Termodinamica delle Macchine II.1) Sistemi termodinamici, equilibrio termodinamico. Si chiama sistema termodinamico una definita quantità di materia o una definita porzione di spazio su cui s'intende operare per particolari fini o che si vuole semplicemente osservare. La quantità di materia si chiama massa di controllo, la porzione di spazio invece si chiama volume di controllo. Tutto ciò che è esterno al sistema e in grado di interagire con esso è indicato con il nome di ambiente. Si definiscono due tipi di sistemi: i sistemi chiusi, delimitati da superfici impermeabili al passaggio di materia, e i sistemi aperti, i cui confini sono, almeno parzialmente, permeabili alla materia. Un sistema chiuso è in equilibrio se le sue condizioni permangono indefinitamente invariate qualora non si abbiano variazioni nelle condizioni dell’ambiente. Se il sistema in equilibrio, in seguito a una piccola perturbazione esterna, ritorna nelle sue condizioni iniziali, l’equilibrio è detto stabile; se viceversa non vi ritorna, l’equilibrio è detto instabile. Un sistema chiuso in equilibrio stabile viene anche detto in equilibrio termodinamico. Esso comporta in particolare che risultano nulli tutti i flussi di massa e di energia e tutte le generazioni interne di energia. L’equilibrio termodinamico implica infatti l’equilibrio meccanico, chimico e termico del sistema. Un sistema chiuso in equilibrio termodinamico può essere caratterizzato da un insieme di grandezze dette proprietà termodinamiche. Queste si suddividono in proprietà termostatiche o interne e proprietà meccaniche o esterne. Le proprietà termostatiche sono dipendenti solo dalla struttura fisica e chimica della materia in sistemi chiusi in equilibrio termodinamico (p.e. la temperatura e il volume del sistema). Le proprietà meccaniche determinano la posizione del sistema nello spazio e nel tempo rispetto a un opportuno sistema di riferimento (p.e. la quota e la velocità del sistema). Le proprietà caratteristiche ora descritte si suddividono in intensive ed estensive. Le proprietà intensive non dipendono dall’estensione del sistema (p.e. temperatura, pressione, conducibilità elettrica). Invece le proprietà estensive dipendono dall’estensione del sistema e cioè dalla sua massa (p.e. massa, volume, energia). Le proprietà specifiche sono definite come proprietà estensive relative all’unità di massa (p.e. se si indica con Y una generica proprietà estensiva, la corrispondente proprietà specifica è y = Y m ). L’insieme delle proprietà termostatiche e meccaniche di un sistema chiuso all’equilibrio termodinamico ne definisce lo stato; l’insieme delle proprietà termostatiche intensive definisce invece lo stato termodinamico. Si chiama varianza V di un sistema termodinamico il numero dei gradi di libertà del sistema ovvero il numero delle variazioni indipendenti delle proprietà intensive p,T che possono essere imposte al sistema senza che cambi il numero di fasi presenti. Per conoscere quante proprietà intensive sono necessarie e sufficienti per individuare lo stato termodinamico di un sistema in modo univoco si può impiegare la regola delle fasi, dovuta a Gibbs: V = n−f +2 (II.1.1) 1 dove n è il numero dei componenti chimici del sistema e f il numero di fasi presenti nel sistema. Se per esempio abbiamo un sistema costituito da ossigeno gassoso la varianza è 2. Le proprietà intensive necessarie ad individuare univocamente lo stato del sistema sono due (p.e. p e T, oppure T e s, oppure p e v). Se abbiamo un sistema con più componenti, ad esempio l’aria, che dopo il processo rimangono nelle stesse proporzioni, nella regola delle fasi lo posso considerare come un solo componente. Se invece abbiamo un sistema costituito da vapore d’acqua in equilibrio con il liquido la varianza è 1 e abbiamo bisogno di una sola proprietà per individuarne lo stato. Se sono in equilibrio tutte e tre le fasi la varianza è 0 e quindi esiste un solo stato di equilibrio che si chiama punto triplo. II.2) Trasformazioni, calore, lavoro. Si dice trasformazione termodinamica di un sistema una qualunque modificazione che comporti la variazione di almeno una delle sue proprietà termostatiche. Una trasformazione che riporti il sistema nello stato iniziale si dice trasformazione chiusa o ciclo. Si consideri un sistema in equilibrio termodinamico. Se si modifica di una quantità infinitesima qualcuna delle proprietà dell’ambiente in modo da alterare l’equilibrio ambiente-sistema, quest’ultimo subirà una trasformazione infinitesima alla fine della quale raggiungerà una nuova condizione di equilibrio. Una trasformazione finita costituita da una successione di trasformazioni infinitesime così descritte è detta quasi statica. All’energia che durante una qualsiasi trasformazione attraversa le superfici del sistema si dà il nome di calore o di lavoro. Si parlerà di calore se l’energia è trasferita in conseguenza di una differenza di temperatura esistente tra sistema e ambiente, altrimenti si parla di lavoro. Per la definizione data non è possibile parlare di calore e di lavoro per un sistema in equilibrio termodinamico perché essi sono energia in transito attraverso le pareti di un sistema sede di una trasformazione. Il calore e il lavoro non sono quindi proprietà di stato e il loro valore dipenderà dalla particolare trasformazione effettuata. Per effettuare i bilanci di energia, come per esempio avviene per il 1° Principio della Termodinamica, è necessario attribuire un segni al valore numerico del calore e del lavoro. La convenzione usata è di considerare il lavoro positivo se l’energia è somministrata all’ambiente, negativo nel caso opposto; di considerare il calore positivo se l’energia è somministrata al sistema, negativo nel caso opposto. L-, Q+ Sistema L+, Q- Poiché il calore e il lavoro non sono funzioni di stato, la quantità infinitesima di lavoro compiuto e la quantità di calore scambiato in una trasformazione infinitesima saranno indicati con i simboli δL, δl, δQ, δq. La differenza di simbologia adoperata ricorda che il lavoro e il calore non sono differenziali esatti. 2 Avviene una trasformazione reversibile quando, partendo da uno stato di equilibrio termodinamico, il sistema e l’ambiente possono essere riportati nei rispettivi stati iniziali ripercorrendo la stessa trasformazione senza che ne rimanga traccia alcuna. Questo significa che una trasformazione reversibile è necessariamente quasi statica e passa attraverso una successione di stati di equilibrio (quindi ha senso parlare di cammino della trasformazione). Un prima causa di non reversibilità è quindi senz’altro la non quasi staticità della trasformazione. Altre cause di irreversibilità sono ad esempio la viscosità, gli attriti e tutti quelli che si suole denominare effetti dissipativi. II.3) 1° Principio della termodinamica. La formulazione del 1° principio della termodinamica per i sistemi chiusi può essere espressa come un bilancio di energia che si deve realizzare qualunque sia la trasformazione che avviene all’interno del sistema: Eentrante - Euscente = Eaccumulata - Egenerata (II.3.1) L’energia totale posseduta da un corpo può essere considerata come somma di due energie: una a livello microscopico posseduta dalle particelle costituenti la materia, come ad esempio energia cinetica di traslazione, di rotazione intorno al nucleo e intorno al proprio asse degli elettroni o energia potenziale delle particelle dovute a forza coulombiane; un’altra a livello macroscopico connessa al corpo nel suo insieme, come ad esempio l’energia potenziale dovuta al campo gravitazionale terrestre. La somma di tutte le energie a livello microscopico è detta energia interna del sistema e si è visto da relazioni sperimentali che essa ha delle relazioni con altre proprietà termostatiche. L’energia interna è quindi essa stessa una proprietà termostatica. Supponendo che il sistema chiuso sia in quiete, non avremo variazioni di energia cinetica e gravitazionale a livello macroscopico e quindi l’energia accumulata si riduce alla sola energia interna. Per quanto detto e per la convenzione sui segni, il 1° principio si può scrivere così: Q - L = ∆u (II.3.2) avendo considerato le grandezze specifiche e avendo indicato con L il lavoro specifico in un sistema chiuso. La precedente relazione può essere scritta anche per una trasformazione infinitesima: δQ − δL = du (II.3.3) Se lo scambio di lavoro con l’esterno si ha solo per variazioni di volume con una trasformazione reversibile possiamo scrivere: δQ − pdv = du (II.3.4) Consideriamo adesso un sistema aperto all’interno del quale evolve un fluido avente una portata & e velocità c. Per il sistema aperto si dovrà considerare come lavoro anche quello fatto massica m & ⋅ dt per spostarlo di una quantità dal fluido che segue l’elemento generico di massa dm = m dx = c ⋅ dt ; detta Ω l’area della sezione attraversata dall’elemento di fluido e p la sua pressione, questo lavoro può essere espresso come: 3 Lp = (p ⋅ Ω ) ⋅ (c ⋅ dt ) = p ⋅ V& ⋅ dt = p ⋅ v ⋅ m& ⋅ dt = p ⋅ v dm dm dm (II.3.5) & = Ω ⋅ c la avendo considerato ancora una volta le grandezze specifiche e avendo indicato con V portata volumetrica di fluido. Questa grandezza è detta energia di pulsione concordemente alla sua unità di misura che vale: [L ] = mN p 2 ⋅ m3 N ⋅ m J = = kg kg kg Per la convenzione sui segni l’energia di pulsione è positiva perché è un lavoro fatto dal fluido verso l’ambiente esterno. Quindi: ∆u = Q − L = Q − L − (p 2 v 2 − p1 v1 ) = Q − L − ∆(pv ) (II.3.6) E per una trasformazione elementare: du = δQ − δL = δQ − δL − d (pv ) (II.3.7) avendo indicato con δL = δL − d(pv ) il lavoro in un sistema aperto. Introduciamo ora una grandezza detta entalpia specifica definita dalla relazione: def h = u + pv (II.3.8) Possiamo notare che l’entalpia è una proprietà termostatica, siccome nella sua espressione di definizione compaiono solo proprietà termostatiche, ed è una grandezza intensiva. In base alla (2.3.7) e alla (2.3.8) possiamo riscrivere in questo modo il 1°principio per i sistemi aperti: dh = δQ − δL (II.3.9) Nel caso in cui si abbia solo lavoro di variazione di volume con una trasformazione reversibile: δL = δL − d (pv ) = pdv − vdp − pdv = − vdp (II.3.10) e quindi possiamo scrivere per la (2.3.9): dh = δQ + vdp II.4) (II.3.11) Calore specifico. Alcune particolari trasformazioni. Si definisce calore specifico (questa è una terminologia impropria perché non è una grandezza specifica) la quantità di calore per unità di massa scambiata tra sistema e ambiente che produce una variazione unitaria della temperatura del sistema: δQ c= (II.4.1) dT 4 Consideriamo ora una trasformazione isocora, ovvero a volume costante, per un sistema chiuso. Supponendo che il lavoro sia scambiato solo per variazione di volume abbiamo, dal primo principio: (II.4.2) du = δQ = c v dT dove si è indicato con c v = ∂u ∂T il calore specifico a volume costante. v = cost. Se invece consideriamo una trasformazione isobara, ovvero a pressione costante, per un sistema chiuso: dh = δQ = c p dT (II.4.3) dove si è indicato con c p = ∂h ∂T il calore specifico a pressione costante. p = cost. In generale cv e cp sono funzione sia della pressione che della temperatura assoluta, ma la dipendenza dalla pressione si può in genere trascurare. Differenziando la relazione che definisce l’entalpia si ottiene: dh = du + d(pv ) e tenendo presenti le definizioni di cv e cp: c p dT = c v dT + d(pv ) (II.4.4) Se poi consideriamo un gas perfetto per il quale vale l’equazione di stato: pv = RT (II.4.5) e la sostituiamo nella (2.4.4) otteniamo: c p dT = c v dT + d(RT ) R = cp − cv (II.4.6) che è detta relazione di Mayer per i gas perfetti. La costante R dipende dal tipo di gas e si può ricavare dalla relazione: R= nella quale R 0 = 8.314 esame espresso in R0 M (II.4.7) J è la costante universale dei gas e M il peso molecolare del gas in kgmol ⋅ K kg . kgmol 5 II.5) Entropia. Piani termodinamici. Abbiamo visto precedentemente che lavoro e calore non sono differenziali esatti. Consideriamo un sistema chiuso con modalità di scambio di lavoro solo attraverso variazioni di volume e vediamo se esiste un fattore ξ che moltiplicato per δQ renda quest’ultimo un differenziale esatto: δQ = du + pdv δQ = c v dT + pdv ξ ⋅ δQ = ξ ⋅ c v dT + ξ ⋅ pdv se consideriamo come funzione ξ: ξ= 1 T si ottiene: dv dT δQ = cv + p⋅ T T T e nel caso in cui il fluido contenuto all’interno del sistema sia un gas perfetto dalla (2.4.5): dv dT δQ = cv ⋅ +R⋅ v T T (II.5.1) Ma da questa relazione vediamo che la forma differenziale è integrabile e quindi la grandezza δQ T è un differenziale esatto. Questa grandezza, che per come è definita risulta essere una grandezza di stato, è detta entropia specifica. La definizione ora data è valida per trasformazioni internamente reversibili: def ds rev = δQ T (II.5.2) Per una trasformazione adiabatica reversibile sarà allora ds = ds rev + ds irr = 0 mentre per una trasformazione adiabatica reale avremo sempre ds = ds rev + ds irr = ds irr > 0 . Dalla (2.5.2) si ottiene la 1a relazione di Gibbs: ds = dv du +p T T (II.5.3) ricordando invece la (2.3.8) e sostituendo nella (2.5.3) si ottiene la 2a relazione di Gibbs: ds = dp dh −v T T (II.5.4) 6 Con i piani termodinamici è molto comodo studiare le trasformazioni e in particolare i cicli termodinamici. Le relazioni relative al lavoro di variazione di volume nel caso di sistemi chiusi e di sistemi aperti trovano una semplice rappresentazione nel diagramma di stato pressione-volume specifico detto piano di Clapeyron o piano (p,v). p pB pA |L| B A L vA vB v Nel caso di sistema chiuso avremo: δL = pdv vB (II.5.5) L = ∫ pdv vA Invece per un sistema aperto avremo: δL = − vdp pB L = − ∫ vdp L = pA pB ∫ vdp (II.5.6) pA Le relazioni relative alla definizione di entropia possono essere efficacemente rappresentate nel piano temperatura assoluta-entropia specifica detto piano di Gibbs o piano (T,s). T B A Q sA sB s Per una trasformazione internamente reversibile avremo: 7 δQ = Tds sB (II.5.7) Q = ∫ Tds sA Il diagramma (T,s) è molto usato, soprattutto per considerazioni qualitative. Nella figura seguente è riportato schematicamente quello relativo all’H2O: T C x=0 A p=cost x=1 Vapore surriscaldato Vapore saturo Liquido saturo B s La curva A-C rappresenta la curva limite inferiore, luogo dei punti rappresentativi dei liquidi saturi (ovvero x=0). La curva C-B rappresenta invece la curva limite superiore, luogo dei punti rappresentativi dei vapori saturi (ovvero con x=1). Ricordiamo che per una sostanza che presenta due fasi in equilibrio il titolo x è il rapporto tra la massa di vapore saturo presente nella miscela e la massa totale: x= m vapore saturo (II.5.8) m totale Segue che più è grande il titolo, più diminuisce nella miscela liquido-vapore la massa della fase liquida. Il punto C, massimo della curva a campana, è detto punto critico ed è caratteristico di ogni sostanza. Al di sopra della temperatura del punto critico non può esistere la fase liquida di tale sostanza. E’ da rimarcare che, in pratica, tutte le isobare coincidono lungo la curva limite inferiore e quindi quest’ultima è rappresentativa, oltre che del liquido saturo, anche del liquido non saturo. Il diagramma di stato più utilizzato nel campo degli impianti termici motori per il calcolo di proprietà termostatiche di aeriformi e di vapori saturi a titolo molto alto è il diagramma (h,s) o diagramma di Mollier. Qui di seguito si riporta il diagramma schematico (h,s) per l’H2O: p=cost h x=1 T=cost C B x=cost x=0 A s 8 La curva A-C rappresenta la curva dei liquidi saturi e, anche in questo caso, è praticamente il luogo dei punti del liquido non saturo. All’interno della curva a campana le isobare sono dei segmenti di retta e in ogni punto hanno pendenza uguale alla temperatura assoluta T. II.6) 2° Principio Della Termodinamica. Ciclo di Carnot. Per semplicità sarà seguita l’enunciazione delle leggi fisiche seguendo un’impostazione fenomenologia generalizzando per via induttiva le osservazioni sperimentali. Ciò si discosta dagli attuali corsi di Fisica Tecnica che seguono un’impostazione assiomatica del secondo principio. Pertanto il 2° Principio della Termodinamica si esprime attraverso due enunciati storici, fra di loro equivalenti. Enunciato di Clausius: è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di far passare calore da un corpo a temperatura inferiore ad un corpo a temperatura superiore. Enunciato di Kelvin-Planck: è impossibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui unico risultato sia quello di assorbire calore da una sola sorgente e di trasformarlo integralmente in lavoro. Dall’enunciato di Kelvin-Planck si evince subito che la più semplice delle macchine motrici termiche realizzabili opera con due sorgenti termiche. Q1 Motore termico L Q2 La macchina preleva una quantità di calore Q1 dall’esterno cedendola al suo fluido di lavoro. Questo fluido è fatto poi espandere cedendo del lavoro all’esterno. Affinché la trasformazione di calore in lavoro avvenga con continuità è necessario poi che la macchina faccia seguire al fluido un ciclo termodinamico. Dovremo allora riportare il fluido nelle condizioni iniziali operando una sottrazione di calore Q2. T 2 Q1 1 Q2 s Per il 1° Principio della Termodinamica possiamo scrivere: ∆U = Q1 − Q 2 − L = 0 perché il fluido ritorna nelle condizioni iniziali. Dunque risulta: L = Q1 − Q 2 9 Il rendimento del ciclo vale: η= L Q1 − Q 2 Q = 1− 2 = Q1 Q1 Q1 (II.6.1) Nel caso in cui le trasformazioni 1-2 e 2-1 siano internamente reversibili possiamo ricavare le espressioni delle quantità di calore: s2 Q1 = ∫ Tds s1 s1 Q 2 = ∫ Tds s2 La più semplice fra le macchine motrici termiche è quella che segue un ciclo di Carnot. T1 Q1 Sistema L Q2 T2 Il sistema preleva una quantità Q1 di energia termica da un serbatoio di energia termica a temperatura T1 con una trasformazione isoterma reversibile. Il fluido cede poi una quantità di lavoro L all’esterno mediante una trasformazione adiabatica reversibile e una quantità di calore Q2 mediante una nuova trasformazione isoterma reversibile ad un serbatoio di energia termica a temperatura T2. Le trasformazioni anzidette possono essere rappresentate nel piano (T,s): T T1 T2 A B D C E ∆s F s Q1 = A ABFE = T1 ⋅ ∆s Q 2 = A CDEF = T2 ⋅ ∆s L = Q1 − Q 2 = A ABCD = (T1 − T2 ) ⋅ ∆s 10 Pertanto il rendimento del ciclo di Carnot è uguale a: Q − Q 2 T1∆s − T2∆s T1 − T2 T ηC = 1 = 1− 2 = = Q1 T1∆s T1 T1 (II.6.2) Questo rendimento è il migliore ipotizzabile per qualunque macchina termica che operi ciclicamente tra le stesse temperature. Infatti seguendo un ciclo di Carnot riesco ad assorbire la maggiore quantità possibile di calore Q1 a parità di ∆s e a cederne la minima possibile Q2. II.7) Temperature medie di adduzione e sottrazione di calore. Consideriamo una generica trasformazione reversibile che porta il fluido dalle condizioni A di equilibrio termodinamico alle condizioni B, ancora di equilibrio termodinamico. T B Tma A Q1 ∆s s La quantità di calore scambiato in questa trasformazione vale: B Q1 = ∫ Tds = Tma ⋅ ∆s A per il teorema della media. La temperatura Tma è detta temperatura media di adduzione di calore: Tma = Q1 ∆s (II.7.1) Allo stesso modo, consideriamo una trasformazione reversibile che porta il fluido dalle condizioni B alle condizioni A. T B Tms A Q2 ∆s s Anche in questo caso potremo calcolare il calore scambiato durante la trasformazione: 11 A Q 2 = ∫ Tds = Tms ⋅ ∆s B La temperatura Tms è detta temperatura media di sottrazione del calore: Tms = Q2 ∆s (II.7.2) Se ora consideriamo un ciclo generico le cui trasformazioni siano reversibili, possiamo facilmente dimostrare che il suo rendimento è lo stesso di quello di un ciclo di Carnot che evolve tra le temperature Tma e Tms : η= T Q1 − Q 2 Tma ∆s − Tms ∆s Tma − Tms = = = 1 − ms Q1 Tma ∆s Tma Tma (II.7.3) Ogni ciclo per quanto complicato sia si può ricondurre ad un ciclo di Carnot tra Tms e Tma Il ciclo termodinamico seguito dal fluido si discosterà alquanto da quello teorico, come si può vedere dalla figura: T T1 T2 ∆Τ A D B C s Questo avviene sempre nelle macchine reali perché non è possibile effettuare trasformazioni reversibili. Tali trasformazioni sono infatti necessariamente quasi statiche, ovvero si compiono in un tempo infinito. Nelle macchine reali avverranno invece delle trasformazioni reali che comportano sempre una produzione entropica. Per esempio potremo scambiare calore con una sorgente solo sotto una differenza ∆T finita di temperatura e quindi il fluido non si porterà mai alla temperatura di detta sorgente. Inoltre l’espansione del fluido non potrà avvenire secondo un’adiabatica isoentropica. A causa degli effetti dissipativi, l’espansione seguirà una trasformazione che possiamo ancora ritenere adiabatica ma che darà un aumento di entropia. Queste produzioni di entropia dovranno essere riassorbite per riportare il fluido nelle condizioni iniziali e ciò comporta una sottrazione di una maggiore quantità di calore Q2. Il rendimento di una macchina reale sarà allora certamente inferiore al rendimento di Carnot. Per avere elevati rendimenti bisogna effettuare trasformazioni che si discostino il meno possibile da trasformazioni reversibili fornendo calore alla più elevata temperatura che riusciamo a realizzare e sottraendolo alla più bassa consentita. 12 Effettuiamo un confronto tra diversi cicli aventi diverse Tma e Tms : T 1 2 3 4 ∆T ∆T s Nei casi 2 e 3 il lavoro scambiato è maggiore rispetto al caso 1 perché l’area racchiusa dal ciclo è maggiore. Tuttavia il rendimento del ciclo 2 è inferiore a quello del ciclo 3 perché la quantità di calore assorbita Q1, pari all’area sottesa dall’isoterma superiore, è più elevata. Il ciclo 4 è poi quello che produce il maggior lavoro e ha maggior rendimento. Infatti ha una temperatura media di sottrazione di calore inferiore al ciclo 2 e una temperatura media di adduzione di calore più elevata del ciclo 3. Da quanto esposto capiamo che dobbiamo anzitutto cercare di abbassare il più possibile la temperatura Tms e di innalzare la Tma . Infatti la temperatura Tma alla quale cediamo il calore Q 1 è un indice della bontà dell’energia, perché più essa è alta minore è il ∆S dato che Q 1 = Tma ⋅ ∆S; inoltre più è bassa Tms più è alto il ∆S (Q 2 = Tms ⋅ ∆S), però questa volta il ∆S. II.8) Studio e classificazione dei cicli termodinamici. Per attuare il processo di conversione di energia termica in energia meccanica si realizzano le seguenti fasi: 1. 2. 3. 4. energizzazione meccanica del fluido motore; energizzazione termica del fluido motore; disenergizzazione meccanica del fluido motore; disenergizzazione termica del fluido motore. Queste fasi sono effettuate assoggettando il fluido a delle trasformazioni. Le quattro trasformazioni nel loro complesso costituiscono il ciclo termodinamico eseguito dal fluido. Nel caso in cui il ciclo coincida con un ciclo di Carnot le quattro fasi sono: 1. compressione adiabatica isoentropica (energizzazione meccanica); 2. adduzione di calore con trasformazione isoterma (energizzazione termica); 3. espansione adiabatica isoentropica (disenergizzazione meccanica); 4. sottrazione di calore con trasformazione isoterma (disenergizzazione termica). 13 T (2) (3) (1) (4) s Abbiamo già detto che le trasformazioni di questo ciclo sono reversibili e quindi il calore e il lavoro sono attribuibili solo a scambi con l’ambiente esterno. Dalla relazione (2.3.9): dh = δQ e − δL e (II.8.1) E per una trasformazione reversibile si ha: δQ e = Tds (II.5.2) δL e = − vdp (II.3.10) Sostituendo la (2.5.2) e la (2.3.10) nella (2.8.1) si ha: dh = Tds + vdp (II.8.2) Questa relazione, ricavata analiticamente per trasformazioni reversibili, è valida in generale. Consideriamo infatti un fluido che evolve in un condotto fisso e adiabatico. In queste ipotesi è: δQ e = δL e = 0 e per il 1° Principio della Termodinamica: dh = 0 Se il fluido è reale avrà una sua viscosità e, a causa degli attriti, dovrà spendere parte della propria energia meccanica per attraversare il condotto. Queste perdite di carico si manifestano con un decremento di pressione del fluido dall’ingresso all’uscita del condotto. Possiamo quindi attribuire questo scambio di energia meccanica allo stesso modo di prima: δL e + δL a = − vdp Inoltre vi sarà una produzione di calore all’interno del fluido per opera degli attriti che causerà un aumento di entropia del fluido: δQ e + δQirr = Tds Sostituendo nella (2.3.9) si ottiene: 14 − δL a = δQirr (II.8.3) Dalla (2.8.3) si desume che il fluido ha peggiorato le proprie caratteristiche per attraversare il condotto perché ha convertito parte della propria energia meccanica (energia di “qualità”) in calore (energia “degradata”) per vincere le forze di attrito. Da quanto esposto si evince che possiamo studiare i cicli termodinamici con più gradi di approssimazione, sia per il fluido di lavoro, sia per le trasformazioni cui il fluido stesso è sottoposto: Ciclo ideale Ciclo limite Ciclo reale Fluido Ideale Reale Reale Macchina Ideale Ideale Reale Nello studio del ciclo ideale si fa l’ipotesi che il fluido abbia un comportamento da gas piuccheperfetto e che le macchine siano in grado di eseguire trasformazioni reversibili. Nel ciclo limite si considera il fluido nel suo reale comportamento, ovvero con le proprietà termostatiche dipendenti dalla temperatura, mentre si continuano a considerare le macchine ideali. Possiamo dire che questo ciclo rappresenta il limite tecnologico al quale si può giungere perfezionando la costruzione delle macchine. Aumentando il grado di precisione si possono considerare sia il fluido che le macchine nel loro comportamento reale e studiare quindi il ciclo reale. Il rendimento globale di un impianto termico è dato dal rapporto tra il lavoro utile all’asse del motore Lua e la quantità di calore che può rilasciare il combustibile: ηg = L ua mc Hi (I.4.1) Quando dobbiamo riscaldare il fluido per la sua energizzazione termica abbiamo necessità di bruciare un combustibile. La combustione non avverrà certamente secondo una reazione ideale e quindi parte del calore disponibile andrà perduto. Infatti vi saranno certamente allo scarico dei gas incombusti e avverrà la dissociazione dell’anidride carbonica. Inoltre i fumi inviati al camino possiedono ancora una certa quantità di calore che non è sfruttata per il riscaldamento del fluido. Definiamo allora un rendimento di combustione dato dal rapporto tra la quantità di calore Q1 che si riesce a cedere al fluido e il calore ottenuto dalla massa di combustibile che è bruciato: ηb = Q1 mcHi (II.8.4) Il fluido segue poi un determinato ciclo termodinamico che, come abbiamo visto, è caratterizzato da un ciclo limite che avrà un proprio rendimento limite: ηl = L ul Q1 (II.8.5) Sarebbe certamente auspicabile che nella realtà il fluido seguisse perfettamente il ciclo limite. Abbiamo visto però che ciò è realizzabile solo costruendo delle macchine ideali, in grado cioè di realizzare trasformazioni reversibili. Invece il fluido seguirà un ciclo reale e si potrà pertanto 15 definire un rendimento reale uguale al rapporto tra il lavoro effettivamente scambiato durante il ciclo e la quantità di calore assorbita dal fluido: L ur Q1 ηr = (II.8.6) Si potrà allora introdurre un nuovo indice che fa comprendere quanto il ciclo reale si avvicina a quello limite. Questo indice è di carattere prettamente tecnologico siccome ci fa capire quanto le macchine adoperate si avvicinano alle condizioni ideali di funzionamento. Per questo esso è detto rendimento interno: ηi = L ur ηr = L ul ηl (II.8.7) Tuttavia il lavoro Lur è quello disponibile sul primo organo in movimento della macchina motrice, per esempio sulle palette di una turbina. Questa avrà certamente il rotore calettato su di un asse e vi saranno delle perdite meccaniche dovute all’attrito sui cuscinetti o all’azionamento dei servizi ausiliari. Perciò è possibile definire un rendimento meccanico dato da: ηm = L ua L ur (II.8.8) A questo punto, dal momento che abbiamo separato tutti i processi che conducono alla determinazione del rendimento reale, è facile verificare che: ηg = L ua Q1 L ul L ur L ua = ⋅ ⋅ ⋅ = η b ⋅ η l ⋅ ηi ⋅ η m m c H i m c H i Q1 L ul L ur (II.8.9) E’ anche possibile esprimere il rendimento globale impiegando la (2.8.7): ηg = η b ⋅ η r ⋅ η m (II.8.10) E’ bene osservare che il rendimento globale del ciclo è limitato essenzialmente dal rendimento reale perché esso è dato dal rapporto tra energie di tipo diverso. Abbiamo infatti una forte limitazione dalla termodinamica ogni volta che vogliamo trasformare dell’energia di minore qualità (calore) in una di migliore qualità (energia meccanica). Il ciclo reale potrà al più raggiungere il ciclo limite e questo potrà essere conseguito migliorando il livello tecnologico delle macchine costituenti l’impianto. Questo vuol dire che il rendimento interno può tendere all’unità, compatibilmente con il fatto che è data dal rapporto di due energie meccaniche. Il rendimento limite potrà essere migliorato modificando opportunamente il ciclo ma esso, in ogni caso, sarà inferiore del rendimento di un ciclo di Carnot che evolve tra le stesse temperature. Proprio il ciclo di Carnot è limitato dalle temperature massime e minime a cui si può lavorare ed è chiaro che, considerando tutte le limitazioni enunciate, i rendimenti reali degli impianti termici siano così bassi. Per quanto riguarda il rendimento di combustione possiamo dire che esso aumenta migliorando il processo di combustione, mentre il rendimento meccanico aumenta lubrificando meglio le superfici di contatto tra gli organi in movimento. 16