processi personali che vengono attivati .
Le
informazioni che l’educatore fornisce, soprattutto in caso di
errore,
non devono mai intaccare e svilire il valore della
persona, ma limitarsi a stimolare un’autoanalisi sui processi
cognitivi
implicati .
Tutto
ciò
a salvaguardia del livello di
autostima e di motivazione . Molto utili ed interessanti a
questo
livello
automonitoraggio,
sono
le
le
quali
strategie
di autoistruzione
consentono,
da
un
lato,
ed
di
evidenziare attraverso il “pensare ad alta voce” i momenti
strategici connessi alla risoluzione del compito e, dall’altro, di
autovalutare le proprie prestazioni ed i propri progressi .
c) Strategie di autoregolazione cognitiva
99
Si tratta del tentativo di guidare l’allievo nel controllo dei
propri processi cognitivi finalizzati alla risoluzione di compiti.
I momenti
che
caratterizzano
questo
processo
di
autoregolazione sono i seguenti:
- fissarsi un chiaro obiettivo e specificarlo sia in termini
di risultati che si intendono raggiungere, che di modalità di
svolgimento delle attività previste per il conseguimento dei
risultati;
-
darsi delle
istruzioni per effettuare concretamente
le
operazioni pianificate per raggiungere l’obiettivo;
-
osservare
l’andamento
del
processo
di
apprendimento,
raccogliendo anche dati sull’evoluzione;
-
confrontare i dati raccolti e l’evoluzione del processo
d’apprendimento con le finalità che si erano precedentemente
fissate;
- prendere decisioni circa l’opportunità di continuare con le
azioni
intraprese
in
quanto risultano efficaci o attivare
correzioni e modifiche alle strategie in corso.
100
Fra
le strategie di autoregolazione cognitiva, quelle che
appaiono più facilmente utilizzabili anche con allievi che
presentano disabilità mentali ( di livello comunque non grave )
sono l’autoistruzione e l’automonitoraggio .
d) Variabili psicologiche di mediazione
Alcune variabili psicologiche, come gli stili di attribuzione (locus
of control), la percezione di autoefficacia, l’autostima, la
motivazione,
condizionano abbondantemente
la capacità del
bambino di adottare un atteggiamento metacognitivo e di
attivare processi metacognitivi di controllo.
E’ importante,
quindi, sviluppare linee d’azione che tengano in considerazione
queste variabili e che aiutino l’allievo a
sviluppare
una
percezione positiva di sé, come persona capace di ottenere
successo nei processi d’ apprendimento .
Allo
scopo di
soprattutto, una
metacognitiva
bisogni
fornire una visione più dettagliata
serie di
applicata
educativi
spunti operativi
all’apprendimento
e,
sulla didattica
di
allievi
con
speciali, presento ora tre linee di lavoro
riferite rispettivamente a:
101
- lo sviluppo della teoria della mente per bambini autistici;
- la promozione dell’impiego delle strategie di memoria;
- l’utilizzo di strategie di autoregolazione.
Solo recentemente, però, si è cominciata ad indagare la
possibilità di far apprendere ai bambini autistici a leggere la
mente e si è tentato di verificare l’efficacia di tale impostazione
metodologica .
Si
deve
a
Howlin,
l'elaborazione
principi della
maggior
del
Baron-Cohen
programma
teoria della mente
interesse,
in quanto
di
e
Hadwin
(1999)
intervento ispirato
che
attualmente
ai
riscuote
prevede l'insegnamento
progressivo degli stati mentali in tre aree:
a) le emozioni;
b) il sistema delle credenze e delle false credenze;
c)
il gioco simbolico, con particolare riferimento al gioco di
finzione .
Tale programma risulta applicabile in contesti più ampi del
solo
lavoro
didattico
con
102
il
bambino
autistico,
rappresentando, di fatto, un interessante proposta di lavoro
iniziale di tipo metacognitivo
a) Insegnare a riconoscere le emozioni
Il primo obiettivo perseguito dal programma di Howlin et al.
(1999) è quello di aiutare i bambini autistici a discriminare e
riconoscere le diverse emozioni su di sé e sugli altri. Le
proposte
di intervento sono organizzate, come per tutte le
altre fasi del programma, in cinque livelli:
- riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie;
- riconoscimento delle emozioni in disegni schematici;
- identificazione delle emozioni causate da situazioni;
- identificazione delle emozioni causate dal desiderio;
- identificazione delle emozioni causate da opinioni.
b) Insegnare a discriminare le false credenze
Il secondo livello del programma di Howlin et al. (1999) si
indirizza all'insegnamento dei cosiddetti "stati
informativi",
che descrivono la capacità di comprendere come e che
cosa
le
altre
persone possono
103
percepire,
conoscere
e
credere in relazione ad una determinata situazione .
tratta
di aiutare
rappresenta
uno
i
bambini
dei
loro
autistici
principali
in
quello
deficit
Si
che
secondo
l'interpretazione degli autori che si rifanno all'approccio della
teoria della mente: il non riuscire ad attribuire agli altri degli
stati mentali e il non essere in grado di interpretarli .
Anche in questo caso il programma è articolato in cinque
livelli di obiettivi di progressiva complessità:
-
capacità di comprendere cosa vedono le altre persone
(prospettiva visiva semplice);
- capacità ci comprendere come la realtà percepita appare
alle altre persone (prospettiva visiva complessa);
-
capacità di comprensione del principio "vedere porta a
sapere";
- capacità di prevedere azioni sulla base di ciò che una persona
sa;
- capacità di comprendere le false credenze.
Sulla scorta di varie esercitazioni di questo tipo, l'educatore
cerca, con
la metodologia
indicata ai livelli precedenti
104
(rinforzo immediato delle risposte corrette e spiegazione in
caso di errore), di insegnare il principio educativo generale che
sta alla base della credenza e che tanta importanza ha per lo
sviluppo del bambino : se le persone non sanno che le cose sono
cambiate, pensano che siano rimaste le stesse.
L’utilizzo delle strategie di memoria
Da vari anni stiamo sperimentando un programma educativo
(Meazzini, Cottini, 1992; Cottini, 1998; Cottini e Meazzini, in
stampa) che si indirizza alla promozione della capacità di
utilizzare specifiche strategie di memoria in contesti di vita
quotidiana e scolastica . Tale curricolo, strutturato per allievi
senza particolari deficit cognitivi, propone numerose applicazioni
didattiche utilizzabili anche con bambini che presentano bisogni
educativi speciali . Sulla scorta di alcune ricerche l'autore
conclude affermando che, pur essendo ragionevole pensare
all'esistenza di limiti strutturali invalicabili, il ricorso alle
strategie sembra in ogni caso migliorare le prestazioni dei
soggetti .
può
Quindi, l'insegnamento strategico e metacognitivo
rappresentare
una modalità
di
aiuto
al
difficoltoso
processo di apprendimento dell'allievo con disabilità di tipo
105
cognitivo . Tale approccio, chiaramente, deve unirsi a modalità
didattiche più semplici, centrate su training esercitativi e
sul potenziamento della memoria procedurale implicita (Vicari et
al., 2002).
In considerazione di queste premesse, il curricolo persegue tre
obiettivi principali fra loro integrati :
a) conoscenze delle strategie;
b) procedure metacognitive di controllo;
c) atteggiamenti generali verso le strategie.
Il programma di lavoro, per ogni strategia di memoria, prevede
due itinerari didattici :
- il curricolo prerequisiti da adottare quando si vogliono
insegnare
strategie
per
le quali l'allievo manifesta deficit
molto gravi ("deficit di mediazione" nella terminologia di Flavell,
1970 e Brown, 1972) . A questo livello non sono previsti compiti
mnestici, ma solo modalità di organizzazione dei materiali in
relazione alla strategia che si insegna;
- il curricolo strategico, basato su una serie di esercitazioni di
memorizzazione e recupero, da adottare
106
quando
l'allievo
presenta
deficit
lievi
o
"di
produzione"
(Flavell,
1970;
Brown, 1972).
Il programma prevede inoltre una serie di compiti scolastici e di
vita quotidiana utili per favorire il transfert di apprendimento
delle strategie su situazioni concrete .
La progressione delle proposte operative prevede il passaggio da
esercitazioni mnestiche nelle quali l'utilizzo delle strategie è
sollecitato e guidato dall'educatore, ad attività di ricordo
autonomo . Oltre ciò, vengono proposti inizialmente compiti
di riconoscimento e, solo in seguito, compiti più complessi di
rievocazione.
Va
ricordato
che
riconoscimento
e
rievocazione sono le due modalità fondamentali di lavoro della
memoria . Nel primo caso l'allievo è aiutato dal fatto che le
cose
da
ricordare
vengono
di
nuovo
messe
a
sua
disposizione, ma devono essere discriminate da altre con cui
sono
mescolate;
nel
secondo
caso,
invece,
l'allievo
è
chiamato a ricordare utilizzando esclusivamente i propri mezzi .
107
TRAINING
SULLE
STRATEGIE
DI
MEMORIA:
ORGANIZZAZIONE DEGLI ESERCIZI - ORGANIZZAZIONE
SEMANTICA IN CATEGORIE (CLUSTERING)
CURRICOLO PREREQUISITI - TIPOLOGIA DI ATTIVITA'
DESCRIZIONE - CURRICOLO STRATEGICO
TIPOLOGIA DI ATTIVITA' DESCRIZIONE
Modalità di organizzazione degli esercizi riferiti alla strategia
mnestica di organizzazione semantica in categorie
Metti nelle categorie
Agli allievi viene richiesto di classificare il materiale presentato
elemento per elemento, cioè di collocarlo in categorie
preliminarmente indicate dall'educatore .
La difficoltà delle esercitazioni è dipendente dal numero di
categorie nelle quali si chiede di organizzare il materiale e dalla
loro familiarità per gli allievi..
Organizza le categorie
Agli allievi viene richiesto di organizzare una serie di elementi in
categorie autonomamente individuate .
La progressione di difficoltà delle esercitazioni è dipendente
dalle stesse condizioni evidenziate per il primo livello: numero di
categorie e familiarità del materiale .
Completa le categorie
Agli allievi viene richiesto di trovare altri elementi che possano
essere inseriti in categorie già organizzate .
La difficoltà delle esercitazioni è resa progressivamente
crescente in relazione al grado di familiarità e concretezza del
materiale (frequenza d'uso e valore d'immagine).
Rievoca gli elementi delle categorie
Agli allievi vengono presentati una serie di elementi (disegni o
parole) categorizzabili e gli si chiede di classificarli per
categoria. Dopo 2 minuti circa vengono invitati a rievocare gli
108
elementi, richiamando le categorie nelle quali erano stati
organizzati .
Familiarità del materiale e numero di elementi da rievocare sono
i criteri usati per le rendere le esercitazioni progressivamente
più complesse .
Rievoca gli elementi presentati
Agli allievi vengono presentati una serie di elementi
categorizzabili con la richiesta di rievocarli dopo un certo tempo
(2 minuti circa) .
Come per il livello precedente, la difficoltà delle esercitazioni è
dipendente dal tipo di materiale presentato e dal numero di
elementi da rievocare .
Attraverso le strategie di autoregolazione si mira a rendere
l'allievo maggiormente autonomo nella gestione del proprio
processo di apprendimento; capace, cioè, di assumere decisioni
pertinenti in relazione alle modalità migliori per affrontare un
compito .
Le procedure principali per favorire l'autoregolazione
nell'apprendimento sono l'autoistruzione e l'automonitoraggio.
a) Autoistruzione
L'autoistruzione è definita come
fornire a se
stesso
le
all'esecuzione di un compito .
la capacità del soggetto di
istruzioni verbali necessarie
L'elaborazione
della strategia
deriva da una serie di studi e sperimentazioni
partendo da diverse impostazioni teoriche .
effettuati
Prima di tutto
è evidente l'influenza esercitata da Vygotskij (1980, 1990), il
109
quale ha teorizzato, nel suo modello di sviluppo, la situazione del
bambino che è
inizialmente sensibile alle
mediate dall'ambiente sociale,
per
poi
istruzioni esterne
progressivamente
strutturare una forma di linguaggio verbale interiorizzato
(autoverbalismo). Questo viene a costituire un meccanismo
evolutivo fondamentale per favorire
lo sviluppo del pensiero
Altri Autori (Hughes, 1992; Hughes et al., 1996; Graham e
Harris,
1999)
hanno
cercato
di esaminare l'utilità
dell'autoistruzione nell'insegnamento a bambini con deficit,
evidenziando positivi riscontri
sia
per
quanto
riguarda
l’acquisizione di abilità, che il loro mantenimento e la loro
generalizzazione .
In sintesi,
queste sperimentazioni
evidenziano il fatto che gli allievi con deficit cognitivi, ai quali
viene insegnato ad autoistruirsi, diventano molto più attenti
mentre
svolgono compiti di apprendimento e, in generale, più
abili solutori di problemi .
b) Automonitoraggio
La strategia dell'automonitoraggio prevede che l'allievo controlli
le proprie performance annotando i riscontri delle prestazioni
personali e la rispondenza di esse al piano d'azione stabilito.
110
Questa
tecnica, abbastanza
applicazione,
semplice nelle modalità di
riveste grossa
importanza nel
processo
educativo di allievi con disabilità mentale, in quanto tali
individui
non
sempre
sono
consapevoli del proprio
comportamento, sia esso positivo o negativo.
Autoistruzione :
1.
fasi
GUIDA TOTALE :
l’educatore
dimostra
l’esecuzione
e
guida il soggetto alla delineazione delle autoistruzioni.
2.
GUIDA ATTENUATA : L’educatore
autoistruzioni
verbalizza
decise insieme al soggetto, mentre questi
le
le
esegue in maniera sempre più autonoma.
3. PERFORMANCE AUTONOMA CON CONTROLLO
Le
autoistruzioni
dell’educatore
attenuate
fino
a
esecuzioni
autonome
vengono progressivamente
scomparire per
guidate
dalle
voce formulate dal soggetto.
4. PERFORMANCE AUTONOMA
111
lasciare
il
autoistruzioni
posto
ad
ad
alta
Viene incoraggiato il passaggio ad un’autoistruzione mentale,
effettuata con verbalizzazione interna.
Vengono attuati i
programmi di generalizzazione.
Automonitoraggio : fasi
1.
GUIDA TOTALE
: l’educatore
guida
il
soggetto
a
automonitorarsi su singole prestazioni utilizzando anche check
list figurate.
2. GUIDA ATTENUATA : l’educatore guida il soggetto a
automonitorarsi
su
attività
sempre
più
prolungate e
complesse.
3. PERFORMANCE AUTONOMA CON CONTROLLO
Il soggetto si autovaluta riportando i riscontri su check list
non figurate . L’educatore stimola la discussione sulla qualità
dell’automonitoraggio,
facendo
anche confrontare i riscontri
riportati dal soggetto con le proprie valutazioni oggettive .
4. PERFORMANCE AUTONOMA
Viene
incoraggiato
il
passaggio
ad
un automonitoraggio
effettuato spontaneamente e senza alcuno strumento.
112
Filmografia
“L’anno in cui i miei andarono in vacanza” di Cao Hamburger
(Scuola Sec. 1^ grado)
“11^ ora” di Nadia Conners e Leila Conners Peterson (Scuola Sec.
1^ grado)
“August Rush” di Kirsten Sheridan (Scuola Primaria e Sec. 1^
grado)
“Bee Movie” di Simon J. Smith e Steve Hickner (Scuola Infanzia
e Primaria)
“Il dolce e l’amaro”, di Andrea Porporati (Scuola Sec. 1^ grado)
“ O’ Jerusalem”, di Elie Chouraqui (Docenti)
“Persepolis” di M. Satrapi e V. Paronnaud (Scuola Sec. 1^ grado)
“Piccolo grande eroe” di Christopher Reeve e Dan St. Pierre
“Lo scafandro e la farfalla” di Julian Schnabel (docenti)
“Underdog” di Frederik Du Chau (Scuola Primaria)
“La volpe e la bambina” di Luc Jacquet (Scuola Primaria e Sec. 1^
grado)
113
La costruzione dell’apprendimento: stili di apprendimento e
stili di insegnamento. Didattiche interattive e di mutuo
insegnamento . ( Dott.ssa Adalgisa Troiso )
L’APPRENDIMENTO
L’apprendimento è un cambiamento relativamente durevole nel
potenziale comportamento di un individuo, dovuto all’esperienza.
� L’apprendimento dunque deve cambiare l’individuo in qualche
modo.
� Tale cambiamento avviene come risultato dell’esperienza.
� Si tratta di un cambiamento nel potenziale comportamento di
questo individuo.
Due sono stati gli approcci fondamentali nello studio
dell’Apprendimento:
-L’approccio Comportamentale
-L’approccio Cognitivo
L’approccio comportamentale, risalente agli anni ’50 sostiene
che, se la psicologia vuole essere una scienza esatta deve
focalizzarsi sullo studio del comportamento osservabile .
Tale approccio in origine considerò l’apprendimento in termini di
connessione tra STIMOLO fornito dall’ambiente e la RISPOSTA
di qualche genere fornita dall’individuo .
La risposta inoltre si collega al RINFORZAMENTO. Pertanto si
intuisce il forte accento posto sul ruolo rivestito dall’ambiente .
(SKINNER)
L’approccio cognitivo, sostiene invece che se vogliamo capire
come avviene l’apprendimento dobbiamo interrogare innanzitutto
le capacità di chi apprende di riorganizzare mentalmente il suo
campo psicologico in rapporto all’esperienza . Questo tipo di
approccio attribuisce particolare importanza al modo in cui
114
l’individuo interpreta e cerca di dare significato a ciò che
accade, considerando la persona non come un prodotto
meccanico dell’ambiente ma come un agente attivo nel processo
di apprendimento,che tenta di elaborare e classificare il flusso
di informazioni ricevute dal mondo esterno. (BRUNER)
Ciò significa che mentre Skinner vede lo stimolo come una unità
relativamente discreta, un avvenimento oggettivo, separato da
colui che impara e tale da suscitare una risposta
fondamentalmente semplice, Bruner lo considera qualcosa di
identificato e riconosciuto da colui che impara in un modo
personale che dipende dalle loro precedenti esperienze, pensieri
e aspirazioni. Uno stimolo (S) quindi può non provocare una
risposta (R) se viene considerato inappropriato o può
determinare “categorie anticipatorie” che permettono la
predizione di eventi futuri. Bruner ritiene che l’informazione
venga elaborata e che l’elaborazione sia collegata a sistemi o
metodi di rappresentazione .
In particolare tali sistemi sono:
-ATTIVO (es: attività motoria)
-ICONICO (uso di immagini)
-SIMBOLICO (linguaggio che sostituisce le immagini).
E’ chiaro che le teorie dell’apprendimento sono insieme TEORIE
DELL’INSEGNAMENTO e teorie dell’uomo non esplicitate.
APPRENDIMENTO ED INSEGNAMENTO SONO PROCESSI
OPPOSTI E COMPLEMENTARI.
Dalla teoria comportamentistica sono derivate le corrispondenti
teorie didattiche di tipo tassonomico, programmatorio, fondate
sulla predeterminabilità degli obiettivi didattici, sulla fiducia del
loro
conseguimento
attraverso
la
razionalizzazioneoggettivazione del processo di insegnamento.
115
Con il modello cognitivista si fa un progresso in direzione di una
precisazione
dei
rispettivi
ambiti
dell’apprendere
e
dell’insegnare : l’apprendimento è un processo costruttivo
fondato su strategie di tipo psichico là dove l’insegnamento è
ordinato e statico e caratterizzato da consapevolezza .
Attualmente si affaccia una terza prospettiva :
LA TEORIA ENATTIVA.
“La conoscenza può essere considerata come una interpretazione
continua che non può essere adeguatamente incapsulata in un
insieme di regole e di presupposti perché dipende dall’azione e
dalla storia : la conoscenza è il processo continuo che modella il
nostro mondo attraverso il gioco tra vincoli esterni e l’attività
generata internamente” (VARELA)
E’ interessante notare che l’apprendimento si connota come un
processo non lineare mentre l’insegnamento è un processo
lineare traducibile nei termini di una logica sequenziale.
Dunque ne deriva:
�
La
necessità
di
mediare
il
carattere
lineare
dell’insegnamento con quello non lineare dell’apprendimento
� La necessità di mediare la dimensione degli schemi del
soggetto che apprende con quella concettuale degli ambiti
disciplinari.
� La necessità di utilizzare una didattica in grado di
agganciare la realtà dell’apprendimento profondo.
� L’insegnamento finalizzato all’apprendimento si trova
dinanzi alla necessità di promuovere processi non lineari a
partire da azioni per loro natura sequenziali .
Questo può essere reso possibile dalla conoscenza delle diverse
componenti del processo di apprendimento.
STRATEGIE DI APPRENDIMENTO
116
La nozione di Strategia di apprendimento e conseguentemente di
Strategia di memoria è stata variamente analizzata.
Essa si riferisce ai casi in cui una situazione può essere
affrontata in modi differenti : questi modi costituiscono
appunto delle strategie se hanno regolarità, controllo (più o
meno consapevole) .
La ricerca si è impegnata nell’individuare i principi del
funzionamento mentale che conducono a tipi di strategie . Quasi
tutti sono concordi nell’affermare che un soggetto che eserciti
un controllo attivo sul proprio processo di apprendimento impara
meglio ed ha una memorizzazione migliore .
STILE COGNITIVO
Stemberg (1996 - Stili di pensiero) sottolinea in questo recente
lavoro che le differenze negli apprendimenti degli alunni non
sono tanto legate alla loro intelligenza e ai loro livelli di abilità,
quanto alle modalità di utlizzo di tale intelligenza e di abilità .
Dunque se la SRATEGIA può essere definita come un insieme di
procedure e operazioni finalizzate alla risoluzione di un compito
cognitivo, si può dire che avremo un particolare stile cognitivo
tutte le volte in cui si evidenzia la tendenza costante e
stabile nel tempo ad usare una determinata classe di
strategie per affrontare sia attività scolastiche che
situazioni di vita di tutti i giorni. (CORNOLDI-DE BENIGRUPPO M-T.)
Gli stili cognitivi sono in parte congeniti, in parte determinati e
sviluppati dall’ambiente di appartenenza.
Molte difficoltà degli studenti possono avere origine dalla
discordanza tra il modo di apprendere dell’alunno e dalla
tendenza sia degli insegnanti che degli alunni a confondere la
discordanza di stile con la mancanza di abilità e quindi a
sottovalutare dei risultati in se stessi buoni ma percepiti essere
117
inadeguati . ES: è abbastanza tipico che un insegnante,
soprattutto se di materie letterarie, possieda uno stile
verbalizzatore,
ed
utilizzi
nel
suo
insegnamento
prevalentemente la modalità verbale, insegnando ai suoi studenti
strategie di studio come il riassunto e l’esposizione orale perché
ritenuti più efficaci, e consideri veramente bravo e intelligente
l’alunno che eccelle nelle abilità verbali . Tra l’insegnante e lo
studente verbalizzatore si instaura una buona relazione, lo
studente si sente apprezzato e questo aumenta la sua autostima
e la motivazione positiva ad apprendere e migliorare . Lo stesso
insegnante offrirà minori opportunità di apprendimento allo
studente visualizzatore, non riconoscerà come altrettanto
positive le sue prestazioni e darà una valutazione negativa delle
sue abilità generali creando nello studente sfiducia in sé stesso
e demotivazione . È chiaro, perciò, come tra gli stili del docente
e quelli dell’alunno esista una relazione che, se è di conseguenza,
va a vantaggio sia del rapporto tra l’insegnante e lo studente che
dell’apprendimento di quest’ultimo .
L’INSEGNANTE DEVE RICONOSCERE E VALORIZZARE LO
STILE E LE STRATEGIE preferite dagli alunni, che costituisce
il punto di partenza per poterne sviluppare altri . Negare quello
che lo studente sa fare sia esso giusto o sbagliato è spesso
controproducente in quanto può indurre ostilità verso
l’insegnante e la scuola e il rifiuto per una certa materia o
l’apprendimento in generale . Per valorizzare gli stili di tutti e
per promuovere negli studenti la consapevolezza delle proprie
caratteristiche cognitive e della necessità di ampliarle e
migliorarle è importante variare e incrementare il proprio
repertori di metodi di insegnamento e fornire una molteplicità di
situazioni stimolo che permettano allo studente sia utilizzare il
suo stile sia cimentarsi con stili e strategie di apprendimento
118
diverse .L’obiettivo dunque dovrebbe essere quello di creare
negli studenti una flessibilità cognitiva e strategica che
permetta loro di gestire in modo efficace le diverse situazioni e
richieste del mondo circostante, non solo scolastiche.
STILE COGNITIVO E PERSONALITA’
Come implica il nome, lo stile cognitivo ha a che fare con il
pensiero, tuttavia il legame tra l’intelligenza e i diversi tratti di
personalità è ben documentato dalla ricerca . I bambini che
evidenziano significativi aumenti di intelligenza si sono
dimostrati più indipendenti,competitivi e verbalmente aggressivi
dei bambini con una intelligenza minore . TERMAN e ODEN
rilevarono che i bambini con alto Q.I. che mostrano do fare un
miglio uso delle proprie abilità presentano un grado alto di
Autoefficacia percepita perseveranza e interesse nel lavoro
svolto. I bambini di maggior successo si mostrano anche ben
adattati, più equilibrati socialmente e risultava per loro più
probabile per loro fare buoni matrimoni . I bambini con un Q.I.
più alto erano meno ansiosi, più popolari e persino fisicamente
più forti .Naturalmente non è dato saper se sia l’alta intelligenza
a favorire buoni tratti di personalità o che avvenga il contrario
ma siamo certi che le due dimensioni interagiscono
vicendevolmente e continuamente rendendo impossibile stabilire
la natura di legami causali . Di certo lo stile cognitivo presume
anche uno stile di personalità .
PREVALENTI STILI COGNITIVI
Il primo ad individuare gli stili cognitivi fu proprio Bruner con la
definizione dello stile :
1. Stile focalizzatore che tiene conto dell’analisi di tutti gli
elementi.
119
2. Stile scanner che procede ad una rassegna veloce ma
azzardata .
Attualmente si definiscono prevalentemente cinque stili :
♣ STILE SISTEMATICO – INTUITIVO
Lo stile sistematico si caratterizza per la procedura a piccoli
passi e la considerazione di tutte le variabili in gioco. Lo stile
intuitivo lavora preferibilmente su ipotesi, che cerca di
confermare o confutare. Entrambi portano a soluzioni
soddisfacenti : il sistematico avrà procedure più lente ma più
certe . L’intuitivo rischia di sbagliare maggiormente ma può
risultare più veloce . Ci sono compiti risolvibili solo con modalità
sistematiche e sono necessarie anche al soggetto intuitivo.
♣ STILE GLOBALE – ANALITICO
Riguarda in particolare lo stile percettivo ed individua una
tendenza solistica ed una tendenza analitica .
♣ STILE IMPULSIVO – RIFLESSIVO
Fra gli stili cognitivi questo è uno dei più classici. Lo stile
impulsivo è trasversale a vasari momenti in cui viene meno un
adeguato controllo nello studio . È chiaramente contrapposto al
più valido stile riflessivo. È spesso fonte di disagio e cattivo
impegno .
♣ STILE VERBALE VISUALE
(si parla in genere di verbalizzatori e visualizzatori) riprende
una distinzione intuitiva che ha sempre incontrato di
sistematizzazione scientifica, ma è fuori dubbio che vi siano
ragazzi che hanno preferenze per l’uso del codice linguistico
(lettura, etc.) ed altri che preferiscono la visualizzazione
(disegno, etc.)
♣ STILE CONVERGENTE – DIVERGENTE
Pensiero dipendente dal campo o indipendente dal campo.
120
LA MOTIVAZIONE
La motivazione può essere definita come qualcosa che spinge una
persona a comportarsi in un certo modo .
La motivazione estrinseca è quella che si sviluppa sulla base di
rinforzi esterni. La motivazione intrinseca, più matura ed
adatta allo studio è l’assunzione del valore in sé : la conoscenza
acquisita per il piacere della conoscenza stessa .
IL COPERATIVE LEARNING: RIFERIMENTI TEORICI
K. LEWIN (1939): Il metodo democratico risulta di gran lunga il
migliore in termini di acquisizioni affettive e cognitive.
ALLPORT (1954): Quando gli studenti a scuola partecipano ad
interazioni cooperative ed egualitarie si attivano relazioni più
positive .
C. ROGER (1994): Teoria del person centered learning:
apprendimento centrato sulla persona: non imposto ma generato
dalla partecipazione attiva dell’individuo.
I principali riferimenti teorici ruotano intorno a tre principali
prospettive: motivazionali,sociali, cognitive.
Le teorie motivazionali identificano tre diverse strutture di
valori:
1. cooperativa, in cui gli sforzi orientati all’obiettivo da parte di
ciascun allievo contribuiscono al conseguimento degli obiettivi
anche da parte dei compagni.
2. competitiva, in cui lo sforzo da parte di ciascun alunno tende a
ridurre il conseguimento degli obiettivi degli altri.
3. individualistico, dove il conseguimento dei propri obiettivi non
influisce sul conseguimento degli obiettivi degli altri.
La critica all’organizzazione tradizionale della classe mossa dai
teorici della motivazione è che nelle classi tradizionali il
successo di uno studente riduce e frustra le chance di successo
121
degli altri .
In una classe cooperativa lo studente che ce la mette tutta, che
frequenta regolarmente e che aiuta gli altri ad imparare viene
premiato ed incoraggiato dai compagni senza essere additato
come «secchione» o «beniamino» dell’insegnante .
Le teorie cognitive e sociali trovano riferimenti teorici in:
Bruner: l’uomo è un essere prettamente sociale. La mente si
sviluppa mediante la relazione con gli altri. Il soggetto che
apprende insieme agli altri sviluppa comunque centralità e
protagonismo .
Vygotskj: l’apprendimento umano ha una natura sociale. Le
funzioni prima si formano nel collettivo in forma di relazioni tra
bambini, poi diventano funzioni mentali per l’individuo.
Piaget: lo stesso Piaget che la conoscenza sociale come il
linguaggio, i valori, le regole, la moralità, può essere appresa
soltanto in interazioni con gli altri. Il principio di conservazione
viene accelerato attraverso il contatto con bambini di diverso
livello.
Gardner: nota la teoria delle intelligenze multiple.
IL COPERATIVE LEARNING: CONCLUSIONI
IL COPERATIVE LEARNING, come le numerose ricerche hanno
dimostrato, sembra poter risolvere molti dei grandi problemi dei
nostri sistemi scolastici:
♣ recupero degli allievi problematici
♣ integrazione degli allievi disadattati
♣ valorizzazione degli allievi bravi
♣ sviluppo delle competenze sociali, del senso civico, della
partecipazione, del rispetto dell’altro, dell’interdipendenza.
♣ sviluppo del cittadino democratico.
122
STILI
COGNITIVI
Prendendo spunto da alcune classificazioni esistenti, ed in
particolare dai modelli teorici di Grinder (1991), Gardner (1987,
2000), Mariani (1996), Sternberg (1997, 1998), Willing (in
Mezzadri 2002), possiamo innanzitutto definire lo stile cognitivo
come l’insieme delle strategie selezionate, consciamente o
inconsciamente,
ed
attuate
durante
il
processo
di
apprendimento; tali strategie possono coinvolgere le modalità
percettive
e
neurosensoriali,
i
meccanismi
mnestici,
le
rappresentazioni mentali e gli emisferi cerebrali . I diversi stili
cognitivi possono coinvolgere la dimensione :
verbale:
l’apprendimento avviene soprattutto raccogliendo e
rielaborando informazioni espresse in forma linguistica; chi
possiede questa inclinazione può prediligere l’oralità, e dunque il
canale auditivo, o la scrittura, e dunque il canale visivo, o
entrambe . Lo studente che preferisce il canale auditivo può far
leva sulle strategie di ripetizione e sulla riorganizzazione
linguistica del materiale da apprendere
( attraverso la
creazione di rime, assonanze, onomatopee…) per favorire la
memorizzazione . Chi invece preferisce il codice scritto usa
maggiormente le strategie di espansione reticolare delle
informazioni, ed apprende leggendo testi scritti, prendendo
appunti e
sottolineando parti di un testo . Lo stile cognitivo
verbale può coinvolgere sia la memoria implicita sia la memoria
esplicita, a seconda delle preferenze individuali ;ƒ non verbale:
l’apprendimento può avvenire sfruttando quella che Gardner
123
definisce
intelligenza visuo-spaziale, ossia la raccolta di
informazioni
a
partire
dall’osservazione
dell’ambiente
circostante, e la conseguente formulazione di ipotesi . Chi
predilige
questa
modalità
cognitiva
apprende
mediante
l’esplorazione dell’ambiente, attivando il canale visivo, spesso
integrato con l’uso di altri canali sensoriali; a livello mnemonico
possono essere coinvolti sia la memoria esplicita che quella
implicita, e in entrambi i casi svolge un ruolo importante la
formazione di immagini mentali, sia di natura concreta sia di tipo
simbolico . Di carattere non espressamente verbale è anche lo
stile cognitivo di chi apprende facendo leva sulla musicalità di un
testo, e dunque sulla dimensione paralinguistica ; cinestetica:
l’apprendente
concrete
preferisce
che
imparare
coinvolgano
più
attraverso
esperienze
modalità
sensoriali
simultaneamente; le informazioni vengono raccolte mediante
diversi canali sensoriali e poi integrate a livello cerebrale ; uno
studente che privilegia la dimensione cinestetica durante
l’apprendimento
linguistico
può
riflettere
sulla
lingua
e
sistematizzare quanto appreso solo dopo aver svolto esperienze
concrete ( un’ intervista, un role-play, un’attività cooperativa,
una ricerca), seguendo il principio “prima fare, poi riflettere” e
facendo leva pertanto primariamente sulla memoria implicita ;ƒ
logico-matematica: chi ha una propensione verso l’apprendimento
logico-matematico attribuisce un ruolo centrale alla riflessione e
alla sistematizzazione del materiale, individuando regolarità e
contrasti, e privilegiando i meccanismi deduttivi ; durante
l’apprendimento linguistico segue spesso il principio “prima
124
riflettere, poi fare”, attivando principalmente i meccanismi di
memoria esplicita; tende inoltre all’astrazione ed ha una forte
capacità di ricordare dettagli e particolarità linguistiche .
Potremmo affermare che ogni studente possiede un proprio stile
cognitivo, risultante dalla diversa combinazione di questi quattro
fattori, i quali sono comunque presenti e si intersecano
continuamente. Così ad esempio, chi privilegia l’apprendimento
musicale spesso ha anche una propensione cinestetica perché
può associare la melodia a gesti e movimenti che coinvolgono il
corpo; allo stesso modo
chi adotta
la
modalità
logico-
matematica, durante l’apprendimento linguistico può far leva su
alcune strategie verbali ( stesura di appunti, individuazione di
parole-chiavi ) per la sistematizzazione del materiale. Come
sottolinea Gardner, dunque, una persona può possedere diversi
stili cognitivi (o intelligenze), che attiva in modo diverso a
seconda delle situazioni in cui si trova . Gli studi sugli stili
cognitivi si possono coniugare con i dati provenienti dalla ricerca
neuroscientifica
sull’elaborazione
delle
informazioni
negli
emisferi cerebrali ( si vedano le ricerche riportate in Battaglini
2002 e Danesi 1998 ). Come è ormai noto, in ogni persona vi è
una dominanza emisferica, ossia una propensione ad apprendere
favorendo maggiormente uno dei due emisferi. Chi ha un
orientamento cerebrale a destra, ad esempio, ha maggiori
capacità di discriminare l’imput visivo, predilige il ragionamento
induttivo, e a livello linguistico ha un maggior controllo degli
elementi
prosodici,
comunica
integrando
diversi
linguaggi
(verbali e non verbali) e ha bisogno di un input contestualizzato .
125
Chi è orientato a sinistra, invece, preferisce il pensiero
deduttivo, i compiti logici, e l’input verbale, ed apprende
seguendo i principi della linearità e della sequenzialità ; a livello
linguistico tollera in misura minore un input ridondante, ha una
capacità maggiore di memorizzare nozioni grammaticali astratte,
ed è indipendente dal contesto . Ad eccezione degli stili
cinestetico
e
logico-matematico,
che
sono
connessi
rispettivamente all’emisfero destro e sinistro, sembra che gli
altri stili cognitivi interessino in misura diversa entrambi gli
emisferi . Chi possiede uno stile verbale
può avere una
dominanza a destra, e dunque prediligere l’apprendimento
linguistico mediante rime, assonanze, giochi di parole, o una
dominanza a sinistra, e dunque preferire la ripetizione, il
riassunto e la riorganizzazione del materiale mediante schemi,
tabelle e grafici . Chi ha uno stile visuo-spaziale può esplorare
l’ambiente analizzandolo da subito dettagliatamente o prima in
maniera generale .
Infine, a livello socio-relazionale potremmo dire che tutti gli stili
cognitivi possono essere orientati verso la sfera intrapersonale
o interpersonale (che nella teoria di Gardner costituiscono due
tipi di intelligenze distinte) . Ogni studente, infatti, qualunque
sia il suo stile cognitivo, può preferire l’apprendimento
individuale o cooperativo; così ad esempio uno studente
cinestetico
può
preferire
l’esplorazione
dell’ambiente
circostante da solo, così come lo studente che possiede una
propensione logico-matematica può anche dimostrare una
disponibilità
a riflettere insieme ai compagni, negoziando,
formulando e verificando ipotesi comuni . Ancor prima di
126
osservare gli studenti, il primo passo per insegnante consiste
innanzitutto nel compiere una riflessione metacognitiva sul
proprio stile di apprendimento . Tale riflessione porterà di
conseguenza ad una maggiore consapevolezza su come il proprio
modo di insegnare sia influenzato dalle propensioni cognitive; può
accadere infatti che un docente, del tutto in buona fede, sia
convinto dell’efficacia di certe tecniche didattiche solo perché
queste rispecchiano il suo personale stile di apprendimento, o
trovi difficoltà nell’interagire con alcuni studenti perché non ne
condivide lo stile cognitivo . La riflessione metacognitiva
costituisce dunque il primo passo per una didattica che si avvicini
sempre più allo studente . Uno strumento particolarmente utile è
quello delle “domande guida”, di cui presentiamo un esempio,
presupponendo che siano queste le domande essenziali che ci si
dovrebbe porre per iniziare a conoscere di più le proprie
inclinazioni cognitive . Tali domande possono costituire una sorta
di “checklist” da spuntare, sebbene vadano considerate un
elenco aperto, da arricchire alla luce della propria esperienza.
MODALITA’ DI APPRENDIMENTO LINGUISTICO
� Preferisci attività orali o scritte?
� Quali abilità linguistiche ritieni più importanti?
� Nella tua esperienza di apprendente, quale abilità è più
difficile sviluppare?
� Preferisci lavori individuali o in gruppo?
� Preferisci attività statiche o dinamiche?
� Per imparare una regola grammaticale, preferisci desumerla
da un contesto o impararla a partire da uno schema?
� Preferisci prima capire e poi fare, o prima fare e poi capire?
� Nella tua esperienza quali attività sono state più utili per
apprendere una lingua e perché?
MODALITA’ PERCETTIVE
127
� Il tuo tono di voce è alto, medio o basso?
� Preferisci imparare vedendo, ascoltando o facendo?
� Se devi imparare il contenuto di un testo, preferisci
visualizzare mentalmente le pagine del testo, ripetere a voce
alta, o collegare il contenuto ad azioni e movimenti?
� Per imparare una canzone preferisci leggere il testo scritto,
ascoltare più volte la canzone, o associare la canzone a
movimenti tenendo il ritmo?
� Se devi imparare i passi di un ballo, preferisci guardare prima
qualcuno che li sta facendo, seguire le istruzioni dell’insegnante
di ballo, o provare da solo seguendo il ritmo della musica?
DOMINANZA EMISFERICA
� Preferisci svolgere un compito alla volta o più compiti
contemporaneamente?
� Nel leggere un testo ti soffermi subito sui dettagli o prima
cerchi di avere una visione generale del contenuto?
� Sei ordinato/a o disordinato/a?
� Ricordi meglio il nome o il volto di una persona?
� Nello svolgere un compito ti attieni rigorosamente alle
istruzioni?
� Quando ti esprimi cerchi di spiegare tutto verbalmente o lasci
che l’interlocutore capisca anche dai tuoi gesti o dalle tue
espressioni facciali?
� Quando usi la lingua straniera preferisci parlare lentamente
ma in modo corretto o più velocemente, pur sapendo di
commettere errori?
� Ti piace organizzare il tuo tempo o preferisci decidere cosa
fare di volta in volta?
L’analisi delle propensioni cognitive degli alunni
Dopo acquisito consapevolezza sul proprio stile cognitivo,
l’insegnante può ora concentrare la propria attenzione sui suoi
128
alunni e cercare di identificarne le inclinazioni cognitive; ciò è
fondamentale soprattutto durante le prime lezioni di un corso,
quando l’insegnante non conosce ancora gli studenti ed ha
bisogno di raccogliere dati prima di elaborare una
programmazione didattica.
Lo stile cognitivo è un prolungamento dello stile intellettivo, di
una modalità che si manifesta in vari contesti . Coinvolge non
solo aspetti cognitivi, ma anche socio-affettivi, cioè quegli
aspetti legati alla nostra personalità che possono influenzare
l’approccio all’apprendimento. Nel panorama degli studi e teorie
presenti sull’argomento, una posizione rilevante, per esaustività
ed approfondimento, è quella di Sternberg, che
propone la
“Teoria dell’autogoverno mentale”, secondo la quale gli individui,
in situazioni problematiche, adottano particolari modalità di
soluzione, che sono strettamente legate a strategie operative.
In linea con la sua teoria triarchica dell’intelligenza (Sternberg,
Spear-Swerling, 1997), le persone intelligenti sarebbero quelle
che ottimizzano i propri punti di forza e che rimediano o
compensano i propri lati deboli, riuscendo a trovare un buon
equilibrio fra le proprie abilità e i propri stili preferiti. Le
persone che non riescono ad operare una simile armonizzazione
rischiano di essere frustrate dalla discrepanza fra ciò che sanno
fare e ciò che preferiscono fare . La tesi che Sternberg
propone è che ciò che succede nella vita dipende non solo da
quanto pensiamo bene, cioè dalle nostre abilità, ma anche da
come pensiamo, cioè dal nostro stile cognitivo . Il presupposto
su cui si basa questa teoria è che le forme di governo esistenti
129
al mondo sarebbero riflessi esterni di quel che succede nella
mente delle persone, rappresentando i vari modi in cui viene
organizzato il pensiero . Ciò che egli cerca di proporre è un
parallelo tra il modus operandi dei governi e quello che
caratterizza le modalità di elaborazione cognitiva delle persone :
come le società hanno bisogno di governarsi per poter agire nel
mondo, così gli individui devono disciplinare le proprie risorse,
organizzare le proprie
vite e porre priorità su ciò di cui si
devono occupare . La teoria si avvale di un modello organizzativo
chiaro: tutti
gli stili definiti da questa teoria corrispondono
metaforicamente ad aspetti del governo di uno stato ideale. I
governi,
per poter operare,
devono svolgere tre funzioni :
quella legislativa, quella esecutiva e quella giudiziaria (il ramo
esecutivo attua le leggi, le politiche e le iniziative emanate dal
ramo legislativo, mentre il ramo giudiziario valuta la
loro
corretta applicazione o l’eventuale violazione ) . Oltre ad avere
funzioni diverse, i governi si esplicano in forme diverse
(monarchica, gerarchica, oligarchica ed anarchica ), hanno sfere
diverse ( esterna ed interna ), livelli diversi ( globale, analitico )
e propensioni diverse ( radicale, conservatore ). La metafora
politica è importante perché separa nettamente il concetto di
abilità da quello di stile cognitivo, infatti nessuna funzione
“governativa” vale di più o di meno delle altre, ha semplicemente
una funzione diversa . Secondo l’idea di Sternberg ciascun
individuo
sarebbe
caratterizzato
non
da
singoli
stili,
rappresentati come polarità cognitive, ma da un profilo che è
dato dall’insieme di più stili . Le persone hanno infatti delle
130
caratteristiche particolari che li contraddistinguono in ciascun
dominio : funzioni, forme, livelli, sfere e propensioni .
Il risultato è una classificazione in 13 stili cognitivi che l’autore
definisce e descrive così:
-
stile
“legislativo”:
caratteristico
delle
persone
che
preferiscono decidere da sole cosa fare e come farlo . Si tratta
di individui propensi a creare e formulare regole proprie e
programmare proprie forme di comportamento . Per questo
motivo preferiscono non avere a che fare con problemi che siano
già
prestrutturati
.
Questo
stile,
quindi,
favorisce
particolarmente la creatività e può essere piuttosto penalizzato
in certi ambienti scolastici o di lavoro, dove le persone che lo
adottano sono viste come troppo fuori dagli schemi e poco inclini
a sottomettersi alle regole dell’istituzione .
- stile “esecutivo”: caratterizza le persone che tendono ad
applicare volentieri delle regole e preferiscono risolvere i
problemi che vengono dati loro o strutturati per loro ; trovano
piacere nel portare bene a termine un compito assegnato,
preferiscono ricevere istruzioni riguardo a cosa fare e come
farlo e applicano volentieri procedure e regole che hanno
imparato . E’ intuibile come lo stile esecutivo tenda ad essere
valorizzato in molti ambienti scolastici e di lavoro, in quanto si
tratta di persone altamente affidabili .
131
- stile “giudiziario”: tipico di chi ama valutare regole, procedure
e le idee esistenti .
Le attività preferite sono : scrivere
critiche, esprimere opinioni, valutare le persone ed il loro lavoro
- stile “monarchico”: descrive le persone risolute che si lanciano
completamente su un interesse o un’impresa e difficilmente
permettono a qualcuno di frapporsi fra loro e la risoluzione di
un problema . Si aspettano che i compiti vengano svolti senza
scuse o circostanze attenuanti, tendono ad essere motivate da
un solo obiettivo o da un solo bisogno alla volta e spesso hanno
un’idea fissa e ne sono trascinate .
- stile “gerarchico”: caratterizza persone che hanno una
gerarchia di obiettivi e riconoscono la necessità di stabilire delle
priorità,
dato che non tutti gli obiettivi possono essere
raggiunti in modo soddisfacente . Essi tendono ad accettare la
complessità più di coloro che hanno uno stile monarchico e
riconoscono la necessità di considerare i problemi da varie
prospettive, per stabilire correttamente le priorità .
Queste
persone tendono ad essere organizzate e sistematiche nella
risoluzione dei problemi e nel prendere decisioni. Possono essere
concentrate a tal punto sui vari elementi della gerarchia, da non
riuscire a prendere una decisione che richieda il piglio deciso.
- stile “oligarchico”: tipico delle persone che desiderano fare
più di una cosa nella stessa cornice temporale, tendono ad
essere motivate da numerosi obiettivi, anche in competizione fra
loro, di uguale importanza percepita. Spesso si sentono sotto
pressione di fronte alle numerose e contemporanee cose da fare.
132
Non sono sempre sicure di che cosa sia meglio fare per prima, o
di quanto tempo assegnare a ciascuno dei compiti che devono
portare a termine . Tuttavia, se viene loro fornita una guida
rispetto alle priorità dell’organizzazione in cui operano, possono
diventare molto efficaci, in quanto caratterizzati da flessibilità,
per adattarsi a circostanze continuamente mutevoli.
- stile “anarchico” : caratterizza le persone motivate da una
mescolanza di bisogni e obiettivi e che adottano un approccio
casuale
ai
problemi
.
Tendono
a
respingere
i
sistemi,
specialmente quelli rigidi e hanno grande potenzialità creativa:
l’orizzonte delle cose che considerano è particolarmente vasto,
di conseguenza possono scorgere soluzioni ai problemi che tutti
gli altri trascurano.
- stile “globale”: definito dalla preferenza per questioni
relativamente vaste ed astratte . Queste persone non amano i
dettagli, devono stare attente, pertanto, a non perdere i
particolari .
- stile “analitico”: tipico di persone orientate agli aspetti
pragmatici delle situazioni, che apprezzano i problemi concreti e
che richiedono di lavorare con i dettagli .
-
stile
“interno”:
caratterizza
persone
tendenzialmente
introverse, distaccate o fredde nei confronti del mondo esterno
e talvolta poco consapevoli socialmente . A loro piace lavorare da
sole e tendono un po’ all’isolamento .
133
- stile “esterno”: tipico di chi risulta estroverso, espansivo,
orientato alla gente, socialmente sensibile, che ama lavorare con
gli altri in tutte le situazioni in cui ciò è possibile.
-
stile
“radicale”:
definisce
le
persone
che
si
trovano
particolarmente a loro agio quando vanno al di là delle regole e
delle procedure esistenti, favoriscono il massimo cambiamento e
ricercano situazioni nuove che possono anche presentare una
certa incertezza ed ambiguità .
- stile “conservatore” caratteristico di chi ama conformarsi alle
regole ed alle procedure esistenti, privilegiando il minimo
possibile di
cambiamenti, evitando le situazioni ambigue e
restando attaccato alle situazioni familiari nella vita privata e
professionale . Si sente più a suo agio in un ambiente strutturato
e relativamente prevedibile .
Per quanto riguarda gli stili di apprendimento, invece, l’autore
preso come riferimento è Kolb, il quale ha introdotto in
letteratura il
concetto di apprendimento esperienziale, un
processo dove la conoscenza è creata attraverso l’osservazione
e la trasformazione dell’esperienza .
L’apprendimento esperienziale si contrappone al punto di vista
sull’apprendimento che assimila il discente ad una tabula rasa
che acquisisce passivamente dei concetti e le relazioni fra loro .
Kolb intende l’apprendimento come una riflessione sulle azioni :
in
questo
caso
l’osservazione
di
la
conoscenza
esperienze
134
è
ottenuta
concrete
o
attraverso
attraverso
la
comprensione di concettualizzazioni astratte, si trasforma
attraverso l’osservazione riflessiva e si amplia mediante la
sperimentazione attiva .Questo tipo di apprendimento viene
concepito come un ciclo con 4 stadi: il soggetto, inizialmente,
dovrebbe partire dall'esperienza concreta, cioè dai dati di
fatto, dall’osservazione di come si fa una cosa, per passare a
riflettere e a ripetere ciò che è stato fatto, ciò che si è
esperito, attraverso l’osservazione riflessiva . Successivamente
deve interpretare gli eventi a cui ha assistito cercando di
cogliere le relazioni fra di essi : deve cercare di produrre
concetti astratti ed estenderli a nuove situazioni attraverso la
concettualizzazione astratta ; infine deve tradurre le nuove
conoscenze in aspettative su quali azioni compiere per eseguire
bene il compito e verificare i concetti in nuove situazioni tramite
la sperimentazione attiva . Le caratteristiche dei 4 stili di
apprendimento possono essere così sintetizzate :
- I CONVERGENTI sono abili nell'applicazione pratica delle
idee, tendono ad affrontare i problemi
ragionamento
ipotetico-deduttivo
.
in base ad un
Preferiscono
l'azione
immediata all'introspezione prolungata e tendono a mettere in
pratica le idee il più rapidamente possibile . Per loro la migliore
teoria del mondo non vale nulla se non ha applicazioni immediate .
Riescono a pensare meglio quando possono fare esperienze di
prima
mano
e
privilegiano
interessi
rivolti
alle
materie
scientifiche e tecniche . Questo stile si rivela particolarmente
proficuo
nel
problem-solving,
135
nella
presa
di
decisioni
e
nell’applicazione
pratica
delle
idee
.
E’
stato
definito
“convergente” perché una persona caratterizzata da questo stile
sembra trovarsi maggiormente a suo agio in quelle situazioni in
cui vi è una singola risposta corretta o una sola soluzione ad un
problema .
- I DIVERGENTI hanno delle strategie opposte a quelle che
caratterizzano
l’esperienza
lo
stile
concreta
e
convergente
.
Essi
l’osservazione
preferiscono
riflessiva,
sono
interessati alla gente e tendono ad essere immaginativi ed
emotivi . Riescono a vedere i problemi da vari punti di vista e
organizzano i contenuti in strutture significative . Ricercano
continuamente significati nel mondo intorno a sé chiedendo in
continuazione
"Perché...?".
Instaurano
facilmente
rapporti
affettivi, sono socievoli e pronti a collaborare . Hanno vasti
interessi culturali con prevalenza nel settore artistico. Questo
stile è definito divergente perché gli individui riescono meglio in
quelle situazioni che necessitano di brainstorming per la
generazione di idee alternative .
- Gli ASSIMILATORI sono abili nell'elaborazione di modelli
teorici
attraverso
ragionamenti
induttivi
.
Assimilano
le
conoscenze in strutture coerenti ed esplicative, sono obiettivi,
razionali, logici e si preoccupano più dei fatti che delle persone .
Spesso sono assertivi ed emotivamente controllati, ricercano il
riconoscimento dagli altri, specialmente dalle figure che hanno
un'autorità, per le quali nutrono molto rispetto . Sono più teorici
che pratici ed attivano una metodologia coerente e precisa, che
136
può tradursi nella ricerca scientifica . Amano creare modelli
teorici logici ed usare il ragionamento induttivo per assimilare
osservazioni discrete in una spiegazione integrata . Per loro è
importante che la teoria sia logica e precisa e in quelle situazioni
in cui la teoria non corrisponde ai fatti, gli “assimilatori” sono
portati a rivedere i fatti, piuttosto che rigettare la teoria .
Questo stile di apprendimento è caratteristico delle scienze di
base, piuttosto che delle scienze applicate .
- Agli ACCOMODATORI, infine, che hanno delle caratteristiche
opposte agli “assimilatori”, piace l’esperienza concreta . Sono
abili nell'attività di sperimentazione attiva, però non in quella
rigorosamente scientifica, e sanno far sintesi tra situazioni
concrete e principi teorici. Sono pensatori pratici, flessibili,
intuitivi ai quali piace apprendere per prove ed errori più che per
analisi. Affascinati dallo sperimentare ed inventare, riescono
meglio quando possono produrre liberamente, reagendo alle sfide
intellettuali più con la velocità che con il pensiero. Essi sono
attivi: portano a termine piani e compiti, ma impostano la loro
attività più sulle informazioni provenienti da altre persone che
sull'analisi personale dei dati ; prevalgono nei settori della
tecnica e del commercio . Questo stile di apprendimento è
definito “accomodatore” perché gli individui caratterizzati da
questa
modalità
riescono
facilmente
ad
adattarsi
ai
cambiamenti repentini di circostanze . Quando le teorie o i piani
non si adattano ai fatti, gli
individui “accomodatori” sono
disposti a scartarle . Sono più disponibili, rispetto agli altri tre
137
stili, ad assumersi dei rischi. I loro ambiti educativi preferiti
sono quelli tecnici o pratici, orientati all’azione .
138
139
140
141
142
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
Scarica