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III^ DOMENICA DI PASQUA Lc 24, 13-35
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante
circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
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Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i
loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: "Che cosa sono questi discorsi che state facendo
tra voi lungo il cammino?". Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: "Solo tu
sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?". 19Domandò loro: "Che cosa?".
Gli risposero: "Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio
e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare
a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto
ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno
sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di
aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla
tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto". 25
Disse loro: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il
Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti,
spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti,
egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il
giorno è ormai al tramonto". Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane,
recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli
sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?". 33Partirono senza indugio e fecero ritorno
a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34 i quali dicevano: "Davvero il
Signore è risorto ed è apparso a Simone!".
E’ bastata una settimana …e a Gerusalemme, la città santa per eccellenza, era capitato di
tutto. Gesù è stato accolto in maniera trionfale, acclamato come un re; ha trasmesso il
comandamento dell’amore; durante la cena per la pasqua ha rivelato il valore del servizio
con la lavanda dei piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando un pane e versando
del vino; è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; è stato arrestato,
processato, condannato a morte, trafitto su una croce, sepolto… E basta. Tutto è finito. Nel
giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze e illusioni tessuti pazientemente
in tre anni di sequela fedele e attenta. Tutte le cose che abbiamo costruito, per le quali ci
siamo spesi, per le quali abbiamo sudato, lottato e pianto, per le quali abbiamo anche
rischiato, ci siamo esposti, sono definitivamente sigillate e oscurate dietro quella grande
pietra rotolata contro l’entrata di quel sepolcro nuovo, scavato nella roccia. Sembra di
sentirli: "…che delusione… e chi se l’aspettava… lasciamo stare, andiamo via… Basta, torniamo a
Emmaus!".
Sono i discorsi di due persone che, dopo aver vissuto un’esperienza affascinante ed
esaltante con Gesù, si ritrovano soli, abbandonati, sconfitti e decidono di abbandonare il
"cuore" di questa vicenda per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà di prima, al
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quotidiano di ogni giorno. Torniamo a Emmaus, lì almeno non ci sono illusioni; rientriamo
nel “vecchio” … è più rassicurante e tranquillo.
Quello dei discepoli di Emmaus, posto alla fine del vangelo di Luca, è certamente uno
fra i brani più suggestivi e, per certi versi, più aderente alla nostra realtà di persone in
cammino, certamente con molte certezze, ma spesso vittime di dubbi, perplessità,
interrogativi e desideri. Proviamo dunque a tentare una rilettura del testo cercando di
attualizzare l’annuncio e al tempo stesso cogliendo gli elementi principali che favoriscono
una comprensione, un’interiorizzazione e quindi una profonda e autentica assimilazione
del messaggio teologico che esso contiene.
C’è un dato di fatto che ci può in qualche modo sconcertare, ma che sembra di fatto
presente in tutti i vangeli: i discepoli di Gesù sono più delusi della sua resurrezione che
della sua morte. Come è possibile questo? E’ possibile! Se Gesù era veramente morto, ciò
significava che alla fin fine avevano commesso un errore di valutazione; Gesù non era il
messia e quindi era sufficiente aspettarne un altro. Viceversa, se Gesù era davvero
risuscitato, vuol dire che non c’è da aspettarsi un altro messia. Ma allora se non c’è da
aspettarsi un altro messia, tutti quei sogni di gloria del popolo di Israele, di dominio sugli
altri popoli, di ricchezza, allora, allora vanno a farsi benedire perché Gesù non ha parlato
di tutto questo. Vediamo allora come lo esprime il vangelo di Luca nel capitolo finale.
13Ed
ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome
Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme.
Luca inserisce immediatamente l'espressione tecnica καὶ ἰδοὺ kai idou … ed ecco!
Quando l’evangelista usa quest'espressione, vuole richiamare l’attenzione dei lettori e
degli ascoltatori su qualcosa d'inaudito, d'inaspettato che sta capitando. Vedremo che cosa
capiterà di così umanamente assurdo. Lo stesso giorno indica quello della Resurrezione.
Luca inserisce immediatamente un altro termine tecnico che abbiamo visto molte volte:
villaggio - κώμη kómé! Quando c’è questo termine - significa sempre che il brano è
all’insegna dell’ incomprensione del nuovo messaggio che Gesù ha portato. Il villaggio è il
luogo della tradizione, è il luogo dove vige l’imperativo: “si è sempre fatto così”, è il luogo
dove si è profondamente ancorati al passato e le novità sono sempre viste con sospetto e
rifiutate. Quindi ogni volta che nei vangeli troviamo l’espressione “villaggio”, siamo di
fronte ad una chiave tecnica che impone l’evangelista ci presenta per metterci in guardia.
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Anche l’espressione “ prendere in disparte” in Matteo, indicare al lettore: attento, perché
adesso il brano è all’insegna dell’incomprensione.
Del luogo dove Gesù si manifestò dopo la risurrezione a due discepoli, di cui uno di nome
Cleopa, il Vangelo precisa il nome (Emmaus), la qualifica (villaggio) e la distanza da
Gerusalemme (60 stadi, secondo i migliori codici, corrispondenti a 11 km). Nonostante
queste precisazioni, in diversi tempi, si sono avuti vari pretendenti al titolo di luogo
autentico della Emmaus evangelica: di questi l’attuale El-Qubeibeh ha portato attraverso
gli ultimi 700 anni il rivolo della tradizione fino ai nostri giorni. Purtroppo raggiungere
questa località non è oggi così facile, perché è una cittadina palestinese nel Governatorato
di Gerusalemme in Cisgiordania settentrionale. El-Qubeibeh si trova a un'altitudine di 795
m sul livello del mare. È situato in una zona di conflitto vicino al confine con Israele tra
Ramallah e Gerusalemme. Posti di blocco sono frequenti in quest’area.
Perché Giovanni sottolinea anche il nome di questo villaggio? Perché a Emmaus, un paio
di secoli prima c’era stata una grande battaglia guidata da Giuda Maccabeo - che troviamo
nel primo libri dei Maccabei 4, 1-27 - contro i pagani che erano stati sconfitti.
Era la vittoria del popolo di Israele che era sottomesso contro i pagani e li aveva sconfitti.
Ebbene, in questo libro dei Maccabei si legge: “ si accorgeranno tutti i popoli che c'è uno
che riscatta e salva Israele” (v.11). Allora Emmaus è il luogo della speranza del Dio che
libera Israele e della sconfitta dei pagani. Emmaus ricorda quindi due cose: sconfitta dei
pagani e liberazione di Israele. Ecco dove vanno i discepoli, rimasti delusi da Gesù!
Gesù, hai voglia a predicare il regno di Dio! Loro in testa hanno il regno di Israele.
Quando negli atti degli apostoli troviamo la pagina tragicomica di Gesù che si accorge
della assoluta incomprensione dei suoi discepoli e che non hanno capito assolutamente
niente, li prende in disparte e per 40 giorni (quindi non una due giorni biblica), e parlò
loro di che cosa? Del regno di Dio. Anche le pietre lo avrebbero dovuto capire, ma
l’ideologia religiosa quando si radica nelle persone rende il cervello più duro di quello
delle pietre.
Dopo 40 giorni, uno dei discepoli dice: ma il regno di Israele, quand’è che lo restauri?
Perché è questo che loro si aspettano. Gesù parla del regno di Dio e loro hanno in testa il
regno di Israele, il regno di Davide. Ma Gesù non è venuto a risuscitare il defunto regno di
Davide, ma a inaugurare il regno di Dio, cioè un regno senza confini perché l’amore non
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tollera confini. Ecco perché loro rivanno a Emmaus nella speranza di gloria, di dominio
del futuro messia quando verrà (visto che questo non era il messia) contro i pagani. Erano
in cammino per un villaggio di nome Emmaus distante circa 11 km da Gerusalemme e
conversavano tra di loro di tutto quello che era accaduto. Sono delusi, sono amareggiati. Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminò con loro, ma i loro
occhi erano impediti a riconoscerlo.
Tutto è finito. Nel giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze e illusioni
tessuti pazientemente in tre anni di sequela fedele e attenta. Tutte le cose che abbiamo
costruito, per le quali ci siamo spesi, per le quali abbiamo sudato, lottato e pianto, per le
quali abbiamo anche rischiato, ci siamo esposti, sono definitivamente sigillate e oscurate
dietro quella grande pietra rotolata contro l’entrata di quel sepolcro nuovo, scavato nella
roccia.
14e
conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e
discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.
Per dire che dialogavano, discorrevano tra loro dei recenti avvenimenti pasquali, il testo
greco usa i verbi “ὁμιλέω” (conversare) e “συζητέω” (suzéteó, cercare insieme ma in
modo un po’ animato …): cioè il loro stare insieme assume quasi il carattere di assemblea
liturgica e di ricerca teologica.
Luca mette in rilievo con molto acume che non riconoscono Gesù.
Come mai non lo riconoscono? Perché vanno indietro, tornano verso il passato. Gesù è la
manifestazione visibile di quel Dio che fa nuove tutte le cose. Solo chi si mette in sintonia
con la lunghezza d’onda del Dio che fa nuove tutte le cose, può percepire Dio presente
nella propria vita. Chi guarda con nostalgia al passato, chi guarda con rimpianto al
passato, chi crede che i tempi passati fossero i migliori, non può vedere Dio, perché Dio è
sempre avanti, è sempre verso il nuovo, verso il futuro. Chi si rifugia nel passato,
specialmente nella sfera della religione potrà essere una brava persona pia, religiosa, ma
non farà mai l’esperienza del Signore perché il Signore apre al nuovo, fa nuove tutte le
cose, spalanca nuovi orizzonti.
Con la resurrezione, Gesù non ha cambiato i tratti … è sempre lo stesso; l’evangelista, che
non vuol tanto trasmetterci una storia, ma una teologia, cioè qualche cosa che sia valido
per noi oggi, ci dice che i due discepoli stanno andando a Emmaus, cioè verso il passato,
che, nella loro mente, contemplava la restaurazione del defunto regno d’Israele, non
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l’hanno riconosciuto: piangono un morto, un leader che avrebbe dovuto far risorgere il
defunto Regno d’Israele … come possono con questa mentalità riconoscere il Vivente?
Conosciamo nel vangelo di Giovanni la scena altamente, densamente drammatica di
Maria di Magdala, che singhiozza rivolta al sepolcro di Gesù, e non s’accorge che Gesù era
vivo dietro di lei: soltanto quando finalmente la smette di guardare verso il sepolcro, e
incomincia lentamente a voltarsi dietro, s’accorge che quel Gesù che lei piangeva come
morto era vivo accanto a lei. Quindi chi guarda al sepolcro o chi guarda al passato non si
accorge di Gesù che è vivo accanto; ripeto, l’evangelista non vuole darci soltanto un
resoconto dell’esperienza di Gesù, ma è un’indicazione per ognuno di noi per il rapporto
che dobbiamo avere con i nostri cari quando passano attraverso l’esperienza della morte;
non dobbiamo piangerli come morti, perché se non li piangiamo come morti, riusciamo a
sperimentarli come viventi, la morte non li allontana da noi, ma li avvicina, la loro non è
un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Quindi i discepoli erano incapaci di
riconoscerlo perché piangono il morto, e non possono riconoscere colui che è vivo.
A questo punto, se non conoscessimo l’esito della vicenda e se dovessimo completare la
storia con i nostri sistemi, è facile intuire le reazioni: "…e fate come volete… pazienza…
peggio
per
voi…
siete
grandi
e
vaccinati...
arrangiatevi…".
C’è qualcuno che non la pensa così. "… Gesù in persona si accostò e camminava con loro"
(v. 15b) e non perché gli piace mettersi in mostra e affermare la sua supremazia, tant’è che
"…i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo" (v. 16). E’ lui che prende l’iniziativa e,
soprattutto, cammina al loro fianco, si fa compagno di quella strada, di quella determinata
fase del loro cammino. Certamente – e lo rivela l’originale del testo greco – il loro discutere
e discorrere era visibilmente animato.
16Ma
i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: "Che cosa sono questi
discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?". Si fermarono, col volto triste; 18uno di
loro, di nome Clèopa, gli rispose: "Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è
accaduto in questi giorni?”.
Eppure è “Gesù in persona” quello che sta camminando con loro! Sì, proprio quello che
avevano seguito fino a tre giorni prima e che, ora, però, essendo risorto da morte, non vive
più nel tempo, ma nella dimensione di eternità! Per poterlo vedere, i due che vivono nel
tempo, dovrebbero credere nella realtà ultima della fine dei tempi: la risurrezione da
morte. Ma proprio questa fede viene a mancare in loro e, tale mancanza, impedisce al “Dio
del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria “ di “illuminare gli occhi del vostro
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cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati” cfr. Ef 1,17.18. I due, difatti,
come diranno subito dopo, ripongono la loro speranza nelle cose finite e caduche di questo
mondo e non nella vita eterna promessa a coloro che entrano nel regno di Dio! Sono più
vicini alla religiosità del malfattore che insulta il Cristo perché non salva se stesso e gli
stessi malfattori facendoli scendere dalla croce, che non a quella dell’altro malfattore che
chiede a Gesù di ricordarsi di lui quando entrerà nel suo regno (cfr. Lc 23,39-43). E’ un
momento delicato perché i due potrebbero rifiutare il dialogo con lui e dirgli: fatti i fatti
tuoi, sono cose che non ti riguardano. Invece no, la domanda produce l’effetto di fermare i
due e subito dopo quello di interloquire col forestiero. Difatti, “si fermarono, col volto
triste” - che svela tutta la tristezza del loro cuore - e “uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose:
... ” Quel viandante sembra essere “l’unico forestiero a Gerusalemme”, estraneo ai fatti
che lo hanno toccato così da vicino e che hanno ferito profondamente il suo cuore. Clèopa
rilancia il discorso con la domanda: “Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?” Una
domanda che sottintende chiaramente il bisogno non tanto di informare il forestiero,
quanto di sfogarsi e dire tutta la speranza riposta in Gesù di Nazareth e tutta l’amarezza e
la delusione perché, ora che egli è morto e sepolto, ogni attesa è morta e sepolta con lui.
Il nome dell’unico personaggio citato è tutto un programma: Κλεόπας è l’abbreviazione di
Cleopatros che significa “dal padre glorioso”, illustre, perché è questo che loro vogliono,
vogliono la gloria, vogliono l’importanza. Chi era l’altro discepolo? Il fatto che l’altro
discepolo resti anonimo permetterà ad ognuno, che ascolti con fede il racconto, di potersi
riconoscere in lui e fare la medesimo esperienza.
19Domandò
loro: "Che cosa?". Gli risposero: "Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta
potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
La prova che i due viandanti non hanno capito assolutamente niente di Gesù è data dalla
loro affermazione: “Profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo”. Dopo
aver preso l'iniziativa del dialogo, Gesù finge di non sapere; in realtà è l'evangelista che si
esibisce nella sua abilità letteraria. Il dialogo si fa serrato, tutto il racconto acquista in
dinamismo. E’ un momento delicato perché i due potrebbero rifiutare il dialogo con lui e
dirgli: fatti i fatti tuoi, sono cose che non ti riguardano. Invece no, la domanda produce
l’effetto di fermare i due e subito dopo quello di interloquire col forestiero.
Comincia l'anti evangelo dei discepoli disperati; per comprenderlo bene occorre rileggerlo
con la sintesi kerigmatica tracciata da Pietro a Cornelio, in At 10,34-43 (messa Giorno di
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Pasqua). Si ha il negativo della non-fede, che doveva essere di molti discepoli anche dopo
la Resurrezione, e fino alla Pentecoste, e si ha il positivo della proclamazione di Cristo e
della Chiesa nei secoli. Il sunto di Clèopa: Gesù Nazareno era un «uomo» (cfr. ἀνὴρ nel
testo greco) semplicemente, benché προφήτης profeta (7,16; 13,13; Mt 21,11), accreditato
da Dio e dal popolo come potente in «parole ed opere» (At 2,22). Il suo fallimento
disastroso fu la consegna alle autorità (At 2,23; 5,30; ecc.), la condanna a morte, e l'infamia
terrificante della croce. La reazione dei discepoli a tutto questo è solo una: «Noi speravamo»,
allora, adesso non speriamo più.
Non hanno capito assolutamente niente sull’identità di Gesù; per loro Gesù è lo stesso di
quello che pensa la gente, un profeta, un inviato da Dio. Non hanno capito che con Gesù
non hanno di fronte un inviato da Dio, non hanno di fronte un profeta di Dio, hanno di
fronte Dio. Ma questo per loro è incomprensibile (e qui forse la responsabilità è di Gesù)
Gesù ha scelto la strada più difficile per manifestarsi. Se Gesù si fosse presentato come un
uomo che per le sue capacità straordinarie, per le sue doti eccezionali si era innalzato fino
a raggiungere la condizione divina, questo sarebbe stato accettato e compreso a quel
tempo, e anche da noi oggi perché a quell’epoca tutti quelli che detenevano un potere si
consideravano di condizione divina.
Era un’epoca in cui nessuno metteva in dubbio che il faraone (il faraone chi era?) era un
dio. L’imperatore chi era? Era un dio o un figlio di dio. Tutti coloro che stavano in alto,
quindi faraoni, imperatori, re, principi erano di condizione divina. Gesù, allora, poteva
presentarsi come un uomo che per le sue qualità straordinarie, una capacità unica,
sconosciuta, inedita d’amore si era innalzato tanto al di sopra degli altri fino a entrare nella
condizione divina. Sarebbe stato compreso e accettato.
Gesù invece no, Gesù ha scelto la strada difficile, Gesù ha scelto (cosa ha scelto Gesù?) di
mostrarsi come un Dio che si è fatto uomo. E questo è inammissibile, non un uomo che
sale ed entra nella condizione divina, ma un Dio che scende ed entra nella condizione
umana e questo è intollerabile, inaccettabile. Quindi nessuno ha capito che in Gesù si
manifesta il volto umano di Dio, per loro è un profeta. E continua Clèopa:
20come
i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a
morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele;
con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
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Quello che dice Clèopa è grave! Hanno condannato a morte il maestro come un criminale e
lui dice ancora “le nostre autorità”, riconoscendone il potere… Ciò significa che non ha
rotto con quel sistema; sanno che è ingiusto, indubbiamente, ma il sistema si radica
talmente nelle persone che anche quando le sottomette e le fa soffrire non riescono, però, a
liberarsene a livello “mentale”. A tutto ciò si aggiunge la delusione, perché speravano che
Gesù fosse il liberatore d’Israele. Questi discepoli sembrano più delusi della resurrezione
di Gesù che della sua morte. Quella di Gesù era un’epoca nella quale, ogni tanto, appariva
una persona che si dichiarava “il liberatore di Israele”, il messia, radunava qualche centinaio
di persone, si rivoltavano contro i romani e ogni volta era un bagno di sangue, una strage
incredibile. Trovate negli Atti degli Apostoli 5,36-37 il riferimento a Giuda il galileo, o a
Tèuda, ecc. Poi c’è un riferimento molto chiaro: “L’hanno crocefisso”! E’ il colpo di grazia
finale alla loro deviata speranza: Gesù non è semplicemente morto, è morto crocefisso.
Allora ci si chiede: come mai per Gesù hanno chiesto proprio la crocifissione, che non era
un modo usuale per eseguire le condanne a morte? La condanna a morte in Israele,
quando la sentenza la emetteva il Sinedrio, era la lapidazione, quando la emetteva il
procuratore Pilato, era la decapitazione.
Perché per Gesù chiedono proprio la crocifissione? Perché non bastava ammazzare Gesù:
se fosse stato semplicemente ammazzato, si sarebbe creato un pericolo ancora più grande,
perché Gesù sarebbe stato venerato come martire, e dopo non si poteva fare più niente;
allora non si voleva soltanto ammazzare Gesù bisognava diffamarlo, bisognava un tipo di
morte che facesse chiaro alle persone, ma come avete potuto credere che questo Gesù fosse
il figlio di Dio, guardatelo dove è finito! Come avete potuto credere che fosse il Messia
perché nel libro del Deuteronomio la morte per croce è definita come la morte dei
maledetti da Dio, lo dice la Bibbia, allora i sommi sacerdoti hanno scelto per Gesù proprio
la morte più infamante, che non lasciasse dubbi: come avete potuto credere che Gesù fosse
il figlio di Dio, che fine ha fatto? La fine dei maledetti da Dio, lo dice la Bibbia, e la Bibbia
non sbaglia. Quindi la morte di Gesù in croce ancora oggi per molti ebrei è la prova che
Gesù non era il Messia, perché il Messia non solo non sarebbe mai morto, ma mai sarebbe
morto in una croce, il patibolo riservato ai maledetti da Dio. Ciò giustifica la delusione del
discepolo!
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22Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e,
non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i
quali affermano che egli è vivo
Questi discepoli, narrano a Gesù che alcune donne hanno detto loro che Gesù è vivo. Ma
perché non dicono che loro non hanno creduto a queste donne? Quando le donne sono
andate dal resto degli apostoli, dei discepoli, a dire che il sepolcro era vuoto, non hanno
creduto perché, dice Luca: “Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento”. Gesù ancora
una volta sceglie la strada più difficile: la donna è costituzionalmente inadatta a essere
testimone perché è costituzionalmente bugiarda. E questo da cosa deriva? Facciamo
brevemente un salto nell’Antico Testamento, precisamente a Genesi 18, 13-15. YHWY
apparve ad Abramo e a sua moglie Sara e annunziò loro che avrebbero messo al mondo
un figlio. A questa notizia Sara si sbellica dalle risate; il marito è vecchio e impotente, lei
ormai è un pezzo che non ha più il ciclo … per cui si fa una grande risata dietro alla tenda.
YHWY, permaloso, permaloso le chiede: Sara hai riso? E la poveretta cosa volete che dica?
No, non ho riso! E’ una piccola bugia, il Padre eterno se l’è legata talmente al dito che da
quella volta non ha più rivolto la parola a nessuna donna. Secondo il Talmud Dio che “non
parlò con alcuna donna se non con quella giusta ed anche quella volta per una causa” (Ber.
R. 20,6)1. Ma poi il Signore, offeso dell'innocente bugia di Sara che per paura negò di aver
riso (Gen 18,15), Dio non rivolse più parola a nessuna donna. Di fatto nella Bibbia Sara è la
prima e unica donna alla quale Dio abbia parlato. In un ambiente dove s’insegnava che
“Chiunque discorre molto con una donna, è causa di male a se stesso, trascura lo studio della Legge
e finisce nella Geenna” (P. Ab. 1,5)2. Ecco perché, ad esempio, i discepoli si meravigliano, che
Gesù parli con una donna, per di più samaritana.
Ebbene Gesù, per fare annunziare la sua resurrezione chi usa? Delle donne, cioè delle
persone non credibili. Quindi abbiamo il disorientamento che ha preso la comunità di
Gesù. I discepoli si disperdono e lo cercano entrambi (le componenti di questa comunità)
nei luoghi dove non si trova. I maschi si rifugiano nella storia, Emmaus il passato glorioso,
e nel passato non si può trovare il Signore che fa nuove tutte le cose. Le donne, le donne
cosa fanno? Le donne lo vanno a piangere come un morto, vanno al sepolcro. Ma è in
questo vangelo che si trovano due uomini in abiti splendenti che le fermano, bloccano e
dicono: perché cercate tra i morti chi è vivo? Questo è un messaggio molto importante che
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Scritto Rabbinico “Berešit Rabba”.
Scritto Rabbinico “ Pirqê Abôth
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riguarda anche noi per il nostro rapporto con i nostri cari. Dobbiamo decidere: o
piangiamo i nostri cari come morti, o li sperimentiamo come viventi, non sono possibili
entrambe le situazioni.
La comunità, quindi, vive un momento di dispersione: c’è chi cerca Gesù tuffandosi nei
sogni di gloria del passato, chi lo ricerca nel luogo dei morti … ma né nei morti, né nel
passato c’è il Signore che è risuscitato.
24Alcuni
dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui
non l'hanno visto". 25 Disse loro: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i
profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?".
27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a
lui.
Non l’hanno visto perché non si può cercare tra i morti colui che è vivo. Nel vangelo di
Giovanni abbiamo un’immagine molto bella: c’è Maria di Magdala che piange, singhiozza
rivolta verso la tomba di Gesù e non si accorge che Gesù era dietro di lei, vivo. Ma lei non
poteva vederlo perché lei piange il morto nella tomba e non si accorge che Gesù era vivo
dietro di lei. Soltanto quando Maria di Magdala comincia a voltarsi si accorge che quello
che lei piangeva come un morto in realtà era lì vivo e vivificante.
Ed ecco Gesù comincia la sua lezione molto dura.
Disse loro: ὦ ἀνόητοι καὶ βραδεῖς τῇ καρδίᾳ O anoētoi kai bradeis tē kardia.
La
traduzione non lascia dubbi: O stupidi e lenti di cuore … So che i traduttori cercano di
addolcire le espressioni forti di Gesù, ma non si possono addolcire. I traduttori
normalmente mettono stolti, ma chi di noi dice a un altro stolto? Stolto significa stupido, è
un’espressione molto più forte. E poi lenti di cuore. Il cuore nella cultura ebraica non è la
sede degli affetti, ma è la mente, la comprensione. Quindi questi discepoli sono pervasi
dalla stupidità e dalla durezza di comprendonio.
Ecco ora, un passaggio importantissimo sia per chi studia la bibbia sia per chi la legge.
Gesù, inizia a spiegare le scritture. Il verbo spiegare, letteralmente interpretò, è il verbo
διερμηνεύω dierméneuó da cui deriva una parola tecnica: ermeneutica. L’ermeneutica
cos’è? E’ la tecnica di interpretazione dei testi, quindi Gesù interpreta loro tutte le scritture,
e ciò che si riferiva a lui. E’ importante questa indicazione di Gesù: la scrittura non va
letta, ma va interpretata, compresa. E come si comprende? Gesù ne dà l’indicazione:
soltanto quando nella propria esistenza si è posto il Risorto come centro della propria
vita e il valore dell’uomo come valore assoluto, si comprende la sacra scrittura,
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altrimenti no, altrimenti si può leggere, imparare a memoria, pure predicare, ma non si
capisce.
Anche gli scribi leggevano la stessa bibbia di Gesù eppure gli erano contro. Anche i farisei
studiavano tutto il giorno la scrittura, ma non la capivano. Questo è anche il nostro rischio:
se non mettiamo come il criterio interpretativo della parola di Dio uno studio serio e il
bene dell’uomo, non la comprendiamo. Perché Gesù a questi discepoli deve interpretare,
spiegare, cominciando da Mosè a tutti i profeti, cioè tutta la bibbia conosciuta a
quell’epoca? Perché loro non avevano messo l’incontro con Dio Padre il bene dell’uomo
come valore assoluto, ma la supremazia di Israele, il bene del popolo, la rinascita del
defunto regno d’Israele! La fuga dalla così detta fede è dettata da molti fattori, ma non da
ultimi, anche da un’ignoranza sempre più abissale della bibbia e il rifiuto inconscio di
assumere lo stile proposto da Gesù: il servizio! Se la fede non si accoglie, si studia e si
prega, il deserto spirituale e l’ignoranza delle scritture la faranno da padroni.
Gesù offre i criteri per la comprensione del suo messaggio: quando viene posto il bene
dell’uomo come criterio interpretativo, ebbene questa scrittura non solo si riesce a
comprendere, ma il suo messaggio diventa universale, comprensibile a tutti perché il
bene dell’uomo è l’amore e l’amore è compreso in tutte le culture. Mentre la dottrina
può dividere, l’amore unisce. Una carezza, è una carezza, non ha bisogno di essere
spiegata, una carezza è compresa dal nord al sud, dall’est all’ovest. Una formula dottrinale
risente dei limiti del contesto culturale nel quale è nata. Mentre i discepoli avevano
presentato Gesù come semplice profeta, egli lo indica espressamente come il Cristo. E
come tale ha dovuto affrontare una sofferenza che era già stata predetta nelle Scritture:
l’autore pensa qui soprattutto ai carmi del Servo di JHWH, e in modo speciale all’ultimo di
essi (Is 52,13-53,12). La menzione di Mosè e dei Profeti designa tutto l’A.T, naturalmente
riletto e compreso alla luce della fede pasquale, la quale ormai offre la chiave per la sua
reinterpretazione in senso cristologico. Da queste parole appare che la vera prova della
risurrezione non sono le apparizioni ma le Scritture che, una volta annunziato l’evento
della risurrezione, ne dimostrano la plausibilità e addirittura la realtà oggettiva.
Cosi il Signore passa in rassegna «tutte le Scritture ».
28Quando
furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più
lontano.
essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto".
Egli entrò per rimanere con loro.
29Ma
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Quando i tre giungono vicino al villaggio dove i discepoli erano diretti, il forestiero fa per
congedarsi da loro. Loro vanno verso il vecchio, il passato, mentre Gesù va verso il nuovo!
Il viaggio è al suo termine (e non solo perché si è giunti alla meta o perché è sera: è finito il
cammino dell’incredulità, è il momento della conversione); ma essi lo trattengono con
queste parole: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Essi gli fanno una
pressione garbata perché si fermi con loro, come avviene comunemente in Oriente quando
si tratta di invitare una persona a casa propria. Egli allora accetta di rimanere con loro (vv.
28-29). Nelle parole dei discepoli si manifesta l’apprensione per i pericoli a cui il loro
improvvisato compagno di viaggio sarebbe andato incontro se si fosse incamminato da
solo nella notte. Ma il lettore coglie in esse soprattutto il bisogno dei discepoli di avere
ancora con sé lo sconosciuto che, come diranno dopo, ha infiammato i loro cuori. Quando
furono a tavola, Gesù prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro (v. 30).
Questi gesti non si riferiscono necessariamente all’eucaristia, ma il linguaggio lucano si
rifà chiaramente alla «frazione del pane», alludendo così al rito eucaristico (cfr. At 2,42;
20,7.11; 27,35). Il Cristo, attestato dalle Scritture, si rende realmente presente nella
celebrazione eucaristica, che appare quindi come il grande segno della risurrezione del
Signore e della sua presenza viva nella comunità. Si ponga però attenzione che
l’evangelista non dice “nel villaggio” … rimanere con loro, ma non nel villaggio. Ed ecco il
momento importante nel quale si rivela l’importanza dell’eucarestia:
30Quando
31Allora
fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Sottolineiamo anzitutto un aspetto apparentemente insignificante. E’ importante che nel
nostro linguaggio diventiamo rigorosi e usiamo i termini evangelici, perché purtroppo
quando dal IV secolo in poi il cristianesimo da fede perseguitata si trasformò in religione
imposta, la fede si trasformò in religione, e vennero riprese quelle immagini e quel
linguaggio tipici della religione che però erano assenti nei Vangeli. L’Eucarestia si celebra
di fronte e attorno a una tavola, un tavolo da pranzo, non un altare, è importante questo
particolare. So che ormai è diventato uso comune parlare dell’altare in chiesa; in chiesa
non esistono altari perché l’altare presuppone il sacrificio, l’altare è un termine pagano,
l’altare era il luogo dove venivano sacrificati gli animali in onore della divinità. Per questo
nella spiritualità cristiana non c’è l’altare ma c’è la tavola: mentre l’altare sta nel tempio, la
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tavola sta in casa, nell’ambiente familiare; mentre l’altare richiede la presenza del
sacerdote, la tavola richiede la presenza della famiglia, mentre nell’altare si offre a Dio,
nella tavola si offre ai commensali, quindi vedete che ogni termine adoperato
dall’evangelista è importante. Detto questo, torniamo al testo.
Si ripetono ora gli stessi gesti dell’ultima cena. Gesù con questi discepoli prende il pane, lo
spezza, gli stessi gesti che ha fatto nell’ultima cena quando prendendo il pane disse:
questo Sono Io. E’ Gesù, il figlio di Dio che si fa pane, alimento di vita e si spezza per
essere condiviso. Ha spiegato la Scrittura, adesso può sigillare la sua Parola con il Pane del
suo Corpo; è il dono supremo. Tale dono produce l'effetto divino: i loro occhi, che prima
erano chiusi, si aprono e ricevono l'esperienza vitale di lui, la conoscenza più profonda,
totale (cfr. Ap 3,20: «sto alla porta... ascolta la mia voce... cenerò con lui ed egli con me»). La
scomparsa improvvisa del Cristo introduce un aspetto paradossale: quando era con loro
non l’avevano riconosciuto, e quando lo riconoscono si allontana da loro. La scomparsa
improvvisa del personaggio divino è un procedimento spesso utilizzato nei racconti delle
apparizioni di un essere celeste. I discepoli capiscono ora perché il cuore ardeva nel loro
petto mentre Gesù spiegava loro le Scritture. Tuttavia ciò non era bastato per riconoscerlo,
ma era stato necessario lo spezzare del pane. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
Perché? Luca è il solo tra gli evangelisti che nel narrare la cena del Signore riporta le
parole: Fate questo in memoria di me. La memoria non è un ricordo ma un’ esperienza che
rende attuale quello che è stato fatto . Ecco allora che, alla fine del suo Vangelo, Luca dice
che: mentre Gesù si fa pane si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Dio è amore,
l’amore si fa servizio, è nell’amore che si fa servizio che si manifesta e si rende
riconoscibile la presenza del Signore. Quello che rende riconoscibile Gesù è il pane che
viene benedetto, spezzato e condiviso.
Ma egli si rese invisibile ἄφαντος aphantos. Alcune traduzioni riportano erroneamente:
ma egli sparì dalla loro vista. No! Gesù non sparisce, si rende invisibile perché l’unica
maniera ora per essere visibile è un pane. Quando un pane viene benedetto, spezzato e
condiviso, quella è l’unica forma con la quale si rende visibile Gesù. Non c’è un privilegio
per le comunità dei credenti di quell’epoca, ma una possibilità per tutti. L’esperienza del
Cristo risuscitato non è stato un privilegio riservato 2000 anni fa a un piccolo gruppo di
persone, ma una possibilità per i credenti di tutti i tempi.
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Ogni volta che noi questo pane lo benediciamo…, benedire significa riconoscere che è
dono ricevuto e come tale va condiviso per moltiplicare gli effetti della creazione con le
persone, quando il pane viene benedetto e spezzato per condividerlo con gli altri, lì si
rende visibile Gesù. Quindi ecco che Gesù si rende invisibile nel momento che lo
riconoscono nello spezzare del pane. Un conto è sparire, un conto è essere invisibile.
Perché nel momento dello spezzare del pane Gesù, a questo punto riconosciuto, si rende
invisibile? Perché è visibile soltanto nel pane spezzato e condiviso. Questo è importante
per noi. L’esperienza del Cristo resuscitato non è stata un’esperienza privilegiata concessa
a qualche decina o centinaia di persone duemila anni fa, ma è una possibilità per i credenti
di tutti i tempi. Incontrare il Cristo resuscitato è possibile perché ogni volta che noi ci
facciamo pane e spezziamo la nostra vita per gli altri, lì si rende visibile il Signore.
32Ed
essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con
noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?". 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a
Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34 i quali dicevano:
"Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!".
All’inizio i discepoli erano “lenti di cuore”, adesso il loro cuore arde. La teologia, la
spiritualità, le verità non si fanno da un pulpito, non si fanno dalla cattedra, ma si fanno a
tavola. La migliore teologia nasce dalla condivisione del pane. Quando il pane viene
condiviso, questa è la vera teologia, quella che riesce a far comprendere alle persone.
Capito questo ritornano a Gerusalemme. Allora anche loro riferiscono ciò che era accaduto
lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (vv. 33-35). Per ritornare
a Gerusalemme a sera ormai inoltrata i due discepoli devono compiere il percorso di 60
stadi (11 km). Ciò non preoccupa minimamente il narratore, il quale colloca nella
medesima sera, senza rendersi conto della difficoltà cronologica, l’apparizione di Gesù agli
Undici e l’ascensione al cielo. Al loro ritorno nella comunità, dalla quale si erano
allontanati, i due discepoli devono ascoltare anzitutto dagli Undici il messaggio della
risurrezione di Gesù e della sua apparizione a Pietro; poi possono raccontare la loro
esperienza. È infatti una preoccupazione costante della chiesa primitiva fare degli apostoli
i primi testimoni dell’evento pasquale. Anzi, la priorità spetta a Pietro, il capo degli
apostoli, al quale il Signore è apparso per primo. Il racconto di Emmaus ricalca uno
schema affine a quello paolino: Gesù, morto secondo le Scritture, è risuscitato al terzo
giorno ed è apparso a Simone (cfr. 1Cor 15,3-5).
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Nell’eucarestia, nel momento in cui il pane si benedice, si spezza e viene condiviso per
essere accolto, per far sì poi che chi lo accoglie sia capace di fare della propria vita
alimento di vita per gli altri, quella è l’unica maniera nella quale si rende visibile la
presenza del Signore.
L’adesione a Gesù esprime nell’adesione alla comunità cristiana e si alimenta
nell’Eucaristia, senza della quale non esiste comunità. I due discepoli di Emmaus, dopo
aver incontrato il Signore e dopo averlo riconosciuto nel segno del pane, ritornano a quella
comunità che avevano abbandonato con il cuore pieno di tristezza. La vita comunitaria
deve offrire il clima di fede e di carità, che sostiene la testimonianza insieme alla preghiera.
Chiedo a Gesù che lui stesso accompagni ciascuno di noi, come ha accompagnato i due
discepoli di Emmaus, così anche noi, al termine del cammino, possiamo ripetere la loro
A cura di padre Umberto
preghiera: "Resta con noi perché si fa sera".
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