open access journal pediatric reports eISSN 2036-7503 ı www.pagepress.org/pr Secondo Workshop AIEOP… in Lab Catania, 19-20 maggio 2011 PEDIATRIC REPORTS is an Open Access, peer-reviewed journal which publishes research articles, reviews, and case reports regarding all disorders and diseases in neonates, children and adolescents, as well as related molecular genetics, pathophysiology, and epidemiology. Editor-in-Chief Maurizio Aricò, Florence, Italy Editorial Staff Anne Freckleton, Managing Editor Cristiana Poggi, Production Editor Filippo Lossani, Technical Support All PAGEPress journals are Open Access. PAGEPress articles are freely available online and deposited in a public archive immediately upon publication. You are free to copy, distribute, and reuse PAGEPress content as long as you credit the original author and source. PEDIATRIC REPORTS is published by PAGEPress Publications, a division of MeditGroup and is completely free online at www.pagepress.org. 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E-mail: [email protected] For more information and manuscript submission please go to http:⁄⁄www.pagepress.org/pr Secondo Workshop AIEOP... in Lab Catania, 19-20 maggio 2011 Pediatric Reports 2011 [volume 3] [supplement 1] Pediatric Reports 2011;volume 3:s1 Secondo Workshop AIEOP... in Lab Catania, 19-20 maggio 2011 ESPRESSIONE E FU NZIONE DI RECETTOR I PER I L-1 7A E IL-25 SU CELLUL E NEOPLASTIC HE B DI DERIV AZIONE DAL CENTRO GERMINATIVO E. Ferretti,1 E.Ognio,2 E. Di Carlo,3 C. Tripodo,4 D. Ribatti,5 C. Guarnotta,4 C. Sorrentino,3 M. Ponzoni,6 V. Pistoia1 1Laboratory of Oncology, G. Gaslini Institute, Genova, Italia; 2Animal Model Facility, National Institute for Cancer Research, Genova, Italia; 3Department of Oncology and Neurosciences, "G. d'Annunzio" University and Ce.S.I. Aging Research Center, "G. d'Annunzio" University Foundation, Chieti, Italia; 4Tumor Immunology Unit, Department of Health Science, Human Pathology Section, University of Palermo, Italia; 5Department of Human Anatomy and Histology, University of Bari, Bari, Italia; 6Istituto Scientifico San Raffaele, Unit of Lymphoid Malignancies, Department of Oncology, Milano Italia Introduzione. Il linfoma follicolare (FL), il linfoma diffuso a grandi cellule (DLCL) ed il linfoma di Burkitt (BL) sono neoplasie che originano dalle cellule B dei centri germinativi degli organi linfoidi secondari.1 L’incidenza maggiore di FL e DLCL si registra in individui di età superiore ai 60 anni, ma circa il 10% dei casi colpisce soggetti di età inferiore ai trent’anni, parte dei quali si ammala in età pediatrica.2 FL è una neoplasia che presenta, normalmente, una buona risposta al trattamento con chemioterapici, radio immunoterapia o Rituximab3 senza però raggiungere la guarigione completa. Da ciò deriva la necessità di sviluppare nuovi approcci terapeutici. In questo studio abbiamo analizzato il possibile ruolo nella crescita tumorale di tale linfomi di due citochine facenti parte della stessa famiglia, IL-17A e IL-25 (o IL17-E), e dei loro recettori. Tali citochine, di natura pro-infiammatoria, risultano essere coinvolte in processi di natura autoimmune, in patologie allergiche, in infezione batteriche o fungine, così come in neoplasie con effetti contrastanti pro/contro tumore.4 Per quanto riguarda i recettori, di natura eteromerica, IL- 17RA è in grado di legare sia IL-17A che IL-25, e IL-17RB è specifico per IL-255. Nulla si sa in merito ad espressione e funzione dei recettori di tali citochine in linfomi B del centro germinativo. Obiettivo di questa ricerca è stato investigare: i) l’espressione e la funzione dei recettori di IL-17A e IL-25 su cellule derivate da linee e da pazienti effetti da LF; ii) il ruolo delle due citochine nella crescita tumorale, in vitro e in vivo, e iii) i meccanismi coinvolti in tali fenomeni. Materiali Metodi. L’espressione in superficie della catene principali dei recettori per la IL17-A e per la IL-25 (nello specifico IL-17RA e IL17RB) è stata analizzata in vitro mediante marcatura citofluorimetrica. A tale analisi sono state sottoposte sia linee di linfoma di derivazione dal centro germinativo, quali SUDHL-4, DOHH2, LY8, Raji e RAMOS, sia cellule primarie isolate da pazienti adulti affetti da FL o DLCL (in considerazione della rarità di queste patologie in età pediatrica). Le cellule neoplastiche primarie sono state isolate dai linfonodi infiltrati mediante separazione immunomagnetica per la catena leggera monoclonale delle immunoglobuline. Le cellule neoplastiche sono state incubate per differenti tempi (24-48 e 72 ore) con 20-50 ng/ml di IL-17A o IL-25 ricombinante, e sottoposte a test funzionali in vitro, per valutare l’eventuale effetto delle due citochine su proliferazione e apoptosi. Quest'ultima è stata analizzata coltivando le cellule in un mezzo con ridotto apporto di siero (1%) e sottoponendole poi a marcatura con Annessina V e Ioduro di Propidio e successiva analisi citofluorimetrica. La proliferazione cellulare è stata analizzata mediante incorporazione di timidina dopo 72 ore di coltura. Per lo studio in vivo 5¥106 cellule SUDHL-4 sono state inoculate sottocute in 30 topi NOD/SCID, divisi in tre gruppi: un gruppo è stato trattato sottocute tre volte la settimana con 1µg di IL-17A ricombinante (R&D System), un secondo con 1µg IL-25 ricombinante (R&D System) e un terzo con PBS (controllo) seguendo il medesimo protocollo. Dopo 20 giorni, in presenza di masse sottocute, gli animali sono stati sacrificati e le [Pediatric Reports 2011; 3:s1] masse misurate e recuperate per differenti analisi. In parte le masse sono state conservate in formalina, per consentire successive indagini istologiche ed immunoistochimiche; in parte sono state utilizzate per la preparazione di sospensioni cellulari, su cui è stata analizzata la modulazione di geni coinvolti nell’angiogenesi tramite analisi con PCR array. Risultati. Lo studio si è focalizzato, inizialmente, sull'analisi dell'espressione dei recettori IL-17RA e IL-17RB sulla superficie delle cellule di linee FL e BL. Dati i valori elevati di espressione di entrambi i recettori nelle linee neoplastiche in esame (percentuale media di IL17RA e IL-17RB rispettivamente: SUDHL4: 72 e 48%; DOHH2; 89 e 82%; LY8: 60 e 74%; Raji: 49 e 61%; RAMOS: 30 e 58%) lo studio si è spostato direttamente all'analisi in vivo per valutare eventuali effetti del trattamento con IL17-A o IL-25 sulla crescita tumorale. Dall'inoculo in topi immunocompromessi SCID/NOD di 5x106 cellule della linea SUDHL-4 e successivo trattamento di tali animali con le citochine ricombinanti IL-17A o IL-25 è emerso come vi fosse un differente effetto delle due citochine sulla crescita della massa neoplastica. Nello specifico, la IL17A è in grado di aumentare in modo statisticamente significativo la crescita del tumore (P=0.026); al contrario, la IL-25 inibisce tale crescita (P=0.04). Le masse espiantate sono state analizzate anche da un punto di vista molecolare e immunoistochimico per valutare i possibili meccanismi responsabili del differente effetto delle due citochine. Da tale analisi è emerso un importante coinvolgimento dell'angiogenesi, che, come dimostrato sia dalle colorazioni su tessuto, che dall'analisi dei geni coinvolti nel meccanismo angiogenico, risulta essere potenziata negli animali trattati con la IL-17A e diminuita in quelli trattati con la IL-25. Nell'ultima parte dello studio, ci siamo concentrati sull'analisi di linfociti B neoplastici isolati da pazienti affetti da linfoma follicolare. Tali cellule presentavano un'elevata espressione di superficie dei recettori IL-17RA e IL-17RB, in modo del tutto analogo a quanto evidenziato nelle linee (percentuale media di IL-17RA e IL- [page 1] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 17RB rispettivamente: 52% e 57%). Successivamente è stata analizzata anche la funzionalità di entrambe le citochine sulle cellule neoplastiche primarie con studi in vitro su possibili effetti proliferazione e apoptosi a differenti tempi di trattamento. IL-17A si è dimostrata in grado di potenziare in modo significativo la proliferazione delle cellule neoplastiche a 72 ore (P=0.013); viceversa IL-25 la diminuiva ai medesimi tempi (P=0.01). Nessuna delle due citochine ha, invece, effetti sull'apoptosi di tali cellule a nessun tempo, come evidenziato tramite marcatura citofluorimetrica per annessina V e ioduro di propidio. Conclusioni. Con questo studio si è affrontata per la prima volta l’analisi dell’espressione e della funzione di recettori per IL-17A e IL-25 su linfociti B neoplastici di linfomi con origine dal centro germinativo. Da ciò è emerso un effetto protumore della IL-17A, sostenuto da un aumento di angiogenesi e proliferazione delle cellule tumorali, e un effetto antitumore della IL-25, capace di inibire significativamente sia la crescita neoplastica in vivo, che angiogenesi e proliferazione. Sono in corso indagini per valutare i meccanismi coinvolti in tali differenti effetti delle due citochine e per valutare la trasduzione del segnale indotta da entrambe sulle cellule neoplastiche in esame. Bibliografia 1. A clinical evaluation of the International Lymphoma Study Group classification of non-Hodgkin's lymphoma. The NonHodgkin's Lymphoma Classification Project. Blood. 1997;89:3909-3918. 2. Sandlund JT, Downing JR, Crist WM. Non-Hodgkin's lymphoma in childhood. N Engl J Med. 1996;334:1238-1248. 3. Cheson BD. Targeted treatment and new agents in follicular lymphoma. Int J Hematol;92:5-11. 4. Murugaiyan G, Saha B. Protumor vs antitumor functions of IL-17. J Immunol. 2009;183:4169-4175. 5. Gaffen SL. Structure and signalling in the IL-17 receptor family. Nat Rev Immunol. 2009;9:556-567. LA ME TILAZI ONE DEL MIR-34B CO NTROLLA I LIVELLI DI CREB E CARATTE RI ZZA L’EVOLUZIO NE DEL LE MDS IN LMA M. Pigazzi, E. Manara, A. Beghin, C. Tregnago, S. Gelain, E. Giarin, S. Bresolin, R. Masetti, G. Basso 1Dipartimento di Pediatria “Salus Pueri” Clinica di Oncoematologia Pediatrica, SSD Ematologia: Clinica Sperimentale, Università di Padova, Padova, Italia; 2Diparti mento di Pediatria “Lella Seragnoli” Unità di Oncologia-ematologia, Università di Bologna, Bologna, Italia [page 2] Introduzione. Il fattore di trascrizione CREB (cAMP response element binding protein) è stato dimostrato essere sovraespresso nel 66% dei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta (LMA). In vitro, CREB è capace di promuovere la proliferazione cellulare, la progressione del ciclo cellulare, e la capacità di formare colonie. Inoltre, topi transgenici per CREB hanno sviluppato una malattia mieloproliferativa dopo un anno, mostrando anomalie severe a carico della linea mieloide. CREB è stato precedentemente dimostrato essere un bersaglio diretto del miR-34b, e una bassa espressione di miR-34b caratterizza linee cellulari di leucemia mieloide con elevata espressione di CREB. La causa dei ridotti livelli di Mir-34b in queste linee derivava da una ipermetilazione del suo promotore. In questo studio il ruolo del Mir34b e CREB è stato valutato in vivo. Metodi. L’espressione di miR-34b è stata monitorata via Real Quantitative-PCR in un'ampia coorte di 113 pazienti affetti da LMA de novo, e in 49 pazienti con diagnosi di sindrome mielodisplastica o malattia mieloproliferativa (MDS/JMML). Per tutti i pazienti è stata inoltre eseguita la Methylation specific PCR su DNA dopo trattamento con sodio bisolfito. 4 pazienti affetti da MDS evoluti in LMA inoltre sono stati analizzati mediate GeneChip Human Genome U133 Plus 2.0 microarray (Affymetrix). Topi NOD-SCID IL2receptor gamma null (NSG) sono stati trapiantati con linee cellulari leucemiche (HL60 e K562) stabilmente esprimenti il Mir-34b. Il trapianto è stato eseguito su fianco con matrigel e via vena caudale monitorando il tumore via bioluminescenza. Risultati. L’espressione del miR-34b nei pazienti LMA alla diagnosi è significativamente minore (RQ=0,176) rispetto alla popolazione sortata CD19–CD3– di un pool di midolli sani (RQ=1) confermando il trend precedentemente osservato nelle linee cellulari leucemiche. I pazienti MDS/JMML invece presentano livelli di miR-34b più alti (RQ=5.5) rispetto ai pazienti LAM alla diagnosi (RQ=1). L’analisi della metilazione del promotore del miR-34b rivela che il 65,5% (74/113) dei pazienti con LMA presenta il promotore metilato, ai quali si associano i livelli più bassi di miR-34b (RQ=0,075, rispettto ai pazienti non metilati RQ=0,373, P<0.01) e più alti di proteina CREB. Viceversa, tutti i pazienti MDS/JMML e i midolli sani di controllo non hanno mai mostrato avere metilazione del promotore di miR-34b. Inoltre, l'espressione della proteina CREB non è rilevabile in western blot. Questi risultati indicano che la metilazione della regione promotoriale miR-34b/c è un fenomeno LMAspecifico e che direttamente correla e [Pediatric Reports 2011; 3:s1] controlla i livelli proteici di CREB. Per studiare il ruolo della metilazione del miR-34b nella leucemogenesi, il DNA di 3 pazienti affetti da MDS poi evoluti in LMA è stato considerato. I risultati mostrano che il promotore del miR-34b acquisiva la metilazione al momento delll'insorgenza di LMA, così come i livelli di espressione di miR-34b diminuivano progressivamente (RQmedia-MDS = 0.41 vs RQmediaLMA = 0,26). Per comprendere se la metilazione del miR-34b provoca l’attivazione trascrizionale di CREB, il profilo di espressione genica delle MDS e delle corrispondenti LMA è stato valutato. L’analisi supervisionata ha identificato 11 geni CREB-targets espressi in modo differenziale (PRKACB, FDX1, NRXN2, PROSC, ADAM10, RAB7L1, NPR3, ITM2C, LATS2, CDK6 e HOXA7, P<0.001) tra la fase di MDS e la sua evoluzione in LMA. Inoltre, l’analisi non supervisionata utilizzando questi 11 geni ha suddiviso i pazienti in due cluster distinti, rivelando che l'iperespressione di CREB e dei suoi geni targets caratterizza la progressione della MDS a LMA. Il modello in vivo ha dimostrato che l’attecchimento e la progressione delle linee leucemiche erano ridotte dall’espressione di miR-34b, confermando il miR-34b come soppressore nella LMA. Conclusione. Infine, l’ipermetilazione del promotore del miR-34b è l’hit che mantiene bassi i livelli di espressione del miR-34b alterando così l'attivazione di CREB e dei suoi targets nella LMA. Questo evento si dimostra critico per l'evoluzione delle MDS in LMA. IL PICCO DI CD34+ NEL SANGUE PERIFERICO DURANTE LA MOBILIZZAZIONE È UN FORTE E INDIPIDENTE FATTORE PROGNOSTICO PER LA DFS NELLA LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA IN 1a RC E POTREBBE ESSERE USATO PER LA SCELTA DEL TRATTAMENTO POSTREMISSIONALE NEI PAZIENTI A RISCHIO INTERMEDIO G. Avola, M. Poidomani, S. Leotta, A. Spadaro, S. Mercurio, M.G. Camuglia, MA. Romeo, R. Lombardo, E. Cotzia, D. Donnarumma, G. Uccello, G. Milone Unità Trapianto di Midollo Osseo, Ospedale Ferrarotto, Azienda Ospedaliera Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania, Italia Introduzione. Nei pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta (LMA) in prima remissione completa, una singola raccolta aferetica con una conta di CD34+ superiore a 7¥106/kg o un alto numero di cellule CD34 infuse, dopo autotrapianto, sono risultati predittivi per un alto rischio di ricaduta indipendentemente dalla classe di rischio citogenetica. Non è AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 noto se la misurazione del picco delle cellule CD34 nel sangue periferico durante la mobilizzazione, possa avere una maggiore capacità predittiva rispetto a queste due variabili, né se il valore prognostico di un alto picco di CD34 alla mobilizzazione sia indipendente da altri fattori prognostici o se sia evidente anche in pazienti sottoposti a trapianto allogenico. Metodi. In 96 pazienti adulti affetti da LMA in prima remissione completa (RC) dopo chemioterapia di induzione è stato valutato il picco di cellule CD34+ nel sangue periferico raggiunto durante la mobilizzazione e raccolta. In tutti i casi la mobilizzazione delle cellule staminali nel sangue periferico era indotta tramite GCSF dopo al primo ciclo chemioterapico di consolidamento. È stata determinata la distribuzione del picco delle cellule CD34+ e i pazienti sono stati raggruppati sulla base del 50° e 75° percentile: Gruppo A, i pazienti aventi un picco di CD34+ ≤70¥109/L (n.48); Gruppo B i pazienti aventi un picco CD34+ compreso tra 70 e 183¥109/L (n.24); Gruppo C: i pazienti aventi un picco CD34+ >183¥109/L (n.24). La caratterizzazione leucemica alla diagnosi comprendeva l’analisi citogenetica e in 50 casi lo studio dell’FLT3-ITD. 41 pazienti hanno effettuato un allotrapianto in 1a RC, 40 pazienti un autotrapianto in 1a RC mentre 15 pazienti o sono ricaduti prima di essere trapiantati o trapiantati non in 1a RC per varie cause. Sono stati valutati anche gli effetti prognostici del numero delle cellule CD34+ raccolte (n.70) e il numero delle cellule CD34+ infuse negli autotrapiantati con cellule staminali raccolte da sangue periferico (PBSC) (n.20). Risultati. Indipendentemente dal trattamento post remissionale ricevuto, il Gruppo A ha mostrato una sopravvivenza libera dalla malattia (DFS) del 73%, il Gruppo B una DFS del 51% e il Gruppo C del 30% (P=0.0003). Nel gruppo dei pazienti a citogenetica intermedia, quelli che hanno effettuato un trapianto autologo hanno mostrato una DFS nel gruppo A, B e C, rispettivamente, del 68%, 33% e 14% (P=0.01) mentre dopo trapianto allogenico la DFS è stata 87% nel Gruppo A+B contro 50% nel gruppo C (P=0.009). Nel gruppo a citogenetica intermedia i pazienti “supermobilizzatori” , così definiti quelli mostranti un picco di cellule CD34+ > a 183¥109/L , hanno mostrato un alto tasso di ricaduta precoce, verificatasi entro i primi 6 mesi mentre erano in attesa del trapianto, infatti il tasso di ricaduta precoce era del 15% nel gruppo dei “supermobilizzatori” contro il 2% nel gruppo di tutti gli altri pazienti, (P=0.04). Tutti e tre i fattori CD34 dipendenti, “picco di CD34+ nel sangue periferico”, “cellule CD34+ raccolte” e “numero di cellule CD34+ infuse” , mostrano un valore prognostico per la DFS. Allo scopo di identificare tra le variabili CD34 dipendenti quale sia quella più importante in relazione alla DFS, abbiamo valutato simultaneamente i fattori CD34 dipendenti in analisi multivariata stepwise secondo il proportional hazard model di Cox. Solo il “picco di CD34+ nel sangue periferico”, studiato come variabile continua, è emerso come significativo per la DFS (P=0.004, RR=1.001) mentre il numero delle “cellule CD34+ raccolte” e il numero delle “cellule CD34+ infuse” non sono risultati significativi nel modello di Cox. Altri fattori non legati alla mobilizzazione delle cellule CD34+, che sono risultati importanti per la DFS in analisi univariate, sono stati: età (P=0.10), rischio citogenetico sfavorevole (P=0.01), classificazione FAB M4-M5 (P=0.03) e mutazione FLT3-ITD (P=0.08). Quando tutti i fattori, CD34 dipendenti e CD34 ındipendenti, sono stati considerati in analisi multivariata di rischio proporzionale di Cox, il picco delle cellule CD34+ nel sangue periferico, considerato come variabile continua, è risultato l’unico fattore ımportante per la DFS (P=0.0009, RR=1.001). Il valore predittivo del picco CD34 raggiunto durante la mobilizzazione è rimasto evidente anche quando sono stati selezionati solo i pazienti aventi alla diagnosi un fenotipo delle cellule leucemiche CD34 negativo. Conclusioni. Il picco delle cellule CD34+ raggiunto dopo il 1° ciclo di consolidamento è un potente e affidabile fattore prognostico nei pazienti LMA. Pazienti “CD34 supermobilizzatori” mostranti rischio citogenetico intermedio potrebbero meritare uno specifico approccio post-remissionale comprendente un immediato trapianto allogenico, condizionamento intensificato, e un rapido tapering dell’immunosoppressione dopo il trapianto. Al contrario, pazienti a rischio citogenetico intermedio mostranti una cattiva capacità mobilizzante potrebbero avere una buona prognosi dopo trapianto autologo con cellule staminali periferiche o midollari. Il valore prognostico dell’entità del picco CD34 è stato validato in ulteriori studi e comparato ad altri fattori prognostici noti come WT1, livelli di LAIP e marker molecolari di aggressività presenti all’esordio. Le basi biologiche per queste osservazioni potrebbero riguardare la variabilità dell’effetto chemio-protettivo delle cellule del microambiente sulle cellule ematopoietiche non leucemiche residue e ipotizziamo che questo effetto variabile potrebbe essere modulato dai livelli di cellule leucemiche MRD presenti in RC. Infine, mancano dati, nei pazienti pedia- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] trici affetti da LAM, sul valore prognostico del picco CD34 raggiunto durante la mobilizzazione. Bibliografia Milone G, Poidomani M, Leotta S, Avola G, Camuglia MG, Privitera A, Consoli C, Mercurio S, Romeo MA, Di Marco A, Di Mercurio S, Spadaro A, Palumbo GA, Tedeschi P. Prognostic value of CD34+ peak in peripheral blood during mobilization in intermediate-risk AML patients treated in first CR by autologous or allogeneic transplantation. Bone Marrow Transplant. 2011 Mar 14. [Epub ahead of print] Keating S, Suciu S, De Witte T et al. The stem cell mobilizing capacity of patients with acute myeloid leukemia in complete remission correlates with relapse risk: results of the EORTC-GIMEMA AML-10 trial. Leukemia 2003; 17: 60-67. Feller N, Schuurhuis GJ, Van der Pol MA et al. High percentage of CD34-positive cells in autologous AML peripheral blood stem cell products reflects inadequate in vivo purging and low chemotherapeutic toxicity in a subgroup of patients with poor clinical outcome. Leukemia 2003; 17: 68-75. Lee J, Lee MH, Park KW, Kang JH, IM DH, Kim K et al. Influential factors for the collection of peripheral blood stem cells and engraftment in acute myeloid leukemia patients in first complete remission. Int J Hematol 2005; 81: 258-263. Ragusa M, Avola G, Angelica R, Barbagallo D, Guglielmino MR, Duro L et al. Expression profile and specific network features of the apoptotic machinery explain relapse of acute myeloid leukemia after chemotherapy. BMC Cancer 2010; 10: 377-390. RICERCA DELLE BASI GE NETICH E DEL NEUROBLAS TOMA M. Capasso, G. Petrosino, F. Totaro, A. Iolascon Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università di Napoli “Federico II” CEINGE Biotecnologie Avanzate, Italia Introduzione. Allo scopo di determinare l’eziologia genetica del 99% dei casi di neuroblastoma sporadico, un’importante malattia pediatrica che rappresenta circa il 15% della mortalità attribuibile ai tumori infantili, stiamo eseguendo uno studio di genomica su larga scala detto Genome-Wide Association Study (GWAS) che prevede l’analisi di circa 550 mila single nucleotide polymorphisms (SNPs) su una popolazione di circa 5000 pazienti con neuroblastoma e 10000 controlli sani. Ipotizziamo che il neuroblastoma è una malattia genetica complessa e che la suscettibilità ad ammalarsi è legata all’interazione di variazioni genetiche comuni che influenzano pathway critici per il normale sviluppo del sistema nervoso [page 3] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 simpatico. Abbiamo già ottenuto importanti risultati in un lasso di tempo relativamente breve; infatti, in un paio di anni abbiamo identificato diversi locus genetici nei cromosomi: 6p22 contenente i geni predetti FLJ22536 and FLJ44180 (Maris et al., N Engl J Med. 2008), 2q35 contenente il gene BARD1 (Capasso et al., Nat Genet. 2009) e 11p15.4 contenente il gene LMO1 (Wang et al., Nature 2010) che erano altamente associati con lo sviluppo del neuroblastoma e le sue forme più aggressive e ognuna di queste associazioni è stata poi replicata in altre popolazioni di diversa origine. In questo periodo stiamo applicando, ai dati di GWAS, specifici metodi statistici per individuare ulteriori siti genici associati a questa devastante malattia e ai suoi sottotipi clinici. Inoltre, sulla base dei risultati ottenuti, stiamo ora affrontando altri due importantissimi aspetti relativi alla genetica del neuroblastoma. Da una parte stiamo provando ad individuare, utilizzando i dati GWAS, quelle interazioni gene-gene che predispongono allo sviluppo del neuroblastoma e dall’altra parte stiamo cercando di identificare, mediante sequenziamento di seconda generazione, mutazioni somatiche e varianti germinali che occorrono nella famiglia dei geni delle tirosin-chinasi che sono geni estremamente rilevanti nello sviluppo del cancro e importanti target terapeutici. Materiali e Metodi. GWAS del neuroblastoma. Questa parte del progetto è svolta in collaborazione con un gruppo americano al The Children’s Hospital of Philadelphia (USA). Campioni di DNA costituzionale di circa 2000 casi e 3000 controlli di origine caucasica e residenti in USA sono stati già genotipizzati per 550 mila SNPs, sparsi su tutto il genoma e che comprendono più del 90% della variabilità genetica, mediante gli arrays Illumina 550k. Per identificare varianti genetiche associate al neuroblastoma stiamo eseguendo le analisi utilizzando il software PLINK che contiene diverse metodi statistici specifici per gli studi GWAS. Interazioni genegene. Per individuare le interazioni genegene che sottostanno allo sviluppo del neuroblastoma stiamo utilizzando un approccio metodologico basato su analisi in silico e in vivo. Mediante l’uso di 4 database pubblici (STRING, NCBI, MINT, UniHi) abbiamo svolto analisi bioinformatiche e abbiamo selezionato 83 proteine che risultano interagire con la proteina BARD1. Mediante l’uso dei dati GWAS (1627 casi e 2572 controlli) e specifiche analisi basate su test parametrici (regressione logistica) e non parametrici (Multifactor Dimensionality Reduction, MDR) stiamo verificando se esistono interazioni statistiche, tra gli SNPs nel gene BARD1 e quelli localizzati nei geni [page 4] codificanti per le 83 proteine selezionate, che predispongono all’insorgenza del neuroblastoma. Le interazioni statistiche più significative saranno poi replicate in una popolazione italiana di circa 300 casi di neuroblastoma e 700 soggetti sani. Sequenziamento massiccio (high-throughput sequencing) dei geni codificanti le tirosin-chinasi. Per identificare le mutazioni somatiche causative dell’inizio della tumorigenesi stiamo sequenziando i domini chinasici di 90 geni appartenenti alla famiglia delle tirosin-chinasi in DNA somatici e i corrispettivi DNA germinali estratti da 100 pazienti affetti da neuroblastoma. Per identificare, invece, le varianti genetiche predisponenti saranno sequenziati gli stessi geni in 20 DNA germinali estratti da soggetti sani. Per effettuare il sequenziamento massiccio stiamo utilizzando la piattaforma 454 GS FLX Titanium della Roche presente nel nostro Istituto CEINGE. Le mutazioni più frequenti e quelle predette essere causative saranno sottoposte a studi funzionali in vitro per verificare il loro reale coinvolgimento nella tumorigenesi. Risultati e Conclusioni. GWAS del neuroblastoma. Abbiamo analizzato un sottogruppo di 574 casi a basso rischio e 1722 controlli di origine statunitense. L’analisi mostrava che i geni DUSP12, DDX4, IL31RA, HSD17B12 erano associati al neuroblastoma clinicamente categorizzato come low-risk. I segnali di associazione nei geni DUSP12 e HSD17B12 erano confermati in una popolazione italiana di 115 casi low-risk e 680 soggetti sani. Tutti i segnali di associazione avevano un pvalue <3.15¥10–6 nella popolazione americana e un p-value <0.05 in quella italiana. Questo studio dimostra che DUSP12, DDX4, IL31RA, and HSD17B12 sono geni di suscettibilità per l’insorgenza del neuroblastoma con particolare rilevanza per quelli a basso rischio e supporta l’idea che variazioni genetiche comuni nel genoma umano possono predisporre non solo ad una particolare malattia ma anche a sottogruppi della malattia clinicamente rilevanti, dimostrando, quindi, l’importanza dell’utilizzo dei dati fenotipici negli studi GWAS. Interazioni genegene. Le analisi di interazioni statistiche sono state effettuate sui dati GWAS di 1627 casi e 2572 controlli tra 23 SNPs di BARD1 e 657 SNPs dei 83 geni bioinformaticamente selezionati. Le interazioni dei geni UBE2D3 e PTN con BARD1 risultavano essere le più significative. UBE2D3 (ubiquitin-conjugating enzyme E2D 3) è un’enzima coinvolto nel processo di ubiquitinazione insieme al complesso BRCA1/BARD1; infatti, è riportato essere facente parte del pathway "BARD1 signaling events" (Pathway Interaction Database). PTN (pleiotrophin) è indicato come fattore neurotrofi- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] co ed è stato ampiamente dimostrato che la sua elevata espressione genica è fortemente associata ai neuroblastomi con prognosi favorevole. Questo studio ha una rilevante importanza nel capire come le interazioni proteiche possono avere un ruolo nelle malattie genetiche complesse e in particolare nei tumori. Sequenziamento massiccio (high-throughput sequencing) dei geni codificanti le tirosin-chinasi. Stiamo allestendo gli esperimenti di sequenziamento e selezionando bioinformaticamente tutte le regioni genomiche codificanti per i domini chinasici dei 90 geni che dovranno essere poi sottoposti a sequenziamento massiccio in DNA estratti dal tessuto tumorale e sangue periferico di 100 pazienti affetti da neuroblastoma e in DNA costituzionali di 20 controlli sani. Supponiamo di ottenere i primi risultati nel mese di giugno 2011. I risultati di questo studio potranno condurre ad una migliore comprensione degli eventi genomici e genetici che sono coinvolti nello sviluppo del neuroblastoma e a caratterizzare i suoi fenotipi complessi. Dato che le tirosin-chinasi sono considerate potenziali target farmacologici, i risultati di questo progetto potrebbero avere un’enorme rilevanza per la salute dei bambini e portare allo sviluppo di terapie personalizzate. In conclusione, è ragionevole credere che, sulla base dei risultati ottenuti, questi studi forniranno una significativa conoscenza sulle mutazioni somatiche e variazioni comuni del DNA che causano questo importante cancro infantile. Tutto ciò avrà rilevanti implicazioni nella scoperta di meccanismi molecolari che sono alla base del neuroblastoma e nello sviluppo di terapie più efficaci. Ringraziamenti. Si ringrazia Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), Associazione Oncologia Pediatrica e Neuroblastoma (OPEN) e Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma per il loro supporto finanziario che ci permette di portare avanti la nostra ricerca. TP 53 E MISMATCH REPAIR P ROCE SS NEI TUMORI CE REBRALI PEDIATRICI DI ORIGI NE GLIALE S. Mascelli,1 A. Raso1, P. Nozza,2 K. Sak,3 M. Tamme,3 S. Pignatelli,4 C. Milanaccio,4 M. Ravegnani,1 A. Consales,1 G. Piattelli,1 M. Pavanello,1 A. Cama,1 V. Capra,1 M.L. Garrè4 1U.O. Neurochirurgia, Istituto Giannina Gaslini, 2U.O. Anatomia Patologica, Istituto Giannina Gaslini, 3 Asper Biotech Company,Tartu - Estonia, 4 U.O. NeuroOncologia, Istituto G. Gaslini, Genova, Italia Introduzione. Le neoplasie cerebrali di AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 origine gliale hanno la più alta incidenza tra i tumori intracranici pediatrici1 e comprendono una vasta gamma che va da forme più benigne ad altre con un comportamento aggressivo e maligno, distinte in quattro gradi di malignità secondo la tradizionale classificazione internazionale WHO.2 Lo studio delle caratteristiche molecolari di queste neoplasie ha portato all’individuazione di diversi pathways, coivolti sia nei processi di tumorigenesi che nell’evoluzione prognostica dei gliomi ed ha fornito importanti indicazioni per individuare strategie terapeutiche innovative. Tra le anomalie genetiche riscontrate, la frequenza di mutazione nel gene TP53 e nei geni coinvolti nel mismatch repair process (MMR), quali hMLH1, hMSH2, hMSH6, e hPMS2,3 rimane tutt’ora dibattuta. Sulla base di questa premessa, abbiamo eseguito un’analisi mutazionale di tali geni su 75 tumori gliali (WHO I-IV) collezionati esclusivamente presso l’Istituto Giannina Gaslini (IGG) di Genova. I casi sono stati altresì indagati per il comune polimorfismo g.215G>C in,4 sembra essere correlato ad una maggiore suscettibilità tumorale. Materiali Metodi. Abbiamo analizzato 75 campioni di DNA tumorale isolato da tessuto fresco crio-conservato presso la Bio-Banca dell’Istituto. L’analisi mutazionale dei geni candidati è stata effettuata utilizzando un chip di sequenziamento e d’analisi di polimorfismi sviluppato da Asper Biotech Ltd, Tartu, Estonia. La tecnologia utilizzata è quella del tipo arrayed primer extension (APEX).5 Risultati. Sette diverse mutazioni somatiche sono state individuate (g.337T>C; 390_392delCAA; g.524G>A; g.536 A>T; g.704A>G; g.734G>T; g.818G>A) due delle quali (g.337T>C; 390_392delCAA) mai segnalate precedentemente nei tumori cerebrali pediatrici. Le mutazioni sono presenti nel 10% dei tumori: tre negli astrocitomi pilocitici (PA), una in un astrocitoma anaplastico (AA), due nei glioblastomi (GBL) ed una in un oligoastrocitoma anaplastico (OAA). Un caso particolare di GBL presenta due alterazioni distinte che interessano rispettivamente gli esoni 5 (g.734G>T) e 7 (390_392delCAA). Nessuna mutazione è emersa negli astrocitomi fibrillare (FA) e nei casi di ganglioglioma desmoplastico infantile (DIG) analizzati. Una delle due nuove mutazioni (g.337T>C), presente in due PA, provoca la sostituzione di un residuo altamente conservato di fenilalanina con una leucina. Tale alterazione è stata unicamente segnalata come mutazione somatica in tumori della cute e della vescica e non è mai stata rinvenuta come mutazione germinale. La seconda nuova mutazione (390_392delCAA), pre- sente in un GBL, non è mai stata segnalata in letteratura. In sintesi, sei su sette alterazioni genetiche individuate sono considerate deleterie per il corretto funzionamento della proteina p53 (TP53 database IARC; http: www-p53.iarc.fr), fatta eccezione per la sostituzione g.704A>G considerata neutra. Inoltre, le frequenze genotipiche del polimorfismo g.215G>C nei tumori risultano distribuite in base all'equilibrio di Hardy-Weinberg e sono statisticamente differenti (P<0,5) da quelle degli individui di controllo CEU (http: www.hapmap.org). Infine, l’analisi mutazionale dei geni hMLH1, hMSH2, hMSH6, e hPMS2 ha permesso d’identificare esclusivamente una singola mutazione nel gene hMLH1 presente in eterozigoti in un caso di AA. Si tratta di una delezione di 3 nucleotidi che determina la perdita dell’aminoacido lisina (K) in posizione 618. Conclusioni. In questo studio abbiamo identificato due nuove mutazioni in TP53: 1) g.337T>C, presente in due PA e 2) 390_392delCAA trovato in un GBL. Questi dati espandono lo spettro di mutazione in TP53 ed arricchiscono la nostra conoscenza delle relazioni genotipo-fenotipo, dovuta a mutazioni TP53, nei gliomi cerebrali. In conclusione, i nostri risultati sono complementari ed espandono i precedenti studi sui glomi suggerendo un possibile ruolo patogenetico di TP53 nell’alterazione genica e nell’instabilità del genoma. L’anomala distribuzione delle frequenze genotipiche di g.215G>C nei tumori rispetto alla popolazione di controllo CEU lascia supporre una possibile associazione tra tale polimorfismo ed un aumento di suscettibilità ai tumori cerebrali ma, ci riserviamo di ripetere l’analisi su una più ampia casistica. Inoltre, la scarsità di mutazioni in hMLH1 suggerisce che alterazioni del MMR potrebbero essere coinvolte indirettamente ed in associazione con altre anomalie genetiche nella regolazione della patogenesi dei gliomi. Bibliografia 1. Kaatsch P,et al. Epidemiology of childhood cancer. Cancer Treat Rev. (2010) 36(4):277-85. 2. D.N.Louis, et al. WHO Classification of tumours of the central nervous system, IARC, Lyon, 2007. 3. Pollack IF, et al Children's Oncology Group. Mismatch repair deficiency is an uncommon mechanism of alkylator resistance in pediatric malignant gliomas: a report from the Children's Oncology Group. Pediatr Blood Cancer. (2010);55(6):1066-71. 4. Parhar P, et al. Possible association of p53 codon 72 polymorphism with susceptibility to adult and pediatric highgrade astrocytomas. Brain Res Mol Brain Res. (2005);137(1-2):98-103. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] 5. Kurg, A, et al. Arrayed primer extension: solid-phase four color DNA resequencing and mutation detection technology. Genet. Test. (2000);4:1-7. CORRELAZIO NE TRA CARATTERIS TI CHE CLINICO -P ATO LOGICHE ED ES PRESS IO NE GENICA NEI TUMORI P EDIATRICI DI ORIGINE GLIALE S. Mascelli,1 A. Raso,1 P. Nozza,2 R. Biassoni,3 A. Rossi,4 V. Capra,5 A. Cama,5 M.L. Garrè,6 A. Verri7 1U.O. Neurochirurgia, Istituto G. Gaslini, Genova; U.O. Anatomia Patologica, Istituto G. Gaslini, Genova; 3U. di Medicina Molecolare, Istituto G. Gaslini, Genova; 4U. di Neuroradiologia, Istituto G. Gaslini, Genova; 5U.O. Neurochirurgia, Istituto G. Gaslini, Genova; 6U.O. Neuro-Oncologia, Istituto G. Gaslini, Genova;7DISI, Università di Genova, Italia Introduzione. I tumori primari del SNC costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie rappresentanti la più comune tipologia di tumore solido dell’infanzia con un’incidenza di circa 7/100,000 casi all’anno.1 Le neoplasie di origine gliale hanno la più alta incidenza tra i tumori intracranici e comprendono una vasta gamma che va da forme più benigne ad altre con un comportamento aggressivo e maligno, distinte in quattro gradi di malignità secondo la classificazione internazionale WHO.2 Alla principale caratterizzazione su base istologica, se ne aggiungono altre in base alla localizzazione del tumore (infratentoriale, sopratentoriale, del tronco, del nervo ottico e spinale) al potenziale di crescita e di invasività, alla tendenza alla progressione e al decorso clinico. L'età alla diagnosi e l’associazione con sindromi su base ereditaria costituiscono, altresì, importanti fattori che influenzano sia la strategia di trattamento che la prognosi. Infatti, i bambini sotto l’anno di età mostrano, per ragioni ancora controverse, una prevalenza di tumori più aggressivi a prognosi infausta.3 Inoltre, numerose neoplasie congenite sono associate ad anomalie genetiche e si inseriscono in un quadro sindromico familiare associato ad un aumento del rischio di insorgenza di tumore. Nonostante la grande quantità di studi molecolari, volti ad acquisire conoscenze sulla patogenesi dei gliomi, abbiano riportato l'esistenza di markers molecolari legati sia al sito di lesione intracranica che all’eterogeneità istotipica del tumore,4,5 rimane ancora da analizzare in dettaglio la correlazione genotipo-fenotipo. Pertanto, rispetto ad altri tipi di tumori cerebrali pediatrici, le informazioni sulle anomalie genetiche associate sia alla formazione che alla progressione delle neoplasie gliali sono [page 5] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 ancora insufficienti. Scopo della presente ricerca sarà quello di studiare 80 casi di tumori gliali comprensivi di diverse istologie, collezionati presso l’ospedale pediatrico Giannina Gaslini dal 1990 ad oggi, utilizzando un approccio multidisciplinare (neuroradiologico, neurochirurgico, neuropatologico, neurooncologico e genetico-molocolare). In particolare, saranno utilizzate tecniche di indagine molecolare per realizzare una correlazione genotipo-fenotipo. Grazie a questo approccio, ci proponiamo d’identificare specifici profili d’espressione genica relativi ai processi di insorgenza e progressione dei glomi nei bambini e di correlare tali alterazioni con l'istologia, l'imaging, la presentazione clinica e la risposta ai trattamenti terapeutici. Materiali Metodi. La tecnologia del RNAmicroarray ad alta densità costituirà il metodo di riferimento, grazie al quale i profili trascrizionali delle diverse istologie tumorali potranno essere paragonati. Le procedure standardizzate, già utilizzate per ottenere i risultati preliminari, saranno applicate sugli 80 casi. I dati d’espressione provenienti dagli arrays saranno, successivamente, confermati e convalidati tramite qPCR. La lista di geni candidati che ne deriverà, sarà poi sottoposta ad analisi epigenetica tramite Pyrosequencing ed i risultati saranno confermati sia sulla casistica tumorale che su controlli sani tramite sequenziamento diretto. Inoltre, in considerazione delle recenti evidenze in materia di regolazione d’espressione di geni/proteine, valuteremo l'espressione di miRNA utilizzando la tecnologia dei microarray. Risultati preliminari. Abbiamo eseguito un’analisi d’espressione genica su 60 casi di gliomi pediatrici utilizzando la tecnologia del microarray. I dati preliminari mostrano un sottoinsieme distintivo di profili d’espressione tra i gliomi a basso grado (LGG) che, potrebbero rappresentare possibili marcatori genetici per queste entità. Inoltre, abbiamo rilevato un diverso profilo d’espressione tra gli Astrocitomi Pilocitici (PA), l’istotipo più frequente tra i LGG, particolarmente legato alla sede d’insorgenza. Le alterazioni molecolari riscontrate riguardano geni associati ai meccanismi di comunicazione cellulare, d’adesione focale e geni coinvolti nei processi morfogenetici e di differenziazione dei diversi distretti cerebrali. (articolo in pubblicazione). Dai nostri risultati preliminari emergono differenti profili molecolari tra i LGG, in relazione all’istologia, alla sede di lesione e al decorso clinico: pertanto, sembra possibile poter realizzare una classificazione dei diversi casi anche in funzione di queste caratteristiche. Tuttavia, la rilevanza clinica di tale stratificazione molecolare non è ancora del tutto nota, [page 6] in particolar modo per quei casi (circa il 10%) che esulano dal comune decorso benigno e tendono a recidivare e/o disseminare.1 Di conseguenza, ulteriori studi di genetica molecolare sulle neoplasie gliali ed un confronto tra diversi istotipi sono necessari al fine di definire le caratteristiche biologiche di tali tumori per realizzare una più fine classificazione istologica, volta a migliorare gli strumenti diagnostici e a poter predire il decorso clinico della neoplasia. Conclusioni. La presente proposta mira a rappresentare un ampio progetto di ricerca sulla casistica pediatrica di gliomi, seguiti all'ospedale G. Gaslini dal 1990 ad oggi, avvalendosi di un approccio multimodale e multidisciplinare che va dalla diagnosi alla chirurgia, alle terapie oncologiche. I principali obiettivi di tale studio consistono in: 1) estendere l'analisi d’espressione genica a 80 gliomi considerando i diversi siti di lesione cerebrale, con particolare attenzione a quei casi che mostrano una tendenza a diffondere e/o a recidivare; 2) identificare le caratteristiche genetiche responsabili dei processi patogenetici nei glomi e correlarle con le variabili cliniche, quali: l’età d’esordio della malattia (identificare un cut-off), il sito di lesione, decorso clinico e trattamenti terapeutici utilizzati; 3) eseguire un’accurata analisi immunoistochimica al fine d’identificare nuovi potenziali marcatori delle cellule gliali; 4) analizzare i casi associati a sindromi genetiche (sclerosi tuberosa, neurofibromatosi 1, sindrome di Turcot e sindrome di Li-Fraumeni); 5) confrontare i diversi istotipi tumorali (ganglioglioma e/o ependimoma) al fine di valutare se i tumori gliali condividono un’intrinseca, specifica firma molecolare riflettente altresì il sito cerebrale ove la lesione ha avuto origine. Bibliografia 1. Kaatsch P,et al. Epidemiology of childhood cancer. Cancer Treat Rev. (2010) 36(4):277-85. 2. D.N.Louis, et al. WHO Classification of tumours of the central nervous system, IARC, Lyon, (2007). 3. Colosimo C, et al. in: Simonetti G et al (eds) Trattato italiano di Risonanza Magnetica. Napoli: Idelson-Gnocchi, (1998):459-489. 4. Sharma MK, et al. Distinct genetic signatures among pilocytic astrocytomas relate to their brain region origin. Cancer Res. (2007) 67(3):890-900. 5. Paugh BS, et al. Integrated molecular genetic profiling of pediatric high-grade gliomas reveals key differences with the adult disease. J Clin Oncol. (2010) 28(18):3061-8. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] GE NETICA MO LECOLARE ED EPI DEMI OLO GI A DELL’ANEMIA CO NGENITA DI SERITROPO IETI CA DI TIPO II R. Russo,1,2 M.R. Esposito,1,2 A. Gambale,1 A. Troiano,1 R. Asci,1 I. De Maggio,1,2 U. Ramenghi,3 G.L. Forni,4 S. Perrotta,5 A. Iolascon,1,2 1CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli, Italia; 2Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie Mediche, Università Federico II, Napoli, Italia; 3Unità di Ematologia, Dipartimento di Pediatria, Università di Torino, Italia; 4Centro della Microcitemia e Anemie Congenite, Ospedale Galliera, Genova, Italia; 5Dipartimento di Pediatria, Seconda Università di Napoli, Italia Introduzione. Le anemie congenite diseritropoietiche (CDA) sono disordini genetici ereditari caratterizzati da eritropoiesi inefficace, in cui si assiste alla paradossale associazione di iperplasia eritroide, riscontrabile a livello del midollo osseo, e stato anemico con reticolocitopenia. La forma di tipo II, la più frequente tra tutte le CDA, si manifesta con anemia di grado variabile, ittero e splenomegalia; il sovraccarico di ferro è una comune complicanza negli individui affetti, determinando l’insorgenza di cirrosi epatica in circa il 20% dei pazienti. Importanti chiavi diagnostiche sono fornite dalle peculiari aberrazioni morfologiche riscontrate negli eritroblasti dei pazienti affetti. La diagnosi, inoltre, si avvale del contributo dell’analisi biochimica, mediante la quale è possibile l’identificazione dell’ipoglicosilazione a carico di proteine, principalmente la banda 3 a livello della membrana plasmatica dei globuli rossi, che è patognomonica della patologia. Questa anomalia ha, da tempo, suggerito la presenza di un difetto nel traffico vescicolare alla base della patogenesi della CDA II. A sostegno di tale ipotesi, nel 2009 è stato identificato il gene causativo SEC23B,1 codificante per un componente del complesso COP II, coinvolto nel trasporto anterogrado delle proteine neosintetizzate dal reticolo endoplasmatico al Golgi. L’estensiva analisi molecolare dei pazienti ci ha consentito di (i) definire l’esistenza di una correlazione genotipo-fenotipo, ovvero l’osservazione che pazienti portatori del genotipo composto da una mutazione missenso e una nonsenso tendono a produrre una manifestazione clinica più grave rispetto a quelli con 2 mutazioni missenso,2 di (ii) ampliare lo spettro di mutazioni ad oggi identificato e di (iii) affinare la diagnosi molecolare, definendo la frequenza delle mutazioni in ogni esone.3 La CDA II è caratterizzata da una elevata eterogeneità allelica; ad oggi sono, infatti, note 53 diverse mutazioni causative nel gene SEC23B,3 descritte in AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 86 casi, 47 dei quali di origine italiana. Nel nostro ultimo lavoro abbiamo ampliato la coorte di pazienti (109) con 17 casi Italiani e 6 Europei non Italiani (NIE). Il nostro scopo è stato quello di caratterizzare la distribuzione allelica in Italia delle mutazioni del gene SEC23B, paragonandola a quella riscontrata nei casi internazionali. Abbiamo così dimostrato che due mutazioni, E109K e R14W, descrivono circa il 54% di tutti i pazienti in Italia e, mediante analisi di aplotipi, che entrambe sono mutazioni fondatrici (Russo, in sottomissione). Tale osservazione potrebbe spiegare la frequenza relativamente elevata della CDA II nella popolazione italiana.4,5 Materiali e metodi. Sequenziamento del gene SEC23B e valutazione della frequenza allelica relativa delle mutazioni. L’analisi molecolare dei pazienti CDA II è stata effettuata mediante sequenziamento genomico diretto delle regioni codificanti, delle giunzioni fiancheggianti i siti di splicing nonché delle regioni 5’- e 3’non tradotte del gene SEC23B. I campioni di sangue sono stati raccolti dopo l'approvazione da parte dei comitati etici locali. Il consenso scritto è stato ottenuto da tutti i pazienti secondo la Dichiarazione di Helsinki. La frequenza allelica relativa delle mutazioni è stata valutata su tutti i pazienti ad oggi descritti (64 Italiani e 45 non Italiani). Selezione dei marcatori polimorfici e analisi degli aplotipi. L’analisi degli aplotipi è stata realizzata utilizzando polimorfismi di singolo nucleotide (SNP). Sono stati scelti 12 tag-SNP (r2>0.8), distribuiti su circa 1.2 Mb a ridosso del gene SEC23B. L’analisi degli aplotipi è stata realizzata su 31 casi Italiani e 6 NIE. Sono stati analizzati anche 47 individui di controllo non affetti, di origine italiana. Stima dell’età delle mutazioni. L’età approssimativa di entrambe le mutazioni, R14W e E109K, è stata calcolata mediante l’utilizzo del programma DMLE+ versione 2.3. Per la prima mutazione, R14W, ci siamo avvalsi dell’analisi degli aplotipi condotta su 23 pazienti Italiani che presentavano la mutazione in stato di eterozigosi; per la seconda, E109K, sono stati analizzati gli aplotipi di 8 pazienti Italiani, tutti omozigoti per la stessa. Risultati. Valutazione della frequenza allelica relativa delle mutazioni. Come già descritto in precedenza2,3 2 sono le mutazioni più comuni nei pazienti CDA II, E109K (28%) e R14W (26%): in particolar modo, esse descrivono oltre la metà dei casi di origine italiana. Tuttavia, mentre la frequenza relativa della mutazione E109K è simile sia in Italia che nel resto d'Europa (e la mutazione è diffusa anche in Ebrei Marocchini), quella della R14W è significativamente più alta in Italia (26.3% vs 10.7%). Analisi degli aplotipi ed età delle mutazioni. L’analisi degli aplotipi condotta su 23 pazienti Italiani con genotipo R14W, ha evidenziato che il 47.2% condivide un comune aplotipo (CACACCGC). Per la mutazione E109K sono stati analizzati 8 pazienti Italiani e altrettanti NIE. Tale analisi ha mostrato che quasi tutti i pazienti (96.4%) condividono un comune aplotipo (CATAGT); lo stesso è stato identificato anche in 3 pazienti Ebrei Marocchini. L’età stimata per la mutazione E109K nella popolazione italiana è di 2000 anni, mentre per la R14W è di 2600. Conclusioni. Sebbene la maggior parte delle mutazioni nel gene SEC23B sia il risultato di eventi sporadici ed indipendenti, 4 mutazioni (R14W, E109K, R497C, I318T) descrivono più del 50% degli alleli mutati. Nel nostro ultimo lavoro, abbiamo fornito una spiegazione dell’elevata prevalenza della CDA II in Italia. Infatti, la prevalenza cumulativa di CDA I e CDA II, recentemente stimata, mostra un picco di 2.49 casi/milione proprio in Italia.4 Il calcolo della frequenza allelica relativa di tutte le mutazioni causative finora identificate, eseguito su 64 pazienti Italiani e 45 non Italiani, ha portato all’osservazione che due mutazioni, E109K e R14W, descrivono più della metà dei casi in Italia. L’analisi di aplotipi ha poi suggerito per entrambe il ruolo di mutazioni fondatrici in Italia. La variante E109K risulta essere maggiormente diffusa in tutta Europa, nonché nella popolazione degli Ebrei Marocchini. La nostra ipotesi è che tale mutazione possa aver avuto origine in Medio Oriente (2400-2000 anni fa) e che poi si sia diffusa nel bacino del Mediterraneo all’epoca di Cesare Augusto, nel periodo di massimo splendore dell'Impero Romano. A differenza della precedente, la R14W è maggiormente ricorrente nei pazienti Italiani quando paragonati a quelli Europei non Italiani; essa si sarebbe originata in seguito ad un evento mutazionale verificatosi 2600 anni fa, probabilmente nel Sud Italia. In quel tempo gran parte del Sud Italia era una colonia greca, la Magna Graecia. Già in precedenza è stata, infatti, osservata una prevalenza maggiore di questa malattia in Italia meridionale e nel bacino del Mediterraneo.5 I nostri dati supportano completamente questa osservazione: infatti, l’81% dei pazienti portatori della mutazione R14W, qui analizzati, provengono dall’Italia centrale e meridionale. Tale osservazione potrebbe spiegare la frequenza relativamente elevata della CDA II nella popolazione italiana. Ringraziamenti. Questo studio è stato sostenuto dal Ministero Italiano dell'Università e della Ricerca (PRIN 2008, PI: A. Iolascon), dal progetto Telethon GGP09044 (PI: A. Iolascon), da [Pediatric Reports 2011; 3:s1] sovvenzioni MUR-PS 35-126/Ind e da finanziamenti della Regione Campania (DGRC 1901/2009). Bibliografia 1. Schwarz K, Iolascon A, Verissimo F, et al. Mutations in the human secretory COPII coat component SEC23B cause congenital dyserythropoietic anemia type II (CDA II). Nat Gen 2009;41:936-40. 2. Iolascon A, Russo R, Esposito MR, et al. Molecular analysis of forty two CDA II patients: new mutations in the SEC23B gene. Search for a genotype-phenotype relationship. Haematologica 2010;95: 708-715. 3. Russo R, Esposito MR, Asci R, et al. Mutational spectrum in congenital dyserythropoietic anemia type II: identification of 19 novel mutations in SEC23B gene. Am J Hematol 2010;85:915-920. 4. Heimpel H, Matuschek A, Ahmed M, et al. Frequency of congenital dyserythropoietic anemias in Europe. Eur J Haematol 2010;85:20-25. 5. Iolascon A, Servedio V, Carbone R, et al. Geographic distribution of CDA-II: did a founder effect operate in Southern Italia? Haematologica 2000;85:470-4. RIS POS TA UMO RALE ANTI-ALK E MALATTIA MINIMA RESI DUA NEL LI NFOMA ANAP LASTICO A GRANDI CELLULE (ALCL) P EDIATRICO L. Mussolin, M. Pillon, G. Franceschetto, S. Buffardi,1 A Lombardi,2 A. Sala,3 A. Zanazzo,4 G Arcamone,5 A. Garaventa,6 M Arico’,7 A. Rosolen Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Universita’ di Padova, Padova; 1Ospedale Pausilipon, Napoli; 2Ospedale Bambino Gesu’, Roma; 3Clinica Pediatrica, Ospedale S. Gerardo, Monza; 4Dipartimento di Pediatria, Universita’ di Trieste, Trieste; 5Unita’ di 6Ematologia Pediatrica, Istituto Gaslini, Genova; 7Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Meyer, Firenze, Italia Introduzione. Il linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL) è stato descritto per la prima volta nel 1985 da Stein e collaboratori come una nuova entità patologica le cui cellule sono caratterizzate dall’espressione dell’antigene di membrana Ki-1 o CD-30.1 L’incidenza di questa neoplasia varia significativamente tra la popolazione pediatrica e adulta: l’ALCL rappresenta circa il 2% dei linfomi non Hodgkin (LNH) nell’adulto, mentre costituisce circa il 15% dei LNH pediatrici. Gli ALCL mostrano un ampio spettro di caratteristiche morfologiche che va da neoplasie composte da cellule di piccola taglia, a casi tipici in cui la popolazione neoplastica è costituita da voluminose cellule anaplastiche, ed infine a casi in cui prevalgono le cellule giganti. Dal punto di vista genetico circa il 70% dei [page 7] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 casi sono caratterizzati dalla traslocazione cromosomica t(2;5)(p23;q35), con una prevalenza di circa il 95% in età pediatrica. Questa aberrazione cromosomica coinvolge sul cromosoma 5 il gene NPM, che codifica per la proteina ubiquitaria nucleofosmina, e sul cromosoma 2 il gene ALK. La nucleofosmina è una proteina che si localizza a livello nucleolare e che sembra coinvolta nell’assemblaggio ribosomale con funzione di trasporto. Il gene ALK codifica per un recettore tirosin-chinasico che viene espresso a livello del sistema nervoso. La traslocazione porta alla formazione sul cromosoma derivativo 5 di un gene di fusione NPM-ALK attivo dal punto di vista trascrizionale. L’attività trasformante e oncogenica della proteina chimerica è stata dimostrata.2,3 Essa è inoltre un antigene tumore-associato (TAA) capace di indurre un’immunità umorale anti-ALK in vivo in pazienti affetti da ALCL.4 Gli obiettivi della nostra ricerca sono stati la caratterizzazione molecolare dei linfomi anaplastici a grandi cellule diagnosticati e trattati all’interno del protocollo europeo ALCL-99, mediante RT-PCR; la valutazione prospettica della presenza di Malattia Minima Residua (MMR) all’esordio e allo stop terapia mediante PCR qualitativa (RT-PCR) e quantitativa (RealTime PCR) per determinare la cinetica della risposta al trattamento ed infine determinare la presenza di anticorpi anti-ALK alla diagnosi ed allo stop terapia, valutando se esiste una correlazione tra la presenza di anticorpi anti-ALK e la MMR. Materiali e Metodi. La determinazione di anticorpi anti-ALK è stata eseguita alla diagnosi ed allo stop terapia, su plasma di pazienti con ALCL, mediante un saggio immunocitochimico. Il numero di copie di trascritto NPM-ALK presenti nel sangue periferico alla diagnosi è stato valutato mediante RT-PCR e Real-Time PCR. Risultati. Abbiamo analizzato 47 biopsie di ALCL pediatrici e tutte sono risultate positive per NPM-ALK in RT-PCR. Il sottotipo morfologico prevalente era la variante classica (26/47). Lo studio di MMR è stato condotto sul sangue periferico dei 47 pazienti; 28 sono risultati positivi (59%) in RT-PCR e 23/47 (49%) in Real-Time PCR. I risultati dell’analisi univariata sulla Sopravvivenza Libera da Recidiva o progressione (RFS) mostrano, in una proiezione a 3 anni, una percentuale di sopravvivenza, dell’88% (±6%) per i pazienti con un numero di copie di NPM-ALK/10.000 ABL nel sangue periferico all’esordio inferiore a 10 e del 60% (±11%) per i pazienti con un numero di copie uguale o superiore a 10, P=0.026. Allo stop terapia 4/47 risultavano ancora positivi. L’89% dei pazienti ha inoltre presentato una positività anticorpale anti- [page 8] ALK. Dall’analisi ROC è emerso che il valore soglia del titolo anticorpale più predittivo di recidiva è 1/750. La RFS a 3 anni è risultata del 30% (±14%) per i pazienti con numero di copie di NPMALK nel sangue periferico uguale o superiore a 10 e titolo anticorpale uguale o inferiore a 1/750 e dell’ 88% per tutti gli altri pazienti (P<0.0001). Conclusioni. dall’analisi multivariata condotta nel nostro studio è emerso che la combinazione di MMR e titolo anticorpale anti-ALK è l'unico parametro in grado di selezionare una sottopopolazione di pazienti con prognosi significativamente peggiore. Tali pazienti potrebbero beneficiare di un diverso trattamento terapeutico, inclusa la vaccino-terapia. Bibliografia 1. Stein H, Mason DY, Gerdes J et al. The expression of the Hodgkin’s disease associated antigen Ki-1 in reactive and neoplastic lymphoid tissue: evidence that Reed-Sternberg cells and histiocytic malignancies are derived from activated lymphoid cells. Blood 1985; 66: 848-858 2. Fujimoto J, Shiota M, Iwahara T et al. Characterization of the trasforming activity of p80, a hyperphosphorilated protein in a Ki-1 lymphoma cell line with chromosomal translocation t(2;5). Proc Natl Acad Sci USA 1996; 93: 4181-86 3. Kuefer MU, Look AT, Pulford K et al. Retrovirus-mediated gene transfer of NPM-ALK causes lymphoid malignancy in mice. Blood 1997; 90: 2901-10 4. Pulford K, Falini B, Banham AH, et al. Immune response to the ALK oncogenic tyrosine kinase in patients with anaplastic large-cell lymphoma. Blood, 2000; 1605-1607. CARATTERIZZAZIONE BIOLO GICA DEI LINFOMI LINFOBLASTICI PEDI ATRI CI DELLA LINEA T: DIFFERENZE E SIMILARITA’ CON LA LEUCEMIA LINFOBLASTICA T L. Mussolin,1 K. Basso,1,2 A. Lettieri,3 M. Brahmachary,4 W.K. Lim,4 A. Califano,4 G. Basso,1 A. Biondi,3 G. Cazzaniga,3 A. Rosolen1 1Dipartimento di Pediatria, Università di Padova, Padova, Italia;2Institute for Cancer Genetic, Columbia University, New York, NY, USA; 3Centro Ricerca Tettamanti, Università Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia; 4Joint Centers for Systems Biology, Columbia University, New York, NY, USA Introduzione. Il termine “linfoma linfoblastico” è stato coniato da Barcos e Luke per la similarità riscontrata tra le cellule tumorali di linfoma ed i blasti della leucemia linfoblastica acuta (LLA).1 I linfomi linfoblastici T (LL-T), che originano dai [Pediatric Reports 2011; 3:s1] linfociti T del timo, rappresentano circa un terzo dei Linfomi Non-Hodgkin dell’età pediatrica; al contrario, i LL a cellule della linea B sono poco frequenti. Molte sono le analogie tra LL-T e LLA-T: oltre alla morfologia e all’immunofenotipo indistinguibili, le due malattie presentano anche le stesse caratteristiche genetiche (traslocazioni cromosomiche che coinvolgono fattori trascrizionali). La principale discriminante clinica tra LL-T e LLA-T riguarda la presentazione di malattia, con presenza di massa mediastinica nel LL-T ed infiltrazione massiva del midollo osseo nella LLA-T. Operativamente, la percentuale di cellule tumorali nel midollo osseo distingue LLT (<25%) da LLA-T (≥25%). Rispetto alla LLA-T, il LL si manifesta in pazienti di età media maggiore, con un picco di incidenza nella seconda decade di vita; inoltre mostra una prevalenza nei maschi rispetto alle femmine (rapporto 2:1). Le elevate analogie cliniche suggeriscono che LLT e LLA-T possano costituire presentazioni (o evoluzioni) diverse di un’unica entità biologica e che possano beneficiare della stessa terapia. In genere, le neoplasie emopoietiche con fenotipo T presentano una prognosi più severa rispetto a quelle che originano da precursori delle cellule B. L’utilizzo in questi ultimi anni di trattamenti chemioterapici specifici per gruppo di rischio ha significativamente aumentato la probabilità di guarigione di pazienti sia con LL-T che LLA-T, passando da una Event-Free Survival del 50% al 70%.2,3 Tuttavia poco si conosce in merito agli aspetti biologici dei LL e quindi sul ruolo che alcune caratteristiche genetiche potrebbero avere sulla prognosi. Recentemente è stato dimostrato che più del 50% delle LLA-T del bambino presenta mutazioni attivanti del gene NOTCH1,4 indicando un ruolo centrale dei segnali trasmessi dal gene stesso nella patogenesi delle LLA-T. Non è noto se mutazioni del gene NOTCH1 sono anche presenti in LL-T e se tali mutazioni hanno un impatto prognostico nei pazienti portatori. Tali mutazioni causano un’attivazione del gene NOTCH1 ed aumentano l’attivazione proteolitica della proteina da esso codificata, un evento che richiede l’intervento dell’enzima γ-secretasi. È stato dimostrato in vitro che gli effetti delle mutazioni a livello del gene NOTCH1 vengono repressi utilizzando inibitori specifici della γsecretasi, che potrebbero quindi essere utilizzati in futuro come farmaci specifici per patologie caratterizzate da mutazioni attivanti il segnale di NOTCH1. Studi clinici sono in corso per verificare questa ipotesi. Il presente studio ha come scopo principale l’analisi di aspetti biologici e genetici che caratterizzano i LL-T, al fine di individuare marcatori molecola- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 ri con significato prognostico. Mediante l’analisi integrata di SNP e gene expression array, sono stati confrontati il genotipo e l’espressione genica di una serie di pazienti affetti da LL-T e da LLA-T, con lo scopo di meglio caratterizzare analogie e differenze tra le due patologie. Materiali e Metodi. Le analisi del genotipo e del profilo di espressione genica di 20 biopsie tumorali di LL-T e 10 aspirati midollari all’esordio di LLA-T sono state eseguite mediante tecnologia Affymetrix: i) Affymetrix HG-U133 Plus 2.0 oligonucleotide microarrays, e Affymetrix GeneChip Human Mapping 100K SNP arrays. L’analisi mutazionale di NOTCH1 è stata eseguita al livello degli esoni 26, 27 e 34 utilizzando PCR Expand Long Template Kit (Roche). Risultati. Lo studio ha messo in evidenza che il LL-T e la LLA-T condividono la gran parte del profilo di espressione genica, tuttavia una piccola quota di geni (78) appaiono differenzialmente espressi. In particolare geni coinvolti nella chemiotassi e nell’angiogenesi, come EPAS1 e PTPRB, risultano up-regolati nei LL-T. Inoltre geni già noti per essere espressi nei tumori solido con metastasi linfonodali sono risultati up-regolati nelle biopsie di LL-T. L’analisi genotipica è stata condotta utilizzando 3 algoritmi diversi: PartekGS, CRMA e CNAG. Nel complesso sono state individuate 42 regioni con alterazioni del numero di copie (22 amplificazioni, 20 delezioni) in almeno due pazienti. L’aberrazione più comune è risultata essere la delezione dei geni CDKN2A/B a livello del cromosoma 9. Sono state rinvenute inoltre aberrazioni solo esclusivamente nei campioni di LL-T o LLA-T. La correlazione di Spearman è stata utilizzata per stabilire la relazione tra i risultati ottenuti dall’analisi del genotipo e del profilo di espressione genica. Più del 38% dei geni testati mostravano una correlazione positiva (Rho≥0.3) e solo il 3.2% una correlazione negativa. L’analisi mutazionale di NOTCH1 ha evidenziato la presenza di mutazioni in 7/11 casi di LL-T e 4/7 casi di LLA-T. L’analisi del genotipo è stata rivalutata sulla base dello stato mutazionale di NOTCH1; abbiamo trovato che alcune aberrazioni cromosomiche come l’amplificazione di alcune regioni del cromosoma 1 e 5p sono tipiche solo dello stato non mutato di NOTCH1, e viceversa delezioni della regione 6q162-16.3 solo dello stato mutato. Conclusioni. I dati ottenuti mostrano che il LL-T e la LLA-T rappresentano due entità biologiche distinte con peculiari caratteristiche genetiche e di espressione genica e solo la conoscenza completa di queste anomalie potrà permetterci di disegnare protocolli terapeutici più mirati ed efficaci nella cura di queste neoplasie. Bibliografia 1. Thomas DA and Kantarjian HM. Lymphoblastic lymphoma. In: Advances in the treatment of adult acute lymphocytic leukemia-Part II. Hematology/Oncology Clinics of North America, Vol 15 (1), Feb 2001: 51-95 2. Amylon MD, Shuster J, Pullen J, et al. Intensitive high-dose asparaginase consolidation improves survival for pediatric patients with T cell acute lymphoblastic leukaemia and advanced stage lymphoblastic lymphoma: a Pediatric Oncology Group study. Leukemia. 1999; 13: 335-342 3. Reiter A, Scharappe M, Ludwig WD et al. Intensive ALL-type therapy without local radiotherapy provides a 90% event-free survival for children with Tcell lymphoblastic lymphoma: a BFM group report. Blood 2000; 95: 416-421 4. Weng AP, Ferrando AA, Lee W, Morris JP 4th, Silverman LB, Sanchez-Irizarry C, Blacklow SC, Look AT, Aster JC. Activating mutations of NOTCH1 in human T cell acute lymphoblastic leukemia. Science. 2004 Oct 8;306(5694): 269-71. IL S ISTEMA S LEEPING BEAUTY: MODIFICAZIO NE GENETICA TRASPO SO NE- MEDIATA DI CELLULE T PRIMARIE P ER L’I MMUNOTERAPIA DELLE LEUCEMIE ACUTE G.M.P. Giordano Attianese,1,2 H.Huls,2 V.Marin,1 S. Tettamanti,1 A. Biondi,1 L. Cooper,2 E. Biagi1 1Centro di Ricerca Matilde Tettamanti, Dipartimento di Pediatria, Universita’ degli Studi Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo, via Pergolesi 33, 20052, Monza, Italia; 2M.D.Anderson Cancer Center, CooperLab, 7455 Fannin, SCR1.2212, Houston, TX 77054, USA Introduzione. L’introduzione stabile di trans-geni terapeutici in cellule T umane puo’ essere ottenuta sia mediante metodi virali che attraverso sistemi non-virali. Nonostante l’uso di virus ricombinanti clinical grade si sia dimostrato altamente efficiente nella moficazione genica di cellule primarie, la sua applicabilita’ ad ampio spettro presenta diversi svantaggi tra cui il costo estremamente elevato di produzione in condizioni clinical grade e la propensione ad un pattern di integrazione non random, possibile causa sia di mutagenesi inserzionale che di silenziamento del gene terapeutico.1 La applicazione ex-vivo del trasferimento genico mediato da trasposoni (elementi mobili presenti naturalmente all’interno del genoma), offre ad oggi una valida alternativa all’uso di vettori virali, presentando diversi vantaggi:1 il DNA plasmidico puo’ essere prodotto in larga scala in condizioni clinical grade, a costi ridotti e con [Pediatric Reports 2011; 3:s1] basso grado di immunogenicita;1 le dimensioni del transgene sono meno limitate poichè il DNA non viene incluso in un capside virale; inoltre, perchè il plasmide venga integrato, non è necessaria una previa attivazione delle cellule T, riducendo la manipolazione ex-vivo che condiziona il fenotipo e la funzionalita’ delle cellule T modificate. Per quanto riguarda il pattern di integrazione, questo puo’ essere efficientemente incrementato mediante la coespressione di un enzima Transpotasi iperattivo insieme al Trasposone. Il sistema Sleeping Beauty (SB) è un esempio di un metodo basato sui trasposoni, che è stato adattato per la terapia genica nell’uomo.2 Le cellule T rappresentano un target ideale per valutare l’applicabilita’ nell’uomo del sistema SB in quanto sono state geneticamente modificate sia attraverso metodi virali3 che mediante metodi non-virali4 per differenti approcci terapeutici.1 Un transgene candidato per l’inserzione trasposizionale è un recettore chimerico (CAR) specifico per un antigene tumore associato (CD19), in grado di dirigere l’attivita’ delle cellule T verso un antigene di superficie espresso dalle cellule di leucemia linfoblastica acuta. Materiali e Metodi. Vengono preparati 20¥106 di PBMC per ogni reazione ed allestita la soluzione di DNA plasmidico: 2.5 μg di Traspotasi e 7.5 μg di Trasposone per ogni 20¥106 di PBMC (il rapporto vettori Transpotasi:Trasposone è pari a 1:3) in 100 µL di buffer specifico per la nucleofectione. I PBMC, risospesi nella soluzione di DNA plasmidico/buffer AMAXA®, vengono aliquotati nella cuvetta di elettroporazione. I PBMC vengono piastrati nel medium di elettroporazione (RPMI 1640 Fenolo free + 2 mM Glutamax 1+20% Siero bovino fetale inattivato a caldo) per 2-3 ore. Dopo questa incubazione le cellule vengono piastrate in medium completo, alla concentrazione di 1¥106 cellule/mL e lasciate riposare a 37°C al 5% CO2 per 24 ore. Il giorno successivo all’elettroporazione i PBMC vengono contati, caratterizzati fenotipicamente e stimolati in accordo con la percentuale di espressione del CAR ad un rapporto Effettore:Target (E:T) pari a 1:2, in presenza di IL21 (30νg/mL). Il target è rappresentato da cellule presentanti l’antigene artificiali (aAPCs)1 che oltre ad esprimere l’antigene specifico per il CAR (CD19), presentano diverse molecole costimolatorie quail CD86, CD137L ed una variante della citochina IL15 legata alla membrana. Le cellule T vengono cosi’ stimolate e monitorate settimanalmente. A partire dalla seconda stimolazione insieme alla IL21 viene supplementata IL2 a 50U/mL.1 Risultati. Al fine di valutare l’efficienza del metodo SB, nella modificazione genica di [page 9] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 cellule T primare mediante l’introduzione di un recettore chimerico anti-CD19, PBMC derivati da donatore sano sono stati transfettati con i plasmidi SB trasposoni CD19/ζ/28, e traspotasi SB11X. A ventiquattro ore dalla nucleofezione l’efficienza media di transfezione misurata come percentuale di cellule CD3+Fc+ è pari a 28% (range 14-49%, n=4) e la percentuale media di sopravvivenza delle cellule trasfettate è pari a 26% (range 1041%, n=4). Le cellule sono state quindi stimolate con aAPCs in rapporto E:T pari 1:2. Al giorno +14 è il fold increase medio delle cellule T totali è pari a 8 (range 420, n=4); il fold increase medio delle cellule CD3+Fc+ è pari a 21 (range 2-67, n=4). I risultati delle analisi citofluorimetriche dimostrano che sia le cellule CD4+ che le cellule CD8+ esprimono il transgene CD19.CAR e l’espressione si dimostra stabile nel tempo (D+0 CD4+Fc+ 22%CD8+Fc+ 9.8%; Day+14 CD4+Fc+ 18%CD8+Fc+ 10%, n=4). È stato eseguito il fenotipo memoria delle cellule T al fine di valutare l’effetto della stimolazione antigenica mediato dall’uso di aAPCs, sul profilo effettore-memoria delle cellule T CD19.CAR+. Le analisi citofluorimetriche dimostrano a seguito di due stimolazioni (D+14) mediante aAPCs 1:2 E:T Ratio, la percentuale di cellule Central Memory, espressa come CD45RA-CD62L+ è significativamente aumentata rispetto ai valori iniziali (D+0) (media 34%, range 32-39%, n=3, D+14; media 7%, range 4-12%, n=3, D+0, P<0.05, rispettivamente). Allo stesso modo le percentuali di cellule effettrici e terminalmente differenziate misurate come CD45RA-CD62L- e CDRA+CD62Lsono significativamente diminuite (CD45RA-CD62L- media 6%, range 1-12, n=3, D+14; media 21%, range 17-23, n=3, D+0, P<0.05 rispettivamente e CDRA+CD62L- media 7%, range 4-10%, n=3, D+14; media 27%, range 25-30%, n=3, D+0, P<0.05). La percentuale di cellule T Naive, misurata come popolazione CD45RA+CD62L+, non presenta variazioni significative ai time points analizzati (dati non riportati). Conclusioni. I nostri dati preliminari mostrano che il sistema SB è un efficiente strumento per la modificazione genica di cellule T primarie umane a scopo terapeutico. Sebbene l’efficienza di nucleofezione sia mediamente minore di quella riportata utilizzando virus ricombinati, l’opportuna stimolazione con APCs artificiali è in grado di selezionare le cellule CD19.CAR+ , con valori elevati fold increase, preservando ed arricchendo allo stesso tempo la componente T memoria, superando uno dei grossi limiti legati all’estesiva manipolazione delle cellule T ex vivo, quale la differenziazione terminale e l’esaurimento funzionale delle cellule T effettrici. [page 10] Bibliografia 1. Hackett PB, Largaespada DA and Cooper LJN. (2010) Mol Ther 18(4): 67483. 2. Izsvak S, Hackett PB, Cooper LJN and Ivics Z. (2010) Bioeassay 32: 756-67. 3. Ciceri, F, Bonini, C, Stanghellini et al. (2009) Lancet Oncol 10: 489-500. 4. Till, BG, Jensen, MC, Wang et al. (2008)Blood 112: 2261-71. MONITORAGGIO IMMUNO LOGICO DI P AZI ENTI AFFETTI DA GVHD GRAVE (I I-IV) RES IS TE NTE ALLO STEROIDE TRATTATI CON CELLULE STAMINALI MES ENCHIMALI (MSC) P. Vinci,1 E. Dander,1 G. Lucchini, 2 M. Introna,3 S. Bonanomi, 2 A. Balduzzi,2 G. Gaipa,1,4 P. Perseghin,5* F. Masciocchi,1 C. Capelli,6 J. Golay,6 A. Algarotti,3 A. Rambaldi, MD,3 A. Rovelli, MD,2 A. Biondi,1,2 E. Biagi,2,4 G. D’Amico,1 1Centro di Ricerca “M. Tettamanti”, Università degli studi di Milano-Bicocca, 2Dipartimento Monza, Italia; di Ematologia Pediatrica, Ospedale S. Gerardo, Monza , Italia; 3Dipartimento di Ematologia Adulta, Ospedali Riuniti di Bergamo, Bergamo, Italia; 4Laboratorio di Terapia Cellulare "Stefano Verri", Ospedale S. Gerardo, Monza, Italia; 5Unità di Aferesi, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia; 6Laboratorio di Terapia Cellulare "G. Lanzani", Dipartimento di Ematologia, Ospedali Riuniti Bergamo, Bergamo, Italia Introduzione. Negli ultimi anni è emerso come l’utilizzo delle MSC rappresenti un valido strumento terapeutico per il trattamento delle forme gravi di GvHD. Purtroppo, a causa della drammatica mancanza di dati generati nei modelli animali, il meccanismo d’azione con cui le MSC esplicano la loro azione antiinfiammatoria non è noto. Allo scopo di comprendere i meccanismi con cui le MSC esercitano il loro effetto nel controllo della GvHD e di individuare nuovi marcatori diagnostici e predittivi la risposta alla terapia, abbiamo affiancato alla valutazione del quadro clinico del paziente trattato con MSC il monitoraggio delle sottopopolazioni T-linfocitarie CD4+ e il dosaggio di un pannello di marcatori proinfiammatori (TNFRI, IL-2Rα ed elafin). Materiali e Metodi. Al fine di comprendere l’effetto immunomodulatorio delle MSC, abbiamo studiato a livello del sangue periferico dei pazienti arruolati diversi marcatori plasmatici di GvHD e sottopopolazioni linfocitarie CD4+, prima dell’infusione e dopo 7, 14 e 28 [Pediatric Reports 2011; 3:s1] giorni la terapia cellulare. Il nostro studio, mostra i risultati ottenuti in seguito al monitoraggio immunologico di 10 pazienti affetti da GvHD resistente allo steroide, i quali hanno ricevuto dosi multiple di MSC third party. La GvHD si è presentata in 6 casi in forma acuta ed in 4 in forma cronica. Risultati. In seguito alla terapia con MSC, 2 pazienti hanno mostrato una risposta completa (CR), 4 una risposta parziale (PR), mentre 4 non hanno risposto alla terapia (NR). Abbiamo dimostrato come la concentrazione plasmatica di TNFRI e di IL-2Rα, nei pazienti con GvHD acuta e cronica prima delle infusioni di MSC sia significativamente maggiore rispetto a quella riscontrata nei donatori sani. Dopo il trattamento con MSC si assiste nei pazienti CR ad una robusta e persistente riduzione dei livelli plasmatici di tali marcatori, che diventano pari o inferiori a quelli riscontrati nei donatori sani. Tale andamento è osservabile anche per elafin, marcatore plasmatico di GVHD cutanea. In particolare, 28 giorni dopo la terapia, i livelli di TNFRI diminuiscono di circa 2 volte, mentre elafin diminuisce di 2.3 volte. Nei pazienti PR si apprezzano riduzioni di tali valori nei giorni +7 e +14, dove il quadro clinico è in miglioramento; mentre al peggioramento di quest’ultimo si apprezzano rialzi dei marcatori. Nei pazienti NR si rilevano valori invariati o superiori a quelli preterapia. È stato inoltre analizzato l’andamento di sottopopolazioni linfocitarie CD4+ con opposta funzione: le cellule Th1 e Th17, che hanno attività proinfiammatoria e Treg ad attività immunosoppressiva. Nei pazienti CR si osserva una riduzione sia dei Th1 che dei Th17, accompagnata da un incremento dei Treg, con diminuzione dei rapporti Th1/Treg e Th17/Treg. Nei pazienti PR si osserva un debole aumento dei Treg dopo l’infusione delle MSC, accompagnato però da percentuali di Th1 e Th17 stabili o in aumento. Nei pazienti NR osserviamo valori persistentemente elevati di Th1 e Th17. In accordo alla riduzione delle cellule Th1 nel sangue periferico di pazienti CR, abbiamo osservato una riduzione significativa della concentrazione plasmatica di IFNγ, il quale raggiunge i livelli tipici dei donatori sani. Conclusioni. Come si evince dal monitoraggio immunologico, le MSC sembrano essere in grado di ripristinare nei pazienti CR l’alterata omeostasi tra fattori proinfiammatori ed antinfiammatori, caratteristica dei pazienti con GvHD, riconvertendo così il background immunologico del paziente verso uno stato più fisiologico. La correlazione dei dati forniti dai marcatori con quelli forniti dal monitoraggio dei linfociti non solo supporta la bontà delle nostre osservazioni, ma rap- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 presenterà, se convalidata da un numero maggiore di pazienti trattati, un nuovo pannello di marcatori diagnostici-prognostici su cui valutare la gravità della GvHD e la possibilità di modulare il trattamento con MSC in base alla previsione della risposta clinica a quest’ultimo. APP RO CCI DI DO CKING MOLECOLARE NELLO S VILUPP O ED ATTIVITÀ DI NUOVI INIBITORI DELLA CASE INA CH INASI 2 (CK 2) NEI TUMO RI PE DIATRI CI G. Cozza,1,2 A. Gianoncelli,1 P. Bonvini,3,4 E. Zorzi,4 A. Rosolen,4 L. Pinna,2 F. Meggio,2 G. Zagotto,1 S. Moro1 1Molecular Modeling Section (MMS), Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Padova, Padova, Italia; 2Dipartimento di Chimica Biologica, Università di Padova, Padova, Italia; 3Fondazione Città della Speranza, Malo, Vicenza; 4Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova, Italia Similarità chimica e screening virtuale sono concetti di base della chemioinformatica che giocano un ruolo importante nella previsione delle proprietà di un composto chimico, della sua attività e dell’affinità verso un determinato target biologico. Quello che oggi è conosciuto come drug discovery, e che comprende tutti quei processi che portano allo sviluppo di una nuova molecola, fa sempre più uso di metodiche computazionali per l’identificazione di composti attivi con definiti profili di attività, e quando il target è noto approcci di docking molecolare e di diffrattometria a raggi X risultano necessari per predire e risolvere la struttura 3D. In questo modo abbiamo identificato un nuovo inibitore della casein chinasi 2 (CK2), 4-bromo-3,8-dihydroxybenzo[c]chromen-6-one (22), dopo ottimizzazione chimica dell’Urolitina A e validazione della sua affinità per CK2. Casein chinasi 2 è una serin/treonin chinasi ubiquitaria ed essenziale per la sopravvivenza cellulare. Con più di 300 molecole bersaglio CK2 regola ciclo cellulare, apoptosi, trascrizione e infezione virale, e la sua espressione nei tumori è strettamente associata alla progressione tumorale e alla chemioresistenza. La sua inibizione risulta in una rapida induzione dell’apoptosi in vitro, attraverso l’attivazione di p53 e l’inibizione di AKT, e in una potente attività antitumorale in vivo. Se confrontato con inibitori competitivi di CK2, quali l’acido ellagico (Ki = 20 nM) e il 3,8-dibromo-7-hydroxy-4-methylchromen-2-one (DBC, Ki = 60 nM), il composto da noi sintetizzato risulta più potente (Ki = 7 nM) e selettivo (i.e., nCK2 0.015μM; nCK1 27 μM; GSK3β >40 μM; Aurora 39μM) dei precedenti, ed è in grado di inibire proliferazione e sopravvivenza in diversi modelli cellulari tumorali pediatrici di origine solida o ematopoietica. Il nostro studio dimostra l’efficacia di 4bromo-3,8-dihydroxy-benzo[c]chromen6-one e Urolitina A nell’inibire la proliferazione [MTT 13%, 200μM (22)] e sopravvivenza cellulare [AV+ 81-87%, 200 μM (22)] di cellule di leucemia linfoblastica acuta (ALL) e linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL), e nel ridurre l’attività in vitro di CK2 e l’effetto sulla trasduzione del segnale (AKTSer129). Nelle medesime condizioni sperimentali 4-bromo3,8-dihydroxy-benzo[c]chromen-6-one (22) e Urolitina A sono moderatamente attivi nelle cellule non-trasformate, sia in termini di attività che di affinità per CK2, indicando quindi l’importanza di questa chinasi nell’omeostasi cellulare dei modelli tumorali utilizzati. In conclusione, questo studio dimostra che l’impiego di metodiche computazionali nella progettazione di nuovi farmaci può essere considerato un valido approccio di ricerca e sviluppo anche nei tumori pediatrici quando sia noto il target biologico. RE GO LAZIONE DELL’ ESP RES SI ONE E FUNZIONE DI NPM-ALK NE L LINFO MA ANAPLASTI CO A GRANDI CELLULE: ANALISI MUTAZI ONALE DEL COMPLE SSO NP M-ALK/H SP90 ED IMPLI CAZIONE SULLA STABILITÀ PROTEI CA. P. Bonvini,1,2 E. Zorzi,2 L. Mussolin,1,2 G. Cozza,3 S. Moro,3 A. Rosolen2 1Fondazione Città della Speranza, Malo, Vicenza, Italia; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda OspedalieraUniversità di Padova, Padova, Italia; 3Molecular Modeling Section (MMS), Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Padova, Padova, Italia Tra le modificazioni posttraslazionali importanti per l’attività di molte proteine coinvolte nei meccanismi di insorgenza tumorale, la fosforilazione risulta critica per la regolazione dell’attività e dell’espressione proteica, sia quando coinvolga motivi catalitici che strutturali. Fosforilazione e auto-fosforilazione influiscono rispettivamente su funzione e attivazione di molte chinasi oncogene, compresa NPM-ALK nel linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL), sebbene questo risulti in una maggiore instabilità e rischio di degradazione. Per alcune di queste il mantenimento dell’attività funzionale è garantito dall’interazione con una proteina nota come Hsp90 (heat shock 90 kDa [Pediatric Reports 2011; 3:s1] protein), attraverso il riconoscimento di specifici motivi idrofobici del dominio catalitico. Questo studio ha valutato la possibilità che l’attività chinasica di NPMALK influenzi l’associazione con Hsp90, e quindi la stabilità proteica, e quali residui e/o domini aminoacidici siano coinvolti in questi fenomeni. A tale scopo, delezioni amino- e carbossi-terminali sono state introdotte nella sequenza del gene di NPM-ALK, così come mutazioni puntiformi sono state inserite nel sito di legame dell’ATP e nel dominio di attivazione. Espressione, attività e affinità per Hsp90 dei mutanti creati sono state quindi valutate in presenza o assenza di inibitori competitivi di NPM-ALK e Hsp90, in cellule di ALCL o in cellule non tumorali. I dati ottenuti dimostrano che NPM-ALK, quando fosforilato (NPM-ALKWT), è in grado di legare stabilmente Hsp90, modificando morfologia ed espressione proteica sia in linee cellulari tumorali che non neoplastiche. Per contro, quando inattivo (NPMALKK210A) o mancante dell’intero dominio catalitico (NPM-ALKΔ171-438) NPMALK non viene riconosciuto da Hsp90 e risulta fortemente instabile sia in condizioni fisiologiche che in presenza di inibitori di Hsp90. In particolare, il legame di NPM-ALK con Hsp90 sembra dipendere dallo stato di fosforilazione del dominio di attivazione (Tyr338/342/343), dal momento che quando reso inattivo, deleto o mutato (NPM-ALKY338/342/343A) NPMALK non è più in grado di legare Hsp90. Nelle stesse condizioni sperimentali, l’associazione con Hsc70 e Hsp72, due chaperone molecolari coinvolti più nella maturazione e/o nella degradazione che nell’attività di NPM-ALK, non cambia e risulta indipendente dallo stato mutazionale e funzionale di NPM-ALK, sia in condizioni fisiologiche che di stress cellulare. In conclusione, i nostri risultati suggeriscono che l’attività catalitica di NPM-ALK rende la proteina fortemente instabile, ma favorisce l’associazione con Hsp90, che ne previene la degradazione. Hsp90 mantiene NPM-ALK in uno stato costitutivamente attivo e stabile, influenzando la capacità trasformante di NPM-ALK molto più di quanto sino ad ora ipotizzato. ES PRESS IO NE ED ATTIVITÀ DI HS P72 NEGLI ALCL P EDIATRICI: CONSEGUENZE SU S OPRAVVIVENZA E RES ISTENZA ALL O STRESS P. Bonvini,1,2 E. Zorzi,2 L. Mussolin,1,2 M. Pillon,2 C. Romualdi,3 E. D’Amore,4 L. Lamant,2 A. Rosolen2 1Fondazione Città della Speranza, Malo, Vicenza, Italia; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda OspedalieraUniversità di Padova, Padova, Italia.; 3Dipartimento di Scienze Statistiche, [page 11] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Università di Padova, Padova, Italia; 4Dipartimento di Anatomia Patologica, Ospedale San Bortolo di Vicenza, Vicenza, Italia; 5INSERM, U.563, Centre of Physiopathology Toulouse-Purpan, Tou louse, France, University Paul-Sabatier, Toulouse, France L’identificazione dei meccanismi che controllano la resistenza cellulare allo stress è fondamentale per comprendere come i tumori sviluppino resistenza alla terapia, che spesso dipende dalla capacità di ridurre il danno intracellulare mediante il mantenimento dell’omeostasi proteica. Proteine note come heat shock protein (HSP) in condizioni normali regolano sintesi e maturazione della maggior parte delle proteine funzionali e strutturali, mentre in condizioni di stress proteggono dalla denaturazione e dalla degradazione proteica, preservando le cellule dall’apoptosi. L’anomala espressione delle HSP, ed in particolare di Hsp72 (heat shock 72 protein), è frequente in diversi tipi di tumori, ed è strettamente associata alla chemioresistenza e alla capacità metastatica delle cellule neoplastiche. In questo studio abbiamo valutato l’espressione di Hsp72 in pazienti con Linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL, n=31), e la sua attività anti-apoptotica in linee cellulari di ALCL (n=5) caratterizzate dalla presenza o assenza dell’oncogene NPM-ALK. A tale scopo tecniche di immunoistochimica, RT-PCR, espressione genica e proteica sono state applicate per valutare sintesi, espressione ed attività di Hsp72, in condizioni normali di crescita o in cellule sottoposte a stress, in funzione dell’attività di NPM-ALK. I risultati ottenuti dimostrano che i livelli di Hsp72 sono significativamente più elevati nei tumori che esprimono NPM-ALK (P=<0.001), in particolare in quelli con outcome sfavorevole, unitamente alla capacità delle cellule ALK-positive di indurre in vitro l’espressione di Hsp72 quando sottoposte a stress (ipertermia) o trattamento farmacologico. L’induzione di Hsp72 inibisce attivazione ed esecuzione dell’apoptosi, e favorisce la sopravvivenza cellulare in condizioni di stress o dopo trattamento con inibitori del proteosoma. In queste condizioni, Hsp72 si associa ed inibisce proteine coinvolte nel mantenimento dell’omeostasi mitocondriale (Bax, citocromo c), e previene l’esecuzione dell’apoptosi. L’inibizione funzionale di NPM-ALK riduce sintesi ed espressione costitutiva o indotta di Hsp72 in cellule di ALCL, ristabilendo la sensibilità farmacologia propria delle cellule che non esprimono Hsp72. Nei tumori e nelle linee cellulari di ALCL che non esprimono NPM-ALK, Hsp72 risulta debolmente espressa, non viene indotta in condizioni [page 12] di stress e non influisce sulla sopravvivenza cellulare. Questo studio descrive per la prima volta l’espressione differenziale di Hsp72 nei tumori e nelle linee cellulari di ALCL, e il suo coinvolgimento nei meccanismi anti-apoptotici regolati da NPM-ALK. Studi prospettici sono in corso per valutare la possibilità che Hsp72 possa rappresentare un bersaglio terapeutico negli ALCL, ed per definire i possibili benefici che la sua inibizione possa portare in trattamenti combinati mirati. UN CLAS SIFICATORE BASATO SULL’IP OSS IA PREDI CE LA PROGNOS I DEI PAZIENTI DI NE URO BLASTO MA P. Fardin,1 A. Cornero,1 M. Acquaviva,1 F. Blengio,1 M.L. Belli,1 R. Luksch,2 A. Di Cataldo,3 C. Gambini,4 R. Haupt,5 A. Garaventa,6 L. Varesio1 1Laboratorio di Biologia Molecolare, IRCCS Gaslini, Genova; 2Divisione di Oncologia Pediatrica, Istituto Nazionale Tumori, Milano; 3 Dipartimento di Ematologia e Oncologia Pediatrica, Policlinico Universitario, Catania; 4U.O. Anatomia Patologica, IRCCS Gaslini, Genova; 5Servizio di Epidemiologia e Biostatistica, IRCCS Gaslini, Genova; 6U.O.C. Ematologia e Oncologia Pediatrica, IRCCS Gaslini, Genova, Italia Introduzione. Il neuroblastoma, il tumore solido pediatrico più diffuso, è caratterizzato da una forte eterogeneità sia dal punto di vista istologico che clinico. Sono noti numerosi fattori di rischio clinicomolecolari associati alla prognosi. Tra questi quelli più comunemente usati nella stratificazione dei pazienti in classi di rischio sono l’età alla diagnosi, lo stadio, l’amplificazione del gene MYCN, l’istologia e le alterazioni cromosomiche.1 Nonostante i grandi sforzi compiuti nell’ambito della ricerca e nel miglioramento dei trattamenti nella pratica clinica, permane la necessità di identificare nuovi marcatori prognostici in grado di valutare in modo più accurato la classe di rischio di appartenenza del paziente. L’ipossia, ovvero la condizione di bassa tensione di ossigeno caratteristica dei tessuti poco vascolarizzati, è un fenomeno presente in condizioni patologiche quali l’infiammazione e il cancro.2 L’ipossia è associata alla progressione tumorale e, nella maggior parte dei casi, è correlata ad una cattiva prognosi del paziente oncologico.3 L’identificazione di biomarcatori in grado di stimare lo stato ipossico di un tessuto tumorale risulta quindi essere di grande importanza sia per la definizione della classe di rischio del paziente, sia per lo [Pediatric Reports 2011; 3:s1] sviluppo di protocolli terapeutici antiipossia. Recentemente abbiamo generato una signature genica dell’ipossia (NBhypo) composta da 32 geni in grado di suddividere in maniera significativa una coorte di pazienti di neuroblastoma in accordo con lo stato ipossico dei loro tumori. Tale signature si è dimostrata essere un fattore di rischio indipendente.4 Lo scopo di questo lavoro è quello di sviluppare un classificatore basato sulla NBhypo in grado di predire la prognosi dei pazienti di neuroblastoma. Materiali e metodi. Sono stati analizzati i profili di espressione genica di 182 pazienti di neuroblastoma rappresentativi di una popolazione eterogenea per la composizione in stadi, età alla diagnosi ed amplificazione del MYCN. Previa normalizzazione dei dati di espressione, i 182 campioni sono stati suddivisi in due gruppi utilizzati rispettivamente nelle fasi di allenamento (100 pazienti) e validazione (82 pazienti) del classificatore prognostico. Il modello di classificazione utilizzato è il Multilayer Perceptron (MLP), una rete neurale artificiale (ANN) con paradigma di apprendimento “feed-forward”. Il modello è stato allenato per predire la prognosi del paziente in base ai dati di espressione dei geni dell’NB-hypo di 100 pazienti, utilizzando una validazione incrociata di tipo “leave-one-out”. Dopo aver allenato il modello, si è passati alla fase di validazione sul dataset indipendente formato da 82 pazienti. Per valutare l’arricchimento di geni/processi ipossici nei pazienti con predizione di prognosi negativa, è stata effettuata un’analisi dei profili di espressione con lo strumento bioinformatico GSEA (Gene Set Enrich <ment Analysis). In questa analisi sono stati valutati per l’arricchimento 51 set di geni correlati con il fenomeno dell’ipossia. Una validazione alternativa dello stato ipossico è rappresentata dalle colorazioni di immunoistochimica di campioni di pazienti con cattiva prognosi e pazienti con buona prognosi. I campioni sono stati colorati per identificare la presenza dei marcatori CAIX, VEGF e HIF2alpha, marcatori universali dell’ipossia del tessuto. Risultati. Nella fase di allenamento il classificatore basato sull’NB-hypo ha predetto correttamente 63/70 pazienti con buona prognosi e 21/30 pazienti con cattiva prognosi, raggiungendo un’accuratezza globale dell’82%. Il classificatore, così generato, è stato poi applicato al gruppo indipendente di 82 pazienti per la validazione esterna. In questo caso l’accuratezza del classificatore è salita all’87% e ciò implica un errore di classificazione del 13%. I risultati ottenuti con il classificatore generato sono stati poi confrontati con i valori di specificità e sensibilità ottenuti suddividendo il gruppo di pazienti di vali- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 dazione in due sottogruppi in accordo con 3 dei fattori di rischio comunemente utilizzati (età alla diagnosi, amplificazione di MYCN e stadio INSS). Nessuno dei fattori di rischio considerati è stato in grado di raggiungere i risultati ottenuti dal nostro classificatore. La suddivisione dei pazienti operata dal nostro classificatore è stata ulteriormente valutata utilizzando delle curve Kaplan-Meier che hanno dimostrato una significativa segregazione dei pazienti (P<0.0001). Nella successiva fase di analisi, è stato valutato il grado di associazione tra le predizioni ottenute dal classificatore basato su NB-hypo e lo stato di amplificazione di MYCN, lo stadio INSS e l’età alla diagnosi in modo da evidenziare eventuali tendenze nelle prestazioni del classificatore. Questa analisi ha dimostrato che le predizioni ottenute sono indipendenti dagli altri fattori di rischio considerati ad eccezione dello stadio INSS. Infatti, il classificatore predice con un’accuratezza del 100% i pazienti appartenenti agli stadi 1, 2, 3 e 4s. In questo gruppo di pazienti sono presenti quattro casi la cui prognosi sarebbe stata predetta erroneamente utilizzando i comuni fattori di rischio. Lo stato ipossico dei tumori localizzati dei pazienti con cattiva prognosi è stato ulteriormente confermato dalle colorazioni immunoistochimiche. L’espressione di alcuni tipici biomarcatori dell’ipossia nei tessuti (CAIX, VEGF e HIF2alpha) è stata valutata in campioni di tessuto di pazienti con cattiva e buona prognosi. Nei tumori dei pazienti con cattiva prognosi e predetti correttamente dal nostro classificatore ci sono estese aree di colorazione per tutti i marcatori usati, mentre tale positività non si riscontra nei campioni di pazienti con buona prognosi. Questi risultati confermano, ad un livello qualitativo, che pazienti predetti con cattiva prognosi presentano in realtà tumori ipossici. L’ultima parte dell’analisi è stata dedicata a valutare se l’origine dell’errore di classificazione fatto per il 13% dei pazienti fosse dovuto a quei tumori che pur essendo caratterizzati da un alto grado di ipossia non implicassero l’esito infausto del paziente oppure a tumori poco ipossici ma comunque abbastanza aggressivi da comportare il decesso del paziente. Per valutare questa ipotesi i profili di espressione dei pazienti erroneamente classificati sono stati analizzati tramite il programma GSEA. GSEA permette di valutare il grado di arricchimento di set di geni predefiniti in base ai processi biologici ed alla letteratura. Nel nostro caso sono stati utilizzati 51 set di geni caratteristici della risposta all’ipossia. I risultati ottenuti mostrano un arricchimento significativo per 25 dei suddetti set di geni nei pazienti erroneamente predetti come aventi cattiva prognosi mentre nessun set risulta arricchito nei rimanenti pazienti. Questo risultato dimostra l’efficacia del classificatore nell’identificare lo stato ipossico nel neuroblastoma e come l’ipossia sia un importante fattore di rischio per questo tumore. Conclusioni. Abbiamo generato un classificatore basato sul profilo di espressione genica dell’NB-hypo in grado di predire la prognosi dei pazienti di neuroblastoma con un errore molto basso. Inoltre abbiamo dimostrato che il nostro classificatore predice in modo rigoroso la prognosi dei pazienti con tumore localizzato e con stadio 4s. In particolare, il classificatore è efficace nel predire la prognosi di quei pazienti appartenenti alle classi di rischio intermedie e per cui i fattori di rischio tradizionali avrebbero segnalato prognosi errate. Questo classificatore è liberamente disponibile e può essere utilizzato per valutare lo stato di rischio di qualunque nuovo tumore di cui sia disponibile il profilo di espressione genica. L’analisi del 13% dei casi classificati in modo erroneo rivela che il classificatore è un forte indicatore dello stato ipossico di quei tumori che però hanno una buona prognosi. In conclusione, i pazienti di neuroblastoma che vengono predetti ipossici dal nostro classificatore potrebbero trarre dei benefici da protocolli terapeutici disegnati per contrastare l’ipossia del tumore. Bibliografia 1. Maris J. et al. Lancet, vol 369, 2007. 2. Talks K.L. et al. Am J Pathol, vol 157, 2000 3. Harris L.A. et al Nat Rev Cancer, vol 2, 2002 4. Fardin P. et al. Mol Cancer, vol 9, 2010 NUOVA TRASLO CAZIONE T(11;16)(P15;Q23) I N UN CAS O DI LEUCEMIA MIE LOMONOCITI CA GI OVANILE E. Tassano, E. Tavella, C.Micalizzi, C. Morerio Dipartimento di Ematologia ed Oncologia Pediatrica, IRCCS Istituto G.Gaslini, Genova. Introduzione. La leucemia mielomonocitica giovanile (JMML), disordine mielodisplastico/mieloproliferativo, è una patologia rara ad esordio precoce (sotto ai 5 anni), caratterizzata da leucocitosi con monocitosi, organomegalia, ingrossamento dei linfonodi, presenza di precursori ematopoietici nel sangue periferico ed alti livelli di emoglobina fetale. La prognosi è rapidamente infausta e il trapianto di midollo osseo rappresenta l’unica opzione terapeutica. I pazienti con JMML [Pediatric Reports 2011; 3:s1] presentano specifiche anomalie nel pathway di segnale di RAS, che rende le cellule ematopoietiche ipersensibili al GM-CSF. Inattivazione di NF1 o mutazioni oncogeniche dei geni NRAS, KRAS2, PTPN11, possono essere dimostrate in almeno 2/3 dei pazienti affetti da JMML.1 Recentemente mutazioni omozigotiche del gene CBL sono state identificate in pazienti JMML negativi per mutazioni dei geni del pathway di RAS.2 Le anomalie cromosomiche sono riscontrate con analisi di citogenetica convenzionale nelle cellule midollari del 36% dei pazienti, più frequente è la monosomia 7 (26%). Pazienti con cariotipo normale all’esordio, possono acquisire anomalie clonali durante il decorso clinico. Materiali e Metodi. Un bambino con quadro clinico compatibile con diagnosi di JMML è giunto alla nostra osservazione a 3 mesi di vita con: epatosplenomegalia, febbre, leucocitosi con monocitosi (GB 13¥103/μL, monociti 2.6¥103/μL), presenza di precursori mieloidi (2%), citopenia bilineare (Hb 7 g/dL, piastrine 40¥103/μL) e HbF (4.5%) normale per l’età. La morfologia midollare era caratterizzata da aumento della cellularità, megacariociti diminuiti, iperplasia mieloide con normale maturazione, normale serie eritroide, 5% di monociti, 1% di cellule con aspetto immaturo. I test di clonogenicità effettuati su sangue periferico mostravano crescita spontanea delle CFU-GM. Le indagini virologiche erano negative. Dopo 1 anno di follow up il bambino presenta miglioramento del quadro clinico, in particolare riduzione dell’organomegalia, normalizzazione dell’emoglobina e delle piastrine, ma persistenza della monocitosi, dei precursori mieloidi periferici e incremento degli elementi immaturi midollari (17%). Lo studio degli oncogeni NRAS, KRAS2, PTPN11 non ha rilevato mutazioni. Le analisi cromosomiche sono state effettuate mediante tecniche di routine su colture a breve termine (24h e 48h) di midollo osseo e di sangue periferico. L’identificazione dei cromosomi è stata eseguita mediante bandeggio QFQ. Il cariotipo è stato formulato in accordo alla nomenclatura ISCN (2009). Sono stati eseguiti esperimenti di FISH con le sonde painting per i cromosomi 11 e 16, con la sonda subtelomerica 11p e con i BAC RP11-120E20 e RP11-348A20, selezionati dal genome browser UCSC (http://genome.ucsc.edu/), che mappano il gene NUP98 sul cromosoma 11p15. Risultati e discussione. Il cariotipo dell’aspirato midollare, confermato dalla FISH con sonde painting per i cromosomi 11 e 16 e dalla sonda subtelomerica 11p, risultava 46,XY,t(11;16)(p15;q23). L’ibridazione con BAC specifici per il gene NUP98 ne escludeva il riarrangiamento. I casi di JMML caratterizzati da trasloca- [page 13] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 zioni cromosomiche come uniche anomalie citogenetiche sono rari e descritti in singoli casi: t(5;17)(q33;p11.2) con fusione PDGFRB/SPECC1 alias HCMOGT1;3 t(4;17)(q12;q21) con fusione FIP1L1/RARA in un bambino di 20 mesi con JMML aggressiva e resistente alla terapia, negativo per ricerca di mutazioni PTPN11, K- ed NRAS;4 t(7;11)(p15;p15) con fusione NUP98/HOXA11 in una bambina di tre anni risultata positiva per mutazione di NRAS.5 Non è conosciuta la relazione tra le traslocazioni cromosomiche risultanti in fusioni geniche, caratteristicamente associate alle leucemie acute, e le mutazioni dei geni coinvolti nella via RAS riscontrate nelle JMML; verosimilmente rappresenterebbero cofattori del processo di leucemogenesi. Per quanto riguarda il nostro caso, il paziente è sotto controllo clinico periodico e sono in corso ulteriori indagini per caratterizzare la traslocazione e i possibili geni implicati. Bibliografia 1. Koike K, Matsuda K. Recent advances in the pathogenesis and management of juvenile myelomonocytic leukaemia. Br J Haematol 2008;141:567-75. 2. Loh ML, Sakai DS, Flotho C, Kang M, Fliegauf M, Archambeault S, Mullighan CG, Chen L, Bergstraesser E, BuesoRamos CE, Emanuel PD, Hasle H, Issa JP, van den Heuvel-Eibrink MM, Locatelli F, Stary J, Trebo M, Wlodarski M, Zecca M, Shannon KM, Niemeyer CM. Mutations in CBL occur frequently in juvenile myelomonocytic leukemia. Blood 2009;114:1859-63. 3. Morerio C, Acquila M, Rosanda C, Rapella A, Dufour C, Locatelli F, Maserati E, Pasquali F, Panarello C. HCMOGT-1 is a novel fusion partner to PDGFRB in juvenile myelomonocytic leukemia with t(5;17)(q33;p11.2). Cancer Res 2004;64:2649-51. 4. Buijs A, Bruin M. Fusion of FIP1L1 and RARA as a result of a novel t(4;17)(q12;q21) in a case of juvenile myelomonocytic leukemia. Leukemia 2007;21:1104-8. 5. Mizoguchi Y, Fujita N, Taki T, Hayashi Y, Hamamoto K. Juvenile myelomonocytic leukemia with t(7;11)(p15;p15) and NUP98-HOXA11 fusion. Am J Hematol 2009;84:295-7. [page 14] IL LINFOMA ANAP LASTICO A GRANDI CELLULE CO N LO CALIZZAZIO NE S NC: RISULTATI DEL PRO TOCOLLO NAZIONALE AIEOP LNH 97 M. Pillon,1 F. Gregucci,1 E. Carraro,1 A. Lombardi,2 N. Santoro,3 M. Piglione,4 A. Sala,5 G. Franceschetto,1 R. De Santis,6 F. Casale,7 M. Zecca,8 L. Lo Nigro,9 A. Garaventa,10 R. Mura,11 C. Consarino,12 P. Tamaro,13 L. Mussolin,1 A. Rosolen1 per il GdL AIEOP LNH. 1Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova; 2Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 3Dipartimento di Pediatria, Università di Bari, Bari; 4Dipartimento Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza, Oncoematologia Pedia trica Ospedaliera, Torino; 5Ospedale San Gerardo, Università Milano-Bicocca, Monza; 6Oncoematologia Pediatrica, S.G. Rotondo, Foggia; 7Oncoematologia Pediatrica, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli; 8Clinica Pediatrica, Policlinico S.Matteo, Pavia; 9Oncoemato logia Pediatrica, Catania; 10Ospedale Pediatrico G.Gaslini, Genova; 11Onco ematologia Pediatrica, Patologia della Coagulazione, Cagliari; 12Dipartimento di Pediatria, Università di Catanzaro, Catanzaro; 13Oncoematologia Pediatrica, Università di Trieste, Trieste, Italia Introduzione. Il linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL) con localizzazione al sistema nervoso centrale (SNC), pur costituendo un’evenienza rara, ha una prognosi sfavorevole in termini di sopravvivenza globale (OS) e libera da malattia (EFS), in linea con quanto già osservato per la leucemia acuta. Scopo del lavoro è la descrizione della prevalenza, delle caratteristiche cliniche e biologiche, e l’analisi della sopravvivenza di questi pazienti trattati nel gruppo ad alto rischio del protocollo nazionale AIEOP LNH-97. Materiali e metodi. Da 10/1997 a 02/2007 sono stati arruolati nel protocollo AIEOP LNH-97 32 pazienti con nuova diagnosi di ALCL di età inferiore ai 18 anni. Stadio secondo St. Jude: II 8, III 14, IV SNC neg 3, IV SNC pos 7. Il protocollo AIEOP LNH-97 prevedeva un trattamento diversificato per 3 gruppi di rischio (R1-R2-R3), suddivisi in base a stadio, resecabilità della malattia, sede, istologia. In particolare, il trattamento per il gruppo di rischio R3 con interessamento SNC consisteva in una prefase, seguita da 6 cicli di chemioterapia di 5 giorni ciascuno, di cui 4 basati sull’uso di Methotrexate ad alte dosi (5 [Pediatric Reports 2011; 3:s1] gr/mq) e 2 sulla somministrazione di Citarabina ad alte dosi (3 gr/mq x 4 somministrazioni). Il protocollo non prevedeva radioterapia craniale, ma la somministrazione di 3 rachicentesi a giorni alterni ad ogni ciclo, più una nella prefase. Risultati. Complessivamente, per tutti i pazienti trattati nel protocollo, la OS e la EFS a 5 anni era pari a 87% (SE 6%) e a 68% (SE 8%), rispettivamente. I pazienti SNC positivi (5 M/2 F, età mediana 9 anni) avevano una sopravvivenza inferiore rispetto ai pazienti SNC negativi alla diagnosi (25 casi), sia in termini di OS [71% (17%) vs 92% (6%), P=0.29] che di EFS [57% (19%) vs 71% (9%), P=0.51]. L’interessamento del SNC alla diagnosi nei 7 pazienti era la seguente: 3/7 blasti nel liquor, 2/7 massa intracranica, 1/7 coinvolgimento oculare, 1/7 massa intracranica e coinvolgimento liquorale e dei nervi cranici. Tutti avevano un interessamento combinato anche di altre sedi linfonodali e/o extralinfonodali alla diagnosi e in due era presente anche un coinvolgimento del midollo osseo (BM). Alla diagnosi il valore di LDH mediano era 725 IU/L mentre l’analisi immunofenotipica mostrava: 5/7 tipo T, 1/7 tipo Null e 1/7 non noto. All’analisi immunoistochimica, 4/7 pazienti presentavano positività per la proteina chimerica ALK, 2/7 erano negativi e 1/7 non valutabile. Nei 4 pazienti ALK+ è stata ricercata la presenza della traslocazione t(2;5)(p23;q35) mediante RT-PCR per NPM-ALK nel prelievo bioptico della massa tumorale e in tutti è risultata positiva. NPM-ALK è stato successivamente ricercato nel midollo e nel liquor ed è risultato positivo in 1/4 pazienti a livello del liquor, e in 3/4 a livello midollare. In totale, la remissione completa (RC) è stata ottenuta in 6/7 casi, mentre un paziente ha presentato progressione di malattia senza mai raggiungere la RC. Sono state registrate 2 ricadute isolate al SNC, rispettivamente dopo 0.5 e 0.7 anni dalla diagnosi, in due pazienti rispettivamente ALK+ (NPMALK positivo su BM e liquor) e ALK-. In questo gruppo di pazienti SNC+, 2/7 sono deceduti per PM, mentre 5/7 sono vivi, 2 di essi dopo trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Conclusione. La localizzazione al SNC è rara nel ALCL. La nostra casistica ha registrato un numero relativamente elevato di pazienti SNC positivi (22%), che rimane comunque un numero esiguo per trarre conclusioni sul valore prognostico del coinvolgimento del SNC alla diagnosi. Ciò che emerge dall’analisi statistica è che la EFS è peggiore nei pazienti con questa presentazione rispetto ai pazienti senza interessamento SNC alla diagnosi. Visti i recenti lavori pubblicati in merito alla malattia minima ed al titolo anticorpale come fattori prognostici negativi AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 nell’ALCL, è auspicabile un approfondito studio dei markers biologici su casistiche più ampie, per definire meglio i parametri prognostici sfavorevoli e disegnare trattamenti più mirati. LE DIVERS E FORME DI NEURO BLAS TO MA ME TAS TATI CO SO NO CARATTERIZZATE DA LIVELLI DI ES PRESS IONE DI TI RO SINA IDRO SSILASI SIGNIFICATIVAMENTE DIVE RS I Barbara Carlini,1 Stefano Parodi,2 Giovanni Erminio,2 Vera Morsellino,3 Riccardo Haupt,2 Alberto Garaventa3 Maria Valeria Corrias1 1Laboratorio di Oncologia, 2Sezione di Epidemiologia e Biostatistica e 3Dipartimento di Emato-Oncologia, Istituto Gian nina Gaslini, Genova. Introduzione. La presentazione clinica del neuroblastoma (NB) all’esordio è estremamente variabile, variando dalle forme localizzate (stadi 1, 2 e 3) alla forma metastatica (stadio 4). Mentre la prognosi per le forme localizzate è buona, quella della forma metastatica varia a seconda dell’età del paziente alla diagnosi e, nel caso dei bambini al di sotto di un anno di età alla diagnosi, dalla localizzazione delle metastasi. Precisamente secondo il Sistema Internazionale di Stadiazione del Neuroblastoma (1) nei bambini sotto l’anno si identifica uno stadio 4S (S per speciale) caratterizzato da metastasi limitate a cute fegato e midollo osseo, con infiltrazione inferiore al 10%. Questa forma di malattia metastatica è associata ad alta frequenza di regressione spontanea ed a buona prognosi con nessun o pochi interventi terapeutici. La prognosi dei bambini con stadio 4 sotto l’anno di età è anch’essa buona, ma richiede interventi terapeutici più importanti. Al contrario la prognosi dei bambini con stadio 4 sopra l’anno di età alla diagnosi è pessima nonostante interventi terapeutici multi modali ed aggressivi. I meccanismi responsabili per queste profonde differenze nel comportamento clinico del NB metastatico in relazione all’età alla diagnosi sono per la maggior parte ignoti. Poiché per definizione nei bambini sotto l’anno gli stadi 4S hanno una infiltrazione midollare più bassa degli stadi 4, abbiamo voluto verificare se nei bambini con stadio 4 il livello di infiltrazione fosse più basso in quelli sotto l’anno rispetto a quelli sopra l’anno d’età alla diagnosi. Per poter rispondere a questa domanda abbiamo utilizzato l'analisi molecolare (RT-qPCR) per marcatori NB-specifici, che essendo una metodica quantitativa e molto sensibile potrebbe migliorare la capacità diagnostica che attualmente si basa esclusivamente sull’analisi morfologica degli strisci midollare e delle biopsie ossee. Materiali e Metodi. Disegno dello studio. La coorte di pazienti oggetto di studio è stata selezionata tra i pazienti con stadio 4 e 4S, registrati nel Registro Italiano NB tra gennaio 2001 e giugno 2008, di cui erano disponibili campioni di midollo (BM) e sangue periferico (PB) all’esordio. Analisi molecolare dei marcatori NBspecifici. I campioni di BM e PB sono stati centralizzati presso il laboratorio di riferimento nazionale. L’RNA totale è stato estratto e retrotrascritto secondo metodica standardizzata (2). Il cDNA è stato quindi amplificato con i primers e probe specifici per β2-microglobulina (gene di riferimento) e per i marcatori NB-specifici Tirosina idrossilasi (TH), Double Cortin (DCX) e Phox2b per 40 cicli in triplicato. In ogni piastra sono stati inseriti opportuni controlli positivi e negativi ed i risultati dell’amplificazione sono stati elaborati secondo il metodo di Livak (3) ed espressi come valori relativi di espressione ( Cq). Analisi statistica. Le differenze nella distribuzione di variabili continue sono state analizzate mediante analisi di Mann-Whitney. La correlazione tra i livelli di espressione dei tre marcatori molecolari è stata stimata mediante analisi di Spearman. L’accuratezza diagnostica è stata valutata mediante le curve ROC. Risultati. Espressione di TH, DCX e Phox2b nei tre gruppi di pazienti di studio. I livelli di espressione dei tre marcatori NB-specifici sono risultati diversi nei campioni di midollo dei tre gruppi di pazienti con NB metastatico, mentre i livelli di espressione nel sangue periferico erano significativamente diversi nei bambini sotto l’anno rispetto a quelli sopra l’anno, ma sovrapponibili nei bambini sotto l’anno con stadio 4 o 4S. Le differenze tuttavia erano significative solo per il marcatore TH. L’espressione di Phox2b e DCX è risultata sovrapponibile sia nei campioni di BM sia di PB, come evidenziato dall’esistenza di una perfetta correlazione dei due risultati. L’analisi ROC ha confermato l’accuratezza diagnostica del marcatore TH nel classificare correttamente i pazienti. Associazione dell'espressione di TH e altre caratteristiche dei pazienti. I livelli di espressione di TH misurati nei campioni di BM e PB nei tre gruppi di pazienti con NB metastatico sono risultati indipendenti da tutti gli altri fattori prognostici noti. Tuttavia nei bambini sopra l’anno di età alla diagnosi i livelli di espressione di TH correlano non solo con la presenza di metastasi nel midollo ma anche con la presenza di metastasi scheletriche. Discussione. L’età è un importante fattore [Pediatric Reports 2011; 3:s1] prognostico nel NB e anche nella forma metastatica la prognosi è molto peggiore per i bambini sopra l’anno di età alla diagnosi di quella dei bambini sotto l’anno. Inoltre solo nei bambini sotto l’anno può presentarsi una forma metastatica particolare con ottima prognosi (4). Tuttavia, il perché l’età influisca pesantemente sulla prognosi rimane poco chiaro. In questo studio abbiamo dimostrato che i livelli di espressione del marcatore NBspecifico TH sono significativamente più alti nei bambini sopra l’anno rispetto ai bambini sotto l’anno d’età sia nei campioni di midollo sia di sangue periferico. Quindi i bambini con stadio 4 sotto l’anno hanno una espressione di TH intermedia tra i bambini stadio 4 sopra l’anno e quelli stadio 4S. I nostri dati sostengono pertanto l’utilità dell’analisi molecolare quantitativa per il marcatore TH quale valida alternativa all'analisi morfologica convenzionale, che al momento è l’unica riconosciuta dal Sistema di Stadiazione Internazionale del Neuroblastoma. Nei pazienti sotto l’anno di età alla diagnosi, l’analisi molecolare potrebbe consentire una più oggettiva classificazione dei pazienti con malattia metastatica a stadio 4 o 4S. Dato che i regimi terapeutici per questi due gruppi di pazienti sono notevolmente diversi una corretta classificazione ha importanti implicazioni cliniche, assicurando un trattamento terapeutico ai primi e risparmiando un trattamento potenzialmente tossico ai secondi. Recentemente, Benard e collaboratori (5) hanno dimostrato che i bambini con stadio 4S hanno un profilo di espressione genica particolare che li può discriminare dai bambini con stadio 4. L'analisi RT-qPCR per TH avrebbe però il vantaggio di essere una metodica standardizzata (2) di facile applicabilità in tutti i laboratori di riferimento nazionale. L’utilizzo di questa metodica quantitativa ed oggettiva consentirebbe di capire se la discrepanza nell’incidenza di pazienti sotto l’anno di età con stadio 4 e 4S in Nord America e Europa sia dovuto ad una diversa interpretazione della soglia di infiltrazione midollare (10%) da parte dei citomorfologi e/o patologi europei o statunitensi. I valori di espressione della TH sono risultati indipendenti da tutti gli altri fattori prognostici noti, inoltre nei bambini sopra l’anno i valori di espressione si associano non solo alla presenza di metastasi midollari ma anche alla presenza di metastasi ossee. È quindi possibile che l’espressione di TH sopra una certa soglia sia indice di una maggiore aggressività delle cellule neoplastiche, così come è stato dimostrato nel caso delle leucemie. Nel nostro studio gli altri due marcatori NB-specifici, Phox2b e DCX, non sono risultati superiori alla TH, né il loro utilizzo ha aggiun- [page 15] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 to alcun tipo di informazione, confermando una nostra precedente osservazione a sostegno della inutilità di effettuare analisi molecolari per più marcatori. In conclusione, l’introduzione dell’analisi molecolare per l’espressione di TH al momento della diagnosi di NB potrebbe consentire una più oggettiva stadiazione del paziente, un corretto confronto tra serie di pazienti e una maggiore comprensione del ruolo prognostico dell’infiltrazione nel midollo. Bibliografia 1. Brodeur GM, Pritchard J, Berthold F, et al. J Clin Oncol 1993;11:1466-77. 2. Viprey V, Corrias MV, Kagedal B, et al. Eur J Cancer 2007;43:341-50. 3. Livak KJ, Schmittgen TD. Methods 2001;25:402-8. 4. London WB, Boni L, Simon T, et al. Cancer Lett 2005;228:257-66. 5. Benard J, Raguenez G, Kauffmann A, et al. Mol Oncol 2008;2:261-71. E FFETTO DEI P OLIMO RFIS MI DEI GENI ABCC2, MTH FR E TYMS S ULLA TO SSICITÁ DA METHOTREXATE IN BAMBINI ONCO EMATO LOGI CI L. Palumbo,1 S Cavagnini,1 L.D. Notarangelo,1 V. Bennato,1 F. Schumacher,1 A. Panzali,2 D. Di Lorenzo,3 F. Porta1 1U.O. Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo – Presidio Ospedale dei Bambini – Spedali Civili di Brescia; 2III Laboratorio Analisi Chimico-Cliniche – Spedali Civili di Brescia; 3Laboratorio Biotecnologie – III Laboratorio Analisi – Spedali Civili di Brescia, Italia Il methotrexate è uno dei farmaci più impiegati nel trattamento dei tumori pediatrici e costituisce una delle principali cause di tossicità nel corso della chemioterapia. Il presente studio, pertanto, si è proposto di valutare l’esistenza di una correlazione tra determinati polimorfismi genetici e lo sviluppo di reazioni avverse al methotrexate, al fine di stabilire la presenza di evidenze sufficienti a supportare l’utilizzo di uno screening genetico mirato, nella fase di pianificazione del trattamento, per evitare l’evoluzione in un quadro clinico di tossicità. È stata valutata, inoltre, l’ipotetica correlazione tra eventi avversi al methotrexate e la concomitante assunzione di altri farmaci, la dose somministrata dell’agente antifolico e l’età del paziente al momento della diagnosi della patologia. I polimorfismi ricercati sono relativi ai geni ABCC2, MTHFR C677T, MTHFR A1298C e TYMS. In riferimento ad [page 16] ABCC2, il polimorfismo 24C>t situato nella regione 5’ non tradotta del gene sarebbe associato a una ridotta espressione di una proteina transmembrana deputata alla detossificazione cellulare del methotrexate (MRP2), quindi a una minor eliminazione dell’agente antifolico, con conseguente aumento del rischio di sviluppare eventi avversi. Il genotipo normale per ABCC2 è CC, il genotipo alterato in eterozigosi CT e il genotipo alterato in omozigosi TT. Una proteina codificata da un gene particolarmente polimorfico, avente un ruolo chiave nel metabolismo e nell’omeostasi dei folati, è la 5-10-metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR), indirettamente implicata nel meccanismo d’azione del methotrexate. I polimorfismi C677T e A1298C sono associati a una ridotta attività dell’enzima codificato, con conseguente alterazione della distribuzione intracellulare dei folati e sviluppo di una condizione di iperomocisteinemia, condizione potenzialmente letale, in quanto costituisce un fattore indipendente di rischio cardiovascolare e trombotico. Nel caso del polimorfismo C677T si ha una transizione da citosina a timina al nucleotide 677: tale variazione comporta la sostituzione di un’alanina in valina al codone 222 e interessa il sito catalitico della MTHFR. Il genotipo normale risulta essere CC, il genotipo alterato in eterozigosi CT e il genotipo alterato in omozigosi TT. Il polimorfismo A1298C è definito, invece, da una transversione di un’adenina in citosina al nucleotide 1298, con una sostituzione del glutammato con l’alanina al codone 429: tale variazione coinvolge un dominio regolatore della MTHFR. Il genotipo normale risulta essere AA, il genotipo alterato in eterozigosi AC e il genotipo alterato in omozigosi CC. In entrambi i casi, i polimorfismi determinano una riduzione dell’attività dell’enzima e un potenziamento del blocco del metabolismo dei folati indotto dal methotrexate. Altrettanto importante è il gene che codifica la timidilatosintetasi (TYMS), un enzima chiave nell’ambito della riproduzione cellulare, inibito direttamente dal methotrexate. Recenti studi hanno individuato a livello della regione enhancer del promotore del gene TYMS un polimorfismo, rappresentato da una variazione nel numero delle ripetizioni di una sequenza di 28 paia di basi. Pazienti omozigoti per la variante caratterizzata da 3 sequenze ripetute (3R/3R) presentano una maggior espressione e attività dell’enzima e tendono ad avere una minore probabilità di risposta al trattamento con methotrexate, rispetto a pazienti omozigoti per la variante con 2 sequenze ripetute (2R/2R) o eterozigoti (2R/3R). Inoltre, i pazienti omozigoti 3R/3R risultano avere, in seguito al trat- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] tamento con methotrexate, un maggior rischio di recidiva ed un beneficio inferiore in termini di sopravvivenza rispetto a pazienti portatori dell’allele 2R. L’analisi retrospettiva è stata condotta su 44 pazienti pediatrici, seguiti dal 2006 al 2011 presso l’U.O. Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo dell’Ospedale dei Bambini di Brescia. I pazienti presentavano al momento della diagnosi della malattia neoplastica un’età compresa tra 2 mesi e 15 anni; nell’80% dei casi erano di nazionalità italiana, nel 13% di nazionalità albanese e nel restante 7% di nazionalità indiana o marocchina. Nel 68% dei soggetti era stata posta diagnosi di leucemia linfoblastica acuta, nel 18% di linfoma, nel 7% di osteosarcoma e nel restante 7% di tumore embrionale. Durante una visita ambulatoriale, i pazienti sono stati sottoposti a un prelievo di sangue venoso periferico; i campioni sono stati conservati a 4°C fino al momento dell’estrazione del DNA, che è stata realizzata con metodica semiautomatica. In seguito si è proceduto con l’amplificazione del materiale genetico, il sequenziamento e l’identificazione dell’eventuale polimorfismo. In riferimento al gene ABCC2, il 70% dei pazienti ha presentato genotipo normale, il 25% genotipo alterato in eterozigosi e il 5% in omozigosi. Il 20% dei soggetti non ha mostrato alcuna variazione a livello del gene MTHFR C677T, mentre il 50% ha presentato un polimorfismo in eterozigosi e il 30% in omozigosi. Il gene MTHFR A1298C è risultato normale nel 57% degli individui, alterato in eterozigosi nel 37% e in omozigosi nel 6%. Il gene TYMS si è presentato normale nel 14% dei casi, polimorfico in eterozigosi nel 54% dei bambini e in omozigosi nel 32%. Dall’analisi delle cartelle cliniche è stato possibile comprendere il fenotipo, cioè il decorso clinico in seguito all’assunzione del methotrexate: nel 29,5% dei casi non si sono verificate complicanze e nel 70,5% è stato riscontrato un evento avverso. Nello specifico, il 56,8% dei pazienti ha presentato un evento da noi definito major, dovuto a un ritardo nell’eliminazione del methotrexate, indicato da valori ematici del farmaco >0.25 μmoli/L alla 48° ora trascorsa dall’inizio dell’infusione del methotrexate per via endovenosa; il 13,7% dei bambini ha mostrato un evento da noi definito severe, cioè un episodio di manifesta tossicità, a livello renale, neurologico, epatico o cutaneo. La valutazione del genotipo e del fenotipo dei pazienti che hanno presentato un evento avverso (70,5%) ha permesso di evidenziare le seguenti correlazioni: il gene ABCC2 è risultato normale nel 50% dei soggetti e alterato nel restante 20,5%; il gene MTHFR C677T si è presentato normale nel 20,5% dei pazien- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 ti e polimorfico nel 50%; il gene MTHFR A1298C si è mostrato normale nel 34% dei bambini e alterato nel 36.5%; il gene TYMS è risultato normale nel 6,9% degli individui e polimorfico nel 63.6%. Data la complessità della chemioterapia somministrata ai nostri pazienti, per coloro in cui si è verificato un evento severe in seguito alla somministrazione del methotrexate, è stata valutata la concomitante assunzione di altri farmaci, in particolar modo di 6-mercaptopurina, trimetoprim/sulfametoxazolo, amoxicillina/ acido clavulanico, desametasone, associati a un maggior rischio di tossicità. Nella nostra casistica non è stata riscontrata tale correlazione. È stata valutata, inoltre, l’associazione tra la dose del methotrexate assunta per via endovenosa e l’evoluzione verso un evento major o severe. Nel 44% dei casi gli eventi major si sono presentati nei pazienti in cui sono stati somministrati 2 g/m2 di methotrexate; nel 36% in seguito all’assunzione di 5 g/m2; nell’8% in bambini che avevano precedentemente assunto 8 g/m2; nella restante percentuale dei casi in seguito alla somministrazione di 1 g/m2 (4%), 3 g/m2 (4%) e 12 g/m2 (4%). Nel 66% dei casi gli eventi severe si sono manifestati nei pazienti che avevano assunto 5 g/m2 di methotrexate; nel restante 34% in seguito alla somministrazione di 2 g/m2. Relativamente all’età di diagnosi della neoplasia, gli eventi major sono stati più frequenti nei pazienti di età compresa tra 4 ed 6 anni, mentre gli eventi severe si sono presentati soprattutto tra 9 e 14 anni. In conclusione, l’analisi dei nostri dati ha confermato l’esistenza di una correlazione statisticamente significativa per il rischio di tossicità al methotrexate nei pazienti con alterazioni a carico di MTHFR C677T e TYMS. Inoltre, gli eventi major si sono mostrati più frequenti nei soggetti di età inferiore a 6 anni, in terapia con un dosaggio di methotrexate pari a 2 g/m2; mentre gli eventi severe si sono presentati maggiormente in bambini più grandi (9-14 anni), ai quali sono stati somministrati 5 g/m2 di methotrexate. Tali risultati suggeriscono la somministrazione di una terapia personalizzata, scelta in base al patrimonio genetico di ogni paziente: l’auspicio, infatti, è che lo screening genetico di MTHFR C677T e TYMS venga applicato nella pratica clinica, al fine di evitare lo sviluppo di eventi avversi al methotrexate. Bibliografia 1. Rau T, Erney B, Gores R, Eschenhagen T, Beck J, Langer T. High-dose methotrexate in pediatric acute lymphoblastic leukemia: impact of ABCC2 polymor- phism on plasma concentrations. Clin. Pharmacol. Ther. 80: 468-476; 2006. 2. Chiusolo P, Reddiconto G, Casorelli I et al. Preponderance of methylenetetrahydrofolate reductase C677T homozigosity among leukemia patients intolerant to methotrexate. Ann. Oncol. 2002; 13:1915-1918. 3. Krajinovic M, Costea I, Chiasson S. Polymorphism of the thymidylate synthase gene and out come of acute lymphoblastic leukemia. Lancet 359:10331034;2002. ATTI VI TA’ ANTI-TUMORALE IN VITRO ED IN VIVO DI CELLULE CITOTOS SICH E EBV-SP ECIFICHE (EBV-CTL) CONTRO LA LE UCEMI A MIELO IDE ACUTA (AML) CD33 + V. Marin,1* A. Dutour,2** S. ValsesiaWittmann,2 D. Lee,3 E Yvon,4 H. Finney,5 A Lawson,5 M. Brenner,4 R. Rousseau,6** E. Biagi1** 1Centro Ricerca “M.Tettamanti”, Clinica Pediatrica, Università Milano Bicocca, Monza, Italia, 2INSERM U590/Equipe Cytokines et Cancer- Centre Léon BérardLione, Francia, 3Pediatrics, Cell Therapy Section, The University of Texas M. D. Anderson Cancer Center, Houston, TX (USA), 4Center for Cell and Gene Therapy, Texas Children’s Cancer Center, Baylor College of Medicine, 5UCB Celltech, 216 Bath Road, Slough, Berkshire SL1 3WE, United Kingdom, 6Université Claude Bernard, Lione, Francia *V Marin ed A Dutour hanno contribuito equamente al lavoro **E Biagi e R Rousseau condividono la last authorship Introduzione. La modificazione genica di cellule T con recettori chimerici (CAR) è una strategia promettente per il trattamento dei tumori. Con questo approccio infatti, è possibile ampliare il range di antigeni da utilizzare per lo sviluppo di approcci di immunoterapia adottiva di cellule T ed inoltre i maggiori meccanismi di evasione tumorale vengono elusi.1 Abbiamo applicato questa strategia per ridirezionare cellule citototossiche specifiche per virus Esptein Barr (EBV-CTL) contro l’antigene CD33 per bersagliare la leucemia mieloide acuta (AML). Tali cellule hanno mostrato risultati clinici molto soddisfacenti2 e più recentemente uno studio clinico di fase I in pazienti con neuroblastoma, ha supportato l’utilizzo degli EBV-CTL anche in seguito a modificazione genica con CAR, grazie alla loro persistenza a lungo termine in vivo, sostenuta dalla ristimolazione fisiologica fornita dalle cellule presentanti antigeni EBV.3 Materiali e metodi. EBV-CTL sono stati ottenuti dalle cellule mononucleate del sangue periferico di 6 donatori sani mediante ristimolazione in vitro con [Pediatric Reports 2011; 3:s1] linee cellulari linfoblastoidi autologhe (LCL) e IL-2 secondo un protocollo standard. Il giorno dopo la terza stimolazione gli EBV-CTL sono stati trasdotti con i vettori retrovirali codificanti il CAR antiCD33-ζ ed il CAR anti-CD33-CD28-OX-40-ζ. Le cellule sono state quindi analizzate per valutare l’efficienza di trasduzione mediante marcatura con anticorpo specifico per la porzione CH2-CH3 del CAR e per analizzare l’attività funzionale in vitro (saggi di citototossicità di rilascio di 51Cromo a 4 ore contro LCL autologhe e linea cellulare KG-1; Elispot per IFN-γ e Granzima B dopo stimolazione con LCL e KG-1 irradiate) ed in vivo, in un modello murino di AML umana, in cui topi NOD/SCID sono stati iniettati sottocute con la linea cellulare AML-10 trasdotta con Firefly luciferasi per essere successivamente sottoposti a 4 iniezioni/settimana intravena di EBV-CTL trasdotti con CAR anti-CD33 e monitorati per la crescita tumorale mediante bioluminescenza. Risultati: abbiamo dimostrato che gli EBV-CTL possono essere efficientemente modificati con i CAR anti-CD33 (percentuale media di cellule esprimenti CAR pari a 35%±4% (n=6) e 41%±6% (n=6) rispettivamente per CAR anti-CD33-ζ e CAR anti-CD33-CD28-ζ). Gli EBV-CTL geneticamente modificati con CAR antiCD33 mostrano doppia specificità in vitro, con una potente attività litica contro bersagli esprimenti l’antigene EBV (LCL) simile alle cellule non manipolate (lisi media a rapporti effettore:target 50:1 pari a 40%±7%, 44%±6% e 48%±7% rispettivamente per EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33-ζ, CAR anti-CD33-CD28-ζ ed EBV-CTL non manipolati) e contro la linea cellulare esprimente CD33 KG-1, significativamente maggiore rispetto alle cellule non manipolate (lisi media a rapporti effettore:target 50:1 pari a 39%±5%, 44%±6% e 5%±3%; n=6, rispettivamente per EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33ζ, CAR anti-CD33-CD28-ζ ed EBV-CTL non manipolati). Tale doppia specificità è stata confermata anche valutando il rilascio di IFN-γ e Granzima B in seguito a stimolazione con LCL e KG-1. Mentre nel primo caso il rilascio di IFN-γ e Granzima B è risultato analogo tra EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33 ed EBV-CTL non trasdotti, nel secondo caso, abbiamo riscontrato un aumento medio di cellule formanti spot -SFC-/105 cellule per l’IFN-γ pari a 10 e 18; n=6, rispettivamente per EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33-ζ e CAR anti-CD33-CD28-ζ rispetto ad EBVCTL non manipolati ed un aumento medio di SFC/105 cellule per Granzima B pari a 14 e 23; n=6, rispettivamente per EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33-ζ e CAR anti-CD33-CD28-ζ rispetto ad EBVCTL non manipolati. Inoltre, abbiamo osservato che gli EBV-CTL esprimenti il [page 17] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 CAR anti-CD33-ζ iniettati nei topi NODSCID con AML, sono stati in grado di raggiungere il tumore ed esercitare attività anti-tumorale in vivo, con inibizione della crescita tumorale pari al 43% confrontata con il 12% dei topi trattati con EBV-CTL non manipolate. La presenza del dominio costimolatorio CD28 nel CAR anti-CD33 non ha potenziato l’attività litica in vitro degli EBV-CTL né quella antitumorale in vivo, con un’inibizione della crescita tumorale pari al 20%. Conclusioni. l’utilizzo di EBV-CTL esprimenti CAR anti-CD33 rappresenta uno strumento promettente per fornire un beneficio terapeutico ai pazienti con AML in cui le terapie convenzionali falliscono. Studi addizionali sono necessari per individuare quali domini intracellulari siano in grado di ottimizzare ulteriormente la funzionalità antitumorale degli EBV-CTL trasdotti con CAR. Bibliografia: 1. Biagi E, Marin V, Giordano Attianese G, Dander E, D’Amico G, Biondi A. Chimeric T-cell receptors: new challenges for targeted immunotherapy of hematological malignancies. Hematologica, 2007;92:381-388. 2. Heslop HE, Slobod KS, Pule MA, et al., Long-term outcome of EBV-specific Tcell infusions to prevent or treat EBVrelated lymphoproliferative disease in transplant recipients. Blood, 2010. 115(5): p. 925-935. 3. Pule MA, Savoldo B, Myers GD, et al., Virus-specific T cells engineered to coexpress tumor-specific receptors: persistence and antitumor activity in individuals with neuroblastoma. Nat Med, 2008. 14(11): p. 1264-1270. CO NFRO NTO DI DIVERSE STRATEGI E DI GENE SUICIDA PER IL MI GLIORAMENTO DEL PROFILO DI S ICUREZZA DE LLE CELLULE T GENETICAMENTE MO DIFICATE PER L’IMMUNOTERAP IA CELLULARE ADO TTIVA V. Marin,1 I. Pizzitola,1 E. Cribioli,1 A. Biondi,1 E. Biagi,1 M. Pule2 1Centro Ricerca “M.Tettamanti”, Clinica Pediatrica, Università Milano Bicocca, Monza, Italia e 2Dipartimento di Emato logia, University College London, London, United Kingdom Introduzione. l’immunoterapia adottiva con cellule T geneticamente modificate con TCR esogeni o recettori chimerici potrebbe essere associata alla manifestazione di eventi tossici, scatenati dalla possibile reattività delle cellule T contro i tessuti sani o dalla eventuale mutagenesi inserzionale conseguente all’utilizzo di vettori retrovirali per la manipolazione [page 18] genica delle cellule T1. Quindi si rende necessario co-esprimere un gene suicida nel vettore virale utilizzato per modificare geneticamente le cellule T, che possa rendere le cellule T suscettibili all’azione di uno specfico pro-farmaco, quindi selettivamente eliminabili in caso manifestino tossicità una volta infuse1. Sinora sono state indagate diverse strategie suicida, basate sull’ utilizzo di timidina chinasi derivata da Herpes Simplex virus (HSV-TK)2 caspasi 9 inducibile (iCasp9)3, timidilato chinasi umana mutata (m-TMPK)4 e CD205. Tuttavia è difficile confrontare i risultati riportati in letteratura dai diversi gruppi di ricerca che si sono concentrati sui singoli modelli di geni suicida, a causa della inevitabile mancanza di uniformità nelle procedure sperimentali utilizzate. Pertanto, lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare le differenti strategie di gene suicida descritte in letteratura in un modello in vitro di cellule citotossiche specifiche per il virus Epstein Barr (EBV-CTL). I risultati ottenuti consentiranno una migliore definizione della strategia suicida ottimale da utilizzare al fine di aumentare il profilo di sicurezza e quindi l’applicabilità clinica dei linfociti T per i protocolli di immunoterapia adottiva. Materiali e metodi. i geni codificanti la timidina chinasi di Herpes Simplex Virus Thymidine Kinase (HSV-TK)2, la caspasi 9 umana inducibile (iCasp9)3, la timidilato chinasi umana mutata (mTMPK) 4 e il CD20 umano5 sono stati individualmente clonati nel vettore retrovirale SFG, in sequenza al gene codificante per l’antigene CD34 troncato (dCD34), utilizzato come marcatore di trasduzione e selezione, separati dal peptide 2A, che consente l’espressione equimolare del gene suicida e del gene marcatore. È stato generato inoltre un vettore di controllo codificante solo per l’antigene dCD34. Tali costrutti sono stati quindi impiegati per trasdurre gli EBV-CTL, che sono stati sottoposti ad estensive analisi fenotipiche e funzionali. In primo luogo è stata valutata, mediante immunofenotipo, l’efficienza di traduzione. Quindi sono state indagate eventuali alterazioni nelle caratteristiche fisiologiche degli EBV-CTL, dovute alla procedura di modificazione genica o all’espressione dei geni suicida, mediante analisi del fenotipo, dell’espansione in vitro, della citotossicità contro le linee linfoblastoidi cellulari (LCL) autologhe valutata mediante saggi di citotossicità di rilascio di 51Cromo contro LCL autologhe e allogeniche,e del rilascio di IFN-γ, valutato mediante citofluorimetria, in seguito a stimolazione con cellule LCL irradiate. Infine è stata indagata l’attività funzionale dei diversi geni suicida valutando innanzitutto la loro cinetica di atti- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] vazione, mediante analisi citofluorimetrica della quota di cellule CD34+ residue a diversi tempi dopo la somministrazione dello specifico pro-farmaco (rispettivamente 1, 4 o 7 giorni), quindi l’induzione di apoptosi dopo 24 ore di incubazione con il corrispettivo pro-farmaco, mediante marcatura con AnnessinaV e 7AAD, ed infine l’effetto sulla capacità replicativa degli EBV-CTL trasdotti in seguito al trattamento farmacologico. Risultati. gli EBV-CTL sono stati efficientemente trasdotti con i costrutti retrovirali codificanti per iCasp9-2A-dCD34, HSV-TK-2A-dCD34, mTMPK-2A-dCD34 e CD20-2A-dCD34 (% media di cellule CD34+, 80%, n=5) totalmente paragonabile con la percentuale media di trasduzione ottenuta con il vettore controllo dCD34, pari a 85%±5%. L’espressione del gene marcatore dCD34 è risultata essere stabile nel tempo fino a tre settimane di coltura. Inoltre, l’espressione del gene suicida non ha causato alterazioni delle caratteristiche fisiologiche degli EBVCTL, in particolare del tasso di espansione delle cellule in coltura, del loro immunofenotipo, con tipica espansione delle cellule CD3+CD8+, della loro capacità di rispondere agli antigeni EBV presentati dalle cellule LCL autologhe e della capacità di rilasciare IFN-γ dopo stimolazione con LCL, con simili valori tra cellule trasdotte e cellule non trasdotte. Per valutare la cinetica d’azione dei diversi geni suicidi, gli EBV-CTL trasdotti con i diversi geni suicida sono stati incubati con i rispettivi pro-farmaci, alle concentrazioni ottimali precedentemente stabilite. Dopo solo 24 ore di incubazione, si è osservata una significativa riduzione della quota di cellule CD34+ residue nella cellule trasdotte con iCasp9-2A-dCD34 dopo somministrazione dell’Induttore Chimico di Dimerizzazione -CID- (media di sopravvivenza pari a 11%±3% dopo 24 ore, 5%±1% dopo 7 giorni; n=7). Le cellule trasdotte con il costrutto HSV-TK-2AdCD34 trattate con Ganciclovir hanno mostrato risultati simili a quelli ottenuti con iCasp9-2A-dCD34, ma a tempi di incubazione più lunghi (dopo 4 giorni); i costrutti mTMPK-2A-dCD34 e CD20-2AdCD34 a tutti i time point analizzati hanno mostrato un’efficacia minore nell’indurre morte cellulare (media di sopravvivenza dopo 7 giorni di incubazione pari rispettivamente a 32% ±10%e 84%±7%; n=5). Gli stessi risultati sono stati ottenuti analizzando l’induzione di apoptosi precoce e tardiva attraverso marcatura con Anessina V e 7-AAD: dopo incubazione con il CID, le cellule trasdotte con il costrutto iCasp9-2A-dCD34 hanno raggiunto livelli di apoptosi quasi del 100%, mentre, con gli altri costrutti suicida, sono stati ottenuti valori significativamente più bassi. Infine, quando è AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 stata valutato l’effetto dell’attivazione di ciascun gene suicida sulla capacità replicativa degli EBV-CTL mantenuti in coltura dopo una singola somministrazione di pro-farmaco attivatore, si è osservato che già dopo 1 giorno dal trattamento, le cellule trasdotte con iCasp9-2A-dCD34 hanno mostrato un’inibizione sostanziale e significativamente maggiore della crescita cellulare rispetto alle cellule trasdotte con gli altri costrutti, con un tasso di espansione medio rispetto al giorno 0 di 0.2±0.1 (n=4), contro 0.5±0.1 di HSVTK-2A-dCD34, 0.6±0.1 di mTMPK-2AdCD34 e 0.9±0.1 di CD20-2A-dCD34. Conclusioni. Dai risultati ottenuti emerge che la strategia suicida più promettente, al fine di assicurare un significativo aumento del profilo di sicurezza dell’immunoterapia cellulare adottiva, prevede l’utilizzo di iCasp9, la quale presenta la cinetica d’azione più rapida con la maggiore efficacia, caratteristica che consentirebbe l’eliminazione tempestiva delle cellule infuse nel caso esse siano responsabili di effetti tossici nei confronti dei tessuti sani. Inoltre, è utile considerare che iCasp9 è una proteina di origine umana, quindi non immunogenica, caratteristica che previene l’eliminazione precoce delle cellule trasdotte dal circolo. Infine, a supporto della possibile applicabilità clinica di iCasp9 vi è la nota mancanza di effetti collaterali dimostrati nell’utilizzo di CID. Bibliografia 1. Brenner MK, Okur FV. Overview of gene therapy clinical progress including cancer treatment with gene-modified T cells. Hematology Am Soc Hematol Educ Program. 2009:675-681. 2. Bonini C, Ferrari G, Verzeletti S, et al. HSV-TK gene transfer into donor lymphocytes for control of allogeneic graftversus-leukemia. Science. 1997;276: 1719-1724. 3. Straathof KC, Pule MA, Yotnda P, et al. An inducible caspase 9 safety switch for T-cell therapy. Blood. 2005;105:42474254. 4. Sato T, Neschadim A, Konrad M, Fowler DH, Lavie A, Medin JA. Engineered human tmpk/AZT as a novel enzy me/prodrug axis for suicide gene therapy. Mol Ther. 2007;15:962-970. 5. Introna M, Barbui AM, Bambacioni F, et al. Genetic modification of human T cells with CD20: a strategy to purify and lyse transduced cells with anti-CD20 antibodies. Hum Gene Ther. 2000;11: 611-620. RUO LO DELLE VI E DI TRASDUZIO NE DEL SEGNALE PRO-SOP RAVVIVENZA NELLA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA AD ALTO RI SCHI O P ER I DENTIFICARE NUOVI TARGET TERAP EUTICI A. Iannotta, V. D'Angelo, M. Ramaglia, M. Di Martino, G. Pecoraro, D. Di Pinto, S. Perrotta, G. Gualdiero, P. Indolfi, F. Casale Seconda Università Degli Studi Di Napoli, Dipartimento di Pediatria "F.Fede", Servizio di Oncoematologia Pediatrica, Italia Introduzione. La leucemia origina da cellule emopoietiche che perdono la loro capacità di differenziarsi in cellule mature del sangue. La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) è la più comune leucemia dell’età pediatrica ed è causata da meccanismi eziopatogenetici multifattoriali oltre che da una alterata espressione dei geni dovuta in parte a traslocazioni cromosomiche. Nella quasi totalità dei casi si ottiene la remissione completa ma ancora oggi circa il 30% dei pazienti, soprattutto ad alto rischio, sviluppa recidiva da resistenza alla chemioterapia. È ormai noto che gli ossidanti giocano un ruolo nei diversi stadi della carcinogenesi e che i prodotti di specie reattive dell’ossigeno rappresentano un evento inevitabile nelle cellule che utilizzano un metabolismo aerobico per la produzione di energia. Dati evidenti hanno dimostrato che disturbi del metabolismo dello stress ossidativo sono frequenti nelle cellule tumorali trasformate. Le cellule leucemiche producono un’alta percentuale di specie reattive dell’ossigeno rispetto alle cellule non leucemiche, fisiologicamente in uno stato di blocco ossidativo. Tale caratteristica determina nelle cellule leucemiche alterazioni degli agenti antiossidanti con conseguente alterazione delle proteine coinvolte nella via di trasduzione del segnale alla base di funzioni fondamentali quali l’apoptosi, la proliferazione e la sopravvivenza. Attualmente le vie di trasduzione più interessanti e pertanto più studiate riguardano il pathway di AKT/mTOR e delle Map chinasi come ERK, analizzate soprattutto in pazienti ad alto rischio di resistenza alla chemioterapia e quindi a maggiore probabilità di sviluppare recidiva. Inoltre queste vie di segnalazione sono i principali target della terapia innovativa che prevede l’uso di piccole molecole inibitorie. Esistono, inoltre, una serie di stress cellulari quali lo shock termico, l’ipossia, lo stress ossidativo, l’ipoglicemia e la luce ultravioletta capaci di determinare aumento dell’attività di AKT. Tale fenomeno d’iperattivazione stress-indotto risulta di particolare inte- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] resse in quanto indotto dalle cellule come meccanismo compensativo per evitare la morte. Diversi studi hanno dimostrato che le cellule tumorali presentano un’ attivazione costitutiva di AKT e di ERK, tra cui AKT di maggiore interesse nelle neoplasie in quanto coinvolto sia nell’inibizione dell’apoptosi sia nel promuove la proliferazione cellulare attraverso mTOR. Per tale motivo attualmente vi è uno sviluppo clinico di molti composti che hanno come bersaglio l’asse di sopravvivenza PI3K/AKT/mTOR; in particolare sono state sviluppati inibitori di PI3K, AKT ed mTOR, sia allosterici (rapamicina e derivati) che del sito catalitico. L’obiettivo del nostro studio è stato quello di analizzare nelle LLA, la proliferazione spontanea in vitro nell’ottica di valutare un potenziale sbilanciamento nelle vie di segnalazione pro sopravvivenza e definire i meccanismi alla base della leucemogenesi. In particolare, lo studio sarà focalizzato sulla modulazione delle vie di trasduzione del segnale di AKT/mTOR , MEK/ERK1/2 e la famiglia dei trasduttori del segnale e attivatori della trascrizione STAT in linee cellulari di leucemie linfoblastiche acute (Jurkat e MHH-CALL2) e in blasti leucemici di pazienti affetti da LLA ad alto rischio. Inoltre lo studio prevede anche la modulazione nell’attivazione delle proteine cruciali ad ogni via di trasduzione del segnale e la loro influenza sulla proliferazione spontanea per valutare la reazione allo stress ossidativo delle cellule leucemiche prima e dopo trattamento con inibitori di AKT, mTOR e con una isoforma di Manganese superossido dismutasi (MnSOD). Materiali e Metodi. Studi in vitro: Jurkat , MHH-CALL2 e blasti leucemici separati da sangue midollare di bambini affetti da LLA a B e T cell ad alto rischio sono state coltivate in RPMI + siero 10% + PENSTREP 1%. a) TEST DI PROLIFERAZIONE: i test di vitalità e di proliferazione. (Conta cellulare, Trypan Blue e test di proliferazione con MTT) sono stati eseguiti ogni 24 ore e dopo trattamento con gli inibitori e con MnSOD. Le cellule, dopo 72h di crescita spontanea, sono state incubate per 5h con rMnSOD e con gli inibitori di AKT(LY294002) e di mTOR(CCI-779) a concentrazioni scalari (20-0.2ug/ml) e valutata la percentuale di inibizione. b) WESTERN BLOTTING: Sono state estratte le proteine dai blasti leucemici, sia in vivo che in vitro. 30 µg di proteine sono state separate con elettroforesi SDSPage e trasferite su membrana di PVDF. L'immunoblotting è stato eseguito usando anticorpi anti pSer 473 di AKT e anti pERK e anti pmTOR (phospho S2448) e visualizzati con sistema chemil uminescente (ECL). c) ELISA: Le proteine della famiglia STAT sono state rilevate mediante Kit TransAM. È stato utilizzato un anticorpo [page 19] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 primario che riconosce un epitopo specifico di STAT 3 (N-terminale, 50-240 aa) e di STAT 5a (C-terminale, 775-794 aa), a cui si lega un Ab 2° coniugato con perossidasi (HRP), formando così un immunocomplesso che fornisce una sensibile lettura colorimetrica quantificabile allo spettrofotometro. d) IMMUNOCITOCHIMICA: le proteine studiate sono state analizzate, per l’analisi qualitativa, su vetrino di mieloaspirato utilizzando un sistema rivelatore in perossidasi (ImmunoCruz Staining). e) MICROSCOPIO ELETTRONICO (TEM): tale metodica è stata utilizzata, dopo trattamento, per valutare la morfologia e le alterazioni cromatiniche relative all’induzione dell’apoptosi eventualmente presente. Risultati preliminari. Dai dati preliminari ottenuti su blasti leucemici di 80 campioni si evince che STAT 3 è risultata espressa nella forma attiva fosforilata in 67/80 campioni con valore medio 0,93 µg/µL (IC 95% 0,74-1,11) mentre STAT 5a è presente nella forma attiva fosforilata in 63/80 campioni con valore medio di 1,38 µg/µL (IC 95% 1,05-1,71) con una prevalenza nei campioni ad alto rischio (36/40 e 33/40 rispettivamente). Relativamente al pathway PI3/AKT è stata evidenziata una fosforilazione costitutiva alla diagnosi in 52/80 campioni con una prevalenza di alto grado di fosforilazione nei campioni ad alto rischio (33/40). L’analisi di pERK, nel sottogruppo di LLA a cellule T, ha evidenziato una costitutiva fosforilazione in 16/18 campioni ad alto rischio. Dai primi esperimenti in vitro sui blasti derivati dai campioni di LLA ad alto rischio, si è osservato a 72h un incremento della proliferazione autonoma (MTT = 80%) L’induzione dello stress ossidativo dopo trattamento con rMnSOD, ha permesso di evidenziare che le cellule blastiche mostrano un’intensa positività citoplasmatica all’anticorpo diretto verso rMnSOD che diminuisce allo scalare delle concentrazioni, a dimostrazione che la proteina agisce entrando nelle cellule di LLA a differenza di quanto noto in letteratura per le cellule di LMC (Wang Feng at al). All’osservazione con TEM si evidenziano i primi segni di induzione dell’apoptosi in particolare a 2 ug/mL, con una iniziale frammentazione nucleare e citoplasmatica ed una maggiore modulazione del proapototico BAX rispetto all’antiapoptotico Bcl2 che presenta una modulazione negativa. I test di proliferazione hanno dimostrato una diminuzione della densità e della percentuale di inibizione (MTT = 27%). Nei campioni di LLA ad alto rischio a cellule B è stata invece osservata una modulazione delle vie di trasduzione del segnale caratterizzata da bassi livelli di fosforilazione di AKT ed ERK rispetto alla diagnosi. Nessuna variazione significativa è stata osservata per i campioni di LLA ad alto rischio a cellule T. Conclusioni preliminari. Dai dati prelimina- [page 20] ri si è osservato una incrementata attività dell'asse PI3K-AKT, MEK/ERK 1,2 e degli attivatori della trascrizione soprattutto nelle leucemie ad alto rischio. Ci proponiamo di ampliare l'analisi in vitro testando inoltre l'azione degli inibitori di AKT ed ERK. L’abilità di definire la fisiopatologia a livello molecolare specialmente nelle LLA ad alto rischio, apre nuove strade per terapie mirate. A causa della complessità nella comunicazione tra network di segnali multipli, agenti multi targhet potrebbero essere considerati per migliorare ulteriormente l’efficacia terapeutica anche nelle leucemie linfoblastiche ad alto rischio. Bibliografia D'Angelo V. et al (2009) "High Erk-1activation and Gadd45a expression as prognostic markers in high risk pediatric haemolymphoproliferative disease" Journal of Experimental & Clinical Cancer Research 28-39 Altomare D.A. et al (2010) "GSK690693 Delays Tumor Onset and Progression in Genetically Defined Mouse Models Expressing Activated Akt" Clin Cancer Res; 16: 486-496 Feng W. et al (2011) "High-level soluble expression of recombinant human manganese superoxide dismutase in Escherichia coli, and its effects on proliferation of the leukemia cell" Protein Expression and Purification; 77:46-52 VALORI S OGLIA DI MALATTIA MINIMA DIS SEMI NATA PREDITTIVI DI P RO GRE SSI ONE NEL LINFOMA DI BURK ITT PEDIATRICO F. Lovisa, L. Mussolin , M. Pillon, G. Franceschetto, L. Lo Nigro, P. D’Angelo, M. Piglione, F. Melchionda, V Conter, A. Rosolen Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienza Ospedaliera-Università di Padova, per il CSS LNH-AIEOP Introduzione. Gli attuali protocolli terapeutici consentono di ottenere la guarigione nel 85-90% dei pazienti affetti da linfoma di Burkitt (LB) pediatrico. Tuttavia la prognosi di coloro che recidivano è ancora molto severa. L’identificazione di fattori prognostici costituisce un obiettivo di primaria importanza per una più corretta stratificazione dei pazienti in classi di rischio e per la definizione di stategie terapeutiche più mirate. Lo scopo del presente studio è analizzare la malattia minima disseminata (MMD) mediante real-time PCR quantitativa basata sui riarrangiamenti delle immunoglobuline (Ig) e valutare l’impatto sulla prognosi dei livelli di positività in pazienti affetti da LB, arruolati nel protocollo AIEOP LNH-97. Materiali e metodi. Sono stati analizzati in [Pediatric Reports 2011; 3:s1] totale 124 casi di LB. I marcatori di clonalità del tumore sono stati identificati mediante PCR multiple specifiche per i riarrangiamenti della catena pesante e della catena leggera kappa delle Ig, analisi omo-eteroduplex e sequenziamento. I marcatori con maggiore sensibilità e specificità sono stati utilizzati per determinare la MMD nel midollo osseo (MO) alla diagnosi mediante real-time PCR quantitativa, secondo le linee guida del gruppo di studio europeo EuroMRD. La MMD è stata correlata con la sopravvivenza libera da progressione (PFS). L’analisi ROC è stata condotta per identificare il valore soglia di MMD maggiormente predittivo di progressione. Il valore prognostico dei livelli di MMD sulla PFS rispetto ad altre variabili è stato confrontato mediante l’analisi di regressione di Cox. Risultati. In 116/124 pazienti (95%) è stato identificato almeno un marcatore di clonalità con sensibilità adeguata. Nel 77% dei casi la sensibilità del saggio è stata 10-5, nel 23% 10-4. La MMD era quantificabile in 96 pazienti (83%): nel 47% dei casi il MO è risultato positivo per la MMD, mentre solo nel 18% era positivo morfologicamente. In 20/116 pazienti la MMD era positiva ma non quantificabile. Le analisi statistiche sono state condotte sui 96 pazienti con MMD quantificabile, di cui 2 pazienti in stadio I, 19 pazienti in stadio II, 48 pazienti in stadio III e 23 pazienti in stadio IV. Dei 45/96 pazienti MMD positivi, 38 appartenevano al gruppo di rischio R4, 5 al gruppo R3 e 2 al gruppo R2. Valori elevati di MMD sono risultati associati ai gruppi di rischio più alti (Fisher Exact test, P<0.0001). La PFS, in una proiezione a 5 anni, è risultata significativamente inferiore nei pazienti con MMD positiva rispetto ai negativi (75% vs 96% , p-value 0.003). Dall’analisi ROC, il valore soglia di MMD più predittivo di progressione è risultato 1.2¥10–4. La PFS nei pazienti con MMD > 1.2¥10–4 è del 72%, contro il 96% dei pazienti con MMD ≤ 1.2¥10–4 (p-value 0.0005). L’analisi multivariata di Cox considerando sesso, stadio, LDH, coinvolgimento del SNC, infiltrazione morfologica del MO e MMD ha evidenziato che valori di MMD superiori a 1.2 x 10-4 rappresentano l’unico fattore prognostico negativo con significatività statistica (p-value 0.004), con un rischio relativo di 9.2. Conclusioni. Questo studio conferma il valore prognostico della MMD nel LB, già evidenziato mediante analisi non quantitativa del riarrangiamento di c-myc/IgH. Inoltre, siamo riusciti ad identificare un valore soglia di positività in grado di individuare con maggiore predittività pazienti a maggior rischio di recidiva/ progressione. AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Bibliografia Lovisa F, Mussolin L, Corral L, Pillon M, Cazzaniga G, Biondi A, Rosolen A. IGH and IGK gene rearrangements as PCR targets for pediatric Burkitt's lymphoma and mature B-ALL MRD analysis. Lab Invest 89(10): 1182-6, 2009. Mussolin L, Pillon M, d'Amore ES, Conter V, Piglione M, Lo Nigro L, Garaventa A, Buffardi S, Aricò M, Rosolen A. Minimal Disseminated Disease in High-Risk Burkitt's Lymphoma Identifies Patients With Different Prognosis. J Clin Oncol, Epub ahead of print, 2011 Mussolin L, Basso K, Pillon M, D'Amore ES, Lombardi A, Luzzatto L, Zanesco L, Rosolen A. Prospective analysis of minimal bone marrow infiltration in pediatric Burkitt's lymphomas by long-distance polymerase chain reaction for t(8;14)(q24;q32). Leukemia 17(3): 585-9, 2003 Pillon M, Di Tullio MT, Garaventa A, Cesaro S, Putti MC, Favre C, Lippi A, Surico G, Di Cataldo A, D'Amore E, Zanesco L, Rosolen A. Long-term results of the first Italian Association of Pediatric ematology and Oncology protocol for the treatment of pediatric B-cell non-Hodgkin lymphoma (AIEOP LNH92). Cancer 101(2): 385-94, 2004. ANALISI DI FATTIBILI TA’ DI UN PANNE LLO DIAGNOSTICO PER LA LEUCEMI A LINFOBLASTICA ACUTA PE DIATRICA MEDIANTE S EQUENZIAMENTO MASS IVO S. Bungaro,1 M. Severgnini,2 M. Iacono,3 I. Cifola,2 K. Accorsi,3 A. Biondi,1 G. De Bellis,2 G. Cazzaniga1 1Centro Ricerche M. Tettamanti, Clinica Pediatrica Univ. Milano-Bicocca, Monza, Italia; 2Istituto di Tecnologie Biomediche (ITB), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Segrate, Milano, Italia; 3Roche Diagnostics, Applied Science, Monza, Italia Introduzione. La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) colpisce ogni anno più di 350 bambini in Italia, rappresentando la forma più frequente di leucemia in età pediatrica. Nel corso degli ultimi anni, l’uso e l’integrazione di molteplici piattaforme genomiche, come SNP/CGH e gene expression arrays, ha permesso l’identificazione di nuove anomalie genetiche, alcune delle quali sono state associate ad un chiaro significato prognostico. L’introduzione del sequenziamento massivo, o “next generation sequencing” (NGS) ha rivoluzionato il panorama degli studi genetici, offrendo l’opportunità di affrontare diversi aspetti della complessità biologica con una singola piattaforma.1 In generale le nuove tecnologie di sequenziamento, seppur diverse e con applicazioni specifiche, si basano tutte sulla preparazione di un templato (DNA/RNA), sul sequenziamento del templato amplificato, e sull’analisi bioinformatica delle sequenze (reads), che riveste un ruolo fondamentale per dipanare la complessità dei dati ottenuti. Mentre il sequenziamento di interi genomi o esomi rappresenta ancora uno strumento molto utile a scopo di ricerca, l’enorme mole di dati ottenuti e il costo elevato rendono queste piattaforme ancora lontane dall’applicabilità diagnostica. Questo limite può però essere in parte superato sequenziando un pannello di geni precedentemente “catturati” con l’ausilio di un array ad alta densità. Il sistema NimbleGen Sequence Capture 385K (Roche NimbleGen) è in grado si catturare fino a 5Mb di regioni genomiche contigue o non, in un singolo array, utilizzando 385.000 sonde selezionate sulla base del DNA di interesse.2,3 Nel presente lavoro abbiamo valutato la fattibilità di un pannello diagnostico “di sequenziamento” che permetta, con una singola piattaforma, l’identificazione delle alterazioni genetiche più frequenti e prognosticamente rilevanti nella LLA pediatrica, quali traslocazioni cromosomiche, alterazioni numeriche e mutazioni puntiformi. Materiali e Metodi. Sono stati selezionati 44 geni, per un totale di circa 5Mb, con un ruolo noto nella leucemogenesi e con un chiaro o potenziale significato prognostico nella LLA pediatrica, inclusi fattori di trascrizione, tirosin chinasi e geni coinvolti nel ciclo cellulare. Inoltre sono stati selezionati per la cattura i geni coinvolti nelle traslocazioni cromosomiche più frequenti: t(9;22), t(4;11), t(12;21), t(1;19). Questi geni sono stati utilizzati per la creazione di un array Sequence Capture 385K dedicato (Roche NimbleGen, Inc. Madison, USA) che ha permesso di catturare le sequenze di interesse. Sono stati selezionati 5 casi di LLA pediatrica, positivi per anomalie note ad impatto prognostico, e rappresentativi di diversi sottogruppi: - Caso 1: LLA a precursori B e t(9;22)/BCR-ABL1 positiva - Caso 2: LLA a precursori B e t(12;21)/ETV6-RUNX1 positiva - Caso 3: LLA infant (<1 anno di età) e t(4;11)/MLL-AFF1 positiva - Caso 4: LLA a fenotipo T e t(10;11)/PICALM-AF10 positiva - Caso 5: LLA a precursori B e ad alto rischio (HR-MRD), con DNAindex=1 e negativo per tutte le traslocazioni prognosticamente rilevanti. Brevemente, 20 ug di DNA genomico dell’esordio di LLA (con >95% blasti) è stato frammentato e ibridizzato su NimbleGen Sequence Capture array dedicato ed il campione arricchito è stato sequenziato con piattaforma 454 Titanium Genome Sequencer (GS) FLX System (454 Life [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Sciences, Branford, USA). Le reads derivanti dal sequenziamento sono state comparate ad una sequenza di riferimento (NCBI hg18) per l’identificazione di sequenze chimeriche, mutazioni, delezioni e varianti polimorfiche (SNP). Risultati preliminari. Sono stati sequenziati il caso 1 (LLA a precursori B t(9;22)/BCR-ABL1 positiva) e 2 (LLA a precursori B t(12;21)/ETV6-RUNX1 positiva). Il 92.7% delle basi selezionate sono state incluse nel Sequence Capture Array. Il DNA genomico dei casi selezionati è stato analizzato con SNP arrays ad alta risoluzione (Affymetrix Cytogenetics Whole Genome 2.7M arrays) per confrontare i risultati ottenuti con le due metodiche. Ricerca di riarrangiamenti cromosomici: la traslocazione t(9;22)/BCR-ABL1 è stata riscontrata nel caso 1 con 7 reads chimeriche su 16 totali, che rispecchiano la presenza degli alleli normali sui cromosomi non coinvolti nella fusione genica. La traslocazione t(12;21)/ETV6RUNX1 è stata riscontrata nel caso 2, con 3 reads chimeriche su 6 totali. Ricerca di mutazioni e delezioni geniche: sono state riscontrate circa 3000 varianti per ogni caso sequenziato. Dopo un’analisi più stringente escludendo le regioni non codificanti, nel caso 1 e nel caso 2 sono state riscontrate rispettivamente 5 e 3 varianti che causano un cambio aminoacidico. Filtrando per le varianti note è stata riscontrata nel caso 2 una variazione non nota a singola base (G/C), non sinonima, sul gene MLLT10 che porta ad una sostituzione aminoacidica A292P. La presenza di specifiche delezioni geniche è stata precedentemente valutata con analisi di SNP arrays. Il caso 2 presentava una delezione in omozigosi di 98kb del gene ADD3 sul cromosoma 10q25. Questa alterazione è stata riscontrata con una copertura di 6/6 reads che riportano il break-point della delezione e che hanno evidenziato una rottura quando mappate contro la sequenza di riferimento. Gli altri 3 casi di LLA selezionati sono in corso di sequenziamento. Conclusioni. In questo studio, sebbene i risultati siano ancora preliminari, abbiamo dimostrato che il sequenziamento di regioni geniche precedentemente catturate ed arricchite sia in grado di rilevare, con un singolo approccio metodologico, la presenza di geni di fusione ed alterazioni strutturali, nonché di mutazioni geniche. Siamo consapevoli che i costi ancora elevati ed i tempi richiesti dal sequenziamento rappresentino un fattore limitante per l’utilizzo diagnostico di questa metodologia, ma la possibilità di applicare un singolo pannello per il riscontro di tutti marcatori genetici delle cellule leucemiche rappresenta un obiettivo da perseguire, anche in previsione della drastica diminuzione dei costi di [page 21] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 questa metodica. Per questo abbiamo intenzione di aumentare il numero di casi sequenziati e di migliorare il disegno dell’array di cattura in modo da aumentare il più possibile la copertura delle regioni selezionate, limitando ad esempio la selezione agli esoni dei geni noti per la presenza di mutazioni, ed includendo anche le regioni introniche dei geni coinvolti in traslocazioni e delezioni. Questo studio si colloca in un progetto più ampio che mira ad esplorare diversi aspetti della genetica delle LLA pediatriche. Al fine di individuare nuovi marcatori prognosticamente rilevanti e varianti polimorfiche associate alla diversa risposta precoce alla terapia, è in corso il sequenziamento del trascrittoma di 10 casi di LLA a precursori B a rischio standard (SR) e 10 ad alto rischio (HR), arruolati nel protocollo AIEOP-BFM ALL2000. Infine, nell’ambito di un progetto collaborativo, l’intero esoma di 20 pazienti pediatrici affetti da LLA t(12;21) positiva è stato sequenziato con l’obiettivo di definire gli eventi che insieme alla t(12;21) cooperano nella patogenesi delle LLA TEL-AML1 positiva e la sequenza temporale con cui si susseguono. Bibliografia 1. Mardis ER. The impact of next-generation sequencing technology on genetics. Trends Genet. 2008;24:133-41 2. Albert TJ, et al. Direct selection of human genomic loci by microarray hybrid. Nat Methods. 2007;4:903 3. Grossmann V, et al. Targeted next-generation sequencing detects point mutations, insertions, deletions and balanced chromosomal rearrangements as well as identifies novel leukemia-specific fusion genes in a single procedure. Leukemia. 2011 Jan 21 I L GENE PAX5 NELLA LLA-B P EDIATRICA: S COPE RTA DI NUOVI GENI DI FUS IONE E CARATTERIZZAZIO NE DE L LORO RUOLO MO LECOLARE E FUNZIO NALE G. Fazio,1 V. Cazzaniga,1 L. Impera,2 G. Daniele,2 C Palmi,1 A Leszl,3 M Galbiati,1 M. Giordan,3 S. Bungaro,1 A. Lettieri,1 A. Rolink,4 G. te Kronnie,3 G. Basso,3 A. Biondi,1 C Storlazzi,2 G. Cazzaniga1 1Centro Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica Università di Milano-Bicocca, Monza, Italia; 2Dipartmento di Genetica e Microbiologia, Università degli Studi di Bari, Bari, Italia; 3Clinica Pediatrica Università Padova, Padova, Italia; 4Università di Basel, Basel, Svizzera Introduzione. Il gene PAX5 è bersaglio di alterazioni genetiche nel 32% dei casi [page 22] pediatrici di Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) a fenotipo B. Esso appartiene alla famiglia dei fattori di trascrizione dei geni PAX ed è essenziale per lo sviluppo ed il differenziamento dei linfociti B. PAX5 è implicato in un numero crescente di traslocazioni cromosomiche in pazienti affetti da LLA-B (circa 3% dei casi), che danno origine ad una varietà di trascritti di fusione, i cui geni partner codificano per proteine con ruoli diversi, quali fattori di trascrizione, proteine strutturali, proteine ad attività chinasica o con funzione non nota. La traslocazione più frequente codifica per il gene di fusione PAX5/TEL, che coinvolge due dei più importanti fattori di trascrizione del sistema ematopoietico. Nonostante la frequente identificazione di tali alterazioni, la loro attività funzionale nella leucemogenesi è ancora poco compresa. Quindi, il presente studio ha lo scopo di identificare nella coorte italiana pediatrica AIEOP di pazienti affetti da LLA nuove lesioni genetiche che coinvolgono il gene PAX5 e di caratterizzarne il ruolo molecolare e funzionale, analizzando la proteina di fusione PAX5/TEL come modello di traslocazione che coinvolge PAX5. La comprensione di eventi e di nuovi meccanismi di trasformazione che portano alla leucemia, potenzialmente hanno un forte impatto nell’identificazione di nuovi bersagli di farmaci specifici. Materiali Metodi. Citogenetica: tecniche di analisi FISH, utilizzando BAC e fosmidi. Biologia Cellulare: modello in vitro costituito dalle cellule primarie pre-BI murine in co-coltura con stroma midollare OP9; il gene di fusione PAX5/TEL viene espresso stabilmente in seguito a trasduzione retro virale. Tale modello è unico e peculiare in quanto le cellule pre-BI essendo colture primarie sono prive di altre aberrazioni genetiche, che altrimenti potrebbero avere effetti confondenti sui risultati sperimentali. Sia il modello di co-coltura pre-BI/OP9 che le tecniche di trasduzione retrovirali sono stati precedentmente ottimizzati nel nostro laboratorio. Biologia Molecolare: tecnica di RACE PCR per l’identificazione di nuovi partner di traslocazione di PAX5. L’analisi del DNA genomico di Single Nucleotide Polymorphisms (SNPs) è stata condotta tramite array Affymetrix cytogenetics whole-genome 2.7M. L’analisi del profilo di espressione genica di cellule pre-BI PAX5/TEL e pre-BI MIGR-GFP è stata condotta con la tecnologia Affymetrix GeneChip; le validazioni dei dati ottenuti sono state effettuate in 3 popolazioni indipendenti di cellule pre-BI, utilizzando RQ-PCR con la metodica Universal Probe Library (Roche). Statistica: sono stati impiegati strumenti statistici appositamente sviluppati per l’analisi di profili di espressione genica; le analisi dei [Pediatric Reports 2011; 3:s1] pathways dei geni differenzialmente espressi sono state effettuate utilizzando due programmi online dedicati, quali DAVID e IPA. Risultati. 1) Lesioni genetiche coinvolgenti PAX5: all’interno dei casi pediatrici affetti da LLA ed arruolati al protocollo AIEOP abbiamo selezionato i campioni che da analisi standard del cariotipo presentassero anomalie nella regione 9p13 e quindi potenzialmente coinvolgenti il gene PAX5; in seguito, tali campioni sono stati sottoposti ad ulteriori indagini di FISH con sonde nel locus del gene PAX5. Abbiamo ad oggi identificato 22 casi con anomalie nella regione in 9p13; all’interno di tale gruppo 17/22 casi presentano delezioni che comprendono il gene PAX5, e frequentemente estese a geni ad esso adiacenti; mentre in 5/22 casi abbiamo identificato traslocazioni di PAX5: -2 traslocazioni t(7;9)(q11;p13) che codificano per PAX5/AUTS2; -1 caso con anomalia dic(9;12)(p13,p13) che dà origine a PAX5/SOX5; -1 caso con traslocazione t(9;12)(p13;q24), dove il gene partner è un nuovo trascritto alternativo del gene CHFR, fino ad ora non noto; -1 traslocazione t(7;9)(p21;p21), dove il gene partner di PAX5 non è ancora identificato. I cariotipi dei pazienti con delezione di PAX5 sono risultati essere complessi rispetto ai pazienti con traslocazione di PAX5, che presentano un cariotipo semplice. Quindi, con allo scopo di investigare se le alterazioni di PAX5 svolgano un ruolo di lesioni cooperative o siano al contrario, determinanti per la leucemogenesi, abbiamo analizzato ad alta risoluzione il DNA genomico dei casi PAX5-traslocati, tramite piattaforma Affymetrix cytogenetics whole-genome 2.7M. I risultati di tale analisi hanno confermato la presenza di minime anomalie aggiuntive rispetto alla traslocazione. 2) Ruolo delle traslocazioni di PAX5 nella leucemia: la proteina di fusione PAX5/TEL determina un profilo trascrizionale specifico nelle cellule, agendo principalmente da repressore della trascrizione. In particolare, la presenza della proteina di fusione è in grado di interferire in modo significativo sul pathway trascrizionale di PAX5 wild type (wt), determinando l’attivazione di geni target fisiologicamente repressi da esso e la repressione di una più numerosa coorte di suoi target fisiologicamente attivati. Abbiamo quindi definito tale meccanismo di “dominanza opposta” della proteina di fusione rispetto alla controparte normale. Da analisi di pathways, tramite i programmi DAVID ed IPA, è emerso come i geni repressi in presenza di PAX5/TEL siano prevalentemente coinvolti in pro- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 cessi fondamentali per i linfociti B, quali l’adesione e l’assemblamento del B-Cell Receptor. Quindi, sono stati messi a punto dei saggi funzionali che hanno dimostrato come PAX5/TEL causi una diminuita adesione cellulare a VCAM1, substrato rappresentativo del microambiente midollare. Inoltre le cellule pre-BI in presenza della proteina di fusione sono completamente incapaci di completare il riarrangiamento della catena pesante delle IgM, componente fondamentale del B-Cell Receptor, che quindi non viene espressa sulla superficie cellulare. Conclusioni. 1) Anomalie genetiche di PAX5 sono state identificate nella coorte AIEOP di pazienti pediatrici affetti da LLA di tipo B e si presentano sia come delezioni che come traslocazioni. Inoltre i casi con traslocazione presentano poche anomalie genetiche aggiuntive. 2) La presenza della proteina di fusione PAX5/TEL porta ad un rimodellamento del profilo di espressione genica di precursori B, con effetto di dominanza opposta su PAX5 wt. In particolare, si ha il coinvolgimento di geni che determinano una diminuzione dell’adesione cellulare e blocco della maturazione del BCR con conseguente arresto del differenziamento, processi che possono svolgere un ruolo fondamentale nella trasformazione cellulare e nella leucemogenesi. Bibliografia Fazio G, Palmi C, Rolink A, Biondi A, Cazzaniga G. PAX5/TEL acts as a transcriptional repressor causing downmodulation of CD19, enhances migration to CXCL12, and confers survival advantage in pre-BI cells. Cancer Res. 2008;68(1):181-189. TEL-AML1 ALTERA IL CITOS CHELETRO, L’ADESIONE E LA MIGRAZIO NE CELLULARE IN UN MODELLO IN VITRO DI PRE-LEUCE MIA. C. Palmi,1 G. Fazio,1 G. Longinotti,1 I. Brunati,1 V. Andrè,1 V. Cazzaniga,1 S. Sozzani,2 A. Villa,3 A. Ford,4 M. Greaves,4 A. Biondi,1 G. Cazzaniga1 1Centro Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza,Italia; 2Sezione di Patologia Generale e Immunologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università di Brescia, Brescia, Italia; 3Consorzio Microscopy and Image Analysis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza, Italia; 4Section of Haemato-Oncology, Institute of Cancer Research, Brookes Lawley Building, 15 Cotswold road, Sutton, Surrey SM2 5NG, UK Introduzione. La traslocazione t(12;21) è la più frequente traslocazione cromosomica nella leucemia linfoblastica acuta (LLA) pediatrica: è, infatti, riscontrata nel 20-25% dei casi. La proteina chimerica che ne consegue, TEL-AML1, agisce come fattore di trascrizione ad attività repressoria costitutiva, con effetto dominante negativo sulle controparti normali TEL e AML1, regolatori chiave della trascrizione nell’ematopoiesi. La fusione insorge durante l’emopoiesi fetale in utero, ma non è sufficiente per determinare la leucemia. La sua espressione genera un clone pre-leucemico, con fenotipo di precursore dei linfociti B, silente dal punto di vista clinico. La transizione dalla fase pre-leucemica alla malattia conclamata avviene nell’1% dei casi in seguito a mutazioni secondarie postnatali, che spesso coinvolgono l’allele del gene TEL non interessato dalla traslocazione, con tempi di latenza variabili (fino a 15 anni). Inoltre, frequentemente la ricaduta, tipicamente tardiva, rappresenta la progressione di un clone già presente all’esordio ma in quota minoritaria. In una recente pubblicazione abbiamo dimostrato l’impatto inibitorio del gene di fusione sulla risposta a TGFβ, citochina anti-proliferativa modulatore chiave del sistema immunitario. Crediamo però che la sola resistenza a TGFβ non sia sufficiente a spiegare la selezione positiva di queste cellule e la loro mancata eradicazione anche dopo chemioterapia, con la conseguente possibilità di recidiva di malattia. Obiettivo del presente studio è stato quindi investigare altri fattori che potrebbero spiegare la selezione positiva dei cloni preleucemici; in particolare si è valutato se i cloni pre-leucemici TEL-AML1 positivi mostrino alterazioni nelle loro proprietà di interazione con il microambiente, fonte importante di segnali di sopravvivenza sia per le cellule staminali ematopoietiche normali, sia per la loro controparte leucemica. Materiali e Metodi. Poiché la fase pre-leucemica è clinicamente silente, non vi è possibilità di raccogliere campioni di pazienti, mentre alla diagnosi di LLA l’analisi del ruolo di TEL-AML1 sarebbe confuso dalla presenza di anomalie genetiche addizionali. Pertanto, nello studio ci siamo avvalsi di due modelli sperimentali: un modello di espressione inducibile di TEL-AML1 basato sulla linea cellulare pro-B murina Ba/F3 e linfociti B primari murini (pre-BI) purificati tramite sorting per positività ai marcatori c-KIT, B220 e CD19 da fegato fetale di topo Ly5.1 e successivamente trasdotti stabilmente con il vettore retrovirale pMIGR1-TEL-AML1IRES-GFP. I saggi di espressione genica sono stati eseguiti tramite TaqMan (Applied Biosystems) e PCR Array [Pediatric Reports 2011; 3:s1] technologies (Superarray Murine cytoskeleton regulators - SABioscences). I saggi di migrazione in vitro sono stati eseguiti tramite sistema “transwell” utilizzando 100 ng/ml di CXCL12. Risultati. L’introduzione del gene di fusione TEL-AML1 nella linea cellulare pro-B Ba/F3 e nei linfociti primari Pre-BI modifica il livello di espressione di geni che regolano il citoscheletro e il movimento cellulare. Tali alterazioni di espressione genica risultano in cambiamenti nella morfologia cellulare e nel fenotipo: le cellule Ba/F3 già dopo 12-18h di induzione dell’espressione dell’oncogene diventano meno tondeggianti e sviluppano lunghe estensioni; inoltre tramite PCR quantitativa e analisi citofluorimetrica abbiamo rilevato, in entrambi i modelli sperimentali, alterazioni nell’espressione di numerose integrine e altre molecole implicate nell’adesione e migrazione cellulare, quali ad esempio CD44, CD18, CD11a, CD11b, CD54 e CD29. Le cellule TEL-AML1 positive presentano inoltre un’aumentata capacità di adesione a substrati ICAM1 positivi, mentre sebbene non mostrino alterazioni dell’espressione o del riciclo del recettore CXCR4, possiedono un significativo difetto nella risposta chemiotattica a CXCL12, importante chemochina per i precursori B. Tale deficit migratorio verso CXCL12 non è imputabile ad un difetto generale di movimento, al contrario le cellule TELAML1 positive presentano una motilità spontanea più marcata rispetto alle cellule controllo in esperimenti di timelapse microscopy, ma è invece associata a difetti nella via di segnale a valle di CXCR4. In particolare l’induzione del gene di fusione nelle cellule Ba/F3 causa l’inibizione della fosforilazione di ERK e del flusso intracellulare di calcio indotto da CXCL12. Conclusioni e prospettive future. L’espressione di TEL-AML1 nei modelli murini di pre-leucemia in vitro utilizzati in questo studio causa l’alterazione del citoscheletro e modifica le propietà di adesione e migrazione cellulare. In particolare l’oncogene determina un blocco della via di segnale dell’asse CXCR4/CXCL12. Sarà quindi interessante comprendere se queste alterazioni, già descritte in letteratura anche in blasti BCR-ABL positivi, possano contribuire alla lunga sopravvivenza del clone preleucemico nell’individuo in attesa dell’evento che scatena la leucemia. In particolare attraverso studi in vivo in modelli murini sarà investigata la localizzazione delle cellule pre-leucemiche TELAML1 positive, verificando se rispetto alla loro controparte normale risiedano in particolari nicchie del midollo o se, a seguito del deficit di risposta a CXCL12, abbiano una maggiore capacità a fuoriu- [page 23] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 scire dal midollo e migrare in periferia nonostante il loro stadio immaturo. Riteniamo che comprendere i meccanismi che possono dare vantaggi selettivi alle cellule pre-leucemiche e permettere loro di resistere alle normali terapie antitumorali con la conseguente possibilità di recidiva di malattia sia fondamentale al fine di sviluppare strategie mirate per la loro effettiva eradicazione. Bibliografia 1. Ford AM, Palmi C, Bueno C, Hong D, et al. The TEL-AML1 leukemia fusion gene dysregulates the TGF pathway in early B lineage progenitor cells. J Clin Invest. 2009;119:826-836. 2. Zelent A, et al. Role of the TEL/AML1 fusion gene in the molecular pathogenesis of childhood acute lymphoblastic leukaemia. Oncogene 2004;23(24):427583. 3. Fazio G, Palmi C et al. PAX5/TEL acts as a transcriptional repressor causing down-modulation of CD19, enhances migration to CXCL12, and confers survival advantage in pre-BI cells. Cancer Research 2008;68(1):181-9. 4. Chen YY, Malik M, Tomkowicz BE, Collman RG, Ptasznik A. BCR-ABL1 alters SDF-1alpha-mediated adhesive responses through the beta2 integrin LFA-1 in leukemia cells. Blood. 2008;111:5182-5186. 5. Salgia R, Quackenbush E, Lin J, et al. The BCR/ABL oncogene alters the chemotactic response to stromalderived factor-1 . Blood. 1999;94:42334246. I MMUNOTERAPIA ADOTTIVA CON CELL ULE NK E SPANSE EX -VI VO P ER LA CURA DEL NEUROBLAS TOMA I. Mariotti,1 C. Rosafio,1,2 C. Spano,2 E. Bigi,1 D Campana,3 M. Dominici2 P. Paolucci1 1Laboratory of Paediatrics, Division of Hematology Oncology and Transplantation, Dept. of Mother and Child, University-Hospital of Modena and Reggio Emilia, Via del Pozzo 71, 41100, Modena, Italia; 2Laboratory of Cell Biology and Advanced Cancer Therapies. Dept. Oncology, Hematology and Respiratory Diseases. University-Hospital of Modena and Reggio Emilia. 3 St. Jude Children's Research Hospital, Memphis, TN, USA Introduzione. Negli ultimi anni si è verificato un notevole incremento dell’interesse dei ricercatori nei confronti di terapie immunologiche per la cura di pazienti affetti da tumore. L’immunoterapia rappresenta un’attraente alternativa ai protocolli terapeutici esistenti per la potenziale elevata specificità e minore tossicità nonché per il ruolo che potrebbe eser- [page 24] citare nell’ambito dei tumori refrattari alla chemioterapia standard. Con appropriate manipolazioni, le cellule linfoidi effettrici si sono mostrate virtualmente in grado di mediare la lisi di ogni tipo di cellula tumorale. Le cellule effettrici immuni antitumorali possono essere suddivise in due categorie principali: la prima è rappresentata dai linfociti T citotossici che diventano attivi in seguito all’interazione con le cellule tumorali, la seconda categoria è largamente rappresentata dalle cellule natural killer (NK) . L’immunoterapia adottiva rappresenta un metodo per potenziare l’azione degli effettori antitumorali mediante il trasferimento degli stessi, espansi ex-vivo, nei pazienti con il cancro. In generale questo trasferimento è caratterizzato dalla raccolta di cellule (da sangue periferico, dal sito del tumore o da linfonodi drenanti), dalla loro espansione selettiva ed infine dal loro re-inoculo nello stesso paziente o ad un ricevente compatibile . Un limite all’uso delle NK è rappresentato dalla difficoltà di selezionare ed espandere ex vivo queste cellule in pazienti affetti da neoplasie. Sistemi di espansione delle NK, utilizzando anticorpi o vari tipi di cellule feeder third party tra cui cellule tumorali stesse (i.e la linea leucemica K562), richiedono molti steps complessi e un largo numero di mononucleate da sangue periferico (PBMCs) dello stesso paziente. In questo studio è stato testato un sistema di espansione delle cellule NK, in particolare il subset CD56+CD16+ CD3-, basato sulla stimolazione da parte di cellule feeder geneticamente modificate. Tali cellule possono indurre la proliferazione di cloni NK grazie alla simultanea produzione di una citochina e di una molecola co-stimolatoria rappresentate rispettivamente dall’IL-15 e il 4-1BBL. Le cellule NK così espanse sono state messe a contatto con linee cellulari di neuroblastoma (NB) per testarne l’effetto citotossico. Materiali Metodi. Le cellule feeder. La linea cellulare K562 geneticamente modificata (-GM) è stata utilizzata come linea feeder per le fasi di espansione dei cloni NK. Le K562 wild type (WT) sono cellule di origine mieloide ottenute da un paziente affetto da leucemia mieloide cronica in crisi blastica. Modificazione genica delle K562. Le K562 sono state geneticamente modificate per esprimere il costrutto codificante per la forma “membrane-bound” dell’IL-15 e la forma umana del ligando della molecola 4-1BB (K562-mb15-41BBL). Questo studio è stato possibile grazie ad una collaborazione con il Prof. Dario Campana del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis (TN, USA). Espansione in vitro delle K562-GM e K562-WT. Le cellule K562-WT e le K562-GM sono state coltiva- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] te seminando le cellule in medium ad una densità di 250.000 cellule/ml, e incubandole a 37°C in un incubatore ad atmosfera controllata con 5% CO2 ed è stato rinnovato ogni 2-3 giorni il medium. Isolamento delle cellule mononucleate del sangue periferico e co-coltura di PBMCs e cellule feeder. Campioni di sangue periferico (n=16) sono stati ottenuti da donatori adulti sani previo consenso informato. Le PBMCS sono state separate dalle restanti componenti del sangue periferico mediante centrifugazione (1800 rpm/20’) su gradiente di densità Ficoll (1077 gr/cm2) (Lymphoprep, AxisShield PoC AS, Oslo, Norway). Le PBMCs sono state seminate in co-coltura con le cellule K562 seguendo il protocollo pubblicato da Imai C et al. Analisi citofluorimetrica. L’analisi dell’immunofenotipo delle PBMCs è stata effettuata con citometria a flusso dopo la separazione dal sangue periferico (tempo 0) che a 21 giorni di co-coltura. Per la caratterizzazione dell’immunofenotipo sono stati utilizzati pannelli di anticorpi monoclonali (BD Biosciences, San Jose, California, US) comprendenti, in diverse combinazioni, anti-CD3, anti-CD56 e anti-CD16 coniugati ai fluorocromi Fluorescina Isotiocianato (FITC), Ficoeritrina (R-PE) e alloficocianina (APC). I controlli isotipici sono costituiti da IgG1 K o IgG2λ murine e R-PE, FITC e APC coniugati. Test di citotossicità. L’attività citotossica delle cellule effettrici (E) NK in coltura è stata determinata mediante un test colorimetrico, il Cytotoxicity Detection Kit (Roche Diagnostics) in n=5 donatori. Il target cellulare (T) utilizzato è la linea di NB SH-SY5Y quale clone derivato dalla linea cellulare di NB SK-N-SH ricavata da una metastasi ossea. Risultati. Frequenza delle cellule NK nelle PBMCs. La valutazione citofluorimetrica della frequenza media della popolazione di cellule NK nel sangue periferico di soggetti donatori (n=16), è stata approntata una valutazione citofluorimetrica che ha consentito di individuare, dopo separazione su gradiente, la popolazione di cellule CD56+CD16+CD3- che è stata in media 12.5%+/-7. Co-coltura delle K562 e PBMCs. La co-coltura con le K562 WT a 21 giorni ha evidenziato la presenza di una quota di cellule CD56+CD16+ = 15%+/-10 prevalentemente costituita da cellule CD3+. Al contrario nella co-coltura con le K562-GM abbiamo notato come il numero e le dimensioni dei clusters linfocitari fossero maggiori rispetto alla forma WT. La popolazione predominante (24%+/-15) era costituita da cellule CD56+CD16+CD3-. Approfondendo ulteriormente il subset di NK si dimostrava come il 100% della popolazione fosse costituita da cellule CD56bright e CD16dim intermedie. Basandoci sulla AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 valutazione qualitativa di un maggior numero di clusters nelle colture con K562-GM abbiamo considerato il numero assoluto di cellule CD56+CD16+CD3espanse. Il numero assoluto di NK era aumentato fino a 40 volte rispetto ad un modesto incremento di tale popolazione di sole 7 volte con le cellule WT. Test di citotossicità. In corrispondenza del 21° giorno di co-coltura delle cellule NK con le K562GM è stato eseguito un test di citotossicità. L’attività citotossica delle cellule NK è stata valutata a diversi rapporti E:T (5:1, 10:1, 20:1). La percentuale media di citotossicità (a 4 ore) è stata rispettivamente pari a 22+/-17%, 24%+/22%, 26%+/-5% indicando che la popolazione NK espansa è in grado di esercitare una azione citotossica ex vivo già dopo una breve co-coltura con le cellule tumorali di NB. Conclusioni. In questo studio preliminare, le PBMCs isolate dal sangue periferico di donatori sani sono state messe in co-coltura rispettivamente con le cellule K562-WT o con le K562-GM. I nostri dati suggeriscono che la simultanea espressione di 4-1BBL e IL-15 porta all’espansione delle cellule NK responsabili del rilascio citochinico, confermando precedenti esperienzeiii. Valutando, invece, i nostri dati in termini di numero assoluto di cellule, abbiamo dimostrato che le cellule NK (CD56+CD16+) poste in co-coltura con le K562-GM esprimenti il 4-1BBL e IL-15 si espandono di circa 40 volte, al contrario di quelle poste a contatto con le cellule K562-WT che mostrano un più basso fold di espansione. Di nota abbiamo osservato una notevole variabilità inter-donatore che potrebbe rappresentare un limite da studiare e superare. Basandosi su queste considerazioni, alcuni autori prospettano trials clinici in cui le cellule NK del donatore, raccolte con l’aferesi, vengono espanse in vivo e trasdotte con recettori chimerici e poi infuse dopo il trapianto in pazienti affetti da neoplasia. Nuove applicazioni dell’immunoterapia basata sulle NK si possono prospettare anche nel trattamento di alcune neoplasie pediatriche come il NB. I dati preliminari di questo studio dimostrano come sia possibile isolare in condizioni normali cellule NK e determinarne un’adeguata espansione seguita da buoni livelli di citotossicità. Ulteriori studi sono necessari al fine di garantire un’espansione stabile delle cellule effettrici in bambini affetti da neoplasie quali il NB con la possibilità di incrementarne il potenziale anti-tumorale mediante modificazione genica. Bibliografia Baxevanis CN, Papamichail M. Characterization of the anti-tumor immune response in human cancers and strategies for immunotherapy. Critical Reviews in Oncology/Hematology 1994; 16: 157-179. Yee C . Adoptive T-cell therapy of cancer. Hematol Oncol Clin North Am 2006; 20(3):711-733. Imai C, Iwamoto S, Campana D. Genetic modification of primary natural killer cells overcomes inhibitory signals and induces specific killing of leukemic cells. Blood 2005; 106: 376-383. CORREL AZIONE TRA CI TO METRI A A FLUSS O E RQ -P CR NELLA DETERMINAZI ONE DELLA MALATTI A RE SIDUA MINIMA NELLE LLA PEDIATRICHE : L’ESP ERIENZA DEL GRUPP O AIEOP -BFM ALL MRD G. Gaipa,1 G. Cazzaniga,1 M.G. Valsecchi,2 R. Panzer-Grümayer,3 B. Buldini,4 D. Silvestri,2 L. Karawajew,5 R. Ratei,5 A. Benetello,4 S. Sala,1 O. Maglia,1 A. Schumich,3 A. Schrauder,6 T. Villa,1 M. Veltroni,7 W.D. Ludwig,5 V. Conter,8 M. Schrappe,6 A. Biondi,1 M.N. Dworzak,3 G. Basso4 1Centro Ricerca Tettamanti, Clinica Pediatrica Università Milano- Bicocca, Monza (MB), Italia; 2Dipartimento di Medicina Clinica Prevenzione e Biotecnologie Sanitarie, Università Milano Bicocca, Monza (MB), Italia; 3Children's Cancer Research Institute and St. Anna Children's Hospital, Vienna, Austria; 4Laboratorio di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento di Pediatria, Università di Padova, Padova Italia; 5Hematology, Oncology and Tumor Immunology, Robert-Roessle-Clinic at the HELIOS Klinikum, Berlin, Charité Medical School, Berlin, Germany; 6Department of Pediatrics, University Medical Center Schleswig-Holstein, Campus Kiel, Kiel, Germany; Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, A.O.U. Meyer, Firenze, Italia; Dipartimento Pediatria, Ospedali Riuniti di Bergamo. La malattia residua minima (MRM) rappresenta un marcatore surrogato di valutazione della risposta individuale al trattamento nella leucemia linfoblastica acuta (LLA) pediatrica.1,2 I metodi maggiormente utilizzati per tale tipo di determinazione sono l’analisi citofluorimetrica degli immunofenotipi leucemia-associati e l’analisi molecolare (PCR) del riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline e del recettore T per l’antigene. Entrambi i metodi possono essere standardizzati e applicati in studi clinici con [Pediatric Reports 2011; 3:s1] una sensibilità di almeno 0.01%.3,4 Nello studio AIEOP-BFM ALL 2000 i pazienti sono stati stratificati mediante i livelli di MRM determinata mediante PCR nei giorni 33 e 78 del trattamento. In questo contesto abbiamo impiegato la citometria a flusso (FCM) per la contemporanea determinazione della MRM nei giorni 15, 33 e 78 in 1547 pazienti (3565 campioni) ed abbiamo confrontato i risultati con quelli ottenuti mediante PCR. Utilizzando un cut-off di 0.01%, abbiamo osservato una concordanza totale dell’80%, tuttavia il grado di concordanza a diversi time point è risultato differente. I campioni discordanti hanno presentato un livello medio di MRM significativamente piu’ basso rispetto ai campioni concordanti. La discordanza è stata osservata piu’ frequentemente al giorno 33 con campioni FCM <0.01% e PCR ≥0.01% . Inoltre, le differenze di sensibilità tra i due metodi non sono attribuibili a differenze nel trattamento del materiale di partenza (cellule mononucleate per la PCR e cellule nucleate totali per la FCM). Al giorno 33 i casi concordanti (sia <0.01% che ≥0.01%) hanno mostrato un outcome rispettivamente eccelente (5-anni EFS 91.6%) o sfavorevole (5-anni EFS 50.9%), mentre le due categorie discordanti (FCM <0.01% / PCR ≥0.01% e FCM ≥0.01% / PCR< 0.01% ) nello stesso time point, hanno mostrato un outcome simile (5-anni EFS ~ 80.0%). I nostri risultati suggeriscono un ruolo complementare dei due metodi nella ottimizzazione della stratificazione dei pazienti pediatrici con LLA. Entrambi i metodi possono essere opportunamente utilizzati in protocolli clinici basati sulla MRM a seconda della esperienza tecnica , le risorse disponibili e lo specifico disegno clinico sperimentale. Bibliografia 1. van Dongen JJ, Seriu T, PanzerGrümayer ER, et al. Prognostic value of minimal residual disease in acute lymphoblastic leukaemia in childhood. Lancet. 1998;352:1731-1738. 2. Coustan-Smith E, Sancho J, Behm FG, et al. Prognostic importance of measuring early clearance of leukemic cells by flow cytometry in childhood acute lymphoblastic leukemia. Blood. 2002;100:52-58. 3. Flohr T, Schrauder A, Cazzaniga G, et al. Minimal residual disease-directed risk stratification using real-time quantitative PCR analysis of immunoglobulin and T-cell receptor gene rearrangements in the international multicenter trial AIEOP-BFM ALL 2000 for childhood acute lymphoblastic leukemia. Leukemia. 2008.22:771-782. 4. Dworzak MN, Gaipa G, Ratei R, Veltroni M, et al. Standardization of flow cytometric minimal residual disease evaluation in acute lymphoblastic leukemia: Multicentric assessment is feasible. Cytometry B Clin Cytom. 2008;74:331-340. [page 25] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 BASS A PREVALENZA DELLE MUTAZI ONI DEL GENE IDH1 NEI BAMBINI AFFETTI DA LE UCEMI A MIELO IDE ACUTA (LAM) IN ITALIA G Ferrari,1 F Martinolli,2 R Masetti,3 B Falini,4 G Basso,2 A Biondi,5 A Pession,3 G Cazzaniga1* and M Pigazzi2* *co-senior 1Centro Ricerca Tettamanti, Clinica Pediatrica, Univ. Milano Bicocca, Monza, Itali; 2Lab. Onco-ematologia, Clinica Pediatrica, Univ. Padova, Padova, Italia; 3Oncologia-Ematologia Pediatrica 'Lalla Seragnoli', Ospedale Sant'OrsolaMalpighi, Bologna, Italia; 4Istituto di Ematologia, Università di Perugia, Perugia, Italia; 5Divisione di Pediatria, Università di Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia Introduzione. Il gene IDH1 codifica per l'enzima isocitrato deidrogenasi NADP+dipendente, che catalizza a sua volta la decarbossilazione ossidativa dell'isocitrato ad α-chetoglutarato. Mentre mutazioni somatiche del residuo R132 di IDH1 sono state riscontrate nella popolazione adulta affetta da leucemia mieloide acuta (LAM) esordita de novo, non sono invece state riscontrate mutazioni di IDH1 nella popolazione pediatrica in 257 bambini analizzati negli Stati Uniti. Materiali e metodi: 205 bambini affetti da LAM sono stati arruolati nel protocollo multicentrico AIEOP-LAM 2001/02, dal 01/12/2002 al 31/12/2007. Su 165 pazienti di cui era disponibile il materiale, abbiamo analizzato la prevalenza delle mutazioni del gene IDH1 mediante amplificazione con PCR e sequenziamento dell'esone 4. I pazienti analizzati non presentavano caratteristiche cliniche e biologiche significativamente differenti rispetto a quelli non analizzati. Risultati: In questa serie di bambini affetti da LAM, su un totale di 165 casi, quattro soggetti (2.4%) risultavano positivi per le mutazioni di IDH1. I pazienti risultati positivi erano tutti maschi, con un'età alla diagnosi compresa tra 3 e 14 anni, ed una conta dei globuli bianchi (GB) alla diagnosi compresa tra 8750 e 233970 GB/mL. Tre pazienti presentavano FAB M1 ed uno M2; nessuno presentava localizzazioni a livello del sistema nervoso centrale, mentre uno presentava coinvolgimento linfonodale. Due dei quattro bambini con la mutazione di IDH1 avevano cariotipo normale, mentre due presentavano differenti traslocazioni clonali. Un paziente risultava portatore della mutazione di FLT3-ITD alla diagnosi, non si riscontravano invece associazioni con ulteriori mutazioni. In base alla citogenetica, tutti i pazienti appartenevano al gruppo ad alto rischio. Tutti i pazienti erano in remissione completa e tutti ad eccezione [page 26] di uno sono stati sottoposti a trapianto di midollo osseo. Due dei bambini hanno presentato in seguito una recidiva a livello midollare e tutti sono sopravvissuti a 20, 26, 33 e 33 mesi dal trapianto. Tutti presentavano la mutazione R132H di IDH1. La mutazione è specifica delle cellule leucemiche ed è risultata assente nella fase di remissione nella totalità dei pazienti. In particolare, la mutazione R132H è stata riscontrata solamente in uno dei due pazienti in fase di recidiva, suggerendo che le mutazioni di IDH1 possono rappresentare una lesione secondaria nella patogenesi della leucemia. Solamente due dei quattro pazienti mutati per IDH1 avevano cariotipo normale, pertanto abbiamo esteso lo screening delle mutazioni a tutti i casi di LAM in pazienti pediatrici in Italia a cariotipo normale arruolati dal 13/10/2000 al 15/04/2010. Degli ulteriori 97 casi a cariotipo normale analizzati, soltanto uno risultava portatore della mutazione di IDH1 (R132H). Conclusioni: le mutazioni del gene IDH1 sono presenti anche nelle forme di LAM in età pediatrica con una prevalenza stimata del 2.4% (4/165) in Italia. La bassa prevalenza non permette di dare indicazioni prognostiche, nonostante tutti i pazienti siano vivi a distanza di tempo differente dal trapianto di midollo, seppur con la presenza della mutazione FLT3-ITD (1 paziente). Le caratteristiche cliniche e biologiche dei pazienti con la suddetta mutazione non sembrano differire da quelle della popolazione di pazienti affetti da LAM in età pediatrica e sembrano simili a quelle dei casi riscontrati in età adulta. La mutazione R132 è l'unica riscontrata finora in età pediatrica. L'analisi estesa ad un totale di 186 bambini affetti da LAM a cariotipo normale ha identificato 3/186 mutazioni (1.6%) in questo specifico sottogruppo. Pertanto la mutazione di IDH1 non sembrerebbe prevalente nei pazienti a cariotipo normale. Infine, sapendo che le mutazioni di IDH1 possono essere o meno presenti alla recidiva, il loro ruolo nella patogenesi della LAM risulta ancora da chiarire. Il fatto che le mutazioni presenti nella popolazione con citogenetica normale possano essere sufficienti a determinare l'esordio di malattia non è ancora dimostrato. È possibile che sia ancora necessario individuare numerosi altri eventi coinvolti nella complessa e multifattoriale patogenesi della leucemia. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] CARATTE RI ZZAZIONE IN VITRO DI TRE P OPO LAZIONI EFFETTRICI ESPRI ME NTI UN RE CE TTO RE CH IME RI CO PE R LA TERAPIA CELLULARE DEL LA LEUCE MIA MIELO IDE ACUTA I. Pizzitola,1 V. Agostoni,1 E. Cribioli,1 M. Pule,2 R. Rousseau,3 H. Finney,4 A. Lawson,4 A. Biondi,1 E. Biagi1 V. Marin1 1Centro Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica, Ospedale San Gerardo, Università Milano-Bicocca, Monza, Italia; 2University College London, Londra, UK, 3Centre Leon Berard, Lione, Franci; 4UCB Celltech, Slough, UK Introduzione. I regimi terapeutici convenzionali della leucemia mieloide acuta (AML) garantiscono una remissione a lungo termine in solo il 40% dei pazienti trattati.1 La limitata efficacia e la tossicità dei trattamenti correnti hanno alimentato un forte interesse verso lo sviluppo di terapie alternative, potenzialmente più aggressive e selettive nei confronti delle cellule tumorali. In questo contesto l’immunoterapia cellulare adottiva offre un’opportunità terapeutica innovativa, rappresentata dalla generazione di linfociti T geneticamente modificati con recettori chimerici (CAR). I recettori chimerici sono molecole costituite da un dominio extracellulare di riconoscimento antigenico derivato da un anticorpo monoclonale e da una regione citoplasmatica di trasduzione del segnale, capaci di ri-orientare l’attività funzionale delle cellule T nei confronti del bersaglio tumorale inducendo una specifica, fisiologica ed efficace azione anti-tumorale2. Di fondamentale importanza per la realizzazione di protocolli di immunoterapia cellulare risulta l’identificazione della popolazione effettrice dotata delle migliori proprietà funzionali per l’applicabilità clinica. La popolazione linfocitaria ideale dovrebbe essere facile da espandere e modificare geneticamente in vitro, in modo da generare un numero di effettori cellulari sufficiente al trasferimento adottivo nei pazienti, capace di migrare ai siti di infiltrazione leucemica, persistere nell’organismo in uno stato funzionalmente attivo ed esercitare una potente e specifica azione anti-tumorale senza causare alloreattività. Sulla base di queste considerazioni, scopo del nostro studio è stato quello di caratterizzare e confrontare in vitro le proprietà funzionali di tre diverse popolazioni linfocitarie: i linfociti T citotossici specifici per Epstein Barr Virus (EBV-CTL), le cellule killer indotte da citochine (CIK) e i linfociti T γ9δ2 (GDT) dopo trasduzione con un CAR specifico per l’antigene CD33, largamente espresso dalle cellule di AML. AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Materiali e metodi. Le cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) isolate da donatori sani sono state utilizzate, dopo opportuna stimolazione citochinica, per la generazione di EBV-CTL, cellule CIK e GDT secondo protocolli standardizzati. Le cellule ottenute sono state caratterizzate fenotipicamente e funzionalmente: è stata valutata la loro capacità migratoria in risposta alla chemochina CXCL12, l’attività’ citotossica a breve termine (saggio di rilascio del 51Cromo di 4 ore) e a lungo termine (co-coltura delle cellule effettrici e delle cellule target per 6 giorni su uno strato di cellule mesenchimali in assenza di IL-2 esogena) contro diverse linee cellulari di AML e contro blasti leucemici primari, la capacità proliferativa (mediante saggio di incorporazione di 3H-timidina) e la secrezione delle citochine IFN-γ, IL-2, TNF-α ,TNF-β, IL-10 e TGF-β (mediante analisi quantitativa citofluorimetrica) in seguito a stimolazione con cellule leucemiche esprimenti l’antigene CD33. Risultati. In questo lavoro abbiamo dimostrato la fattibilità di generare ed espandere in vitro, a partire da PBMC di donatori sani, EBV-CTL, cellule CIK e GDT, dotati di caratteristiche fenotipiche e funzionali tipiche della popolazione di riferimento. Le tre popolazioni effettrici sono state similmente trasdotte con un vettore retrovirale codificante per il CAR anti-CD33-ζ con un’espressione media del CAR rispettivamente del 71% per EBV-CTL, 65% per cellule CIK e 67% per GDT. L’espressione del CAR pur non alterando le caratteristiche immunofenotipiche, funzionali e migratorie delle tre popolazioni linfocitarie, è in grado di conferire loro una comparabile e significativa attività citotossica a breve termine contro target leucemici CD33+ (lisi cellulare media vs blasti primari di AML al rapporto effettore:target 5:1, 50%, 61% and 50%, n=3, rispettivamente per EBVCTL, CIK e GDT). Inoltre l’attività citotossica delle cellule geneticamente modificate con il CAR è target-specifica, come dimostrato dalla mancata lisi cellulare di un bersaglio CD33- (linea cellulare SUP.B15). Risultati simili sono stati ottenuti valutando l’efficienza di lisi in saggi di citotossicità a lungo termine: in queste condizioni, che potrebbero mimare il contesto fisiologico in vivo, in cui i linfociti T effettori interagiscono con elevati numeri di cellule leucemiche nel microambiente midollare, è stato osservato come le tre popolazioni effettrici trasdotte con il CAR anti-CD33-ζ presentino una potente attività litica nei confronti sia della linea cellulare HL-60 che dei blasti primari di AML (con una sopravvivenza media al rapporto effettore:target 1:100, pari a 18%, 16% and 29% rispettivamente per EBV-CTL, CIK e GDT, n=8). Per garan- tire un’efficace azione anti-leucemica in vivo, le cellule effettrici dovrebbero essere in grado di persistere dopo l’infusione, assicurando una sorveglianza anti-tumorale duratura. Abbiamo pertanto valutato la capacità di EBV-CTL, CIK e GDT di espandersi in vitro in seguito a stimolazione target specifica. In seguito a trasduzione con il CAR anti-CD33-ζ le tre popolazioni effettrici acquistano una consistente ad analoga capacità di proliferare in vitro dopo contatto con blasti primari di paziente (indice di proliferazione medio dopo 4 giorni senza IL-2 esogena pari a 2.1, 2.4 e 3.1, per EBV-CTL, cellule CIK e GDT, rispettivamente) e di rilasciare elevati e comparabili livelli di citochine immunostimolatorie (IFN-γ, IL2, TNF-α, TNF-β), mentre non risultano in grado di rilasciare significativi livelli delle citochine immunoregolatorie IL-10 e TGF-β. Tale proprietà è di notevole interesse, dal momento che la popolazione effettrice ideale dovrebbe essere in grado, non solo di mediare un’azione anti-leucemica diretta, ma anche di sostenere ed amplificare una risposta immunitaria anti-tumorale attraverso il rilascio di citochine immunostimolatorie. Conclusioni. In conclusione, in questo studio è stata dimostrata la possibilità di generare ed espandere in vitro cellule CIK, GDT ed EBV-CTL, modificarli geneticamente con un recettore chimerico anti-CD33-ζ, che ne aumenta considerevolmente e in maniera simile le proprietà citotossiche, proliferative e la produzione di citochine in seguito all’interazione specifica con differenti target CD33+. Tuttavia da questo studio emerge anche l’impossibilita’ di identificare, attraverso i soli dati in vitro, quale sia la popolazione effettrice più potente. Questi dati andrebbero supportati non tanto in un modello murino, dove il microambiente potrebbe non sostenere il mantenimento a lungo termine delle cellule umane, a causa delle barriere xenogeniche, ma piuttosto in un contesto umano. Questi dati sono in accordo con le osservazioni ottenute da un recente clinical trial con cellule T modificate con recettori chimerici3 dal quale emerge che per ottenere una risposta clinica rilevante sia fondamentale la persistenza in vivo delle cellule T piuttosto che il loro potenziale citotossico e immunomodulatorio. Bibliografia 1. Estey E, Dohner H. Acute myeloid leukaemia. Lancet. 2006 Nov 25;368(9550):1894-907. 2. Eshhar Z, Waks T, Gross G, et al., Specific activation and targeting of cytotoxic lymphocytes through chimeric single chains consisting of antibody- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] binding domains and the gamma or zeta subunits of the immunoglobulin and Tcell receptors. Proc Natl Acad Sci U S A, 1993. 90(2): p. 720-724. 3. Pule MA, Savoldo B, Myers GD, et al., Virus-specific T cells engineered to coexpress tumor-specific receptors: persistence and antitumor activity in individuals with neuroblastoma. Nat Med, 2008. 14(11): p. 1264-1270 ANALISI DEL PROFILO DI EFFICACIA E SICUREZZA DI CELLULE KI LLER INDOTTE DA CITOCHINE TRASDOTTE CON RECETTO RE CHIMERICO ANTI-CD33 IN UN MODE LLO MURINO XENOGENICO I. Pizzitola,1 V. Marin,1 M. Pule,2 H. Finney,3 A. Lawson,3 A. Biondi,1 D. Bonnet,4 E. Biagi1 1Centro Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica, Ospedale San Gerardo, Università Milano-Bicocca, Monza, Italia; 2Dipartimento di Ematologia, University College London, London, United Kingdom, 3UCB Celltech, Slough, UK; 4Cancer Research UK, Londra, UK Introduzione. i recettori chimerici (CAR) sono molecole artificiali di recente generazione, che rappresentano uno strumento innovativo per direzionare la specificità e l’attività funzionale delle cellule T contro i tumori, rendendole potenti effettori anti-tumorali.1 I regimi terapeutici convenzionali della leucemia mieloide acuta (AML) garantiscono una remissione a lungo termine in solo il 40% dei pazienti trattati. In questo contesto, l’immunoterapia cellulare adottiva offre un’opportunità terapeutica innovativa, rappresentata dalla generazione di linfociti T geneticamente modificati con CAR specifici per l’antigene CD33, espresso sui blasti mieloidi nel 90% dei pazienti affetti. Abbiamo recentemente dimostrato in vitro l’efficacia di questo approccio,2 utilizzando una popolazione di cellule effettrici chiamate “Citokyne Induced Killer” (CIK). Tali cellule T, facilmente e rapidamente espandibili ex-vivo da cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC), sono dotate di una potente attività antitumorale spontanea, non MHC ristretta, verso differenti target sia in vitro che in vivo, risultano ben tollerate senza mediare la malattia del trapianto verso l’ospite (GVHD). Abbiamo mostrato come l’espressione di CAR specifici per CD33 (anti-CD33-ζ e anti-CD33CD28-OX40-ζ) sia in grado di conferire alle cellule CIK una potente attività antileucemica sia verso linee cellulari mieloidi (HL-60 e KG-1) sia verso blasti primari di paziente. Inoltre l’introduzione dei CAR anti-CD33 è accompagnata da una proliferazione CD33-specifica, con rilascio di elevati livelli di citochine immu- [page 27] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 nostimolatorie, in grado di sostenere ed amplificare la risposta immunitaria antitumorale. Lo scopo principale del seguente studio è di analizzare in vivo l’efficacia di un approccio immunoterapico basato sull’utilizzo di cellule CIK esprimenti CAR anti-CD33. Una strategia specifica contro il CD33 è di particolare interesse perché questo antigene è espresso non solo dal bulk dei blasti, ma anche dalle cellule staminali leucemiche (LSC),3 capaci di dare origine e sostenere la malattia neoplastica. Una remissione completa da malattia puo’ essere raggiunta solo con una terapia diretta ad eradicare le LSC. Inoltre, poiché il CD33 è espresso anche sulla superficie dei normali precursori mieloidi, eritroidi e megacariocitici,3 sarà di fondamentale importanza valutare in parallelo l’effetto delle cellule CIK trasdotte con CAR antiCD33 sulla normale mielopoiesi. Materiali e metodi. Per questo studio è stato adottato il modello murino NSG (NOD-SCID-IL2R-gammanull), dove, grazie all’assenza di cellule NK, cellule T e cellule B, si può ottenere un miglior attecchimento delle cellule umane rispetto al classico modello NOD/SCID. In un primo set di esperimenti è stata valutata la capacità di attecchimento e di persistenza delle cellule CIK nel modello murino NSG analizzando il sangue periferico dei topi in seguito all’iniezione delle cellule CIK. In breve, 3¥106 di cellule CIK non trasdotte sono state iniettate intravena (i.v.) in 12 topi di 8 settimane. A partire dalla quarta settimana dopo la somministrazione delle cellule CIK, e successivamente ogni 4 settimane, campioni di sangue periferico sono stati stato analizzati tramite citofluorimetria a flusso per la presenza di marcatori umani (CD45 e CD3). In secondo luogo, è stata valutata l’attività antileucemica delle cellule CIK esprimenti o meno CAR anti-CD33 utilizzando topi ricostituiti con la linea cellulare umana di leucemia mieloblastica HL60 trasdotta con un vettore esprimente Firefly luciferasi (HL-60 Luc). 21 topi NSG di 8-12 settimane sub-letalmente irradiati sono stati iniettati con 2¥106 cellule di HL-60 Luc e la progressione del tumore è stata valutata settimanalmente mediate tecniche di bioluminescenza (BLI). Dopo due settimane, una volta verificato l’attecchimento del tumore,, sono state somministrate 5¥106 cellule CIK trasdotte con i CAR anti-CD33. Alla comparsa dei primi segni di sofferenza per l’animale i topi sono stati sacrificati. Al momento del sacrificio degli animali, sono state isolate le cellule mononucleate del midollo osseo ed analizzate mediante citofluorimetria per la presenza di marcatori umani. Risultati. Il modello murino NSG si è rive- [page 28] lato permissivo all’attecchimento delle cellule umane, infatti a 4 settimane dall’infusione, tutti i topi sono risultati positivi per la presenza delle cellule CIK. Nei time-point successivi abbiamo osservato una progressiva riduzione della quota di cellule umane circolanti, dimostrandone quindi la non tumorigenicità. In uno dei 12 topi è stato possibile rintracciare le cellule CIK anche 24 dopo settimane dalla somministrazione. In nessuno dei topi inoculati con cellule CIK si è osservato lo sviluppo di GvHD. Nel secondo set di esperimenti è stato possibile ottenere informazioni sulla progressione del tumore grazie alla quantificazione dell'attività luciferasica. Complessivamente, dopo tre settimane dalla somministrazione delle cellule CIK, nei topi controllo, iniettati solo con HL-60, si è osservato un aumento medio della crescita tumorale di 766 volte, mentre nei topi trattati con cellule CIK l’incremento medio è stato di 447, 306 e 65 volte rispettivamente per i topi che hanno ricevuto cellule CIK non trasdotte, CIK trasdotte con il CAR antiCD33-ζ e CIK trasdotte con il CAR antiCD33-28-OX40-ζ. Parallelamente è stata osservata nei topi trattati con cellule CIK una riduzione del livello di invasione midollare delle HL-60: mentre nei topi controllo la percentuale media di cellule tumorali - valutata mediante citofluorimetria a flusso - è risultata pari al 56%, nei topi trattati con cellule CIK, tale valore si riduce al 22%, 9% e 4%, per i topi trattati con cellule CIK non trasdotte, CIK trasdotte con il CAR anti-CD33-ζ e CIK trasdotte con il CAR anti-CD33-28-OX40ζ, rispettivamente. Conclusioni. Questi esperimenti preliminari mostrano che le cellule CIK sono in grado di attecchire e di persistere in un modello murino NSG fino a 24 settimane dopo l’infusione in assenza di IL-2 esogena. È stato osservato inoltre che, nei topi trattati con cellule CIK trasdotte con CAR anti-CD33, si ha una riduzione della progressione tumorale rispetto ai topi controllo. Questa riduzione diventa ancora più significativa quando viene utilizzato un CAR di terza generazione, contenente nella porzione intracellulare i domini costimolatori CD28 ed OX-40, che conferiscono alle cellule un vantaggio in termini di persistenza e proliferazione. Lo scopo dei prossimi esperimenti è quello di ottimizzare il trattamento terapeutico al fine di eradicare completamente il tumore, confermare i dati ottenuti utilizzando blasti primari di pazienti affetti da AML e valutare il profilo di sicurezza nei confronti nei confronti dei precursori ematopoietici normali. I risultati che otterremo da questo studio ci forniranno una completa caratterizzazione in termini di efficacia e sicurezza, utile per valutare l’applicabilità clinica della strategia [Pediatric Reports 2011; 3:s1] immunoterapica basata sull’utilizzo di cellule CIK geneticamente modificate con CAR anti-CD33 nel trattamento di pazienti con AML ricaduti (soprattutto come immunoterapia adottiva post trapianto con cellule CIK del donatore) o resistenti ai tradizionali trattamenti radio-chemioterapici. Bibliografia 1. Eshhar Z, Waks T, Gross G, et al., Specific activation and targeting of cytotoxic lymphocytes through chimeric single chains consisting of antibodybinding domains and the gamma or zeta subunits of the immunoglobulin and Tcell receptors. Proc Natl Acad Sci U S A, 1993. 90(2): p. 720-724. 2. Marin V, Pizzitola I, Agostoni V, et al., Cytokine Induced Killer cells for cell therapy of acute myeloid leukemia: improvement of their immune activity by expression of CD33-specific chimeric receptors. Haematologica, 2010. 3. Taussig DC, Pearce DJ, Simpson C, Rohatiner AZ, Lister TA, Kelly G, et al. Hematopoietic stem cells express multiple myeloid markers: implications for the origin and targeted therapy of acute myeloid leukemia. Blood. 2005 Dec 15;106(13):4086-92. IL-27 INIBI SCE LA CRESCI TA DE LLA LEUCE MI A LINFO BLASTICA ACUTA A CE LLULE B P EDIATRI CA (B-ALL) IN UN MODELLO PRE-CLI NI CO. C. Cocco,1 S. Canale,1 C. Frasson,2 E. Di Carlo,3 E. Ognio,4 E. Seganfreddo,2 D. Ribatti,5 A. Zorzoli,1G. Basso,2 C. Dufour1 I. Airoldi1 1Istituto G.Gaslini Genova; 2 Università di Padova; 3Università di Chieti; 4IST Genova; 5Università di Bari, Italia Introduzione. IL-27 è una citochina eterodimerica pro-infiammatoria appartenente alla superfamiglia dell’IL-12.1 È prodotta principalmente da cellule dendritiche attivate e macrofagi ed è ritenuta una delle principali citochine coinvolte nello sviluppo di molte malattie infiammatorie T-dipendenti. È stato dimostrato come IL-27 possa funzionare come agente antitumorale nei tumori solidi2,3 ma anche nel mieloma multiplo.4 Tale attività può essere esercitata attraverso meccanismi indiretti (attivazione di linfociti T e NK) oppure diretti su cellule tumorali esprimenti il corrispondente recettore a livello superficiale. Obiettivo specifico di questo lavoro è definire se IL-27 può svolgere un’attività anti-tumorale diretta sulle cellule di B-ALL ed identificare gli eventuali meccanismi coinvolti. Materiali Metodi. Pazienti. Le cellule leucemiche primarie sono state ottenute, previo consenso informato, da aspirati AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 midollari di 29 pazienti pediatrici affetti da B-ALL non trattati al momento del prelievo. In particolare, sono stati studiate 4 pro-B, 19 early pre- B e 6 pre-B. Aliquote di aspirati midollari ottenuti previo consenso informato a scopo diagnostico da 12 donatori sani sono stati inclusi nello studio. Cellule normali proB, early pre- e pre-B cells sono state identificate quali CD19+CD10-CD20-, CD19+ CD10+CD20+ o CD19+CD10-CD20+ rispettivamente. Anticorpi e citofluorimetria. Sono stati utilizzati anticorpi murini anti WSX-1 (catena specifica del recettore di IL-27) e gp130, anticorpi monoclonali coniugati anti-CD45, CD10, CD19, CD38, CD20 e CD133 (BD Biosciences, San Josè, CA, USA). L’analisi citofluorimetrica è stata effettuata mediante lettura al FaCS Calibur analyzer utilizzando CellQuest software. Studi in vivo. Sono stati utilizzati topi NOD/SCIDIl2rg-/- (NSG) di 4-6 settimane, divisi in due gruppi di 3-5 topi. Gli animali sono stati inoculati endovena con 2x106 cellule di early pre B-ALL ottenute da 6 pazienti pediatrici. Tali campioni sono stati selezionati per l’alta infiltrazione midollare di cellule neoplastiche (>90%) nonché per i livelli di espressione della catena recettoriale specifica di IL27 (minimo 68% cellule WSX1+CD19+CD10+). Un gruppo è stato trattato con IL-27 (2 dosi settimanali, 1μg/dose/topo), mentre l’altro è stato trattato con PBS (controlli) a partire da 3 giorni dopo l’inoculo delle cellule tumorali. Dopo 6-8 settimane i topi sono stati sacrificati ed i seguenti organi prelevati: milza, sangue periferico e midollo osseo. Tali sospensioni cellulari sono state sottoposte ad analisi immunofenotipiche e molecolari. Le cellule leucemiche umane sono state identificate per l’espressione di CD45, CD19 e CD10 utilizzando anticorpi che riconoscono specificamente marcatori umani. In alcuni esperimenti 0.5-1x106 di cellule umane CD45+ purificate dal midollo osseo murino sono state inoculate endovena in altri topi al fine di testare la capacità cellule leucemiche espiantate di sviluppare nuovamente la leucemia. Studi in vitro. Cellule primarie di B-ALL sono state coltivate 6-72 ore in presenza o in assenza di 50 ng/mL di IL-27. La proliferazione cellulare è stata misurata mediante l’utilizzo dell’anticorpo antiKi67, mentre l’apoptosi è stata valutata attraverso l’utilizzo del kit intracellulare per l’Annessina V e ioduro di propidio. Studi sull’angiogenesi sono stati condotti attraverso CAM assay. Analisi molecolari su cellule umane CD45+ ex vivo e su B-ALL primarie coltivate in vitro. Cellule umane CD45+ purificate da midollo osseo e milze prelevate da topi trattati e di controllo sono state ana- lizzate mediante PCR per i riarrangiamenti IGH, IGK-Kde, TCRD, TCRG e mediante real time PCR per espressione di miR-155. Cinque campioni di B-ALL sono state coltivate 24 ore in presenza o assenza di IL-27 (50 ng/ml) ed analizzate per espressione di miRNA attraverso PCR Array. Risultati. Espressione di IL-27R nelle BALL primarie e nella loro controparte normale. Cellule di B-ALL prelevate dai pazienti (n=29) esprimono costitutivamente entrambe le catene del recettore di IL-27 (WSX-1 e gp130). Tale espressione è significativamente più alta rispetto alla controparte normale. IL-27 inibisce la crescita leucemica in topi NSG Analisi citofluorimentriche dei vari tessuti espiantati dai topi hanno dimostrato che le cellule umane leucemiche presentano lo stesso fenotipo (CD45+CD10+ CD19-) delle cellule del paziente alla diagnosi. L’assenza dell’espressione di CD19 è stato documentato anche in PCR. Cellule CD45+ umane sono state trovate nel sangue periferico, milze e midollo osseo di tutti gli animali di controllo ma significativamente ridotte nel sangue (P=0.0002), midollo osseo (P<0.0001) e milze (P=0.0004) dei topi trattati con IL27 umana. I topi NSG rappresentano il modello animale di elezione per la crescita delle presunte “leukemic initiating cells”identificate, nelle B-ALL, quali cellule CD133+CD19- 5. Abbiamo dimostrato come tali cellule esprimano entrambe le catene recettoriali di IL-27 e possono quindi essere responsive all’attività della citochina. L’analisi citofluorimetrica delle cellule CD133+CD19- nei tessuti murini ha dimostrato che tale popolazione è presente nel sangue periferico, milze e midollo osseo dei topi di controllo ma significativamente ridotta dal trattamento di IL-27. La presenza di “leukemic initiating cells” è stata anche dimostrata grazie a inoculi secondari delle cellule umane purificate dagli animali inoculati con la B-ALL originaria. Infine, cellule umane CD45+ purificate dalle milze di topi che hanno ricevuto l’inoculo secondario hanno mantenuto lo stesso fenotipo e gli stessi riarrangiamenti IG and TCR che sono stati evidenziati nel campione di B-ALL alla diagnosi. Attività anti-tumorale di IL-27 contro le BALL in vitro. L’attività anti-tumorale di IL27 è stata studiata in vitro in termini di modulazione della proliferazione, apoptosi, attività angiogenica e di espressione di microRNA. Abbiamo dimostrato come IL-27 induca significativamente apoptosi (AnnV/IP), inibisca la proliferazione (Ki67) e la capacità angiogenica delle BALL (CAM). Analisi molecolari hanno rivelato che IL-27 up-regola una serie di geni anti-angiogenici quali IFN-γ and TIMP-2. La neutralizzazione di questo fat- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] tori nei supernatanti di B-ALL trattate IL27 vanifica l’effetto annti-angiogenico della citochina stessa. Infine IL-27 downregola miR-155 (microRNA frequentemente over-espresso in tumori che derivano da linfociti B6), effetto dimostrato anche in vivo. Conclusioni. In questo lavoro abbiamo dimostrato per la prima volta come IL-27 abbia un effetto antitumorale diretto sulle cellule di B-ALL pediatrica sia in vitro che in vivo, evidenziandone i meccanismi coinvolti. Questi risultati aprono interessanti prospettive terapeutiche per i pazienti pediatrici affetti da B-ALL che non rispondono alle terapie standard. Bibliografia 1. Trinchieri G, Pflanz S, Kastelein RA. The IL-12 family of heterodimeric cytokines: new players in the regulation of T cell responses. Immunity. 2003;19(5):641644. 2. Hisada M, Kamiya S, Fujita K, et al. Potent antitumor activity of interleukin27. Cancer Res. 2004;64(3):1152-1156. 3. Yoshimoto T, Morishima N, Mizoguchi I, et al. Antiproliferative activity of IL-27 on melanoma. J Immunol. 2008;180(10):6527-6535. 4. Cocco C, Giuliani N, Di Carlo E, et al. IL27 Acts as Multifunctional Anti-Tumor Agent in Multiple Myeloma. Clin Cancer Res. 5. Cox CV, Diamanti P, Evely RS, Kearns PR, Blair A. Expression of CD133 on leukemia-initiating cells in childhood ALL. Blood. 2009;113(14):3287-3296. 6. Eis PS, Tam W, Sun L, et al. Accumulation of miR-155 and BIC RNA in human B cell lymphomas. Proc Natl Acad Sci U S A. 2005;102(10):3627-3632. L’ATTIVITA’ ANTI -TUMORALE COMBINATA DI IL-23 E IL-27 O STACOLA LA CRESCI TA DEL LINFOMA FOLLI COLARE E DE L LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CE LLULE B I N VI VO C. Cocco,1 E. Di Carlo,2 S. Zupo,3 S. Canale,1 C. Sorrentino,2 D. Ribatti,4 E. Ognio3 and I.Airoldi1 1Istituto G.Gaslini, Genova, 2Università of Chieti, 3Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro,4Università di Bari, Italia Introduzione. Il linfoma follicolare (LF) appartiene al gruppo dei linfomi NonHodgkin ed è la seconda forma di linfoma più diffusa nell’età adulta. Esso deriva dalla trasformazione neoplastica dei linfociti B del centro germinativo ed è caratterizzato dalla costitutiva espressione dell’oncogene Bcl2 che favorisce la sopravvivenza delle cellule tumorali. Il decorso clinico dei pazienti affetti da questa patologia è molto variabile e dipende dal grado di aggressività della [page 29] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 malattia. La forma più aggressiva di questo tumore è rappresentato dal linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), il quale può svilupparsi anche in maniera indipendente. Pertanto lo sviluppo di nuove terapie è di fondamentale importanza. IL-23 e IL-27 sono citochine appartenenti alla famiglia di IL-12 e possiedono sia attività immuno-stimolatoria che antitumorale,1 quest’ultima mediata da meccanismi indiretti e diretti. Recentemente il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato per la prima volta che IL-23 e IL-27 sono in grado di inibire la progressione tumorale in diverse neoplasie ematologiche, quali leucemia linfoblastica acuta a cellule B pediatrica e mieloma multiplo,2,3 agendo direttamente sulle cellule tumorali che esprimono i recettori corrispondenti. Obiettivo di questo studio è stato investigare il ruolo di IL-23 e IL-27 e dei loro recettori nel controllo della crescita delle cellule di LF/DLBCL. Sulla base di questi dati, è stata studiata l’espressione dei recettori per IL-23 e IL-27 sulle cellule di LF e testata la potenziale attività antitumorale delle due citochine sia in vitro che in vivo. Materiali e metodi. L’espressione dei recettori eterodimerici per IL-23 (IL-23R e IL-12Rβ1) e per IL-27 (WSX-1e gp130) è stata testata sia su linee cellulari LF/DLBCL umane (SU-DHL-4, DOHH-2, Karpas-422, and LY8) che su cellule primarie ottenute, previo consenso informato, da pazienti affetti da LF (n=11) e ad DLBCL (n=9). Le cellule primarie sono state isolate da sospensioni linfonodali tramite gradiente di densità e purificate tramite selezione negativa usando i marcatori umani CD14, CD3, CD56, ottenendo un popolazione pura CD19 positiva. Esperimenti funzionali in vitro sono stati effettuati su cellule primarie e sulle linee cellulari LF/DLBCL coltivate per 6, 24, 48 e 72 ore con o senza IL-23, IL-27 o IL23+IL-27 (100 ng/ml ciascuna) e successivamente testate per apoptosi (tramite kit annessina V/ioduro di propidio), proliferazione (test con Ki67, CFSE, BrDU) e angiogenesi (test CAM e PCR array). Modelli murini sono stati utilizzati per testare l’attività anti-tumorale di IL-23 e IL-27 contro le cellule LF/DLBCL umane in vivo: 4 gruppi da 10 topi SCID-NOD sono stati inoculati sotto-cute con 5 milioni di cellule SU-DHL-4 e trattati con 3 dosi settimanali di PBS (controllo), IL23, IL-27 e IL-23/IL-27 (1µg/dose/topo ciascuna). Dopo 28 giorni le masse tumorali sviluppatesi sono state misurate e sottoposte ad analisi istologica, immunoistochimica e molecolare (PCR Array) per valutare eventuali differenze a livello di di dimensioni dei tumori sviluppati nei topi di controllo e trattati, e per caratterizzare gli eventuali meccanismi molecolari coinvolti. [page 30] Risultati. L’analisi citofluorimetrica dimostra che le cellule LF e DLBCL primarie esprimono costitutivamente le catene specifiche dei recettori per IL-23 e IL-27, cioè IL-23R e WSX-1 rispettivamente. Le catene IL-12Rβ1 e gp-130 sono anch’esse espresse indicando che le cellule LF/DLBCL sono potenzialmente responsive all’attività di IL-23 e IL-27. Al contrario l’espressione dei due recettori nelle linee cellulari risulta eterogenea: SU-DHL-4 e LY8 esprimono sia IL-23R che IL-27R, Karpas-422 esprime IL27R e DOOH-2 esprime IL-23R. Test funzionali in vitro sulle linee cellulari dimostrano che IL-23 induce una forte inibizione della proliferazione, mentre IL-27 ha effetto antiangiogenico contro le cellule tumorali. Una debole attività anti-proliferativa è stata osservata anche da parte di IL-27; tuttavia il trattamento combinato delle due citochine non amplifica tale effetto. Gli esperimenti funzionali in vitro su cellule LF/DLBCL primarie dimostrano che IL27 inibisce il potenziale angiogenico delle cellule tumorali, ma nessun effetto è stato osservato in termini di proliferazione. Questo dato apparentemente contrastante con quanto osservato sulle linee cellualri è riconducibile al fatto che le cellule LF/DLBCL isolate da paziente non hanno di per sé capacità proliferativa in vitro, ma necessitano stimoli esogeni per la loro sopravvivenza. Fisiologicamente, infatti, la crescita delle cellule LF è supportata dalle cellule del microambiente tumorale, pertanto gli esperimenti funzionali sulle cellule primarie con IL-23 e IL-27 verranno ripetuti aggiungendo alla coltura stimoli come CD40L e IL-4. Per gli esperimenti in vivo è stata selezionata la linea SU-DHL-4 poichè mostra alti livelli di espressione di IL-23R e IL-27R. I risultati ottenuti dimostrano che i topi trattati con IL-23, IL-27 o IL-23+IL-27 sviluppano masse tumorali significativamente più piccole rispetto ai topi di controllo. In particolare la somministrazione combinata delle due citochine induce un’inibizione della crescita tumorale significativamente maggiore rispetto a quella osservata dopo trattamento con le singole citochine, dimostrando che IL-23 e IL-27 esercitano un’azione sinergica nel controllo della crescita delle cellule tumorali. L’analisi istologica ed immunoistochimica mostra una chiara attività anti-angiogenica da parte di IL-27 e una forte inibizione della proliferazione indotta da IL-23. L’analisi molecolare di geni correlati al processo angiogenico mostra che IL-27 induce l’up-regolazione di fattori antiangiogenici (TIMP-1) e inibisce l’espressione di fattori pro-angiogenici (MMP-9, VEGF-C). Sebbene sia presente anche una debole attività anti-proliferativa da parte di IL-27, il trattamento combinato delle due citochine riproduce gli effetti osservati nei topi trattati con le singole citochine, indicando IL-23 come principale mediato- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] re del blocco proliferativo. Inoltre questi dati confermano la presenza di un effetto sinergico da parte di IL-23 e IL-27 diretto contro le cellule LF. Conclusioni. I dati illustrati dimostrano per la prima volta che IL-23 e IL-27 esercitano un’azione anti-tumorale diretta contro le cellule LF/DLBCL agendo attraverso meccanismi distinti. Inoltre, la somministrazione combinata delle due citochine mostra un effetto inibitorio sinergico sulla crescita tumorale. Questi risultati suggeriscono che IL-23 e IL-27 possono essere usati singolarmente o in associazione nel trattamento del LF/DLBCL. Dati pre-clinici ottenuti in differenti modelli animali4 indicano che IL23 e IL-27 presentano una bassa tossicità sistemica, suggerendo che IL-23 e/o IL-27 potrebbero essere testate in trials clinici di fase I su pazienti affetti da LF/DLBCL. Bibliografia 1. Hunter CA. New IL-12-family members: IL-23 and IL-27, cytokines with divergent functions. Nat Rev Immunol 2005;5:52131. 2. Cocco C, Canale S, Frasson C, Di Carlo E, Ognio E, Ribatti D, et al. Interleukin-23 acts as antitumor agent on childhood Bacute lymphoblastic leukemia cells. Blood;116:3887-98. 3. Cocco C, Giuliani N, Di Carlo E, Ognio E, Storti P, Abeltino M, et al. Interleukin-27 acts as multifunctional antitumor agent in multiple myeloma. Clin Cancer Res;16:4188-97. 4. Oniki S, Nagai H, Horikawa T, Furukawa J, Belladonna ML, Yoshimoto T, et al. Interleukin-23 and interleukin-27 exert quite different antitumor and vaccine effects on poorly immunogenic melanoma. Cancer Res 2006;66:6395404. IL-27 FUNZI ONA CO ME AGENTE ANTI-TUMO RALE CO NTRO LE LEUCE MI E ACUTE MIELO IDI P EDIATRICH E IN VIVO E D IN VITRO A. Zorzoli,1 C. Cocco,1 E. Di Carlo,2 E. Ognio,3 D. Ribatti,4 E. Ferretti,1D. Montagna,5 C. Dufour6 I. Airoldi1 1,6Istituto G.Gaslini Genova; 2Università di Chieti ; 3IST Genova; 4Università di Bari, 5Policlinico S. Matteo, Pavia, Italia Introduzione. IL-27 è una citochina eterodimerica pro-infiammatoria appartenente alla superfamiglia dell’IL-12 che comprende anche IL-23 ed IL-351. IL-27 è composta dalle subunità EBI3 e p28 omologhe rispettivamente a p40 e p35 di IL-122, è prodotta da cellule presentanti l'antigene e svolge la sua attività su cellule che esprimono il corrispondente recettore a livello superficiale1. IL-27R è un recettore eterodimerico costituito da WSX-1 e gp130, entrambe necessarie per la tra- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 sduzione del segnale di IL-27 3. È stato dimostrato come IL-27 possa funzionare come agente antitumorale nei tumori solidi4,5 ma anche nel mieloma multiplo6. Tale attività può essere esercitata attraverso meccanismi indiretti (attivazione di linfociti T e NK) oppure diretti su cellule tumorali esprimenti il corrispondente recettore a livello superficiale. Obiettivo specifico di questo lavoro è stato quello di definire se IL-27 può svolgere un’attività antitumorale diretta sulle cellule primarie di AML ed identificare gli eventuali meccanismi coinvolti. Materiali Metodi. Pazienti. Le cellule primarie sono state ottenute, previo consenso informato, da aspirati midollari di 16 pazienti pediatrici affetti da AML non trattati al momento del prelievo. Anticorpi e citofluorimetria. Sono stati utilizzati anticorpi murini anti WSX-1 (catena specifica del recettore di IL-27) e gp130, anticorpi monoclonali coniugati anti-CD45, CD33, CD38, CXCR4(BD Bio sciences, San Josè, CA, USA). L’analisi citofluorimetrica è stata effettuata mediante lettura al FaCS Calibur analyzer utilizzando CellQuest software. Studi in vivo. Sono stati utilizzati topi NOD/SCIDIl2rg-/- (NSG) di 4-6 settimane, divisi in due gruppi di 3-5 topi. Gli animali sono stati inoculati endovena con 5¥106 cellule di AML ottenute da 5 pazienti pediatrici. Tali campioni sono stati selezionati per l’alta infiltrazione midollare di cellule neoplastiche (>85%). Un gruppo è stato trattato con IL-27 (2 dosi settimanali, 1 μg/dose/topo), mentre l’altro è stato trattato con PBS (controlli) a partire da 3 giorni dopo l’inoculo delle cellule tumorali. Dopo 10-12 settimane i topi sono stati sacrificati ed i seguenti organi prelevati: milza, sangue periferico e midollo osseo. Tali sospensioni cellulari sono state sottoposte ad analisi immunofenotipiche e molecolari. Le cellule leucemiche umane sono state identificate per l’espressione di CD45 utilizzando anticorpi che riconoscono specificamente marcatori umani Studi in vitro. Cellule primarie di AML sono coltivate 6-60 ore in presenza o in assenza di 100 ng/mL di IL-27. La proliferazione cellulare è stata misurata mediante l’utilizzo di anticorpi anti-Ki67 o BrdU/ioduro di propidio (IP) mentre l’apoptosi è stata valutata attraverso l’utilizzo del kit intracellulare per l’Annessina V e IP. Studi sull’angiogenesi sono stati condotti attraverso CAM assay e PCR array. Analisi molecolari su cellule umane CD45+ ex vivo e su AML primarie coltivate in vitro. Cellule umane CD45+ purificate da midollo osseo e milze prelevate da topi trattati e di controllo sono state analizzate mediante PCR Array per espressione di geni coinvolti nei processo angiogenico e metastatico. La stessa analisi è stata condotta su due campioni primari di AML coltivati 48 ore in presenza o assenza di IL-27. L’espressione di CXCR4 è stata studiata sulle cellule leucemiche presenti nei diversi tessuti murini espiantati da topi di controllo e trattati nonché su cellule primarie coltivate con o senza IL-27 48 ore in vitro. Risultati. Attività anti-tumorale di IL-27 contro le AML primarie in vivo. L’analisi citofluorimetrica dell’espressione di WSX-1 e gp130 su campioni primari di AML ha dimostrato come tali cellule leucemiche esprimano in superficie il recettore completo di IL-27. In seguito ad inoculo endovena di campioni di AML primarie, si è evidenziata presenza di cellule leucemiche a livello splenico, midollare e nel sangue periferico. L’ analisi immunofenotipica delle cellule umane nei vari tessuti espiantati dai topi ha dimostrato che le cellule leucemiche presentavano lo stesso fenotipo (CD45+ CD33+). La presenza delle cellule leucemiche era significativamente ridotta nel sangue (P<0.0001), midollo osseo (P=0.0015) e milze (P<0.0001) dei topi trattati con IL-27 umana rispetto ai controlli. Studi morfologici e di immunoistochimica sulle milze espiantate hanno documentato la presenza di numerosi infiltrati di cellule leucemiche supportati da un’organizzata rete vascolare e da un ricco reticolo di fibre stromali nei topi di controllo. Nelle milze dei topi trattati è stata notata una scarsa presenza di cellule leucemiche, assente vascolarizzazione e scarse fibre stromali. Analisi molecolari su cellule CD45+ isolate da milza e midollo osseo murino hanno dimostrato come IL-27 sia in grado di ridurre il potenziale angiogenico e metastatico delle cellule leucemiche in vivo attraverso la down-regolazione di vari fattori. Attività anti-tumorale di IL-27 contro le AML pediatriche in vitro L’attività anti-tumorale di IL-27 è stata studiata in vitro in termini di modulazione della proliferazione, apoptosi, attività angiogenica e metastatica. Abbiamo dimostrato come IL-27 inibisca la proliferazione (Ki67), aumenti la percentuale di cellule in fase G1 e subG1 (BrdU/IP), inibisca la capacità angiogenica (CAM) e moduli l’espressione di CXCR4 e cadherina 6 che sono coinvolti nelle metastasi. Analisi molecolari hanno inoltre rivelato che IL-27 up-regola geni anti-angiogenici quali IFN-γ, CXCL10, TIMP-2 e down-regola i fattori pro-angiogenici CXCR3 e angiopoietina 4. Conclusioni. In questo lavoro è stata dimostrata per la prima volta che IL-27 funziona come agente anti-tumorale contro le AML pediatriche sia in vitro che in vivo, evidenziandone i meccanismi coinvolti. Questi risultati suggeriscono che [Pediatric Reports 2011; 3:s1] IL-27 potrebbe rappresentare un nuovo “farmaco” anti-leucemico da testare in futuri trial clinici. È stato infatti dimostrato come IL-27 sia anche in grado di stimolare la proliferazione e differenziazione di cellule umane. Inoltre, test preclinici hanno evidenziato una scarsa tossicità sistemica della citochina, probabilmente dovuta ad una moderata induzione di IFN-γ, associata ad una efficiente stimolazione del sistema immunitario. Bibliografia 1. Trinchieri G, Pflanz S, Kastelein RA. The IL-12 family of heterodimeric cytokines: new players in the regulation of T cell responses. Immunity. 2003;19(5):641644. 2. Pflanz S, Timans JC, Cheung J, et al. IL27, a heterodimeric cytokine composed of EBI3 and p28 protein, induces proliferation of naive CD4(+) T cells. Immunity. 2002;16(6):779-790. 3. Pflanz S, Hibbert L, Mattson J, et al. WSX-1 and glycoprotein 130 constitute a signal-transducing receptor for IL-27. J Immunol. 2004;172(4):2225-2231. 4. Hisada M, Kamiya S, Fujita K, et al. Potent antitumor activity of interleukin27. Cancer Res. 2004;64(3):1152-1156. 5. Yoshimoto T, Morishima N, Mizoguchi I, et al. Antiproliferative activity of IL-27 on melanoma. J Immunol. 2008;180(10):6527-6535. 6. Cocco C, Giuliani N, Di Carlo E, et al. IL27 Acts as Multifunctional Anti-Tumor Agent in Multiple Myeloma. Clin Cancer Res. LA P RO GRES SI VA PERDITA DI ES PRESS IO NE DEL RECETTORE PE R I L-12 IN CELLULE CD33+CD38+ DI P AZI ENTI PEDIATRICI AFFE TTI DA LEUCEMIA MI EOI DE ACUTA FAVORIS CE LA CRE SCITA TUMORALE IN TOP I NOD/S CI D/IL-2RG-/E. Ferretti,1 D. Montagna,2 E. Di Carlo,3 C. Cocco,4 D. Ribatti,5 E. Ognio,6 C. Sorrentino,3 D. Lisini,7 A. Bertaina,8 F. Locatelli,2,8 V. Pistoia,1* I. Airoldi4* 1Laboratory of Oncology, G. Gaslini Institute, Genova, Italia; 2 Department of Pediatrics, University of Pavia, Foundation IRCCS Policlinico; 3Department of Oncology and Neurosciences, "G. d'Annunzio University and Ce.S.I. Aging Research Center, "G. d'Annunzio" University Foundation, Chieti, Italia; 4 A.I.R.C. Laboratory of Immunology and Tumors, Department of Experimental and Laboratory Medicine, G. Gaslini Institute, Genova, Italia; 5Department of Human Anatomy and Histology, University of Bari, Bari, Italia; 6Animal Model Facility, National Institute for Cancer Research, Genova, Italia; 7Pediatric Hematology and Oncology, Fondazione, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Italia; 8Department of [page 31] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Pediatric Hematology and Oncology, IRCCS, Bambino Gesù Hospital, Roma, Italia Introduzione. La leucemia mieloide acuta (LMA) è una neoplasia clinicamente e geneticamente etereogenea, con un’incidenza di circa 15-20% delle leucemie del bambino, nei quali presenta ancora un’elevata mortalità.1 Tale neoplasia è sostenuta dalla presenza di cellule leucemiche “staminali”, in grado si costiutire una bulk della malattia, grazie alla loro natura quiescente, alla capacità di avere un tempo di replicazione molto lento, che le rende, inoltre, resistenti al trattamento con agenti chemioterapici.2,3 Questo fa sì che sia necessaria la ricerca di potenziali agenti terapeutici diretti non solo verso i blasti leucemici, ma anche capaci di avere effetto sulle cellule leucemiche staminali. Il nostro studio si inserisce proprio in questo filone, e prende in esame i potenziali effetti della Interleuchina (IL)-12 come agente antitumorale nella LMA. È noto, infatti, come tale citochina sia in grado di inibire la crescita neoplastica in tumori solidi,così come in neoplasie ematologiche, con azione diretta o indiretta sul tumore.4 Obbiettivo perciò di questo studio è stato indagare : i) l’espressione del recettore per la IL-12 in blasti e sottopopolazioni leucemiche staminali di LMA; ii) l’attività anti-tumorale di IL-12, mediante diversi modelli in vivo e iii) i meccanismi coinvolti. Materiali Metodi. Nello studio sono stati inclusi 20 campioni di sangue midollare di pazienti pediatrici affetti dal LMA, con una elevata percentuale di cellule leucemiche (oltre il 90%). Su tali cellule è stata analizzata l’espressione delle catene β1 e β2 del recettore per IL-12 mediante marcatura e successiva analisi citofluorimetrica. Per l’analisi degli effetti in vivo del trattamento con IL-12 sono stati utilizzati topi NOD/SCID/IL2rg-/- (NSG) nei quali sono state inoculate cellule primarie di pazienti affetti da LMA mediante due differenti schemi sperimentali. Nel primo modello 8 milioni di cellule di LMA sono state inoculate sottocute in due gruppi da quattro animali ciascuno: un gruppo è stato trattato due volte la settimana con 1µg di IL-12 ricombinante umana, mentre il secondo gruppo è stato inoculato col solo mezzo di coltura. Al diciottesimo giorno gli animali sono stati sacrificati, le masse sottocute recuperate, misurate e sottoposte ad analisi cellulari, mediante marcatura citofluorimetrica, e tissutali, mediante colorazioni immunoistochimiche. Nel secondo modello di approccio sperimentale, 3-5 milioni di cellule di LMA da otto differenti pazienti sono state inoculate endovena in due gruppi di topi NSG, uno di controllo e uno tratta- [page 32] to con IL-12 seguendo il medesimo protocollo del modello sottocute. Una parte degli animali è stata sacrificata al giorno 30 e una parte al giorno 60. In entrambi i tempi al sacrificio degli animali sono stati recuperati sangue periferico, midollo e milze, per successive analisi cellulari e molecolari. Per una serie di esperimenti le cellule CD38+ sono state recuperate sia daglia nimali di controllo che dai trattati e ri-inoculate in topi NSG. Dopo 60 giorni gli animali sono stati sacrificati e recuperati sangue, midollo e milza. Risultati. Dall'analisi citofluorimetrica effettuata su venti campioni di LMA primaria pediatrica, è emerso come entrambe le catene β1 e β2 del recettore per IL12 siano espresse nei blasti leucemici (identificati per l’espressione del marcatore CD33). Inoltre, l’espressione del recettore è stata anche evidenziata nelle principali sottopopolazioni che caratterizzano le cellule staminali leucemiche, quali CD34+CD38-, CD33+CD38+ e CD44+CD38-. Data l’elevata espressione del recettore, si è passati all’analisi in vivo dei potenziali effetti della citochina sulla crescita neoplastica. Come primo modello di crescita tumorale, cellule primarie di LMA sono state inoculate in topi NSG sottocute e gli animali sono stati divisi in due gruppi: trattato e controllo. Dopo una settimana dall’inoculo gli animali presentavano una massa palpabile nei controlli; al giorno 18 sono stati sacrificati e le masse sono state recuperate e misurate. Da questa analisi è emerso come il trattamento con la citochina induca una riduzione statisticamente significativa della massa tumorale. Dalla successiva analisi immunoistochimica delle masse, è stata riscontrata la presenza di numerose aree apoptotiche e necrotiche nei tumori degli animali trattati con IL-12, così come una ridotta vascolarizzazione degli stessi. Inoltre, rispetto all’85% di cellule umane presente nelle masse degli animali di controllo (misurato tramite analisi citofluorimetrica), le masse degli animali trattati presentavano non più dell’8% di cellule umane. Si è poi passati all'inoculo dei blasti leucemici direttamente per via endovenosa, sempre in topi NSG. Tre-cinque milioni di cellule primarie sono stati inoculati in due gruppi di animali seguendo lo schema utilizzato per l’inoculo sottocute; una parte degli esperimenti è stata conclusa al giorno 30 ed una parte prolungata fino al giorno 60. Negli animali sacrificati al giorno 30 l’analisi di sangue periferico, midollo osseo e milza ha evidenziato la presenza di cellule leucemiche umane unicamente nella milza, e ha dimostrato come il trattamento con la IL-12 riduca drasticamente il numero di cellule leucemiche umane, così come la percentuale di cellule CD34+CD38- e cel- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] lule CD44+CD38-. Inoltre, le cellule leucemiche CD33+CD38+ degli animali di controllo risultano esprimere il recettore per IL-12. L'assenza di leucemiche in midollo e sangue periferico ci ha indotti a protrarre l’esperimento, sacrificando gli animali al giorno 60. In questo modello l’analisi citofluorimetrica dei vari compartimenti di tali animali ha rilevato la presenza di cellule umane non solo nella milza, ma anche nel midollo e nel sangue periferico sia nei controlli che nei trattati. In entrambi i gruppi la popolazione leucemica presentava un ridotto numero di cellule CD34+CD38- e CD44+CD38-, e una elevata percentuale di cellule CD33+CD38+ (oltre il 90%). Inoltre, da tale analisi è emerso anche come nella milza dei controlli si evidenzi ancora espressione del recettore per la IL-12, recettore assente in sangue e midollo del controllo e in tutti i compartimenti degli animali trattati. Questo risultato porta ad ipotizzare come la perdita di tale recettore consenta il mantenimento della crescita tumorale e si traduca in una inefficacia del trattamento con IL-12. Mediante il ri-inoculo endovena in topi NSG di cellule CD38+ purificate da animali tratatti e non, abbiamo potuto infine dimostrare la forte tumorogenicità di tali cellule leucemiche. Conclusioni. In questo studio è stata dimostrata per la prima volta l'espressione in cellule leucemiche di LMA del recettore per la IL-12 e la funzionalità della citochina come agente anti-tumorale nelle fasi precoci della malattia. Tale effetto perde di efficacia nelle fasi più avanzate, in associazione ad una progressiva perdita di espressione del recettore stesso nelle cellule leucemiche. Ciò fa supporre un possibile utilizzo della citochina come coadiuvante nel trattamento della malattia residua minima in pazienti affetti da LMA. Bibliografia 1. Kaspers GJ, Zwaan CM. Pediatric acute myeloid leukemia: towards high-quality cure of all patients. Haematologica 2007; 92: 1519-1532. 2. Hope KJ, Jin L, Dick JE. Acute myeloid leukemia originates from a hierarchy of leukemic stem cell classes that differ in self-renewal capacity. Nat Immunol 2004; 5: 738-743. 3. Dick JE. Acute myeloid leukemia stem cells. Ann N Y Acad Sci 2005; 1044: 1-5. 4. Trinchieri G. Interleukin-12 and the regulation of innate resistance and adaptive immunity. Nat Rev Immunol 2003; 3: 133-146. AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 LA DOWNREGULATI ON DI MTOR E P70S 6Kβ2 NELLA LEUCEMIA LINFOBLAS TICA ACUTA T-LINEAGE (LLA-T) PEDIATRICA È CO RRELATA AD UNA P RO GNO SI S FAVO REVO LE P. Bonaccorso*, M. Tumino*, A. D’Ambra*, E. Mirabile*, M. Barchitta^, A. Poli *, L. Greco*, D. Bottino*, M. La Rosa^*, A. Agodi^, L. Lo Nigro*. *Laboratorio di Citogenetica e Biologia Molecolare per le Malattie Emato-Onco logiche del bambino. Azienda Policlinico – OVE, Catania; ^ Dipartimento GF Ingrassia, Università di Catania, Italia Background. Le LLA-T includono circa il 15% delle LLA pediatriche ed oltre il 20% di bambini presentano recidiva di malattia, spesso fatale. La caratterizzazione di alterazioni molecolari con impatto prognostico potrebbe essere utile per l’identificazione precoce di pazienti ad alto rischio di fallimento terapeutico in cui potrebbero essere presi in considerazione trattamenti più intensivi e/o più specifici, incluso il trapianto delle cellule staminali ematopoietiche (HSCT). Recentemente è stato messo in evidenza un coinvolgimento del pathway PTEN/AKT nei bambini con LLA-T (Gutierrez A et al 2009), nella resistenza ai glucocorticoidi (Beesley A et al 2009) e nelle forme con NOTCH-1 mutato resistenti agli inibitori delle gamma secretasi (Palomero T et al. 2009). Nel tentativo di caratterizzare il ruolo del pathway PTEN/AKT/mTOR nelle LLA-T pediatriche, abbiamo valutato l’espressione di ciascun componente proteico in questa cascata e studiato la sua associazione con l’outcome. Materiali e Metodi. Sono stati analizzati 23 bambini con LLA-T consecutivamente diagnosticati presso il nostro Centro dal 1997 al 2009 ed arruolati in tre successivi Protocolli AIEOP. Abbiamo analizzato l’espressione dell’mRNA di PTEN mediante RT-PCR. Mediante Western Blot, abbiamo valutato l’espressione delle seguenti proteine: totali (AKT; GSK3β; CK2α; CK2β; PTEN; PDK1; P70S6Kβ2; mTOR) e fosforilate [AKT (S473)/(T308); GSK3β(S9); PTEN(S380); PDK1(S241); P70S6Kβ2(S371); mTOR (S2448)]. L’associazione di queste variabili con l’Event Free Survival (EFS) è stata valutata usando il test del χ2. Un valore di P≤0.05 è stato considerato statisticamente significativo. Inoltre, al fine di misurare il livello di associazione, sono stati calcolati il Rischio Relativo (RR) ed il corrispondente Intervallo di Confidenza al 95% (95% CI). Gli eventi presi in considerazione sono stati le morti per complicanze (DOC), recidive ed il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE). Risultati. Sette dei 23 pazienti hanno pre- sentato un evento: 5 recidive, 1 DOC e 1 TCSE. L’analisi in RT-PCR dell’espressione di PTEN ha rivelato che soltanto un caso non mostrava alcun prodotto. Al contrario, l’analisi in Western Blot ha dimostrato che tutti i pazienti esprimevano le proteine PTEN totali e fosforilate. È stato interessante notare come la proteina AKT totale era presente in tutti i casi tranne uno; le forme fosforilate, invece, si mostravano nel modo seguente: AKT (T308) espressa in 15 dei 23 pazienti (65%), mentre nessuno mostrava espressione di AKT (S473). Sorprendentemente, abbiamo osservato una downregulation statisticamente significativa dell’espressione di mTOR e P70S6Kβ2 sia totali che fosforilate in otto e nove (mTOR), in dieci e undici (P70S6Kβ2) dei 22 pazienti analizzati, rispettivamente. La downregulation o l’assenza di espressione di entrambe le forme (totale e fosforilata) di P70S6Kβ2 ha avuto un impatto statisticamente significativo sull’EFS, mostrando un rischio più alto di eventi, dato emerso dal confronto tra i casi con downregulation e i casi che esprimevano la proteina rispettivamente nella sua forma fosforilata (RR: 2,75; 95%CI: 1,25-6,01) e totale (RR 3,33; 95%CI: 1,29-8,59). Inoltre, la downregulation di mTOR(S2448) ha confermato lo stesso pattern di alto rischio di eventi (RR: 2,77; 95%CI: 1,08-7,07), confrontando quelli con una downregulation versus quelli che esprimevano la proteina fosforilata. Conclusioni. I nostri dati per la prima volta hanno mostrato come la downregulation o l’assenza di espressione di mTOR e/o P70S6Kβ2 siano associati ad una prognosi peggiore: 5 casi hanno presentato recidive molto aggressive (3 dei quali morti con il progredire della malattia); un bambino è morto durante la fase di Induzione per complicanze relative all’aggressività della malattia (emorragia splenica massiva) e un caso è stato sottoposto a TCSE da familiare HLA compatibile perché presentava un pattern di MRD ad alto rischio. Questi risultati preliminari dovranno essere confermati con studi su una più ampia popolazione. Tuttavia i nostri dati identificano nuovi marker di aggressività della malattia e di resistenza al trattamento, facilmente disponibili al momento della diagnosi, suggerendo che lo status di mTOR e P70S6Kβ2, che svolgono un ruolo cruciale come controllo negativo nel pathway PI3K/AKT, debba esser definito in relazione ad un futuro trattamento con farmaci mirati al pathway in questione. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] CARATTERIZZAZIO NE DEL P ROFILO PROTEOMICO NELLE LEUCEMIE ACUTE PEDI ATRICH E CON RIARRANGI AME NTO DEL GENE MLL: I DENTIFICAZIO NE DI SPE CIFICI TARGE T TERAPE UTI CI P. Bonaccorso, M. Tumino, A. D’Ambra, L. Greco, D. Bottino, E. Mirabile, L. Lo Nigro Laboratorio di Citogenetica e Biologia Molecolare per le Malattie Onco-Ematologiche – Centro di Riferimento Regionale di Emato-Oncologia Pediatrica – Azienda Policlinico-OVE Catania, Italia Background. I riarrangiamenti del gene MLL sono presenti nel 3% dei casi pediatrici di Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) e nel 10% di Leucemia Mieloide Acuta (LMA). Nei bambini di età inferiore ai 12 mesi (infant) i riarrangiamenti di MLL sono presenti rispettivamente nell’80% di LLA e nel 60% di LAM. La prognosi in questi bambini è sfavorevole e gli attuali protocolli hanno raggiunto un plateau di efficacia. Più del 50% dei casi presenta una recidiva di malattia e diventa resistente alla terapia di seconda linea. L’obiettivo principale delle analisi proteomiche funzionali è quello di identificare nuovi biomarkers che possano esser utili per determinare la prognosi e la risposta alla terapia di prima linea e di caratterizzare potenziali nuovi targets di terapie mirate. Dati preliminari. Utilizzando la tecnica degli RPAs (Reverse Phase Arrays) abbiamo analizzato 20 campioni diagnostici di leucemie acute pediatriche MLL positive, provenienti da tre centri AIEOP (Catania, Padova e Monza): 10 LLA e 10 LAM. Sono state studiate complessivamente 41 proteine fosforilate o in forma nativa. Applicando il T-Test abbiamo visto che due proteine in forma nativa [Annexin 1 (P<0.014) e p27Kip1 (P<0.005)] e due proteine fosforilate [AKT T308 (P<0.04) e Bad S155 (P<0.05)] sono risultate in grado di separare le LLA MLL positive dalle LAM MLL positive. L’espressione di Bcl-XL, e di due proteine fosforilate [Bcl2 S70 (P<0,02) e PKCα S657 (P<0,02)] sono in grado di discriminare le LLA con MLL riarrangiato da quelle con MLL germline. Materiali e Metodi. Partendo dai suddetti dati preliminari, abbiamo studiato due gruppi indipendenti di LLA (8 casi) e di LAM (10 casi) con il riarrangiamento di MLL, utilizzando il Western blot per verificare l’espressione di GSK3β, p27kip1, PKCα, PTEN, AKT [T308]. Per conferma, sono state studiate due linee cellulari: SEM per la LLA t(4;11) positiva, e ML-2 per la LAM t(6;11) positiva. Risultati. Abbiamo verificato che GSK3β è over-espresso sia nelle LLA che nelle LAM MLL riarrangiate. Di contro, [page 33] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 p27kip1, target di GSK3β, nel nostro subset di pazienti ha presentato un comportamento diverso: over-espresso nelle LLA e down-regolato nelle LAM (in tutte tranne in un caso di FAB-M1). L’esatto contrario di quanto valutato per PKCα (negativo nelle LLA e positivo in tutte le LAM). PTEN è risultato espresso in tutti i casi mentre AKT ha mostrato un comportamento eterogeneo. Conclusioni. Questi dati confermano il razionale utilizzo di nuovi composti diretti verso GSK3β, PKCα (solo per le LAM) in uno specifico subset di pazienti pediatrici affetti da una leucemia acuta MLL positiva. Bisogna però precisare che è necessario approfondire il ruolo di p27kip1 nel pathway di GSK3β, come recentemente descritto (Wang Z et al Nature 2008), soprattutto nei casi di LLA. P OLIMORFIS MO DEL GENE TPMT E D INS ORGENZA DELLA VO D NELLA LLA P EDIATRICA: Q UANDO LA BIO LOGIA S PI EGA LA CLINICA M. Filippelli,1 R. Catania,1 M. Lanciotti,2 S. Marino,1,3 L. Lo Nigro3,4 1Dipartimento di Pediatria, Università di Catania, Catania; 2Ospedale G Gaslini, Genova; 3Centro di Riferimento Regionale di Emato-Oncologia Pediatrica, Azienda Policlinico – OVE, Catania; 4Laboratorio di Citogenetica e Biologia Molecolare, Azienda Policlinico – OVE, Catania, Italia Introduzione Nonostante l’attuale sopravvivenza superi l’80%, durante il trattamento della Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) del bambino possono presentarsi numerosi eventi di tossicità grave. Uno di questi è la malattia venoocclusiva (VOD) del fegato, molto rara e legata alla somministrazione di farmaci potenzialmente epatotossici come la 6tioguanina (6-TG). Alcune recenti esperienze hanno dimostrato che una terapia di mantenimento con 6-TG è gravata dall’insorgenza di VOD nel 25% dei casi (Stork L et al. Blood 2010). Lo studio dei polimorfismi genetici del gene che metabolizza le tiopurine (TPMT) ha dimostrato come alcuni genotipi (*2, *3A, *3C, *9) siano associati a ridotto metabolismo del farmaco, esponendo il paziente ad elevato rischio di tossicità. Descriviamo qui il caso di un bambino con LLA che ha presentato un quadro clinico di grave epatotossicità dopo 14 giorni di 6TG, e del quale è stato caratterizzato il genotipo TPMT. Metodi. La caratterizzazione genotipica di TPMT è stata effettuata presso il laboratorio dell’Ospedale G Gaslini, mediante PCR e RFLP (restriction fragment length polymorphism). [page 34] Caso Clinico. S.A, 8 anni, affetto da LLA preT, traslocazioni assenti, SNC alla diagnosi positivo, protocollo AIEOP LLA 2000 – rischio Intermedio. Alla fine della fase di reinduzione (protocollo II), dopo aver completato il trattamento con tioguanina (60 mg/mq/die per 14 giorni) ed i due blocchi di ARA-C (75 mg/mq/die per 4gg), il piccolo ha presentato un quadro clinico ed ematochimico (PLT 4.000/mm3, AST 192 U/l ALT 220 U/l) in peggioramento, con incremento ponderale marcato (>10%), lieve subittero, epatomegalia, addome teso e poco trattabile. La diretta addome e l’ecoaddome hanno dimostrato la presenza di una grande quantità di ascite, fegato ad ecostruttura disomogenea, prevalentemente iperecogena. Assente dilatazione delle vie biliari intra ed extra epatiche. Gli esami di laboratorio mostravano piastrinopenia profonda e peggioramento dell’anemia con segni di insufficienza epatica (AST 1677 U/l, ALT 1590 U/l, bilirubina totale 4.15 mg/dL), ipoalbuminemia e negatività dei markers epatitici. Pertanto, in relazione al quadro clinico e di laboratorio veniva posta diagnosi di VOD ed iniziato trattamento con: defibrotide, albumina, diuretici, acido ursidesossicolico, vitamina K, antitrombina III e antibioticoterapia con progressivo miglioramento del quadro clinico e dei dati di laboratorio con restitutio ad integrum in 15 giorni. Risultati e Conclusioni. L’analisi molecolare del gene TPMT ha mostrato la presenza del genotipo *3A (G460A/A719G) associato a ridotta capacità di metabolizzazione della 6-Tioguanina (Sahasranaman S et al. 2008). Tale dato spiega la grave epatotossicità mostrata dal paziente, assimilabile a quella descritta in letteratura. Pertanto si ribadisce la necessità di eseguire uno screening molecolare al momento della diagnosi di LLA (come previsto dal nuovo protocollo AIEOPBFM 2009) allo scopo di individuare i pazienti a rischio di tossicità, inclusi i casi in eterozigosi, e valutare l’eventuale riduzione della dose non solo della 6-TG ma anche della 6-MercaptoPurina, anch’essa metabolizzata dal TPMT. L’O VERESP RES SI ONE DI CRLF2 E IL RIARRANGIAMENTO P2RY8 -CRLF2 COME NUOVI MARCATORI DI PROGNO SI SFAVO RE VOLE IN PAZI ENTI PEDIATRI CI BCP -ALL A RIS CHIO INTERME DIO C. Palmi,1* E. Vendramini,2* D. Silvestri3*, G. Longinotti,1 A. M. Di Meglio, D. Frison,2 E. Giarin,2 V. Rossi,1 A. Lezl,2 G. Fazio,1 S. Bungaro,1 S. Israeli,5,6 G. Basso,2 A. Biondi,1,4 [Pediatric Reports 2011; 3:s1] M.G. Valsecchi,3 V. Conter,4 G. te Kronnie,2 G. Cazzaniga1 1Centro Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia; 2S.S.D. EMATOLOGIA: CLINICA SPERIMENTALE, Dipartimento di Pediatria, Università di Padova, Padova, Italia; 3Centro operativo di Ricerca Statistica, Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Ospedale San 4Clinica Gerardo, Monza, Italia; Pediatrica, Università degli Studi di MilanoBicocca, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia; 5Pediatric Hemato-Oncology and the Cancer Research Center, Sheba Medical Center, Tel Hashomer, Ramat-Gan, Israele; 6Sackler Faculty of Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israele. *questi autori hanno contribuito equamente allo studio. Introduzione. Ad oggi nonostante il tasso di cura delle leucemie linfoblastiche acute pediatriche a cellule precursori B (BCP-ALL) sia pari all’80%, la ricaduta è ancora l’evento avverso più frequente. La maggior parte delle ricadute riguardano pazienti classificati nel gruppo a rischio intermedio, enfatizzando il bisogno di un’identificazione precoce di questi pazienti. Recentemente, in pazienti pediatrici BCP-ALL negativi per markers prognostici noti, sono state identificate due diverse alterazioni del gene CRLF2 che portano entrambe alla sua overespressione: la delezione in PAR1, che causa la fusione di CRLF2 con il primo esone non codificante di P2RY8 e la traslocazione IGH@-CRLF2. Queste aberrazioni, in alcuni casi associate a mutazioni a livello dello stesso CRLF2 o in molecole coinvolte nel pathway JAK/STAT, sono state correlate ad un outcome sfavorevole anche se il loro utilizzo come nuovo marker prognostico è ancora controverso e oggetto di indagine. In questo studio abbiamo analizzato l’incidenza e l’impatto prognostico delle alterazioni di CRLF2 in pazienti pediatrici BCP-ALL arruolati in Italia nel protocollo AIEOP BFM ALL 2000. Materiali Metodi. Sono stati analizzati 464 campioni di esordi di pazienti con diagnosi di BCP-ALL, non affetti da Sindrome di Down e non-Ph+, arruolati consecutivamente in Italia nel protocollo AIEOP BFM ALL 2000 dal Febbraio 2003 al Luglio 2005 e 55/79 campioni delle rispettive ricadute. Per le diverse analisi sono state utilizzate le seguenti tecniche: RQ-PCR per il livello di espressione di CRLF2; RT-PCR per la presenza del gene di fusione P2RY8-CRLF2; FISH per la traslocazione IGH@-CRLF2; PCR su DNA e successivo sequenziamento per le mutazioni in CRLF2; High Resolution Melting AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 (HRM) e successivo sequenziamento per le mutazioni in JAK2; Multiplex Ligationdependent Probe Amplification (MLPA) per l’analisi di DNA copy number variation ricorrenti in BCP-ALL (Salsa MLPA P335-A3 ALL-IKZF1). Risultati. In 22 su 464 pazienti (4,7%) è stata rilevata un’espressione di CRLF2 20 volte maggiore rispetto alla mediana calcolata su tutta la coorte. Tra questi 22 pazienti, denominati hiCRLF2, abbiamo riscontrato 2 pazienti positivi sia per mutazioni in CRLF2 che per delezioni in IKZF1 e 4 pazienti positivi per mutazioni in JAK2. Analizzando l’outcome dei pazienti della coorte, i pazienti hiCRLF2 hanno mostrato un’incidenza cumulativa di ricaduta (CIR) più alta rispetto ai pazienti con bassa espressione di CRLF2 (37,1% ± 10.5 verso 15,2% ± 1.7, P=0.02). Il gene di fusione P2RY8-CRLF2 è stato riscontrato in 22/365 (6.0%) casi analizzati e sorprendentemente 12/22 non presentavano contemporanea overespressione di CRLF2. Indipendentemente dal livello di espressione di CRLF2, la presenza del gene di fusione P2RY8-CRLF2 è risultata essere associata ad un outcome sfavorevole (CIR 42.8%±10.9 verso 14.5% ± 1.9, P=0.001). La maggior parte dei pazienti hiCRLF2 e positivi per la delezione in PAR1 appartengono al gruppo di rischio intermedio (IR). Considerando solo i pazienti classificati in questo gruppo di rischio sia l’overespressione di CRLF2 che il riarrangiamento P2RY8CRLF2 risultano identificare pazienti con un outcome sfavorevole (rispettivamente CIR 42.5% ± 12.3 verso 18.3%±2.3, P=0.04 e CIR 61.1% ± 12.9 3 verso 17.6%± 2.6, P<0.0001). In particolare i pazienti con una prognosi peggiore sono quelli che presentano sia l’overespressione di CRLF2 che la delezione in PAR1 (CIR 70.4%±16.4). Il valore prognostico negativo del riarrangiamento P2RY8-CRLF2 nei pazienti BCP-ALL a rischio intermedio è stato confermato anche in una coorte di 286 pazienti tedeschi trattati secondo le direttive dello stesso protocollo AIEOP BFM ALL 2000 (CIR 54.5% ±15 verso 10.7% ±1.9, P<0.0001). Nel nostro studio sono stati analizzati anche 55 campioni di ricadute che sono risultati possedere un livello di espressione di CRLF2 leggermente maggiore rispetto alle corrispettive diagnosi (mediana di fold change 2.6 verso 1.25). Nessun paziente ha acquisito de novo la fusione P2RY8-CRLF2 alla ricaduta, mentre al contrario due pazienti positivi per il riarrangiamento alla diagnosi (non hiCRLF2) sono risultati negativi alla ricaduta. Questi dati suggeriscono che la delezione, sebbene abbia un forte impatto prognostico, non sia una lesione genetica primaria. Conclusioni. Il riarrangiamento P2RY8CRLF2 e l’overespressione di CRLF2 rap- presentano nuovi markers di prognosi sfavorevole nella BCP-ALL pediatrica e permettono di discriminare, tra i pazienti ad oggi classificati nel gruppo a rischio intermedio, un sottogruppo di pazienti che potrebbe trarre beneficio da una terapia intensiva. Sarà poi necessario verificare se tale variazione nella terapia porterà ad un effettivo vantaggio in termini di guarigione a lungo termine. TARGETING DELLA CELLULA STAMINALE LEUCEMICA MIELO IDE MEDIANTE I MMUNOTERAPIA ADO TTI VA: S VILUPP O DI UN NUOVO RECETTO RE CH IMERICO SPE CI FI CO PE R L’ANTIGENE CD123 S. Tettamanti,1 E. Cribioli,1 V. Agostoni,1 G.M.P. Giordano Attianese,1 I. Pizzitola,1 G. Vairo,2 A. Biondi,1 V. Marin,1* E. Biagi1* 1Centro Ricerca “M.Tettamanti”, Clinica Pediatrica, Università Milano Bicocca, , Monza, Italia; 2CLS Limited, Australia. *VM ed EB condividono la last authorship Introduzione. Le terapie attualmente utilizzate per la leucemia mieloide acuta (AML) garantiscono una remissione completa solo nel 30-50% dei pazienti; la prognosi in casi di recidiva è sfavorevole, con una sopravvivenza inferiore al 40% dei pazienti trattati.1 Studi recenti suggeriscono che l’insorgenza di recidiva potrebbe essere associata alla presenza di cellule staminali leucemiche (AMLLSC) resistenti ai trattamenti radio-chemioterapici in uso. Queste cellule sono capaci di self-renewal come le normali cellule staminali ematopoietiche (HSC) e sembrano ricostituire il pool di progenitori leucemici.2 È quindi necessario lo sviluppo di nuove terapie volte all’eliminazione delle AML-LSC. In questo contesto l’immunoterapia cellulare adottiva offre una valida strategia che prevede la modificazione genica di linfociti T con recettori chimerici (CAR), molecole artificiali che permettono di re-indirizzare la specificità delle cellule T verso un determinato antigene.3 Diversi studi rivolti all’indagine di nuove molecole selettivamente espresse dalle AML-LSC hanno evidenziato che la subunità α del recettore dell’interleuchina-3 (IL-3Rα, CD123) è overespressa da tali cellule, ma non dalle HSC, e che alti livelli di espressione di tale molecola sono associati ad una prognosi sfavorevole ed ad una maggiore resistenza all’apoptosi delle cellule leucemiche.4 Lo scopo di questo lavoro è quindi quello di sviluppare un nuovo recettore chimerico specifico per l’antigene CD123 per l’ingegnerizzazione di cellule T effettrici, avvalendosi di due [Pediatric Reports 2011; 3:s1] diverse strategie di clonaggio che comportano la generazione di due recettori con differente dominio extracellulare di riconoscimento: la strategia classica che prevede l’utilizzo di un anticorpo antiCD123 (CAR scFvCD123) e un nuovo approccio definito “zetakine”che utilizza il ligando del CD123, interleuchina-3 (CAR IL3)5. Materiali e metodi. Il cDNA della scFv per il CAR scFvCD123 è stato generato tramite PCR con oligonucleotidi specifici per la catena pesante e leggera dell’anticorpo monoclonale anti-CD123 7G3 (fornito da Gino Vairo, CLS Limited, Australia), legate da un linker (GlySer)4; il cDNA dell’IL-3 per la generazione del CAR IL3 è stato invece ricavato dall’RNA totale di cellule Jurkat stimolate con PHA. I cDNA così ottenuti sono stati rispettivamente clonati in sequenza al dominio CH2-CH3CD28tm-ζ nel vettore retrovirale SFG. Le cellule CIK (Cytokine Induced Killer), utilizzate nel nostro studio come cellule T effettrici, sono state quindi trasdotte con i vettori retrovirali contenenti i CAR scFvCD123 e IL3 e dopo 4 giorni è stata valutata l’efficienza di trasduzione tramite analisi immunofenotipica dell’espressione dei CAR con l’anticorpo antihuman IgG coniugato con il fluorocromo Cy5, specifico per la porzione extracellulare CH2-CH3 del CAR. L’attività citotossica delle cellule CIK trasdotte con i CAR è stata quindi valutata attraverso saggi a breve termine di rilascio di 51Cromo di 4 ore, e a lungo termine, mediante co-coltura delle cellule effettrici e delle cellule target per 6 giorni su uno strato di cellule stromali mesenchimali senza IL-2 esogena contro diversi target cellulari esprimenti o meno l’antigene CD123. Risultati. Le cellule CIK sono state efficientemente generate dal sangue periferico di donatori sani e trasdotte con i CAR scFvCD123 e IL3 (espressione media 4 giorni dopo la trasduzione del CAR scFvCD123, 46%±4%, n=3; espressione media del CAR IL3, 60%±15%, n=9). L’espressione dei due CAR è risultata stabile durante il periodo di coltura (21 giorni). Il processo di trasduzione non ha comportato alterazioni delle proprietà fenotipiche e funzionali naturali delle cellule CIK, che hanno mostrato al termine del periodo di coltura un arricchimento nella quota di cellule CD3+CD56+ paragonabile a quello osservato nella popolazione non manipolata (percentuale media di cellule CD3+CD56+ 30%±11%, 35%±16% e 38%±13%, rispettivamente per cellule CIK non trasdotte e trasdotte con il CAR scFvCD123 e il CAR IL3); è stato inoltre osservato un simile fenotipo memoria tra le due popolazioni di CIK trasdotte e quelle non manipolate. Saggi di citotossicità a breve termine effettuati tramite rilascio di 51Cromo hanno evi- [page 35] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 denziato che le cellule CIK esprimenti i due diversi CAR sono molto efficaci in termini di attività litica, rispetto alla controparte non manipolata, contro due linee cellulari leucemiche esprimenti l’antigene CD123: TH-P1 (lisi media ad una ratio Effettore:Target -E:T- di 20:1 pari a 66%±5%, n=3 e 64%±17%, n=8 rispettivamente per le cellule CIK esprimenti il CAR scFvCD123 e il CAR IL3, contro una lisi media delle cellule CIK non trasdotte di 16%±7%, n=10, P<0,05) e TF1 (lisi media ad una ratio E:T di 20:1 pari a 53%±15%, n=3 e 71%±26%, n=9 rispettivamente per le cellule CIK esprimenti il CAR scFvCD123 e il CAR IL3, contro una lisi media delle cellule CIK non trasdotte di 30%±13%, P<0,05). Tali CAR non sono attivi contro la linea cellulare CEM, che non esprime l’antigene CD123, mostrando valori di lisi simili alla controparte non manipolata. Per confermare la specificità d’azione dei CAR per CD123 abbiamo testato le cellule CIK esprimenti CAR anti-CD123 contro la linea cellulare CEM modificata geneticamente in modo da esprimere artificialmente l’antigene CD123; abbiamo dimostrato così che CAR scFvCD123 e CAR IL3 sono funzionali esclusivamente verso cellule esprimenti tale antigene (lisi media ad una ratio E:T di 20:1 pari a 68%±5%, n=3 e 74%±6%, n=6 per le cellule CIK esprimenti il CAR scFvCD123 e il CAR IL3, contro una lisi media delle cellule CIK non trasdotte di 44%±6%, n=6, P<0,05). Nei saggi di citotossicità a lungo termine la co-coltura di cellule effettrici con cellule target su uno strato di cellule stromali mesenchimali permette di mimare quanto più possibile il microambiente midollare, nel quale le cellule effettrici devono agire contro un numero elevato di cellule leucemiche. In questo contesto è stata ulteriormente accertata la potente e specifica attività citotossica delle cellule CIK esprimenti i CAR anti-CD123. In particolare, è stata osservata una sopravvivenza media di cellule leucemiche TF-1 co-coltivate con cellule CIK esprimenti il CAR scFvCD123 e il CAR IL3 rispettivamente del 4%±3% e del 3%±2%, in confronto a valori medi di sopravvivenza di cellule TF-1 co-coltivate con cellule CIK non manipolate pari a 79±30% (ratio 10:1, n=4, P<0,05). Conclusioni. Questi risultati preliminari indicano che l’espressione di recettori chimerici anti-CD123 è in grado di potenziare notevolmente l’attività antileucemica delle cellule CIK. Ulteriori studi sono tuttavia necessari per accertare la capacità dei CAR anti-CD123 di discriminare tra le AML-LSC e le HSC e per valutare la potenziale tossicità di tali CAR verso altri sottotipi cellulari esprimenti l’antigene CD123. [page 36] Bibliografia 1. Estey, Lancet, 368(9550):1894-907, 2006 2. Majeti R, Oncogene, 30, 1009-1019, 2011 3. Biagi, Haematologica, Vol 92, Issue 3, 381-388 , 2007 4. C T Jordan, Leukemia, Vol14, N° 10, Pages 1777-1784, 2000 5. Kanwarpal S. Kahlon, Cancer Res, 64; 9160, 2004 LEUCAFERES I P ER FOTOCH EMIOTERAPIA E XTRACORPO REA IN UNA PO POLAZI ONE PEDI ATRICA: VERIFICA DELL’EFFICIENZA DELLE PROCEDURE C. Bettin,1 M. Fantinato,2 P. Marson,1 T. Tison,1 E. Calore,2 M. Pillon,2 B. Buldini,2 M. Tumino,2 C. Messina,2 G. De Silvestro1 1UOC 2UOC Immunotrasfusionale, Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedale Università di Padova, Italia Introduzione. La fotochemioterapia extracorporea (ECP) è una procedura aferetica spesso utilizzata nel trattamento della Graft versus Host Disease (GvHD), con buoni risultati sia nella forma acuta che cronica.1 Anche in ambito pediatrico questo trattamento viene oggi sempre più applicato, soprattutto come terapia di seconda linea della GvHD acuta.2,3 La procedura può essere effettuata con due differenti metodiche: la tecnica “on-line” (Therakos, Inc.) e quella “off-line”.4 Quest’ultima, in uso presso la nostra Unità Operativa, si articola sostanzialmente in tre fasi sequenziali: leucaferesi, aggiunta al concentrato leucocitario (CL) ottenuto di 8-metossipsoralene (8-MOP), irradiazione del CL con raggi UV-A per consentire la fotoattivazione dell’8-MOP dentro le cellule. Le cellule così trattate vengono poi reinfuse al paziente. Alcune fasi operative di questa complessa procedura non godono ancora di una precisa standardizzazione, e ciò per la variabilità di diversi fattori che possono influenzarla e che potrebbero essere cruciali per l’efficacia del trattamento. Ad oggi non è stato dimostrato che il numero di cellule mononucleate (MNC) trattate sia correlato con il risultato clinico,5 anche se la cellularità stessa del CL è tanto più elevata quanto maggiore è l’efficienza della procedura aferetica. Ci siamo quindi proposti di effettuare un controllo di qualità delle leucaferesi calcolando la frazione di estrazione di MNC e mettendola in relazione con alcune variabili: il tipo di popolazione sottoposta al trattamento (pazienti pediatrici od adulti), il separatore cellulare utilizzato, l’operatore che ha effettuato la procedura di raccolta. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Materiali Metodi. Lo studio, di tipo retrospettivo, è stato condotto selezionando 144 sedute di leucaferesi (separatore cellulare Cobe Spectra, Caridian BCT, programma MNC versione 4.7) effettuate nel periodo 2006-2010 in pazienti pediatrici con GvHD acuta (n=12, età media 9 anni, peso medio 34 kg) e, per confronto, altrettante sedute effettuate in pazienti adulti (n=17, età media 50 anni, peso medio 76 kg), affetti da GvHD (n=5), rigetto di trapianto d’organo solido (n=6) e linfoma T cutaneo (n=6). L’esame emocromocitometrico (sistema ematologico Advia 120, Medical Siemens) è stato effettuato sul paziente prima della procedura e sul CL. Per ogni seduta di leucaferesi sono stati registrati, su un foglio Excel, i seguenti parametri: emocromo basale e del CL, volume di sangue processato, volume del CL, flusso medio della procedura, tipo di separatore utilizzato ed operatore addetto alla raccolta aferetica. L’efficienza della procedura è stata valutata calcolando la frazione di estrazione delle cellule MNC secondo la seguente formula: numero di MNC del CL/numero di MNC processate, considerando al numeratore la conta di MNC del CL per il suo volume ed al denominatore la conta basale di MNC per il volume di sangue trattato al netto dell’anticoagulante (ACD-A) infuso durante la sessione aferetica. L’analisi statistica è stata condotta mediante il t- test di Student e l’analisi della varianza ad un criterio di classificazione. Risultati. La frazione di estrazione delle cellule MNC (efficienza della procedura) è stata significativamente maggiore nei pazienti pediatrici rispetto a quelli adulti (0.74 ± 0.56 vs 0.40 ± 0.17, P<0,001). Differenziando l’efficienza della procedura fra i diversi separatori cellulari, non sono emerse variazioni significative in entrambe le popolazioni studiate, anche se nella popolazione pediatrica uno dei quattro separatori cellulari da noi utilizzati ha dimostrato una tendenza verso una maggiore efficienza media, risultata pari a 0.97, rispetto agli altri, attestati su valori intorno allo 0.70. Confrontando l’efficienza di raccolta delle cellule MNC a seconda dei sei operatori abilitati ad effettuare la procedura, non si sono osservate differenze significative, anche se nei pazienti pediatrici la distribuzione dell’efficienza è stata più ampia, variando da un minimo di 0.53 ad un massimo di 0.85. Discussione Conclusioni. I risultati da noi ottenuti dimostrano una netta differenza di efficienza nelle procedure eseguite nei pazienti pediatrici rispetto a quelle nei pazienti adulti. In primo luogo ciò potrebbe essere imputabile alle diverse condizioni per le quali i pazienti venivano avviati al trattamento con ECP, tali da AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 comportare emocromi basali differenti. La popolazione pediatrica era infatti costituita da pazienti con GvHD acuta post-trapianto di cellule staminali ematopoietiche, nella quale la procedura di ECP veniva iniziata precocemente una volta dimostrata la refrattarietà o la dipendenza della GvHD al trattamento convenzionale con steroide. L’emocromo basale di questi pazienti presentava quindi un numero di leucociti piuttosto basso. La popolazione adulta era invece costituita per circa il 30% da pazienti con linfoma T cutaneo, quindi con un numero di leucociti circolanti più elevato e differente anche da un punto di vista morfologico, trattandosi in parte di cellule di Sézary con caratteristiche atipiche. Si può pertanto ipotizzare che la patologia per la quale i pazienti venivano sottoposti a ECP sia stato un fattore influente sull’efficienza delle procedure, dato che questa è in qualche modo correlata con le caratteristiche di sedimentazione delle cellule nella camera di centrifugazione del separatore cellulare. In secondo luogo, la differenza di efficacia delle procedure aferetiche nei pazienti pediatrici rispetto a quelli adulti potrebbe esser dovuta alle diverse modalità operative applicate nelle due popolazioni. Nei pazienti pediatrici si utilizzano flussi mediamente più bassi e, in caso di soggetti di basso peso (< 25 kg), si provvede al riempimento preliminare del circuito con emazie concentrate oppure con soluzione d’albumina al 4%, per evitare il rischio di ipovolemia causata da un volume di sangue in circolazione extracorporea eccessivamente elevato. Inoltre nei pazienti pediatrici spesso l’anticoagulazione viene effettuata con eparina sodica + ACD-A in un rapporto variabile fra 1:20 e 1:30, per ridurre il sovraccarico di liquidi. Si tratta, in definitiva, di condizioni operative decisamente differenti che quindi possono, perlomeno in parte, rendere ragione delle differenze di efficienza da noi rilevate. L’aver osservato una migliore efficienza nelle procedure pediatriche, condotte nella quasi totalità dei pazienti utilizzando come accesso vascolare un catetere venoso centrale (CVC) a due vie, dimostra anche che il CVC è un ottimo presidio per la qualità della procedura, e quindi non rappresenta una sorta di “seconda scelta” rispetto alle vene periferiche. Ancora, non sono state riscontrate sostanziali differenze di efficienza a seconda dei singoli operatori addetti alla procedura e dei singoli separatori cellulari utilizzati, e ciò starebbe ad indicare che vi è una preparazione omogenea dell’intero team infermieristico e che l’interazione di questo con i diversi strumenti è nel complesso soddisfacente. Lo studio potrebbe essere il presupposto di ulteriori indagini, intese a correlare parametri di laboratorio e valutazioni cliniche sull’esito della terapia con ECP, in particolare valutare se esiste una correlazione fra numero di cellule MNC processate ed outcome clinico. Bibliografia 1. Baird K, Wayne AS. Extracorporeal photo-apheresis for the treatment of steroid-resistant graft versus host disease. Transfus Apher Sci 2009; 4: 209-16. 2. Messina C, Faraci M, de Fazio V, et al. Prevention and treatment of acute GvHD. Bone Marrow Transplant 2008; 41 Suppl 2: S65-70. 3. Calore E, Calò A, Tridello G, et al. Extracorporeal photochemotherapy may improve outcome in children with acute GvHD. Bone Marrow Transplant 2008; 42: 421-5. 4. Schooneman F. Extracorporeal photopheresis: technical aspects. Transfus Apher Sci 2003; 28: 51-61. 5. Perseghin P, Galimberti S, Balduzzi A, et al. Extracorporeal photochemotherapy for the treatment of chronic graft-versus-host disease: trend for a possible cell dose-related effect? Ther Apher Dial 2007; 11: 85-93. L’INIBIZI ONE DI AMPK INDUCE APOP TO SI MITOCONDRIALE NELLE BCP-ALL CON RIARRANGIAMENTO DEL GENE MLL B. Accordi,1 L. Galla,1 G. Milani,1 M. Curtarello,2 G. Viola,1 G. te Kronnie,1 S. Indraccolo,2 G. Basso1 1Laboratorio di Oncoematologia Pediatrica, Università degli Studi di Padova, Padova, Italia, 2Immunologia e Diagnostica Molecolare Oncologica, Istituto Oncologico Veneto, IRCSS, Padova, Italia Introduzione. AMPK (AMP-activated protein kinase) è una serina/treonina chinasi che viene attivata in condizioni di elevati livelli di AMP e bassi livelli di ATP, inibendo processi metabolici che consumano ATP come la glicolisi e l’ossidazione degli acidi grassi. A valle della sua attivazione, determinata dalla fosforilazione della subunità α in treonina 172 da parte di LKB1, vengono fosforilati altri enzimi chiave del metabolismo cellulare e vengono regolati importanti processi cellulari tra cui crescita, proliferazione e apoptosi.1 Nel cancro il ruolo svolto da AMPK non è ancora chiaro, in seguito alla sua attivazione sono riportati in letteratura sia effetti pro-apoptotici che anti-apoptotici. Abbiamo recentemente descritto2 nelle BCP-ALL (B-Cell Precursor-Acute Lymphoblastic Leukemia) con riarrangiamento del gene MLL l’iperattivazione del pathway che da LKB1 e AMPK fosforilati, attraverso l’attivazione di eNOS (endothelial Nitric [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Oxide Synthase), porta alla fosforilazione di BCL-2. In seguito a trattamento con un inibitore specifico di AMPK, il Compound C, abbiamo dimostrato che anche i target a valle nel pathway vengono defosforilati, provando la relazione diretta tra queste proteine e sottolineando quindi il ruolo cruciale di AMPK nell’attivazione di questa via di segnalazione cellulare. Nello studio di seguito descritto è stato analizzato in dettaglio l’effettivo ruolo di AMPK nel sostenere la sopravvivenza delle cellule di BCP-ALL MLL-riarrangiate, valutando se esso possa rappresentare un nuovo target terapeutico. Materiali Metodi. È stato testato mediante analisi in vitro l’effetto del Compound C sulla sopravvivenza di linee cellulari di BCP-ALL con riarrangiamento del gene MLL (SEM e RS4;11) e non traslocate (MHH-CALL-2 e MHH-CALL-4). Sono stati determinati tramite saggio di proliferazione cellulare (MTT) il GI50 (Growth Inhibition50) e tramite analisi citofluorimetrica di Annessina V-PI l’LC50 (Letal Concentration50) per ciascuna linea, allo scopo di stabilire la diversa sensibilità all’inibitore e determinare le condizioni ottimali di trattamento per studiare le caratteristiche dell’apoptosi indotta dall’inibizione di AMPK. All’LC50 abbiamo testato la depolarizzazione del potenziale mitocondriale con la sonda JC-1, la produzione di radicali liberi dell’ossigeno, l’attivazione di proteine pro-apoptotiche (tramite citofluorimetria, western blot e immunofluorescenza), la frammentazione del DNA e il ciclo cellulare. Gli effetti del Compound C sono stati di seguito studiati anche in colture primarie di pazienti leucemici MLL-riarrangiati e non traslocati. Risultati. Dopo aver verificato l’iperattivazione del pathway di AMPK nelle linee MLL-riarrangiate e la sua inattivazione nelle linee non traslocate, le cellule sono state trattate con Compound C a diverse concentrazioni (0.001 µM-100µM) per diversi tempi (6-96ore). Le linee MLLriarrangiate sono risultate essere molto più sensibili all’inibizione di AMPK rispetto alle linee non traslocate. Il GI50 a 48ore è infatti 0.16µM per le SEM, 3.2 µM per le RS4;11, 25.7µM e 19.1µM per le linee non traslocate. Inoltre anche l’induzione di apoptosi è molto più importante nelle linee MLL-riarrangiate, l’LC50 a 48ore infatti risulta 7.5 µM per le SEM, 8.5 µM per le RS4;11, 37.5 µM per le MHHCALL-2 e 31.4 µM per le MHH-CALL-4. Lo studio del ciclo cellulare ha evidenziato nelle cellule MLL-riarrangiate un iniziale blocco in fase G2/M a 24ore di trattamento (Compound C 8 µM -LC50-) prima dell’induzione di apoptosi. Sono state quindi studiate le caratteristiche dell’apoptosi indotta dal Compound C [page 37] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 nelle cellule MLL-riarrangiate ed essa è risultata essere di tipo mitocondriale. È stata osservata a 24ore la depolarizzazione del potenziale mitocondriale associata alla produzione di radicali liberi dell’ossigeno, in particolare dell’anione superossido. Inoltre c’è evidenza a 48ore della diminuzione della proteina antiapoptotica BCL-XL e del rilascio nel citoplasma del Citocromo c. Il rilascio del Citocromo c porta all’attivazione della Caspasi-9 che a sua volta attiva le Caspasi effettrici -3 e -7, che processano PARP rendendolo non più in grado di riparare il DNA in modo efficace. Nelle cellule MLL-riarrangiate è stata osservata a 48ore l’attivazione delle Caspasi-3, -7 e -9, e a 72ore l’inattivazione di PARP e la conseguente frammentazione del DNA. A conferma di questi dati, non sono stati osservati aumenti né di FAS né di FAS-L e le cellule non risultano differenziare in seguito al trattamento. Il trattamento con Compound C di blasti primari di 10 pazienti pediatrici affetti BCP-ALL (5 MLL-riarrangiati e 5 non traslocati) ha confermato quanto osservato nelle linee cellulari. Le cellule dei pazienti MLL-riarrangiati vanno in apoptosi in seguito ad inibizione di AMPK significativamente di più rispetto a quelle dei pazienti non traslocati. Conclusioni. Questi risultati dimostrano che l’attivazione di AMPK svolge un ruolo chiave nel sostenere la proliferazione delle cellule leucemiche di BCPALL MLL-riarrangiate. L’inibizione di AMPK è in grado infatti di indurre diminuzione della proliferazione, arresto del ciclo cellulare e apoptosi di tipo mitocondriale. AMPK può quindi rappresentare un nuovo potenziale target terapeutico per questi pazienti a cattiva prognosi. Questi risultati inoltre suggeriscono che inibitori dell’AMPK potrebbero essere considerati per studi più approfonditi come nuove opzioni terapeutiche per i pazienti BCP-ALL con riarrangiamento del gene MLL. Bibliografia 1. Hardie DG, Hawley SA, Scott JW. AMPactivated protein kinase--development of the energy sensor concept. J Physiol 2006; 574: 7-15. 2. Accordi B, Espina V, Giordan M, VanMeter A, Milani G, Galla L, et al. Functional protein network activation mapping reveals new potential molecular drug targets for poor prognosis pediatric BCP-ALL. PLoS One 2010; 5: e13552. [page 38] CARATTERIZZAZIONE BIO-MOLECOLARE ED ISTO-PATOLO GICA DEL NE URO BLASTO MA (NB) NEGLI ADOLES CENTI E NEI GIO VANI ADULTI (AYA). K. Mazzocco,1,2 R. Defferrari,1,2 A.R. Sementa,1 A. Garaventa,3 F. Negri,1 L. Longo,2,4 M. Conte,3 C. Gambini1 G.P. Tonini2,4 1Unità Operativa di Anatomia Patologica, Istituto G. Gaslini , 2Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, 3Dipartimento di Ematologia-Oncologia, Istituto G. Gaslini, 4S.S. Oncopatologia Traslazionale, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST), Genova, Italia Introduzione. Circa il 3% dei neuroblastomi si manifesta negli adolescenti (diagnosi >10 anni) con una malattia caratterizzata da un decorso indolente e spesso fatale. Abbiamo studiato il profilo genetico e le caratteristiche isto-patologiche di 34 adolescenti arruolati nel Registro Italiano Neuroblastoma tra il 1979 e il 2010. Materiali e Metodi. Di 3.023 pazienti (pts) con NB, 151 sono stati classificati come AYA. È stato possibile eseguire le analisi molecolari mediante Multiplex Ligationdependent Probe Amplification (MLPA) su 34 tumori e 28/34 sono stati esaminati secondo la Classificazione Internazionale di Patologia (INPC). Risultati. L'età media alla diagnosi era di 172 mesi (120-214), 21 casi con NB metastatico e 13 localizzato. Secondo la classificazione INPC, 24/28 tumori erano NB e 4/28 GNB nodulari. L’indice mitotico carioressico è stato testato in 16 tumori ed è risultato elevato, intermedio e basso in 4, 4 e 8 casi, rispettivamente. Le Alterazioni Cromosomiche Strutturali (SCA) sono state osservate in 29 tumori (85%). L’oncogene MYCN è risultato amplificato in 3 casi; 4 casi hanno evidenziato 2p gain (inclusi i geni NAG, DDX1 e ALK), mentre 2 casi hanno riportato il gain solo di MYCN. Le maggiori SCA osservate erano: 1p imbalance (55%), 17q gain (48%), 11q loss (34%), 9p loss (32%), 7q gain (17%), 3p loss (14%) e 4p loss (7%). La ploidia è stata eseguita in 21 casi (10 diploidi/tetraploidi, 11 aneuploidi). L’analisi delle mutazioni del gene ALK ha mostrato che 4/25 casi (16%) presentavano una mutazione a carico del gene. In particolare in due pazienti in stadio localizzato abbiamo osservato la mutazione R1275Q mentre in 2 casi in stadio metastatico 4 abbiamo identificato, rispettivamente la mutazione F1174C e la F1174L. Attualmente i pazienti in RC sono 10, 13 sono vivi con malattia e 11 (tutti in stadio 4) sono morti per malattia. Conclusioni preliminari. Il presente studio rappresenta il primo approccio multigenomico per identificare un profilo [Pediatric Reports 2011; 3:s1] genetico degli AYA nel NB. Abbiamo confermato la bassa incidenza dell’amplificazione di MYCN e abbiamo osservato una elevata frequenza di 17q gain, 1p, 11q e 9p loss indipendentemente dallo stadio. Quest’ultima è stata trovata in una più alta percentuale di tumori rispetto ai casi di NB osservati tra 0 e 10 anni (32% vs 20%). La delezione 11q era presente in 8 tumori di pts in stadio 4 senza l’amplificazione di MYCN, 6 dei quali deceduti, suggerendo un possibile ruolo della delezione 11q nella progressione del tumore. Il 17% dei tumori AYA ha mostrato 7q gain: in questa regione sono localizzati geni coinvolti nella resistenza ai farmaci e questo potrebbe spiegare la scarsa risposta alla chemioterapia negli adolescenti. Infine la maggiore presenza di mutazioni di ALK rispetto alla popolazione dei NB sporadici non AYA (6% verso 16%) può suggerire, anche se i campioni analizzati sono limitati, un ruolo di ALK nella progressione del tumore e indicare un possibile trattamento di questi pazienti con inibitori di ALK. Questi dati preliminari devono essere ulteriormente approfonditi in una più ampia serie di pazienti. Bibliografia 1. Neuroblastoma in adults and adolescents: an indolent course with poor survival. Franks LM, Bollen A, Seeger RC, Stram DO, Matthay KK. Cancer. 1997 May 15;79(10):2028-35. Neuroblastoma in adolescents. 2. Gaspar N, Hartmann O, Munzer C, Bergeron C, Millot F, Cousin-Lafay L, Babin-Boilletot A, Blouin P, Pajot C, Coze C. Cancer. 2003 Jul 15;98(2):349-55. 3. Malignant neuroblastic tumors in adolescents. Conte M, De Bernardi B, Milanaccio C, Michelazzi A, Rizzo A, Montobbio G, Parodi S, Haupt R. Cancer Lett. 2005 Oct 18;228(1-2):271-4. Review. 4. Neuroblastoma in adolescents: the Italian experience. Conte M, Parodi S, De Bernardi B, Milanaccio C, Mazzocco K, Angelini P, Viscardi E, Di Cataldo A, Luksch R, Haupt R. Cancer. 2006 Mar 15;106(6):1409-17. 5. Neuroblastoma in adolescents: genetic and clinical characterisation. Castel V, Villamón E, Cañete A, Navarro S, Ruiz A, Melero C, Herrero A, Yáñez Y, Noguera R. Clin Transl Oncol. 2010 Jan;12(1):4954 PROGETTO DI RICERCA: GE NERAZI ONE DI MO DE LLI IN VIVO PER L’IDENTIFICAZIONE E LO STUDIO DI CLONALITÀ DELLE CELLULE STAMI NALI LEUCEMICHE NELLA LAL INFANT MLL-AF4 PO SITIVA M. Bardini,1*, L. Corral,1 P.Woll,2 L.Wittman,3 A. Biondi,1 S.E. Jacobsen2-,3 G. Cazzaniga1 1Fondazione M. Tettamanti, Ospedale S. AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Gerardo, Università Milano-Bicocca, Monza Italia. 2Wetherall Istituite for Molecular Medicine, Oxford University, Oxford UK. 3Stem Cell Center Lund University, Lund Sweden Introduzione. La Leucemia Acuta Linfoblastica (LAL) ad insorgenza nel primo anno di vita (LAL infant) con riarrangiamento del gene MLL rappresenta la forma prevalente in età neonatale (012 mesi), ed è purtroppo una malattia molto aggressiva, con prognosi infausta, che in Italia colpisce circa 10-12 nuovi nati all’anno. La presenza della traslocazione t(4;11), con espressione del prodotto di fusione MLL-AF4, costituisce la forma più frequente di LAL infant e per molti aspetti rappresenta una malattia unica dal punto di vista biologico e clinico, diversa dalle altre forme di leucemia dell’età pediatrica e adulta. Il nostro gruppo ha contribuito a dimostrare che la LAL infant MLL-AF4 positiva ha la peculiarità di essere caratterizzata dalla presenza di molteplici cloni (identificabili da uno specifico riarrangiamento dei geni Ig/TCR) già all’esordio di malattia. Inoltre, è stato frequentemente osservato nei pazienti che la composizione clonale della leucemia può evolvere durante il decorso clinico della malattia.1,2 Secondo l’ipotesi della “cellula staminale tumorale” ogni tumore è generato e sostenuto da un ristretto gruppo di cellule, capaci di auto-rinnovarsi e dare origine al tumore in vivo. Lo scopo del nostro studio è mettere a punto un modello animale per isolare e caratterizzare le “cellule staminali leucemiche” (LSCs) nella LAL infant MLL-AF4 positiva, e studiarne l’evoluzione clonale in vivo. Considerando l’elevata mortalità, l’alto rischio di ricaduta, la prognosi infausta di questo tipo di leucemia, il presente studio è di particolare importanza per comprendere i meccanismi alla base dell’insorgenza e progressione della malattia e le ragioni della scarsa efficacia delle attuali terapie antitumorali nei pazienti. Materiali Metodie obbiettivi specifici. Il modello sperimentale d’elezione per identificare le LSCs è lo xeno-trapianto in vivo di blasti leucemici in topi immunocompromessi irradiati, capaci di accettare cellule umane senza rigettarle e permetterne l’attecchimento. Per identificare tali cellule abbiamo inoculato nella vena della coda dei topi NOD/SCID diverse sottopopolazioni midollari purificate tramite sorting sulla base dell’ espressione di specifici marcatori di superficie (CD19, CD34 e NG2) da campioni diagnostici di pazienti LLA infant MLL-AF4 positivi. Nello specifico, ci siamo proposti di caratterizzare le LSCs infant tramite FISH e analisi immunofenotipica dell’engraftment negli xenotrapianti, e studiare la clonalità delle LSCs tramite lo studio dei riarrangiamenti dei geni Ig/TCR in RQPCR per valutarne la dinamica di evoluzione clonale nei pazienti e nei trapianti seriali. Risultati. L’analisi dell’engraftment nei topi trapiantati ha dimostrato che solamente il compartimento di linfociti B CD19+ contiene LSCs, mentre le cellule CD19- non sono leucemogeniche. Inoltre, all’interno di tale frazione cellulare CD19+, diverse sottopopolazioni (CD34+ e CD34-, NG2+ e NG2-) sono capaci di dar origine alla leucemia in vivo, benché con diversa latenza e potenza di engraftment. Lo studio in PCR dei riarrangiamenti dei geni Ig/TCR in 4 pazienti infant ha evidenziato l’esistenza di molteplici cloni indipendenti, ciascuno dei quali è capace di iniziare e sostenere la malattia nei topi trapiantati. Analizzando la dinamica dell’evoluzione clonale tramite trapianti seriali in topi secondari/terziari abbiamo osservato che alcuni cloni dominanti alla diagnosi persistono in vivo; altri invece si riducono, per poi estinguersi definitivamente o riemergere tardivamente; viceversa, altri cloni minori, che erano quiescenti alla diagnosi o in topi primari, possono riattivarsi e diventare dominanti dopo vari passaggi seriali successivi. Inoltre, in 2 casi abbiamo rilevato l’esistenza di “nuovi” cloni emergenti nei topi trapiantati, che non erano stati precedentemente identificati alla diagnosi. Tuttavia, tramite lo studio retrospettivo del campione diagnostico del paziente, abbiamo dimostrato che tali cloni erano di fatto già presenti, benché cloni minori, nel campione midollare all’esordio. Conclusioni. In conclusione, nel nostro studio abbiamo dimostrato che l’espressione del marcatore di superficie CD19 identifica le cellule staminali leucemiche nella LAL infant MLL positiva, indicando la probabile origine della malattia da un precursore linfoide B precoce CD19+, piuttosto che da una cellula staminale immatura. Queste nuove evidenze sono in disaccordo con gli studi precedenti che supportano il modello stocastico di insorgenza della LAL infant MLL-AF4 positiva.3 Inoltre, in linea con i recenti dati ottenuti su diversi tipi di LAL pediatrica3-5, i nostri risultati suggeriscono che la popolazione di LSCs non possa essere confinabile in un unico compartimento midollare (identificabile con un singolo fenotipo specifico), ma piuttosto sembra essere molto più eterogenea di quanto si pensasse, sia dal punto di vista fenotipico che clonale. I nostri dati sono in disaccordo con l’ipotesi dell’esistenza di una gerarchia nella LSC, e implicano che un intervento terapeutico mirato ad un ristretto sottogruppo cellulare risulta essere un approccio inefficace per eradi- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] care la malattia. Infine, la marcata oligoclonalità e “selezione/competizione clonale” tra diversi subcloni coesistenti nella leucemia generata nei topi trapiantati, oltre a riflettere fedelmente ciò che si osserva nei pazienti durante il decorso naturale della malattia, potrebbe rappresentare una delle potenziali cause dell’ aggressività della LAL infant e dell’inefficacia terapeutica. Bibliografia 1. Van der Velden VH et al. Prognostic significance of minimal residual disease in infants with acute lymphoblastic leukemia treated within the Interfant-99 protocol. Leukemia. 2009 Jun;23(6): 1073-9. 2. Jansen MW et al. Immunobiological diversity in infant acute lymphoblastic leukemia is related to the occurrence and type of MLL gene rearrangement. Leukemia. 2007 Apr;21(4):633-41. 3. le Viseur C et al. In childhood acute lymphoblastic leukemia, blasts at different stages of immunophenotypic maturation have stem cell properties. Cancer Cell. 2008 Jul 8;14(1):47-58. 4. Notta F et al. Evolution of human BCRABL1 lymphoblastic leukaemia-initiating cells. Nature. 2011 Jan 20;469 (7330): 362-7. 5. Anderson K et al. Genetic variegation of clonal architecture and propagating cells in leukaemia. Nature. 2011 Jan 20;469(7330):356-61. AREA TEMATICA: LEUCEMIE ACUTE RAPIDA ANALIS I DI MUTAZIO NE CON NE XT GENERATIO N S EQUENCING TECHNI QUE: L’”HO T-S POT“ DI DNMT3A È MUTATO NEI P AZI ENTI ITALIANI ADULTI LAM E NON È MUTATO NEI PAZIENTI ITALI ANI PEDIATRICI L AM E LAL-T M. Paganin,1 M. Pigazzi,1 S. Bresolin,1 R. Masetti,2 F. Fagioli,3 D. Diverio,5 S. Chiaretti,5 F. Locatelli,4 A. Pession,2 G. Te Kronnie,1 G. Basso1 1Dipartimento di Pediatria, Laboratorio di Oncoematologia, Università di Padova, Italia; 2Dipartimento di Pediatria, “Lalla Seràgnoli”, Unità di Oncoematologia, Università di Bologna, Italia; 3Oncoematologia Pediatrica, Divisione trapianto di cellule staminali e di terapia cellulare, Ospedale Pediatrico Regina Margherita, Torino, Italia, 4Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica. IRCCS Ospedale Bambino Gesù, Roma, Italia; 5Divisione di Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università di Roma “Sapienza”, Italia Introduzione. Le DNA metiltransferasi DNMT3A e DNMT3B, catalizzano la metilazione de novo delle isole CpG, che sono [page 39] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 ripetizioni di nucleotidi spesso presenti nelle regioni promotoriali dei geni.1 Si ipotizza che un’anomala metilazione del DNA contribuisca alla patogenesi dei tumori.2 Il ri-sequenziamento dell’intero genoma dei blasti di due pazienti adulti affetti da leucemia acuta mieloide (LAM) ha permesso di identificare una mutazione frameshift nel gene DNMT3A. In un successivo screening effettuato su una coorte di 281 pazienti adulti LAM, DNMT3A è stato trovato mutato in 62 pazienti (22.1%), dove 37 pazienti su 281 (13%) portava la mutazione all’aminoacido (aa) R882.2 È stato dimostrato che l’attività catalitica della proteina DNMT3A mutata all’aa R882 è ridotta se confrontata a quella della proteina wildtype.3-4 Abbiamo analizzato lo stato mutazionale dell’esone 23 di DNMT3A, dove si localizza l’hot-spot aa R882, in 284 pazienti italiani affetti da leucemia acuta, in particolare 94 pazienti pediatrici affetti da leucemia acuta mieloide (LAM), 170 pazienti pediatrici affetti da leucemia acuta linfoide (LAL) a cellule T e 20 pazienti adulti affetti da LAM. Metodi. Abbiamo utilizzato il Genome Sequencer Junior con tecnologia 454 con il disegno sperimentale Universal Tailed Amplicon Sequencing che permette di sequenziare rapidamente lo stesso amplicone in molti pazienti. Abbiamo preparato la libreria eseguendo due specifiche reazioni di PCR, la prima con primers DNMT3A target-specifici fusi con la sequenza M13 come universal-tail. Su questa PCR abbiamo eseguito una seconda PCR con primers specifici per l’universal-tail fusi con la sequenza dei 454 Sequencing System primers e la sequenza MID, nucleotidi identificatori del paziente. Abbiamo eseguito tre corse del Genome Sequencer Junior. Risultati. Abbiamo ottenuto 271253 sequenze allineate con l’esone 23 del DNMT3A. In media il numero di sequenze per paziente è 965±446, per 281 su 284 (98.9%) pazienti. In nessun paziente pediatrico abbiamo trovato mutazioni di DNMT3A all’esone 23. Abbiamo trovato 3/20 (15%) pazienti adulti affetti da LAM mutati. Due pazienti hanno la mutazione R882H e un paziente invece porta la mutazione R882P. Le sequenze mutate sono state trovate nei tre pazienti con una frequenza media del 46.16±2.9%. Abbiamo confermato la presenza delle mutazioni con il metodo di Sanger. Conclusioni. Il gene DNMT3A non sembra essere mutato nei pazienti pediatrici con leucemia acuta linfoblastica T e mieloide. Abbiamo invece confermato la presenza di mutazioni negli adulti LAM anche sui pazienti italiani2. La tecnica di Next Generation Sequencing utilizzata si è dimostrata veloce e solida. Con questa stessa tecnica vogliamo studiare le muta- [page 40] zioni del gene DNMT3B alla posizione R823 che è probabilmente l’aminoacido corrispondente a R882 della DNMT3A4. Bibliografia 1. De novo DNA methyltransferase is essential for self-renewal, but not for differentiation, in hematopoietic stem cells. J Exp Med. 2007 Apr 16;204(4):71522. Epub 2007 Apr 9. 2. DNMT3A Mutations in Acute Myeloid Leukemia. N Engl J Med. 2010 Dec 16;363(25):2424-33. Epub 2010 Nov 10. 3. Array-based genomic resequenicng of human leukemia. Oncogene. 2010 Jun 24;29(25):3723-31. Epub 2010 Apr 19. 4. Exome sequencing identifies somatic mutations of DNA methyltransferase gene DNMT3A in acute monocytic leukemia. Nat Genet. 2011 Mar 13;43(4):309-15. AREA TEMATICA: NE URO BLASTO MA ALTERAZIO NI GENO MICHE ETÀ-DIP ENDENTI E DEREGOLAZIO NE DEI GENI DEL CICLO CE LLULARE E DELLE TELEMORASI NEL NEUROBLASTOMA METASTATICO. S. Coco,1 S. Stigliani,1 P. Scaruffi,2 F. Valdora,3 J. Theissen,4 S. Moretti5-6 A. Oberthuer,4 M. Fischer,4 F. Gallo,7 S. Bonassi,8 F. Berthold4 and G.P. Tonini1 1Oncopatologia Traslazionale, 7Epidemiologia Molecolare, Istituto Nazionale per la ricerca sul Cancro (IST), Genova; 2Centro di Fisiopatologia della Riproduzione Umana, Ospedale "San Martino", Genova; 3Dipartimento di Oncologia, Biologia Genetica (DOBiG), Università di Genova; 4Department of Pediatric Oncology, University Children’s Hospital Cologne, Cologne, Germania, 5-6CNRS, UMR7024 Université Paris-Dauphine, Lamsade, Parigi, Francia; 8Epidemiologia Clinica e molecolare, IRCCS San Raffaele Pisana, Roma. Introduzione. Il Neuroblastoma (NB) è un tumore pediatrico aggressivo del sistema nervoso simpatico responsabile di almeno il 15% di tutti i decessi oncologiche in pediatria.1 Circa la metà dei pazienti presenta, alla diagnosi, un tumore metastatico e l’andamento clinico è fortemente influenzato dall’età del paziente. Nei pazienti sotto l’anno di età (stadio 4S) il tumore può regredire spontaneamente mentre nei pazienti più vecchi di un anno (stadio 4), l’aggressività del tumore è tale da portare a una prognosi infausta con una sopravvivenza che non supera il 35% a 5 anni dalla diagnosi, nonostante una terapia intensiva. L’aggressività del NB è, inoltre, associata all’amplificazione dell’oncogene MYCN. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Recentemente alcuni studi hanno dimostrato che pazienti in stadio 4 con età compresa tra 12-18 mesi e MYCN in singola copia, presentano una prognosi paragonabile a quelli degli infant.2 Basandosi su queste osservazioni l’International Neuroblastoma Risk Group (INRG) ha proposto una nuova classificazione di rischio innalzando il limite di età da 12 a 18 mesi al fine di evitare ai pazienti alti dosi di chemioterapia. Nell’ultimo decennio è stato proposto di utilizzare le non-random Copy Number Aberrations (CNAs) tra cui la perdita dei cromosomi 1p, 11q, il guadagno del 17q3 e le signature di espressione geniche4 per meglio predire la prognosi del paziente. La maggior parte degli studi indicano, infatti, che l’andamento di malattia è dipendente dall’età del paziente, dalla presenza delle alterazioni genomiche e della deregolazione dell’espressione genica. Nel presente studio abbiamo eseguito l’analisi del genoma e del trascrittoma in tre gruppi di tumori metastatici selezionati in base all’età del paziente, allo stadio e all’andamento della malattia al fine di chiarire la correlazione tra l’età del paziente e le alterazioni genetiche del tumore. Materiali e metodi. Sono stati analizzati 3 gruppi di pazienti con NB metastatico: G1: pazienti in stadio 4S, MYCN singola copia; G2: pazienti in stadio 4, con età ≤ 18 mesi, MYCN singola copia, senza progressione di malattia entro 3 anni dalla diagnosi; G3: pazienti in stadio 4, età > 19 mesi e prognosi sfavorevole caratterizzata da progressione e morte per malattia entro 3 anni dalla diagnosi. L’analisi del genoma è stata eseguita su 133 NB (G1: 49; G2: 37 G3: 47) utilizzando microarray ad oligonucleotidi 44K o 105K (Agilent Techologies). I profili di espressione genica sono stati analizzati in 142 tumori (G1: 60; G2: 30; G3: 52) utilizzando una piattaforma custom 11K ad oligonucleotidi contenente 10.163 probe che codificano per 8.155 geni.5 Resultati. L’analisi del genoma ha dimostrato una rilevante differenza delle alterazioni cromosomiche tra i 3 gruppi; G1 era prevalentemente caratterizzato da guadagni e perdite di interi cromosomi; G2 mostrava CNAs sia numeriche che strutturali, infine il 17% dei casi di G3 mostrava solo alterazioni strutturali mentre 83% aveva entrambi i tipi di alterazioni. È stata osservata una diminuzione significativa (P<0.05) del numero medio di CNA numeriche, da G1(9,6) a G2(7,2) a G3(3,6), al contrario il numero delle alterazioni strutturali era aumentato da G1(0,7) a G2(3,7) a G3(7,0). Abbiamo, inoltre, osservato numerosi riarrangiamenti intra-cromosomici nel gruppo G3 che interessavano anche cromosomi non trovati comunemente alte- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 rati nel NB. L’analisi dei profili di espressione genica è stata eseguita comparando i gruppi a coppie mediante SAM e abbiamo osservato: 145 geni (67 down- e 78 up-regulati) comparando G1 verso G2; 312 geni (72 down- e 240 up-regulati) in G2 verso G3 e 1787 geni (909 down- and 878 up-regulati) in G1 verso G3. L’analisi di geni mediante Gene Ontology ha mostrato, tra i 3 gruppi, una deregolazione dei geni implicati nella pathway di Rho e Ras. Abbiamo, inoltre, osservato un progressivo spegnimento dei geni coinvolti nello sviluppo e nell’adesione passando da G1→G2→G3, al contrario un aumento significativo dell’espressione dei geni del ciclo cellulare è stato dimostrato tra G1, G2 e G3. Infine G3 mostrava una più alta espressione delle telomerasi rispetto agli altri due gruppi. L’approccio d’integrazione genoma-transcriptoma, ha permesso di identificare quei geni la cui alterata espressione poteva essere causata da un riarrangiamento cromosomico. Il confronto G1 verso G2 ha evidenziato che la perdita del cromosoma 11q in G2 era associata ad una corrispondente down regolazione dei geni implicati nell’apoptosi (P53AIP1) e nello sviluppo neuronale (RDX, THY1). Nel confronto G2 verso G3, la delezione di 1p36.11-pter era associata ad una bassa espressione di TNFRSF25 coinvolto nell’apoptosi e dei geni CDC42 e EPHB2 implicati nel differenziamento. Nella comparazione G1 verso G3 la perdita di 1p, 3p e 11q erano associati con una bassa espressione dei geni implicati nell’apoptosi (CASP9 (1p), CD3E (11q), CUL5 (11q), DFFA (1p), IL18 (11q), PPP2R1B (11q), PAX7 (1p), SFN (1p), TNFRSF25 (1p)); nel riparo del DNA (SFN (1p) e RAD18 (3p)) e dei geni della famiglia delle Rho GTPase (ARHGEF10L (1p), CDC42 (1p), THY1 (11q)). Conclusioni. L’analisi del genoma dei NB metastatici ha mostrato che la proporzione delle alterazioni strutturali aumenta in modo significativo nei tumori del gruppo G3 rispetto a G2 e a G1 dimostrando che le alterazioni strutturali sono associate a tumori di pazienti con età alla diagnosi superiore a 19 mesi e con un fenotipo più aggressivo (G3). L’analisi di espressione genica ha dimostrato che i tre gruppi metastatici presentano specifiche signature geniche in grado di distinguere i NB favorevoli da quelli che sviluppano una progressione di malattia e potrebbe contribuire a migliorare la valutazione del rischio dei pazienti con NB metastatico. La deregolazione dei geni della pathway Rho/Ras potrebbe spiegare l’aumento di aggressività dei tumori da G1→G2→G3, mentre l’over-espressione dei geni dello sviluppo neuronale in G1 rispetto agli altri gruppi indica un’attività del processo dif- ferenziativo che spiegherebbe la regressione spontanea dei NB 4S. Al contrario l’aumento dell’espressione dei geni del ciclo cellulare e delle telomerasi nel gruppo G3 potrebbe fornire alle cellule tumorali un illimitato potenziale replicativo responsabile di una elevata instabilità cromosomica e quindi risultante nell’accumulo di alterazioni strutturali intra- e inter-cromosomali osservate in questi tumori. Sulla base dei dati sopra riportati noi suggeriamo che l’accumulo età-dipendente delle alterazioni strutturali sia conseguenza di una deregolazione delle telomerasi e dei geni del ciclo cellulari. Bibliografia 1. Maris J.M., Hogarty M.D., Bagatell R. and Cohn S.L. Neuroblastoma. Lancet 2007; 369: 2106-2120. 2. De Bernardi B., Gerrard M., Boni L., et al. Excellent outcome with reduced treatment for infants with disseminated neuroblastoma without MYCN gene amplification. J Clin Oncol. 2009; 2: 1034-1040. 3. Spitz R., Oberthuer A., Zapatka M., et al. Oligonucleotide array-based comparative genomic hybridization (aCGH) of 90 neuroblastomas reveals aberration patterns closely associated with relapse pattern and outcome. Genes Chromosomes Cancer 2006 (a); 45: 1130-1142 4. Oberthuer A., Hero B., Berthold F., et al. Prognostic impact of gene expression-based classification for neuroblastoma. J Clin Oncol. 2010; 28: 3506-3515. 5. Oberthuer A., Berthold F., Warnat P., et al. Customized oligonucleotide microarray gene expression-based classification of neuroblastoma patients outperforms current clinical risk stratification. J Clin Oncol 2006; 24: 5070-5078. DO WN-RE GO LAZIONE DEI GE NI ANTAGO NIS TI DI WNT NEL MEDULLOBLASTOMA A I STOLO GIA CLASS ICA F. Valdora1 B. Banelli,2 S. Stigliani,3 P. Scaruffi,4 S. Moretti,5 S. Bonassi,6 M. Romani,2 I. Adolfo,7 M. Zollo,7 A. Oberthuer,8 G. Cinalli9, A. Iolascon,7 G.P. Tonini,3 S. Coco3 1Dipartimento di Oncologia Biologia e Genetica (DOBiG), 2S.C. Genetica ed epigenetica dei tumori 3Oncopatologia Traslazionale, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST) Genova; 4Centro [Pediatric Reports 2011; 3:s1] di Fisiopatologia della Riproduzione Umana, Ospedale "San Martino", Genova; 5CNRS, UMR7024 - Université Paris-Dauphine, Lamsade, Parigi, Francia; 6Epidemiologia Clinica e molecolare, IRCCS San Raffaele Pisana, Roma. 7CEINGE Napoli; 8Paediatric Oncology Centre, University Children’s Hospital, Cologne (Germany); 9A.O. Santobono Napoli, Italia Introduzione. Il medulloblastoma (MB) è il più comune tumore embrionale del sistema nervoso centrale, origina dal neuroectoderma e si sviluppa nel cervelletto.1 Dal punto di vista istologico il MB è suddiviso in 5 varianti: classico, desmoplastico/nodulare, MB con estensiva modularità, anaplastico e large cell.2 Ad oggi sono state riconosciute tre pathway (Shh-Ptch, Notch e Wnt) principalmente implicate nello sviluppo, nella crescita e nell’aggressività del MB.3 La pathway di Wnt ha un ruolo essenziale nelle fasi precoci dello sviluppo embrionale del sistema nervoso centrale nel differenziamento e nell’oncogenesi. La via di Wnt è regolata negativamente da antagonisti secreti che si possono dividere in due classi funzionali, la classe sFRP (Frizzled receptor protein) e la classe Dickkopf. Nel MB è stata osservata una metilazione dei geni appartenenti alla classe delle sFRP associata ad una loro dimuita espressione.4 In un recente studio5 è stato dimostrato che i geni antagonisti di Wnt sono regolati da MSX1, muscle segment homeobox transcription factor 1. I geni MSX (MSX1, MSX2), appartengono alla famiglia dei geni homeobox e sono repressori trascrizionali, la cui normale attività potrebbe regolare un equilibrio tra la sopravvivenza e l'apoptosi delle cellule che derivano dalla cresta neurale. Per meglio caratterizzare le basi molecolari responsabili dello sviluppo e dell’aggressività del MB abbiamo eseguito uno studio del trascrittoma e del genoma in 19 MB a istologia classica, quindi abbiamo focalizzato lo studio sui geni Dkk3, SFRP1, SFRP2 e MSX2 della pathway diWnt. Materiali e metodi. L'analisi del genoma e del trascriptoma è stata eseguita su 19 casi di MB a variante classica, con a-CGH 244K e microarray 44k (Agilent Technologies) per espressione genica. Sono stati selezionati i geni la cui espressione era 3 volte superiore o inferiore in almeno 14 campioni, rispetto a un pool di RNA ottenuto da cervelletti di 10 soggetti sani in età pediatrica, deceduti per cause diverse dal cancro. I livelli di espressione di Dkk3, SFRP1, SFRP2 e MSX2 sono stati validati in qPCR con assay specifici (Primer Design) su 32 MB e 6 linee cellulari di MB (D425; D458; DAOY; D341Med; D283Med; D556). L'analisi dello stato di metilazione delle [page 41] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 regioni promotrici 1, 2 e 3 di Dkk3, dei promotori di SFRP1 e MSX2 è stata eseguita sul DNA di 32 campioni di MB e 6 linee di MB modificati con sodio bisulfito, utilizzando la tecnica MSP (Methylation Specific PCR). Risultati. L'analisi di espressione genica dei 19 MB ha identificato 1752 geni di cui 517 sono up-regolati e 1235 down-regolati. Tra i geni differenzialmente espressi, alcuni geni antagonisti della pathway di Wnt (Dkk3, SFRP1, SFRP2) e il loro putativo regolatore (MSX2) (Revet et al., 2009) erano significativamente downregolati nei MB. Il basso livello di espressione di questi geni è stato confermato in qPCR: nel 71% dei casi per Dkk3, nel 77% per SFRP1 e nel 84% per MSX2. Mentre il gene SFRP2 ha mostrato una down regolazione solo in un caso su 32 e pertanto è stato escluso dallo studio. L’analisi sulle 6 linee cellulari di MB ha mostrato una bassa espressione in 4/6 (66%) per Dkk3, 6/6 (100%) per SFRP1 e 3/6 (50%) per MSX2; in particolare l’espressione di tutti i tre geni era diminuita in ambedue le linee D458 e D341MED. Lo studio di espressione genica ha evidenziato, inoltre, che la soppressione di MSX2 correlava con la bassa espressione di Dkk3 in 22 dei 27 (82%) casi di MB e in 21 dei 25 (84%) per SFRP1. L’analisi del genoma su 19 MB ha evidenziato una bassa frequenza di delezione nei loci dei geni trovati down-regolati: 5% (1/19) per Dkk3 (11p15.3-15.2); 15% (3/19) per SFRP1 (8p12-p11.1) e 5% (1/19) per MSX2 (5q34q35). L'analisi dello stato di metilazione in MSP ha mostrato una metilazione nel 97% (31/32) dei casi per SFRP1 e nel 78% (25/32) dei casi per MSX2, mentre non è presente nessuna metilazione in tutte e tre le regioni promotrici di Dkk3. Abbiamo osservato inoltre che un gruppo di 10 campioni, analizzati sia in qPCR che in MSP, presenta una correlazione tra la metilazione dei promotori e la corrispondente bassa espressione in 8/10 per SFRP1 e 7/10 per MSX2. Conclusioni. Il nostro studio mostra che i geni antagonisti di Wnt (Dkk3, SFRP1) e il loro regolatore (MSX2) sono frequentemente downregolati nei campioni tumorali di MB a istologia classica. L’analisi del genoma ha escluso che la delezione dei loci dei tre geni sia responsabile della loro bassa espressione. L’analisi di metilazione ha mostrato che i promotori di SFRP1 e MSX2 sono metilati nel 97% e nel 78% dei campioni tumorali e che la metilazione correla con una bassa espressione di questi geni. Al contrario è stato escluso il coinvolgimento di un meccanismo epigenetico nel silenziamento di Dkk3. La bassa espressione di Dkk3 e SFRP1 potrebbe essere regolata da MSX2, come già dimostrato per MSX1 nel neuroblastoma. In conclusione, il silen- [page 42] ziamento epigenetico potrebbe rappresentare uno dei principali meccanismi di regolazione dell’espressione di SFRP1 e MSX2, mentre per Dkk3 potrebbero esistere altri sistemi di regolazione. Questi dati suggeriscono che i geni Dkk3, SFRP1 e MSX2 sono candidati come geni oncosoppressori nello sviluppo del MB a istologia classica. Bibliografia 1. Packer RJ, Cogen P, Vezina G, Rorke LB. “Medulloblastoma: clinical and biologic aspects.” Neuro Oncol 1:232–250 (1999). 2. Giangaspero F, Eberhart C, Haapasalo H, Pietsch T, Wiestler OD, Ellison DW. (2007). Medulloblastoma. In: Louis DN, Ohgaki H, Wiestler OD, Cavenee WK, eds. WHO Classification of Tumours of the Central Nervous System. IARC Press, Lyon, France. 3. Nusse R. “ Wnt signaling in disease and in development” Cell. Res. 15:28-32 (2005) 4. Kongkham PN, Northcott PA, Croul SE, Smith CA., Taylor MD. And Rutka JT. “The SFRP family of WNT inhibitors function as novel tumor suppressor genes epigenetically silenced in medulloblastoma” Oncogene 1-8 (2010). 5. Revet I. Huizenga G., Koster J., Volckmann R., Peter van Sluis, Versteeg R., Geerts D. “MSX1 induces the Wnt pathway antagonist genes DKK1, DKK2, DKK3,and SFRP1 in neuroblastoma cells, but does not block Wnt3 andWnt5A signalling to DVL3” Cancer Letter 5 (2009) ANALISI MULTI LOCUS NEL NE URO BLAS TOMA LOCALIZZATO INO PERABILE MYCN NON AMP LIFICATO – REPO RT DEL GRUPPO SIOP E URO PE NEUROBLASTOMA (SIO PEN) R. Defferrari, K. Mazzocco, IM. Ambros, PF. Ambros, C. Bedwell, K. Beiske, J. Bénard, N. Bown, V. Combaret, J. Couturier, B. De Bernardi, A. Garaventa, R. Haupt, J. Kohler, M. Jeison, J. Lunec, B. Marques, R. Noguera, S. Parodi, G. Schleiermacher, F. Speleman, A. Valent, N. Van Roy, E. Villamon, GP. Tonini SIOPEN Biology Group Introduzione. Recentemente è stato suggerito da più gruppi di ricercatori che la presenza di anomalie cromosomiche strutturali (SCA) nel neuroblastoma MYCN non amplificato possa correlare con una prognosi più infausta. Ad oggi per i pazienti con neuroblastoma di stadio 2 e 3, sopra l’anno di età alla diagnosi, non sono ancora state introdotte modifiche al trattamento terapeutico in base alla presenza o meno di aberrazioni cromosomiche strutturali, Questo studio presenta i dati biologici riguardanti la presenza/assenza di SCA in una coorte di pazienti affetti da neuroblastoma localiz- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] zato non operabile, MYCN non amplificato con età alla diagnosi superiore all’anno. Materiali e Metodi. Tra Gennaio 2001 e Ottobre 2006 sono stati arruolati nel SIOPEN Unresectable Neuroblastoma Study (EUNB) 160 nuovi casi di neuroblastoma. Dei 160 tumori, 103 sono stati analizzati con un approccio multi locus, tramite Multiple Ligation Probe Amplification (MLPA), array-CGH and SNPs su 60, 42 e 1 campione, rispettivamente. Il kit per MLPA attualmente in uso specificatamente disegnato per il neuroblastoma, permette l’analisi di 100 loci genetici che corrispondono a tutte le regioni cromosomiche da analizzare, in base alle raccomandazioni dell’International Neuroblastoma Risk Group (INRG). Tali loci mappano sulle seguenti regioni cromosomiche: 1p, 1q, 2p (inclusi MYCN, DDX1, NAG, e ALK), 3p, 4p, 7q, 9p, 11q, 12q, 14q, 17p e 17q. La piattaforma per la CGH array consiste in un array di BAC/PAC (4000 cloni) con una risoluzione di circa 1Mb, che include tutti i loci del kit per MLPA. I dati genetici ottenuti sono stati collegialmente revisionati dai membri del SIOPEN Biology Group (ENQUA). Risultati. Dati informativi per l’analisi multi locus sono stati ottenuti per 103 tumori, dei quali 52 (50.4%) hanno presentato una o più aberrazioni cromosomiche strutturali, mentre 51 (49.6%) sono risultati privi di aberrazioni strutturali. Le aberrazioni più frequentemente osservate sono state: gain del cromosoma 17q (33%), delezione del cromosoma 11q (21%), riarrangiamenti a carico del cromosoma 1p/1q (19%) e gain del cromosoma 2p (16%). I pazienti sono stati inizialmente suddivisi arbitrariamente in base all’età alla diagnosi, in 3 gruppi: gruppo A, 13-18 mesi (n=36), gruppo B, 19-36 mesi (n=33) e gruppo C, maggiore di 36 mesi (n=34) La percentuale di tumori con la presenza di almeno un’ aberrazione cromosomica strutturale aumenta passando dal gruppo A al B e al C dal 42% al 47% e al 67% rispettivamente (P=0.0058 test chi quadrato). La più alta frequenza di SCA è stata quindi riscontrata a carico dei pazienti con età superiore ai 36 mesi alla diagnosi (P=0.027, Kruskal-Wallis test). In questi pazienti la presenza di almeno un’ aberrazione cromosomica strutturale è risultata associata ad una scarsa Progression Free Survival (PFS) (P=0.043), mentre questo effetto non era presente nei bambini di età inferiore. Lo stesso risultato è stato ottenuto utilizzando come cut-off l’età di 24 mesi (P=0.035 in bambini di 24 mesi , P=0.501 in bambini di età maggiore di 24 mesi) Conclusioni. Questo studio è il primo report da parte della SIOPEN Biology Committee riguardante i dati genetici per AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 i tumori non resecabili. In questa coorte di pazienti la frequenza del gain di 17q, e di 2p, della delezione di11q e del riarrangiamento del cromosoma 1p/1q risulta essere maggiore se confrontata con neuroblastomi in stadio localizzato, resecabili MYCN non amplificati (LNESGI) e la percentuale delle SCA aumenta all’aumentare dell’età alla diagnosi. La PFS peggiora all’aumentare dell’età (dati non mostrati) e con la presenza di SCA.Si può quindi suggerire che solo la presenza di entrambe le variabili (SCA ed età) sia significantemente associata con una maggiore aggressività del tumore che risulta in una progressione di malattia. Bibliografia 1. International consensus for neuroblastoma molecular diagnostics: report from the International Neuroblastoma Risk Group (INRG) Biology Committee. Ambros PF, Ambros IM, Brodeur GM, Haber M, Khan J, Nakagawara A, Schleiermacher G, Speleman F, Spitz R, London WB, Cohn SL, Pearson AD, Maris JM. Br J Cancer. 2009 May 5;100(9):1471-82 2. A multilocus technique for risk evaluation of patients with neuroblastoma. Ambros IM, Brunner B, Aigner G, Bedwell C, Beiske K, Bénard J, Bown N, Combaret V, Couturier J, Defferrari R, Gross N, Jeison M, Lunec J, Marques B, Martinsson T, Mazzocco K, Noguera R, Schleiermacher G, Speleman F, Stallings R, Tonini GP, Tweddle DA, Valent A, Vicha A, Roy NV, Villamon E, Ziegler A, Preuner S, Drobics M, Ladenstein R, Amann G, Schuit RJ, Pötschger U, Ambros PF. Clin Cancer Res. 2011 Feb 15;17(4):792-804. 3. Chromosomal CGH identifies patients with a higher risk of relapse in neuroblastoma without MYCN amplification. Schleiermacher G, Michon J, Huon I, d'Enghien CD, Klijanienko J, Brisse H, Ribeiro A, Mosseri V, Rubie H, Munzer C, Thomas C, Valteau-Couanet D, Auvrignon A, Plantaz D, Delattre O, Couturier J; Société Française des Cancers de l'Enfant (SFCE). Br J Cancer. 2007 Jul 16;97(2):238-46. Epub 2007 Jun 19. CARATTERIZZAZI ONE MOLECO LARE E QUANTIFICAZI ONE DEL VIRUS EBV NEL LI NFO MA DI BURKITT E NELLA LE UCEMI A A CELLULE B MATURE L. Mussolin, L. Antonazzo, M. Pillon, R. Mura, L. Lo Nigro, A. Sala, M. Aricò, A. Rosolen Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Universita’ di Padova, Padova, per il GdL Linfomi NonHodgkin AIEOP Introduzione.Il virus di Epstein Barr (EBV), appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, è un virus ubiquitario, tanto da essere stato ritrovato anche in individui di comunità isolate. È riconosciuto come l’agente eziologico della mononucleosi infettiva. Svariati studi hanno dimostrato il coinvolgimento del virus nella patogenesi di diverse neoplasie a carico di soggetti con immunodeficienza congenita o acquisita, come i soggetti sieropositivi per HIV, i trapiantati d’organo o di midollo osseo. Tali neoplasie comprendono soprattutto linfomi di tipo B (Hodgkin e non-Hodgkin), linfoproliferazioni post-trapianto, linfomi cellulari di tipo T (come il linfomi nasali a cellule T o a cellule natural killer). Tradizionalmente la diagnosi di laboratorio dell’infezione primaria o della riattivazione dell’EBV si basa su test sierologici, tuttavia anche la ricerca del genoma virale può rappresentare un parametro rilevante nei pazienti con patologie EBV correlate. Il linfoma di Burkitt (LB) viene notoriamente distinto in due forme: endemico e sporadico. Il LB endemico è diffuso in Africa equatoriale, Nuova Guinea e quasi tutti i casi sono EBV positivi; il LB sporadico è invece presente nei paesi Occidentali e la positività per l’EBV non è ancora ben nota. La traslocazione t(8;14)(q24;q32) rappresenta un marker caratteristico del LB. Questa traslocazione coinvolge l’oncogene Myc sul cromosoma 8 e il locus per la catena pesante delle immunoglobuline (IgH) sul cromosoma 14 ed è presente in circa il 70% dei LB sporadici e delle leucemie a cellule B mature (LLA-B). Lo scopo di questo studio è stato la caratterizzazione molecolare e la quantificazione della carica virale di EBV in una popolazione di pazienti pediatrici affetti da LB e LLA-B arruolati nel protocollo AIEOP LNH-97. Materiali e metodi. Le analisi sono state eseguite su campioni bioptici rappresentativi del tumore nei casi di LB e nei campioni di aspirato midollare all’esordio nei casi di LLA-B. Dalle cellule nucleate midollari e dai frammenti di tessuto tumorale, DNA ad elevato peso molecolare è stato estratto con il sistema QIAamp DNA MiniKit (Qiagen). Abbiamo messo a punto una tecnica di LongDistance PCR (LD-PCR) in grado di rilevare la t(8;14) a livello genomico con sensibilità, valutata con diluizioni limite di cellule di LB in cellule di origine ematopoietica, di 10-4. La carica virale di EBV è stata valutata mediante Real-Time PCR usando come target il gene della glicoproteina gp350 e come housekeeping il gene della β-globina. Il risultato è stato espresso come numero di copie di EBV/100.000 cellule (2 copie di β –globina= 1 cellula) Risultati. 73/102 casi di LB e 63/92 di LLAB sono risultati positivi per la t(8;14). La presenza del virus EBV è stata riscontra- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] ta nel 20% dei casi di LB; il 60% di questi (12/20) risultavano positivi per la traslocazione t(8;14). Nei campioni di LLA-B solo 4/92 (4%) sono risultati positivi per EBV e 3 presentavano la t(8;14). La mediana del numero di copie di EBV è risultata essere di 1.500.000 /100.000 cellule nel LB e di 306.500 su 100.000 cellule nella LLA-B. Dall’ analisi statistica è emerso che non vi è associazione tra la carica virale e appartenenza al gruppo di rischio (gruppo 2-3 vs 4) o con i valori di LDH. Vi è invece un’associazione positiva tra la carica virale e l’età. La carica virale è significativamente più elevata nei pazienti con età inferiore (Fisher exact test, P=0.03) Conclusioni. In base ai dati di letteratura questo studio rappresenta, a nostra conoscenza, la casistica pediatrica di LB e di LLA-B più ampia studiata finora per la presenza dell’EBV DNA e della traslocazione t(8;14). I dati ottenuti, in particolare la percentuale di positività per EBV così diversa per LB e LLA-B fornisce ulteriori presupposti per approfondire lo studio sulle differenze biologiche e molecolari tra queste due patologie che vengono solitamente considerate due diverse manifestazioni di una stessa neoplasia. Bibliografia 1. Macsween KF, Crawford DH EpsteinBarr virus-recent advances. Lancet Infect Dis. 2003 Mar;3(3):131-40. 2. Measuring Epstein-Barr virus (EBV) load: the significance and application for each EBV-associated diseaseRev Med Virol. 2008 Sep-Oct;18(5):305-19 3. Heslop HE Biology and Treatment of Epstein-Barr Virus–Associated NonHodgkin Lymphomas. Hematology 2005 (1): 260 4. Oertel SH, Riess H. Immunosurveillance, immunodeficiency and lympho-proliferations. Recent Results Cancer Res 2002; 159:1-8 5. Mussolin L, Basso K, Pillon M, D’Amore E, Zanesco L, Rosolen A. Prospective analyis of minimal bone marrow infiltration in pediatric Burkitt’s lymphomas by long-distance polymerase chain reaction for t(8;14)(q24;q32). Leukemia, 2003; 17(3):585-9. STORIA NATURALE DELLA LE UCE MIA ACUTA LINFOBLASTICA INSORTA IN GEMELLE MO NOZIGOTI AFFETTE DA NEUROFIBRO MATOS I M. Galbiati1*, A. Lettieri1*, S. Songia,1 C. Morerio,2 C. Micalizzi,2 C.Dufour,2 A. Biondi,1 G. Cazzaniga1 1Centro di Ricerca M. Tettamanti, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia; 2 EmatoOncologia Pediatrica, Istituto G. Caslini, Genova Introduzione. La neurofibromatosi di tipo [page 43] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 1 è una patologia a trasmissione autosomica dominante, causata da mutazioni nel gene della neurofibromina (NF1). È stato dimostrato che bambini affetti da NF1 mostrano un aumentato rischio di sviluppo di tumori, in particolar modo leucemia mielomonocitica giovanile (JMML) e disordini del compartimento mieloide. Tuttavia l’evoluzione clonale che porta da NF1 allo sviluppo di leucemia conclamata non è ancora stata chiarita. In questo lavoro abbiamo analizzato l’evoluzione clonale in una coppia di gemelle monozigoti (T1 e T2), affette da NF1, che hanno mostrato leucemia acuta linfoblastica (LAL) concordante esordita a 6 anni di vita. Materiali e Metodi. Caratteristiche cliniche delle gemelle: a T1 e T2 è stata posta diagnosi di LAL di tipo ‘common’ rispettivamente a 6 e 6,5 anni. Entrambe manifestavano segni clinici di neurofibromatosi di tipo 1 (macchie caffeane sul tronco). Il cariotipo all’esordio di T1 era: 45,XX,-7,del(9)(p12), del(10)(q23) [8]/46, XX[12], mentre di T2: 45,XX,-7, del(10)(q22)[14]. Le pazienti sono state arruolate nel protocollo AIEOP LAL2000 e stratificate in base alla malattia residua minima (MRM) rispettivamente nel gruppo ad alto rischio (T1) e a rischio intermedio (T2). T1 è stata sottoposta a trapianto di midollo da donatore familiare a +8 mesi dall’esordio ed è a tutt’oggi in continua remissione completa. T2 ha presentato recidiva midollare dopo 13 mesi dall’esordio, con immunofenotipo pre-preB/common e cariotipo 47,XX, del(9)(p21),+21[11]/46,XX[5]. Dopo il raggiungimento della 2a remissione completa (dopo i blocchi F1 e F2 del protocollo REC 2003 SR) e della negativizzazione della MRM (dopo la Reinduzione IIIda), la bambina è stata trapiantata, utilizzando lo stesso donatore della sorella e attualmente è in remissione di malattia. Analisi dei riarrangiamenti delle Ig e del TCR: i campioni di DNA dell’esordio di malattia e della ricaduta sono stati analizzati per i riarrangiamenti clonali dei geni di Immunoglobuline (Ig) e T-cell Receptor (TCR) come descritto nel protocollo AIEOP LAL2000. Analisi del contenuto genico: la valutazione genomica del numero di copie è stata eseguita utilizzando la piattaforma Affymetrix Cytogenetics Whole Genome 2.7M Array. I dati ottenuti sono stati analizzati con il software Chromosom Analysis Suite v1.1 (Affymetrix®, Santa Clara, CA). I campioni alla diagnosi di malattia ed alla ricaduta sono stati confrontati con le rispettive remissioni (giorno +33 o +78) al fine di individuare anomalie genetiche associate alla leucemia. Risultati. Il braccio lungo del cromosoma 17 (dove è localizzato il gene NF1) ha mostrato perdita di eterozigosi (Loss of [page 44] Heterozygosity, LOH) alla diagnosi di entrambe T1 e T2, riscontrata anche alla ricaduta di T2; tale lesione, poichè condivisa da entrambe le gemelle e mantenuta alla ricaduta, deve essere considerata di origine prenatale. Dopo la nascita, la malattia nelle gemelle ha avuto un’evoluzione indipendente, assumendo specifici riarrangiamenti clonali Ig/TCR e aberrazioni cromosomiche distinte. In particolare, la gemella T1 all’esordio ha evidenziato: del(6)(q15), -7, tre delezioni in emizigosi sul braccio lungo del cromosoma 9 e del(10)(q23.33); T2 ha invece acquisito amp(2)(pter→p25.3), -7, del(10)(q23.1), del(14)(q32.13) e una delezione coinvolgente il gene TCF12 (15q21.3). Il clone della ricaduta di T2 ha mantenuto la LOH 17q e la del(15)(q21.3) acquisendo nuove aberrazioni quali delezioni in emizigosi coinvolgenti i geni IKZF1 (7p12.2), ETV6 (12p13.2), C20orf94 (20p12.2) e trisomia 21; l’assenza di monosomia del cromosoma 7 e delle altre lesioni rilevate alla diagnosi indica l’origine della recidiva nella gemella T2 da un subclone preesistente alla prima presentazione di LAL. Tale ipotesi è stata confermata dall’analisi retrospettiva dei marcatori clonali Ig/TCR della ricaduta sui campioni delle diagnosi di malattia. Conclusioni. Questo studio descrive il primo caso di gemelle monozigoti affette da neurofibromatosi 1 con diagnosi concordante di leucemia linfoblastica acuta. Grazie alla combinazione dell’analisi genomica e dei riarrangiamenti Ig/TCR, è stato possibile delineare la storia naturale del clone leucemico nelle gemelle. Tale modello prevede, come primo evento leucemogenico comune, l’acquisizione prenatale della LOH 17q da parte di un progenitore ematopoietico, associato alla potenziale acquisizione in omozigosi della mutazione del gene NF1; la successiva evoluzione indipendente dei cloni di malattia è associata all’accumulo di lesioni genetiche distinte, con origine della ricaduta da uno stadio intermedio, precedente la prima presentazione di LAL.Nel processo di leucemogenesi, oltre ad anomalie note, sono state identificate nuove alterazioni a carico dei geni BACH2 (6q15) e TCF12 (15q21.3), noti come importanti fattori di trascrizione con un ruolo nel differenziamento dei linfociti B e T. La loro alterata espressione potrebbe contribuire al blocco differenziativo ed alla proliferazione incontrollata dei blasti leucemici. Lo studio approfondito di tali lesioni potrebbe inoltre rivelare nuovi meccanismi patogenetici. L’estensione dell’analisi di queste lesioni ad altri casi (non gemelli) con NF1 e leucemia potrebbe verificare la possibile specifica associazione di queste anomalie con la malattia. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Bibliografia Jett, K. and J.M. Friedman, Clinical and genetic aspects of neurofibromatosis 1. Genet Med, 2010. 12(1): p. 1-11. Steinemann, D., et al., Mitotic recombination and compound-heterozygous mutations are predominant NF1-inactivating mechanisms in children with juvenile myelomonocytic leukemia and neurofibromatosis type 1. Haematologica, 2010. 95(2): p. 320-3. MLL/ AF6 INDUCE ATTIVAZIO NE DE L RAS PATHWAY CONTRO LLANDO LA LOCALIZZAZIO NE DI AF6 NELLA LEUCEMIA MI ELOI DE ACUTA. E. Baron , E. Manara , A. Beghin, C. Tregnago, M. Pigazzi, G. Basso Università di Padova- Città della Speranza, Dipartimento di Pediatria, Via Giustiniani 3, 35028 Padova, Italia Introduzione. I riarrangiamenti cromosomici che coinvolgono il gene MLL sono associati con lo sviluppo di leucemia acuta, e recentemente sono stati scoperti avere una prognosi differente in base al partner di traslocazione di MLL. In particolare, la traslocazione t(6;11)(q27;q23) è risultata caratterizzare il sottogruppo di pazienti MLL a peggior prognosi (EFS 23.3% a 3 anni). Il ruolo funzionale della proteina di fusione MLL/AF6 non è oggigiorno chiaro, ma la sua caratterizzazione potrebbe portare a nuovi approcci terapeutici per questo sottogruppo di pazienti. AF6 è una proteina citoplasmatica nota per legare RAS mediante il domino RA (Ras Association), inibendo la via di segnale a valle, cruciale nella cancerogenesi. Scopo. Lo scopo di questo studio è quello di delucidare il ruolo del gene di fusione MLL/AF6 nelle leucemia acuta mieloide (LAM). Metodi. Esperimenti di immunofluorescenza sono stati eseguiti per identificare la localizzazione di AF6 e RAS in colture primarie sane e nelle linee ML-2 e SHI1, entrambe traslocate t(6;11)MLL-AF6. Silenziamento genico di AF6 e di MLLAF6 è stato condotto nelle suddette linee cellulari. Analisi di Real time PCR (RQPCR) e western blot (WB) sono state usate per monitorare i livelli di espressione genica e proteica di targets a valle di AF6/RAS. Trattamenti con inibitori chimici della via delle MAPK chinasi (PD259, U126) sono stati inoltre usati. Risultati. AF6 e RAS si rivelano co-localizzare nel citoplasma in campioni sani di midollo. Questo legame inoltre si dimostra importante per mantenere bassi i livelli di RAS-GTP (forma attiva di RAS) nel citoplasma. Il silenziamento di AF6 in AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 midolli sani si è dimostrato indurre un aumento dell’espressione di RAS-GTP evidenziando l’importanza di AF6 nel controllare l’attivazione di RAS. AF6 risulta essere aberrantemente espresso nel nucleo nelle linee t(6;11) traslocate, ML-2 e SHI1, dove infatti si riscontrano elevati livelli di RAS-GTP. Il silenziamento della chimera nelle linee cellulari è stato in grado di provocare la migrazione di AF6 dal nucleo al citoplasma, dove rilocalizzando con RAS, ne abbassava i livelli di RAS-GTP. La chimera dunque si dimostra favorire il trasporto anomalo di AF6 nel nucleo impedendo di esercitare la funzione di controllo dei livelli di RASGTP. A conferma di questo fenomeno, fosforilazione dei geni target (RAF, MEK e ERK) a valle di RAS dopo silenziamento della chimera risultava diminuita confermando il coinvolgimento di RAS nelle leucemie MLL-AF6 traslocate. Inibitori chimici della via di RAS nelle linee ML-2 e SHI-1 dimostrano di aumentare la morte cellulare e la capacità di formare colonie, allo stesso livello del silenziamento della chimera MLL-AF6. Conclusioni. Queste evidenze attribuiscono alla proteina AF6 un ruolo di fondamentale importanza nell’ematopoiesi per la sua azione di controllo esercitata su RAS. La traslocazione t(6;11)MLL/AF6 si dimostra in grado di promuove l’iperattivazione di RAS che partecipa al mantenimento della leucemia. STUDIO DE LL’ES PRESS IONE DI E RG NELLA LE UCEMI A MIELO IDE ACUTA M. Pigazzi M,1 E. Manara,1 F. Martinolli,1 A. Beghin,1 C. Tregnago,1 S. Gelain,1 R. Masetti,2 A. Pession,2 G. Basso1 1Università di Padova-Fondazione Città della Speranza, Dipartimento di Pediatria, Clinica Oncoematologia Pediatrica, Padova; 2Dipartimento di Pediatria, “Lalla Seràgnoli”, Unità di Oncoematologia, Università di Bologna, Italia Introduzione. Il gene ERG (ETS-related gene) è un fattore di trascrizione implicato in numerosi processi cellulari e tumorali. ERG è anche noto come gene di fusione nel tumore di Ewing e nella leucemia acuta. L’over-espressione del suo mRNA è stata dimostrata avere un significato prognostico negativo in pazienti adulti affetti da leucemia linfoblastica acuta delle cellule T o da leucemia mieloide acuta (LAM). Inoltre, l’esogena espressione di ERG è stata dimostrata indurre la differenziazione dei megacariociti provocando una eritroleucemia in vitro e in vivo. I motivi della sua de-regolazione e i meccanismi secondo cui ERG agisce nel cancro non sono tutt’oggi noti. Scopo. Studiare l’espressione di ERG in pazienti pediatrici affetti da LAM e identificare il pathway d’azione tumorale. Metodi. L’espressione di ERG è stata studiata mediante Real Time-PCR in una serie di 269 pazienti affetti da LAM reclutati nel registro AIEOP dal 2002 e in una serie di 13 midolli di donatori sani. Risultati. L’espressione di ERG nei pazienti si rivela più alta (high-ERG) o più bassa bassa (low-ERG) rispetto ai controlli sani suddividendo i pazienti LAM in due gruppi significativamente distinti (N high-ERG =163, RQ = 4.927, N low-ERG = 106, RQ = 0.371, p = 0.007). L’intera coorte è stata poi suddivisa per genetica molecolare in 4 gruppi: 53 pazienti con riarrangiamento del CBF (positivi per t(8;21)AML1-ETO o inv16 CBFB-MYH11), 34 pazienti FLT3ITD positivi, 71 pazienti MLL-riarrangiati e 111 negativi per marcatori molecolari noti (NEG). L’espressione di ERG nuovamente distingueva 2 sottogruppi di pazienti significativamente diversi rivelando che ERG può considerarsi un nuovo interessante marker leucemico (CBF: Nhigh-ERG = 46, RQ = 9.143; Nlow-ERG = 7, RQ = 0.665, p = 0.048; FLT3ITD: Nhigh-ERG = 25, RQ = 3.608, Nlow-ERG = 9 RQ = 0.523, p = 0.0004; MLL-rearranged: Nhigh-ERG = 28, RQ = 2.933, Nlow-ERG = 43, RQ = 0.254, p < 0.0001; NEG: Nhigh-ERG = 64, RQ = 3.285, Nlow-ERG = 47, RQ = 0.405, p < 0.0001). Analisi di sopravvivenza confermano come l’espressione alta di ERG conferisca una prognosi significativamente peggiore nei pazienti MLL-riarrangiati con livelli alti di espressione di ERG (Nhigh-ERG =28, EFS = 28.8 % 3y, NlowERG = 43 EFS= 65.6 %, p = 0.0003). L’analisi bivariata inoltre, eseguita rispetto ai partners del gene MLL (AF6, AF9, AF10), risulta significativa indicando in ERG un possibile fattore prognostico indipendente (regressione di COX, p = 0.004). Nei pazienti NEG e CBF ERG sovra-espresso riduce la EFS ma non significativamente. La valutazione dell’espressione del gene Gfi-1, un gene che inibisce l’espressione del miR-196b che è in grado di regolare a sua volta l’espressione di ERG, è in via di valutazione come probabile pathway coinvolto nel controllare i livelli di espressione di ERG nelle LAM. Conclusioni. L’espressione di ERG distingue nuovi sottogruppi di pazienti LAM. ERG si rivela essere un importante nuovo target molecolare soprattutto per i pazienti MLL traslocati. Approfondi menti biologici in vitro sono in corso per valutare il ruolo e il meccanismo d’azione di ERG nella LAM. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] IDENTI FI CAZIONE DI NUOVE ABERRAZIONI GENOMICHE IN PAZIENTI AFFETTI DA LAM MEDIANTE ARRAY-CGH Pigazzi M,1 Beghin A,1 Aveic S,1 Giarin E,1 Masetti R,2 Pession A,2 Basso G1 1.Università di Padova-Fondazione Città della Speranza, Dipartimento di Pediatria, Clinica Oncoematologia Pediatrica, PadovA; 2Dipartimento di Pediatria, “Lalla Seràgnoli”, Unità di Oncoematologia, Università di Bologna, Italia Introduzione. Le Leucemie Acute Mieloidi (LAM) sono un gruppo eterogeneo di malattie ematologiche con caratteristiche biologiche e cliniche molto varie. Oggigiorno in più dell’80% dei pazienti affetti da LAM si riscontrano anomalie cromosomiche, per lo più riarrangiamenti bilanciati (traslocazioni, inserzioni, o inversioni) il cui significato biologico e prognostico è stato identificato e spesso utilizzato per la creazione di differenti classi di rischio per i pazienti pediatrici. Nuovi studi con tecniche molecolari di citogenetica come il cariotipo spettrale, ma soprattutto l’array di ibridazione genomica comparativa (a-CGH) hanno permesso la caratterizzazione di aberrazioni cromosomiche in precedenza non identificate, spesso perchè criptiche, che causano degli squilibri genomici. La predominanza delle aberrazioni con conseguente perdita di materiale cromosomico (monosomie, eliminazioni, amplificazioni e traslocazioni non bilanciate) possono diventare di particolare interesse per l’identificazione di nuovi sottogruppi di pazienti e di nuovi bersagli terapeutici in campo pediatrico. Scopo. Lo scopo dello studio è di caratterizzare in modo più accurato una serie di pazienti LAM utilizzando l’Array-CGHfocus hematology (Bluegnome, Cambridge, UK). Materiali e metodi. Sono stati studiati 54 pazienti con diagnosi di LAM all’esordio. Il DNA del paziente e il DNA di controllo vengono marcati in modo indipendente e ibridati in modo competitivo alle sonde BAC legate al vetrino. La scansione dell’immagine viene eseguita con DNA microarray scanner (Agilent technologies). L’analisi dell’intensità di fluorescenza viene fatta mediante Bluefuse Multi software. La regione minina di perdita/acquisizione di materiale genomico è stimata essere 1 Mb. Le regioni vengono considerate acquisite o perse quando il segnale supera la soglia di 0.3 (log2 ratio cianina5/cianina5) stabilita dalla ditta produttrice. Abbiamo ritenuto gli sbilanciamenti come ricorrenti se identificati in almeno 4 pazienti. Risultati. 34/54 (63%) dei pazienti LAM presentano acquisizione e/o perdita di [page 45] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 regioni cromosomiche. I cromosomi 5, 7, 11, 15, 17, 19, 21 sono quelli su cui si concentrano le alterazioni ricorrenti. 22/34 pazienti (64%) mostrano da due fino a quattro cromosomi alterati in punti diversi. Valutando i pazienti per genetica molecolare e classe di rischio LAM secondo protocollo AIEOP-LAM2002, dei 34 pazienti sbilanciati 7 (20%) appartengono alla classe di rischio standard (CBF riarrangiati), 27 (80%) invece alla classe alto rischio aprendo dunque nuove possibilità di trovare dei sottogruppi in questa ampia classe di pazienti LAM. In generale, analisi statistiche multivariate sono in corso per l’associazione con parametri clinici/biologici e le nuove anomalie gnomiche rilevate. Segnaliamo una delezione di 63884 bp nel cromosoma 5p che accomuna un gruppo di quattro pazienti a cariotipo normale, assenti di marcatore molecolare noto che sembrano dunque identificare un sottogruppo omogeneo. Questa regione sbilanciata, così come altre regioni ritenute ricorrenti, sono in via di valutazione per i geni inclusi e il loro potenziale inserimento in studi mutazionali e funzionali. Conclusioni. L’analisi finora condotta su una serie di LAM all’esordio apre nuove prospettive per creare sottogruppi di pazienti LAM. Una migliore comprensione delle alterazioni gnomiche potrebbe comporterà una migliorare assegnazione di rischio per i pazienti arruolati nella classe ad alto rischio. S TUDIO DI BAG-1 NELLE LAM P EDIATRICHE S. Aveic S, M. Pigazzi M, G. Basso Università di Padova, Dipartimento di Pediatria, Laboratoria Oncoematologica, Padova, Italia Introduzione. Bcl-2 associated AthanoGene-1 (BAG-1) è una proteina multifunzionale coinvolta per lo più nei processi di morte cellulare mediante un'azione sinergica con Bcl-2 e altri membri proapoptotici di questa famigli proteica. BAG-1 lega molte proteine tra cui le più importanti Hsc70/Hsp70 e c-RAF e la sua azione attraverso il proteasoma è stata descritta in altri modelli. Recentemente BAG1 e un altro membro della stessa famiglia proteica, BAG-3, sono stati associati all’oncogenesi. Scopo. Lo scopo dello studio è caratterizzare il ruolo di BAG-1 nella leucemia acuta mieloide (LAM) e chiarirne gli eventuali meccanismi molecolari di interazione e azione. Materiale e metodi. L’espressione dell’mRNA è stata condotta mediante RQ-PCR e delle proteine mediante [page 46] Western blot in una serie di linee cellulari e di pazienti affetti da leucemia. Il silenziamento di BAG-1 e di entrambi, BAG1/BAG-3, è stato eseguito in linee cellulari leucemiche umane mieloidi e linfoidi ed in colture primarie di LAM. La morte cellulare è stata analizzata con i saggi per AnnessinaV-PI. L’interazione proteica è stata studiata usando agenti chimici per il blocco di proteasoma e l’immunoprecipitazione. Risultati. Nelle linee cellulari leucemiche ed in pazienti affetti da leucemia acuta mieloide o linfoide all’esordio, la proteina BAG-1 è stata trovata sovra-espressa rispetto a midolli di donatori sani. Il silenziamento di BAG-1 (Si-BAG1) ha indotto un abbassamento dei livelli di espressione di Bcl-2 e ERK1/2, proteine che conferiscono vantaggio proliferativo alle cellule tumorali, senza evidenti segni di apoptosi né di anomalie del ciclo cellulare. La realizzazione che il Si-BAG1 nelle cellule leucemiche provocava l’innalzamento di BAG3, che compensava alla sua ridotta espressione, ha portato a co-silenziare entrambi i geni (CoSiBAG1/BAG3). Il Co-SiBAG1/BAG3 ha conferito una forte riduzione della sopravivenza cellulare, con a riduzione dell’espressione proteica di elementi antiapoptotici, quali Bcl-2, Mcl-1 e Bcl-XL, così come di alcuni regolatori della proliferazione come phosphoERK1/2 e la ciclina D1. Saggi di inibizione del proteasoma hanno dimostrato che il ruolo di BAG1 è quello di permettere alle proteine antiapoptotiche sopra menzionate di non essere portate al proteasoma. Infatti, abbiamo dimostrato un diretto legame tra BAG-1 e Bcl-2, e tra BAG-1 e una importante ubiquin-ligase, Usp9X che è in grado di mantenere de-ubiquitinata la proteina Mcl-1 che si mantiene ad alti livelli nella LAM. Conclusioni. BAG-1 e BAG-3 si rivelano essere nuove molecole con un potenziale ruolo di controllo dell’apoptosi nelle LAM attraverso la diretta regolazione di importanti targets molecolari, Bcl-2 e Usp9X/Mcl-1. ANALISI MOLECOLARE CI TO GENETICA E DI CL ONALI TÀ IN P AZIENTI PEDI ATRI CI CON LINFO MA P RIMITIVO CUTANEO L. Corti,1,5 S. Songia,2 Y. Balice,3 A. Sala,4 A. Biondi,4 F. Onida,1,5 G. Cazzaniga,2 E. Berti 6. 1 Fondazione Matarelli, Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica – Università degli Studi di Milano; 2Centro Ricerca Tettamanti, Clinica Pediatrica Università di Milano Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza; 3 [Pediatric Reports 2011; 3:s1] U.O. Dermatologia, Fondazione IRCCS Ca' Granda - Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; 4Clinica Pediatrica Università di Milano Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza; 5U.O. Ematologia 1 - CTMO, Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano - Università degli Studi di MilanoM; 6DIMEP - Università degli Studi di Milano Bicocca, Italia Introduzione. I linfomi non-Hodgkin's rappresentano circa il 6% delle neoplasie maligne del bambino. Nella maggior parte dei casi colpiscono primariamente i tessuti linfatici (linfonodi, timo) o il midollo osseo. In alcuni casi, però possono manifestarsi in altre sedi, quasi tessuti molli, osso, polmone, sistema nervoso centrale, reni e cute. Il coinvolgimento cutaneo nei linfomi non-Hodgkin's può essere primitivo o costituire una manifestazione secondaria di una malattia extracutanea.1 I linfomi cutanei primitivi rappresentano una percentuale compresa tra l’1 e il 3% di tutti i linfomi nonHodgkin’s dell’infanzia e sono generalmente caratterizzati da una prognosi favorevole. La diagnosi in base alle manifestazioni cliniche e immuno-istopatologiche può risultare difficile perché la presentazione dei linfomi cutanei può mimare le caratteristiche di alcune patologie cutanee benigne.2 Le conoscenze riguardo la storia naturale della patologia, la gestione dei pazienti e le strategie terapeutiche sono scarse per l'età pediatrica e le informazioni vengono generalmente estrapolate dai dati riportati sulla popolazione adulta. Gli studi riportati in letteratura sono rari e riferiti a numeri limitati di pazienti. Le casistiche più ampie e approfondite sono quelle riportate da Fink-Puches et al.1 e, recentemente, da Boccara et al.3 Scopo del lavoro era valutare il ruolo dell'analisi molecolare nella caratterizzazione di questi linfomi. Materiali Metodi. Sono stati raccolti campioni di DNA estratto da biopsie cutanee crioconservate di 36 pazienti di età inferiore ai 18 anni (età mediana alla diagnosi 10 anni, range 1-18): 7 con diagnosi di micosi fungoide (MF), 8 di parapsoriasi, 13 di disordini linfoproliferativi cutanei primari a cellule T CD30+ (11 casi di papulosi linfomatoide, LYP, e 2 di linfoma anaplastico a grandi cellule, ALCL), 2 di linfoma sottocutaneo simil-panniculitico a cellule T CD8+ α:β (SPTL), 2 di linfoma T pleomorfo a piccole e medie cellule CD4+ (PTL), 2 di linfoma B e 2 di pitiriasi lichenoide. I campioni di DNA genomico alla diagnosi sono stati valutati mediante PCR utilizzando i set di primers descritti nei report dei gruppi cooperativi BIOMED-14 e BIOMED-2 [5] per la valutazione dei riarrangiamenti somatici clonali dei geni per T-cell receptor (TCRG, TCRD e TCRB) e immunoglobuline (IGH, IGK). AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Quando possibile, le regioni giunzionali dei prodotti monoclonali sono state direttamente sequenziate al fine di confermare la presenza di una popolazione clonale a cellule T. In 8 casi, 1 di parapsoriasi, 1 di ALCL, 3 di LYP, 2 di SPTL e 1 di PTL sul DNA genomico totale estratto da biopsia è stata condotta anche analisi CGH mediante Human Genome CGH Microarray (Agilent Technologies, Santa Clara, CA) e/o Affimetrix Genome-Wide Human SNP arrays. Risultati. Tutti i casi di MF presentavano riarrangiamenti clonali, mentre una espansione clonale di linfociti T a livello cutaneo è stata riscontrata solo in 2/8 casi di parapsoriasi. All’interno del gruppo dei linfomi CD30+, popolazioni clonali sono state osservate in 10/11 casi di LYP e 1/2 casi di ALCL. In tutti e quattro i pazienti che presentavano entità rare, ossia SPTL e PTL, è stato possibile dimostrare la presenza di una popolazione clonale di linfociti T a livello cutaneo. I due casi di pitiriasi lichenoide, malattia benigna inserita come controllo, presentavano un pattern policlonale. La presenza di un clone T è stata confermata mediante sequenziamento in 17 casi, senza riscontrare un uso preferenziale di segmenti V o J. In un caso di MF a evoluzione letale, lo stesso clone T è stato osservato sia a livello cutaneo che di sangue periferico. Per quanto riguarda i due linfomi B, uno marginale e uno follicolare, è stata evidenziata una clonalità VH3 in quello follicolare. In 7 casi, 2 di parapsoriasi, 1 di MF, 3 di LYP e 1 di SPTL non sono state riscontrate in PCR delezioni di TAL1 [4]. Mediante CGH e SNP arrays è stata dimostrata la presenza di una trisomia del 7 nel caso di ALCL e alterazioni citogenetiche note nei linfomi CD8+, quali la trisomia del 19 e la duplicazione del 22q, in un caso di LYP CD8+. Conclusioni. In caso di linfomi-T abbiamo ritrovato riarrangiamenti clonali in 24 pazienti; uno dei due casi di linfoma-B cutaneo presentava un riarrangiamento di VH3. Questi dati suggeriscono che uno screening completo dei riarrangiamenti del TCR possa aumentare la sensibilità dell’indagine molecolare. Sulla base dei dati preliminari ottenuti, l'impiego delle tecniche citogenetiche di arrays-CGH o SNP, con sensibilità relativamente limitata, è consigliato unicamente nei casi più aggressivi (con maggior numero di cellule neoplastiche). A causa della variabilità di presentazione, dell’importanza di una diagnosi precoce e della difficoltà nel dare indicazioni prognostiche nei casi di linfomi cutanei in età pediatrica, sottolineiamo l’importanza che in questi casi può avere un’approfondita analisi molecolare, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia. Bibliografia 1. Fink-Puches, R.; Chott, A.; Ardigo, M.; et al. Pediatr Dermatol 2004, 21, 525-33. 2. Tsianakas, A.; Kienast, A. K.; Hoeger, P. H. Br J Dermatol 2008, 159, 1338-41. 3. Boccara, O.; Blanche, S.; de Prost, Y.; et al. Pediatr Blood Cancer 2011, Mar 28. [Epub ahead of print] 4. Pongers-Willemse, M. J.; Seriu, T.; Stolz, F.; et al. Leukemia 1999, 13, 110-8. 5. van Dongen, J. J.; Langerak, A. W.; Bruggemann, M.; et al. Leukemia 2003, 17, 2257-317. FRE QUENZA DI LINFOCI TI T REGOLATORI IN P AZIENTI PEDI ATRI CI AFFETTI DA LAM E LAL CANDIDATI A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMO POIETICHE M. Fantinato, C. Winzler, M. Tumino, E. Calore, B. Buldini, M. Pillon, G. Basso, C. Messina Laboratorio e Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Dip. di Pediatria, Padova, Italia Introduzione. I linfociti T regolatori (Treg) hanno un ruolo fondamentale nel mantenimento della tolleranza verso gli antigeni self e nella modulazione della risposta immune a patogeni ed alloantigeni.1 I Treg possono essere identificati come linfociti T CD4+ FoxP3+ oppure come linfociti T CD4+ CD25high CD127/low e costituiscono il 5-12% dei linfociti T CD4+ circolanti.2 Alcuni autori hanno osservato una frequenza maggiore di Treg nel sangue periferico all’esordio di leucemia mieloide acuta (LAM) in confronto a quella osservata in campioni di soggetti sani.3 Questo aumento potrebbe correlare con l’espressione da parte delle cellule leucemiche mieloidi di indolamina 2,3 deossigenasi,4 un enzima del catabolismo del triptofano coinvolto nel controllo della proliferazione dei linfociti T. Una volta eseguita la chemioterapia, con la riduzione del numero dei blasti ci si dovrebbe aspettare una normalizzazione della frequenza dei Treg. Per verificare questa ipotesi, la frequenza dei Treg è stata analizzata in pazienti pediatrici candidati al trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) di tipo allogenico per LAM, leucemia linfoblastica acuta (LAL) o per malattia ematologica non maligna. I campioni sono stati analizzati subito prima dell’inizio del condizionamento. La frequenza dei Treg osservata nei pazienti LAM è stata confrontata con quella di pazienti affetti da LAL, da malattia ematologica non maligna e con quella riscontrata in campioni di sangue midollare, cordonale o periferico utilizzati per TCSE. I Treg sembrano sopravvivere ad un regime di condizionamento aggressi- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] vo.5 Una diversa numerosità pre-trapianto potrebbe quindi correlare con una variabile numerosità e capacità immunomodulatoria post-trapianto. Materiali e Metodi. Sono stati analizzati un totale di 27 campioni di sangue periferico di pazienti pediatrici (età media 8 anni, range 1-19 anni; 14 femmine, 13 maschi) candidati a TCSE allogenico per LAM (n=7, età media 5.8 anni), per LAL (n=10, età media 9.6) o per malattie ematologiche non maligne (anemia aplastica, n=4; anemia di Fanconi, n=2; anemia falciforme, n=3; s. di Shwachman, n=1, età media 8.1 anni). I pazienti affetti da leucemia erano in remissione completa. Nel gruppo LAL, due pazienti presentavano malattia minima residua (MRM) all’analisi molecolare, due risultavano negativi per MRM, mentre per sei pazienti i dati non erano disponibili. Nel gruppo LAM, due pazienti presentavano MRM all’analisi molecolare, due risultavano negativi per MRM, e per tre pazienti i dati non erano disponibili. I campioni sono stati prelevati subito prima dell’inizio del condizionamento. Per confronto sono stati analizzati 36 campioni di sangue midollare (n=26), cordonale (n=6) o periferico (n= 4) utilizzati per TCSE allogenico. L’analisi è stata effettuata mediante citofluorimetria a flusso policromatica. I Treg sono stati identificati come linfociti CD3+CD4+CD25highCD127-/low. Per l’acquisizione e l’analisi è stato utilizzato FACSDiva software. Il numero di linfociti T CD4+ acquisiti è stato ≥13x103. L’analisi statistica è stata eseguita con unpaired t-test. Risultati. La frequenza mediana dei Treg era 16.9% (range: 11.6-24.9%), 9.1%, (range: 8.5-17.4%), 6.8% (range: 3.311.4%), 7.7% (range: 4.6-14.4%) nei candidati al TCSE per LAM, per LAL, per malattia ematologica non maligna e nei campioni di sangue usati per TCSE. L’analisi statistica ha dimostrato che nei pazienti LAM, la frequenza dei Treg era significativamente maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti LAL (P=0.0097) e nei pazienti con malattia ematologica non maligna (P=0.0001). La frequenza dei Treg in pazienti LAM era inoltre maggiore rispetto a quella osservata in campioni di sangue midollare, cordonale e periferico utilizzati per TCSE (P<0.0001). Anche nei pazienti LAL, la frequenza dei Treg era maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti con malattia ematologica non maligna (P= 0.0102), mentre non vi era una differenza significativa rispetto ai campioni di sangue utilizzati per TCSE (P=0.0691). Non è stata osservata una differenza significativa della frequenza dei Treg nei campioni di sangue utilizzati per TCSE in confronto ai candidati a TCSE per malattia ematologica non maligna (P=0.1338). [page 47] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Conclusioni. Una frequenza elevata di linfociti Treg è stata osservata in pazienti all’esordio di leucemia mieloide acut.3 Questo aumento potrebbe essere correlato alla presenza di blasti mieloidi esprimenti indolamina 2,3 deossigenasi,4 un enzima che inizia il catabolismo del triptofano inibendo la proliferazione dei linfociti T. Con la scomparsa dei blasti postchemioterapia, ci si dovrebbe aspettare la normalizzazione della frequenza dei Treg. Le nostre analisi dimostrano una elevata numerosità di Treg in pazienti LAM anche in remissione completa. La loro frequenza risulta maggiore rispetto a tutti gli altri gruppi di pazienti e campioni esaminati, compreso il gruppo LAL. Anche nei pazienti LAL, la frequenza dei Treg risulta maggiore rispetto ai pazienti affetti da malattia ematologica non maligna. La frequenza elevata riscontrata sia in pazienti LAM che LAL rispetto ai pazienti con malattie ematologiche non maligne potrebbe essere in relazione alla presenza di blasti residui e/oppure ai vari farmaci somministrati per la cura della leucemia. Nei pazienti LAM, la maggiore frequenza potrebbe rispecchiare la capacità dei blasti LAM residui di indurre i Treg, oppure essere indotta dalla terapia. Nei pazienti LAL, la maggiore frequenza dei Treg sembra essere invece correlata alla terapia, dal momento che nostri risultati preliminari suggeriscono una frequenza minore dei Treg all’esordio. I Treg possono resistere ad un regime di condizionamento aggressivo. Una elevata frequenza pre-trapianto potrebbe favorire la persistenza di host Treg nel periodo posttrapianto in grado di modulare l’induzione di immunità (anti-tumorale), la tolleranza al trapianto e/o lo sviluppo di Graft versus Host Disease acuta almeno in quei trapianti il cui condizionamento non prevede la somministrazione di ATG. Bibliografia 1. Sakaguchi S. Naturally arising Foxp3expressing CD4+ regulatory T cells in immunological tolerance to self and non-self. Nat Immunol. 2005;6:345. 2. Hartigan-O’Connor DJ et al. Human CD4+ regulatory T cells express lower levels of the IL-7 receptor alpha chain (CD127), allowing consistent identification and sorting of live cells. J Immunol Methods. 2007; 319:41. 3. Ersvaer E et al. Intensive chemotherapy for acute myeloid leukemia differentially affects circulating TC1, TH1,TH17 and TREG cells. BMC Immunol. 2010, 11:38. 4. Curti A et al. Modulation of tryptophan catabolism by human leukemic cells results in the conversion of CD25- into CD25+ T regulatory cells. Blood 2007; 109: 2871. 5. Bayer AL et al. Host CD4+CD25+ T cells can expand and comprise a major component of the Treg compartment after experimental HCT. Blood 2009;113:733. [page 48] VALUTAZIONE DELLA RISP OS TA ANTI CO RPALE AL PE G-ADA IN PAZIE NTI AFFETTI DA DEFICI T DI ADENO SI N DEAMINASI R. Baffelli ,1 L.D. Notarangelo,2 F. Bolda,1 M. Zucchi,1 A. Lanfranchi,1 F. Porta1,2 1Laboratorio Cellule Staminali, Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2 Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia, Italia Introduzione. Il deficit di adenosin deaminasi (ADA) è un’immunodeficienza ereditata con modalità autosomica recessiva che rappresenta il 10%-15% di tutti i casi di SCID. L’ADA è un enzima ubiquitario che catalizza la conversione di adenosina (Ado) e 2’-deossiadenosina (dAdo) in Inosina e 2’-deossinosina, rispettivamente. In condizioni fisiologiche la concentrazione plasmatica di adenosina è bassa, ed è compresa tra 0,05 e 0,4 micromoli, i ribo- e deossiribonucleotidi purinici sono molto bassi. I modesti livelli di nucleosidi nel plasma riflettono il loro rapido equilibrio attraverso le membrane cellulari e l’efficiente metabolismo intracellulare. Nei pazienti affetti da deficit di ADA si manifesta un blocco metabolico, con un accumulo di Ado e dAdo che, non potendo essere degradate, si raccolgono nel plasma e vengono trasportate all’interno delle cellule dove raggiungono alti livelli di concentrazione. I pazienti affetti da questa patologia necessitano di misure terapeutiche risolutive in grado di ricostituire la funzione immunitaria. Per il deficit di ADA esistono tre possibili tipi di trattamento: il trapianto di midollo osseo da donatore HLA compatibile, la terapia sostitutiva con l’enzima coniugato al polietilen-glicole (PEG-ADA) e la terapia genica. Il trapianto di midollo osseo rappresenta la terapia di scelta in presenza di un donatore HLA identico. In assenza di un donatore compatibile la terapia più rapida ed efficace è la somministrazione intramuscolare dell’enzima ADA di origine bovina altamente purificato, legato in modo covalente ad una molecola inerte (PEG). Questa associazione è in grado di ridurne l’immunogenicità. Questa terapia sostitutiva è generalmente ben tollerata e non determina lo sviluppo di reazioni allergiche o di ipersensibilità. La terapia prevede la somministrazione di PEG-ADA in dosi variabili da 20 a 60 U/Kg in unica o duplice somministrazione settimanale per via intramuscolo. La sua attività è extracellulare; questo determina infatti l’eliminazione di Ado e dAdo presenti nel plasma e di conseguenza si ha la normalizzazione dei livelli intracellulari di dATP. La correzione metabolica si attua [Pediatric Reports 2011; 3:s1] normalmente in 2-4 mesi, periodo durante il quale si rileva una diminuzione degli effetti tossici dovuti alla deossiadenosina. Il recupero della competenza immunitaria è variabile; entro le prime settimane di trattamento possono già evidenziarsi un aumento della conta linfocitaria e il miglioramento della funzionalità T linfocitaria (testata in vitro con test di proliferazione ai mitogeni). La valutazione a lungo termine ha evidenziato che, nonostante il follow-up dei pazienti dimostri che la gran parte dei pazienti si mantengono in uno stato di benessere clinico e resistenza alle infezioni con normali parametri di crescita, si manifestano però un graduale declino del numero di linfociti T e uno stato di linfopenia. È stato dimostrato però che una parte di questi pazienti sviluppa IgG neutralizzanti che possono ridurre o azzerare l’efficacia del PEG-ADA. Materiali e metodi. In questo studio abbiamo testato il plasma di 9 pazienti in terapia enzimatica sostitutiva con Peg ADA andando a ricercare l’eventuale presenza di Ab contro l’enzima ADA bovino. Dei nostri pazienti, 8 eseguono 20 U/Kg di peg-ADA 2 volte a settimana e una paziente 20 U/Kg una volta a settimana. I livelli di anticorpi sono stati misurati attraverso un ELISA indiretto nel quale viene misurata la quantità di anticorpo secondario legato che riflette la quantità di anticorpo primario legato all’antigene. La specificità dell’anticorpo è stata testata in un ELISA di conferma aggiungendo nel plasma dei pazienti ADA bovino purificato come antigene di competizione. È stata dosata anche la quantità di metaboliti tossici nei globuli rossi e l’attività dell’ADA nel plasma che è correlata con la dose settimanale di pegADA somministrata. Risultati e conclusioni. Il trattamento con peg-ADA permette una rapida ricostituzione clinica ed immunologica. Nella nostra casistica però, dopo un iniziale miglioramento delle condizioni generali del paziente, si può vedere una diminuzione costante nel tempo del numero dei linfociti circolanti e della risposta linfoproliferativa ai mitogeni. Abbiamo quindi messo in correlazione il numero di linfociti totali, l’attività dell’ADA nel plasma e la quantità di IgG antiADA. La comparsa di anticorpi si ha circa tra le prime 7 e le 10 settimane di terapia. Su 9 pazienti 5 non hanno sviluppato anticorpi, o dopo un iniziale aumento ne hanno mantenuto livelli molto bassi. 3 pazienti in trattamento da 14, 13 e 11 anni la quantità di anticorpi è molto elevata e correla con la diminuzione dei linfociti circolanti e dell’attività dell’ADA nel plasma. L’ultima paziente, in trattamento con peg-ADA da 3 anni, ha presentato un aumento degli anticorpi dalla 7° settimana di trattamen- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 to fino ad oggi. Il costante aumento è direttamente correlato alla diminuzione dei linfociti circolanti e alla diminuzione dell’attività dell’ADA plasmatica. In tutti i nostri pazienti si può vedere anche un leggero rialzo nella quantità di metaboliti tossici che, pur mantenendosi a livelli di buona detossificazione, sono leggermente aumentati rispetto ai dosaggi dei primi mesi di terapia. Si può quindi dire che, per la nostra casististica, la presenza di anticorpi neutralizzanti riduce l’attività del pegADA circolante tanto quanto basta per permettere ai metaboliti tossici di riaccumularsi e compromettere il recupero immunitario e l’efficacia della terapia. IL S IGNIFICATO DEL CHIMERISMO DONATO RE/ RICEVENTE IN BAMBI NI AFFETTI DA MALATTIE EMATO LOGICH E MALIGNE SOTTOP OSTI A TRAPIANTO ALLO GENICO DI CE LLULE STAMINALI EMO POI ETICHE DA DONATORE FAMILIARE P ARZIALMENTE H LA-CO MP ATIBILE D. Lisini,1 M. Zecca,1 M. Labirio,1 G. Acquafredda,1 E. Foppiani,1 P. Guerini,1 G. Ottonello,1 N. Zavras,1 F. Locatelli,1 R. Maccario,3 D. Montagna1,2 1Oncoematologia Pediatrica, Lab. Immunologia dei Trapianti, Fond. IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia; 2Dipartimento di Scienze Pediatriche, Università di Pavia; 3Lab.Ricerca/Cell Factory, Oncoematologia Pediatrica, Fond. IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Italia Introduzione. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche da donatore familiare parzialmente HLA-compatibile (aplo-TCSE) rappresenta una valida alternativa nel trattamento di pazienti affetti da malattie ematologiche maligne ad alto rischio, che non dispongano di un donatore familiare HLA-identico e per cui non sia possibile reperire un donatore volontario nei registri nazionali ed internazionali in tempi brevi. L’impiego di tale strategia trapiantologica, a causa della rimozione dei linfociti T dall’inoculo per la prevenzione della malattia del trapianto contro l’ospite (GvHD, graft versus host disease), può essere associato ad un elevato rischio di ricaduta per la malattia neoplastica originaria.1,2 Risulta quindi di fondamentale importanza studiare la cinetica di ricostituzione dopo il trapianto, evidenziando quanto prima una eventuale convivenza nel circolo emopoietico di cellule di origine del paziente e di cellule di origine del donatore, situazione definita come chimerismo misto (CM), e soprattutto indagarne il significato. Scopo di questo studio è stato valutare la possibile persistenza o ri-emergenza di cellule emopoietiche di origine del ricevente dopo aplo-TCSE in bambini affetti da malattie ematologiche maligne ed indagare la relazione esistente tra una situazione di CM e l’outcome clinico del paziente. Materiali e Metodi. Il chimerismo donatore/ricevente è stato valutato, tramite STR-PCR, su a) campioni di sangue periferico (SP), b) campioni di midollo osseo (MO), c) sottopopolazioni cellulari isolate dal MO, selezionate in base al fenotipo della cellula leucemica all’esordio di malattia, d) sottopopolazioni linfocitarie T, B e natural killer (NK), isolate dal SP. Sono stati analizzati retrospettivamente 66 bambini, affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA, n=41), da leucemia mieloide acuta (LMA, n=17), e da sindromi mielodisplastiche (MDS, n=8) che hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali periferiche, T-depletate, da donatore familiare parzialmente HLA-compatibile. Sono stati arruolati pazienti sottoposti ad aplo-TCSE da almeno un anno. Risultati. In 32 dei 66 pazienti studiati è stata evidenziata una situazione di CM, con coesistenza nel circolo emopoietico di cellule di origine del donatore e cellule di origine del paziente almeno in un controllo dopo il trapianto. Dodici di questi 32 bambini hanno mostrato un CM nel SP già al momento dell’attecchimento e di questi 10/12 sono ritornati in chimerismo completo a favore del donatore (CC) entro 24 mesi dal trapianto, mentre 2 stanno mantenendo un CM dopo 15 e 25 mesi dal trapianto; questi 12 pazienti sono vivi e liberi da malattia dopo un periodo medio di follow-up di 34 mesi. Venti dei 32 pazienti hanno mostrato un CM nei campioni di MO, ottenuti dopo aplo-TCSE a tempi prestabiliti in base al tipo di malattia e di trapianto: 13/20 sono ricaduti per la malattia neoplastica originaria entro 6 mesi dal trapianto, mostrando un CM solo al momento dell’evidenza clinica di ricaduta. I rimanenti 7/20 hanno mostrato un CM nel compartimento midollare senza alcuna contemporanea evidenza clinica e/o ematologica di ricaduta; in 5 di questi pazienti un CM è stato documentato sulla sottopopolazione selezionata in base al fenotipo della cellula leucemica all’esordio di malattia (CD19+=3 pazienti, CD34+=2 pazienti), mentre nei rimanenti 2 bambini non è stato possibile valutare il chimerismo su una specifica sottopopolazione. Tre di questi 7 pazienti hanno ricevuto infusioni di CTLs a dosi crescenti e sono ritornati in una condizione di chimerismo completo a favore del donatore (CC), sono vivi e liberi da malattia dopo più di tre anni dalla prima comparsa di CM, mentre 4 bambini non hanno potuto ricevere alcun trattamento, [Pediatric Reports 2011; 3:s1] hanno sviluppato un CM progressivo nel tempo ed infine hanno mostrato evidenza clinica di ricaduta. Conclusioni. Questi risultati indicano che un CM che si evidenzia già al momento dell’attecchimento, e soprattutto tra le sottopopolazioni linfocitarie T del SP può essere mantenuto per mesi dopo il trapianto e non predice necessariamente una ricaduta per la malattia neoplastica originaria; di contro una condizione di CM evidenziata nel compartimento midollare è fortemente associata alla ricaduta. La valutazione del chimerismo in popolazioni selezionate in base al fenotipo della leucemia all’esordio può anticipare la ricaduta clinica e permettere di intervenire precocemente con specifiche misure terapeutiche. Bibliografia 1. Rocha V, Locatelli F.: Searching for alternative hematopoietic stem cell donors for pediatric patients. Bone marrow transpl. 2008; 41:207-214 2. Aversa F, Tabilio A, Velardi A et al. Treatment of high risk acute leukemia with T-cell-depleted stem cells from related donors with 1 fully mismatched HLA haplotype. N Engl J Med. 1998;339: 1186-1193 3. Khan F, Agarwal A, Agarwal S: Significance of chimerism in hematopoietic stem cell transplantation: new variation on an old theme. Bone marrow transpl. 2004; 34(1): 1-12. 4. Montagna D., Maccario R., Montini E., Turin I., Lisini D., Caliogna L., Panzanella V., Georgiani G., Mina T., Bonetti F., Locatelli F.: Anti-leukaemia CTL infusion for treatment of leukaemia relapse in children given allogeneic haematopoietic stem cell transplantation. Bone marrow transpl. 2007, Vol. 39, Suppl.1 RI CERCA DI MUTAZI ONI ASS OCIATE ALLA PREDIS POS IZIO NE DE L NEUROBLASTOMA FAMILIARE P ER MEZZO DI ANALISI COMPL ETA DELL’E SOMA L. Longo,1,2 F. Del Grosso,2 M. De Mariano,2 E. Stupka,3 F. Lescai,3 M. Chierici,4 C. Furlanello,4 G.P. Tonini1 1Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, Genova, Italia; 2Oncopatologia Traslazionale, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova, Italia; 3UCL Genomics, London, UK; 4Unit of Predictive Models for Biomedicine & Environment Center for Information Technology, FBK, Trento, Italia Introduzione. Il neuroblastoma (NB) è una neoplasia dell’età pediatrica che insorge nel sistema nervoso simpatico. Si presenta sia come tumore indifferenziato con scarsa presenza di stroma sia come ganglioneuroblastoma con stroma [page 49] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 abbondante. Il NB si manifesta anche come forma familiare in circa l’1-2% dei casi in cui si osserva un’ereditarietà di tipo autosomico dominante con penetranza incompleta. Poiché nei neuroblastomi sporadici sono state trovate diverse regioni cromosomiche delete (e.g. 1p36, 11q, 14q) molti studi sono stati focalizzati a identificare geni oncosoppressori associati allo sviluppo del NB. Inoltre, alcune regioni cromosomiche presentano amplificazione genica (e.g. 2p e 17q) e possono contenere geni mutati con un ruolo determinante nello sviluppo del NB. Nel 2008 abbiamo partecipato a identificare mutazioni missense nella regione genomica che codifica per il dominio catalitico dell’Anaplastic Lymphoma Kinase (ALK), che risulta mutato nella maggior parte delle famiglie con NB ricorrente.1 Queste mutazioni comportano un’attivazione del recettore tirosino chinasico ALK e lo screening nei casi sporadici ha evidenziato che possono essere acquisite anche a livello somatico con una frequenza di circa l’8%.1 A tutt’oggi sono state identificate più di 20 diverse mutazioni del gene ALK, con tre hotspot di mutazione alle posizioni F1174, F1245 e R1275.2 Inoltre, pazienti con NB familiare, in associazione con sindrome di Ondine e/o malattia di Hirschsprung, presentano spesso mutazioni del gene homeobox PHOX2B.3 Nonostante le mutazioni a carico di questi due geni siano presenti nella maggior parte dei casi di NB familiare, ulteriori determinanti genetici devono essere ancora identificati così come eventuali geni modificatori della penetranza. Nei casi di NB sporadico è probabile che la trasformazione tumorale insorga da interazioni di varianti comuni del DNA in cui ogni variazione individuale comporta un relativo effetto sulla suscettibilità alla malattia. Studi di associazione hanno mostrato SNP associati al NB nel gene ipotetico FLJ22536, sul cromosoma 6p22.3, e nel gene BARD1, sul cromosoma 2q35. Lo stesso studio ha anche mostrato che una variazione nel numero di copie di una regione genetica del cromosoma 1q21 è associata con lo sviluppo del NB.4 Questi dati supportano l’ipotesi che il NB sia una malattia oligogenica.5 Recentemente la nuova tecnologia chiamata Next Generation Sequencing (NGS) ha aperto una nuova possibilità di indagine del genoma e del trascrittoma, che presenta molti vantaggi rispetto all’impiego dei microarray con nucleotidi ad alta densità. In questo studio abbiamo applicato la NGS per sequenziare l’intero esoma di alcuni membri di una famiglia con NB ricorrente (IGG-E) con l’obiettivo di identificare varianti geni- [page 50] che associate alla malattia. Metodologia. Il sequenziamento completo dell’esoma è stato eseguito sul DNA di due cugini di secondo grado della famiglia IGG-E affetti da NB (E5 ed E10, Figura 1) e di due parenti non consanguinei (E6 ed E8, Figura 1). La distanza genetica tra i due pazienti è tale per cui le varianti genetiche condivise sono circa il 3%. In questa famiglia segrega la mutazione G1128A di ALK, la cui penetranza è bassa. La percentuale di individui portatori della mutazione che hanno sviluppato NB è, infatti, di circa il 31% (5/16). I campioni sono stati sequenziati con l’Illumina HiSeq 2000 in collaborazione con il centro Beijing Genomics Institute (Cina), usando il protocollo con "100 bp paired end kits”. I dati sono stati analizzati dalla UCL Genomics, usando UCL Legion cluster, e dalla Unit of Predictive Models for Biomedicine & Environment, Center for Information Technology, FBK, Trento, Italia. Il controllo di qualità è stato eseguito impiegando il FastQC software, valutando la lunghezza dei prodotti sequenziati, la qualità dei profili, il contenuto in GC, la media del contenuto in GC per base, la media delle basi contenute nella posizione di sequenza e controllando le sequenze sovra rappresentate. Dopo aver analizzato la qualità dei dati di sequenza, le sequenze sono state allineate con un genoma di riferimento (GRC37 da ENSEMBL database) impiegando il software Novoalign (Novocraft). L’analisi degli SNP è stata eseguita con Samtools 0.1.7, in formato VCF, mentre le annotazioni per SNP sono state eseguite con SeattleSNP. Risultati preliminari. L’analisi ha identificato una media di 42.758 SNP nei 4 campioni di DNA, di cui 13.051 all’interno di regioni geniche. Tra queste varianti sono state identificate 54 mutazioni nonsenso, 18 mutazioni in siti di splicing e 13.051 mutazioni missense. Infine, in media, sono stati identificati un totale di 3.275 SNP non descritti nel database dbSNP (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/snp). Ringraziamenti. Questo studio è stato finanziato dalla Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma e dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. Conclusioni. L’analisi preliminare dei dati di NGS ha evidenziato circa 5.000 SNP condivisi dai due pazienti affetti da NB ma non dai parenti non consanguinei. Alcuni di questi SNP mappano in regioni cromosomiche precedentemente associate alla predisposizione al NB. Ulteriori analisi sono in corso per validare i risultati ottenuti e definire una “top list” di geni candidati per la predisposizione al NB e/o geni modificatori della penetranza. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Figura 1. Pedigree della famiglia IGG-E in cui segrega la mutazione G1128A del gene ALK; wt: wild type. Bibliografia 1. Mossé YP, Laudenslager M, Longo L, Cole KA, Wood A, Attiyeh EF, Laquaglia MJ, Sennett R, Lynch JE, Perri P, Laureys G, Speleman F, Kim C, Hou C, Hakonarson H, Torkamani A, Schork NJ, Brodeur GM, Tonini GP, Rappaport E, Devoto M & Maris JM. Identification of ALK as a major familial neuroblastoma predisposition gene. Nature. 2008. 455 (7215):930-5. 2. Ogawa S, Takita J, Sanada M, Hayashi Y. Oncogenic mutations of ALK in neuroblastoma. Cancer Sci. 2011 Feb;102(2): 302-8. 3. Perri P, Bachetti T, Longo L, Matera I, Seri M, Tonini GP, Ceccherini I. PHOX2B mutations and genetic predisposition to neuroblastoma. Oncogene. 2005; 24(18): 3050-3. 4. Maris JM. Recent advances in neuroblastoma. N Engl J Med. 2010;362(23): 2202-11 5. Longo L, Tonini GP, Ceccherini I, Perri P. Oligogenic inheritance in neuroblastoma. Cancer Lett. 2005 Oct 18;228(12):65-9. TERAPI A RIGENE RATIVA DI DIFETTI OS SEI PEDIATRICI CO N CELLULE STAMI NALI DA POLP A DENTARIA L. Rubaga,1 F. Bolda,1 A. Bosi,1 C. Paganelli,3 F. Valtancoli,4 F. Porta,2 A. Lanfranchi1 1Laboratorio Cellule Staminali, Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; 3Clinica Odontoiatrica, Università degli Studi di Brescia, Brescia; 4Ortopedia Pediatrica, Ospedale dei Bambini, Brescia, Italia Introduzione. I difetti ossei pediatrici, cisti ossee o palatoschisi, di cui l’attuale terapia si basa su trattamento con desametasone o intervento chirurgico, potrebbero essere curati con la medicina rigenerativa in un prossimo futuro. Studi recenti hanno evidenziato infatti la possibilita’di ottenere cellule mesenchimali, precursori di osteoblasti, dalla polpa dentaria (DP-MSCs). Materiali e Metodi. Nel nostro Dipartimento 10 pazienti con recidiva di cisti ossea dopo trattamento chirurgico sono stati trattati con infusione di midollo AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 osseo fresco autologo. In tutti i 10 casi la lesione si è risolta con successo. Molto promettente è la prospettiva di utilizzare DP-MSCs per il trattamento di pazienti con patologie ossee. Sono stati analizzati 33 elementi dentari (decidui e permanenti) provenienti da estrazioni effettuate a scopo ortodontico, previo consenso informato. Dopo rottura dell’elemento ed estrazione del tessuto pulpare (TP) i campioni sono stati coltivati in terreno specifico per oltre 7 settimane. 10 campioni sono stati immediatamente sottoposti a digestione, coltura ed espansione e poi indotti a differenziamento osteogenico. I rimanenti 23 sono stati invece sottoposti a crioconservazione in 3 diverse condizioni: 1) Tessuto Pulpare digerito e congelato; 2) Tessuto Pulpare intero congelato; 3) Dente intero congelato. Successivamente tutti i 23 campioni sono stati espansi e indotti a differenziamento osteogenico nelle stesse condizioni dei primi 10. Tutti i campioni sono stati poi valutati per immunofenotipo e indice di proliferazione (IdP) in settimana 3, 4, 5, 6 e 7. Risultati. L’analisi immunofenotipica ha evidenziato che queste cellule, sia da campione “a fresco” sia congelato e poi scongelato, sono positive per i marcatori CD29, CD90, CD44, CD73 e CD105; mediamente positive per CD54 e CD71; debolmente positive per CD106 e CD117; negative per CD14, CD25, CD31, CD34, CD45 e per HLA-DR. L’IdP dei campioni scongelati e differenziati da Tessuto Pulpare intero (Population Doubling Time=2.25 gg) è sovrapponibile a quello da Tessuto Pulpare fresco (PDT=2,23 gg, La colorazione con Alizarina Red S, eseguita su campioni a fresco, ha messo in evidenza la capacita’ di depositare Sali di calcio nella matrice extracellulare. Conclusioni. Questo lavoro ha dimostrato la possibilita’ di reperire ed espandere cellule staminali mesenchimali da polpa dentaria con caratteristiche morfologiche, immunofenotipiche e funzionali simili alle cellule mesenchimali isolate da midollo osseo, e quindi di utilizzarle a fresco e dopo crioconservazione di Tessuto Pulpare per la terapia rigenerativa in pazienti con patologie ossee. In questo modo si utilizza un prelievo non invasivo di tessuto autologo altrimenti non utilizzato. I risultati ottenuti sono di particolare interesse per l’istituzione di una banca dedicata di cellule staminali del soggetto, senza necessita’ immediata di espansione e utilizzo delle DP-MSCs. Bibliografia Stem cells were identified in adult human dental pulp (DPSC), human primary teeth (SHED) and periodontal ligament (PDLSC)” Shi et al, 2005 The findings that MSCs can be relatively easily isolated from various tissues […] make them of interest for their potential application in tissue repair and regenerative medicine” Gronthos et al, 2006 S TANDARDI ZZAZIO NE DI TECNI CA DI SEP ARAZIO NE DI SO TTOP OP OLAZIO NI CELLULARI PER MO NITO RAGGIO CH IMERICO DO PO TRAP IANTO ALLOGENICO IN P AZI ENTI P EDIATRI CI. D. Di Martino,1 G.Morreale,1 M. Di Duca,2 M.P.Terranova,1 S. Giardino,1 E. Biral,1M. Faraci,1 E. Lanino1 1Modulo Funzionale TCSE, Dipartimento di Ematologia e Oncologia Pediatrica; 2Laboratorio di Fisiopatologia dell’Uremia, UO di Nefrologia; IRCCS G. Gaslini, Genova, Italia Introduzione. L’analisi quantitativa del chimerismo acquista sempre più importanza nel monitoraggio dei pazienti dopo trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE). La valutazione della percentuale di ematopoiesi del donatore rispetto a quella del ricevente, fornisce informazioni sull’attecchimento in tempi molto precoci dopo il trapianto ma è soprattutto la sua dinamica nel tempo che permette di ottenere informazioni sull’esito del trapianto stesso. Infatti lo studio del chimerismo può permettere di porre diagnosi precoce di: fallimento dell’attecchimento, parziale o completo attecchimento, recidiva della sottostante malattia e probabilmente anche di incipiente GvHD severa.1 Alcune di tali situazioni, se diagnosticate precocemente, possono beneficiare di appropriati interventi quali la modulazione di immunosoppressione o l’infusione di linfociti del donatore che possono essere in grado di modificare l’esito del trapianto. Lo studio del chimerismo con metodiche di biologia molecolare (STR-PCR)2 ha permesso di chiarire che accanto al chimerismo completo (CC) cioè 100% di ematopoiesi del donatore, è possibile documentare, soprattutto dopo l’avvento dei condizionamenti non mieloablativi, tre differenti situazioni di chimerismo misto (CM). In base all’ andamento nel tempo possiamo distinguere un: 1) CM Transi torio (CMT), in cui la quota ricevente diminuisce spontaneamente nel tempo fino a raggiungere un CC; 2) CM Stabile (CMS), in cui le percentuali di donatore e ricevente coesistono in maniera stabile; 3) CM progressivo (CMP), in cui la percentuale di DNA del ricevente aumenta progressivamente fino a giungere a un possibile rigetto secondario. In tempi più recenti è stato coniato il termine di “Split [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Chimerism” o di “chimerismo di linea cellulare”.3 La possibilità di separare sottopopolazioni cellulari dal sangue periferico con successiva esecuzione dell’analisi, permette di valutare tale chimerismo, cioè la quota donatore/ricevente in ogni singola linea cellulare, in pratica nelle popolazioni T, B, NK e nei monociti. Dal 2006, nel nostro laboratorio viene regolarmente effettuato il monitoraggio del chimerismo tramite STR-PCR su tutti i pazienti sottoposti a trapianto. La casistica è molto variabile sia in relazione al tipo di patologia (neoplastica e non neoplastica) che al tipo di condizionamento (mieloablativo e non mieloablativo). Tutti i soggetti che presentavano un chimerismo misto su sangue intero sono stati sottoposti all’analisi sulle sottopopolazioni cellulari. Lo scopo del nostro studio è di valutare possibili correlazioni tra tipo di chimerismo riscontrato nelle varie sottopopolazioni e l’andamento del trapianto. Materiali e metodi. A vari tempi post trapianto è stato raccolto il sangue periferico di 140 pazienti (Pz) afferenti presso la nostra Unità Operativa di TCSE, per monitorare il chimerismo post trapianto. Su 23 pazienti che presentavano un CM a 15-20 giorni post TCSE, si è proceduto alla separazione delle sottopopolazioni cellulari ed è stato eseguito lo studio del chimerismo secondo le seguenti procedure: 1) ficoll su prelievi di sangue periferico e successiva separazione dei linfociti T, B, cellule NK, monociti mediante passaggio su colonna in campo magnetico MACS (Miltenyi Biotec); 2) estrazione del DNA (High Pure PCR Template Preparation Kit; Roche); 3) amplificazione STRs mediante l’analisi di 8 loci diversi più amelogenina (kit AmpFlSTR Profiler Plus ; Applied Biosystem); 4) analisi su Sequenziatore ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystem); 5) determinazione delle dimensioni degli STR e degli alleli di ciascun paziente e del suo donatore con software GeneMapper (Applied Biosystem); 6) calcolo del chimerismo: la percentuale delle cellule del donatore viene calcolata come rapporto tra le altezze dei picchi del donatore e quelle del ricevente sui tracciati forniti dal software. Risultati. Nei 23 Pz studiati l’andamento nel tempo del chimerismo su sangue intero ci ha permesso di riconoscere i seguenti tipi: in 14/23 un CMT, in 6/23 un CMS e in 3/23 un CMP, evoluto in tutti i 3 casi in rigetto (primario in 1 caso e secondario negli altri 2). Dei 14/23 Pz con CMT: 10/14 hanno raggiunto un CC entro i 6 mesi dal trapianto (5 nel primo mese); in 3/14 il CC è stato raggiunto rispettivamente dopo 1 anno, 2 anni, e 4 anni; in 1/14 attualmente a distanza di 1 anno dal trapianto, persiste ancora una minima [page 51] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 percentuale di ricevente (5%). In questo gruppo di pazienti, la sottopopolazione CD3+, ad ogni monitoraggio effettuato, presentava una percentuale di donatore superiore a quella riscontrata su sangue intero, mentre la popolazione CD56+ presentava una percentuale del donatore sovrapponibile a quella su sangue intero. In 6/23 Pz con CMS è stata raggiunta una stabilità del chimerismo su sangue intero in un periodo variabile da 1 a 6 anni. In tutti i 6 casi, fin dalla prima valutazione la percentuale di CD56+ di origine del donatore era superiore rispetto al totale, mentre per le cellule CD3+ si è assistito ad un progressivo aumento della quota del donatore. I 3/23 pazienti che sono andati incontro a un rigetto presentavano una percentuale di CD3+ del donatore minore rispetto al totale e si è riscontrata una percentuale di CD56+ uguale a quella della popolazione totale in 2/3 mentre in 1/3 non è stato possibile determinarla. In tutti e 23 i pazienti, lo studio del chimerismo delle cellule CD14+ ha permesso di verificare che la percentuale di CD14+ del donatore risulta essere uguale in 10/23 casi (ognuno dei quali presenta un CM differente) mentre risulta minore rispetto a quella della popolazione totale in 4/23 pazienti, risulta maggiore solamente in un paziente mentre non è stato possibile determinarla in 8/23 pazienti studiati. Non sembra esservi correlazione tra il tipo di condizionamento (16/27 mieloablativo; 11/27 non-mieloablativo) e il tipo di chimerismo riscontrato. Tutti i pazienti con malattia neoplastica presentano CMT, mentre tutti i casi di CMS riguardano pazienti con malattia non neoplastica. Nella nostra casistica 10/23 pazienti hanno presentato una GvHD più o meno grave e tutti hanno raggiunto un CC dopo aver attraversato una fase di CMT. Conclusioni. Per lo studio del chimerismo post trapianto, sono stati impiegati e sviluppati nel tempo numerosi metodi di analisi (1). Tra questi, la caratterizzazione dei marcatori STR che utilizza l’amplificazione con primer fluorescenti e l’elettroforesi capillare, permette un’accurata quantificazione del chimerismo misto con una sensibilità dell’1%. Nel nostro laboratorio abbiamo standardizzato un’ulteriore tecnica di separazione cellulare in campo magnetico che ci consente di selezionare le sottopopolazioni leucocitarie nella valutazione di un chimerismo misto. Si tratta certamente di un valido aiuto per approfondire il ruolo delle diverse popolazioni cellulari nella dinamica chimerica post trapianto. Una maggiore percentuale di cellule CD3+ di origine del donatore sembra correlare con un chimerismo misto transitorio e quindi una successiva evoluzione verso un CC. Al contrario, una precoce defi- [page 52] cienza di CD3+ del donatore correla con una evoluzione sfavorevole con possibile esito in rigetto. Nella nostra casistica, per la precocità con cui sono avvenuti i rigetti, non è mai stato possibile intervenire con infusione di linfociti del donatore, tuttavia riteniamo meritevole di segnalazione che in un caso di anemia aplastica esitato in poor take con mantenimento della trasfusione dipendenza, è stata fatta una successiva infusione di cellule CD34+ selezionate che, oltre a risolvere lo scarso attecchimento,ha comunque comportato, a distanza di pochi mesi, una significativa variazione percentuale delle cellule CD3+ a favore del donatore, con passaggio di quest’ultimo dal 23% all’86%. Le conclusioni preliminari di questo nostro studio confermano che l’analisi del chimerismo, su sangue intero e sulle sottopopolazione cellulari, sta assumendo sempre più un importante ruolo nella diagnostica precoce dell’esito del trapianto e conseguentemente può guidare verso precoci interventi terapeutici in caso di rigetto/recidiva. Bibliografia 1. Bader P, Niethammer D, Willasch A, Kreyenberg H, Klingiebiel T. How and when should we monitor chimerism after allogeneic stem cell transplantation? Bone Marrow Transplant. 2005; 35: 107-119. 2. Lobashevsky AL, Senkbeil RW, Townsend JE, Mink CA, Thomas JM. Quantitative analysis of chimerism using a short tandem repeat method on a fluorescent automated DNA sequencer. Clin Lab Haematol 2006; 28: 40-9. 3. Willasch A, Eing S, Weber G, Kuci S, Schneider G, Soerensen J, Jarisch et al. Enrichment of cell subpopulations applying automated MACS technique: purity, recovery and applicability for PCR-based chimerism analysis. Bone Marrow Transplant. 2010; 45 (1) 181-189. RUO LO DEL LA MALATTIA MINIMA RESIDUA (MMR) NELLE FASI POST-INDUZIONE DEI BAMBINI AFFETTI DA LLA T(9;22) POSITI VA NELL’ ERA G LIVEC A. Poli,1,2 L. Greco,1 P. Samperi,2 A. Di Cataldo,2 M La Spina,2 S. Marino,2 L. Lo Nigro1,2 1Laboratorio di Citogenetica e Biologia Molecolare per malattie emato-oncologiche; 2Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed Oncologia Pediatrica Azienda Policlinico OVE Catania, Italia [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Introduzione. Gli attuali protocolli terapeutici della Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) del bambino prevedono il monitoraggio della Malattia Minima Residua (MMR) per eseguire la stratificazione in gruppi di rischio. La valutazione della MMR viene effettuata mediante amplificazione quantitativa dei riarrangiamenti genici clonali delle immunoglobuline (Ig) e del T-cell receptor (TcR). Nel caso delle traslocazioni la MMR viene eseguita mediante rilevamento dei geni di fusione. Nella LLA t(9;22) positiva si ricercano i trascritti BCR-ABL (p190 e p210). L’utilizzo separato delle suddette metodiche nei casi di LLA t(9;22) ha dato risultati contrastanti.1,2 Di contro, il loro impiego costante in questo sottogruppo di pazienti con LLA, può rivelarsi produttivo, alla luce del fatto che attualmente è disponibile un farmaco specifico: il Glivec. Materiali e Metodi. Abbiamo studiato i campioni di follow-up di 5 casi di LLA t(9;22) positivi, diagnosticati presso il nostro centro dall’Aprile 2002 sino a Marzo 2010. L’analisi MMR dei geni Ig e TcR è stata condotta in real time PCR mediante 7000 SDS Applied Biosystem secondo il protocollo ESG-MRD-ALL.3 La presenza del trascritto BCR-ABL è stata effettuata mediante protocollo di RT-PCR standardizzato.4 Due casi sono stati trattati con il protocollo LLA 2000: un caso è stato sottoposto a trattamento con Glivec (300 mg/mq/die) solo dopo recidiva midollare post-induzione e fino al trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE). L’altro caso ha eseguito terapia con Glivec solo dopo TCSE allogenico. Gli altri tre casi sono stati arruolati al protocollo ESPhALL, seguendo le indicazioni per la somministrazione dell’inibitore delle Tirosin Chinasi. In totale sono stati analizzati 40 campioni di follow-up. Dei quattro casi sottoposti ad allo-TCSE familiare sono stati analizzati 20 campioni post-trapianto. Risultati. I due casi appartenenti al protocollo LLA 2000 sono stati seguiti mediante la ricerca del trascritto BCR-ABL sia pre- che post-allo-TCSE. Dei tre casi arruolati al protocollo ESPhALL, due sono stati sottoposti a procedure trapiantologiche. Nel caso di B.F. l’andamento MMR in RQ-PCR, valutato con due marcatori molecolari, ha mostrato un quadro di rischio Intermedio, confermando poi l’assenza di malattia sino al time-point + 100 giorni post-trapianto, anche in RT-PCR. Il paziente continua a ricevere Glivec. Nel caso di S.V. sono stati rilevati livelli di MMR significativamente alti (>10-3) fino al TCSE allogenico familiare. Subito dopo i livelli di malattia si sono ridotti sino a >10-4 . Ad un anno di distanza dal TCSE, S.V. ha presentato una recidiva molecolare ed in parte mor- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 fologica (<5%) di malattia. Ripresa la terapia con Glivec, dopo una iniziale riduzione, il livello di MMR è risalito a 102. Sostituito (maggio 2010) il Glivec con il Dasatinib (70 mg x 2/die), la quantità di MMR è rimasta quasi invariata, anche in considerazione del fatto che S.V. ha presentato segni di tossicità intestinale. In relazione a tali dati, si è deciso di riprendere la terapia con Glivec associandola alla chemioterapia a Blocchi BFM-like, avviando S.V. ad un 2° allo-TCSE da cellule staminali periferiche. Dopo la somministrazione del Blocco 1, la MMR si è consistentemente ridotta da 1,6¥10–2 (Agosto 2010) sino a 4,4¥10–5 (Ottobre 2010). S.V. è andata al TCSE con un quadro di MMR di 5,2¥10–5. Il 2° allo-TCSE è stato effettuato il 25/11/10 ed i due controlli post-trapianto (+ 30 e +100 gg) hanno mostrato assenza di malattia con entrambe le metodiche. Il caso C.A. ha presentato un quadro di MMR di tipo Intermedio. L’assenza della malattia a livelli molecolari è stata confermata fino allo Stop therapy. L’ultimo controllo ha mostrato un dato discrepante tra MMR mediante IgH e MMR mediante RT-PCR. La positività per il trascritto BCR-ABL è stata confermata da due analisi eseguite in due distinti laboratori. A distanza di un mese, è stata ripetuta l’analisi in RTPCR, mostrando però esito negativo. Nonostante ciò, in relazione alla positività accertata, è stato deciso di iniziare un trattamento con Glivec (300 mg/mq/die) per almeno 1 anno. Saranno eseguiti controlli midollari ogni quattro mesi. Conclusioni. La nostra esperienza dimostra che: 1) entrambi i metodi sono affidabili e presentano una sensibilità quasi sovrapponibile; 2) a corretta interpretazione dei risultati relativi ad entrambi i metodi può permettere una gestione migliore del trattamento post-induzione e post-allo-TCSE con un farmaco come il Glivec, specifico per il trascritto BCRABL e con ridotti effetti collaterali, facilitando la possibilità di identificare l’adeguato periodo di esposizione all’inibitore delle Tirosin Chinasi; 3) la valutazione dei risultati contrastanti fra i due metodi è probabilmente legata ad un coinvolgimento multilineage con cellule contenenti il trascritto ma senza caratteristiche neoplastiche. (1). Bibliografia 1. Zaliova M. et al. Leukemia 2009;1-8. 2. Cazzaniga G., et al. Brit. Journal Haematol. 2002; 119:445-453. 3. Weerkamp F., et al. Leukemia 2009 (23) 6:1106-17. 4. Van Dongen JJ. et al. Leukemia 1999 Dec. 13 (2):1901-1928. 5. Van der Velden VHJ. et al. Leukemia 2007; 21 (4): 604-11. BACKTRACKING DEL CLONE LEUCEMICO NE LLA CARATTERI ZZAZI ONE DELLA LE UCEMI A ACUTA DEL BAMBINO. R. Catania,1 A. Poli,2 G. Cazzaniga ,3 C. Meyer,4 T. Ford,5 D. Bottino,2 R. Marschalek,4 L. Lo Nigro2 1Dipartimento di Pediatria, Università di Catania; 2Laboratorio di Citogenetica e Biologia Molecolare per le Malattie EmatoOncologiche, Azienda Policlinico OVE Catania; 3Centro Ricerche Tettamanti Monza; 4Institute of Pharmaco-Biology University of Frankfurt; 5 The Institute of Cancer Research, Sutton, Surrey, United Kingdom; Introduzione. Il backtracking del clone leucemico nella LLA del bambino permette di: 1) verificare la presenza del clone leucemico in utero analizzando le Guthrie-cards;1 2) caratterizzare le fasi di aplasia midollare che in un 20% di casi anticipano di 4-6 mesi l’insorgenza di LLA tipo common2; 3) confrontare il clone della recidiva con quello della diagnosi per stabilire se si tratta della stessa malattia o di una evoluzione clonale o di altro ancora.3 Per tale motivo, riportiamo qui la nostra esperienza del backtracking del clone leucemico nella LLA del bambino. Materiali e Metodi. Abbiamo analizzato i campioni di 6 bambini affetti da LLA Blineage, diagnosticati presso il Centro di Catania nel periodo compreso tra il 1995 ed il 2009. Abbiamo utilizzato l’InversePCR per caratterizzare il clone leucemico di un caso di LLA pre-pre B t(4;11) positiva (L.M.), definendo la sequenza genomica del gene di fusione MLL-AF4. In un caso di due gemelli monocoriali (N.S e N.F.) con la LLA t(9;22) è stato sequenziato a livello genomico il gene di fusione BCR-ABL. In questi soggetti è stata valutata la presenza delle sequenze genomiche nel DNA estratto dalle Guthrie-cards, allo scopo di verificare la concordante natura monoclonale della malattia e la sua eventuale presenza in utero. Inoltre abbiamo caratterizzato i geni delle Immunoglobuline e del T-cell receptor (TcR) sia nei bambini sopracitati che nei cloni leucemici di altri tre casi: in due (L. L. e M. F.) abbiamo valutato la presenza del clone della diagnosi in un campione di aspirato midollare eseguito qualche mese prima dell’esordio per aplasia postinfettiva; in un terzo caso (D. A.) abbiamo confrontato il clone della diagnosi con quello della recidiva midollare isolata tardiva dopo 13 anni. Abbiamo eseguito l’estrazione del DNA dalle Guthrie cards utilizzando un protocollo basato sull’utilizzo del phenolo/cloroformio. La qualità del DNA estratto è stata verifica- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] ta mediante PCR valutando l’amplificazione della Beta-actina. Risultati. Nel caso di M.L. (6 anni al momento della diagnosi) abbiamo identificato la sequenza genomica del breakpoint tra MLL-Introne 9 e AF4-Introne 3. Abbiamo identificato inoltre VH6-JH6, Vδ2-Dδ3 e Vγ11-Jγ1.3/2.3. Con un livello di sensibilità pari a 10-4, abbiamo utilizzato sia il VH6 che il Vγ11 insieme ai gene specific primers (GSPs) di MLL per verificare la presenza del clone leucemico nelle Guthrie cards. Le nostre analisi hanno dimostrato l’assenza del clone leucemico originale, indicando che la traslocazione t(4;11) è un evento post-natale e sufficiente per indurre la LLA. Di contro, dopo aver sequenziato il gene di fusione BCR-ABL, abbiamo dimostrato la presenza del clone leucemico in entrambi i campioni di Guthire Cards dei gemelli affetti da LLA t(9;22) positiva. Tale dato, per la prima volta, dimostra che la t(9;22) è un evento pre-natale, che non è sufficiente per indurre la trasformazione leucemica (avvenuta tre anni dopo), e che lo stesso identico clone è presente in entrambi gemelli. Nei casi di L.L. e M.F., affetti da LLA tipo common, abbiamo identificato il riarrangiamento VH1-JH1 nel clone leucemico e abbiamo analizzato due aspirati midollari eseguiti rispettivamente 4 e 2 mesi prima dell’esordio. Tali controlli erano stati effettuati per l’insorgenza di una pancitopenia post-infettiva seguita da una ripresa spontanea completa: gli aspirati midollari apparivano con cellularità scarsa ma l’analisi molecolare in RealTime ha dimostrato la presenza del clone leucemico già 2-4 mesi prima della diagnosi. Infine nel caso D.A., abbiamo confermato la presenza del clone originario utilizzando i primers specifici del riarrangiamento caratterizzato al momento della diagnosi: il Vδ2-Dδ3 presente nella recidiva era lo stesso identico di 13 anni prima. Conclusioni. I nostri dati confermano che: 1) lo studio delle Guthrie-cards è utile per comprendere la presenza di una fase pre-leucemica in utero come dimostrato in casi con differenti traslocazioni ;1 2) la fase aplastica che precede di qualche mese la insorgenza della LLA tipo common è caratterizzata dalla presenza di cellule leucemiche in piccola quantità ma pronte per espandersi successivamente: second hit?2 3) il confronto tra diagnosi e recidiva dimostra come in alcuni rari casi il clone leucemico originario si conservi per lungo tempo e dopo eventi scatenanti (infezioni) riemerge anche dopo 5-10 anni mostrando le stesse caratteristiche molecolari.3,4 Bibliografia 1. Wiemels J, Kang M, Greaves M. [page 53] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Backtracking of leukemic clones to birth. Methods Molecular Biology, 538: 7-27; 2009. 2. Greaves M. Darwinian medicine: a case for cancer. Nature Review Cancer, 7: 213221; 2007. 3. Mullighan CG et al. Genomic analysis of the clonal origins of relapsed acute lymphoblastic leukemia. Science, 322: 13771380; 2008. 4. Lo Nigro L et al. Clonal Stability in children with acute lymphoblastic leukemia (ALL) who relapsed five or more years from diagnosis. Leukemia, 13: 190 – 195; 1999. VALUTAZIO NE Q UANTITATIVA DEL L’ES PRESS IONE DI M-RNA DELL’ALPH A HEMOGLO BIN STABILIZI NG PRO TEI N (AHS P) IN P AZIENTI AFFETTI DA TALASS EMIA INTERMEDIA E CORRELAZIONE COL FENOTIPO P. La Cava, G. Giuffrida, R. Gingari, C. Giallongo, D. Tibullo, A. Branca, N. Parrinello, A. Romano, G. Palumbo, F. Di Raimondo Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare, sezione Ematologia; ospedale Ferrarotto via Citelli 6 Catania, Italia Introduzione. Nei pazienti con β-talassemia è alterato il processo di sintesi delle catene β, mentre le α-globine vengono regolarmente sintetizzate. L'eccesso di α-globine precipita all'interno dei precursori a livello del midollo osseo causando la prematura distruzione di questi (eritropoiesi inefficace) e la conseguente anemia.3 La AHSP (αHb-Stabilizing Protein) è una proteina in grado di legare selettivamente la Apo-α globina e la αHb. Il legame della AHSP alla αHb, che avviene a livello degli stessi siti di legame per la β-globina, è molto stabile e non consente al complesso di precipitare. In condizioni normali una sufficiente concentrazione di β-globina grazie alla sua affinità maggiore rispetto alla AHSP, lega normalmente la α-globina portando alla formazione di HbA. Tuttavia nei casi in cui esista un difetto di sintesi di β-globina, come nelle β-talassemie, la AHSP può svolgere un importante ruolo di stabilizzazione cellulare, comportando una riduzione dell'emolisi e della conseguente anemia. Materiali e Metodi. In 4 pazienti con talassemia maior, 18 pazienti con talassemia intermedia, 4 pazienti con talassemia minor e 4 pazienti con talasso-drepanocitosi, abbiamo valutato l'espressione dei livelli di mRNA di AHSP e l’abbiamo correlati all’emocromo e la conta dei reticolociti Risultati. I livelli di espressione di mRNA codificante per AHSP si sono dimostrati notevolmente aumentati nei pazienti con Talassemia Maior sia rispetto al pool di soggetti sani sia rispetto alle altre cate- [page 54] gorie di pazienti talassemici. I livelli di espressione si riducono via via nei pazienti con Talassemia Intermedia e Minor nonchè nei Talasso-drepanocitici, mantenendo comunque valori superiori ai soggetti sani. La correlazione tra l'espressione genica ed i livelli di Reticolociti circolanti non si è dimostrata statisticamente significativa in nessuna categoria di pazienti. Si è invece evidenziata correlazione tra i livelli di trascritto ed i valori di emoglobina, con un andamento crescente di questa al crescere del trascritto, ma solo nei soggetti con Talassemia Maior. Infatti solo in questa categoria di pazienti si è raggiunta un indice di correlazione R2>0.7 mentre nei Talassemici Intermedi e Minor tale correlazione si perde (R2<0.7). Conclusioni. Il nostro studio ha dimostrato come la proteina AHSP rientri nei meccanismi fondamentali di regolazione dell'eritropoiesi, stabilizzando le molecole di α-globina non legate alle β-globine, meccanismo che diventa ancora più importante nei pazienti con difetto di sintesi delle β-globine stesse, come i pazienti talassemici. Ne è prova il fatto che nei pazienti con Talassemia Maior, e quindi trasfusione-dipendenti, un valore alto di espressione di mRNA per AHSP correli con un valore di emoglobina più elevato. Nei pazienti con Talassemia Intermedia e Minor o nei soggetti Talasso-drepanocitici tale correlazione non si evince probabilmente perchè si tratta di soggetti con esiguo o nullo fabbisogno trasfusionale e quindi con valori di emoglobina tendenzialmente stabili. Bibliografia 1. An erythroid chaperone that facilitates folding of -globin subunits for hemoglobin synthesis Xiang Yu, Yi Kong, Louis C. Dore, Osheiza Abdulmalik, Anne M. Katein, Suiping Zhou, John K. Choi, David Gell, Joel P. Mackay, Andrew J. Gow, Mitchell J. Weiss The Journal of Clinical Investigation Volume 117 Number 7 July 2007. 2. AHSP: a novel hemoglobin helper Arthur Bank. The Journal of Clinical Investigation Volume 117 Number 7 July 2007 3. Absolute rates of globin chain synthesis in thalassemia. Bank A., Braverman A.S., O’Donnell J.V., Marks P.A. Blood 1968. 31:226-33. 4. An abundant erythroid protein that stabilizes free -haemoglobin. Kihm, A.J., et al. Nature. 2002. 417:758-63. 5. Biophysical characterization of the globin binding protein -hemoglobin stabilizing protein. Gell, D., Kong, Y., Eaton, S.A., Weiss, M.J., and Mackay, J.P. 2002. J. Biol. Chem. 277:40602-9. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] CD200 NEI DISO RDI NI B-LINFO PROLIFERATIVI N. Parrinello, A.Triolo, P.La Cava, C. Giallongo; D. Tibullo, A. Romano, A. Chiarenza, G. Palumbo, F. Di Raimondo Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare, Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto via Citelli 6 Catania, Italia Introduzione. I vari disordini linfoproliferativi, classificati secondo i criteri della World Health Organization (WHO)1, rappresentano delle entità eziopatogenetiche con decorso clinico, risposta al trattamento e sopravvivenza ben distinte fra loro, tuttavia non sempre si riesce a dare un corretto inquadramento diagnostico in quanto spesso presentano caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche sovrapponibili. Il CD200, conosciuto anche come OX-2, è una glicoproteina transmembrana che appartiene alla superfamiglia delle immunoglobuline ed ha funzioni immunosoppressive in vari tessuti 2. La sua espressione è riportata sui trofoblasti, neuroni, cellule endoteliali, B-linfociti, T-linfociti attivati, timociti, cellule dendritiche 3, nonché sulle plasmacellule di mieloma, dove assume un significato prognostico negativo 4 e sul clone di B-linfociti CD19+/CD5+ della leucemia linfatica cronica (LLC). Nel nostro studio abbiamo indagato il possibile ruolo del CD200 come strumento diagnostico in vari disordini B-linfoproliferativi. Metodi. Tramite analisi citofluorimetrica multiparametrica (FC-500 Beckam coulter), abbiamo valutato l’espressione del CD200 in N.122 pazienti (pts) con LLC, (di cui N.103 hanno matutes score 5 4-5 e N.19 hanno matutes score 3), in N.52 pts con linfomi non Hodgkin (LNH) CD5+ (score 1-2), e in N.20 pts con LNH CD5(score 0-1). Per ogni campione sono state prelevate tre aliquote di sangue periferico (10.000 cellule/mmc per ognuna) che sono state marcate rispettivamente con i seguenti anticorpi monoclonali (moabs): 1) CD5, CD19, CD10, CD200, CD38, 2) CD19, CD23, CD22, CD79b, FMC7, 3) CD19, catene leggere di superficie Kappa e Lambda. Un antigene è considerato positivo quando il suo valore è superiore del 20%. Risultati. il CD200 è presente sulle cellule neoplastiche di tutti i 122 pts con LLC. Non abbiamo trovato differenze tra pazienti con score 4-5 e pazienti con score 3. Nei LNH CD5+, abbiamo riscontrato una positivita’ del CD200 in 34/52 casi. L’aspetto interessante è che in tutti i 18 pts di LNH aventi fenotipo CD5+/CD19+/ CD200- è stata fatta successivamente diagnosi di Linfoma mantellare, ed in particolare 15/18 casi sono risultati ciclina D1 AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 positivi all’indagine immunoistochimica, mentre 3/18 sono risultati ciclina D1 negativi, ma è stata riscontrata tramite FISH la t(11;14) e tramite PCR il riarrangiamento di bcl1/IgH. Al contrario, tra i 34 pts con fenotipo CD5+/CD19+/CD200+, non è stato diagnosticato nessun caso di LNH mantellare. Nell’ambito dei LNH CD5-, tutti i pts valutati sono risultati CD19+/CD200+. Conclusioni. Dal nostro studio emerge che il CD200 è presente sulle cellule neoplastiche di tutti i disordini linfoproliferativi da noi studiati fatta eccezione per il linfoma mantellare, una patologia aggressiva e spesso resistente alla terapie convenzionali. Pertanto l’aggiunta del CD200 al pannello di moabs usati di routine per i processi linfoproliferativi ci aiuta in tempi brevi ad individuare fenotipicamente un linfoma mantellare e a differenziarlo sia dagli altri tipi di linfomi CD5+ che dalla LLC. Bibliografia 1. Harris NL, Jaffe ES, Diebold J, Flandrin G, Muller-Hermelink HK, Vardiman J. Lymphoma classification—from controversy to consensus: the R E. A. L. and WHOclassification of lymphoid neoplasms. Ann Oncol 2000;11(Suppl. 1):310. 2. Kretz-Rommel A, Qin F, Dakappagari N, Ravey EP, McWhirter J, Oltean D, et al. CD200 expression on tumor cells suppresses antitumor immunity: new approaches to cancer immunotherapy. J Immunol 2007;178:5595-605. 3. Wright GJ, Jones M, Puklavec MJ, Brown MH, Barclay AN. The unusual distribution of the neuronal/lymphoid cell surface CD200 (OX2) glycoprotein is conserved in humans. Immunology 2001;102:173-9. 4. Moreaux J, Hose D, Reme T, Jourdan E, Hundemer M, Legouffe E, et al. CD200 is a new prognostic factor in multiple myeloma. Blood 2006;108:4194-7. 5. Matutes E, Owusu-Ankomah K, Morilla R, Garcia Marco J, Houlihan A, Que TH, et al. The immunological profile of B-cell disorders and proposal of a scoring system for the diagnosis of CLL. Leukemia 1994;8:1640-5. CELLULE MIELO IDI SOP PRESS ORIE NELLE PATOLOGI E LINFO PROLI FERATIVE N. Parrinello, A. Romano, C.Vetro, C. Maugeri, A. La Fauci, P. La Cava, C. Giallongo, D. Tibullo, A. Triolo, A. Chiarenza, G. Palumbo, F. Di Raimondo. Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare, Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto via Citelli 6 Catania, Italia accumulo a livello del midollo osseo, del sangue, della milza, del tumore, di cellule appartenenti alla linea mieloide. Queste cellule definite mieloidi soppressorie (MDSC) sono state ampiamente studiate nel modello murino, dove hanno fenotipo CD11b+ e Gr1+ e comprendono granulociti, monociti maturi insieme ad una serie di cellule immature della linea mielo-monocitaria.1 Nell'uomo, il fenotipo delle MDSC è meno definito in quanto manca un analogo del marcatore Gr-1e pertanto si parla di: 1) MDSC immature (IMDSC) con fenotipo Lin-, CD14-, HLADR-, CD15+, CD34+, CD11b+, CD33+, CD13+2 ; 2) MDSC monocitarie (MDSC-M) con fenotipo CD14+HLA-DR/low3; 3) MDSC neutrofile (MDSC-N) con fenotipo CD11b+CD15+CD14-, Lin-,HLA-DR-,CD33+. Un aumento di MDSC-M è stato riscontrato in pazienti (pts) con melanoma mestastatico, con carcinoma prostatico, con carcinoma della testa e del collo. MDSC con fenotipo granulocitario sono state dimostrate in pts con carcinoma renale4, e in un altro studio condotto su pts con carcinoma mammario è stato dimostrato che queste cellule correlano con lo stadio della neoplasia e l’estensione delle metastasi. Metodi. Tramite analisi citofluorimetrica multiparametrica (FC-500 Beckam coulter), abbiamo valutato le MDSC da sangue periferico di 35 pts con HD, 15 pts con LNH, e di 30 donatori sani (ctrl). Per ogni campione è stata prelevata un' aliquota di sangue periferico (10.000 cellule/mmc) che è stata marcata rispettivamente con i seguenti anticorpi monoclonali (moabs): CD11b,CD34,CD14,HLA-DRCD33. Risultati. Rispetto ai ctrl (IMDSC: 0,02± 0,01%; MDSC-N: 59,64±8,64%; MDSC-M: 23,65±10,89%), nei pts con HD abbiamo osservato un aumento significativo delle IMDSC (0,09±0,4%) e MDSC-N (70,48 ±12,6%), mentre non abbiamo trovato un aumento signficativo delle MDSC-M (37,16±17,2%). Nei pts con LNH, le IMDSC (0,02±003%) sono simili ai ctrl, mentre è emerso un aumento significativo delle MDSC-M (37,16±17,2%), e una riduzione significativa delle MDSC-N (25,8±23,4%). Conclusioni. Dai nostri dati preliminari emerge che nei disordini linfoproliferativi le MDSC sembrerebbero avere un comportamento diverso tra linfomi di Hodgkin e non Hodgkin, in quanto nell'HD prevarrebbero le IMDSC e le MDSC-N, mentre nei LNH prevarrebbero le MDSC-M. Dalle nostre osservazioni emerge anche che nei disordini linfoproliferativi non ci sarebbe solo un'alterazione del compartimento linfoide, ma anche una importante alterazione mieloide. Introduzione. Lo sviluppo neoplastico è accompagnato spesso da un progressivo [Pediatric Reports 2011; 3:s1] Bibliografia 1. V. Bronte, E. Apolloni, A. Cabrelle, R. Ronca, P. Serafini, P. Zamboni, NP. Restifo, P. Zanovello, “Identification of a CD11b+/Gr-1+/CD31+ myeloid progenitor capable of activating or suppressing CD8+ T cells”, Blood.;96:3838 (2000); 2. B. Almand, JL. Clark, E. Nikitina, “Increased production of immature myeloid cells in cancer patients: A mechanism of immunosuppression in cancer”, J Immunol ., 166:678 (2001); 3. S. Vuk-Pavlovi , PA. Bulur, Y. Lin, R. Qin, CL. Szumlanski, X. Zhao, AB. Dietz, Immunosuppressive CD14+HLA-DRlow/monocytes in prostate cancer. Prostate; 70:443 (2010); 4. AH. Zea, PC. Rodriguez, MB. Atkins, C. Hernandez, S. Signoretti, J. Zabaleta, D. McDermott, D. Quiceno, A. Youmans, A. O'Neill, J. Mier, AC. Ochoa,”Arginaseproducing myeloid suppressor cells in renal cell carcinoma patients: a mechanism of tumor evasion”, Cancer Res. , 65:3044 (2005); MARK ERS DI TURNOVE R O SSE O NELLA DREP ANOCI TO SI E NE LLA TALAS SO DREP ANO CI TOSI N. Parrinello, G. Giuffrida, M.R. Cingari, A. Romano, A. Triolo, G. Rizzo, M. Franceschino, E. Di Francesco, F. Di Raimondo Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare, Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto via Citelli6 Catania, Italia Introduzione. Le alterazioni scheletriche sono una delle principali cause di morbidità nei pazienti con drepanocitosi e talassodrepanocitosi e sono dovute a una serie di fattori tra cui l' iperplasia midollare, le crisi vaso-occlusive, le osteomieliti, la compromissione della funzionalità renale.1,2 Due citochine aventi un ruolo importante nel metabolismo osseo sono RANKL (Receptor activator of nuclear factor KB ligand) che stimola la maturazione e l’attività degli osteoclasti, e OPG (osteoprotegerina) che agisce come recettore “decoy” per RANKL e pertanto inibisce sia l’osteoclastogenesi che l’attività degli osteoclasti.3 Un alterato rapporto OPG/RANKL è stato descritto come fattore responsabile dell’osteoporosi nelle donne in menopausa4 e nei pazienti con talassemia major.5 Nel nostro studio abbiamo indagato, in pazienti drepanocitici e talassodrepanocitici con osteopenia e/o osteoporosi alcuni markers biochimici coinvolti nel turnover osseo. In particolare abbiamo valutato l'OPG, il C-terminale propeptide del collagene tipo I (PICP), l’osteocalcina (OST) (coinvolti nella formazione ossea), il RANKL e la Fosfatasi acida tartrato resistente (TRAP5b) (coinvolti invece nel riassorbimento osseo). [page 55] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 Metodi. Tutti i markers di turnover osseo sono stati valutati tramite ELISA. Abbiamo indagato su siero n.10 pazienti (pts) con drepanocitosi, n.10 pts con talassodrepanocitosi e n.10 donatori sani (ctrl). La densitometria ossea è stata valutata mediante Dual-Energy Xray absorptiometry (DEXA). Sono stati esclusi i pazienti in terapia con bifosfonati, calcio, vitamina D e le donne in menopausa. Risultati. Dal nostro studio abbiamo osservato che i pts con drepanocitosi e con talassodrepanocitosi aventi osteopenia (T-score tra -1 e -2,5) o osteoporosi (T-score < -2,5) hanno RANKL aumentato (P<0.001) e OPG ridotto (P=0,03) rispetto ai ctrl, e di conseguenza hanno una ratio OPG/RANKL più bassa (P=0.02), inoltre abbiamo anche riscontrato un aumento di Trap5b (P=0.06) e una riduzione di PICP (P=0.05). Nei pts sia drepanocitici che talassodrepanocitici con valori di dexa nella norma (Tscore -1 o maggiore) le concentrazioni di RANKL,OPG,PICP e Trap5b sono sovrapponibili ai ctrl. Non abbiamo riscontrato differenze di OST tra i vari pts e i ctrl indipendentemente dalla densitometria ossea. Conclusioni. dalle nostre osservazioni emerge che nella malattia drepanocitica e talassodrepanocitica un'alterata modulazione del sistema RANKL/OPG, un'aumentata fase di riassorbimento (TRAP5b) e una ridotta fase di neoformazione ossea (PICP), potrebbero contribuire alle alterazioni scheletriche caratteristiche di questi pazienti. Bibliografia 1. Smith, J.A. Bone disorders in sickle cell disease. Hematology/Oncology Clinics of North America 1996, 10:1345-1356. 2. Voskaridou E, Terpos E, Michail S, Hantzi E, Anagnostopoulos A, Margeli A, et al. Early markers of renal dysfunction in patients with sickle cell/beta-thalassemia Kidney Int. 2006 Jun;69(11): 2037-42. 3. Hofbauer LC, Khosla S, Dunstan CR, Lacey DL, Boyle WJ, Riggs BL. The roles of osteoprotegerin and osteoprotegerin ligand in the paracrine regulation of bone resorption. J Bone Miner Res. 2000;15:2–12. 4. Yano K, Tsuda E, Washida N, Kobayashi F, Goto M, Harada A, et al. Immunological characterization of circulating osteoprotegerin/osteoclastogenesis inhibitory factor: increased serum concentrations in post-menopausal women with osteoporosis. J Bone Miner Res 1999; 14:518-27. 5. Morabito N, Gaudio A, Lasco A, Atteritano M, Pizzoleo MA, Cincotta M, et al. Osteoprotegerin and RANKL in the pathogenesis of thalassemia-induced osteoporosis: new pieces of the puzzle. J Bone Miner Res 2004;19: 722-7 [page 56] LE L EUC EMIE ACUTE MIELOIDI A CARIOTIPO NORMALE NON SONO CARATTERIZZATE DA INST ABILITA’ G ENOMICA A. Romano, V. Barresi, G.A. Palumbo, N. Musso, C. Capizzi, C. Consoli, A. Chiarenza, F. Di Raimondo, D.F. Condorelli Dip. Biomedicina Clinica e Molecolare, Sezione Ematologia; Ospedale Ferrarotto Laboratorio Sistemi Complessi, Scuola Superiore di Catania, Italia Introduzione. Un cariotipo normale caratterizza circa il 50% delle leucemie mieloidi acute dell’adulto (CN-AML), eterogenee dal punto di vista clinico e molecolare alla valutazione dello stato mutazionale di NPM e FLT3. Recenti acquisizioni tecnologiche nell’ambito dell’analisi genomica globale hanno portato all’identificazione di varaiazini del numero di copie (CNV),indicati come anomalie somatiche di numero di copie (CNA) quando associati a tumore. Con la stessa piattaforma tecnologica (Affymetrix SNP array 6.0) è possibile inoltre identificare regioni con perdita di eterozigosita (LOH) dovute a uno sbilanciamento allelico in loci polimorfici, quale conseguenza di perdita o acquisizione di materiale genomico degli alleli parentali. Scopo del lavoro era distinguere CNA e LOH somatici associati a tumore dalle varianti fisiologiche, in una coorte di pazienti affetti da CN-AML, per identificare anomalie genomiche ricorrenti e correlare il livello di instabilita genomica alla risposta alla terapia di induzione. Materiali Metodi. Dalla banca dati disponibile presso la Divisione Clinicizzata di Ematologia dell’Ospedale Ferrarotto sono stati selezionati 19 casi (9 femmine, 10 maschi, eta mediana 42, range 25-70) per i quali fosse disponibile materiale biologico isolato dal di buona qualita’ alla diagnosi e all’ottenimento della prima remissione completa dopo induzione secondo protocollo GIMEMA LAM99p. In tutti i casi era stato identificato un cariotipo normale alla citogenetica convenzionale (analisi di almeno 20 metafasi) ed escluse con tecniche di biologia molecolare i principali riarrangiamenti del core binding factor (AML1ETO, PML-RARalpha). Per tutti i pazienti era inoltre disponibile l’analisi dello stato mutazionale di NPM e FLT-3. Il DNA genomico isolato dal campione di sangue midollare alla diagnosi (Dx, patologico) e quello ottenuto alla remissione (R, blasti <5%, normale) è stato analizzato sulla piattaforma SNP Array 6.0 (Affymetrix, Santa Clara, CA) e confrontato con i dati di riferimento del progetto HapMap 270 DNA. L’intensita di segnale era analizzata con il software Genotyping Console Version 3.0.1. Per ogni campione un algo- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] ritmo implementato in ambiente R restituiva una lista di tutte le amplificazioni e perdite di segmenti di DNA (valutati per almeno 20 SNP-markers consecutivi e confrontati con la popolazione di riferimento normale). Il numero di CNA era determinato dopo il confronto tra i campioni appaiati Dx/R usando condizioni stringenti al fine di ridurre il numero di CNA falsi positivi. Risultati. Tutti i campioni erano valutabili, avendo ottenuto quality control (QC) call rates superiori al 90% con MAPD<4, permettendo cosi di includere nella lista dei CNA somatici tutti i segmenti dei campioni Dx con una sovrapposizione inferiore al 30% ai corrispondenti R. Con l’eccezione di un singolo paziente, in 18/19 casi sono stati determinati un numero molto basso di CNA somatici per campione (1-3 nel 50% dei casi) nei cromosomi 1,3,7,14. Le nostre osservazioni suggeriscono in particolare la regione 3p14.1-p12.3, che contiene il gene Robo1, come plausibile target per l’identificazione di mutazioni driver nell’AML. Solo in tre casi sono state identificate ampie regioni (>10Mb) di LOH esclusivamente nel campione patologico, ma non ricorrenti (22q, 1p, e l’intero cromosoma 21). La paziente con CN-LOH dell’intero cromosoma 21 era inoltre omozigote per una mutazione missenso (R80C) del fattore di trascrizione RUNX1/AML1. CNA e LOH non erano correlati in alcun modo alla risposta alla terapia di induzione o alla sopravvivenza globale. Bibliografia 1. Suela J, Alvarez S, Cifuentes F, et al. 2009 DNA profiling analysis of 100 consecutive de novo acute myeloid leukemia cases reveals patterns of genomic instability that affect all cytogenetic risk groups. Leukemia 21:1224–1231. 2. Tiu RV, Gondek LP, O’Keefe CL, et al. 2009. New lesions detected by single nucleotide polymorphism array-based chromosomal analysis have important clinical impact in acute myeloid leukemia. J Clin Oncol 27:5219–5226. 3. Barresi V, Romano A, Musso N et al, 2010 Broad Copy Neutral-Loss of Heterozygosity Regions and Rare Recurring Copy Number Abnormalities in Normal Karyotype-Acute Myeloid Leukemia Genomes, GENES, CHROMOSOMES & CANCER 49:1014–1023 SIS TE MA ENDOVANILLO IDE/E NDOCANNABINOIDE NELL’OSTEO PORO SI AS SOCI ATA ALLA β-TALAS SEMIA MAJO R. F. Rossi,1,2 G. Bellini,3 S. Mancusi,1,3 L. Luongo,3 S. Maione,3 B. Nobili,1 F. Locatelli,2 S. Perrotta1 1Dipartimento di Pediatria, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli; AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 2Dipartimento di Oncoematologia e Medicina Trasfusionale, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma; 3Dipartimento di Medicina Sperimentale, sez. Farmacologia, Seconda Università degli Studi di Napoli, Italia Introduzione. L’aspettativa di vita dei pazienti affetti da Talassemia Major è oggi notevolmente migliorata, grazie ad un adeguato programma trasfusionale e ad una maggiore compliance alla terapia ferrochelante. Con l’aumentare dell’età media di sopravvivenza dei pazienti “nuove” sono state le problematiche emergenti, tra queste in primo luogo l’osteoporosi (OP).1 L’OP è la più frequente patologia metabolica dell’osso, caratterizzata da una riduzione della massa ossea con conseguente aumento di fragilità e del rischio di frattura dell’osso interessato.2 Nel paziente talassemico l’OP ha una patogenesi multifattoriale, in cui sono implicati fattori congeniti (COLIA1) ed acquisiti, quali l’eritropoiesi inefficiente con la progressiva espansione midollare, il diabete mellito, l’ipogonadismo ipogonadotropo, la disfunzione tiroidea e paratiroidea, il deficit di GH/IGF1 e quello vitaminico, una attività fisica ridotta, l’utilizzo di chelanti del ferro e l’emocromatosi secondaria alla terapia trasfusionale cronica. Tutti questi fattori determinano OP agendo sul pathway RANKL/RANK/OPG, uno dei principali meccanismi di regolazione della massa ossea. Il mantenimento della massa ossea risulta infatti dall’equilibrio tra il processo di riassorbimento, dovuto all’ attività osteoclastica, e quello di neoformazione dell'osso, legato all’attività osteoblastica. Un aumento dei fattori pro-osteoclastogenesi (RANKL) e/o una riduzione dei fattori anti-osteoclastogenesi (OPG), è il principale processo patogenico dell’OP nel paziente talassemico. In particolare, è noto che il ferro in eccesso può causare OP non solo indirettamente, influenzando l’insorgenza di alcuni dei fattori coinvolti nella patogenesi dell’OP (patologie endocrine), ma anche direttamente, favorendo l’attivazione osteoclastica, essendo in grado di indurre l’espressione dell’enzima TRAP, fosfatasi acida tartrato resistente, ferro proteasi marcatore di attività osteoclastica.3 Un importante ruolo del sistema endovanilloide/ endocannabinoide (EV/EC) nella regolazione della massa ossea è stato evidenziato. Il sistema EV/EC è formato dai recettori cannabinoidi di tipo 1 e 2 (CB1/CB2), dal recettore vanilloide TRPV1, dai loro ligandi endogeni 2-arachidonoilglicerolo ed anandamide (2-AG e AEA) e dai loro enzimi di sintesi e degradazione. Recentemente è stato dimostrato che sia cellule osteoclastiche in coltura (OCs) sia campioni bioptici di tessuto osseo di volontari sani esprimono recettori TRPV1 funzionali, CB1, CB2 e gli enzimi di sintesi e degradazione dell’AEA, NAPE-PLD e FAAH, e del 2-AG, DAGL e MAGL.4 È stato inoltre dimostrato che gli agonisti e gli antagonisti dei recettori vanilloidi/cannabinoidi, da soli o in combinazione, sono in grado di modulare l’attività osteoclastica in vitro. In uno studio successivo, è stato evidenziato che l’espressione di TRPV1, CB1 e CB2 sono profondamente modificate negli OCs derivati da donne in menopausa in relazione al grado di OP. In particolare, CB2 e TRPV1 sono rispettivamente ipo- ed iper-espressi negli OCs di pazienti osteoporotiche. Inoltre, la stimolazione persistente di TRPV1 con l’agonista resinferatoxina (RTX), ne determina desensitizzazione ed induce un concomintante e massivo aumento dell’espressione molecolare e proteica di CB2, con conseguente riduzione del numero degli OCs e della loro attività, come evidenziato dalla significativa diminuzione della TRAP.5 Nel presente studio, mediante un approccio multidisciplinare, abbiamo, da un lato, valutato l’espressione e la funzionalità del sistema EV/EC in colture di OCs preparati dal sangue periferico di pazienti TM con e senza OP e, dall’altro, evidenziato il ruolo del ferro nella modulazione di questo sistema, dunque, nell’eziopatogenesi dell’OP del paziente talassemico. Materiali e Metodi. Gli OCs sono stati ottenuti dal differenziamento delle cellule mononucleate del sangue periferico (CMSP) di pazienti talassemici e soggetti sani di pari età e sesso, dopo consenso informato scritto. Le CMSP sono state isolate mediante centrifugazione su Ficoll e diluite in α-Minimal Essential Medium, 10% siero bovino fetale, 100 IU/mL penicillina, 100 g/mL streptomicina e 10% L-glutamina. Le CMSP sono state tenute in coltura per 21 giorni in presenza di 25 ng/mL recombinant human macrophage-colony stimulating factor (rhM-CSF) e 50 ng/mL receptor activator of nuclear factor kappa B ligand (RANK-L), al fine di indurne il differenziamento in Ocs, in presenza o meno di deferoxamina mesilata (DFX) e quindi sottoposte o no a trattamento farmacologico per 48 ore. Gli OCs maturi, sono stati identificati come cellule multinucleate (numero di nuclei≥3) TRAPpositive (TRAP/ALP, Takara Bio, Japan). Dopo estrazione dell’RNA totale mediante Trizol, seguita da RT-PCR, è stata valutata l'espressione di marcatori specifici quali TRAP e catepsina K (CHT K). I campioni di cDNA sono stati amplificati con primers specifici per valutare l'espressione del TRPV1 (varianti 1, 2, 3 e 4 GeneID 7442), CB1 (isoforma a e b [Pediatric Reports 2011; 3:s1] GeneID 1268), del CB2, degli enzimi NAPE-PLD e FAAH, e DAGLA e MAGL rispetto il costitutivo β-actina. Gli amplimeri sono stati separati su gel di agarosio al 2%, l'intensità delle bande rilevata mediante il "Gel Doc 2000 UV System" (Bio-Rad, Hercules, CA) e la loro sequenza verificata per sequenziamento diretto mediante sequenziatore ABI PRISM 310 e tecnica dei Big-Dye Terminators (Applied Biosystem, Forster City, USA). Le colture cellulari differenziante in presenza o assenza di DFX 50 μM sono state trattate con resiniferatoxina (RTX), agonista selettivo TRPV1. I dati relativi ai livelli di espressione molecolare e biochimica sono mostrati come media±deviazione standard. Il test di Student-NeumanKeuls è stato utilizzato per determinare la significatività statistica tra i gruppi a confronto. È stata considerata statisticamente significativa una probabilità inferiore a 0.05, P<0.05. Risultati preliminari. In tale studio dimostriamo che i marcatori di attività osteoclastica TRAP e Cathepsina K, i recettori e gli enzimi del sistema EV/EC sono differentemente espressi in OCs derivati da sangue di pazienti talassemici rispetto a quelli derivati dai controlli. In particolare abbiamo evidenziato un’aumentata espressione di TRAP e CTH K, di CB1, di TRPV1, in particolare della variante 1, e dell’enzima di degradazione del 2-AG, con concomitante riduzione dei livelli di espressione del CB2, degli enzimi del metabolismo dell’AEA e dell’enzima di sintesi del 2-AG. Abbiamo inoltre dimostrato che la modulazione farmacologica degli OCs in vitro mediante l’agonista vanilloide RTX 5 μM è in grado di aumentare l’espressione di CB2 e ridurre drasticamente i livelli di espressione del marcatore di attività osteoclastica catepsina K. Il trattamento con RTX aumenta inoltre l’espressione della variante 3 del TRPV1 espressa preferenzialmente dai controlli e quella della proteina di tipo 1A di interazione dei recettori cannabinoidi (CRIP1A), in accordo all’aumento di CB2 e ad un iperespressione basale di CB1. Mediante saggio di attività enzimatica della TRAP abbiamo dimostrato che l’RTX e la DFX sono in grado di ridurre il numero e l’attività degli OCs e che invece il trattamento con RTX di OCs differenziati in presenza di DFX determina un aumento dell’attività osteoclastica. Conclusioni. I dati preliminari di natura molecolare e cellulare ottenuti in questo studio suggeriscono che l’OP del paziente talassemico indotta dall’accumulo di ferro, che di per sè attiva la TRAP, metallo-proteasi ferro-dipendente, può essere modulata dalla stimolazione del TRPV1 che, essendo iper-espresso, va incontro a desensitizzazione quando stimolato in maniera persistente. Infatti, il trattamen- [page 57] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 to con RTX diminuisce in maniera significativa l’espressione della CTH K, che attiva la TRAP mediante taglio proteolitico, e riduce il numero degli OCs e la loro attività. Concomitantemente si osserva un aumento significativo dell’espressione di CB2, che è stato dimostrato giocare un ruolo antiosteoporotico, in quanto la sua stimolazione con un agonista specifico era in grado di ridurre il numero di OCs TRAP positivi (Rossi, 2011). I dati ottenuti da questo studio apportano nuove evidenze circa l’esistenza di un’interazione funzionale tra CB2 e TRPV1, che potrebbe modulare la regolazione del rimodellamento osseo, caratteristicamente sbilanciato a favore dell’attività osteoclastica nella patologia osteoporotica, anche in presenza di sovraccarico di ferro. CB2 e TRPV1 potrebbero dunque rappresentare un valido bersaglio terapeutico per la cura dell’OP associata alla talassemia. Bibliografia 1 2. 3. 4. 5. Rund D, Rachmilewitz E. Beta-thalassemia. N Engl J Med. 2005;353:113546. Review Perrotta S, Cappellini MD, Bertoldo F, et al. Osteoporosis in beta-thalassaemia major patients: analysis of the genetic background. Br J Haematol. 2000; 111:461-6. Alcantara O, Reddy SV., Roodman GD, Boldt DH. Transcriptional regulation of the tartrate-resistant acid phosphatase (TRAP) gene by iron. Biochem. J. 1994, 298:421-425 Rossi F, Siniscalco D, Luongo L, et al. The endovanilloid/endocannabinoid system in human osteoclasts: possible involvement in bone formation and resorption. Bone (2009). Rossi F. Bellini G. Luongo L., et al. The endovanilloid/endocannabinoid system: A potential target for osteoporosis therapy. Bone 2011 in press. I NCIDENZA, CARATTE RI ZZAZIONE CLINI CA E BAS I MOLECO LARI DEL LE POL ICITEMIE CONGENITE E FAMILIARI CAUS ATE DA UN’ALTERATA RISP OSTA ALLA P RES SI ONE DI OS SIGENO S. Scianguetta,1 M. Ferraro,1 S. Mancusi,1 F. Rossi,1 M. Casale,1 S. Ladogana,3 A. Balduzzi,4 F. Tucci,5 S. Fasoli,6 F. Della Ragione,2 S. Perrotta1 e Gruppo di Lavoro AIEOP “Patologia del Globulo Rosso” 1Dipartimento di Pediatria e 2Biochimica, Seconda Università di Napoli; Oncoematologia Pediatrica 3San Giovanni Rotondo, 4Ospedale San Gerardo Monza, 5Ospedale Meyer di Firenze, 6AO Carlo Poma Mantova, Italia Il progetto ha come obiettivo lo studio dei meccanismi molecolari modulati dalla pressione di O2 con particolare (ma non esclusiva) attenzione al loro [page 58] ruolo nell'eritropoiesi umana. Lo studio verrà condotto su una ampia coorte di soggetti affetti da policitemia (eritrocitosi) congenita dovuta ad alterazioni delle vie modulate dall'ossigeno, ed integrerà capacità ed esperienze nel campo della clinica, genetica e biochimica/biologia funzionale. I risultati attesi non solo forniranno informazioni sulle basi molecolari dell'eritrocitosi ereditaria ma anche chiariranno ulteriori aspetti dei processi regolati dall'O2. I meccanismi attraverso i quali variazioni della pressione di O2 attivano risposte adattatrici sono estremamente complessi e solo in parte chiariti. In breve, bassi livelli di O2 (al di sotto del 4%) determinano un aumento del fattore di trascrizione HIF-alfa e, di conseguenza, dell'espressione dei suoi geni bersaglio (inclusa l'eritropoietina, il VEGF, i trasportatori del glucosio, gli enzimi della glicolisi anaerobiotica ed i geni del metabolismo del ferro e della sopravvivenza cellulare). Il controllo di O2 sulle isoforme di HIF-alfa (HIF-1alfa ed HIF-2alfa) avviene attraverso un meccanismo post-trascrizionale. Infatti, l'ipossia impedisce la rimozione di HIF-alfa che normalmente richiede l'idrossilazione di due proline (attraverso specifiche idrossilasi, PHD), ubiquitinazione dovuta ad un complesso E3 ligasi che include la proteina di von Hippel-Lindau (VHL) e la degradazione proteosomica. Livelli normali di O2, al contrario, permettono una rapida rimozione di HIF-alfa e livelli estremamente bassi del fattore di trascrizione. Poiché l'emivita della proteina è minore di 5 minuti in normossia, l'induzione ipossica è praticamente istantanea. Infatti, sebbene il termine "fattore indotto dall'ipossia (HIF)" implichi una sua maggiore espressione, in realtà l'aumento di HIF è dovuto ad una sua più lenta degradazione. Le vie di risposta all'ossigeno giocano un ruolo chiave in importanti patologie umane incluse il cancro (infatti la crescita tumorale è dipendente da una efficace neovascolarizzazione ipossia-dipendente), l'ictus cerebrale e l'infarto del miocardio. Il ruolo che HIF gioca nella biologia del cancro è confermato da studi di immunoistochimica che hanno dimostrato livelli normali di HIF-alfa nei tumori benigni, elevati livelli in numerosi tumori primari, e addirittura un ulteriore incremento nelle metastasi. Fin quando un tumore non guadagna una adeguata vascolarizzazione, la porzione interna del cancro diviene progressivamente ipossica e prolifera limitatamente. Pertanto, l'aumentata espressione di HIF-alfa può essere considerato un fattore che favorisce la progressione del tumore. D'altro canto, HIFalfa gioca un ruolo positivo nella risposta tissutale al danno che segue alla compromissione del flusso ematico ad organi [Pediatric Reports 2011; 3:s1] essenziali come il cervello ed il cuore. Quando un paziente sviluppa una occlusione acuta delle coronarie, si verifica un rapido aumento dell'espressione di HIFalfa e di VEGF nel miocardio. Un efficace rimodellamento della vascolarizzazione che segue ad un danno ischemico dipende da un complesso ed integrato programma di espressione di geni HIF-dipendenti. L'espressione tessuto-specifica di HIF-alfa in un animale transgenico risulta in una ben ordinata angiogenesi, mentre l'overespressione di VEGF porta alla formazione di vasi instabili e a processi infiammatori. Queste osservazioni sperimentali sono importanti nella progettazione di interventi terapeutici volti a migliorare la neovascolarizzaizone successiva ad occlusione arteriosa acuta. Prendendo in considerazione queste osservazioni, è evidente il significativo interesse associato ad interventi farmacologici sui meccanismi molecolari regolati dall'ipossia.Nonostante le dimensioni cliniche ed economiche, evidenziate dal gran numero di studi di base ed applicati sull'ipossia, esistono numerose domande che richiedono urgente risposta allo scopo di accelerare il trasferimento della ricerca di base alle applicazioni cliniche. Queste domande includono: - Quali sono i meccanismi sensoriali dell'ossigeno presenti nei vasi sanguigni (particolarmente quelli polmonari, cardiaci e cerebrali)? - Come sono espresse le varie isoforme di PHD (PHD1-3) che inducono l'ubiquitinazione/degradazione di HIF? - Quali sono i substrati delle varie isoforme di PHD (in altre parole esiste una specificità di PHD verso le isoforme di HIF-alfa)? - Quali sono le conseguenze cliniche della manipolazione di HIF o di PHD? - Queste manipolazioni hanno effetto sulla progressione dei tumori o sulla sopravvivenza dopo infarto o ictus? Negli ultimi anni, il gruppo di ricerca proponente il progetto ha raccolto un gran numero di soggetti affetti da policitemia congenita (119 casi). Dopo una dettagliata analisi genetica di circa la metà dei casi, abbiamo identificato: a) un cluster di policitemia tipo Chuvash (dovuta a mutazione C598T del gene VHL) nell'isola di Ischia (1); b) 8 nuove mutazioni di VHL, c) 2 nuove mutazioni del gene HIF2alfa (2), e d) una nuova mutazione di EPOR (3, 4). Circa metà della coorte (52 casi) non è stata ancora studiata e dei casi studiati (68 pazienti) in più della metà non abbiamo identificato mutazioni. La disponibilità per la prima volta di un gran numero di casi con alterazioni genetiche congenite, tutte coinvolte nelle vie di risposta alla pressione di O2, AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 può portare al chiarimento delle molte domande presenti sui meccanismi correlati all'ipossia. Sulla base di quanto descritto, il nostro progetto ha i seguenti scopi: 1. Costruzione di un registro e di una banca dei casi italiani di policitemia congenita; 2. Caratterizzazione molecolare e clinica di pazienti con policitemia dovuta a mutazioni VHL; 3. Caratterizzazione clinica e molecolare di pazienti con policitemia dovuta a mutazioni di HIF-2alfa; 4. Caratterizzazione clinica e molecolare di pazienti policitemici con base genetica ignota; 5. Analisi della funzione/struttura dei mutanti di VHL/HIF-2alfa; 6. Analisi delle vie sensibili all'O2 nei precursori eritroidi ed endoteliali da pazienti con mutazioni di VHL e HIF-2alfa. Quest'ultimo obiettivo merita particolare attenzione in rapporto all'importanza delle cellule endoteliali ed eritropoietiche nei processi di angiogenesi ed eritropoiesi. Numerose considerazioni suggeriscono che gli obiettivi proposti possono essere raggiunti. Prima di tutto, i casi di policitemia descritti sono già arruolati nel nostro registro. Casi sono stati raccolti di recente ma non sono riportati. Secondo, l'interesse sull'argomento è presente da vari anni e ha dato numerosi ed interessanti risultati sull'eritropoiesi, in generale, e sui meccanismi sensori dell'O2 nella policitemia, in particolare. Terzo, l’inserimento di tale progetto nell’ambito del Gruppo di lavoro AIEOP sulla “Patologia del Globulo Rosso” consente di poter identificare la quasi totalità di casi affetti da eritrocitosi congenita italiani con la possibilità di centralizzare le indagini per quanto riguarda gli aspetti genetici, meccanicistici e biochimici. I risultati ottenuti permetteranno di ottenere nuove informazioni sui meccanismi controllati dalla pressione di ossigeno utili per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Inoltre, ci attendiamo di chiarire nuovi aspetti della policitemia congenita, una malattia eterogenea con prognosi negativa, di cui ancora non sono definite le basi molecolari delle varie forme e che ha ancora assoluta necessità di una classificazione razionale. Bibliografia 1. Perrotta S. et al. Von Hippel-Lindaudependent polycythemia is endemic on the island of Ischia: identification of a novel cluster. Blood. 107:514, 2006 2. Perrotta S and Della Ragione F. The HIF2A gene in familial erythrocytosis. N Engl J Med. 358:1966, 2008 3. Della Ragione F, Cucciolla V, Borriello A, Oliva A, Perrotta S. Erythropoietin receptors on cancer cells: a still open question. J Clin Oncol. 2007 May 1;25(13):1812-3; 4. Perrotta S et al. EPO receptor gain-of- function causes hereditary polycythemia, alters CD34 cell differentiation and increases circulating endothelial precursors. PLoS One. 2010 Aug 5;5(8):e12015. VALUTAZIONE DELL’EFFETTO ANTITUMORALE IN VIVO DELL’INIBIZIONE DI MYCN IN MODELLI MURINI XENOGRAFT ORTOTOPICI BIOLUMINE S CE NTI D I NE UR OBL AS TO MA MYCN-AMPLIFICATO L. Venturelli,1 E. Bergantin,1 E. Cantelli,1 A. Fascì,1 L. Montemurro,1 A. Roda,2 P. Hrelia,3 A. Pession,1 R. Tonelli,13 1Oncologia ed Ematologia Pediatrica ‘Lalla Seragnoli’, Università di Bologna; 2Dip. Scienze Farmaceutiche, Università di Bologna; 3Dip. di Farmacologia, Università degli Studi di Bologna, Bologna, Italia. ; 4Autore Referente: Leonardo Venturelli, Oncologia ed Ematologia Pediatrica ‘Lalla Seragnoli’, Università degli Studi di Bologna, Introduzione, Italia Il Neuroblastoma (NB) è il più comune tumore solido extracranico dell’infanzia e origina dalla cresta neurale. Nel 25% dei casi il NB si presenta con amplificazione dell’oncogene MYCN, fattore prognostico associato ad una cattiva prognosi. MYCN è deputato al controllo della progressione tumorale e della resistenza ai farmaci. La funzione di attivatore e repressore trascrizionale dell’oncogene MYCN gli consente di alterare un elevato numero di geni, di conseguenza permette al NB di evolversi e di sviluppare resistenza nei confronti dei trattamenti antiblastici. Per questa ragione vi è la necessità di sviluppare nuove strategie terapeutiche per il neuroblastoma MYCN-Amplificato (MA-NB). Lo scopo del presente lavoro è di valutare l’effetto dell’inibizione specifica di MYCN nella tumorigenesi e progressione del MANB, tramite utilizzo di modelli murini xenograft ortotopici bioluminescenti di MA-NB. Materiali e metodi. I modelli murini xenograft ortotopici bioluminescenti di MANB utilizzati sono stati sviluppati all’interno del laboratorio. I modelli ortotopici sono stati ottenuti tramite iniezione di linee cellulari di MA-NB, ingegnerizzate con il gene della luciferasi, nella ghiandola surrenale di topi NOD/SCID. L’evoluzione tumorale è stata analizzata tramite Imaging Bioluminescente (BLI) a partire dal giorno dell’inoculo, ogni settimana. Il PNA anti-MYCN utilizzato è stato somministrato per infusione continua tramite l’impianto s.c. di una “osmotic pump” (ALZET®) a rilascio controllato. La progressione tumorale è stata valutata tramite Imaging Bioluminescente. La “osmotic pump” (ALZET®) è stata impiantata intrascapolare s.c., quando il [Pediatric Reports 2011; 3:s1] segnale bioluminescente dimostrava positività. Sono stati utilizzati topi di controllo, a cui è stata impiantata una pump contenente soluzione fisiologica e topi trattati con pump contenente PNA specifico anti-MYCN. Le “osmotic pump” sono state rimosse dopo quattro settimane dall’impianto come previsto dal protocollo sperimentale. Tutti gli animali utilizzati sono stati sacrificati al primo segno di sofferenza, stabilito come eticamente accettabile. Risultati. L’inibizione dell’oncogene MYCN tramite PNA ha mostrato un consistente effetto anti-tumorale in vivo nei modelli murini xenograft ortotopici di MA-NB, come rilevato dalla significativa differenza del segnale bioluminescente dei topi trattati con PNA anti-MYCN rispetto ai tropi trattati con soluzione fisiologica. Inoltre, l’inibizione dell’oncogene MYCN ha portato anche ad un aumento significativo della sopravvivenza degli animali. Conclusioni. L’inibizione dell’oncogene MYCN si è dimostrato essere un efficace bersaglio anti-tumorale per contrastare la progressione tumorale del MA-NB in vivo nel modello murino. Il presente studio in vivo nel modello murino ha confermato l’effetto del PNA precedentemente osservato in vitro in cellule di MA-NB. Il monitoraggio in tempo reale tramite imaging bioluminescente non invasivo ha permesso di rilevare precocemente l’insorgenza e monitorare l’evoluzione dei MA-NB. Inoltre ha permesso la valutazione e il monitoraggio dell’efficacia del trattamento. Bibliografia 1. Maris JM, Hogarty MD, Bagatell R, et al. Neuroblastoma. Lancet 2007:369(9579): 2106-2120. 2. Kerbel, R.S. Human tumor xenografts as predictive preclinical models for anticancer drug activity in humans: better than commonly perceived-but they can be improved. Cancer Biol Ther. 2003 JulAug;2(4 Suppl 1):S134-9. Review. 3. Dickinson P.V. et al., In vivo bioluminescence imaging for early detection and monitoring of disease progression in a murine model of neuroblastoma. J Pediatr Surg. 2007 Jul;42(7):1172-9 4. Tonelli R, Purgato S, Camerin C, et al. Anti-gene peptide nucleic acid specifically inhibits MYCN expression in human neuroblastoma cells leading to cell growth inhibition and apoptosis. Mol Cancer Ther 2005:4(5):779-786. 5. Pession A, Tonelli R. The MYCN oncogene as a specific and selective drug target for peripheral and central nervous system tumors. Curr Cancer Drug Targets 2005:5(4):273-283. [page 59] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 GENERAZIONE IN VITRO DI LINFOCI TI T CITOTOS SI CI SP ECIFICI P ER L'HERPE SVIRUS 6 UMANO (HH V6) DA UTILIZZARE P ER RICOSTI TUI RE L’IMMUNITÀ SPE CI FI CA DOPO TRAP IANTO ALLOGENICO DI CELLULE S TAMINALI EMOP OIETICHE I. Guido, G. Quartuccio, A. Gurrado, L. Piantoni, M. Cava, R. Galiano, N. Zavras, R. Raschetti, V. Burzio, R. Maccario, M. Zecca, P. Comoli, S. Basso Oncoematologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo", Pavia, Italia. Introduzione. Gli herpesvirus 6 umani sono virus a DNA con una sieroprevalenza > 90% negli adulti. Gli HHV-6 persistono nell’uomo in uno stato di latenza, nei monociti e nei macrofagi, e nelle cellule dell’epitelio bronchiale, orofaringeo e salivare1 Dopo trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE), l’HHV-6 è stato associato ad un ritardato attecchimento, e ad un aumento della mortalità. L’ infezione si manifesta a 2-4 settimane dal trapianto; le manifestazioni cliniche includono febbre, trombocitopenia, leucopenia, polmonite interstiziale, epatite colestatica, gastroduodenite e pancreatite, colite, encefalite, e meningoencefalite.2 Sono stati descritti due differenti HHV-6 umani, il virus A e il virus B. L’HHV6B causa più comunemente infezione nei riceventi un TCSE. I virus HHV6 sono suscettibili in vitro a ganciclovir e foscarnet. Tuttavia, alcuni ceppi di HHV6B possono essere resistenti al ganciclovir.3 Basandosi sull’evidenza che la patologia correlata alle infezioni da herpesvirus nell’ospite immunocompromesso origina da un difetto della risposta immune cellulare, studi clinici hanno dimostrato come la somministrazione di linfociti non manipolati o, meglio, di linfociti T citotossici virus-specifici espansi in vitro, potesse prevenire o trattare efficacemente la PTLD EBV-correlata o la polmonite interstiziale CMV-associata in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche o di organi solidi.4-5 La terapia T cellulare potrebbe rappresentare una opportunità unica di ricostituire la sorveglianza immune antivirale e controllare l’infezione e/o la malattia virus-correlata nei pazienti che non hanno una risposta immune HHV-6specifica, e con una infezione resistente ai farmaci antivirali. Scopo del presente studio è stato di investigare la fattibilità di una strategia di terapia T-cellulare per ricostituire l’immunità specifica per HHV6B dopo TCSE allogenico. Materiali e metodi. Abbiamo condotto esperimenti di scale-up al fine di validare un metodo di coltura in vitro per espan- [page 60] dere cellule T specifiche per HHV-6B da 14 donatori di CSE HLA-aploidentici, attraverso la stimolazione di cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) con un pool di peptidi 15-mer derivati dalla proteina U54 di HHV-6B. Le linee cellulari così ottenute sono state caratterizzate mediante analisi fenotipica, e testate per specificità mediante analisi della produzione di IFNg in saggi ELISPOT e della citotossicità in saggi di rilascio di cromo 51. Inoltre, è stata valutata la sicurezza, mediante analisi dell’alloreattività residua verso cellule del ricevente in saggi di citotossicità, e mediante valutazione di sterilità. Risultati preliminari. Le linee T-cellulari sono state generate con successo da 13 dei 14 donatori testati, ed includevano una prevalenza di linfociti T CD4+, con numeri variabili di cellule CD8+ e CD56+. La secrezione di INFγ in risposta ad HHV6, misurata in saggi Elispot, è risultata consistentemente più alta (mediana 89 SFU/105 cellule, range 0-508) delle PBMC di controllo non stimolate o stimolate con antigene non rilevante del donatore (mediana 2 SFU/105 cellule, range 0-49). Dodici delle 13 linee T-cellulari presentavano attività citotossica specifica verso HHV6 in un saggio standard di rilascio di 51cromo (mediana 13%, range 4-83). Solo 1 delle 12 linee mostravano alloreattività residua. La lisi osservata era principalmente HLA class II-ristretta, quindi mediata dai linfociti T CD4+. Una delle 2 linee T-cellulari che mostravano una bassa attività citotossica specifica e la linea T che non aveva attività litica virusspecifica mostrvano una frequenza alta di cellule che producevano INFγ nei test ELISPOT (484 e 170 SFU/105 cellule, rispettivamente). Le linee ottenute si sono rivelate sterili nei test batteriologici e virologici di sicurezza. Conclusioni. I nostri risultati preliminari indicano che è possibile generare ed espandere linee T cellulari CD4+ HHV-6Bspecifiche con efficiente attività antivirale in vitro, e scarsa/assente citotossicità verso cellule target del ricevente, da PBMC di donatori di cellule staminali emopoietiche HLA-aploidentici dopo stimolazione con peptidi derivati dalla proteina HHV-6 U54. L’efficacia clinica di queste cellule T per prevenire o curare le complicanze HHV6relate post-trapianto andrà validata in studi clinici controllati. Bibliografia 1. Clark DA, Griffiths PD. Human herpesvirus 6: relevance of infection in the immunocompromised host. Br J Haematol 2003; 120: 384–395 2. Ogata M, Kikuchi H, Satou T, et al. Human herpesvirus 6 DNA in plasma [Pediatric Reports 2011; 3:s1] after allogeneic stem cell transplantation: Incidence and clinical significance. J Infect Dis 2006; 193: 68. 3. Fischer SA. Emerging viruses in transplantation: there is more to infection after transplant than CMV and EBV. Transplantation 2008; 86:1327-1339 4. Comoli P, Basso S, Zecca M, et al. Preemptive therapy of EBV-related lymphoproliferative disease after pediatric haploidentical stem cell transplantation. Am J Transplant. 2007; 7:1648-1655. 5. Feuchtinger T, Roosnek E, Rufer N, et al. Adoptive transfer of pp65-specific T cells for the treatment of chemorefractory cytomegalovirus disease or reactivation after haploidentical and matched unrelated stem cell transplantation. Blood 2010 116:4360-67 ANALIS I DELLA RICO STITUZIONE DE LL’IMMUNITÀ CELLULARE SPECI FI CA P ER POLY OMAVIRUS BK DO PO TRAPI ANTO ALLO GENI CO DI CE LLULE STAMINAL I EMOP OIETICH E G. Quartuccio, I. Guido, A. Gurrado, L. Piantoni, M. Cava, R. Galiano, P. Guerini, G. Ottonello, N. Zavras, R. Maccario, M. Zecca, P. Comoli, S. Basso Oncoematologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo", Pavia, Italia Introduzione.. La cistite emorragica è un’importante causa di morbidità e di occasionale mortalità in pazienti sottoposti a TCSE.1-3 La CE ad insorgenza tardiva, clinicamente più severa e protratta della CE dovuta all’impiego dei diversi regimi di condizionamento al trapianto, deve la sua eziologia a vari fattori,1-3 tra i quali l’infezione da BKV sembra essere uno dei maggiori determinanti.4 È stato proposto che la patogenesi delle patologie BKV-mediate sia multifattoriale, legata ad un danno tissutale, a fattori legati al virus e a fattori legati al paziente, determinanti che contribuiscono tutti alla progressione del danno d’organo.3 La patologia BKV-associata nel trapianto renale è dovuta, per la gran parte, all’effetto citopatico diretto del virus, ed è stato dimostrato come una pronta ricostituzione della risposta immune cellulare specifica per il virus, in seguito a riduzione della terapia immunosoppressiva, possa condurre alla clearance virale, prevenendo lo sviluppo della patologia, o favorendone la rapida risoluzione.5 Nell’ambito del TCSE, non è stato ancora dimostrato se la patologia legata a BKV sia dovuta ad un danno diretto, o, piuttosto, ad un danno mediato da cellule del sistema immunitario in ricostituzione, nel tentativo di eliminare il virus dall’organismo dell’ospite (malattia da immunoricostituzione). La somministrazione AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 dei farmaci chemioterapici e della radioterapia previsti dai vari regimi di condizionamento causa un danno all’epitelio vescicale, e ed una conseguente rigenerazione cellulare, creando un ambiente ottimale per la riattivazione e la diffusione di BKV. In questo microambiente, le cellule emopoietiche rigenerate dalle cellule staminali del donatore, richiamate da fattori chemotattici, potrebbero dare luogo ad una risposta infiammatoria, contribuendo al danno tissutale e allo sviluppo di CE. In questo particolare contesto clinico, la ricostituzione dell’immunità T cellulare BKV-specifica potrebbe ulteriormente amplificare la risposta infiammatoria, esacerbando la patologia, o, al contrario, contribuire ad una rapida risoluzione, mediante la distruzione delle cellule infettate e il conseguente contenimento della diffusione virale. Al momento, non esiste una terapia farmacologica efficace per l’infezione da BKV e il trattamento della CE BKV-associata si basa su misure di natura esclusivamente sintomatica.2 Una strategia di terapia cellulare con linfociti T BKV-specifici potrebbe costituire un valido presidio terapeutico, in grado di prevenire l’insorgenza o trattare la patologia in assenza di tossicità rilevante.5 In quest’ottica, la definizione del ruolo della risposta immune cellulare nella CE BKVcorrelata potrebbe rivestire particolare importanza, in quanto, se venisse confermato un ruolo facilitante dell’immunità cellulare specifica nella risoluzione dell’infezione, questo dato potrebbe costituire la base scientifica per lo sviluppo di un programma di terapia cellulare per la CE BKV-correlata. Lo scopo di questo studio è stato, quindi, di valutare il legame tra la risposta Tcellulare specifica per BKV e lo sviluppo/risoluzione di CE in pazienti pediatrici sottoposti a TSCE. Materiali e metodi. È stata analizzata la ricostituzione immunologica in un gruppo di riceventi di TCSE da donatore familiare HLA-identico o aploidentico, o da donatore non correlato, in funzione della positività urinaria per BKV e allo sviluppo di CE. In particolare, l’analisi della risposta cellulare specifica per la proteina strutturale BKV VP1 e la proteina regolatoria BKV Large T è stata valutata a vari tempi dopo il trapianto mediante analisi della produzione di IFNg in saggi ELISPOT e della citotossicità in saggi di rilascio di cromo 51 da parte di linfociti del paziente a fresco o coltivati in vitro per 8-10 giorni in presenza degli antigeni virali. Un controllo negativo, rappresentato dalla risposta ad un antigene irrilevante ed un controllo positivo (risposta alla PHA) sono stati inclusi nel test. Risultati preliminari. Abbiamo potuto osservare come la ricostituzione dell’immunità cellulare specifica per BKV possa essere un fenomeno precoce dopo TCSE, e come anche i riceventi di TCSE T-depletato da donatore HLA-aploidentico siano in grado di rispondere precocemente ad una riattivazione da BKV. La frequenza di cellule specifiche per VP1 e LT nei pazienti con CE all’esordio risulta bassa o assente (<30 spot-forming units, SFU/105 cellule coltivate in vitro), così come la citotossicità specifica. Anche la risposta alla PHA in questa coorte risulta bassa, ad indicare una generale immunodeficienza del compartimento cellulare. L’analisi delle risposte immuni cellulari nei pazienti con CE in risoluzione, tuttavia, mostra un significativo aumento della frequenza di cellule producenti IFNγ in risposta alle proteine di BKV. Conclusioni. Si può, quindi, ipotizzare che i pazienti con CE all’esordio abbiano un deficit della risposta immune cellulare, che include l’assenza di linfociti T BKV-specifici, e che la ricostituzione dell’immunità BKV-specifica coincida con la risoluzione della patologia. Bibliografia 1. Brugieres L, Hartman O, Travagli JP et al.: Hemorrhagic cystitis after high-dose chemothepy and bone marrow transplantation in children with malignancies: incidence, clinical course and outcome. J Clin Oncol 1989; 7:194-199 2. Harkensee C, Vasdev N, Gennery AR et al.: Prevention and management of BKvirus associated haemorrhagic cystitis in children following haematopoietic stem cell transplantation a systemic review and evidence-based guidance for clinical management. Br J Haematol 2008;142: 717-31 3. Hirsch HH, Steiger J: Polyomavirus BK. Lancet Infect Dis 2003 ; 3: 611-623. 4. Erard V, Kim HW, Corey L et al. : BK DNA viral load in plasma : evidence for an association with hemorrhagic cystitis in allogenic hematopoietic cell transplant recipients. Blood 2005; 106:1130-1132. 5. Ginevri F, Hirsch HH, Comoli P. Cellular immune responses to BK virus. Curr Opin Organ Transplant 2008; 13:569-574. ANALISI DEL MECCANI SMO DI FO RMAZIO NE DELL A TRASLO CAZI ONE S BI LANCIATA DER19 T(1,19) NE LLA LEUCEMI A LINFOBLASTICA ACUTA. N. Musso,1,2 C. Capizzi,2 L.Lo Nigro,4 V. Barresi,1,2,3 D.F. Condorelli1,2,3 1Laboratorio sui Sistemi Complessi, Scuola Superiore di Catania,Università di Catania, Italia; 2Dipartimento di Scienze Chimiche, Sezione di Biochimica, Università di Catania, Italia; 3Laboratorio C.I.R.E.S., Facoltà diMedicina,Università [Pediatric Reports 2011; 3:s1] di Catania, Italia; 4Centro di Riferimento di Ematologia ed Oncologia Pediatrica Azienda Policlinico-OVE Catania, Italia Introduzione. La t(1;19)(q23;p13) rappresenta una delle forme più comuni di traslocazione nelle leucemie linfoblastiche acute (ALL) con una frequenza pari al 3%-6% dei casi maggiormente presenti nell’età pediatrica. Citogeneticamente si presenta in 2 forme, bilanciata e sbilanciata ed in ambedue i casi porta alla formazione di un prodotto di fusione oncogenico con le sequenze di DNA-binding del gene PBX1 sotto il controllo del TCF3 (E2A) sul cromosoma derivativo 19 (der19). Il prodotto PBX1/E2A espresso in modo costitutivo è responsabile di proliferazioni incontrollate maligne di precursori delle cellule B. Riguardo il meccanismo che dà origine alla traslocazione sbilanciata, più frequente, Paulsson e coll. (2005) hanno ipotizzato, mediante analisi di microsatelliti e PCR quantitativa fluorescente eseguita su campioni di t(1;19) con traslocazione sbilanciata, un meccanismo di formazione del der19t(1;19) da un clone con una primaria trisomia. La tecniche di citogenetica classiche come la determinazione del cariotipo e l’ibridazione in situ (FISH) sono state e sono ampiamente utilizzate e sono in grado di rivelare questo tipo di anomalie ma la recente introduzione di piattaforme ad alta risoluzione genomica permette di fornire ulteriori informazioni riguardo il numero di copie, la qualità e la dimensione delle alterazioni cromosomiche. È possibile rilevare, su scala genomica globale, anomalie cromosomiche microscopiche (>3Mb) e submicroscopiche (10Kb-3Mb) quali delezioni, inserzioni ed amplificazioni utilizzando i DNA chip a sintesi fotolitografia (SNP Array 6.0, Affymetrix, Santa Clara, CA). Essi sono composti da sonde bi-alleliche per la rivelazione di SNPs (single nucleotide polymorphisms) e sonde monoalleliche per la rivelazione di CNVs (copy number variations). I CNVs sono regioni con numero variabile di copie geniche. Gli SNP arrays sono in grado di rivelare anche il fenomeno della perdita di eterozigosità (loss of heterozygosity, LOH), sia con delezione (deletion-LOH) sia senza delezione (copy neutral-LOH, CNLOH). In questo studio, utilizzando un parametro dell’analisi “SNP-array” denominato “allele difference”, è stato ipotizzato un nuovo meccanismo responsabile di una traslocazione sbilanciata der(19)t(1;19). Materiali Metodi. Prelievo e raccolta dei campioni,estrazione del DNA. Il DNA genomico di ciascun paziente in fase di diagnosi e di remissione morfologica (78 giorni dalla diagnosi) sarà estratto da tessuto e da sangue mediante QIAamp [page 61] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 DNA Mini Kit (Quiagen).La concentrazione e la qualità del DNA sarà determinata utilizzando uno spettrofotometro ND1000 (NanoDrop, Thermo Scientific, USA). Analisi genomica mediante SNP-Array. Gli SNP arrays utilizzati in questo studio sono i Genome-Wide Human SNP Array 6.0 (Affymetrix), vetrini di silicio di 1.63 cm2 sui quali sono depositati migliaia di oligonucleotidi (probes: 25 mer) con i quali è possibile analizzare in un solo esperimento circa 1.800.000 variazioni genetiche diverse (906.000 sonde bi-alleliche per la rivelazione di SNPs, single nucleotide polymorphisms, e 946.000 sonde monoalleliche per la rivelazione di CNVs, copy number variants). I campioni saranno preparati secondo il protocollo dell’Affymetrix: digestione mediante gli enzimi Nsp1 e Sty1; reazione di “ Ligation” dei campioni di DNA digerito con opportuni adattatori con estremità coesive per l’enzima Sty e l’Nsp; reazione di amplificazione mediate reazione di polimerazione a catena (PCR) del DNA digerito. Purificazione dei prodotti amplificati mediante biglie magnetiche; quantificazione e frammentazione dei prodotti purificati con enzima DNasi; marcatura dei frammenti con l’enzima terminal trasferasi; ibridazione di ogni campione mediante Genome - Wide Human SNP Array 6.0. Colorazione degli array con la streptavidina- ficoeritrina e lavaggio mediante la stazione fluidica “Fluidics Station 450” ed infine scansione degli array mediante “GeneChip® Scanner 3000 7G”. Analisi bioinformatica e statistica. Per l'analisi delle aberrazioni cromosomiche e per il confronto tra tessuto normale e tessuto tumorale i dati degli “SNP-array” sono stati analizzati con il software “Affymetrix Genotyping Console™ versione 3.02”, che consente di analizzare i “file.cel” provenienti dagli arrays e specifici algoritmi e softwares di bioinformatica messi a punto dal nostro gruppo di ricerca (Barresi V et al., 2010). Risultati e Conclusioni. L’analisi con gli “SNP-array” è stata condotta su 4 casi di t(1;19), in osservazione e trattati presso il Centro di Riferimento di Ematologia ed Oncologia Pediatrica dell’Azienda Policlinico dell’Università di Catania e su 17 campioni DNA in fase di diagnosi e di remissione i cui dati dell’analisi SNParray sono stati depositati presso il NCBI Gene Expression Omnibus (GEO, http://www.ncbi.nlm.nih.gov/geo/) con l’accession number GSE5511 (Mullinghan et al., 2007). L’analisi condotta sul DNA dei 4 campioni t(1;19) ha confermato i dati della citogenetica che mostrava due cariotipi con t(1;19) bilanciata e senza variazioni del numero di copie e due con t(1;19) sbilanciata e presenza [page 62] del der1(t1,19). I dati citogenetici sono stati confermati con i seguenti parametri del software “Genotyping Console”: “Log2Ratio” and “Allele Difference”. Il “Log2Ratio” si riferisce al segnale di ogni marcatore allelico in ciascun campione e il corrispondente valore medio in un gruppo di riferimento (270 individui HapMap) e prevede una stima del numero di copie mentre “l’allele difference” è la differenza del segnale dell’allele A e dell’allele B normalizzati in base al loro valore mediano della popolazione di riferimento HapMap. In presenza di un genotipo diploide sono presenti 3 bande, che si riducono a 2 in caso di perdita di eterozigosità con o senza variazioni del numero di copie. La presenza di 4 bande indica trisomia. In questi campioni l’analisi dei CN-LOH è risultata negativa. L’analisi condotta sui 17 campioni GSE5511 ha rivelato la presenza di 15 cariotipi con der19(t1,19) ed 2 con t(1,19). L’analisi di genotipizzazione con l’allele difference in tutti i casi analizzati con der19(t1,19) mostrava un pattern a 3 bande per il cromosoma 1, braccio p e braccio q(cent-23.3) tipici di un corredo diploide ed un pattern a 4 bande per il cromosoma 1 braccio q(23.3-tel) indicativi di una condizione trisomica. I nostri dati confermano che, in accordo con quanto suggerito da Paulsson e coll. (2005), il meccanismo che prevede la perdita del der1 e la duplicazione del cromosoma 1 rimanente (con conseguente perdità di eterozigosità) non possa essere responsabile dei quadri cariotipici osservati. Inoltre, in un caso di der19(t1,19), l’analisi SNP-array ha rivelato un pattern a tre bande per il cromosoma 1p, una regione di CN-LOH nel braccio q(21.1-23.3) ed un pattern a 4 bande nel braccioq(23.3-tel). Questo pattern suggerisce un diverso meccanismo di formazione della traslocazione sbilanciata der19(t1,19) caratterizzato da una riparazione del der(1) mediante sintesi del braccio q sullo stampo del cromosoma omologo. Bibliografia 1. Barresi V, Romano A, Musso N, et al. Broad copy neutral-loss of heterozygosity regions and rare recurring copy number abnormalities in normal karyotype-acute myeloid leukemia genomes. Genes Chromosomes Cancer. 2010; 49(11): 1014-23. 2. Mullighan CG, Goorha S, Radtke I, et al. Genome-wide analysis of genetic alterations in acute lymphoblastic leukaemia. Nature. 2007; 446 (7137): 75864. 3. Paulsson K, Horvat A, Fioretos T, et al. Formation of der(19)t(1;19)(q23;p13) in acute lymphoblastic leukemia. Genes Chromosomes Cancer. 2005;42(2):144-8. [Pediatric Reports 2011; 3:s1] IL GENE DI FUS IO NE P AX5/TEL CAUS A IL BLOCCO DEL B-CELL RECEP TOR, L’OVERESP RE SSIONE DI LCK E L’ATTI VAZI ONE DI VI E DI SEGNALE ALTERNATIVE IN CELLULE PRE-BI MURINE. V. Cazzaniga,1,2 C. Bugarin,1 C. Palmi,1 A. Rolink,3 G. Gaipa,1 A. Biondi,1 G. Fazio,1 G. Cazzaniga1 1Centro Ricerca Tettamanti, Clinica Pediatrica, Università di Milano-Bicocca, Monza, Italia; 2Programma di dottorato DIMET, Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università di MilanoBicocca; 3Università di Basilea, Basilea, Svizzera Introduzione. Il trascritto di fusione PAX5/TEL è originato dalla traslocazione t(9;12)(q11;p13), identificata in pazienti affetti da Leucemia Acuta Linfoblastica (LAL) a fenotipo B. Tale traslocazione coinvolge due geni essenziali per lo sviluppo ed il differenziamento dei linfociti B. Il gene TEL codifica per un repressore sequenza-specifico della trascrizione, frequentemente coinvolto con numerosi partners di traslocazione nei tumori sia ematologici che solidi. Più recentemente, il gene PAX5 è stato descritto come target di anomalie genetiche di vario tipo, quali delezioni, mutazioni e traslocazioni, nel 30% dei casi pediatrici di LAL dei precursori delle cellule B. Da risultati preliminari ottenuti dal nostro gruppo in cellule pre-BI è emerso che PAX5/TEL agisce in modo predominante da repressore della trascrizione ed in particolare è in grado di reprimere numerosi geni target diretti di PAX5, alterando i processi di migrazione e adesione cellulare e del segnale associato al B Cell Receptor (BCR). Sulla base di questi dati, è possibile ipotizzare che le cellule pre-BI PAX5/TEL positive non utilizzino solo il signaling del pre-BCR come via necessaria per la sopravvivenza e la proliferazione cellulare, ma possano prediligere vie di segnale alternative per i precursori B. Scopo di tale lavoro è di identificare le principali vie di segnale attivate da PAX5/TEL per garantire la sopravvivenza cellulare e il mantenimento del clone leucemico. Materiali Metodi. Il modello in vitro è costituito da cellule primarie pre-BI murine in co-coltura con stroma midollare OP9 in terreno IMDM, in presenza di IL-7 e di FBS. Tali cellule sono isolate dal fegato fetale di topi donatori geneticamente normali e purificate tramite sorting per la positività agli antigeni c-KIT, B220 e CD19. Sia il modello cellulare preBI che le tecniche di trasduzione retrovirali sono state ottimizzate nel nostro laboratorio. L’analisi del profilo di espressione genica di cellule pre-BI AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 PAX5/TEL e pre-BI MIGR-GFP sono state condotte con la tecnologia Affymetrix GeneChip; le validazioni dei dati ottenuti sono state effettuate utilizzando RQ-PCR con UPL probe library system (Roche). L’analisi dei livelli di espressione proteica di LCK totale e fosforilato saranno effettuati tramite western blot. Le analisi dei livelli di fosforilazione di STAT5 verranno effettuate tramite phosphoflow con lo strumento FACSAria (BD Biosciences), seguendo una procedura ottimizzata nel nostro laboratorio e che prevede fissazione con paraformaldeide 4% e permeabilizzazione con metanolo 90%. Risultati. Preliminari e esperimenti in corso. Dall’analisi del profilo di espressione genica è emerso che la proteina di fusione PAX5/TEL è in grado di alterare in modo significativo il processo trascrizionale delle cellule pre-BI wild type. L’analisi dei pathways dei geni differenzialmente espressi ha indicato che numerose molecole coinvolte nell’assemblaggio e nella via di segnale del BCR risultano repressi da PAX5/TEL. Un saggio funzionale a basse concentrazioni di IL-7 ha confermato che le cellule PAX5/TEL positive non sono in grado di completare il riarrangiamento della catena pesante delle IgM e di presentarla sulla superficie cellulare. Questi dati suggeriscono che il signaling del BCR non sia funzionale in tali cellule; per questo motivo abbiamo ipotizzato che queste cellule per garantirsi la sopravvivenza sfruttino vie di segnale alternative, tra cui quella a valle del recettore dell’IL-7. Inoltre, l’analisi bioinformatica dei geni differenzialmente espressi ha evidenziato che alcune molecole coinvolte in altri pathways di segnale risultano over-espresse in presenza del costrutto di fusione. In particolare, uno di questi geni è LCK (Lymphocytespecific protein tyrosine kinase), una chinasi importante nei linfociti T ma espressa anche nelle cellule B. Abbiamo validato l’over-espressione di LCK tramite PCR quantitativa in tre popolazioni indipendenti di cellule pre-BI e ci proponiamo di verificarne anche i livelli di espressione proteica sia della sua forma basale che fosforilata tramite western blot. Recenti studi, in cellule pro-B BaF3 murine, hanno dimostrato che proprio questa proteina, quando espressa ad alti livelli, converge sulla via di segnale di STAT5 iperfosforilandola; inoltre STAT5 è una molecola appartenente alla via di segnale a valle del recettore dell’IL-7. Per entrambi questi motivi ne valuteremo il suo stato fosforilativo. A tale scopo stiamo utilizzando la metodologia phosphoflow, una tecnica che permette di studiare al citofluorimetro lo stato fosforilativo a livello di singola cellula. Esperimenti preliminari hanno mostrato che la via di STAT5 è attiva nelle cellule pre-BI, ma saranno comunque necessari ulteriori esperimenti per stabilire un eventuale vantaggio conferito da PAX5/TEL. Dal momento che STAT5 costituisce un fattore di trascrizione fondamentale per la sopravvivenza dei linfociti B, analizzeremo anche i livelli di espressione dei suoi targets diretti. Inoltre, è stato precedentemente pubblicato dal nostro gruppo che le cellule PAX5/TEL positive mostrano un vantaggio di sopravvivenza a breve termine rispetto alle cellule controllo in assenza di IL-7 e ciò potrebbe essere correlato con un diverso profilo di attivazione di STAT5. Per questo motivo allestiremo un saggio funzionale per valutare il ciclo cellulare e l’apoptosi delle cellule esprimenti la proteina di fusione PAX5/TEL rispetto alle cellule controllo. Conclusioni. Il progetto proposto si propone di indagare il ruolo nella leucemogenesi di PAX5/TEL, identificandone i meccanismi molecolari e funzionali. Abbiamo dimostrato che la via di segnale del BCR risulta bloccata, facendo ipotizzare che queste cellule sfruttino vie di segnale alternative per garantirsi la sopravvivenza. L’analisi del profilo di espressione genica ha evidenziato l’attivazione di alcuni geni normalmente repressi nei linfociti B e coinvolti nel signaling cellulare, fra i quali emerge LCK; sarà quindi interessante indagarne la via di segnale. L’eventuale identificazione dei meccanismi alternativi attivati dal gene di fusione risulterà fondamentale per sviluppare nuove strategie per bloccare la proliferazione delle cellule tumorali. Bibliografia Fazio G, Palmi C, Rolink A, Biondi A, Cazzaniga G. PAX5/TEL acts as a transcriptional repressor causing downmodulation of CD19, enhances migration to CXCL12, and confers survival advantage in pre-BI cells. Cancer Res 2008;68(1):181-189. Shi M, Cooper JC, Yu CL. A constitutively active Lck kinase promotes cell proliferation and resistance to apoptosis through signal transducer and activator of transcription 5b activation. Mol Cancer Res 2006; 4(1): 39-45. MALATTIA DREPANO CITICA: UNA P ATO LOGIA E ME RGENTE: DI AGNOS I, CARATTERI STICH E CLINICHE E FOLLO W-UP I N UNA PO POLAZIO NE P EDIATRI CA M. Pinotti,1 A. Sorlini,1 S. Vitari,1 L.Verdoni,1 P. Ouedraogo,1 R.F. Schumacher,1 S. Cavagnini,1 M.Berlendis,2 N. Miglietti,4 [Pediatric Reports 2011; 3:s1] E. Marchina,3 L.D Notarangelo,1 F. Porta1 1Oncoematologia Pediatrica Clinica Pediatrica A.O Spedali Civili di Brescia; 2Pneu mologia e Fisiopatologia Respiratoria A.O Spedali Civili di Brescia; 3Scienze Biomediche e Biotecnologie Università degli Studi di Brescia; 4 U.O Pediatria Clinica Pediatrica A.O Spedali Civili di Brescia, Italia Introduzione. La malattia drepanocitica è un disordine ereditario dell’emoglobina caratterizzato da un’espressività clinica variabile e differenti genotipi. La sua frequenza nei paesi industrializzati è sempre maggiore come conseguenza dei flussi migratori dall’Africa; i dati relativi a differenti coorti europee ed americane evidenziano i progressi derivanti dallo screening neonatale, dal rapido avvio della profilassi primaria per le infezioni e da programmi di screening delle complicanze, soprattutto cerebro vascolari, oltre che dall’ impiego di terapie come l’idrossiurea.1 La situazione italiana attuale non è nota: l’ultima survey nazionale risale al 20012 e più recentemente sono stati pubblicati i dati relativi alla regione Veneto.3 In questo lavoro descriviamo la morbidità nella nostra coorte, le differenze cliniche associate alle tre varianti principali di malattia drepanocitica (SS, SC e Sβthalassemia), il possibile ruolo di due parametri di laboratorio utilizzati nella pratica ambulatoriale, emoglobina e LDH, come fattori predittivi di gravità e la necessità di un follow-up stretto e mirato per ridurre le complicanze. Pazienti e metodi. Nello studio longitudinale retrospettivo sono stati inclusi i pazienti affetti da malattia drepanocitica seguiti presso l’Unità di Oncoematologia Pediatrica di Brescia tra il Gennaio 1987 ed il Dicembre 2010. Tutti i pazienti ricevono profilassi penicillinica anche oltre i 5 anni di vita, supplementazione con acido folico e vaccinazioni antimeningococcica, antipneumococcica e anti H. Influenzae secondo il calendario consigliato dalle linee guida.4 Di ciascun paziente sono stati registrati i dati anagrafici (sesso, data di nascita, origine geografica), clinici (motivi della diagnosi, complicanze acute durante il followup e numero e cause di ricovero), laboratoristici (elettroforesi dell’emoglobina alla diagnosi, livelli medi di emoglobina e LDH), strumentali (ecocolordoppler cardiaco, ecografia addome, spirometria, eco-colordoppler dei vasi transcranici, camera anteriore e fundus oculi). La diagnosi è stata posta nell’85,7% dei casi in epoca post-natale mediante elettroforesi dell’emoglobina; nel 11,1% dei casi, nel sospetto di talassodrepanocitosi, è stata confermata con l’analisi molecolare dei geni beta-globinici; solo in 2 casi (3,2%) [page 63] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 la diagnosi è stata posta in epoca prenatale e neonatale rispettivamente mediante analisi molecolare su liquido amniotico e cromatografia liquida ad alta prestazione. Per il confronto statistico dei dati di laboratorio è stato utilizzato il test t di Student per dati non appaiati ed è stata considerata statisticamente significativa una P<0.05. Risultati. La nostra coorte è costituita da 63 soggetti (50,8% femmine) così ripartiti: 73% omozigoti SS, 19% doppi eterozigoti SC, 8% con talasso-drepanocitosi. Il 92,1% dei soggetti è di origine africana. La mediana di follow-up è di 45 mesi (range 1-285), con un follow-up ≥60 mesi nel 41,3% dei soggetti. L’età mediana dei soggetti della nostra coorte al termine dello studio è di 99 mesi (range 21-417). La sopravvivenza globale è pari al 98% a 10 anni di vita: 1 paziente è deceduta a 51 mesi per sepsi. La mediana di sopravvivenza libera da eventi globale è pari a 27 mesi (range 1-168) con differenze dovute al genotipo: 20 mesi (range 1-168) per SS, 60,5 mesi ( range 21-127) per SC e 36 mesi (range 5-117) per SBeta thalassemia. L’età mediana alla diagnosi dell’intera coorte è di 21 mesi (range 0-204) e nel 14,3% dei casi è avvenuta ad un’età ≥ 60 mesi. Vi è una differenza statisticamente significativa (P<0,05) tra l’età mediana alla diagnosi dei 3 gruppi SS, SC e SBeta thalassemia essendo di 20 mesi (range 4142), 43 mesi (range 0-204) e di 6 mesi (range 0-117) rispettivamente. Le prime 3 cause che hanno condotto alla diagnosi sono: crisi dolorose (23,8%); riscontro occasionale di anemia (20,6%); cause infettive (sindrome polmonare acuta, osteomielite, infezioni ricorrenti) (17,4%); tra le cause di diagnosi si segnalano anche eventi potenzialmente fatali come il sequestro splenico e lo stroke cerebrale (rispettivamente 1,6% dei casi). Nel corso del follow-up il 79,4% dei pazienti ha presentato almeno un evento acuto, con differenze tra i sottogruppi: nella forma SC il 50% dei soggetti è asintomatico, mentre l’8,3%·dei bambini presenta crisi dolorose e complicanze infettive; il 51% dei soggetti appartenenti alle altre due forme di malattia drepanocitica presenta un quadro clinico gravato da crisi dolorose e complicanze di altra natura, mentre solo il 7,3 % è asintomatico. Le crisi dolorose rappresentano la prima complicanza per frequenza, seguite dalla sindrome polmonare acuta; sono stati registrati 5 episodi di sepsi, di cui 1 fatale. Tra gli eventi rilevanti si segnala 1 infarto cerebrale silente a 5 anni di distanza dal pregresso stroke in una bambina con forma SS in regime trasfusionale cronico; il priapismo è stato segnalato solo in 1 paziente. Dal confronto tra l’incidenza per età delle complicanze (espressa in eventi/100 [page 64] persone/anno) nei gruppi SS e SC si registrano i seguenti dati: le dattiliti interessano esclusivamente i soggetti SS nei primi 3 anni di vita con incidenza di 10,9 eventi nel primo anno; le crisi dolorose di gravità tale da richiedere ospedalizzazione compaiono fin dai primi 12 mesi di vita nel gruppo SS e l’incidenza cresce da 4,3 a 25 all’età di 7 anni, mentre nel gruppo SC le crisi dolorose vengono registrate dal quinto anno di vita ed anch’esse raggiungono il picco di incidenza di 25 eventi a 7 anni; la sindrome polmonare acuta compare dal secondo anno di vita nel gruppo SS, mentre i primi eventi nel gruppo SC vengono registrati dal decimo anno di vita. Il 65,1% dei pazienti ha necessitato di ospedalizzazione per gli eventi sopracitati; a supporto della variabilità interindividuale, indipendente dal genotipo, si sottolinea che il 65,8% dei ricoveri ha riguardato solo il 15,9% dei pazienti: 7 pazienti con forma SS, 2 con forma Sβthal e 1 con forma SC. Oltre che dal punto di vista clinico i 3 gruppi presentano differenze statisticamente significative in merito ad alcuni dati di laboratorio: Hb pari a 8,3±1,1 g/dl nella forma SS vs 10,1±1,4 g/dL della forma Sβthal vs 11,2±0,6 g/dL della forma SC (P<0,05). Anche i livelli di LDH mostrano differenze statisticamente significative tra il gruppo SS e quello SC e Sβthal ( 576±167 U/l, 371±105 e 370±101, rispettivamente) (P< 0,05). Tuttavia il confronto tra i livelli di LDH ed emoglobina tra sottogruppo con decorso clinico più grave indipendentemente dal genotipo (più di 4 eventi acuti che hanno richiesto ospedalizzazione nel corso del follow-up) e restante coorte non ha evidenziato differenze statisticamente significative (analisi statistiche limitate dalla scarsa numerosità dei campioni). Relativamente ai risultati in merito a controlli strumentali, il dato più interessante è quello relativo alla funzione polmonare: il 28,6% dei soggetti è stato sottoposto a spirometria e di questi il 55,5% presenta un quadro di disventilazione restrittiva segnalato ad un’età mediana di 110 mesi (range 92-328); sono necessari studi longitudinali per valutare tale risultato che si discosta da quelli attualmente riportati in letteratura.5 Conclusioni. I dati fin qui riportati mostrano che nel nostro Paese, dove manca un programma di screening neonatale per le emogobinopatie, esiste un ritardo nella diagnosi della malattia drepanocitica legata sia all’espressività clinica variabile che alle barriere socioculturali dei soggetti coinvolti (spostamenti legati a difficoltà lavorative/ economiche, scarsa compliance, difficoltà di comunicazione). La sopravvivenza globale di tali soggetti è buona, ma la morbilità è elevata con conseguenti ripercus- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] sioni sulla nostra realtà sanitaria; la difficoltà maggiore nella gestione di questi pazienti e delle loro complicanze risiede fondamentalmente nella difficoltà ad identificare fattori di rischio clinici e/o laboratoristici. L’interessamento multisistemico della patologia rende necessario il coinvolgimento di figure specialistiche differenti e l’applicazione di linee guida.4 TRAPI ANTO AP LOIDENTICO DI CELLULE STAMINALI EMOP OIETICHE DA DO NATORE NK-ALLO REATTI VO IN UN PAZIE NTE PE DI ATRICO AFFE TTO SARCO MA DI EWING ME TAS TATICO V. Bennato,1 S. Guarisco,1 C.Gorio,1 S. Vitari,1 M. Marchini,1 Cattaneo,1 A. Sorlini,1 S. Cavagnini,1 V. Grassi,1 C. D’Ippolito,1 L.D. Notarangelo,1 R.F. Schumacher,1 L. Ruggeri,3 A. Velardi,3 F. Bolda,2 L. Rubaga,3 R. Baffelli,2 A. Lanfranchi,2 F. Porta1 1Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo; Ospedale dei Bambini A.O. Spedali Civili di Brescia – Brescia; 2Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia; 3Sezione di Ematologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Ospedale Santa Maria della Misericordia Sant’Andrea delle Fratte – Perugia, Italia Introduzione. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) aploidentico, da donatore alloreattivo, è una strategia terapeutica documentata in letteratura per neoplasie ematologiche; l’effetto antileucemico delle cellule Natural Killer (NK) è mediato dal mismatch tra recettori KIR del donatore e molecole HLA I del ricevente. Descriviamo il caso di un paziente di 15 anni affetto da Sarcoma di Ewing metastatico sottoposto a TCSE da donatore aploidentico NK-alloreattivo, al fine di valutare l’efficacia dell’utilizzo di un donatore con tali caratteristiche nei tumori solidi ad alto rischio in età pediatrica. Materiali e metodi. Al momento della diagnosi, previo reperimento di consenso informato, veniva prelevata una biopsia della neoplasia primitiva e allestita una coltura primaria delle cellule tumorali, mediante semina in terreno di coltura DMEM F12 ADVANCED + FBS 5%. Dopo il trattamento convenzionale secondo il protocollo AIEOP ISG/SGG IV, nel nostro paziente veniva documentata una progressione di malattia. Per tale motivo si intraprendeva un protocollo terapeutico personalizzato basato sull’utilizzo di vincristina, actinomicina-D e ifosfamide ad alte dosi, con conseguente importante riduzione del tumor load. Il paziente è stato dunque candidato a TCSE aploiden- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 tico. Allo scopo di identificare un donatore alloreattivo, è stata effettuata la tipizzazione HLA del paziente, dei genitori, di due zii materni e sei zii paterni, mediante tecnica sierologica e molecolare ad alta risoluzione. Uno zio materno, risultato alloreattivo nei confronti del paziente per un mismatch sul locus C1, è stato identificato come donatore. È stata poi valutata l’attività litica delle cellule NK del donatore sia verso i blasti PHA del paziente, sia nei confronti delle linee di cellule tumorali allestite. È stato quindi eseguito il TSCE aploidentico da donatore NK-alloreattivo, dopo regime di condizionamento chemioterapico con ATG/Fludarabina/Thiotepa/Melphalan. Sono state infuse 15,91x106 di CD34+/kg e 8x104 di CD3+/kg, selezionate da raccolta aferetica del donatore. Risultati. Una valutazione anatomopatologica ha confermato la natura neoplastica della coltura cellulare allestita, con una percentuale di cellule tumorali del 90%. Alla valutazione immunocitochimica e citofluorometrica tali cellule tumorali sono risultate positive per HLA I, per CD56 e per Mib1, con un elevato indice proliferativo. Non è stata evidenziata la presenza di MIC A e B, recettori attivatori delle cellule NK. Alla valutazione con i test funzionali di citotossicità, i blasti PHA del paziente sono risultati resistenti alla lisi mediata dalle cellule NK dei genitori. Le cellule NK dello zio materno hanno al contrario presentato una lisi significativa, non confermata però nei confronti della linea tumorale allestita. L’attecchimento del trapianto è avvenuto al G+15. A cadenza mensile sono stati valutati la percentuale di cellule NK nel sangue periferico del paziente, il fenotipo NK e il chimerismo post-trapianto. I linfociti NK CD16+ sono risultati del 85,5%, 23,5% , 23,9% e 35,6% rispettivamente al mese 1, 2, 3 e 4 post-TCSE. Le cellule CD56+ sono risultate pari al 84,7% al mese 1, 27,3% al mese 3, 52,3% al mese 4. L’analisi molecolare del chimerismo ha mostrato un attecchimento sui linfociti T e B del 100% nei primi due mesi, che è andato riducendosi nel periodo successivo; al terzo mese una percentuale pari a 85,3% dei linfociti B e 40,7% dei linfociti T del sangue periferico del paziente appartenevano al donatore. L’attecchimento delle cellule NK CD56+ è rimasto quasi totale, corrispondente al 99,7%. L’analisi del fenotipo NK ha mostrato una modifica dei marker espressi nel periodo postTCSE. Inizialmente tutte le cellule esprimevano NKG2A, recettore inibitorio in grado di riconoscere il ligando HLA-E espresso ubiquitariamente nelle cellule emopoietiche; nei mesi successivi è comparsa una popolazione di NK esprimenti KIR singolarmente, non coespressi con NKG2A: in particolare le cellule NK KIR2DL2/3 + e NKG2A- sono risultate circa il 5%, mentre non sono state evidenziate espressioni singole di KIR2DL1 e KIR3DL1. Al fine di potenziare l’effetto alloreattivo delle cellule NK contro le cellule tumorali, il paziente ha intrapreso terapia con IL-2 alla dose di 1x106 UI/m2 s.c. tre volte alla settimana, ben tollerata. A distanza di quattro mesi dal TCSE, il paziente si trova in remissione completa e segue un programma di follow-up, che comprende oltre alla valutazione dello stato di malattia, l’attecchimento del trapianto, la conta sierologica di cellule NK e la valutazione del fenotipo delle stesse. Conclusioni. Il nostro caso documenta che le cellule NK alloreattive possono rappresentare una strategia terapeutica nei tumori solidi infantili, grazie all’effetto graft-versus-tumor, effetto già documentato in letteratura per le leucemie. Risulta dunque importante effettuare una valutazione dell’HLA, non limitata ai soli genitori del paziente, ma estesa anche ad altri familiari, al fine di identificare un donatore aploidentico alloreattivo. Per la scelta dello stesso è inoltre opportuno valutare in vitro la capacità di lisi delle cellule NK sia nei confronti dei blasti PHA del paziente che nei confronti delle cellule neoplastiche del ricevente. Il nostro obiettivo futuro è quello di affinare le tecniche di coltura delle cellule neoplastiche, al fine di selezionare le sole cellule staminali tumorali, principali responsabili delle ricadute di malattia. L’IMPATTO CLINICO DEL CHI ME RIS MO DONATO RE-RICEVE NTE NELLA CORREZIONE DI MALATTIE O NCOE MATO LOGICHE NEL BAMBI NO S OTTO PO STO A TRAPIANTO DI MI DO LLO O SS EO V. Grassi, V. Bennato, S. Guarisco, S.Cavagnini, E.Soncini. F.Lanfranchi. C.Gorio, C.D’Ippolito, F. Sarasera, M. Belussi, R. Ceresoli, R. Baffelli. M. Zucchi, F. Porta. A. Lanfranchi Unità Operativa Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; Laboratorio Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia. Italia Introduzione. L’obiettivo del trapianto allogenico di cellule staminali è quello di sostituire il compartimento alterato o mancante del paziente con un patrimonio di cellule staminali ottenuto da un donatore sano capace di ricostituire il sistema emopoietico e/o immunitario del ricevente, qualora difettivo numericamente o funzionalmente. Nelle malattie oncoematologiche l’emopoiesi deve essere sostituita nella sua globalità dal momento che contiene un clone neopla- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] stico resistente. Nei difetti congeniti dell’immunità invece il razionale del trapianto di midollo osseo è quello di riempire uno spazio vuoto funzionale e/o numerico. Obiettivo. Scopo di questo studio è stato valutare l’impatto clinico del chimerismo donatore-ricevente nella correzione di malattie oncoematologiche di bambini sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Abbiamo analizzato i dati riguardanti l’attecchimento di bambini affetti sia da immunodeficit che da patologie oncoematologiche sottoposti a trapianto di midollo osseo dal 1990 al 2010 presso il dipartimento di Pediatria dell’Ospedale dei Bambini di Brescia. Oggetto dello studio è stato valutare se, in relazione alla patologia di base, al regime di condizionamento e alla compatibilità HLA, la patologia di base potesse essere considerata guarita anche in presenza di un chimerismo misto donatorericevente. Pazienti e metodi. Dei 417 trapianti effettuati presso il nostro centro, 119 erano trapianti aploidentici, 79 HLA identici, 142 fenotipicamente identici da banca e 77 autotrapianti. Per valutare l’impatto clinico del chimerismo donatore-ricevente sulla correzione della malattia abbiamo analizzato esclusivamente i bambini che presentavano un attecchimento misto stabile nella fase post trapianto. I pazienti arruolati nello studio sono stati 51 (12% dei pazienti trapiantati): di questi, 30 erano affetti da SCID/CID, 2 da leucemia acuta, 10 da errori congeniti dell’immunità, 3 da osteopetrosi, 3 da istiocitosi e infine 3 da anemia aplastica severa. Di questi 51 pazienti, 12 sono stati sottoposti a trapianto aploidentico, 18 a trapianto HLA identico da donatore familiare e 21 invece sono stati sottoposti a trapianto da donatore fenotipicamente identico da banca o familiare. L’analisi dell’attecchimento viene eseguita impiegando metodiche di biologia molecolare, attraverso tecniche di reazione a catena della polimerasi (polymerase chain reaction, PCR) che amplificano regioni del genoma umano altamente polimorfiche. Attraverso queste metodiche, applicabili sia su cellule midollari che su sangue periferico, è possibile stabilire il chimerismo post-trapianto e soprattutto seguirne l’andamento nel tempo. In base alla persistenza o meno di cellule del ricevente a livello midollare o periferico si distinguono tre possibili differenti stati chimerici, il chimerismo completo (assenza di residuo cellulare emopoietico del paziente), il chimerismo misto (concomitante presenza di cellule del donatore e del ricevente) e l’assenza di chimerismo (ricostituzione emopoietica autologa). Risultati. Scopo del trapianto è l’attecchi- [page 65] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 mento degli stipiti ematopoietici. Nelle patologie oncoematologiche lo scopo è far attecchire la componente mieloide; questo richiede una terapia eradicante aggressiva per poter creare spazio. Nelle SCID invece, dove l’obiettivo è quello di far attecchire uno stipite cellulare mancante o non funzionante, si tratta di riempire uno spazio funzionalmente o numericamente vuoto. - SCID T-B+: 12 pazienti presentavano un chimerismo misto stabile nel tempo. 2/12 non hanno un’ immunità umorale. - SCID T-B-: 7 pazienti presentavano un chimerismo misto stabile nel tempo e 3 di esse non hanno ricostituito l’immunità umorale. - SCID/CID: 11 pazienti presentavano un chimerismo misto stabile nel tempo e 3 di esse non hanno ricostituito l’immunità umorale. - ISTIOCITOSI: 3 pazienti con chimerismo misto e tutti e 3 senza segni di ripresa della malattia indipendentemente dalla percentuale di attecchimento - OSTEOPETROSI: 3 pazienti con chimerismo misto e tutti e 3 senza segni di ripresa della malattia ma con chimerismo > 50% - WAS: 6 pazienti con chimerismo misto, 4 in benessere con attecchimento > 70% e 2 con chimerismo < 60% con piastrinopenia - ANEMIA APLASTICA: 3 pazienti con chimerismo misto in benessere con attecchimento > 70% - LEUCEMIE: 2 pazienti con chimerismo misto senza segni di ripresa di malattia Conclusioni. 1. la valutazione di un chimerismo autologo nella fase precoce post trapianto ci dà un’informazione immediata di non attecchimento e il paziente può essere avviato ad un secondo trapianto; 2. la presenza di un chimerismo misto stabile nelle patologie SCID/CID non è necessariamente segno di insuccesso della procedura. Infatti per alcune patologie il chimerismo misto può comunque curare la patologia di base o rendere la prognosi cronica; 3. In presenza di un chimerismo misto in patologie non-SCID il successo del trapianto dipende dalla percentuale di attecchimento che varia a seconda della patologia di base, < 10% nelle HLH e > 70% nelle WAS, CGD o Osteopetrosi TRAPI ANTO AP LOIDENTICO DI CELLULE STAMINALI EMOP OIE TI CHE I N P AZIENTI PEDIATRICI CON TUMO RI S OLIDI NON E MATO LOGICI AD ALTO RISCHIO: STUDIO IN VITRO DEL L’ALLOREATTIVITA’ MEDIATA DA CELLULE NK VERSO COLTURE CELL ULARI DA TUMORE P RI MARI O. C. Gorio,2 A. Bosi,1 F. Bolda,1 L. Ruggeri,6 [page 66] C. D’Ippolito,2 R.F. SChumacher,2 L.D. Notarangelo,2 F. Lanfranchi,2 G. Cremaschini,2 L. Grazzani,2 M. Baiocchi, L. Berchich,3 G. Carella,4 L. Tonegatti,5 D. Alberti,5 A. Velardi,6 F. Porta,2 A. Lanfranchi1 1Laboratorio Cellule Staminali, Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo , Ospedale dei Bambini - A.O. Spedali Civili di Brescia - Brescia; 2Onco ematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo Ospedale dei Bambini - A.O. Spedali Civili di Brescia - Brescia; 3Anatomia e Istologia Patologica A.O. Spedali Civili di Brescia - Brescia; 4Laboratorio Immunologia, U.O. Reumatologia e Immunologia Clinica A.O. Spedali Civili di Brescia Brescia; 5U.O. Chirurgia Pediatrica Ospedale dei Bambini - A.O. Spedali Civili di Brescia - Brescia; 6Sezione di Ematologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Ospedale Santa Maria della Misericordia Sant’Andrea delle Fratte – Perugia, Italia Introduzione e obiettivi. I tumori solidi pediatrici rendono conto di un terzo delle patologie neoplastiche nel bambino e rappresentano spesso un’emergenza clinico-diagnostica. Malgrado l'efficacia nel rallentare la progressione della malattia e nel prolungare la vita del paziente affetto da tumore, i trattamenti standard hanno forti limiti in termini di efficacia e sicurezza. Le attuali strategie terapeutiche consentono guarigioni nel 70% dei pazienti con tumori solidi pediatrici. Nel restante 30% dei casi si assiste o alla comparsa di chemioresistenza o alla recidiva a medio o lungo termine. Nell’ambito dei trapianti di cellule staminali emopoietiche (CSE) da donatore aploidentico, è ben dimostrato l’effetto antileucemico esercitato dalle cellule NK, mediato dal mismatch tra recettori KIR del donatore e molecole HLA I del ricevente. Per quanto riguarda i tumori solidi pediatrici l’effetto graft versus tumor rimane da indagare. Il nostro studio ha avuto come obiettivi l’allestimento di colture tumorali da tumore primario e la valutazione in vitro della loro suscettibilità a citolisi mediata da cellule NK alloreattive, al fine di prevedere la fattibilità e l’efficacia di un trapianto aploidentico di CSE. Metodi. Abbiamo studiato 21 casi afferenti al nostro centro, di cui 6 neuroblastomi IV stadio, 4 rabdomiosarcomi, 4 tumori di Wilms, 3 sarcomi di Ewing, 4 sarcomi di tipo adulto. È stata effettuata la tipizzazione HLA di pazienti e genitori (potenziali donatori) e valutato il genotipo e il fenotipo KIR. In 5 casi non è stato possibile reperire tessuto neoplastico da cui allestire una coltura cellulare in vitro; nei restanti 16 casi abbiamo potuto cam- [Pediatric Reports 2011; 3:s1] pionare frammenti di tessuto tumorale che abbiamo processato e messo in coltura; le colture sono state valutate dal punto di vista morfologico e mediante caratterizzazione immunocitochimica per determinarne le caratteristiche neoplastiche; in 4 casi non si è avuta crescita cellulare o crescita di cellule non neoplastiche; in 9 casi è stato possibile allestire una coltura tumorale; per 3 colture cellulari la valutazione del contenuto neoplastico è in corso. Le colture cellulari allestite in vitro sono state testate mediante citometria a flusso per l’espressione di CD112, CD155, MIC A/B, ligandi dei recettori attivatori, e di molecole HLA di classe I. In 4 casi l’attività citotossica di cellule NK parentali è stata saggiata sia contro i blasti che contro le colture tumorali; in 4 casi è stata saggiata l’attività citotossica di cellule NK parentali unicamente verso i blasti PHA dei pazienti; in 3 casi l’attività citotossica contro le cellule tumorali è stata saggiata utilizzando cloni NK standard esprimenti un singolo recettore KIR; nel corso di tali saggi per 8 pazienti sono stati valutati il genotipo e il fenotipo KIR dei rispettivi genitori. Risultati. In 16 casi fino ad ora abbiamo eseguito la tipizzazione HLA del paziente e dei genitori per stabilire la possibilità per il paziente di trovare un donatore alloreattivo, secondo il modello ligandoligando; ciò ha permesso di individuare: 4 pazienti missing Bw4, 2 pazienti missing C2, 1 paziente missing C1; 9 pazienti esprimevano tutti e tre i ligandi per i recettori KIR e quindi non potevano trovare un donatore alloreattivo. I risultati dei test di attività NK verso i blasti dei pazienti confermano il modello ligando–ligando. Per quanto riguarda le colture tumorali: in 2 casi, in assenza di KIR mismatch non si è avuta lisi significativa, in accordo al modello ligando-ligando; in 3 casi, nonostante la potenziale alloreattività, non si è avuta lisi significativa; in 1 caso si è avuta lisi della coltura tumorale sia in presenza che in assenza di KIR mismatch, probabilmente in seguito a down regolazione dell’ HLA; in 1 caso si è avuta lisi significativa anche in assenza di KIR mismatch. Le analisi mediante citometria a flusso hanno evidenziato scarsa espressione di ligandi attivatori in 2 colture. Concludendo, per quanto riguarda i risultati in vitro, in 3 su 6 casi non c’è concordanza tra presenza/assenza di KIR mismatch e presenza/assenza di citotossicità NK verso cellule neoplastiche; nel caso dei tumori solidi non è quindi possibile predire la citotossicità NK unicamente sulla base del KIR mismatch e del modello ligandoligando. Conclusioni. Lo studio dell’alloreattività mediata da cellule NK in vitro verso cel- AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 lule del tumore primitivo è lo strumento più potente per poter predire quale dei donatori aploidentici famigliari è in grado di avere un maggiore effetto antitumorale. Tuttavia talvolta l’assetto dell’alloreattività HLA e l’effettiva citotossicità specifica anti-tumorale non sono sovrapponibili. Ci si aspetta quindi che l’outcome post-trapianto aploidentico da donatore alloreattivo possa essere migliore se le cellule NK del donatore sono in grado di lisare le cellule del tumore primario, rispetto ai casi in cui le cellule risultano resistenti alla lisi e che si possa dunque garantire una più lunga sopravvivenza libera da malattia. ORGANIZZAZIO NE DI UN GRUPPO NAZIO NALE P ER LA MALATTIA DREP ANO CITICA IN ETA’ P EDIATRICA: DALLE LI NEE-GUIDA PE R IL TRATTAME NTO ALLE P ROPO STE DI STUDI COO PERATIVI AIEOP G. Russo, M. Casale, R. Colombatti, A. Ciliberti, D. De Mattia, G.C. Del Vecchio, B. Fabrizzi, P. Giordano, V. Kiren, S. Ladogana, N. Masera, A. Nocerino, L.D. Notarangelo, G. Palazzi, C. Pasqualini, S. Perrotta, A. Pusiol, L. Sainati, P. Samperi, P. Saracco, M. Zecca Gruppo di Lavoro “Patologia del Globulo Rosso” AIEOP Introduzione. La malattia drepanocitica (SCD), la più frequente emoglobinopatia presente in Italia, è endemica in Sicilia e nell’Italia meridionale. In seguito alle migrazioni nazionali, verificatesi nel dopoguerra, la malattia si è diffusa in tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle aree industrializzate dell’Italia settentrionale.1 Durante gli ultimi anni il dilagante fenomeno dell’immigrazione da paesi dove la malattia ha una elevata prevalenza ha contribuito ad una ulteriore diffusione della SCD in Italia.2 Pertanto, nel giro di pochi anni, molti centri dei Ematologia Pediatrica si sono trovati a dovere prestare assistenza sanitaria ad un numero consistente e crescente di bambini affetti da SCD,3 con tutte le difficoltà conseguenti alla gestione di una condizione cronica, che affligge pazienti immigrati e quindi con prevedibile disagio economico-sociale-culturale, condizione per la quale, finora, non c’è stata una rete assistenziale nazionale che abbia uniformato la gestione clinica dei pazienti. Metodi. Nel 2008, è stato quindi avviato il progetto “Raccomandazioni nella gestione del bambino con malattia drepanocitica” con l’obiettivo di preparare un documento fruibile sul sito AIEOP rivolto ai Medici, agli Operatori Sanitari coinvolti nella gestione del bambino con malattia drepanocitica e ai genitori/pazienti, contenente informazioni, basate sulle evidenze disponibili, utili e condivise. L’iniziativa è stata presentata a tutti i centri AIEOP, con relativo invito ad aderire al progetto a chiunque fosse interessato. È stato quindi costituito un gruppo di lavoro costituito da ematologi pediatri dei centri AIEOP, che ha individuato gli argomenti da trattare. Ogni componente del gruppo ha quindi preparato una bozza preliminare di uno o più argomenti, che è stata poi sottoposta a revisione collegiale. Per la preparazione dei singoli capitoli, la metodologia seguita è stata la seguente. 1. Raccolta dei dati esistenti in letteratura utilizzando, come fonti, Pubmed, Cochrane, EMBASE, etc. ed attribuzione a ciascuna voce bibliografica pertinente del grado di evidenza. 2. Sulla base delle conoscenze desumibili dalla letteratura, sono stati preparati i diversi capitoli contenenti una breve parte descrittiva, in cui è riassunta lo stato delle conoscenze; e una parte delle raccomandazioni, formulata in enunciati. Ogni enunciato è scaturito dalle evidenze della letteratura; laddove le evidenze non fossero sufficienti, il gruppo di lavoro ha formulato specifiche affermazioni, validate in sede plenaria, riportate nel documento come parere e non evidenza. Accanto ad ogni enunciato è stata quindi riportato uno score di forza della raccomandazione stessa secondo la seguente classificazione: A enunciato fondato sull’esistenza di almeno uno studio randomizzato; B enunciato desumibile da studi di buona qualità, anche se non randomizzati; C enunciato basato su casi clinici, esperienza clinica di gruppi autorevoli, review, opinione del gruppo di lavoro. Risultati. Ventuno ematologi pediatri provenienti da 13 centri si sono riuniti 5 volte durante 20 mesi (120 ore di riunione, 940 e mail scambiate) e hanno redatto il documento delle linee-guida, attualmente già disponibile sul sito AIEOP. Il documento, che si articola in 24 capitoli, 184 pagine, 212 raccomandazioni, affronta tutti gli argomenti fondamentali della SCD, passando dalla diagnosi alla prevenzione alla terapia, tenendo conto, soprattutto nella parte delle raccomandazioni, della realtà sanitaria italiana. Il documento è stato rivisto da 3 esperti ematologi pediatri esterni e da un rappresentante delle associazioni dei pazienti. In seguito al lavoro svolto per la preparazione delle linee-guida, si è di fatto formato un gruppo di lavoro interessato a tutti gli aspetti clinici, sia assistenziali che sperimentali, relativi alla SCD. Sono state infatti formulate altre proposte di studi cooperativi AIEOP: 1. creazione di un registro di malattia [Pediatric Reports 2011; 3:s1] AIEOP, in modo da avere a disposizione dei dati indicativi della presenza dei pazienti, della loro distribuzione sul territorio nazionale e dell’aderenza dei centri a quanto raccomandato nelle linee guida; verrà quindi creata un apposita scheda di malattia, collegata con il modello di registrazione AIEOP 1.01, per la raccolta delle informazioni; la medesima scheda verrà inviata anche ai centri di ematologia e/o pediatria non AIEOP; 2. diffusione a tutti i centri interessati di un database elettronico (formato Access) appositamente creato a Padova per la gestione clinica dei malati con SCD; questo progetto offre il vantaggio di fornire uno strumento molto versatile per la gestione quotidiana dei pazienti e di avere i dati relativi ai pazienti seguiti in centri diversi tutti in unico formato in modo da agevolare la raccolta e l’elaborazioni dei dati per qualsiasi studio cooperativo; 3. standardizzazione dello screening con Eco Doppler Transcranico (TCD) nei vari centri, esame di screening obbligatorio per l’identificazione dei pazienti a rischio di sviluppare uno stroke e quindi eleggibili per una profilassi primaria; il progetto prevede una prima fase conoscitiva; i vari centri riceveranno una scheda informativa per conoscere le situazioni locali sullo stato e sulle modalità di esecuzione del TCD; nella seconda fase si prevede di organizzare dei corsi pratici per uniformare le procedure tecniche di esecuzione, aderendo alle raccomandazioni internazionali 4. valutazione della perfomance neurocognitiva dei pazienti mediante l’uso di test validati quali il Wechsler Intelligence Scale for Children (dai 6 anni e mezzo) e il Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence (dai tre anni e mezzo fino ai sei anni e mezzo), mettendo a confronto particolarmente i risultati ottenuti dai centri di Padova e Modena, dove vengono seguiti pazienti immigrati con ovvie difficoltà linguistiche e culturali e quelli ottenuti dal centro di Catania che invece segue prevalentemente pazienti italiani. Conclusioni. La raccolta di raccomandazioni affronta tutti gli aspetti clinici rilevanti per la gestione di questa malattia; per alcuni argomenti il dibattito, in sede plenaria, è stato molto approfondito e ha sviscerato in maniera esaustiva, alla luce delle conoscenze attualmente disponibili, anche i punti più controversi. Si è scelto sempre di dare un taglio pratico, soprattutto tenendo conto delle peculiarità del bambino rispetto all’adulto, dell’organizzazione sanitaria italiana, della disponibilità commerciale dei farmaci in Italia etc;. Inoltre si è costituito un gruppo interessato a sviluppare studi su questa malattia; le prime proposte riguardano aspetti prevalentemente epidemiolo- [page 67] AIEOP... in Lab, Catania, 19-20 maggio 2011 gici ed assistenziali; la presentazione delle nostra attività ad AIEOP in Lab vuole essere un richiamo per tutti coloro che lavorano in laboratorio a collaborare con noi per approfondire sempre più le nostre conoscenze sulla SCD. Bibliografia 1. Russo-Mancuso G, Romeo MA, Guardabasso V, Schilirò G. Survey of sickle cell disease in Italia. Haematologica 1998; 83:875-881. 2. Russo-Mancuso G, La Spina M, Schilirò G. The changing profile of SCD in Italia. Eur J Epidemiol 2003;18:923-4. 3. Colombatti R, Dalla Pozza LV, Mazzu cato M, Sainati L, Pierobon M, Facchin P. Hospitalization of children with sickle cell disease in a region with increasing immigration rates. Haematologica. 2008;93:463-4. [page 68] [Pediatric Reports 2011; 3:s1]