Nulla sembra più lontano dall`organizzazione dei

k MEDUSE SONO ANIMALI PRIVI DI SCHELETRO,
costituiti da un corpo a ombrello
formale per il 98 per cento da acqua,
daTquale si dipartono i tentacoli.
Qui vediamo la piccola medusa Koellikerioa
fasciculata, di un centimetro e mezzo
•
di diametro, in posizione di pesca.
di Jacqueline Goy
Nulla sembra più lontano
dall'organizzazione dei
mammiferi che la s uttura
•
delle meduse, ques organismi
gelatinosi che lascian
a volte, ricordi «scottaRti»
Eppure Moro studio rivela
N.
numerosi punti in comune
con i vertébrati.
E questo non è che uno
dei molti enigmi che esse
pongono agli zoologi
41F1'
•
C on le sue sorelle Steno ed Euriale, Medusa è una delle tre Gorgoni dai capelli di
IN SINTESI
serpente della mitologia greca, il cui potere malefico è spesso evocato dai fi-
La semplice organizzazione a simmetria raggiata delle
meduse precorre quella più evoluta degli animali a simmetria
bilaterale. Esse hanno infatti un apparato digerente, una sorta
di sistema circolatorio, organi di senso e cellule contrattili.
• Una delle strutture più interessanti delle meduse sono le
cellule urticanti [cnidoblasti) disposte lungo i tentacoli. Tali
cellule possono lanciare un filamento che inietta un liquido
tossico nella preda, ma la funzione viene svolta una sola volta.
• Uniche tra gli invertebrati, le meduse possiedono anche fibre
collagene analoghe a quelle dei vertebrati superiori.
Le meduse sono anche i primi animali pluricellulari che
hanno adottato la riproduzione sessuata, con lo sviluppo di
gameti maschili e femminili da parte di individui diversi.
losofi dell'antichità. Con un solo sguardo, trasformava in pietra chiunque
osasse affrontarla, fino al giorno in cui Perseo la prese in trappola, facendole contemplare la sua immagine riflessa in uno scudo. A metà del XVIII
secolo, questo potere tremendo e l'immagine del suo viso incorniciato dai
serpenti ispirò il naturalista svedese Cari von Lin né, che chiamò «medu,
se» quegli animali marini trasparenti dal corpo circolare bordato di tentacoli velenosi. Qualche anno più tardi Frangois Péron - un giovane naturalista che aveva partecipato a una spedizione nelle terre australi al comando di Nicolas Baudin - prese a interessarsi a questi animali. Péron propose di conservare il nome di medusa per l'insieme degli animali, ma attribuì a
ciascuno dei 70 esemplari che registrò il nome di un personaggio legato alla Medusa mitologica: descrisse così campioni di Cetosia, di Phorcynia, di Pegasia, di Geryonia, di Chrysaora e altri ancora, con
-
l'idea che un naturalista versato per la mitologia avrebbe facilmente identificato una medusa a prima vista.
pi: 16 sono rettilinei e veicolano le sostanze nutritive dallo stomaco verso la periferia; altri 16 sono ramificati e trasportano le
deiezioni verso lo stomaco. La separazione dei sensi di circolazione appare come un abbozzo della circolazione dei fluidi vitali, e in particolare del sangue, negli animali più evoluti.
Sia nelle femmine sia nei maschi delle meduse, le gonadi si
sviluppano intorno al manubrio o intorno ai canali radiati. Organi di senso come ocelli e statocisti, gli organi dell'equilibrio,
sui quali torneremo in seguito, sono dispersi nei tentacoli o si
trovano alla loro base.
Come si vede, la medusa è un animale dall'organizzazione
semplice. Alla stregua delle spugne, è costituita da due lamine (o
Per chi non lo ricorda, Ceto e Forco erano i genitori delle tre
Gorgoni, mentre il gigante Crisaore, uscito dal collo insanguinato di Medusa e fratello di Pegaso, nacque con una spada d'oro in
mano. In effetti, la medusa Chrysaora - il gigante di 6 metri di
lunghezza riprodotto qui a destra - ha la faccia superiore decorata di raggi dorati che ricordano la spada d'oro. La nomenclatura di Péron sopravvive ancora ai giorni nostri, quasi un omaggio all'immaginario dei Greci.
Né capo né coda
«Dare il nome», però, non è «descrivere». E il giovane naturalista si scontra presto con le vecchie descrizioni di autori prestigiosi come Linneo e Cuvier, per i quali questi organismi erano
più vicini al mondo vegetale che a quello animale. A tal punto
che essi li chiamavano «zoofiti», ovvero piante-animali. Da
buon botanico, il primo li descrive con tanto di pistilli e stami, e
il secondo trova, alla medusa che sta osservando, una bocca dotata di radici... Dopo lunghe osservazioni, Péron ribalta la prospettiva dei suoi predecessori, e crea una terminologia per descrivere questi organismi.
Questo passo segna l'inizio dello studio delle meduse come
animali, e da due secoli a questa parte le scoperte non hanno
smesso di susseguirsi. Ancora oggi, le meduse continuano a svelarci i loro segreti, in particolare sul funzionamento delle cellule
urticanti. Lo studio della loro biologia, dall'anatomia al funzionamento delle cellule, mostra che questi organismi - costituiti
per il 98 per cento da acqua - prefigurano in modo sorprendente
i sistemi circolatori, gli occhi e persino i muscoli dei vertebrati.
Péron insiste sull'originalità di una morfologia disposta, in
rapporto all'asse centrale del corpo, secondo una simmetria raggiata che contrasta con la simmetria bilaterale di quasi tutti gli
altri animali, dotati di una parte destra e di una parte sinistra. In
certe meduse, però, una simmetria bilaterale si sovrappone a
quella raggiata, senza però rimpiazzarla. Così le meduse Amphinema e Solmundella non hanno che due tentacoli diametralmente opposti, mentre nelle Persa sono le due gonadi, le ghiandole
che producono le cellule sessuali, a essere in questa posizione.
Una medusa ha la forma di un ombrello bordato da lunghi filamenti retrattili (fino a 800), i tentacoli. Al suo centro, pende liberamente un organo, chiamato «manubrio», che congiunge la
bocca allo stomaco, situato in vicinanza della sommità dell'ombrello. Dallo stomaco partono canali radiali che portano i prodotti della digestione a un canale circolare lungo il bordo dell'ombrello; i prodotti di escrezione seguono la strada inversa,
per essere rigurgitati dalla bocca. In una medusa, Aurelia aurita,
comune nelle acque della Manica, i canali radiali sono di due ti-
106
foglietti) che si formano all'atto dello sviluppo embrionale: un
ectoderma, che delimita la superficie dell'organismo, e un entoderma, che ricopre gli organi dell'apparato digerente. È lo strato
di gelatina, che prende il nome di mesoglea ed è situato tra le
due superfici, a conferire al corpo della medusa la sua caratteristica consistenza. Gli animali così formati, detti diblastici, sono i
primi pluricellulari della scala evolutiva. Sono seguiti dagli animali triblastici, ovvero quelli in cui, durante lo sviluppo, l'embrione subisce un'invaginazione e adotta un'organizzazione a
tre lamine (l'ento-, l'ecto- e il mesoderma), ciascuna delle quali
ha una particolare funzione. Per esempio, nei mammiferi l'ectoderma dà origine al sistema nervoso.
Ilule che pietrificano
In assenza di una conchiglia, come quella dei molluschi, o di
un guscio (lo scheletro calcareo), come quello degli echinodermi,
o ancora di un carapace, come quello dei crostacei, le meduse
sembrano quanto mai vulnerabili nei confronti dei predatori. E
appaiono tanto più sguarnite se si pensa che sono carnivore...
Come fanno animali così fragili a catturare prede vive per nutrirsene? I loro tentacoli sono tappezzati di cellule urticanti (cnidoblasti) che lanciando i filamenti contenuti nelle cnidocisti paralizzano istantaneamente qualsiasi animale osi avvicinarvisi...
proprio come faceva la Medusa con il suo sguardo.
In omaggio ad Aristotele, che designava con il termine knidé
(«ortica», in greco) questi animali dal potere urticante, gli zoologi hanno creato il sottotipo degli cnidari, che conta - oltre alle
meduse - i sifonofori, i coralli, gli anemoni di mare e... le gorgonie, tutti animali provvisti di cnidoblasti. Riunendo in un unico
gruppo le meduse e i coralli, gli zoologi hanno ancora una volta
MESOGLEA
STOMACO
SPINA
MANUBRIO
CANALE RADIALE
GONADE
CNIDOCIGLIO
BOCCA
TENTACOLO
CANALE
CIRCOLARE
UNA MEDUSA (a sinistra) è costituita da un corpo od ombrello a forma di
gonadi. Dallo stomaco si dipartono canali radiali che si congiungono
campana rovesciata, e dai tentacoli. Il corpo è delimitato all'esterno da
sulla sommità dell'ombrello. I tentacoli sono retrattili e provvisti di
uscito dal collo sanguinante della Medusa quando Perseo Io tagliò.
un ectoderma e all'interno da un entoderma. Tra i due si trova la
mesoglea, una massa gelatinosa che conferisce all'animale la tipica
cellule urticanti, gli cnidoblasti (a destra), che possiedono un vacuolo, o
cnidocisti, contenente un lungo filamento ricoperto di spine. Quando un
Le striature dorate dell'ombrello sono simbolicamente viste
consistenza. Al centro dell'animale è sospeso un organo, il manubrio,
ciglio sensibile, lo cnidociglio, rivela una preda, il filamento proiettato
come la spada d'oro che il gigante recava fin dalla nascita.
che connette la bocca allo stomaco e dove spesso sono situate le
penetra nella preda e le inietta un veleno, proprio come una siringa.
CHRYSAORA PRENDE IL NOME DAL GIGANTE CRISAORE,
LE SCIENZE 411 /novembre 2002
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107
CNIDOBLASTO CONTENENTE
ANCORA IL SUO FILAMENTO
confermato la mitologia: vuole infatti la leggenda che il sangue
di Medusa si sia trasformato in corallo al contatto con le alghe.
Si tratta, precisamente, del corallo rosso, che vive esclusivamente nel Mediterraneo. I gioiellieri perpetuano il mito, chiamando
le diverse qualità di questo corallo con nomi «esotici» come
«schiuma di sangue», «fior di sangue», «primo sangue» e «secondo sangue».
Lo cnidoblasto è una cellula epiteliale con un vacuolo, o cnidocisti, che occupa tutto il volume cellulare e respinge il citoplasma e il nucleo contro la membrana cellulare. All'interno del vacuolo, un filamento cavo, circondato di spine, è arrotolato a spirale e immerso in un liquido tossico. Un minuscolo ciglio, o cnidociglio, si innalza verso l'esterno dell'ectoderma e «rileva» il
contatto con una preda. I neuroni a cui è connesso provocano
allora la contrazione delle cellule muscolari che circondano lo
cnidoblasto e lo comprimono. 11 vacuolo scoppia quasi immediatamente, e il filamento si distende, penetra nella preda e le inietta un veleno anestetizzante, proprio come farebbe una siringa.
La preda ne resta vittima in una frazione di secondo. Stendendo
i suoi tentacoli, la medusa esplora un grande volume d'acqua e
aumenta le opportunità che una preda si imbatta in questa specie di rete da pesca. Una volta catturata, la preda è portata alla
bocca con i tentacoli e inghiottita per essere digerita.
Attualmente si conta una ventina di varietà di cnidoblasti,
che si distinguono per il numero e la posizione delle spine sul filamento e per la natura della tossina contenuta nel vacuolo. Una
stessa specie di medusa ne possiede fino a sei tipi diversi, ripartiti in modo caratteristico per tutta la lunghezza del tentacolo, al
punto che si parla di «cnidoma», in riferimento al genoma delle
meduse. Questa disposizione degli cnidoblasti è divenuta un criterio per l'identificazione delle specie.
Cellule monouso
GLI CNIDOBLASTI SONO LE ARMI della medusa. Il filamento avvelenato in
essi contenuto viene proiettato quando una preda passa in prossimità
dei tentacoli. Queste cellule, però, non producono effetti sui molluschi
nudibranchi (in basso), che divorano le meduse e ne utilizzano,
esponendole sul dorso, le vescicole urticanti intatte.
IL CORALLO ROSSO, il cui habitat è limitato al Mediterraneo, è - secondo la
leggenda - sangue pietrificato della Medusa. Gli zoologi vi riconoscono,
piuttosto, un rappresentante della famiglia degli cnidari, come le meduse.
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Per quanto diversi siano, gli cnidoblasti non funzionano che
una sola volta. La medusa ne perde regolarmente quando si nutre, secondo un fenomeno piuttosto raro nel regno animale. Tra
le diverse ipotesi che spiegano l'origine di questa cellula, quella
formulata dallo zoologo svizzero Pietre Tardent, dell'Università
di Zurigo, è fondata sulla simbiosi. Lo cnidoblasto sarebbe stato
inizialmente una cellula libera e autonoma associatasi al celenterato prima di essere incorporata nel materiale cellulare ectodermico. Questa teoria è però di difficile verifica, perché i fossili
di medusa del celebre giacimento di Ediacara, in Australia, antichi di 600 milioni di anni, non hanno rivelato nulla della loro
anatomia cellulare.
La funzione unica di questi cnidoblasti costituisce poi un altro paradosso. Non appena uno di essi viene utilizzato è immediatamente sostituito da un'altra cellula della stessa natura. In
altri termini, la medusa perde una parte delle sue cellule, ma ne
produce rapidamente altre grazie a una zona di intensa attività
di suddivisione cellulare, o cnidogenesi, situata alla base dei tentacoli. I nuovi cnidoblasti si spostano, con movimenti ameboidi,
verso la zona dove sostituiscono quelli che sono già entrati in
funzione. Secondo questo meccanismo, una molecola messaggera informerebbe la zona di cnidogenesi in merito allo cnidoblasto utilizzato e alla sua localizzazione, ma il funzionamento
di questo sistema di rigenerazione cellulare è ancora ignoto.
Gli cnidoblasti non sono utili solo alle meduse e agli cnidari.
Un piccolo mollusco marino dei nudibranchi, che somiglia un
po' a una lumaca, si nutre quasi esclusivamente di cnidari. Al
momento della digestione, gli cnidoblasti vengono risparmiati, e
migrano senza aver liberato il loro filamento verso escrescenze a
forma di dita, chiamate cleptocnidi, che ornano il dorso del mollusco. Grazie a questo fenomeno di eteroinnesto, il mollusco
sfrutta gli cnidoblasti per difendersi dai predatori.
LE SCIENZE 411 / novembre 2002
-0
E
E
ALCUNI AVANNOTTI trovano riparo tra i tentacoli di una Cyanea capillata
LA MEDUSA CHIRONEX, il cui nome significa «la mano che uccide», è tra
senza essere disturbati dalle sue cellule urticanti. Per proteggersi, essi
le più pericolose. Ogni anno il veleno dei suoi cnidoblasti uccide
si sono ricoperti del muco della medusa stessa.
numerosi bagnanti sulle coste del Golfo di Carpentaria, in Australia.
Se la cellula urticante è una caratteristica notevole delle meduse, ancora più interessanti sono le tossine che essa produce,
che sono state protagoniste della scoperta delle allergie. Nell'ultimo decennio dell'Ottocento, imbarcato su navi oceanografiche
al largo della costa delle Azzorre, il principe Alberto I di Monaco osservò che le lesioni alle mani dei marinai si facevano via
via più dolorose col procedere delle operazioni di selezione del
pescato, tra il quale si trovavano fisalie, cnidari della famiglia
dei sifonofori. Incaricati di far luce su questo mistero, Charles
Richet e Paul Portier, i due medici di bordo, scoprirono l'anafilassi, aprendo così la via allo studio delle allergie. Al contrario
della vaccinazione, l'anafilassi è un aumento della sensibilità di
un organismo a una sostanza estranea in seguito a un primo
contatto. 11 secondo o il terzo contatto possono generare uno
shock - lo shock anafilattico, appunto - che in qualche caso è
addirittura fatale.
Le tossine degli cnidari sono proteine anestetizzanti, le actino-congestine, costituite da 14 amminoacidi, che agiscono già
in dosi infinitesimali. Alcune di queste tossine provocano effetti
limitati sulla pelle, come prurito od orticaria, ma altre paralizzano i muscoli respiratori e inducono tachicardie, ipertensione ed
edemi diffusi.
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ne Mitridz
Gli cnidoblasti, però, non sempre funzionano: a volte capita
che piccoli avannotti trovino riparo proprio sotto le meduse senza esserne «arpionati». Allo stesso modo, i pesci pagliaccio si infilano negli anemoni di mare, altri cnidari, e sembrano protetti
dalle loro spine. Che cosa inibisce gli cnidoblasti?
11 gruppo di Amit Loran, della società israeliana Nidaria, ha
isolato un composto del muco extra-corporeo delle meduse che
neutralizza la contrazione degli cnidoblasti e impedisce così l'espulsione del filamento. I pesci se ne rivestono passando ripetutamente in prossimità della medusa, riuscendo così a proteggersi dalle cellule urticanti. Sintetizzato e incorporato in una crema
solare, questo prodotto potrebbe diventare un efficace anti-medusa, che impedirebbe alla Chi ronex, soprannominata «la mano
che uccide», di uccidere diversi bagnanti ogni anno lungo le coste del Golfo di Carpentaria, in Australia. Insomma, è lo stesso
animale a sintetizzare contemporaneamente nei suoi tessuti il
veleno e l'antidoto...
Oltre agli cnidoblasti, che entrano di diritto tra le cellule più
singolari del regno animale, le meduse dispongono anche di cellule muscolari che assicurano la loro mobilità grazie a una suc-
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cessione di contrazioni e dilatazioni dell'ombrello. E, immancabilmente, si tratta di un altro enigma della zoologia... Queste
cellule muscolari sono infatti identiche a quelle dei muscoli
striati, appannaggio dei muscoli motori dei vertebrati. Disseminate tra le cellule epidermiche e concentrate soprattutto lungo i
bordi dell'ombrello, sono in qualche modo legate a un sistema
di neuroni motori. Queste cellule muscolari sono responsabili
della vigorosa contrazione dell'ombrello che determina un balzo
in avanti la cui lunghezza arriva a fino a cinque volte le dimensioni della medusa, l'equivalente di un salto di 9 metri per un essere umano... Dopo questa contrazione, l'ombrello assume nuovamente la sua posizione distesa, (ma fase di riposo che la massa gelatinosa contribuisce a mantenere.
La mesoglea è costituita per il 98 per cento da acqua e fibre di
collagene che, analizzate, si sono rivelate di tipo umano. Ciò ha
sollevato nuove perplessità perché le meduse sono gli unici invertebrati a presentare questa analogia con il collagene della
cornea, del cuore e dei tessuti embrionali dell'uomo. Estratto
dalla medusa Rhizostoma octopus - una specie diffusa sulle coste atlantiche i cui esemplari arrivano a pesare fino a 80 chilogrammi - questo collagene sostituisce quello dei bovini, ed è utilizzato in cosmesi per rassodare la pelle e in chirurgia nel ruolo
di cicatrizzante. D'altra parte, nella mesoglea si trovano anche
cellule totipotenti, indifferenziate, che si trasformano per ricostituire tessuti danneggiati. Essendo presenti anche negli individui
adulti, sarebbero simili alle cellule staminali, le progenitrici delle cellule multipotenti adulte scoperte di recente.
L'AUTORE
LA PELAGIA NOCTILUCA SINTETIZZA LA LUCIFERINA una proteina che, in
presenza di ossigeno, emette una luce rossastra.
JACQUELINE GOY lavora presso il Laboratorio di ittiologia
del Muséum national d'histoire naturelle di Parigi.
I primi animali sessuati
Dalle meduse ai vertebrati
Certe meduse sono provviste di organi della vista, ocelli talvolta rudimentali il cui funzionamento è però il precursore di
quello di organismi più evoluti. Questi organelli sono situati alla
base dei tentacoli, sotto forma di chiazze di pigmento rosse, brune o nere, oppure nelle ondulazioni dell'ombrello, assieme a un
organo dell'equilibrio, o statocisti, e a un organo olfattivo. L'insieme, legato ad alcuni neuroni sensoriali, è un ropalio, che costituisce un primo abbozzo di cefalizzazione, vale a dire di concentrazione degli organi di senso.
Gli organi dell'equilibrio, gli statocisti, sono identici in tutto il
regno animale, e il loro funzionamento è basato sullo stesso
principio: piccoli corpi minerali stimolano cellule cigliate connesse a neuroni e informano l'animale sul suo orientamento. Gli
ocelli, invece, vanno da semplici ammassi di cellule pigmentate
- nei casi più semplici - fino a piccoli occhi dotati di cornea, cristallino e retina, nei casi più evoluti. Certe meduse, quelle del
genere Carybdea, hanno entrambi i tipi di occhio disposti l'uno
sopra l'altro. Così è chiaro come la semplicità delle meduse sia
solo apparente, poiché esse dispongono di un arsenale cellulare
in grado di compensare la rudimentale anatomia.
La trasmissione dell'informazione è, analogamente a tutti i sistemi visivi del regno animale, fondata sull'isomerizzazione dei
pigmenti, le opsine. Lo studio della morfogenesi dell'occhio delle meduse ha inoltre evidenziato una coppia di geni, detti geni
ancestrali, il gene Pax-A e il gene Pax-B, che sono in relazione
con i geni Pax 5 e Pax 6 degli animali superiori. E ancora una
volta si riconosce l'unità del programma di sviluppo dell'occhio
in tutto il regno animale; unica particolarità: nelle meduse la
posizione degli occhi rispetta la simmetria radiata.
Sebbene sia stata chiarita la complessità di questo organo
della vista, i biologi continuano a interrogarsi su quanto vedano
realmente le meduse. Soltanto la medusa Carybdea, infatti, si
sposta all'avvicinarsi di un oggetto. È dunque possibile che nelle altre specie gli occhi non individuino altro che variazioni dell'intensità luminosa, che sarebbero all'origine delle loro migrazioni verticali - durante la notte - verso le acque superficiali, do-
serve per la maturazione degli organi riproduttivi: le meduse si
nutrono per riprodursi. Dalla loro comparsa, avvenuta intorno a
600 milioni di anni fa, hanno infatti sviluppato una strategia di
riproduzione che le mette al riparo dalle incertezze dell'ambiente. Esse sono i primi animali pluricellulari che abbiano adottato
la riproduzione sessuata, vale a dire quella in cui si formano gameti femminili e maschili prodotti da individui diversi. Questa
differenziazione si esprime fino al dimorfismo sessuale: nel Mediterraneo, per esempio, le femmine di Pelagia noctiluca sono
brune, mentre i maschi sono di un colore rosa-violaceo.
I ROPALI (in alto) sono gli organi sensoriali delle meduse. Essi sono
costituiti da occhi primitivi in cui pigmenti fotosensibili informano
l'animale sulle variazioni dell'intensità luminosa. I ropali contengono
inoltre anche gli organi dell'equilibrio, o statocisti: si tratta di vescicole
in cui corpi calcarei (in basso) stimolano cellule ciliate secondo
l'orientamento della medusa.
ve si concentra il plancton. Esiste tuttavia una piccola medusa
di appena 5 centimetri di diametro, Solmissus albescens, che
ogni notte risale in superficie per nutrirsi e poi ridiscende in
profondità dopo mezzanotte. Eppure, non è provvista di occhi.
Perciò l'enigma è tutt'altro che spiegato.
Vedere ed essere visti
Così come alcuni pesci degli abissi, o le lucciole, le meduse
producono luce attraverso un fenomeno di bioluminescenza.
Questo fenomeno è il risultato di due tipi di reazione: in uno, la
proteina luciferina della medusa Pelagia è attivata, in presenza
di ossigeno, dall'enzima luciferasi ed emette luce di lunghezza
d'onda compresa tra 460 e 485 nanometri; nell'altro, in presenza di calcio, la proteina equoreina della medusa "E guorea emette una luce verde della lunghezza d'onda di 518 nanometri.
Nei due casi, l'intensità luminosa emessa è proporzionale alla
LE SCIENZE 411 /novembre 2002
quantità di ossigeno o di calcio, così i biologi utilizzano queste
proteine per dosare i due elementi e seguirne il percorso nell'organismo. Un'altra applicazione consiste nell'usare l'equoreina
come marcatore per capire se si è riusciti a inserire in un organismo un gene d'interesse. Associando tale gene con quello che
codifica per l'equoreina - il gene gfp (che sta per green fluorescent protein) - si può in seguito illuminare l'organismo con radiazione ultravioletta e, se si ottiene fluorescenza, dedurre che
l'inserimento è andato a buon fine. Si può inoltre utilizzare l'equoreina in cellule malate, per esempio in cellule cancerose, e
studiarne la fluorescenza: essa diminuisce quanto più si moltiplicano le cellule. Infine un'altra proteina, la diazonomide A,
estratta dalla medusa Diazona chinensis, è allo studio per il trattamento di alcuni tipi di cancro, in particolare quello del colon.
Benché questi prodotti del metabolismo cellulare richiedano
energia fornita dall'ossigeno che diffonde attraverso l'epidermide e dagli elementi nutritivi, la maggior parte di questi ultimi
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In molti casi, i gameti vengono immessi nell'acqua, dove avviene la fecondazione. Successivamente una piccola larva, che
prende il nome di planula, si libera dall'uovo e nuota per qualche
giorno per poi cadere sul fondo e fissarvisi. La planula è una larva molto semplice, ma mostra già una polarità, poiché uno dei
poli si trasforma in una sorta di piede che aderisce al substrato,
mentre sull'altro si apre una bocca circondata da tentacoli disposti a corona. Questo primo stadio prende il nome di polipo.
Le planule hanno preferenze, riguardo al fondo marino cui
aderire, che variano secondo la specie: alcune si fissano sulle
rocce, altre su pezzi di legno sommersi, su conchiglie vuote o
abitate, su alghe, sulle branchie di alcuni pesci o su molluschi.
Raramente il polipo resta solitario. In genere si moltiplica per
gemmazione. Tutti gli individui che ne fuoriescono restano uniti attraverso una sorta di cordone e formano una piccola colonia, o idrario. Poi, in funzione della temperatura dell'acqua del
mare, nuove gemmazioni generano meduse che si staccano dalla colonia e conducono una vita libera. Questa parte del ciclo di
vita è detta pelagica, in opposizione alla fase bentonica della vita degli idrari fissati al suolo. Lo stadio pelagico è effimero, poiché la medusa è un animale che si riproduce una sola volta, per
morire subito dopo l'emissione dei gameti. La durata della vita
delle meduse varia da qualche settimana per le specie di piccola
taglia fino a un anno per le più grandi, come le Rhizos torna delle coste atlantiche.
Questo schema generale presenta tuttavia numerose eccezioni. Una specie delle coste canadesi, per esempio, Margelopsis
haeckeli, depone in estate piccole uova che evolvono rapidamente in un polipo. Poi, in autunno, depone un grosso uovo,
ricco di riserve, che sopravvive al freddo glaciale e alla notte polare, poggiato sul fondo, fino alla primavera seguente. Altre meduse creano gemme che s'incistano e vivono «al rallentatore».
Invece altre meduse, quando le condizioni ambientali sono favorevoli, ovvero quando le fonti alimentari sono abbondanti, si
riproducono ancora per gemmazione e danno vita a meduse figlie che gemmano a loro volta e invadono l'habitat.
Nelle meduse più grandi - come Aurelia aurita, diffusa nel
Mare del Nord e nella Manica - il polipo fissato si allunga, per
poi suddividersi trasversalmente in segmenti, secondo un fenomeno detto strobilazione. Ciascun segmento si stacca per divenire una piccola medusa sulla quale si svilupperanno le gonadi.
In A. aurita, la fecondazione è interna: le cellule maschili sono
emesse in acqua e vengono assorbite dalla femmina che poi feconda gli ovuli nelle tasche genitali. Le uova appena fecondate
migrano verso le labbra che circondano la bocca, che sono notevolmente modificate allo scopo di raccogliere le uova in tasche incubatrici, da cui le planule si liberano dopo qualche giorno. Si tratta del primo tentativo di procreazione in tutto il regno
animale. E tutto il processo è accompagnato dalla produzione di
un ormone che agisce sulla morfologia delle labbra.
Infine, certe specie di medusa non hanno uno stadio in cui
sono fissate, nel loro ciclo vitale: le larve si trasformano direttamente in meduse. Queste meduse sono, allora, elementi del
LE MEDUSE SI RIPRODUCONO secondo diverse modalità.Arctapodema
(a), per esempio, genera piccole meduse per gemmazione. Altri generi,
come Aurelia (b), attraversano uno stadio, detto polipo, in cui
plancton. La loro abbondanza riflette lo stato di salute dell'ambiente in cui vivono, tanto che oggi sono prese in considerazione come indicatori nei programmi per lo studio dell'ecologia
marina. Per esempio, si è a lungo creduto che le proliferazioni
estive della specie Pelagia noctiluca sulle spiagge del Mediterraneo fossero il risultato di un aumento dell'inquinamento. E invece non è così. Queste stesse proliferazioni sono descritte nei
testi di Peter Forsskal - un allievo di Carl von Linné che, nel
1775, partecipò alla prima traversata scientifica del Mediterraneo - e in quelli di Johann Gmelin, che nel 1788 trovò questa
specie nei bacini orientale e occidentale del Mediterraneo.
L'anno delle meduse
Lo studio di questi archivi ha permesso di stabilire la cronologia della diffusione di queste meduse a partire dal 1775, il
che ha consentito di verificare che la loro presenza e la loro
assenza seguono cicli di 12 anni. Questa periodicità coincide,
peraltro, con quella di numerosi fenomeni naturali, come le
fluttuazioni climatiche (a partire dall'anno Mille) registrate
dallo storico Emmanuel Leroy Ladurie, o quelle di el Nirio.
Questa prima stima è stata confermata dall'analisi delle condizioni climatiche nel Mar Ligure e ha portato alla conclusione
che gli anni in cui Pelagia è presente sono preceduti da tre anni caldi accompagnati da scarse precipitazioni. Questi due parametri climatici sono i soli che influiscono sulla proliferazione delle meduse, in quanto modificano la natura e la composizione degli organismi planctonici di cui si nutrono. Queste osservazioni hanno dato vita a uno studio dell'ecosistema marino nel suo insieme in cui le meduse del genere Pelagia hanno
avuto il ruolo di marcatori biologici delle modificazioni climatiche dell'ambiente.
112
aderiscono a una superficie. A volte il polipo si divide in segmenti (c).
Dopo tale processo (d, i segmenti hanno già sviluppato tentacoli), ogni
frammento evolve in una medusa che si stacca e nuota liberamente.
Così, le meduse non sono più soltanto quegli animali inferiori e nefasti che invadono il mare d'estate. Nei loro tessuti si
producono cellule in continuazione. Nella loro organizzazione
si riconoscono caratteri evoluti, con una segmentazione del
corpo per strobilazione, una simmetria bilaterale in alcune
specie, una produzione di ormoni per lo sviluppo delle uova,
un senso della circolazione dei fluidi corporei, una concentrazione degli organi di senso e dei neuroni sensoriali e - soprattutto - cellule muscolari striate e collagene di tipo umano. Alle loro tossine si deve la scoperta dell'anafilassi e, poi, delle allergie. I geni delle proteine luminescenti fanno parte della panoplia delle manipolazioni genetiche. Infine, gli studi sulle
proliferazioni di Pelagia indicherebbero che un fenomeno di
portata planetaria, come el Nirio, avrebbe conseguenze anche
nel Mediterraneo.
La lista, senza dubbio, non è finita. Questi evanescenti ombrelli celano ancora un gran numero di misteri.
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LESCIENZE 411/novembre 2002