SOMMARIO Brevi informazioni per riflettere … Una nuova prospettiva pag. 2 2 Neuropsicofisiologia Dopo questi Neuropsicologia 5 presupposti…qualche domanda 12 13 Attenzione 18 Disturbi dell’attenzione 23 Apprendimento - memoria La costruzione interattiva della conoscenza - di Paolo Chellini 25 Memoria implicita e memoria esplicita 35 Dai la carica alla tua memoria 42 Strategie per migliorare la memoria 43 Il funzionamento ottimale della memoria Quali nessi tra psichismo e funzioni cognitive ? Una scuola per e con il bambino 57 69 75 Cosa spetta alla scuola per sostenere attenzione e memoria 82 Una psicologia metacognitiva 90 Training sulle strategie di memoria 108 La costruzione dell’apprendimento: stili di apprendimento e stili di insegnamento. Didattiche interattive e di mutuo insegnamento . ( Dott.ssa Adalgisa Troiso ) 114 Stili cognitivi 123 1 BREVI INFORMAZIONI PER RIFLETTERE … La base scientifica poggerebbe sul fatto che il cervello non è “un organo rigido” ma alcune cellule dell’ippocampo (area della memoria-apprendimento) si rigenerano, se sollecitate a mantenere collegamenti con altre aree cerebrali .Vi sono sostanze particolari: le Neurotrofine che favoriscono lo sviluppo di fibre più numerose che permettono più contatti con altri neuroni (cellule celebrali). La produzione di queste sostanze aumenta con lo stimolo dell’apprendimento in un programma di autorigenerazione . L’evoluzione ha predisposto il nostro sistema nervoso alla scoperta e alle novità per reagire in modo positivo ad ogni evento imprevisto . Quali sono le novità che danno il giusto stimolo a costruire nuovi circuiti cerebrali ? La prima regola della Neurobica è rompere la routine e la monotonia, coinvolgere i nostri sensi in situazioni diverse, attivare la nostra attenzione e fantasia . (Circolo Resegone Viale Brodolini 35 23900 Lecco- Cervello e Neurobica – by Sergio Invernizzi Pagina 3 - II PARTE: NEUROBICA, UNA NUOVA DISCIPLINA PER LA MENTE) UNA NUOVA PROSPETTIVA … L’espressione genica e la plasticità cerebrale sono emerse come il cuore, l’elemento centrale, il nucleo della costruzione e ricostruzione della memoria, dell’apprendimento e del comportamento durante i nostri ritmi quotidiani naturali della sveglia, del lavoro, del sonno, del sogno e della guarigione. Sublimanti esperienze di arte, di bellezza e verità possono attrarre la Coscienza Osservante che attiva i Neuroni Specchio 2 con le associate esperienze di Empatia, Transference e Relazione esprimendo così il Ciclo Espressione Genica/Sintesi Proteica . (…) Questo ciclo terapeutico mente-corpo perviene come una sorpresa alla maggior parte delle persone quando si rendono conto che le frontiere delle attuali neuroscienze suggeriscono una nuova visione del significato dell’arte, della bellezza e della verità nella comprensione della condizione umana e della guarigione. Già nel 1871 Charles Darwin, per esempio, fece notare nel suo libro “ la Discendenza dell’Uomo”, l’importanza della bellezza nella evoluzione umana attraverso la selezione sessuale . Questa interpretazione sul ruolo della bellezza e delle esperienze correlate all’arte ed alla verità, devono essere ampiamente privilegiate sui comuni concetti erronei dell’evoluzione quando implicano come filosofia di vita solo “La sopravvivenza del più forte” e la “natura sanguinosa (rossa) del dente ed artiglio”. Più recentemente Roughgarden ed al. (2006) hanno documentato come una teoria matematica di un gioco di interazione cooperativa sociale possa condurre ad una comprensione più ampia del comportamento riproduttivo umano a paragone di una interpretazione ristretta della teoria della selezione sessuale di Darwin, la quale pone enfasi sul concetto dei geni egoisti e dei geni memi ( memoria e cognizioni analoghe ai geni) in competizione per la sopravvivenza. (Dawkins, 1976). Ora si sa bene che i nostri geni creano le proteine le quali sono l’essenza (le fondamenta) della vita e plasmano la psicofisiologia del corpo, del cervello, del comportamento, della coscienza e della personalità . Da questa prospettiva possiamo definire la coscienza come il fenotipo (la manifestazione esteriore) dell’ontologia genica (la storia biologica a livello molecolocellulare) . Non viene, comunque, riconosciuto quanto sia vero 3 anche il contrario : le anse del feedback della coscienza elevata attraverso le esperienze numinose dell’arte, della bellezza e del vero possono innalzare il livello di attività dei nostri neuroni specchio a tal punto da attivare il ciclo espressione genica/sintesi proteica per costruire il protoplasma della vita. Potremmo esprimere l’essenza di questa nuova visione della comunicazione mente-corpo e della guarigione in una sola frase : Le nostre esperienze novelle e numinose di fascinazione con i misteri del mondo e di noi stessi eccitano i neuroni specchio nel nostro cervello attivando il ciclo espressione genica/sintesi proteica e la plasticità cerebrale per la continua costruzione e ricostruzione della nostra coscienza e salute nella nostra vita durante il giorno [nei cicli ultradiani] e durante [la notte attraverso] i sogni. I recenti sviluppi nel campo delle neuroscienze stanno generando una profonda consapevolezza non solo nelle tradizionali arti della guarigione dell’ipnosi terapeutica, della psicoterapia, e della riabilitazione, ma anche nell’arte, nella bellezza, e nella verità in filosofia, nelle scienze umanistiche e nelle scienze in generale . Questa revisione concettuale delinea quattro principi base della Nuova Scuola Neuroscientifica di Ipnosi Terapeutica, di Psicoterapia e Riabilitazione. 1. Livelli elevati di espressione genica generano livelli elevati di attività neuronale, che distingue il cervello umano e la consapevolezza dagli altri primati . 2. Le nuove neuroscienze dei Neuroni Specchio, empatia, relazione e trasferenza (transfert), forniscono nuova consapevolezza nel talento psicosociale di base di tutti i terapeuti . 4 3. L’attività mentale nuova e motivata genera nuovi neuroni, significato e consapevolezza eliminando il cosiddetto “gap cartesiano” tra mente, corpo e geni . 4. I processi normali della costruzione della consapevolezza, della memoria e dell’apprendimento durante le importanti transizioni della vita durante veglia, sonno e sogno, offrono un modello naturale per i nostri innovativi approcci neuroscientifici verso l’ipnosi terapeutica, la psicoterapia e la riabilitazione . Proponiamo che i fenomeni classici dell’ipnosi terapeutica descrivono le manifestazioni fenotipiche, osservabili da un punto di vista cognitivo-comportamentale, dell’espressione genica attività-dipendente, della plasticità cerebrale, e della guarigione mente-corpo nella psicoterapia e nella riabilitazione. C’è adesso ingente bisogno di valutare l’efficacia clinica del processo creativo a 4 stadi nella ricostruzione della consapevolezza (coscienza), memoria e comportamento nei nostri innovativi approcci neuroscientifici e attività-dipendenti, per l’ipnosi terapeutica, la psicoterapia e la riabilitazione, [attraverso importante ricerca con studi basati su gene chips, DNA e Neuro Imaging]. NEUROPSICOFISIOLOGIA Il cervello umano è uno strumento meraviglioso, geneticamente predisposto per far acquisire all’individuo conoscenza e coscienza di sé e dell’ambiente, e poter utilizzare così lo spazio – tempo della propria esistenza per esprimersi creativamente e 5 armonicamente partecipando all’evoluzione sociale, culturale e umana (dott. Michele Trimarchi) . Gli studi effettuati dalla Neuropsicofisiologia spiegano che nel cervello si strutturano sia la personalità che l’individualità della persona (Io cosciente) . La personalità è rappresentata da esperienze, informazioni culturali acquisite e “conservate” (memorie) nel nostro cervello. Questi engrammi neuronali che racchiudono le informazioni, le esperienze pregresse, si attivano automaticamente nell’emisfero sinistro del cervello, che risponde all’esterno sulla base di meccanismi associativi che collegano per similarità gli stimoli in arrivo a quelli memorizzati in precedenza . Quante volte ad esempio un genitore, abituato da tempo ad osservare atteggiamenti di aggressività da parte del figlio, attribuisce loro sempre lo stesso significato (aggressività = mancanza di rispetto, disobbedienza, negatività) mentre le motivazioni vissute nel presente dal giovane sono completamente diverse da quelle del passato? In contemporanea all’attivazione dell’emisfero sinistro del cervello si verifica l’attivazione dell’emisfero destro, che codifica i messaggi informazionali in arrivo nel loro contenuto sostanziale (caratteristiche fisiche) e comunica un messaggio integrato ed integrabile all’emisfero contro laterale (sinergismo interemisferico), arricchendo le sue memorie e generando una sintesi dinamica . In poche parole i due cervelli comunicano per loro fisiologia attraverso il corpo calloso (commessura interemisferica delle fibre nervose) le proprie identificazioni informazionali, parziali nel loro specifico, ma ricostruite in maniera globale ed oggettiva alla realtà dai lobi frontali dove, attraverso le afferenze sensoriali, arrivano tutti i messaggi . La realizzazione di risposte diverse ed integrate da parte dei due emisferi cerebrali concretizza nel tempo e nello spazio lo sviluppo dell’Io cosciente (individualità della persona) 6 Il cervello umano con i suoi due emisferi elabora ed integra dinamicamente le afferente sensoriali per la realizzazione dell’Io cosciente. L’Io cosciente psicologico si concretizza prevalentemente nell’emisfero sinistro, ma ciò non deve farci pensare che tale coscienza è la nostra realtà oggettiva, poiché contemporaneamente abbiamo un tipo di processo di elaborazione dell’informazione che non sempre riusciamo a concretizzare in coscienza psicologica . Tale elaborazione avviene nel nostro emisfero destro e mette in risalto ciò che comunemente chiamiamo ‘sensitività superiore ’. Possiamo oggi godere della nostra esistenza se permettiamo un’integrazione oggettiva tra elaborazione sensitiva dell’emisfero destro e conseguente concretizzazione logica nell’emisfero sinistro . Quando la sensazione viene trasformata in logica analitica si verifica un sinergismo che possiamo identificare come ‘gioia’ o ‘sofferenza’ di tipo ‘superiore’, rispetto al processo di interazione a Stimolo/Risposta che crea piacere temporaneo o angosce, ansie e tensioni . Sintetizziamo come dell’apprendimento: segue la neuropsicofisiologia 1. l’input sensoriale raggiunge le aree specifiche dei due emisferi cerebrali; 2. l’emisfero sinistro associa tale input per analogia al modello precostituito mnemonicamente e conseguentemente formula una risposta in base alle richieste dell’informazione ricevuta; 3. l’emisfero destro identifica l’input in una propria costruzione integrativa, da cui ricava una risposta concettuale e creativa che scompone in codici stimolativi da proporre, attraverso le connessioni interemisferiche, alle 7 strutture neurologiche dell’emisfero sinistro, le quali, guidate da tali impulsi, ricostruiscono la risposta logica proposta dall’emisfero destro, concretizzandola con una verbalizzazione od altra forma espressiva di tipo manuale o di altro genere. Il sinergismo emisfero destro – emisfero sinistro richiede delle latenze abbastanza lunghe rispetto alle latenze del solo emisfero sinistro ed infatti nella maggior parte dei casi si verifica una risposta reattiva del solo emisfero sinistro . La creatività, la saggezza, l’altruismo possono verificarsi esclusivamente con una risposta sinergica . L’Io cosciente utilizza tutto lo spettro energetico delle informazioni, che arrivano attraverso i cinque sensi codificate in maniera formale e sostanziale dai due emisferi cerebrali (aree prefrontali e prefrontali) e ne rappresenta la guida sostanziale, il pilota che decide di revisionare, positivizzare, modificare il proprio vissuto mnemonico (emisfero sinistro) in funzione di un presente che l’emisfero destro rileva nella sua oggettività . Di conseguenza l’Io imparerà ad esprimersi nella sua genialità, con ragionamenti, progetti, azioni utili all’evoluzione del proprio esistere, in ogni momento della vita fino alla morte : tappa, quest’ultima, che fa parte di un processo dinamico ( infanzia, adolescenza fase adulta, anzianità ) attraverso cui l’energia biologica e l’energia psicologica si trasformano . Essere se stessi e quindi protagonisti coscienti della propria vita comporta la conoscenza di come il proprio cervello “lavora”. Se l’essere umano fin da bambino è messo in condizione di attivarsi nelle sue potenzialità 8 biologiche sviluppando la coscienza di quanto apprende e vive, egli imparerà gradualmente a riconoscersi nel proprio Io, con le sue emozioni, razionalità, creatività, e a stimarsi con autodeterminazione e chiarezza . In sintesi il bambino utilizzerà con coscienza la propria energia ( l’Io cosciente ) nel momento in cui imparerà a comprendere la Vita nel suo dinamismo . Questa costruzione e consapevolezza non invecchia . Purtroppo, a forza di sottoporre l’essere umano a stimoli condizionanti abbiamo separato la funzionalità dei suoi due emisferi cerebrali, destro e sinistro, abbiamo dissociato l’essere dal suo Io, quell’Io che dovrebbe usare entrambi gli emisferi per continuare a crescere in coscienza e conoscenza . ( www.neuropsychophysiology.org.) Nel corso dell’evoluzione biologica, il cervello si è perfezionato a partire da due piccoli bulbi che si sono uniti per costituire il primo abbozzo degli emisferi cerebrali . Il cervello ha acquisito nella specie umana un volume e una differenziazione straordinari. La corteccia cerebrale, formata da circa 10 milioni di neuroni, è pieghettata, e forma delle circonvoluzioni separate da fessure e da solchi. Si trovano, nelle diverse regioni strutture specializzate nella percezione del mondo esterno, nel linguaggio, nella memoria, nella sensibilità e nella motricità. Gli studi sulla complessità dei circuiti cerebrali hanno tuttavia messo in evidenza il coinvolgimento di altri punti del cervello in funzioni definite, quindi in realtà si vede, si parla e si ascolta con tutto il cervello . La neurodinamica ha sviluppato vari studi inerenti le emozioni definendo il sistema limbico ed in particolare l’ipotalamo come il centro interessato alle emozioni, all’istinto . La corteccia cerebrale e neoencefalica inibisce l’insieme delle strutture che 9 costituiscono il cervello primitivo, sede delle funzioni automatiche, viscerali, dell’affettività, del desiderio sessuale, della fame e degli altri istinti . Questo complesso, che è separato tramite una fessura dagli altri lobi, è stato denominato “archeoencefalo” o “cervello primitivo”. La corteccia cerebrale integra la percezione del mondo esterno . Essa è la sede del pensiero, della coscienza e della riflessione, controlla l’attività motoria volontaria e coordina anche quella viscerale . Queste brevi considerazioni permettono di comprendere i diversi livelli di partecipazione neurologica coinvolti nella danza, in cui certi movimenti sono ordinati a partire dalla corteccia, perfettamente controllati dalla volontà e guidati dal pensiero, mentre altri, al contrario, sono legati agli impulsi e si impregnano di affettività e di emozione . Le ricerche attuali sulle funzioni cerebrali indicano una differenza di attività tra i due emisferi cerebrali che sono collegati tra loro dal corpo calloso. L’emisfero sinistro è la sede del linguaggio così come pure di tutte le operazioni che richiedono un ordinamento lineare nel tempo; anche il pensiero analitico e le funzioni razionali e cognitive dipendono da questo emisfero, che tende perciò a discriminare più che a percepire le somiglianze . L’emisfero destro è specializzato nei processi e negli ordinamenti che non sono lineari, ma spaziali : per esempio la geometria, la morfologia, le funzioni non verbali, tattili, la coscienza musicale, la percezione artistica, la similitudine, la poetica . L’emisfero destro sarebbe dunque la sede delle funzioni unificanti, integranti, il luogo della dissoluzione delle differenze, della percezione gestaltica . Le attività in cui predomina questo emisfero sono per esempio ascoltare la musica, modellare dei materiali, danzare . In una danza che abbia l’obiettivo di introdurre e sostenere in un percorso di ricerca della propria anima si sviluppa un’attitudine 10 mentale per cui le diverse funzionalità cerebrali possano essere arricchite e integrate, a partire dall’introduzione teorica iniziale, che accompagna ogni esperienza, e che trova nella ricerca dei movimenti armonici, creativi e di gruppo, una prima forma sintetica, orientata dal Ritmo verso la Bellezza . Tutta l’attività creativa è collegata all’emisfero cerebrale destro, che è l’emisfero del linguaggio non verbale, dell’intuizione, dell’immaginazione, delle metafore, della musica, della danza . Il sistema integratore-adattivo limbico-ipotalamico comprende strutture diencefaliche, subcorticali e corticali, che svolgono funzioni di regolazione dell’ambiente interno attraverso l’integrazione con i sistemi neurovegetativo e neuroendocrino . Nello stesso tempo operano la selezione e il rafforzamento delle risposte appropriate agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno in relazione con l’autopreservazione e la preservazione della specie . Il sistema integratore-adattativo limbicoipotalamico è strettamente legato all’espressione degli istinti, di quell’energia che Rolando Toro “vivencia”, delle emozioni e degli affetti . Esso contribuisce al consolidamento di modelli di comportamento e influisce sulla corteccia cerebrale attraverso le sue connessioni neocorticali . Il lobulo limbico possiede due importanti componenti, che sono l’ippocampo e l’amigdala cerebrale . Esperienze mistiche e stati di estasi si sono verificati grazie alla stimolazione della parte media superiore di questo lobulo . Il sistema limbico-ipotalamico comprende dunque le formazioni neurologiche corrispondenti alla sfera del comportamento adattativi, dell’istintività, dell’affettività . Risulta particolarmente interessante considerare quello che sappiamo a proposito del collegamento tra il cervello e la danza Queste brevi considerazioni permettono di comprendere i diversi livelli di partecipazione neurologica coinvolti nella danza, 11 in cui certi movimenti sono ordinati a partire dalla corteccia, perfettamente controllati dalla volontà e guidati dal pensiero, mentre altri, al contrario, sono legati agli impulsi e si impregnano di affettività e di emozione . I movimenti danzati compiuti in silenzio, con gli occhi chiusi e tramite movimenti lenti, comportano il rallentamento dell’attività visiva e della motricità volontaria, per consentire una maggiore espressione degli impulsi limbico-ipotalamici . (La danza e le funzioni cerebrali - Testi a cura dell'Associazione Dhyana) iscrnot@italiadon Iscrizione New sg http://w w w .italiad DOPO QUESTI PRESUPPOSTI … QUALCHE DOMANDA … Quale metodologia favorisce l’unicità e l’irripetibilità del bambino, nella gestione cosciente di sé stesso e del proprio cervello ? Quale metodologia insegna al bambino a diventare ricco di saggezza e conoscenza, mettendo in discussione le informazioni che non “sente” giuste e ad esprimere le sue perplessità senza paura di essere penalizzato? Lo sport, la danza, ecc., cioè un attività motoria coordinata di tutte le funzioni inerenti al sistema piramidale ed extrapiramidale, nonché una buona nutrizione, mantengono un equilibrio somato-motorio che permette alle nostre funzioni psicologiche superiori di utilizzare un corpo che risponde rapidamente a tutte le esigenze creative e psicologiche . Non si può prescindere quindi dall’inserire nell’apprendimento educativo metodologie adatte che facciano crescere l’individuo 12 sano, forte e scattante. Inoltre la realizzazione gnoseologica creativa deve sempre tener conto della sanità e dello sviluppo nonché delle possibilità di utilizzazione del proprio corpo . Pertanto l’uomo deve essere preparato fin dalla nascita ad una globalità di sviluppo costruendo una coscienza che risponda a tutte le esigenze a cui dovrà far fronte . Riteniamo comunque che tutti gli esami di laboratorio e gli studi sulla biochimica del comportamento sono di grande utilità per meglio identificare e conoscere le specifiche aree cerebrali relative ai processi comportamentali, nonché a quelli biochimici relativi a specifici stimoli sensoriali . NEUROPSICOLOGIA La Neuropsicologia è assurta, in questi anni, ad essere una delle componenti più importanti di quelle che vengono definite “Neuroscienze”. Si interessa soprattutto della costruzione di modelli mentali (architetture funzionali) che rappresentano le principali funzioni del cervello. Non meno importante è la sua funzione di ricerca di metodi di indagine che permettono di chiarire i processi mentali . Essa si pone principalmente due obiettivi : primo, capire il funzionamento normale del cervello; secondo, offrire di conseguenza all’ambito clinico, dei modelli di riferimento che inquadrino le osservazioni . Modelli che elevino a livello di spiegazione delle semplici descrizioni e che soprattutto permettano la scelta di pattern riabilitativi che tengano conto del modello teorico stesso . Ogni blocco ed ogni collegamento della “architettura funzionale”, non nasce, perciò, 13 da speculazioni astratte, ma viene ricavato da osservazioni su pazienti o attraverso test mirati somministrati a soggetti normali . La plasticità del cervello è ora confermata anche nell’ adulto . Le riabilitazioni cognitive (memoria, attenzione, percezione, linguaggio, motricità fine) che avvengono dopo traumi di vario genere alle cellule che compongono la materia cerebrale, hanno cominciato a far supporre che il cervello umano adulto avesse una sua plasticità ( cioè la possibilità di modificarsi anche in età adulta ) . Recenti ricerche fatte su mammiferi superiori (vedi ad esempio Jenkins et Altri, 1990 con i primati e Ungerleider, 1994 con l’uomo), hanno dimostrato che in effetti un iperallenamento di una particolare struttura ne modifica ed amplia la sua rappresentazione a livello di corteccia cerebrale ( è l’assunto di corrispondenza che trova conferma ) . Avere una maggior rappresentazione ne consegue come minimo che tale funzione specifica ha a disposizione più risorse per essere eseguita e, in caso di danno, avrà più facilità ad essere recuperata . Inoltre, si è visto; proprio nel caso del recupero; come funzioni parzialmente distrutte a livello cerebrale vengano recuperate attraverso l’uso mirato (allenamento specifico solo per quella funzione in base all’assunto di modularità . vedi Fodor 1973). Sembra che, a livello cerebrale, i neuroni residui compensino il danno con l’aumento delle loro connessioni ( tecnicamente si dice “sprou-ting”, da germogliare). Quello che è importante sapere che anche in età adulta vi è la possibilità di recuperare ( nel caso del trauma ) o di potenziare ( nel caso del soggetto sano che si allena ) determinate funzioni attraverso l’uso mirato . I trattamenti neuropsicologici che sono indicati nel recupero in età evolutiva ( ad es. disturbi di apprendimento, dell’attenzione 14 ecc..), in età adulta ( ad es. traumi cranici ), negli anziani ( ad es. contenimento malattie cerebrali degenerative ), sono anche utilizzati nel potenziamento di soggetti normali (ad es. sportivi ). Sia per il potenziamento che per il recupero vi è una funzione che comunque deve essere messa in gioco : quella attentiva. Quindi prima di procedere cerchiamo di capire almeno parzialmente che cosa sia l’attenzione (Benso). Il termine generico di Attenzione ha ricevuto dalla fine degli anni ‘80 molte puntualizzazioni, tanto che tale termine da solo, oggi, non ha molto significato. In neuropsicologia si parla di Attenzione sostenuta, orientata spazialmente, focalizzata, selettiva, distribuita; l’Attenzione può distinguersi per modalità (visiva, uditiva, etc..), può essere volontaria od automatica, rivolta verso l’esterno o verso l’interno . La prima rassegna completa in italiano sull’Attenzione la troviamo in Umiltà [1994] . Tutte queste componenti attentive non sono frutto di speculazioni, ma di acute osservazioni sperimentali, fatte in ambito neuropsicologico, su pazienti lesionati e su soggetti normali utilizzando opportuni test . Inoltre, nel campo della riabilitazione, come è chiaramente riportato dal Manuale di Neuropsicologia a cura di F. Denes e L. Pizzamiglio [1996], i pazienti hanno ricevuto beneficio dal training di recupero solo ed esclusivamente quando questo teneva conto della distinzione gerarchica dei vari aspetti attentivi (vedi Sohlberg M.M. & Mateer C.A. [1987]) . Recenti ricerche sembrano confermare l’efficacia di questi tipi di training in molte patologie psiocomotorie e psicocognitive anche in età evolutiva . Possiamo considerare l’attenzione come una funzione che regola l’attività dei processi mentali filtrando ( a diversi livelli del processo ) e organizzando le informazioni provenienti dall’ambiente allo scopo di emettere una risposta adeguata . Distinguiamo i vari tipi di 15 attenzione facendo un esempio molto semplice : immaginiamo di essere in una piazza con molte confluenze stradali ad aspettare un taxi giallo, non sappiamo da dove potrà arrivare, perciò rimaniamo vigili su ogni possibile direzione . Questa disposizione si chiama di attenzione distribuita; in questa fase l'individuo controlla l'intero campo attentivo, in attesa di uno stimolo che provochi il Riflesso di Orientamento (Sokolov, 1973) . Quando appare qualcosa, nel nostro caso, una macchina, la nostra attenzione si orienta verso l'oggetto, questo secondo tipo di processo è detto: fase di orientamento dell'attenzione (Posner, 1980) . A questo punto dobbiamo decidere se la macchina che è entrata nel nostro spazio visivo è gialla ed eventualmente, se su questo giallo vi è scritto taxi ; dobbiamo quindi focalizzare l’attenzione sull`oggetto e selezionare gli indizi e le caratteristiche percettive necessarie per capire se l'oggetto corrisponde oppure no a quello cercato. Si sovrappongono in questo caso, due processi: quello di focalizzazione dell'attenzione e quello di selezione dell'attenzione (Benso et Altri, 1998). L'attenzione inoltre può essere ancora distinta in automatica o volontaria (Turatto et Altri, 1999), rivolta verso l’esterno o verso l’interno. Per effettuare senza interruzione tutti questi processi bisogna essere svegli (Arousal) e avere una certa capacità di Attenzione Sostenuta . Il Riflesso di Orientamento è automatico, ma se vogliamo mantenere attiva l'attenzione, ad esempio per approfondire ulteriormente lo stimolo dopo circa 250/300 ms. deve intervenire l'attenzione volontaria, in tal caso si può parlare anche di attenzione sostenuta . Nei bambini con deficit di attenzione, sembra verificarsi un`incapacità di mantenere volontariamente l'attenzione sostenuta su qualcosa di poco stimolante per loro . 16 BIBLIOGRAFIA : Anochim P.K., Bernstein N. A. e Sokolov E. N. (1973). Neurofisiologia e Cibernetica. Ubaldini Roma Baddeley, A. [1986]. Working memory. Oxoford: Clarendon Press. -trad.ital.- [1990]. La memoria di lavoro. Milano: Cortina. Denes, G, e Pizzamiglio L. [1990]. Manuale di neuropsicologia: normalità e patologia dei processi cognitivi. Bologna: Zanichelli. Mass.: The MIT Press.- trad. Ital.- [1988]. La mente modulare. Bologna: Il Mulino. Shallice T. [1988]. From neuropsychology to mental structure. Cambridge: University Press. - trad. ital- [1990] Neuropsicologia e struttura della mente. Bologna: Il Mulino Umiltà C. [1994] Attenzione e Coscienza in Manuale di Psicologia Generale a cura di P. Legrenzi. Bologna Il Mulino. 4 J. Dewey, Democrazia ed educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1965, Rita Minello – Rete Scuola a Colori di Montebelluna 4° intervento: fenomeni di bullismo – 28 febbraio 2007 Bernabei P., Romani M. & Levi G., ADHD: sintomo o sindrome? in Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 1995, Bigozzi L., L’intervento metacognitivo nel deficit di attenzione: un caso felice, in Psicologia Clinica dello Sviluppo, 2001, 5, Bloch V., I livelli di vigilanza e l’attenzione, Erickson, Trento 1966 Boole G., Analisi matematica della logica, 1847, in Malusa L. (a cura di) Forme del sapere filosofico, CUSL, Genova 1994, Bruner J.S., Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, Armando, Roma,1998 Sternberg R. J. (1996). Stili di pensiero. Trento, Erickson. 17 ATTENZIONE L’attenzione che è la capacità di focalizzare gli stimoli presenti nell’ambiente esterno e di organizzare risposte appropriate, è l’anello da cui hanno origine i processi cognitivi di ordine più complesso, le emozioni e i comportamenti. Essa è pertanto un processo basilare per lo sviluppo del pensiero (perché possiamo imparare a discriminare, generalizzare, rendere elastici gli apprendimenti stessi attraverso le operazioni della logica ) e per la sopravvivenza stessa dell’individuo . Purtroppo non sempre il funzionamento dell’attenzione è normale : in alcuni casi livelli di i vigilanza sono così alti che i soggetti rischiano di interpretare segnali neutri come importanti, in altri, viceversa, i livelli di vigilanza sono molto bassi e la soglia di ricezione troppo alta, con il rischio che stimoli anche rilevanti siano percepiti come neutri o non siano selezionati del tutto . Sulla scia di James si possono distinguere nell’a. vari aspetti, in base a tre momenti costituenti: quello dell’attesa, quello dell’osservazione, quello della riflessione . Nell’attenzione aspettante (Callieri, 19 81, sull’attesa) l’individuo si prepara all’azione, la quale è sempre subordinata al verificarsi di certe condizioni attese ( ad es. il cacciatore che attende al varco lo spuntare improvviso e fugace della lepre ) . Nell’attenzione osservante il soggetto non prende parte alla vicenda ma la segue con interesse, è uno spettatore in toto, nessun particolare gli sfugge, la sua capacità di “cogliere” (la sua Auffassung ) è piena ; riesce a mantenere a fuoco la 18 scena anche a lungo, pur se con qualche oscillazione . Qui il livello dell’interesse si rivela essenziale, e le motivazioni sono determinanti . Quest’ambito ci permette di intendere bene anche il significato modale dell’attenzione oscillante ( ad es. negli stati di perplessità di titubanza, di intensa stanchezza, di leggero assopimento ) e di quella di mantenimento ( ad es. nella guida di un automezzo in un lungo rettilineo poco trafficato ) L’attenzione riflettente si esercita appartenente all’esperienza interiore, su di un oggetto oggetto verso cui si tende come verso un fine, oggetto su cui si concentra appieno l’attività mentale : ad es. nel training autogeno, nella meditazione trascendentale, nella soluzione di un problema di matematica, di una questione filosofica, nell’esporre in pubblica seduta un proprio pensiero in fieri, nell’esercizio ascetico e in molte dimensioni contemplative . Vi sono numerose prove che consentono di affermare che l’essere attenti rende più consapevoli, più chiari e più vivaci i vari stati mentali, proprio per l’attivazione della cosiddetta “capacità di concentrazione”. Accanto e prima dell’inquadramento del processo attentivo nell’ambito della psicologia cognitiva e delle attuali conoscenze cibernetiche (cfr., particolarmente per l’attenzione selettiva, Ceccato, Broadbent, Treisman e soprattutto Richard Jung) va ricordato il pensiero anticipante di Freud (in vol. Iº, 1977, Boringhieri), che descriveva l’attenzione come la risultante di una serie di circuiti situati gerarchicamente fra la percezione e l’idea del desiderio (anzi, l’idea del desiderio di aver desideri): la differenza tensionale fra queste due componenti di origine al 19 processo di pensiero e alla catexi (investimento) attentiva. Conclude dunque Freud che una sensazione diventa cosciente solo attraverso l’intervento dell’attenzione . Cose importanti hanno qui detto anche Moray (1969) e poi Mostofsky (1970) . Silvio Ceccato ben più recentemente, muovendo da una teoresi nettamente cognitiva, perviene a dire la stessa cosa quando afferma che il meccanismo dell’attenzione è alla base del pensiero: esso interviene sullo stimolo con un “ruolo di frammentazione” tale da trattenere l’impulso, allungare il tempo di esposizione dello stesso all’osservazione, per poterne quindi affermare l’essenza e il divenire stesso nel pensiero . Altrettanto mi sembra possa dirsi del concetto di Sokolov, della scuola riflessologica pavloviana, che intende l’attenzione come un comportamento orientativo in atto ogni qualvolta compare una discrepanza fra un’informazione attuale e un precedente modello di orientamento . In definitiva possiamo oggi dire che la sperimentazione psicofisiologica più recente, pur approfondendo le nostre conoscenze sulle basi fisiologiche e neurali dell’attenzione (Kandell e coll., 1991, pag. 1135), ha rivelato la complessità terminologia di questo che si processo, discosta da introducendo quella della però una psicologia tradizionale, aprendosi invece largamente ad una ripresa del discorso husserliano: tenacità dell’intenzione, vigilanza, attenzione sostenuta, attenzione selettiva (Garmezy, 1977) Recentemente è stato proposto (Mateer e Sohlberg, 1988) un modello che considera la complessità multidimensionale dell’attenzione: a. focale, a. sostenuta, a. selettiva, a .alternata, 20 a. divisa (capacità di risposta simultanea a compiti differenti) . Anche per 1’ a. va comunque conservato il concetto di fenomeno psichico che intenziona un oggetto, “fenomeno “ che può esser sostituito, husserlianamente, dal concetto di “vissuto”. L’attenzione e la cosa da essa messa a fuoco costituiscono un’unità immediata, Husserl qui avrebbe detto “un’unica, concreta cogitatio”. Il mondo è relativo ad una coscienza che, tramite l’attenzione come suo motus a priori, dà senso alle cose esperite . Va sempre tenuto presente, con Jaspers, che la vita psichica “non è un agglomerato di singoli fenomeni isolabili ma un insieme di relazioni in continuo svolgimento” cui è compito dell’attenzione fornire l’accesso . Nell’atto di attenzione, direbbe il Binswanger della Phaenomenologie, 1922, io sono diretto verso un oggetto, mi rapporto ad esso, nella sua singolarità e nella sua articolazione mondana, ed ho così la possibilità di percepire, dunque di esistere (seguendo qui dappresso Heidegger, nei Seminari di Zollikon): l’a. sorregge e predispone l’affacciarsi dell’individuo al mondo (mondo interno, mondo vissuto, mondoambiente) . Se vogliamo davvero esperire il mondo e con-prenderlo, dovremo pur anche scorgere nell’attenzione, e nel nostro tentativo di coglierne le modalità del darsi, il peso determinante della cultura fenomenologica . In tal senso l’attenzione entra a far parte, proprio come momento costituente, del mondo della cultura; e anche del mondo psicoterapeutico, sia per far riemergere e dilatare i ricordi e, in generale, la dimensione mnestica, anche quella mnemotiva (di particolare rilievo per gli anziani la “lebenssituative Relewanz”, 21 di Wieck), sia per far apprendere al paziente il riutilizzo della propria attenzione per esercitare l’autocontrollo e per illuminare i recessi più oscuri, nascosti o ignoti della sua coscienza, della sua consapevolezza storica e situazionale (cfr. anche R. Rossi, 1989). Ancilli E. (ed.) - La mistica: fenomenologia e riflessione teologica. Roma, Città Nuova,1984. Bazzi T., Giorda R. - I1 Training Autogeno. Roma Città Nuova 1979. Benedetti G. - Neuropsicologia. 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Anche in presenza di infezioni del sistema nervoso centrale, di abuso di sostanze o esposizione a sostanze tossiche possono rilevarsi disturbi dell’attenzione . 23 I disturbi attentivi possono essere suddivisi in tre grosse categorie, in base alla specifica capacità attentiva che diviene deficitaria . . 1 – DISTURBO DELL’ATTENZIONE SOSTENUTA L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere l’attenzione su stimoli target per un protratto periodo di tempo. Gli stimoli target possono essere stimoli visuo-spaziali e uditivoverbali. SEDE DI LESIONI: prevalentemente a carico dell’emisfero destro, che appare più abile, rispetto al sinistro, nel protrarre l’attenzione per lungo tempo (Dimond, 1980); corteccia prefrontale e parietale posteriore, lobo temporale. 2 – DISTURBO DELL’ATTENZIONE SELETTIVA L’attenzione selettiva è la capacità che permette di concentrarci su uno o più stimoli target selezionandoli tra altri stimoli distrattori o tra informazioni in competizione tra loro. Gli stimoli target possono essere stimoli visuo-spaziali e uditivoverbali. SEDE DI LESIONI: lobo frontale sinistro, asse tronco-talamofrontale. Nei casi di deficit di attenzione selettiva spaziale (neglet), le lesioni sono prevalentemente a carico del lobo parietale destro. 3 – DISTURBO DELL’ATTENZIONE DIVISA L’attenzione divisa è la capacità di prestare attenzione ed 24 elaborare diverse contemporaneamente informazioni che si presentano . SEDE DI LESIONI: prevalentemente diffuse, con una maggiore estensione a carico dell’emisfero destro; lesioni del corpo calloso, del lobo frontale e parietale. (Dott.ssa Claudia Iannotta (Psicologa Ipnologa Psicoterapeuta CognitivoComportamentale Perfezionata in Neuropsicologia e Psicodiagnostica Forense) e-mail (personale) : [email protected] e-mail (servizio) : [email protected] Sito aziendale : www.ausl.pe.it Settore Dipartimenti e Servizi Tutela della salute nelle attività sportive APPRENDIMENTO - MEMORIA La costruzione interattiva della conoscenza - di Paolo Chellini Dal momento della nascita tutta la vita rappresenta un apprendimento che avviene in modo semplice e continuo, attraverso interazioni a diverso livello di complessità con l'ambiente che ci circonda. Il concetto di apprendimento si riferisce al manifestarsi di un cambiamento nel comportamento di un soggetto di fronte a una data situazione, per il fatto che 25 quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente, ammesso che il cambiamento del comportamento non possa essere spiegato con tendenze innate alla risposta, maturazione o stati temporanei del soggetto (fatica, droghe ecc.). In altre parole, l'apprendimento è l'insieme di quei cambiamenti relativamente stabili nel comportamento che sono la conseguenza delle passate esperienze e hanno per lo più una funzione adattiva per l'organismo . L'apprendimento deriva dall'esperienza all'interno di un dato contesto di vita, che si caratterizza come l'insieme di eventi tipici di quella particolare situazione : quindi la sorgente del cambiamento va ricercata nella relazione con l'ambiente, cioè in quella somma totale di stimoli che l'individuo riceve e a cui risponde, dal concepimento fino alla morte . L'organismo e l'ambiente sono perciò immersi in un accoppiamento strutturale capace di determinare, sia nell'uno, sia nell'altro, una serie di perturbazioni che nella loro dinamica, possono modificare l'espressione ontogenetica del loro divenire . L'epistemologo cibernetico Gregory Bateson in un suo famoso saggio " Le categorie logiche dell'apprendimento e della comunicazione", definisce l'apprendimento come divisibile in livelli gerarchici (i livelli logici dell'apprendimento), aventi tra se una relazione circolare a sviluppo progressivo . In altre parole, ad un apprendimento iniziale dato dal patrimonio genico dell'individuo, nel corso dell'ontogenesi dell'organismo si evidenzia un aumento di complessità cognitiva capace di contrapporsi agli automatismi codificati geneticamente, fino allo sviluppo di una complessa funzione autoriflessiva che mette il soggetto in grado di discriminare i contesti di vita, aumentando così la sua plasticità alle richieste dell'ambiente . Bateson a questo proposito, ipotizza una funzione dell'organismo 26 che ha denominato "Deutero Apprendimento", cioè una capacità di apprendimento di tipo superiore in relazione al processo di adattamento contestuale, cioè un imparare ad imparare . Bateson scrive:"Ora accade che nei laboratori di psicologia si verifica comunemente un fenomeno di un grado di astrazione o generalità alquanto maggiore di quelli per lo studio dei quali sono stati progettati gli esperimenti . E' luogo comune che il soggetto sperimentale, sia esso uomo o animale, diventa un miglior soggetto dopo ripetuti esperimenti . Egli non solo apprende a salivare ai momenti opportuni o a recitare le appropriate sillabe senza senso, ma anche, in qualche modo, apprende ad apprendere Non solo risolve i problemi postigli dallo sperimentatore e che singolarmente sono problemi di apprendimento semplice, ma al di là di questo egli diventa sempre più capace di risolvere i problemi in generale" . La capacità di ricordare Quell'insieme di eventi interni dell'organismo che nel loro insieme vengono definiti con la parola apprendimento, nel linguaggio comune ma anche nei più recenti manuali di psicologia generale, vengono raggruppati all'interno della "parola" memoria Per memoria si intende la capacità un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri . La funzione con cui si esprime la memoria è il ricordo la cui scomparsa determina l'oblio . Con i termini memoria a breve termine, memoria a lungo termine, memoria episodica e memoria semantica, memoria dichiarativa e memoria procedurale, memoria immaginativa e memoria verbale, non si intende tanto magazzini differenti di memoria o di parti distinte della nostra memoria, si evocano piuttosto "aspetti" con 27 cui si rivela la nostra memoria . Col termine memoria a breve termine si indica una forma di conservazione che dura poche decine di secondi ; se il suo contenuto non viene trasferito in un archivio più "resistente", ovvero nella memoria a lungo termine, viene perduto . Tulving ha distinto una memoria episodica e una memoria semantica, perciò secondo questo autore, uno stesso stimolo può essere un "episodio", oppure qualche cosa che viene assimilato a molte altre esperienze . Secondo Tulving, nella memoria episodica vi sono conoscenze su oggetti ed eventi riferibili a un momento preciso in cui un individuo le ha acquisite La memoria semantica è svincolata, invece, dai riferimenti ad esperienze individuali e contiene un insieme di proposizioni che sono condivise da più individui . Questo tipo di conoscenza sarebbe organizzato in reti in cui proposizioni diverse sono interconnesse tra di loro spesso in modo gerarchico (uno dei primi modelli a rete gerarchica della memoria semantica fu quello di Collins e Quillian) . La memoria semantica è spesso intesa come sinonimo di rappresentazione e organizzazione delle conoscenze nella mente umana . La conoscenza dichiarativa è qualcosa di simile alla map knowledge, mentre è tipicamente procedurale la route knowledge . Per le conoscenze preposizionali e immaginative, ci sono dati sperimentali che dimostrano che le nostre elaborazioni cognitive si avvalgono sia di una forma di rappresentazione spaziale e visiva, sia di una forma preposizionale, cioè una serie di descrizioni sulle relazioni tra oggetti ed elementi ( ad esempio, la proposizione "Il libro sta sul tavolo" descrive la dislocazione nello spazio dei due oggetti libro e tavolo e questa descrizione è il fondamento dell'immagine relativa) . I modelli teorici 28 della memoria Tra i primi modelli che concepivano la mente come una struttura a stadi, ebbe una notevole influenza il modello di Atkinson e Shiffrin sui due stadi della memoria (memoria a breve termine e memoria a lungo termine) preceduto da un magazzino di registrazione dell'informazione sensoriale . Tale modello fu criticato da Craik e Lockhart (1972) nella loro nuova proposta dei "livelli di elaborazione". La "forza della memoria" e la prestazione nei compiti di memoria sarebbe dipesa da quella che fu definita la "profondità" di elaborazione dell'informazione piuttosto che dalla sua ripetizione continua . Ad un livello superficiale di elaborazione (analisi delle caratteristiche fisiche) sarebbero seguiti i livelli più profondi (fino all'analisi semantica) . Su questa linea è possibile inserire la teoria della doppia codifica di Paivio . Questa sostiene che i processi cognitivi operano attraverso due modi distinti anche se interagenti : da una parte un sistema non verbale, immaginativo, e dall'altra un sistema verbale specializzato . Paivio mise in evidenza nei suoi esperimenti che l'informazione verbale relativa ad oggetti concreti, facilmente immaginabili, come ad esempio "coniglio", è trattenuta in memoria in misura maggiore dell'informazione verbale astratta, difficilmente immaginabile, come ad esempio "virtù". Le parole a carattere immaginativo traggono il loro vantaggio dalla doppia codifica cui sono sottoposte (immaginativo e verbale), mentre le parole astratte, a carattere non immaginativo, sono ricordate in misura minore essendo state codificate solo con il codice verbale . I modelli connessionistici derivanti dalle reti neurali propongono l'ipotesi sub-simbolica della conoscenza, secondo questi modelli nella memoria non si troverebbero simboli immagazzinati, ma pattern di attivazione capaci nel loro incontro con la realtà esterna all'organismo di ricreare l'esperienza del ricordo nelle 29 sue manifestazioni simboliche . In altre parole, la memoria di un evento o cosa verrebbe ricreata ad hoc, tutte le volte che se generi la necessità . Comunicazione e linguaggio Negli anni sessanta il gruppo di ricerca di Palo Alto studiò e definì la funzione pragmatica della comunicazione, cioè la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l'esperienza linguistica (intesa sia nella sua forma verbale, sia nella sua forma non verbale) . Gli autori definirono gli assiomi della comunicazione (l'impossibilità di non comunicare, livelli comunicativi di contenuto e di relazione, la punteggiatura della sequenza di eventi, comunicazione numerica e analogica, interazione complementare e simmetrica), producendo una griglia di lettura capace di spiegare una serie di effetti emergenti dall'interazione relazionale, all'interno dei vari contesti di vita . Negli anni novanta la ricerca ha dato sempre più importanza alla funzione linguistica umana, oggi è largamente accettata l'idea che il bambino già al momento della nascita è immerso attivamente in un universo di relazioni comunicative con le figure di riferimento . Molti studi convalidano l'idea che la nostra coscienza, o meglio la nostra autocoscienza, nasce dalla funzione linguistica all'interno delle relazioni strutturate in cui siamo immersi nel nostro quotidiano . H. Maturana nel suo libro "Autocoscienza e realtà" scrive : Noi esseri umani siamo sistemi viventi che esistono nel linguaggio . Questo significa che benché esistiamo come esseri umani nel linguaggio e dunque i nostri domini cognitivi (domini di azioni adeguate) hanno luogo nell'agire linguistico, questo agire linguistico si attua attraverso il funzionamento come sistemi viventi . Il linguaggio è dunque una funzione che si evolve all'interno del nostro accoppiamento 30 strutturale con i nostri simili, in altre parole i partecipanti ad una conversazione nel loro agire linguistico producono delle distinzioni sulla realtà che vengono accettate e mantenute stabili finendo per essere trasformate in simboli consensuali che stanno al posto delle distinzioni consensuali operate dai comunicanti . Il fenomeno del linguaggio nasce dunque dalla coordinazione consensuale di azioni o distinzioni in un qualsiasi dominio contestuale . All'interno dell'agire linguistico gli oggetti sono coordinazioni consensuali di azioni che funzionano come simboli al posto delle coordinazioni consensuali di azioni che essi coordinano . Se usiamo la spiegazione biologica del linguaggio diventa evidente che l'agire linguistico, quando nasce, nasce come forma di coesistenza tra sistemi viventi . A questo proposito, Maturana ha coniato il neologismo lingueggiare, cioè l'atto biologico della definizione intersoggettiva comunicazionale . Quanto detto sopra, porta allo sviluppo di alcune considerazioni : l'agire linguistico è un fenomeno sociale, gli esseri umani si realizzano all'interno di un mutuo accoppiamento linguistico in quanto, i fenomeni come la coscienza e in senso più ampio la mente, si generano all'interno delle dinamiche interattive delle nostre coordinazioni consensuali che si esprimono all'interno del nostro lingueggiare . Le emozioni Oltre ad analizzare la funzione linguistica, che come abbiamo visto ha rappresentato nella specie umana, a seguito delle sue caratteristiche, un salto evolutivo esponenziale, è interessante per la complessità esplicativa richiesta per una appropriata spiegazione del fenomeno "conoscenza", spiegare brevemente l'esperienza emozionale . L'emozione è un pattern complesso di 31 modificazioni che includono un'eccitazione fisiologica, dei sentimenti, dei processi cognitivi e delle reazioni comportamentali in risposta ad una situazione che è percepita dal soggetto come importante per il mantenimento del proprio equilibrio e del proprio benessere . L'eccitazione fisiologica include : alterazioni neurali, ormonali, viscerali e muscolari . I sentimenti includono stati e tonalità affettive lungo l'asse buono-cattivo o l'asse positivo-negativo . I processi cognitivi includono interpretazioni, ricordi e aspettative dell'individuo, sia come contenuti, sia come modalità di "processare" cognitivamente il proprio rapporto con la realtà . Le reazioni comportamentali includono sia quelle espressive ( piangere, ridere), sia quelle strumentali (chiedere aiuto, fuggire, ecc.) . Da quanto detto sopra, consegue che l'agire linguistico è connotato emotivamente in quanto presenta una valenza emotiva per il soggetto che la esprime ed è, di per se, orientante all'azione . La parola presenta dunque, nel suo dominio di esistenza, un significato denotativo e uno connotativo . Il significato denotativo della parola è il concetto cui la parola si riferisce, ovvero la categoria di cose che la parola può indicare. Il significato denotativo, equivale alla somma totale delle idee condivise nella nostra cultura su quel che la parola rappresenta . Il significato connotativo, o emotivo (talvolta detto significato affettivo) di una parola riflette quel che sentiamo del concetto simbolizzato dalla parola . Le parole hanno significati differenti in contesti differenti . Quando le parole ambigue vengono usate nel contesto di una conversazione, viene in mente solo il significato appropriato . In generale, il fatto che la gran parte delle parole sono ambigue non causa alcun problema, dal momento che siamo in grado di usare il contesto per individuare 32 il significato appropriato . Le conclusioni Azione ed emozione sono dunque elementi fondamentali per una corretta comprensione della funzione linguistica, la coscienza nasce nel linguaggio che è un'azione connotata emotivamente in quanto atto biologico . Ne consegue che l'apprendimento di una data lingua è legato all'esperienza che l'organismo ha nel suo "essere nel mondo" e quindi, nel poter interagire con esso attraverso la coordinazione di azioni consensuali connotate emozionalmente e orientanti all'azione; in una ricerca continua dell'adattamento contestuale in funzione della conservazione della propria coerenza strutturale . In altre parole, noi esprimiamo noi stessi all'interno di una serie di ricorsività che emergono dal nostro agire linguistico . Il nostro senso autoriflessivo derivante dalle capacità funzionali del nostro sistema nervoso ci dota di quella possibilità che risulta capace di esprimere delle azioni attraverso dei simboli linguistici che una volta concatenati, noi riconosciamo come storie; storie che ci permettono di prevedere il flusso continuo della realtà in cui siamo immersi, in quello che è possibile dire essere solo... la nostra storia . 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Inoltre la memoria esplicita va suddivisa in breve e lungo termine . 7. MEMORIA IMPLICITA ED ESPLICITA Quella a breve termine è necessaria allo svolgimento di un lavoro, per cui viene definita memoria di lavoro o operativa . La memoria a lungo termine esplicita è necessaria alla costruzione di varie capacità . Nella memoria esplicita cosciente è compresa la capacità dichiarativa-autobiografica necessaria alla costruzione di varie funzioni (sensoriale-motoria, cognitiva e storica) e quella semantica (in cui al ricordo dell’episodio è associato il significato emotivo) . La memoria implicita inconscia è sempre a lungo termine, essa non è né esplorabile né verbalizzabile; comprende la memoria procedurale ( per es. l’acquisizione di un gesto sportivo o suonare strumenti musicali ) e quella affettivo-relazionale che costituisce la base del carattere soprattutto quella formatasi prima dell’acquisizione del linguaggio e della capacità ideativa ( primi anni di vita ) . La possibilità di alterare biologicamente un circuito neuronale e, quindi, di attivare la funzione della memoria, al fine di fissare 35 un’esperienza, è legata sia alla valenza emotiva ( qualità dello stimolo ), sia alla quantità ( durata e potenza della sollecitazione ) . La memorizzazione di un evento emotivamente intenso richiede un tempo breve , viceversa un evento meno significante necessita di un tempo di sollecitazione superiore . A livello educativo-didattico, questo assunto implica la necessità di attivare la curiosità e l’interesse dei ragazzi e di contenere un sentimento di noia, al fine di ottimizzare le possibilità di apprendimento di ciascuno (biologia dell’apprendimento ) . Vi sono quindi due passaggi nello sviluppo della memoria : prima si sviluppa la memoria procedurale, prassica, e poi si sviluppa la memoria dichiarativa, della consapevolezza . La memoria procedurale (che è anche la memoria della pronuncia di una lingua) acquisisce informazioni in maniera non consapevole, opaca all’introspezione, ed impara solo se non si sta attenti . Quindi, se non si è ancora sviluppata la memoria dichiarativa in un alunno, è inutile chiedergli memoria di episodi a livello dichiarativo . Risulta altrettanto controproducente (cioè fallisce l’attività) chiedere agli alunni il controllo delle loro azioni mentre svolgono un’attività prassica . E’ lo stesso motivo per cui non possiamo guidare l’automobile ragionando sui movimenti che compiamo . Per questi motivi l’apprendimento di una lingua straniera deve avvenire per immersione . Bisogna lasciare che la comunicazione in un’altra lingua abbia esordio spontaneo . Questo vale anche per l’aritmetica, quando i bambini si aiutano imparando numeri e calcoli con meccanismi e “tiritere”. Su questi passaggi 36 meglio non esigere consapevolezza perché è attiva la memoria procedurale, l’emisfero destro, e l’abilità è stata acquisita inconsapevolmente . Nel caso di alunni con ritardo mentale, generalmente colpiti nelle aree del linguaggio, questa memoria procedurale è una grande risorsa . Grazie alle capacità plastiche del cervello e alle specificità cognitive di questa memoria, diventa possibile insegnare loro abilità funzionali, cioè far acquisire quelle competenze quotidiane necessarie per una vita adulta abbastanza autonoma . Per agire nel modo opportuno gli insegnanti dovrebbero conoscerne il processo di sviluppo della memoria procedurale e della memoria iconica . Un intervento didattico mirato si preoccupa di sviluppare prima di tutto le competenze necessarie alla vita quotidiana . Se permettiamo a questi alunni di conservare una buona memoria iconica e percettiva, possiamo sviluppare poi le capacità di riconoscimento visivo e di decodifica . Possiamo cioè insegnare a riconoscere un pericolo, a leggere delle istruzioni o dei segnali, a riconoscere contesti e situazioni . La neuropsicologia ci fa sapere che l’apprendimento della lettura strumentale interferisce sulla memoria iconica, fotografica . Ecco cosa scrive Geschwind : “E’ interessante il fatto che la maggior parte dei bambini piccoli hanno una memoria iconica e fotografica persistente . Essa va però perduta quando cominciano ad imparare a leggere . Gli antropologi riferiscono che una memoria iconica persistente è molto più comune fra gli adulti in culture preletterate, società 37 in cui la gente non impara a leggere e a scrivere . L’apprendimento della lettura potrebbe interferire in qualche modo con la memoria fotografica .”(Geschwind, “Le basi anatomiche della differenziazione”, pag.145) Nel caso in cui l’età-mentale di un alunno di scuola primaria sia riferibile ai due anni (o meno) diventa difficile supporre l’apprendimento strumentale di lettura e scrittura, diventa necessario avere anche obiettivi didattici funzionali e integranti (per il significato di “obiettivo funzionale/integrante” si veda Cottini, op. cit.) . Con la motricità guidata si riesce cioè a “bypassare la funzione deficitaria attraverso la stimolazione di aree deputate alla stessa funzione dell’emisfero contro laterale producendo una risposta non casuale .” L’emisfero sinistro “Per stimolare l’attivazione di un’area dell’emisfero sinistro è necessario utilizzare come metodo l’associazione delle informazioni tra loro, per somiglianza, conseguenza, identità”. Esso dipende da emozioni, motivazione e subisce la paura bloccandosi.” L’emisfero destro : “La stimolazione dell’emisfero destro è sostanzialmente basata sulla differente percezione, elaborazione, risposta e latenza di risposta.” L’emisfero destro ha bisogno di informazioni con un corrispettivo reale, integrabili con i dati precedenti e di un tempo maggiore per dare risposta. Privilegia come canale la musica.” L’insegnante dovrebbe tenere conto della individualità delle reazioni, per esempio del blocco emotivo di chi è spaventato o dell’esigenza di un tempo più lungo di reazione in un mancino . Sulla dominanza di funzionamento del cervello sono stati documentati molti aspetti curiosi grazie all’uso della PET (tomografia a emissione di positroni) . Questa tecnica 38 permette di evidenziare sul video di un monitor il consumo di energia nelle varie zone del cervello secondo una scala cromatica . In questo modo è stato possibile raccogliere queste informazioni : Il centro della visione non intenzionale è a destra Quando ci lasciamo andare ad una musica impegniamo l’emisfero destro . Se in una musica cerchiamo anche di riconoscere gli strumenti (discriminare) usiamo la parte sinistra del cervello . Se ascoltiamo una canzone, prestando attenzione alle parole, usiamo entrambi gli emisferi . L’uso della memoria impegna nello sforzo molte parti cerebrali . Queste documentazioni tecnologiche hanno confermato che la creatività, la musica, le belle arti, riguardano la percezione dello spazio e pertanto interessano l’emisfero destro . Mentre l’emisfero sinistro è la sede del linguaggio, dei calcoli, delle operazioni di riorganizzazione delle percezioni e delle altre attività intellettive . Quanto fin qui descritto riguarda la “dominanza”, cioè il maggior impegno di un emisfero nello svolgere un compito . Essa interessa una zona (negli emisferi) che risulta marcatamente più attiva delle altre mentre svolgiamo una funzione . In realtà l’attività cerebrale coinvolge sempre, seppur in minima parte, tutto l’encefalo . Il potenziale di recupero è una valenza data al cervello dalla sua plasticità di funzionamento . Il cervello riesce a riabilitarsi a funzioni perse Ecco cosa scrive al riguardo Geschwind :“Come il cervello può mutare una risposta a condizioni ambientali a lungo termine, così può anche mutare la propria organizzazione per compensare incidenti e mutamenti di richieste . Benché nella maggior parte delle persone il linguaggio sia localizzato nell’emisfero sinistro, persone con danni a questo emisfero possono essere addestrate a produrre linguaggio usando l’emisfero destro, anche se questa flessibilità è soggetta a 39 diminuire gradualmente con l’età . L’emisfero destro si assume funzioni linguistiche in bambini piccoli che hanno sofferto danni gravi all’emisfero sinistro . Nei sordi le aree della corteccia temporale usate normalmente nell’elaborazione di suoni linguistici vengono usate invece per l’elaborazione di informazione visiva . Un esempio sorprendente di questa capacità si ha quando una persona impara una seconda lingua…in tale circostanza l’organizzazione del cervello può a volte mutare : in qualche caso la prima lingua migra dall’emisfero sinistro al destro;…”(N. Geschwind pag.175,176 “Le basi anatomiche della differenziazione” Il Mulino) Perché questo avvenga si debbono creare le condizioni favorevoli . In un recente convegno (Treviso, giugno 2000) sul bilinguismo, il prof. Fabbro dell’Università di Udine ricordava che nella fissazione di capacità verbali sono importanti i sistemi emozionali : situazioni molto piacevoli e poco piacevoli danno esiti diversi . Di fronte a esperienze che generano forte emozioni produciamo più corticosteroidi e gli effetti possono andare dalla fissazione di un ricordo al suo rifiuto . Il nostro organismo, in situazioni di stress estremo, è in grado di produrre livelli molto alti di ormoni che distruggono alcuni neuroni, fino ad arrivare, appunto in casi estremi, ad una strectomia bitemporale da stress . Sempre il professor Fabbro ricordava che il linguaggio coinvolge due tipi di memoria, la dichiarativa e la procedurale . Quest’ultima, essenzialmente motoria, funziona in modo inconsapevole, ha bisogno di coinvolgimento . E’ prevalentemente prassica, ma è anche cognitiva . L’affettività è un potente catalizzatore per l’apprendimento ! Se la scuola imparasse a coniugare le didattiche con la motivazione, con la sfera affettiva, apprendere diventerebbe più facile ed il cervello imparerebbe 40 a mettersi in moto in tutte le sue parti . BIBLIOGRAFA PSICOLOGIA DELLA MEMORIA - SINTESI DEL VOLUME DI MARIA ANTONELLA BRANDIMONTE Progetto di Educazione alla Salute. Le basi biologiche del comportamento. Dr.ssa Anna Rita Iannetti J. P. Changeux. L’uomo neuronale. Feltrinelli, Milano, 1998 A. R. Damasio. L’errore di Cartesio. Adelphi, Milano, 1999 A. R. Damasio. Emozioni e coscienza. Adelphi, Milano, 2000 A. R. Damasio. Alla ricerca di Spinosa. Adelphi, Milano, 2003 E. De Bono. Il meccanismo della mente. Rizzoli, Milano, 2002 W. J. Freeman. Come pensa il cervello. Einaudi, Torino, 2000 J. Gottman & J. De Claire. L’intelligenza emotiva per un figlio. Rizzoli, Milano, 2001 J. Horgan. La mente inviolata. Raffaele Cortina Editore, Milano, 2001 J. LeDoux. Il sé sinaptico. Raffaele Cortina Editore, Milano, 2002 Kirby E. e Grimley L., Disturbi dell’attenzione e iperattività. Edizioni Erickson 1998 Levi G., Sechi E., Graziani A., Disturbi di attenzione nei bambini con disabilità di apprendimento, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolecenza, 1991, DAI LA CARICA ALLA TUA MEMORIA 41 Poche semplici regole sono sufficienti ad ottenere una buona elasticità mentale .Innanzitutto dedicare qualche minuto alla propria persona: fare 4 respiri profondi e lenti, meglio se in un bosco o sulla riva del mare ma anche in un parco un po' lontano dal traffico più intenso, lasciando che le tensioni se ne vadano durante l'espirazione è un ottimo modo per ossigenare il cervello e migliorare i collegamenti sinaptici . L'attività fisica aiuta molto questo processo, quindi via libera al movimento, meglio se non troppo intenso ma costante . Anche una normale passeggiata, se effettuata con consapevolezza e tenendo un passo sostenuto ma non esagerato, è più che sufficiente a stimolare le cellule nervose presenti nell'ippocampo, la zona del cervello sede della memoria .Riposare bene non è meno importante, perciò bando alle cene troppo abbondanti e alle ore piccole che mandano in crisi i bioritmi ma anche ai risvegli a mattinata avanzata: un sonno ristoratore e regolare migliora la memoria, sia a breve sia a lungo termine .L'allenamento mentale è parimenti valido, perché contribuisce a tenere attivi e funzionali i collegamenti tra i neuroni e ne stimola la creazione di nuovi . A questo scopo sono adatti molti giochi di società, privilegiando quelli con una componente strategica elevata: il bridge innanzitutto, seguito dagli scacchi, sembrano essere i più adatti grazie alle loro caratteristiche . E quando ci si sente un po' già di tono basta sedersi comodamente e ascoltare musica. Molte composizioni di Mozart, ad esempio, stimolano il cervello 42 come avviene durante l'elaborazione di calcoli matematici semplici ! Alcuni studi recenti hanno dimostrato come il consumo di the, chewinggum e liquirizia, per motivi diversi, coadiuvi il mantenimento di una buona attività mnemonica . Ad esempio: la liquirizia, in special modo nelle persone anziane, sembra ridurre gli effetti del cortisolo, un enzima responsabile del calo di memoria . Se non ci sono controindicazioni di qualche tipo è possibile battere anche questa via, sempre tenendo presente l'importanza di una dieta varia ed equilibrata, ricca di vitamine e povera (ma non priva!) di grassi .E se scendendo dall'auto capita di prendere una scossa, poco male: c'è chi sostiene che anche questo sia di aiuto alla memoria! STRATEGIE (Barbara Bettetini) PER MIGLIORARE LA MEMORIA In un precedente contributo finalizzato a verificare la possibilità di insegnare strategie di organizzazione mnestica (Cottini e Martelli, 2004) abbiamo considerato la strategia di reiterazione della codifica (rehearsal), la quale consiste nella ripetizione mentale del materiale da memorizzare, una volta che lo stesso sia stato opportunamente codificato . Tale procedura ha particolari effetti nei compiti a breve termine (es., ricordare un numero di telefono, dei nomi, ecc.) e rappresenta il primo passo verso l’uso di strategie più complesse . I risultati ottenuti hanno evidenziato che training strutturati e personalizzati 43 possono contribuire a potenziare competenze strategiche anche nei soggetti con ritardo mentale di grado moderato-lieve . Con questo studio prendiamo in considerazione una strategia di elaborazione semantica del materiale che interviene in compiti di memorizzazione a lungo termine: il clustering . L’intenzione è sempre quella di verificare la praticabilità e l’efficacia di percorsi abilitativi condotti attraverso uno specifico curricolo (Cottini e Meazzini, 1997, 1999, 2005, in stampa) . La posizione teorica di riferimento è quella che tende a spiegare le carenze di memorizzazione e recupero presenti nel ritardo mentale postulando l’esistenza di deficit ascrivibili soprattutto ai processi di controllo . Gli autori che si rifanno a tale approccio (Campione e Brown, 1977; Borkowski e Cavanaugh,1979; Brown, Bransford, Ferrara e Campione, 1984; Pressley, Borkowski e O’Sullivan, 1985;Belmont, 1989; Turner, Hale e Borkowski, 1996; Conners, Rosenquist e Taylor, 2001; Perez e Garcia,2002) sostengono che le persone con disabilità mentale si caratterizzano per uno scarso utilizzo spontaneo di strategie di memoria, il cui uso, invece, consente ai soggetti a sviluppo tipico una più efficiente codifica delle informazioni in memoria e un più facile recupero . Gli aspetti deficitari più importanti a questo livello sono riconducibili a inadeguatezze nei processi di valutazione del compito, selezione e uso di una strategia, alla facile distraibilità, alla lentezza, alla scarsa riapplicazione spontanea delle strategie di memoria apprese in contesti differenti (Turner e Lane, 1987) . Memoria strategica e ritardo mentale: training sul raggruppamento semantico in categorie (clustering) . LUCIO COTTINI Università di Udine - Bruna Lani Università di Urbino, Centro socio-educativo “Francesca” di Urbino 44 Nel presente contributo viene descritto un training sperimentale finalizzato a favorire l’acquisizione e l’utilizzo spontaneo di strategie mestiche da parte di un soggetto affetto da sindrome di Down . La proposta prende in considerazione la strategia del raggruppamento semantico in categorie (clustering), che interviene in compiti di memorizzazione a lungo termine . Viene illustrata la procedura di valutazione adottata e le linee dell’intervento centrato su uno specifico modello curricolare elaborato dal nostro gruppo di ricerca . I risultati ottenuti confermano l’utilità di prevedere training sulla memoria esplicita per soggetti con disabilità cognitiva, quando il ritardo mentale non è tale da determinare un deficit di grave entità (deficit di mediazione) riferito alla singola strategia . La strategia del raggruppamento semantico in categorie o clustering rappresenta una modalità particolare di organizzazione delle informazioni da memorizzare, in grado di facilitare l’operazione di recupero (Nelson, 1993; Ericsson e Delaney, 1999; Sweller, Van Merrienboer e Paas, 2000; Cottini e Meazzini, in stampa) . Fa riferimento alla situazione in cui il materiale viene organizzato in gruppi di item caratterizzati da una forte interattività, in quanto appartengono a una stessa categoria (ad esempio: la categoria degli animali, degli abiti, delle parti del corpo, ecc.) . È stata inizialmente studiata da Bousfield con numerose ricerche finalizzate a rilevare in che misura il raggruppamento semantico compariva nei processi rievocativi . In uno dei suoi classici esperimenti, Bousfield (1953) presentò ai soggetti una serie di 60 parole appartenenti a quattro categorie semantiche (15 nomi di persona, 15 nomi di animali, 15 nomi di professioni e 15 nomi di vegetali). Gli item, presentati in maniera random, furono successivamente rievocati 45 dai soggetti con modalità libera. I risultati evidenziarono l’esistenza di processi raggruppativi, nel senso che item della stessa categoria semantica, che occupavano posizioni distanziate nella serie, tendevano nella rievocazione a essere pronunciati di seguito . Sperimentazioni successive hanno cercato di evidenziare l’uso progressivo delle strategie in relazione all’età (Flavell, 1970; Kobasigawa, 1974;Berti, Cornoldi, De Beni e Martini, 1985) e ai suggerimenti che potevano essere dati in fase di rievocazione (Tulving e Pearlstone, 1966; Broadbent, Cooper e Broadbent, 1978; Meazzini, Cottini, Pediconi, Lani e Angelini, 1993) . È stato dimostrato che i bambini tendono a evidenziare un primo livello di padronanza verso la fine della scuola elementare (9-10 anni) e che i raggruppamenti semantici possono essere favoriti dalle istruzioni date dall’adulto . Un ulteriore elemento emerso dalle diverse sperimentazioni riguarda il fatto che i soggetti che avevano ricevuto un’educazione formale usavano strategie più deliberate e finalizzate rispetto a quelli non istruiti . Anche le ricerche sugli anziani, a questo proposito, indicano che il declino mnestico dopo i 70 anni è minore nei soggetti con istruzione elevata anche quando imparano materiale nuovo (Andreani Dentici, 1993). Training sulle strategie di memoria Si è soliti distinguere fra tre tipi di training: approcci strategici, approcci centrati sul deficit e approcci metacognitivi. Secondo il primo approccio è sufficiente insegnare la strategia senza considerare gli aspetti motivazionali e metacognitivi di chi apprende .Tale tipo di intervento presenta il vantaggio di essere di semplice conduzione ed efficace nell’immediato, ma presenta maggiori difficoltà a livello di mantenimento e trasferimento delle strategie insegnate . Il secondo approccio prevede che, una volta diagnosticato il livello a cui si situa il problema, si attui un 46 intervento specifico centrato su quella specifica abilità che si è dimostrata carente, nell’ipotesi che una volta superato il deficit specifico si abbia un miglioramento anche a livello più generale . Secondo l’approccio metacognitivo, un training strategico efficace non dovrebbe limitarsi all’insegnamento delle sole strategie, ma dovrebbe puntualizzare sia il valore strategico (come applicarle), che il contesto d’uso (quando e come applicarle) e avere come scopo di insegnare a controllare il proprio apprendimento e ad avere consapevolezza (De Beni e Moè, 1995) . Nel precedente contributo comparso su questa stessa rivista (Cottini e Martelli, 2004) abbiamo già illustrato come il nostro curricolo si muova in questa terza dimensione. È finalizzato, infatti, a facilitare l’acquisizione e l’utilizzo spontaneo, in contesti di vita scolastica e quotidiana, delle strategie di memoria da parte di allievi in età evolutiva (scuola elementare e media), con possibilità di essere generalizzato nelle situazioni di difficoltà di apprendimento e nel ritardo mentale moderato-lieve . Questo obiettivo è perseguito attraverso tre linee integrate di intervento: a) conoscenze delle strategie; b) procedure metacognitive di controllo; c) atteggiamenti generali verso le strategie. L’intervento sperimentale Il soggetto Lo studio sperimentale ha coinvolto una ragazza con sindrome di Down di 22 anni, frequentante il centro socio-educativo “Francesca” di Urbino. Il soggetto presentava un deficit intellettivo di grado moderato, con un QI di 48 rilevato attraverso la scala WAIS (Wechsler, 1981) e con una buona capacità adattiva (valutata attraverso le scala Vineland). 47 Per ciò che riguarda le abilità strumentali, la ragazza leggeva e scriveva correttamente anche sotto dettatura. Era in grado, inoltre, di riportare dei messaggi sia verbalmente che in forma scritta, a cui collegava una buona capacità di utilizzare il telefono sia per effettuare delle chiamate, che per riceverle . Nell’ambito delle abilità logico-matematiche, la ragazza aveva appreso in maniera soddisfacente le basi della matematica e della geometria: svolgeva autonomamente le addizioni e le sottrazioni, mentre manifestava delle difficoltà nelle moltiplicazioni e divisioni . Le competenze matematiche, inoltre, si associavano alla conoscenza e all’uso del denaro . Anche le abilità inserite nell’area dell’autonomia erano abbastanza strutturate : la ragazza era in grado di gestire l’igiene personale, di spostarsi adeguatamente in ambienti conosciuti, di mantenere ordinato l’ambiente di vita . Nel momento in cui si è svolta l’esperienza sperimentale l’allieva partecipava a un programma di insegnamento di abilità di cucina finalizzato alla preparazione di alcune vivande . Il motivo per il quale si è deciso di coinvolgerla in un training per lo sviluppo della strategia del raggruppamento semantico in categorie è legato al fatto che tale progetto di educazione cognitiva poteva connettersi con l’attività di laboratorio, in quanto finalizzata a “imparare a ricordarsi le cose da acquistare al supermercato”. L’organizzazione del training La scelta di intervenire sulla strategia del clustering è scaturita a seguito dell’esame dei risultati ottenuti dall’allieva nella valutazione focalizzata sulle diverse strategie prese in considerazione dal curricolo . La scheda che segue riporta i risultati riferiti alla strategia di organizzazione semantica in categorie. 48 Scheda 1. Scheda per la valutazione focalizzata relativa alla strategia di “Organizzazione semantica in categorie”. 1 Organizza il materiale che gli viene presentato utilizzando le categorie preliminarmente indicate dall’educatore. Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.). Ci sono degli animali, degli abiti, ecc. Metti insieme gli animali,gli abiti, ecc.”. 2 Classifica il materiale (a voce alta) secondo categorie individuate autonomamente . Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.). Fai dei gruppi con le figure (parole) che stanno bene insieme e dimmi perché”. 3 Rievoca il materiale quando l’educatore evoca le categorie mediante le quali lo aveva classificato (voce alta). Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.). Fai dei gruppi con quelle che stanno bene insieme e dimmi perché”. Dopo 30 secondi circa: “Adesso dimmi le figure (parole) che hai visto. Ricordati che c’erano animali...”. 4 Rievoca il materiale quando l’educatore lo invita a servirsi della strategia. Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.) . Fai dei gruppi con quelle che stanno bene insieme e dimmi perché”. Dopo 30 secondi circa: “Adesso dimmi le figure (parole) che hai visto . Ricordati che avevi fatto dei gruppi”. 5 Rievoca il materiale presentato servendosi autonomamente della strategia . Es. L’educatore dice: “Guarda queste figure (parole, ecc.)”. Dopo 30 secondi circa: “Dimmi le figure (parole) che hai visto”. 6 Generalizza l’uso della strategia ad altri compiti . La ragazza padroneggiava i requisiti di base della strategia, in quanto riusciva adeguatamente nei primi due item della scheda 49 (sono previsti 6 esercizi per ogni scheda e il livello si ritiene superato quanto si affrontano con successo almeno 5 compiti). In concreto, era in grado di organizzare il materiale che le veniva fornito in categorie, ma non utilizzava questa competenza a livello mnestico quando le condizioni lo richiedevano . Rifacendoci alla terminologia proposta da Flavell (1970) e Brown (1972), si può dire che manifestava un deficit di produzione . Un deficit di mediazione,al contrario, si sarebbe registrato se il soggetto non fosse riuscito a soddisfare le prestazioni previste nei primi due item . Questa situazione di gravità avrebbe portato a sconsigliare l’insegnamento diretto della strategia . L’intervento è stato condotto utilizzando gli esercizi compresi nel “curricolo strategico” (Cottini e Meazzini, 1997, in stampa), con l’intenzione di stimolare l’utilizzo della strategia del clustering nei compiti mnestici e la consapevolezza della sua utilità e applicabilità nelle situazioni di vita quotidiana . L’organizzazione degli esercizi (figura 1) prevede una serie iniziale di schede con compiti di riconoscimento, per poi passare a compiti di rievocazione . Riconoscimento e rievocazione sono le due modalità fondamentali di lavoro sulla memoria . Nel primo caso l’allievo viene aiutato dal fatto che le cose da ricordare sono messe a sua disposizione, ma devono essere discriminate da altre con cui sono mescolate; nel secondo caso, invece, l’allievo è chiamato a ricordare utilizzando esclusivamente i propri mezzi. L’organizzazione degli esercizi di riconoscimento si fonda su quattro tipologie di compiti : – “cosa c’era e cosa non c’era”, in cui l’allievo deve ricordare se uno o più item erano presenti nella prima illustrazione del materiale organizzato in categorie ; 50 – “guarda cosa manca”, in cui l’allievo è invitato a riconoscere quale item è stato sottratto dopo una prima presentazione di vari elementi sistemati in categorie ; – “guarda cosa è stato aggiunto”, in cui, al contrario del compito precedente, l’allievo è invitato a individuare quale item è stato aggiunto dopo una prima presentazione ; – “dov’era?”, in cui l’allievo, dopo una prima presentazione di elementi in categorie, deve indicare la collocazione spaziale degli item ripresentati singolarmente . Gli esercizi di rievocazione nel curricolo strategico prevedono: – una prima serie di compiti in cui la rievocazione è facilitata dall’educatore che richiama le categorie in cui sono organizzati gli item ; – una seconda serie di compiti specifici di rievocazione senza alcun aiuto . Gustavo, in classe, viene chiamato dalla maestra alla lavagna per risolvere un compito: “Gustavo osserva bene questi disegni” Esempio di scheda riferita al compito : “Guarda cosa manca”. Ambrogio, Gustavo e Teo si preparano per una giornata sportiva. Ognuno prepara le cose necessarie e le sistema nella borsa Ambrogio gioca a tennis Teo nuota Gustavo scia PALLINE COSTUME SCI RACCHETTA CUFFIA SCARPONI SCARPETTE ACCAPPATOIO GUANTI MAGLIA CIABATTE TUTA PANTALONCINI BASTONI Strana coincidenza ! I tre amici hanno borse uguali .Per non confondersi devono aprirle . Attenta, che poi dovrai aiutarli a riconoscerle . 51 Esempio di rievocazione assistita . Ambrogio, Gustavo e Teo aprono le borse . Ognuno riconosce la sua e tutti tre si avviano per cominciare la loro giornata sportiva Prova ora a ricordare l’attrezzatura sportiva di ognuno . Esempio di rievocazione assistita . La maestra dice :“Gustavo prova ora a ricordare quali sono gli altri oggetti . Quali oggetti mancano?” Esempio di scheda riferita al compito “Guarda cosa manca”. Gustavo però si distrae guardando dalla finestra e non ricorda più niente . Prova ad aiutarlo tu . Scrivi gli oggetti che mancano sulle linee tratteggiate . Tutte le esercitazioni erano seguite da un momento di riflessione metacognitiva, nella quale l’educatore invitava la ragazza a illustrare la modalità che aveva utilizzato per ricordarsi, se poteva fare in altro modo, e in quali situazioni di vita reale poteva essere utile utilizzare la stessa procedura per ricordare . Quest’ultimo aspetto legato alla generalizzazione rappresenta sicuramente l’aspetto centrale del training, in quanto uno dei deficit specifici delle persone con ritardo mentale riguarda appunto la capacità di trasferimento delle competenze strategiche acquisite su situazioni diverse a quelle di training . Sono state utilizzate a questo fine varie situazioni che si prestavano a essere ricordate attraverso la strategia del clustering (ricordarsi le cose da portare al Centro in relazione all’orario, ricordarsi la lista della spesa in base ai piatti da preparare, ecc.) . 52 Il disegno sperimentale L’intervento educativo descritto è stato implementato prevedendo un disegno sperimentale sul soggetto singolo di tipo A-B-A (Hersen e Barlow, 1976; Fortin e Robert, 1984; Cottini, 1995, 2002) . Le tre fasi prevedevano le azioni di seguito descritte . Fase A (baseline) In questa fase di misurazione di base le prestazioni mnestiche del soggetto sono state monitorate presentando liste di 16 parole appartenenti a 4 categorie . Sono state individuate 8 categorie e selezionate 12 parole per categoria . Le parole erano tutte ad alta frequenza d’uso e ad alto valore di immagine . Le liste venivano composte attraverso una selezione random delle categorie da considerare e delle parole da inserire nelle categorie . Dopo la presentazione della lista di parole si lasciavano passare 2 minuti nei quali il soggetto non era impegnato in nessun compito, per poi chiedere di rievocare le parole presentate . Il soggetto veniva sempre informato preliminarmente del fatto che dopo un po’ di tempo gli sarebbe stato chiesto di ricordare le parole presentate . La fase di baseline è stata condotta per un totale di 8 misurazioni . Fase B (intervento sperimentale) In questa fase il soggetto è stato coinvolto nell’intervento educativo descritto nel precedente paragrafo . Erano previste due lezioni individuali alla settimana, della durata di circa 45 minuti . È continuato il monitoraggio della capacità di rievocazione . TUTTI A CENA CON GUSTAVO Gustavo, Teo e Mario organizzano una cena per i loro amici Ognuno deve preparare qualcosa da mangiare . Gustavo va allora 53 dal fruttivendolo a fare la spesa e compera : PERE CIPOLLA CAROTA MELE KIWI UVA OLIVE BANANE FINOCCHIO ANANAS SEDANO POMODORO Esempio di rievocazione libera . Teo e Mario sono molto curiosi di sapere cosa sta preparando il loro amico . Gustavo è il solito burlone e dice agli amici che dovranno risolvere un piccolo gioco per scoprirlo . Nello schema sono nascosti i nomi degli ingredienti . Aiuta Teo e Mario a trovarli : le lettere che restano formeranno il nome di quello che Gustavo sta preparando . È importante sottolineare che la valutazione non seguiva la lezione, ma veniva effettuata il giorno successivo, per verificare meglio la stabilità delle acquisizioni a livello di utilizzo della strategia . Fase A (inversione) In questa fase, come prevede il disegno ABA, il training è stato interrotto, mentre si è continuato il monitoraggio delle capacità di rievocazione del soggetto coinvolto nell’intervento educativo. La fase di inversione si è articolata in 4 misurazioni . Follow-up Sono stati effettuati due controlli a distanza rispettivamente di uno e tre mesi dall’interruzione dell’intervento, condotti con le stesse modalità descritte per le fasi A. Ogni follow-up si è articolato su 3 misurazioni . Risultati e commento Si è avuto un progresso molto significativo nella fase B, a dimostrazione dell’efficacia dell’insegnamento strategico per favorire la rievocazione . Per avere riscontri più probanti è stata 54 effettuata anche un’analisi attraverso il test C (Von Neumann, 1941; Young, 1941; Tryon, 1982; Caracciolo, Larcan e Cammà, 1986; Di Nuovo,1992) . Si tratta di un test adatto per la ricerca sul soggetto singolo, il quale segue una logica simile a quella dell’analisi visiva, in quanto consente di valutare il livello di inclinazione delle curve nelle singole fasi di un esperimento e l’evoluzione del trend fra una fase e l’altra (es., fase di baseline in confronto all’introduzione del trattamento) . Attraverso il test viene calcolata la probabilità che i punti di una serie temporale siano disposti a caso; se tale probabilità è limitata, si può concludere che esiste un trend significativo . Si ricorda che, in ambito educativo, riabilitativo e clinico, si tendono a considerare statisticamente significative quelle sperimentazioni nelle quali la probabilità che i risultati dipendano da fattori casuali è inferiore al 5% ( p <0,05) . L’applicazione del test C alla fase B per quanto riguarda il numero di parole rievocate, ha evidenziato un trend significativamente crescente (p< 0,05). Tale evoluzione positiva si è sostanzialmente mantenuta anche durante la fase di inversione e i controlli nel tempo, evidenziando una competenza consolidata e stabile del soggetto. Da sottolineare come anche la riproposizione a distanza di cinque mesi della scheda di valutazione focalizzata relativa alla strategia di organizzazione semantica abbia confermato questo incremento. La ragazza, inoltre, ha dimostrato di utilizzare la strategia in compiti di vita quotidiana, anche se questa generalizzazione è rimasta limitata alle sole situazioni prese in considerazione durante il training (soprattutto il fare la spesa). Questo fatto porta a ritenere di dover continuare l’intervento per quanto concerne gli aspetti metacognitivi, senza necessità di proseguire il lavoro specifico sulla strategia, i cui elementi basilari sono da ritenersi sostanzialmente acquisiti . In 55 conclusione, l’esperienza testimonia ulteriormente l’utilità di prevedere training sulla memoria esplicita per soggetti con disabilità cognitiva, quando il ritardo mentale non è tale da determinare un deficit di mediazione riferito alla singola strategia . Nel caso specifico sarà comunque necessario monitorare nel tempo la situazione per appurare se tali acquisizioni si mantengono e, soprattutto, se determinano una reale modificazione delle capacità del soggetto di vivere in maniera più autonoma e adattata nell’ambiente . BIBLIOGRAFIA : Andreani Dentici, O. (1993). Lo sviluppo dell’apprendimento e della memoria. In L. Camaioni (a cura di). Manuale di psicologia dello sviluppo. Bologna: Il Mulino. Caracciolo, E., Larcan, R., & Cammà, M. (1986). Il test C: un modello statistico per l’analisi clinica e sperimentale di dati in serie temporali relativi ad un soggetto singolo (N=1). Bollettino di Psicologia Applicata Cottini, L. (1995). Quando N=1. Gorizia: Tecnoscuola. Cottini, L. (2002). La ricerca nella scuola dell’autonomia. Milano: Mursia. Cottini, L., & Martelli, A. (2004). Memoria strategica e ritardo mentale: un training sulla reiterazione della codifica. American Journal of Mental Retardation (Edizione italiana), Cottini, L., & Meazzini, P. (1997). Il training sulle strategie di memoria. In P. Meazzini (a cura di), Handicap: passi verso l’autonomia (pp. 340-361). Firenze: Giunti. Cottini, L., & Meazzini, P. (1999). La memoria strategica. Come studiarla. Psicologia e Scuola, 56 Cottini, L., & Meazzini, P., (2005). MnemoTest. Test di valutazione delle strategie di memoria. Firenze: Organizzazioni Speciali. Cottini, L., & Meazzini, P. (in stampa). La memoria come risorsa. Gussago (BS): Vannini. De Beni, R., & Moè, A. (1995). Fasi di acquisizione e livelli di mantenimento delle strategie di memoria in bambini normali, Down e ritardati non-Down. In C.Cornoldi e R. Vianello (a cura di), Handicap e apprendimento . Brescia: Junior. Di Nuovo, S. (1992). La sperimentazione in psicologia applicata. Milano: Angeli Fonagy, P., Target. M., Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina, Milano 2001 Fortin, A., & Robert, M. (1984). Piani di ricerca su casi unici. In M. Robert (a cura di), La ricerca scientifica in psicologia (pp. 149-168). Bari: Laterza Per contattare gli autori, scrivere a Lucio Cottini, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Udine, Via Petracco, 8, 33100 Udine. E-mail: [email protected] Il funzionamento ottimale della memoria Il ricordo sarà in funzione dell'entità dell'organizzazione che si è stati in grado di fornire al materiale . Ma come fare per individuare questo tipo del tutto personale di organizzazione, come fare per uscire dal circolo vizioso che vuole che la prestazione di memoria aumenti a causa della maggiore organizzazione e inferisce quest'ultima solo da quella prestazione (Crowder, 1976). Tulving (1962) ha proposto una 57 metodologia per l'analisi dell' organizzazione soggettiva che è stata ampiamente usata e se pur con una serie di limiti, primo tra tutti quello di non rendere conto di item che possono apparire non addiacenti, pur essendo associati, perchè l'organizzazione complessiva ha preso in considerazione ulteriori parole, mostra in realtà come la quantità di ricordo sia in chiara relazione col grado in cui il materiale è organizzato (Cornoldi, 1986). Tale procedura prevede una serie ripetuta di prove di rievocazione libera in cui vengono presentate sempre le stesse parole, ma sempre con un ordine differente. Se due o più parole, che pur sono state presentate in ordini diversi, compaiono costantemente adiacenti nel protocollo di rievocazione ciò significa che il soggetto le ha in qualche modo connesse . Ora, dato che tale modalità di associazione non è prevedibile, ne' vale per tutti i soggetti, possiamo definirla soggettiva. I risultati ottenuti da Tulving mostravano che col procedere delle prove aumentava sia la quantità di parole ricordate, sia la quantità di adiacenze costanti e dunque l'organizzazione soggettiva che da queste si poteva evidenziare, tanto che alla sedicesima presentazione di una lista di sedici parole la correlazione tra questi due indici raggiungeva un valore di .96. Il valore dell'organizzazione non è limitato alle liste di parole: brani con una buona organizzazione sono ricordati meglio di brani che ne sono privi; e non è limitato al materiale verbale: oggetti rappresentati in figure organizzate e coerenti sono ricordati meglio che se rappresentati alla rinfusa in una figura caotica . Da un certo punto di vista noi non possiamo modificare la nostra memoria. Non si conoscono modi per ampliare i sistemi neurali che sono alla base di essa. Riprendendo la metafora della biblioteca, non ci sono mezzi per ampliarne le dimensioni. Ma è 58 questo che ci serve? La capienza che abbiamo a disposizione è più che sufficiente, tutto quello che dobbiamo fare è usare il sistema di cui disponiamo con maggiore efficienza . Innanzitutto bisogna sfatare antichi miti. "Memoria minuitur nisi exerceas" dicevano gli antichi. Vediamo quanto di vero e di errato c'è in questa antica massima. Anche se opportuno tenere attiva la propria mente ponendole richieste di memoria ed escogitando sempre nuovi modi per garantirsi il ricordo, non e' vero che la memoria sia come un muscolo che il mero esercizio può potenziare. L'imparare a memoria un cumulo di nozioni non migliora il nostro modo di ricordare . E stato questo un errore comune tra gli educatori dell'800 ed anche oggi la scuola non ne è del tutto immune . Sin dagli inizi del nostro secolo era stato invece dimostrato sperimentalmente che gruppi di soggetti sottoposti rispettivamente a compiti di memorizzazione di versi, di formule scientifiche, distanze geografiche e di brani di argomento geografico, storico e scientifico, dopo un addestramento durato 6 settimane non mostravano prestazioni di memoria superiori ad un gruppo controllo che non aveva fatto alcun esercizio. Di contro, in un altro esperimento vennero distinti tre gruppi di soggetti : il primo impegnato a memorizzare poesie e sillabe senza senso, il secondo addestrato ad usare strategie con cui memorizzare poesie e sillabe senza senso, il terzo usato come controllo e senza alcun addestramento. Al termine delle 4 settimane di addestramento tutti e tre i gruppi furono sottoposti a test di memoria . Il primo gruppo fornì risultati uguali a quelli del gruppo di controllo . Il secondo gruppo, che aveva ricevuto l'addestramento su come memorizzare, diede risultati migliori degli altri gruppi in tutti i test, anche in quelli molto diversi da quelli usati nel periodo di addestramento. I risultati di questo esperimento sono 59 inequivocabili: non è l'esercizio di per sé, ma l'uso di appropriate strategie a favorire il ricordo (Hunter, 1962). Attenzione e interesse Bisogna aver colto le cose prima di poter dire di averle dimenticate. Spesso diciamo di aver dimenticato qualcosa quando in realtà sarebbe più corretto affermare che non l'abbiamo mai recepito, non vi abbiamo mai prestato attenzione in modo cosciente. Le informazioni che ci interessano richiamano la nostra attenzione e si fissano nella nostra memoria perché in essa esistono già delle strutture, schemi di memoria, paragonabili agli scaffali della metaforica biblioteca, pronti a riceverle . Non per nulla siamo più interessati a ciò che ci è più familiare e più siamo esperti in un argomento più siamo attenti alle informazioni ad esso inerenti . Queste informazioni poi non incontrano nessuna difficoltà ad imprimersi nella nostra mente . D'altra parte, se qualcosa non ci interessa risulta anche molto difficile da ricordare . La ripetizione meccanica in questo caso è spesso inutile come è stato dimostrato da uno studio su una campagna pubblicitaria per saturazione condotta dalla BBC. La rete radiofonica inglese voleva informare il proprio pubblico delle nuove lunghezze d'onda su cui in seguito avrebbe dovuto sintonizzarsi per seguire i programmi . Per un periodo di due mesi i programmi radiofonici vennero interrotti regolarmente da informazioni dettagliate su queste nuove lunghezze d'onda . Ma ad una verifica condotta presso l'Unità di Psicologia Applicata di Cambridge, la maggior parte delle persone intervistate, che aveva per altro ascoltato gli annunci più di un migliaio di volte, non fu in grado di fornire indicazioni in questo senso (Bekerian e 60 Baddeley, 1980) . Come si può spiegare il fatto che un migliaio di ripetizioni non siano state sufficienti ad insegnare un'informazione numerica? Innanzitutto la semplice ripetizione non assicura l'apprendimento . E invece determinante il modo in cui l'informazione viene elaborata da chi l'apprende. La seconda ragione consiste nel sospetto che la gente semplicemente non prestasse attenzione al messaggio . Quando fu presentato per la prima volta il messaggio riguardava un evento che si sarebbe verificato dopo parecchie settimane, e quindi poteva essere ignorato, almeno momentaneamente . Dopo due mesi il messaggio era diventato così ripetitivo e noioso da essere ignorato automaticamente. Questo ci insegna che persino la presentazione delle stesse informazioni per un migliaio di volte cadrà nel vuoto se queste non verranno elaborate in modo completo ed integrate nelle strutture di memoria .Tutto ciò può sembrare un circolo vizioso: codifichiamo in modo organico e ricordiamo ciò che ci interessa, ignoriamo ciò che non ci interessa . Come è possibile allora apprendere materiali che potrebbero essere, sotto ogni punto di vista noiosi e monotoni? E proprio questo il caso in cui è più necessario uno sforzo deliberato, tanto più efficace quanto più si basa sull'uso di strategie e piani che mettano in funzione efficaci processi di memoria . Significato e ricordo Tanto meno il materiale è significativo, tanto più è difficile mantenere viva l'attenzione e costante l'interesse . Per contro più il materiale è significativo e più facile è apprenderlo . Le parole sono più facili da ricordare che le sillabe senza senso . Le 61 frasi sono più facili da ricordare che non serie di parole a caso. A tutti i livelli la pregnanza di significato influisce sul ricordo Le serie di cifre costituiscono uno dei materiali più difficili da ricordare . I numeri infatti hanno poco significato ed è facile confonderli. Prendiamo ad esempio in considerazione la serie : 581215192226 e alcune possibili strategie, più o meno efficaci per apprenderla . Una prima strategia potrebbe consistere nel raggruppare le cifre, tale strategia detta "raggruppamento percettivo" per indicare che il tipo di organizzazione del materiale è precedente a quella semantica e si basa su elementi uditivi o visivi, permette di formare quei chunk o unità di informazioni che consentono di conservare un maggior numero di informazioni nella MBT. Già Miller nel 1956 aveva individuato nel "magico numero sette" (+ o - due) la quantità di informazione che poteva essere tenuta presente in MBT, ma aveva anche osservato come tale quantità non fosse assoluta ed oggettiva e si riferisse piuttosto a numero di unità di informazioni raggruppate, i chunk per l'appunto. Con il raggruppamento percettivo sarebbe più facile conservare la serie di cifre nella memoria a breve termine, ma certo il suo recupero sarebbe arduo dopo soli pochi minuti . Si potrebbe cercare di apprendere la serie ripetendo le cifre meccanicamente più volte ma i risultati non sarebbero sicuri. Un altro sistema consiste nel cercare una regola sottostante . Osservate bene la serie, è possibile fare ciò? La prima cifra è 5 e la seconda 8 (5+3), la terza è 12 (8+4) e la quarta 15 (12+3). Ecco la regola: parti dal 5 e aggiungi alternativamente 3 e 4. A questo punto la sequenza può essere ricordata anche dopo 3 settimane come ha dimostrato un classico esperimento di Katona (1940) in cui si confrontava il ricordo di chi si era sforzato di individuare una qualche regola all'interno di una sequenza di 62 cifre con quello, praticamente nullo, di chi aveva cercato di impararla meccanicamente .I due gruppi di soggetti dell'esperimento di Katona si erano trovati di fronte ad un carico di memoria molto diverso: i soggetti che avevano imparato meccanicamente avevano caricato la loro memoria di molte informazioni scarsamente significative, per quelli invece che avevano utilizzato la regola era stato sufficiente ricordare una cifra da cui partire e una semplice regola per generare la sequenza. Comprensione e ricordo Ciò che è difficile da capire è anche difficile da ricordare. Comprensione e memoria sono abilità distinte e da non confondersi ma strettamente collegate come testimoniano ricerche che hanno trovato molte analogie tra quanto i soggetti riferivano essere il contenuto di un brano che avevano sotto gli occhi e il ricordo che dello stesso brano avevano dopo un certo tempo . Più che di comprensione tout court sarebbe corretto parlare di processi implicati nell'attività di comprensione . Questi sono molteplici e vanno dall'attribuzione di un significato alle parole, all'assegnazione di un ruolo sintattico, ai processi inferenziali, all'individuazione delle idee centrali e della struttura del brano (sui processi sottostanti la comprensione di brani si veda in italiano De Beni e Pazzaglia, 1992) . In generale,però parlando di comprensione si intende l'attività di integrare le nuove informazioni in arrivo con quelle già possedute. Tale attività può avvenire a diversi livelli ed è direttamente proporzionale al grado di elaborazione a cui è sottoposta l'informazione in entrata. Dato che più il materiale viene elaborato tanto più profondamente è compreso, ma anche 63 tanto più viene elaborato tanto più è facile da ricordare, difficile che ci sia ricordo se non c'è stato un qualche livello di comprensione. Ad esempio le inferenze effettuate nel comprendere un testo sono poi ricordate come parti del testo stesso. Soggetti che sentono il seguente brano: "Era notte fonda quando il telefono squillò e una voce esplose in un grido furioso. La spia gettò il documento segreto nel caminetto appena in tempo perché 30 secondi dopo sarebbe stato troppo tardi" (Johson, Bransford e Salomon cit. in Roncato, 1982), compiono l'inferenza che la spia abbia gettato il documento nel caminetto per distruggerlo. Dunque il caminetto doveva essere acceso ed il documento bruciato. Essi perciò riconoscono come nota la frase: "La spia bruciò il documento segreto appena in tempo perché 30 secondi dopo sarebbe stato troppo tardi". Tale frase non viene invece riconosciuta da quei soggetti che avevano sentito il brano nella seguente forma: "...La spia tolse i documenti segreti appena in tempo perché 30 secondi dopo sarebbe stato troppo tardi", perché tale versione produce differenti inferenze . Ci possono essere valide eccezioni alla regola che vuole associati comprensione e ricordo, se spesso infatti accade che ad una buona comprensione sia associato un ricordo sia garantito, questo non vale sempre e se si vuole garantire il ricordo è opportuno utilizzare strategie specifiche di memoria. D'altra parte esistono pure situazioni, anche se sono meno comuni, in cui si è memorizzato qualcosa e a distanza di anni lo si recupera avendo dimenticato il significato attribuitogli in precedenza e reinterpretandolo nella condizione presente . Questo vale in generale per i versi di poesie o per le parole delle canzoni . Definizione di strategia, problemi e metodi nello studio e nell'insegnamento delle strategie. 64 Il termine “strategia” appare spesso nella psicologia cognitiva contemporanea con varietà di sfumature di significato e per definirla occorre tener presente alcune variabili : 1. le caratteristiche che distinguono una strategia dai processi cognitivi e dalle abilità cognitive, 2. il livello di complessità, 3. il suo carattere di consapevolezza esplicita. La strategia è qualcosa di più e al di sopra dei processi cognitivi, pur avendo in grado di complessità variabile e si differenzia dalle abilità che sequenze del tutto automatizzate di processi (si veda a questo proposito anche Garner, 1987). La caratteristica inerente alla consapevolezza esplicita viene ritenuta essenziale da parte di alcuni ricercatori, ad esempio quelli che fanno parte del gruppo di ricerca di Paris (e.g. Paris, Newman,Jacobs, 1985), mentre secondo altri (e.g. Campione e Arbruster, 1985; Flavell, 1985) deve essere interpretata in maniera meno restrittiva e riguardare un possibile criterio di intenzionalità . Ancor oggi e anche alla luce dell'odierno dibattito su cosa debba intendersi con il termine strategia la definizione proposta da Pressley,Forrest-Pressley, Ellis-Faust e Miller sempre nel fatidico 1985 sembra essere la più dettagliata e comprensiva. Secondo tale definizione " una strategia e' composta di un insieme di operazioni cognitive su e al di sopra di quei processi che sono naturale conseguenza dello svolgere un compito e che vanno da una di queste operazioni ad una sequenza di operazioni interdipendenti . Le strategie si propongono scopi cognitivi (come comprendere e ricordare) e sono potenzialmente attivita' consce e controllabili " . Il nodo riguardante la consapevolezza della strategia viene in questa definizione risolto con l'introduzione della potenzialità di tale aspetto, per cui la strategia può anche essere utilizzata in modo automatico, ma su di esse deve essere possibile riflettere 65 e portarla a livello di consapevolezza . Ciò può rendere conto di alcune situazioni critiche in cui i processi automatici producono gli stessi effetti dell'uso consapevole di una strategia (e.g. Haser e Zacks, 1979) o in cui talune attività vengono interpretate come strategia consce quando in realtà sono riflettono processi automatici . Ad esempio Schneider e Pressley (1989) richiamano l'attenzione sul fatto che a volte il clustering categoriale che si osserva nelle prestazioni degli studenti e'dovuto più ad un tipo automatico di associazione che non ad una conscia attività strategica . IL DIMENTICARE Chi non si è trovato nell'imbarazzante situazione di essere incapace di ricordare il nome di un conoscente magari proprio nel momento in cui lo stava presentando ad un altro? E chi non è mai entrato in una stanza con un ben preciso intento per poi scoprire di aver dimenticato cosa era entrato a fare? Per non parlare delle situazioni avvilenti in cui si dovrebbero esibire conoscenze il cui studio ci è costato ore e ore di fatica e che non siamo in gradi di ricordare nel momento cruciale . L'oblio costituisce uno degli aspetti più frustranti che caratterizzano la vita degli esseri umani: capirne i fattori che lo governano significa non solo comprendere i processi su cui la nostra memoria si basa, ma anche come sia possibile evitare di incappare nei suoi punti deboli. In altre parole la comprensione delle cause dell'oblio è il primo passo per cercare di comprendere e migliorare la nostra memoria .Anche se di primo acchito appaiono solo i danni derivati dall'oblio, ad una riflessione più attenta esso presenta accanto agli svantaggi anche dei vantaggi. Una delle importanti caratteristiche del Registro Sensoriale e della MBT è costituita 66 dalla rapidità di perdita dell'informazione in essi contenuta che consente l'inserimento sostitutivo di nuova informazione. Se l'oblio non funzionasse in maniera tanto rapida ed efficace ci si verrebbe a trovare nella medesima drammatica situazione di Funes, uno dei personaggi dei racconti di Borges : incapace di pensare dato che la sua mente era sovraccarica di tutti i dettagli di ogni cosa percepita, per sempre indelebilmente impressa nella sua memoria. Anche la MLT implica la necessità di dimenticare informazioni diventate obsolete, per sostituirle con nuove più appropriate . E inutile infatti continuare a ricordare il vecchio numero telefonico del nostro medico di famiglia una volta che questo è stato sostituito, meglio dimenticarlo per poter ricordare quello attuale . D'altra parte se spesso ci si lamenta della nostra scarsa memoria, talvolta si è ardentemente desiderato di poter dimenticare . L'oblio riguarda la perdita o l'impossibilità di recuperare informazioni che prima si possedevano . Quindi, prima di analizzare le possibili cause dell'oblio e prima di imputare all'oblio il fatto che non riusciamo a ricordare qualcosa, è necessario escludere innanzitutto la possibilità che il materiale in questione in realtà non sia mai stato appreso . Chi si lamenta di aver dimenticato dove ha posato le chiavi di casa, il nome del conoscente che gli è stato appena presentato, o nel momento dell'esame quell'argomento che aveva studiato, dovrebbe sinceramente porsi le seguenti questioni: - ho riflettuto su dove ho posato le chiavi? O non le ho messe meccanicamente in un posto qualunque mentre i miei pensieri erano concentrati altrove? - quando mi è stato presentato questo signore che non ricordo come si chiama, ho prestato attenzione al suo nome, I'ho 67 registrato nella mia memoria? O non stavo forse pensando a cosa avrei dovuto dirgli e a come io mi sarei presentato a lui? - quell'argomento l'ho realmente studiato? O non ho passato piuttosto un certo numero di ore seduto ad un tavolo con il libro aperto davanti, facendo scorrere lo sguardo sulle pagine e lasciando in realtà fluttuare il pensiero su mille altri argomenti? E chiaro che tutto ciò che non è in realtà mai stato appreso non può essere dimenticato . BIBLIOGRAFIA : Edelman, G.M. (1989): Il presente ricordato: una teoria biologica della coscienza, Tr. It. Rizzoli, Milano 1991. Edelman, G.M., Tononi, G. (2000): Un universo di coscienza, Tr. It. Einaudi, Torino 2000. Fisher, H. (1992): Anatomia dell’amore, Tr. It. Longanesi, Milano 1993. Flavell, J.H. (1963): La mente dalla nascita all’adolescenza nel pensiero di Jean Piaget, Tr. It. Astrolabio, Roma 1971. Fonagy, P., Steele, M., Steele, H. et al. (1995): “Attaccamento, Sé riflessivo e disturbi borderline”. Tr.It. In Fonagy, P., Target, M., Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina, Milano 2001. Fonagy, P., Target, M. (1996) : “Giocare con la realtà. I. Teoria della mente e sviluppo normale della realtà psichica”. Tr. It. In Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Ed. Adelphi, 2000 Maturana H., Autocoscienza e realtà, Ed. Raffaello Cortina, 1993 Maturana H.; Varela Francisco J. L' albero della conoscenza, Ed. Libri Garzanti, 1999 68 QUALI NESSI TRA PSICHISMO E FUNZIONI COGNITIVE ? Uno stato mentale sicuro è pertanto caratterizzato da una buona qualità della coscienza e della funzione metacognitiva, che a loro volta sembrano essere gli elementi maggiormente responsabili nel determinare il pattern di attaccamento del bambino : come ha sottolineato van Ijzendoorn (1985), più che la sensibilità del genitore, infatti, sembra essere la sua capacità metacognitiva la caratteristica favorente la sicurezza del bambino . Reflective Self Capacity Scale hanno comunque figli valutati sicuri alla Strange Situation . La metacognizione o funzione riflessiva è alla base dell’organizzazione del sé perché è coinvolta nella coscienza di sé, nell’autonomia e nella responsabilità, creando quindi la continuità dell’esperienza di sé (Fonagy e Target, 2001). Se è vero che l’attaccamento sicuro facilita la coerenza dei propri significati attraverso lo sviluppo della metacognizione, è possibile anche che individui con esperienze infantili negative, ma con notevoli capacità di mentalizzazione, siano in grado di ottenere da adulti uno stato mentale sicuro sull’attaccamento . Infine, è importante citare l’uso clinico del concetto di metacognizione, ormai sempre più rilevante soprattutto per le psicopatologie più gravi e disorganizzate, che stanno rappresentando la nuova sfida e il recente campo di interesse del cognitivismo (Liotti,1992, 1994, 1999a; Semerari, 1999). Il tema dell’influenza dell’attaccamento sui vari sistemi motivazionali può essere considerato come un argomento a 69 favore della continuità : lungo l’intero arco di vita, l’attaccamento sicuro sembra cioè essere un fattore protettivo dell’equilibrato funzionamento dei sistemi motivazionali, con intuibili conseguenze sull’adattamento dell’individuo . Ci si può chiedere ora se sia possibile ipotizzare un nesso costante tra esperienze infantili e costruzione dei significati personali autobiografici . Narrazioni e esperienze infantili I vari contenuti conoscitivi riguardanti l’identità personale possono essere elaborati in gradi diversi e possono essere più o meno dominanti nell’organizzazione cognitiva di un individuo . Alcuni temi della conoscenza di sé, quindi, possono essere organizzati in nuclei di significato, che formano una sorta di tema narrativo peculiare per ogni individuo . Lo stesso concetto è stato sviluppato in campo psicoanalitico dalla prospettiva intersoggettiva, che ha descritto come il ripetersi di modelli relazionali nel corso dello sviluppo porti alla formazione dei “principi organizzatori inconsci”, cioè di principi invarianti che organizzano le successive esperienze del bambino (Stolorow e Atwood, 1992). Formatisi all’interno della relazione madrebambino, costituiscono la base della personalità, e rappresenterebbero degli organizzatori dell’esperienza . Analogamente, anche le prospettive narrativiste e cultura liste della psicologia contemporanea propongono il rapporto tra una descrizione generale,autobiografica, di sé e alcuni temi intorno ai quali l’individuo articola la propria narrazione . L’identità personale deriverebbe quindi da questa continua organizzazione delle memorie e dei dati percettivi che riempiono la coscienza . L’ipotesi cognitivista è che la psicopatologia derivi da una eccessiva rigidità o da una disorganizzazione di questo 70 funzionamento mentale (Liotti, 2001) . Nel caso dell’eccessiva rigidità, non sarebbe possibile assimilare alcuni dati su di sé e sull’esperienza in atto, che diventerebbero quindi contenuti non comprensibili per la coscienza, e contribuirebbero quindi alla formazione dei sintomi; nel caso della disorganizzazione, invece, non si formerebbero dei temi di vita ricorrenti intorno ai quali strutturare l’esperienza soggettiva e l’autonarrazione, con conseguenze sulla continuità del proprio senso di identità . Le organizzazioni cognitive possono essere considerate come nuclei di significato che si ripetono in alcune classi di pazienti e che, come dicevamo, organizzano la conoscenza di sé ma non permettono l’integrazione dei contenuti mentali alla base dei sintomi . Prendendo come esempio il caso dell’organizzazione agorafobica, ( Liotti, 1981; 1991; 2001) i pazienti non riescono ad attribuire senso e scopo all’ansia di separazione e ne misconoscono la natura,il contesto di insorgenza, l’obiettivo evolutivo. L’ansia viene interpretata come una malattia fisica che li rende deboli, e non come un’ emozione che salvaguarda il legame, mentre questa debolezza li spingerebbe a cercare la compagnia di persone affettivamente significative, con le quali il legame è in quel momento minacciato. Il tema narrativo centrale verte quindi sulla necessità di mantenere un rapporto affettivo, anche se non voluto, per evitare la sensazione di debolezza e di vulnerabilità: il legame acquista quindi i connotati ambivalenti di necessario per evitare una solitudine dalle spaventose e temute conseguenze, ma al tempo stesso soffocante e costrittivo. Per gli obiettivi di questo lavoro è opportuno rimandare il lettore interessato agli altri temi narrativi alla bibliografia sulle organizzazioni cognitive (Bara, 1996; Guidano, 1987,1991; Lorenzini, Sassaroli, 1987; Reda, 1986) . Le organizzazioni cognitive hanno in comune l’incapacità di riconoscere e regolare 71 classi di emozioni, e nella storia di un paziente è possibile ricostruire il percorso evolutivo che l’ha condotto alla costruzione di un determinato nucleo di significati, e discriminare alcuni elementi ricorrenti nell’infanzia degli individui appartenenti alle varie organizzazioni . Parliamo ad esempio del particolare stile comunicativo tipico delle famiglie con disturbi alimentari, o della perdita di un genitore nella vita del futuro depresso, o del particolare stile di accudimento improntato al controllo ansioso del genitore del fobico: tutti questi elementi sono stati riccamente descritti nella letteratura cognitivista, alla quale rimandiamo (Lorenzini e Sassaroli, 1987; Aquilar, 1999). Riteniamo però che tale incapacità di lettura e attribuzione di senso a certe emozioni, pur essendo legata ad una scarsa capacità metacognitiva presumibilmente all’interno di una relazione insicura di attaccamento, non sia rigidamente predeterminata da una serie di fattori di rischio, e che non sia possibile parlare di percorsi “obbligati” che conducano da certe esperienze infantili a determinati disturbi nella età adulta. Anche se l’infanzia della maggior parte degli adulti Dismissing intervistati è caratterizzata da rifiuti e privazioni affettive, può accadere che un individuo acquisisca uno stato mentale Dismissing per distaccarsi da un ambiente familiare troppo invischiante; oppure, la presenza di una relazione di attaccamento sicura può essere un fattore protettivo rispetto all’insorgenza di un disturbo depressivo, nel caso della perdita precoce di un genitore, avvenuta nell’infanzia di un individuo (Brown e Harris, 1978). Conclusioni In conclusione, è vero che una delle conseguenze “prevedibili” dei modelli operativi di un attaccamento insicuro è quella di ostacolare il corretto formarsi di conoscenze episodiche e 72 semantiche su di sè-con-gli altri, che siano coerenti, concordanti nel significato e in reciproca connessione. E’ anche vero, però, che quanto abbiamo citato riguardo la ricerca sperimentale sull’attaccamento in età adulta, incentrata prevalentemente sulle rappresentazioni qualificanti lo stato mentale, ha mostrato due punti fondamentali per il nostro discorso: il primo è che esperienze infantili di qualità diverse possono portare allo stesso stato mentale sull’attaccamento; il secondo è che nonostante esperienze negative e dolorose nell’infanzia, un individuo può raggiungere uno stato mentale sicuro sull’attaccamento, sviluppando nel corso di nuove esperienze interpersonali la capacità di riflettere su di sé e sulle sue relazioni significative, passate e attuali . Possiamo concludere che, rispetto alla dicotomia continuitàdiscontinuità, la teoria dell’attaccamento propone il concetto alternativo di sensibilità al cambiamento, e considera quest’ultimo come un processo attivo: attraverso il modello di sé, degli altri e della relazione, che si stabiliscono a partire dal primo anno di vita, l’individuo costruisce attivamente il suo ambiente interpersonale, scegliendo le persone che ne fanno parte e assimilando le nuove esperienze affettive ai modelli interiorizzati preesistenti. Non si può parlare di una completa suscettibilità al cambiamento, dal momento che i modelli operativi precoci non vengono cancellati, ma sono modificati dagli eventi successivi, ritornando attivi in caso di avvenimenti stressanti come lutti o separazioni: è vero però che grazie alla dimensione interpersonale della coscienza e alla possibilità che venga plasmata dalla qualità delle relazioni in atto, è possibile che un individuo possa giungere ad una conoscenza di sé e ad un adattamento più positivi, avvalendosi di relazioni di qualità migliore rispetto alle esperienze più negative della sua infanzia. 73 BIBLIOGRAFIA : A. Oliverio e A. Oliverio Ferraris. Le età della mente. Rizzoli, Milano, 2004 D. L. Schacter. Alla ricerca della memoria. Einaudi, Torino, 2001 D. J. Siegel. La mente relazionale. Raffaele Cortina Editore, Milano, 2001 E. Soresi. Il cervello anarchico. UTET, Bologna, 2005 B. Strauch. Capire un adolescente. Mondadori, Milano, 2004 Luria A.R., Le funzioni corticali nell’uomo, Ed. Universitaria, Firenze 1967 Marzocchi G. M., Molin A. & Poli S., Attenzione e meta cognizione . Come migliorare la concentrazione della classe, Trento: Erickson 2000 Aquilar, F. (1999): Psicoterapia delle fobie e del panico, Franco Angeli, Milano. Bara, B. (a cura di) (1996): Manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri, Torino. Bowlby, J. (1969): Attaccamento e perdita. Vol. 1. Tr. It. Boringhieri, Torino 1972. Bowlby, J. (1973): Attaccamento e perdita. Vol. 2. Tr. It. Boringhieri, Torino 1975. Bowlby, J. (1980): Attaccamento e perdita. Vol. 3. Tr. It. Boringhieri, Torino 1983. Bucci, W. (1997): Psicoanalisi e scienza cognitiva, Tr. It. Fioriti Editore, Roma 1999. Dennett, D.C. (1991): Coscienza, Tr. It. Rizzoli, Milano 1993. De Waal, F. (1989): Far la pace tra le scimmie, Tr. It. Rizzoli, Milano1990. 74 De Waal, F. (1996) : Naturalmente buoni : il bene e il male nell’uomo e in altri animali, Tr. It. Garzanti, Milano 1997. UNA SCUOLA PER E CON IL BAMBINO La nuova scuola ci mette tutti in gioco: educatori, genitori e società. Viviamo in un periodo di profondi cambiamenti. Quando cambia un elemento all’interno della società, le “vibrazioni” che esso causa si ripercuotono sulla società in generale. Famiglia : elenchiamo alcuni tra i cambiamenti macroscopici avvenuti negli ultimi 50 anni dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare; ruolo paterno e materno sono cambiati; minor numero di figli; minor presenza di persone anziane in nuclei famigliari giovani; vita dei bambini organizzata (conseguenza della diversa organizzazione della famiglia e del maggiore “investimento” che i genitori fanno sui figli). 75 Società : oggi la realtà si trasforma velocemente ed è necessario acquisire nuove competenze, cambiare ottica, cambiare i propri punti di riferimento con altrettanta velocità. In passato non era necessario come oggi un “ricambio” continuo di apprendimenti e di competenze, una ristrutturazione del modo di guardare alla realtà. La società richiede persone superspecializzate, ma anche estremamente duttili e flessibili, pronte ad affrontare il “nuovo”, capaci di pianificare, ma anche di rivedere i loro piani in base alla situazione di “continua emergenza”. La capacità di far fronte alle situazioni richiede che le persone riescano a tollerare il cambiamento ed accettino “l’instabilità” come vero elemento costantemente presente. Si sta delineando un nuovo modo di vedere “l’altro”. Le capacità relazionali hanno un peso considerevole in molti ambiti. Oggi saper stabilire una relazione di empatia è richiesto anche a persone che occupano cariche importanti nel mondo del lavoro perché un buon clima relazionale può essere garanzia di ottenere risultati migliori anche in ambito lavorativo. Accanto al QL (quoziente intellettivo) 76 acquista sempre più importanza QE (quoziente emotivo), cioè la capacità di conoscere e gestire le proprie emozioni e di tenere presenti le emozioni dell’altro nello stabilire e strutturare una relazione con lui. QUALI SONO LE CONSEGUENZE DI QUESTI CAMBIAMENTI SULLO SVILUPPO DEL BAMBINO? Il bambino risente profondamente della situazione in cui vive . Il bambino che si presenta ai nostri occhi è, per usare una frase nota, “ il prodotto di questa società”. Egli porta in sé i tratti determinati dal suo stile di vita, dai messaggi che riceve, dal tipo di relazioni che vive . Ed è di questo bambino che i genitori e la scuola si devono occupare senza rimpianti per un passato che non potrà tornare e neppure perdendo di vista le tante possibilità che la nostra società può offrire . QUALI SONO LE CONSEGUENZE DI QUESTI CAMBIAMENTI SULLA SCUOLA ? Anche la scuola è coinvolta nel cambiamento perché il bambino che si trova di fronte è il “prodotto delle modificazioni” sociali . Non è possibile, quindi, che educatori 77 ed insegnanti si pongano di fronte ai bambini con le stesse predisposizioni metodologiche, didattiche, con lo stesso approccio relazionale che avevano anche solo qualche anno fa . Non è possibile inoltre che chi opera nella scuola non tenga conto delle molte ricerche che offrono dati sul modo di apprendere dei bambini, sugli stili relazionali, sul modo di vedere il mondo …. Che hanno ampliato l’orizzonte delle nostre conoscenze e impongono di ripensare alla scuola e al suo significato per il bambino, in particolare, e per la società in generale . Scuola: Il modo in cui guardiamo al significato dell’apprendimento e dell’esperienza deve essere più dinamico, improntato ai concetti di trasformazione e cambiamento. La scuola deve proporsi come luogo in cui il bambino non solo impara (aspetto cognitivo) ma anche impara ad imparare (metaconoscenza). Questa è una competenza indispensabile oggi e deve essere acquisita . Mentre il bambino nasce con una predisposizione a fare esperienze ed è sufficiente che le persone attorno a lui siano attente sul piano affettivo e relazionale e che gli offrano la possibilità di vivere 78 situazioni interessanti perché possa sviluppare molte sue capacità, la capacità di imparare ad imparare deve essere acquisita . In parallelo la scuola deve poter offrire esperienze di socializzazione, che “colmino” spesso quello che la vita fuori dalla scuola non può offrire o offre solo in parte ( per esempio la possibilità di stare con coetanei e di condividere con loro esperienze ). Inoltre sul fronte della socializzazione la scuola deve proporsi, in collaborazione con la famiglia, di sollecitare lo sviluppo delle capacità prosociali ( aiutare, condividere, prendersi cura dell’atro) . Non deve essere trascurato neppure l’aspetto emotivo. La scuola non può trascurare di sollecitare i bambini a parlare di ciò che provano nelle diverse situazioni, di educarli a collegare l’emozione che provano in un certo momento con ciò ( persona o situazione ) che l’ha prodotta ( l’antecedente emozionale ), al rispetto per l’emozione che l’altro prova in una certa situazione e che può essere differente rispetto all’emozione che provano loro, a riconoscere le emozioni attraverso i tratti comportamentali… . 79 Inoltre non può essere trascurato dalla scuola anche l’aspetto motivazionale cioè le tendenze emotive che facilitano o guidano il raggiungimento degli obiettivi, l’impegno, l’iniziativa . Anche la creatività deve fare la sua parte in una scuola che intenda occuparsi di tutto il bambino, cercando di non trascurarne aspetti solo in apparenza diversi, ma in realtà complementari . I punti qui presentati sono parte di un tutto inseparabile. Infatti quando il bambino fa esperienze “si mette in gioco tutto intero”. La cognizione, l’emozione, la socializzazione e la creatività sono separabili solo in linea teorica perché nei fatti agiscono in sinergia e “cooperano” allo sviluppo del bambino. Nulla può essere trascurato ! Questa visione nuova e diversa, in parte, del modo di far scuola, comporta delle trasformazioni che si traducono, a volte, in vere e proprie rivoluzioni metodologico didattiche, le quali devono essere presentate anche a chi affida i propri figli alla scuola. Non è infatti semplice a volte comprendere “cosa sta accadendo” o i tanti “perché” che stanno alla base dei mutamenti che si 80 offrono ai nostri occhi . Genitori sempre più attenti hanno voglia di capire . E solo comprendendo possono accettare che la scuola si presenti in un modo differente rispetto al passato, che mostri “prodotti” diversi oppure non li mostri affatto perché il fare scuola o lo stare a scuola spesso passa attraverso esperienze che non lasciano una “traccia” visibile, ma nella testa del bambino lasciano invece una traccia indelebile. Anche gli “Orientamenti” della scuola materna parlano di “campi di esperienza” per qualificare le tante e variegate esperienze che la scuola deve offrire ai bambini, così come mettono bene in evidenza l’importanza che il bambino sia “protagonista” degli apprendimenti e delle esperienze e non semplice “esecutore”. Alle insegnanti spetta quindi il compito di creare luoghi e situazioni all’interno delle quali il bambino possa fare esperienze sui diversi fronti (cognitivo, sociale, emotivo, creativo), ma soprattutto devono tenere presente che ogni bambino è unico, originale e competente, dotato cioè di un notevole bagaglio di esperienze e di conoscenze che costituiscono il punto di partenza imprescindibile . Per questo motivo è difficile pensare di individuare percorsi “chiusi” ( tesi al raggiungimento 81 dell’obiettivo ) che vadano bene per tutti . La situazione ideale, anche se sicuramente più faticosa per gli adulti, è quella in cui ogni bambino trova il modo e la possibilità di esprimere ciò che sa, di implementare le sue capacità grazie all’esperienza vissuta e al confronto con gli altri, adulti o bambini che siano. ( Dott.sa Manuela Mistri -Docente Università Cattolica di Milano ) COSA SPETTA ALLA SCUOLA PER SOSTENERE ATTENZIONE E MEMORIA ? - l’atteggiamento dell’insegnante e il clima della classe possono favorire la modificazione dei comportamenti problematici di qualunque tipologia essi siano . - mantenere un vigile contatto oculare con l’allievo è un buon facilitatore per la sua attenzione - occorre prestare aiuto all’alunno nella gestione del proprio materiale e nell’organizzazione rispetto al compito - le regole della classe devono essere chiare e semplici, formulate in modo tale da indicare i comportamenti adeguati da assumere - orientare l’attenzione sulle conseguenze dei comportamenti positivi e di quelli negativi 82 - rinforzare i comportamenti positivi, piuttosto che punire quelli negativi - cambiare i rinforzi quando perdono di efficacia - indicare semplici obiettivi da raggiungere quotidianamente - informare frequentemente l’allievo su come sta procedendo, ricordando di ridurre la dimensione solo valutativa delle affermazioni - evitare situazioni di competizione durante il lavoro - focalizzare l’attenzione sulla qualità del lavoro non sui tempi di esecuzione - puntare sui punti di forza del ragazzo, riducendo l’impegno delle capacità deficitarie - dare consegne semplici e chiare, verificandone attraverso domande la comprensione - instaurare delle routine. Ripetere sistematicamente gli avvenimenti (ogni giorno, ogni settimana…) in modo da aiutare il bambino a tenere presente i suoi impegni e a pianificare in modo più adeguato i suoi tempi; il comportamento del bambino sarà in tal modo meno instabile Più routine ci sono nella classe, più il bambino può prevedere tempi e richieste e può cercare di adattare ad essi il proprio comportamento. Esempi di routine nella classe sono: - ingresso in classe ad un’ora fissata; - routine di inizio lezione (controllo del materiale, dei compiti o altro di stimolante); - presentazione delle attività previste per la giornata comprensiva dei tempi di lavoro; - pause concordate possibilmente alla stessa ora ; - dettatura dei compiti ad ora stabilita; - routine di saluto e di uscita a fine lezione . 83 - prevedere la possibilità di contenere l’ingresso in aula, nei momenti di lavoro, di persone estranee - controllare che le condizioni di temperatura e illuminazione artificiale siano regolari e non diventino fattori di eccitazione nervosa - All’interno di un’aula i banchi possono essere disposti in molti modi; è opportuno scegliere insieme agli alunni disposizione la tenendo conto dei potenziali distrattori al fine di assegnare ad ogni bambino un posto adatto alle sue esigenze . LA LEZIONE EFFICACE Al fine di favorire il manifestarsi di un’adeguata abilità di modulazione dell’attenzione anche nel bambino con DDAI è utile ed opportuno: a. seguire l’ordine degli argomenti dato all’inizio della mattina; b. usare tempi di lavoro corretti e non troppo lunghi; c. presentare l’argomento in modo stimolante con figure, audiovisivi, stimoli colorati e coinvolgendo direttamente i bambini; d. usare un tono di voce variato e vivace; e. alternare compiti attivi che richiedono al bambino di agire e compiti passivi quali ad esempio l’ascolto di una spiegazione; f. favorire la partecipazione attiva ma rispettando le regole stabilite (ad esempio alzare la mano, non interrompere un compagno che parla…); 84 g. accorciare i tempi di lavoro quando possibile spezzettandolo con brevi pause; le novità vanno il più possibile esplicitate e spiegate, per evitare l’insorgere di ansia e agitazione h. prevedere tempi brevi di lavoro, frequenti pause, rapide e sistematiche interlocuzioni con gli alunni i. insegnare a ricorrere all’uso dell’orario di attività settimanale per facilitare la pianificazione e l’organizzazione del proprio lavoro j. chiarire i tempi di lavoro, il grado di difficoltà del compito e i materiali utili al suo svolgimento. Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F., Il bambino con deficit di attenzione/iperattività. Diagnosi psicologica e formazione dei genitori.,Erikson ed. Di Pietro M.,Bassi E., Filoramo G., L’alunno iperattivo in classe, Problemi di comportamento e strategie educative, Erikson ed. Cornoldi C., De Meo T.,e altri, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Erikson ed. J. Dewey, Scuola e società, Firenze, La Nuova Italia, 1949, cfr. G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976, D.R. Olson, Linguaggi, media e processi educativi, Torino, Loescher, 1979 Kirby E. e Grimley L., Disturbi dell’attenzione e iperattività. Edizioni Erickson 1998 85 Levi G., Sechi E., Graziani A., Disturbi di attenzione nei bambini con disabilità di apprendimento, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 1991 ATTIVITA’ CON IL COMPUTER L’uso del computer si rivela un mezzo assai utile con il bambino disattento e iperattivo perché è molto motivante per lui; è a colori, le attività prevedono di solito grafica e musica e permette una certa autogestione rispetto alla proposta didattica tradizionale. I vantaggi dell’uso del computer si basano sulla possibilità di pensare percorsi individualizzati, sull’offerta di feedback frequenti e immediati riguardo alla correttezza della prestazione e sull’interazione con l’insegnante che ha il compito di monitorare e gratificare il bambino per il suo impegno. IL COINVOLGIMENTO NELLA CLASSE Sono molto buone le strategie di lavoro con la risorsa compagni quali il tutoring, l’apprendimento cooperativo che favoriscono anche nel bambino con DDAI: - l’ apprendimento attivo e quindi di per sé più motivante; - l’ immediato controllo della prestazione e della correttezza del proprio operato; 86 - la valorizzazione le differenze individuali e quindi il bambino può mettere in luce l’entusiasmo, la vivacità, la fantasia e l’originalità che lo caratterizzano; - l’apprendimento delle abilità sociali utili all’interazione cooperativa e a una corretta comunicazione; - il miglioramento della qualità dei rapporti tra i pari; - l’autovalutazione dei risultati, l’assunzione di responsabilità, la valorizzazione del proprio ruolo . TENER CONTO CHE E’ NECESSARIO … bambino compiti molto brevi all’inizio, siano fatti esigendo correttamente, per però che aumentare progressivamente i tempi a tensione nella vita quotidiana del può agire da solo, deve fare appello alla buona volontà di varie persone attorno le azioni, partendo dai punti al bambino positivi e coordinare della personalità, per esempio la buona comprensione dei concetti, la vivacità, la volontà, l’emotività bambino. 87 padronanza di sé. Questo punto che a parole sembra facile, è in realtà il più difficile da realizzare . positivi ottenuti per incoraggiarlo a perseguire nello sforzo mostrare molto affetto, poiché si tratta di un soggetto che, al di là dell’atteggiamento, è invece molto sensibile. oraggiando le sue capacità creative ed i suoi gusti : disegno, pittura, o qualunque cosa cui si possa dedicare soltanto perché gli piace . sport; l’importante è che gli piaccia e lo faccia volentieri . Se non ha preferenze marcate, un buon indirizzo è quello dell’atletica leggera perché molto varia nei suoi componenti : si passa dalla corsa di velocità al salto in alto, dalla corsa di resistenza al salto in lungo od alla corsa ad ostacoli, ecc. 88 BIBLIOGRAFIA : Di Pietro M. (1995). Disturbi da deficit d’attenzione e iperattività: l’intervento razionale motivo in Difficoltà di Apprendimento, 1 Di Pietro M., Bassi E., Filoramo G., L’alunno iperattivo in classe. Problemi di comportamento e strategie educative, Erickson, Trento 2001 Douglas M.L. Quella peste di mio figlio, Franco Angeli Editore, Milano 1991, Fabio R. A., L’attenzione. Franco Angeli Editore, Milano 2001 Marcelli D., Psicopatologia del bambino, Masson, Milano 1999 Marzocchi G.M. e Cornoldi C., Una scala di facile uso per la rilevazione dei comportamenti problematici in bambini con deficit di attenzione/iperattività, in Psicologia Clinica dello Sviluppo, 2000, Marzocchi G.M. & Cornoldi C., Disturbi di impulsività e ricerca visiva in bambini con Deficit di Attenzione/Iperattività, in Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 1998, Marzocchi G. M., Molin A. & Poli S., Attenzione e metacognizione. Come migliorare la concentrazione della classe, Trento: Erickson 2000 Marzocchi G.M., Oosterlaan J., De Meo T., Di Pietro M., Pezzica S., Cavolina P., SergeantJ.A., Zuddas A., Scala di valutazione dei Comportamenti Dirompenti per insegnanti (SCODI): validazione e standardizzazione di un questionario per la valutazione dei comportamenti dirompenti a scuola, in Giornale di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva, 2001, Maslow, A. H. Verso una psicologia dell'essere. Astrolabio, Roma 1971 89 Kandii E.R. & Schwartz J.H., Principi di neuroscienze, Ed. Ambrosiana, Milano 1988 Una psicologia metacognitiva Il concetto di metacognizione ha due sensi diversi ma complementari. Flavell (1976) designa con questo termine la conoscenza che un soggetto ha del proprio funzionamento cognitivo e di quello degli altri, il modo attraverso il quale egli può prenderne coscienza e renderne conto. Questo termine designa anche i meccanismi di regolazione o di controllo del funzionamento cognitivo che fanno riferimento alle attività che permettono di guidare e di funzionamento regolare l'apprendimento e il cognitivo in situazione di problem-solving (Brown, 1987). Si distinguono diversi meccanismi o funzioni metacognitive come, per esempio, - la pianificazione (immaginare come procedere per risolvere un problema, elaborare delle strategie) - la previsione (stimare i risultati di una attività cognitiva 90 specifica) - la guida (gerarchizzare l'informazione, testare, rivedere, modificare le strategie attivate, ecc.) - il controllo dei risultati ottenuti ( valutare i risultati dell'attività in funzione dello scopo prefissato ) - il transfer, il mantenimento, la generalizzazione di una strategia di soluzione per problemi o contesti nozionali identici o diversi, più o meno complessi . La costruzione dell'intelligenza, pertanto, consiste nell'arricchimento da una parte, della conoscenza che il soggetto ha del proprio funzionamento e di quello degli altri e, dall'altra, dei processi o attività metacognitive che permettono le acquisizioni di nozioni . Più specificamente, è essenziale lo sviluppo della funzione di controllo o di autovalutazione delle proprie prestazioni e delle proprie strategie . In effetti, come sottolineano Baird & White (1982), solo aumentando la capacità del soggetto di apprendimento si autovalutare rinforza la le proprie strategie di sua capacità generale di apprendere . Viene così attribuito un ruolo decisivo alla capacità del bambino di valutare le proprie attività e strategie, ciò che Brown (1974) designa con il termine di controllo esecutivo . Tutti i diversi modelli teorici che si inseriscono nella corrente 91 della metacognizione definiscono un livello che supervisiona le attività del soggetto, ma questo livello prende una designazione diversa da un modello all'altro (per esempio il "livello esecutivo" in Campione & Brown, 1978; le "metacomponenti" in Sternberg, 1984; la "memoria di lavoro" in Anderson, 1985, ecc.) . Per spiegare lo sviluppo di questa capacità di autovalutazione, i metacognitivi, ispirandosi per questo alle concezioni di Vygotsky (1934/1985; si veda a questo proposito Schneuwly & Bronckart, 1985), attribuiscono un ruolo decisivo ai meccanismi di regolazione ( nel senso di controllo e correzione delle produzioni del soggetto ) : lo sviluppo dell'intelligenza è concepito come il passaggio progressivo da meccanismi eteroregolatori ( la cui attivazione dipende dal ruolo giocato da un terzo, come l'insegnante ) a meccanismi autoregolatori ( la cui attivazione dipende dal bambino stesso ) . In particolare DeLoache, Cassidy & Brown (1985) e Campione et al. (1985) constatano che la capacità di autocorreggere i propri errori si sviluppa con l'età... Il bambino diventa autonomo, responsabilizzandosi progressivamente del proprio funzionamento attraverso un processo graduale di interiorizzazione delle funzioni metacognitive ( pianificazione, previsione, guida, controllo, 92 transfer, mantenimento e generalizzazione ) necessari agli apprendimenti . L'origine di queste funzioni si situa nelle interazioni sociali, principalmente tra genitori e figli, tra insegnanti e allievi . Nel contesto scolastico l'apprendimento consiste, quindi, nel lavorare sul transfer dei processi di controllo e di valutazione, ( ma anche di pianificazione, di previsione ) dall'insegnante-esperto all'allievo . Oltre a queste diverse funzioni metacognitive il soggetto costruisce anche un repertorio di strategie di problem-solving . Nella corrente metacognitiva si considera unanimemente che le strategie, per esempio di memorizzazione, evolvano con l'età : nel corso dello sviluppo del soggetto si attua un arricchimento del suo repertorio di strategie, cosa che permette una maggiore flessibilità nell'utilizzo delle strategie in funzione dei problemi da risolvere (Schneider, 1990). Così non solamente il soggetto individua più facilmente i propri errori, ma le sue strategie di correzione diventano più efficaci, poiché prendono sempre più in considerazione i molteplici elementi e le relazioni tra elementi che costituiscono il problema (Wilkinson, 1982) . La genesi dell'intelligenza è quindi concepita come un arricchimento dei meccanismi cognitivi e delle strategie che permette anche la 93 acquisizione di nozioni ( ad esempio i contenuti che compaiono nei programmi scolastici ) . L'autonomia ha dunque un ruolo centrale e, nel contesto teorico della metacognizione, ogni insegnante dovrebbe avere l'obiettivo principale di promuovere l'autonomia intellettiva dell'allievo . In funzione di quanto detto, un allievo che tende all'autonomia intellettiva ( sapendo che ciò non è mai uno stato, ma un processo in continuo sviluppo ) deve costruire : - conoscenze sul proprio funzionamento intellettuale e su quello degli altri; - funzioni metacognitive efficaci; - un vasto repertorio di strategie di problem-solving . Questi tre elementi gli permetteranno di costruire successivamente un repertorio vasto e strutturato, non solo di saperi e abilità, ma anche di competenze che gli permettono di giudicare la pertinenza di questi saperi e abilità in funzione del contesto e del problema da risolvere, e di adottarli al momento opportuno ( Perrenoud, 1997). 94 In questo contesto i disturbi dello sviluppo possono essere visti come disturbi del processo di autonomizzazione del bambino. Difatti non è tanto a livello del proprio apparato cognitivo di base che il bambino incontra difficoltà, ma piuttosto a livello della sua capacità di assumere in modo autonomo certe funzioni metacognitive, e cioè a selezionare nel suo repertorio di strategie quella più efficace, a modificare, organizzare le componenti di una procedura di problem-solving, e a valutare l'efficacia dell'approccio utilizzato (Doudin, 1992). A ciò bisogna aggiungere il problema del transfer... I bambini che presentano difficoltà scolastiche, possono apprendere strategie semplici di soluzione di problemi. Questo apprendimento è duraturo nella misura in cui lo si verifichi relativamente al compito specifico sul quale l'apprendimento ha avuto luogo; di contro l'estensione di questo apprendimento a nuove soluzioni pone gravi problemi . Per porre rimedio a queste generali difficoltà di apprendimento constatate in alcuni soggetti, sono stati elaborati diversi modelli di intervento (Feuerstein e al., 1980; Büchel, 1995a; Paour, 1995). Tutti questi modelli intendono, attraverso la mediazione di un esperto, permettere al bambino di (ri)costruire degli strumenti di pensiero necessari 95 agli apprendimenti (Büchel, op. cit.). Essi hanno almeno tre caratteristiche comuni : - l'intelligenza è modificabile, e quindi (ri)educabile; - l'accento è messo sulla necessità di imparare ad imparare piuttosto che sull'apprendimento di nozioni particolari; - l'esperto (come per esempio l'insegnante) è un agente del cambiamento, un mediatore tra soggetto e ambiente, ed è proprio attraverso gli interventi ripetuti di un esperto che critica, valuta, e amplia il quadro dell'esperienza che il soggetto costruirà i propri strumenti di pensiero. L’acquisizione di un buon livello di motivazione porta l’allievo a resistere maggiormente alla frustrazione e alla dilazione della gratificazione che si connettono sempre al tentativo di perseguire apprendimenti complessi; il soggetto riesce, in altre parole, a tollerare vari tentativi andati a vuoto senza abbandonare la situazione . A questo proposito è molto importante che la metodologia educativa si fondi su una chiara definizione degli obiettivi e del loro grado di raggiungibilità in relazione alle capacità personali . L’allievo va 96 costantemente stimolato ( se necessario anche aiutato ) ad attivare processi di automonitoraggio, in modo da poter controllare non soltanto le sue acquisizioni ( il raggiungimento degli obiettivi ), ma anche il percorso che sta sviluppando .E questo è uno degli elementi centrali della autoregolazione cognitiva, su cui si fonda ampiamente la didattica metacognitiva. E’ stato anche notato (Graham e Baker, 1991) che l’aiuto eccessivo e non necessario prestato all’allievo con difficoltà può produrre un senso di inferiorità rispetto ai compagni, con conseguente sofferenza a livello di autostima e motivazione. La stessa situazione può essere determinata, in certe condizioni, dall’utilizzo di materiale totalmente diverso o dallo svolgere osservazioni, le attività in chiaramente, luoghi riportano diversi. Queste all’esigenza già sottolineata di integrare o avvicinare gli obiettivi e di promuovere una didattica inclusiva, che stimoli anche una riflessione sui propri processi mentali, con gli strumenti di cui l’allievo può disporre . La dimostrato competenze metodo di la sua didattica efficacia trasversali, come studio, che per sia metacognitiva per l’attenzione, l’affinamento la memoria, l’apprendimento di abilità 97 ha di il più prettamente curricolari, come la lettura e comprensione del testo, la matematica, la scrittura . Tali riscontri positivi sono stati osservati anche con allievi che presentavano bisogni educativi speciali, in particolari nei deficit d’attenzione con iperattività, nelle difficoltà di apprendimento, nel ritardo mentale e nell’autismo ( per quanto concerne soprattutto i programmi per favorire lo sviluppo di una teoria della mente ). Anche con allievi che presentano disabilità mentali è possibile spiegare aspetti del funzionamento cognitivo, seppure ad un livello non troppo sofisticato . esempio, Ci si può soffermare, ad ad illustrare come la mente raccolga dati ed informazioni dall’esterno, ma possa produrre anche idee partendo dall’interno e come queste possano essere giuste o sbagliate . Si possono portare gli allievi a distinguere fra fatti reali e sensazioni, sogni, aspettative . Una ulteriore applicazione, su cui si è particolarmente bambini autistici attribuzione di di stati Howlin centrato et mentali al. alle il programma (1999), altre è per quello persone e di di adattamento del comportamento sulla base di credenze e false credenze . 98 b) Autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo L’allievo viene aiutato ad apprezzare le capacità ed i limiti della propria mente, nel momento in cui vengono messi in atto processi cognitivi di diversa natura . In questo contesto gioca un ruolo molto importante l’educatore, il quale fornisce dei feedback sulle prestazioni dell’allievo e lo stimola ad indagare aspetti connessi al modo in cui i compiti vengono condotti ed ai processi personali che vengono attivati . Le informazioni che l’educatore fornisce, soprattutto in caso di errore, non devono mai intaccare e svilire il valore della persona, ma limitarsi a stimolare un’autoanalisi sui processi cognitivi implicati . Tutto ciò a salvaguardia del livello di autostima e di motivazione . Molto utili ed interessanti a questo livello automonitoraggio, sono le le quali strategie di autoistruzione consentono, da un lato, ed di evidenziare attraverso il “pensare ad alta voce” i momenti strategici connessi alla risoluzione del compito e, dall’altro, di autovalutare le proprie prestazioni ed i propri progressi . c) Strategie di autoregolazione cognitiva 99 Si tratta del tentativo di guidare l’allievo nel controllo dei propri processi cognitivi finalizzati alla risoluzione di compiti. I momenti che caratterizzano questo processo di autoregolazione sono i seguenti: - fissarsi un chiaro obiettivo e specificarlo sia in termini di risultati che si intendono raggiungere, che di modalità di svolgimento delle attività previste per il conseguimento dei risultati; - darsi delle istruzioni per effettuare concretamente le operazioni pianificate per raggiungere l’obiettivo; - osservare l’andamento del processo di apprendimento, raccogliendo anche dati sull’evoluzione; - confrontare i dati raccolti e l’evoluzione del processo d’apprendimento con le finalità che si erano precedentemente fissate; - prendere decisioni circa l’opportunità di continuare con le azioni intraprese in quanto risultano efficaci o attivare correzioni e modifiche alle strategie in corso. 100 Fra le strategie di autoregolazione cognitiva, quelle che appaiono più facilmente utilizzabili anche con allievi che presentano disabilità mentali ( di livello comunque non grave ) sono l’autoistruzione e l’automonitoraggio . d) Variabili psicologiche di mediazione Alcune variabili psicologiche, come gli stili di attribuzione (locus of control), la percezione di autoefficacia, l’autostima, la motivazione, condizionano abbondantemente la capacità del bambino di adottare un atteggiamento metacognitivo e di attivare processi metacognitivi di controllo. E’ importante, quindi, sviluppare linee d’azione che tengano in considerazione queste variabili e che aiutino l’allievo a sviluppare una percezione positiva di sé, come persona capace di ottenere successo nei processi d’ apprendimento . Allo scopo di soprattutto, una metacognitiva bisogni fornire una visione più dettagliata serie di applicata educativi spunti operativi all’apprendimento e, sulla didattica di allievi con speciali, presento ora tre linee di lavoro riferite rispettivamente a: 101 - lo sviluppo della teoria della mente per bambini autistici; - la promozione dell’impiego delle strategie di memoria; - l’utilizzo di strategie di autoregolazione. Solo recentemente, però, si è cominciata ad indagare la possibilità di far apprendere ai bambini autistici a leggere la mente e si è tentato di verificare l’efficacia di tale impostazione metodologica . Si deve a Howlin, l'elaborazione principi della maggior del Baron-Cohen programma teoria della mente interesse, in quanto di e Hadwin (1999) intervento ispirato che attualmente ai riscuote prevede l'insegnamento progressivo degli stati mentali in tre aree: a) le emozioni; b) il sistema delle credenze e delle false credenze; c) il gioco simbolico, con particolare riferimento al gioco di finzione . Tale programma risulta applicabile in contesti più ampi del solo lavoro didattico con 102 il bambino autistico, rappresentando, di fatto, un interessante proposta di lavoro iniziale di tipo metacognitivo a) Insegnare a riconoscere le emozioni Il primo obiettivo perseguito dal programma di Howlin et al. (1999) è quello di aiutare i bambini autistici a discriminare e riconoscere le diverse emozioni su di sé e sugli altri. Le proposte di intervento sono organizzate, come per tutte le altre fasi del programma, in cinque livelli: - riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie; - riconoscimento delle emozioni in disegni schematici; - identificazione delle emozioni causate da situazioni; - identificazione delle emozioni causate dal desiderio; - identificazione delle emozioni causate da opinioni. b) Insegnare a discriminare le false credenze Il secondo livello del programma di Howlin et al. (1999) si indirizza all'insegnamento dei cosiddetti "stati informativi", che descrivono la capacità di comprendere come e che cosa le altre persone possono 103 percepire, conoscere e credere in relazione ad una determinata situazione . tratta di aiutare rappresenta uno i bambini dei loro autistici principali in quello deficit Si che secondo l'interpretazione degli autori che si rifanno all'approccio della teoria della mente: il non riuscire ad attribuire agli altri degli stati mentali e il non essere in grado di interpretarli . Anche in questo caso il programma è articolato in cinque livelli di obiettivi di progressiva complessità: - capacità di comprendere cosa vedono le altre persone (prospettiva visiva semplice); - capacità ci comprendere come la realtà percepita appare alle altre persone (prospettiva visiva complessa); - capacità di comprensione del principio "vedere porta a sapere"; - capacità di prevedere azioni sulla base di ciò che una persona sa; - capacità di comprendere le false credenze. Sulla scorta di varie esercitazioni di questo tipo, l'educatore cerca, con la metodologia indicata ai livelli precedenti 104 (rinforzo immediato delle risposte corrette e spiegazione in caso di errore), di insegnare il principio educativo generale che sta alla base della credenza e che tanta importanza ha per lo sviluppo del bambino : se le persone non sanno che le cose sono cambiate, pensano che siano rimaste le stesse. L’utilizzo delle strategie di memoria Da vari anni stiamo sperimentando un programma educativo (Meazzini, Cottini, 1992; Cottini, 1998; Cottini e Meazzini, in stampa) che si indirizza alla promozione della capacità di utilizzare specifiche strategie di memoria in contesti di vita quotidiana e scolastica . Tale curricolo, strutturato per allievi senza particolari deficit cognitivi, propone numerose applicazioni didattiche utilizzabili anche con bambini che presentano bisogni educativi speciali . Sulla scorta di alcune ricerche l'autore conclude affermando che, pur essendo ragionevole pensare all'esistenza di limiti strutturali invalicabili, il ricorso alle strategie sembra in ogni caso migliorare le prestazioni dei soggetti . può Quindi, l'insegnamento strategico e metacognitivo rappresentare una modalità di aiuto al difficoltoso processo di apprendimento dell'allievo con disabilità di tipo 105 cognitivo . Tale approccio, chiaramente, deve unirsi a modalità didattiche più semplici, centrate su training esercitativi e sul potenziamento della memoria procedurale implicita (Vicari et al., 2002). In considerazione di queste premesse, il curricolo persegue tre obiettivi principali fra loro integrati : a) conoscenze delle strategie; b) procedure metacognitive di controllo; c) atteggiamenti generali verso le strategie. Il programma di lavoro, per ogni strategia di memoria, prevede due itinerari didattici : - il curricolo prerequisiti da adottare quando si vogliono insegnare strategie per le quali l'allievo manifesta deficit molto gravi ("deficit di mediazione" nella terminologia di Flavell, 1970 e Brown, 1972) . A questo livello non sono previsti compiti mnestici, ma solo modalità di organizzazione dei materiali in relazione alla strategia che si insegna; - il curricolo strategico, basato su una serie di esercitazioni di memorizzazione e recupero, da adottare 106 quando l'allievo presenta deficit lievi o "di produzione" (Flavell, 1970; Brown, 1972). Il programma prevede inoltre una serie di compiti scolastici e di vita quotidiana utili per favorire il transfert di apprendimento delle strategie su situazioni concrete . La progressione delle proposte operative prevede il passaggio da esercitazioni mnestiche nelle quali l'utilizzo delle strategie è sollecitato e guidato dall'educatore, ad attività di ricordo autonomo . Oltre ciò, vengono proposti inizialmente compiti di riconoscimento e, solo in seguito, compiti più complessi di rievocazione. Va ricordato che riconoscimento e rievocazione sono le due modalità fondamentali di lavoro della memoria . Nel primo caso l'allievo è aiutato dal fatto che le cose da ricordare vengono di nuovo messe a sua disposizione, ma devono essere discriminate da altre con cui sono mescolate; nel secondo caso, invece, l'allievo è chiamato a ricordare utilizzando esclusivamente i propri mezzi . 107 TRAINING SULLE STRATEGIE DI MEMORIA: ORGANIZZAZIONE DEGLI ESERCIZI - ORGANIZZAZIONE SEMANTICA IN CATEGORIE (CLUSTERING) CURRICOLO PREREQUISITI - TIPOLOGIA DI ATTIVITA' DESCRIZIONE - CURRICOLO STRATEGICO TIPOLOGIA DI ATTIVITA' DESCRIZIONE Modalità di organizzazione degli esercizi riferiti alla strategia mnestica di organizzazione semantica in categorie Metti nelle categorie Agli allievi viene richiesto di classificare il materiale presentato elemento per elemento, cioè di collocarlo in categorie preliminarmente indicate dall'educatore . La difficoltà delle esercitazioni è dipendente dal numero di categorie nelle quali si chiede di organizzare il materiale e dalla loro familiarità per gli allievi.. Organizza le categorie Agli allievi viene richiesto di organizzare una serie di elementi in categorie autonomamente individuate . La progressione di difficoltà delle esercitazioni è dipendente dalle stesse condizioni evidenziate per il primo livello: numero di categorie e familiarità del materiale . Completa le categorie Agli allievi viene richiesto di trovare altri elementi che possano essere inseriti in categorie già organizzate . La difficoltà delle esercitazioni è resa progressivamente crescente in relazione al grado di familiarità e concretezza del materiale (frequenza d'uso e valore d'immagine). Rievoca gli elementi delle categorie Agli allievi vengono presentati una serie di elementi (disegni o parole) categorizzabili e gli si chiede di classificarli per categoria. Dopo 2 minuti circa vengono invitati a rievocare gli 108 elementi, richiamando le categorie nelle quali erano stati organizzati . Familiarità del materiale e numero di elementi da rievocare sono i criteri usati per le rendere le esercitazioni progressivamente più complesse . Rievoca gli elementi presentati Agli allievi vengono presentati una serie di elementi categorizzabili con la richiesta di rievocarli dopo un certo tempo (2 minuti circa) . Come per il livello precedente, la difficoltà delle esercitazioni è dipendente dal tipo di materiale presentato e dal numero di elementi da rievocare . Attraverso le strategie di autoregolazione si mira a rendere l'allievo maggiormente autonomo nella gestione del proprio processo di apprendimento; capace, cioè, di assumere decisioni pertinenti in relazione alle modalità migliori per affrontare un compito . Le procedure principali per favorire l'autoregolazione nell'apprendimento sono l'autoistruzione e l'automonitoraggio. a) Autoistruzione L'autoistruzione è definita come fornire a se stesso le all'esecuzione di un compito . la capacità del soggetto di istruzioni verbali necessarie L'elaborazione della strategia deriva da una serie di studi e sperimentazioni partendo da diverse impostazioni teoriche . effettuati Prima di tutto è evidente l'influenza esercitata da Vygotskij (1980, 1990), il 109 quale ha teorizzato, nel suo modello di sviluppo, la situazione del bambino che è inizialmente sensibile alle mediate dall'ambiente sociale, per poi istruzioni esterne progressivamente strutturare una forma di linguaggio verbale interiorizzato (autoverbalismo). Questo viene a costituire un meccanismo evolutivo fondamentale per favorire lo sviluppo del pensiero Altri Autori (Hughes, 1992; Hughes et al., 1996; Graham e Harris, 1999) hanno cercato di esaminare l'utilità dell'autoistruzione nell'insegnamento a bambini con deficit, evidenziando positivi riscontri sia per quanto riguarda l’acquisizione di abilità, che il loro mantenimento e la loro generalizzazione . In sintesi, queste sperimentazioni evidenziano il fatto che gli allievi con deficit cognitivi, ai quali viene insegnato ad autoistruirsi, diventano molto più attenti mentre svolgono compiti di apprendimento e, in generale, più abili solutori di problemi . b) Automonitoraggio La strategia dell'automonitoraggio prevede che l'allievo controlli le proprie performance annotando i riscontri delle prestazioni personali e la rispondenza di esse al piano d'azione stabilito. 110 Questa tecnica, abbastanza applicazione, semplice nelle modalità di riveste grossa importanza nel processo educativo di allievi con disabilità mentale, in quanto tali individui non sempre sono consapevoli del proprio comportamento, sia esso positivo o negativo. Autoistruzione : 1. fasi GUIDA TOTALE : l’educatore dimostra l’esecuzione e guida il soggetto alla delineazione delle autoistruzioni. 2. GUIDA ATTENUATA : L’educatore autoistruzioni verbalizza decise insieme al soggetto, mentre questi le le esegue in maniera sempre più autonoma. 3. PERFORMANCE AUTONOMA CON CONTROLLO Le autoistruzioni dell’educatore attenuate fino a esecuzioni autonome vengono progressivamente scomparire per guidate dalle voce formulate dal soggetto. 4. PERFORMANCE AUTONOMA 111 lasciare il autoistruzioni posto ad ad alta Viene incoraggiato il passaggio ad un’autoistruzione mentale, effettuata con verbalizzazione interna. Vengono attuati i programmi di generalizzazione. Automonitoraggio : fasi 1. GUIDA TOTALE : l’educatore guida il soggetto a automonitorarsi su singole prestazioni utilizzando anche check list figurate. 2. GUIDA ATTENUATA : l’educatore guida il soggetto a automonitorarsi su attività sempre più prolungate e complesse. 3. PERFORMANCE AUTONOMA CON CONTROLLO Il soggetto si autovaluta riportando i riscontri su check list non figurate . L’educatore stimola la discussione sulla qualità dell’automonitoraggio, facendo anche confrontare i riscontri riportati dal soggetto con le proprie valutazioni oggettive . 4. PERFORMANCE AUTONOMA Viene incoraggiato il passaggio ad un automonitoraggio effettuato spontaneamente e senza alcuno strumento. 112 Filmografia “L’anno in cui i miei andarono in vacanza” di Cao Hamburger (Scuola Sec. 1^ grado) “11^ ora” di Nadia Conners e Leila Conners Peterson (Scuola Sec. 1^ grado) “August Rush” di Kirsten Sheridan (Scuola Primaria e Sec. 1^ grado) “Bee Movie” di Simon J. Smith e Steve Hickner (Scuola Infanzia e Primaria) “Il dolce e l’amaro”, di Andrea Porporati (Scuola Sec. 1^ grado) “ O’ Jerusalem”, di Elie Chouraqui (Docenti) “Persepolis” di M. Satrapi e V. Paronnaud (Scuola Sec. 1^ grado) “Piccolo grande eroe” di Christopher Reeve e Dan St. Pierre “Lo scafandro e la farfalla” di Julian Schnabel (docenti) “Underdog” di Frederik Du Chau (Scuola Primaria) “La volpe e la bambina” di Luc Jacquet (Scuola Primaria e Sec. 1^ grado) 113 La costruzione dell’apprendimento: stili di apprendimento e stili di insegnamento. Didattiche interattive e di mutuo insegnamento . ( Dott.ssa Adalgisa Troiso ) L’APPRENDIMENTO L’apprendimento è un cambiamento relativamente durevole nel potenziale comportamento di un individuo, dovuto all’esperienza. � L’apprendimento dunque deve cambiare l’individuo in qualche modo. � Tale cambiamento avviene come risultato dell’esperienza. � Si tratta di un cambiamento nel potenziale comportamento di questo individuo. Due sono stati gli approcci fondamentali nello studio dell’Apprendimento: -L’approccio Comportamentale -L’approccio Cognitivo L’approccio comportamentale, risalente agli anni ’50 sostiene che, se la psicologia vuole essere una scienza esatta deve focalizzarsi sullo studio del comportamento osservabile . Tale approccio in origine considerò l’apprendimento in termini di connessione tra STIMOLO fornito dall’ambiente e la RISPOSTA di qualche genere fornita dall’individuo . La risposta inoltre si collega al RINFORZAMENTO. Pertanto si intuisce il forte accento posto sul ruolo rivestito dall’ambiente . (SKINNER) L’approccio cognitivo, sostiene invece che se vogliamo capire come avviene l’apprendimento dobbiamo interrogare innanzitutto le capacità di chi apprende di riorganizzare mentalmente il suo campo psicologico in rapporto all’esperienza . Questo tipo di approccio attribuisce particolare importanza al modo in cui 114 l’individuo interpreta e cerca di dare significato a ciò che accade, considerando la persona non come un prodotto meccanico dell’ambiente ma come un agente attivo nel processo di apprendimento,che tenta di elaborare e classificare il flusso di informazioni ricevute dal mondo esterno. (BRUNER) Ciò significa che mentre Skinner vede lo stimolo come una unità relativamente discreta, un avvenimento oggettivo, separato da colui che impara e tale da suscitare una risposta fondamentalmente semplice, Bruner lo considera qualcosa di identificato e riconosciuto da colui che impara in un modo personale che dipende dalle loro precedenti esperienze, pensieri e aspirazioni. Uno stimolo (S) quindi può non provocare una risposta (R) se viene considerato inappropriato o può determinare “categorie anticipatorie” che permettono la predizione di eventi futuri. Bruner ritiene che l’informazione venga elaborata e che l’elaborazione sia collegata a sistemi o metodi di rappresentazione . In particolare tali sistemi sono: -ATTIVO (es: attività motoria) -ICONICO (uso di immagini) -SIMBOLICO (linguaggio che sostituisce le immagini). E’ chiaro che le teorie dell’apprendimento sono insieme TEORIE DELL’INSEGNAMENTO e teorie dell’uomo non esplicitate. APPRENDIMENTO ED INSEGNAMENTO SONO PROCESSI OPPOSTI E COMPLEMENTARI. Dalla teoria comportamentistica sono derivate le corrispondenti teorie didattiche di tipo tassonomico, programmatorio, fondate sulla predeterminabilità degli obiettivi didattici, sulla fiducia del loro conseguimento attraverso la razionalizzazioneoggettivazione del processo di insegnamento. 115 Con il modello cognitivista si fa un progresso in direzione di una precisazione dei rispettivi ambiti dell’apprendere e dell’insegnare : l’apprendimento è un processo costruttivo fondato su strategie di tipo psichico là dove l’insegnamento è ordinato e statico e caratterizzato da consapevolezza . Attualmente si affaccia una terza prospettiva : LA TEORIA ENATTIVA. “La conoscenza può essere considerata come una interpretazione continua che non può essere adeguatamente incapsulata in un insieme di regole e di presupposti perché dipende dall’azione e dalla storia : la conoscenza è il processo continuo che modella il nostro mondo attraverso il gioco tra vincoli esterni e l’attività generata internamente” (VARELA) E’ interessante notare che l’apprendimento si connota come un processo non lineare mentre l’insegnamento è un processo lineare traducibile nei termini di una logica sequenziale. Dunque ne deriva: � La necessità di mediare il carattere lineare dell’insegnamento con quello non lineare dell’apprendimento � La necessità di mediare la dimensione degli schemi del soggetto che apprende con quella concettuale degli ambiti disciplinari. � La necessità di utilizzare una didattica in grado di agganciare la realtà dell’apprendimento profondo. � L’insegnamento finalizzato all’apprendimento si trova dinanzi alla necessità di promuovere processi non lineari a partire da azioni per loro natura sequenziali . Questo può essere reso possibile dalla conoscenza delle diverse componenti del processo di apprendimento. STRATEGIE DI APPRENDIMENTO 116 La nozione di Strategia di apprendimento e conseguentemente di Strategia di memoria è stata variamente analizzata. Essa si riferisce ai casi in cui una situazione può essere affrontata in modi differenti : questi modi costituiscono appunto delle strategie se hanno regolarità, controllo (più o meno consapevole) . La ricerca si è impegnata nell’individuare i principi del funzionamento mentale che conducono a tipi di strategie . Quasi tutti sono concordi nell’affermare che un soggetto che eserciti un controllo attivo sul proprio processo di apprendimento impara meglio ed ha una memorizzazione migliore . STILE COGNITIVO Stemberg (1996 - Stili di pensiero) sottolinea in questo recente lavoro che le differenze negli apprendimenti degli alunni non sono tanto legate alla loro intelligenza e ai loro livelli di abilità, quanto alle modalità di utlizzo di tale intelligenza e di abilità . Dunque se la SRATEGIA può essere definita come un insieme di procedure e operazioni finalizzate alla risoluzione di un compito cognitivo, si può dire che avremo un particolare stile cognitivo tutte le volte in cui si evidenzia la tendenza costante e stabile nel tempo ad usare una determinata classe di strategie per affrontare sia attività scolastiche che situazioni di vita di tutti i giorni. (CORNOLDI-DE BENIGRUPPO M-T.) Gli stili cognitivi sono in parte congeniti, in parte determinati e sviluppati dall’ambiente di appartenenza. Molte difficoltà degli studenti possono avere origine dalla discordanza tra il modo di apprendere dell’alunno e dalla tendenza sia degli insegnanti che degli alunni a confondere la discordanza di stile con la mancanza di abilità e quindi a sottovalutare dei risultati in se stessi buoni ma percepiti essere 117 inadeguati . ES: è abbastanza tipico che un insegnante, soprattutto se di materie letterarie, possieda uno stile verbalizzatore, ed utilizzi nel suo insegnamento prevalentemente la modalità verbale, insegnando ai suoi studenti strategie di studio come il riassunto e l’esposizione orale perché ritenuti più efficaci, e consideri veramente bravo e intelligente l’alunno che eccelle nelle abilità verbali . Tra l’insegnante e lo studente verbalizzatore si instaura una buona relazione, lo studente si sente apprezzato e questo aumenta la sua autostima e la motivazione positiva ad apprendere e migliorare . Lo stesso insegnante offrirà minori opportunità di apprendimento allo studente visualizzatore, non riconoscerà come altrettanto positive le sue prestazioni e darà una valutazione negativa delle sue abilità generali creando nello studente sfiducia in sé stesso e demotivazione . È chiaro, perciò, come tra gli stili del docente e quelli dell’alunno esista una relazione che, se è di conseguenza, va a vantaggio sia del rapporto tra l’insegnante e lo studente che dell’apprendimento di quest’ultimo . L’INSEGNANTE DEVE RICONOSCERE E VALORIZZARE LO STILE E LE STRATEGIE preferite dagli alunni, che costituisce il punto di partenza per poterne sviluppare altri . Negare quello che lo studente sa fare sia esso giusto o sbagliato è spesso controproducente in quanto può indurre ostilità verso l’insegnante e la scuola e il rifiuto per una certa materia o l’apprendimento in generale . Per valorizzare gli stili di tutti e per promuovere negli studenti la consapevolezza delle proprie caratteristiche cognitive e della necessità di ampliarle e migliorarle è importante variare e incrementare il proprio repertori di metodi di insegnamento e fornire una molteplicità di situazioni stimolo che permettano allo studente sia utilizzare il suo stile sia cimentarsi con stili e strategie di apprendimento 118 diverse .L’obiettivo dunque dovrebbe essere quello di creare negli studenti una flessibilità cognitiva e strategica che permetta loro di gestire in modo efficace le diverse situazioni e richieste del mondo circostante, non solo scolastiche. STILE COGNITIVO E PERSONALITA’ Come implica il nome, lo stile cognitivo ha a che fare con il pensiero, tuttavia il legame tra l’intelligenza e i diversi tratti di personalità è ben documentato dalla ricerca . I bambini che evidenziano significativi aumenti di intelligenza si sono dimostrati più indipendenti,competitivi e verbalmente aggressivi dei bambini con una intelligenza minore . TERMAN e ODEN rilevarono che i bambini con alto Q.I. che mostrano do fare un miglio uso delle proprie abilità presentano un grado alto di Autoefficacia percepita perseveranza e interesse nel lavoro svolto. I bambini di maggior successo si mostrano anche ben adattati, più equilibrati socialmente e risultava per loro più probabile per loro fare buoni matrimoni . I bambini con un Q.I. più alto erano meno ansiosi, più popolari e persino fisicamente più forti .Naturalmente non è dato saper se sia l’alta intelligenza a favorire buoni tratti di personalità o che avvenga il contrario ma siamo certi che le due dimensioni interagiscono vicendevolmente e continuamente rendendo impossibile stabilire la natura di legami causali . Di certo lo stile cognitivo presume anche uno stile di personalità . PREVALENTI STILI COGNITIVI Il primo ad individuare gli stili cognitivi fu proprio Bruner con la definizione dello stile : 1. Stile focalizzatore che tiene conto dell’analisi di tutti gli elementi. 119 2. Stile scanner che procede ad una rassegna veloce ma azzardata . Attualmente si definiscono prevalentemente cinque stili : ♣ STILE SISTEMATICO – INTUITIVO Lo stile sistematico si caratterizza per la procedura a piccoli passi e la considerazione di tutte le variabili in gioco. Lo stile intuitivo lavora preferibilmente su ipotesi, che cerca di confermare o confutare. Entrambi portano a soluzioni soddisfacenti : il sistematico avrà procedure più lente ma più certe . L’intuitivo rischia di sbagliare maggiormente ma può risultare più veloce . Ci sono compiti risolvibili solo con modalità sistematiche e sono necessarie anche al soggetto intuitivo. ♣ STILE GLOBALE – ANALITICO Riguarda in particolare lo stile percettivo ed individua una tendenza solistica ed una tendenza analitica . ♣ STILE IMPULSIVO – RIFLESSIVO Fra gli stili cognitivi questo è uno dei più classici. Lo stile impulsivo è trasversale a vasari momenti in cui viene meno un adeguato controllo nello studio . È chiaramente contrapposto al più valido stile riflessivo. È spesso fonte di disagio e cattivo impegno . ♣ STILE VERBALE VISUALE (si parla in genere di verbalizzatori e visualizzatori) riprende una distinzione intuitiva che ha sempre incontrato di sistematizzazione scientifica, ma è fuori dubbio che vi siano ragazzi che hanno preferenze per l’uso del codice linguistico (lettura, etc.) ed altri che preferiscono la visualizzazione (disegno, etc.) ♣ STILE CONVERGENTE – DIVERGENTE Pensiero dipendente dal campo o indipendente dal campo. 120 LA MOTIVAZIONE La motivazione può essere definita come qualcosa che spinge una persona a comportarsi in un certo modo . La motivazione estrinseca è quella che si sviluppa sulla base di rinforzi esterni. La motivazione intrinseca, più matura ed adatta allo studio è l’assunzione del valore in sé : la conoscenza acquisita per il piacere della conoscenza stessa . IL COPERATIVE LEARNING: RIFERIMENTI TEORICI K. LEWIN (1939): Il metodo democratico risulta di gran lunga il migliore in termini di acquisizioni affettive e cognitive. ALLPORT (1954): Quando gli studenti a scuola partecipano ad interazioni cooperative ed egualitarie si attivano relazioni più positive . C. ROGER (1994): Teoria del person centered learning: apprendimento centrato sulla persona: non imposto ma generato dalla partecipazione attiva dell’individuo. I principali riferimenti teorici ruotano intorno a tre principali prospettive: motivazionali,sociali, cognitive. Le teorie motivazionali identificano tre diverse strutture di valori: 1. cooperativa, in cui gli sforzi orientati all’obiettivo da parte di ciascun allievo contribuiscono al conseguimento degli obiettivi anche da parte dei compagni. 2. competitiva, in cui lo sforzo da parte di ciascun alunno tende a ridurre il conseguimento degli obiettivi degli altri. 3. individualistico, dove il conseguimento dei propri obiettivi non influisce sul conseguimento degli obiettivi degli altri. La critica all’organizzazione tradizionale della classe mossa dai teorici della motivazione è che nelle classi tradizionali il successo di uno studente riduce e frustra le chance di successo 121 degli altri . In una classe cooperativa lo studente che ce la mette tutta, che frequenta regolarmente e che aiuta gli altri ad imparare viene premiato ed incoraggiato dai compagni senza essere additato come «secchione» o «beniamino» dell’insegnante . Le teorie cognitive e sociali trovano riferimenti teorici in: Bruner: l’uomo è un essere prettamente sociale. La mente si sviluppa mediante la relazione con gli altri. Il soggetto che apprende insieme agli altri sviluppa comunque centralità e protagonismo . Vygotskj: l’apprendimento umano ha una natura sociale. Le funzioni prima si formano nel collettivo in forma di relazioni tra bambini, poi diventano funzioni mentali per l’individuo. Piaget: lo stesso Piaget che la conoscenza sociale come il linguaggio, i valori, le regole, la moralità, può essere appresa soltanto in interazioni con gli altri. Il principio di conservazione viene accelerato attraverso il contatto con bambini di diverso livello. Gardner: nota la teoria delle intelligenze multiple. IL COPERATIVE LEARNING: CONCLUSIONI IL COPERATIVE LEARNING, come le numerose ricerche hanno dimostrato, sembra poter risolvere molti dei grandi problemi dei nostri sistemi scolastici: ♣ recupero degli allievi problematici ♣ integrazione degli allievi disadattati ♣ valorizzazione degli allievi bravi ♣ sviluppo delle competenze sociali, del senso civico, della partecipazione, del rispetto dell’altro, dell’interdipendenza. ♣ sviluppo del cittadino democratico. 122 STILI COGNITIVI Prendendo spunto da alcune classificazioni esistenti, ed in particolare dai modelli teorici di Grinder (1991), Gardner (1987, 2000), Mariani (1996), Sternberg (1997, 1998), Willing (in Mezzadri 2002), possiamo innanzitutto definire lo stile cognitivo come l’insieme delle strategie selezionate, consciamente o inconsciamente, ed attuate durante il processo di apprendimento; tali strategie possono coinvolgere le modalità percettive e neurosensoriali, i meccanismi mnestici, le rappresentazioni mentali e gli emisferi cerebrali . I diversi stili cognitivi possono coinvolgere la dimensione : verbale: l’apprendimento avviene soprattutto raccogliendo e rielaborando informazioni espresse in forma linguistica; chi possiede questa inclinazione può prediligere l’oralità, e dunque il canale auditivo, o la scrittura, e dunque il canale visivo, o entrambe . Lo studente che preferisce il canale auditivo può far leva sulle strategie di ripetizione e sulla riorganizzazione linguistica del materiale da apprendere ( attraverso la creazione di rime, assonanze, onomatopee…) per favorire la memorizzazione . Chi invece preferisce il codice scritto usa maggiormente le strategie di espansione reticolare delle informazioni, ed apprende leggendo testi scritti, prendendo appunti e sottolineando parti di un testo . Lo stile cognitivo verbale può coinvolgere sia la memoria implicita sia la memoria esplicita, a seconda delle preferenze individuali ;ƒ non verbale: l’apprendimento può avvenire sfruttando quella che Gardner 123 definisce intelligenza visuo-spaziale, ossia la raccolta di informazioni a partire dall’osservazione dell’ambiente circostante, e la conseguente formulazione di ipotesi . Chi predilige questa modalità cognitiva apprende mediante l’esplorazione dell’ambiente, attivando il canale visivo, spesso integrato con l’uso di altri canali sensoriali; a livello mnemonico possono essere coinvolti sia la memoria esplicita che quella implicita, e in entrambi i casi svolge un ruolo importante la formazione di immagini mentali, sia di natura concreta sia di tipo simbolico . Di carattere non espressamente verbale è anche lo stile cognitivo di chi apprende facendo leva sulla musicalità di un testo, e dunque sulla dimensione paralinguistica ; cinestetica: l’apprendente concrete preferisce che imparare coinvolgano più attraverso esperienze modalità sensoriali simultaneamente; le informazioni vengono raccolte mediante diversi canali sensoriali e poi integrate a livello cerebrale ; uno studente che privilegia la dimensione cinestetica durante l’apprendimento linguistico può riflettere sulla lingua e sistematizzare quanto appreso solo dopo aver svolto esperienze concrete ( un’ intervista, un role-play, un’attività cooperativa, una ricerca), seguendo il principio “prima fare, poi riflettere” e facendo leva pertanto primariamente sulla memoria implicita ;ƒ logico-matematica: chi ha una propensione verso l’apprendimento logico-matematico attribuisce un ruolo centrale alla riflessione e alla sistematizzazione del materiale, individuando regolarità e contrasti, e privilegiando i meccanismi deduttivi ; durante l’apprendimento linguistico segue spesso il principio “prima 124 riflettere, poi fare”, attivando principalmente i meccanismi di memoria esplicita; tende inoltre all’astrazione ed ha una forte capacità di ricordare dettagli e particolarità linguistiche . Potremmo affermare che ogni studente possiede un proprio stile cognitivo, risultante dalla diversa combinazione di questi quattro fattori, i quali sono comunque presenti e si intersecano continuamente. Così ad esempio, chi privilegia l’apprendimento musicale spesso ha anche una propensione cinestetica perché può associare la melodia a gesti e movimenti che coinvolgono il corpo; allo stesso modo chi adotta la modalità logico- matematica, durante l’apprendimento linguistico può far leva su alcune strategie verbali ( stesura di appunti, individuazione di parole-chiavi ) per la sistematizzazione del materiale. Come sottolinea Gardner, dunque, una persona può possedere diversi stili cognitivi (o intelligenze), che attiva in modo diverso a seconda delle situazioni in cui si trova . Gli studi sugli stili cognitivi si possono coniugare con i dati provenienti dalla ricerca neuroscientifica sull’elaborazione delle informazioni negli emisferi cerebrali ( si vedano le ricerche riportate in Battaglini 2002 e Danesi 1998 ). Come è ormai noto, in ogni persona vi è una dominanza emisferica, ossia una propensione ad apprendere favorendo maggiormente uno dei due emisferi. Chi ha un orientamento cerebrale a destra, ad esempio, ha maggiori capacità di discriminare l’imput visivo, predilige il ragionamento induttivo, e a livello linguistico ha un maggior controllo degli elementi prosodici, comunica integrando diversi linguaggi (verbali e non verbali) e ha bisogno di un input contestualizzato . 125 Chi è orientato a sinistra, invece, preferisce il pensiero deduttivo, i compiti logici, e l’input verbale, ed apprende seguendo i principi della linearità e della sequenzialità ; a livello linguistico tollera in misura minore un input ridondante, ha una capacità maggiore di memorizzare nozioni grammaticali astratte, ed è indipendente dal contesto . Ad eccezione degli stili cinestetico e logico-matematico, che sono connessi rispettivamente all’emisfero destro e sinistro, sembra che gli altri stili cognitivi interessino in misura diversa entrambi gli emisferi . Chi possiede uno stile verbale può avere una dominanza a destra, e dunque prediligere l’apprendimento linguistico mediante rime, assonanze, giochi di parole, o una dominanza a sinistra, e dunque preferire la ripetizione, il riassunto e la riorganizzazione del materiale mediante schemi, tabelle e grafici . Chi ha uno stile visuo-spaziale può esplorare l’ambiente analizzandolo da subito dettagliatamente o prima in maniera generale . Infine, a livello socio-relazionale potremmo dire che tutti gli stili cognitivi possono essere orientati verso la sfera intrapersonale o interpersonale (che nella teoria di Gardner costituiscono due tipi di intelligenze distinte) . Ogni studente, infatti, qualunque sia il suo stile cognitivo, può preferire l’apprendimento individuale o cooperativo; così ad esempio uno studente cinestetico può preferire l’esplorazione dell’ambiente circostante da solo, così come lo studente che possiede una propensione logico-matematica può anche dimostrare una disponibilità a riflettere insieme ai compagni, negoziando, formulando e verificando ipotesi comuni . Ancor prima di 126 osservare gli studenti, il primo passo per insegnante consiste innanzitutto nel compiere una riflessione metacognitiva sul proprio stile di apprendimento . Tale riflessione porterà di conseguenza ad una maggiore consapevolezza su come il proprio modo di insegnare sia influenzato dalle propensioni cognitive; può accadere infatti che un docente, del tutto in buona fede, sia convinto dell’efficacia di certe tecniche didattiche solo perché queste rispecchiano il suo personale stile di apprendimento, o trovi difficoltà nell’interagire con alcuni studenti perché non ne condivide lo stile cognitivo . La riflessione metacognitiva costituisce dunque il primo passo per una didattica che si avvicini sempre più allo studente . Uno strumento particolarmente utile è quello delle “domande guida”, di cui presentiamo un esempio, presupponendo che siano queste le domande essenziali che ci si dovrebbe porre per iniziare a conoscere di più le proprie inclinazioni cognitive . Tali domande possono costituire una sorta di “checklist” da spuntare, sebbene vadano considerate un elenco aperto, da arricchire alla luce della propria esperienza. MODALITA’ DI APPRENDIMENTO LINGUISTICO � Preferisci attività orali o scritte? � Quali abilità linguistiche ritieni più importanti? � Nella tua esperienza di apprendente, quale abilità è più difficile sviluppare? � Preferisci lavori individuali o in gruppo? � Preferisci attività statiche o dinamiche? � Per imparare una regola grammaticale, preferisci desumerla da un contesto o impararla a partire da uno schema? � Preferisci prima capire e poi fare, o prima fare e poi capire? � Nella tua esperienza quali attività sono state più utili per apprendere una lingua e perché? MODALITA’ PERCETTIVE 127 � Il tuo tono di voce è alto, medio o basso? � Preferisci imparare vedendo, ascoltando o facendo? � Se devi imparare il contenuto di un testo, preferisci visualizzare mentalmente le pagine del testo, ripetere a voce alta, o collegare il contenuto ad azioni e movimenti? � Per imparare una canzone preferisci leggere il testo scritto, ascoltare più volte la canzone, o associare la canzone a movimenti tenendo il ritmo? � Se devi imparare i passi di un ballo, preferisci guardare prima qualcuno che li sta facendo, seguire le istruzioni dell’insegnante di ballo, o provare da solo seguendo il ritmo della musica? DOMINANZA EMISFERICA � Preferisci svolgere un compito alla volta o più compiti contemporaneamente? � Nel leggere un testo ti soffermi subito sui dettagli o prima cerchi di avere una visione generale del contenuto? � Sei ordinato/a o disordinato/a? � Ricordi meglio il nome o il volto di una persona? � Nello svolgere un compito ti attieni rigorosamente alle istruzioni? � Quando ti esprimi cerchi di spiegare tutto verbalmente o lasci che l’interlocutore capisca anche dai tuoi gesti o dalle tue espressioni facciali? � Quando usi la lingua straniera preferisci parlare lentamente ma in modo corretto o più velocemente, pur sapendo di commettere errori? � Ti piace organizzare il tuo tempo o preferisci decidere cosa fare di volta in volta? L’analisi delle propensioni cognitive degli alunni Dopo acquisito consapevolezza sul proprio stile cognitivo, l’insegnante può ora concentrare la propria attenzione sui suoi 128 alunni e cercare di identificarne le inclinazioni cognitive; ciò è fondamentale soprattutto durante le prime lezioni di un corso, quando l’insegnante non conosce ancora gli studenti ed ha bisogno di raccogliere dati prima di elaborare una programmazione didattica. Lo stile cognitivo è un prolungamento dello stile intellettivo, di una modalità che si manifesta in vari contesti . Coinvolge non solo aspetti cognitivi, ma anche socio-affettivi, cioè quegli aspetti legati alla nostra personalità che possono influenzare l’approccio all’apprendimento. Nel panorama degli studi e teorie presenti sull’argomento, una posizione rilevante, per esaustività ed approfondimento, è quella di Sternberg, che propone la “Teoria dell’autogoverno mentale”, secondo la quale gli individui, in situazioni problematiche, adottano particolari modalità di soluzione, che sono strettamente legate a strategie operative. In linea con la sua teoria triarchica dell’intelligenza (Sternberg, Spear-Swerling, 1997), le persone intelligenti sarebbero quelle che ottimizzano i propri punti di forza e che rimediano o compensano i propri lati deboli, riuscendo a trovare un buon equilibrio fra le proprie abilità e i propri stili preferiti. Le persone che non riescono ad operare una simile armonizzazione rischiano di essere frustrate dalla discrepanza fra ciò che sanno fare e ciò che preferiscono fare . La tesi che Sternberg propone è che ciò che succede nella vita dipende non solo da quanto pensiamo bene, cioè dalle nostre abilità, ma anche da come pensiamo, cioè dal nostro stile cognitivo . Il presupposto su cui si basa questa teoria è che le forme di governo esistenti 129 al mondo sarebbero riflessi esterni di quel che succede nella mente delle persone, rappresentando i vari modi in cui viene organizzato il pensiero . Ciò che egli cerca di proporre è un parallelo tra il modus operandi dei governi e quello che caratterizza le modalità di elaborazione cognitiva delle persone : come le società hanno bisogno di governarsi per poter agire nel mondo, così gli individui devono disciplinare le proprie risorse, organizzare le proprie vite e porre priorità su ciò di cui si devono occupare . La teoria si avvale di un modello organizzativo chiaro: tutti gli stili definiti da questa teoria corrispondono metaforicamente ad aspetti del governo di uno stato ideale. I governi, per poter operare, devono svolgere tre funzioni : quella legislativa, quella esecutiva e quella giudiziaria (il ramo esecutivo attua le leggi, le politiche e le iniziative emanate dal ramo legislativo, mentre il ramo giudiziario valuta la loro corretta applicazione o l’eventuale violazione ) . Oltre ad avere funzioni diverse, i governi si esplicano in forme diverse (monarchica, gerarchica, oligarchica ed anarchica ), hanno sfere diverse ( esterna ed interna ), livelli diversi ( globale, analitico ) e propensioni diverse ( radicale, conservatore ). La metafora politica è importante perché separa nettamente il concetto di abilità da quello di stile cognitivo, infatti nessuna funzione “governativa” vale di più o di meno delle altre, ha semplicemente una funzione diversa . Secondo l’idea di Sternberg ciascun individuo sarebbe caratterizzato non da singoli stili, rappresentati come polarità cognitive, ma da un profilo che è dato dall’insieme di più stili . Le persone hanno infatti delle 130 caratteristiche particolari che li contraddistinguono in ciascun dominio : funzioni, forme, livelli, sfere e propensioni . Il risultato è una classificazione in 13 stili cognitivi che l’autore definisce e descrive così: - stile “legislativo”: caratteristico delle persone che preferiscono decidere da sole cosa fare e come farlo . Si tratta di individui propensi a creare e formulare regole proprie e programmare proprie forme di comportamento . Per questo motivo preferiscono non avere a che fare con problemi che siano già prestrutturati . Questo stile, quindi, favorisce particolarmente la creatività e può essere piuttosto penalizzato in certi ambienti scolastici o di lavoro, dove le persone che lo adottano sono viste come troppo fuori dagli schemi e poco inclini a sottomettersi alle regole dell’istituzione . - stile “esecutivo”: caratterizza le persone che tendono ad applicare volentieri delle regole e preferiscono risolvere i problemi che vengono dati loro o strutturati per loro ; trovano piacere nel portare bene a termine un compito assegnato, preferiscono ricevere istruzioni riguardo a cosa fare e come farlo e applicano volentieri procedure e regole che hanno imparato . E’ intuibile come lo stile esecutivo tenda ad essere valorizzato in molti ambienti scolastici e di lavoro, in quanto si tratta di persone altamente affidabili . 131 - stile “giudiziario”: tipico di chi ama valutare regole, procedure e le idee esistenti . Le attività preferite sono : scrivere critiche, esprimere opinioni, valutare le persone ed il loro lavoro - stile “monarchico”: descrive le persone risolute che si lanciano completamente su un interesse o un’impresa e difficilmente permettono a qualcuno di frapporsi fra loro e la risoluzione di un problema . Si aspettano che i compiti vengano svolti senza scuse o circostanze attenuanti, tendono ad essere motivate da un solo obiettivo o da un solo bisogno alla volta e spesso hanno un’idea fissa e ne sono trascinate . - stile “gerarchico”: caratterizza persone che hanno una gerarchia di obiettivi e riconoscono la necessità di stabilire delle priorità, dato che non tutti gli obiettivi possono essere raggiunti in modo soddisfacente . Essi tendono ad accettare la complessità più di coloro che hanno uno stile monarchico e riconoscono la necessità di considerare i problemi da varie prospettive, per stabilire correttamente le priorità . Queste persone tendono ad essere organizzate e sistematiche nella risoluzione dei problemi e nel prendere decisioni. Possono essere concentrate a tal punto sui vari elementi della gerarchia, da non riuscire a prendere una decisione che richieda il piglio deciso. - stile “oligarchico”: tipico delle persone che desiderano fare più di una cosa nella stessa cornice temporale, tendono ad essere motivate da numerosi obiettivi, anche in competizione fra loro, di uguale importanza percepita. Spesso si sentono sotto pressione di fronte alle numerose e contemporanee cose da fare. 132 Non sono sempre sicure di che cosa sia meglio fare per prima, o di quanto tempo assegnare a ciascuno dei compiti che devono portare a termine . Tuttavia, se viene loro fornita una guida rispetto alle priorità dell’organizzazione in cui operano, possono diventare molto efficaci, in quanto caratterizzati da flessibilità, per adattarsi a circostanze continuamente mutevoli. - stile “anarchico” : caratterizza le persone motivate da una mescolanza di bisogni e obiettivi e che adottano un approccio casuale ai problemi . Tendono a respingere i sistemi, specialmente quelli rigidi e hanno grande potenzialità creativa: l’orizzonte delle cose che considerano è particolarmente vasto, di conseguenza possono scorgere soluzioni ai problemi che tutti gli altri trascurano. - stile “globale”: definito dalla preferenza per questioni relativamente vaste ed astratte . Queste persone non amano i dettagli, devono stare attente, pertanto, a non perdere i particolari . - stile “analitico”: tipico di persone orientate agli aspetti pragmatici delle situazioni, che apprezzano i problemi concreti e che richiedono di lavorare con i dettagli . - stile “interno”: caratterizza persone tendenzialmente introverse, distaccate o fredde nei confronti del mondo esterno e talvolta poco consapevoli socialmente . A loro piace lavorare da sole e tendono un po’ all’isolamento . 133 - stile “esterno”: tipico di chi risulta estroverso, espansivo, orientato alla gente, socialmente sensibile, che ama lavorare con gli altri in tutte le situazioni in cui ciò è possibile. - stile “radicale”: definisce le persone che si trovano particolarmente a loro agio quando vanno al di là delle regole e delle procedure esistenti, favoriscono il massimo cambiamento e ricercano situazioni nuove che possono anche presentare una certa incertezza ed ambiguità . - stile “conservatore” caratteristico di chi ama conformarsi alle regole ed alle procedure esistenti, privilegiando il minimo possibile di cambiamenti, evitando le situazioni ambigue e restando attaccato alle situazioni familiari nella vita privata e professionale . Si sente più a suo agio in un ambiente strutturato e relativamente prevedibile . Per quanto riguarda gli stili di apprendimento, invece, l’autore preso come riferimento è Kolb, il quale ha introdotto in letteratura il concetto di apprendimento esperienziale, un processo dove la conoscenza è creata attraverso l’osservazione e la trasformazione dell’esperienza . L’apprendimento esperienziale si contrappone al punto di vista sull’apprendimento che assimila il discente ad una tabula rasa che acquisisce passivamente dei concetti e le relazioni fra loro . Kolb intende l’apprendimento come una riflessione sulle azioni : in questo caso l’osservazione di la conoscenza esperienze 134 è ottenuta concrete o attraverso attraverso la comprensione di concettualizzazioni astratte, si trasforma attraverso l’osservazione riflessiva e si amplia mediante la sperimentazione attiva .Questo tipo di apprendimento viene concepito come un ciclo con 4 stadi: il soggetto, inizialmente, dovrebbe partire dall'esperienza concreta, cioè dai dati di fatto, dall’osservazione di come si fa una cosa, per passare a riflettere e a ripetere ciò che è stato fatto, ciò che si è esperito, attraverso l’osservazione riflessiva . Successivamente deve interpretare gli eventi a cui ha assistito cercando di cogliere le relazioni fra di essi : deve cercare di produrre concetti astratti ed estenderli a nuove situazioni attraverso la concettualizzazione astratta ; infine deve tradurre le nuove conoscenze in aspettative su quali azioni compiere per eseguire bene il compito e verificare i concetti in nuove situazioni tramite la sperimentazione attiva . Le caratteristiche dei 4 stili di apprendimento possono essere così sintetizzate : - I CONVERGENTI sono abili nell'applicazione pratica delle idee, tendono ad affrontare i problemi ragionamento ipotetico-deduttivo . in base ad un Preferiscono l'azione immediata all'introspezione prolungata e tendono a mettere in pratica le idee il più rapidamente possibile . Per loro la migliore teoria del mondo non vale nulla se non ha applicazioni immediate . Riescono a pensare meglio quando possono fare esperienze di prima mano e privilegiano interessi rivolti alle materie scientifiche e tecniche . Questo stile si rivela particolarmente proficuo nel problem-solving, 135 nella presa di decisioni e nell’applicazione pratica delle idee . E’ stato definito “convergente” perché una persona caratterizzata da questo stile sembra trovarsi maggiormente a suo agio in quelle situazioni in cui vi è una singola risposta corretta o una sola soluzione ad un problema . - I DIVERGENTI hanno delle strategie opposte a quelle che caratterizzano l’esperienza lo stile concreta e convergente . Essi l’osservazione preferiscono riflessiva, sono interessati alla gente e tendono ad essere immaginativi ed emotivi . Riescono a vedere i problemi da vari punti di vista e organizzano i contenuti in strutture significative . Ricercano continuamente significati nel mondo intorno a sé chiedendo in continuazione "Perché...?". Instaurano facilmente rapporti affettivi, sono socievoli e pronti a collaborare . Hanno vasti interessi culturali con prevalenza nel settore artistico. Questo stile è definito divergente perché gli individui riescono meglio in quelle situazioni che necessitano di brainstorming per la generazione di idee alternative . - Gli ASSIMILATORI sono abili nell'elaborazione di modelli teorici attraverso ragionamenti induttivi . Assimilano le conoscenze in strutture coerenti ed esplicative, sono obiettivi, razionali, logici e si preoccupano più dei fatti che delle persone . Spesso sono assertivi ed emotivamente controllati, ricercano il riconoscimento dagli altri, specialmente dalle figure che hanno un'autorità, per le quali nutrono molto rispetto . Sono più teorici che pratici ed attivano una metodologia coerente e precisa, che 136 può tradursi nella ricerca scientifica . Amano creare modelli teorici logici ed usare il ragionamento induttivo per assimilare osservazioni discrete in una spiegazione integrata . Per loro è importante che la teoria sia logica e precisa e in quelle situazioni in cui la teoria non corrisponde ai fatti, gli “assimilatori” sono portati a rivedere i fatti, piuttosto che rigettare la teoria . Questo stile di apprendimento è caratteristico delle scienze di base, piuttosto che delle scienze applicate . - Agli ACCOMODATORI, infine, che hanno delle caratteristiche opposte agli “assimilatori”, piace l’esperienza concreta . Sono abili nell'attività di sperimentazione attiva, però non in quella rigorosamente scientifica, e sanno far sintesi tra situazioni concrete e principi teorici. Sono pensatori pratici, flessibili, intuitivi ai quali piace apprendere per prove ed errori più che per analisi. Affascinati dallo sperimentare ed inventare, riescono meglio quando possono produrre liberamente, reagendo alle sfide intellettuali più con la velocità che con il pensiero. Essi sono attivi: portano a termine piani e compiti, ma impostano la loro attività più sulle informazioni provenienti da altre persone che sull'analisi personale dei dati ; prevalgono nei settori della tecnica e del commercio . Questo stile di apprendimento è definito “accomodatore” perché gli individui caratterizzati da questa modalità riescono facilmente ad adattarsi ai cambiamenti repentini di circostanze . Quando le teorie o i piani non si adattano ai fatti, gli individui “accomodatori” sono disposti a scartarle . Sono più disponibili, rispetto agli altri tre 137 stili, ad assumersi dei rischi. I loro ambiti educativi preferiti sono quelli tecnici o pratici, orientati all’azione . 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155