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Secondo Workshop
AIEOP… in Lab
Catania, 19-20 maggio 2011
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disorders and diseases in neonates, children
and adolescents, as well as related molecular
genetics, pathophysiology, and epidemiology.
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Secondo Workshop
AIEOP... in Lab
Catania, 19-20 maggio 2011
Pediatric Reports 2011
[volume 3]
[supplement 1]
Pediatric Reports 2011;volume 3:s1
Secondo Workshop
AIEOP... in Lab
Catania, 19-20 maggio 2011
ESPRESSIONE E FU NZIONE DI
RECETTOR I PER I L-1 7A E IL-25
SU CELLUL E NEOPLASTIC HE B DI
DERIV AZIONE DAL CENTRO
GERMINATIVO
E. Ferretti,1 E.Ognio,2 E. Di Carlo,3
C. Tripodo,4 D. Ribatti,5 C. Guarnotta,4
C. Sorrentino,3 M. Ponzoni,6 V. Pistoia1
1Laboratory of Oncology, G. Gaslini
Institute, Genova, Italia; 2Animal Model
Facility, National Institute for Cancer
Research, Genova, Italia; 3Department of
Oncology and Neurosciences, "G.
d'Annunzio" University and Ce.S.I. Aging
Research Center, "G. d'Annunzio"
University Foundation, Chieti, Italia;
4Tumor Immunology Unit, Department of
Health Science, Human Pathology Section,
University of Palermo, Italia; 5Department
of Human Anatomy and Histology,
University of Bari, Bari, Italia; 6Istituto
Scientifico San Raffaele, Unit of Lymphoid
Malignancies, Department of Oncology,
Milano Italia
Introduzione. Il linfoma follicolare (FL), il
linfoma diffuso a grandi cellule (DLCL)
ed il linfoma di Burkitt (BL) sono neoplasie che originano dalle cellule B dei centri germinativi degli organi linfoidi
secondari.1 L’incidenza maggiore di FL e
DLCL si registra in individui di età superiore ai 60 anni, ma circa il 10% dei casi
colpisce soggetti di età inferiore ai trent’anni, parte dei quali si ammala in età
pediatrica.2 FL è una neoplasia che presenta, normalmente, una buona risposta
al trattamento con chemioterapici, radio
immunoterapia o Rituximab3 senza però
raggiungere la guarigione completa. Da
ciò deriva la necessità di sviluppare
nuovi approcci terapeutici. In questo
studio abbiamo analizzato il possibile
ruolo nella crescita tumorale di tale linfomi di due citochine facenti parte della
stessa famiglia, IL-17A e IL-25 (o IL17-E),
e dei loro recettori. Tali citochine, di
natura pro-infiammatoria, risultano
essere coinvolte in processi di natura
autoimmune, in patologie allergiche, in
infezione batteriche o fungine, così
come in neoplasie con effetti contrastanti pro/contro tumore.4 Per quanto riguarda i recettori, di natura eteromerica, IL-
17RA è in grado di legare sia IL-17A che
IL-25, e IL-17RB è specifico per IL-255.
Nulla si sa in merito ad espressione e
funzione dei recettori di tali citochine in
linfomi B del centro germinativo.
Obiettivo di questa ricerca è stato investigare: i) l’espressione e la funzione dei
recettori di IL-17A e IL-25 su cellule derivate da linee e da pazienti effetti da LF;
ii) il ruolo delle due citochine nella crescita tumorale, in vitro e in vivo, e iii) i
meccanismi coinvolti in tali fenomeni.
Materiali Metodi. L’espressione in superficie della catene principali dei recettori
per la IL17-A e per la IL-25 (nello specifico IL-17RA e IL17RB) è stata analizzata in
vitro mediante marcatura citofluorimetrica. A tale analisi sono state sottoposte
sia linee di linfoma di derivazione dal
centro germinativo, quali SUDHL-4,
DOHH2, LY8, Raji e RAMOS, sia cellule
primarie isolate da pazienti adulti affetti
da FL o DLCL (in considerazione della
rarità di queste patologie in età pediatrica). Le cellule neoplastiche primarie
sono state isolate dai linfonodi infiltrati
mediante separazione immunomagnetica per la catena leggera monoclonale
delle immunoglobuline. Le cellule neoplastiche sono state incubate per differenti tempi (24-48 e 72 ore) con 20-50
ng/ml di IL-17A o IL-25 ricombinante, e
sottoposte a test funzionali in vitro, per
valutare l’eventuale effetto delle due
citochine su proliferazione e apoptosi.
Quest'ultima è stata analizzata coltivando le cellule in un mezzo con ridotto
apporto di siero (1%) e sottoponendole
poi a marcatura con Annessina V e
Ioduro di Propidio e successiva analisi
citofluorimetrica. La proliferazione cellulare è stata analizzata mediante incorporazione di timidina dopo 72 ore di coltura. Per lo studio in vivo 5¥106 cellule
SUDHL-4 sono state inoculate sottocute
in 30 topi NOD/SCID, divisi in tre gruppi:
un gruppo è stato trattato sottocute tre
volte la settimana con 1µg di IL-17A
ricombinante (R&D System), un secondo
con 1µg IL-25 ricombinante (R&D
System) e un terzo con PBS (controllo)
seguendo il medesimo protocollo. Dopo
20 giorni, in presenza di masse sottocute, gli animali sono stati sacrificati e le
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masse misurate e recuperate per differenti analisi. In parte le masse sono state
conservate in formalina, per consentire
successive indagini istologiche ed immunoistochimiche; in parte sono state utilizzate per la preparazione di sospensioni cellulari, su cui è stata analizzata la
modulazione di geni coinvolti nell’angiogenesi tramite analisi con PCR array.
Risultati. Lo studio si è focalizzato, inizialmente, sull'analisi dell'espressione
dei recettori IL-17RA e IL-17RB sulla
superficie delle cellule di linee FL e BL.
Dati i valori elevati di espressione di
entrambi i recettori nelle linee neoplastiche in esame (percentuale media di IL17RA e IL-17RB rispettivamente: SUDHL4: 72 e 48%; DOHH2; 89 e 82%; LY8: 60 e
74%; Raji: 49 e 61%; RAMOS: 30 e 58%) lo
studio si è spostato direttamente all'analisi in vivo per valutare eventuali effetti
del trattamento con IL17-A o IL-25 sulla
crescita tumorale. Dall'inoculo in topi
immunocompromessi SCID/NOD di
5x106 cellule della linea SUDHL-4 e successivo trattamento di tali animali con le
citochine ricombinanti IL-17A o IL-25 è
emerso come vi fosse un differente effetto delle due citochine sulla crescita della
massa neoplastica. Nello specifico, la IL17A è in grado di aumentare in modo statisticamente significativo la crescita del
tumore (P=0.026); al contrario, la IL-25
inibisce tale crescita (P=0.04). Le masse
espiantate sono state analizzate anche
da un punto di vista molecolare e immunoistochimico per valutare i possibili
meccanismi responsabili del differente
effetto delle due citochine. Da tale analisi è emerso un importante coinvolgimento dell'angiogenesi, che, come dimostrato sia dalle colorazioni su tessuto, che
dall'analisi dei geni coinvolti nel meccanismo angiogenico, risulta essere potenziata negli animali trattati con la IL-17A e
diminuita in quelli trattati con la IL-25.
Nell'ultima parte dello studio, ci siamo
concentrati sull'analisi di linfociti B neoplastici isolati da pazienti affetti da linfoma follicolare. Tali cellule presentavano
un'elevata espressione di superficie dei
recettori IL-17RA e IL-17RB, in modo del
tutto analogo a quanto evidenziato nelle
linee (percentuale media di IL-17RA e IL-
[page 1]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
17RB rispettivamente: 52% e 57%).
Successivamente è stata analizzata
anche la funzionalità di entrambe le citochine sulle cellule neoplastiche primarie
con studi in vitro su possibili effetti proliferazione e apoptosi a differenti tempi di
trattamento. IL-17A si è dimostrata in
grado di potenziare in modo significativo
la proliferazione delle cellule neoplastiche a 72 ore (P=0.013); viceversa IL-25 la
diminuiva ai medesimi tempi (P=0.01).
Nessuna delle due citochine ha, invece,
effetti sull'apoptosi di tali cellule a nessun tempo, come evidenziato tramite
marcatura citofluorimetrica per annessina V e ioduro di propidio.
Conclusioni. Con questo studio si è
affrontata per la prima volta l’analisi dell’espressione e della funzione di recettori per IL-17A e IL-25 su linfociti B neoplastici di linfomi con origine dal centro germinativo. Da ciò è emerso un effetto protumore della IL-17A, sostenuto da un
aumento di angiogenesi e proliferazione
delle cellule tumorali, e un effetto antitumore della IL-25, capace di inibire
significativamente sia la crescita neoplastica in vivo, che angiogenesi e proliferazione. Sono in corso indagini per valutare i meccanismi coinvolti in tali differenti effetti delle due citochine e per valutare la trasduzione del segnale indotta da
entrambe sulle cellule neoplastiche in
esame.
Bibliografia
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LA ME TILAZI ONE DEL MIR-34B
CO NTROLLA I LIVELLI DI CREB E
CARATTE RI ZZA L’EVOLUZIO NE
DEL LE MDS IN LMA
M. Pigazzi, E. Manara, A. Beghin,
C. Tregnago, S. Gelain, E. Giarin,
S. Bresolin, R. Masetti, G. Basso
1Dipartimento di Pediatria “Salus Pueri”
Clinica di Oncoematologia Pediatrica, SSD
Ematologia: Clinica Sperimentale, Università di Padova, Padova, Italia; 2Diparti mento di Pediatria “Lella Seragnoli” Unità
di Oncologia-ematologia, Università di
Bologna, Bologna, Italia
[page 2]
Introduzione. Il fattore di trascrizione
CREB (cAMP response element binding
protein) è stato dimostrato essere sovraespresso nel 66% dei pazienti affetti da
leucemia mieloide acuta (LMA). In vitro,
CREB è capace di promuovere la proliferazione cellulare, la progressione del
ciclo cellulare, e la capacità di formare
colonie. Inoltre, topi transgenici per
CREB hanno sviluppato una malattia
mieloproliferativa dopo un anno, mostrando anomalie severe a carico della
linea mieloide. CREB è stato precedentemente dimostrato essere un bersaglio
diretto del miR-34b, e una bassa espressione di miR-34b caratterizza linee cellulari di leucemia mieloide con elevata
espressione di CREB. La causa dei ridotti livelli di Mir-34b in queste linee derivava da una ipermetilazione del suo promotore. In questo studio il ruolo del Mir34b e CREB è stato valutato in vivo.
Metodi. L’espressione di miR-34b è stata
monitorata via Real Quantitative-PCR in
un'ampia coorte di 113 pazienti affetti da
LMA de novo, e in 49 pazienti con diagnosi di sindrome mielodisplastica o malattia mieloproliferativa (MDS/JMML). Per
tutti i pazienti è stata inoltre eseguita la
Methylation specific PCR su DNA dopo
trattamento con sodio bisolfito. 4 pazienti affetti da MDS evoluti in LMA inoltre
sono stati analizzati mediate GeneChip
Human Genome U133 Plus 2.0 microarray (Affymetrix). Topi NOD-SCID IL2receptor gamma null (NSG) sono stati
trapiantati con linee cellulari leucemiche
(HL60 e K562) stabilmente esprimenti il
Mir-34b. Il trapianto è stato eseguito su
fianco con matrigel e via vena caudale
monitorando il tumore via bioluminescenza.
Risultati. L’espressione del miR-34b nei
pazienti LMA alla diagnosi è significativamente minore (RQ=0,176) rispetto alla
popolazione sortata CD19–CD3– di un
pool di midolli sani (RQ=1) confermando
il trend precedentemente osservato
nelle linee cellulari leucemiche. I pazienti MDS/JMML invece presentano livelli di
miR-34b più alti (RQ=5.5) rispetto ai
pazienti LAM alla diagnosi (RQ=1).
L’analisi della metilazione del promotore
del miR-34b rivela che il 65,5% (74/113)
dei pazienti con LMA presenta il promotore metilato, ai quali si associano i livelli più bassi di miR-34b (RQ=0,075, rispettto ai pazienti non metilati RQ=0,373,
P<0.01) e più alti di proteina CREB.
Viceversa, tutti i pazienti MDS/JMML e i
midolli sani di controllo non hanno mai
mostrato avere metilazione del promotore di miR-34b. Inoltre, l'espressione
della proteina CREB non è rilevabile in
western blot. Questi risultati indicano
che la metilazione della regione promotoriale miR-34b/c è un fenomeno LMAspecifico e che direttamente correla e
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
controlla i livelli proteici di CREB. Per
studiare il ruolo della metilazione del
miR-34b nella leucemogenesi, il DNA di 3
pazienti affetti da MDS poi evoluti in LMA
è stato considerato. I risultati mostrano
che il promotore del miR-34b acquisiva
la metilazione al momento delll'insorgenza di LMA, così come i livelli di espressione di miR-34b diminuivano progressivamente (RQmedia-MDS = 0.41 vs RQmediaLMA = 0,26). Per comprendere se la metilazione del miR-34b provoca l’attivazione
trascrizionale di CREB, il profilo di
espressione genica delle MDS e delle corrispondenti LMA è stato valutato.
L’analisi supervisionata ha identificato
11 geni CREB-targets espressi in modo
differenziale (PRKACB, FDX1, NRXN2,
PROSC, ADAM10, RAB7L1, NPR3, ITM2C,
LATS2, CDK6 e HOXA7, P<0.001) tra la
fase di MDS e la sua evoluzione in LMA.
Inoltre, l’analisi non supervisionata utilizzando questi 11 geni ha suddiviso i
pazienti in due cluster distinti, rivelando
che l'iperespressione di CREB e dei suoi
geni targets caratterizza la progressione
della MDS a LMA. Il modello in vivo ha
dimostrato che l’attecchimento e la progressione delle linee leucemiche erano
ridotte dall’espressione di miR-34b, confermando il miR-34b come soppressore
nella LMA.
Conclusione. Infine, l’ipermetilazione del
promotore del miR-34b è l’hit che mantiene bassi i livelli di espressione del
miR-34b alterando così l'attivazione di
CREB e dei suoi targets nella LMA.
Questo evento si dimostra critico per
l'evoluzione delle MDS in LMA.
IL PICCO DI CD34+ NEL SANGUE PERIFERICO DURANTE LA MOBILIZZAZIONE È UN
FORTE E INDIPIDENTE FATTORE PROGNOSTICO PER LA DFS NELLA LEUCEMIA
MIELOIDE ACUTA IN 1a RC E POTREBBE
ESSERE USATO PER LA SCELTA DEL TRATTAMENTO POSTREMISSIONALE NEI
PAZIENTI A RISCHIO INTERMEDIO
G. Avola, M. Poidomani, S. Leotta,
A. Spadaro, S. Mercurio, M.G. Camuglia,
MA. Romeo, R. Lombardo, E. Cotzia,
D. Donnarumma, G. Uccello, G. Milone
Unità Trapianto di Midollo Osseo,
Ospedale Ferrarotto, Azienda Ospedaliera
Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania,
Italia
Introduzione. Nei pazienti affetti da
Leucemia Mieloide Acuta (LMA) in prima
remissione completa, una singola raccolta aferetica con una conta di CD34+
superiore a 7¥106/kg o un alto numero di
cellule CD34 infuse, dopo autotrapianto,
sono risultati predittivi per un alto
rischio di ricaduta indipendentemente
dalla classe di rischio citogenetica. Non è
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
noto se la misurazione del picco delle
cellule CD34 nel sangue periferico durante la mobilizzazione, possa avere una
maggiore capacità predittiva rispetto a
queste due variabili, né se il valore prognostico di un alto picco di CD34 alla
mobilizzazione sia indipendente da altri
fattori prognostici o se sia evidente
anche in pazienti sottoposti a trapianto
allogenico.
Metodi. In 96 pazienti adulti affetti da
LMA in prima remissione completa (RC)
dopo chemioterapia di induzione è stato
valutato il picco di cellule CD34+ nel sangue periferico raggiunto durante la mobilizzazione e raccolta. In tutti i casi la
mobilizzazione delle cellule staminali nel
sangue periferico era indotta tramite GCSF dopo al primo ciclo chemioterapico
di consolidamento. È stata determinata
la distribuzione del picco delle cellule
CD34+ e i pazienti sono stati raggruppati
sulla base del 50° e 75° percentile:
Gruppo A, i pazienti aventi un picco di
CD34+ ≤70¥109/L (n.48); Gruppo B i
pazienti aventi un picco CD34+ compreso
tra 70 e 183¥109/L (n.24); Gruppo C: i
pazienti aventi un picco CD34+
>183¥109/L (n.24). La caratterizzazione
leucemica alla diagnosi comprendeva
l’analisi citogenetica e in 50 casi lo studio
dell’FLT3-ITD. 41 pazienti hanno effettuato un allotrapianto in 1a RC, 40 pazienti
un autotrapianto in 1a RC mentre 15
pazienti o sono ricaduti prima di essere
trapiantati o trapiantati non in 1a RC per
varie cause. Sono stati valutati anche gli
effetti prognostici del numero delle cellule CD34+ raccolte (n.70) e il numero delle
cellule CD34+ infuse negli autotrapiantati
con cellule staminali raccolte da sangue
periferico (PBSC) (n.20).
Risultati. Indipendentemente dal trattamento post remissionale ricevuto, il
Gruppo A ha mostrato una sopravvivenza libera dalla malattia (DFS) del 73%, il
Gruppo B una DFS del 51% e il Gruppo C
del 30% (P=0.0003). Nel gruppo dei
pazienti a citogenetica intermedia, quelli
che hanno effettuato un trapianto autologo hanno mostrato una DFS nel gruppo
A, B e C, rispettivamente, del 68%, 33% e
14% (P=0.01) mentre dopo trapianto allogenico la DFS è stata 87% nel Gruppo
A+B contro 50% nel gruppo C (P=0.009).
Nel gruppo a citogenetica intermedia i
pazienti “supermobilizzatori” , così definiti quelli mostranti un picco di cellule
CD34+ > a 183¥109/L , hanno mostrato un
alto tasso di ricaduta precoce, verificatasi entro i primi 6 mesi mentre erano in
attesa del trapianto, infatti il tasso di
ricaduta precoce era del 15% nel gruppo
dei “supermobilizzatori” contro il 2% nel
gruppo di tutti gli altri pazienti, (P=0.04).
Tutti e tre i fattori CD34 dipendenti,
“picco di CD34+ nel sangue periferico”,
“cellule CD34+ raccolte” e “numero di cellule CD34+ infuse” , mostrano un valore
prognostico per la DFS. Allo scopo di
identificare tra le variabili CD34 dipendenti quale sia quella più importante in
relazione alla DFS, abbiamo valutato
simultaneamente i fattori CD34 dipendenti in analisi multivariata stepwise
secondo il proportional hazard model di
Cox. Solo il “picco di CD34+ nel sangue
periferico”, studiato come variabile continua, è emerso come significativo per la
DFS (P=0.004, RR=1.001) mentre il numero delle “cellule CD34+ raccolte” e il
numero delle “cellule CD34+ infuse” non
sono risultati significativi nel modello di
Cox. Altri fattori non legati alla mobilizzazione delle cellule CD34+, che sono
risultati importanti per la DFS in analisi
univariate, sono stati: età (P=0.10),
rischio
citogenetico
sfavorevole
(P=0.01), classificazione FAB M4-M5
(P=0.03) e mutazione FLT3-ITD (P=0.08).
Quando tutti i fattori, CD34 dipendenti e
CD34 ındipendenti, sono stati considerati in analisi multivariata di rischio proporzionale di Cox, il picco delle cellule
CD34+ nel sangue periferico, considerato
come variabile continua, è risultato l’unico fattore ımportante per la DFS
(P=0.0009, RR=1.001). Il valore predittivo
del picco CD34 raggiunto durante la
mobilizzazione è rimasto evidente anche
quando sono stati selezionati solo i
pazienti aventi alla diagnosi un fenotipo
delle cellule leucemiche CD34 negativo.
Conclusioni. Il picco delle cellule CD34+
raggiunto dopo il 1° ciclo di consolidamento è un potente e affidabile fattore
prognostico nei pazienti LMA. Pazienti
“CD34 supermobilizzatori” mostranti
rischio citogenetico intermedio potrebbero meritare uno specifico approccio
post-remissionale comprendente un
immediato trapianto allogenico, condizionamento intensificato, e un rapido
tapering dell’immunosoppressione dopo
il trapianto. Al contrario, pazienti a
rischio citogenetico intermedio mostranti una cattiva capacità mobilizzante
potrebbero avere una buona prognosi
dopo trapianto autologo con cellule staminali periferiche o midollari. Il valore
prognostico dell’entità del picco CD34 è
stato validato in ulteriori studi e comparato ad altri fattori prognostici noti come
WT1, livelli di LAIP e marker molecolari
di aggressività presenti all’esordio. Le
basi biologiche per queste osservazioni
potrebbero riguardare la variabilità dell’effetto chemio-protettivo delle cellule
del microambiente sulle cellule ematopoietiche non leucemiche residue e ipotizziamo che questo effetto variabile
potrebbe essere modulato dai livelli di
cellule leucemiche MRD presenti in RC.
Infine, mancano dati, nei pazienti pedia-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
trici affetti da LAM, sul valore prognostico del picco CD34 raggiunto durante la
mobilizzazione.
Bibliografia
Milone G, Poidomani M, Leotta S, Avola G,
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RICERCA DELLE BASI GE NETICH E
DEL NEUROBLAS TOMA
M. Capasso, G. Petrosino, F. Totaro,
A. Iolascon
Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università di Napoli
“Federico II” CEINGE Biotecnologie
Avanzate, Italia
Introduzione. Allo scopo di determinare
l’eziologia genetica del 99% dei casi di
neuroblastoma sporadico, un’importante malattia pediatrica che rappresenta
circa il 15% della mortalità attribuibile ai
tumori infantili, stiamo eseguendo uno
studio di genomica su larga scala detto
Genome-Wide Association Study (GWAS)
che prevede l’analisi di circa 550 mila
single nucleotide polymorphisms (SNPs)
su una popolazione di circa 5000 pazienti con neuroblastoma e 10000 controlli
sani. Ipotizziamo che il neuroblastoma è
una malattia genetica complessa e che la
suscettibilità ad ammalarsi è legata all’interazione di variazioni genetiche comuni
che influenzano pathway critici per il
normale sviluppo del sistema nervoso
[page 3]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
simpatico. Abbiamo già ottenuto importanti risultati in un lasso di tempo relativamente breve; infatti, in un paio di anni
abbiamo identificato diversi locus genetici nei cromosomi: 6p22 contenente i
geni predetti FLJ22536 and FLJ44180
(Maris et al., N Engl J Med. 2008), 2q35
contenente il gene BARD1 (Capasso et
al., Nat Genet. 2009) e 11p15.4 contenente il gene LMO1 (Wang et al., Nature
2010) che erano altamente associati con
lo sviluppo del neuroblastoma e le sue
forme più aggressive e ognuna di queste
associazioni è stata poi replicata in altre
popolazioni di diversa origine. In questo
periodo stiamo applicando, ai dati di
GWAS, specifici metodi statistici per individuare ulteriori siti genici associati a
questa devastante malattia e ai suoi sottotipi clinici. Inoltre, sulla base dei risultati ottenuti, stiamo ora affrontando altri
due importantissimi aspetti relativi alla
genetica del neuroblastoma. Da una
parte stiamo provando ad individuare,
utilizzando i dati GWAS, quelle interazioni gene-gene che predispongono allo sviluppo del neuroblastoma e dall’altra
parte stiamo cercando di identificare,
mediante sequenziamento di seconda
generazione, mutazioni somatiche e
varianti germinali che occorrono nella
famiglia dei geni delle tirosin-chinasi che
sono geni estremamente rilevanti nello
sviluppo del cancro e importanti target
terapeutici.
Materiali e Metodi. GWAS del neuroblastoma. Questa parte del progetto è svolta in
collaborazione con un gruppo americano
al The Children’s Hospital of Philadelphia (USA). Campioni di DNA costituzionale di circa 2000 casi e 3000 controlli di
origine caucasica e residenti in USA sono
stati già genotipizzati per 550 mila SNPs,
sparsi su tutto il genoma e che comprendono più del 90% della variabilità genetica, mediante gli arrays Illumina 550k. Per
identificare varianti genetiche associate
al neuroblastoma stiamo eseguendo le
analisi utilizzando il software PLINK che
contiene diverse metodi statistici specifici per gli studi GWAS. Interazioni genegene. Per individuare le interazioni genegene che sottostanno allo sviluppo del
neuroblastoma stiamo utilizzando un
approccio metodologico basato su analisi in silico e in vivo. Mediante l’uso di 4
database pubblici (STRING, NCBI, MINT,
UniHi) abbiamo svolto analisi bioinformatiche e abbiamo selezionato 83 proteine che risultano interagire con la proteina BARD1. Mediante l’uso dei dati GWAS
(1627 casi e 2572 controlli) e specifiche
analisi basate su test parametrici
(regressione logistica) e non parametrici
(Multifactor Dimensionality Reduction,
MDR) stiamo verificando se esistono
interazioni statistiche, tra gli SNPs nel
gene BARD1 e quelli localizzati nei geni
[page 4]
codificanti per le 83 proteine selezionate,
che predispongono all’insorgenza del
neuroblastoma. Le interazioni statistiche
più significative saranno poi replicate in
una popolazione italiana di circa 300 casi
di neuroblastoma e 700 soggetti sani.
Sequenziamento massiccio (high-throughput sequencing) dei geni codificanti le
tirosin-chinasi. Per identificare le mutazioni somatiche causative dell’inizio
della tumorigenesi stiamo sequenziando
i domini chinasici di 90 geni appartenenti alla famiglia delle tirosin-chinasi in
DNA somatici e i corrispettivi DNA germinali estratti da 100 pazienti affetti da
neuroblastoma. Per identificare, invece,
le varianti genetiche predisponenti
saranno sequenziati gli stessi geni in 20
DNA germinali estratti da soggetti sani.
Per effettuare il sequenziamento massiccio stiamo utilizzando la piattaforma 454
GS FLX Titanium della Roche presente
nel nostro Istituto CEINGE. Le mutazioni
più frequenti e quelle predette essere
causative saranno sottoposte a studi funzionali in vitro per verificare il loro reale
coinvolgimento nella tumorigenesi.
Risultati e Conclusioni. GWAS del neuroblastoma. Abbiamo analizzato un sottogruppo di 574 casi a basso rischio e 1722
controlli di origine statunitense. L’analisi
mostrava che i geni DUSP12, DDX4,
IL31RA, HSD17B12 erano associati al neuroblastoma clinicamente categorizzato
come low-risk. I segnali di associazione
nei geni DUSP12 e HSD17B12 erano confermati in una popolazione italiana di 115
casi low-risk e 680 soggetti sani. Tutti i
segnali di associazione avevano un pvalue <3.15¥10–6 nella popolazione americana e un p-value <0.05 in quella italiana. Questo studio dimostra che DUSP12,
DDX4, IL31RA, and HSD17B12 sono geni
di suscettibilità per l’insorgenza del neuroblastoma con particolare rilevanza per
quelli a basso rischio e supporta l’idea
che variazioni genetiche comuni nel
genoma umano possono predisporre
non solo ad una particolare malattia ma
anche a sottogruppi della malattia clinicamente rilevanti, dimostrando, quindi,
l’importanza dell’utilizzo dei dati fenotipici negli studi GWAS. Interazioni genegene. Le analisi di interazioni statistiche
sono state effettuate sui dati GWAS di
1627 casi e 2572 controlli tra 23 SNPs di
BARD1 e 657 SNPs dei 83 geni bioinformaticamente selezionati. Le interazioni
dei geni UBE2D3 e PTN con BARD1 risultavano essere le più significative.
UBE2D3 (ubiquitin-conjugating enzyme
E2D 3) è un’enzima coinvolto nel processo di ubiquitinazione insieme al complesso BRCA1/BARD1; infatti, è riportato
essere facente parte del pathway
"BARD1 signaling events" (Pathway
Interaction Database). PTN (pleiotrophin) è indicato come fattore neurotrofi-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
co ed è stato ampiamente dimostrato
che la sua elevata espressione genica è
fortemente associata ai neuroblastomi
con prognosi favorevole. Questo studio
ha una rilevante importanza nel capire
come le interazioni proteiche possono
avere un ruolo nelle malattie genetiche
complesse e in particolare nei tumori.
Sequenziamento massiccio (high-throughput sequencing) dei geni codificanti le
tirosin-chinasi. Stiamo allestendo gli
esperimenti di sequenziamento e selezionando bioinformaticamente tutte le
regioni genomiche codificanti per i domini chinasici dei 90 geni che dovranno
essere poi sottoposti a sequenziamento
massiccio in DNA estratti dal tessuto
tumorale e sangue periferico di 100
pazienti affetti da neuroblastoma e in
DNA costituzionali di 20 controlli sani.
Supponiamo di ottenere i primi risultati
nel mese di giugno 2011. I risultati di questo studio potranno condurre ad una
migliore comprensione degli eventi genomici e genetici che sono coinvolti nello
sviluppo del neuroblastoma e a caratterizzare i suoi fenotipi complessi. Dato
che le tirosin-chinasi sono considerate
potenziali target farmacologici, i risultati
di questo progetto potrebbero avere
un’enorme rilevanza per la salute dei
bambini e portare allo sviluppo di terapie personalizzate. In conclusione, è
ragionevole credere che, sulla base dei
risultati ottenuti, questi studi forniranno
una significativa conoscenza sulle mutazioni somatiche e variazioni comuni del
DNA che causano questo importante
cancro infantile. Tutto ciò avrà rilevanti
implicazioni nella scoperta di meccanismi molecolari che sono alla base del
neuroblastoma e nello sviluppo di terapie più efficaci.
Ringraziamenti. Si ringrazia Associazione
Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC),
Associazione Oncologia Pediatrica e
Neuroblastoma (OPEN) e Associazione
Italiana per la Lotta al Neuroblastoma per
il loro supporto finanziario che ci permette di portare avanti la nostra ricerca.
TP 53 E MISMATCH REPAIR P ROCE SS NEI TUMORI CE REBRALI
PEDIATRICI DI ORIGI NE GLIALE
S. Mascelli,1 A. Raso1, P. Nozza,2 K. Sak,3
M. Tamme,3 S. Pignatelli,4 C. Milanaccio,4
M. Ravegnani,1 A. Consales,1 G. Piattelli,1
M. Pavanello,1 A. Cama,1 V. Capra,1 M.L.
Garrè4
1U.O.
Neurochirurgia, Istituto Giannina
Gaslini, 2U.O. Anatomia Patologica,
Istituto Giannina Gaslini, 3 Asper Biotech
Company,Tartu - Estonia, 4 U.O. NeuroOncologia, Istituto G. Gaslini, Genova,
Italia
Introduzione. Le neoplasie cerebrali di
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
origine gliale hanno la più alta incidenza
tra i tumori intracranici pediatrici1 e
comprendono una vasta gamma che va
da forme più benigne ad altre con un
comportamento aggressivo e maligno,
distinte in quattro gradi di malignità
secondo la tradizionale classificazione
internazionale WHO.2 Lo studio delle
caratteristiche molecolari di queste neoplasie ha portato all’individuazione di
diversi pathways, coivolti sia nei processi di tumorigenesi che nell’evoluzione
prognostica dei gliomi ed ha fornito
importanti indicazioni per individuare
strategie terapeutiche innovative. Tra le
anomalie genetiche riscontrate, la frequenza di mutazione nel gene TP53 e nei
geni coinvolti nel mismatch repair process (MMR), quali hMLH1, hMSH2,
hMSH6, e hPMS2,3 rimane tutt’ora dibattuta. Sulla base di questa premessa,
abbiamo eseguito un’analisi mutazionale
di tali geni su 75 tumori gliali (WHO I-IV)
collezionati esclusivamente presso
l’Istituto Giannina Gaslini (IGG) di
Genova. I casi sono stati altresì indagati
per il comune polimorfismo g.215G>C
in,4 sembra essere correlato ad una maggiore suscettibilità tumorale.
Materiali Metodi. Abbiamo analizzato 75
campioni di DNA tumorale isolato da tessuto fresco crio-conservato presso la
Bio-Banca dell’Istituto. L’analisi mutazionale dei geni candidati è stata effettuata
utilizzando un chip di sequenziamento e
d’analisi di polimorfismi sviluppato da
Asper Biotech Ltd, Tartu, Estonia. La tecnologia utilizzata è quella del tipo arrayed primer extension (APEX).5
Risultati. Sette diverse mutazioni somatiche sono state individuate (g.337T>C;
390_392delCAA; g.524G>A; g.536 A>T;
g.704A>G; g.734G>T; g.818G>A) due delle
quali (g.337T>C; 390_392delCAA) mai
segnalate precedentemente nei tumori
cerebrali pediatrici. Le mutazioni sono
presenti nel 10% dei tumori: tre negli
astrocitomi pilocitici (PA), una in un
astrocitoma anaplastico (AA), due nei
glioblastomi (GBL) ed una in un oligoastrocitoma anaplastico (OAA). Un caso
particolare di GBL presenta due alterazioni distinte che interessano rispettivamente gli esoni 5 (g.734G>T) e 7
(390_392delCAA). Nessuna mutazione è
emersa negli astrocitomi fibrillare (FA) e
nei casi di ganglioglioma desmoplastico
infantile (DIG) analizzati. Una delle due
nuove mutazioni (g.337T>C), presente in
due PA, provoca la sostituzione di un
residuo altamente conservato di fenilalanina con una leucina. Tale alterazione è
stata unicamente segnalata come mutazione somatica in tumori della cute e
della vescica e non è mai stata rinvenuta
come mutazione germinale. La seconda
nuova mutazione (390_392delCAA), pre-
sente in un GBL, non è mai stata segnalata in letteratura. In sintesi, sei su sette
alterazioni genetiche individuate sono
considerate deleterie per il corretto funzionamento della proteina p53 (TP53
database IARC; http: www-p53.iarc.fr),
fatta eccezione per la sostituzione
g.704A>G considerata neutra. Inoltre, le
frequenze genotipiche del polimorfismo
g.215G>C nei tumori risultano distribuite
in base all'equilibrio di Hardy-Weinberg e
sono statisticamente differenti (P<0,5)
da quelle degli individui di controllo CEU
(http: www.hapmap.org). Infine, l’analisi
mutazionale dei geni hMLH1, hMSH2,
hMSH6, e hPMS2 ha permesso d’identificare esclusivamente una singola mutazione nel gene hMLH1 presente in eterozigoti in un caso di AA. Si tratta di una
delezione di 3 nucleotidi che determina
la perdita dell’aminoacido lisina (K) in
posizione 618.
Conclusioni. In questo studio abbiamo
identificato due nuove mutazioni in
TP53: 1) g.337T>C, presente in due PA e
2) 390_392delCAA trovato in un GBL.
Questi dati espandono lo spettro di
mutazione in TP53 ed arricchiscono la
nostra conoscenza delle relazioni genotipo-fenotipo, dovuta a mutazioni TP53,
nei gliomi cerebrali. In conclusione, i
nostri risultati sono complementari ed
espandono i precedenti studi sui glomi
suggerendo un possibile ruolo patogenetico di TP53 nell’alterazione genica e nell’instabilità del genoma. L’anomala distribuzione delle frequenze genotipiche di
g.215G>C nei tumori rispetto alla popolazione di controllo CEU lascia supporre
una possibile associazione tra tale polimorfismo ed un aumento di suscettibilità
ai tumori cerebrali ma, ci riserviamo di
ripetere l’analisi su una più ampia casistica. Inoltre, la scarsità di mutazioni in
hMLH1 suggerisce che alterazioni del
MMR potrebbero essere coinvolte indirettamente ed in associazione con altre
anomalie genetiche nella regolazione
della patogenesi dei gliomi.
Bibliografia
1. Kaatsch P,et al. Epidemiology of childhood cancer. Cancer Treat Rev. (2010)
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2. D.N.Louis, et al. WHO Classification of
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5. Kurg, A, et al. Arrayed primer extension:
solid-phase four color DNA resequencing and mutation detection technology.
Genet. Test. (2000);4:1-7.
CORRELAZIO NE TRA CARATTERIS TI CHE CLINICO -P ATO LOGICHE ED
ES PRESS IO NE GENICA NEI TUMORI
P EDIATRICI DI ORIGINE GLIALE
S. Mascelli,1 A. Raso,1 P. Nozza,2
R. Biassoni,3 A. Rossi,4 V. Capra,5
A. Cama,5 M.L. Garrè,6 A. Verri7
1U.O. Neurochirurgia, Istituto G. Gaslini,
Genova; U.O. Anatomia Patologica,
Istituto G. Gaslini, Genova; 3U. di Medicina
Molecolare, Istituto G. Gaslini, Genova; 4U.
di Neuroradiologia, Istituto G. Gaslini,
Genova; 5U.O. Neurochirurgia, Istituto G.
Gaslini, Genova; 6U.O. Neuro-Oncologia,
Istituto
G.
Gaslini,
Genova;7DISI,
Università di Genova, Italia
Introduzione. I tumori primari del SNC
costituiscono un gruppo eterogeneo di
malattie rappresentanti la più comune
tipologia di tumore solido dell’infanzia
con un’incidenza di circa 7/100,000 casi
all’anno.1 Le neoplasie di origine gliale
hanno la più alta incidenza tra i tumori
intracranici e comprendono una vasta
gamma che va da forme più benigne ad
altre con un comportamento aggressivo
e maligno, distinte in quattro gradi di
malignità secondo la classificazione
internazionale WHO.2 Alla principale
caratterizzazione su base istologica, se
ne aggiungono altre in base alla localizzazione del tumore (infratentoriale, sopratentoriale, del tronco, del nervo ottico e
spinale) al potenziale di crescita e di
invasività, alla tendenza alla progressione e al decorso clinico. L'età alla diagnosi e l’associazione con sindromi su base
ereditaria costituiscono, altresì, importanti fattori che influenzano sia la strategia di trattamento che la prognosi.
Infatti, i bambini sotto l’anno di età
mostrano, per ragioni ancora controverse, una prevalenza di tumori più aggressivi a prognosi infausta.3 Inoltre, numerose neoplasie congenite sono associate ad
anomalie genetiche e si inseriscono in un
quadro sindromico familiare associato
ad un aumento del rischio di insorgenza
di tumore. Nonostante la grande quantità di studi molecolari, volti ad acquisire
conoscenze sulla patogenesi dei gliomi,
abbiano riportato l'esistenza di markers
molecolari legati sia al sito di lesione
intracranica che all’eterogeneità istotipica del tumore,4,5 rimane ancora da analizzare in dettaglio la correlazione genotipo-fenotipo. Pertanto, rispetto ad altri
tipi di tumori cerebrali pediatrici, le
informazioni sulle anomalie genetiche
associate sia alla formazione che alla
progressione delle neoplasie gliali sono
[page 5]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
ancora insufficienti. Scopo della presente ricerca sarà quello di studiare 80 casi
di tumori gliali comprensivi di diverse
istologie, collezionati presso l’ospedale
pediatrico Giannina Gaslini dal 1990 ad
oggi, utilizzando un approccio multidisciplinare (neuroradiologico, neurochirurgico, neuropatologico, neurooncologico e genetico-molocolare). In particolare,
saranno utilizzate tecniche di indagine
molecolare per realizzare una correlazione genotipo-fenotipo. Grazie a questo
approccio, ci proponiamo d’identificare
specifici profili d’espressione genica
relativi ai processi di insorgenza e progressione dei glomi nei bambini e di correlare tali alterazioni con l'istologia,
l'imaging, la presentazione clinica e la
risposta ai trattamenti terapeutici.
Materiali Metodi. La tecnologia del RNAmicroarray ad alta densità costituirà il
metodo di riferimento, grazie al quale i
profili trascrizionali delle diverse istologie tumorali potranno essere paragonati.
Le procedure standardizzate, già utilizzate per ottenere i risultati preliminari,
saranno applicate sugli 80 casi. I dati
d’espressione provenienti dagli arrays
saranno, successivamente, confermati e
convalidati tramite qPCR. La lista di geni
candidati che ne deriverà, sarà poi sottoposta ad analisi epigenetica tramite
Pyrosequencing ed i risultati saranno
confermati sia sulla casistica tumorale
che su controlli sani tramite sequenziamento diretto. Inoltre, in considerazione
delle recenti evidenze in materia di regolazione d’espressione di geni/proteine,
valuteremo l'espressione di miRNA utilizzando la tecnologia dei microarray.
Risultati preliminari. Abbiamo eseguito
un’analisi d’espressione genica su 60
casi di gliomi pediatrici utilizzando la
tecnologia del microarray. I dati preliminari mostrano un sottoinsieme distintivo
di profili d’espressione tra i gliomi a
basso grado (LGG) che, potrebbero rappresentare possibili marcatori genetici
per queste entità. Inoltre, abbiamo rilevato un diverso profilo d’espressione tra
gli Astrocitomi Pilocitici (PA), l’istotipo
più frequente tra i LGG, particolarmente
legato alla sede d’insorgenza. Le alterazioni molecolari riscontrate riguardano
geni associati ai meccanismi di comunicazione cellulare, d’adesione focale e
geni coinvolti nei processi morfogenetici
e di differenziazione dei diversi distretti
cerebrali. (articolo in pubblicazione).
Dai nostri risultati preliminari emergono
differenti profili molecolari tra i LGG, in
relazione all’istologia, alla sede di lesione e al decorso clinico: pertanto, sembra
possibile poter realizzare una classificazione dei diversi casi anche in funzione
di queste caratteristiche. Tuttavia, la
rilevanza clinica di tale stratificazione
molecolare non è ancora del tutto nota,
[page 6]
in particolar modo per quei casi (circa il
10%) che esulano dal comune decorso
benigno e tendono a recidivare e/o disseminare.1 Di conseguenza, ulteriori studi
di genetica molecolare sulle neoplasie
gliali ed un confronto tra diversi istotipi
sono necessari al fine di definire le caratteristiche biologiche di tali tumori per
realizzare una più fine classificazione
istologica, volta a migliorare gli strumenti diagnostici e a poter predire il decorso
clinico della neoplasia.
Conclusioni. La presente proposta mira a
rappresentare un ampio progetto di
ricerca sulla casistica pediatrica di gliomi, seguiti all'ospedale G. Gaslini dal
1990 ad oggi, avvalendosi di un approccio multimodale e multidisciplinare che
va dalla diagnosi alla chirurgia, alle terapie oncologiche. I principali obiettivi di
tale studio consistono in: 1) estendere
l'analisi d’espressione genica a 80 gliomi
considerando i diversi siti di lesione
cerebrale, con particolare attenzione a
quei casi che mostrano una tendenza a
diffondere e/o a recidivare; 2) identificare le caratteristiche genetiche responsabili dei processi patogenetici nei glomi e
correlarle con le variabili cliniche, quali:
l’età d’esordio della malattia (identificare un cut-off), il sito di lesione, decorso
clinico e trattamenti terapeutici utilizzati; 3) eseguire un’accurata analisi immunoistochimica al fine d’identificare nuovi
potenziali marcatori delle cellule gliali; 4)
analizzare i casi associati a sindromi
genetiche (sclerosi tuberosa, neurofibromatosi 1, sindrome di Turcot e sindrome
di Li-Fraumeni); 5) confrontare i diversi
istotipi tumorali (ganglioglioma e/o
ependimoma) al fine di valutare se i
tumori gliali condividono un’intrinseca,
specifica firma molecolare riflettente
altresì il sito cerebrale ove la lesione ha
avuto origine.
Bibliografia
1. Kaatsch P,et al. Epidemiology of childhood cancer. Cancer Treat Rev. (2010)
36(4):277-85.
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[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
GE NETICA MO LECOLARE ED EPI DEMI OLO GI A DELL’ANEMIA CO NGENITA DI SERITROPO IETI CA DI TIPO II
R. Russo,1,2 M.R. Esposito,1,2
A. Gambale,1 A. Troiano,1 R. Asci,1
I. De Maggio,1,2 U. Ramenghi,3
G.L. Forni,4 S. Perrotta,5 A. Iolascon,1,2
1CEINGE
Biotecnologie Avanzate, Napoli,
Italia; 2Dipartimento di Biochimica e
Biotecnologie Mediche, Università Federico II, Napoli, Italia; 3Unità di Ematologia,
Dipartimento di Pediatria, Università di
Torino, Italia; 4Centro della Microcitemia e
Anemie Congenite, Ospedale Galliera,
Genova, Italia; 5Dipartimento di Pediatria,
Seconda Università di Napoli, Italia
Introduzione. Le anemie congenite diseritropoietiche (CDA) sono disordini genetici ereditari caratterizzati da eritropoiesi inefficace, in cui si assiste alla paradossale associazione di iperplasia eritroide, riscontrabile a livello del midollo
osseo, e stato anemico con reticolocitopenia. La forma di tipo II, la più frequente tra tutte le CDA, si manifesta con anemia di grado variabile, ittero e splenomegalia; il sovraccarico di ferro è una comune complicanza negli individui affetti,
determinando l’insorgenza di cirrosi epatica in circa il 20% dei pazienti. Importanti chiavi diagnostiche sono fornite
dalle peculiari aberrazioni morfologiche
riscontrate negli eritroblasti dei pazienti
affetti. La diagnosi, inoltre, si avvale del
contributo dell’analisi biochimica,
mediante la quale è possibile l’identificazione dell’ipoglicosilazione a carico di
proteine, principalmente la banda 3 a
livello della membrana plasmatica dei
globuli rossi, che è patognomonica della
patologia. Questa anomalia ha, da
tempo, suggerito la presenza di un difetto nel traffico vescicolare alla base della
patogenesi della CDA II. A sostegno di
tale ipotesi, nel 2009 è stato identificato
il gene causativo SEC23B,1 codificante
per un componente del complesso COP
II, coinvolto nel trasporto anterogrado
delle proteine neosintetizzate dal reticolo endoplasmatico al Golgi. L’estensiva
analisi molecolare dei pazienti ci ha consentito di (i) definire l’esistenza di una
correlazione genotipo-fenotipo, ovvero
l’osservazione che pazienti portatori del
genotipo composto da una mutazione
missenso e una nonsenso tendono a produrre una manifestazione clinica più
grave rispetto a quelli con 2 mutazioni
missenso,2 di (ii) ampliare lo spettro di
mutazioni ad oggi identificato e di (iii)
affinare la diagnosi molecolare, definendo la frequenza delle mutazioni in ogni
esone.3 La CDA II è caratterizzata da una
elevata eterogeneità allelica; ad oggi
sono, infatti, note 53 diverse mutazioni
causative nel gene SEC23B,3 descritte in
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
86 casi, 47 dei quali di origine italiana.
Nel nostro ultimo lavoro abbiamo
ampliato la coorte di pazienti (109) con
17 casi Italiani e 6 Europei non Italiani
(NIE). Il nostro scopo è stato quello di
caratterizzare la distribuzione allelica in
Italia delle mutazioni del gene SEC23B,
paragonandola a quella riscontrata nei
casi internazionali. Abbiamo così dimostrato che due mutazioni, E109K e R14W,
descrivono circa il 54% di tutti i pazienti
in Italia e, mediante analisi di aplotipi,
che entrambe sono mutazioni fondatrici
(Russo, in sottomissione). Tale osservazione potrebbe spiegare la frequenza
relativamente elevata della CDA II nella
popolazione italiana.4,5
Materiali e metodi. Sequenziamento del
gene SEC23B e valutazione della frequenza allelica relativa delle mutazioni.
L’analisi molecolare dei pazienti CDA II è
stata effettuata mediante sequenziamento genomico diretto delle regioni codificanti, delle giunzioni fiancheggianti i siti
di splicing nonché delle regioni 5’- e 3’non tradotte del gene SEC23B. I campioni di sangue sono stati raccolti dopo l'approvazione da parte dei comitati etici
locali. Il consenso scritto è stato ottenuto da tutti i pazienti secondo la Dichiarazione di Helsinki. La frequenza allelica
relativa delle mutazioni è stata valutata
su tutti i pazienti ad oggi descritti (64
Italiani e 45 non Italiani).
Selezione dei marcatori polimorfici e
analisi degli aplotipi. L’analisi degli aplotipi è stata realizzata utilizzando polimorfismi di singolo nucleotide (SNP).
Sono stati scelti 12 tag-SNP (r2>0.8),
distribuiti su circa 1.2 Mb a ridosso del
gene SEC23B. L’analisi degli aplotipi è
stata realizzata su 31 casi Italiani e 6 NIE.
Sono stati analizzati anche 47 individui di
controllo non affetti, di origine italiana.
Stima dell’età delle mutazioni. L’età
approssimativa di entrambe le mutazioni, R14W e E109K, è stata calcolata
mediante l’utilizzo del programma
DMLE+ versione 2.3. Per la prima mutazione, R14W, ci siamo avvalsi dell’analisi
degli aplotipi condotta su 23 pazienti
Italiani che presentavano la mutazione in
stato di eterozigosi; per la seconda,
E109K, sono stati analizzati gli aplotipi di
8 pazienti Italiani, tutti omozigoti per la
stessa.
Risultati. Valutazione della frequenza allelica relativa delle mutazioni. Come già
descritto in precedenza2,3 2 sono le
mutazioni più comuni nei pazienti CDA II,
E109K (28%) e R14W (26%): in particolar
modo, esse descrivono oltre la metà dei
casi di origine italiana. Tuttavia, mentre
la frequenza relativa della mutazione
E109K è simile sia in Italia che nel resto
d'Europa (e la mutazione è diffusa anche
in Ebrei Marocchini), quella della R14W è
significativamente più alta in Italia
(26.3% vs 10.7%). Analisi degli aplotipi ed
età delle mutazioni. L’analisi degli aplotipi condotta su 23 pazienti Italiani con
genotipo R14W, ha evidenziato che il
47.2% condivide un comune aplotipo
(CACACCGC). Per la mutazione E109K
sono stati analizzati 8 pazienti Italiani e
altrettanti NIE. Tale analisi ha mostrato
che quasi tutti i pazienti (96.4%) condividono un comune aplotipo (CATAGT); lo
stesso è stato identificato anche in 3
pazienti Ebrei Marocchini. L’età stimata
per la mutazione E109K nella popolazione italiana è di 2000 anni, mentre per la
R14W è di 2600.
Conclusioni. Sebbene la maggior parte
delle mutazioni nel gene SEC23B sia il
risultato di eventi sporadici ed indipendenti, 4 mutazioni (R14W, E109K, R497C,
I318T) descrivono più del 50% degli alleli mutati. Nel nostro ultimo lavoro, abbiamo fornito una spiegazione dell’elevata
prevalenza della CDA II in Italia. Infatti, la
prevalenza cumulativa di CDA I e CDA II,
recentemente stimata, mostra un picco
di 2.49 casi/milione proprio in Italia.4 Il
calcolo della frequenza allelica relativa
di tutte le mutazioni causative finora
identificate, eseguito su 64 pazienti
Italiani e 45 non Italiani, ha portato all’osservazione che due mutazioni, E109K e
R14W, descrivono più della metà dei casi
in Italia. L’analisi di aplotipi ha poi suggerito per entrambe il ruolo di mutazioni
fondatrici in Italia. La variante E109K
risulta essere maggiormente diffusa in
tutta Europa, nonché nella popolazione
degli Ebrei Marocchini. La nostra ipotesi
è che tale mutazione possa aver avuto
origine in Medio Oriente (2400-2000 anni
fa) e che poi si sia diffusa nel bacino del
Mediterraneo all’epoca di Cesare
Augusto, nel periodo di massimo splendore dell'Impero Romano. A differenza
della precedente, la R14W è maggiormente ricorrente nei pazienti Italiani quando
paragonati a quelli Europei non Italiani;
essa si sarebbe originata in seguito ad un
evento mutazionale verificatosi 2600
anni fa, probabilmente nel Sud Italia. In
quel tempo gran parte del Sud Italia era
una colonia greca, la Magna Graecia. Già
in precedenza è stata, infatti, osservata
una prevalenza maggiore di questa
malattia in Italia meridionale e nel bacino
del Mediterraneo.5 I nostri dati supportano completamente questa osservazione:
infatti, l’81% dei pazienti portatori della
mutazione R14W, qui analizzati, provengono dall’Italia centrale e meridionale.
Tale osservazione potrebbe spiegare la
frequenza relativamente elevata della
CDA II nella popolazione italiana.
Ringraziamenti. Questo studio è stato
sostenuto dal Ministero Italiano
dell'Università e della Ricerca (PRIN
2008, PI: A. Iolascon), dal progetto
Telethon GGP09044 (PI: A. Iolascon), da
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
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finanziamenti della Regione Campania
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RIS POS TA UMO RALE ANTI-ALK E
MALATTIA MINIMA RESI DUA NEL
LI NFOMA ANAP LASTICO A GRANDI
CELLULE (ALCL) P EDIATRICO
L. Mussolin, M. Pillon, G. Franceschetto,
S. Buffardi,1 A Lombardi,2 A. Sala,3
A. Zanazzo,4 G Arcamone,5
A. Garaventa,6 M Arico’,7 A. Rosolen
Clinica di Oncoematologia Pediatrica,
Azienda
Ospedaliera-Universita’
di
Padova, Padova; 1Ospedale Pausilipon,
Napoli; 2Ospedale Bambino Gesu’, Roma;
3Clinica Pediatrica, Ospedale S. Gerardo,
Monza; 4Dipartimento di Pediatria, Universita’ di Trieste, Trieste; 5Unita’ di
6Ematologia Pediatrica, Istituto Gaslini,
Genova; 7Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Meyer, Firenze, Italia
Introduzione. Il linfoma anaplastico a
grandi cellule (ALCL) è stato descritto
per la prima volta nel 1985 da Stein e collaboratori come una nuova entità patologica le cui cellule sono caratterizzate dall’espressione dell’antigene di membrana
Ki-1 o CD-30.1 L’incidenza di questa neoplasia varia significativamente tra la
popolazione pediatrica e adulta: l’ALCL
rappresenta circa il 2% dei linfomi non
Hodgkin (LNH) nell’adulto, mentre costituisce circa il 15% dei LNH pediatrici. Gli
ALCL mostrano un ampio spettro di
caratteristiche morfologiche che va da
neoplasie composte da cellule di piccola
taglia, a casi tipici in cui la popolazione
neoplastica è costituita da voluminose
cellule anaplastiche, ed infine a casi in
cui prevalgono le cellule giganti. Dal
punto di vista genetico circa il 70% dei
[page 7]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
casi sono caratterizzati dalla traslocazione cromosomica t(2;5)(p23;q35), con
una prevalenza di circa il 95% in età
pediatrica. Questa aberrazione cromosomica coinvolge sul cromosoma 5 il gene
NPM, che codifica per la proteina ubiquitaria nucleofosmina, e sul cromosoma 2
il gene ALK. La nucleofosmina è una proteina che si localizza a livello nucleolare
e che sembra coinvolta nell’assemblaggio ribosomale con funzione di trasporto. Il gene ALK codifica per un recettore
tirosin-chinasico che viene espresso a
livello del sistema nervoso. La traslocazione porta alla formazione sul cromosoma derivativo 5 di un gene di fusione
NPM-ALK attivo dal punto di vista trascrizionale. L’attività trasformante e
oncogenica della proteina chimerica è
stata dimostrata.2,3 Essa è inoltre un antigene tumore-associato (TAA) capace di
indurre un’immunità umorale anti-ALK in
vivo in pazienti affetti da ALCL.4 Gli
obiettivi della nostra ricerca sono stati la
caratterizzazione molecolare dei linfomi
anaplastici a grandi cellule diagnosticati
e trattati all’interno del protocollo europeo ALCL-99, mediante RT-PCR; la valutazione prospettica della presenza di
Malattia Minima Residua (MMR) all’esordio e allo stop terapia mediante PCR qualitativa (RT-PCR) e quantitativa (RealTime PCR) per determinare la cinetica
della risposta al trattamento ed infine
determinare la presenza di anticorpi
anti-ALK alla diagnosi ed allo stop terapia, valutando se esiste una correlazione
tra la presenza di anticorpi anti-ALK e la
MMR.
Materiali e Metodi. La determinazione di
anticorpi anti-ALK è stata eseguita alla
diagnosi ed allo stop terapia, su plasma
di pazienti con ALCL, mediante un saggio
immunocitochimico. Il numero di copie
di trascritto NPM-ALK presenti nel sangue periferico alla diagnosi è stato valutato mediante RT-PCR e Real-Time PCR.
Risultati. Abbiamo analizzato 47 biopsie
di ALCL pediatrici e tutte sono risultate
positive per NPM-ALK in RT-PCR. Il sottotipo morfologico prevalente era la
variante classica (26/47). Lo studio di
MMR è stato condotto sul sangue periferico dei 47 pazienti; 28 sono risultati
positivi (59%) in RT-PCR e 23/47 (49%) in
Real-Time PCR. I risultati dell’analisi univariata sulla Sopravvivenza Libera da
Recidiva o progressione (RFS) mostrano,
in una proiezione a 3 anni, una percentuale di sopravvivenza, dell’88% (±6%)
per i pazienti con un numero di copie di
NPM-ALK/10.000 ABL nel sangue periferico all’esordio inferiore a 10 e del 60%
(±11%) per i pazienti con un numero di
copie uguale o superiore a 10, P=0.026.
Allo stop terapia 4/47 risultavano ancora
positivi. L’89% dei pazienti ha inoltre presentato una positività anticorpale anti-
[page 8]
ALK. Dall’analisi ROC è emerso che il
valore soglia del titolo anticorpale più
predittivo di recidiva è 1/750. La RFS a 3
anni è risultata del 30% (±14%) per i
pazienti con numero di copie di NPMALK nel sangue periferico uguale o superiore a 10 e titolo anticorpale uguale o
inferiore a 1/750 e dell’ 88% per tutti gli
altri pazienti (P<0.0001).
Conclusioni. dall’analisi multivariata condotta nel nostro studio è emerso che la
combinazione di MMR e titolo anticorpale anti-ALK è l'unico parametro in grado
di selezionare una sottopopolazione di
pazienti con prognosi significativamente
peggiore. Tali pazienti potrebbero beneficiare di un diverso trattamento terapeutico, inclusa la vaccino-terapia.
Bibliografia
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CARATTERIZZAZIONE BIOLO GICA
DEI LINFOMI LINFOBLASTICI
PEDI ATRI CI DELLA LINEA T:
DIFFERENZE E SIMILARITA’
CON LA LEUCEMIA LINFOBLASTICA T
L. Mussolin,1 K. Basso,1,2 A. Lettieri,3
M. Brahmachary,4 W.K. Lim,4 A.
Califano,4 G. Basso,1 A. Biondi,3
G. Cazzaniga,3 A. Rosolen1
1Dipartimento di Pediatria, Università di
Padova, Padova, Italia;2Institute for
Cancer Genetic, Columbia University, New
York, NY, USA; 3Centro Ricerca Tettamanti,
Università Milano-Bicocca, Ospedale San
Gerardo, Monza, Italia; 4Joint Centers for
Systems Biology, Columbia University,
New York, NY, USA
Introduzione. Il termine “linfoma linfoblastico” è stato coniato da Barcos e Luke
per la similarità riscontrata tra le cellule
tumorali di linfoma ed i blasti della leucemia linfoblastica acuta (LLA).1 I linfomi
linfoblastici T (LL-T), che originano dai
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
linfociti T del timo, rappresentano circa
un terzo dei Linfomi Non-Hodgkin dell’età pediatrica; al contrario, i LL a cellule della linea B sono poco frequenti.
Molte sono le analogie tra LL-T e LLA-T:
oltre alla morfologia e all’immunofenotipo indistinguibili, le due malattie presentano anche le stesse caratteristiche
genetiche (traslocazioni cromosomiche
che coinvolgono fattori trascrizionali).
La principale discriminante clinica tra
LL-T e LLA-T riguarda la presentazione di
malattia, con presenza di massa mediastinica nel LL-T ed infiltrazione massiva
del midollo osseo nella LLA-T.
Operativamente, la percentuale di cellule
tumorali nel midollo osseo distingue LLT (<25%) da LLA-T (≥25%). Rispetto alla
LLA-T, il LL si manifesta in pazienti di età
media maggiore, con un picco di incidenza nella seconda decade di vita; inoltre
mostra una prevalenza nei maschi rispetto alle femmine (rapporto 2:1). Le elevate analogie cliniche suggeriscono che LLT e LLA-T possano costituire presentazioni (o evoluzioni) diverse di un’unica
entità biologica e che possano beneficiare della stessa terapia. In genere, le neoplasie emopoietiche con fenotipo T presentano una prognosi più severa rispetto
a quelle che originano da precursori
delle cellule B. L’utilizzo in questi ultimi
anni di trattamenti chemioterapici specifici per gruppo di rischio ha significativamente aumentato la probabilità di guarigione di pazienti sia con LL-T che LLA-T,
passando da una Event-Free Survival del
50% al 70%.2,3 Tuttavia poco si conosce
in merito agli aspetti biologici dei LL e
quindi sul ruolo che alcune caratteristiche genetiche potrebbero avere sulla
prognosi. Recentemente è stato dimostrato che più del 50% delle LLA-T del
bambino presenta mutazioni attivanti
del gene NOTCH1,4 indicando un ruolo
centrale dei segnali trasmessi dal gene
stesso nella patogenesi delle LLA-T. Non
è noto se mutazioni del gene NOTCH1
sono anche presenti in LL-T e se tali
mutazioni hanno un impatto prognostico
nei pazienti portatori. Tali mutazioni causano un’attivazione del gene NOTCH1 ed
aumentano l’attivazione proteolitica
della proteina da esso codificata, un
evento che richiede l’intervento dell’enzima γ-secretasi. È stato dimostrato in
vitro che gli effetti delle mutazioni a livello del gene NOTCH1 vengono repressi
utilizzando inibitori specifici della γsecretasi, che potrebbero quindi essere
utilizzati in futuro come farmaci specifici
per patologie caratterizzate da mutazioni attivanti il segnale di NOTCH1. Studi
clinici sono in corso per verificare questa ipotesi. Il presente studio ha come
scopo principale l’analisi di aspetti biologici e genetici che caratterizzano i LL-T,
al fine di individuare marcatori molecola-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
ri con significato prognostico. Mediante
l’analisi integrata di SNP e gene expression array, sono stati confrontati il genotipo e l’espressione genica di una serie di
pazienti affetti da LL-T e da LLA-T, con lo
scopo di meglio caratterizzare analogie e
differenze tra le due patologie.
Materiali e Metodi. Le analisi del genotipo
e del profilo di espressione genica di 20
biopsie tumorali di LL-T e 10 aspirati
midollari all’esordio di LLA-T sono state
eseguite mediante tecnologia Affymetrix:
i) Affymetrix HG-U133 Plus 2.0 oligonucleotide microarrays, e Affymetrix
GeneChip Human Mapping 100K SNP
arrays. L’analisi mutazionale di NOTCH1
è stata eseguita al livello degli esoni 26,
27 e 34 utilizzando PCR Expand Long
Template Kit (Roche).
Risultati. Lo studio ha messo in evidenza
che il LL-T e la LLA-T condividono la gran
parte del profilo di espressione genica,
tuttavia una piccola quota di geni (78)
appaiono differenzialmente espressi. In
particolare geni coinvolti nella chemiotassi e nell’angiogenesi, come EPAS1 e
PTPRB, risultano up-regolati nei LL-T.
Inoltre geni già noti per essere espressi
nei tumori solido con metastasi linfonodali sono risultati up-regolati nelle biopsie di LL-T. L’analisi genotipica è stata
condotta utilizzando 3 algoritmi diversi:
PartekGS, CRMA e CNAG. Nel complesso
sono state individuate 42 regioni con
alterazioni del numero di copie (22
amplificazioni, 20 delezioni) in almeno
due pazienti. L’aberrazione più comune è
risultata essere la delezione dei geni
CDKN2A/B a livello del cromosoma 9.
Sono state rinvenute inoltre aberrazioni
solo esclusivamente nei campioni di LL-T
o LLA-T. La correlazione di Spearman è
stata utilizzata per stabilire la relazione
tra i risultati ottenuti dall’analisi del
genotipo e del profilo di espressione
genica. Più del 38% dei geni testati
mostravano una correlazione positiva
(Rho≥0.3) e solo il 3.2% una correlazione
negativa. L’analisi mutazionale di
NOTCH1 ha evidenziato la presenza di
mutazioni in 7/11 casi di LL-T e 4/7 casi
di LLA-T. L’analisi del genotipo è stata
rivalutata sulla base dello stato mutazionale di NOTCH1; abbiamo trovato che
alcune aberrazioni cromosomiche come
l’amplificazione di alcune regioni del cromosoma 1 e 5p sono tipiche solo dello
stato non mutato di NOTCH1, e viceversa delezioni della regione 6q162-16.3 solo
dello stato mutato.
Conclusioni. I dati ottenuti mostrano che il
LL-T e la LLA-T rappresentano due entità
biologiche distinte con peculiari caratteristiche genetiche e di espressione genica e
solo la conoscenza completa di queste
anomalie potrà permetterci di disegnare
protocolli terapeutici più mirati ed efficaci nella cura di queste neoplasie.
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IL S ISTEMA S LEEPING BEAUTY:
MODIFICAZIO NE GENETICA TRASPO SO NE- MEDIATA DI CELLULE T
PRIMARIE P ER L’I MMUNOTERAPIA
DELLE LEUCEMIE ACUTE
G.M.P. Giordano Attianese,1,2 H.Huls,2
V.Marin,1 S. Tettamanti,1 A. Biondi,1
L. Cooper,2 E. Biagi1
1Centro
di Ricerca Matilde Tettamanti,
Dipartimento di Pediatria, Universita’
degli Studi Milano-Bicocca, Ospedale San
Gerardo, via Pergolesi 33, 20052, Monza,
Italia; 2M.D.Anderson Cancer Center,
CooperLab, 7455 Fannin, SCR1.2212,
Houston, TX 77054, USA
Introduzione. L’introduzione stabile di
trans-geni terapeutici in cellule T umane
puo’ essere ottenuta sia mediante metodi
virali che attraverso sistemi non-virali.
Nonostante l’uso di virus ricombinanti clinical grade si sia dimostrato altamente
efficiente nella moficazione genica di cellule primarie, la sua applicabilita’ ad
ampio spettro presenta diversi svantaggi
tra cui il costo estremamente elevato di
produzione in condizioni clinical grade e
la propensione ad un pattern di integrazione non random, possibile causa sia di
mutagenesi inserzionale che di silenziamento del gene terapeutico.1 La applicazione ex-vivo del trasferimento genico
mediato da trasposoni (elementi mobili
presenti naturalmente all’interno del
genoma), offre ad oggi una valida alternativa all’uso di vettori virali, presentando
diversi vantaggi:1 il DNA plasmidico puo’
essere prodotto in larga scala in condizioni clinical grade, a costi ridotti e con
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
basso grado di immunogenicita;1 le
dimensioni del transgene sono meno limitate poichè il DNA non viene incluso in un
capside virale; inoltre, perchè il plasmide
venga integrato, non è necessaria una previa attivazione delle cellule T, riducendo
la manipolazione ex-vivo che condiziona
il fenotipo e la funzionalita’ delle cellule T
modificate. Per quanto riguarda il pattern
di integrazione, questo puo’ essere efficientemente incrementato mediante la
coespressione di un enzima Transpotasi
iperattivo insieme al Trasposone. Il sistema Sleeping Beauty (SB) è un esempio di
un metodo basato sui trasposoni, che è
stato adattato per la terapia genica nell’uomo.2 Le cellule T rappresentano un
target ideale per valutare l’applicabilita’
nell’uomo del sistema SB in quanto sono
state geneticamente modificate sia attraverso metodi virali3 che mediante metodi
non-virali4 per differenti approcci terapeutici.1 Un transgene candidato per l’inserzione trasposizionale è un recettore
chimerico (CAR) specifico per un antigene tumore associato (CD19), in grado di
dirigere l’attivita’ delle cellule T verso un
antigene di superficie espresso dalle cellule di leucemia linfoblastica acuta.
Materiali e Metodi. Vengono preparati
20¥106 di PBMC per ogni reazione ed allestita la soluzione di DNA plasmidico: 2.5
μg di Traspotasi e 7.5 μg di Trasposone
per ogni 20¥106 di PBMC (il rapporto vettori Transpotasi:Trasposone è pari a
1:3) in 100 µL di buffer specifico per la
nucleofectione. I PBMC, risospesi nella
soluzione di DNA plasmidico/buffer
AMAXA®, vengono aliquotati nella cuvetta di elettroporazione. I PBMC vengono
piastrati nel medium di elettroporazione
(RPMI 1640 Fenolo free + 2 mM Glutamax
1+20% Siero bovino fetale inattivato a
caldo) per 2-3 ore. Dopo questa incubazione le cellule vengono piastrate in
medium completo, alla concentrazione
di 1¥106 cellule/mL e lasciate riposare a
37°C al 5% CO2 per 24 ore. Il giorno successivo all’elettroporazione i PBMC vengono contati, caratterizzati fenotipicamente e stimolati in accordo con la percentuale di espressione del CAR ad un
rapporto Effettore:Target (E:T) pari a 1:2,
in presenza di IL21 (30νg/mL). Il target è
rappresentato da cellule presentanti l’antigene artificiali (aAPCs)1 che oltre ad
esprimere l’antigene specifico per il CAR
(CD19), presentano diverse molecole
costimolatorie quail CD86, CD137L ed
una variante della citochina IL15 legata
alla membrana. Le cellule T vengono
cosi’ stimolate e monitorate settimanalmente. A partire dalla seconda stimolazione insieme alla IL21 viene supplementata IL2 a 50U/mL.1
Risultati. Al fine di valutare l’efficienza del
metodo SB, nella modificazione genica di
[page 9]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
cellule T primare mediante l’introduzione
di un recettore chimerico anti-CD19,
PBMC derivati da donatore sano sono
stati transfettati con i plasmidi SB trasposoni CD19/ζ/28, e traspotasi SB11X. A
ventiquattro ore dalla nucleofezione l’efficienza media di transfezione misurata
come percentuale di cellule CD3+Fc+ è
pari a 28% (range 14-49%, n=4) e la percentuale media di sopravvivenza delle
cellule trasfettate è pari a 26% (range 1041%, n=4). Le cellule sono state quindi stimolate con aAPCs in rapporto E:T pari
1:2. Al giorno +14 è il fold increase medio
delle cellule T totali è pari a 8 (range 420, n=4); il fold increase medio delle cellule CD3+Fc+ è pari a 21 (range 2-67, n=4). I
risultati delle analisi citofluorimetriche
dimostrano che sia le cellule CD4+ che le
cellule CD8+ esprimono il transgene
CD19.CAR e l’espressione si dimostra stabile nel tempo (D+0 CD4+Fc+ 22%CD8+Fc+ 9.8%; Day+14 CD4+Fc+ 18%CD8+Fc+ 10%, n=4). È stato eseguito il
fenotipo memoria delle cellule T al fine di
valutare l’effetto della stimolazione antigenica mediato dall’uso di aAPCs, sul profilo effettore-memoria delle cellule T
CD19.CAR+. Le analisi citofluorimetriche
dimostrano a seguito di due stimolazioni
(D+14) mediante aAPCs 1:2 E:T Ratio, la
percentuale di cellule Central Memory,
espressa come CD45RA-CD62L+ è significativamente aumentata rispetto ai valori
iniziali (D+0) (media 34%, range 32-39%,
n=3, D+14; media 7%, range 4-12%, n=3,
D+0, P<0.05, rispettivamente). Allo stesso
modo le percentuali di cellule effettrici e
terminalmente differenziate misurate
come CD45RA-CD62L- e CDRA+CD62Lsono
significativamente
diminuite
(CD45RA-CD62L- media 6%, range 1-12,
n=3, D+14; media 21%, range 17-23, n=3,
D+0,
P<0.05
rispettivamente
e
CDRA+CD62L- media 7%, range 4-10%,
n=3, D+14; media 27%, range 25-30%, n=3,
D+0, P<0.05). La percentuale di cellule T
Naive, misurata come popolazione
CD45RA+CD62L+, non presenta variazioni
significative ai time points analizzati (dati
non riportati).
Conclusioni. I nostri dati preliminari
mostrano che il sistema SB è un efficiente
strumento per la modificazione genica di
cellule T primarie umane a scopo terapeutico. Sebbene l’efficienza di nucleofezione
sia mediamente minore di quella riportata
utilizzando virus ricombinati, l’opportuna
stimolazione con APCs artificiali è in
grado di selezionare le cellule CD19.CAR+
, con valori elevati fold increase, preservando ed arricchendo allo stesso tempo
la componente T memoria, superando
uno dei grossi limiti legati all’estesiva
manipolazione delle cellule T ex vivo,
quale la differenziazione terminale e
l’esaurimento funzionale delle cellule T
effettrici.
[page 10]
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MONITORAGGIO IMMUNO LOGICO
DI P AZI ENTI AFFETTI DA GVHD
GRAVE (I I-IV) RES IS TE NTE ALLO
STEROIDE TRATTATI CON CELLULE
STAMINALI MES ENCHIMALI (MSC)
P. Vinci,1 E. Dander,1
G. Lucchini, 2 M. Introna,3
S. Bonanomi, 2 A. Balduzzi,2
G. Gaipa,1,4 P. Perseghin,5*
F. Masciocchi,1 C. Capelli,6
J. Golay,6 A. Algarotti,3
A. Rambaldi, MD,3 A. Rovelli, MD,2
A. Biondi,1,2 E. Biagi,2,4 G. D’Amico,1
1Centro
di Ricerca “M. Tettamanti”,
Università degli studi di Milano-Bicocca,
2Dipartimento
Monza,
Italia;
di
Ematologia Pediatrica, Ospedale S.
Gerardo, Monza , Italia; 3Dipartimento di
Ematologia Adulta, Ospedali Riuniti di
Bergamo, Bergamo, Italia; 4Laboratorio di
Terapia Cellulare "Stefano Verri",
Ospedale S. Gerardo, Monza, Italia; 5Unità
di Aferesi, Ospedale San Gerardo, Monza,
Italia; 6Laboratorio di Terapia Cellulare
"G. Lanzani", Dipartimento di Ematologia,
Ospedali Riuniti Bergamo, Bergamo, Italia
Introduzione. Negli ultimi anni è emerso
come l’utilizzo delle MSC rappresenti un
valido strumento terapeutico per il trattamento delle forme gravi di GvHD.
Purtroppo, a causa della drammatica
mancanza di dati generati nei modelli
animali, il meccanismo d’azione con cui
le MSC esplicano la loro azione antiinfiammatoria non è noto. Allo scopo di
comprendere i meccanismi con cui le
MSC esercitano il loro effetto nel controllo della GvHD e di individuare nuovi marcatori diagnostici e predittivi la risposta
alla terapia, abbiamo affiancato alla valutazione del quadro clinico del paziente
trattato con MSC il monitoraggio delle
sottopopolazioni T-linfocitarie CD4+ e il
dosaggio di un pannello di marcatori proinfiammatori (TNFRI, IL-2Rα ed elafin).
Materiali e Metodi. Al fine di comprendere l’effetto immunomodulatorio delle
MSC, abbiamo studiato a livello del sangue periferico dei pazienti arruolati
diversi marcatori plasmatici di GvHD e
sottopopolazioni linfocitarie CD4+,
prima dell’infusione e dopo 7, 14 e 28
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
giorni la terapia cellulare. Il nostro studio, mostra i risultati ottenuti in seguito
al monitoraggio immunologico di 10
pazienti affetti da GvHD resistente allo
steroide, i quali hanno ricevuto dosi multiple di MSC third party. La GvHD si è presentata in 6 casi in forma acuta ed in 4 in
forma cronica.
Risultati. In seguito alla terapia con MSC,
2 pazienti hanno mostrato una risposta
completa (CR), 4 una risposta parziale
(PR), mentre 4 non hanno risposto alla
terapia (NR). Abbiamo dimostrato come
la concentrazione plasmatica di TNFRI e
di IL-2Rα, nei pazienti con GvHD acuta e
cronica prima delle infusioni di MSC sia
significativamente maggiore rispetto a
quella riscontrata nei donatori sani.
Dopo il trattamento con MSC si assiste
nei pazienti CR ad una robusta e persistente riduzione dei livelli plasmatici di
tali marcatori, che diventano pari o inferiori a quelli riscontrati nei donatori
sani. Tale andamento è osservabile
anche per elafin, marcatore plasmatico
di GVHD cutanea. In particolare, 28 giorni dopo la terapia, i livelli di TNFRI diminuiscono di circa 2 volte, mentre elafin
diminuisce di 2.3 volte. Nei pazienti PR si
apprezzano riduzioni di tali valori nei
giorni +7 e +14, dove il quadro clinico è in
miglioramento; mentre al peggioramento
di quest’ultimo si apprezzano rialzi dei
marcatori. Nei pazienti NR si rilevano
valori invariati o superiori a quelli preterapia. È stato inoltre analizzato l’andamento di sottopopolazioni linfocitarie
CD4+ con opposta funzione: le cellule
Th1 e Th17, che hanno attività proinfiammatoria e Treg ad attività immunosoppressiva. Nei pazienti CR si osserva
una riduzione sia dei Th1 che dei Th17,
accompagnata da un incremento dei
Treg, con diminuzione dei rapporti
Th1/Treg e Th17/Treg. Nei pazienti PR si
osserva un debole aumento dei Treg
dopo l’infusione delle MSC, accompagnato però da percentuali di Th1 e Th17 stabili o in aumento. Nei pazienti NR osserviamo valori persistentemente elevati di
Th1 e Th17. In accordo alla riduzione
delle cellule Th1 nel sangue periferico di
pazienti CR, abbiamo osservato una riduzione significativa della concentrazione
plasmatica di IFNγ, il quale raggiunge i
livelli tipici dei donatori sani.
Conclusioni. Come si evince dal monitoraggio immunologico, le MSC sembrano
essere in grado di ripristinare nei pazienti CR l’alterata omeostasi tra fattori proinfiammatori ed antinfiammatori, caratteristica dei pazienti con GvHD, riconvertendo così il background immunologico
del paziente verso uno stato più fisiologico. La correlazione dei dati forniti dai
marcatori con quelli forniti dal monitoraggio dei linfociti non solo supporta la
bontà delle nostre osservazioni, ma rap-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
presenterà, se convalidata da un numero
maggiore di pazienti trattati, un nuovo
pannello di marcatori diagnostici-prognostici su cui valutare la gravità della
GvHD e la possibilità di modulare il trattamento con MSC in base alla previsione
della risposta clinica a quest’ultimo.
APP RO CCI DI DO CKING MOLECOLARE NELLO S VILUPP O ED ATTIVITÀ
DI NUOVI INIBITORI DELLA CASE INA CH INASI 2 (CK 2) NEI TUMO RI
PE DIATRI CI
G. Cozza,1,2 A. Gianoncelli,1 P. Bonvini,3,4
E. Zorzi,4 A. Rosolen,4 L. Pinna,2
F. Meggio,2 G. Zagotto,1 S. Moro1
1Molecular
Modeling Section (MMS),
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche,
Università di Padova, Padova, Italia;
2Dipartimento di Chimica Biologica,
Università di Padova, Padova, Italia;
3Fondazione Città della Speranza, Malo,
Vicenza; 4Clinica di Oncoematologia
Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova, Italia
Similarità chimica e screening virtuale
sono concetti di base della chemioinformatica che giocano un ruolo importante
nella previsione delle proprietà di un
composto chimico, della sua attività e
dell’affinità verso un determinato target
biologico. Quello che oggi è conosciuto
come drug discovery, e che comprende
tutti quei processi che portano allo sviluppo di una nuova molecola, fa sempre
più uso di metodiche computazionali per
l’identificazione di composti attivi con
definiti profili di attività, e quando il target è noto approcci di docking molecolare e di diffrattometria a raggi X risultano
necessari per predire e risolvere la struttura 3D. In questo modo abbiamo identificato un nuovo inibitore della casein chinasi 2 (CK2), 4-bromo-3,8-dihydroxybenzo[c]chromen-6-one (22), dopo ottimizzazione chimica dell’Urolitina A e
validazione della sua affinità per CK2.
Casein chinasi 2 è una serin/treonin chinasi ubiquitaria ed essenziale per la
sopravvivenza cellulare. Con più di 300
molecole bersaglio CK2 regola ciclo cellulare, apoptosi, trascrizione e infezione
virale, e la sua espressione nei tumori è
strettamente associata alla progressione
tumorale e alla chemioresistenza. La sua
inibizione risulta in una rapida induzione
dell’apoptosi in vitro, attraverso l’attivazione di p53 e l’inibizione di AKT, e in una
potente attività antitumorale in vivo. Se
confrontato con inibitori competitivi di
CK2, quali l’acido ellagico (Ki = 20 nM) e
il 3,8-dibromo-7-hydroxy-4-methylchromen-2-one (DBC, Ki = 60 nM), il composto
da noi sintetizzato risulta più potente (Ki
= 7 nM) e selettivo (i.e., nCK2 0.015μM;
nCK1 27 μM; GSK3β >40 μM; Aurora
39μM) dei precedenti, ed è in grado di
inibire proliferazione e sopravvivenza in
diversi modelli cellulari tumorali pediatrici di origine solida o ematopoietica. Il
nostro studio dimostra l’efficacia di 4bromo-3,8-dihydroxy-benzo[c]chromen6-one e Urolitina A nell’inibire la proliferazione [MTT 13%, 200μM (22)] e sopravvivenza cellulare [AV+ 81-87%, 200 μM
(22)] di cellule di leucemia linfoblastica
acuta (ALL) e linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL), e nel ridurre l’attività
in vitro di CK2 e l’effetto sulla trasduzione del segnale (AKTSer129). Nelle medesime condizioni sperimentali 4-bromo3,8-dihydroxy-benzo[c]chromen-6-one
(22) e Urolitina A sono moderatamente
attivi nelle cellule non-trasformate, sia in
termini di attività che di affinità per CK2,
indicando quindi l’importanza di questa
chinasi nell’omeostasi cellulare dei
modelli tumorali utilizzati.
In conclusione, questo studio dimostra
che l’impiego di metodiche computazionali nella progettazione di nuovi farmaci
può essere considerato un valido
approccio di ricerca e sviluppo anche nei
tumori pediatrici quando sia noto il target biologico.
RE GO LAZIONE DELL’ ESP RES SI ONE
E FUNZIONE DI NPM-ALK NE L LINFO MA ANAPLASTI CO A GRANDI
CELLULE: ANALISI MUTAZI ONALE
DEL COMPLE SSO NP M-ALK/H SP90
ED IMPLI CAZIONE SULLA
STABILITÀ PROTEI CA.
P. Bonvini,1,2 E. Zorzi,2 L. Mussolin,1,2
G. Cozza,3 S. Moro,3 A. Rosolen2
1Fondazione
Città della Speranza, Malo,
Vicenza, Italia; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda OspedalieraUniversità di Padova, Padova, Italia;
3Molecular Modeling Section (MMS),
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche,
Università di Padova, Padova, Italia
Tra le modificazioni posttraslazionali
importanti per l’attività di molte proteine
coinvolte nei meccanismi di insorgenza
tumorale, la fosforilazione risulta critica
per la regolazione dell’attività e dell’espressione proteica, sia quando coinvolga motivi catalitici che strutturali.
Fosforilazione e auto-fosforilazione influiscono rispettivamente su funzione e attivazione di molte chinasi oncogene, compresa NPM-ALK nel linfoma anaplastico a
grandi cellule (ALCL), sebbene questo
risulti in una maggiore instabilità e rischio
di degradazione. Per alcune di queste il
mantenimento dell’attività funzionale è
garantito dall’interazione con una proteina nota come Hsp90 (heat shock 90 kDa
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
protein), attraverso il riconoscimento di
specifici motivi idrofobici del dominio
catalitico. Questo studio ha valutato la
possibilità che l’attività chinasica di NPMALK influenzi l’associazione con Hsp90, e
quindi la stabilità proteica, e quali residui
e/o domini aminoacidici siano coinvolti in
questi fenomeni. A tale scopo, delezioni
amino- e carbossi-terminali sono state
introdotte nella sequenza del gene di
NPM-ALK, così come mutazioni puntiformi sono state inserite nel sito di legame
dell’ATP e nel dominio di attivazione.
Espressione, attività e affinità per Hsp90
dei mutanti creati sono state quindi valutate in presenza o assenza di inibitori
competitivi di NPM-ALK e Hsp90, in cellule di ALCL o in cellule non tumorali. I dati
ottenuti dimostrano che NPM-ALK, quando fosforilato (NPM-ALKWT), è in grado
di legare stabilmente Hsp90, modificando
morfologia ed espressione proteica sia in
linee cellulari tumorali che non neoplastiche. Per contro, quando inattivo (NPMALKK210A) o mancante dell’intero dominio catalitico (NPM-ALKΔ171-438) NPMALK non viene riconosciuto da Hsp90 e
risulta fortemente instabile sia in condizioni fisiologiche che in presenza di inibitori di Hsp90. In particolare, il legame di
NPM-ALK con Hsp90 sembra dipendere
dallo stato di fosforilazione del dominio di
attivazione (Tyr338/342/343), dal momento che quando reso inattivo, deleto o
mutato (NPM-ALKY338/342/343A) NPMALK non è più in grado di legare Hsp90.
Nelle stesse condizioni sperimentali, l’associazione con Hsc70 e Hsp72, due chaperone molecolari coinvolti più nella maturazione e/o nella degradazione che nell’attività di NPM-ALK, non cambia e risulta
indipendente dallo stato mutazionale e
funzionale di NPM-ALK, sia in condizioni
fisiologiche che di stress cellulare. In conclusione, i nostri risultati suggeriscono
che l’attività catalitica di NPM-ALK rende
la proteina fortemente instabile, ma favorisce l’associazione con Hsp90, che ne
previene la degradazione. Hsp90 mantiene NPM-ALK in uno stato costitutivamente attivo e stabile, influenzando la capacità trasformante di NPM-ALK molto più di
quanto sino ad ora ipotizzato.
ES PRESS IO NE ED ATTIVITÀ DI
HS P72 NEGLI ALCL P EDIATRICI:
CONSEGUENZE SU S OPRAVVIVENZA E RES ISTENZA ALL O STRESS
P. Bonvini,1,2 E. Zorzi,2 L. Mussolin,1,2
M. Pillon,2 C. Romualdi,3 E. D’Amore,4
L. Lamant,2 A. Rosolen2
1Fondazione Città della Speranza, Malo,
Vicenza, Italia; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda OspedalieraUniversità di Padova, Padova, Italia.;
3Dipartimento di Scienze Statistiche,
[page 11]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Università di Padova, Padova, Italia;
4Dipartimento di Anatomia Patologica,
Ospedale San Bortolo di Vicenza, Vicenza, Italia; 5INSERM, U.563, Centre of
Physiopathology Toulouse-Purpan, Tou louse, France, University Paul-Sabatier,
Toulouse, France
L’identificazione dei meccanismi che
controllano la resistenza cellulare allo
stress è fondamentale per comprendere
come i tumori sviluppino resistenza alla
terapia, che spesso dipende dalla capacità di ridurre il danno intracellulare
mediante il mantenimento dell’omeostasi proteica. Proteine note come heat
shock protein (HSP) in condizioni normali regolano sintesi e maturazione della
maggior parte delle proteine funzionali e
strutturali, mentre in condizioni di stress
proteggono dalla denaturazione e dalla
degradazione proteica, preservando le
cellule dall’apoptosi. L’anomala espressione delle HSP, ed in particolare di
Hsp72 (heat shock 72 protein), è frequente in diversi tipi di tumori, ed è strettamente associata alla chemioresistenza e
alla capacità metastatica delle cellule
neoplastiche. In questo studio abbiamo
valutato l’espressione di Hsp72 in
pazienti con Linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL, n=31), e la sua attività
anti-apoptotica in linee cellulari di ALCL
(n=5) caratterizzate dalla presenza o
assenza dell’oncogene NPM-ALK. A tale
scopo tecniche di immunoistochimica,
RT-PCR, espressione genica e proteica
sono state applicate per valutare sintesi,
espressione ed attività di Hsp72, in condizioni normali di crescita o in cellule
sottoposte a stress, in funzione dell’attività di NPM-ALK. I risultati ottenuti dimostrano che i livelli di Hsp72 sono significativamente più elevati nei tumori che
esprimono NPM-ALK (P=<0.001), in particolare in quelli con outcome sfavorevole,
unitamente alla capacità delle cellule
ALK-positive di indurre in vitro l’espressione di Hsp72 quando sottoposte a
stress (ipertermia) o trattamento farmacologico. L’induzione di Hsp72 inibisce
attivazione ed esecuzione dell’apoptosi,
e favorisce la sopravvivenza cellulare in
condizioni di stress o dopo trattamento
con inibitori del proteosoma. In queste
condizioni, Hsp72 si associa ed inibisce
proteine coinvolte nel mantenimento
dell’omeostasi mitocondriale (Bax, citocromo c), e previene l’esecuzione dell’apoptosi. L’inibizione funzionale di
NPM-ALK riduce sintesi ed espressione
costitutiva o indotta di Hsp72 in cellule
di ALCL, ristabilendo la sensibilità farmacologia propria delle cellule che non
esprimono Hsp72. Nei tumori e nelle
linee cellulari di ALCL che non esprimono NPM-ALK, Hsp72 risulta debolmente
espressa, non viene indotta in condizioni
[page 12]
di stress e non influisce sulla sopravvivenza cellulare. Questo studio descrive
per la prima volta l’espressione differenziale di Hsp72 nei tumori e nelle linee cellulari di ALCL, e il suo coinvolgimento
nei meccanismi anti-apoptotici regolati
da NPM-ALK. Studi prospettici sono in
corso per valutare la possibilità che
Hsp72 possa rappresentare un bersaglio
terapeutico negli ALCL, ed per definire i
possibili benefici che la sua inibizione
possa portare in trattamenti combinati
mirati.
UN CLAS SIFICATORE BASATO
SULL’IP OSS IA PREDI CE LA
PROGNOS I DEI PAZIENTI DI
NE URO BLASTO MA
P. Fardin,1 A. Cornero,1 M. Acquaviva,1
F. Blengio,1 M.L. Belli,1 R. Luksch,2
A. Di Cataldo,3 C. Gambini,4 R. Haupt,5
A. Garaventa,6 L. Varesio1
1Laboratorio
di Biologia Molecolare,
IRCCS Gaslini, Genova; 2Divisione di
Oncologia Pediatrica, Istituto Nazionale
Tumori, Milano; 3 Dipartimento di
Ematologia e Oncologia Pediatrica, Policlinico Universitario, Catania; 4U.O.
Anatomia Patologica, IRCCS Gaslini,
Genova; 5Servizio di Epidemiologia e
Biostatistica, IRCCS Gaslini, Genova;
6U.O.C. Ematologia e Oncologia Pediatrica, IRCCS Gaslini, Genova, Italia
Introduzione. Il neuroblastoma, il tumore
solido pediatrico più diffuso, è caratterizzato da una forte eterogeneità sia dal
punto di vista istologico che clinico. Sono
noti numerosi fattori di rischio clinicomolecolari associati alla prognosi. Tra
questi quelli più comunemente usati nella
stratificazione dei pazienti in classi di
rischio sono l’età alla diagnosi, lo stadio,
l’amplificazione del gene MYCN, l’istologia e le alterazioni cromosomiche.1
Nonostante i grandi sforzi compiuti nell’ambito della ricerca e nel miglioramento
dei trattamenti nella pratica clinica, permane la necessità di identificare nuovi
marcatori prognostici in grado di valutare
in modo più accurato la classe di rischio
di appartenenza del paziente. L’ipossia,
ovvero la condizione di bassa tensione di
ossigeno caratteristica dei tessuti poco
vascolarizzati, è un fenomeno presente in
condizioni patologiche quali l’infiammazione e il cancro.2 L’ipossia è associata
alla progressione tumorale e, nella maggior parte dei casi, è correlata ad una cattiva prognosi del paziente oncologico.3
L’identificazione di biomarcatori in grado
di stimare lo stato ipossico di un tessuto
tumorale risulta quindi essere di grande
importanza sia per la definizione della
classe di rischio del paziente, sia per lo
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
sviluppo di protocolli terapeutici antiipossia. Recentemente abbiamo generato
una signature genica dell’ipossia (NBhypo) composta da 32 geni in grado di
suddividere in maniera significativa una
coorte di pazienti di neuroblastoma in
accordo con lo stato ipossico dei loro
tumori. Tale signature si è dimostrata
essere un fattore di rischio indipendente.4
Lo scopo di questo lavoro è quello di sviluppare un classificatore basato sulla NBhypo in grado di predire la prognosi dei
pazienti di neuroblastoma.
Materiali e metodi. Sono stati analizzati i
profili di espressione genica di 182 pazienti di neuroblastoma rappresentativi di
una popolazione eterogenea per la composizione in stadi, età alla diagnosi ed
amplificazione del MYCN. Previa normalizzazione dei dati di espressione, i 182
campioni sono stati suddivisi in due gruppi utilizzati rispettivamente nelle fasi di
allenamento (100 pazienti) e validazione
(82 pazienti) del classificatore prognostico. Il modello di classificazione utilizzato
è il Multilayer Perceptron (MLP), una rete
neurale artificiale (ANN) con paradigma
di apprendimento “feed-forward”. Il
modello è stato allenato per predire la
prognosi del paziente in base ai dati di
espressione dei geni dell’NB-hypo di 100
pazienti, utilizzando una validazione
incrociata di tipo “leave-one-out”. Dopo
aver allenato il modello, si è passati alla
fase di validazione sul dataset indipendente formato da 82 pazienti. Per valutare
l’arricchimento di geni/processi ipossici
nei pazienti con predizione di prognosi
negativa, è stata effettuata un’analisi dei
profili di espressione con lo strumento
bioinformatico GSEA (Gene Set Enrich <ment Analysis). In questa analisi sono
stati valutati per l’arricchimento 51 set di
geni correlati con il fenomeno dell’ipossia. Una validazione alternativa dello
stato ipossico è rappresentata dalle colorazioni di immunoistochimica di campioni di pazienti con cattiva prognosi e
pazienti con buona prognosi. I campioni
sono stati colorati per identificare la presenza dei marcatori CAIX, VEGF e
HIF2alpha, marcatori universali dell’ipossia del tessuto.
Risultati. Nella fase di allenamento il classificatore basato sull’NB-hypo ha predetto correttamente 63/70 pazienti con
buona prognosi e 21/30 pazienti con cattiva prognosi, raggiungendo un’accuratezza globale dell’82%. Il classificatore, così
generato, è stato poi applicato al gruppo
indipendente di 82 pazienti per la validazione esterna. In questo caso l’accuratezza del classificatore è salita all’87% e ciò
implica un errore di classificazione del
13%. I risultati ottenuti con il classificatore generato sono stati poi confrontati con
i valori di specificità e sensibilità ottenuti
suddividendo il gruppo di pazienti di vali-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
dazione in due sottogruppi in accordo
con 3 dei fattori di rischio comunemente
utilizzati (età alla diagnosi, amplificazione
di MYCN e stadio INSS). Nessuno dei fattori di rischio considerati è stato in grado
di raggiungere i risultati ottenuti dal
nostro classificatore. La suddivisione dei
pazienti operata dal nostro classificatore
è stata ulteriormente valutata utilizzando
delle curve Kaplan-Meier che hanno
dimostrato una significativa segregazione
dei pazienti (P<0.0001). Nella successiva
fase di analisi, è stato valutato il grado di
associazione tra le predizioni ottenute dal
classificatore basato su NB-hypo e lo
stato di amplificazione di MYCN, lo stadio
INSS e l’età alla diagnosi in modo da evidenziare eventuali tendenze nelle prestazioni del classificatore. Questa analisi ha
dimostrato che le predizioni ottenute
sono indipendenti dagli altri fattori di
rischio considerati ad eccezione dello stadio INSS. Infatti, il classificatore predice
con un’accuratezza del 100% i pazienti
appartenenti agli stadi 1, 2, 3 e 4s. In questo gruppo di pazienti sono presenti quattro casi la cui prognosi sarebbe stata predetta erroneamente utilizzando i comuni
fattori di rischio. Lo stato ipossico dei
tumori localizzati dei pazienti con cattiva
prognosi è stato ulteriormente confermato dalle colorazioni immunoistochimiche.
L’espressione di alcuni tipici biomarcatori
dell’ipossia nei tessuti (CAIX, VEGF e
HIF2alpha) è stata valutata in campioni di
tessuto di pazienti con cattiva e buona
prognosi. Nei tumori dei pazienti con cattiva prognosi e predetti correttamente dal
nostro classificatore ci sono estese aree
di colorazione per tutti i marcatori usati,
mentre tale positività non si riscontra nei
campioni di pazienti con buona prognosi.
Questi risultati confermano, ad un livello
qualitativo, che pazienti predetti con cattiva prognosi presentano in realtà tumori
ipossici. L’ultima parte dell’analisi è stata
dedicata a valutare se l’origine dell’errore
di classificazione fatto per il 13% dei
pazienti fosse dovuto a quei tumori che
pur essendo caratterizzati da un alto
grado di ipossia non implicassero l’esito
infausto del paziente oppure a tumori
poco ipossici ma comunque abbastanza
aggressivi da comportare il decesso del
paziente. Per valutare questa ipotesi i profili di espressione dei pazienti erroneamente classificati sono stati analizzati tramite il programma GSEA. GSEA permette
di valutare il grado di arricchimento di set
di geni predefiniti in base ai processi biologici ed alla letteratura. Nel nostro caso
sono stati utilizzati 51 set di geni caratteristici della risposta all’ipossia. I risultati
ottenuti mostrano un arricchimento significativo per 25 dei suddetti set di geni nei
pazienti erroneamente predetti come
aventi cattiva prognosi mentre nessun set
risulta arricchito nei rimanenti pazienti.
Questo risultato dimostra l’efficacia del
classificatore nell’identificare lo stato
ipossico nel neuroblastoma e come l’ipossia sia un importante fattore di rischio per
questo tumore.
Conclusioni. Abbiamo generato un classificatore basato sul profilo di espressione
genica dell’NB-hypo in grado di predire
la prognosi dei pazienti di neuroblastoma con un errore molto basso. Inoltre
abbiamo dimostrato che il nostro classificatore predice in modo rigoroso la prognosi dei pazienti con tumore localizzato
e con stadio 4s. In particolare, il classificatore è efficace nel predire la prognosi
di quei pazienti appartenenti alle classi
di rischio intermedie e per cui i fattori di
rischio tradizionali avrebbero segnalato
prognosi errate. Questo classificatore è
liberamente disponibile e può essere utilizzato per valutare lo stato di rischio di
qualunque nuovo tumore di cui sia
disponibile il profilo di espressione genica. L’analisi del 13% dei casi classificati
in modo erroneo rivela che il classificatore è un forte indicatore dello stato ipossico di quei tumori che però hanno una
buona prognosi. In conclusione, i pazienti di neuroblastoma che vengono predetti ipossici dal nostro classificatore
potrebbero trarre dei benefici da protocolli terapeutici disegnati per contrastare l’ipossia del tumore.
Bibliografia
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NUOVA TRASLO CAZIONE
T(11;16)(P15;Q23) I N UN CAS O DI
LEUCEMIA MIE LOMONOCITI CA GI OVANILE
E. Tassano, E. Tavella, C.Micalizzi,
C. Morerio
Dipartimento di Ematologia ed Oncologia
Pediatrica, IRCCS Istituto G.Gaslini,
Genova.
Introduzione. La leucemia mielomonocitica giovanile (JMML), disordine mielodisplastico/mieloproliferativo, è una patologia rara ad esordio precoce (sotto ai 5
anni), caratterizzata da leucocitosi con
monocitosi, organomegalia, ingrossamento dei linfonodi, presenza di precursori ematopoietici nel sangue periferico
ed alti livelli di emoglobina fetale. La prognosi è rapidamente infausta e il trapianto di midollo osseo rappresenta l’unica
opzione terapeutica. I pazienti con JMML
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
presentano specifiche anomalie nel
pathway di segnale di RAS, che rende le
cellule ematopoietiche ipersensibili al
GM-CSF. Inattivazione di NF1 o mutazioni oncogeniche dei geni NRAS, KRAS2,
PTPN11, possono essere dimostrate in
almeno 2/3 dei pazienti affetti da JMML.1
Recentemente mutazioni omozigotiche
del gene CBL sono state identificate in
pazienti JMML negativi per mutazioni dei
geni del pathway di RAS.2 Le anomalie
cromosomiche sono riscontrate con analisi di citogenetica convenzionale nelle
cellule midollari del 36% dei pazienti, più
frequente è la monosomia 7 (26%).
Pazienti con cariotipo normale all’esordio, possono acquisire anomalie clonali
durante il decorso clinico.
Materiali e Metodi. Un bambino con quadro clinico compatibile con diagnosi di
JMML è giunto alla nostra osservazione a
3 mesi di vita con: epatosplenomegalia,
febbre, leucocitosi con monocitosi (GB
13¥103/μL, monociti 2.6¥103/μL), presenza di precursori mieloidi (2%), citopenia
bilineare (Hb 7 g/dL, piastrine 40¥103/μL)
e HbF (4.5%) normale per l’età. La morfologia midollare era caratterizzata da
aumento della cellularità, megacariociti
diminuiti, iperplasia mieloide con normale maturazione, normale serie eritroide,
5% di monociti, 1% di cellule con aspetto
immaturo. I test di clonogenicità effettuati su sangue periferico mostravano crescita spontanea delle CFU-GM. Le indagini virologiche erano negative. Dopo 1
anno di follow up il bambino presenta
miglioramento del quadro clinico, in particolare riduzione dell’organomegalia,
normalizzazione dell’emoglobina e delle
piastrine, ma persistenza della monocitosi, dei precursori mieloidi periferici e
incremento degli elementi immaturi
midollari (17%). Lo studio degli oncogeni
NRAS, KRAS2, PTPN11 non ha rilevato
mutazioni. Le analisi cromosomiche
sono state effettuate mediante tecniche
di routine su colture a breve termine
(24h e 48h) di midollo osseo e di sangue
periferico. L’identificazione dei cromosomi è stata eseguita mediante bandeggio
QFQ. Il cariotipo è stato formulato in
accordo alla nomenclatura ISCN (2009).
Sono stati eseguiti esperimenti di FISH
con le sonde painting per i cromosomi 11
e 16, con la sonda subtelomerica 11p e
con i BAC RP11-120E20 e RP11-348A20,
selezionati dal genome browser UCSC
(http://genome.ucsc.edu/), che mappano
il gene NUP98 sul cromosoma 11p15.
Risultati e discussione. Il cariotipo dell’aspirato midollare, confermato dalla
FISH con sonde painting per i cromosomi
11 e 16 e dalla sonda subtelomerica 11p,
risultava 46,XY,t(11;16)(p15;q23). L’ibridazione con BAC specifici per il gene
NUP98 ne escludeva il riarrangiamento. I
casi di JMML caratterizzati da trasloca-
[page 13]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
zioni cromosomiche come uniche anomalie citogenetiche sono rari e descritti
in singoli casi: t(5;17)(q33;p11.2) con
fusione PDGFRB/SPECC1 alias HCMOGT1;3
t(4;17)(q12;q21)
con
fusione
FIP1L1/RARA in un bambino di 20 mesi
con JMML aggressiva e resistente alla
terapia, negativo per ricerca di mutazioni PTPN11, K- ed NRAS;4 t(7;11)(p15;p15)
con fusione NUP98/HOXA11 in una bambina di tre anni risultata positiva per
mutazione di NRAS.5 Non è conosciuta la
relazione tra le traslocazioni cromosomiche risultanti in fusioni geniche, caratteristicamente associate alle leucemie
acute, e le mutazioni dei geni coinvolti
nella via RAS riscontrate nelle JMML;
verosimilmente rappresenterebbero cofattori del processo di leucemogenesi.
Per quanto riguarda il nostro caso, il
paziente è sotto controllo clinico periodico e sono in corso ulteriori indagini
per caratterizzare la traslocazione e i
possibili geni implicati.
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IL LINFOMA ANAP LASTICO A
GRANDI CELLULE CO N LO CALIZZAZIO NE S NC: RISULTATI DEL PRO TOCOLLO NAZIONALE AIEOP LNH 97
M. Pillon,1 F. Gregucci,1 E. Carraro,1
A. Lombardi,2 N. Santoro,3 M. Piglione,4
A. Sala,5 G. Franceschetto,1
R. De Santis,6 F. Casale,7 M. Zecca,8
L. Lo Nigro,9 A. Garaventa,10 R. Mura,11
C. Consarino,12 P. Tamaro,13
L. Mussolin,1 A. Rosolen1 per il GdL
AIEOP LNH.
1Clinica di Oncoematologia Pediatrica,
Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova;
2Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale,
Ospedale Bambino Gesù, Roma; 3Dipartimento di Pediatria, Università di Bari,
Bari; 4Dipartimento Scienze Pediatriche e
dell’Adolescenza, Oncoematologia Pedia trica Ospedaliera, Torino; 5Ospedale San
Gerardo, Università Milano-Bicocca,
Monza; 6Oncoematologia Pediatrica, S.G.
Rotondo, Foggia; 7Oncoematologia Pediatrica, Seconda Università degli Studi di
Napoli, Napoli; 8Clinica Pediatrica,
Policlinico S.Matteo, Pavia; 9Oncoemato logia Pediatrica, Catania; 10Ospedale
Pediatrico G.Gaslini, Genova; 11Onco ematologia Pediatrica, Patologia della
Coagulazione, Cagliari; 12Dipartimento di
Pediatria, Università di Catanzaro, Catanzaro; 13Oncoematologia Pediatrica,
Università di Trieste, Trieste, Italia
Introduzione. Il linfoma anaplastico a
grandi cellule (ALCL) con localizzazione
al sistema nervoso centrale (SNC), pur
costituendo un’evenienza rara, ha una
prognosi sfavorevole in termini di
sopravvivenza globale (OS) e libera da
malattia (EFS), in linea con quanto già
osservato per la leucemia acuta. Scopo
del lavoro è la descrizione della prevalenza, delle caratteristiche cliniche e biologiche, e l’analisi della sopravvivenza di
questi pazienti trattati nel gruppo ad alto
rischio del protocollo nazionale AIEOP
LNH-97.
Materiali e metodi. Da 10/1997 a 02/2007
sono stati arruolati nel protocollo AIEOP
LNH-97 32 pazienti con nuova diagnosi di
ALCL di età inferiore ai 18 anni. Stadio
secondo St. Jude: II 8, III 14, IV SNC neg 3,
IV SNC pos 7. Il protocollo AIEOP LNH-97
prevedeva un trattamento diversificato
per 3 gruppi di rischio (R1-R2-R3), suddivisi in base a stadio, resecabilità della
malattia, sede, istologia. In particolare, il
trattamento per il gruppo di rischio R3
con interessamento SNC consisteva in
una prefase, seguita da 6 cicli di chemioterapia di 5 giorni ciascuno, di cui 4 basati sull’uso di Methotrexate ad alte dosi (5
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
gr/mq) e 2 sulla somministrazione di
Citarabina ad alte dosi (3 gr/mq x 4 somministrazioni). Il protocollo non prevedeva radioterapia craniale, ma la somministrazione di 3 rachicentesi a giorni alterni ad ogni ciclo, più una nella prefase.
Risultati. Complessivamente, per tutti i
pazienti trattati nel protocollo, la OS e la
EFS a 5 anni era pari a 87% (SE 6%) e a
68% (SE 8%), rispettivamente. I pazienti
SNC positivi (5 M/2 F, età mediana 9 anni)
avevano una sopravvivenza inferiore
rispetto ai pazienti SNC negativi alla diagnosi (25 casi), sia in termini di OS [71%
(17%) vs 92% (6%), P=0.29] che di EFS
[57% (19%) vs 71% (9%), P=0.51].
L’interessamento del SNC alla diagnosi
nei 7 pazienti era la seguente: 3/7 blasti
nel liquor, 2/7 massa intracranica, 1/7
coinvolgimento oculare, 1/7 massa intracranica e coinvolgimento liquorale e dei
nervi cranici. Tutti avevano un interessamento combinato anche di altre sedi linfonodali e/o extralinfonodali alla diagnosi e in due era presente anche un coinvolgimento del midollo osseo (BM). Alla diagnosi il valore di LDH mediano era 725
IU/L mentre l’analisi immunofenotipica
mostrava: 5/7 tipo T, 1/7 tipo Null e 1/7
non noto. All’analisi immunoistochimica,
4/7 pazienti presentavano positività per
la proteina chimerica ALK, 2/7 erano
negativi e 1/7 non valutabile. Nei 4
pazienti ALK+ è stata ricercata la presenza della traslocazione t(2;5)(p23;q35)
mediante RT-PCR per NPM-ALK nel prelievo bioptico della massa tumorale e in
tutti è risultata positiva. NPM-ALK è
stato successivamente ricercato nel
midollo e nel liquor ed è risultato positivo in 1/4 pazienti a livello del liquor, e in
3/4 a livello midollare. In totale, la remissione completa (RC) è stata ottenuta in
6/7 casi, mentre un paziente ha presentato progressione di malattia senza mai
raggiungere la RC. Sono state registrate 2
ricadute isolate al SNC, rispettivamente
dopo 0.5 e 0.7 anni dalla diagnosi, in due
pazienti rispettivamente ALK+ (NPMALK positivo su BM e liquor) e ALK-. In
questo gruppo di pazienti SNC+, 2/7 sono
deceduti per PM, mentre 5/7 sono vivi, 2
di essi dopo trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
Conclusione. La localizzazione al SNC è
rara nel ALCL. La nostra casistica ha registrato un numero relativamente elevato
di pazienti SNC positivi (22%), che rimane comunque un numero esiguo per trarre conclusioni sul valore prognostico del
coinvolgimento del SNC alla diagnosi.
Ciò che emerge dall’analisi statistica è
che la EFS è peggiore nei pazienti con
questa presentazione rispetto ai pazienti
senza interessamento SNC alla diagnosi.
Visti i recenti lavori pubblicati in merito
alla malattia minima ed al titolo anticorpale come fattori prognostici negativi
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
nell’ALCL, è auspicabile un approfondito
studio dei markers biologici su casistiche più ampie, per definire meglio i parametri prognostici sfavorevoli e disegnare
trattamenti più mirati.
LE DIVERS E FORME DI NEURO BLAS TO MA ME TAS TATI CO SO NO
CARATTERIZZATE DA LIVELLI DI
ES PRESS IONE DI TI RO SINA
IDRO SSILASI SIGNIFICATIVAMENTE
DIVE RS I
Barbara Carlini,1 Stefano Parodi,2
Giovanni Erminio,2 Vera Morsellino,3
Riccardo Haupt,2 Alberto Garaventa3
Maria Valeria Corrias1
1Laboratorio
di Oncologia, 2Sezione di
Epidemiologia e Biostatistica e 3Dipartimento di Emato-Oncologia, Istituto Gian nina Gaslini, Genova.
Introduzione. La presentazione clinica
del neuroblastoma (NB) all’esordio è
estremamente variabile, variando dalle
forme localizzate (stadi 1, 2 e 3) alla
forma metastatica (stadio 4). Mentre la
prognosi per le forme localizzate è
buona, quella della forma metastatica
varia a seconda dell’età del paziente alla
diagnosi e, nel caso dei bambini al di
sotto di un anno di età alla diagnosi,
dalla localizzazione delle metastasi.
Precisamente secondo il Sistema Internazionale di Stadiazione del Neuroblastoma (1) nei bambini sotto l’anno si
identifica uno stadio 4S (S per speciale)
caratterizzato da metastasi limitate a
cute fegato e midollo osseo, con infiltrazione inferiore al 10%. Questa forma di
malattia metastatica è associata ad alta
frequenza di regressione spontanea ed a
buona prognosi con nessun o pochi
interventi terapeutici. La prognosi dei
bambini con stadio 4 sotto l’anno di età è
anch’essa buona, ma richiede interventi
terapeutici più importanti. Al contrario
la prognosi dei bambini con stadio 4
sopra l’anno di età alla diagnosi è pessima nonostante interventi terapeutici
multi modali ed aggressivi. I meccanismi
responsabili per queste profonde differenze nel comportamento clinico del NB
metastatico in relazione all’età alla diagnosi sono per la maggior parte ignoti.
Poiché per definizione nei bambini sotto
l’anno gli stadi 4S hanno una infiltrazione
midollare più bassa degli stadi 4, abbiamo voluto verificare se nei bambini con
stadio 4 il livello di infiltrazione fosse più
basso in quelli sotto l’anno rispetto a
quelli sopra l’anno d’età alla diagnosi.
Per poter rispondere a questa domanda
abbiamo utilizzato l'analisi molecolare
(RT-qPCR) per marcatori NB-specifici,
che essendo una metodica quantitativa e
molto sensibile potrebbe migliorare la
capacità diagnostica che attualmente si
basa esclusivamente sull’analisi morfologica degli strisci midollare e delle biopsie
ossee.
Materiali e Metodi. Disegno dello studio.
La coorte di pazienti oggetto di studio è
stata selezionata tra i pazienti con stadio
4 e 4S, registrati nel Registro Italiano NB
tra gennaio 2001 e giugno 2008, di cui
erano disponibili campioni di midollo
(BM) e sangue periferico (PB) all’esordio. Analisi molecolare dei marcatori NBspecifici. I campioni di BM e PB sono
stati centralizzati presso il laboratorio di
riferimento nazionale. L’RNA totale è
stato estratto e retrotrascritto secondo
metodica standardizzata (2). Il cDNA è
stato quindi amplificato con i primers e
probe specifici per β2-microglobulina
(gene di riferimento) e per i marcatori
NB-specifici Tirosina idrossilasi (TH),
Double Cortin (DCX) e Phox2b per 40
cicli in triplicato. In ogni piastra sono
stati inseriti opportuni controlli positivi
e negativi ed i risultati dell’amplificazione sono stati elaborati secondo il metodo di Livak (3) ed espressi come valori
relativi di espressione (  Cq).
Analisi statistica. Le differenze nella
distribuzione di variabili continue sono
state analizzate mediante analisi di
Mann-Whitney. La correlazione tra i livelli di espressione dei tre marcatori molecolari è stata stimata mediante analisi di
Spearman. L’accuratezza diagnostica è
stata valutata mediante le curve ROC.
Risultati. Espressione di TH, DCX e
Phox2b nei tre gruppi di pazienti di studio. I livelli di espressione dei tre marcatori NB-specifici sono risultati diversi nei
campioni di midollo dei tre gruppi di
pazienti con NB metastatico, mentre i
livelli di espressione nel sangue periferico erano significativamente diversi nei
bambini sotto l’anno rispetto a quelli
sopra l’anno, ma sovrapponibili nei bambini sotto l’anno con stadio 4 o 4S. Le differenze tuttavia erano significative solo
per il marcatore TH. L’espressione di
Phox2b e DCX è risultata sovrapponibile
sia nei campioni di BM sia di PB, come
evidenziato dall’esistenza di una perfetta
correlazione dei due risultati. L’analisi
ROC ha confermato l’accuratezza diagnostica del marcatore TH nel classificare correttamente i pazienti. Associazione
dell'espressione di TH e altre caratteristiche dei pazienti. I livelli di espressione di
TH misurati nei campioni di BM e PB nei
tre gruppi di pazienti con NB metastatico
sono risultati indipendenti da tutti gli
altri fattori prognostici noti. Tuttavia nei
bambini sopra l’anno di età alla diagnosi
i livelli di espressione di TH correlano
non solo con la presenza di metastasi nel
midollo ma anche con la presenza di
metastasi scheletriche.
Discussione. L’età è un importante fattore
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
prognostico nel NB e anche nella forma
metastatica la prognosi è molto peggiore
per i bambini sopra l’anno di età alla diagnosi di quella dei bambini sotto l’anno.
Inoltre solo nei bambini sotto l’anno può
presentarsi una forma metastatica particolare con ottima prognosi (4). Tuttavia,
il perché l’età influisca pesantemente
sulla prognosi rimane poco chiaro. In
questo studio abbiamo dimostrato che i
livelli di espressione del marcatore NBspecifico TH sono significativamente più
alti nei bambini sopra l’anno rispetto ai
bambini sotto l’anno d’età sia nei campioni di midollo sia di sangue periferico.
Quindi i bambini con stadio 4 sotto l’anno hanno una espressione di TH intermedia tra i bambini stadio 4 sopra l’anno e
quelli stadio 4S. I nostri dati sostengono
pertanto l’utilità dell’analisi molecolare
quantitativa per il marcatore TH quale
valida alternativa all'analisi morfologica
convenzionale, che al momento è l’unica
riconosciuta dal Sistema di Stadiazione
Internazionale del Neuroblastoma. Nei
pazienti sotto l’anno di età alla diagnosi,
l’analisi molecolare potrebbe consentire
una più oggettiva classificazione dei
pazienti con malattia metastatica a stadio 4 o 4S. Dato che i regimi terapeutici
per questi due gruppi di pazienti sono
notevolmente diversi una corretta classificazione ha importanti implicazioni cliniche, assicurando un trattamento terapeutico ai primi e risparmiando un trattamento potenzialmente tossico ai
secondi. Recentemente, Benard e collaboratori (5) hanno dimostrato che i bambini con stadio 4S hanno un profilo di
espressione genica particolare che li può
discriminare dai bambini con stadio 4.
L'analisi RT-qPCR per TH avrebbe però il
vantaggio di essere una metodica standardizzata (2) di facile applicabilità in
tutti i laboratori di riferimento nazionale.
L’utilizzo di questa metodica quantitativa ed oggettiva consentirebbe di capire
se la discrepanza nell’incidenza di
pazienti sotto l’anno di età con stadio 4 e
4S in Nord America e Europa sia dovuto
ad una diversa interpretazione della
soglia di infiltrazione midollare (10%) da
parte dei citomorfologi e/o patologi
europei o statunitensi. I valori di espressione della TH sono risultati indipendenti da tutti gli altri fattori prognostici noti,
inoltre nei bambini sopra l’anno i valori
di espressione si associano non solo alla
presenza di metastasi midollari ma
anche alla presenza di metastasi ossee. È
quindi possibile che l’espressione di TH
sopra una certa soglia sia indice di una
maggiore aggressività delle cellule neoplastiche, così come è stato dimostrato
nel caso delle leucemie. Nel nostro studio gli altri due marcatori NB-specifici,
Phox2b e DCX, non sono risultati superiori alla TH, né il loro utilizzo ha aggiun-
[page 15]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
to alcun tipo di informazione, confermando una nostra precedente osservazione a sostegno della inutilità di effettuare analisi molecolari per più marcatori. In conclusione, l’introduzione dell’analisi molecolare per l’espressione di
TH al momento della diagnosi di NB
potrebbe consentire una più oggettiva
stadiazione del paziente, un corretto
confronto tra serie di pazienti e una maggiore comprensione del ruolo prognostico dell’infiltrazione nel midollo.
Bibliografia
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al. Mol Oncol 2008;2:261-71.
E FFETTO DEI P OLIMO RFIS MI DEI
GENI ABCC2, MTH FR E TYMS S ULLA
TO SSICITÁ DA METHOTREXATE IN
BAMBINI ONCO EMATO LOGI CI
L. Palumbo,1 S Cavagnini,1 L.D.
Notarangelo,1 V. Bennato,1 F.
Schumacher,1 A. Panzali,2 D. Di
Lorenzo,3 F. Porta1
1U.O. Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo – Presidio Ospedale
dei Bambini – Spedali Civili di Brescia; 2III
Laboratorio Analisi Chimico-Cliniche –
Spedali Civili di Brescia; 3Laboratorio
Biotecnologie – III Laboratorio Analisi –
Spedali Civili di Brescia, Italia
Il methotrexate è uno dei farmaci più
impiegati nel trattamento dei tumori
pediatrici e costituisce una delle principali cause di tossicità nel corso della
chemioterapia. Il presente studio, pertanto, si è proposto di valutare l’esistenza di una correlazione tra determinati
polimorfismi genetici e lo sviluppo di
reazioni avverse al methotrexate, al fine
di stabilire la presenza di evidenze sufficienti a supportare l’utilizzo di uno
screening genetico mirato, nella fase di
pianificazione del trattamento, per evitare l’evoluzione in un quadro clinico di
tossicità. È stata valutata, inoltre, l’ipotetica correlazione tra eventi avversi al
methotrexate e la concomitante assunzione di altri farmaci, la dose somministrata dell’agente antifolico e l’età del
paziente al momento della diagnosi della
patologia. I polimorfismi ricercati sono
relativi ai geni ABCC2, MTHFR C677T,
MTHFR A1298C e TYMS. In riferimento ad
[page 16]
ABCC2, il polimorfismo 24C>t situato
nella regione 5’ non tradotta del gene
sarebbe associato a una ridotta espressione di una proteina transmembrana
deputata alla detossificazione cellulare
del methotrexate (MRP2), quindi a una
minor eliminazione dell’agente antifolico, con conseguente aumento del rischio
di sviluppare eventi avversi. Il genotipo
normale per ABCC2 è CC, il genotipo alterato in eterozigosi CT e il genotipo alterato in omozigosi TT. Una proteina codificata da un gene particolarmente polimorfico, avente un ruolo chiave nel
metabolismo e nell’omeostasi dei folati,
è la 5-10-metilentetraidrofolato reduttasi
(MTHFR), indirettamente implicata nel
meccanismo d’azione del methotrexate. I
polimorfismi C677T e A1298C sono associati a una ridotta attività dell’enzima
codificato, con conseguente alterazione
della distribuzione intracellulare dei folati e sviluppo di una condizione di iperomocisteinemia, condizione potenzialmente letale, in quanto costituisce un fattore indipendente di rischio cardiovascolare e trombotico. Nel caso del polimorfismo C677T si ha una transizione da
citosina a timina al nucleotide 677: tale
variazione comporta la sostituzione di
un’alanina in valina al codone 222 e interessa il sito catalitico della MTHFR. Il
genotipo normale risulta essere CC, il
genotipo alterato in eterozigosi CT e il
genotipo alterato in omozigosi TT. Il polimorfismo A1298C è definito, invece, da
una transversione di un’adenina in citosina al nucleotide 1298, con una sostituzione del glutammato con l’alanina al
codone 429: tale variazione coinvolge un
dominio regolatore della MTHFR. Il genotipo normale risulta essere AA, il genotipo alterato in eterozigosi AC e il genotipo
alterato in omozigosi CC. In entrambi i
casi, i polimorfismi determinano una
riduzione dell’attività dell’enzima e un
potenziamento del blocco del metabolismo dei folati indotto dal methotrexate.
Altrettanto importante è il gene che codifica la timidilatosintetasi (TYMS), un
enzima chiave nell’ambito della riproduzione cellulare, inibito direttamente dal
methotrexate. Recenti studi hanno individuato a livello della regione enhancer
del promotore del gene TYMS un polimorfismo, rappresentato da una variazione nel numero delle ripetizioni di una
sequenza di 28 paia di basi. Pazienti
omozigoti per la variante caratterizzata
da 3 sequenze ripetute (3R/3R) presentano una maggior espressione e attività
dell’enzima e tendono ad avere una
minore probabilità di risposta al trattamento con methotrexate, rispetto a
pazienti omozigoti per la variante con 2
sequenze ripetute (2R/2R) o eterozigoti
(2R/3R). Inoltre, i pazienti omozigoti
3R/3R risultano avere, in seguito al trat-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
tamento con methotrexate, un maggior
rischio di recidiva ed un beneficio inferiore in termini di sopravvivenza rispetto
a pazienti portatori dell’allele 2R.
L’analisi retrospettiva è stata condotta
su 44 pazienti pediatrici, seguiti dal 2006
al 2011 presso l’U.O. Oncoematologia
Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo
dell’Ospedale dei Bambini di Brescia. I
pazienti presentavano al momento della
diagnosi della malattia neoplastica
un’età compresa tra 2 mesi e 15 anni;
nell’80% dei casi erano di nazionalità italiana, nel 13% di nazionalità albanese e
nel restante 7% di nazionalità indiana o
marocchina. Nel 68% dei soggetti era
stata posta diagnosi di leucemia linfoblastica acuta, nel 18% di linfoma, nel 7% di
osteosarcoma e nel restante 7% di tumore embrionale. Durante una visita ambulatoriale, i pazienti sono stati sottoposti
a un prelievo di sangue venoso periferico; i campioni sono stati conservati a 4°C
fino al momento dell’estrazione del DNA,
che è stata realizzata con metodica
semiautomatica. In seguito si è proceduto con l’amplificazione del materiale
genetico, il sequenziamento e l’identificazione dell’eventuale polimorfismo. In
riferimento al gene ABCC2, il 70% dei
pazienti ha presentato genotipo normale, il 25% genotipo alterato in eterozigosi
e il 5% in omozigosi. Il 20% dei soggetti
non ha mostrato alcuna variazione a
livello del gene MTHFR C677T, mentre il
50% ha presentato un polimorfismo in
eterozigosi e il 30% in omozigosi. Il gene
MTHFR A1298C è risultato normale nel
57% degli individui, alterato in eterozigosi nel 37% e in omozigosi nel 6%. Il gene
TYMS si è presentato normale nel 14%
dei casi, polimorfico in eterozigosi nel
54% dei bambini e in omozigosi nel 32%.
Dall’analisi delle cartelle cliniche è stato
possibile comprendere il fenotipo, cioè il
decorso clinico in seguito all’assunzione
del methotrexate: nel 29,5% dei casi non
si sono verificate complicanze e nel
70,5% è stato riscontrato un evento
avverso. Nello specifico, il 56,8% dei
pazienti ha presentato un evento da noi
definito major, dovuto a un ritardo nell’eliminazione del methotrexate, indicato
da valori ematici del farmaco >0.25
μmoli/L alla 48° ora trascorsa dall’inizio
dell’infusione del methotrexate per via
endovenosa; il 13,7% dei bambini ha
mostrato un evento da noi definito severe, cioè un episodio di manifesta tossicità, a livello renale, neurologico, epatico o
cutaneo. La valutazione del genotipo e
del fenotipo dei pazienti che hanno presentato un evento avverso (70,5%) ha
permesso di evidenziare le seguenti correlazioni: il gene ABCC2 è risultato normale nel 50% dei soggetti e alterato nel
restante 20,5%; il gene MTHFR C677T si è
presentato normale nel 20,5% dei pazien-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
ti e polimorfico nel 50%; il gene MTHFR
A1298C si è mostrato normale nel 34%
dei bambini e alterato nel 36.5%; il gene
TYMS è risultato normale nel 6,9% degli
individui e polimorfico nel 63.6%. Data la
complessità della chemioterapia somministrata ai nostri pazienti, per coloro in
cui si è verificato un evento severe in
seguito alla somministrazione del methotrexate, è stata valutata la concomitante
assunzione di altri farmaci, in particolar
modo di 6-mercaptopurina, trimetoprim/sulfametoxazolo,
amoxicillina/
acido clavulanico, desametasone, associati a un maggior rischio di tossicità.
Nella nostra casistica non è stata riscontrata tale correlazione. È stata valutata,
inoltre, l’associazione tra la dose del
methotrexate assunta per via endovenosa e l’evoluzione verso un evento major
o severe. Nel 44% dei casi gli eventi
major si sono presentati nei pazienti in
cui sono stati somministrati 2 g/m2 di
methotrexate; nel 36% in seguito all’assunzione di 5 g/m2; nell’8% in bambini
che avevano precedentemente assunto 8
g/m2; nella restante percentuale dei casi
in seguito alla somministrazione di 1
g/m2 (4%), 3 g/m2 (4%) e 12 g/m2 (4%).
Nel 66% dei casi gli eventi severe si sono
manifestati nei pazienti che avevano
assunto 5 g/m2 di methotrexate; nel
restante 34% in seguito alla somministrazione di 2 g/m2. Relativamente all’età di
diagnosi della neoplasia, gli eventi major
sono stati più frequenti nei pazienti di
età compresa tra 4 ed 6 anni, mentre gli
eventi severe si sono presentati soprattutto tra 9 e 14 anni. In conclusione,
l’analisi dei nostri dati ha confermato
l’esistenza di una correlazione statisticamente significativa per il rischio di tossicità al methotrexate nei pazienti con alterazioni a carico di MTHFR C677T e
TYMS. Inoltre, gli eventi major si sono
mostrati più frequenti nei soggetti di età
inferiore a 6 anni, in terapia con un
dosaggio di methotrexate pari a 2 g/m2;
mentre gli eventi severe si sono presentati maggiormente in bambini più grandi
(9-14 anni), ai quali sono stati somministrati 5 g/m2 di methotrexate. Tali risultati suggeriscono la somministrazione di
una terapia personalizzata, scelta in base
al patrimonio genetico di ogni paziente:
l’auspicio, infatti, è che lo screening
genetico di MTHFR C677T e TYMS venga
applicato nella pratica clinica, al fine di
evitare lo sviluppo di eventi avversi al
methotrexate.
Bibliografia
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ATTI VI TA’ ANTI-TUMORALE IN
VITRO ED IN VIVO DI CELLULE
CITOTOS SICH E EBV-SP ECIFICHE
(EBV-CTL) CONTRO LA LE UCEMI A
MIELO IDE ACUTA (AML) CD33 +
V. Marin,1* A. Dutour,2** S. ValsesiaWittmann,2 D. Lee,3 E Yvon,4 H. Finney,5
A Lawson,5 M. Brenner,4 R. Rousseau,6**
E. Biagi1**
1Centro Ricerca “M.Tettamanti”, Clinica
Pediatrica, Università Milano Bicocca,
Monza, Italia, 2INSERM U590/Equipe
Cytokines et Cancer- Centre Léon BérardLione, Francia, 3Pediatrics, Cell Therapy
Section, The University of Texas M. D.
Anderson Cancer Center, Houston, TX
(USA), 4Center for Cell and Gene Therapy,
Texas Children’s Cancer Center, Baylor
College of Medicine, 5UCB Celltech, 216
Bath Road, Slough, Berkshire SL1 3WE,
United Kingdom, 6Université Claude
Bernard, Lione, Francia *V Marin ed A
Dutour hanno contribuito equamente al
lavoro **E Biagi e R Rousseau condividono la last authorship
Introduzione. La modificazione genica di
cellule T con recettori chimerici (CAR) è
una strategia promettente per il trattamento dei tumori. Con questo approccio
infatti, è possibile ampliare il range di
antigeni da utilizzare per lo sviluppo di
approcci di immunoterapia adottiva di
cellule T ed inoltre i maggiori meccanismi di evasione tumorale vengono elusi.1
Abbiamo applicato questa strategia per
ridirezionare cellule citototossiche specifiche per virus Esptein Barr (EBV-CTL)
contro l’antigene CD33 per bersagliare la
leucemia mieloide acuta (AML). Tali cellule hanno mostrato risultati clinici
molto soddisfacenti2 e più recentemente
uno studio clinico di fase I in pazienti con
neuroblastoma, ha supportato l’utilizzo
degli EBV-CTL anche in seguito a modificazione genica con CAR, grazie alla loro
persistenza a lungo termine in vivo,
sostenuta dalla ristimolazione fisiologica
fornita dalle cellule presentanti antigeni
EBV.3
Materiali e metodi. EBV-CTL sono stati
ottenuti dalle cellule mononucleate del
sangue periferico di 6 donatori sani
mediante ristimolazione in vitro con
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
linee cellulari linfoblastoidi autologhe
(LCL) e IL-2 secondo un protocollo standard. Il giorno dopo la terza stimolazione
gli EBV-CTL sono stati trasdotti con i vettori retrovirali codificanti il CAR antiCD33-ζ ed il CAR anti-CD33-CD28-OX-40-ζ.
Le cellule sono state quindi analizzate
per valutare l’efficienza di trasduzione
mediante marcatura con anticorpo specifico per la porzione CH2-CH3 del CAR e
per analizzare l’attività funzionale in
vitro (saggi di citototossicità di rilascio
di 51Cromo a 4 ore contro LCL autologhe
e linea cellulare KG-1; Elispot per IFN-γ e
Granzima B dopo stimolazione con LCL e
KG-1 irradiate) ed in vivo, in un modello
murino di AML umana, in cui topi
NOD/SCID sono stati iniettati sottocute
con la linea cellulare AML-10 trasdotta
con Firefly luciferasi per essere successivamente sottoposti a 4 iniezioni/settimana intravena di EBV-CTL trasdotti con
CAR anti-CD33 e monitorati per la crescita tumorale mediante bioluminescenza.
Risultati: abbiamo dimostrato che gli
EBV-CTL possono essere efficientemente
modificati con i CAR anti-CD33 (percentuale media di cellule esprimenti CAR
pari a 35%±4% (n=6) e 41%±6% (n=6)
rispettivamente per CAR anti-CD33-ζ e
CAR anti-CD33-CD28-ζ). Gli EBV-CTL
geneticamente modificati con CAR antiCD33 mostrano doppia specificità in
vitro, con una potente attività litica contro bersagli esprimenti l’antigene EBV
(LCL) simile alle cellule non manipolate
(lisi media a rapporti effettore:target 50:1
pari a 40%±7%, 44%±6% e 48%±7% rispettivamente per EBV-CTL esprimenti CAR
anti-CD33-ζ, CAR anti-CD33-CD28-ζ ed
EBV-CTL non manipolati) e contro la
linea cellulare esprimente CD33 KG-1,
significativamente maggiore rispetto alle
cellule non manipolate (lisi media a rapporti effettore:target 50:1 pari a 39%±5%,
44%±6% e 5%±3%; n=6, rispettivamente
per EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33ζ, CAR anti-CD33-CD28-ζ ed EBV-CTL non
manipolati). Tale doppia specificità è
stata confermata anche valutando il rilascio di IFN-γ e Granzima B in seguito a stimolazione con LCL e KG-1. Mentre nel
primo caso il rilascio di IFN-γ e Granzima
B è risultato analogo tra EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33 ed EBV-CTL non
trasdotti, nel secondo caso, abbiamo
riscontrato un aumento medio di cellule
formanti spot -SFC-/105 cellule per l’IFN-γ
pari a 10 e 18; n=6, rispettivamente per
EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33-ζ e
CAR anti-CD33-CD28-ζ rispetto ad EBVCTL non manipolati ed un aumento
medio di SFC/105 cellule per Granzima B
pari a 14 e 23; n=6, rispettivamente per
EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33-ζ e
CAR anti-CD33-CD28-ζ rispetto ad EBVCTL non manipolati. Inoltre, abbiamo
osservato che gli EBV-CTL esprimenti il
[page 17]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
CAR anti-CD33-ζ iniettati nei topi NODSCID con AML, sono stati in grado di raggiungere il tumore ed esercitare attività
anti-tumorale in vivo, con inibizione
della crescita tumorale pari al 43% confrontata con il 12% dei topi trattati con
EBV-CTL non manipolate. La presenza
del dominio costimolatorio CD28 nel
CAR anti-CD33 non ha potenziato l’attività litica in vitro degli EBV-CTL né quella
antitumorale in vivo, con un’inibizione
della crescita tumorale pari al 20%.
Conclusioni. l’utilizzo di EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33 rappresenta uno
strumento promettente per fornire un
beneficio terapeutico ai pazienti con AML
in cui le terapie convenzionali falliscono.
Studi addizionali sono necessari per individuare quali domini intracellulari siano in
grado di ottimizzare ulteriormente la funzionalità antitumorale degli EBV-CTL trasdotti con CAR.
Bibliografia:
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CO NFRO NTO DI DIVERSE STRATEGI E DI GENE SUICIDA PER IL
MI GLIORAMENTO DEL PROFILO DI
S ICUREZZA DE LLE CELLULE T
GENETICAMENTE MO DIFICATE PER
L’IMMUNOTERAP IA CELLULARE
ADO TTIVA
V. Marin,1 I. Pizzitola,1 E. Cribioli,1
A. Biondi,1 E. Biagi,1 M. Pule2
1Centro
Ricerca “M.Tettamanti”, Clinica
Pediatrica, Università Milano Bicocca,
Monza, Italia e 2Dipartimento di Emato logia, University College London, London,
United Kingdom
Introduzione. l’immunoterapia adottiva
con cellule T geneticamente modificate
con TCR esogeni o recettori chimerici
potrebbe essere associata alla manifestazione di eventi tossici, scatenati dalla
possibile reattività delle cellule T contro
i tessuti sani o dalla eventuale mutagenesi inserzionale conseguente all’utilizzo di
vettori retrovirali per la manipolazione
[page 18]
genica delle cellule T1. Quindi si rende
necessario co-esprimere un gene suicida
nel vettore virale utilizzato per modificare geneticamente le cellule T, che possa
rendere le cellule T suscettibili all’azione
di uno specfico pro-farmaco, quindi
selettivamente eliminabili in caso manifestino tossicità una volta infuse1. Sinora
sono state indagate diverse strategie suicida, basate sull’ utilizzo di timidina chinasi derivata da Herpes Simplex virus
(HSV-TK)2
caspasi
9
inducibile
(iCasp9)3, timidilato chinasi umana
mutata (m-TMPK)4 e CD205. Tuttavia è
difficile confrontare i risultati riportati in
letteratura dai diversi gruppi di ricerca
che si sono concentrati sui singoli
modelli di geni suicida, a causa della inevitabile mancanza di uniformità nelle
procedure
sperimentali
utilizzate.
Pertanto, lo scopo di questo studio è
stato quello di confrontare le differenti
strategie di gene suicida descritte in letteratura in un modello in vitro di cellule
citotossiche specifiche per il virus
Epstein Barr (EBV-CTL). I risultati ottenuti consentiranno una migliore definizione della strategia suicida ottimale da
utilizzare al fine di aumentare il profilo di
sicurezza e quindi l’applicabilità clinica
dei linfociti T per i protocolli di immunoterapia adottiva.
Materiali e metodi. i geni codificanti la
timidina chinasi di Herpes Simplex Virus
Thymidine Kinase (HSV-TK)2, la caspasi
9 umana inducibile (iCasp9)3, la timidilato chinasi umana mutata (mTMPK) 4 e il
CD20 umano5 sono stati individualmente
clonati nel vettore retrovirale SFG, in
sequenza al gene codificante per l’antigene CD34 troncato (dCD34), utilizzato
come marcatore di trasduzione e selezione, separati dal peptide 2A, che consente
l’espressione equimolare del gene suicida e del gene marcatore. È stato generato inoltre un vettore di controllo codificante solo per l’antigene dCD34. Tali
costrutti sono stati quindi impiegati per
trasdurre gli EBV-CTL, che sono stati sottoposti ad estensive analisi fenotipiche e
funzionali. In primo luogo è stata valutata, mediante immunofenotipo, l’efficienza di traduzione. Quindi sono state indagate eventuali alterazioni nelle caratteristiche fisiologiche degli EBV-CTL, dovute
alla procedura di modificazione genica o
all’espressione dei geni suicida, mediante analisi del fenotipo, dell’espansione in
vitro, della citotossicità contro le linee
linfoblastoidi cellulari (LCL) autologhe
valutata mediante saggi di citotossicità
di rilascio di 51Cromo contro LCL autologhe e allogeniche,e del rilascio di IFN-γ,
valutato mediante citofluorimetria, in
seguito a stimolazione con cellule LCL
irradiate. Infine è stata indagata l’attività
funzionale dei diversi geni suicida valutando innanzitutto la loro cinetica di atti-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
vazione, mediante analisi citofluorimetrica della quota di cellule CD34+ residue a
diversi tempi dopo la somministrazione
dello specifico pro-farmaco (rispettivamente 1, 4 o 7 giorni), quindi l’induzione
di apoptosi dopo 24 ore di incubazione
con il corrispettivo pro-farmaco, mediante marcatura con AnnessinaV e 7AAD, ed
infine l’effetto sulla capacità replicativa
degli EBV-CTL trasdotti in seguito al trattamento farmacologico.
Risultati. gli EBV-CTL sono stati efficientemente trasdotti con i costrutti retrovirali codificanti per iCasp9-2A-dCD34,
HSV-TK-2A-dCD34, mTMPK-2A-dCD34 e
CD20-2A-dCD34 (% media di cellule
CD34+, 80%, n=5) totalmente paragonabile con la percentuale media di trasduzione ottenuta con il vettore controllo
dCD34, pari a 85%±5%. L’espressione del
gene marcatore dCD34 è risultata essere
stabile nel tempo fino a tre settimane di
coltura. Inoltre, l’espressione del gene
suicida non ha causato alterazioni delle
caratteristiche fisiologiche degli EBVCTL, in particolare del tasso di espansione delle cellule in coltura, del loro immunofenotipo, con tipica espansione delle
cellule CD3+CD8+, della loro capacità di
rispondere agli antigeni EBV presentati
dalle cellule LCL autologhe e della capacità di rilasciare IFN-γ dopo stimolazione
con LCL, con simili valori tra cellule trasdotte e cellule non trasdotte. Per valutare la cinetica d’azione dei diversi geni
suicidi, gli EBV-CTL trasdotti con i diversi geni suicida sono stati incubati con i
rispettivi pro-farmaci, alle concentrazioni ottimali precedentemente stabilite.
Dopo solo 24 ore di incubazione, si è
osservata una significativa riduzione
della quota di cellule CD34+ residue nella
cellule trasdotte con iCasp9-2A-dCD34
dopo somministrazione dell’Induttore
Chimico di Dimerizzazione -CID- (media
di sopravvivenza pari a 11%±3% dopo 24
ore, 5%±1% dopo 7 giorni; n=7). Le cellule trasdotte con il costrutto HSV-TK-2AdCD34 trattate con Ganciclovir hanno
mostrato risultati simili a quelli ottenuti
con iCasp9-2A-dCD34, ma a tempi di
incubazione più lunghi (dopo 4 giorni); i
costrutti mTMPK-2A-dCD34 e CD20-2AdCD34 a tutti i time point analizzati
hanno mostrato un’efficacia minore nell’indurre morte cellulare (media di
sopravvivenza dopo 7 giorni di incubazione pari rispettivamente a 32% ±10%e
84%±7%; n=5). Gli stessi risultati sono
stati ottenuti analizzando l’induzione di
apoptosi precoce e tardiva attraverso
marcatura con Anessina V e 7-AAD: dopo
incubazione con il CID, le cellule trasdotte con il costrutto iCasp9-2A-dCD34
hanno raggiunto livelli di apoptosi quasi
del 100%, mentre, con gli altri costrutti
suicida, sono stati ottenuti valori significativamente più bassi. Infine, quando è
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
stata valutato l’effetto dell’attivazione di
ciascun gene suicida sulla capacità replicativa degli EBV-CTL mantenuti in coltura dopo una singola somministrazione di
pro-farmaco attivatore, si è osservato
che già dopo 1 giorno dal trattamento, le
cellule trasdotte con iCasp9-2A-dCD34
hanno mostrato un’inibizione sostanziale e significativamente maggiore della
crescita cellulare rispetto alle cellule trasdotte con gli altri costrutti, con un tasso
di espansione medio rispetto al giorno 0
di 0.2±0.1 (n=4), contro 0.5±0.1 di HSVTK-2A-dCD34, 0.6±0.1 di mTMPK-2AdCD34 e 0.9±0.1 di CD20-2A-dCD34.
Conclusioni. Dai risultati ottenuti emerge
che la strategia suicida più promettente,
al fine di assicurare un significativo
aumento del profilo di sicurezza dell’immunoterapia cellulare adottiva, prevede
l’utilizzo di iCasp9, la quale presenta la
cinetica d’azione più rapida con la maggiore efficacia, caratteristica che consentirebbe l’eliminazione tempestiva delle
cellule infuse nel caso esse siano responsabili di effetti tossici nei confronti dei
tessuti sani. Inoltre, è utile considerare
che iCasp9 è una proteina di origine
umana, quindi non immunogenica, caratteristica che previene l’eliminazione precoce delle cellule trasdotte dal circolo.
Infine, a supporto della possibile applicabilità clinica di iCasp9 vi è la nota mancanza di effetti collaterali dimostrati nell’utilizzo di CID.
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RUO LO DELLE VI E DI TRASDUZIO NE DEL SEGNALE PRO-SOP RAVVIVENZA NELLA LEUCEMIA
LINFOBLASTICA ACUTA AD ALTO
RI SCHI O P ER I DENTIFICARE NUOVI
TARGET TERAP EUTICI
A. Iannotta, V. D'Angelo, M. Ramaglia,
M. Di Martino, G. Pecoraro,
D. Di Pinto, S. Perrotta, G. Gualdiero,
P. Indolfi, F. Casale
Seconda Università Degli Studi Di Napoli,
Dipartimento di Pediatria "F.Fede",
Servizio di Oncoematologia Pediatrica,
Italia
Introduzione. La leucemia origina da cellule emopoietiche che perdono la loro
capacità di differenziarsi in cellule mature del sangue. La Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA) è la più comune leucemia
dell’età pediatrica ed è causata da meccanismi eziopatogenetici multifattoriali
oltre che da una alterata espressione dei
geni dovuta in parte a traslocazioni cromosomiche. Nella quasi totalità dei casi
si ottiene la remissione completa ma
ancora oggi circa il 30% dei pazienti,
soprattutto ad alto rischio, sviluppa recidiva da resistenza alla chemioterapia.
È ormai noto che gli ossidanti giocano un
ruolo nei diversi stadi della carcinogenesi e che i prodotti di specie reattive dell’ossigeno rappresentano un evento inevitabile nelle cellule che utilizzano un
metabolismo aerobico per la produzione
di energia. Dati evidenti hanno dimostrato che disturbi del metabolismo dello
stress ossidativo sono frequenti nelle
cellule tumorali trasformate. Le cellule
leucemiche producono un’alta percentuale di specie reattive dell’ossigeno
rispetto alle cellule non leucemiche,
fisiologicamente in uno stato di blocco
ossidativo. Tale caratteristica determina
nelle cellule leucemiche alterazioni degli
agenti antiossidanti con conseguente
alterazione delle proteine coinvolte nella
via di trasduzione del segnale alla base
di funzioni fondamentali quali l’apoptosi,
la proliferazione e la sopravvivenza.
Attualmente le vie di trasduzione più
interessanti e pertanto più studiate
riguardano il pathway di AKT/mTOR e
delle Map chinasi come ERK, analizzate
soprattutto in pazienti ad alto rischio di
resistenza alla chemioterapia e quindi a
maggiore probabilità di sviluppare recidiva. Inoltre queste vie di segnalazione
sono i principali target della terapia innovativa che prevede l’uso di piccole molecole inibitorie. Esistono, inoltre, una
serie di stress cellulari quali lo shock termico, l’ipossia, lo stress ossidativo, l’ipoglicemia e la luce ultravioletta capaci di
determinare aumento dell’attività di
AKT. Tale fenomeno d’iperattivazione
stress-indotto risulta di particolare inte-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
resse in quanto indotto dalle cellule
come meccanismo compensativo per
evitare la morte. Diversi studi hanno
dimostrato che le cellule tumorali presentano un’ attivazione costitutiva di
AKT e di ERK, tra cui AKT di maggiore
interesse nelle neoplasie in quanto coinvolto sia nell’inibizione dell’apoptosi sia
nel promuove la proliferazione cellulare
attraverso mTOR. Per tale motivo attualmente vi è uno sviluppo clinico di molti
composti che hanno come bersaglio l’asse di sopravvivenza PI3K/AKT/mTOR; in
particolare sono state sviluppati inibitori di PI3K, AKT ed mTOR, sia allosterici
(rapamicina e derivati) che del sito catalitico. L’obiettivo del nostro studio è
stato quello di analizzare nelle LLA, la
proliferazione spontanea in vitro nell’ottica di valutare un potenziale sbilanciamento nelle vie di segnalazione pro
sopravvivenza e definire i meccanismi
alla base della leucemogenesi. In particolare, lo studio sarà focalizzato sulla
modulazione delle vie di trasduzione del
segnale di AKT/mTOR , MEK/ERK1/2 e la
famiglia dei trasduttori del segnale e attivatori della trascrizione STAT in linee cellulari di leucemie linfoblastiche acute
(Jurkat e MHH-CALL2) e in blasti leucemici di pazienti affetti da LLA ad alto
rischio. Inoltre lo studio prevede anche
la modulazione nell’attivazione delle proteine cruciali ad ogni via di trasduzione
del segnale e la loro influenza sulla proliferazione spontanea per valutare la reazione allo stress ossidativo delle cellule
leucemiche prima e dopo trattamento
con inibitori di AKT, mTOR e con una isoforma di Manganese superossido dismutasi (MnSOD).
Materiali e Metodi. Studi in vitro: Jurkat ,
MHH-CALL2 e blasti leucemici separati da
sangue midollare di bambini affetti da LLA
a B e T cell ad alto rischio sono state coltivate in RPMI + siero 10% + PENSTREP 1%.
a) TEST DI PROLIFERAZIONE: i test di vitalità e di proliferazione. (Conta cellulare,
Trypan Blue e test di proliferazione con
MTT) sono stati eseguiti ogni 24 ore e dopo
trattamento con gli inibitori e con MnSOD.
Le cellule, dopo 72h di crescita spontanea,
sono state incubate per 5h con rMnSOD e
con gli inibitori di AKT(LY294002) e di
mTOR(CCI-779) a concentrazioni scalari
(20-0.2ug/ml) e valutata la percentuale di
inibizione. b) WESTERN BLOTTING: Sono
state estratte le proteine dai blasti leucemici, sia in vivo che in vitro. 30 µg di proteine
sono state separate con elettroforesi SDSPage e trasferite su membrana di PVDF.
L'immunoblotting è stato eseguito usando
anticorpi anti pSer 473 di AKT e anti pERK
e anti pmTOR (phospho S2448) e visualizzati con sistema chemil uminescente
(ECL). c) ELISA: Le proteine della famiglia
STAT sono state rilevate mediante Kit
TransAM. È stato utilizzato un anticorpo
[page 19]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
primario che riconosce un epitopo specifico di STAT 3 (N-terminale, 50-240 aa) e di
STAT 5a (C-terminale, 775-794 aa), a cui si
lega un Ab 2° coniugato con perossidasi
(HRP), formando così un immunocomplesso che fornisce una sensibile lettura colorimetrica quantificabile allo spettrofotometro. d) IMMUNOCITOCHIMICA: le proteine
studiate sono state analizzate, per l’analisi
qualitativa, su vetrino di mieloaspirato utilizzando un sistema rivelatore in perossidasi (ImmunoCruz Staining). e) MICROSCOPIO ELETTRONICO (TEM): tale metodica è stata utilizzata, dopo trattamento,
per valutare la morfologia e le alterazioni
cromatiniche relative all’induzione dell’apoptosi eventualmente presente.
Risultati preliminari. Dai dati preliminari
ottenuti su blasti leucemici di 80 campioni
si evince che STAT 3 è risultata espressa
nella forma attiva fosforilata in 67/80 campioni con valore medio 0,93 µg/µL (IC 95%
0,74-1,11) mentre STAT 5a è presente nella
forma attiva fosforilata in 63/80 campioni
con valore medio di 1,38 µg/µL (IC 95%
1,05-1,71) con una prevalenza nei campioni
ad alto rischio (36/40 e 33/40 rispettivamente). Relativamente al pathway PI3/AKT
è stata evidenziata una fosforilazione costitutiva alla diagnosi in 52/80 campioni con
una prevalenza di alto grado di fosforilazione nei campioni ad alto rischio (33/40).
L’analisi di pERK, nel sottogruppo di LLA a
cellule T, ha evidenziato una costitutiva
fosforilazione in 16/18 campioni ad alto
rischio. Dai primi esperimenti in vitro sui
blasti derivati dai campioni di LLA ad alto
rischio, si è osservato a 72h un incremento della proliferazione autonoma (MTT =
80%) L’induzione dello stress ossidativo
dopo trattamento con rMnSOD, ha permesso di evidenziare che le cellule blastiche mostrano un’intensa positività citoplasmatica all’anticorpo diretto verso
rMnSOD che diminuisce allo scalare delle
concentrazioni, a dimostrazione che la
proteina agisce entrando nelle cellule di
LLA a differenza di quanto noto in letteratura per le cellule di LMC (Wang Feng at al).
All’osservazione con TEM si evidenziano i
primi segni di induzione dell’apoptosi in
particolare a 2 ug/mL, con una iniziale
frammentazione nucleare e citoplasmatica
ed una maggiore modulazione del proapototico BAX rispetto all’antiapoptotico Bcl2
che presenta una modulazione negativa. I
test di proliferazione hanno dimostrato
una diminuzione della densità e della percentuale di inibizione (MTT = 27%). Nei
campioni di LLA ad alto rischio a cellule B
è stata invece osservata una modulazione
delle vie di trasduzione del segnale caratterizzata da bassi livelli di fosforilazione di
AKT ed ERK rispetto alla diagnosi.
Nessuna variazione significativa è stata
osservata per i campioni di LLA ad alto
rischio a cellule T.
Conclusioni preliminari. Dai dati prelimina-
[page 20]
ri si è osservato una incrementata attività
dell'asse PI3K-AKT, MEK/ERK 1,2 e degli
attivatori della trascrizione soprattutto
nelle leucemie ad alto rischio. Ci proponiamo di ampliare l'analisi in vitro testando
inoltre l'azione degli inibitori di AKT ed
ERK. L’abilità di definire la fisiopatologia a
livello molecolare specialmente nelle LLA
ad alto rischio, apre nuove strade per terapie mirate. A causa della complessità nella
comunicazione tra network di segnali multipli, agenti multi targhet potrebbero essere considerati per migliorare ulteriormente
l’efficacia terapeutica anche nelle leucemie
linfoblastiche ad alto rischio.
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VALORI S OGLIA DI MALATTIA
MINIMA DIS SEMI NATA PREDITTIVI
DI P RO GRE SSI ONE NEL LINFOMA
DI BURK ITT PEDIATRICO
F. Lovisa, L. Mussolin , M. Pillon,
G. Franceschetto, L. Lo Nigro,
P. D’Angelo, M. Piglione, F. Melchionda,
V Conter, A. Rosolen
Clinica di Oncoematologia Pediatrica,
Azienza
Ospedaliera-Università
di
Padova, per il CSS LNH-AIEOP
Introduzione. Gli attuali protocolli terapeutici consentono di ottenere la guarigione nel 85-90% dei pazienti affetti da
linfoma di Burkitt (LB) pediatrico.
Tuttavia la prognosi di coloro che recidivano
è
ancora
molto
severa.
L’identificazione di fattori prognostici
costituisce un obiettivo di primaria
importanza per una più corretta stratificazione dei pazienti in classi di rischio e
per la definizione di stategie terapeutiche più mirate. Lo scopo del presente
studio è analizzare la malattia minima
disseminata (MMD) mediante real-time
PCR quantitativa basata sui riarrangiamenti delle immunoglobuline (Ig) e valutare l’impatto sulla prognosi dei livelli di
positività in pazienti affetti da LB, arruolati nel protocollo AIEOP LNH-97.
Materiali e metodi. Sono stati analizzati in
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
totale 124 casi di LB. I marcatori di clonalità del tumore sono stati identificati
mediante PCR multiple specifiche per i
riarrangiamenti della catena pesante e
della catena leggera kappa delle Ig, analisi omo-eteroduplex e sequenziamento.
I marcatori con maggiore sensibilità e
specificità sono stati utilizzati per determinare la MMD nel midollo osseo (MO)
alla diagnosi mediante real-time PCR
quantitativa, secondo le linee guida del
gruppo di studio europeo EuroMRD. La
MMD è stata correlata con la sopravvivenza libera da progressione (PFS).
L’analisi ROC è stata condotta per identificare il valore soglia di MMD maggiormente predittivo di progressione. Il valore prognostico dei livelli di MMD sulla
PFS rispetto ad altre variabili è stato confrontato mediante l’analisi di regressione
di Cox.
Risultati. In 116/124 pazienti (95%) è
stato identificato almeno un marcatore
di clonalità con sensibilità adeguata. Nel
77% dei casi la sensibilità del saggio è
stata 10-5, nel 23% 10-4. La MMD era
quantificabile in 96 pazienti (83%): nel
47% dei casi il MO è risultato positivo per
la MMD, mentre solo nel 18% era positivo
morfologicamente. In 20/116 pazienti la
MMD era positiva ma non quantificabile.
Le analisi statistiche sono state condotte
sui 96 pazienti con MMD quantificabile,
di cui 2 pazienti in stadio I, 19 pazienti in
stadio II, 48 pazienti in stadio III e 23
pazienti in stadio IV. Dei 45/96 pazienti
MMD positivi, 38 appartenevano al gruppo di rischio R4, 5 al gruppo R3 e 2 al
gruppo R2. Valori elevati di MMD sono
risultati associati ai gruppi di rischio più
alti (Fisher Exact test, P<0.0001). La PFS,
in una proiezione a 5 anni, è risultata
significativamente inferiore nei pazienti
con MMD positiva rispetto ai negativi
(75% vs 96% , p-value 0.003). Dall’analisi
ROC, il valore soglia di MMD più predittivo di progressione è risultato 1.2¥10–4.
La PFS nei pazienti con MMD > 1.2¥10–4 è
del 72%, contro il 96% dei pazienti con
MMD ≤ 1.2¥10–4 (p-value 0.0005). L’analisi
multivariata di Cox considerando sesso,
stadio, LDH, coinvolgimento del SNC,
infiltrazione morfologica del MO e MMD
ha evidenziato che valori di MMD superiori a 1.2 x 10-4 rappresentano l’unico
fattore prognostico negativo con significatività statistica (p-value 0.004), con un
rischio relativo di 9.2.
Conclusioni. Questo studio conferma il
valore prognostico della MMD nel LB, già
evidenziato mediante analisi non quantitativa del riarrangiamento di c-myc/IgH.
Inoltre, siamo riusciti ad identificare un
valore soglia di positività in grado di
individuare con maggiore predittività
pazienti a maggior rischio di recidiva/
progressione.
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Bibliografia
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ANALISI DI FATTIBILI TA’ DI UN
PANNE LLO DIAGNOSTICO PER LA
LEUCEMI A LINFOBLASTICA ACUTA
PE DIATRICA MEDIANTE S EQUENZIAMENTO MASS IVO
S. Bungaro,1 M. Severgnini,2 M. Iacono,3
I. Cifola,2 K. Accorsi,3 A. Biondi,1 G. De
Bellis,2 G. Cazzaniga1
1Centro
Ricerche M. Tettamanti, Clinica
Pediatrica Univ. Milano-Bicocca, Monza,
Italia; 2Istituto di Tecnologie Biomediche
(ITB), Consiglio Nazionale delle Ricerche
(CNR), Segrate, Milano, Italia; 3Roche
Diagnostics, Applied Science, Monza,
Italia
Introduzione. La Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA) colpisce ogni anno più di
350 bambini in Italia, rappresentando la
forma più frequente di leucemia in età
pediatrica. Nel corso degli ultimi anni,
l’uso e l’integrazione di molteplici piattaforme genomiche, come SNP/CGH e gene
expression arrays, ha permesso l’identificazione di nuove anomalie genetiche,
alcune delle quali sono state associate
ad un chiaro significato prognostico.
L’introduzione del sequenziamento massivo, o “next generation sequencing”
(NGS) ha rivoluzionato il panorama degli
studi genetici, offrendo l’opportunità di
affrontare diversi aspetti della complessità biologica con una singola piattaforma.1 In generale le nuove tecnologie di
sequenziamento, seppur diverse e con
applicazioni specifiche, si basano tutte
sulla preparazione di un templato
(DNA/RNA), sul sequenziamento del templato amplificato, e sull’analisi bioinformatica delle sequenze (reads), che riveste un ruolo fondamentale per dipanare
la complessità dei dati ottenuti. Mentre il
sequenziamento di interi genomi o esomi
rappresenta ancora uno strumento
molto utile a scopo di ricerca, l’enorme
mole di dati ottenuti e il costo elevato
rendono queste piattaforme ancora lontane dall’applicabilità diagnostica.
Questo limite può però essere in parte
superato sequenziando un pannello di
geni precedentemente “catturati” con
l’ausilio di un array ad alta densità. Il
sistema NimbleGen Sequence Capture
385K (Roche NimbleGen) è in grado si
catturare fino a 5Mb di regioni genomiche contigue o non, in un singolo array,
utilizzando 385.000 sonde selezionate
sulla base del DNA di interesse.2,3
Nel presente lavoro abbiamo valutato la
fattibilità di un pannello diagnostico “di
sequenziamento” che permetta, con una
singola piattaforma, l’identificazione
delle alterazioni genetiche più frequenti
e prognosticamente rilevanti nella LLA
pediatrica, quali traslocazioni cromosomiche, alterazioni numeriche e mutazioni puntiformi.
Materiali e Metodi. Sono stati selezionati
44 geni, per un totale di circa 5Mb, con
un ruolo noto nella leucemogenesi e con
un chiaro o potenziale significato prognostico nella LLA pediatrica, inclusi fattori di trascrizione, tirosin chinasi e geni
coinvolti nel ciclo cellulare. Inoltre sono
stati selezionati per la cattura i geni coinvolti nelle traslocazioni cromosomiche
più frequenti: t(9;22), t(4;11), t(12;21),
t(1;19). Questi geni sono stati utilizzati
per la creazione di un array Sequence
Capture
385K
dedicato
(Roche
NimbleGen, Inc. Madison, USA) che ha
permesso di catturare le sequenze di
interesse. Sono stati selezionati 5 casi di
LLA pediatrica, positivi per anomalie
note ad impatto prognostico, e rappresentativi di diversi sottogruppi:
- Caso 1: LLA a precursori B e
t(9;22)/BCR-ABL1 positiva
- Caso 2: LLA a precursori B e
t(12;21)/ETV6-RUNX1 positiva
- Caso 3: LLA infant (<1 anno di età) e
t(4;11)/MLL-AFF1 positiva
- Caso 4: LLA a fenotipo T e
t(10;11)/PICALM-AF10 positiva
- Caso 5: LLA a precursori B e ad alto
rischio (HR-MRD), con DNAindex=1 e
negativo per tutte le traslocazioni prognosticamente rilevanti.
Brevemente, 20 ug di DNA genomico dell’esordio di LLA (con >95% blasti) è stato
frammentato e ibridizzato su NimbleGen
Sequence Capture array dedicato ed il
campione arricchito è stato sequenziato
con piattaforma 454 Titanium Genome
Sequencer (GS) FLX System (454 Life
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Sciences, Branford, USA). Le reads derivanti dal sequenziamento sono state
comparate ad una sequenza di riferimento (NCBI hg18) per l’identificazione di
sequenze chimeriche, mutazioni, delezioni e varianti polimorfiche (SNP).
Risultati preliminari. Sono stati sequenziati il caso 1 (LLA a precursori B
t(9;22)/BCR-ABL1 positiva) e 2 (LLA a
precursori B t(12;21)/ETV6-RUNX1 positiva). Il 92.7% delle basi selezionate sono
state incluse nel Sequence Capture
Array. Il DNA genomico dei casi selezionati è stato analizzato con SNP arrays ad
alta risoluzione (Affymetrix Cytogenetics
Whole Genome 2.7M arrays) per confrontare i risultati ottenuti con le due metodiche. Ricerca di riarrangiamenti cromosomici: la traslocazione t(9;22)/BCR-ABL1 è
stata riscontrata nel caso 1 con 7 reads
chimeriche su 16 totali, che rispecchiano
la presenza degli alleli normali sui cromosomi non coinvolti nella fusione genica. La traslocazione t(12;21)/ETV6RUNX1 è stata riscontrata nel caso 2, con
3 reads chimeriche su 6 totali. Ricerca di
mutazioni e delezioni geniche: sono state
riscontrate circa 3000 varianti per ogni
caso sequenziato. Dopo un’analisi più
stringente escludendo le regioni non
codificanti, nel caso 1 e nel caso 2 sono
state riscontrate rispettivamente 5 e 3
varianti che causano un cambio aminoacidico. Filtrando per le varianti note è
stata riscontrata nel caso 2 una variazione non nota a singola base (G/C), non
sinonima, sul gene MLLT10 che porta ad
una sostituzione aminoacidica A292P. La
presenza di specifiche delezioni geniche
è stata precedentemente valutata con
analisi di SNP arrays. Il caso 2 presentava una delezione in omozigosi di 98kb
del gene ADD3 sul cromosoma 10q25.
Questa alterazione è stata riscontrata
con una copertura di 6/6 reads che riportano il break-point della delezione e che
hanno evidenziato una rottura quando
mappate contro la sequenza di riferimento. Gli altri 3 casi di LLA selezionati sono
in corso di sequenziamento.
Conclusioni. In questo studio, sebbene i
risultati siano ancora preliminari, abbiamo dimostrato che il sequenziamento di
regioni geniche precedentemente catturate ed arricchite sia in grado di rilevare,
con un singolo approccio metodologico,
la presenza di geni di fusione ed alterazioni strutturali, nonché di mutazioni
geniche. Siamo consapevoli che i costi
ancora elevati ed i tempi richiesti dal
sequenziamento rappresentino un fattore limitante per l’utilizzo diagnostico di
questa metodologia, ma la possibilità di
applicare un singolo pannello per il
riscontro di tutti marcatori genetici delle
cellule leucemiche rappresenta un obiettivo da perseguire, anche in previsione
della drastica diminuzione dei costi di
[page 21]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
questa metodica. Per questo abbiamo
intenzione di aumentare il numero di
casi sequenziati e di migliorare il disegno
dell’array di cattura in modo da aumentare il più possibile la copertura delle
regioni selezionate, limitando ad esempio la selezione agli esoni dei geni noti
per la presenza di mutazioni, ed includendo anche le regioni introniche dei
geni coinvolti in traslocazioni e delezioni. Questo studio si colloca in un progetto più ampio che mira ad esplorare diversi aspetti della genetica delle LLA pediatriche. Al fine di individuare nuovi marcatori prognosticamente rilevanti e
varianti polimorfiche associate alla
diversa risposta precoce alla terapia, è in
corso il sequenziamento del trascrittoma
di 10 casi di LLA a precursori B a rischio
standard (SR) e 10 ad alto rischio (HR),
arruolati nel protocollo AIEOP-BFM
ALL2000. Infine, nell’ambito di un progetto collaborativo, l’intero esoma di 20
pazienti pediatrici affetti da LLA t(12;21)
positiva è stato sequenziato con l’obiettivo di definire gli eventi che insieme alla
t(12;21) cooperano nella patogenesi
delle LLA TEL-AML1 positiva e la sequenza temporale con cui si susseguono.
Bibliografia
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well as identifies novel leukemia-specific fusion genes in a single procedure.
Leukemia. 2011 Jan 21
I L GENE PAX5 NELLA LLA-B
P EDIATRICA: S COPE RTA DI NUOVI
GENI DI FUS IONE E CARATTERIZZAZIO NE DE L LORO RUOLO
MO LECOLARE E FUNZIO NALE
G. Fazio,1 V. Cazzaniga,1 L. Impera,2
G. Daniele,2 C Palmi,1 A Leszl,3 M
Galbiati,1 M. Giordan,3 S. Bungaro,1
A. Lettieri,1 A. Rolink,4 G. te Kronnie,3
G. Basso,3 A. Biondi,1 C Storlazzi,2
G. Cazzaniga1
1Centro
Ricerca M. Tettamanti, Clinica
Pediatrica Università di Milano-Bicocca,
Monza, Italia; 2Dipartmento di Genetica e
Microbiologia, Università degli Studi di
Bari, Bari, Italia; 3Clinica Pediatrica
Università Padova, Padova, Italia;
4Università di Basel, Basel, Svizzera
Introduzione. Il gene PAX5 è bersaglio di
alterazioni genetiche nel 32% dei casi
[page 22]
pediatrici di Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA) a fenotipo B. Esso appartiene alla famiglia dei fattori di trascrizione
dei geni PAX ed è essenziale per lo sviluppo ed il differenziamento dei linfociti
B. PAX5 è implicato in un numero crescente di traslocazioni cromosomiche in
pazienti affetti da LLA-B (circa 3% dei
casi), che danno origine ad una varietà di
trascritti di fusione, i cui geni partner
codificano per proteine con ruoli diversi,
quali fattori di trascrizione, proteine
strutturali, proteine ad attività chinasica
o con funzione non nota. La traslocazione più frequente codifica per il gene di
fusione PAX5/TEL, che coinvolge due dei
più importanti fattori di trascrizione del
sistema ematopoietico. Nonostante la
frequente identificazione di tali alterazioni, la loro attività funzionale nella leucemogenesi è ancora poco compresa.
Quindi, il presente studio ha lo scopo di
identificare nella coorte italiana pediatrica AIEOP di pazienti affetti da LLA nuove
lesioni genetiche che coinvolgono il gene
PAX5 e di caratterizzarne il ruolo molecolare e funzionale, analizzando la proteina
di fusione PAX5/TEL come modello di
traslocazione che coinvolge PAX5. La
comprensione di eventi e di nuovi meccanismi di trasformazione che portano
alla leucemia, potenzialmente hanno un
forte impatto nell’identificazione di
nuovi bersagli di farmaci specifici.
Materiali Metodi. Citogenetica: tecniche
di analisi FISH, utilizzando BAC e fosmidi.
Biologia Cellulare: modello in vitro costituito dalle cellule primarie pre-BI murine
in co-coltura con stroma midollare OP9;
il gene di fusione PAX5/TEL viene espresso stabilmente in seguito a trasduzione
retro virale. Tale modello è unico e peculiare in quanto le cellule pre-BI essendo
colture primarie sono prive di altre aberrazioni genetiche, che altrimenti potrebbero avere effetti confondenti sui risultati sperimentali. Sia il modello di co-coltura pre-BI/OP9 che le tecniche di trasduzione retrovirali sono stati precedentmente ottimizzati nel nostro laboratorio. Biologia Molecolare: tecnica di RACE
PCR per l’identificazione di nuovi partner di traslocazione di PAX5. L’analisi
del DNA genomico di Single Nucleotide
Polymorphisms (SNPs) è stata condotta
tramite array Affymetrix cytogenetics
whole-genome 2.7M. L’analisi del profilo
di espressione genica di cellule pre-BI
PAX5/TEL e pre-BI MIGR-GFP è stata condotta con la tecnologia Affymetrix
GeneChip; le validazioni dei dati ottenuti
sono state effettuate in 3 popolazioni
indipendenti di cellule pre-BI, utilizzando
RQ-PCR con la metodica Universal Probe
Library (Roche). Statistica: sono stati
impiegati strumenti statistici appositamente sviluppati per l’analisi di profili di
espressione genica; le analisi dei
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
pathways dei geni differenzialmente
espressi sono state effettuate utilizzando
due programmi online dedicati, quali
DAVID e IPA.
Risultati. 1) Lesioni genetiche coinvolgenti PAX5: all’interno dei casi pediatrici
affetti da LLA ed arruolati al protocollo
AIEOP abbiamo selezionato i campioni
che da analisi standard del cariotipo presentassero anomalie nella regione 9p13 e
quindi potenzialmente coinvolgenti il
gene PAX5; in seguito, tali campioni sono
stati sottoposti ad ulteriori indagini di
FISH con sonde nel locus del gene PAX5.
Abbiamo ad oggi identificato 22 casi con
anomalie nella regione in 9p13; all’interno di tale gruppo 17/22 casi presentano
delezioni che comprendono il gene PAX5,
e frequentemente estese a geni ad esso
adiacenti; mentre in 5/22 casi abbiamo
identificato traslocazioni di PAX5:
-2 traslocazioni t(7;9)(q11;p13) che codificano per PAX5/AUTS2;
-1 caso con anomalia dic(9;12)(p13,p13)
che dà origine a PAX5/SOX5;
-1 caso con traslocazione
t(9;12)(p13;q24), dove il gene partner è
un nuovo trascritto alternativo del gene
CHFR, fino ad ora non noto;
-1 traslocazione t(7;9)(p21;p21), dove il
gene partner di PAX5 non è ancora identificato.
I cariotipi dei pazienti con delezione di
PAX5 sono risultati essere complessi
rispetto ai pazienti con traslocazione di
PAX5, che presentano un cariotipo semplice. Quindi, con allo scopo di investigare se le alterazioni di PAX5 svolgano un
ruolo di lesioni cooperative o siano al
contrario, determinanti per la leucemogenesi, abbiamo analizzato ad alta risoluzione il DNA genomico dei casi PAX5-traslocati, tramite piattaforma Affymetrix
cytogenetics whole-genome 2.7M. I risultati di tale analisi hanno confermato la
presenza di minime anomalie aggiuntive
rispetto alla traslocazione.
2) Ruolo delle traslocazioni di PAX5 nella
leucemia: la proteina di fusione
PAX5/TEL determina un profilo trascrizionale specifico nelle cellule, agendo
principalmente da repressore della trascrizione. In particolare, la presenza
della proteina di fusione è in grado di
interferire in modo significativo sul
pathway trascrizionale di PAX5 wild type
(wt), determinando l’attivazione di geni
target fisiologicamente repressi da esso
e la repressione di una più numerosa
coorte di suoi target fisiologicamente
attivati. Abbiamo quindi definito tale
meccanismo di “dominanza opposta”
della proteina di fusione rispetto alla
controparte normale.
Da analisi di pathways, tramite i programmi DAVID ed IPA, è emerso come i
geni repressi in presenza di PAX5/TEL
siano prevalentemente coinvolti in pro-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
cessi fondamentali per i linfociti B, quali
l’adesione e l’assemblamento del B-Cell
Receptor. Quindi, sono stati messi a
punto dei saggi funzionali che hanno
dimostrato come PAX5/TEL causi una
diminuita adesione cellulare a VCAM1,
substrato rappresentativo del microambiente midollare. Inoltre le cellule pre-BI
in presenza della proteina di fusione
sono completamente incapaci di completare il riarrangiamento della catena
pesante delle IgM, componente fondamentale del B-Cell Receptor, che quindi
non viene espressa sulla superficie cellulare.
Conclusioni. 1) Anomalie genetiche di
PAX5 sono state identificate nella coorte
AIEOP di pazienti pediatrici affetti da
LLA di tipo B e si presentano sia come
delezioni che come traslocazioni. Inoltre
i casi con traslocazione presentano
poche anomalie genetiche aggiuntive. 2)
La presenza della proteina di fusione
PAX5/TEL porta ad un rimodellamento
del profilo di espressione genica di precursori B, con effetto di dominanza
opposta su PAX5 wt. In particolare, si ha
il coinvolgimento di geni che determinano una diminuzione dell’adesione cellulare e blocco della maturazione del BCR
con conseguente arresto del differenziamento, processi che possono svolgere
un ruolo fondamentale nella trasformazione cellulare e nella leucemogenesi.
Bibliografia
Fazio G, Palmi C, Rolink A, Biondi A,
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TEL-AML1 ALTERA IL CITOS CHELETRO, L’ADESIONE E LA MIGRAZIO NE CELLULARE IN UN MODELLO
IN VITRO DI PRE-LEUCE MIA.
C. Palmi,1 G. Fazio,1 G. Longinotti,1
I. Brunati,1 V. Andrè,1 V. Cazzaniga,1
S. Sozzani,2 A. Villa,3 A. Ford,4
M. Greaves,4 A. Biondi,1 G. Cazzaniga1
1Centro
Ricerca M. Tettamanti, Clinica
Pediatrica, Università degli Studi di
Milano-Bicocca, Monza,Italia; 2Sezione di
Patologia Generale e Immunologia,
Dipartimento di Scienze Biomediche e
Biotecnologie, Università di Brescia,
Brescia, Italia; 3Consorzio Microscopy and
Image Analysis, Università degli Studi di
Milano-Bicocca, Monza, Italia; 4Section of
Haemato-Oncology, Institute of Cancer
Research, Brookes Lawley Building, 15
Cotswold road, Sutton, Surrey SM2 5NG, UK
Introduzione. La traslocazione t(12;21) è
la più frequente traslocazione cromosomica nella leucemia linfoblastica acuta
(LLA) pediatrica: è, infatti, riscontrata
nel 20-25% dei casi. La proteina chimerica che ne consegue, TEL-AML1, agisce
come fattore di trascrizione ad attività
repressoria costitutiva, con effetto dominante negativo sulle controparti normali
TEL e AML1, regolatori chiave della trascrizione nell’ematopoiesi. La fusione
insorge durante l’emopoiesi fetale in
utero, ma non è sufficiente per determinare la leucemia. La sua espressione
genera un clone pre-leucemico, con fenotipo di precursore dei linfociti B, silente
dal punto di vista clinico. La transizione
dalla fase pre-leucemica alla malattia
conclamata avviene nell’1% dei casi in
seguito a mutazioni secondarie postnatali, che spesso coinvolgono l’allele
del gene TEL non interessato dalla traslocazione, con tempi di latenza variabili
(fino a 15 anni). Inoltre, frequentemente
la ricaduta, tipicamente tardiva, rappresenta la progressione di un clone già presente all’esordio ma in quota minoritaria. In una recente pubblicazione abbiamo dimostrato l’impatto inibitorio del
gene di fusione sulla risposta a TGFβ,
citochina anti-proliferativa modulatore
chiave del sistema immunitario.
Crediamo però che la sola resistenza a
TGFβ non sia sufficiente a spiegare la
selezione positiva di queste cellule e la
loro mancata eradicazione anche dopo
chemioterapia, con la conseguente possibilità di recidiva di malattia. Obiettivo
del presente studio è stato quindi investigare altri fattori che potrebbero spiegare la selezione positiva dei cloni preleucemici; in particolare si è valutato se i
cloni pre-leucemici TEL-AML1 positivi
mostrino alterazioni nelle loro proprietà
di interazione con il microambiente,
fonte importante di segnali di sopravvivenza sia per le cellule staminali ematopoietiche normali, sia per la loro controparte leucemica.
Materiali e Metodi. Poiché la fase pre-leucemica è clinicamente silente, non vi è
possibilità di raccogliere campioni di
pazienti, mentre alla diagnosi di LLA
l’analisi del ruolo di TEL-AML1 sarebbe
confuso dalla presenza di anomalie genetiche addizionali. Pertanto, nello studio
ci siamo avvalsi di due modelli sperimentali: un modello di espressione inducibile
di TEL-AML1 basato sulla linea cellulare
pro-B murina Ba/F3 e linfociti B primari
murini (pre-BI) purificati tramite sorting
per positività ai marcatori c-KIT, B220 e
CD19 da fegato fetale di topo Ly5.1 e successivamente trasdotti stabilmente con
il vettore retrovirale pMIGR1-TEL-AML1IRES-GFP. I saggi di espressione genica
sono stati eseguiti tramite TaqMan
(Applied Biosystems) e PCR Array
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
technologies (Superarray Murine cytoskeleton regulators - SABioscences). I
saggi di migrazione in vitro sono stati
eseguiti tramite sistema “transwell” utilizzando 100 ng/ml di CXCL12.
Risultati. L’introduzione del gene di fusione TEL-AML1 nella linea cellulare pro-B
Ba/F3 e nei linfociti primari Pre-BI modifica il livello di espressione di geni che
regolano il citoscheletro e il movimento
cellulare. Tali alterazioni di espressione
genica risultano in cambiamenti nella
morfologia cellulare e nel fenotipo: le cellule Ba/F3 già dopo 12-18h di induzione
dell’espressione dell’oncogene diventano meno tondeggianti e sviluppano lunghe estensioni; inoltre tramite PCR quantitativa e analisi citofluorimetrica abbiamo rilevato, in entrambi i modelli sperimentali, alterazioni nell’espressione di
numerose integrine e altre molecole
implicate nell’adesione e migrazione cellulare, quali ad esempio CD44, CD18,
CD11a, CD11b, CD54 e CD29. Le cellule
TEL-AML1 positive presentano inoltre
un’aumentata capacità di adesione a
substrati ICAM1 positivi, mentre sebbene non mostrino alterazioni dell’espressione o del riciclo del recettore CXCR4,
possiedono un significativo difetto nella
risposta chemiotattica a CXCL12, importante chemochina per i precursori B.
Tale deficit migratorio verso CXCL12 non
è imputabile ad un difetto generale di
movimento, al contrario le cellule TELAML1 positive presentano una motilità
spontanea più marcata rispetto alle cellule controllo in esperimenti di timelapse microscopy, ma è invece associata
a difetti nella via di segnale a valle di
CXCR4. In particolare l’induzione del
gene di fusione nelle cellule Ba/F3 causa
l’inibizione della fosforilazione di ERK e
del flusso intracellulare di calcio indotto
da CXCL12.
Conclusioni
e
prospettive
future.
L’espressione di TEL-AML1 nei modelli
murini di pre-leucemia in vitro utilizzati
in questo studio causa l’alterazione del
citoscheletro e modifica le propietà di
adesione e migrazione cellulare. In particolare l’oncogene determina un blocco
della
via
di
segnale
dell’asse
CXCR4/CXCL12. Sarà quindi interessante
comprendere se queste alterazioni, già
descritte in letteratura anche in blasti
BCR-ABL positivi, possano contribuire
alla lunga sopravvivenza del clone preleucemico nell’individuo in attesa dell’evento che scatena la leucemia. In particolare attraverso studi in vivo in modelli murini sarà investigata la localizzazione delle cellule pre-leucemiche TELAML1 positive, verificando se rispetto
alla loro controparte normale risiedano
in particolari nicchie del midollo o se, a
seguito del deficit di risposta a CXCL12,
abbiano una maggiore capacità a fuoriu-
[page 23]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
scire dal midollo e migrare in periferia
nonostante il loro stadio immaturo.
Riteniamo che comprendere i meccanismi che possono dare vantaggi selettivi
alle cellule pre-leucemiche e permettere
loro di resistere alle normali terapie antitumorali con la conseguente possibilità
di recidiva di malattia sia fondamentale
al fine di sviluppare strategie mirate per
la loro effettiva eradicazione.
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P ER LA CURA DEL NEUROBLAS TOMA
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E. Bigi,1 D Campana,3 M. Dominici2
P. Paolucci1
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Emilia, Via del Pozzo 71, 41100, Modena,
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and Reggio Emilia. 3 St. Jude Children's
Research Hospital, Memphis, TN, USA
Introduzione. Negli ultimi anni si è verificato un notevole incremento dell’interesse dei ricercatori nei confronti di terapie
immunologiche per la cura di pazienti
affetti da tumore. L’immunoterapia rappresenta un’attraente alternativa ai protocolli terapeutici esistenti per la potenziale elevata specificità e minore tossicità nonché per il ruolo che potrebbe eser-
[page 24]
citare nell’ambito dei tumori refrattari
alla chemioterapia standard. Con appropriate manipolazioni, le cellule linfoidi
effettrici si sono mostrate virtualmente
in grado di mediare la lisi di ogni tipo di
cellula tumorale. Le cellule effettrici
immuni antitumorali possono essere
suddivise in due categorie principali: la
prima è rappresentata dai linfociti T citotossici che diventano attivi in seguito
all’interazione con le cellule tumorali, la
seconda categoria è largamente rappresentata dalle cellule natural killer (NK) .
L’immunoterapia adottiva rappresenta
un metodo per potenziare l’azione degli
effettori antitumorali mediante il trasferimento degli stessi, espansi ex-vivo, nei
pazienti con il cancro. In generale questo
trasferimento è caratterizzato dalla raccolta di cellule (da sangue periferico, dal
sito del tumore o da linfonodi drenanti),
dalla loro espansione selettiva ed infine
dal loro re-inoculo nello stesso paziente
o ad un ricevente compatibile . Un limite
all’uso delle NK è rappresentato dalla difficoltà di selezionare ed espandere ex
vivo queste cellule in pazienti affetti da
neoplasie. Sistemi di espansione delle
NK, utilizzando anticorpi o vari tipi di
cellule feeder third party tra cui cellule
tumorali stesse (i.e la linea leucemica
K562), richiedono molti steps complessi
e un largo numero di mononucleate da
sangue periferico (PBMCs) dello stesso
paziente. In questo studio è stato testato
un sistema di espansione delle cellule
NK, in particolare il subset CD56+CD16+
CD3-, basato sulla stimolazione da parte
di cellule feeder geneticamente modificate. Tali cellule possono indurre la proliferazione di cloni NK grazie alla simultanea
produzione di una citochina e di una
molecola co-stimolatoria rappresentate
rispettivamente dall’IL-15 e il 4-1BBL. Le
cellule NK così espanse sono state messe
a contatto con linee cellulari di neuroblastoma (NB) per testarne l’effetto citotossico.
Materiali Metodi. Le cellule feeder. La
linea cellulare K562 geneticamente modificata (-GM) è stata utilizzata come linea
feeder per le fasi di espansione dei cloni
NK. Le K562 wild type (WT) sono cellule
di origine mieloide ottenute da un
paziente affetto da leucemia mieloide
cronica in crisi blastica. Modificazione
genica delle K562. Le K562 sono state
geneticamente modificate per esprimere
il costrutto codificante per la forma
“membrane-bound” dell’IL-15 e la forma
umana del ligando della molecola 4-1BB
(K562-mb15-41BBL). Questo studio è
stato possibile grazie ad una collaborazione con il Prof. Dario Campana del St.
Jude Children’s Research Hospital di
Memphis (TN, USA). Espansione in vitro
delle K562-GM e K562-WT. Le cellule
K562-WT e le K562-GM sono state coltiva-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
te seminando le cellule in medium ad una
densità di 250.000 cellule/ml, e incubandole a 37°C in un incubatore ad atmosfera controllata con 5% CO2 ed è stato rinnovato ogni 2-3 giorni il medium.
Isolamento delle cellule mononucleate
del sangue periferico e co-coltura di
PBMCs e cellule feeder. Campioni di sangue periferico (n=16) sono stati ottenuti
da donatori adulti sani previo consenso
informato. Le PBMCS sono state separate dalle restanti componenti del sangue
periferico mediante centrifugazione
(1800 rpm/20’) su gradiente di densità
Ficoll (1077 gr/cm2) (Lymphoprep, AxisShield PoC AS, Oslo, Norway). Le PBMCs
sono state seminate in co-coltura con le
cellule K562 seguendo il protocollo pubblicato da Imai C et al. Analisi citofluorimetrica. L’analisi dell’immunofenotipo
delle PBMCs è stata effettuata con citometria a flusso dopo la separazione dal
sangue periferico (tempo 0) che a 21
giorni di co-coltura. Per la caratterizzazione dell’immunofenotipo sono stati utilizzati pannelli di anticorpi monoclonali
(BD Biosciences, San Jose, California,
US) comprendenti, in diverse combinazioni, anti-CD3, anti-CD56 e anti-CD16
coniugati ai fluorocromi Fluorescina
Isotiocianato (FITC), Ficoeritrina (R-PE)
e alloficocianina (APC). I controlli isotipici sono costituiti da IgG1 K o IgG2λ murine e R-PE, FITC e APC coniugati.
Test di citotossicità. L’attività citotossica
delle cellule effettrici (E) NK in coltura è
stata determinata mediante un test colorimetrico, il Cytotoxicity Detection Kit
(Roche Diagnostics) in n=5 donatori. Il
target cellulare (T) utilizzato è la linea di
NB SH-SY5Y quale clone derivato dalla
linea cellulare di NB SK-N-SH ricavata da
una metastasi ossea.
Risultati. Frequenza delle cellule NK nelle
PBMCs. La valutazione citofluorimetrica
della frequenza media della popolazione
di cellule NK nel sangue periferico di soggetti donatori (n=16), è stata approntata
una valutazione citofluorimetrica che ha
consentito di individuare, dopo separazione su gradiente, la popolazione di cellule CD56+CD16+CD3- che è stata in
media 12.5%+/-7. Co-coltura delle K562 e
PBMCs. La co-coltura con le K562 WT a
21 giorni ha evidenziato la presenza di
una quota di cellule CD56+CD16+ =
15%+/-10 prevalentemente costituita da
cellule CD3+. Al contrario nella co-coltura con le K562-GM abbiamo notato come
il numero e le dimensioni dei clusters linfocitari fossero maggiori rispetto alla
forma WT. La popolazione predominante
(24%+/-15) era costituita da cellule
CD56+CD16+CD3-. Approfondendo ulteriormente il subset di NK si dimostrava
come il 100% della popolazione fosse
costituita da cellule CD56bright e
CD16dim intermedie. Basandoci sulla
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
valutazione qualitativa di un maggior
numero di clusters nelle colture con
K562-GM abbiamo considerato il numero
assoluto di cellule CD56+CD16+CD3espanse. Il numero assoluto di NK era
aumentato fino a 40 volte rispetto ad un
modesto incremento di tale popolazione
di sole 7 volte con le cellule WT. Test di
citotossicità. In corrispondenza del 21°
giorno di co-coltura delle cellule NK con
le K562GM è stato eseguito un test di
citotossicità. L’attività citotossica delle
cellule NK è stata valutata a diversi rapporti E:T (5:1, 10:1, 20:1). La percentuale
media di citotossicità (a 4 ore) è stata
rispettivamente pari a 22+/-17%, 24%+/22%, 26%+/-5% indicando che la popolazione NK espansa è in grado di esercitare una azione citotossica ex vivo già
dopo una breve co-coltura con le cellule
tumorali di NB.
Conclusioni. In questo studio preliminare, le PBMCs isolate dal sangue periferico di donatori sani sono state messe in
co-coltura rispettivamente con le cellule
K562-WT o con le K562-GM. I nostri dati
suggeriscono che la simultanea espressione di 4-1BBL e IL-15 porta all’espansione delle cellule NK responsabili del
rilascio citochinico, confermando precedenti esperienzeiii. Valutando, invece, i
nostri dati in termini di numero assoluto
di cellule, abbiamo dimostrato che le cellule NK (CD56+CD16+) poste in co-coltura con le K562-GM esprimenti il 4-1BBL e
IL-15 si espandono di circa 40 volte, al
contrario di quelle poste a contatto con
le cellule K562-WT che mostrano un più
basso fold di espansione. Di nota abbiamo osservato una notevole variabilità
inter-donatore che potrebbe rappresentare un limite da studiare e superare.
Basandosi su queste considerazioni,
alcuni autori prospettano trials clinici in
cui le cellule NK del donatore, raccolte
con l’aferesi, vengono espanse in vivo e
trasdotte con recettori chimerici e poi
infuse dopo il trapianto in pazienti affetti
da neoplasia. Nuove applicazioni dell’immunoterapia basata sulle NK si possono
prospettare anche nel trattamento di
alcune neoplasie pediatriche come il NB.
I dati preliminari di questo studio dimostrano come sia possibile isolare in condizioni normali cellule NK e determinarne un’adeguata espansione seguita da
buoni livelli di citotossicità. Ulteriori
studi sono necessari al fine di garantire
un’espansione stabile delle cellule effettrici in bambini affetti da neoplasie quali
il NB con la possibilità di incrementarne
il potenziale anti-tumorale mediante
modificazione genica.
Bibliografia
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CORREL AZIONE TRA CI TO METRI A A
FLUSS O E RQ -P CR NELLA DETERMINAZI ONE DELLA MALATTI A
RE SIDUA MINIMA NELLE LLA
PEDIATRICHE : L’ESP ERIENZA DEL
GRUPP O AIEOP -BFM ALL MRD
G. Gaipa,1 G. Cazzaniga,1 M.G.
Valsecchi,2 R. Panzer-Grümayer,3
B. Buldini,4 D. Silvestri,2 L. Karawajew,5
R. Ratei,5 A. Benetello,4 S. Sala,1
O. Maglia,1 A. Schumich,3 A. Schrauder,6
T. Villa,1 M. Veltroni,7 W.D. Ludwig,5
V. Conter,8 M. Schrappe,6 A. Biondi,1
M.N. Dworzak,3 G. Basso4
1Centro
Ricerca Tettamanti, Clinica
Pediatrica Università Milano- Bicocca,
Monza (MB), Italia; 2Dipartimento di
Medicina
Clinica
Prevenzione
e
Biotecnologie Sanitarie, Università Milano
Bicocca, Monza (MB), Italia; 3Children's
Cancer Research Institute and St. Anna
Children's Hospital, Vienna, Austria;
4Laboratorio
di
Oncoematologia
Pediatrica, Dipartimento di Pediatria,
Università di Padova, Padova Italia;
5Hematology,
Oncology and Tumor
Immunology, Robert-Roessle-Clinic at the
HELIOS Klinikum, Berlin, Charité Medical
School, Berlin, Germany; 6Department of
Pediatrics, University Medical Center
Schleswig-Holstein, Campus Kiel, Kiel,
Germany;
Dipartimento
di
Oncoematologia Pediatrica, A.O.U. Meyer,
Firenze, Italia; Dipartimento Pediatria,
Ospedali Riuniti di Bergamo.
La malattia residua minima (MRM) rappresenta un marcatore surrogato di valutazione della risposta individuale al trattamento nella leucemia linfoblastica
acuta (LLA) pediatrica.1,2 I metodi maggiormente utilizzati per tale tipo di determinazione sono l’analisi citofluorimetrica degli immunofenotipi leucemia-associati e l’analisi molecolare (PCR) del riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline e del recettore T per l’antigene.
Entrambi i metodi possono essere standardizzati e applicati in studi clinici con
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
una sensibilità di almeno 0.01%.3,4 Nello
studio AIEOP-BFM ALL 2000 i pazienti
sono stati stratificati mediante i livelli di
MRM determinata mediante PCR nei giorni 33 e 78 del trattamento. In questo contesto abbiamo impiegato la citometria a
flusso (FCM) per la contemporanea
determinazione della MRM nei giorni 15,
33 e 78 in 1547 pazienti (3565 campioni)
ed abbiamo confrontato i risultati con
quelli ottenuti mediante PCR. Utilizzando
un cut-off di 0.01%, abbiamo osservato
una concordanza totale dell’80%, tuttavia il grado di concordanza a diversi time
point è risultato differente. I campioni
discordanti hanno presentato un livello
medio di MRM significativamente piu’
basso rispetto ai campioni concordanti.
La discordanza è stata osservata piu’ frequentemente al giorno 33 con campioni
FCM <0.01% e PCR ≥0.01% . Inoltre, le differenze di sensibilità tra i due metodi
non sono attribuibili a differenze nel trattamento del materiale di partenza (cellule mononucleate per la PCR e cellule
nucleate totali per la FCM). Al giorno 33 i
casi concordanti (sia <0.01% che ≥0.01%)
hanno mostrato un outcome rispettivamente eccelente (5-anni EFS 91.6%) o sfavorevole (5-anni EFS 50.9%), mentre le
due categorie discordanti (FCM <0.01% /
PCR ≥0.01% e FCM ≥0.01% / PCR< 0.01% )
nello stesso time point, hanno mostrato
un outcome simile (5-anni EFS ~ 80.0%). I
nostri risultati suggeriscono un ruolo
complementare dei due metodi nella ottimizzazione della stratificazione dei
pazienti pediatrici con LLA. Entrambi i
metodi possono essere opportunamente
utilizzati in protocolli clinici basati sulla
MRM a seconda della esperienza tecnica
, le risorse disponibili e lo specifico disegno clinico sperimentale.
Bibliografia
1. van Dongen JJ, Seriu T, PanzerGrümayer ER, et al. Prognostic value of
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[page 25]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
BASS A PREVALENZA DELLE MUTAZI ONI DEL GENE IDH1 NEI BAMBINI
AFFETTI DA LE UCEMI A MIELO IDE
ACUTA (LAM) IN ITALIA
G Ferrari,1 F Martinolli,2 R Masetti,3 B
Falini,4 G Basso,2 A Biondi,5 A Pession,3
G Cazzaniga1* and M Pigazzi2*
*co-senior
1Centro
Ricerca Tettamanti, Clinica
Pediatrica, Univ. Milano Bicocca, Monza,
Itali; 2Lab. Onco-ematologia, Clinica
Pediatrica, Univ. Padova, Padova, Italia;
3Oncologia-Ematologia Pediatrica 'Lalla
Seragnoli',
Ospedale
Sant'OrsolaMalpighi, Bologna, Italia; 4Istituto di
Ematologia, Università di Perugia,
Perugia, Italia; 5Divisione di Pediatria,
Università di Milano-Bicocca, Ospedale
San Gerardo, Monza, Italia
Introduzione. Il gene IDH1 codifica per
l'enzima isocitrato deidrogenasi NADP+dipendente, che catalizza a sua volta la
decarbossilazione ossidativa dell'isocitrato ad α-chetoglutarato. Mentre mutazioni somatiche del residuo R132 di IDH1
sono state riscontrate nella popolazione
adulta affetta da leucemia mieloide acuta
(LAM) esordita de novo, non sono invece
state riscontrate mutazioni di IDH1 nella
popolazione pediatrica in 257 bambini
analizzati negli Stati Uniti. Materiali e
metodi: 205 bambini affetti da LAM sono
stati arruolati nel protocollo multicentrico AIEOP-LAM 2001/02, dal 01/12/2002 al
31/12/2007. Su 165 pazienti di cui era
disponibile il materiale, abbiamo analizzato la prevalenza delle mutazioni del
gene IDH1 mediante amplificazione con
PCR e sequenziamento dell'esone 4. I
pazienti analizzati non presentavano
caratteristiche cliniche e biologiche
significativamente differenti rispetto a
quelli non analizzati. Risultati: In questa
serie di bambini affetti da LAM, su un
totale di 165 casi, quattro soggetti (2.4%)
risultavano positivi per le mutazioni di
IDH1. I pazienti risultati positivi erano
tutti maschi, con un'età alla diagnosi
compresa tra 3 e 14 anni, ed una conta
dei globuli bianchi (GB) alla diagnosi
compresa tra 8750 e 233970 GB/mL. Tre
pazienti presentavano FAB M1 ed uno
M2; nessuno presentava localizzazioni a
livello del sistema nervoso centrale,
mentre uno presentava coinvolgimento
linfonodale. Due dei quattro bambini con
la mutazione di IDH1 avevano cariotipo
normale, mentre due presentavano differenti traslocazioni clonali. Un paziente
risultava portatore della mutazione di
FLT3-ITD alla diagnosi, non si riscontravano invece associazioni con ulteriori
mutazioni. In base alla citogenetica, tutti
i pazienti appartenevano al gruppo ad
alto rischio. Tutti i pazienti erano in
remissione completa e tutti ad eccezione
[page 26]
di uno sono stati sottoposti a trapianto
di midollo osseo. Due dei bambini hanno
presentato in seguito una recidiva a livello midollare e tutti sono sopravvissuti a
20, 26, 33 e 33 mesi dal trapianto. Tutti
presentavano la mutazione R132H di
IDH1. La mutazione è specifica delle cellule leucemiche ed è risultata assente
nella fase di remissione nella totalità dei
pazienti. In particolare, la mutazione
R132H è stata riscontrata solamente in
uno dei due pazienti in fase di recidiva,
suggerendo che le mutazioni di IDH1 possono rappresentare una lesione secondaria nella patogenesi della leucemia.
Solamente due dei quattro pazienti mutati per IDH1 avevano cariotipo normale,
pertanto abbiamo esteso lo screening
delle mutazioni a tutti i casi di LAM in
pazienti pediatrici in Italia a cariotipo
normale arruolati dal 13/10/2000 al
15/04/2010. Degli ulteriori 97 casi a cariotipo normale analizzati, soltanto uno
risultava portatore della mutazione di
IDH1 (R132H). Conclusioni: le mutazioni
del gene IDH1 sono presenti anche nelle
forme di LAM in età pediatrica con una
prevalenza stimata del 2.4% (4/165) in
Italia. La bassa prevalenza non permette
di dare indicazioni prognostiche, nonostante tutti i pazienti siano vivi a distanza di tempo differente dal trapianto di
midollo, seppur con la presenza della
mutazione FLT3-ITD (1 paziente). Le
caratteristiche cliniche e biologiche dei
pazienti con la suddetta mutazione non
sembrano differire da quelle della popolazione di pazienti affetti da LAM in età
pediatrica e sembrano simili a quelle dei
casi riscontrati in età adulta. La mutazione R132 è l'unica riscontrata finora in età
pediatrica. L'analisi estesa ad un totale di
186 bambini affetti da LAM a cariotipo
normale ha identificato 3/186 mutazioni
(1.6%) in questo specifico sottogruppo.
Pertanto la mutazione di IDH1 non sembrerebbe prevalente nei pazienti a cariotipo normale. Infine, sapendo che le
mutazioni di IDH1 possono essere o
meno presenti alla recidiva, il loro ruolo
nella patogenesi della LAM risulta ancora da chiarire. Il fatto che le mutazioni
presenti nella popolazione con citogenetica normale possano essere sufficienti a
determinare l'esordio di malattia non è
ancora dimostrato. È possibile che sia
ancora necessario individuare numerosi
altri eventi coinvolti nella complessa e
multifattoriale patogenesi della leucemia.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
CARATTE RI ZZAZIONE IN VITRO DI
TRE P OPO LAZIONI EFFETTRICI
ESPRI ME NTI UN RE CE TTO RE CH IME RI CO PE R LA TERAPIA CELLULARE DEL LA LEUCE MIA MIELO IDE
ACUTA
I. Pizzitola,1 V. Agostoni,1 E. Cribioli,1
M. Pule,2 R. Rousseau,3 H. Finney,4
A. Lawson,4 A. Biondi,1 E. Biagi1
V. Marin1
1Centro
Ricerca M. Tettamanti, Clinica
Pediatrica, Ospedale San Gerardo,
Università Milano-Bicocca, Monza, Italia;
2University College London, Londra, UK,
3Centre Leon Berard, Lione, Franci; 4UCB
Celltech, Slough, UK
Introduzione. I regimi terapeutici convenzionali della leucemia mieloide acuta
(AML) garantiscono una remissione a
lungo termine in solo il 40% dei pazienti
trattati.1 La limitata efficacia e la tossicità dei trattamenti correnti hanno alimentato un forte interesse verso lo sviluppo
di terapie alternative, potenzialmente
più aggressive e selettive nei confronti
delle cellule tumorali. In questo contesto
l’immunoterapia cellulare adottiva offre
un’opportunità terapeutica innovativa,
rappresentata dalla generazione di linfociti T geneticamente modificati con
recettori chimerici (CAR). I recettori chimerici sono molecole costituite da un
dominio extracellulare di riconoscimento antigenico derivato da un anticorpo
monoclonale e da una regione citoplasmatica di trasduzione del segnale, capaci di ri-orientare l’attività funzionale
delle cellule T nei confronti del bersaglio
tumorale inducendo una specifica, fisiologica ed efficace azione anti-tumorale2.
Di fondamentale importanza per la realizzazione di protocolli di immunoterapia
cellulare risulta l’identificazione della
popolazione effettrice dotata delle
migliori proprietà funzionali per l’applicabilità clinica. La popolazione linfocitaria ideale dovrebbe essere facile da
espandere e modificare geneticamente in
vitro, in modo da generare un numero di
effettori cellulari sufficiente al trasferimento adottivo nei pazienti, capace di
migrare ai siti di infiltrazione leucemica,
persistere nell’organismo in uno stato
funzionalmente attivo ed esercitare una
potente e specifica azione anti-tumorale
senza causare alloreattività. Sulla base di
queste considerazioni, scopo del nostro
studio è stato quello di caratterizzare e
confrontare in vitro le proprietà funzionali di tre diverse popolazioni linfocitarie: i
linfociti T citotossici specifici per
Epstein Barr Virus (EBV-CTL), le cellule
killer indotte da citochine (CIK) e i linfociti T γ9δ2 (GDT) dopo trasduzione con
un CAR specifico per l’antigene CD33, largamente espresso dalle cellule di AML.
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Materiali e metodi. Le cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) isolate da donatori sani sono state utilizzate,
dopo opportuna stimolazione citochinica, per la generazione di EBV-CTL, cellule CIK e GDT secondo protocolli standardizzati. Le cellule ottenute sono state
caratterizzate fenotipicamente e funzionalmente: è stata valutata la loro capacità migratoria in risposta alla chemochina
CXCL12, l’attività’ citotossica a breve termine (saggio di rilascio del 51Cromo di 4
ore) e a lungo termine (co-coltura delle
cellule effettrici e delle cellule target per
6 giorni su uno strato di cellule mesenchimali in assenza di IL-2 esogena) contro diverse linee cellulari di AML e contro blasti leucemici primari, la capacità
proliferativa (mediante saggio di incorporazione di 3H-timidina) e la secrezione
delle citochine IFN-γ, IL-2, TNF-α ,TNF-β,
IL-10 e TGF-β (mediante analisi quantitativa citofluorimetrica) in seguito a stimolazione con cellule leucemiche esprimenti l’antigene CD33.
Risultati. In questo lavoro abbiamo dimostrato la fattibilità di generare ed espandere in vitro, a partire da PBMC di donatori sani, EBV-CTL, cellule CIK e GDT,
dotati di caratteristiche fenotipiche e
funzionali tipiche della popolazione di
riferimento. Le tre popolazioni effettrici
sono state similmente trasdotte con un
vettore retrovirale codificante per il CAR
anti-CD33-ζ con un’espressione media
del CAR rispettivamente del 71% per
EBV-CTL, 65% per cellule CIK e 67% per
GDT. L’espressione del CAR pur non alterando le caratteristiche immunofenotipiche, funzionali e migratorie delle tre
popolazioni linfocitarie, è in grado di
conferire loro una comparabile e significativa attività citotossica a breve termine contro target leucemici CD33+ (lisi
cellulare media vs blasti primari di AML
al rapporto effettore:target 5:1, 50%, 61%
and 50%, n=3, rispettivamente per EBVCTL, CIK e GDT). Inoltre l’attività citotossica delle cellule geneticamente modificate con il CAR è target-specifica, come
dimostrato dalla mancata lisi cellulare di
un bersaglio CD33- (linea cellulare
SUP.B15). Risultati simili sono stati ottenuti valutando l’efficienza di lisi in saggi
di citotossicità a lungo termine: in queste condizioni, che potrebbero mimare il
contesto fisiologico in vivo, in cui i linfociti T effettori interagiscono con elevati
numeri di cellule leucemiche nel microambiente midollare, è stato osservato
come le tre popolazioni effettrici trasdotte con il CAR anti-CD33-ζ presentino una
potente attività litica nei confronti sia
della linea cellulare HL-60 che dei blasti
primari di AML (con una sopravvivenza
media al rapporto effettore:target 1:100,
pari a 18%, 16% and 29% rispettivamente
per EBV-CTL, CIK e GDT, n=8). Per garan-
tire un’efficace azione anti-leucemica in
vivo, le cellule effettrici dovrebbero essere in grado di persistere dopo l’infusione,
assicurando una sorveglianza anti-tumorale duratura. Abbiamo pertanto valutato la capacità di EBV-CTL, CIK e GDT di
espandersi in vitro in seguito a stimolazione target specifica. In seguito a trasduzione con il CAR anti-CD33-ζ le tre
popolazioni effettrici acquistano una
consistente ad analoga capacità di proliferare in vitro dopo contatto con blasti
primari di paziente (indice di proliferazione medio dopo 4 giorni senza IL-2 esogena pari a 2.1, 2.4 e 3.1, per EBV-CTL,
cellule CIK e GDT, rispettivamente) e di
rilasciare elevati e comparabili livelli di
citochine immunostimolatorie (IFN-γ, IL2, TNF-α, TNF-β), mentre non risultano
in grado di rilasciare significativi livelli
delle citochine immunoregolatorie IL-10
e TGF-β. Tale proprietà è di notevole
interesse, dal momento che la popolazione effettrice ideale dovrebbe essere in
grado, non solo di mediare un’azione
anti-leucemica diretta, ma anche di
sostenere ed amplificare una risposta
immunitaria anti-tumorale attraverso il
rilascio di citochine immunostimolatorie.
Conclusioni. In conclusione, in questo
studio è stata dimostrata la possibilità di
generare ed espandere in vitro cellule
CIK, GDT ed EBV-CTL, modificarli geneticamente con un recettore chimerico
anti-CD33-ζ, che ne aumenta considerevolmente e in maniera simile le proprietà
citotossiche, proliferative e la produzione di citochine in seguito all’interazione
specifica con differenti target CD33+.
Tuttavia da questo studio emerge anche
l’impossibilita’ di identificare, attraverso
i soli dati in vitro, quale sia la popolazione effettrice più potente. Questi dati
andrebbero supportati non tanto in un
modello murino, dove il microambiente
potrebbe non sostenere il mantenimento
a lungo termine delle cellule umane, a
causa delle barriere xenogeniche, ma
piuttosto in un contesto umano. Questi
dati sono in accordo con le osservazioni
ottenute da un recente clinical trial con
cellule T modificate con recettori chimerici3 dal quale emerge che per ottenere
una risposta clinica rilevante sia fondamentale la persistenza in vivo delle cellule T piuttosto che il loro potenziale citotossico e immunomodulatorio.
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ANALISI DEL PROFILO DI EFFICACIA E SICUREZZA DI CELLULE
KI LLER INDOTTE DA CITOCHINE
TRASDOTTE CON RECETTO RE
CHIMERICO ANTI-CD33 IN UN
MODE LLO MURINO XENOGENICO
I. Pizzitola,1 V. Marin,1 M. Pule,2
H. Finney,3 A. Lawson,3 A. Biondi,1
D. Bonnet,4 E. Biagi1
1Centro
Ricerca M. Tettamanti, Clinica
Pediatrica, Ospedale San Gerardo,
Università Milano-Bicocca, Monza, Italia;
2Dipartimento di Ematologia, University
College London, London, United Kingdom,
3UCB Celltech, Slough, UK; 4Cancer
Research UK, Londra, UK
Introduzione. i recettori chimerici (CAR)
sono molecole artificiali di recente generazione, che rappresentano uno strumento innovativo per direzionare la specificità e l’attività funzionale delle cellule
T contro i tumori, rendendole potenti
effettori anti-tumorali.1 I regimi terapeutici convenzionali della leucemia mieloide acuta (AML) garantiscono una remissione a lungo termine in solo il 40% dei
pazienti trattati. In questo contesto, l’immunoterapia cellulare adottiva offre
un’opportunità terapeutica innovativa,
rappresentata dalla generazione di linfociti T geneticamente modificati con CAR
specifici per l’antigene CD33, espresso
sui blasti mieloidi nel 90% dei pazienti
affetti. Abbiamo recentemente dimostrato in vitro l’efficacia di questo approccio,2 utilizzando una popolazione di cellule effettrici chiamate “Citokyne
Induced Killer” (CIK). Tali cellule T, facilmente e rapidamente espandibili ex-vivo
da cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC), sono dotate di una potente attività antitumorale spontanea, non
MHC ristretta, verso differenti target sia
in vitro che in vivo, risultano ben tollerate senza mediare la malattia del trapianto verso l’ospite (GVHD). Abbiamo
mostrato come l’espressione di CAR specifici per CD33 (anti-CD33-ζ e anti-CD33CD28-OX40-ζ) sia in grado di conferire
alle cellule CIK una potente attività antileucemica sia verso linee cellulari mieloidi (HL-60 e KG-1) sia verso blasti primari
di paziente. Inoltre l’introduzione dei
CAR anti-CD33 è accompagnata da una
proliferazione CD33-specifica, con rilascio di elevati livelli di citochine immu-
[page 27]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
nostimolatorie, in grado di sostenere ed
amplificare la risposta immunitaria antitumorale. Lo scopo principale del
seguente studio è di analizzare in vivo
l’efficacia di un approccio immunoterapico basato sull’utilizzo di cellule CIK
esprimenti CAR anti-CD33. Una strategia
specifica contro il CD33 è di particolare
interesse perché questo antigene è
espresso non solo dal bulk dei blasti, ma
anche dalle cellule staminali leucemiche
(LSC),3 capaci di dare origine e sostenere
la malattia neoplastica. Una remissione
completa da malattia puo’ essere raggiunta solo con una terapia diretta ad
eradicare le LSC. Inoltre, poiché il CD33 è
espresso anche sulla superficie dei normali precursori mieloidi, eritroidi e
megacariocitici,3 sarà di fondamentale
importanza valutare in parallelo l’effetto
delle cellule CIK trasdotte con CAR antiCD33 sulla normale mielopoiesi.
Materiali e metodi. Per questo studio è
stato adottato il modello murino NSG
(NOD-SCID-IL2R-gammanull), dove, grazie all’assenza di cellule NK, cellule T e
cellule B, si può ottenere un miglior
attecchimento delle cellule umane
rispetto al classico modello NOD/SCID.
In un primo set di esperimenti è stata
valutata la capacità di attecchimento e di
persistenza delle cellule CIK nel modello
murino NSG analizzando il sangue periferico dei topi in seguito all’iniezione delle
cellule CIK. In breve, 3¥106 di cellule CIK
non trasdotte sono state iniettate intravena (i.v.) in 12 topi di 8 settimane. A partire dalla quarta settimana dopo la somministrazione delle cellule CIK, e successivamente ogni 4 settimane, campioni di
sangue periferico sono stati stato analizzati tramite citofluorimetria a flusso per
la presenza di marcatori umani (CD45 e
CD3). In secondo luogo, è stata valutata
l’attività antileucemica delle cellule CIK
esprimenti o meno CAR anti-CD33 utilizzando topi ricostituiti con la linea cellulare umana di leucemia mieloblastica HL60 trasdotta con un vettore esprimente
Firefly luciferasi (HL-60 Luc). 21 topi NSG
di 8-12 settimane sub-letalmente irradiati
sono stati iniettati con 2¥106 cellule di
HL-60 Luc e la progressione del tumore è
stata valutata settimanalmente mediate
tecniche di bioluminescenza (BLI). Dopo
due settimane, una volta verificato l’attecchimento del tumore,, sono state
somministrate 5¥106 cellule CIK trasdotte con i CAR anti-CD33. Alla comparsa
dei primi segni di sofferenza per l’animale i topi sono stati sacrificati. Al momento del sacrificio degli animali, sono state
isolate le cellule mononucleate del
midollo osseo ed analizzate mediante
citofluorimetria per la presenza di marcatori umani.
Risultati. Il modello murino NSG si è rive-
[page 28]
lato permissivo all’attecchimento delle
cellule umane, infatti a 4 settimane dall’infusione, tutti i topi sono risultati positivi per la presenza delle cellule CIK. Nei
time-point successivi abbiamo osservato
una progressiva riduzione della quota di
cellule umane circolanti, dimostrandone
quindi la non tumorigenicità. In uno dei
12 topi è stato possibile rintracciare le
cellule CIK anche 24 dopo settimane
dalla somministrazione. In nessuno dei
topi inoculati con cellule CIK si è osservato lo sviluppo di GvHD. Nel secondo
set di esperimenti è stato possibile ottenere informazioni sulla progressione del
tumore grazie alla quantificazione dell'attività luciferasica. Complessivamente,
dopo tre settimane dalla somministrazione delle cellule CIK, nei topi controllo,
iniettati solo con HL-60, si è osservato un
aumento medio della crescita tumorale
di 766 volte, mentre nei topi trattati con
cellule CIK l’incremento medio è stato di
447, 306 e 65 volte rispettivamente per i
topi che hanno ricevuto cellule CIK non
trasdotte, CIK trasdotte con il CAR antiCD33-ζ e CIK trasdotte con il CAR antiCD33-28-OX40-ζ. Parallelamente è stata
osservata nei topi trattati con cellule CIK
una riduzione del livello di invasione
midollare delle HL-60: mentre nei topi
controllo la percentuale media di cellule
tumorali - valutata mediante citofluorimetria a flusso - è risultata pari al 56%,
nei topi trattati con cellule CIK, tale valore si riduce al 22%, 9% e 4%, per i topi
trattati con cellule CIK non trasdotte, CIK
trasdotte con il CAR anti-CD33-ζ e CIK
trasdotte con il CAR anti-CD33-28-OX40ζ, rispettivamente.
Conclusioni. Questi esperimenti preliminari mostrano che le cellule CIK sono in
grado di attecchire e di persistere in un
modello murino NSG fino a 24 settimane
dopo l’infusione in assenza di IL-2 esogena. È stato osservato inoltre che, nei topi
trattati con cellule CIK trasdotte con CAR
anti-CD33, si ha una riduzione della progressione tumorale rispetto ai topi controllo. Questa riduzione diventa ancora
più significativa quando viene utilizzato
un CAR di terza generazione, contenente
nella porzione intracellulare i domini
costimolatori CD28 ed OX-40, che conferiscono alle cellule un vantaggio in termini di persistenza e proliferazione. Lo
scopo dei prossimi esperimenti è quello
di ottimizzare il trattamento terapeutico
al fine di eradicare completamente il
tumore, confermare i dati ottenuti utilizzando blasti primari di pazienti affetti da
AML e valutare il profilo di sicurezza nei
confronti nei confronti dei precursori
ematopoietici normali. I risultati che
otterremo da questo studio ci forniranno
una completa caratterizzazione in termini di efficacia e sicurezza, utile per valutare l’applicabilità clinica della strategia
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
immunoterapica basata sull’utilizzo di
cellule CIK geneticamente modificate
con CAR anti-CD33 nel trattamento di
pazienti con AML ricaduti (soprattutto
come immunoterapia adottiva post trapianto con cellule CIK del donatore) o
resistenti ai tradizionali trattamenti
radio-chemioterapici.
Bibliografia
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IL-27 INIBI SCE LA CRESCI TA DE LLA
LEUCE MI A LINFO BLASTICA ACUTA
A CE LLULE B P EDIATRI CA (B-ALL)
IN UN MODELLO PRE-CLI NI CO.
C. Cocco,1 S. Canale,1 C. Frasson,2 E. Di
Carlo,3 E. Ognio,4 E. Seganfreddo,2 D.
Ribatti,5 A. Zorzoli,1G. Basso,2 C. Dufour1
I. Airoldi1
1Istituto
G.Gaslini Genova; 2 Università di
Padova; 3Università di Chieti; 4IST
Genova; 5Università di Bari, Italia
Introduzione. IL-27 è una citochina eterodimerica pro-infiammatoria appartenente alla superfamiglia dell’IL-12.1 È prodotta principalmente da cellule dendritiche
attivate e macrofagi ed è ritenuta una
delle principali citochine coinvolte nello
sviluppo di molte malattie infiammatorie
T-dipendenti. È stato dimostrato come
IL-27 possa funzionare come agente antitumorale nei tumori solidi2,3 ma anche
nel mieloma multiplo.4 Tale attività può
essere esercitata attraverso meccanismi
indiretti (attivazione di linfociti T e NK)
oppure diretti su cellule tumorali esprimenti il corrispondente recettore a livello superficiale. Obiettivo specifico di
questo lavoro è definire se IL-27 può
svolgere un’attività anti-tumorale diretta
sulle cellule di B-ALL ed identificare gli
eventuali meccanismi coinvolti.
Materiali Metodi. Pazienti. Le cellule leucemiche primarie sono state ottenute,
previo consenso informato, da aspirati
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
midollari di 29 pazienti pediatrici affetti
da B-ALL non trattati al momento del
prelievo. In particolare, sono stati studiate 4 pro-B, 19 early pre- B e 6 pre-B.
Aliquote di aspirati midollari ottenuti
previo consenso informato a scopo diagnostico da 12 donatori sani sono stati
inclusi nello studio. Cellule normali proB, early pre- e pre-B cells sono state identificate quali CD19+CD10-CD20-, CD19+
CD10+CD20+ o CD19+CD10-CD20+ rispettivamente. Anticorpi e citofluorimetria.
Sono stati utilizzati anticorpi murini anti
WSX-1 (catena specifica del recettore di
IL-27) e gp130, anticorpi monoclonali
coniugati anti-CD45, CD10, CD19, CD38,
CD20 e CD133 (BD Biosciences, San Josè,
CA, USA). L’analisi citofluorimetrica è
stata effettuata mediante lettura al FaCS
Calibur analyzer utilizzando CellQuest
software.
Studi in vivo. Sono stati utilizzati topi
NOD/SCIDIl2rg-/- (NSG) di 4-6 settimane,
divisi in due gruppi di 3-5 topi. Gli animali sono stati inoculati endovena con
2x106 cellule di early pre B-ALL ottenute
da 6 pazienti pediatrici. Tali campioni
sono stati selezionati per l’alta infiltrazione midollare di cellule neoplastiche
(>90%) nonché per i livelli di espressione
della catena recettoriale specifica di IL27
(minimo
68%
cellule
WSX1+CD19+CD10+). Un gruppo è stato trattato con IL-27 (2 dosi settimanali,
1μg/dose/topo), mentre l’altro è stato
trattato con PBS (controlli) a partire da 3
giorni dopo l’inoculo delle cellule tumorali. Dopo 6-8 settimane i topi sono stati
sacrificati ed i seguenti organi prelevati:
milza, sangue periferico e midollo osseo.
Tali sospensioni cellulari sono state sottoposte ad analisi immunofenotipiche e
molecolari. Le cellule leucemiche umane
sono state identificate per l’espressione
di CD45, CD19 e CD10 utilizzando anticorpi che riconoscono specificamente
marcatori umani. In alcuni esperimenti
0.5-1x106 di cellule umane CD45+ purificate dal midollo osseo murino sono state
inoculate endovena in altri topi al fine di
testare la capacità cellule leucemiche
espiantate di sviluppare nuovamente la
leucemia.
Studi in vitro. Cellule primarie di B-ALL
sono state coltivate 6-72 ore in presenza
o in assenza di 50 ng/mL di IL-27. La proliferazione cellulare è stata misurata
mediante l’utilizzo dell’anticorpo antiKi67, mentre l’apoptosi è stata valutata
attraverso l’utilizzo del kit intracellulare
per l’Annessina V e ioduro di propidio.
Studi sull’angiogenesi sono stati condotti attraverso CAM assay.
Analisi molecolari su cellule umane
CD45+ ex vivo e su B-ALL primarie coltivate in vitro. Cellule umane CD45+ purificate da midollo osseo e milze prelevate da
topi trattati e di controllo sono state ana-
lizzate mediante PCR per i riarrangiamenti IGH, IGK-Kde, TCRD, TCRG e
mediante real time PCR per espressione
di miR-155. Cinque campioni di B-ALL
sono state coltivate 24 ore in presenza o
assenza di IL-27 (50 ng/ml) ed analizzate
per espressione di miRNA attraverso
PCR Array.
Risultati. Espressione di IL-27R nelle BALL primarie e nella loro controparte
normale. Cellule di B-ALL prelevate dai
pazienti (n=29) esprimono costitutivamente entrambe le catene del recettore
di IL-27 (WSX-1 e gp130). Tale espressione è significativamente più alta rispetto
alla controparte normale. IL-27 inibisce
la crescita leucemica in topi NSG
Analisi citofluorimentriche dei vari tessuti espiantati dai topi hanno dimostrato
che le cellule umane leucemiche presentano lo stesso fenotipo (CD45+CD10+
CD19-) delle cellule del paziente alla diagnosi. L’assenza dell’espressione di CD19
è stato documentato anche in PCR.
Cellule CD45+ umane sono state trovate
nel sangue periferico, milze e midollo
osseo di tutti gli animali di controllo ma
significativamente ridotte nel sangue
(P=0.0002), midollo osseo (P<0.0001) e
milze (P=0.0004) dei topi trattati con IL27 umana. I topi NSG rappresentano il
modello animale di elezione per la crescita delle presunte “leukemic initiating
cells”identificate, nelle B-ALL, quali cellule CD133+CD19- 5. Abbiamo dimostrato
come tali cellule esprimano entrambe le
catene recettoriali di IL-27 e possono
quindi essere responsive all’attività della
citochina. L’analisi citofluorimetrica
delle cellule CD133+CD19- nei tessuti
murini ha dimostrato che tale popolazione è presente nel sangue periferico,
milze e midollo osseo dei topi di controllo ma significativamente ridotta dal trattamento di IL-27. La presenza di “leukemic initiating cells” è stata anche dimostrata grazie a inoculi secondari delle
cellule umane purificate dagli animali
inoculati con la B-ALL originaria. Infine,
cellule umane CD45+ purificate dalle
milze di topi che hanno ricevuto l’inoculo secondario hanno mantenuto lo stesso fenotipo e gli stessi riarrangiamenti
IG and TCR che sono stati evidenziati nel
campione di B-ALL alla diagnosi.
Attività anti-tumorale di IL-27 contro le BALL in vitro. L’attività anti-tumorale di IL27 è stata studiata in vitro in termini di
modulazione della proliferazione, apoptosi, attività angiogenica e di espressione
di microRNA. Abbiamo dimostrato come
IL-27 induca significativamente apoptosi
(AnnV/IP), inibisca la proliferazione
(Ki67) e la capacità angiogenica delle BALL (CAM). Analisi molecolari hanno
rivelato che IL-27 up-regola una serie di
geni anti-angiogenici quali IFN-γ and
TIMP-2. La neutralizzazione di questo fat-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
tori nei supernatanti di B-ALL trattate IL27 vanifica l’effetto annti-angiogenico
della citochina stessa. Infine IL-27 downregola miR-155 (microRNA frequentemente over-espresso in tumori che derivano da linfociti B6), effetto dimostrato
anche in vivo.
Conclusioni. In questo lavoro abbiamo
dimostrato per la prima volta come IL-27
abbia un effetto antitumorale diretto
sulle cellule di B-ALL pediatrica sia in
vitro che in vivo, evidenziandone i meccanismi coinvolti. Questi risultati aprono
interessanti prospettive terapeutiche
per i pazienti pediatrici affetti da B-ALL
che non rispondono alle terapie standard.
Bibliografia
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L’ATTIVITA’ ANTI -TUMORALE COMBINATA DI IL-23 E IL-27 O STACOLA
LA CRESCI TA DEL LINFOMA FOLLI COLARE E DE L LINFOMA DIFFUSO
A GRANDI CE LLULE B I N VI VO
C. Cocco,1 E. Di Carlo,2 S. Zupo,3
S. Canale,1 C. Sorrentino,2 D. Ribatti,4
E. Ognio3 and I.Airoldi1
1Istituto
G.Gaslini, Genova, 2Università of
Chieti, 3Istituto Nazionale per la Ricerca
sul Cancro,4Università di Bari, Italia
Introduzione. Il linfoma follicolare (LF)
appartiene al gruppo dei linfomi NonHodgkin ed è la seconda forma di linfoma
più diffusa nell’età adulta. Esso deriva
dalla trasformazione neoplastica dei linfociti B del centro germinativo ed è caratterizzato dalla costitutiva espressione
dell’oncogene Bcl2 che favorisce la
sopravvivenza delle cellule tumorali. Il
decorso clinico dei pazienti affetti da
questa patologia è molto variabile e
dipende dal grado di aggressività della
[page 29]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
malattia. La forma più aggressiva di questo tumore è rappresentato dal linfoma
diffuso a grandi cellule B (DLBCL), il
quale può svilupparsi anche in maniera
indipendente. Pertanto lo sviluppo di
nuove terapie è di fondamentale importanza. IL-23 e IL-27 sono citochine appartenenti alla famiglia di IL-12 e possiedono
sia attività immuno-stimolatoria che antitumorale,1 quest’ultima mediata da meccanismi indiretti e diretti. Recentemente
il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato
per la prima volta che IL-23 e IL-27 sono
in grado di inibire la progressione tumorale in diverse neoplasie ematologiche,
quali leucemia linfoblastica acuta a cellule B pediatrica e mieloma multiplo,2,3
agendo direttamente sulle cellule tumorali che esprimono i recettori corrispondenti. Obiettivo di questo studio è stato
investigare il ruolo di IL-23 e IL-27 e dei
loro recettori nel controllo della crescita
delle cellule di LF/DLBCL. Sulla base di
questi dati, è stata studiata l’espressione
dei recettori per IL-23 e IL-27 sulle cellule
di LF e testata la potenziale attività antitumorale delle due citochine sia in vitro
che in vivo.
Materiali e metodi. L’espressione dei
recettori eterodimerici per IL-23 (IL-23R
e IL-12Rβ1) e per IL-27 (WSX-1e gp130) è
stata testata sia su linee cellulari
LF/DLBCL umane (SU-DHL-4, DOHH-2,
Karpas-422, and LY8) che su cellule primarie ottenute, previo consenso informato, da pazienti affetti da LF (n=11) e ad
DLBCL (n=9). Le cellule primarie sono
state isolate da sospensioni linfonodali
tramite gradiente di densità e purificate
tramite selezione negativa usando i marcatori umani CD14, CD3, CD56, ottenendo un popolazione pura CD19 positiva.
Esperimenti funzionali in vitro sono stati
effettuati su cellule primarie e sulle linee
cellulari LF/DLBCL coltivate per 6, 24, 48
e 72 ore con o senza IL-23, IL-27 o IL23+IL-27 (100 ng/ml ciascuna) e successivamente testate per apoptosi (tramite kit
annessina V/ioduro di propidio), proliferazione (test con Ki67, CFSE, BrDU) e
angiogenesi (test CAM e PCR array).
Modelli murini sono stati utilizzati per
testare l’attività anti-tumorale di IL-23 e
IL-27 contro le cellule LF/DLBCL umane
in vivo: 4 gruppi da 10 topi SCID-NOD
sono stati inoculati sotto-cute con 5
milioni di cellule SU-DHL-4 e trattati con
3 dosi settimanali di PBS (controllo), IL23, IL-27 e IL-23/IL-27 (1µg/dose/topo ciascuna). Dopo 28 giorni le masse tumorali sviluppatesi sono state misurate e sottoposte ad analisi istologica, immunoistochimica e molecolare (PCR Array) per
valutare eventuali differenze a livello di
di dimensioni dei tumori sviluppati nei
topi di controllo e trattati, e per caratterizzare gli eventuali meccanismi molecolari coinvolti.
[page 30]
Risultati. L’analisi citofluorimetrica dimostra che le cellule LF e DLBCL primarie
esprimono costitutivamente le catene specifiche dei recettori per IL-23 e IL-27, cioè
IL-23R e WSX-1 rispettivamente. Le catene
IL-12Rβ1 e gp-130 sono anch’esse espresse
indicando che le cellule LF/DLBCL sono
potenzialmente responsive all’attività di
IL-23 e IL-27. Al contrario l’espressione dei
due recettori nelle linee cellulari risulta
eterogenea: SU-DHL-4 e LY8 esprimono sia
IL-23R che IL-27R, Karpas-422 esprime IL27R e DOOH-2 esprime IL-23R. Test funzionali in vitro sulle linee cellulari dimostrano
che IL-23 induce una forte inibizione della
proliferazione, mentre IL-27 ha effetto antiangiogenico contro le cellule tumorali.
Una debole attività anti-proliferativa è
stata osservata anche da parte di IL-27;
tuttavia il trattamento combinato delle
due citochine non amplifica tale effetto.
Gli esperimenti funzionali in vitro su cellule LF/DLBCL primarie dimostrano che IL27 inibisce il potenziale angiogenico delle
cellule tumorali, ma nessun effetto è stato
osservato in termini di proliferazione.
Questo dato apparentemente contrastante con quanto osservato sulle linee cellualri è riconducibile al fatto che le cellule
LF/DLBCL isolate da paziente non hanno
di per sé capacità proliferativa in vitro, ma
necessitano stimoli esogeni per la loro
sopravvivenza. Fisiologicamente, infatti, la
crescita delle cellule LF è supportata dalle
cellule del microambiente tumorale, pertanto gli esperimenti funzionali sulle cellule primarie con IL-23 e IL-27 verranno ripetuti aggiungendo alla coltura stimoli come
CD40L e IL-4. Per gli esperimenti in vivo è
stata selezionata la linea SU-DHL-4 poichè
mostra alti livelli di espressione di IL-23R e
IL-27R. I risultati ottenuti dimostrano che i
topi trattati con IL-23, IL-27 o IL-23+IL-27
sviluppano masse tumorali significativamente più piccole rispetto ai topi di controllo. In particolare la somministrazione
combinata delle due citochine induce
un’inibizione della crescita tumorale significativamente maggiore rispetto a quella
osservata dopo trattamento con le singole
citochine, dimostrando che IL-23 e IL-27
esercitano un’azione sinergica nel controllo della crescita delle cellule tumorali.
L’analisi istologica ed immunoistochimica
mostra una chiara attività anti-angiogenica da parte di IL-27 e una forte inibizione
della proliferazione indotta da IL-23.
L’analisi molecolare di geni correlati al
processo angiogenico mostra che IL-27
induce l’up-regolazione di fattori antiangiogenici (TIMP-1) e inibisce l’espressione di fattori pro-angiogenici (MMP-9,
VEGF-C). Sebbene sia presente anche una
debole attività anti-proliferativa da parte
di IL-27, il trattamento combinato delle
due citochine riproduce gli effetti osservati nei topi trattati con le singole citochine,
indicando IL-23 come principale mediato-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
re del blocco proliferativo. Inoltre questi
dati confermano la presenza di un effetto
sinergico da parte di IL-23 e IL-27 diretto
contro le cellule LF.
Conclusioni. I dati illustrati dimostrano
per la prima volta che IL-23 e IL-27 esercitano un’azione anti-tumorale diretta
contro le cellule LF/DLBCL agendo attraverso meccanismi distinti. Inoltre, la
somministrazione combinata delle due
citochine mostra un effetto inibitorio
sinergico sulla crescita tumorale. Questi
risultati suggeriscono che IL-23 e IL-27
possono essere usati singolarmente o in
associazione nel trattamento del
LF/DLBCL. Dati pre-clinici ottenuti in differenti modelli animali4 indicano che IL23 e IL-27 presentano una bassa tossicità
sistemica, suggerendo che IL-23 e/o IL-27
potrebbero essere testate in trials clinici
di fase I su pazienti affetti da LF/DLBCL.
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IL-27 FUNZI ONA CO ME AGENTE
ANTI-TUMO RALE CO NTRO LE
LEUCE MI E ACUTE MIELO IDI P EDIATRICH E IN VIVO E D IN VITRO
A. Zorzoli,1 C. Cocco,1 E. Di Carlo,2
E. Ognio,3 D. Ribatti,4 E. Ferretti,1D.
Montagna,5 C. Dufour6 I. Airoldi1
1,6Istituto
G.Gaslini Genova; 2Università di
Chieti ; 3IST Genova; 4Università di Bari,
5Policlinico S. Matteo, Pavia, Italia
Introduzione. IL-27 è una citochina eterodimerica pro-infiammatoria appartenente alla superfamiglia dell’IL-12 che comprende anche IL-23 ed IL-351. IL-27 è composta dalle subunità EBI3 e p28 omologhe rispettivamente a p40 e p35 di IL-122,
è prodotta da cellule presentanti l'antigene e svolge la sua attività su cellule che
esprimono il corrispondente recettore a
livello superficiale1. IL-27R è un recettore eterodimerico costituito da WSX-1 e
gp130, entrambe necessarie per la tra-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
sduzione del segnale di IL-27 3. È stato
dimostrato come IL-27 possa funzionare
come agente antitumorale nei tumori
solidi4,5 ma anche nel mieloma multiplo6. Tale attività può essere esercitata
attraverso meccanismi indiretti (attivazione di linfociti T e NK) oppure diretti
su cellule tumorali esprimenti il corrispondente recettore a livello superficiale. Obiettivo specifico di questo lavoro è
stato quello di definire se IL-27 può svolgere un’attività antitumorale diretta sulle
cellule primarie di AML ed identificare gli
eventuali meccanismi coinvolti.
Materiali Metodi. Pazienti. Le cellule primarie sono state ottenute, previo consenso informato, da aspirati midollari di
16 pazienti pediatrici affetti da AML non
trattati al momento del prelievo.
Anticorpi e citofluorimetria. Sono stati utilizzati anticorpi murini anti WSX-1 (catena specifica del recettore di IL-27) e
gp130, anticorpi monoclonali coniugati
anti-CD45, CD33, CD38, CXCR4(BD Bio sciences, San Josè, CA, USA). L’analisi
citofluorimetrica è stata effettuata
mediante lettura al FaCS Calibur analyzer
utilizzando CellQuest software.
Studi in vivo. Sono stati utilizzati topi
NOD/SCIDIl2rg-/- (NSG) di 4-6 settimane,
divisi in due gruppi di 3-5 topi. Gli animali sono stati inoculati endovena con
5¥106 cellule di AML ottenute da 5
pazienti pediatrici. Tali campioni sono
stati selezionati per l’alta infiltrazione
midollare di cellule neoplastiche (>85%).
Un gruppo è stato trattato con IL-27 (2
dosi settimanali, 1 μg/dose/topo), mentre l’altro è stato trattato con PBS (controlli) a partire da 3 giorni dopo l’inoculo
delle cellule tumorali. Dopo 10-12 settimane i topi sono stati sacrificati ed i
seguenti organi prelevati: milza, sangue
periferico e midollo osseo. Tali sospensioni cellulari sono state sottoposte ad
analisi immunofenotipiche e molecolari.
Le cellule leucemiche umane sono state
identificate per l’espressione di CD45 utilizzando anticorpi che riconoscono specificamente marcatori umani
Studi in vitro. Cellule primarie di AML
sono coltivate 6-60 ore in presenza o in
assenza di 100 ng/mL di IL-27. La proliferazione cellulare è stata misurata
mediante l’utilizzo di anticorpi anti-Ki67
o BrdU/ioduro di propidio (IP) mentre
l’apoptosi è stata valutata attraverso
l’utilizzo del kit intracellulare per
l’Annessina V e IP. Studi sull’angiogenesi
sono stati condotti attraverso CAM
assay e PCR array.
Analisi molecolari su cellule umane
CD45+ ex vivo e su AML primarie coltivate in vitro. Cellule umane CD45+ purificate da midollo osseo e milze prelevate da
topi trattati e di controllo sono state analizzate mediante PCR Array per espressione di geni coinvolti nei processo
angiogenico e metastatico. La stessa analisi è stata condotta su due campioni primari di AML coltivati 48 ore in presenza
o assenza di IL-27. L’espressione di
CXCR4 è stata studiata sulle cellule leucemiche presenti nei diversi tessuti
murini espiantati da topi di controllo e
trattati nonché su cellule primarie coltivate con o senza IL-27 48 ore in vitro.
Risultati. Attività anti-tumorale di IL-27
contro le AML primarie in vivo. L’analisi
citofluorimetrica dell’espressione di
WSX-1 e gp130 su campioni primari di
AML ha dimostrato come tali cellule leucemiche esprimano in superficie il recettore completo di IL-27. In seguito ad inoculo endovena di campioni di AML primarie, si è evidenziata presenza di cellule leucemiche a livello splenico, midollare e nel sangue periferico. L’ analisi
immunofenotipica delle cellule umane
nei vari tessuti espiantati dai topi ha
dimostrato che le cellule leucemiche presentavano lo stesso fenotipo (CD45+
CD33+). La presenza delle cellule leucemiche era significativamente ridotta nel
sangue (P<0.0001), midollo osseo
(P=0.0015) e milze (P<0.0001) dei topi
trattati con IL-27 umana rispetto ai controlli. Studi morfologici e di immunoistochimica sulle milze espiantate hanno
documentato la presenza di numerosi
infiltrati di cellule leucemiche supportati
da un’organizzata rete vascolare e da un
ricco reticolo di fibre stromali nei topi di
controllo. Nelle milze dei topi trattati è
stata notata una scarsa presenza di cellule leucemiche, assente vascolarizzazione e scarse fibre stromali. Analisi molecolari su cellule CD45+ isolate da milza e
midollo osseo murino hanno dimostrato
come IL-27 sia in grado di ridurre il
potenziale angiogenico e metastatico
delle cellule leucemiche in vivo attraverso la down-regolazione di vari fattori.
Attività anti-tumorale di IL-27 contro le
AML pediatriche in vitro
L’attività anti-tumorale di IL-27 è stata
studiata in vitro in termini di modulazione della proliferazione, apoptosi, attività
angiogenica e metastatica. Abbiamo
dimostrato come IL-27 inibisca la proliferazione (Ki67), aumenti la percentuale di
cellule in fase G1 e subG1 (BrdU/IP), inibisca la capacità angiogenica (CAM) e
moduli l’espressione di CXCR4 e cadherina 6 che sono coinvolti nelle metastasi.
Analisi molecolari hanno inoltre rivelato
che IL-27 up-regola geni anti-angiogenici
quali IFN-γ, CXCL10, TIMP-2 e down-regola i fattori pro-angiogenici CXCR3 e
angiopoietina 4.
Conclusioni. In questo lavoro è stata
dimostrata per la prima volta che IL-27
funziona come agente anti-tumorale contro le AML pediatriche sia in vitro che in
vivo, evidenziandone i meccanismi coinvolti. Questi risultati suggeriscono che
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
IL-27 potrebbe rappresentare un nuovo
“farmaco” anti-leucemico da testare in
futuri trial clinici. È stato infatti dimostrato come IL-27 sia anche in grado di
stimolare la proliferazione e differenziazione di cellule umane. Inoltre, test preclinici hanno evidenziato una scarsa tossicità sistemica della citochina, probabilmente dovuta ad una moderata induzione di IFN-γ, associata ad una efficiente
stimolazione del sistema immunitario.
Bibliografia
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Agent in Multiple Myeloma. Clin Cancer
Res.
LA P RO GRES SI VA PERDITA DI
ES PRESS IO NE DEL RECETTORE PE R
I L-12 IN CELLULE CD33+CD38+ DI
P AZI ENTI PEDIATRICI AFFE TTI DA
LEUCEMIA MI EOI DE ACUTA FAVORIS CE LA CRE SCITA TUMORALE IN
TOP I NOD/S CI D/IL-2RG-/E. Ferretti,1 D. Montagna,2 E. Di Carlo,3
C. Cocco,4 D. Ribatti,5 E. Ognio,6 C.
Sorrentino,3 D. Lisini,7 A. Bertaina,8
F. Locatelli,2,8 V. Pistoia,1* I. Airoldi4*
1Laboratory
of Oncology, G. Gaslini
Institute, Genova, Italia; 2 Department of
Pediatrics, University of Pavia, Foundation
IRCCS Policlinico; 3Department of
Oncology and Neurosciences, "G.
d'Annunzio University and Ce.S.I. Aging
Research Center, "G. d'Annunzio" University Foundation, Chieti, Italia; 4 A.I.R.C.
Laboratory of Immunology and Tumors,
Department
of
Experimental
and
Laboratory Medicine, G. Gaslini Institute,
Genova, Italia; 5Department of Human
Anatomy and Histology, University of Bari,
Bari, Italia; 6Animal Model Facility,
National Institute for Cancer Research,
Genova, Italia; 7Pediatric Hematology and
Oncology, Fondazione, IRCCS Policlinico
San Matteo, Pavia, Italia; 8Department of
[page 31]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Pediatric Hematology and Oncology,
IRCCS, Bambino Gesù Hospital, Roma,
Italia
Introduzione. La leucemia mieloide acuta
(LMA) è una neoplasia clinicamente e
geneticamente etereogenea, con un’incidenza di circa 15-20% delle leucemie del
bambino, nei quali presenta ancora
un’elevata mortalità.1 Tale neoplasia è
sostenuta dalla presenza di cellule leucemiche “staminali”, in grado si costiutire
una bulk della malattia, grazie alla loro
natura quiescente, alla capacità di avere
un tempo di replicazione molto lento,
che le rende, inoltre, resistenti al trattamento con agenti chemioterapici.2,3
Questo fa sì che sia necessaria la ricerca
di potenziali agenti terapeutici diretti
non solo verso i blasti leucemici, ma
anche capaci di avere effetto sulle cellule leucemiche staminali. Il nostro studio
si inserisce proprio in questo filone, e
prende in esame i potenziali effetti della
Interleuchina (IL)-12 come agente antitumorale nella LMA. È noto, infatti, come
tale citochina sia in grado di inibire la
crescita neoplastica in tumori solidi,così
come in neoplasie ematologiche, con
azione diretta o indiretta sul tumore.4
Obbiettivo perciò di questo studio è
stato indagare : i) l’espressione del recettore per la IL-12 in blasti e sottopopolazioni leucemiche staminali di LMA; ii)
l’attività anti-tumorale di IL-12, mediante
diversi modelli in vivo e iii) i meccanismi
coinvolti.
Materiali Metodi. Nello studio sono stati
inclusi 20 campioni di sangue midollare
di pazienti pediatrici affetti dal LMA, con
una elevata percentuale di cellule leucemiche (oltre il 90%). Su tali cellule è stata
analizzata l’espressione delle catene β1 e
β2 del recettore per IL-12 mediante marcatura e successiva analisi citofluorimetrica. Per l’analisi degli effetti in vivo del
trattamento con IL-12 sono stati utilizzati topi NOD/SCID/IL2rg-/- (NSG) nei quali
sono state inoculate cellule primarie di
pazienti affetti da LMA mediante due differenti schemi sperimentali. Nel primo
modello 8 milioni di cellule di LMA sono
state inoculate sottocute in due gruppi
da quattro animali ciascuno: un gruppo è
stato trattato due volte la settimana con
1µg di IL-12 ricombinante umana, mentre
il secondo gruppo è stato inoculato col
solo mezzo di coltura. Al diciottesimo
giorno gli animali sono stati sacrificati, le
masse sottocute recuperate, misurate e
sottoposte ad analisi cellulari, mediante
marcatura citofluorimetrica, e tissutali,
mediante colorazioni immunoistochimiche. Nel secondo modello di approccio
sperimentale, 3-5 milioni di cellule di
LMA da otto differenti pazienti sono
state inoculate endovena in due gruppi
di topi NSG, uno di controllo e uno tratta-
[page 32]
to con IL-12 seguendo il medesimo protocollo del modello sottocute. Una parte
degli animali è stata sacrificata al giorno
30 e una parte al giorno 60. In entrambi i
tempi al sacrificio degli animali sono
stati recuperati sangue periferico, midollo e milze, per successive analisi cellulari e molecolari. Per una serie di esperimenti le cellule CD38+ sono state recuperate sia daglia nimali di controllo che dai
trattati e ri-inoculate in topi NSG. Dopo
60 giorni gli animali sono stati sacrificati
e recuperati sangue, midollo e milza.
Risultati. Dall'analisi citofluorimetrica
effettuata su venti campioni di LMA primaria pediatrica, è emerso come entrambe le catene β1 e β2 del recettore per IL12 siano espresse nei blasti leucemici
(identificati per l’espressione del marcatore CD33). Inoltre, l’espressione del
recettore è stata anche evidenziata nelle
principali sottopopolazioni che caratterizzano le cellule staminali leucemiche,
quali CD34+CD38-, CD33+CD38+ e
CD44+CD38-. Data l’elevata espressione
del recettore, si è passati all’analisi in
vivo dei potenziali effetti della citochina
sulla crescita neoplastica. Come primo
modello di crescita tumorale, cellule primarie di LMA sono state inoculate in topi
NSG sottocute e gli animali sono stati
divisi in due gruppi: trattato e controllo.
Dopo una settimana dall’inoculo gli animali presentavano una massa palpabile
nei controlli; al giorno 18 sono stati sacrificati e le masse sono state recuperate e
misurate. Da questa analisi è emerso
come il trattamento con la citochina
induca una riduzione statisticamente
significativa della massa tumorale. Dalla
successiva analisi immunoistochimica
delle masse, è stata riscontrata la presenza di numerose aree apoptotiche e
necrotiche nei tumori degli animali trattati con IL-12, così come una ridotta
vascolarizzazione degli stessi. Inoltre,
rispetto all’85% di cellule umane presente nelle masse degli animali di controllo
(misurato tramite analisi citofluorimetrica), le masse degli animali trattati presentavano non più dell’8% di cellule
umane. Si è poi passati all'inoculo dei
blasti leucemici direttamente per via
endovenosa, sempre in topi NSG. Tre-cinque milioni di cellule primarie sono stati
inoculati in due gruppi di animali seguendo lo schema utilizzato per l’inoculo sottocute; una parte degli esperimenti è
stata conclusa al giorno 30 ed una parte
prolungata fino al giorno 60. Negli animali sacrificati al giorno 30 l’analisi di sangue periferico, midollo osseo e milza ha
evidenziato la presenza di cellule leucemiche umane unicamente nella milza, e
ha dimostrato come il trattamento con la
IL-12 riduca drasticamente il numero di
cellule leucemiche umane, così come la
percentuale di cellule CD34+CD38- e cel-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
lule CD44+CD38-. Inoltre, le cellule leucemiche CD33+CD38+ degli animali di controllo risultano esprimere il recettore per
IL-12. L'assenza di leucemiche in midollo
e sangue periferico ci ha indotti a protrarre l’esperimento, sacrificando gli animali al giorno 60. In questo modello
l’analisi citofluorimetrica dei vari compartimenti di tali animali ha rilevato la
presenza di cellule umane non solo nella
milza, ma anche nel midollo e nel sangue
periferico sia nei controlli che nei trattati. In entrambi i gruppi la popolazione
leucemica presentava un ridotto numero
di cellule CD34+CD38- e CD44+CD38-, e
una elevata percentuale di cellule
CD33+CD38+ (oltre il 90%). Inoltre, da
tale analisi è emerso anche come nella
milza dei controlli si evidenzi ancora
espressione del recettore per la IL-12,
recettore assente in sangue e midollo del
controllo e in tutti i compartimenti degli
animali trattati. Questo risultato porta
ad ipotizzare come la perdita di tale
recettore consenta il mantenimento della
crescita tumorale e si traduca in una inefficacia del trattamento con IL-12.
Mediante il ri-inoculo endovena in topi
NSG di cellule CD38+ purificate da animali tratatti e non, abbiamo potuto infine
dimostrare la forte tumorogenicità di tali
cellule leucemiche.
Conclusioni. In questo studio è stata
dimostrata per la prima volta l'espressione in cellule leucemiche di LMA del
recettore per la IL-12 e la funzionalità
della citochina come agente anti-tumorale nelle fasi precoci della malattia. Tale
effetto perde di efficacia nelle fasi più
avanzate, in associazione ad una progressiva perdita di espressione del recettore stesso nelle cellule leucemiche. Ciò
fa supporre un possibile utilizzo della
citochina come coadiuvante nel trattamento della malattia residua minima in
pazienti affetti da LMA.
Bibliografia
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AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
LA DOWNREGULATI ON DI MTOR E
P70S 6Kβ2 NELLA LEUCEMIA LINFOBLAS TICA ACUTA T-LINEAGE
(LLA-T) PEDIATRICA È CO RRELATA
AD UNA P RO GNO SI S FAVO REVO LE
P. Bonaccorso*, M. Tumino*,
A. D’Ambra*, E. Mirabile*, M. Barchitta^,
A. Poli *, L. Greco*, D. Bottino*,
M. La Rosa^*, A. Agodi^, L. Lo Nigro*.
*Laboratorio di Citogenetica e Biologia
Molecolare per le Malattie Emato-Onco logiche del bambino. Azienda Policlinico
– OVE, Catania; ^ Dipartimento GF
Ingrassia, Università di Catania, Italia
Background. Le LLA-T includono circa il
15% delle LLA pediatriche ed oltre il 20%
di bambini presentano recidiva di malattia, spesso fatale. La caratterizzazione di
alterazioni molecolari con impatto prognostico potrebbe essere utile per l’identificazione precoce di pazienti ad alto
rischio di fallimento terapeutico in cui
potrebbero essere presi in considerazione trattamenti più intensivi e/o più specifici, incluso il trapianto delle cellule staminali ematopoietiche (HSCT). Recentemente è stato messo in evidenza un coinvolgimento del pathway PTEN/AKT nei
bambini con LLA-T (Gutierrez A et al
2009), nella resistenza ai glucocorticoidi
(Beesley A et al 2009) e nelle forme con
NOTCH-1 mutato resistenti agli inibitori
delle gamma secretasi (Palomero T et al.
2009). Nel tentativo di caratterizzare il
ruolo del pathway PTEN/AKT/mTOR
nelle LLA-T pediatriche, abbiamo valutato l’espressione di ciascun componente
proteico in questa cascata e studiato la
sua associazione con l’outcome.
Materiali e Metodi. Sono stati analizzati
23 bambini con LLA-T consecutivamente
diagnosticati presso il nostro Centro dal
1997 al 2009 ed arruolati in tre successivi Protocolli AIEOP. Abbiamo analizzato
l’espressione
dell’mRNA di PTEN
mediante RT-PCR. Mediante Western
Blot, abbiamo valutato l’espressione
delle seguenti proteine: totali (AKT;
GSK3β; CK2α; CK2β; PTEN; PDK1;
P70S6Kβ2; mTOR) e fosforilate [AKT
(S473)/(T308); GSK3β(S9); PTEN(S380);
PDK1(S241); P70S6Kβ2(S371); mTOR
(S2448)]. L’associazione di queste variabili con l’Event Free Survival (EFS) è
stata valutata usando il test del χ2. Un
valore di P≤0.05 è stato considerato statisticamente significativo. Inoltre, al fine
di misurare il livello di associazione,
sono stati calcolati il Rischio Relativo
(RR) ed il corrispondente Intervallo di
Confidenza al 95% (95% CI). Gli eventi
presi in considerazione sono stati le
morti per complicanze (DOC), recidive
ed il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE).
Risultati. Sette dei 23 pazienti hanno pre-
sentato un evento: 5 recidive, 1 DOC e 1
TCSE. L’analisi in RT-PCR dell’espressione di PTEN ha rivelato che soltanto un
caso non mostrava alcun prodotto. Al
contrario, l’analisi in Western Blot ha
dimostrato che tutti i pazienti esprimevano le proteine PTEN totali e fosforilate.
È stato interessante notare come la proteina AKT totale era presente in tutti i
casi tranne uno; le forme fosforilate,
invece, si mostravano nel modo seguente: AKT (T308) espressa in 15 dei 23
pazienti (65%), mentre nessuno mostrava espressione di AKT (S473). Sorprendentemente, abbiamo osservato una
downregulation statisticamente significativa dell’espressione di mTOR e
P70S6Kβ2 sia totali che fosforilate in otto
e nove (mTOR), in dieci e undici
(P70S6Kβ2) dei 22 pazienti analizzati,
rispettivamente. La downregulation o
l’assenza di espressione di entrambe le
forme (totale e fosforilata) di P70S6Kβ2
ha avuto un impatto statisticamente
significativo sull’EFS, mostrando un
rischio più alto di eventi, dato emerso
dal confronto tra i casi con downregulation e i casi che esprimevano la proteina
rispettivamente nella sua forma fosforilata (RR: 2,75; 95%CI: 1,25-6,01) e totale (RR
3,33; 95%CI: 1,29-8,59). Inoltre, la downregulation di mTOR(S2448) ha confermato
lo stesso pattern di alto rischio di eventi
(RR: 2,77; 95%CI: 1,08-7,07), confrontando quelli con una downregulation versus
quelli che esprimevano la proteina fosforilata.
Conclusioni. I nostri dati per la prima
volta hanno mostrato come la downregulation o l’assenza di espressione di
mTOR e/o P70S6Kβ2 siano associati ad
una prognosi peggiore: 5 casi hanno presentato recidive molto aggressive (3 dei
quali morti con il progredire della malattia); un bambino è morto durante la fase
di Induzione per complicanze relative
all’aggressività della malattia (emorragia
splenica massiva) e un caso è stato sottoposto a TCSE da familiare HLA compatibile perché presentava un pattern di
MRD ad alto rischio. Questi risultati preliminari dovranno essere confermati con
studi su una più ampia popolazione.
Tuttavia i nostri dati identificano nuovi
marker di aggressività della malattia e di
resistenza al trattamento, facilmente
disponibili al momento della diagnosi,
suggerendo che lo status di mTOR e
P70S6Kβ2, che svolgono un ruolo cruciale come controllo negativo nel pathway
PI3K/AKT, debba esser definito in relazione ad un futuro trattamento con farmaci
mirati al pathway in questione.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
CARATTERIZZAZIO NE DEL P ROFILO PROTEOMICO NELLE LEUCEMIE
ACUTE PEDI ATRICH E CON RIARRANGI AME NTO DEL GENE MLL:
I DENTIFICAZIO NE DI SPE CIFICI
TARGE T TERAPE UTI CI
P. Bonaccorso, M. Tumino, A. D’Ambra,
L. Greco, D. Bottino, E. Mirabile,
L. Lo Nigro
Laboratorio di Citogenetica e Biologia
Molecolare per le Malattie Onco-Ematologiche – Centro di Riferimento Regionale
di Emato-Oncologia Pediatrica – Azienda
Policlinico-OVE Catania, Italia
Background. I riarrangiamenti del gene
MLL sono presenti nel 3% dei casi pediatrici di Leucemia Linfoblastica Acuta
(LLA) e nel 10% di Leucemia Mieloide
Acuta (LMA). Nei bambini di età inferiore
ai 12 mesi (infant) i riarrangiamenti di
MLL sono presenti rispettivamente
nell’80% di LLA e nel 60% di LAM. La prognosi in questi bambini è sfavorevole e
gli attuali protocolli hanno raggiunto un
plateau di efficacia. Più del 50% dei casi
presenta una recidiva di malattia e diventa resistente alla terapia di seconda
linea. L’obiettivo principale delle analisi
proteomiche funzionali è quello di identificare nuovi biomarkers che possano
esser utili per determinare la prognosi e
la risposta alla terapia di prima linea e di
caratterizzare potenziali nuovi targets di
terapie mirate.
Dati preliminari. Utilizzando la tecnica
degli RPAs (Reverse Phase Arrays) abbiamo analizzato 20 campioni diagnostici di
leucemie acute pediatriche MLL positive,
provenienti da tre centri AIEOP (Catania,
Padova e Monza): 10 LLA e 10 LAM. Sono
state studiate complessivamente 41 proteine fosforilate o in forma nativa.
Applicando il T-Test abbiamo visto che
due proteine in forma nativa [Annexin 1
(P<0.014) e p27Kip1 (P<0.005)] e due proteine fosforilate [AKT T308 (P<0.04) e
Bad S155 (P<0.05)] sono risultate in
grado di separare le LLA MLL positive
dalle LAM MLL positive. L’espressione di
Bcl-XL, e di due proteine fosforilate [Bcl2
S70 (P<0,02) e PKCα S657 (P<0,02)] sono
in grado di discriminare le LLA con MLL
riarrangiato da quelle con MLL germline.
Materiali e Metodi. Partendo dai suddetti
dati preliminari, abbiamo studiato due
gruppi indipendenti di LLA (8 casi) e di
LAM (10 casi) con il riarrangiamento di
MLL, utilizzando il Western blot per verificare l’espressione di GSK3β, p27kip1,
PKCα, PTEN, AKT [T308]. Per conferma,
sono state studiate due linee cellulari:
SEM per la LLA t(4;11) positiva, e ML-2
per la LAM t(6;11) positiva.
Risultati. Abbiamo verificato che GSK3β è
over-espresso sia nelle LLA che nelle
LAM MLL riarrangiate. Di contro,
[page 33]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
p27kip1, target di GSK3β, nel nostro subset di pazienti ha presentato un comportamento diverso: over-espresso nelle
LLA e down-regolato nelle LAM (in tutte
tranne in un caso di FAB-M1). L’esatto
contrario di quanto valutato per PKCα
(negativo nelle LLA e positivo in tutte le
LAM). PTEN è risultato espresso in tutti i
casi mentre AKT ha mostrato un comportamento eterogeneo.
Conclusioni. Questi dati confermano il
razionale utilizzo di nuovi composti
diretti verso GSK3β, PKCα (solo per le
LAM) in uno specifico subset di pazienti
pediatrici affetti da una leucemia acuta
MLL positiva. Bisogna però precisare
che è necessario approfondire il ruolo di
p27kip1 nel pathway di GSK3β, come
recentemente descritto (Wang Z et al
Nature 2008), soprattutto nei casi di LLA.
P OLIMORFIS MO DEL GENE TPMT
E D INS ORGENZA DELLA VO D
NELLA LLA P EDIATRICA: Q UANDO
LA BIO LOGIA S PI EGA LA CLINICA
M. Filippelli,1 R. Catania,1 M. Lanciotti,2
S. Marino,1,3 L. Lo Nigro3,4
1Dipartimento
di Pediatria, Università di
Catania, Catania; 2Ospedale G Gaslini,
Genova; 3Centro di Riferimento Regionale
di Emato-Oncologia Pediatrica, Azienda
Policlinico – OVE, Catania; 4Laboratorio di
Citogenetica e Biologia Molecolare,
Azienda Policlinico – OVE, Catania, Italia
Introduzione
Nonostante
l’attuale
sopravvivenza superi l’80%, durante il
trattamento della Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA) del bambino possono presentarsi numerosi eventi di tossicità
grave. Uno di questi è la malattia venoocclusiva (VOD) del fegato, molto rara e
legata alla somministrazione di farmaci
potenzialmente epatotossici come la 6tioguanina (6-TG). Alcune recenti esperienze hanno dimostrato che una terapia
di mantenimento con 6-TG è gravata dall’insorgenza di VOD nel 25% dei casi
(Stork L et al. Blood 2010). Lo studio dei
polimorfismi genetici del gene che metabolizza le tiopurine (TPMT) ha dimostrato come alcuni genotipi (*2, *3A, *3C, *9)
siano associati a ridotto metabolismo
del farmaco, esponendo il paziente ad
elevato rischio di tossicità. Descriviamo
qui il caso di un bambino con LLA che ha
presentato un quadro clinico di grave
epatotossicità dopo 14 giorni di 6TG, e
del quale è stato caratterizzato il genotipo TPMT.
Metodi. La caratterizzazione genotipica
di TPMT è stata effettuata presso il laboratorio dell’Ospedale G Gaslini, mediante
PCR e RFLP (restriction fragment length
polymorphism).
[page 34]
Caso Clinico. S.A, 8 anni, affetto da LLA
preT, traslocazioni assenti, SNC alla diagnosi positivo, protocollo AIEOP LLA
2000 – rischio Intermedio. Alla fine della
fase di reinduzione (protocollo II), dopo
aver completato il trattamento con tioguanina (60 mg/mq/die per 14 giorni) ed
i due blocchi di ARA-C (75 mg/mq/die
per 4gg), il piccolo ha presentato un quadro clinico ed ematochimico (PLT
4.000/mm3, AST 192 U/l ALT 220 U/l) in
peggioramento, con incremento ponderale marcato (>10%), lieve subittero, epatomegalia, addome teso e poco trattabile. La diretta addome e l’ecoaddome
hanno dimostrato la presenza di una
grande quantità di ascite, fegato ad ecostruttura disomogenea, prevalentemente
iperecogena. Assente dilatazione delle
vie biliari intra ed extra epatiche. Gli
esami di laboratorio mostravano piastrinopenia profonda e peggioramento dell’anemia con segni di insufficienza epatica (AST 1677 U/l, ALT 1590 U/l, bilirubina
totale 4.15 mg/dL), ipoalbuminemia e
negatività dei markers epatitici.
Pertanto, in relazione al quadro clinico e
di laboratorio veniva posta diagnosi di
VOD ed iniziato trattamento con: defibrotide, albumina, diuretici, acido ursidesossicolico, vitamina K, antitrombina
III e antibioticoterapia con progressivo
miglioramento del quadro clinico e dei
dati di laboratorio con restitutio ad integrum in 15 giorni.
Risultati e Conclusioni. L’analisi molecolare del gene TPMT ha mostrato la presenza del genotipo *3A (G460A/A719G) associato a ridotta capacità di metabolizzazione della 6-Tioguanina (Sahasranaman
S et al. 2008). Tale dato spiega la grave
epatotossicità mostrata dal paziente,
assimilabile a quella descritta in letteratura. Pertanto si ribadisce la necessità di
eseguire uno screening molecolare al
momento della diagnosi di LLA (come
previsto dal nuovo protocollo AIEOPBFM 2009) allo scopo di individuare i
pazienti a rischio di tossicità, inclusi i
casi in eterozigosi, e valutare l’eventuale
riduzione della dose non solo della 6-TG
ma anche della 6-MercaptoPurina,
anch’essa metabolizzata dal TPMT.
L’O VERESP RES SI ONE DI CRLF2 E IL
RIARRANGIAMENTO P2RY8 -CRLF2
COME NUOVI MARCATORI DI PROGNO SI SFAVO RE VOLE IN PAZI ENTI
PEDIATRI CI BCP -ALL A RIS CHIO
INTERME DIO
C. Palmi,1* E. Vendramini,2*
D. Silvestri3*, G. Longinotti,1 A. M. Di
Meglio, D. Frison,2 E. Giarin,2 V. Rossi,1
A. Lezl,2 G. Fazio,1 S. Bungaro,1
S. Israeli,5,6 G. Basso,2 A. Biondi,1,4
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
M.G. Valsecchi,3 V. Conter,4
G. te Kronnie,2 G. Cazzaniga1
1Centro
Ricerca M. Tettamanti, Clinica
Pediatrica, Università degli Studi di
Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo,
Monza, Italia; 2S.S.D. EMATOLOGIA: CLINICA SPERIMENTALE, Dipartimento di
Pediatria, Università di Padova, Padova,
Italia; 3Centro operativo di Ricerca
Statistica, Dipartimento di Medicina
Clinica e Prevenzione, Università degli
Studi di Milano-Bicocca, Ospedale San
4Clinica
Gerardo,
Monza,
Italia;
Pediatrica, Università degli Studi di MilanoBicocca, Ospedale San Gerardo, Monza,
Italia; 5Pediatric Hemato-Oncology and the
Cancer Research Center, Sheba Medical
Center, Tel Hashomer, Ramat-Gan, Israele;
6Sackler Faculty of Medicine, Tel Aviv
University, Tel Aviv, Israele. *questi autori
hanno contribuito equamente allo studio.
Introduzione. Ad oggi nonostante il tasso
di cura delle leucemie linfoblastiche
acute pediatriche a cellule precursori B
(BCP-ALL) sia pari all’80%, la ricaduta è
ancora l’evento avverso più frequente.
La maggior parte delle ricadute riguardano pazienti classificati nel gruppo a
rischio intermedio, enfatizzando il bisogno di un’identificazione precoce di questi pazienti. Recentemente, in pazienti
pediatrici BCP-ALL negativi per markers
prognostici noti, sono state identificate
due diverse alterazioni del gene CRLF2
che portano entrambe alla sua overespressione: la delezione in PAR1, che
causa la fusione di CRLF2 con il primo
esone non codificante di P2RY8 e la traslocazione IGH@-CRLF2. Queste aberrazioni, in alcuni casi associate a mutazioni a livello dello stesso CRLF2 o in molecole coinvolte nel pathway JAK/STAT,
sono state correlate ad un outcome sfavorevole anche se il loro utilizzo come
nuovo marker prognostico è ancora controverso e oggetto di indagine.
In questo studio abbiamo analizzato l’incidenza e l’impatto prognostico delle
alterazioni di CRLF2 in pazienti pediatrici BCP-ALL arruolati in Italia nel protocollo AIEOP BFM ALL 2000.
Materiali Metodi. Sono stati analizzati 464
campioni di esordi di pazienti con diagnosi di BCP-ALL, non affetti da
Sindrome di Down e non-Ph+, arruolati
consecutivamente in Italia nel protocollo
AIEOP BFM ALL 2000 dal Febbraio 2003
al Luglio 2005 e 55/79 campioni delle
rispettive ricadute. Per le diverse analisi
sono state utilizzate le seguenti tecniche:
RQ-PCR per il livello di espressione di
CRLF2; RT-PCR per la presenza del gene
di fusione P2RY8-CRLF2; FISH per la traslocazione IGH@-CRLF2; PCR su DNA e
successivo sequenziamento per le mutazioni in CRLF2; High Resolution Melting
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
(HRM) e successivo sequenziamento per
le mutazioni in JAK2; Multiplex Ligationdependent Probe Amplification (MLPA)
per l’analisi di DNA copy number variation ricorrenti in BCP-ALL (Salsa MLPA
P335-A3 ALL-IKZF1).
Risultati. In 22 su 464 pazienti (4,7%) è
stata rilevata un’espressione di CRLF2 20
volte maggiore rispetto alla mediana calcolata su tutta la coorte. Tra questi 22
pazienti, denominati hiCRLF2, abbiamo
riscontrato 2 pazienti positivi sia per
mutazioni in CRLF2 che per delezioni in
IKZF1 e 4 pazienti positivi per mutazioni
in JAK2. Analizzando l’outcome dei
pazienti della coorte, i pazienti hiCRLF2
hanno mostrato un’incidenza cumulativa
di ricaduta (CIR) più alta rispetto ai
pazienti con bassa espressione di CRLF2
(37,1% ± 10.5 verso 15,2% ± 1.7, P=0.02).
Il gene di fusione P2RY8-CRLF2 è stato
riscontrato in 22/365 (6.0%) casi analizzati e sorprendentemente 12/22 non presentavano contemporanea overespressione di CRLF2. Indipendentemente dal
livello di espressione di CRLF2, la presenza del gene di fusione P2RY8-CRLF2 è
risultata essere associata ad un outcome
sfavorevole (CIR 42.8%±10.9 verso 14.5%
± 1.9, P=0.001). La maggior parte dei
pazienti hiCRLF2 e positivi per la delezione in PAR1 appartengono al gruppo di
rischio intermedio (IR). Considerando
solo i pazienti classificati in questo gruppo di rischio sia l’overespressione di
CRLF2 che il riarrangiamento P2RY8CRLF2 risultano identificare pazienti con
un outcome sfavorevole (rispettivamente CIR 42.5% ± 12.3 verso 18.3%±2.3,
P=0.04 e CIR 61.1% ± 12.9 3 verso 17.6%±
2.6, P<0.0001). In particolare i pazienti
con una prognosi peggiore sono quelli
che presentano sia l’overespressione di
CRLF2 che la delezione in PAR1 (CIR
70.4%±16.4). Il valore prognostico negativo del riarrangiamento P2RY8-CRLF2 nei
pazienti BCP-ALL a rischio intermedio è
stato confermato anche in una coorte di
286 pazienti tedeschi trattati secondo le
direttive dello stesso protocollo AIEOP
BFM ALL 2000 (CIR 54.5% ±15 verso
10.7% ±1.9, P<0.0001). Nel nostro studio
sono stati analizzati anche 55 campioni
di ricadute che sono risultati possedere
un livello di espressione di CRLF2 leggermente maggiore rispetto alle corrispettive diagnosi (mediana di fold change 2.6
verso 1.25). Nessun paziente ha acquisito de novo la fusione P2RY8-CRLF2 alla
ricaduta, mentre al contrario due pazienti positivi per il riarrangiamento alla diagnosi (non hiCRLF2) sono risultati negativi alla ricaduta. Questi dati suggeriscono che la delezione, sebbene abbia un
forte impatto prognostico, non sia una
lesione genetica primaria.
Conclusioni. Il riarrangiamento P2RY8CRLF2 e l’overespressione di CRLF2 rap-
presentano nuovi markers di prognosi
sfavorevole nella BCP-ALL pediatrica e
permettono di discriminare, tra i pazienti ad oggi classificati nel gruppo a rischio
intermedio, un sottogruppo di pazienti
che potrebbe trarre beneficio da una
terapia intensiva. Sarà poi necessario
verificare se tale variazione nella terapia
porterà ad un effettivo vantaggio in termini di guarigione a lungo termine.
TARGETING DELLA CELLULA STAMINALE LEUCEMICA MIELO IDE
MEDIANTE I MMUNOTERAPIA
ADO TTI VA: S VILUPP O DI UN
NUOVO RECETTO RE CH IMERICO
SPE CI FI CO PE R L’ANTIGENE CD123
S. Tettamanti,1 E. Cribioli,1 V. Agostoni,1
G.M.P. Giordano Attianese,1 I. Pizzitola,1
G. Vairo,2 A. Biondi,1 V. Marin,1*
E. Biagi1*
1Centro Ricerca “M.Tettamanti”, Clinica
Pediatrica, Università Milano Bicocca, ,
Monza, Italia; 2CLS Limited, Australia. *VM
ed EB condividono la last authorship
Introduzione. Le terapie attualmente utilizzate per la leucemia mieloide acuta
(AML) garantiscono una remissione
completa solo nel 30-50% dei pazienti; la
prognosi in casi di recidiva è sfavorevole, con una sopravvivenza inferiore al
40% dei pazienti trattati.1 Studi recenti
suggeriscono che l’insorgenza di recidiva potrebbe essere associata alla presenza di cellule staminali leucemiche (AMLLSC) resistenti ai trattamenti radio-chemioterapici in uso. Queste cellule sono
capaci di self-renewal come le normali
cellule staminali ematopoietiche (HSC) e
sembrano ricostituire il pool di progenitori leucemici.2 È quindi necessario lo
sviluppo di nuove terapie volte all’eliminazione delle AML-LSC. In questo contesto l’immunoterapia cellulare adottiva
offre una valida strategia che prevede la
modificazione genica di linfociti T con
recettori chimerici (CAR), molecole artificiali che permettono di re-indirizzare la
specificità delle cellule T verso un determinato antigene.3 Diversi studi rivolti
all’indagine di nuove molecole selettivamente espresse dalle AML-LSC hanno
evidenziato che la subunità α del recettore dell’interleuchina-3 (IL-3Rα, CD123) è
overespressa da tali cellule, ma non dalle
HSC, e che alti livelli di espressione di
tale molecola sono associati ad una prognosi sfavorevole ed ad una maggiore
resistenza all’apoptosi delle cellule leucemiche.4 Lo scopo di questo lavoro è
quindi quello di sviluppare un nuovo
recettore chimerico specifico per l’antigene CD123 per l’ingegnerizzazione di
cellule T effettrici, avvalendosi di due
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
diverse strategie di clonaggio che comportano la generazione di due recettori
con differente dominio extracellulare di
riconoscimento: la strategia classica che
prevede l’utilizzo di un anticorpo antiCD123 (CAR scFvCD123) e un nuovo
approccio definito “zetakine”che utilizza
il ligando del CD123, interleuchina-3
(CAR IL3)5.
Materiali e metodi. Il cDNA della scFv per
il CAR scFvCD123 è stato generato tramite PCR con oligonucleotidi specifici per
la catena pesante e leggera dell’anticorpo monoclonale anti-CD123 7G3 (fornito
da Gino Vairo, CLS Limited, Australia),
legate da un linker (GlySer)4; il cDNA
dell’IL-3 per la generazione del CAR IL3 è
stato invece ricavato dall’RNA totale di
cellule Jurkat stimolate con PHA. I cDNA
così ottenuti sono stati rispettivamente
clonati in sequenza al dominio CH2-CH3CD28tm-ζ nel vettore retrovirale SFG. Le
cellule CIK (Cytokine Induced Killer), utilizzate nel nostro studio come cellule T
effettrici, sono state quindi trasdotte con
i vettori retrovirali contenenti i CAR
scFvCD123 e IL3 e dopo 4 giorni è stata
valutata l’efficienza di trasduzione tramite analisi immunofenotipica dell’espressione dei CAR con l’anticorpo antihuman IgG coniugato con il fluorocromo
Cy5, specifico per la porzione extracellulare CH2-CH3 del CAR. L’attività citotossica delle cellule CIK trasdotte con i CAR è
stata quindi valutata attraverso saggi a
breve termine di rilascio di 51Cromo di 4
ore, e a lungo termine, mediante co-coltura delle cellule effettrici e delle cellule
target per 6 giorni su uno strato di cellule stromali mesenchimali senza IL-2 esogena contro diversi target cellulari esprimenti o meno l’antigene CD123.
Risultati. Le cellule CIK sono state efficientemente generate dal sangue periferico di donatori sani e trasdotte con i
CAR scFvCD123 e IL3 (espressione media
4 giorni dopo la trasduzione del CAR
scFvCD123, 46%±4%, n=3; espressione
media del CAR IL3, 60%±15%, n=9).
L’espressione dei due CAR è risultata stabile durante il periodo di coltura (21
giorni). Il processo di trasduzione non ha
comportato alterazioni delle proprietà
fenotipiche e funzionali naturali delle cellule CIK, che hanno mostrato al termine
del periodo di coltura un arricchimento
nella quota di cellule CD3+CD56+ paragonabile a quello osservato nella popolazione non manipolata (percentuale
media di cellule CD3+CD56+ 30%±11%,
35%±16% e 38%±13%, rispettivamente
per cellule CIK non trasdotte e trasdotte
con il CAR scFvCD123 e il CAR IL3); è
stato inoltre osservato un simile fenotipo memoria tra le due popolazioni di CIK
trasdotte e quelle non manipolate. Saggi
di citotossicità a breve termine effettuati
tramite rilascio di 51Cromo hanno evi-
[page 35]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
denziato che le cellule CIK esprimenti i
due diversi CAR sono molto efficaci in
termini di attività litica, rispetto alla controparte non manipolata, contro due
linee cellulari leucemiche esprimenti
l’antigene CD123: TH-P1 (lisi media ad
una ratio Effettore:Target -E:T- di 20:1
pari a 66%±5%, n=3 e 64%±17%, n=8
rispettivamente per le cellule CIK esprimenti il CAR scFvCD123 e il CAR IL3, contro una lisi media delle cellule CIK non
trasdotte di 16%±7%, n=10, P<0,05) e TF1 (lisi media ad una ratio E:T di 20:1 pari
a 53%±15%, n=3 e 71%±26%, n=9 rispettivamente per le cellule CIK esprimenti il
CAR scFvCD123 e il CAR IL3, contro una
lisi media delle cellule CIK non trasdotte
di 30%±13%, P<0,05). Tali CAR non sono
attivi contro la linea cellulare CEM, che
non esprime l’antigene CD123, mostrando valori di lisi simili alla controparte
non manipolata. Per confermare la specificità d’azione dei CAR per CD123 abbiamo testato le cellule CIK esprimenti CAR
anti-CD123 contro la linea cellulare CEM
modificata geneticamente in modo da
esprimere artificialmente l’antigene
CD123; abbiamo dimostrato così che
CAR scFvCD123 e CAR IL3 sono funzionali esclusivamente verso cellule esprimenti tale antigene (lisi media ad una ratio
E:T di 20:1 pari a 68%±5%, n=3 e 74%±6%,
n=6 per le cellule CIK esprimenti il CAR
scFvCD123 e il CAR IL3, contro una lisi
media delle cellule CIK non trasdotte di
44%±6%, n=6, P<0,05). Nei saggi di citotossicità a lungo termine la co-coltura di
cellule effettrici con cellule target su uno
strato di cellule stromali mesenchimali
permette di mimare quanto più possibile
il microambiente midollare, nel quale le
cellule effettrici devono agire contro un
numero elevato di cellule leucemiche. In
questo contesto è stata ulteriormente
accertata la potente e specifica attività
citotossica delle cellule CIK esprimenti i
CAR anti-CD123. In particolare, è stata
osservata una sopravvivenza media di
cellule leucemiche TF-1 co-coltivate con
cellule CIK esprimenti il CAR scFvCD123
e il CAR IL3 rispettivamente del 4%±3% e
del 3%±2%, in confronto a valori medi di
sopravvivenza di cellule TF-1 co-coltivate con cellule CIK non manipolate pari a
79±30% (ratio 10:1, n=4, P<0,05).
Conclusioni. Questi risultati preliminari
indicano che l’espressione di recettori
chimerici anti-CD123 è in grado di potenziare notevolmente l’attività antileucemica delle cellule CIK. Ulteriori studi sono
tuttavia necessari per accertare la capacità dei CAR anti-CD123 di discriminare
tra le AML-LSC e le HSC e per valutare la
potenziale tossicità di tali CAR verso altri
sottotipi cellulari esprimenti l’antigene
CD123.
[page 36]
Bibliografia
1. Estey, Lancet, 368(9550):1894-907, 2006
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5. Kanwarpal S. Kahlon, Cancer Res, 64;
9160, 2004
LEUCAFERES I P ER FOTOCH EMIOTERAPIA E XTRACORPO REA IN UNA
PO POLAZI ONE PEDI ATRICA:
VERIFICA DELL’EFFICIENZA DELLE
PROCEDURE
C. Bettin,1 M. Fantinato,2 P. Marson,1
T. Tison,1 E. Calore,2 M. Pillon,2
B. Buldini,2 M. Tumino,2 C. Messina,2
G. De Silvestro1
1UOC
2UOC
Immunotrasfusionale,
Oncoematologia Pediatrica, Azienda
Ospedale Università di Padova, Italia
Introduzione. La fotochemioterapia
extracorporea (ECP) è una procedura
aferetica spesso utilizzata nel trattamento della Graft versus Host Disease
(GvHD), con buoni risultati sia nella
forma acuta che cronica.1 Anche in ambito pediatrico questo trattamento viene
oggi sempre più applicato, soprattutto
come terapia di seconda linea della
GvHD acuta.2,3 La procedura può essere
effettuata con due differenti metodiche:
la tecnica “on-line” (Therakos, Inc.) e
quella “off-line”.4 Quest’ultima, in uso
presso la nostra Unità Operativa, si articola sostanzialmente in tre fasi sequenziali: leucaferesi, aggiunta al concentrato
leucocitario (CL) ottenuto di 8-metossipsoralene (8-MOP), irradiazione del CL
con raggi UV-A per consentire la fotoattivazione dell’8-MOP dentro le cellule. Le
cellule così trattate vengono poi reinfuse
al paziente. Alcune fasi operative di questa complessa procedura non godono
ancora di una precisa standardizzazione,
e ciò per la variabilità di diversi fattori
che possono influenzarla e che potrebbero essere cruciali per l’efficacia del trattamento. Ad oggi non è stato dimostrato
che il numero di cellule mononucleate
(MNC) trattate sia correlato con il risultato clinico,5 anche se la cellularità stessa del CL è tanto più elevata quanto maggiore è l’efficienza della procedura aferetica. Ci siamo quindi proposti di effettuare un controllo di qualità delle leucaferesi calcolando la frazione di estrazione di
MNC e mettendola in relazione con alcune variabili: il tipo di popolazione sottoposta al trattamento (pazienti pediatrici
od adulti), il separatore cellulare utilizzato, l’operatore che ha effettuato la procedura di raccolta.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Materiali Metodi. Lo studio, di tipo retrospettivo, è stato condotto selezionando
144 sedute di leucaferesi (separatore cellulare Cobe Spectra, Caridian BCT, programma MNC versione 4.7) effettuate nel
periodo 2006-2010 in pazienti pediatrici
con GvHD acuta (n=12, età media 9 anni,
peso medio 34 kg) e, per confronto,
altrettante sedute effettuate in pazienti
adulti (n=17, età media 50 anni, peso
medio 76 kg), affetti da GvHD (n=5), rigetto di trapianto d’organo solido (n=6) e
linfoma T cutaneo (n=6). L’esame emocromocitometrico (sistema ematologico
Advia 120, Medical Siemens) è stato effettuato sul paziente prima della procedura
e sul CL. Per ogni seduta di leucaferesi
sono stati registrati, su un foglio Excel, i
seguenti parametri: emocromo basale e
del CL, volume di sangue processato,
volume del CL, flusso medio della procedura, tipo di separatore utilizzato ed
operatore addetto alla raccolta aferetica.
L’efficienza della procedura è stata valutata calcolando la frazione di estrazione
delle cellule MNC secondo la seguente
formula: numero di MNC del CL/numero
di MNC processate, considerando al
numeratore la conta di MNC del CL per il
suo volume ed al denominatore la conta
basale di MNC per il volume di sangue
trattato al netto dell’anticoagulante
(ACD-A) infuso durante la sessione aferetica. L’analisi statistica è stata condotta
mediante il t- test di Student e l’analisi
della varianza ad un criterio di classificazione.
Risultati. La frazione di estrazione delle
cellule MNC (efficienza della procedura)
è stata significativamente maggiore nei
pazienti pediatrici rispetto a quelli adulti
(0.74 ± 0.56 vs 0.40 ± 0.17, P<0,001).
Differenziando l’efficienza della procedura fra i diversi separatori cellulari, non
sono emerse variazioni significative in
entrambe le popolazioni studiate, anche
se nella popolazione pediatrica uno dei
quattro separatori cellulari da noi utilizzati ha dimostrato una tendenza verso
una maggiore efficienza media, risultata
pari a 0.97, rispetto agli altri, attestati su
valori intorno allo 0.70. Confrontando
l’efficienza di raccolta delle cellule MNC
a seconda dei sei operatori abilitati ad
effettuare la procedura, non si sono
osservate differenze significative, anche
se nei pazienti pediatrici la distribuzione
dell’efficienza è stata più ampia, variando da un minimo di 0.53 ad un massimo
di 0.85.
Discussione Conclusioni. I risultati da noi
ottenuti dimostrano una netta differenza
di efficienza nelle procedure eseguite nei
pazienti pediatrici rispetto a quelle nei
pazienti adulti. In primo luogo ciò
potrebbe essere imputabile alle diverse
condizioni per le quali i pazienti venivano avviati al trattamento con ECP, tali da
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
comportare emocromi basali differenti.
La popolazione pediatrica era infatti
costituita da pazienti con GvHD acuta
post-trapianto di cellule staminali ematopoietiche, nella quale la procedura di
ECP veniva iniziata precocemente una
volta dimostrata la refrattarietà o la
dipendenza della GvHD al trattamento
convenzionale con steroide. L’emocromo
basale di questi pazienti presentava
quindi un numero di leucociti piuttosto
basso. La popolazione adulta era invece
costituita per circa il 30% da pazienti con
linfoma T cutaneo, quindi con un numero di leucociti circolanti più elevato e differente anche da un punto di vista morfologico, trattandosi in parte di cellule di
Sézary con caratteristiche atipiche. Si
può pertanto ipotizzare che la patologia
per la quale i pazienti venivano sottoposti a ECP sia stato un fattore influente
sull’efficienza delle procedure, dato che
questa è in qualche modo correlata con
le caratteristiche di sedimentazione
delle cellule nella camera di centrifugazione del separatore cellulare. In secondo luogo, la differenza di efficacia delle
procedure aferetiche nei pazienti pediatrici rispetto a quelli adulti potrebbe
esser dovuta alle diverse modalità operative applicate nelle due popolazioni. Nei
pazienti pediatrici si utilizzano flussi
mediamente più bassi e, in caso di soggetti di basso peso (< 25 kg), si provvede
al riempimento preliminare del circuito
con emazie concentrate oppure con
soluzione d’albumina al 4%, per evitare il
rischio di ipovolemia causata da un volume di sangue in circolazione extracorporea eccessivamente elevato. Inoltre nei
pazienti pediatrici spesso l’anticoagulazione viene effettuata con eparina sodica
+ ACD-A in un rapporto variabile fra 1:20
e 1:30, per ridurre il sovraccarico di liquidi. Si tratta, in definitiva, di condizioni
operative decisamente differenti che
quindi possono, perlomeno in parte, rendere ragione delle differenze di efficienza
da noi rilevate. L’aver osservato una
migliore efficienza nelle procedure
pediatriche, condotte nella quasi totalità
dei pazienti utilizzando come accesso
vascolare un catetere venoso centrale
(CVC) a due vie, dimostra anche che il
CVC è un ottimo presidio per la qualità
della procedura, e quindi non rappresenta una sorta di “seconda scelta” rispetto
alle vene periferiche. Ancora, non sono
state riscontrate sostanziali differenze di
efficienza a seconda dei singoli operatori
addetti alla procedura e dei singoli separatori cellulari utilizzati, e ciò starebbe
ad indicare che vi è una preparazione
omogenea dell’intero team infermieristico e che l’interazione di questo con i
diversi strumenti è nel complesso soddisfacente. Lo studio potrebbe essere il
presupposto di ulteriori indagini, intese
a correlare parametri di laboratorio e
valutazioni cliniche sull’esito della terapia con ECP, in particolare valutare se
esiste una correlazione fra numero di cellule MNC processate ed outcome clinico.
Bibliografia
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L’INIBIZI ONE DI AMPK INDUCE
APOP TO SI MITOCONDRIALE NELLE
BCP-ALL CON RIARRANGIAMENTO
DEL GENE MLL
B. Accordi,1 L. Galla,1 G. Milani,1
M. Curtarello,2 G. Viola,1 G. te Kronnie,1
S. Indraccolo,2 G. Basso1
1Laboratorio
di
Oncoematologia
Pediatrica, Università degli Studi di
Padova, Padova, Italia, 2Immunologia e
Diagnostica Molecolare Oncologica,
Istituto Oncologico Veneto, IRCSS, Padova,
Italia
Introduzione. AMPK (AMP-activated protein kinase) è una serina/treonina chinasi che viene attivata in condizioni di elevati livelli di AMP e bassi livelli di ATP,
inibendo processi metabolici che consumano ATP come la glicolisi e l’ossidazione degli acidi grassi. A valle della sua
attivazione, determinata dalla fosforilazione della subunità α in treonina 172 da
parte di LKB1, vengono fosforilati altri
enzimi chiave del metabolismo cellulare
e vengono regolati importanti processi
cellulari tra cui crescita, proliferazione e
apoptosi.1 Nel cancro il ruolo svolto da
AMPK non è ancora chiaro, in seguito
alla sua attivazione sono riportati in letteratura sia effetti pro-apoptotici che
anti-apoptotici. Abbiamo recentemente
descritto2 nelle BCP-ALL (B-Cell
Precursor-Acute
Lymphoblastic
Leukemia) con riarrangiamento del gene
MLL l’iperattivazione del pathway che da
LKB1 e AMPK fosforilati, attraverso l’attivazione di eNOS (endothelial Nitric
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Oxide Synthase), porta alla fosforilazione di BCL-2. In seguito a trattamento con
un inibitore specifico di AMPK, il
Compound C, abbiamo dimostrato che
anche i target a valle nel pathway vengono defosforilati, provando la relazione
diretta tra queste proteine e sottolineando quindi il ruolo cruciale di AMPK nell’attivazione di questa via di segnalazione cellulare. Nello studio di seguito
descritto è stato analizzato in dettaglio
l’effettivo ruolo di AMPK nel sostenere la
sopravvivenza delle cellule di BCP-ALL
MLL-riarrangiate, valutando se esso
possa rappresentare un nuovo target
terapeutico.
Materiali Metodi. È stato testato mediante analisi in vitro l’effetto del Compound
C sulla sopravvivenza di linee cellulari di
BCP-ALL con riarrangiamento del gene
MLL (SEM e RS4;11) e non traslocate
(MHH-CALL-2 e MHH-CALL-4). Sono stati
determinati tramite saggio di proliferazione cellulare (MTT) il GI50 (Growth
Inhibition50) e tramite analisi citofluorimetrica di Annessina V-PI l’LC50 (Letal
Concentration50) per ciascuna linea, allo
scopo di stabilire la diversa sensibilità
all’inibitore e determinare le condizioni
ottimali di trattamento per studiare le
caratteristiche dell’apoptosi indotta dall’inibizione di AMPK. All’LC50 abbiamo
testato la depolarizzazione del potenziale mitocondriale con la sonda JC-1, la
produzione di radicali liberi dell’ossigeno, l’attivazione di proteine pro-apoptotiche (tramite citofluorimetria, western
blot e immunofluorescenza), la frammentazione del DNA e il ciclo cellulare. Gli
effetti del Compound C sono stati di
seguito studiati anche in colture primarie di pazienti leucemici MLL-riarrangiati
e non traslocati.
Risultati. Dopo aver verificato l’iperattivazione del pathway di AMPK nelle linee
MLL-riarrangiate e la sua inattivazione
nelle linee non traslocate, le cellule sono
state trattate con Compound C a diverse
concentrazioni (0.001 µM-100µM) per
diversi tempi (6-96ore). Le linee MLLriarrangiate sono risultate essere molto
più sensibili all’inibizione di AMPK
rispetto alle linee non traslocate. Il GI50
a 48ore è infatti 0.16µM per le SEM, 3.2
µM per le RS4;11, 25.7µM e 19.1µM per le
linee non traslocate. Inoltre anche l’induzione di apoptosi è molto più importante
nelle linee MLL-riarrangiate, l’LC50 a
48ore infatti risulta 7.5 µM per le SEM, 8.5
µM per le RS4;11, 37.5 µM per le MHHCALL-2 e 31.4 µM per le MHH-CALL-4.
Lo studio del ciclo cellulare ha evidenziato nelle cellule MLL-riarrangiate un iniziale blocco in fase G2/M a 24ore di trattamento (Compound C 8 µM -LC50-)
prima dell’induzione di apoptosi. Sono
state quindi studiate le caratteristiche
dell’apoptosi indotta dal Compound C
[page 37]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
nelle cellule MLL-riarrangiate ed essa è
risultata essere di tipo mitocondriale. È
stata osservata a 24ore la depolarizzazione del potenziale mitocondriale associata alla produzione di radicali liberi dell’ossigeno, in particolare dell’anione
superossido. Inoltre c’è evidenza a 48ore
della diminuzione della proteina antiapoptotica BCL-XL e del rilascio nel citoplasma del Citocromo c. Il rilascio del
Citocromo c porta all’attivazione della
Caspasi-9 che a sua volta attiva le
Caspasi effettrici -3 e -7, che processano
PARP rendendolo non più in grado di
riparare il DNA in modo efficace. Nelle
cellule MLL-riarrangiate è stata osservata a 48ore l’attivazione delle Caspasi-3, -7
e -9, e a 72ore l’inattivazione di PARP e la
conseguente frammentazione del DNA. A
conferma di questi dati, non sono stati
osservati aumenti né di FAS né di FAS-L e
le cellule non risultano differenziare in
seguito al trattamento. Il trattamento
con Compound C di blasti primari di 10
pazienti pediatrici affetti BCP-ALL (5
MLL-riarrangiati e 5 non traslocati) ha
confermato quanto osservato nelle linee
cellulari. Le cellule dei pazienti MLL-riarrangiati vanno in apoptosi in seguito ad
inibizione di AMPK significativamente di
più rispetto a quelle dei pazienti non traslocati.
Conclusioni. Questi risultati dimostrano
che l’attivazione di AMPK svolge un
ruolo chiave nel sostenere la proliferazione delle cellule leucemiche di BCPALL MLL-riarrangiate. L’inibizione di
AMPK è in grado infatti di indurre diminuzione della proliferazione, arresto del
ciclo cellulare e apoptosi di tipo mitocondriale. AMPK può quindi rappresentare un nuovo potenziale target terapeutico per questi pazienti a cattiva prognosi. Questi risultati inoltre suggeriscono
che inibitori dell’AMPK potrebbero essere considerati per studi più approfonditi
come nuove opzioni terapeutiche per i
pazienti BCP-ALL con riarrangiamento
del gene MLL.
Bibliografia
1. Hardie DG, Hawley SA, Scott JW. AMPactivated protein kinase--development
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[page 38]
CARATTERIZZAZIONE BIO-MOLECOLARE ED ISTO-PATOLO GICA DEL
NE URO BLASTO MA (NB) NEGLI
ADOLES CENTI E NEI GIO VANI
ADULTI (AYA).
K. Mazzocco,1,2 R. Defferrari,1,2
A.R. Sementa,1 A. Garaventa,3 F. Negri,1
L. Longo,2,4 M. Conte,3 C. Gambini1
G.P. Tonini2,4
1Unità
Operativa di Anatomia Patologica,
Istituto G. Gaslini , 2Fondazione Italiana
per la Lotta al Neuroblastoma, 3Dipartimento di Ematologia-Oncologia, Istituto G.
Gaslini, 4S.S. Oncopatologia Traslazionale, Istituto Nazionale per la Ricerca sul
Cancro (IST), Genova, Italia
Introduzione. Circa il 3% dei neuroblastomi si manifesta negli adolescenti (diagnosi >10 anni) con una malattia caratterizzata da un decorso indolente e spesso fatale. Abbiamo studiato il profilo genetico e
le caratteristiche isto-patologiche di 34
adolescenti arruolati nel Registro Italiano
Neuroblastoma tra il 1979 e il 2010.
Materiali e Metodi. Di 3.023 pazienti (pts)
con NB, 151 sono stati classificati come
AYA. È stato possibile eseguire le analisi
molecolari mediante Multiplex Ligationdependent Probe Amplification (MLPA)
su 34 tumori e 28/34 sono stati esaminati
secondo la Classificazione Internazionale
di Patologia (INPC).
Risultati. L'età media alla diagnosi era di
172 mesi (120-214), 21 casi con NB metastatico e 13 localizzato. Secondo la classificazione INPC, 24/28 tumori erano NB e
4/28 GNB nodulari. L’indice mitotico
carioressico è stato testato in 16 tumori
ed è risultato elevato, intermedio e basso
in 4, 4 e 8 casi, rispettivamente. Le
Alterazioni Cromosomiche Strutturali
(SCA) sono state osservate in 29 tumori
(85%). L’oncogene MYCN è risultato
amplificato in 3 casi; 4 casi hanno evidenziato 2p gain (inclusi i geni NAG, DDX1 e
ALK), mentre 2 casi hanno riportato il
gain solo di MYCN. Le maggiori SCA
osservate erano: 1p imbalance (55%), 17q
gain (48%), 11q loss (34%), 9p loss (32%),
7q gain (17%), 3p loss (14%) e 4p loss
(7%). La ploidia è stata eseguita in 21 casi
(10 diploidi/tetraploidi, 11 aneuploidi).
L’analisi delle mutazioni del gene ALK ha
mostrato che 4/25 casi (16%) presentavano una mutazione a carico del gene. In
particolare in due pazienti in stadio localizzato abbiamo osservato la mutazione
R1275Q mentre in 2 casi in stadio metastatico 4 abbiamo identificato, rispettivamente la mutazione F1174C e la F1174L.
Attualmente i pazienti in RC sono 10, 13
sono vivi con malattia e 11 (tutti in stadio
4) sono morti per malattia.
Conclusioni preliminari. Il presente studio
rappresenta il primo approccio multigenomico per identificare un profilo
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
genetico degli AYA nel NB. Abbiamo confermato la bassa incidenza dell’amplificazione di MYCN e abbiamo osservato una
elevata frequenza di 17q gain, 1p, 11q e
9p loss indipendentemente dallo stadio.
Quest’ultima è stata trovata in una più
alta percentuale di tumori rispetto ai casi
di NB osservati tra 0 e 10 anni (32% vs
20%). La delezione 11q era presente in 8
tumori di pts in stadio 4 senza l’amplificazione di MYCN, 6 dei quali deceduti, suggerendo un possibile ruolo della delezione 11q nella progressione del tumore. Il
17% dei tumori AYA ha mostrato 7q gain:
in questa regione sono localizzati geni
coinvolti nella resistenza ai farmaci e
questo potrebbe spiegare la scarsa risposta alla chemioterapia negli adolescenti.
Infine la maggiore presenza di mutazioni
di ALK rispetto alla popolazione dei NB
sporadici non AYA (6% verso 16%) può
suggerire, anche se i campioni analizzati
sono limitati, un ruolo di ALK nella progressione del tumore e indicare un possibile trattamento di questi pazienti con
inibitori di ALK. Questi dati preliminari
devono essere ulteriormente approfonditi in una più ampia serie di pazienti.
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PROGETTO DI RICERCA: GE NERAZI ONE DI MO DE LLI IN VIVO PER
L’IDENTIFICAZIONE E LO STUDIO
DI CLONALITÀ DELLE CELLULE
STAMI NALI LEUCEMICHE NELLA
LAL INFANT MLL-AF4 PO SITIVA
M. Bardini,1*, L. Corral,1 P.Woll,2
L.Wittman,3 A. Biondi,1 S.E. Jacobsen2-,3
G. Cazzaniga1
1Fondazione
M. Tettamanti, Ospedale S.
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Gerardo, Università Milano-Bicocca,
Monza Italia. 2Wetherall Istituite for
Molecular Medicine, Oxford University,
Oxford UK. 3Stem Cell Center Lund
University, Lund Sweden
Introduzione. La Leucemia Acuta
Linfoblastica (LAL) ad insorgenza nel
primo anno di vita (LAL infant) con riarrangiamento del gene MLL rappresenta
la forma prevalente in età neonatale (012 mesi), ed è purtroppo una malattia
molto aggressiva, con prognosi infausta,
che in Italia colpisce circa 10-12 nuovi
nati all’anno. La presenza della traslocazione t(4;11), con espressione del prodotto di fusione MLL-AF4, costituisce la
forma più frequente di LAL infant e per
molti aspetti rappresenta una malattia
unica dal punto di vista biologico e clinico, diversa dalle altre forme di leucemia
dell’età pediatrica e adulta. Il nostro
gruppo ha contribuito a dimostrare che
la LAL infant MLL-AF4 positiva ha la
peculiarità di essere caratterizzata dalla
presenza di molteplici cloni (identificabili da uno specifico riarrangiamento dei
geni Ig/TCR) già all’esordio di malattia.
Inoltre, è stato frequentemente osservato nei pazienti che la composizione clonale della leucemia può evolvere durante
il decorso clinico della malattia.1,2
Secondo l’ipotesi della “cellula staminale
tumorale” ogni tumore è generato e
sostenuto da un ristretto gruppo di cellule, capaci di auto-rinnovarsi e dare origine al tumore in vivo. Lo scopo del nostro
studio è mettere a punto un modello animale per isolare e caratterizzare le “cellule staminali leucemiche” (LSCs) nella
LAL infant MLL-AF4 positiva, e studiarne
l’evoluzione clonale in vivo. Considerando l’elevata mortalità, l’alto rischio
di ricaduta, la prognosi infausta di questo tipo di leucemia, il presente studio è
di particolare importanza per comprendere i meccanismi alla base dell’insorgenza e progressione della malattia e le
ragioni della scarsa efficacia delle attuali
terapie antitumorali nei pazienti.
Materiali Metodie obbiettivi specifici. Il
modello sperimentale d’elezione per
identificare le LSCs è lo xeno-trapianto in
vivo di blasti leucemici in topi immunocompromessi irradiati, capaci di accettare cellule umane senza rigettarle e permetterne l’attecchimento. Per identificare tali cellule abbiamo inoculato nella
vena della coda dei topi NOD/SCID diverse sottopopolazioni midollari purificate
tramite sorting sulla base dell’ espressione di specifici marcatori di superficie
(CD19, CD34 e NG2) da campioni diagnostici di pazienti LLA infant MLL-AF4 positivi. Nello specifico, ci siamo proposti di
caratterizzare le LSCs infant tramite FISH
e analisi immunofenotipica dell’engraftment negli xenotrapianti, e studiare la
clonalità delle LSCs tramite lo studio dei
riarrangiamenti dei geni Ig/TCR in RQPCR per valutarne la dinamica di evoluzione clonale nei pazienti e nei trapianti
seriali.
Risultati. L’analisi dell’engraftment nei
topi trapiantati ha dimostrato che solamente il compartimento di linfociti B
CD19+ contiene LSCs, mentre le cellule
CD19- non sono leucemogeniche. Inoltre,
all’interno di tale frazione cellulare
CD19+, diverse sottopopolazioni (CD34+
e CD34-, NG2+ e NG2-) sono capaci di dar
origine alla leucemia in vivo, benché con
diversa latenza e potenza di engraftment.
Lo studio in PCR dei riarrangiamenti dei
geni Ig/TCR in 4 pazienti infant ha evidenziato l’esistenza di molteplici cloni indipendenti, ciascuno dei quali è capace di
iniziare e sostenere la malattia nei topi
trapiantati. Analizzando la dinamica dell’evoluzione clonale tramite trapianti
seriali in topi secondari/terziari abbiamo
osservato che alcuni cloni dominanti alla
diagnosi persistono in vivo; altri invece
si riducono, per poi estinguersi definitivamente o riemergere tardivamente;
viceversa, altri cloni minori, che erano
quiescenti alla diagnosi o in topi primari,
possono riattivarsi e diventare dominanti dopo vari passaggi seriali successivi.
Inoltre, in 2 casi abbiamo rilevato l’esistenza di “nuovi” cloni emergenti nei topi
trapiantati, che non erano stati precedentemente identificati alla diagnosi.
Tuttavia, tramite lo studio retrospettivo
del campione diagnostico del paziente,
abbiamo dimostrato che tali cloni erano
di fatto già presenti, benché cloni minori,
nel campione midollare all’esordio.
Conclusioni. In conclusione, nel nostro
studio abbiamo dimostrato che l’espressione del marcatore di superficie CD19
identifica le cellule staminali leucemiche
nella LAL infant MLL positiva, indicando
la probabile origine della malattia da un
precursore linfoide B precoce CD19+,
piuttosto che da una cellula staminale
immatura. Queste nuove evidenze sono
in disaccordo con gli studi precedenti
che supportano il modello stocastico di
insorgenza della LAL infant MLL-AF4
positiva.3 Inoltre, in linea con i recenti
dati ottenuti su diversi tipi di LAL pediatrica3-5, i nostri risultati suggeriscono
che la popolazione di LSCs non possa
essere confinabile in un unico compartimento midollare (identificabile con un
singolo fenotipo specifico), ma piuttosto
sembra essere molto più eterogenea di
quanto si pensasse, sia dal punto di vista
fenotipico che clonale. I nostri dati sono
in disaccordo con l’ipotesi dell’esistenza
di una gerarchia nella LSC, e implicano
che un intervento terapeutico mirato ad
un ristretto sottogruppo cellulare risulta
essere un approccio inefficace per eradi-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
care la malattia. Infine, la marcata oligoclonalità e “selezione/competizione clonale” tra diversi subcloni coesistenti
nella leucemia generata nei topi trapiantati, oltre a riflettere fedelmente ciò che
si osserva nei pazienti durante il decorso
naturale della malattia, potrebbe rappresentare una delle potenziali cause dell’
aggressività della LAL infant e dell’inefficacia terapeutica.
Bibliografia
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AREA TEMATICA: LEUCEMIE ACUTE
RAPIDA ANALIS I DI MUTAZIO NE
CON NE XT GENERATIO N S EQUENCING TECHNI QUE: L’”HO T-S POT“
DI DNMT3A È MUTATO NEI
P AZI ENTI ITALIANI ADULTI LAM E
NON È MUTATO NEI PAZIENTI ITALI ANI PEDIATRICI L AM E LAL-T
M. Paganin,1 M. Pigazzi,1 S. Bresolin,1
R. Masetti,2 F. Fagioli,3 D. Diverio,5
S. Chiaretti,5 F. Locatelli,4 A. Pession,2
G. Te Kronnie,1 G. Basso1
1Dipartimento
di Pediatria, Laboratorio di
Oncoematologia, Università di Padova,
Italia; 2Dipartimento di Pediatria, “Lalla
Seràgnoli”, Unità di Oncoematologia,
Università di Bologna, Italia; 3Oncoematologia Pediatrica, Divisione trapianto di
cellule staminali e di terapia cellulare,
Ospedale Pediatrico Regina Margherita,
Torino, Italia, 4Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica. IRCCS Ospedale
Bambino Gesù, Roma, Italia; 5Divisione di
Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università
di Roma “Sapienza”, Italia
Introduzione. Le DNA metiltransferasi
DNMT3A e DNMT3B, catalizzano la metilazione de novo delle isole CpG, che sono
[page 39]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
ripetizioni di nucleotidi spesso presenti
nelle regioni promotoriali dei geni.1 Si
ipotizza che un’anomala metilazione del
DNA contribuisca alla patogenesi dei
tumori.2 Il ri-sequenziamento dell’intero
genoma dei blasti di due pazienti adulti
affetti da leucemia acuta mieloide (LAM)
ha permesso di identificare una mutazione frameshift nel gene DNMT3A. In un
successivo screening effettuato su una
coorte di 281 pazienti adulti LAM,
DNMT3A è stato trovato mutato in 62
pazienti (22.1%), dove 37 pazienti su 281
(13%) portava la mutazione all’aminoacido (aa) R882.2 È stato dimostrato che
l’attività catalitica della proteina
DNMT3A mutata all’aa R882 è ridotta se
confrontata a quella della proteina wildtype.3-4 Abbiamo analizzato lo stato
mutazionale dell’esone 23 di DNMT3A,
dove si localizza l’hot-spot aa R882, in
284 pazienti italiani affetti da leucemia
acuta, in particolare 94 pazienti pediatrici affetti da leucemia acuta mieloide
(LAM), 170 pazienti pediatrici affetti da
leucemia acuta linfoide (LAL) a cellule T
e 20 pazienti adulti affetti da LAM.
Metodi. Abbiamo utilizzato il Genome
Sequencer Junior con tecnologia 454 con
il disegno sperimentale Universal Tailed
Amplicon Sequencing che permette di
sequenziare rapidamente lo stesso
amplicone in molti pazienti. Abbiamo
preparato la libreria eseguendo due specifiche reazioni di PCR, la prima con primers DNMT3A target-specifici fusi con la
sequenza M13 come universal-tail. Su
questa PCR abbiamo eseguito una seconda PCR con primers specifici per l’universal-tail fusi con la sequenza dei 454
Sequencing System primers e la sequenza MID, nucleotidi identificatori del
paziente. Abbiamo eseguito tre corse del
Genome Sequencer Junior.
Risultati. Abbiamo ottenuto 271253
sequenze allineate con l’esone 23 del
DNMT3A. In media il numero di sequenze
per paziente è 965±446, per 281 su 284
(98.9%) pazienti. In nessun paziente
pediatrico abbiamo trovato mutazioni di
DNMT3A all’esone 23. Abbiamo trovato
3/20 (15%) pazienti adulti affetti da LAM
mutati. Due pazienti hanno la mutazione
R882H e un paziente invece porta la
mutazione R882P. Le sequenze mutate
sono state trovate nei tre pazienti con
una frequenza media del 46.16±2.9%.
Abbiamo confermato la presenza delle
mutazioni con il metodo di Sanger.
Conclusioni. Il gene DNMT3A non sembra
essere mutato nei pazienti pediatrici con
leucemia acuta linfoblastica T e mieloide. Abbiamo invece confermato la presenza di mutazioni negli adulti LAM
anche sui pazienti italiani2. La tecnica di
Next Generation Sequencing utilizzata si
è dimostrata veloce e solida. Con questa
stessa tecnica vogliamo studiare le muta-
[page 40]
zioni del gene DNMT3B alla posizione
R823 che è probabilmente l’aminoacido
corrispondente a R882 della DNMT3A4.
Bibliografia
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AREA TEMATICA:
NE URO BLASTO MA ALTERAZIO NI
GENO MICHE ETÀ-DIP ENDENTI E
DEREGOLAZIO NE DEI GENI DEL
CICLO CE LLULARE E DELLE TELEMORASI NEL NEUROBLASTOMA
METASTATICO.
S. Coco,1 S. Stigliani,1 P. Scaruffi,2
F. Valdora,3 J. Theissen,4 S. Moretti5-6
A. Oberthuer,4 M. Fischer,4 F. Gallo,7
S. Bonassi,8 F. Berthold4 and G.P. Tonini1
1Oncopatologia Traslazionale, 7Epidemiologia Molecolare, Istituto Nazionale per la
ricerca sul Cancro (IST), Genova; 2Centro
di Fisiopatologia della Riproduzione
Umana, Ospedale "San Martino", Genova;
3Dipartimento di Oncologia, Biologia
Genetica (DOBiG), Università di Genova;
4Department
of Pediatric Oncology,
University Children’s Hospital Cologne,
Cologne, Germania, 5-6CNRS, UMR7024 Université Paris-Dauphine, Lamsade,
Parigi, Francia; 8Epidemiologia Clinica e
molecolare, IRCCS San Raffaele Pisana,
Roma.
Introduzione. Il Neuroblastoma (NB) è un
tumore pediatrico aggressivo del sistema nervoso simpatico responsabile di
almeno il 15% di tutti i decessi oncologiche in pediatria.1 Circa la metà dei
pazienti presenta, alla diagnosi, un tumore metastatico e l’andamento clinico è
fortemente influenzato dall’età del
paziente. Nei pazienti sotto l’anno di età
(stadio 4S) il tumore può regredire spontaneamente mentre nei pazienti più vecchi di un anno (stadio 4), l’aggressività
del tumore è tale da portare a una prognosi infausta con una sopravvivenza
che non supera il 35% a 5 anni dalla diagnosi, nonostante una terapia intensiva.
L’aggressività del NB è, inoltre, associata
all’amplificazione dell’oncogene MYCN.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Recentemente alcuni studi hanno dimostrato che pazienti in stadio 4 con età
compresa tra 12-18 mesi e MYCN in singola copia, presentano una prognosi
paragonabile a quelli degli infant.2
Basandosi su queste osservazioni
l’International Neuroblastoma Risk
Group (INRG) ha proposto una nuova
classificazione di rischio innalzando il
limite di età da 12 a 18 mesi al fine di evitare ai pazienti alti dosi di chemioterapia. Nell’ultimo decennio è stato proposto di utilizzare le non-random Copy
Number Aberrations (CNAs) tra cui la
perdita dei cromosomi 1p, 11q, il guadagno del 17q3 e le signature di espressione
geniche4 per meglio predire la prognosi
del paziente. La maggior parte degli studi
indicano, infatti, che l’andamento di
malattia è dipendente dall’età del paziente, dalla presenza delle alterazioni genomiche e della deregolazione dell’espressione genica. Nel presente studio abbiamo eseguito l’analisi del genoma e del
trascrittoma in tre gruppi di tumori
metastatici selezionati in base all’età del
paziente, allo stadio e all’andamento
della malattia al fine di chiarire la correlazione tra l’età del paziente e le alterazioni genetiche del tumore.
Materiali e metodi. Sono stati analizzati 3
gruppi di pazienti con NB metastatico:
G1: pazienti in stadio 4S, MYCN singola
copia; G2: pazienti in stadio 4, con età ≤
18 mesi, MYCN singola copia, senza progressione di malattia entro 3 anni dalla
diagnosi; G3: pazienti in stadio 4, età > 19
mesi e prognosi sfavorevole caratterizzata da progressione e morte per malattia
entro 3 anni dalla diagnosi. L’analisi del
genoma è stata eseguita su 133 NB (G1:
49; G2: 37 G3: 47) utilizzando microarray
ad oligonucleotidi 44K o 105K (Agilent
Techologies). I profili di espressione
genica sono stati analizzati in 142 tumori
(G1: 60; G2: 30; G3: 52) utilizzando una
piattaforma custom 11K ad oligonucleotidi contenente 10.163 probe che codificano per 8.155 geni.5
Resultati. L’analisi del genoma ha dimostrato una rilevante differenza delle alterazioni cromosomiche tra i 3 gruppi; G1
era prevalentemente caratterizzato da
guadagni e perdite di interi cromosomi;
G2 mostrava CNAs sia numeriche che
strutturali, infine il 17% dei casi di G3
mostrava solo alterazioni strutturali
mentre 83% aveva entrambi i tipi di alterazioni. È stata osservata una diminuzione significativa (P<0.05) del numero
medio di CNA numeriche, da G1(9,6) a
G2(7,2) a G3(3,6), al contrario il numero
delle alterazioni strutturali era aumentato da G1(0,7) a G2(3,7) a G3(7,0).
Abbiamo, inoltre, osservato numerosi
riarrangiamenti intra-cromosomici nel
gruppo G3 che interessavano anche cromosomi non trovati comunemente alte-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
rati nel NB. L’analisi dei profili di espressione genica è stata eseguita comparando i gruppi a coppie mediante SAM e
abbiamo osservato: 145 geni (67 down- e
78 up-regulati) comparando G1 verso G2;
312 geni (72 down- e 240 up-regulati) in
G2 verso G3 e 1787 geni (909 down- and
878 up-regulati) in G1 verso G3. L’analisi
di geni mediante Gene Ontology ha
mostrato, tra i 3 gruppi, una deregolazione dei geni implicati nella pathway di
Rho e Ras. Abbiamo, inoltre, osservato
un progressivo spegnimento dei geni
coinvolti nello sviluppo e nell’adesione
passando da G1→G2→G3, al contrario
un aumento significativo dell’espressione dei geni del ciclo cellulare è stato
dimostrato tra G1, G2 e G3. Infine G3
mostrava una più alta espressione delle
telomerasi rispetto agli altri due gruppi.
L’approccio d’integrazione genoma-transcriptoma, ha permesso di identificare
quei geni la cui alterata espressione
poteva essere causata da un riarrangiamento cromosomico. Il confronto G1
verso G2 ha evidenziato che la perdita
del cromosoma 11q in G2 era associata
ad una corrispondente down regolazione
dei
geni
implicati
nell’apoptosi
(P53AIP1) e nello sviluppo neuronale
(RDX, THY1). Nel confronto G2 verso G3,
la delezione di 1p36.11-pter era associata
ad una bassa espressione di TNFRSF25
coinvolto nell’apoptosi e dei geni CDC42
e EPHB2 implicati nel differenziamento.
Nella comparazione G1 verso G3 la perdita di 1p, 3p e 11q erano associati con una
bassa espressione dei geni implicati nell’apoptosi (CASP9 (1p), CD3E (11q),
CUL5 (11q), DFFA (1p), IL18 (11q),
PPP2R1B (11q), PAX7 (1p), SFN (1p),
TNFRSF25 (1p)); nel riparo del DNA (SFN
(1p) e RAD18 (3p)) e dei geni della famiglia delle Rho GTPase (ARHGEF10L (1p),
CDC42 (1p), THY1 (11q)).
Conclusioni. L’analisi del genoma dei NB
metastatici ha mostrato che la proporzione delle alterazioni strutturali aumenta in modo significativo nei tumori del
gruppo G3 rispetto a G2 e a G1 dimostrando che le alterazioni strutturali
sono associate a tumori di pazienti con
età alla diagnosi superiore a 19 mesi e
con un fenotipo più aggressivo (G3).
L’analisi di espressione genica ha dimostrato che i tre gruppi metastatici presentano specifiche signature geniche in
grado di distinguere i NB favorevoli da
quelli che sviluppano una progressione
di malattia e potrebbe contribuire a
migliorare la valutazione del rischio dei
pazienti con NB metastatico. La deregolazione dei geni della pathway Rho/Ras
potrebbe spiegare l’aumento di aggressività dei tumori da G1→G2→G3, mentre
l’over-espressione dei geni dello sviluppo neuronale in G1 rispetto agli altri
gruppi indica un’attività del processo dif-
ferenziativo che spiegherebbe la regressione spontanea dei NB 4S. Al contrario
l’aumento dell’espressione dei geni del
ciclo cellulare e delle telomerasi nel
gruppo G3 potrebbe fornire alle cellule
tumorali un illimitato potenziale replicativo responsabile di una elevata instabilità cromosomica e quindi risultante nell’accumulo di alterazioni strutturali
intra- e inter-cromosomali osservate in
questi tumori.
Sulla base dei dati sopra riportati noi
suggeriamo che l’accumulo età-dipendente delle alterazioni strutturali sia conseguenza di una deregolazione delle telomerasi e dei geni del ciclo cellulari.
Bibliografia
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microarray gene expression-based
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DO WN-RE GO LAZIONE DEI GE NI
ANTAGO NIS TI DI WNT NEL
MEDULLOBLASTOMA A I STOLO GIA
CLASS ICA
F. Valdora1 B. Banelli,2 S. Stigliani,3
P. Scaruffi,4 S. Moretti,5 S. Bonassi,6
M. Romani,2 I. Adolfo,7 M. Zollo,7
A. Oberthuer,8 G. Cinalli9, A. Iolascon,7
G.P. Tonini,3 S. Coco3
1Dipartimento
di Oncologia Biologia e
Genetica (DOBiG), 2S.C. Genetica ed epigenetica dei tumori 3Oncopatologia
Traslazionale, Istituto Nazionale per la
Ricerca sul Cancro (IST) Genova; 4Centro
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
di Fisiopatologia della Riproduzione
Umana, Ospedale "San Martino", Genova;
5CNRS, UMR7024 - Université Paris-Dauphine, Lamsade, Parigi, Francia; 6Epidemiologia Clinica e molecolare, IRCCS San
Raffaele Pisana, Roma. 7CEINGE Napoli;
8Paediatric Oncology Centre, University
Children’s Hospital, Cologne (Germany);
9A.O. Santobono Napoli, Italia
Introduzione. Il medulloblastoma (MB) è
il più comune tumore embrionale del
sistema nervoso centrale, origina dal
neuroectoderma e si sviluppa nel cervelletto.1 Dal punto di vista istologico il MB
è suddiviso in 5 varianti: classico,
desmoplastico/nodulare, MB con estensiva modularità, anaplastico e large cell.2
Ad oggi sono state riconosciute tre
pathway (Shh-Ptch, Notch e Wnt) principalmente implicate nello sviluppo, nella
crescita e nell’aggressività del MB.3 La
pathway di Wnt ha un ruolo essenziale
nelle fasi precoci dello sviluppo embrionale del sistema nervoso centrale nel differenziamento e nell’oncogenesi. La via
di Wnt è regolata negativamente da antagonisti secreti che si possono dividere in
due classi funzionali, la classe sFRP
(Frizzled receptor protein) e la classe
Dickkopf. Nel MB è stata osservata una
metilazione dei geni appartenenti alla
classe delle sFRP associata ad una loro
dimuita espressione.4 In un recente studio5 è stato dimostrato che i geni antagonisti di Wnt sono regolati da MSX1,
muscle segment homeobox transcription
factor 1. I geni MSX (MSX1, MSX2), appartengono alla famiglia dei geni homeobox
e sono repressori trascrizionali, la cui
normale attività potrebbe regolare un
equilibrio tra la sopravvivenza e l'apoptosi delle cellule che derivano dalla cresta neurale. Per meglio caratterizzare le
basi molecolari responsabili dello sviluppo e dell’aggressività del MB abbiamo
eseguito uno studio del trascrittoma e
del genoma in 19 MB a istologia classica,
quindi abbiamo focalizzato lo studio sui
geni Dkk3, SFRP1, SFRP2 e MSX2 della
pathway diWnt.
Materiali e metodi. L'analisi del genoma e
del trascriptoma è stata eseguita su 19
casi di MB a variante classica, con a-CGH
244K e microarray 44k (Agilent
Technologies) per espressione genica.
Sono stati selezionati i geni la cui espressione era 3 volte superiore o inferiore in
almeno 14 campioni, rispetto a un pool
di RNA ottenuto da cervelletti di 10 soggetti sani in età pediatrica, deceduti per
cause diverse dal cancro. I livelli di
espressione di Dkk3, SFRP1, SFRP2 e
MSX2 sono stati validati in qPCR con
assay specifici (Primer Design) su 32 MB
e 6 linee cellulari di MB (D425; D458;
DAOY; D341Med; D283Med; D556).
L'analisi dello stato di metilazione delle
[page 41]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
regioni promotrici 1, 2 e 3 di Dkk3, dei
promotori di SFRP1 e MSX2 è stata eseguita sul DNA di 32 campioni di MB e 6
linee di MB modificati con sodio bisulfito, utilizzando la tecnica MSP (Methylation Specific PCR).
Risultati. L'analisi di espressione genica
dei 19 MB ha identificato 1752 geni di cui
517 sono up-regolati e 1235 down-regolati. Tra i geni differenzialmente espressi,
alcuni geni antagonisti della pathway di
Wnt (Dkk3, SFRP1, SFRP2) e il loro putativo regolatore (MSX2) (Revet et al.,
2009) erano significativamente downregolati nei MB. Il basso livello di espressione di questi geni è stato confermato in
qPCR: nel 71% dei casi per Dkk3, nel 77%
per SFRP1 e nel 84% per MSX2. Mentre il
gene SFRP2 ha mostrato una down regolazione solo in un caso su 32 e pertanto è
stato escluso dallo studio. L’analisi sulle
6 linee cellulari di MB ha mostrato una
bassa espressione in 4/6 (66%) per Dkk3,
6/6 (100%) per SFRP1 e 3/6 (50%) per
MSX2; in particolare l’espressione di
tutti i tre geni era diminuita in ambedue
le linee D458 e D341MED. Lo studio di
espressione genica ha evidenziato, inoltre, che la soppressione di MSX2 correlava con la bassa espressione di Dkk3 in 22
dei 27 (82%) casi di MB e in 21 dei 25
(84%) per SFRP1. L’analisi del genoma su
19 MB ha evidenziato una bassa frequenza di delezione nei loci dei geni trovati
down-regolati: 5% (1/19) per Dkk3
(11p15.3-15.2); 15% (3/19) per SFRP1
(8p12-p11.1) e 5% (1/19) per MSX2 (5q34q35). L'analisi dello stato di metilazione
in MSP ha mostrato una metilazione nel
97% (31/32) dei casi per SFRP1 e nel 78%
(25/32) dei casi per MSX2, mentre non è
presente nessuna metilazione in tutte e
tre le regioni promotrici di Dkk3.
Abbiamo osservato inoltre che un gruppo di 10 campioni, analizzati sia in qPCR
che in MSP, presenta una correlazione
tra la metilazione dei promotori e la corrispondente bassa espressione in 8/10
per SFRP1 e 7/10 per MSX2.
Conclusioni. Il nostro studio mostra che i
geni antagonisti di Wnt (Dkk3, SFRP1) e il
loro regolatore (MSX2) sono frequentemente downregolati nei campioni tumorali di MB a istologia classica. L’analisi
del genoma ha escluso che la delezione
dei loci dei tre geni sia responsabile della
loro bassa espressione. L’analisi di metilazione ha mostrato che i promotori di
SFRP1 e MSX2 sono metilati nel 97% e nel
78% dei campioni tumorali e che la metilazione correla con una bassa espressione di questi geni. Al contrario è stato
escluso il coinvolgimento di un meccanismo epigenetico nel silenziamento di
Dkk3. La bassa espressione di Dkk3 e
SFRP1 potrebbe essere regolata da
MSX2, come già dimostrato per MSX1 nel
neuroblastoma. In conclusione, il silen-
[page 42]
ziamento epigenetico potrebbe rappresentare uno dei principali meccanismi di
regolazione dell’espressione di SFRP1 e
MSX2, mentre per Dkk3 potrebbero esistere altri sistemi di regolazione. Questi
dati suggeriscono che i geni Dkk3, SFRP1
e MSX2 sono candidati come geni oncosoppressori nello sviluppo del MB a istologia classica.
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cells, but does not block Wnt3
andWnt5A signalling to DVL3” Cancer
Letter 5 (2009)
ANALISI MULTI LOCUS NEL NE URO BLAS TOMA LOCALIZZATO INO PERABILE MYCN NON AMP LIFICATO –
REPO RT DEL GRUPPO SIOP E URO PE NEUROBLASTOMA (SIO PEN)
R. Defferrari, K. Mazzocco, IM. Ambros,
PF. Ambros, C. Bedwell, K. Beiske, J. Bénard, N. Bown, V. Combaret, J. Couturier,
B. De Bernardi, A. Garaventa, R. Haupt, J.
Kohler, M. Jeison, J. Lunec, B. Marques,
R. Noguera, S. Parodi, G. Schleiermacher,
F. Speleman, A. Valent, N. Van Roy,
E. Villamon, GP. Tonini
SIOPEN Biology Group
Introduzione. Recentemente è stato suggerito da più gruppi di ricercatori che la
presenza di anomalie cromosomiche
strutturali (SCA) nel neuroblastoma
MYCN non amplificato possa correlare
con una prognosi più infausta. Ad oggi
per i pazienti con neuroblastoma di stadio 2 e 3, sopra l’anno di età alla diagnosi, non sono ancora state introdotte
modifiche al trattamento terapeutico in
base alla presenza o meno di aberrazioni
cromosomiche strutturali, Questo studio
presenta i dati biologici riguardanti la
presenza/assenza di SCA in una coorte di
pazienti affetti da neuroblastoma localiz-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
zato non operabile, MYCN non amplificato con età alla diagnosi superiore all’anno.
Materiali e Metodi. Tra Gennaio 2001 e
Ottobre 2006 sono stati arruolati nel SIOPEN Unresectable Neuroblastoma Study
(EUNB) 160 nuovi casi di neuroblastoma.
Dei 160 tumori, 103 sono stati analizzati
con un approccio multi locus, tramite
Multiple Ligation Probe Amplification
(MLPA), array-CGH and SNPs su 60, 42 e
1 campione, rispettivamente. Il kit per
MLPA attualmente in uso specificatamente disegnato per il neuroblastoma, permette l’analisi di 100 loci genetici che
corrispondono a tutte le regioni cromosomiche da analizzare, in base alle raccomandazioni dell’International Neuroblastoma Risk Group (INRG). Tali loci
mappano sulle seguenti regioni cromosomiche: 1p, 1q, 2p (inclusi MYCN, DDX1,
NAG, e ALK), 3p, 4p, 7q, 9p, 11q, 12q, 14q,
17p e 17q. La piattaforma per la CGH
array consiste in un array di BAC/PAC
(4000 cloni) con una risoluzione di circa
1Mb, che include tutti i loci del kit per
MLPA. I dati genetici ottenuti sono stati
collegialmente revisionati dai membri
del SIOPEN Biology Group (ENQUA).
Risultati. Dati informativi per l’analisi
multi locus sono stati ottenuti per 103
tumori, dei quali 52 (50.4%) hanno presentato una o più aberrazioni cromosomiche strutturali, mentre 51 (49.6%)
sono risultati privi di aberrazioni strutturali. Le aberrazioni più frequentemente
osservate sono state: gain del cromosoma 17q (33%), delezione del cromosoma
11q (21%), riarrangiamenti a carico del
cromosoma 1p/1q (19%) e gain del cromosoma 2p (16%). I pazienti sono stati
inizialmente suddivisi arbitrariamente in
base all’età alla diagnosi, in 3 gruppi:
gruppo A, 13-18 mesi (n=36), gruppo B,
19-36 mesi (n=33) e gruppo C, maggiore
di 36 mesi (n=34) La percentuale di tumori con la presenza di almeno un’ aberrazione cromosomica strutturale aumenta
passando dal gruppo A al B e al C dal 42%
al 47% e al 67% rispettivamente
(P=0.0058 test chi quadrato). La più alta
frequenza di SCA è stata quindi riscontrata a carico dei pazienti con età superiore ai 36 mesi alla diagnosi (P=0.027,
Kruskal-Wallis test). In questi pazienti la
presenza di almeno un’ aberrazione cromosomica strutturale è risultata associata ad una scarsa Progression Free
Survival (PFS) (P=0.043), mentre questo
effetto non era presente nei bambini di
età inferiore. Lo stesso risultato è stato
ottenuto utilizzando come cut-off l’età di
24 mesi (P=0.035 in bambini di 24 mesi ,
P=0.501 in bambini di età maggiore di 24
mesi)
Conclusioni. Questo studio è il primo
report da parte della SIOPEN Biology
Committee riguardante i dati genetici per
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
i tumori non resecabili. In questa coorte
di pazienti la frequenza del gain di 17q, e
di 2p, della delezione di11q e del riarrangiamento del cromosoma 1p/1q risulta
essere maggiore se confrontata con neuroblastomi in stadio localizzato, resecabili MYCN non amplificati (LNESGI) e la
percentuale delle SCA aumenta all’aumentare dell’età alla diagnosi. La PFS
peggiora all’aumentare dell’età (dati non
mostrati) e con la presenza di SCA.Si può
quindi suggerire che solo la presenza di
entrambe le variabili (SCA ed età) sia
significantemente associata con una
maggiore aggressività del tumore che
risulta in una progressione di malattia.
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Schleiermacher G, Speleman F, Stallings
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19.
CARATTERIZZAZI ONE MOLECO LARE E QUANTIFICAZI ONE DEL VIRUS
EBV NEL LI NFO MA DI BURKITT E
NELLA LE UCEMI A A CELLULE B
MATURE
L. Mussolin, L. Antonazzo, M. Pillon,
R. Mura, L. Lo Nigro, A. Sala, M. Aricò,
A. Rosolen
Clinica di Oncoematologia Pediatrica,
Azienda
Ospedaliera-Universita’
di
Padova, Padova, per il GdL Linfomi NonHodgkin AIEOP
Introduzione.Il virus di Epstein Barr
(EBV), appartenente alla famiglia degli
Herpesvirus, è un virus ubiquitario,
tanto da essere stato ritrovato anche in
individui di comunità isolate. È riconosciuto come l’agente eziologico della
mononucleosi infettiva. Svariati studi
hanno dimostrato il coinvolgimento del
virus nella patogenesi di diverse neoplasie a carico di soggetti con immunodeficienza congenita o acquisita, come i soggetti sieropositivi per HIV, i trapiantati
d’organo o di midollo osseo. Tali neoplasie comprendono soprattutto linfomi di
tipo B (Hodgkin e non-Hodgkin), linfoproliferazioni post-trapianto, linfomi cellulari di tipo T (come il linfomi nasali a cellule T o a cellule natural killer). Tradizionalmente la diagnosi di laboratorio dell’infezione primaria o della riattivazione
dell’EBV si basa su test sierologici, tuttavia anche la ricerca del genoma virale
può rappresentare un parametro rilevante nei pazienti con patologie EBV correlate. Il linfoma di Burkitt (LB) viene notoriamente distinto in due forme: endemico e sporadico. Il LB endemico è diffuso
in Africa equatoriale, Nuova Guinea e
quasi tutti i casi sono EBV positivi; il LB
sporadico è invece presente nei paesi
Occidentali e la positività per l’EBV non
è ancora ben nota. La traslocazione
t(8;14)(q24;q32) rappresenta un marker
caratteristico del LB. Questa traslocazione coinvolge l’oncogene Myc sul cromosoma 8 e il locus per la catena pesante
delle immunoglobuline (IgH) sul cromosoma 14 ed è presente in circa il 70% dei
LB sporadici e delle leucemie a cellule B
mature (LLA-B). Lo scopo di questo studio è stato la caratterizzazione molecolare e la quantificazione della carica virale
di EBV in una popolazione di pazienti
pediatrici affetti da LB e LLA-B arruolati
nel protocollo AIEOP LNH-97.
Materiali e metodi. Le analisi sono state
eseguite su campioni bioptici rappresentativi del tumore nei casi di LB e nei campioni di aspirato midollare all’esordio nei
casi di LLA-B. Dalle cellule nucleate
midollari e dai frammenti di tessuto
tumorale, DNA ad elevato peso molecolare è stato estratto con il sistema
QIAamp DNA MiniKit (Qiagen). Abbiamo
messo a punto una tecnica di LongDistance PCR (LD-PCR) in grado di rilevare la t(8;14) a livello genomico con sensibilità, valutata con diluizioni limite di cellule di LB in cellule di origine ematopoietica, di 10-4. La carica virale di EBV è
stata valutata mediante Real-Time PCR
usando come target il gene della glicoproteina gp350 e come housekeeping il
gene della β-globina. Il risultato è stato
espresso come numero di copie di
EBV/100.000 cellule (2 copie di β –globina= 1 cellula)
Risultati. 73/102 casi di LB e 63/92 di LLAB sono risultati positivi per la t(8;14). La
presenza del virus EBV è stata riscontra-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
ta nel 20% dei casi di LB; il 60% di questi
(12/20) risultavano positivi per la traslocazione t(8;14). Nei campioni di LLA-B
solo 4/92 (4%) sono risultati positivi per
EBV e 3 presentavano la t(8;14). La
mediana del numero di copie di EBV è
risultata essere di 1.500.000 /100.000 cellule nel LB e di 306.500 su 100.000 cellule
nella LLA-B. Dall’ analisi statistica è
emerso che non vi è associazione tra la
carica virale e appartenenza al gruppo
di rischio (gruppo 2-3 vs 4) o con i valori
di LDH. Vi è invece un’associazione positiva tra la carica virale e l’età. La carica
virale è significativamente più elevata
nei pazienti con età inferiore (Fisher
exact test, P=0.03)
Conclusioni. In base ai dati di letteratura
questo studio rappresenta, a nostra conoscenza, la casistica pediatrica di LB e di
LLA-B più ampia studiata finora per la presenza dell’EBV DNA e della traslocazione
t(8;14). I dati ottenuti, in particolare la percentuale di positività per EBV così diversa
per LB e LLA-B fornisce ulteriori presupposti per approfondire lo studio sulle differenze biologiche e molecolari tra queste
due patologie che vengono solitamente
considerate due diverse manifestazioni di
una stessa neoplasia.
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STORIA NATURALE DELLA LE UCE MIA ACUTA LINFOBLASTICA
INSORTA IN GEMELLE MO NOZIGOTI
AFFETTE DA NEUROFIBRO MATOS I
M. Galbiati1*, A. Lettieri1*, S. Songia,1
C. Morerio,2 C. Micalizzi,2 C.Dufour,2
A. Biondi,1 G. Cazzaniga1
1Centro di Ricerca M. Tettamanti, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia; 2 EmatoOncologia Pediatrica, Istituto G. Caslini,
Genova
Introduzione. La neurofibromatosi di tipo
[page 43]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
1 è una patologia a trasmissione autosomica dominante, causata da mutazioni
nel gene della neurofibromina (NF1). È
stato dimostrato che bambini affetti da
NF1 mostrano un aumentato rischio di
sviluppo di tumori, in particolar modo
leucemia mielomonocitica giovanile
(JMML) e disordini del compartimento
mieloide. Tuttavia l’evoluzione clonale
che porta da NF1 allo sviluppo di leucemia conclamata non è ancora stata chiarita. In questo lavoro abbiamo analizzato
l’evoluzione clonale in una coppia di
gemelle monozigoti (T1 e T2), affette da
NF1, che hanno mostrato leucemia acuta
linfoblastica (LAL) concordante esordita
a 6 anni di vita.
Materiali e Metodi. Caratteristiche cliniche delle gemelle: a T1 e T2 è stata posta
diagnosi di LAL di tipo ‘common’ rispettivamente a 6 e 6,5 anni. Entrambe manifestavano segni clinici di neurofibromatosi di tipo 1 (macchie caffeane sul tronco). Il cariotipo all’esordio di T1 era:
45,XX,-7,del(9)(p12), del(10)(q23) [8]/46,
XX[12], mentre di T2: 45,XX,-7,
del(10)(q22)[14]. Le pazienti sono state
arruolate nel protocollo AIEOP LAL2000
e stratificate in base alla malattia residua
minima (MRM) rispettivamente nel gruppo ad alto rischio (T1) e a rischio intermedio (T2). T1 è stata sottoposta a trapianto di midollo da donatore familiare a
+8 mesi dall’esordio ed è a tutt’oggi in
continua remissione completa. T2 ha
presentato recidiva midollare dopo 13
mesi dall’esordio, con immunofenotipo
pre-preB/common e cariotipo 47,XX,
del(9)(p21),+21[11]/46,XX[5]. Dopo il
raggiungimento della 2a remissione completa (dopo i blocchi F1 e F2 del protocollo REC 2003 SR) e della negativizzazione della MRM (dopo la Reinduzione IIIda), la bambina è stata trapiantata, utilizzando lo stesso donatore della sorella
e attualmente è in remissione di malattia.
Analisi dei riarrangiamenti delle Ig e del
TCR: i campioni di DNA dell’esordio di
malattia e della ricaduta sono stati analizzati per i riarrangiamenti clonali dei
geni di Immunoglobuline (Ig) e T-cell
Receptor (TCR) come descritto nel protocollo AIEOP LAL2000. Analisi del contenuto genico: la valutazione genomica del
numero di copie è stata eseguita utilizzando
la
piattaforma
Affymetrix
Cytogenetics Whole Genome 2.7M Array. I
dati ottenuti sono stati analizzati con il
software Chromosom Analysis Suite v1.1
(Affymetrix®, Santa Clara, CA). I campioni
alla diagnosi di malattia ed alla ricaduta
sono stati confrontati con le rispettive
remissioni (giorno +33 o +78) al fine di
individuare anomalie genetiche associate alla leucemia.
Risultati. Il braccio lungo del cromosoma
17 (dove è localizzato il gene NF1) ha
mostrato perdita di eterozigosi (Loss of
[page 44]
Heterozygosity, LOH) alla diagnosi di
entrambe T1 e T2, riscontrata anche alla
ricaduta di T2; tale lesione, poichè condivisa da entrambe le gemelle e mantenuta
alla ricaduta, deve essere considerata di
origine prenatale. Dopo la nascita, la
malattia nelle gemelle ha avuto un’evoluzione indipendente, assumendo specifici
riarrangiamenti clonali Ig/TCR e aberrazioni cromosomiche distinte. In particolare, la gemella T1 all’esordio ha evidenziato: del(6)(q15), -7, tre delezioni in emizigosi sul braccio lungo del cromosoma 9
e del(10)(q23.33); T2 ha invece acquisito
amp(2)(pter→p25.3), -7, del(10)(q23.1),
del(14)(q32.13) e una delezione coinvolgente il gene TCF12 (15q21.3). Il clone
della ricaduta di T2 ha mantenuto la LOH
17q e la del(15)(q21.3) acquisendo
nuove aberrazioni quali delezioni in emizigosi coinvolgenti i geni IKZF1 (7p12.2),
ETV6 (12p13.2), C20orf94 (20p12.2) e trisomia 21; l’assenza di monosomia del
cromosoma 7 e delle altre lesioni rilevate
alla diagnosi indica l’origine della recidiva nella gemella T2 da un subclone preesistente alla prima presentazione di LAL.
Tale ipotesi è stata confermata dall’analisi retrospettiva dei marcatori clonali
Ig/TCR della ricaduta sui campioni delle
diagnosi di malattia.
Conclusioni. Questo studio descrive il
primo caso di gemelle monozigoti affette
da neurofibromatosi 1 con diagnosi concordante di leucemia linfoblastica acuta.
Grazie alla combinazione dell’analisi
genomica e dei riarrangiamenti Ig/TCR, è
stato possibile delineare la storia naturale del clone leucemico nelle gemelle. Tale
modello prevede, come primo evento
leucemogenico comune, l’acquisizione
prenatale della LOH 17q da parte di un
progenitore ematopoietico, associato
alla potenziale acquisizione in omozigosi
della mutazione del gene NF1; la successiva evoluzione indipendente dei cloni di
malattia è associata all’accumulo di
lesioni genetiche distinte, con origine
della ricaduta da uno stadio intermedio,
precedente la prima presentazione di
LAL.Nel processo di leucemogenesi,
oltre ad anomalie note, sono state identificate nuove alterazioni a carico dei geni
BACH2 (6q15) e TCF12 (15q21.3), noti
come importanti fattori di trascrizione
con un ruolo nel differenziamento dei linfociti B e T. La loro alterata espressione
potrebbe contribuire al blocco differenziativo ed alla proliferazione incontrollata dei blasti leucemici. Lo studio approfondito di tali lesioni potrebbe inoltre
rivelare nuovi meccanismi patogenetici.
L’estensione dell’analisi di queste lesioni
ad altri casi (non gemelli) con NF1 e leucemia potrebbe verificare la possibile
specifica associazione di queste anomalie con la malattia.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Bibliografia
Jett, K. and J.M. Friedman, Clinical and
genetic aspects of neurofibromatosis 1.
Genet Med, 2010. 12(1): p. 1-11.
Steinemann, D., et al., Mitotic recombination and compound-heterozygous mutations are predominant NF1-inactivating
mechanisms in children with juvenile
myelomonocytic leukemia and neurofibromatosis type 1. Haematologica,
2010. 95(2): p. 320-3.
MLL/ AF6 INDUCE ATTIVAZIO NE
DE L RAS PATHWAY CONTRO LLANDO LA LOCALIZZAZIO NE DI AF6
NELLA LEUCEMIA MI ELOI DE
ACUTA.
E. Baron , E. Manara , A. Beghin,
C. Tregnago, M. Pigazzi, G. Basso
Università di Padova- Città della
Speranza, Dipartimento di Pediatria, Via
Giustiniani 3, 35028 Padova, Italia
Introduzione. I riarrangiamenti cromosomici che coinvolgono il gene MLL sono
associati con lo sviluppo di leucemia
acuta, e recentemente sono stati scoperti avere una prognosi differente in base al
partner di traslocazione di MLL. In particolare, la traslocazione t(6;11)(q27;q23)
è risultata caratterizzare il sottogruppo
di pazienti MLL a peggior prognosi (EFS
23.3% a 3 anni). Il ruolo funzionale della
proteina di fusione MLL/AF6 non è oggigiorno chiaro, ma la sua caratterizzazione potrebbe portare a nuovi approcci
terapeutici per questo sottogruppo di
pazienti. AF6 è una proteina citoplasmatica nota per legare RAS mediante il
domino RA (Ras Association), inibendo
la via di segnale a valle, cruciale nella
cancerogenesi.
Scopo. Lo scopo di questo studio è quello di delucidare il ruolo del gene di fusione MLL/AF6 nelle leucemia acuta mieloide (LAM).
Metodi. Esperimenti di immunofluorescenza sono stati eseguiti per identificare la localizzazione di AF6 e RAS in colture primarie sane e nelle linee ML-2 e SHI1, entrambe traslocate t(6;11)MLL-AF6.
Silenziamento genico di AF6 e di MLLAF6 è stato condotto nelle suddette linee
cellulari. Analisi di Real time PCR (RQPCR) e western blot (WB) sono state
usate per monitorare i livelli di espressione genica e proteica di targets a valle
di AF6/RAS. Trattamenti con inibitori chimici della via delle MAPK chinasi (PD259,
U126) sono stati inoltre usati.
Risultati. AF6 e RAS si rivelano co-localizzare nel citoplasma in campioni sani di
midollo. Questo legame inoltre si dimostra importante per mantenere bassi i
livelli di RAS-GTP (forma attiva di RAS)
nel citoplasma. Il silenziamento di AF6 in
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
midolli sani si è dimostrato indurre un
aumento dell’espressione di RAS-GTP
evidenziando l’importanza di AF6 nel
controllare l’attivazione di RAS. AF6
risulta essere aberrantemente espresso
nel nucleo nelle linee t(6;11) traslocate,
ML-2 e SHI1, dove infatti si riscontrano
elevati livelli di RAS-GTP. Il silenziamento
della chimera nelle linee cellulari è stato
in grado di provocare la migrazione di
AF6 dal nucleo al citoplasma, dove rilocalizzando con RAS, ne abbassava i
livelli di RAS-GTP. La chimera dunque si
dimostra favorire il trasporto anomalo di
AF6 nel nucleo impedendo di esercitare
la funzione di controllo dei livelli di RASGTP. A conferma di questo fenomeno,
fosforilazione dei geni target (RAF, MEK e
ERK) a valle di RAS dopo silenziamento
della chimera risultava diminuita confermando il coinvolgimento di RAS nelle
leucemie MLL-AF6 traslocate. Inibitori
chimici della via di RAS nelle linee ML-2 e
SHI-1 dimostrano di aumentare la morte
cellulare e la capacità di formare colonie,
allo stesso livello del silenziamento della
chimera MLL-AF6.
Conclusioni. Queste evidenze attribuiscono alla proteina AF6 un ruolo di fondamentale importanza nell’ematopoiesi per
la sua azione di controllo esercitata su
RAS. La traslocazione t(6;11)MLL/AF6 si
dimostra in grado di promuove l’iperattivazione di RAS che partecipa al mantenimento della leucemia.
STUDIO DE LL’ES PRESS IONE DI E RG
NELLA LE UCEMI A MIELO IDE ACUTA
M. Pigazzi M,1 E. Manara,1 F. Martinolli,1
A. Beghin,1 C. Tregnago,1 S. Gelain,1 R.
Masetti,2 A. Pession,2 G. Basso1
1Università di Padova-Fondazione Città
della Speranza, Dipartimento di Pediatria,
Clinica Oncoematologia Pediatrica, Padova; 2Dipartimento di Pediatria, “Lalla
Seràgnoli”, Unità di Oncoematologia,
Università di Bologna, Italia
Introduzione. Il gene ERG (ETS-related
gene) è un fattore di trascrizione implicato in numerosi processi cellulari e tumorali. ERG è anche noto come gene di
fusione nel tumore di Ewing e nella leucemia acuta. L’over-espressione del suo
mRNA è stata dimostrata avere un significato prognostico negativo in pazienti
adulti affetti da leucemia linfoblastica
acuta delle cellule T o da leucemia mieloide acuta (LAM). Inoltre, l’esogena
espressione di ERG è stata dimostrata
indurre la differenziazione dei megacariociti provocando una eritroleucemia in
vitro e in vivo. I motivi della sua de-regolazione e i meccanismi secondo cui ERG
agisce nel cancro non sono tutt’oggi noti.
Scopo. Studiare l’espressione di ERG in
pazienti pediatrici affetti da LAM e identificare il pathway d’azione tumorale.
Metodi. L’espressione di ERG è stata studiata mediante Real Time-PCR in una
serie di 269 pazienti affetti da LAM reclutati nel registro AIEOP dal 2002 e in una
serie di 13 midolli di donatori sani.
Risultati. L’espressione di ERG nei pazienti si rivela più alta (high-ERG) o più bassa
bassa (low-ERG) rispetto ai controlli
sani suddividendo i pazienti LAM in due
gruppi significativamente distinti (N
high-ERG =163, RQ = 4.927, N low-ERG =
106, RQ = 0.371, p = 0.007). L’intera coorte è stata poi suddivisa per genetica
molecolare in 4 gruppi: 53 pazienti con
riarrangiamento del CBF (positivi per
t(8;21)AML1-ETO o inv16 CBFB-MYH11),
34 pazienti FLT3ITD positivi, 71 pazienti
MLL-riarrangiati e 111 negativi per marcatori molecolari noti (NEG). L’espressione di ERG nuovamente distingueva 2
sottogruppi di pazienti significativamente diversi rivelando che ERG può considerarsi un nuovo interessante marker
leucemico (CBF: Nhigh-ERG = 46, RQ =
9.143; Nlow-ERG = 7, RQ = 0.665, p =
0.048; FLT3ITD: Nhigh-ERG = 25, RQ =
3.608, Nlow-ERG = 9 RQ = 0.523, p =
0.0004; MLL-rearranged: Nhigh-ERG = 28,
RQ = 2.933, Nlow-ERG = 43, RQ = 0.254, p
< 0.0001; NEG: Nhigh-ERG = 64, RQ =
3.285, Nlow-ERG = 47, RQ = 0.405, p <
0.0001). Analisi di sopravvivenza confermano come l’espressione alta di ERG
conferisca una prognosi significativamente peggiore nei pazienti MLL-riarrangiati con livelli alti di espressione di ERG
(Nhigh-ERG =28, EFS = 28.8 % 3y, NlowERG = 43 EFS= 65.6 %, p = 0.0003).
L’analisi bivariata inoltre, eseguita rispetto ai partners del gene MLL (AF6, AF9,
AF10), risulta significativa indicando in
ERG un possibile fattore prognostico
indipendente (regressione di COX, p =
0.004). Nei pazienti NEG e CBF ERG
sovra-espresso riduce la EFS ma non
significativamente. La valutazione dell’espressione del gene Gfi-1, un gene che
inibisce l’espressione del miR-196b che è
in grado di regolare a sua volta l’espressione di ERG, è in via di valutazione come
probabile pathway coinvolto nel controllare i livelli di espressione di ERG nelle
LAM.
Conclusioni. L’espressione di ERG distingue nuovi sottogruppi di pazienti LAM.
ERG si rivela essere un importante
nuovo target molecolare soprattutto per
i pazienti MLL traslocati. Approfondi menti biologici in vitro sono in corso per
valutare il ruolo e il meccanismo d’azione di ERG nella LAM.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
IDENTI FI CAZIONE DI NUOVE ABERRAZIONI GENOMICHE IN PAZIENTI
AFFETTI DA LAM MEDIANTE
ARRAY-CGH
Pigazzi M,1 Beghin A,1 Aveic S,1 Giarin
E,1 Masetti R,2 Pession A,2 Basso G1
1.Università di Padova-Fondazione Città
della Speranza, Dipartimento di Pediatria,
Clinica Oncoematologia Pediatrica,
PadovA; 2Dipartimento di Pediatria, “Lalla
Seràgnoli”, Unità di Oncoematologia,
Università di Bologna, Italia
Introduzione. Le Leucemie Acute Mieloidi
(LAM) sono un gruppo eterogeneo di
malattie ematologiche con caratteristiche biologiche e cliniche molto varie.
Oggigiorno in più dell’80% dei pazienti
affetti da LAM si riscontrano anomalie
cromosomiche, per lo più riarrangiamenti bilanciati (traslocazioni, inserzioni, o
inversioni) il cui significato biologico e
prognostico è stato identificato e spesso
utilizzato per la creazione di differenti
classi di rischio per i pazienti pediatrici.
Nuovi studi con tecniche molecolari di
citogenetica come il cariotipo spettrale,
ma soprattutto l’array di ibridazione
genomica comparativa (a-CGH) hanno
permesso la caratterizzazione di aberrazioni cromosomiche in precedenza non
identificate, spesso perchè criptiche, che
causano degli squilibri genomici. La predominanza delle aberrazioni con conseguente perdita di materiale cromosomico (monosomie, eliminazioni, amplificazioni e traslocazioni non bilanciate) possono diventare di particolare interesse
per l’identificazione di nuovi sottogruppi
di pazienti e di nuovi bersagli terapeutici
in campo pediatrico.
Scopo. Lo scopo dello studio è di caratterizzare in modo più accurato una serie di
pazienti LAM utilizzando l’Array-CGHfocus hematology (Bluegnome, Cambridge, UK).
Materiali e metodi. Sono stati studiati 54
pazienti con diagnosi di LAM all’esordio.
Il DNA del paziente e il DNA di controllo
vengono marcati in modo indipendente e
ibridati in modo competitivo alle sonde
BAC legate al vetrino. La scansione dell’immagine viene eseguita con DNA
microarray scanner (Agilent technologies). L’analisi dell’intensità di fluorescenza viene fatta mediante Bluefuse
Multi software. La regione minina di perdita/acquisizione di materiale genomico
è stimata essere 1 Mb. Le regioni vengono considerate acquisite o perse quando
il segnale supera la soglia di 0.3 (log2
ratio cianina5/cianina5) stabilita dalla
ditta produttrice. Abbiamo ritenuto gli
sbilanciamenti come ricorrenti se identificati in almeno 4 pazienti.
Risultati. 34/54 (63%) dei pazienti LAM
presentano acquisizione e/o perdita di
[page 45]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
regioni cromosomiche. I cromosomi 5, 7,
11, 15, 17, 19, 21 sono quelli su cui si concentrano le alterazioni ricorrenti. 22/34
pazienti (64%) mostrano da due fino a
quattro cromosomi alterati in punti
diversi. Valutando i pazienti per genetica
molecolare e classe di rischio LAM
secondo protocollo AIEOP-LAM2002, dei
34 pazienti sbilanciati 7 (20%) appartengono alla classe di rischio standard (CBF
riarrangiati), 27 (80%) invece alla classe
alto rischio aprendo dunque nuove possibilità di trovare dei sottogruppi in questa ampia classe di pazienti LAM. In
generale, analisi statistiche multivariate
sono in corso per l’associazione con
parametri clinici/biologici e le nuove
anomalie gnomiche rilevate. Segnaliamo
una delezione di 63884 bp nel cromosoma 5p che accomuna un gruppo di quattro pazienti a cariotipo normale, assenti
di marcatore molecolare noto che sembrano dunque identificare un sottogruppo omogeneo. Questa regione sbilanciata, così come altre regioni ritenute ricorrenti, sono in via di valutazione per i geni
inclusi e il loro potenziale inserimento in
studi mutazionali e funzionali.
Conclusioni. L’analisi finora condotta su
una serie di LAM all’esordio apre nuove
prospettive per creare sottogruppi di
pazienti LAM. Una migliore comprensione delle alterazioni gnomiche potrebbe
comporterà una migliorare assegnazione
di rischio per i pazienti arruolati nella
classe ad alto rischio.
S TUDIO DI BAG-1 NELLE LAM
P EDIATRICHE
S. Aveic S, M. Pigazzi M, G. Basso
Università di Padova, Dipartimento di
Pediatria, Laboratoria Oncoematologica,
Padova, Italia
Introduzione. Bcl-2 associated AthanoGene-1 (BAG-1) è una proteina multifunzionale coinvolta per lo più nei processi
di morte cellulare mediante un'azione
sinergica con Bcl-2 e altri membri proapoptotici di questa famigli proteica.
BAG-1 lega molte proteine tra cui le più
importanti Hsc70/Hsp70 e c-RAF e la sua
azione attraverso il proteasoma è stata
descritta in altri modelli. Recentemente
BAG1 e un altro membro della stessa
famiglia proteica, BAG-3, sono stati associati all’oncogenesi.
Scopo. Lo scopo dello studio è caratterizzare il ruolo di BAG-1 nella leucemia
acuta mieloide (LAM) e chiarirne gli
eventuali meccanismi molecolari di interazione e azione.
Materiale e metodi. L’espressione
dell’mRNA è stata condotta mediante
RQ-PCR e delle proteine mediante
[page 46]
Western blot in una serie di linee cellulari e di pazienti affetti da leucemia. Il silenziamento di BAG-1 e di entrambi, BAG1/BAG-3, è stato eseguito in linee cellulari leucemiche umane mieloidi e linfoidi
ed in colture primarie di LAM. La morte
cellulare è stata analizzata con i saggi per
AnnessinaV-PI. L’interazione proteica è
stata studiata usando agenti chimici per
il blocco di proteasoma e l’immunoprecipitazione.
Risultati. Nelle linee cellulari leucemiche
ed in pazienti affetti da leucemia acuta
mieloide o linfoide all’esordio, la proteina BAG-1 è stata trovata sovra-espressa
rispetto a midolli di donatori sani. Il
silenziamento di BAG-1 (Si-BAG1) ha
indotto un abbassamento dei livelli di
espressione di Bcl-2 e ERK1/2, proteine
che conferiscono vantaggio proliferativo
alle cellule tumorali, senza evidenti segni
di apoptosi né di anomalie del ciclo cellulare. La realizzazione che il Si-BAG1
nelle cellule leucemiche provocava l’innalzamento di BAG3, che compensava
alla sua ridotta espressione, ha portato a
co-silenziare entrambi i geni (CoSiBAG1/BAG3). Il Co-SiBAG1/BAG3 ha
conferito una forte riduzione della sopravivenza cellulare, con a riduzione dell’espressione proteica di elementi antiapoptotici, quali Bcl-2, Mcl-1 e Bcl-XL,
così come di alcuni regolatori della proliferazione come phosphoERK1/2 e la ciclina D1. Saggi di inibizione del proteasoma
hanno dimostrato che il ruolo di BAG1 è
quello di permettere alle proteine antiapoptotiche sopra menzionate di non
essere portate al proteasoma. Infatti,
abbiamo dimostrato un diretto legame
tra BAG-1 e Bcl-2, e tra BAG-1 e una
importante ubiquin-ligase, Usp9X che è
in grado di mantenere de-ubiquitinata la
proteina Mcl-1 che si mantiene ad alti
livelli nella LAM.
Conclusioni. BAG-1 e BAG-3 si rivelano
essere nuove molecole con un potenziale ruolo di controllo dell’apoptosi nelle
LAM attraverso la diretta regolazione di
importanti targets molecolari, Bcl-2 e
Usp9X/Mcl-1.
ANALISI MOLECOLARE CI TO GENETICA E DI CL ONALI TÀ IN P AZIENTI
PEDI ATRI CI CON LINFO MA P RIMITIVO CUTANEO
L. Corti,1,5 S. Songia,2 Y. Balice,3 A. Sala,4
A. Biondi,4 F. Onida,1,5 G. Cazzaniga,2
E. Berti 6.
1
Fondazione Matarelli, Dipartimento di
Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica – Università degli Studi di
Milano; 2Centro Ricerca Tettamanti,
Clinica Pediatrica Università di Milano
Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza; 3
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
U.O. Dermatologia, Fondazione IRCCS Ca'
Granda - Ospedale Maggiore Policlinico di
Milano; 4Clinica Pediatrica Università di
Milano Bicocca, Ospedale San Gerardo,
Monza; 5U.O. Ematologia 1 - CTMO,
Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale
Maggiore Policlinico di Milano - Università
degli Studi di MilanoM; 6DIMEP - Università degli Studi di Milano Bicocca, Italia
Introduzione. I linfomi non-Hodgkin's rappresentano circa il 6% delle neoplasie
maligne del bambino. Nella maggior
parte dei casi colpiscono primariamente
i tessuti linfatici (linfonodi, timo) o il
midollo osseo. In alcuni casi, però possono manifestarsi in altre sedi, quasi tessuti molli, osso, polmone, sistema nervoso
centrale, reni e cute. Il coinvolgimento
cutaneo nei linfomi non-Hodgkin's può
essere primitivo o costituire una manifestazione secondaria di una malattia
extracutanea.1 I linfomi cutanei primitivi
rappresentano una percentuale compresa tra l’1 e il 3% di tutti i linfomi nonHodgkin’s dell’infanzia e sono generalmente caratterizzati da una prognosi
favorevole. La diagnosi in base alle manifestazioni cliniche e immuno-istopatologiche può risultare difficile perché la presentazione dei linfomi cutanei può mimare le caratteristiche di alcune patologie
cutanee benigne.2 Le conoscenze riguardo la storia naturale della patologia, la
gestione dei pazienti e le strategie terapeutiche sono scarse per l'età pediatrica
e le informazioni vengono generalmente
estrapolate dai dati riportati sulla popolazione adulta. Gli studi riportati in letteratura sono rari e riferiti a numeri limitati di pazienti. Le casistiche più ampie e
approfondite sono quelle riportate da
Fink-Puches et al.1 e, recentemente, da
Boccara et al.3 Scopo del lavoro era valutare il ruolo dell'analisi molecolare nella
caratterizzazione di questi linfomi.
Materiali Metodi. Sono stati raccolti campioni di DNA estratto da biopsie cutanee
crioconservate di 36 pazienti di età inferiore ai 18 anni (età mediana alla diagnosi 10 anni, range 1-18): 7 con diagnosi di
micosi fungoide (MF), 8 di parapsoriasi,
13 di disordini linfoproliferativi cutanei
primari a cellule T CD30+ (11 casi di
papulosi linfomatoide, LYP, e 2 di linfoma
anaplastico a grandi cellule, ALCL), 2 di
linfoma sottocutaneo simil-panniculitico
a cellule T CD8+ α:β (SPTL), 2 di linfoma
T pleomorfo a piccole e medie cellule
CD4+ (PTL), 2 di linfoma B e 2 di pitiriasi
lichenoide. I campioni di DNA genomico
alla diagnosi sono stati valutati mediante
PCR utilizzando i set di primers descritti
nei report dei gruppi cooperativi BIOMED-14 e BIOMED-2 [5] per la valutazione
dei riarrangiamenti somatici clonali dei
geni per T-cell receptor (TCRG, TCRD e
TCRB) e immunoglobuline (IGH, IGK).
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Quando possibile, le regioni giunzionali
dei prodotti monoclonali sono state
direttamente sequenziate al fine di confermare la presenza di una popolazione
clonale a cellule T. In 8 casi, 1 di parapsoriasi, 1 di ALCL, 3 di LYP, 2 di SPTL e 1 di
PTL sul DNA genomico totale estratto da
biopsia è stata condotta anche analisi
CGH mediante Human Genome CGH
Microarray (Agilent Technologies, Santa
Clara, CA) e/o Affimetrix Genome-Wide
Human SNP arrays.
Risultati. Tutti i casi di MF presentavano
riarrangiamenti clonali, mentre una
espansione clonale di linfociti T a livello
cutaneo è stata riscontrata solo in 2/8
casi di parapsoriasi. All’interno del gruppo dei linfomi CD30+, popolazioni clonali
sono state osservate in 10/11 casi di LYP
e 1/2 casi di ALCL. In tutti e quattro i
pazienti che presentavano entità rare,
ossia SPTL e PTL, è stato possibile dimostrare la presenza di una popolazione
clonale di linfociti T a livello cutaneo. I
due casi di pitiriasi lichenoide, malattia
benigna inserita come controllo, presentavano un pattern policlonale. La presenza di un clone T è stata confermata
mediante sequenziamento in 17 casi,
senza riscontrare un uso preferenziale di
segmenti V o J. In un caso di MF a evoluzione letale, lo stesso clone T è stato
osservato sia a livello cutaneo che di
sangue periferico. Per quanto riguarda i
due linfomi B, uno marginale e uno follicolare, è stata evidenziata una clonalità
VH3 in quello follicolare. In 7 casi, 2 di
parapsoriasi, 1 di MF, 3 di LYP e 1 di SPTL
non sono state riscontrate in PCR delezioni di TAL1 [4]. Mediante CGH e SNP
arrays è stata dimostrata la presenza di
una trisomia del 7 nel caso di ALCL e
alterazioni citogenetiche note nei linfomi
CD8+, quali la trisomia del 19 e la duplicazione del 22q, in un caso di LYP CD8+.
Conclusioni. In caso di linfomi-T abbiamo
ritrovato riarrangiamenti clonali in 24
pazienti; uno dei due casi di linfoma-B
cutaneo presentava un riarrangiamento
di VH3. Questi dati suggeriscono che uno
screening completo dei riarrangiamenti
del TCR possa aumentare la sensibilità
dell’indagine molecolare. Sulla base dei
dati preliminari ottenuti, l'impiego delle
tecniche citogenetiche di arrays-CGH o
SNP, con sensibilità relativamente limitata, è consigliato unicamente nei casi più
aggressivi (con maggior numero di cellule neoplastiche). A causa della variabilità
di presentazione, dell’importanza di una
diagnosi precoce e della difficoltà nel
dare indicazioni prognostiche nei casi di
linfomi cutanei in età pediatrica, sottolineiamo l’importanza che in questi casi
può avere un’approfondita analisi molecolare, soprattutto nelle fasi iniziali di
malattia.
Bibliografia
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al. Pediatr Dermatol 2004, 21, 525-33.
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5. van Dongen, J. J.; Langerak, A. W.;
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FRE QUENZA DI LINFOCI TI T REGOLATORI IN P AZIENTI PEDI ATRI CI
AFFETTI DA LAM E LAL CANDIDATI
A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMO POIETICHE
M. Fantinato, C. Winzler, M. Tumino,
E. Calore, B. Buldini, M. Pillon, G. Basso,
C. Messina
Laboratorio e Clinica di Oncoematologia
Pediatrica, Dip. di Pediatria, Padova,
Italia
Introduzione. I linfociti T regolatori
(Treg) hanno un ruolo fondamentale nel
mantenimento della tolleranza verso gli
antigeni self e nella modulazione della
risposta immune a patogeni ed alloantigeni.1 I Treg possono essere identificati
come linfociti T CD4+ FoxP3+ oppure
come linfociti T CD4+ CD25high CD127/low e costituiscono il 5-12% dei linfociti
T CD4+ circolanti.2 Alcuni autori hanno
osservato una frequenza maggiore di
Treg nel sangue periferico all’esordio di
leucemia mieloide acuta (LAM) in confronto a quella osservata in campioni di
soggetti sani.3 Questo aumento potrebbe
correlare con l’espressione da parte
delle cellule leucemiche mieloidi di indolamina 2,3 deossigenasi,4 un enzima del
catabolismo del triptofano coinvolto nel
controllo della proliferazione dei linfociti
T. Una volta eseguita la chemioterapia,
con la riduzione del numero dei blasti ci
si dovrebbe aspettare una normalizzazione della frequenza dei Treg. Per verificare questa ipotesi, la frequenza dei Treg
è stata analizzata in pazienti pediatrici
candidati al trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) di tipo allogenico
per LAM, leucemia linfoblastica acuta
(LAL) o per malattia ematologica non
maligna. I campioni sono stati analizzati
subito prima dell’inizio del condizionamento. La frequenza dei Treg osservata
nei pazienti LAM è stata confrontata con
quella di pazienti affetti da LAL, da malattia ematologica non maligna e con quella
riscontrata in campioni di sangue midollare, cordonale o periferico utilizzati per
TCSE. I Treg sembrano sopravvivere ad
un regime di condizionamento aggressi-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
vo.5 Una diversa numerosità pre-trapianto potrebbe quindi correlare con una
variabile numerosità e capacità immunomodulatoria post-trapianto.
Materiali e Metodi. Sono stati analizzati
un totale di 27 campioni di sangue periferico di pazienti pediatrici (età media 8
anni, range 1-19 anni; 14 femmine, 13
maschi) candidati a TCSE allogenico per
LAM (n=7, età media 5.8 anni), per LAL
(n=10, età media 9.6) o per malattie ematologiche non maligne (anemia aplastica,
n=4; anemia di Fanconi, n=2; anemia falciforme, n=3; s. di Shwachman, n=1, età
media 8.1 anni). I pazienti affetti da leucemia erano in remissione completa. Nel
gruppo LAL, due pazienti presentavano
malattia minima residua (MRM) all’analisi molecolare, due risultavano negativi
per MRM, mentre per sei pazienti i dati
non erano disponibili. Nel gruppo LAM,
due pazienti presentavano MRM all’analisi molecolare, due risultavano negativi
per MRM, e per tre pazienti i dati non
erano disponibili. I campioni sono stati
prelevati subito prima dell’inizio del condizionamento. Per confronto sono stati
analizzati 36 campioni di sangue midollare (n=26), cordonale (n=6) o periferico
(n= 4) utilizzati per TCSE allogenico.
L’analisi è stata effettuata mediante citofluorimetria a flusso policromatica. I
Treg sono stati identificati come linfociti
CD3+CD4+CD25highCD127-/low. Per l’acquisizione e l’analisi è stato utilizzato
FACSDiva software. Il numero di linfociti
T CD4+ acquisiti è stato ≥13x103.
L’analisi statistica è stata eseguita con
unpaired t-test.
Risultati. La frequenza mediana dei Treg
era 16.9% (range: 11.6-24.9%), 9.1%,
(range: 8.5-17.4%), 6.8% (range: 3.311.4%), 7.7% (range: 4.6-14.4%) nei candidati al TCSE per LAM, per LAL, per
malattia ematologica non maligna e nei
campioni di sangue usati per TCSE.
L’analisi statistica ha dimostrato che nei
pazienti LAM, la frequenza dei Treg era
significativamente maggiore rispetto a
quella osservata nei pazienti LAL
(P=0.0097) e nei pazienti con malattia
ematologica non maligna (P=0.0001). La
frequenza dei Treg in pazienti LAM era
inoltre maggiore rispetto a quella osservata in campioni di sangue midollare,
cordonale e periferico utilizzati per TCSE
(P<0.0001). Anche nei pazienti LAL, la frequenza dei Treg era maggiore rispetto a
quella osservata nei pazienti con malattia ematologica non maligna (P= 0.0102),
mentre non vi era una differenza significativa rispetto ai campioni di sangue
utilizzati per TCSE (P=0.0691). Non è
stata osservata una differenza significativa della frequenza dei Treg nei campioni
di sangue utilizzati per TCSE in confronto ai candidati a TCSE per malattia ematologica non maligna (P=0.1338).
[page 47]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Conclusioni. Una frequenza elevata di linfociti Treg è stata osservata in pazienti
all’esordio di leucemia mieloide acut.3
Questo aumento potrebbe essere correlato alla presenza di blasti mieloidi esprimenti indolamina 2,3 deossigenasi,4 un
enzima che inizia il catabolismo del triptofano inibendo la proliferazione dei linfociti T. Con la scomparsa dei blasti postchemioterapia, ci si dovrebbe aspettare
la normalizzazione della frequenza dei
Treg. Le nostre analisi dimostrano una
elevata numerosità di Treg in pazienti
LAM anche in remissione completa. La
loro frequenza risulta maggiore rispetto a
tutti gli altri gruppi di pazienti e campioni
esaminati, compreso il gruppo LAL.
Anche nei pazienti LAL, la frequenza dei
Treg risulta maggiore rispetto ai pazienti
affetti da malattia ematologica non maligna. La frequenza elevata riscontrata sia
in pazienti LAM che LAL rispetto ai
pazienti con malattie ematologiche non
maligne potrebbe essere in relazione alla
presenza di blasti residui e/oppure ai vari
farmaci somministrati per la cura della
leucemia. Nei pazienti LAM, la maggiore
frequenza potrebbe rispecchiare
la
capacità dei blasti LAM residui di indurre
i Treg, oppure essere indotta dalla terapia. Nei pazienti LAL, la maggiore frequenza dei Treg sembra essere invece correlata alla terapia, dal momento che nostri
risultati preliminari suggeriscono una frequenza minore dei Treg all’esordio. I Treg
possono resistere ad un regime di condizionamento aggressivo. Una elevata frequenza pre-trapianto potrebbe favorire la
persistenza di host Treg nel periodo posttrapianto in grado di modulare l’induzione di immunità (anti-tumorale), la tolleranza al trapianto e/o lo sviluppo di Graft
versus Host Disease acuta almeno in quei
trapianti il cui condizionamento non prevede la somministrazione di ATG.
Bibliografia
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[page 48]
VALUTAZIONE DELLA RISP OS TA
ANTI CO RPALE AL PE G-ADA IN
PAZIE NTI AFFETTI DA DEFICI T DI
ADENO SI N DEAMINASI
R. Baffelli ,1 L.D. Notarangelo,2 F. Bolda,1
M. Zucchi,1 A. Lanfranchi,1 F. Porta1,2
1Laboratorio Cellule Staminali, Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo
Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2
Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di
Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini,
Brescia, Italia
Introduzione. Il deficit di adenosin deaminasi (ADA) è un’immunodeficienza ereditata con modalità autosomica recessiva
che rappresenta il 10%-15% di tutti i casi
di SCID. L’ADA è un enzima ubiquitario
che catalizza la conversione di adenosina (Ado) e 2’-deossiadenosina (dAdo) in
Inosina e 2’-deossinosina, rispettivamente. In condizioni fisiologiche la concentrazione plasmatica di adenosina è
bassa, ed è compresa tra 0,05 e 0,4
micromoli, i ribo- e deossiribonucleotidi
purinici sono molto bassi. I modesti livelli di nucleosidi nel plasma riflettono il
loro rapido equilibrio attraverso le membrane cellulari e l’efficiente metabolismo
intracellulare. Nei pazienti affetti da deficit di ADA si manifesta un blocco metabolico, con un accumulo di Ado e dAdo
che, non potendo essere degradate, si
raccolgono nel plasma e vengono trasportate all’interno delle cellule dove
raggiungono alti livelli di concentrazione. I pazienti affetti da questa patologia
necessitano di misure terapeutiche risolutive in grado di ricostituire la funzione
immunitaria. Per il deficit di ADA esistono tre possibili tipi di trattamento: il trapianto di midollo osseo da donatore HLA
compatibile, la terapia sostitutiva con
l’enzima coniugato al polietilen-glicole
(PEG-ADA) e la terapia genica. Il trapianto di midollo osseo rappresenta la terapia di scelta in presenza di un donatore
HLA identico. In assenza di un donatore
compatibile la terapia più rapida ed efficace è la somministrazione intramuscolare dell’enzima ADA di origine bovina
altamente purificato, legato in modo
covalente ad una molecola inerte (PEG).
Questa associazione è in grado di ridurne l’immunogenicità. Questa terapia
sostitutiva è generalmente ben tollerata
e non determina lo sviluppo di reazioni
allergiche o di ipersensibilità. La terapia
prevede la somministrazione di PEG-ADA
in dosi variabili da 20 a 60 U/Kg in unica
o duplice somministrazione settimanale
per via intramuscolo. La sua attività è
extracellulare; questo determina infatti
l’eliminazione di Ado e dAdo presenti nel
plasma e di conseguenza si ha la normalizzazione dei livelli intracellulari di
dATP. La correzione metabolica si attua
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
normalmente in 2-4 mesi, periodo durante il quale si rileva una diminuzione degli
effetti tossici dovuti alla deossiadenosina. Il recupero della competenza immunitaria è variabile; entro le prime settimane di trattamento possono già evidenziarsi un aumento della conta linfocitaria
e il miglioramento della funzionalità T
linfocitaria (testata in vitro con test di
proliferazione ai mitogeni). La valutazione a lungo termine ha evidenziato che,
nonostante il follow-up dei pazienti
dimostri che la gran parte dei pazienti si
mantengono in uno stato di benessere
clinico e resistenza alle infezioni con normali parametri di crescita, si manifestano però un graduale declino del numero
di linfociti T e uno stato di linfopenia. È
stato dimostrato però che una parte di
questi pazienti sviluppa IgG neutralizzanti che possono ridurre o azzerare l’efficacia del PEG-ADA.
Materiali e metodi. In questo studio
abbiamo testato il plasma di 9 pazienti in
terapia enzimatica sostitutiva con Peg
ADA andando a ricercare l’eventuale presenza di Ab contro l’enzima ADA bovino.
Dei nostri pazienti, 8 eseguono 20 U/Kg
di peg-ADA 2 volte a settimana e una
paziente 20 U/Kg una volta a settimana. I
livelli di anticorpi sono stati misurati
attraverso un ELISA indiretto nel quale
viene misurata la quantità di anticorpo
secondario legato che riflette la quantità
di anticorpo primario legato all’antigene.
La specificità dell’anticorpo è stata testata in un ELISA di conferma aggiungendo
nel plasma dei pazienti ADA bovino purificato come antigene di competizione.
È stata dosata anche la quantità di metaboliti tossici nei globuli rossi e l’attività
dell’ADA nel plasma che è correlata con
la dose settimanale di pegADA somministrata.
Risultati e conclusioni. Il trattamento con
peg-ADA permette una rapida ricostituzione clinica ed immunologica. Nella
nostra casistica però, dopo un iniziale
miglioramento delle condizioni generali
del paziente, si può vedere una diminuzione costante nel tempo del numero dei
linfociti circolanti e della risposta linfoproliferativa ai mitogeni. Abbiamo quindi
messo in correlazione il numero di linfociti totali, l’attività dell’ADA nel plasma e
la quantità di IgG antiADA. La comparsa
di anticorpi si ha circa tra le prime 7 e le
10 settimane di terapia. Su 9 pazienti 5
non hanno sviluppato anticorpi, o dopo
un iniziale aumento ne hanno mantenuto
livelli molto bassi. 3 pazienti in trattamento da 14, 13 e 11 anni la quantità di
anticorpi è molto elevata e correla con la
diminuzione dei linfociti circolanti e dell’attività dell’ADA nel plasma. L’ultima
paziente, in trattamento con peg-ADA da
3 anni, ha presentato un aumento degli
anticorpi dalla 7° settimana di trattamen-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
to fino ad oggi. Il costante aumento è
direttamente correlato alla diminuzione
dei linfociti circolanti e alla diminuzione
dell’attività dell’ADA plasmatica. In tutti i
nostri pazienti si può vedere anche un
leggero rialzo nella quantità di metaboliti tossici che, pur mantenendosi a livelli
di buona detossificazione, sono leggermente aumentati rispetto ai dosaggi dei
primi mesi di terapia. Si può quindi dire
che, per la nostra casististica, la presenza di anticorpi neutralizzanti riduce l’attività del pegADA circolante tanto quanto basta per permettere ai metaboliti tossici di riaccumularsi e compromettere il
recupero immunitario e l’efficacia della
terapia.
IL S IGNIFICATO DEL CHIMERISMO
DONATO RE/ RICEVENTE IN BAMBI NI AFFETTI DA MALATTIE EMATO LOGICH E MALIGNE SOTTOP OSTI A
TRAPIANTO ALLO GENICO DI CE LLULE STAMINALI EMO POI ETICHE
DA DONATORE FAMILIARE P ARZIALMENTE H LA-CO MP ATIBILE
D. Lisini,1 M. Zecca,1 M. Labirio,1
G. Acquafredda,1 E. Foppiani,1
P. Guerini,1 G. Ottonello,1 N. Zavras,1
F. Locatelli,1 R. Maccario,3
D. Montagna1,2
1Oncoematologia Pediatrica, Lab. Immunologia dei Trapianti, Fond. IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia; 2Dipartimento
di Scienze Pediatriche, Università di
Pavia; 3Lab.Ricerca/Cell Factory, Oncoematologia Pediatrica, Fond. IRCCS
Policlinico San Matteo, Pavia, Italia
Introduzione. Il trapianto allogenico di
cellule staminali emopoietiche da donatore familiare parzialmente HLA-compatibile (aplo-TCSE) rappresenta una valida
alternativa nel trattamento di pazienti
affetti da malattie ematologiche maligne
ad alto rischio, che non dispongano di un
donatore familiare HLA-identico e per cui
non sia possibile reperire un donatore
volontario nei registri nazionali ed internazionali in tempi brevi. L’impiego di tale
strategia trapiantologica, a causa della
rimozione dei linfociti T dall’inoculo per
la prevenzione della malattia del trapianto contro l’ospite (GvHD, graft versus
host disease), può essere associato ad
un elevato rischio di ricaduta per la
malattia neoplastica originaria.1,2 Risulta
quindi di fondamentale importanza studiare la cinetica di ricostituzione dopo il
trapianto, evidenziando quanto prima
una eventuale convivenza nel circolo
emopoietico di cellule di origine del
paziente e di cellule di origine del donatore, situazione definita come chimerismo misto (CM), e soprattutto indagarne
il significato. Scopo di questo studio è
stato valutare la possibile persistenza o
ri-emergenza di cellule emopoietiche di
origine del ricevente dopo aplo-TCSE in
bambini affetti da malattie ematologiche
maligne ed indagare la relazione esistente tra una situazione di CM e l’outcome
clinico del paziente.
Materiali e Metodi. Il chimerismo donatore/ricevente è stato valutato, tramite
STR-PCR, su a) campioni di sangue periferico (SP), b) campioni di midollo osseo
(MO), c) sottopopolazioni cellulari isolate dal MO, selezionate in base al fenotipo
della cellula leucemica all’esordio di
malattia, d) sottopopolazioni linfocitarie
T, B e natural killer (NK), isolate dal SP.
Sono stati analizzati retrospettivamente
66 bambini, affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA, n=41), da leucemia mieloide acuta (LMA, n=17), e da sindromi
mielodisplastiche (MDS, n=8) che hanno
ricevuto un trapianto di cellule staminali
periferiche, T-depletate, da donatore
familiare parzialmente HLA-compatibile.
Sono stati arruolati pazienti sottoposti
ad aplo-TCSE da almeno un anno.
Risultati. In 32 dei 66 pazienti studiati è
stata evidenziata una situazione di CM,
con coesistenza nel circolo emopoietico
di cellule di origine del donatore e cellule di origine del paziente almeno in un
controllo dopo il trapianto. Dodici di
questi 32 bambini hanno mostrato un
CM nel SP già al momento dell’attecchimento e di questi 10/12 sono ritornati in
chimerismo completo a favore del donatore (CC) entro 24 mesi dal trapianto,
mentre 2 stanno mantenendo un CM
dopo 15 e 25 mesi dal trapianto; questi
12 pazienti sono vivi e liberi da malattia
dopo un periodo medio di follow-up di 34
mesi. Venti dei 32 pazienti hanno mostrato un CM nei campioni di MO, ottenuti
dopo aplo-TCSE a tempi prestabiliti in
base al tipo di malattia e di trapianto:
13/20 sono ricaduti per la malattia neoplastica originaria entro 6 mesi dal trapianto, mostrando un CM solo al momento dell’evidenza clinica di ricaduta. I
rimanenti 7/20 hanno mostrato un CM
nel compartimento midollare senza alcuna contemporanea evidenza clinica e/o
ematologica di ricaduta; in 5 di questi
pazienti un CM è stato documentato
sulla sottopopolazione selezionata in
base al fenotipo della cellula leucemica
all’esordio di malattia (CD19+=3 pazienti,
CD34+=2 pazienti), mentre nei rimanenti
2 bambini non è stato possibile valutare
il chimerismo su una specifica sottopopolazione. Tre di questi 7 pazienti hanno
ricevuto infusioni di CTLs a dosi crescenti e sono ritornati in una condizione di
chimerismo completo a favore del donatore (CC), sono vivi e liberi da malattia
dopo più di tre anni dalla prima comparsa di CM, mentre 4 bambini non hanno
potuto ricevere alcun trattamento,
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
hanno sviluppato un CM progressivo nel
tempo ed infine hanno mostrato evidenza clinica di ricaduta.
Conclusioni. Questi risultati indicano che
un CM che si evidenzia già al momento
dell’attecchimento, e soprattutto tra le
sottopopolazioni linfocitarie T del SP
può essere mantenuto per mesi dopo il
trapianto e non predice necessariamente
una ricaduta per la malattia neoplastica
originaria; di contro una condizione di
CM evidenziata nel compartimento
midollare è fortemente associata alla
ricaduta. La valutazione del chimerismo
in popolazioni selezionate in base al
fenotipo della leucemia all’esordio può
anticipare la ricaduta clinica e permettere di intervenire precocemente con specifiche misure terapeutiche.
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RI CERCA DI MUTAZI ONI ASS OCIATE ALLA PREDIS POS IZIO NE DE L
NEUROBLASTOMA FAMILIARE P ER
MEZZO DI ANALISI COMPL ETA
DELL’E SOMA
L. Longo,1,2 F. Del Grosso,2 M. De
Mariano,2 E. Stupka,3 F. Lescai,3 M.
Chierici,4 C. Furlanello,4 G.P. Tonini1
1Fondazione
Italiana per la Lotta al
Neuroblastoma, Genova, Italia; 2Oncopatologia Traslazionale, Istituto Nazionale
per la Ricerca sul Cancro, Genova, Italia;
3UCL Genomics, London, UK; 4Unit of
Predictive Models for Biomedicine &
Environment Center for Information
Technology, FBK, Trento, Italia
Introduzione. Il neuroblastoma (NB) è
una neoplasia dell’età pediatrica che
insorge nel sistema nervoso simpatico.
Si presenta sia come tumore indifferenziato con scarsa presenza di stroma sia
come ganglioneuroblastoma con stroma
[page 49]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
abbondante. Il NB si manifesta anche
come forma familiare in circa l’1-2% dei
casi in cui si osserva un’ereditarietà di
tipo autosomico dominante con penetranza incompleta. Poiché nei neuroblastomi sporadici sono state trovate diverse regioni cromosomiche delete (e.g.
1p36, 11q, 14q) molti studi sono stati
focalizzati a identificare geni oncosoppressori associati allo sviluppo del NB.
Inoltre, alcune regioni cromosomiche
presentano amplificazione genica (e.g.
2p e 17q) e possono contenere geni
mutati con un ruolo determinante nello
sviluppo del NB.
Nel 2008 abbiamo partecipato a identificare mutazioni missense nella regione
genomica che codifica per il dominio
catalitico dell’Anaplastic Lymphoma
Kinase (ALK), che risulta mutato nella
maggior parte delle famiglie con NB
ricorrente.1 Queste mutazioni comportano un’attivazione del recettore tirosino
chinasico ALK e lo screening nei casi
sporadici ha evidenziato che possono
essere acquisite anche a livello somatico
con una frequenza di circa l’8%.1 A tutt’oggi sono state identificate più di 20
diverse mutazioni del gene ALK, con tre
hotspot di mutazione alle posizioni
F1174, F1245 e R1275.2 Inoltre, pazienti
con NB familiare, in associazione con sindrome di Ondine e/o malattia di
Hirschsprung, presentano spesso mutazioni del gene homeobox PHOX2B.3
Nonostante le mutazioni a carico di questi due geni siano presenti nella maggior
parte dei casi di NB familiare, ulteriori
determinanti genetici devono essere
ancora identificati così come eventuali
geni modificatori della penetranza. Nei
casi di NB sporadico è probabile che la
trasformazione tumorale insorga da interazioni di varianti comuni del DNA in cui
ogni variazione individuale comporta un
relativo effetto sulla suscettibilità alla
malattia. Studi di associazione hanno
mostrato SNP associati al NB nel gene
ipotetico FLJ22536, sul cromosoma
6p22.3, e nel gene BARD1, sul cromosoma 2q35. Lo stesso studio ha anche
mostrato che una variazione nel numero
di copie di una regione genetica del cromosoma 1q21 è associata con lo sviluppo del NB.4 Questi dati supportano l’ipotesi che il NB sia una malattia oligogenica.5 Recentemente la nuova tecnologia
chiamata Next Generation Sequencing
(NGS) ha aperto una nuova possibilità di
indagine del genoma e del trascrittoma,
che presenta molti vantaggi rispetto
all’impiego dei microarray con nucleotidi ad alta densità. In questo studio abbiamo applicato la NGS per sequenziare l’intero esoma di alcuni membri di una famiglia con NB ricorrente (IGG-E) con
l’obiettivo di identificare varianti geni-
[page 50]
che associate alla malattia.
Metodologia. Il sequenziamento completo dell’esoma è stato eseguito sul DNA di
due cugini di secondo grado della famiglia IGG-E affetti da NB (E5 ed E10, Figura
1) e di due parenti non consanguinei (E6
ed E8, Figura 1). La distanza genetica tra
i due pazienti è tale per cui le varianti
genetiche condivise sono circa il 3%. In
questa famiglia segrega la mutazione
G1128A di ALK, la cui penetranza è
bassa. La percentuale di individui portatori della mutazione che hanno sviluppato NB è, infatti, di circa il 31% (5/16). I
campioni sono stati sequenziati con
l’Illumina HiSeq 2000 in collaborazione
con il centro Beijing Genomics Institute
(Cina), usando il protocollo con "100 bp
paired end kits”. I dati sono stati analizzati dalla UCL Genomics, usando UCL
Legion cluster, e dalla Unit of Predictive
Models for Biomedicine & Environment,
Center for Information Technology, FBK,
Trento, Italia. Il controllo di qualità è
stato eseguito impiegando il FastQC software, valutando la lunghezza dei prodotti sequenziati, la qualità dei profili, il contenuto in GC, la media del contenuto in
GC per base, la media delle basi contenute nella posizione di sequenza e controllando le sequenze sovra rappresentate.
Dopo aver analizzato la qualità dei dati di
sequenza, le sequenze sono state allineate con un genoma di riferimento (GRC37
da ENSEMBL database) impiegando il
software Novoalign (Novocraft). L’analisi
degli SNP è stata eseguita con Samtools
0.1.7, in formato VCF, mentre le annotazioni per SNP sono state eseguite con
SeattleSNP.
Risultati preliminari. L’analisi ha identificato una media di 42.758 SNP nei 4 campioni di DNA, di cui 13.051 all’interno di
regioni geniche. Tra queste varianti sono
state identificate 54 mutazioni nonsenso,
18 mutazioni in siti di splicing e 13.051
mutazioni missense. Infine, in media,
sono stati identificati un totale di 3.275
SNP non descritti nel database dbSNP
(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/snp).
Ringraziamenti. Questo studio è stato
finanziato dalla Fondazione Italiana per
la Lotta al Neuroblastoma e dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul
Cancro.
Conclusioni. L’analisi preliminare dei dati
di NGS ha evidenziato circa 5.000 SNP
condivisi dai due pazienti affetti da NB
ma non dai parenti non consanguinei.
Alcuni di questi SNP mappano in regioni
cromosomiche precedentemente associate alla predisposizione al NB. Ulteriori
analisi sono in corso per validare i risultati ottenuti e definire una “top list” di
geni candidati per la predisposizione al
NB e/o geni modificatori della penetranza.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Figura 1. Pedigree della famiglia IGG-E in
cui segrega la mutazione G1128A del gene
ALK; wt: wild type.
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TERAPI A RIGENE RATIVA DI DIFETTI OS SEI PEDIATRICI CO N CELLULE
STAMI NALI DA POLP A DENTARIA
L. Rubaga,1 F. Bolda,1 A. Bosi,1
C. Paganelli,3 F. Valtancoli,4 F. Porta,2
A. Lanfranchi1
1Laboratorio Cellule Staminali, Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo
Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia;
2Oncoematologia Pediatrica e Trapianto
Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini,
Brescia; 3Clinica Odontoiatrica, Università
degli Studi di Brescia, Brescia; 4Ortopedia
Pediatrica, Ospedale dei Bambini, Brescia,
Italia
Introduzione. I difetti ossei pediatrici,
cisti ossee o palatoschisi, di cui l’attuale
terapia si basa su trattamento con desametasone o intervento chirurgico, potrebbero essere curati con la medicina
rigenerativa in un prossimo futuro. Studi
recenti hanno evidenziato infatti la possibilita’di ottenere cellule mesenchimali,
precursori di osteoblasti, dalla polpa
dentaria (DP-MSCs).
Materiali e Metodi. Nel nostro Dipartimento 10 pazienti con recidiva di cisti
ossea dopo trattamento chirurgico sono
stati trattati con infusione di midollo
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
osseo fresco autologo. In tutti i 10 casi la
lesione si è risolta con successo. Molto
promettente è la prospettiva di utilizzare
DP-MSCs per il trattamento di pazienti
con patologie ossee. Sono stati analizzati
33 elementi dentari (decidui e permanenti) provenienti da estrazioni effettuate a
scopo ortodontico, previo consenso
informato. Dopo rottura dell’elemento ed
estrazione del tessuto pulpare (TP) i
campioni sono stati coltivati in terreno
specifico per oltre 7 settimane. 10 campioni sono stati immediatamente sottoposti a digestione, coltura ed espansione
e poi indotti a differenziamento osteogenico. I rimanenti 23 sono stati invece sottoposti a crioconservazione in 3 diverse
condizioni: 1) Tessuto Pulpare digerito e
congelato; 2) Tessuto Pulpare intero congelato; 3) Dente intero congelato.
Successivamente tutti i 23 campioni
sono stati espansi e indotti a differenziamento osteogenico nelle stesse condizioni dei primi 10. Tutti i campioni sono
stati poi valutati per immunofenotipo e
indice di proliferazione (IdP) in settimana 3, 4, 5, 6 e 7.
Risultati. L’analisi immunofenotipica ha
evidenziato che queste cellule, sia da
campione “a fresco” sia congelato e poi
scongelato, sono positive per i marcatori
CD29, CD90, CD44, CD73 e CD105; mediamente positive per CD54 e CD71; debolmente positive per CD106 e CD117; negative per CD14, CD25, CD31, CD34, CD45 e
per HLA-DR. L’IdP dei campioni scongelati e differenziati da Tessuto Pulpare intero (Population Doubling Time=2.25 gg) è
sovrapponibile a quello da Tessuto
Pulpare fresco (PDT=2,23 gg, La colorazione con Alizarina Red S, eseguita su
campioni a fresco, ha messo in evidenza
la capacita’ di depositare Sali di calcio
nella matrice extracellulare.
Conclusioni. Questo lavoro ha dimostrato la possibilita’ di reperire ed espandere
cellule staminali mesenchimali da polpa
dentaria con caratteristiche morfologiche, immunofenotipiche e funzionali
simili alle cellule mesenchimali isolate
da midollo osseo, e quindi di utilizzarle a
fresco e dopo crioconservazione di
Tessuto Pulpare per la terapia rigenerativa in pazienti con patologie ossee. In
questo modo si utilizza un prelievo non
invasivo di tessuto autologo altrimenti
non utilizzato. I risultati ottenuti sono di
particolare interesse per l’istituzione di
una banca dedicata di cellule staminali
del soggetto, senza necessita’ immediata
di espansione e utilizzo delle DP-MSCs.
Bibliografia
Stem cells were identified in adult human
dental pulp (DPSC), human primary
teeth (SHED) and periodontal ligament
(PDLSC)” Shi et al, 2005
The findings that MSCs can be relatively
easily isolated from various tissues […]
make them of interest for their potential
application in tissue repair and regenerative medicine” Gronthos et al, 2006
S TANDARDI ZZAZIO NE DI TECNI CA
DI SEP ARAZIO NE DI SO TTOP OP OLAZIO NI CELLULARI PER MO NITO RAGGIO CH IMERICO DO PO TRAP IANTO ALLOGENICO IN P AZI ENTI
P EDIATRI CI.
D. Di Martino,1 G.Morreale,1
M. Di Duca,2 M.P.Terranova,1
S. Giardino,1 E. Biral,1M. Faraci,1
E. Lanino1
1Modulo
Funzionale TCSE, Dipartimento
di Ematologia e Oncologia Pediatrica;
2Laboratorio
di
Fisiopatologia
dell’Uremia, UO di Nefrologia; IRCCS G.
Gaslini, Genova, Italia
Introduzione. L’analisi quantitativa del
chimerismo acquista sempre più importanza nel monitoraggio dei pazienti dopo
trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE). La valutazione della percentuale di ematopoiesi del donatore
rispetto a quella del ricevente, fornisce
informazioni sull’attecchimento in tempi
molto precoci dopo il trapianto ma è
soprattutto la sua dinamica nel tempo
che permette di ottenere informazioni
sull’esito del trapianto stesso. Infatti lo
studio del chimerismo può permettere di
porre diagnosi precoce di: fallimento dell’attecchimento, parziale o completo
attecchimento, recidiva della sottostante
malattia e probabilmente anche di incipiente GvHD severa.1 Alcune di tali situazioni, se diagnosticate precocemente,
possono beneficiare di appropriati interventi quali la modulazione di immunosoppressione o l’infusione di linfociti del
donatore che possono essere in grado di
modificare l’esito del trapianto. Lo studio del chimerismo con metodiche di
biologia molecolare (STR-PCR)2 ha permesso di chiarire che accanto al chimerismo completo (CC) cioè 100% di ematopoiesi del donatore, è possibile documentare, soprattutto dopo l’avvento dei
condizionamenti non mieloablativi, tre
differenti situazioni di chimerismo misto
(CM). In base all’ andamento nel tempo
possiamo distinguere un: 1) CM Transi torio (CMT), in cui la quota ricevente
diminuisce spontaneamente nel tempo
fino a raggiungere un CC; 2) CM Stabile
(CMS), in cui le percentuali di donatore e
ricevente coesistono in maniera stabile;
3) CM progressivo (CMP), in cui la percentuale di DNA del ricevente aumenta
progressivamente fino a giungere a un
possibile rigetto secondario. In tempi più
recenti è stato coniato il termine di “Split
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Chimerism” o di “chimerismo di linea
cellulare”.3 La possibilità di separare sottopopolazioni cellulari dal sangue periferico con successiva esecuzione dell’analisi, permette di valutare tale chimerismo, cioè la quota donatore/ricevente in
ogni singola linea cellulare, in pratica
nelle popolazioni T, B, NK e nei monociti.
Dal 2006, nel nostro laboratorio viene
regolarmente effettuato il monitoraggio
del chimerismo tramite STR-PCR su tutti
i pazienti sottoposti a trapianto. La casistica è molto variabile sia in relazione al
tipo di patologia (neoplastica e non neoplastica) che al tipo di condizionamento
(mieloablativo e non mieloablativo).
Tutti i soggetti che presentavano un chimerismo misto su sangue intero sono
stati sottoposti all’analisi sulle sottopopolazioni cellulari. Lo scopo del nostro
studio è di valutare possibili correlazioni
tra tipo di chimerismo riscontrato nelle
varie sottopopolazioni e l’andamento del
trapianto.
Materiali e metodi. A vari tempi post trapianto è stato raccolto il sangue periferico di 140 pazienti (Pz) afferenti presso la
nostra Unità Operativa di TCSE, per
monitorare il chimerismo post trapianto.
Su 23 pazienti che presentavano un CM a
15-20 giorni post TCSE, si è proceduto
alla separazione delle sottopopolazioni
cellulari ed è stato eseguito lo studio del
chimerismo secondo le seguenti procedure: 1) ficoll su prelievi di sangue periferico e successiva separazione dei linfociti T, B, cellule NK, monociti mediante
passaggio su colonna in campo magnetico MACS (Miltenyi Biotec); 2) estrazione
del DNA (High Pure PCR Template
Preparation Kit; Roche); 3) amplificazione STRs mediante l’analisi di 8 loci diversi più amelogenina (kit AmpFlSTR
Profiler Plus ; Applied Biosystem); 4)
analisi su Sequenziatore ABI Prism 3130
Genetic Analyzer (Applied Biosystem);
5) determinazione delle dimensioni degli
STR e degli alleli di ciascun paziente e
del suo donatore con software GeneMapper (Applied Biosystem); 6) calcolo
del chimerismo: la percentuale delle cellule del donatore viene calcolata come
rapporto tra le altezze dei picchi del
donatore e quelle del ricevente sui tracciati forniti dal software.
Risultati. Nei 23 Pz studiati l’andamento
nel tempo del chimerismo su sangue
intero ci ha permesso di riconoscere i
seguenti tipi: in 14/23 un CMT, in 6/23 un
CMS e in 3/23 un CMP, evoluto in tutti i 3
casi in rigetto (primario in 1 caso e
secondario negli altri 2). Dei 14/23 Pz con
CMT: 10/14 hanno raggiunto un CC entro
i 6 mesi dal trapianto (5 nel primo mese);
in 3/14 il CC è stato raggiunto rispettivamente dopo 1 anno, 2 anni, e 4 anni; in
1/14 attualmente a distanza di 1 anno dal
trapianto, persiste ancora una minima
[page 51]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
percentuale di ricevente (5%). In questo
gruppo di pazienti, la sottopopolazione
CD3+, ad ogni monitoraggio effettuato,
presentava una percentuale di donatore
superiore a quella riscontrata su sangue
intero, mentre la popolazione CD56+ presentava una percentuale del donatore
sovrapponibile a quella su sangue intero.
In 6/23 Pz con CMS è stata raggiunta una
stabilità del chimerismo su sangue intero
in un periodo variabile da 1 a 6 anni. In
tutti i 6 casi, fin dalla prima valutazione
la percentuale di CD56+ di origine del
donatore era superiore rispetto al totale,
mentre per le cellule CD3+ si è assistito
ad un progressivo aumento della quota
del donatore. I 3/23 pazienti che sono
andati incontro a un rigetto presentavano una percentuale di CD3+ del donatore
minore rispetto al totale e si è riscontrata una percentuale di CD56+ uguale a
quella della popolazione totale in 2/3
mentre in 1/3 non è stato possibile
determinarla. In tutti e 23 i pazienti, lo
studio del chimerismo delle cellule
CD14+ ha permesso di verificare che la
percentuale di CD14+ del donatore risulta essere uguale in 10/23 casi (ognuno
dei quali presenta un CM differente)
mentre risulta minore rispetto a quella
della popolazione totale in 4/23 pazienti,
risulta maggiore solamente in un paziente mentre non è stato possibile determinarla in 8/23 pazienti studiati. Non sembra esservi correlazione tra il tipo di condizionamento (16/27 mieloablativo;
11/27 non-mieloablativo) e il tipo di chimerismo riscontrato. Tutti i pazienti con
malattia neoplastica presentano CMT,
mentre tutti i casi di CMS riguardano
pazienti con malattia non neoplastica.
Nella nostra casistica 10/23 pazienti
hanno presentato una GvHD più o meno
grave e tutti hanno raggiunto un CC dopo
aver attraversato una fase di CMT.
Conclusioni. Per lo studio del chimerismo post trapianto, sono stati impiegati
e sviluppati nel tempo numerosi metodi
di analisi (1). Tra questi, la caratterizzazione dei marcatori STR che utilizza l’amplificazione con primer fluorescenti e
l’elettroforesi capillare, permette un’accurata quantificazione del chimerismo
misto con una sensibilità dell’1%. Nel
nostro laboratorio abbiamo standardizzato un’ulteriore tecnica di separazione
cellulare in campo magnetico che ci consente di selezionare le sottopopolazioni
leucocitarie nella valutazione di un chimerismo misto. Si tratta certamente di
un valido aiuto per approfondire il ruolo
delle diverse popolazioni cellulari nella
dinamica chimerica post trapianto. Una
maggiore percentuale di cellule CD3+ di
origine del donatore sembra correlare
con un chimerismo misto transitorio e
quindi una successiva evoluzione verso
un CC. Al contrario, una precoce defi-
[page 52]
cienza di CD3+ del donatore correla con
una evoluzione sfavorevole con possibile
esito in rigetto. Nella nostra casistica,
per la precocità con cui sono avvenuti i
rigetti, non è mai stato possibile intervenire con infusione di linfociti del donatore, tuttavia riteniamo meritevole di
segnalazione che in un caso di anemia
aplastica esitato in poor take con mantenimento della trasfusione dipendenza, è
stata fatta una successiva infusione di
cellule CD34+ selezionate che, oltre a
risolvere lo scarso attecchimento,ha
comunque comportato, a distanza di
pochi mesi, una significativa variazione
percentuale delle cellule CD3+ a favore
del donatore, con passaggio di quest’ultimo dal 23% all’86%. Le conclusioni preliminari di questo nostro studio confermano che l’analisi del chimerismo, su sangue intero e sulle sottopopolazione cellulari, sta assumendo sempre più un
importante ruolo nella diagnostica precoce dell’esito del trapianto e conseguentemente può guidare verso precoci
interventi terapeutici in caso di rigetto/recidiva.
Bibliografia
1. Bader P, Niethammer D, Willasch A,
Kreyenberg H, Klingiebiel T. How and
when should we monitor chimerism
after allogeneic stem cell transplantation? Bone Marrow Transplant.
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2. Lobashevsky AL, Senkbeil RW,
Townsend JE, Mink CA, Thomas JM.
Quantitative analysis of chimerism
using a short tandem repeat method
on a fluorescent automated DNA
sequencer. Clin Lab Haematol 2006;
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3. Willasch A, Eing S, Weber G, Kuci S,
Schneider G, Soerensen J, Jarisch et
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applying automated MACS technique: purity, recovery and applicability for PCR-based chimerism analysis.
Bone Marrow Transplant. 2010; 45 (1)
181-189.
RUO LO DEL LA MALATTIA MINIMA
RESIDUA (MMR) NELLE FASI
POST-INDUZIONE DEI BAMBINI
AFFETTI DA LLA T(9;22) POSITI VA NELL’ ERA G LIVEC
A. Poli,1,2 L. Greco,1 P. Samperi,2
A. Di Cataldo,2 M La Spina,2 S. Marino,2
L. Lo Nigro1,2
1Laboratorio
di Citogenetica e Biologia
Molecolare per malattie emato-oncologiche; 2Centro di Riferimento Regionale
di Ematologia ed Oncologia Pediatrica
Azienda Policlinico OVE Catania, Italia
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Introduzione. Gli attuali protocolli terapeutici della Leucemia Linfoblastica
Acuta (LLA) del bambino prevedono il
monitoraggio della Malattia Minima
Residua (MMR) per eseguire la stratificazione in gruppi di rischio. La valutazione
della MMR viene effettuata mediante
amplificazione quantitativa dei riarrangiamenti genici clonali delle immunoglobuline (Ig) e del T-cell receptor (TcR).
Nel caso delle traslocazioni la MMR
viene eseguita mediante rilevamento dei
geni di fusione. Nella LLA t(9;22) positiva
si ricercano i trascritti BCR-ABL (p190 e
p210). L’utilizzo separato delle suddette
metodiche nei casi di LLA t(9;22) ha dato
risultati contrastanti.1,2 Di contro, il loro
impiego costante in questo sottogruppo
di pazienti con LLA, può rivelarsi produttivo, alla luce del fatto che attualmente è
disponibile un farmaco specifico: il
Glivec.
Materiali e Metodi. Abbiamo studiato i
campioni di follow-up di 5 casi di LLA
t(9;22) positivi, diagnosticati presso il
nostro centro dall’Aprile 2002 sino a
Marzo 2010. L’analisi MMR dei geni Ig e
TcR è stata condotta in real time PCR
mediante 7000 SDS Applied Biosystem
secondo il protocollo ESG-MRD-ALL.3 La
presenza del trascritto BCR-ABL è stata
effettuata mediante protocollo di RT-PCR
standardizzato.4 Due casi sono stati trattati con il protocollo LLA 2000: un caso è
stato sottoposto a trattamento con
Glivec (300 mg/mq/die) solo dopo recidiva midollare post-induzione e fino al trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE). L’altro caso ha eseguito terapia con Glivec solo dopo TCSE allogenico. Gli altri tre casi sono stati arruolati al
protocollo ESPhALL, seguendo le indicazioni per la somministrazione dell’inibitore delle Tirosin Chinasi. In totale sono
stati analizzati 40 campioni di follow-up.
Dei quattro casi sottoposti ad allo-TCSE
familiare sono stati analizzati 20 campioni post-trapianto.
Risultati. I due casi appartenenti al protocollo LLA 2000 sono stati seguiti mediante la ricerca del trascritto BCR-ABL sia
pre- che post-allo-TCSE. Dei tre casi
arruolati al protocollo ESPhALL, due
sono stati sottoposti a procedure trapiantologiche. Nel caso di B.F. l’andamento MMR in RQ-PCR, valutato con due
marcatori molecolari, ha mostrato un
quadro di rischio Intermedio, confermando poi l’assenza di malattia sino al
time-point + 100 giorni post-trapianto,
anche in RT-PCR. Il paziente continua a
ricevere Glivec. Nel caso di S.V. sono
stati rilevati livelli di MMR significativamente alti (>10-3) fino al TCSE allogenico
familiare. Subito dopo i livelli di malattia
si sono ridotti sino a >10-4 . Ad un anno
di distanza dal TCSE, S.V. ha presentato
una recidiva molecolare ed in parte mor-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
fologica (<5%) di malattia. Ripresa la
terapia con Glivec, dopo una iniziale
riduzione, il livello di MMR è risalito a 102. Sostituito (maggio 2010) il Glivec con il
Dasatinib (70 mg x 2/die), la quantità di
MMR è rimasta quasi invariata, anche in
considerazione del fatto che S.V. ha presentato segni di tossicità intestinale. In
relazione a tali dati, si è deciso di riprendere la terapia con Glivec associandola
alla chemioterapia a Blocchi BFM-like,
avviando S.V. ad un 2° allo-TCSE da cellule staminali periferiche. Dopo la somministrazione del Blocco 1, la MMR si è consistentemente ridotta da 1,6¥10–2
(Agosto 2010) sino a 4,4¥10–5 (Ottobre
2010). S.V. è andata al TCSE con un quadro di MMR di 5,2¥10–5. Il 2° allo-TCSE è
stato effettuato il 25/11/10 ed i due controlli post-trapianto (+ 30 e +100 gg)
hanno mostrato assenza di malattia con
entrambe le metodiche. Il caso C.A. ha
presentato un quadro di MMR di tipo
Intermedio. L’assenza della malattia a
livelli molecolari è stata confermata fino
allo Stop therapy. L’ultimo controllo ha
mostrato un dato discrepante tra MMR
mediante IgH e MMR mediante RT-PCR.
La positività per il trascritto BCR-ABL è
stata confermata da due analisi eseguite
in due distinti laboratori. A distanza di
un mese, è stata ripetuta l’analisi in RTPCR, mostrando però esito negativo.
Nonostante ciò, in relazione alla positività accertata, è stato deciso di iniziare un
trattamento con Glivec (300 mg/mq/die)
per almeno 1 anno. Saranno eseguiti controlli midollari ogni quattro mesi.
Conclusioni. La nostra esperienza dimostra che: 1) entrambi i metodi sono affidabili e presentano una sensibilità quasi
sovrapponibile; 2) a corretta interpretazione dei risultati relativi ad entrambi i
metodi può permettere una gestione
migliore del trattamento post-induzione
e post-allo-TCSE con un farmaco come il
Glivec, specifico per il trascritto BCRABL e con ridotti effetti collaterali, facilitando la possibilità di identificare l’adeguato periodo di esposizione all’inibitore
delle Tirosin Chinasi; 3) la valutazione
dei risultati contrastanti fra i due metodi
è probabilmente legata ad un coinvolgimento multilineage con cellule contenenti il trascritto ma senza caratteristiche
neoplastiche. (1).
Bibliografia
1. Zaliova M. et al. Leukemia 2009;1-8.
2. Cazzaniga
G., et al. Brit. Journal
Haematol. 2002; 119:445-453.
3. Weerkamp F., et al. Leukemia 2009 (23)
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4. Van Dongen JJ. et al. Leukemia 1999 Dec.
13 (2):1901-1928.
5. Van der Velden VHJ. et al. Leukemia
2007; 21 (4): 604-11.
BACKTRACKING DEL CLONE LEUCEMICO NE LLA CARATTERI ZZAZI ONE
DELLA LE UCEMI A ACUTA DEL BAMBINO.
R. Catania,1 A. Poli,2 G. Cazzaniga ,3
C. Meyer,4 T. Ford,5 D. Bottino,2
R. Marschalek,4 L. Lo Nigro2
1Dipartimento
di Pediatria, Università di
Catania; 2Laboratorio di Citogenetica e
Biologia Molecolare per le Malattie
EmatoOncologiche, Azienda Policlinico
OVE Catania; 3Centro Ricerche Tettamanti
Monza; 4Institute of Pharmaco-Biology
University of Frankfurt; 5 The Institute of
Cancer Research, Sutton, Surrey, United
Kingdom;
Introduzione. Il backtracking del clone
leucemico nella LLA del bambino permette di: 1) verificare la presenza del
clone leucemico in utero analizzando le
Guthrie-cards;1 2) caratterizzare le fasi di
aplasia midollare che in un 20% di casi
anticipano di 4-6 mesi l’insorgenza di
LLA tipo common2; 3) confrontare il
clone della recidiva con quello della diagnosi per stabilire se si tratta della stessa malattia o di una evoluzione clonale o
di altro ancora.3 Per tale motivo, riportiamo qui la nostra esperienza del backtracking del clone leucemico nella LLA del
bambino.
Materiali e Metodi. Abbiamo analizzato i
campioni di 6 bambini affetti da LLA Blineage, diagnosticati presso il Centro di
Catania nel periodo compreso tra il 1995
ed il 2009. Abbiamo utilizzato l’InversePCR per caratterizzare il clone leucemico
di un caso di LLA pre-pre B t(4;11) positiva (L.M.), definendo la sequenza genomica del gene di fusione MLL-AF4. In un
caso di due gemelli monocoriali (N.S e
N.F.) con la LLA t(9;22) è stato sequenziato a livello genomico il gene di fusione
BCR-ABL. In questi soggetti è stata valutata la presenza delle sequenze genomiche nel DNA estratto dalle Guthrie-cards,
allo scopo di verificare la concordante
natura monoclonale della malattia e la
sua eventuale presenza in utero. Inoltre
abbiamo caratterizzato i geni delle
Immunoglobuline e del T-cell receptor
(TcR) sia nei bambini sopracitati che nei
cloni leucemici di altri tre casi: in due (L.
L. e M. F.) abbiamo valutato la presenza
del clone della diagnosi in un campione
di aspirato midollare eseguito qualche
mese prima dell’esordio per aplasia postinfettiva; in un terzo caso (D. A.) abbiamo confrontato il clone della diagnosi
con quello della recidiva midollare isolata tardiva dopo 13 anni. Abbiamo eseguito l’estrazione del DNA dalle Guthrie
cards utilizzando un protocollo basato
sull’utilizzo del phenolo/cloroformio. La
qualità del DNA estratto è stata verifica-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
ta mediante PCR valutando l’amplificazione della Beta-actina.
Risultati. Nel caso di M.L. (6 anni al
momento della diagnosi) abbiamo identificato la sequenza genomica del breakpoint tra MLL-Introne 9 e AF4-Introne 3.
Abbiamo identificato inoltre VH6-JH6,
Vδ2-Dδ3 e Vγ11-Jγ1.3/2.3. Con un livello di
sensibilità pari a 10-4, abbiamo utilizzato
sia il VH6 che il Vγ11 insieme ai gene specific primers (GSPs) di MLL per verificare
la presenza del clone leucemico nelle
Guthrie cards. Le nostre analisi hanno
dimostrato l’assenza del clone leucemico
originale, indicando che la traslocazione
t(4;11) è un evento post-natale e sufficiente per indurre la LLA. Di contro, dopo aver
sequenziato il gene di fusione BCR-ABL,
abbiamo dimostrato la presenza del clone
leucemico in entrambi i campioni di
Guthire Cards dei gemelli affetti da LLA
t(9;22) positiva. Tale dato, per la prima
volta, dimostra che la t(9;22) è un evento
pre-natale, che non è sufficiente per
indurre la trasformazione leucemica
(avvenuta tre anni dopo), e che lo stesso
identico clone è presente in entrambi
gemelli. Nei casi di L.L. e M.F., affetti da
LLA tipo common, abbiamo identificato il
riarrangiamento VH1-JH1 nel clone leucemico e abbiamo analizzato due aspirati
midollari eseguiti rispettivamente 4 e 2
mesi prima dell’esordio. Tali controlli
erano stati effettuati per l’insorgenza di
una pancitopenia post-infettiva seguita da
una ripresa spontanea completa: gli aspirati midollari apparivano con cellularità
scarsa ma l’analisi molecolare in RealTime ha dimostrato la presenza del clone
leucemico già 2-4 mesi prima della diagnosi. Infine nel caso D.A., abbiamo confermato la presenza del clone originario utilizzando i primers specifici del riarrangiamento caratterizzato al momento della
diagnosi: il Vδ2-Dδ3 presente nella recidiva era lo stesso identico di 13 anni prima.
Conclusioni. I nostri dati confermano
che: 1) lo studio delle Guthrie-cards è
utile per comprendere la presenza di una
fase pre-leucemica in utero come dimostrato in casi con differenti traslocazioni
;1 2) la fase aplastica che precede di qualche mese la insorgenza della LLA tipo
common è caratterizzata dalla presenza
di cellule leucemiche in piccola quantità
ma pronte per espandersi successivamente: second hit?2 3) il confronto tra
diagnosi e recidiva dimostra come in
alcuni rari casi il clone leucemico originario si conservi per lungo tempo e dopo
eventi scatenanti (infezioni) riemerge
anche dopo 5-10 anni mostrando le stesse caratteristiche molecolari.3,4
Bibliografia
1. Wiemels J, Kang M, Greaves M.
[page 53]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Backtracking of leukemic clones to
birth. Methods Molecular Biology, 538:
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2. Greaves M. Darwinian medicine: a case
for cancer. Nature Review Cancer, 7: 213221; 2007.
3. Mullighan CG et al. Genomic analysis of
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4. Lo Nigro L et al. Clonal Stability in children with acute lymphoblastic leukemia
(ALL) who relapsed five or more years
from diagnosis. Leukemia, 13: 190 – 195;
1999.
VALUTAZIO NE Q UANTITATIVA
DEL L’ES PRESS IONE DI M-RNA DELL’ALPH A HEMOGLO BIN STABILIZI NG PRO TEI N (AHS P) IN P AZIENTI
AFFETTI DA TALASS EMIA INTERMEDIA E CORRELAZIONE COL
FENOTIPO
P. La Cava, G. Giuffrida, R. Gingari,
C. Giallongo, D. Tibullo, A. Branca,
N. Parrinello, A. Romano, G. Palumbo,
F. Di Raimondo
Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare,
sezione Ematologia; ospedale Ferrarotto
via Citelli 6 Catania, Italia
Introduzione. Nei pazienti con β-talassemia è alterato il processo di sintesi delle
catene β, mentre le α-globine vengono
regolarmente sintetizzate. L'eccesso di
α-globine precipita all'interno dei precursori a livello del midollo osseo causando
la prematura distruzione di questi (eritropoiesi inefficace) e la conseguente
anemia.3 La AHSP (αHb-Stabilizing
Protein) è una proteina in grado di legare
selettivamente la Apo-α globina e la
αHb. Il legame della AHSP alla αHb, che
avviene a livello degli stessi siti di legame per la β-globina, è molto stabile e
non consente al complesso di precipitare. In condizioni normali una sufficiente
concentrazione di β-globina grazie alla
sua affinità maggiore rispetto alla AHSP,
lega normalmente la α-globina portando
alla formazione di HbA. Tuttavia nei casi
in cui esista un difetto di sintesi di β-globina, come nelle β-talassemie, la AHSP
può svolgere un importante ruolo di stabilizzazione cellulare, comportando una
riduzione dell'emolisi e della conseguente anemia.
Materiali e Metodi. In 4 pazienti con talassemia maior, 18 pazienti con talassemia
intermedia, 4 pazienti con talassemia
minor e 4 pazienti con talasso-drepanocitosi, abbiamo valutato l'espressione dei
livelli di mRNA di AHSP e l’abbiamo correlati all’emocromo e la conta dei reticolociti
Risultati. I livelli di espressione di mRNA
codificante per AHSP si sono dimostrati
notevolmente aumentati nei pazienti con
Talassemia Maior sia rispetto al pool di
soggetti sani sia rispetto alle altre cate-
[page 54]
gorie di pazienti talassemici. I livelli di
espressione si riducono via via nei
pazienti con Talassemia Intermedia e
Minor nonchè nei Talasso-drepanocitici,
mantenendo comunque valori superiori
ai soggetti sani. La correlazione tra
l'espressione genica ed i livelli di
Reticolociti circolanti non si è dimostrata statisticamente significativa in nessuna categoria di pazienti. Si è invece evidenziata correlazione tra i livelli di trascritto ed i valori di emoglobina, con un
andamento crescente di questa al crescere del trascritto, ma solo nei soggetti
con Talassemia Maior. Infatti solo in questa categoria di pazienti si è raggiunta un
indice di correlazione R2>0.7 mentre nei
Talassemici Intermedi e Minor tale correlazione si perde (R2<0.7).
Conclusioni. Il nostro studio ha dimostrato come la proteina AHSP rientri nei meccanismi fondamentali di regolazione dell'eritropoiesi, stabilizzando le molecole
di α-globina non legate alle β-globine,
meccanismo che diventa ancora più
importante nei pazienti con difetto di
sintesi delle β-globine stesse, come i
pazienti talassemici. Ne è prova il fatto
che nei pazienti con Talassemia Maior, e
quindi trasfusione-dipendenti, un valore
alto di espressione di mRNA per AHSP
correli con un valore di emoglobina più
elevato. Nei pazienti con Talassemia
Intermedia e Minor o nei soggetti
Talasso-drepanocitici tale correlazione
non si evince probabilmente perchè si
tratta di soggetti con esiguo o nullo fabbisogno trasfusionale e quindi con valori
di emoglobina tendenzialmente stabili.
Bibliografia
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[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
CD200 NEI DISO RDI NI B-LINFO PROLIFERATIVI
N. Parrinello, A.Triolo, P.La Cava,
C. Giallongo; D. Tibullo, A. Romano,
A. Chiarenza, G. Palumbo,
F. Di Raimondo
Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare,
Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto
via Citelli 6 Catania, Italia
Introduzione. I vari disordini linfoproliferativi, classificati secondo i criteri della
World Health Organization (WHO)1, rappresentano delle entità eziopatogenetiche con decorso clinico, risposta al trattamento e sopravvivenza ben distinte fra
loro, tuttavia non sempre si riesce a dare
un corretto inquadramento diagnostico
in quanto spesso presentano caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche
sovrapponibili. Il CD200, conosciuto
anche come OX-2, è una glicoproteina
transmembrana che appartiene alla
superfamiglia delle immunoglobuline ed
ha funzioni immunosoppressive in vari
tessuti 2. La sua espressione è riportata
sui trofoblasti, neuroni, cellule endoteliali, B-linfociti, T-linfociti attivati, timociti,
cellule dendritiche 3, nonché sulle plasmacellule di mieloma, dove assume un
significato prognostico negativo 4 e sul
clone di B-linfociti CD19+/CD5+ della leucemia linfatica cronica (LLC). Nel nostro
studio abbiamo indagato il possibile
ruolo del CD200 come strumento diagnostico in vari disordini B-linfoproliferativi.
Metodi. Tramite analisi citofluorimetrica
multiparametrica (FC-500 Beckam coulter), abbiamo valutato l’espressione del
CD200 in N.122 pazienti (pts) con LLC,
(di cui N.103 hanno matutes score 5 4-5 e
N.19 hanno matutes score 3), in N.52 pts
con linfomi non Hodgkin (LNH) CD5+
(score 1-2), e in N.20 pts con LNH CD5(score 0-1). Per ogni campione sono
state prelevate tre aliquote di sangue
periferico (10.000 cellule/mmc per ognuna) che sono state marcate rispettivamente con i seguenti anticorpi monoclonali (moabs): 1) CD5, CD19, CD10, CD200,
CD38, 2) CD19, CD23, CD22, CD79b,
FMC7, 3) CD19, catene leggere di superficie Kappa e Lambda. Un antigene è considerato positivo quando il suo valore è
superiore del 20%.
Risultati. il CD200 è presente sulle cellule
neoplastiche di tutti i 122 pts con LLC.
Non abbiamo trovato differenze tra
pazienti con score 4-5 e pazienti con
score 3.
Nei LNH CD5+, abbiamo riscontrato una
positivita’ del CD200 in 34/52 casi.
L’aspetto interessante è che in tutti i 18
pts di LNH aventi fenotipo CD5+/CD19+/
CD200- è stata fatta successivamente diagnosi di Linfoma mantellare, ed in particolare 15/18 casi sono risultati ciclina D1
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
positivi all’indagine immunoistochimica,
mentre 3/18 sono risultati ciclina D1
negativi, ma è stata riscontrata tramite
FISH la t(11;14) e tramite PCR il riarrangiamento di bcl1/IgH. Al contrario, tra i
34 pts con fenotipo CD5+/CD19+/CD200+,
non è stato diagnosticato nessun caso di
LNH mantellare. Nell’ambito dei LNH
CD5-, tutti i pts valutati sono risultati
CD19+/CD200+.
Conclusioni. Dal nostro studio emerge
che il CD200 è presente sulle cellule neoplastiche di tutti i disordini linfoproliferativi da noi studiati fatta eccezione per
il linfoma mantellare, una patologia
aggressiva e spesso resistente alla terapie convenzionali. Pertanto l’aggiunta
del CD200 al pannello di moabs usati di
routine per i processi linfoproliferativi ci
aiuta in tempi brevi ad individuare fenotipicamente un linfoma mantellare e a
differenziarlo sia dagli altri tipi di linfomi
CD5+ che dalla LLC.
Bibliografia
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CELLULE MIELO IDI SOP PRESS ORIE
NELLE PATOLOGI E LINFO PROLI FERATIVE
N. Parrinello, A. Romano, C.Vetro,
C. Maugeri, A. La Fauci, P. La Cava,
C. Giallongo, D. Tibullo, A. Triolo,
A. Chiarenza, G. Palumbo,
F. Di Raimondo.
Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare,
Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto
via Citelli 6 Catania, Italia
accumulo a livello del midollo osseo, del
sangue, della milza, del tumore, di cellule appartenenti alla linea mieloide.
Queste cellule definite mieloidi soppressorie (MDSC) sono state ampiamente
studiate nel modello murino, dove hanno
fenotipo CD11b+ e Gr1+ e comprendono
granulociti, monociti maturi insieme ad
una serie di cellule immature della linea
mielo-monocitaria.1 Nell'uomo, il fenotipo delle MDSC è meno definito in quanto
manca un analogo del marcatore Gr-1e
pertanto si parla di: 1) MDSC immature
(IMDSC) con fenotipo Lin-, CD14-, HLADR-, CD15+, CD34+, CD11b+, CD33+,
CD13+2 ; 2) MDSC monocitarie (MDSC-M)
con fenotipo CD14+HLA-DR/low3; 3)
MDSC neutrofile (MDSC-N) con fenotipo
CD11b+CD15+CD14-, Lin-,HLA-DR-,CD33+.
Un aumento di MDSC-M è stato riscontrato in pazienti (pts) con melanoma mestastatico, con carcinoma prostatico, con
carcinoma della testa e del collo. MDSC
con fenotipo granulocitario sono state
dimostrate in pts con carcinoma renale4,
e in un altro studio condotto su pts con
carcinoma mammario è stato dimostrato
che queste cellule correlano con lo stadio della neoplasia e l’estensione delle
metastasi.
Metodi. Tramite analisi citofluorimetrica
multiparametrica (FC-500 Beckam coulter), abbiamo valutato le MDSC da sangue periferico di 35 pts con HD, 15 pts
con LNH, e di 30 donatori sani (ctrl). Per
ogni campione è stata prelevata un' aliquota di sangue periferico (10.000 cellule/mmc) che è stata marcata rispettivamente con i seguenti anticorpi monoclonali (moabs): CD11b,CD34,CD14,HLA-DRCD33.
Risultati. Rispetto ai ctrl (IMDSC: 0,02±
0,01%; MDSC-N: 59,64±8,64%; MDSC-M:
23,65±10,89%), nei pts con HD abbiamo
osservato un aumento significativo delle
IMDSC (0,09±0,4%) e MDSC-N (70,48
±12,6%), mentre non abbiamo trovato un
aumento signficativo delle MDSC-M
(37,16±17,2%). Nei pts con LNH, le IMDSC
(0,02±003%) sono simili ai ctrl, mentre è
emerso un aumento significativo delle
MDSC-M (37,16±17,2%), e una riduzione
significativa delle MDSC-N (25,8±23,4%).
Conclusioni. Dai nostri dati preliminari
emerge che nei disordini linfoproliferativi le MDSC sembrerebbero avere un comportamento diverso tra linfomi di
Hodgkin e non Hodgkin, in quanto
nell'HD prevarrebbero le IMDSC e le
MDSC-N, mentre nei LNH prevarrebbero
le MDSC-M. Dalle nostre osservazioni
emerge anche che nei disordini linfoproliferativi non ci sarebbe solo un'alterazione del compartimento linfoide, ma anche
una importante alterazione mieloide.
Introduzione. Lo sviluppo neoplastico è
accompagnato spesso da un progressivo
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
Bibliografia
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MARK ERS DI TURNOVE R O SSE O
NELLA DREP ANOCI TO SI E NE LLA
TALAS SO DREP ANO CI TOSI
N. Parrinello, G. Giuffrida, M.R. Cingari,
A. Romano, A. Triolo, G. Rizzo,
M. Franceschino, E. Di Francesco,
F. Di Raimondo
Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare,
Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto
via Citelli6 Catania, Italia
Introduzione. Le alterazioni scheletriche
sono una delle principali cause di morbidità nei pazienti con drepanocitosi e
talassodrepanocitosi e sono dovute a
una serie di fattori tra cui l' iperplasia
midollare, le crisi vaso-occlusive, le
osteomieliti, la compromissione della
funzionalità renale.1,2 Due citochine
aventi un ruolo importante nel metabolismo osseo sono RANKL (Receptor activator of nuclear factor KB ligand) che stimola la maturazione e l’attività degli
osteoclasti, e OPG (osteoprotegerina)
che agisce come recettore “decoy” per
RANKL e pertanto inibisce sia l’osteoclastogenesi che l’attività degli osteoclasti.3
Un alterato rapporto OPG/RANKL è stato
descritto come fattore responsabile dell’osteoporosi nelle donne in menopausa4
e nei pazienti con talassemia major.5
Nel nostro studio abbiamo indagato, in
pazienti drepanocitici e talassodrepanocitici con osteopenia e/o osteoporosi
alcuni markers biochimici coinvolti nel
turnover osseo. In particolare abbiamo
valutato l'OPG, il C-terminale propeptide
del collagene tipo I (PICP), l’osteocalcina
(OST) (coinvolti nella formazione ossea),
il RANKL e la Fosfatasi acida tartrato
resistente (TRAP5b) (coinvolti invece
nel riassorbimento osseo).
[page 55]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
Metodi. Tutti i markers di turnover osseo
sono stati valutati tramite ELISA.
Abbiamo indagato su siero n.10 pazienti
(pts) con drepanocitosi, n.10 pts con
talassodrepanocitosi e n.10 donatori
sani (ctrl). La densitometria ossea è
stata valutata mediante Dual-Energy Xray absorptiometry (DEXA). Sono stati
esclusi i pazienti in terapia con bifosfonati, calcio, vitamina D e le donne in
menopausa.
Risultati. Dal nostro studio abbiamo
osservato che i pts con drepanocitosi e
con talassodrepanocitosi aventi osteopenia (T-score tra -1 e -2,5) o osteoporosi
(T-score < -2,5) hanno RANKL aumentato (P<0.001) e OPG ridotto (P=0,03)
rispetto ai ctrl, e di conseguenza hanno
una ratio OPG/RANKL più bassa
(P=0.02), inoltre abbiamo anche riscontrato un aumento di Trap5b (P=0.06) e
una riduzione di PICP (P=0.05). Nei pts
sia drepanocitici che talassodrepanocitici con valori di dexa nella norma (Tscore -1 o maggiore) le concentrazioni di
RANKL,OPG,PICP e Trap5b sono sovrapponibili ai ctrl. Non abbiamo riscontrato
differenze di OST tra i vari pts e i ctrl
indipendentemente dalla densitometria
ossea.
Conclusioni. dalle nostre osservazioni
emerge che nella malattia drepanocitica
e talassodrepanocitica un'alterata modulazione del sistema RANKL/OPG, un'aumentata
fase
di
riassorbimento
(TRAP5b) e una ridotta fase di neoformazione ossea (PICP), potrebbero contribuire alle alterazioni scheletriche caratteristiche di questi pazienti.
Bibliografia
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[page 56]
LE L EUC EMIE ACUTE MIELOIDI A
CARIOTIPO NORMALE NON SONO
CARATTERIZZATE DA INST ABILITA’ G ENOMICA
A. Romano, V. Barresi, G.A. Palumbo,
N. Musso, C. Capizzi, C. Consoli,
A. Chiarenza, F. Di Raimondo,
D.F. Condorelli
Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare,
Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto
Laboratorio Sistemi Complessi, Scuola
Superiore di Catania, Italia
Introduzione. Un cariotipo normale caratterizza circa il 50% delle leucemie mieloidi acute dell’adulto (CN-AML), eterogenee dal punto di vista clinico e molecolare alla valutazione dello stato mutazionale di NPM e FLT3. Recenti acquisizioni
tecnologiche nell’ambito dell’analisi
genomica globale hanno portato all’identificazione di varaiazini del numero di
copie (CNV),indicati come anomalie
somatiche di numero di copie (CNA)
quando associati a tumore. Con la stessa
piattaforma tecnologica (Affymetrix SNP
array 6.0) è possibile inoltre identificare
regioni con perdita di eterozigosita
(LOH) dovute a uno sbilanciamento allelico in loci polimorfici, quale conseguenza di perdita o acquisizione di materiale
genomico degli alleli parentali. Scopo del
lavoro era distinguere CNA e LOH somatici associati a tumore dalle varianti fisiologiche, in una coorte di pazienti affetti
da CN-AML, per identificare anomalie
genomiche ricorrenti e correlare il livello
di instabilita genomica alla risposta alla
terapia di induzione.
Materiali Metodi. Dalla banca dati disponibile presso la Divisione Clinicizzata di
Ematologia dell’Ospedale Ferrarotto
sono stati selezionati 19 casi (9 femmine,
10 maschi, eta mediana 42, range 25-70)
per i quali fosse disponibile materiale
biologico isolato dal di buona qualita’
alla diagnosi e all’ottenimento della
prima remissione completa dopo induzione secondo protocollo GIMEMA LAM99p. In tutti i casi era stato identificato
un cariotipo normale alla citogenetica
convenzionale (analisi di almeno 20
metafasi) ed escluse con tecniche di biologia molecolare i principali riarrangiamenti del core binding factor (AML1ETO, PML-RARalpha). Per tutti i pazienti
era inoltre disponibile l’analisi dello
stato mutazionale di NPM e FLT-3. Il DNA
genomico isolato dal campione di sangue
midollare alla diagnosi (Dx, patologico) e
quello ottenuto alla remissione (R, blasti
<5%, normale) è stato analizzato sulla
piattaforma SNP Array 6.0 (Affymetrix,
Santa Clara, CA) e confrontato con i dati
di riferimento del progetto HapMap 270
DNA. L’intensita di segnale era analizzata
con il software Genotyping Console
Version 3.0.1. Per ogni campione un algo-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
ritmo implementato in ambiente R restituiva una lista di tutte le amplificazioni e
perdite di segmenti di DNA (valutati per
almeno 20 SNP-markers consecutivi e
confrontati con la popolazione di riferimento normale). Il numero di CNA era
determinato dopo il confronto tra i campioni appaiati Dx/R usando condizioni
stringenti al fine di ridurre il numero di
CNA falsi positivi.
Risultati. Tutti i campioni erano valutabili, avendo ottenuto quality control (QC)
call rates superiori al 90% con MAPD<4,
permettendo cosi di includere nella lista
dei CNA somatici tutti i segmenti dei
campioni Dx con una sovrapposizione
inferiore al 30% ai corrispondenti R. Con
l’eccezione di un singolo paziente, in
18/19 casi sono stati determinati un
numero molto basso di CNA somatici per
campione (1-3 nel 50% dei casi) nei cromosomi 1,3,7,14. Le nostre osservazioni
suggeriscono in particolare la regione
3p14.1-p12.3, che contiene il gene Robo1, come plausibile target per l’identificazione di mutazioni driver nell’AML. Solo
in tre casi sono state identificate ampie
regioni (>10Mb) di LOH esclusivamente
nel campione patologico, ma non ricorrenti (22q, 1p, e l’intero cromosoma 21).
La paziente con CN-LOH dell’intero cromosoma 21 era inoltre omozigote per
una mutazione missenso (R80C) del fattore di trascrizione RUNX1/AML1. CNA e
LOH non erano correlati in alcun modo
alla risposta alla terapia di induzione o
alla sopravvivenza globale.
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SIS TE MA ENDOVANILLO IDE/E NDOCANNABINOIDE NELL’OSTEO PORO SI AS SOCI ATA ALLA β-TALAS SEMIA
MAJO R.
F. Rossi,1,2 G. Bellini,3 S. Mancusi,1,3
L. Luongo,3 S. Maione,3 B. Nobili,1
F. Locatelli,2 S. Perrotta1
1Dipartimento
di Pediatria, Seconda
Università degli Studi di Napoli, Napoli;
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
2Dipartimento
di Oncoematologia e
Medicina
Trasfusionale,
Ospedale
Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma;
3Dipartimento di Medicina Sperimentale,
sez. Farmacologia, Seconda Università
degli Studi di Napoli, Italia
Introduzione. L’aspettativa di vita dei
pazienti affetti da Talassemia Major è
oggi notevolmente migliorata, grazie ad
un adeguato programma trasfusionale e
ad una maggiore compliance alla terapia
ferrochelante. Con l’aumentare dell’età
media di sopravvivenza dei pazienti
“nuove” sono state le problematiche
emergenti, tra queste in primo luogo
l’osteoporosi (OP).1 L’OP è la più frequente patologia metabolica dell’osso,
caratterizzata da una riduzione della
massa ossea con conseguente aumento
di fragilità e del rischio di frattura dell’osso interessato.2 Nel paziente talassemico l’OP ha una patogenesi multifattoriale, in cui sono implicati fattori congeniti (COLIA1) ed acquisiti, quali l’eritropoiesi inefficiente con la progressiva
espansione midollare, il diabete mellito,
l’ipogonadismo ipogonadotropo, la
disfunzione tiroidea e paratiroidea, il
deficit di GH/IGF1 e quello vitaminico,
una attività fisica ridotta, l’utilizzo di
chelanti del ferro e l’emocromatosi
secondaria alla terapia trasfusionale cronica. Tutti questi fattori determinano OP
agendo sul pathway RANKL/RANK/OPG,
uno dei principali meccanismi di regolazione della massa ossea. Il mantenimento della massa ossea risulta infatti dall’equilibrio tra il processo di riassorbimento, dovuto all’ attività osteoclastica,
e quello di neoformazione dell'osso, legato all’attività osteoblastica. Un aumento
dei
fattori
pro-osteoclastogenesi
(RANKL) e/o una riduzione dei fattori
anti-osteoclastogenesi (OPG), è il principale processo patogenico dell’OP nel
paziente talassemico. In particolare, è
noto che il ferro in eccesso può causare
OP non solo indirettamente, influenzando l’insorgenza di alcuni dei fattori coinvolti nella patogenesi dell’OP (patologie
endocrine), ma anche direttamente,
favorendo l’attivazione osteoclastica,
essendo in grado di indurre l’espressione dell’enzima TRAP, fosfatasi acida tartrato resistente, ferro proteasi marcatore di attività osteoclastica.3 Un importante ruolo del sistema endovanilloide/
endocannabinoide (EV/EC) nella regolazione della massa ossea è stato evidenziato. Il sistema EV/EC è formato dai
recettori cannabinoidi di tipo 1 e 2
(CB1/CB2), dal recettore vanilloide
TRPV1, dai loro ligandi endogeni 2-arachidonoilglicerolo ed anandamide (2-AG
e AEA) e dai loro enzimi di sintesi e
degradazione. Recentemente è stato
dimostrato che sia cellule osteoclastiche
in coltura (OCs) sia campioni bioptici di
tessuto osseo di volontari sani esprimono recettori TRPV1 funzionali, CB1, CB2
e gli enzimi di sintesi e degradazione
dell’AEA, NAPE-PLD e FAAH, e del 2-AG,
DAGL e MAGL.4 È stato inoltre dimostrato che gli agonisti e gli antagonisti dei
recettori vanilloidi/cannabinoidi, da soli
o in combinazione, sono in grado di
modulare l’attività osteoclastica in vitro.
In uno studio successivo, è stato evidenziato che l’espressione di TRPV1, CB1 e
CB2 sono profondamente modificate
negli OCs derivati da donne in menopausa in relazione al grado di OP. In particolare, CB2 e TRPV1 sono rispettivamente
ipo- ed iper-espressi negli OCs di pazienti osteoporotiche. Inoltre, la stimolazione persistente di TRPV1 con l’agonista
resinferatoxina (RTX), ne determina
desensitizzazione ed induce un concomintante e massivo aumento dell’espressione molecolare e proteica di CB2, con
conseguente riduzione del numero degli
OCs e della loro attività, come evidenziato dalla significativa diminuzione della
TRAP.5 Nel presente studio, mediante un
approccio multidisciplinare, abbiamo, da
un lato, valutato l’espressione e la funzionalità del sistema EV/EC in colture di
OCs preparati dal sangue periferico di
pazienti TM con e senza OP e, dall’altro,
evidenziato il ruolo del ferro nella modulazione di questo sistema, dunque, nell’eziopatogenesi dell’OP del paziente
talassemico.
Materiali e Metodi. Gli OCs sono stati
ottenuti dal differenziamento delle cellule mononucleate del sangue periferico
(CMSP) di pazienti talassemici e soggetti
sani di pari età e sesso, dopo consenso
informato scritto. Le CMSP sono state
isolate mediante centrifugazione su
Ficoll e diluite in α-Minimal Essential
Medium, 10% siero bovino fetale, 100
IU/mL penicillina, 100 g/mL streptomicina e 10% L-glutamina. Le CMSP sono
state tenute in coltura per 21 giorni in
presenza di 25 ng/mL recombinant
human macrophage-colony stimulating
factor (rhM-CSF) e 50 ng/mL receptor
activator of nuclear factor kappa B
ligand (RANK-L), al fine di indurne il differenziamento in Ocs, in presenza o
meno di deferoxamina mesilata (DFX) e
quindi sottoposte o no a trattamento farmacologico per 48 ore. Gli OCs maturi,
sono stati identificati come cellule multinucleate (numero di nuclei≥3) TRAPpositive (TRAP/ALP, Takara Bio, Japan).
Dopo estrazione dell’RNA totale mediante Trizol, seguita da RT-PCR, è stata valutata l'espressione di marcatori specifici
quali TRAP e catepsina K (CHT K). I campioni di cDNA sono stati amplificati con
primers specifici per valutare l'espressione del TRPV1 (varianti 1, 2, 3 e 4
GeneID 7442), CB1 (isoforma a e b
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
GeneID 1268), del CB2, degli enzimi
NAPE-PLD e FAAH, e DAGLA e MAGL
rispetto il costitutivo β-actina. Gli amplimeri sono stati separati su gel di agarosio al 2%, l'intensità delle bande rilevata
mediante il "Gel Doc 2000 UV System"
(Bio-Rad, Hercules, CA) e la loro sequenza verificata per sequenziamento diretto
mediante sequenziatore ABI PRISM 310 e
tecnica dei Big-Dye Terminators (Applied
Biosystem, Forster City, USA). Le colture
cellulari differenziante in presenza o
assenza di DFX 50 μM sono state trattate
con resiniferatoxina (RTX), agonista
selettivo TRPV1. I dati relativi ai livelli di
espressione molecolare e biochimica
sono mostrati come media±deviazione
standard. Il test di Student-NeumanKeuls è stato utilizzato per determinare
la significatività statistica tra i gruppi a
confronto. È stata considerata statisticamente significativa una probabilità inferiore a 0.05, P<0.05.
Risultati preliminari. In tale studio dimostriamo che i marcatori di attività osteoclastica TRAP e Cathepsina K, i recettori
e gli enzimi del sistema EV/EC sono differentemente espressi in OCs derivati da
sangue di pazienti talassemici rispetto a
quelli derivati dai controlli. In particolare
abbiamo evidenziato un’aumentata
espressione di TRAP e CTH K, di CB1, di
TRPV1, in particolare della variante 1, e
dell’enzima di degradazione del 2-AG,
con concomitante riduzione dei livelli di
espressione del CB2, degli enzimi del
metabolismo dell’AEA e dell’enzima di
sintesi del 2-AG. Abbiamo inoltre dimostrato che la modulazione farmacologica
degli OCs in vitro mediante l’agonista
vanilloide RTX 5 μM è in grado di aumentare l’espressione di CB2 e ridurre drasticamente i livelli di espressione del marcatore di attività osteoclastica catepsina
K. Il trattamento con RTX aumenta inoltre l’espressione della variante 3 del
TRPV1 espressa preferenzialmente dai
controlli e quella della proteina di tipo
1A di interazione dei recettori cannabinoidi (CRIP1A), in accordo all’aumento
di CB2 e ad un iperespressione basale di
CB1. Mediante saggio di attività enzimatica della TRAP abbiamo dimostrato che
l’RTX e la DFX sono in grado di ridurre il
numero e l’attività degli OCs e che invece il trattamento con RTX di OCs differenziati in presenza di DFX determina un
aumento dell’attività osteoclastica.
Conclusioni. I dati preliminari di natura
molecolare e cellulare ottenuti in questo
studio suggeriscono che l’OP del paziente talassemico indotta dall’accumulo di
ferro, che di per sè attiva la TRAP, metallo-proteasi ferro-dipendente, può essere
modulata dalla stimolazione del TRPV1
che, essendo iper-espresso, va incontro
a desensitizzazione quando stimolato in
maniera persistente. Infatti, il trattamen-
[page 57]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
to con RTX diminuisce in maniera significativa l’espressione della CTH K, che attiva la TRAP mediante taglio proteolitico,
e riduce il numero degli OCs e la loro attività. Concomitantemente si osserva un
aumento significativo dell’espressione di
CB2, che è stato dimostrato giocare un
ruolo antiosteoporotico, in quanto la sua
stimolazione con un agonista specifico
era in grado di ridurre il numero di OCs
TRAP positivi (Rossi, 2011).
I dati ottenuti da questo studio apportano nuove evidenze circa l’esistenza di
un’interazione funzionale tra CB2 e
TRPV1, che potrebbe modulare la regolazione del rimodellamento osseo, caratteristicamente sbilanciato a favore dell’attività osteoclastica nella patologia osteoporotica, anche in presenza di sovraccarico di ferro. CB2 e TRPV1 potrebbero
dunque rappresentare un valido bersaglio terapeutico per la cura dell’OP associata alla talassemia.
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I NCIDENZA, CARATTE RI ZZAZIONE
CLINI CA E BAS I MOLECO LARI
DEL LE POL ICITEMIE CONGENITE E
FAMILIARI CAUS ATE DA UN’ALTERATA RISP OSTA ALLA P RES SI ONE
DI OS SIGENO
S. Scianguetta,1 M. Ferraro,1 S. Mancusi,1
F. Rossi,1 M. Casale,1 S. Ladogana,3 A.
Balduzzi,4 F. Tucci,5 S. Fasoli,6 F. Della
Ragione,2 S. Perrotta1 e Gruppo di Lavoro
AIEOP “Patologia del Globulo Rosso”
1Dipartimento di Pediatria e 2Biochimica,
Seconda Università di Napoli; Oncoematologia Pediatrica 3San Giovanni Rotondo,
4Ospedale San Gerardo Monza, 5Ospedale
Meyer di Firenze, 6AO Carlo Poma
Mantova, Italia
Il progetto ha come obiettivo lo studio
dei meccanismi molecolari modulati
dalla pressione di O2 con particolare
(ma non esclusiva) attenzione al loro
[page 58]
ruolo nell'eritropoiesi umana. Lo studio
verrà condotto su una ampia coorte di
soggetti affetti da policitemia (eritrocitosi) congenita dovuta ad alterazioni delle
vie modulate dall'ossigeno, ed integrerà
capacità ed esperienze nel campo della
clinica, genetica e biochimica/biologia
funzionale. I risultati attesi non solo forniranno informazioni sulle basi molecolari dell'eritrocitosi ereditaria ma anche
chiariranno ulteriori aspetti dei processi
regolati dall'O2. I meccanismi attraverso
i quali variazioni della pressione di O2
attivano risposte adattatrici sono estremamente complessi e solo in parte chiariti. In breve, bassi livelli di O2 (al di
sotto del 4%) determinano un aumento
del fattore di trascrizione HIF-alfa e, di
conseguenza, dell'espressione dei suoi
geni bersaglio (inclusa l'eritropoietina, il
VEGF, i trasportatori del glucosio, gli
enzimi della glicolisi anaerobiotica ed i
geni del metabolismo del ferro e della
sopravvivenza cellulare). Il controllo di
O2 sulle isoforme di HIF-alfa (HIF-1alfa ed
HIF-2alfa) avviene attraverso un meccanismo post-trascrizionale. Infatti, l'ipossia impedisce la rimozione di HIF-alfa che
normalmente richiede l'idrossilazione di
due proline (attraverso specifiche idrossilasi, PHD), ubiquitinazione dovuta ad
un complesso E3 ligasi che include la
proteina di von Hippel-Lindau (VHL) e la
degradazione proteosomica. Livelli normali di O2, al contrario, permettono una
rapida rimozione di HIF-alfa e livelli
estremamente bassi del fattore di trascrizione. Poiché l'emivita della proteina è
minore di 5 minuti in normossia, l'induzione ipossica è praticamente istantanea. Infatti, sebbene il termine "fattore
indotto dall'ipossia (HIF)" implichi una
sua maggiore espressione, in realtà l'aumento di HIF è dovuto ad una sua più
lenta degradazione. Le vie di risposta
all'ossigeno giocano un ruolo chiave in
importanti patologie umane incluse il
cancro (infatti la crescita tumorale è
dipendente da una efficace neovascolarizzazione ipossia-dipendente), l'ictus
cerebrale e l'infarto del miocardio. Il
ruolo che HIF gioca nella biologia del
cancro è confermato da studi di immunoistochimica che hanno dimostrato
livelli normali di HIF-alfa nei tumori benigni, elevati livelli in numerosi tumori primari, e addirittura un ulteriore incremento nelle metastasi. Fin quando un tumore
non guadagna una adeguata vascolarizzazione, la porzione interna del cancro
diviene progressivamente ipossica e prolifera limitatamente. Pertanto, l'aumentata espressione di HIF-alfa può essere considerato un fattore che favorisce la progressione del tumore. D'altro canto, HIFalfa gioca un ruolo positivo nella risposta
tissutale al danno che segue alla compromissione del flusso ematico ad organi
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
essenziali come il cervello ed il cuore.
Quando un paziente sviluppa una occlusione acuta delle coronarie, si verifica un
rapido aumento dell'espressione di HIFalfa e di VEGF nel miocardio. Un efficace
rimodellamento della vascolarizzazione
che segue ad un danno ischemico dipende da un complesso ed integrato programma di espressione di geni HIF-dipendenti. L'espressione tessuto-specifica di
HIF-alfa in un animale transgenico risulta
in una ben ordinata angiogenesi, mentre
l'overespressione di VEGF porta alla formazione di vasi instabili e a processi
infiammatori. Queste osservazioni sperimentali sono importanti nella progettazione di interventi terapeutici volti a
migliorare la neovascolarizzaizone successiva ad occlusione arteriosa acuta.
Prendendo in considerazione queste
osservazioni, è evidente il significativo
interesse associato ad interventi farmacologici sui meccanismi molecolari regolati dall'ipossia.Nonostante le dimensioni
cliniche ed economiche, evidenziate dal
gran numero di studi di base ed applicati sull'ipossia, esistono numerose
domande che richiedono urgente risposta allo scopo di accelerare il trasferimento della ricerca di base alle applicazioni cliniche.
Queste domande includono:
- Quali sono i meccanismi sensoriali dell'ossigeno presenti nei vasi sanguigni
(particolarmente quelli polmonari,
cardiaci e cerebrali)?
- Come sono espresse le varie isoforme
di PHD (PHD1-3) che inducono l'ubiquitinazione/degradazione di HIF?
- Quali sono i substrati delle varie isoforme di PHD (in altre parole esiste
una specificità di PHD verso le isoforme di HIF-alfa)?
- Quali sono le conseguenze cliniche
della manipolazione di HIF o di PHD?
- Queste manipolazioni hanno effetto
sulla progressione dei tumori o sulla
sopravvivenza dopo infarto o ictus?
Negli ultimi anni, il gruppo di ricerca proponente il progetto ha raccolto un gran
numero di soggetti affetti da policitemia
congenita (119 casi). Dopo una dettagliata analisi genetica di circa la metà dei
casi, abbiamo identificato: a) un cluster
di policitemia tipo Chuvash (dovuta a
mutazione C598T del gene VHL) nell'isola di Ischia (1); b) 8 nuove mutazioni di
VHL, c) 2 nuove mutazioni del gene HIF2alfa (2), e d) una nuova mutazione di
EPOR (3, 4). Circa metà della coorte (52
casi) non è stata ancora studiata e dei
casi studiati (68 pazienti) in più della
metà non abbiamo identificato mutazioni. La disponibilità per la prima volta di
un gran numero di casi con alterazioni
genetiche congenite, tutte coinvolte
nelle vie di risposta alla pressione di O2,
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
può portare al chiarimento delle molte
domande presenti sui meccanismi correlati all'ipossia. Sulla base di quanto
descritto, il nostro progetto ha i seguenti scopi:
1. Costruzione di un registro e di una
banca dei casi italiani di policitemia congenita; 2. Caratterizzazione molecolare e
clinica di pazienti con policitemia dovuta
a mutazioni VHL; 3. Caratterizzazione clinica e molecolare di pazienti con policitemia dovuta a mutazioni di HIF-2alfa; 4.
Caratterizzazione clinica e molecolare di
pazienti policitemici con base genetica
ignota; 5. Analisi della funzione/struttura
dei mutanti di VHL/HIF-2alfa; 6. Analisi
delle vie sensibili all'O2 nei precursori
eritroidi ed endoteliali da pazienti con
mutazioni di VHL e HIF-2alfa. Quest'ultimo obiettivo merita particolare attenzione in rapporto all'importanza delle
cellule endoteliali ed eritropoietiche nei
processi di angiogenesi ed eritropoiesi.
Numerose considerazioni suggeriscono
che gli obiettivi proposti possono essere
raggiunti. Prima di tutto, i casi di policitemia descritti sono già arruolati nel
nostro registro. Casi sono stati raccolti
di recente ma non sono riportati.
Secondo, l'interesse sull'argomento è
presente da vari anni e ha dato numerosi
ed interessanti risultati sull'eritropoiesi,
in generale, e sui meccanismi sensori
dell'O2 nella policitemia, in particolare.
Terzo, l’inserimento di tale progetto nell’ambito del Gruppo di lavoro AIEOP
sulla “Patologia del Globulo Rosso” consente di poter identificare la quasi totalità di casi affetti da eritrocitosi congenita
italiani con la possibilità di centralizzare
le indagini per quanto riguarda gli aspetti genetici, meccanicistici e biochimici. I
risultati ottenuti permetteranno di ottenere nuove informazioni sui meccanismi
controllati dalla pressione di ossigeno
utili per lo sviluppo di nuove strategie
terapeutiche. Inoltre, ci attendiamo di
chiarire nuovi aspetti della policitemia
congenita, una malattia eterogenea con
prognosi negativa, di cui ancora non sono
definite le basi molecolari delle varie
forme e che ha ancora assoluta necessità
di una classificazione razionale.
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VALUTAZIONE DELL’EFFETTO ANTITUMORALE IN VIVO DELL’INIBIZIONE DI MYCN IN MODELLI MURINI
XENOGRAFT ORTOTOPICI BIOLUMINE S CE NTI D I NE UR OBL AS TO MA
MYCN-AMPLIFICATO
L. Venturelli,1 E. Bergantin,1 E. Cantelli,1
A. Fascì,1 L. Montemurro,1 A. Roda,2
P. Hrelia,3 A. Pession,1 R. Tonelli,13
1Oncologia
ed Ematologia Pediatrica ‘Lalla Seragnoli’, Università di Bologna; 2Dip.
Scienze Farmaceutiche, Università di
Bologna; 3Dip. di Farmacologia, Università degli Studi di Bologna, Bologna,
Italia. ; 4Autore Referente: Leonardo
Venturelli, Oncologia ed Ematologia
Pediatrica ‘Lalla Seragnoli’, Università
degli Studi di Bologna, Introduzione, Italia
Il Neuroblastoma (NB) è il più comune
tumore solido extracranico dell’infanzia e
origina dalla cresta neurale. Nel 25% dei
casi il NB si presenta con amplificazione
dell’oncogene MYCN, fattore prognostico
associato ad una cattiva prognosi. MYCN
è deputato al controllo della progressione
tumorale e della resistenza ai farmaci. La
funzione di attivatore e repressore trascrizionale dell’oncogene MYCN gli consente
di alterare un elevato numero di geni, di
conseguenza permette al NB di evolversi
e di sviluppare resistenza nei confronti
dei trattamenti antiblastici. Per questa
ragione vi è la necessità di sviluppare
nuove strategie terapeutiche per il neuroblastoma MYCN-Amplificato (MA-NB). Lo
scopo del presente lavoro è di valutare
l’effetto dell’inibizione specifica di MYCN
nella tumorigenesi e progressione del MANB, tramite utilizzo di modelli murini
xenograft ortotopici bioluminescenti di
MA-NB.
Materiali e metodi. I modelli murini xenograft ortotopici bioluminescenti di MANB utilizzati sono stati sviluppati all’interno del laboratorio. I modelli ortotopici sono stati ottenuti tramite iniezione di
linee cellulari di MA-NB, ingegnerizzate
con il gene della luciferasi, nella ghiandola surrenale di topi NOD/SCID. L’evoluzione tumorale è stata analizzata tramite Imaging Bioluminescente (BLI) a partire dal giorno dell’inoculo, ogni settimana. Il PNA anti-MYCN utilizzato è stato
somministrato per infusione continua
tramite l’impianto s.c. di una “osmotic
pump” (ALZET®) a rilascio controllato.
La progressione tumorale è stata valutata tramite Imaging Bioluminescente. La
“osmotic pump” (ALZET®) è stata
impiantata intrascapolare s.c., quando il
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
segnale bioluminescente dimostrava
positività. Sono stati utilizzati topi di
controllo, a cui è stata impiantata una
pump contenente soluzione fisiologica e
topi trattati con pump contenente PNA
specifico anti-MYCN. Le “osmotic pump”
sono state rimosse dopo quattro settimane dall’impianto come previsto dal
protocollo sperimentale. Tutti gli animali
utilizzati sono stati sacrificati al primo
segno di sofferenza, stabilito come eticamente accettabile.
Risultati. L’inibizione dell’oncogene
MYCN tramite PNA ha mostrato un consistente effetto anti-tumorale in vivo nei
modelli murini xenograft ortotopici di
MA-NB, come rilevato dalla significativa
differenza del segnale bioluminescente
dei topi trattati con PNA anti-MYCN
rispetto ai tropi trattati con soluzione
fisiologica. Inoltre, l’inibizione dell’oncogene MYCN ha portato anche ad un
aumento significativo della sopravvivenza degli animali.
Conclusioni. L’inibizione dell’oncogene
MYCN si è dimostrato essere un efficace
bersaglio anti-tumorale per contrastare
la progressione tumorale del MA-NB in
vivo nel modello murino. Il presente studio in vivo nel modello murino ha confermato l’effetto del PNA precedentemente
osservato in vitro in cellule di MA-NB.
Il monitoraggio in tempo reale tramite
imaging bioluminescente non invasivo
ha permesso di rilevare precocemente
l’insorgenza e monitorare l’evoluzione
dei MA-NB. Inoltre ha permesso la valutazione e il monitoraggio dell’efficacia del
trattamento.
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[page 59]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
GENERAZIONE IN VITRO DI LINFOCI TI T CITOTOS SI CI SP ECIFICI P ER
L'HERPE SVIRUS 6 UMANO (HH V6)
DA UTILIZZARE P ER RICOSTI TUI RE
L’IMMUNITÀ SPE CI FI CA DOPO TRAP IANTO ALLOGENICO DI CELLULE
S TAMINALI EMOP OIETICHE
I. Guido, G. Quartuccio, A. Gurrado,
L. Piantoni, M. Cava, R. Galiano,
N. Zavras, R. Raschetti, V. Burzio,
R. Maccario, M. Zecca, P. Comoli,
S. Basso
Oncoematologia Pediatrica, Fondazione
IRCCS Policlinico “San Matteo", Pavia,
Italia.
Introduzione. Gli herpesvirus 6 umani
sono virus a DNA con una sieroprevalenza > 90% negli adulti. Gli HHV-6 persistono nell’uomo in uno stato di latenza, nei
monociti e nei macrofagi, e nelle cellule
dell’epitelio bronchiale, orofaringeo e
salivare1 Dopo trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE), l’HHV-6 è
stato associato ad un ritardato attecchimento, e ad un aumento della mortalità.
L’ infezione si manifesta a 2-4 settimane
dal trapianto; le manifestazioni cliniche
includono febbre, trombocitopenia, leucopenia, polmonite interstiziale, epatite
colestatica, gastroduodenite e pancreatite, colite, encefalite, e meningoencefalite.2 Sono stati descritti due differenti
HHV-6 umani, il virus A e il virus B.
L’HHV6B causa più comunemente infezione nei riceventi un TCSE. I virus HHV6 sono suscettibili in vitro a ganciclovir e
foscarnet. Tuttavia, alcuni ceppi di HHV6B possono essere resistenti al ganciclovir.3 Basandosi sull’evidenza che la patologia correlata alle infezioni da herpesvirus nell’ospite immunocompromesso
origina da un difetto della risposta immune cellulare, studi clinici hanno dimostrato come la somministrazione di linfociti non manipolati o, meglio, di linfociti
T citotossici virus-specifici espansi in
vitro, potesse prevenire o trattare efficacemente la PTLD EBV-correlata o la polmonite interstiziale CMV-associata in
pazienti sottoposti a trapianto di cellule
staminali emopoietiche o di organi solidi.4-5 La terapia T cellulare potrebbe rappresentare una opportunità unica di
ricostituire la sorveglianza immune antivirale e controllare l’infezione e/o la
malattia virus-correlata nei pazienti che
non hanno una risposta immune HHV-6specifica, e con una infezione resistente
ai farmaci antivirali. Scopo del presente
studio è stato di investigare la fattibilità
di una strategia di terapia T-cellulare per
ricostituire l’immunità specifica per
HHV6B dopo TCSE allogenico.
Materiali e metodi. Abbiamo condotto
esperimenti di scale-up al fine di validare
un metodo di coltura in vitro per espan-
[page 60]
dere cellule T specifiche per HHV-6B da
14 donatori di CSE HLA-aploidentici,
attraverso la stimolazione di cellule
mononucleate del sangue periferico
(PBMC) con un pool di peptidi 15-mer
derivati dalla proteina U54 di HHV-6B. Le
linee cellulari così ottenute sono state
caratterizzate mediante analisi fenotipica, e testate per specificità mediante
analisi della produzione di IFNg in saggi
ELISPOT e della citotossicità in saggi di
rilascio di cromo 51. Inoltre, è stata valutata la sicurezza, mediante analisi dell’alloreattività residua verso cellule del ricevente in saggi di citotossicità, e mediante valutazione di sterilità.
Risultati preliminari. Le linee T-cellulari
sono state generate con successo da 13
dei 14 donatori testati, ed includevano
una prevalenza di linfociti T CD4+, con
numeri variabili di cellule CD8+ e CD56+.
La secrezione di INFγ in risposta ad HHV6, misurata in saggi Elispot, è risultata
consistentemente più alta (mediana 89
SFU/105 cellule, range 0-508) delle PBMC
di controllo non stimolate o stimolate
con antigene non rilevante del donatore
(mediana 2 SFU/105 cellule, range 0-49).
Dodici delle 13 linee T-cellulari presentavano attività citotossica specifica verso
HHV6 in un saggio standard di rilascio di
51cromo (mediana 13%, range 4-83). Solo
1 delle 12 linee mostravano alloreattività
residua. La lisi osservata era principalmente HLA class II-ristretta, quindi
mediata dai linfociti T CD4+. Una delle 2
linee T-cellulari che mostravano una
bassa attività citotossica specifica e la
linea T che non aveva attività litica virusspecifica mostrvano una frequenza alta
di cellule che producevano INFγ nei test
ELISPOT (484 e 170 SFU/105 cellule,
rispettivamente). Le linee ottenute si
sono rivelate sterili nei test batteriologici e virologici di sicurezza.
Conclusioni. I nostri risultati preliminari
indicano che è possibile generare ed
espandere linee T cellulari CD4+ HHV-6Bspecifiche con efficiente attività antivirale in vitro, e scarsa/assente citotossicità
verso cellule target del ricevente, da
PBMC di donatori di cellule staminali
emopoietiche HLA-aploidentici dopo stimolazione con peptidi derivati dalla proteina HHV-6 U54.
L’efficacia clinica di queste cellule T per
prevenire o curare le complicanze HHV6relate post-trapianto andrà validata in
studi clinici controllati.
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ANALIS I DELLA RICO STITUZIONE
DE LL’IMMUNITÀ CELLULARE
SPECI FI CA P ER POLY OMAVIRUS BK
DO PO TRAPI ANTO ALLO GENI CO DI
CE LLULE STAMINAL I EMOP OIETICH E
G. Quartuccio, I. Guido, A. Gurrado,
L. Piantoni, M. Cava, R. Galiano,
P. Guerini, G. Ottonello, N. Zavras,
R. Maccario, M. Zecca, P. Comoli, S.
Basso
Oncoematologia Pediatrica, Fondazione
IRCCS Policlinico “San Matteo", Pavia,
Italia
Introduzione.. La cistite emorragica è
un’importante causa di morbidità e di
occasionale mortalità in pazienti sottoposti a TCSE.1-3 La CE ad insorgenza tardiva, clinicamente più severa e protratta
della CE dovuta all’impiego dei diversi
regimi di condizionamento al trapianto,
deve la sua eziologia a vari fattori,1-3 tra i
quali l’infezione da BKV sembra essere
uno dei maggiori determinanti.4
È stato proposto che la patogenesi delle
patologie BKV-mediate sia multifattoriale, legata ad un danno tissutale, a fattori
legati al virus e a fattori legati al paziente, determinanti che contribuiscono tutti
alla progressione del danno d’organo.3
La patologia BKV-associata nel trapianto
renale è dovuta, per la gran parte, all’effetto citopatico diretto del virus, ed è
stato dimostrato come una pronta ricostituzione della risposta immune cellulare specifica per il virus, in seguito a riduzione della terapia immunosoppressiva,
possa condurre alla clearance virale, prevenendo lo sviluppo della patologia, o
favorendone la rapida risoluzione.5
Nell’ambito del TCSE, non è stato ancora
dimostrato se la patologia legata a BKV
sia dovuta ad un danno diretto, o, piuttosto, ad un danno mediato da cellule del
sistema immunitario in ricostituzione,
nel tentativo di eliminare il virus dall’organismo dell’ospite (malattia da immunoricostituzione). La somministrazione
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
dei farmaci chemioterapici e della radioterapia previsti dai vari regimi di condizionamento causa un danno all’epitelio
vescicale, e ed una conseguente rigenerazione cellulare, creando un ambiente
ottimale per la riattivazione e la diffusione di BKV. In questo microambiente, le
cellule emopoietiche rigenerate dalle cellule staminali del donatore, richiamate
da fattori chemotattici, potrebbero dare
luogo ad una risposta infiammatoria,
contribuendo al danno tissutale e allo
sviluppo di CE. In questo particolare contesto clinico, la ricostituzione dell’immunità T cellulare BKV-specifica potrebbe
ulteriormente amplificare la risposta
infiammatoria, esacerbando la patologia,
o, al contrario, contribuire ad una rapida
risoluzione, mediante la distruzione
delle cellule infettate e il conseguente
contenimento della diffusione virale.
Al momento, non esiste una terapia farmacologica efficace per l’infezione da
BKV e il trattamento della CE BKV-associata si basa su misure di natura esclusivamente sintomatica.2 Una strategia di
terapia cellulare con linfociti T BKV-specifici potrebbe costituire un valido presidio terapeutico, in grado di prevenire
l’insorgenza o trattare la patologia in
assenza di tossicità rilevante.5 In quest’ottica, la definizione del ruolo della
risposta immune cellulare nella CE BKVcorrelata potrebbe rivestire particolare
importanza, in quanto, se venisse confermato un ruolo facilitante dell’immunità
cellulare specifica nella risoluzione dell’infezione, questo dato potrebbe costituire la base scientifica per lo sviluppo di
un programma di terapia cellulare per la
CE BKV-correlata.
Lo scopo di questo studio è stato, quindi, di valutare il legame tra la risposta Tcellulare specifica per BKV e lo sviluppo/risoluzione di CE in pazienti pediatrici sottoposti a TSCE.
Materiali e metodi. È stata analizzata la
ricostituzione immunologica in un gruppo di riceventi di TCSE da donatore familiare HLA-identico o aploidentico, o da
donatore non correlato, in funzione
della positività urinaria per BKV e allo
sviluppo di CE. In particolare, l’analisi
della risposta cellulare specifica per la
proteina strutturale BKV VP1 e la proteina regolatoria BKV Large T è stata valutata a vari tempi dopo il trapianto mediante analisi della produzione di IFNg in
saggi ELISPOT e della citotossicità in
saggi di rilascio di cromo 51 da parte di
linfociti del paziente a fresco o coltivati
in vitro per 8-10 giorni in presenza degli
antigeni virali. Un controllo negativo,
rappresentato dalla risposta ad un antigene irrilevante ed un controllo positivo
(risposta alla PHA) sono stati inclusi nel
test.
Risultati preliminari. Abbiamo potuto
osservare come la ricostituzione dell’immunità cellulare specifica per BKV possa
essere un fenomeno precoce dopo TCSE,
e come anche i riceventi di TCSE T-depletato da donatore HLA-aploidentico siano
in grado di rispondere precocemente ad
una riattivazione da BKV. La frequenza di
cellule specifiche per VP1 e LT nei
pazienti con CE all’esordio risulta bassa
o assente (<30 spot-forming units,
SFU/105 cellule coltivate in vitro), così
come la citotossicità specifica. Anche la
risposta alla PHA in questa coorte risulta
bassa, ad indicare una generale immunodeficienza del compartimento cellulare.
L’analisi delle risposte immuni cellulari
nei pazienti con CE in risoluzione, tuttavia, mostra un significativo aumento
della frequenza di cellule producenti
IFNγ in risposta alle proteine di BKV.
Conclusioni. Si può, quindi, ipotizzare
che i pazienti con CE all’esordio abbiano
un deficit della risposta immune cellulare, che include l’assenza di linfociti T
BKV-specifici, e che la ricostituzione dell’immunità BKV-specifica coincida con la
risoluzione della patologia.
Bibliografia
1. Brugieres L, Hartman O, Travagli JP et
al.: Hemorrhagic cystitis after high-dose
chemothepy and bone marrow transplantation in children with malignancies: incidence, clinical course and outcome. J Clin Oncol 1989; 7:194-199
2. Harkensee C, Vasdev N, Gennery AR et
al.: Prevention and management of BKvirus associated haemorrhagic cystitis
in children following haematopoietic
stem cell transplantation a systemic
review and evidence-based guidance for
clinical management. Br J Haematol
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3. Hirsch HH, Steiger J: Polyomavirus BK.
Lancet Infect Dis 2003 ; 3: 611-623.
4. Erard V, Kim HW, Corey L et al. : BK DNA
viral load in plasma : evidence for an
association with hemorrhagic cystitis in
allogenic hematopoietic cell transplant
recipients. Blood 2005; 106:1130-1132.
5. Ginevri F, Hirsch HH, Comoli P. Cellular
immune responses to BK virus. Curr
Opin Organ Transplant 2008; 13:569-574.
ANALISI DEL MECCANI SMO DI FO RMAZIO NE DELL A TRASLO CAZI ONE
S BI LANCIATA DER19 T(1,19) NE LLA
LEUCEMI A LINFOBLASTICA ACUTA.
N. Musso,1,2 C. Capizzi,2 L.Lo Nigro,4 V.
Barresi,1,2,3 D.F. Condorelli1,2,3
1Laboratorio
sui Sistemi Complessi,
Scuola Superiore di Catania,Università di
Catania, Italia; 2Dipartimento di Scienze
Chimiche, Sezione di Biochimica,
Università di Catania, Italia; 3Laboratorio
C.I.R.E.S., Facoltà diMedicina,Università
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
di Catania, Italia; 4Centro di Riferimento di
Ematologia ed Oncologia Pediatrica Azienda Policlinico-OVE Catania, Italia
Introduzione. La t(1;19)(q23;p13) rappresenta una delle forme più comuni di traslocazione nelle leucemie linfoblastiche
acute (ALL) con una frequenza pari al
3%-6% dei casi maggiormente presenti
nell’età pediatrica. Citogeneticamente si
presenta in 2 forme, bilanciata e sbilanciata ed in ambedue i casi porta alla formazione di un prodotto di fusione oncogenico con le sequenze di DNA-binding
del gene PBX1 sotto il controllo del TCF3
(E2A) sul cromosoma derivativo 19
(der19). Il prodotto PBX1/E2A espresso
in modo costitutivo è responsabile di
proliferazioni incontrollate maligne di
precursori delle cellule B. Riguardo il
meccanismo che dà origine alla traslocazione sbilanciata, più frequente,
Paulsson e coll. (2005) hanno ipotizzato,
mediante analisi di microsatelliti e PCR
quantitativa fluorescente eseguita su
campioni di t(1;19) con traslocazione
sbilanciata, un meccanismo di formazione del der19t(1;19) da un clone con una
primaria trisomia. La tecniche di citogenetica classiche come la determinazione
del cariotipo e l’ibridazione in situ (FISH)
sono state e sono ampiamente utilizzate
e sono in grado di rivelare questo tipo di
anomalie ma la recente introduzione di
piattaforme ad alta risoluzione genomica
permette di fornire ulteriori informazioni
riguardo il numero di copie, la qualità e
la dimensione delle alterazioni cromosomiche. È possibile rilevare, su scala
genomica globale, anomalie cromosomiche microscopiche (>3Mb) e submicroscopiche (10Kb-3Mb) quali delezioni,
inserzioni ed amplificazioni utilizzando i
DNA chip a sintesi fotolitografia (SNP
Array 6.0, Affymetrix, Santa Clara, CA).
Essi sono composti da sonde bi-alleliche
per la rivelazione di SNPs (single nucleotide polymorphisms) e sonde monoalleliche per la rivelazione di CNVs (copy
number variations). I CNVs sono regioni
con numero variabile di copie geniche.
Gli SNP arrays sono in grado di rivelare
anche il fenomeno della perdita di eterozigosità (loss of heterozygosity, LOH),
sia con delezione (deletion-LOH) sia
senza delezione (copy neutral-LOH, CNLOH). In questo studio, utilizzando un
parametro dell’analisi “SNP-array” denominato “allele difference”, è stato ipotizzato un nuovo meccanismo responsabile
di una traslocazione sbilanciata
der(19)t(1;19).
Materiali Metodi. Prelievo e raccolta dei
campioni,estrazione del DNA. Il DNA
genomico di ciascun paziente in fase di
diagnosi e di remissione morfologica (78
giorni dalla diagnosi) sarà estratto da
tessuto e da sangue mediante QIAamp
[page 61]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
DNA Mini Kit (Quiagen).La concentrazione e la qualità del DNA sarà determinata
utilizzando uno spettrofotometro ND1000 (NanoDrop, Thermo Scientific,
USA).
Analisi genomica mediante SNP-Array. Gli
SNP arrays utilizzati in questo studio
sono i Genome-Wide Human SNP Array
6.0 (Affymetrix), vetrini di silicio di 1.63
cm2 sui quali sono depositati migliaia di
oligonucleotidi (probes: 25 mer) con i
quali è possibile analizzare in un solo
esperimento circa 1.800.000 variazioni
genetiche diverse (906.000 sonde bi-alleliche per la rivelazione di SNPs, single
nucleotide polymorphisms, e 946.000
sonde monoalleliche per la rivelazione di
CNVs, copy number variants). I campioni
saranno preparati secondo il protocollo
dell’Affymetrix: digestione mediante gli
enzimi Nsp1 e Sty1; reazione di “
Ligation” dei campioni di DNA digerito
con opportuni adattatori con estremità
coesive per l’enzima Sty e l’Nsp; reazione
di amplificazione mediate reazione di
polimerazione a catena (PCR) del DNA
digerito. Purificazione dei prodotti
amplificati mediante biglie magnetiche;
quantificazione e frammentazione dei
prodotti purificati con enzima DNasi;
marcatura dei frammenti con l’enzima
terminal trasferasi; ibridazione di ogni
campione mediante Genome - Wide
Human SNP Array 6.0. Colorazione degli
array con la streptavidina- ficoeritrina e
lavaggio mediante la stazione fluidica
“Fluidics Station 450” ed infine scansione
degli array mediante “GeneChip®
Scanner 3000 7G”.
Analisi bioinformatica e statistica. Per
l'analisi delle aberrazioni cromosomiche
e per il confronto tra tessuto normale e
tessuto tumorale i dati degli “SNP-array”
sono stati analizzati con il software
“Affymetrix Genotyping Console™ versione 3.02”, che consente di analizzare i
“file.cel” provenienti dagli arrays e specifici algoritmi e softwares di bioinformatica messi a punto dal nostro gruppo di
ricerca (Barresi V et al., 2010).
Risultati e Conclusioni. L’analisi con gli
“SNP-array” è stata condotta su 4 casi di
t(1;19), in osservazione e trattati presso
il Centro di Riferimento di Ematologia ed
Oncologia
Pediatrica
dell’Azienda
Policlinico dell’Università di Catania e su
17 campioni DNA in fase di diagnosi e di
remissione i cui dati dell’analisi SNParray sono stati depositati presso il NCBI
Gene Expression Omnibus (GEO,
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/geo/) con
l’accession number GSE5511 (Mullinghan et al., 2007). L’analisi condotta sul
DNA dei 4 campioni t(1;19) ha confermato i dati della citogenetica che mostrava
due cariotipi con t(1;19) bilanciata e
senza variazioni del numero di copie e
due con t(1;19) sbilanciata e presenza
[page 62]
del der1(t1,19). I dati citogenetici sono
stati confermati con i seguenti parametri
del software “Genotyping Console”:
“Log2Ratio” and “Allele Difference”. Il
“Log2Ratio” si riferisce al segnale di ogni
marcatore allelico in ciascun campione e
il corrispondente valore medio in un
gruppo di riferimento (270 individui
HapMap) e prevede una stima del numero di copie mentre “l’allele difference” è
la differenza del segnale dell’allele A e
dell’allele B normalizzati in base al loro
valore mediano della popolazione di riferimento HapMap. In presenza di un genotipo diploide sono presenti 3 bande, che
si riducono a 2 in caso di perdita di eterozigosità con o senza variazioni del
numero di copie. La presenza di 4 bande
indica trisomia. In questi campioni l’analisi dei CN-LOH è risultata negativa.
L’analisi condotta sui 17 campioni
GSE5511 ha rivelato la presenza di 15
cariotipi con der19(t1,19) ed 2 con
t(1,19). L’analisi di genotipizzazione con
l’allele difference in tutti i casi analizzati
con der19(t1,19) mostrava un pattern a 3
bande per il cromosoma 1, braccio p e
braccio q(cent-23.3) tipici di un corredo
diploide ed un pattern a 4 bande per il
cromosoma 1 braccio q(23.3-tel) indicativi di una condizione trisomica. I nostri
dati confermano che, in accordo con
quanto suggerito da Paulsson e coll.
(2005), il meccanismo che prevede la
perdita del der1 e la duplicazione del
cromosoma 1 rimanente (con conseguente perdità di eterozigosità) non
possa essere responsabile dei quadri
cariotipici osservati. Inoltre, in un caso
di der19(t1,19), l’analisi SNP-array ha
rivelato un pattern a tre bande per il cromosoma 1p, una regione di CN-LOH nel
braccio q(21.1-23.3) ed un pattern a 4
bande nel braccioq(23.3-tel). Questo pattern suggerisce un diverso meccanismo
di formazione della traslocazione sbilanciata der19(t1,19) caratterizzato da una
riparazione del der(1) mediante sintesi
del braccio q sullo stampo del cromosoma omologo.
Bibliografia
1. Barresi V, Romano A, Musso N, et al.
Broad copy neutral-loss of heterozygosity regions and rare recurring copy
number abnormalities in normal karyotype-acute myeloid leukemia genomes.
Genes Chromosomes Cancer. 2010;
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2. Mullighan CG, Goorha S, Radtke I, et al.
Genome-wide analysis of genetic alterations
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acute
lymphoblastic
leukaemia. Nature. 2007; 446 (7137): 75864.
3. Paulsson K, Horvat A, Fioretos T, et al.
Formation of der(19)t(1;19)(q23;p13) in
acute lymphoblastic leukemia. Genes
Chromosomes Cancer. 2005;42(2):144-8.
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
IL GENE DI FUS IO NE P AX5/TEL
CAUS A IL BLOCCO DEL B-CELL
RECEP TOR, L’OVERESP RE SSIONE
DI LCK E L’ATTI VAZI ONE DI VI E DI
SEGNALE ALTERNATIVE IN CELLULE PRE-BI MURINE.
V. Cazzaniga,1,2 C. Bugarin,1 C. Palmi,1
A. Rolink,3 G. Gaipa,1 A. Biondi,1
G. Fazio,1 G. Cazzaniga1
1Centro
Ricerca Tettamanti, Clinica
Pediatrica, Università di Milano-Bicocca,
Monza, Italia; 2Programma di dottorato
DIMET, Dipartimento di Medicina Clinica
e Prevenzione, Università di MilanoBicocca; 3Università di Basilea, Basilea,
Svizzera
Introduzione. Il trascritto di fusione
PAX5/TEL è originato dalla traslocazione
t(9;12)(q11;p13), identificata in pazienti
affetti da Leucemia Acuta Linfoblastica
(LAL) a fenotipo B. Tale traslocazione
coinvolge due geni essenziali per lo sviluppo ed il differenziamento dei linfociti
B. Il gene TEL codifica per un repressore
sequenza-specifico della trascrizione,
frequentemente coinvolto con numerosi
partners di traslocazione nei tumori sia
ematologici che solidi. Più recentemente,
il gene PAX5 è stato descritto come target di anomalie genetiche di vario tipo,
quali delezioni, mutazioni e traslocazioni, nel 30% dei casi pediatrici di LAL dei
precursori delle cellule B. Da risultati
preliminari ottenuti dal nostro gruppo in
cellule pre-BI è emerso che PAX5/TEL
agisce in modo predominante da repressore della trascrizione ed in particolare è
in grado di reprimere numerosi geni target diretti di PAX5, alterando i processi
di migrazione e adesione cellulare e del
segnale associato al B Cell Receptor
(BCR). Sulla base di questi dati, è possibile ipotizzare che le cellule pre-BI
PAX5/TEL positive non utilizzino solo il
signaling del pre-BCR come via necessaria per la sopravvivenza e la proliferazione cellulare, ma possano prediligere vie
di segnale alternative per i precursori B.
Scopo di tale lavoro è di identificare le
principali vie di segnale attivate da
PAX5/TEL per garantire la sopravvivenza
cellulare e il mantenimento del clone leucemico.
Materiali Metodi. Il modello in vitro è
costituito da cellule primarie pre-BI
murine in co-coltura con stroma midollare OP9 in terreno IMDM, in presenza di
IL-7 e di FBS. Tali cellule sono isolate dal
fegato fetale di topi donatori geneticamente normali e purificate tramite sorting per la positività agli antigeni c-KIT,
B220 e CD19. Sia il modello cellulare preBI che le tecniche di trasduzione retrovirali sono state ottimizzate nel nostro
laboratorio. L’analisi del profilo di
espressione genica di cellule pre-BI
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
PAX5/TEL e pre-BI MIGR-GFP sono state
condotte con la tecnologia Affymetrix
GeneChip; le validazioni dei dati ottenuti
sono state effettuate utilizzando RQ-PCR
con UPL probe library system (Roche).
L’analisi dei livelli di espressione proteica di LCK totale e fosforilato saranno
effettuati tramite western blot. Le analisi
dei livelli di fosforilazione di STAT5 verranno effettuate tramite phosphoflow
con lo strumento FACSAria (BD
Biosciences), seguendo una procedura
ottimizzata nel nostro laboratorio e che
prevede fissazione con paraformaldeide
4% e permeabilizzazione con metanolo
90%.
Risultati. Preliminari e esperimenti in
corso. Dall’analisi del profilo di espressione genica è emerso che la proteina di
fusione PAX5/TEL è in grado di alterare
in modo significativo il processo trascrizionale delle cellule pre-BI wild type.
L’analisi dei pathways dei geni differenzialmente espressi ha indicato che numerose molecole coinvolte nell’assemblaggio e nella via di segnale del BCR risultano repressi da PAX5/TEL. Un saggio funzionale a basse concentrazioni di IL-7 ha
confermato che le cellule PAX5/TEL positive non sono in grado di completare il
riarrangiamento della catena pesante
delle IgM e di presentarla sulla superficie
cellulare. Questi dati suggeriscono che il
signaling del BCR non sia funzionale in
tali cellule; per questo motivo abbiamo
ipotizzato che queste cellule per garantirsi la sopravvivenza sfruttino vie di
segnale alternative, tra cui quella a valle
del recettore dell’IL-7. Inoltre, l’analisi
bioinformatica dei geni differenzialmente
espressi ha evidenziato che alcune molecole coinvolte in altri pathways di segnale risultano over-espresse in presenza
del costrutto di fusione. In particolare,
uno di questi geni è LCK (Lymphocytespecific protein tyrosine kinase), una chinasi importante nei linfociti T ma espressa anche nelle cellule B. Abbiamo validato l’over-espressione di LCK tramite PCR
quantitativa in tre popolazioni indipendenti di cellule pre-BI e ci proponiamo di
verificarne anche i livelli di espressione
proteica sia della sua forma basale che
fosforilata tramite western blot. Recenti
studi, in cellule pro-B BaF3 murine,
hanno dimostrato che proprio questa
proteina, quando espressa ad alti livelli,
converge sulla via di segnale di STAT5
iperfosforilandola; inoltre STAT5 è una
molecola appartenente alla via di segnale a valle del recettore dell’IL-7. Per
entrambi questi motivi ne valuteremo il
suo stato fosforilativo. A tale scopo stiamo utilizzando la metodologia phosphoflow, una tecnica che permette di studiare al citofluorimetro lo stato fosforilativo
a livello di singola cellula. Esperimenti
preliminari hanno mostrato che la via di
STAT5 è attiva nelle cellule pre-BI, ma
saranno comunque necessari ulteriori
esperimenti per stabilire un eventuale
vantaggio conferito da PAX5/TEL. Dal
momento che STAT5 costituisce un fattore di trascrizione fondamentale per la
sopravvivenza dei linfociti B, analizzeremo anche i livelli di espressione dei suoi
targets diretti. Inoltre, è stato precedentemente pubblicato dal nostro gruppo
che le cellule PAX5/TEL positive mostrano un vantaggio di sopravvivenza a
breve termine rispetto alle cellule controllo in assenza di IL-7 e ciò potrebbe
essere correlato con un diverso profilo di
attivazione di STAT5. Per questo motivo
allestiremo un saggio funzionale per
valutare il ciclo cellulare e l’apoptosi
delle cellule esprimenti la proteina di
fusione PAX5/TEL rispetto alle cellule
controllo.
Conclusioni. Il progetto proposto si propone di indagare il ruolo nella leucemogenesi di PAX5/TEL, identificandone i
meccanismi molecolari e funzionali.
Abbiamo dimostrato che la via di segnale del BCR risulta bloccata, facendo ipotizzare che queste cellule sfruttino vie di
segnale alternative per garantirsi la
sopravvivenza. L’analisi del profilo di
espressione genica ha evidenziato l’attivazione di alcuni geni normalmente
repressi nei linfociti B e coinvolti nel
signaling cellulare, fra i quali emerge
LCK; sarà quindi interessante indagarne
la via di segnale. L’eventuale identificazione dei meccanismi alternativi attivati
dal gene di fusione risulterà fondamentale per sviluppare nuove strategie per
bloccare la proliferazione delle cellule
tumorali.
Bibliografia
Fazio G, Palmi C, Rolink A, Biondi A,
Cazzaniga G. PAX5/TEL acts as a transcriptional repressor causing downmodulation of CD19, enhances migration to CXCL12, and confers survival
advantage in pre-BI cells. Cancer Res
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Shi M, Cooper JC, Yu CL. A constitutively
active Lck kinase promotes cell proliferation and resistance to apoptosis
through signal transducer and activator
of transcription 5b activation. Mol
Cancer Res 2006; 4(1): 39-45.
MALATTIA DREPANO CITICA: UNA
P ATO LOGIA E ME RGENTE: DI AGNOS I, CARATTERI STICH E CLINICHE E
FOLLO W-UP I N UNA PO POLAZIO NE
P EDIATRI CA
M. Pinotti,1 A. Sorlini,1 S. Vitari,1
L.Verdoni,1 P. Ouedraogo,1
R.F. Schumacher,1 S. Cavagnini,1
M.Berlendis,2 N. Miglietti,4
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
E. Marchina,3 L.D Notarangelo,1 F. Porta1
1Oncoematologia Pediatrica Clinica Pediatrica A.O Spedali Civili di Brescia; 2Pneu mologia e Fisiopatologia Respiratoria A.O
Spedali Civili di Brescia; 3Scienze Biomediche e Biotecnologie Università degli
Studi di Brescia; 4 U.O Pediatria Clinica
Pediatrica A.O Spedali Civili di Brescia,
Italia
Introduzione. La malattia drepanocitica è
un disordine ereditario dell’emoglobina
caratterizzato da un’espressività clinica
variabile e differenti genotipi. La sua frequenza nei paesi industrializzati è sempre
maggiore come conseguenza dei flussi
migratori dall’Africa; i dati relativi a differenti coorti europee ed americane evidenziano i progressi derivanti dallo screening
neonatale, dal rapido avvio della profilassi primaria per le infezioni e da programmi di screening delle complicanze, soprattutto cerebro vascolari, oltre che dall’
impiego di terapie come l’idrossiurea.1 La
situazione italiana attuale non è nota: l’ultima survey nazionale risale al 20012 e più
recentemente sono stati pubblicati i dati
relativi alla regione Veneto.3 In questo
lavoro descriviamo la morbidità nella
nostra coorte, le differenze cliniche associate alle tre varianti principali di malattia
drepanocitica (SS, SC e Sβthalassemia), il
possibile ruolo di due parametri di laboratorio utilizzati nella pratica ambulatoriale, emoglobina e LDH, come fattori predittivi di gravità e la necessità di un follow-up stretto e mirato per ridurre le complicanze.
Pazienti e metodi. Nello studio longitudinale retrospettivo sono stati inclusi i
pazienti affetti da malattia drepanocitica
seguiti presso l’Unità di Oncoematologia
Pediatrica di Brescia tra il Gennaio 1987
ed il Dicembre 2010. Tutti i pazienti ricevono profilassi penicillinica anche oltre i
5 anni di vita, supplementazione con
acido folico e vaccinazioni antimeningococcica, antipneumococcica e anti H.
Influenzae secondo il calendario consigliato dalle linee guida.4 Di ciascun
paziente sono stati registrati i dati anagrafici (sesso, data di nascita, origine
geografica), clinici (motivi della diagnosi, complicanze acute durante il followup e numero e cause di ricovero), laboratoristici (elettroforesi dell’emoglobina
alla diagnosi, livelli medi di emoglobina e
LDH), strumentali (ecocolordoppler cardiaco, ecografia addome, spirometria,
eco-colordoppler dei vasi transcranici,
camera anteriore e fundus oculi). La diagnosi è stata posta nell’85,7% dei casi in
epoca post-natale mediante elettroforesi
dell’emoglobina; nel 11,1% dei casi, nel
sospetto di talassodrepanocitosi, è stata
confermata con l’analisi molecolare dei
geni beta-globinici; solo in 2 casi (3,2%)
[page 63]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
la diagnosi è stata posta in epoca prenatale e neonatale rispettivamente mediante analisi molecolare su liquido amniotico e cromatografia liquida ad alta prestazione. Per il confronto statistico dei dati
di laboratorio è stato utilizzato il test t di
Student per dati non appaiati ed è stata
considerata statisticamente significativa
una P<0.05.
Risultati. La nostra coorte è costituita da
63 soggetti (50,8% femmine) così ripartiti: 73% omozigoti SS, 19% doppi eterozigoti SC, 8% con talasso-drepanocitosi. Il
92,1% dei soggetti è di origine africana.
La mediana di follow-up è di 45 mesi
(range 1-285), con un follow-up ≥60 mesi
nel 41,3% dei soggetti. L’età mediana dei
soggetti della nostra coorte al termine
dello studio è di 99 mesi (range 21-417).
La sopravvivenza globale è pari al 98% a
10 anni di vita: 1 paziente è deceduta a 51
mesi per sepsi. La mediana di sopravvivenza libera da eventi globale è pari a 27
mesi (range 1-168) con differenze dovute
al genotipo: 20 mesi (range 1-168) per SS,
60,5 mesi ( range 21-127) per SC e 36 mesi
(range 5-117) per SBeta thalassemia.
L’età mediana alla diagnosi dell’intera
coorte è di 21 mesi (range 0-204) e nel
14,3% dei casi è avvenuta ad un’età ≥ 60
mesi. Vi è una differenza statisticamente
significativa (P<0,05) tra l’età mediana
alla diagnosi dei 3 gruppi SS, SC e SBeta
thalassemia essendo di 20 mesi (range 4142), 43 mesi (range 0-204) e di 6 mesi
(range 0-117) rispettivamente. Le prime 3
cause che hanno condotto alla diagnosi
sono: crisi dolorose (23,8%); riscontro
occasionale di anemia (20,6%); cause
infettive (sindrome polmonare acuta,
osteomielite,
infezioni
ricorrenti)
(17,4%); tra le cause di diagnosi si segnalano anche eventi potenzialmente fatali
come il sequestro splenico e lo stroke
cerebrale (rispettivamente 1,6% dei
casi). Nel corso del follow-up il 79,4% dei
pazienti ha presentato almeno un evento
acuto, con differenze tra i sottogruppi:
nella forma SC il 50% dei soggetti è asintomatico, mentre l’8,3%·dei bambini presenta crisi dolorose e complicanze infettive; il 51% dei soggetti appartenenti alle
altre due forme di malattia drepanocitica
presenta un quadro clinico gravato da
crisi dolorose e complicanze di altra
natura, mentre solo il 7,3 % è asintomatico. Le crisi dolorose rappresentano la
prima complicanza per frequenza, seguite dalla sindrome polmonare acuta; sono
stati registrati 5 episodi di sepsi, di cui 1
fatale. Tra gli eventi rilevanti si segnala 1
infarto cerebrale silente a 5 anni di
distanza dal pregresso stroke in una
bambina con forma SS in regime trasfusionale cronico; il priapismo è stato
segnalato solo in 1 paziente. Dal confronto tra l’incidenza per età delle complicanze
(espressa
in
eventi/100
[page 64]
persone/anno) nei gruppi SS e SC si registrano i seguenti dati: le dattiliti interessano esclusivamente i soggetti SS nei
primi 3 anni di vita con incidenza di 10,9
eventi nel primo anno; le crisi dolorose
di gravità tale da richiedere ospedalizzazione compaiono fin dai primi 12 mesi di
vita nel gruppo SS e l’incidenza cresce da
4,3 a 25 all’età di 7 anni, mentre nel gruppo SC le crisi dolorose vengono registrate dal quinto anno di vita ed anch’esse
raggiungono il picco di incidenza di 25
eventi a 7 anni; la sindrome polmonare
acuta compare dal secondo anno di vita
nel gruppo SS, mentre i primi eventi nel
gruppo SC vengono registrati dal decimo
anno di vita. Il 65,1% dei pazienti ha
necessitato di ospedalizzazione per gli
eventi sopracitati; a supporto della variabilità interindividuale, indipendente dal
genotipo, si sottolinea che il 65,8% dei
ricoveri ha riguardato solo il 15,9% dei
pazienti: 7 pazienti con forma SS, 2 con
forma Sβthal e 1 con forma SC.
Oltre che dal punto di vista clinico i 3
gruppi presentano differenze statisticamente significative in merito ad alcuni
dati di laboratorio: Hb pari a 8,3±1,1 g/dl
nella forma SS vs 10,1±1,4 g/dL della
forma Sβthal vs 11,2±0,6 g/dL della forma
SC (P<0,05). Anche i livelli di LDH
mostrano differenze statisticamente
significative tra il gruppo SS e quello SC e
Sβthal ( 576±167 U/l, 371±105 e 370±101,
rispettivamente) (P< 0,05). Tuttavia il
confronto tra i livelli di LDH ed emoglobina tra sottogruppo con decorso clinico
più grave indipendentemente dal genotipo (più di 4 eventi acuti che hanno
richiesto ospedalizzazione nel corso del
follow-up) e restante coorte non ha evidenziato differenze statisticamente significative (analisi statistiche limitate dalla
scarsa numerosità dei campioni).
Relativamente ai risultati in merito a controlli strumentali, il dato più interessante
è quello relativo alla funzione polmonare: il 28,6% dei soggetti è stato sottoposto a spirometria e di questi il 55,5% presenta un quadro di disventilazione
restrittiva segnalato ad un’età mediana
di 110 mesi (range 92-328); sono necessari studi longitudinali per valutare tale
risultato che si discosta da quelli attualmente riportati in letteratura.5
Conclusioni. I dati fin qui riportati
mostrano che nel nostro Paese, dove
manca un programma di screening neonatale per le emogobinopatie, esiste un
ritardo nella diagnosi della malattia drepanocitica legata sia all’espressività clinica variabile che alle barriere socioculturali dei soggetti coinvolti (spostamenti
legati a difficoltà lavorative/ economiche, scarsa compliance, difficoltà di
comunicazione). La sopravvivenza globale di tali soggetti è buona, ma la morbilità è elevata con conseguenti ripercus-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
sioni sulla nostra realtà sanitaria; la difficoltà maggiore nella gestione di questi
pazienti e delle loro complicanze risiede
fondamentalmente nella difficoltà ad
identificare fattori di rischio clinici e/o
laboratoristici. L’interessamento multisistemico della patologia rende necessario
il coinvolgimento di figure specialistiche
differenti e l’applicazione di linee guida.4
TRAPI ANTO AP LOIDENTICO DI CELLULE STAMINALI EMOP OIETICHE
DA DO NATORE NK-ALLO REATTI VO
IN UN PAZIE NTE PE DI ATRICO
AFFE TTO SARCO MA DI EWING
ME TAS TATICO
V. Bennato,1 S. Guarisco,1 C.Gorio,1 S.
Vitari,1 M. Marchini,1 Cattaneo,1 A.
Sorlini,1 S. Cavagnini,1 V. Grassi,1 C.
D’Ippolito,1 L.D. Notarangelo,1 R.F. Schumacher,1 L. Ruggeri,3 A. Velardi,3 F.
Bolda,2 L. Rubaga,3 R. Baffelli,2 A. Lanfranchi,2 F. Porta1
1Oncoematologia
Pediatrica e Trapianto
Midollo Osseo; Ospedale dei Bambini A.O. Spedali Civili di Brescia – Brescia;
2Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale
dei Bambini, Brescia; 3Sezione di Ematologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Ospedale Santa Maria della Misericordia Sant’Andrea delle Fratte – Perugia, Italia
Introduzione. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) aploidentico,
da donatore alloreattivo, è una strategia
terapeutica documentata in letteratura
per neoplasie ematologiche; l’effetto
antileucemico delle cellule Natural Killer
(NK) è mediato dal mismatch tra recettori KIR del donatore e molecole HLA I del
ricevente. Descriviamo il caso di un
paziente di 15 anni affetto da Sarcoma di
Ewing metastatico sottoposto a TCSE da
donatore aploidentico NK-alloreattivo, al
fine di valutare l’efficacia dell’utilizzo di
un donatore con tali caratteristiche nei
tumori solidi ad alto rischio in età pediatrica.
Materiali e metodi. Al momento della diagnosi, previo reperimento di consenso
informato, veniva prelevata una biopsia
della neoplasia primitiva e allestita una
coltura primaria delle cellule tumorali,
mediante semina in terreno di coltura
DMEM F12 ADVANCED + FBS 5%. Dopo il
trattamento convenzionale secondo il
protocollo AIEOP ISG/SGG IV, nel nostro
paziente veniva documentata una progressione di malattia. Per tale motivo si
intraprendeva un protocollo terapeutico
personalizzato basato sull’utilizzo di vincristina, actinomicina-D e ifosfamide ad
alte dosi, con conseguente importante
riduzione del tumor load. Il paziente è
stato dunque candidato a TCSE aploiden-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
tico. Allo scopo di identificare un donatore alloreattivo, è stata effettuata la tipizzazione HLA del paziente, dei genitori, di
due zii materni e sei zii paterni, mediante tecnica sierologica e molecolare ad
alta risoluzione. Uno zio materno, risultato alloreattivo nei confronti del paziente
per un mismatch sul locus C1, è stato
identificato come donatore. È stata poi
valutata l’attività litica delle cellule NK
del donatore sia verso i blasti PHA del
paziente, sia nei confronti delle linee di
cellule tumorali allestite. È stato quindi
eseguito il TSCE aploidentico da donatore NK-alloreattivo, dopo regime di condizionamento
chemioterapico
con
ATG/Fludarabina/Thiotepa/Melphalan.
Sono state infuse 15,91x106 di CD34+/kg
e 8x104 di CD3+/kg, selezionate da raccolta aferetica del donatore.
Risultati. Una valutazione anatomopatologica ha confermato la natura neoplastica della coltura cellulare allestita, con
una percentuale di cellule tumorali del
90%. Alla valutazione immunocitochimica e citofluorometrica tali cellule tumorali sono risultate positive per HLA I, per
CD56 e per Mib1, con un elevato indice
proliferativo. Non è stata evidenziata la
presenza di MIC A e B, recettori attivatori delle cellule NK. Alla valutazione con i
test funzionali di citotossicità, i blasti
PHA del paziente sono risultati resistenti
alla lisi mediata dalle cellule NK dei genitori. Le cellule NK dello zio materno
hanno al contrario presentato una lisi
significativa, non confermata però nei
confronti della linea tumorale allestita.
L’attecchimento del trapianto è avvenuto
al G+15. A cadenza mensile sono stati
valutati la percentuale di cellule NK nel
sangue periferico del paziente, il fenotipo NK e il chimerismo post-trapianto. I
linfociti NK CD16+ sono risultati del
85,5%, 23,5% , 23,9% e 35,6% rispettivamente al mese 1, 2, 3 e 4 post-TCSE. Le
cellule CD56+ sono risultate pari al 84,7%
al mese 1, 27,3% al mese 3, 52,3% al mese
4. L’analisi molecolare del chimerismo ha
mostrato un attecchimento sui linfociti T
e B del 100% nei primi due mesi, che è
andato riducendosi nel periodo successivo; al terzo mese una percentuale pari a
85,3% dei linfociti B e 40,7% dei linfociti T
del sangue periferico del paziente appartenevano al donatore. L’attecchimento
delle cellule NK CD56+ è rimasto quasi
totale, corrispondente al 99,7%. L’analisi
del fenotipo NK ha mostrato una modifica dei marker espressi nel periodo postTCSE. Inizialmente tutte le cellule esprimevano NKG2A, recettore inibitorio in
grado di riconoscere il ligando HLA-E
espresso ubiquitariamente nelle cellule
emopoietiche; nei mesi successivi è comparsa una popolazione di NK esprimenti
KIR singolarmente, non coespressi con
NKG2A: in particolare le cellule NK
KIR2DL2/3 + e NKG2A- sono risultate
circa il 5%, mentre non sono state evidenziate espressioni singole di KIR2DL1
e KIR3DL1. Al fine di potenziare l’effetto
alloreattivo delle cellule NK contro le cellule tumorali, il paziente ha intrapreso
terapia con IL-2 alla dose di 1x106 UI/m2
s.c. tre volte alla settimana, ben tollerata.
A distanza di quattro mesi dal TCSE, il
paziente si trova in remissione completa
e segue un programma di follow-up, che
comprende oltre alla valutazione dello
stato di malattia, l’attecchimento del trapianto, la conta sierologica di cellule NK
e la valutazione del fenotipo delle stesse.
Conclusioni. Il nostro caso documenta
che le cellule NK alloreattive possono
rappresentare una strategia terapeutica
nei tumori solidi infantili, grazie all’effetto graft-versus-tumor, effetto già documentato in letteratura per le leucemie.
Risulta dunque importante effettuare
una valutazione dell’HLA, non limitata ai
soli genitori del paziente, ma estesa
anche ad altri familiari, al fine di identificare un donatore aploidentico alloreattivo. Per la scelta dello stesso è inoltre
opportuno valutare in vitro la capacità di
lisi delle cellule NK sia nei confronti dei
blasti PHA del paziente che nei confronti
delle cellule neoplastiche del ricevente.
Il nostro obiettivo futuro è quello di affinare le tecniche di coltura delle cellule
neoplastiche, al fine di selezionare le
sole cellule staminali tumorali, principali
responsabili delle ricadute di malattia.
L’IMPATTO CLINICO DEL CHI ME RIS MO DONATO RE-RICEVE NTE
NELLA CORREZIONE DI MALATTIE
O NCOE MATO LOGICHE NEL BAMBI NO S OTTO PO STO A TRAPIANTO DI
MI DO LLO O SS EO
V. Grassi, V. Bennato, S. Guarisco,
S.Cavagnini, E.Soncini. F.Lanfranchi.
C.Gorio, C.D’Ippolito, F. Sarasera,
M. Belussi, R. Ceresoli, R. Baffelli.
M. Zucchi, F. Porta. A. Lanfranchi
Unità
Operativa
Oncoematologia
Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo,
Ospedale
dei
Bambini,
Brescia;
Laboratorio Staminali, Ospedale dei
Bambini, Brescia. Italia
Introduzione. L’obiettivo del trapianto
allogenico di cellule staminali è quello di
sostituire il compartimento alterato o
mancante del paziente con un patrimonio di cellule staminali ottenuto da un
donatore sano capace di ricostituire il
sistema emopoietico e/o immunitario del
ricevente, qualora difettivo numericamente o funzionalmente. Nelle malattie
oncoematologiche l’emopoiesi deve
essere sostituita nella sua globalità dal
momento che contiene un clone neopla-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
stico resistente. Nei difetti congeniti dell’immunità invece il razionale del trapianto di midollo osseo è quello di riempire uno spazio vuoto funzionale e/o
numerico.
Obiettivo. Scopo di questo studio è stato
valutare l’impatto clinico del chimerismo
donatore-ricevente nella correzione di
malattie oncoematologiche di bambini
sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Abbiamo analizzato i
dati riguardanti l’attecchimento di bambini affetti sia da immunodeficit che da
patologie oncoematologiche sottoposti a
trapianto di midollo osseo dal 1990 al
2010 presso il dipartimento di Pediatria
dell’Ospedale dei Bambini di Brescia.
Oggetto dello studio è stato valutare se,
in relazione alla patologia di base, al regime di condizionamento e alla compatibilità HLA, la patologia di base potesse
essere considerata guarita anche in presenza di un chimerismo misto donatorericevente.
Pazienti e metodi. Dei 417 trapianti effettuati presso il nostro centro, 119 erano
trapianti aploidentici, 79 HLA identici,
142 fenotipicamente identici da banca e
77 autotrapianti. Per valutare l’impatto
clinico del chimerismo donatore-ricevente sulla correzione della malattia abbiamo analizzato esclusivamente i bambini
che presentavano un attecchimento
misto stabile nella fase post trapianto. I
pazienti arruolati nello studio sono stati
51 (12% dei pazienti trapiantati): di questi, 30 erano affetti da SCID/CID, 2 da leucemia acuta, 10 da errori congeniti dell’immunità, 3 da osteopetrosi, 3 da istiocitosi e infine 3 da anemia aplastica severa. Di questi 51 pazienti, 12 sono stati
sottoposti a trapianto aploidentico, 18 a
trapianto HLA identico da donatore familiare e 21 invece sono stati sottoposti a
trapianto da donatore fenotipicamente
identico da banca o familiare.
L’analisi dell’attecchimento viene eseguita impiegando metodiche di biologia
molecolare, attraverso tecniche di reazione a catena della polimerasi (polymerase chain reaction, PCR) che amplificano regioni del genoma umano altamente
polimorfiche. Attraverso queste metodiche, applicabili sia su cellule midollari
che su sangue periferico, è possibile stabilire il chimerismo post-trapianto e
soprattutto seguirne l’andamento nel
tempo. In base alla persistenza o meno di
cellule del ricevente a livello midollare o
periferico si distinguono tre possibili differenti stati chimerici, il chimerismo
completo (assenza di residuo cellulare
emopoietico del paziente), il chimerismo
misto (concomitante presenza di cellule
del donatore e del ricevente) e l’assenza
di chimerismo (ricostituzione emopoietica autologa).
Risultati. Scopo del trapianto è l’attecchi-
[page 65]
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
mento degli stipiti ematopoietici. Nelle
patologie oncoematologiche lo scopo è
far attecchire la componente mieloide;
questo richiede una terapia eradicante
aggressiva per poter creare spazio. Nelle
SCID invece, dove l’obiettivo è quello di
far attecchire uno stipite cellulare mancante o non funzionante, si tratta di riempire uno spazio funzionalmente o numericamente vuoto.
- SCID T-B+: 12 pazienti presentavano un
chimerismo misto stabile nel tempo.
2/12 non hanno un’ immunità umorale.
- SCID T-B-: 7 pazienti presentavano un
chimerismo misto stabile nel tempo e 3
di esse non hanno ricostituito l’immunità
umorale.
- SCID/CID: 11 pazienti presentavano un
chimerismo misto stabile nel tempo e 3
di esse non hanno ricostituito l’immunità
umorale.
- ISTIOCITOSI: 3 pazienti con chimerismo
misto e tutti e 3 senza segni di ripresa
della malattia indipendentemente dalla
percentuale di attecchimento
- OSTEOPETROSI: 3 pazienti con chimerismo misto e tutti e 3 senza segni di ripresa della malattia ma con chimerismo >
50%
- WAS: 6 pazienti con chimerismo misto,
4 in benessere con attecchimento > 70%
e 2 con chimerismo < 60% con piastrinopenia
- ANEMIA APLASTICA: 3 pazienti con chimerismo misto in benessere con attecchimento > 70%
- LEUCEMIE: 2 pazienti con chimerismo
misto senza segni di ripresa di malattia
Conclusioni. 1. la valutazione di un chimerismo autologo nella fase precoce
post trapianto ci dà un’informazione
immediata di non attecchimento e il
paziente può essere avviato ad un secondo trapianto; 2. la presenza di un chimerismo misto stabile nelle patologie
SCID/CID non è necessariamente segno
di insuccesso della procedura. Infatti per
alcune patologie il chimerismo misto
può comunque curare la patologia di
base o rendere la prognosi cronica; 3. In
presenza di un chimerismo misto in
patologie non-SCID il successo del trapianto dipende dalla percentuale di
attecchimento che varia a seconda della
patologia di base, < 10% nelle HLH e >
70% nelle WAS, CGD o Osteopetrosi
TRAPI ANTO AP LOIDENTICO DI CELLULE STAMINALI EMOP OIE TI CHE I N
P AZIENTI PEDIATRICI CON TUMO RI
S OLIDI NON E MATO LOGICI AD
ALTO RISCHIO: STUDIO IN VITRO
DEL L’ALLOREATTIVITA’ MEDIATA
DA CELLULE NK VERSO COLTURE
CELL ULARI DA TUMORE P RI MARI O.
C. Gorio,2 A. Bosi,1 F. Bolda,1 L. Ruggeri,6
[page 66]
C. D’Ippolito,2 R.F. SChumacher,2 L.D. Notarangelo,2 F. Lanfranchi,2 G. Cremaschini,2 L. Grazzani,2 M. Baiocchi, L.
Berchich,3 G. Carella,4 L. Tonegatti,5 D.
Alberti,5 A. Velardi,6 F. Porta,2 A.
Lanfranchi1
1Laboratorio
Cellule Staminali, Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo
Osseo , Ospedale dei Bambini - A.O. Spedali Civili di Brescia - Brescia; 2Onco ematologia Pediatrica e Trapianto Midollo
Osseo Ospedale dei Bambini - A.O. Spedali
Civili di Brescia - Brescia; 3Anatomia e
Istologia Patologica A.O. Spedali Civili di
Brescia - Brescia; 4Laboratorio Immunologia, U.O. Reumatologia e Immunologia
Clinica A.O. Spedali Civili di Brescia Brescia; 5U.O. Chirurgia Pediatrica
Ospedale dei Bambini - A.O. Spedali Civili
di Brescia - Brescia; 6Sezione di Ematologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Ospedale Santa Maria della Misericordia Sant’Andrea delle Fratte – Perugia, Italia
Introduzione e obiettivi. I tumori solidi
pediatrici rendono conto di un terzo
delle patologie neoplastiche nel bambino
e rappresentano spesso un’emergenza
clinico-diagnostica. Malgrado l'efficacia
nel rallentare la progressione della
malattia e nel prolungare la vita del
paziente affetto da tumore, i trattamenti
standard hanno forti limiti in termini di
efficacia e sicurezza. Le attuali strategie
terapeutiche consentono guarigioni nel
70% dei pazienti con tumori solidi pediatrici. Nel restante 30% dei casi si assiste
o alla comparsa di chemioresistenza o
alla recidiva a medio o lungo termine.
Nell’ambito dei trapianti di cellule staminali emopoietiche (CSE) da donatore
aploidentico, è ben dimostrato l’effetto
antileucemico esercitato dalle cellule
NK, mediato dal mismatch tra recettori
KIR del donatore e molecole HLA I del
ricevente. Per quanto riguarda i tumori
solidi pediatrici l’effetto graft versus
tumor rimane da indagare. Il nostro studio ha avuto come obiettivi l’allestimento di colture tumorali da tumore primario e la valutazione in vitro della loro
suscettibilità a citolisi mediata da cellule
NK alloreattive, al fine di prevedere la fattibilità e l’efficacia di un trapianto aploidentico di CSE.
Metodi. Abbiamo studiato 21 casi afferenti al nostro centro, di cui 6 neuroblastomi IV stadio, 4 rabdomiosarcomi, 4 tumori di Wilms, 3 sarcomi di Ewing, 4 sarcomi di tipo adulto. È stata effettuata la
tipizzazione HLA di pazienti e genitori
(potenziali donatori) e valutato il genotipo e il fenotipo KIR. In 5 casi non è stato
possibile reperire tessuto neoplastico da
cui allestire una coltura cellulare in vitro;
nei restanti 16 casi abbiamo potuto cam-
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
pionare frammenti di tessuto tumorale
che abbiamo processato e messo in coltura; le colture sono state valutate dal
punto di vista morfologico e mediante
caratterizzazione immunocitochimica
per determinarne le caratteristiche neoplastiche; in 4 casi non si è avuta crescita cellulare o crescita di cellule non neoplastiche; in 9 casi è stato possibile allestire una coltura tumorale; per 3 colture
cellulari la valutazione del contenuto
neoplastico è in corso. Le colture cellulari allestite in vitro sono state testate
mediante citometria a flusso per
l’espressione di CD112, CD155, MIC A/B,
ligandi dei recettori attivatori, e di molecole HLA di classe I. In 4 casi l’attività
citotossica di cellule NK parentali è stata
saggiata sia contro i blasti che contro le
colture tumorali; in 4 casi è stata saggiata l’attività citotossica di cellule NK
parentali unicamente verso i blasti PHA
dei pazienti; in 3 casi l’attività citotossica
contro le cellule tumorali è stata saggiata
utilizzando cloni NK standard esprimenti
un singolo recettore KIR; nel corso di tali
saggi per 8 pazienti sono stati valutati il
genotipo e il fenotipo KIR dei rispettivi
genitori.
Risultati. In 16 casi fino ad ora abbiamo
eseguito la tipizzazione HLA del paziente
e dei genitori per stabilire la possibilità
per il paziente di trovare un donatore
alloreattivo, secondo il modello ligandoligando; ciò ha permesso di individuare:
4 pazienti missing Bw4, 2 pazienti missing C2, 1 paziente missing C1; 9 pazienti
esprimevano tutti e tre i ligandi per i
recettori KIR e quindi non potevano trovare un donatore alloreattivo. I risultati
dei test di attività NK verso i blasti dei
pazienti
confermano
il
modello
ligando–ligando. Per quanto riguarda le
colture tumorali: in 2 casi, in assenza di
KIR mismatch non si è avuta lisi significativa, in accordo al modello ligando-ligando; in 3 casi, nonostante la potenziale
alloreattività, non si è avuta lisi significativa; in 1 caso si è avuta lisi della coltura
tumorale sia in presenza che in assenza
di KIR mismatch, probabilmente in seguito a down regolazione dell’ HLA; in 1
caso si è avuta lisi significativa anche in
assenza di KIR mismatch. Le analisi
mediante citometria a flusso hanno evidenziato scarsa espressione di ligandi
attivatori in 2 colture. Concludendo, per
quanto riguarda i risultati in vitro, in 3 su
6 casi non c’è concordanza tra presenza/assenza di KIR mismatch e presenza/assenza di citotossicità NK verso
cellule neoplastiche; nel caso dei tumori
solidi non è quindi possibile predire la
citotossicità NK unicamente sulla base
del KIR mismatch e del modello ligandoligando.
Conclusioni. Lo studio dell’alloreattività
mediata da cellule NK in vitro verso cel-
AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
lule del tumore primitivo è lo strumento
più potente per poter predire quale dei
donatori aploidentici famigliari è in
grado di avere un maggiore effetto antitumorale. Tuttavia talvolta l’assetto dell’alloreattività HLA e l’effettiva citotossicità specifica anti-tumorale non sono
sovrapponibili. Ci si aspetta quindi che
l’outcome post-trapianto aploidentico da
donatore alloreattivo possa essere
migliore se le cellule NK del donatore
sono in grado di lisare le cellule del
tumore primario, rispetto ai casi in cui le
cellule risultano resistenti alla lisi e che
si possa dunque garantire una più lunga
sopravvivenza libera da malattia.
ORGANIZZAZIO NE DI UN GRUPPO
NAZIO NALE P ER LA MALATTIA
DREP ANO CITICA IN ETA’ P EDIATRICA: DALLE LI NEE-GUIDA PE R IL
TRATTAME NTO ALLE P ROPO STE DI
STUDI COO PERATIVI AIEOP
G. Russo, M. Casale, R. Colombatti,
A. Ciliberti, D. De Mattia,
G.C. Del Vecchio, B. Fabrizzi,
P. Giordano, V. Kiren, S. Ladogana,
N. Masera, A. Nocerino, L.D.
Notarangelo, G. Palazzi, C. Pasqualini,
S. Perrotta, A. Pusiol, L. Sainati,
P. Samperi, P. Saracco, M. Zecca
Gruppo di Lavoro “Patologia del Globulo
Rosso” AIEOP
Introduzione. La malattia drepanocitica
(SCD), la più frequente emoglobinopatia
presente in Italia, è endemica in Sicilia e
nell’Italia meridionale. In seguito alle
migrazioni nazionali, verificatesi nel
dopoguerra, la malattia si è diffusa in
tutto il territorio nazionale, soprattutto
nelle aree industrializzate dell’Italia settentrionale.1 Durante gli ultimi anni il
dilagante fenomeno dell’immigrazione
da paesi dove la malattia ha una elevata
prevalenza ha contribuito ad una ulteriore diffusione della SCD in Italia.2
Pertanto, nel giro di pochi anni, molti
centri dei Ematologia Pediatrica si sono
trovati a dovere prestare assistenza sanitaria ad un numero consistente e crescente di bambini affetti da SCD,3 con
tutte le difficoltà conseguenti alla gestione di una condizione cronica, che affligge
pazienti immigrati e quindi con prevedibile disagio economico-sociale-culturale,
condizione per la quale, finora, non c’è
stata una rete assistenziale nazionale
che abbia uniformato la gestione clinica
dei pazienti.
Metodi. Nel 2008, è stato quindi avviato il
progetto “Raccomandazioni nella gestione del bambino con malattia drepanocitica” con l’obiettivo di preparare un documento fruibile sul sito AIEOP rivolto ai
Medici, agli Operatori Sanitari coinvolti
nella gestione del bambino con malattia
drepanocitica e ai genitori/pazienti, contenente informazioni, basate sulle evidenze disponibili, utili e condivise.
L’iniziativa è stata presentata a tutti i
centri AIEOP, con relativo invito ad aderire al progetto a chiunque fosse interessato. È stato quindi costituito un gruppo di
lavoro costituito da ematologi pediatri
dei centri AIEOP, che ha individuato gli
argomenti da trattare. Ogni componente
del gruppo ha quindi preparato una
bozza preliminare di uno o più argomenti, che è stata poi sottoposta a revisione
collegiale. Per la preparazione dei singoli capitoli, la metodologia seguita è stata
la seguente.
1. Raccolta dei dati esistenti in letteratura utilizzando, come fonti, Pubmed,
Cochrane, EMBASE, etc. ed attribuzione
a ciascuna voce bibliografica pertinente
del grado di evidenza.
2. Sulla base delle conoscenze desumibili dalla letteratura, sono stati preparati i
diversi capitoli contenenti una breve
parte descrittiva, in cui è riassunta lo
stato delle conoscenze; e una parte delle
raccomandazioni, formulata in enunciati.
Ogni enunciato è scaturito dalle evidenze della letteratura; laddove le evidenze
non fossero sufficienti, il gruppo di lavoro ha formulato specifiche affermazioni,
validate in sede plenaria, riportate nel
documento come parere e non evidenza.
Accanto ad ogni enunciato è stata quindi
riportato uno score di forza della raccomandazione stessa secondo la seguente
classificazione: A enunciato fondato sull’esistenza di almeno uno studio randomizzato; B enunciato desumibile da studi
di buona qualità, anche se non randomizzati; C enunciato basato su casi clinici,
esperienza clinica di gruppi autorevoli,
review, opinione del gruppo di lavoro.
Risultati. Ventuno ematologi pediatri provenienti da 13 centri si sono riuniti 5
volte durante 20 mesi (120 ore di riunione, 940 e mail scambiate) e hanno redatto il documento delle linee-guida, attualmente già disponibile sul sito AIEOP. Il
documento, che si articola in 24 capitoli,
184 pagine, 212 raccomandazioni, affronta tutti gli argomenti fondamentali della
SCD, passando dalla diagnosi alla prevenzione alla terapia, tenendo conto,
soprattutto nella parte delle raccomandazioni, della realtà sanitaria italiana. Il
documento è stato rivisto da 3 esperti
ematologi pediatri esterni e da un rappresentante delle associazioni dei
pazienti. In seguito al lavoro svolto per la
preparazione delle linee-guida, si è di
fatto formato un gruppo di lavoro interessato a tutti gli aspetti clinici, sia assistenziali che sperimentali, relativi alla
SCD. Sono state infatti formulate altre
proposte di studi cooperativi AIEOP:
1. creazione di un registro di malattia
[Pediatric Reports 2011; 3:s1]
AIEOP, in modo da avere a disposizione
dei dati indicativi della presenza dei
pazienti, della loro distribuzione sul territorio nazionale e dell’aderenza dei centri a quanto raccomandato nelle linee
guida; verrà quindi creata un apposita
scheda di malattia, collegata con il
modello di registrazione AIEOP 1.01, per
la raccolta delle informazioni; la medesima scheda verrà inviata anche ai centri
di ematologia e/o pediatria non AIEOP;
2. diffusione a tutti i centri interessati di
un database elettronico (formato
Access) appositamente creato a Padova
per la gestione clinica dei malati con
SCD; questo progetto offre il vantaggio di
fornire uno strumento molto versatile
per la gestione quotidiana dei pazienti e
di avere i dati relativi ai pazienti seguiti
in centri diversi tutti in unico formato in
modo da agevolare la raccolta e l’elaborazioni dei dati per qualsiasi studio cooperativo;
3. standardizzazione dello screening con
Eco Doppler Transcranico (TCD) nei vari
centri, esame di screening obbligatorio
per l’identificazione dei pazienti a rischio
di sviluppare uno stroke e quindi eleggibili per una profilassi primaria; il progetto prevede una prima fase conoscitiva; i
vari centri riceveranno una scheda informativa per conoscere le situazioni locali
sullo stato e sulle modalità di esecuzione
del TCD; nella seconda fase si prevede di
organizzare dei corsi pratici per uniformare le procedure tecniche di esecuzione, aderendo alle raccomandazioni internazionali
4. valutazione della perfomance neurocognitiva dei pazienti mediante l’uso di
test validati quali il Wechsler Intelligence
Scale for Children (dai 6 anni e mezzo) e
il Wechsler Preschool and Primary Scale
of Intelligence (dai tre anni e mezzo fino
ai sei anni e mezzo), mettendo a confronto particolarmente i risultati ottenuti dai
centri di Padova e Modena, dove vengono seguiti pazienti immigrati con ovvie
difficoltà linguistiche e culturali e quelli
ottenuti dal centro di Catania che invece
segue prevalentemente pazienti italiani.
Conclusioni. La raccolta di raccomandazioni affronta tutti gli aspetti clinici rilevanti per la gestione di questa malattia;
per alcuni argomenti il dibattito, in sede
plenaria, è stato molto approfondito e ha
sviscerato in maniera esaustiva, alla luce
delle conoscenze attualmente disponibili, anche i punti più controversi. Si è scelto sempre di dare un taglio pratico,
soprattutto tenendo conto delle peculiarità del bambino rispetto all’adulto, dell’organizzazione sanitaria italiana, della
disponibilità commerciale dei farmaci in
Italia etc;. Inoltre si è costituito un gruppo interessato a sviluppare studi su questa malattia; le prime proposte riguardano aspetti prevalentemente epidemiolo-
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AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011
gici ed assistenziali; la presentazione
delle nostra attività ad AIEOP in Lab
vuole essere un richiamo per tutti coloro
che lavorano in laboratorio a collaborare
con noi per approfondire sempre più le
nostre conoscenze sulla SCD.
Bibliografia
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disease in Italia. Haematologica 1998;
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