Lezione 14 - II parte Prof. Contu Epidemiologia Statistica Francesca

Lezione 14 - II parte
Prof. Contu
Epidemiologia Statistica
Francesca Sarais
Slide 283οƒ  Di questo vi ho già parlato (differenza tra i vari significati della parola “controllo”): l’uso del sostantivo
controllo per descrivere il gruppo di referenza in uno studio caso – controllo e nel trial controllato può portare a
confusione quindi ricordatevi che esiste una serie di significati diversi della parola controllo e che se ve li chiedo
dovete usarli nel modo giusto. Cerchiamo di vedere come funziona la randomizzazione: abbiamo una popolazione di
persone che potrebbero essere eleggibili, per esempio se io sto studiando un farmaco per curare il morbo di Parkinson
è chiaro che la popolazione è fatta da soggetti che hanno il morbo di Parkinson ma se io sto valutando se il farmaco in
questione funziona (dà dei risultati) entro un anno dalla malattia, la mia popolazione è fatta solo da chi si è ammalato
nell’ultimo anno; se io voglio verificare che sia efficace come prima linea terapeutica (c’è molto nei tumori) cioè un
farmaco usato prima di tutti gli altri (in linea temporale), la mia popolazione (tutti i soggetti eleggibili) diventa solo
soggetti che non sono stati ancora curati con farmaci. Quindi il mio problema è definire qual è la mia popolazione e
poi definire chi sono gli eleggibili.
Altri aspetti che creeranno enormi problemi di estensione del risultato e quindi di validità: vi ho già detto che ci sono
molti problemi riguardo al consenso, in particolare per l’ottenimento del consenso per un minorenne perché me lo
devono dare i genitori, attualmente (il fenomeno varia a seconda dei Paesi del mondo) io posso avere un genitore che
abita col bambino e l’altro che vive chissà dove ma ha ancora un ruolo, oppure i due genitori non si parlano tra loro (in
questo caso è meglio se avete la firma di entrambi i genitori); dovete verificare che firmi sempre il genitore affidatario,
se il bambino è grande devo anche valutare se è informato e in qualche modo acconsente. Quindi lavorare sui
minorenni (anche 17 anni) è sempre un problema.
Anziani: il problema che avete con questo tipo di soggetto è vario, ma la prima cosa che vi chiedete è “è in grado di
capire a fondo e di dare il consenso?”, un’ottantenne che sembra lucido è in grado di capire in pieno che gli state
dando un farmaco non ancora messo sul mercato, che potrebbe avere certi effetti collaterali e in più che potrebbe
prendere anche il farmaco vecchio (placebo o studio a doppio cieco); in genere se il soggetto è molto vecchio lo
escludo dallo studio, anche per un altro motivo: abbiamo detto che preferisco avere negli studi delle situazioni
“pulite” cioè voglio vedere come funziona il mio farmaco antipertensivo in un soggette che prende solo quel farmaco,
ma se quello è anche diabetico e sta prendendo insulina o ipoglicemizzante magari ha anche la statina perché ha
ipercolesterolemia, posso avere problemi di interazione tra farmici quindi preferisco inserire nello studio persone che
hanno solo una malattia, ma man mano che vado avanti con l’età è molto difficile che io abbia persone con una sola
malattia e che prenda quindi un sol farmaco.
Donne in gravidanza o che potrebbero essere in gravidanza: se la terapia è lunga (caso più frequente) devo avvisarla
che se dovesse andare incontro ad una gravidanza deve smettere immediatamente i assumere il farmaco, quindi devo
anche darle le indicazioni e gli strumenti per rendersene conto il più presto possibile. Per questo problema qualcuno
ha suggerito l’assunzione di contraccettivi nel periodo dello studio (in modo da evitare la gravidanza) ma a questo
punto ho problema della interferenza del contraccettivo con il farmaco che sto studiando.
E’ chiaro che alla fine voi rischiate di fare lo studio solo su uomini e donne di 30 anni, ma la validità dello studio sopra i
60 anni e sotto i 20 è molto vaga, trattando anche persone che hanno una sola malattia mentre invece nella realtà
raramente è così. Esistono criteri di esclusione che fanno uscire questi soggetti dagli eleggibili; una volta che li ho
scelto questi si dividono in
Partecipanti: tra questi devo effettuare la randomizzazione;
Non partecipanti: il soggetto ha valutato la mia proposta e ha deciso di proseguire con la sua vecchia cura;
uno può anche decidere di iniziare il nuovo trattamento che state sperimentando nello studio ma dato che il
consenso non è definitivo può decidere di interrompere in qualsiasi momento l’uso del nuovo farmaco e
tornare al vecchio (a volte non lo comunicano neanche a chi conduce lo studio).
Cos’è la randomizzazione? Un criterio per assegnare a caso i miei soggetti a due trattamenti diversi per esempio
(gruppo A e gruppo B – slide 284); ci sono metodi diversi: inserendo i nomi in un foglio elettronico posso assegnare i
numeri a caso e poi mettere i pari in un gruppo e i dispari nell’altro. Ricordate però che io non lo devo sapere perché
1
di solito siamo in doppio cieco: la casa farmaceutica mi fa arrivare un certo numero di fiale numerate e le do al
soggetto inserito nello studio man mano che li arruolo e scopro solo alla fine che la 213 era il nuovo trattamento e la
457 quello vecchio o un placebo. Quindi li divido in gruppo di trattati e l’altro gruppo, li seguo nel tempo e a questo
punto calcolo qual è la probabilità di un evento, devo decidere dall’inizio su quanti soggetti devo condurre lo studio
(qui torniamo ai problemi di statistica).
Devo fare tutte queste cose secondo questa logica e potrei sempre provocare dei bias: bias di osservazione del doppio
cieco per esempio, ma è evidente che io nel momento in cui una quota di eleggibili decide di non partecipare, se
questa quota comprende tutti quelli che sono più gravi, tutti quelli che abitano lontano o tutti quelli che hanno un
particolare fattore genetico ed è un bias di selezione, ma la cosa buona in questo caso è il bias avviene dopo la
selezione quindi avrò soggetti che rinunciano sia nel gruppo A (trattati) sia nel gruppo B (non trattati) quindi a livello
statistico non perdo molto e non viene invalidato lo studio.
Primo bias di selezione (slide 289): quanti hanno rifiutato di partecipare? Il numero è grande o piccolo? Ricorda molto
quello che abbiamo detto per lo studio di coorte, valgono anche gli stessi criteri. Se io decido che per verificare
l’effetto del mio inibitore della pompa voglio fare la gastroscopia, ci saranno molti soggetti che rifiutano (soprattutto i
meno gravi) perché non hanno nessuna voglia di fare una gastroscopia; se io dico che devono sottoporsi ad un
controllo settimanale in ospedale, probabilmente uno che lavora e non ha tempo non partecipa allo studio mentre
l’anziano che non ha niente da fare e magari abita anche vicino all’ospedale viene, anche perché gli fa piacere passare
una serata a chiacchierare! Questo degli anziani funzionava moltissimo per i centri di fisioterapia. Quindi è chiaro che
se lo studio prevede terapie/controlli/esami invasivi e/o possibili complicazioni, non mi cambierà l’effetto ma la
possibile validità esterna dello studio perché se tutti quelli che hanno una caratteristica dovessero rifiutare di
partecipare, io perderei l’estensione di quelli che hanno quella caratteristica.
Viene riportato l’andamento di tutti quelli persi all’osservazione? Questo è importante: i persi all’osservazione sono
quelli che dopo un mese che hanno trattato dicono che vogliono smettere, ne ha il diritto, posso sperare che mi dica
perché vuole smettere; potrei perderlo del tutto (situazione peggiore) perché magari ha un incidente (che può o no
essere dovuto al farmaco che gli state dando), potrebbe decidere di smettere per effetti indesiderati a causa dei quali
si preferisce il farmaco vecchio οƒ  se in questo caso non mi dice perché ha smesso (effetti indesiderati) io potrei
toglierlo dallo studio mentre invece dovrei lasciarlo e scrivere nello studio che il farmaco non ha funzionato oppure
che non ha dato risultati migliori del farmaco vecchio. Altro caso al contrario: il farmaco era previsto per un mese,
dopo una settimana il soggetto sta benissimo, il farmaco ha avuto un effetto eccezionale e lui può decidere di venire a
dirvi che non lo prende più per le tre settimane restanti perché ha già ottenuto i risultati che voleva oppure può anche
decidere che non ha voglia di venire ad avvisarvi che ha smesso di prendere il farmaco. Per esempio il soggetto pensa:
il mal di testa mi è sparito dopo due giorni e ho visto che se smetto di prendere il farmaco non mi torna, quindi perché
dovrei prenderlo per altri 10 giorni? Oppure: perché devo continuare a prenderlo se ho più mal di testa di prima?
Il problema è decidere come trattare i persi al follow up, anche perché in genere questo tipo di studi non è molto
neutro, cioè mentre in altri studi io mi posso fidare abbastanza dell’etica dello sperimentatore, qui dentro l’etica dello
sperimentatore è molto combattuta perché il grosso di questi studi sono finanziati da quelli che se il farmaco funziona
lo venderanno quindi cercano in tutti i modi di dimostrare che il farmaco ha effetto, anche perché è più difficile
togliere dal commercio un farmaco piuttosto che inserirlo. Ci sono due soluzioni quindi: una (quella sbagliata) è
limitare l’analisi a quelli rimasti e quelli che hanno smesso non li guardo più, così facendo rischio che gli unici che
continuano sono quelli in cui ha successo e magari il resto che ha mollato ha avuto brutti effetti collaterali, è chiamata
“analisi limitata ai soggetti rimasti nello studio” [slide 290]; l’altra soluzione [slide 291] è quella più corretta (“analisi
secondo il principio dell’intenzione al trattamento”) e prevede che si consideri come fallimento del farmaco il caso in
cui il soggetto interrompe il trattamento, quindi in tutti quelli che smettono di prendere il farmaco devo supporre che
non abbia funzionato, quindi se il dato era qualitativo malato era e malato resta, se invece il dato era quantitativo
devo lasciare il dato precedente (la pressione arteriosa era 160, non è tornato a misurarla quindi era ancora 160, il
farmaco non ha avuto effetto). Nella seconda soluzione se vedo che una serie di dati che migliorano e poi a un certo
punto gli altri peggiorano e lui non è venuto non posso considerare che lui non è venuto perché è migliorato quindi a
quel punto lo considero tra i fallimenti; la tendenza è quella a dire, poi dipende dallo studio o dai motivi per cui il
paziente lascia, che nel momento in cui uno smette con lo studio, devo considerarlo come andato male, ci sarà poi da
specificare cosa vuol dire “andato male”: può voler dire che uno è rimasto malato, che i valori sono rimasti alti; è
2
anche chiaro che qualsiasi cosa faccia, la faccio per evitare un problema (come la scelta di non mettere esami invasivi
per non perdere persone), perché nel momento in cui io li perdo rischio di commettere un errore nello studio.
Altri problemi in epidemiologia sperimentale: criteri di diagnosi di ammissione, li avevamo già visti per gli studi di
coorte ma li riprendiamo; io voglio studiare un nuovo farmaco per l’artrite reumatoide, questa è una malattia la cui
diagnosi è un po’ vaga (la situazione è anche peggiore in psichiatria, per l’ansia per esempio) quindi devo segnalare chi
ha fatto la diagnosi, secondo quali criteri, se è stata valutata eccetera perché devo sapere se il farmaco funziona
sull’artrite reumatoide con componente psoriasica, sulla sclerodermia, sull’artrite reumatoide e basta. Se io non sono
sicuro se lo sto usando su un tumore particolare o in generale. Secondo punto (quello che rischia di più l’imbroglio):
con che cosa sto confrontando il mio nuovo farmaco? Se io sto confrontando un antidolorifico sviluppato
recentemente con l’aspirina Bayer del 50’ presumibilmente il nuovo antidolorifico funziona meglio, ma non è un buon
motivo per metterlo in circolazione perché devo confrontare il farmaco con il migliore trattamento a disposizione in
quel momento. La regola attuale è che nessun farmaco può essere introdotto nel mercato se non è migliore del
migliore dei farmaci attualmente sul mercato, quindi un comitato etico controllerà che il farmaco che voi avete scelto
di somministrare al gruppo di controllo sa realmente il migliore. Perché non si vogliono introdurre nuovi farmaci?
Perché non so se faranno male dopo 20 anni e soprattutto attualmente per una ragione di tipo economico: i farmaci
dopo un certo numero di anni che sono in commercio non sono più di proprietà di chi li ha prodotti quindi chiunque
ha il diritto di produrli utilizzando la stessa formula. Per esempio se il pane si fosse inventato secondo questo metodo,
chi ha inventato la formula per trasformare il frumento in pane sarebbe l’unico a poter vendere il pane per 20 anni,
ma se io dico che invece del frumento canadese uso il frumento russo, a questo punto ho il diritto di brevettare
questo nuovo pane con frumento russo per altri 20 anni. Quindi se io brevetto un farmaco nuovo e riesco a sostenere
che questo farmaco non ha un eccipiente in più ma è realmente un farmaco nuovo e funziona meglio del vecchio, per
20 anni ho di nuovo l’esclusiva di vendita, molte volte questo succede cambiando solo un atomo di idrogeno da
qualche parte. Quindi è chiaro che essendo gli Stati a pagare la sanità, vogliono spendere il meno possibile quindi
cercano di far scadere i brevetti dei farmaci quindi accettano un nuovo farmaco quando questo è assolutamente
diverso dal vecchio. Una delle cose più importanti quindi è il gruppo di confronto: quanti ne devo vedere? Ne chiedo
400, 800, e cosa succede se sbaglio? Nel momento in cui io sto dicendo che i due farmaci sono diversi potrei voler dire
che mi producono un livelli di colesterolemia diverso quindi siccome questo è un dato quantitativo, per dire che la
colesterolemia media del gruppo di controllo è più alta della media della colesterolemia nel gruppo dei trattati devo
usare un test particolare che è T Student; se invece io dico “il gruppo di controllo ne ha guarito il 20% mentre il gruppo
dei trattati ha il 40% guariti” io sto usando la z di Gauss, se i dati non fossero Gaussiani io non potrei usare T Student
ma dovrei andare a confrontare mediana e test non parametrici, che non abbiamo fatto ma sapete che esistono. A
questo punto la prima cosa che devo chiarire è: io voglio misurare la pressione arteriosa? Oppure voglio misurare
quelli che non sono più ipertesi? Se voglio misurare la pressione arteriosa sto misurando un dato quantitativo (uso T
Student) se sto misurando invece un dato qualitativo uso la z di Gauss. Come definisco a questo punto “iperteso”?
Devo dare il range in cui considero il soggetto iperteso.
Voi ricordate anche che se io confronto due medie posso dire che la differenza è significativa ad un livello del 5-10%,
come faccio? Se quel valore di t o di z è superiore a 96 corrisponde a p<0,005 eccetera. Da che cosa dipende questo?
Da quanto i due gruppi sono diversi tra loro, se uso t da quanto è grande la deviazione standard, e su questo non ci
posso fare niente, però mi dipende dalle dimensioni del campione. Ricordate che quando c’è molta variabilità ho
bisogno di campioni grandi: se io voglio dimostrare che in una situazione di tumore in cui si muore al 100% entro tre
mesi, il mio nuovo farmaco ne guarisce il 40-50%, probabilmente anche con un campione molto piccolo lo posso
dimostrare; quando a Cagliari hanno portato la cefalosporina, data a 10 persone, visto che in due giorni guarivano,
non hanno avuto bisogno di 1000 casi per verificare la sua efficacia. E’ evidente che però ora che su quella patologia
che ora ha una cura, per vedere una differenza di persone guarite che va dal 30% al 40% ho bisogno di migliaia di
soggetti nel mio studio; se voi pensate a quelle formule in cui c’era
π‘šπ‘’π‘‘π‘–π‘Ž1−π‘šπ‘’π‘‘π‘–π‘Ž2
√𝐷𝑆^2
∢ 𝑛 media e Deviazione Standard le
sapete, vi dovete calcolare n quindi n diventa l’incognita. Io so quanti guariscono oggi dal quel tumore e chi produce il
farmaco fa una scommesso su quanta percentuale potrebbe guarire in più il suo nuovo farmaco quindi accetto di
metterlo in commercio se gli studi dimostrano che guarisce la percentuale auspicata (se questa è maggiore di quella
garantita dal vecchio farmaco). Se io faccio studi piccoli potrei no dimostrare che un farmaco funziona, se lo faccio
troppo grande e non sto attento sembra che curi tutto, perché di solito un piccolo aumento c’è sempre, infatti si dice
3
che deve migliorare almeno del 5-10% e non solo che deve migliorare. Sugli effetti collaterale è chiaro che una casa
farmaceutica potrebbe proporvi campioni piccoli perché non dimostrerò mai su un campione piccolo che il farmaco
nuovo ha più effetti collaterale del vecchio perché anche se il vecchio ha il 15% degli effetti collaterali e quello nuovo il
20%, se il campione nuovo ha pochi soggetti 20-15 non avrà mai un numero significativo [il 15% di un milione è più
grande del 20% di 10.000, anche se la percentuale è più alta nel secondo caso]. Ci sono anche i farmaci di non
differenza, perché se voglio vendere un farmaco a 10 euro contro uno che ne costa 70 devo dimostrare che ha la
stessa efficacia, ciò significa che l’ipotesi nulla non può essere contraddetta: se io prendo campioni piccoli non
funziona quindi lo statistico deve chiedere un campione più numeroso, quindi sul campione si gioca molto della
dimostrazione dell’efficacia del farmaco.
Ogni comitato etico deve avere per legge uno statistico al suo interno. Poi ovviamente usando test diversi io posso
dimostrare una cosa piuttosto che un’altra: per esempio posso non mettere nel mio studio un test che mi dimostra
una differenza di risultati con altri test, quindi chi è furbo sceglie di inserire nella presentazione del farmaco il test che
mi dà risultati più ottimistici οƒ  problema di valutazione della correttezza dello studio.
Altro problema: se farete ricerca dovrete riuscire a calcolare in anticipo le dimensioni del campione. L’altro aspetto
importante in epidemiologia è l’end-point (slide 285): perché diamo le statine? Tramite l’abbassamento della
colesterolemia voglio come fine ultimo abbassare il numero di infarti. Per il tumore un farmaco nuovo deve
dimostrare o che permette di vivere più a lungo o che anche vivendo lo stesso numero di giorni, permette una qualità
di vita migliore, per esempio facendo sparire alcuni segni del tumori a determinati esami strumentali o diagnostici
(segno radiologico, marcatore tumorale): se io non vedo il segno radiologico dico che il tumore in quel momento non
c’è, se 5 anni dopo non è ricomparso lo considero guarito definitivamente. Allo stesso modo si misura l’efficacia della
chemioterapia: vado a verificare 5 anni dopo se la radiografia continua a darmi esame negativo, quindi dichiaro
successo se l’esame radiografico è negativo nel tempo. Non posso però misurare l’effetto di alcuni farmaci perché
sarebbe da valutare 30 anni dopo per esempio. L’effetto di un vaccino è una variazione sierologica, che posso
misurare 2-3 mesi dopo, ma lo scopo perché io do il vaccino è perché il soggetto non prenda una certa malattia:
quando si fa il vaccino dell’epatite B (attualmente nei primi mesi di vita), secondo voi un bambino nei paesi dove non
ci sono vaccinazioni o prima che esistessero, ha la possibilità di prendere questa malattia a 5-8 anni? È molto difficile
che uno si prenda l’epatite B, la possibilità è che sia congenita oppure sessuale (ma non sarebbe il problema più grave)
quindi io dovrei misurare l’incidenza dell’epatite B in quella popolazione tra i 15 e i 25 anni quindi vuol dire che io so
solo molto dopo se sono immune o no; può anche capitare che io due mesi dopo il vaccino sono immune,
successivamente non ho più contatti con il virus e arrivo a 20 anni che l’immunità non ce l’ho più perché non è stata
rinforzata (ci sono teorie diverse, ma sierologicamente non ce n’è molta).
Quindi non sto usando il mio outcome finale, ma sto usando il surrogato: non sto dicendo quanti infarti ho evitato
usando le statine o quante infezioni ho evitato con il vaccino, dico quanta colesterolemia ho abbassato e quante
immunità ho accresciuto. Questo vuol dire che io devo dimostrare che quel surrogato è valido perché se io non ho
prima dimostrato che la colesterolemia abbassa l’infarto, non è automatico che io possa usare il surrogato al posto
dell’outcome finale, quindi quel farmaco potrebbe non servire a niente. Epidemiologicamente un tempo dimostravo
che la colesterolemia era importante, adesso parlate invece di HDL e LDL: per come la misuravo prima, se io avessi
avuto un farmaco che abbassa una delle due abbassando la colesterolemia totale, potevo abbassarlo a discapito della
parte buona e mi sarei visto solo anni dopo che gli infarti aumentavano. Quindi la scelta degli end-point ad effetto
immediato deve essere usata con molta cautela, perché io non so se quel surrogato corrisponderà a quello che
volevate ottenere, quando scelgo l’end-point non sono sicuro che sia davvero quello che volevo ottenere, se non dopo
anni.
4