12 mm
PANTONE PROCESS BLU CV
ISLE
Rassegna Parlamentare
4
2014 Ottobre/Dicembre
ISSN 0486-0373
Rivista
trimestrale
Rassegna
Parlamentare
3
1
2
4
2014
Ottobre/Dicembre
Anno LVI
Jovene editore
2ª COPERTINA
12 mm
3ª COPERTINA
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INDICE
ottobre-dicembre 2014
SAGGI
TOMMASO EDOARDO FROSINI - EDOARDO C. RAFFIOTTA, Stato
costituzionale e governo dell’economia ...........................
ANTONIO D’ALOIA, Dai voti ai seggi. Limiti costituzionali
alla distorsione della rappresentanza elettorale ..............
GINEVRA CERRINA FERONI, La selezione dei candidati alle elezioni: il “giardino (sempre meno) segreto della politica”
SILVIA SILVERIO, La consuetudine nella giurisprudenza costituzionale ..........................................................................
p. 779
» 813
» 843
» 863
OSSERVATORIO PARLAMENTARE
a cura di VINCENZO LIPPOLIS e MICHELA MANETTI
LUIGI CIAURRO, L’ordine del giorno preliminare in sede referente ................................................................................. » 895
OSSERVATORIO PARLAMENTARE COMPARATO
a cura di TOMMASO EDOARDO FROSINI
GIAMMARIA MILANI - TANIA ABBIATE, Giurisprudenze costituzionali e sistemi elettorali: la sentenza n. 1/2014 della
Corte costituzionale italiana in prospettiva comparata ... » 913
TEORIA E TECNICA DELLA LEGISLAZIONE
a cura di MICHELE AINIS
ISLE - SCUOLA DI SCIENZA E TECNICA DELLA LEGISLAZIONE
«MARIO D’ANTONIO», Esercitazione degli allievi del
XXVI Corso della Scuola di scienza e tecnica della legislazione .......................................................................... » 937
776
INDICE
GIUSEPPE UGO RESCIGNO, Sulla diagrammazione a blocchi di
un progetto di legge ......................................................... p. 939
RECENSIONI
GIOVANNI SAVINI, L’attività legislativa tra parlamento e governo: continuità e innovazioni nell’esperienza del governo Monti (G.M. SALERNO) ......................................... » 967
Elenco collaboratori ................................................................ » 971
Indice generale 2014 .............................................................. » 973
I contributi proposti per la pubblicazione su questa Rivista sono esaminati in via preliminare dalla Direzione anche per stabilirne la congruità tematica. I Saggi sono poi sottoposti a valutazione da parte di
un Comitato di revisori esterno. Le note destinate alle varie rubriche
sono soggette a valutazione da parte di revisori interni, oltre che dei
responsabili delle rubriche.
STATO COSTITUZIONALE
E GOVERNO DELL’ECONOMIA
di TOMMASO EDOARDO FROSINI - EDOARDO C. RAFFIOTTA*
SOMMARIO: 1. L’economia e il suo impatto sulla forma di Stato. – 2. Gli effetti economici della UE sulle carte costituzionali. – 3. «Costituzione economica» e
governo dell’economia in Italia. – 3.1. Il «modello conteso»: l’economia nei
lavori della Costituente. – 3.2. L’avvento dell’Unione europea e la «nuova
costituzione economica». – 3.3. Le riforme mancate e quelle «imposte», tra
crisi economica e globalizzazione. – 4. Da Weimar al Grundgesetz, disciplina
e governo dell’economia nel Diritto costituzionale tedesco. – 4.1. Weimar e
il problema della «costituzione economica». – 4.2. Il Grundgesetz e l’assenza
di modello economico. – 4.3. Il processo di unificazione e la prima convergenza con la «costituzione economica» europea. – 4.4. Le Föderalismusreformen e le nuove regole di governo dell’economia tra continuità e processo di integrazione europea.
1.
L’economia e il suo impatto sulla forma di Stato
Mutuando un famoso brocardo – ubi societas ibi ius – si può
dire, oggi più di ieri, che “dove c’è economia c’è diritto e dove
c’è diritto c’è economia”. I due settori portanti dell’organizzazione di una società si sono venuti sempre più a intrecciare l’uno
nell’altro (anche negli studi: Law and Economics1). Salvo che, a
seconda dei periodi storici, può essere il diritto a regolare l’economia ovvero l’economia a imporre le scelte giuridiche. È questo
* Il lavoro è frutto della collaborazione fra i due autori, tuttavia si devono a Tommaso Edoardo Frosini la redazione dei paragrafi 1 e 2 e a Edoardo C. Raffiotta i paragrafi 3 e 4. Verrà pubblicato nel volume Diritto ed economia dei mercati, a cura di G.
Lemme.
1 A partire dai pionieristici lavori di R.A. POSNER, Economic Analysis of Law, 3ª
ed., Little, Brown, Boston, 1986.
780
TOMMASO EDOARDO FROSINI
- EDOARDO C.
RAFFIOTTA
il tema dell’ordine giuridico del mercato2, che dovrebbe corrispondere all’ordine economico: pertanto il mercato, come incontro di scelte, non dovrebbe essere concepibile senza il diritto,
come incontro di pretese. Sullo sfondo vi è il non risolto interrogativo: il mercato, ovvero l’economia “materiale”, è governata da
principi discrezionalmente imposti dal legislatore, oppure è quest’ultimo che deve finire con l’agire entro limiti derivanti dai
principi posti dall’economia?
Intorno a questa domanda si possono però sviluppare ragionamenti diversificati a seconda delle fonti. E quindi, la possibile
tensione fra economia e diritto si può venire a manifestare attraverso i provvedimenti di natura legislativa che Parlamento e Governo pongono in essere. Attraverso i quali il legislatore anticipa
scelte di indirizzo economico, ovvero si limita a recepire e normare quanto già prodotto dal mercato economico. Si pensi poi,
in particolare, a periodi caratterizzati dalla c.d. crisi economica,
che impongono misure d’urgenza, adottabili con provvedimenti
legislativi, con lo scopo di arginare gli effetti negativi della crisi.
E quindi, una produzione legislativa tutta protesa a normare
azioni e strategie per fronteggiare l’emergenza economica (e finanziaria)3. Anche se proprio le (recenti) crisi economico-finanziarie fanno emergere la consapevolezza che la globalizzazione
dell’economia richiede una disciplina giuridica pubblica anch’essa globale, e quindi regole di diritto certe e controlli severi
sul loro rispetto4. Le crisi, al di là delle problematiche da cui scatenano, non si possono più affrontare solo con misure di carattere meramente economico e nemmeno con misure solo interne
ai singoli Stati per il tramite di provvedimenti legislativi. La na2 Come
titola un suo libretto Natalino Irti (ed. Laterza, Roma-Bari 1998), che ha
suscitato un interessante dibattito, pubblicato nel volumetto: AA.VV., Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, ed. Laterza, Roma-Bari 1999.
3 Sulla questione della crisi economica e le risposte giuridiche, v. ora il vol. Crisi
economico-finanziaria e intervento dello Stato. Modelli comparati e prospettive, a cura di
G. Cerrina Feroni e G.F. Ferrari, Giappichelli, Torino 2012.
4 In chiave globale e sulle ricadute in punto di assetto costituzionale, v. il vol.
Constitutions in the Global Financial Crisis. A Comparative Analysis, a cura di X. Contiades, Ashgate, Surrey 2013.
LA SELEZIONE DEI CANDIDATI ALLE ELEZIONI:
IL «GIARDINO (SEMPRE MENO) SEGRETO
DELLA POLITICA»
di GINEVRA CERRINA FERONI
SOMMARIO: 1. La selezione dei candidati alle elezioni ha natura anche pubblicistica. – 2. L’incandidabilità introdotta per legge, ovvero il fallimento della
autoregolazione della politica. – 3. Strumenti per selezionare i candidati: la
diffusione delle elezioni primarie. – 3.1. (Segue) Il dibattito italiano sulle elezioni primarie. – 4. Sistema elettorale con liste bloccate o sistema elettorale
con voto di preferenza? – 5. Il ruolo del web nella selezione delle candidature. Verso una democrazia della sorveglianza?
1.
La selezione dei candidati alle elezioni ha natura anche pubblicistica
Il tema oggetto di questo scritto riguarda la selezione dei
candidati alle elezioni, da intendersi come il procedimento mediante il quale un partito politico decide quali, tra le persone che
possiedono i requisiti per ricoprire una carica elettiva, saranno
designate per le elezioni. Il tema non è nuovo1.
Eppure la selezione delle candidature alle elezioni ha avuto
finora scarso approfondimento negli studi comparatistici, non
solo in quelli giuridico-costituzionali ma anche – e la cosa stupi1 Si
consideri che nella Firenze del Rinascimento la storica famiglia di politicibanchieri Medici poté realizzare, per diversi decenni, una sorta di “signoria occulta”
mantenendo sul proprio libro-paga i cosiddetti “accoppiatori”, cui competeva istituzionalmente la redazione delle liste (dette “borse”) ove erano inseriti i nomi dei legittimati al sorteggio alle candidature alle varie cariche pubbliche della città e dello Stato.
Sulla carta tutti i cittadini in possesso di determinati requisiti obiettivi avrebbero potuto accedere alle varie cariche, ma i Medici, attraverso gli “accoppiatori”, individuavano i cittadini da inserire nella “borsa” tra le persone gradite alla “famiglia” ed al suo
partito.
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GINEVRA CERRINA FERONI
sce – in quelli politologici. Non esiste infatti una letteratura organica in materia. Come se della selezione dei candidati – una
delle più oscure funzioni svolte dai partiti politici nelle cosiddette “stanze dei bottoni” – non se ne dovesse parlare. Suggestiva, al riguardo, l’immagine utilizzata da due Autori, Gallagher
e Marsh, in un volume del 1988, Candidate Selection in Comparative Perspective: The Secret Garden of politics, che parlano –
come espressamente recita il titolo – di “giardino segreto della
politica”2. A sottolineare la fonte del potere interno – il giardino
– e la distanza e la segretezza delle sue procedure rispetto al pubblico. In effetti è difficile «affrontare un tema sul quale pesa in
modo particolare il paradosso che Duverger riteneva caratteristico dello studio dei partiti: chi è a conoscenza di quello che
realmente avviene non ha interesse a parlarne e chi, mosso da interessi conoscitivi, vorrebbe approfondire l’argomento, non vi ha
accesso, se non parzialmente»3.
Il tema della selezione delle candidature è infatti da sempre
considerata tradizionale ed esclusiva prerogativa dei partiti politici e fa parte della organizzazione della loro vita interna: «a vital
activity in the life of any political party»4. Si tratta di una attività
che rende distinguibili i partiti da altre forme associative e con la
quale i partiti esercitano una funzione di intermediazione (cioè
offrire all’elettore la possibilità di scegliere un rappresentante) e
realizzano il loro programma5.
Non solo. La selezione dei candidati rappresenta una fase
cruciale del processo politico sia in termini di reclutamento del
personale, sia in termini di rafforzamento della coesione o, al
2 M. GALLAGHER, M. MARSH (a cura di), Candidate Selection in Comparative
Perspective: The Secret Garden of Politics, Londra, Sage, 1988.
3 R. VIGNATI, Trasformazioni dei partiti politici, democrazia interna e selezione dei
candidati, in F. Raniolo (a cura di), Le trasformazioni dei partiti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, 121. Si rimanda poi a M. DUVERGER, I partiti politici, Milano,
Comunità, 1961.
4 R.S. KATZ, The problem of candidate selection and models of party democracy, in
Party Politics, 2001, vol. 7, n. 3, 277.
5 R. HAZAN, Metodi di selezione dei candidati: le conseguenze delle elezioni interne ai partiti, in Partiti e sistemi di partito (a cura di L. Bardi), Bologna, Il Mulino,
2006, 171-196.
LA CONSUETUDINE
NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
di SILVIA SILVERIO
SOMMARIO: 1. Interrogativi di fondo. – 2. Il quadro “dipinto” dalla Corte costituzionale. A) Il dato quantitativo: una curva convessa. – 3. B) Il dato qualitativo: le “categorie” utilizzate dal Giudice delle leggi. a) La consuetudine ordinaria o legislativa. – 4. b) (Segue) Le “consuetudini locali”. – 5. c) (Segue)
Le “consuetudini di vita”. – 6. La consuetudine costituzionale. – 7. (Segue)
La consuetudine parlamentare. – 8 Un doppio binario.
1.
Interrogativi di fondo
Nel linguaggio codicistico (artt. 1 e 8 delle Disposizioni sulla
legge in generale) gli usi – fonte non scritta di terzo grado –
hanno efficacia nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti solo in quanto da essi richiamati. Disposizione, questa,
che, letteralmente interpretata, sembrerebbe ammettere la sola
consuetudine secundum legem1. Eppure le analisi dottrinali e, entro certi limiti, la giurisprudenza costituzionale, hanno ampiamente documentato come, in molti settori del diritto, regole di
origine consuetudinaria siano pacificamente applicate, a prescin1 In argomento, G. ZAGREBELSKY, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto,
Torino 1984, 281, secondo il quale gli usi, di cui agli artt. 8 e 9 delle Preleggi, non si
riferiscono alla fonte consuetudinaria propriamente intesa, in quanto «la necessità di
un rinvio specifico, affinché l’uso assuma efficacia normativa, rende superfluo il requisito dell’opinio iuris: l’uso è la consuetudine nel suo aspetto materiale ovvero fonte in
senso derivato, cioè non è vera fonte, ma elemento cui la legge rinvia per completare
la regola che essa pone». Sull’efficacia delle consuetudini secundum legem, cfr. A. PIZZORUSSO, Fonti del diritto, Bologna-Roma 1977, spec. 369 ss. (e in senso conforme L.
PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, spec. 393 ss.), secondo il quale
esse assumono di regola la stessa efficacia della norma rinviante, legislativa o regolamentare, salvo che la disposizione di richiamo non le sottoponga a limiti ulteriori.
864
SILVIA SILVERIO
dere da qualsiasi richiamo legislativo (cd. consuetudine praeter
legem)2, e talvolta nonostante la loro dubbia compatibilità con
espresse previsioni di legge (cd. consuetudine contra legem)3.
Volendo rimanere, per il momento, a considerazioni di carattere generale, affinché si formi una consuetudine, sempre
stando all’insegnamento tradizionale, è necessaria la compresenza di un elemento materiale (diuturnitas) ed uno psicologico
(opinio iuris ac necessitatis): deve verificarsi, cioé, una ripetizione
più o meno diffusa e prolungata nel tempo di un comporta2 In argomento, F. SORRENTINO, Le fonti del diritto, Genova 1984, spec. 127 ss.,
il quale distingue, all’interno della categoria della consuetudine praeter legem, tra consuetudini operanti in quei limitati settori in cui, pur non vigendo alcuna fonte scritta,
vi sia la convinzione che i relativi rapporti siano giuridicamente rilevanti; e consuetudini operanti in settori provvisti di una disciplina scritta, ma lacunosa.
3 Sugli artt. 1 e 8 Preleggi, cfr., tra gli altri, R. GUASTINI, Produzione e applicazione del diritto. Lezioni sulle Preleggi, Torino 1989, spec. 55 ss.; G. ALPA e V. MARICONDA (a cura di), Sub artt. 1 e 8, Disposizioni sulla legge in generale, in Codice civile
commentato, Milano 2005, 35-47 e 89-92; R. SACCO, Il diritto non scritto, in AA.VV., Le
fonti del diritto italiano: le fonti non scritte e l’interpretazione, in Trattato di Diritto Civile, diretto da R. Sacco, Torino 2009, spec. 17 ss.
Sulle diverse categorie di consuetudini, gli studiosi che identificano il diritto con
le norme poste dallo Stato sono portati ad attribuire valore alla consuetudine solo se
vi sia una norma statuale che la riconosca, onde il fondamento della sua efficacia viene
ricondotto in questo modo sempre alla volontà dello Stato. Invece gli studiosi che ammettono la possibilità di una formazione spontanea del diritto, non solo attribuiscono
alla consuetudine il valore di “fonte” primaria e autonoma, ma pure, in talune correnti, subordinano ad essa il diritto statuale, assegnando a questo la funzione di esprimere e rivestire di autorità il diritto “popolare”. In argomento, R. ORESTANO, Dietro la
consuetudine, in Riv. trim. dir. pubbl., Milano 1963, 522-523. Per i riflessi che le varie
teorie intorno alla nozione di diritto hanno nel modo di considerare la consuetudine,
cfr. N. BOBBIO, Consuetudine (teoria gen.), in Enc. dir., IX, Milano 1961, 429 ss., nonché, più ampiamente, ID., La consuetudine come fatto normativo, Padova 1942, spec. 111 e 91-100, il quale considera la consuetudine come, appunto, un «fatto» che trae da
sé medesimo la propria efficacia. Contra, si v., tra gli altri, M.S. GIANNINI, Sulla consuetudine, in Riv. int. fil. dir., 1947, 89 ss.
Per un quadro sul sistema delle fonti, data l’incompletezza dell’elencazione delle
fonti di produzione contenuta nell’art. 1 delle Preleggi, si rinvia, tra gli altri, a V. CRISAFULLI, Fonti del diritto (dir. cost.), in Enc. dir., XVII, Milano 1968, 1 ss.; A. PIZZORUSSO, Fonti del diritto, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma 1977, spec.
165 ss.; ID., Fonti (sistema costituzionale delle), in Dig. it., IV, Torino 1991, spec. 174
ss.; G. ZAGREBELSKY, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, cit., spec. 100 ss.; F.
SORRENTINO, Le fonti del diritto, op. cit., spec. 42 ss.; P. BARILE, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1987, spec. 19 ss.; L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, op. cit., spec.
30 ss.
L’ORDINE DEL GIORNO PRELIMINARE
IN SEDE REFERENTE
di LUIGI CIAURRO
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La vicenda. – 3. Presupposti ed effetti dell’ordine del
giorno preliminare. – 4. Rassegnate conclusioni di diritto parlamentare (e non).
1.
Premessa
Spesso, troppo spesso, le più recenti applicazioni del diritto parlamentare si sono caratterizzate per un «situazionismo normativo» a
tutto campo, che nella sostanza sta comportando il rischio di doppiare
quella sorta di Capo Horn1 che divideva pur sempre giuridicità e politicità nel diritto parlamentare, seppure nella confluenza delle acque2.
Desta una qualche preoccupazione – ad esempio – il fatto che di
recente un innovativo, forse contraddittorio e sicuramente contestato,
istituto (vale a dire l’ordine del giorno preliminare in sede referente)
sia sorto in Senato proprio in occasione dell’esame di due fondamentali progetti di legge: la riforma elettorale e la modifica costituzionale.
A quest’ultimo proposito, come noto, ben altre sono state le contestazioni circa la legittimità stessa della procedura di revisione costituzionale.
1 Volutamente
– a proposito della dialettica diritto-politica nell’ordinamento
parlamentare – si è voluto echeggiare il recente saggio di E. Gianfrancesco, «Doppiare
Capo Horn». I Gruppi consiliari (e parlamentari) tra diritto e politica, su questa Rivista,
2014, n. 3, 597-630.
2 Già il «fondatore» del diritto parlamentare italiano aveva infatti significativamente sottolineato l’incidenza particolare che assume nel diritto parlamentare l’elemento politico, che «penetra in quasi tutti i rapporti giuridici di questa categoria e li
vivifica, li governa, li trasforma in vario senso, rende possibile o impossibile l’applicazione delle norme, che devono regolarli; e in certi casi riesce talmente a fondersi con
l’elemento giuridico, da rendere impossibile una recisa separazione dei due elementi»
(V. MICELI, Per una cattedra di diritto parlamentare, su Roma. Rivista di politica parlamentare, 1898, 748).
896
LUIGI CIAURRO
In primo luogo, il giurista deve chiedersi se un Parlamento formato pressoché integralmente (salvo gli eletti in Valle d’Aosta e nella
Circoscrizione estero, nonché in Trentino-Alto Adige presso il solo Senato) con una legge elettorale dichiarata incostituzionale possa procedere all’approvazione di leggi di revisione costituzionale3, che tra l’altro incidendo sul funzionamento di un organo costituzionale rappresentano l’esercizio di un potere costituente vero e proprio. Se è vero
che la stessa Corte costituzionale ha fatto riferimento al principio della
continuità dello Stato per ammettere la validità degli atti che le Camere adotteranno prima del loro rinnovo, tuttavia ha richiamato altresì
espressamente il concetto di prorogatio di cui all’art. 61 Cost.4, che
come noto comporta per prassi una diminuzione delle funzioni che
possono essere svolte normalmente dalle Camere, a partire proprio dal
potere di revisione costituzionale.
Ma non basta. Sotto il profilo sostanziale sono a tutti noti i contenuti delle sentenze della Corte costituzionale 29 dicembre 1988, n.
1146 e 23 luglio 1993, n. 366, che hanno posto precisi limiti concernenti i «principi supremi dell’ordinamento costituzionale» anche all’attività di revisione costituzionale. Viene da chiedersi se la trasformazione di una delle due Assemblee rappresentative in un organo non
elettivo sia compatibile con i principi fondamentali della forma di governo repubblicana, in quanto evidentemente un organo non elettivo
rappresenta di per sé un arretramento democratico rispetto ad un’assemblea in precedenza eletta direttamente. Si potrebbe anche conclu3 Cfr.
in particolare A. PACE, I limiti di un Parlamento delegittimato, in Osservatorio costituzionale, marzo 2014, sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it, che
sinteticamente afferma: «Se infatti è discutibile – lo ammetto – che un Parlamento delegittimato possa approvare talune leggi di revisione costituzionale, come io stesso ho
scritto (e me ne pento), è però assolutamente inconcepibile che un Parlamento delegittimato possa incidere sulle strutture portanti della nostra democrazia parlamentare».
4 Cfr. la parte finale del punto 6 del considerato in diritto della sentenza della
Corte costituzionale 13 gennaio 2014, n. 1, sul quale v. i rilevi critici di G. GUZZETTA,
La sentenza n. 1 del 2014 sulla legge elettorale ad una prima lettura, su forumcostituzionale.it, 14 gennaio 2014, che in particolare afferma: «Né vale invocare – per sostenere
la piena legittimità giuridica e politica del Parlamento – l’argomento della continuità
dello Stato, citando le norme in materia di prorogatio delle Camere. Queste ultime, infatti, sono semmai prova della conclusione opposta, che, cioè, in quanto ormai sciolte
o cessate le Camere vedono i propri margini di operatività depotenziati e limitati alla
ordinaria amministrazione e a situazioni di emergenza non rinviabili al successivo Parlamento.».
GIURISPRUDENZE COSTITUZIONALI E SISTEMI ELETTORALI:
LA SENTENZA N. 1/2014
DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA
IN PROSPETTIVA COMPARATA*
di GIAMMARIA MILANI - TANIA ABBIATE
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La Corte costituzionale e il diritto comparato: influenze esplicite e implicite. – 3. La sentenza n. 1/2014 alla luce della giurisprudenza tedesca … – 4. … e di altre Corti costituzionali. – 5. Conclusioni.
1.
Introduzione
La sentenza n. 1/2014, con la quale sono state dichiarate incostituzionali alcune disposizioni della legge n. 270/2005 (“Modifiche alle
norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”), presenta diversi profili di interesse che la rendono senz’altro una della decisioni più importanti della Corte costituzionale. La
pronuncia costituisce l’epilogo di una vicenda che ha coinvolto a più
riprese il giudice costituzionale, il quale già in passato – in diverse sedi
– aveva segnalato alcuni aspetti problematici della legge elettorale1.
* Pur essendo il frutto di un lavoro e di una ricerca condivisi, il contributo è da
attribuire a Giammaria Milani per i paragrafi 1, 4 e 5 e a Tania Abbiate per i paragrafi
2 e 3.
1 In occasione di due decisioni sull’ammissibilità di referendum abrogativi della
legge elettorale (che non hanno poi avuto esito, in un caso perché non è stato soddisfatto il quorum di partecipazione, nell’altro perché i quesiti sono stati dichiarati inammissibili), il giudice delle leggi aveva infatti affermato che «l’impossibilità di dare, in
questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del
premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi».
Corte costituzionale, sent. n. 15/2008, 6.1 considerato in diritto; sent. n. 16/2008, 6.1
considerato in diritto; n. 13/2012, 5.3 considerato in diritto. Nella relazione annuale
sulla giurisprudenza costituzionale del 2012, il presidente Gallo aveva esplicitamente
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GIAMMARIA MILANI
- TANIA
ABBIATE
Non era peraltro scontato che si giungesse, una volta adita la
Corte, ad una pronuncia di incostituzionalità: come ravvisato da gran
parte della dottrina, infatti, rimanevano dubbi relativi sia all’ammissibilità2 che al merito3 della questione.
Per quanto riguarda, in particolare, i profili di ammissibilità, era
stato rilevato come la materia costituisse una “zona d’ombra”4 del sidenunciato la difficoltà di dialogo con il legislatore proprio sul tema della legge elettorale, ribadendo i dubbi sulla normativa in vigore. Corte costituzionale, Relazione annuale sulla giurisprudenza costituzionale dell’anno 2012, Roma, 12-4-2013, disponibile
su www.cortecostituzionale.it, 6-8: «Il dialogo … si presenta a volte più difficile proprio con il soggetto che della Corte dovrebbe essere il naturale interlocutore, e cioè il
legislatore. Questa difficoltà emerge, in particolare, nei casi in cui essa solleciti il legislatore a modificare una normativa che ritiene in contrasto con la Costituzione. Tali
solleciti non possono essere sottovalutati. Essi costituiscono, infatti, l’unico strumento
a disposizione della Corte per indurre gli organi legislativi ad eliminare situazioni di illegittimità costituzionale che, pur da essa riscontrate, non portano ad una formale pronuncia di incostituzionalità … È appena il caso di menzionare, poi, l’altra raccomandazione – tanto spesso richiamata nelle più diverse sedi politiche – a modificare la vigente legge elettorale».
2 Ciò che difettava, secondo la maggioranza dei commentatori, era proprio l’incidentalità della questione (ciò che avrebbe fatto, di essa, una fictio litis), elemento necessario in un giudizio, appunto in via incidentale, come quello che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità del sistema elettorale. Vedi, tra gli altri, E. ROSSI, La
Corte costituzionale e la legge elettorale: un quadro in tre atti e dall’epilogo incerto, in
Federalismi, 2013, 5; E. GROSSO, Riformare la legge elettorale per via giudiziaria? Un’indebita richiesta di “supplenza” alla Corte costituzionale, di fronte all’ennesima disfatta
della politica, in Rivista Aic, 2013, 1; A. ANZON-DEMMING, Un tentativo coraggioso ma
improprio per far valere l’incostituzionalità della legge per le elezioni politiche (e per coprire una “zona franca” del giudizio di costituzionalità), in Rivista Aic, 2013, 2-3; P. CARNEVALE, La Cassazione all’attacco della legge elettorale. Riflessioni a prima lettura alla
luce di una recente ordinanza di rimessione della Suprema Corte, in Nomos, 2013, 2-3;
R. BORRELLO, Due problemi contrapposti: ammissibilità e “zona franca”, in Nomos, 2013,
2-3; A. GIGLIOTTI, Violata la “zona d’ombra”? La quaestio legitimitatis della legge elettorale, in Nomos, 2013, 2-3.
3 Era forte il dubbio che le disposizioni contestate, relative alla disciplina del
premio di maggioranza e delle liste bloccate, ancorché politicamente inopportune, fossero costituzionalmente illegittime, per lo meno nei termini secondo i quali la questione era stata sollevata dalla Corte di Cassazione. Cfr. P. CARNEVALE, La Cassazione all’attacco della legge elettorale, cit., 2-3; E. GROSSO, Riformare la legge elettorale per via
giudiziaria?, cit., 1; A. MORRONE, La legge elettorale davanti alla Corte costituzionale:
une pomme empoisonnée o una “favola” a lieto fine”?, disponibile su www.confronticostituzionali.eu; G. GUZZETTA, È incostituzionale la legge elettorale?, disponibile su
www.confronticostituzionali.eu.
4 Sulle zone d’ombra della giustizia costituzionale vedi i diversi saggi contenuti
in R. BALDUZZI, P. COSTANZO (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale.
SULLA DIAGRAMMAZIONE A BLOCCHI
DI UN PROGETTO DI LEGGE
di GIUSEPPE UGO RESCIGNO
1. Tra le esercitazioni organizzate per i partecipanti al XXVI
Corso di tecnica legislativa vi è stata anche una esercitazione, da me
proposta e accettata dalla direzione del Corso, dedicata alla riscrittura
di un testo di legge mediante la c.d. diagrammazione a blocchi o di
flusso (dirò dopo perché preferisco la dizione a blocchi), come uno degli strumenti a disposizione del redattori di un testo di legge per verificare per quanto possibile la sua corretta scrittura e la sua operatività.
La esercitazione si è svolta in più giorni nei mesi di gennaio-febbraio
2014; quella che qui viene pubblicata è la diagrammazione della procedura mediante la quale viene richiesto da 500.000 elettori e viene
svolto un referendum abrogativo secondo la legge n. 352 del 1970. Va
avvertito preliminarmente che, trattandosi di una esercitazione, il testo
esaminato viene visto come se fosse un progetto di legge ancora da approvare. Il mio intento e la ragione che ha indotto la rivista a pubblicare uno dei risultati della esercitazione è anzitutto quello di ricordare
che esistono strumenti più o meno complessi e raffinati per aiutare i
redattori dei progetti di legge (ad es., oltre quello qui esaminato, la griglia o lista di controllo, o check list, i diagrammi di Allen, il Pert, ed altri: sul punto vedi bibliografia), in secondo luogo quello di mostrare in
modo concreto e praticabile in che cosa consiste quello strumento specifico chiamato diagrammazione a blocchi, infine di invogliare gli interessati a servirsene per la utilità che esso comporta e che verrà analiticamente ricordata alla fine di questo articolo.
2. Il modo migliore per esporre il tutto mi pare quello di offrire
immediatamente al lettore il diagramma come si è configurato alla fine
della esercitazione, dopo aver brevemente chiarito il significato dei simboli e dei segni usati, e soltanto alla fine esplicitare le premesse, le re-
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GIUSEPPE UGO RESCIGNO
gole, le ragioni e lo scopo di tale tecnica, i risultati che essa permette di
raggiungere, i limiti e le condizioni alle quali tale tecnica soggiace, ed altre avvertenze e riflessioni sul tema utili o indispensabili per usarla nel
modo migliore.
3. I simboli principali che uso sono il rettangolo e il diamante (o
rombo: alcuni autori usano anche altri simboli, altri semplificano il
tutto usando soltanto rettangoli): a) il primo indica che qualcosa avviene esattamente come dicono le parole scritte nel rettangolo (si dà
cioè per scontato che, se ciò che viene scritto è una regola, è accaduto
proprio ciò che la regola prevede: ad es., se la regola dice che un certo
documento va pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il rettangolo, o meglio ciò che è scritto nel rettangolo, informa che la pubblicazione è avvenuta); b) il secondo, esattamente al contrario, al suo interno contiene
per iscritto una domanda con la quale si chiede all’analista di rispondere se ciò viene richiesto è stato fatto oppure no, è avvenuto oppure
no: si usa dunque una logica binaria che ammette solo due risposte, o
«sì» oppure «no»; il rombo dunque ha una entrata che introduce la domanda al momento opportuno entro la sequenza diagrammata, e due
uscite, una che dice «sì» alla domanda e l’altra che dice «no» alla medesima domanda; è del tutto ovvio che se la risposta è «sì» il diagramma seguirà. in base a quanto viene prescritto nel seguito del progetto di legge diagrammato, una linea di sviluppo del tutto diversa da
quella che si avrà invece nel caso in cui la risposta è «no»; il diagramma
in altre parole chiede di verificare, in base al progetto di legge in esame
ed al sistema giuridico entro cui esso sarà immesso (nota bene), che
cosa deve o può accadere successivamente secondo diritto se si è verificato quanto richiesto entro il rombo, e viceversa che cosa può o deve
accadere se non si è verificato quanto richiesto.
Poiché si tratta di una sequenza che ha un inizio e deve terminare
dopo aver percorso varie fasi, vi saranno tante frecce quante sono necessarie per connettere i diversi passaggi.
Nel diagramma vi sono altri tre segni che vanno spiegati: a) il
primo consiste in un cerchietto nel quale figura un numero; poiché è
impossibile, tranne casi elementari o blocchi estremamente compattati,
che il diagramma stia tutto in una pagina, diventa necessario scriverlo
su più pagine: i cerchietti col numero indicano una prima volta dove
termina nella pagina la sequenza (verticale o orizzontale) e la seconda
volta, con un cerchietto col medesimo numero, dove la sequenza rico-
GIOVANNI SAVINI, L’attività legislativa tra parlamento e governo: continuità e innovazioni nell’esperienza del governo Monti, Cedam,
2014.
Il libro di Giovanni Savini sull’attività legislativa tra Parlamento e
Governo, con particolare riferimento all’esperienza del Governo
Monti, si inserisce in un originale settore della giuspublicistica che ha
visto illustri precedenti, come quelli di Carlo Chimenti (con «Il governo dei professori: cronaca di una transizione», del 1994) e di Guglielmo Negri (con «Un anno con Dini: diario di un governo eccezionale», del 1996). Con ciò si intende dire che si tratta di un’opera scritta
da chi, in qualità di tecnico, ha visto operare in diretta la nostra forma
di governo in alcuni frangenti particolarmente critici della vita politica
ed istituzionale, e che, dunque, da tale osservatorio privilegiato può
fornire al lettore un quadro ricostruttivo che supera, per così dire, l’apparenza delle norme e degli atti formali che sono stati posti in essere
per ragioni spesso collegate a stati di necessità più o meno giustificati.
Ciò che caratterizza il contributo di Savini, a nostro avviso, è l’equilibrio della posizione di partenza, e l’assenza di un quel filtro «dottrinale» che talora oscura l’esposizione o che comunque costringe gli
autori prettamente accademici a fornire un «taglio» necessariamente
parziale e soggettivo alle proprie osservazioni valutative. Al contrario,
il testo di Savini si presenta strutturato secondo una logica rigorosamente sistematica e consequenziale, e le osservazioni critiche che lo
punteggiano non sono la mera conseguenza di un qualche presupposto
ideologicamente condizionato, ma la lineare ricaduta di considerazioni
fondate sull’oggettiva ponderazione dei dati di fatto.
Certo, anche Savini non rinuncia, seppure talora tra righe e
spesso nelle ampie e dettagliate note, a fornire una sua propria chiave
di lettura a fenomeni che egli stesso correttamente qualifica come «macroscopiche distorsioni rispetto al modello costituzionale», distorsioni
che si possono sintetizzare nell’utilizzo «parossistico» della decretazione d’urgenza, della questione di fiducia e del maxi-emendamento
governativo in sede di conversione in legge, spesso tra loro operanti in
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RECENSIONI
combinato disposto. La posizione del Parlamento nella determinazione
della legislazione nazionale ne è risultata vieppiù negletta, sino al
punto da apparire del tutto incapace di pronunciarsi con una qualche
autonomia – e neppure di discutere – sulle numerosissime disposizioni
poste dal Governo con la decretazione d’urgenza. E ciò è avvenuto anche su scelte essenziali per la collettività tutta, come, ad esempio, sull’approvazione di importanti trattati internazionali, come il cd. Fiscal
Compact, o sull’approvazione della legge costituzionale di introduzione del principio di pareggio di bilancio, riforma rilevantissima che
fu oggetto soltanto e complessivamente di un paio di giorni di dibattito parlamentare. Tali aspetti critici della modalità di decisione legislativa sono stati appieno presenti anche e soprattutto nel caso del Governo Monti, la cui attività normativa viene scandagliata nel contributo
qui in esame con uno specifico e analitico approfondimento.
L’imponente dilatazione dei decreti-legge e il ricorso frequentissimo alla questione di fiducia ha provocato, secondo una bella espressione coniata da Savini, una sorta di «routinizzazione» che ha condotto
a gravi conseguenze sia sul piano della legalità costituzionale, che su
quello del leale e corretto confronto tra Governo e Parlamento. L’analisi, per alcuni tratti impietosa, tratteggiata da Salvini gli consente di fornire alcune indicazioni propositive sugli strumenti corettivi, in specie
sul versante delle norme dei regolamenti parlamentari, ma senza escludere anche opportuni richiami a più incisive riforme costituzionali.
Se qualcosa può essere consigliato all’Autore, è allora l’opportunità di proseguire ulteriormente su questo percorso di prospettazione
delle ipotesi di riforma, giacché non può non rilevarsi la debolezza di
una gran parte delle modifiche sinora proposte e che sono esposte con
dovizia di particolari nella fase conclusiva dello scritto di Savini. Certo,
è di piena evidenza come l’inquadramento di questioni così delicate per
l’equilibrio dei poteri costituzionali possa essere qui condizionato dal
riferimento ad una esperienza forse al limite dell’ortodossia costituzionale, quella cioè del Governo Monti. Il carattere «tecnico» di tale esecutivo, come rileva l’Autore, non può essere assimilato in tutto e per
tutto ad alcuni precedenti Governi composti da non parlamentari.
Anzi, può dirsi che il caso di Monti rappresenti l’avvio di una serie di
esecutivi che della distanza e separatezza rispetto al Parlamento hanno
fatto la loro cifra distintiva. Governi, cioè, quasi accomunati dalla volontà di distanziarsi nettamente da quella funzione che per lungo tempo