CRIMINOLOGIA

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Estratto distribuito da Biblet
AA.VV.
COMPENDIO DI
CRIMINOLOGIA
VI EDIZIONE
Tavole sinottiche
Glossario
Gruppo Editoriale Simone
Domande più ricorrenti in sede
d’esame o di concorso
2012
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
Š
Estratto della pubblicazione
3/6
Estratto distribuito da Biblet
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
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Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:
3
3/1
3/2
ST22
ST23
ST24
ST32
502
OP3
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E3/A
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Diritto penale (parte generale)
Diritto penale (parte speciale)
Compendio di diritto penale (parte generale e speciale)
Diritto penale (Parte generale)
Diritto penale (Parte speciale)
Diritto penale (Principali reati)
Criminologia
Codice penale e leggi complementari
Codice penale operativo
Codice penale commentato
Lexikon di diritto penale
Codice penale esplicato
Codice penale esplicato (editio minor)
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.it
ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati
Revisione e aggiornamento del testo a cura della dott. Mariarosaria Rumore
Hanno collaborato alle precedenti edizioni i dottori
Corrado Del Gaudio, Marco Del Gaudio, Annamaria Iaccarino,
Ubaldo Nazzaro e Mariarosaria Rumore
Finito di stampare nel mese di maggio 2012
dalla «INK & PAPER» - Via Censi dell’Arco, n. 22 - Cercola (NA)
per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Premessa
La criminologia è la scienza che studia i reati, gli autori, le vittime, i tipi di
condotta criminale (e la conseguente reazione sociale) e le forme possibili di
controllo e prevenzione. È una disciplina sia teorica che empirica, sia descrittiva
che esplicativa, sia normativa che fattuale.
Questo compendio, giunto alla VI edizione, tenuto conto della sempre maggiore
importanza nella formazione universitaria e postuniversitaria, fa il punto sulla
più nota manualistica del settore, offrendo una panoramica ampia e sistematica
sullo studio della criminalità, soprattutto riguardo alla sua fenomenologia, nonché ai sistemi di controllo sociale e agli interventi risocializzativi con particolare
attenzione all’istituto della mediazione penale ed agli interventi di prevenzione
giudiziaria ed extragiudiziaria. Poiché la connotazione multidisciplinare della
materia rende alcuni testi di non facile apprendimento, il testo si giova di una
stesura espositiva lineare per favorire l’approccio anche a chi si avvicina per
la prima volta alla materia.
Anche questa nuova edizione, pur rimanendo inalterata nella struttura, presenta
una serie di questionari contenenti le domande più ricorrenti in sede di esame
o di concorso. Il testo, si giova, inoltre, di tabelle riepilogative e di un utile
glossario con le spiegazioni dei termini più specialistici nonché brevi note
bibliografiche dei più significativi autori del settore.
Estratto della pubblicazione
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Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
冟Introduzione
Capitolo 1
Sommario 冟 1. Le scienze criminali. - 2. Lo spettro d’indagine della criminologia. 3. La criminologia come scienza. - 4. Approccio sociologico e approccio antropologico.
1. Le scienze criminali
Tutte le discipline che hanno ad oggetto del proprio studio il problema della criminalità, la quale non è altro che uno dei tanti modi di agire e di comportarsi nella società,
sono definite scienze criminali.
Vi rientrano, tra le altre, oltre alla criminologia, la vittimologia, la politica criminale, il
diritto penale, il diritto penitenziario, la psicologia giudiziaria e giuridica, la criminalistica.
La vittimologia ha da poco acquistato dignità di scienza autonoma dalla criminologia,
occupandosi dello studio delle relazioni che intercorrono o che vengono acrearsi tra
l’autore e la vittima del reato, ovvero l’individuazione di quei fattori che determinano
o facilitano la vittimizzazione di determinati soggetti o categorie di soggetti. Ma lo
studio della vittima può rilevare anche sotto il profilo delle tecniche di individuazione
del reo, o meglio della elaborazione del cd. «profilo criminale» dell’autore di un reato.
Quanto alla politica criminale, essa pone gli obiettivi che saranno successivamente
perseguiti dal diritto penale: obiettivi frutto delle attuali istanze sociali in materia di
prevenzione della criminalità. Compito della politica criminale è, ad esempio, la depenalizzazione di alcune fattispecie desuete di reati e la conseguente creazione di fattispecie delittuose nuove, in conseguenza del mutato sentire sociale.
Se la politica criminale è un aspetto della politica sociale ed attribuisce al diritto penale il ruolo di extrema ratio, quest’ultimo è al tempo stesso suo strumento e limite.
Mentre lo scopo della prima, infatti, consiste nella prevenzione della criminalità, il
secondo, definendo di fatto i singoli crimini e le risposte che ad essi vanno date, diventa il mezzo di attuazione di tale politica.
Il diritto penitenziario, dal canto suo, è costituito dall’insieme delle disposizioni legislative che regolano la fase esecutiva del procedimento giudiziario penale. Recentemente questa disciplina ha allargato lo spettro del proprio intervento dalla semplice
carcerazione alle varie forme di misure sostitutive o alternative alla pena detentiva.
Estratto della pubblicazione
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冟
Capitolo 1
Legittimità di scienze criminali hanno anche la psicologia giudiziaria, che studia le
interrelazioni psicologiche tra i vari protagonisti del procedimento giudiziario (dall’imputato al magistrato, dalla persona offesa al testimone, all’operatore amministrativo), e la psicologia giuridica, ramo della psicologia applicato al diritto.
Infatti, proprio lo studio e la comprensione dell’atteggiamento psicologico assunto dai
vari soggetti che, direttamente o indirettamente, vengono in contatto con il procedimento giudiziario si fa sempre più importante anche dal punto di vista pratico, per
esempio per l’avvocato nella scelta delle strategie difensive, per il perito che deve
esaminare l’imputato, per l’equipe di osservazione e trattamento in ambito penitenziario ecc. Uno dei settori in cui la ricerca è stata maggiormente approfondita è quelo
della psicologia della testimonianza; ma pensiamo anche alle tecniche di conduzione
dell’esame incrociato nel processo penale, ai rapporti tra le varie figure professionali
che vengono acontatto — e talvolta in collissione — nelle aule di giustizia, o addirittura tra i componenti laici e togati di un medesimo collegio giudicante.
La criminalistica, infine, non va confusa con le scienze criminali e con la criminologia. Essa utilizza una serie di conoscenze, tra cui la medicina legale, per far fronte a
problemi di indagine di investigazione criminale.
2. Lo spettro d’indagine della criminologia
La criminologia (il cui significato è «discorso sul reato») ha per oggetto lo studio dei
fatti delittuosi, quello degli autori del reato e quello dell’indagine sulle diverse forme
di reazione sociale alla criminalità. Lo studio della personalità della vittima e dei fenomeni di devianza, anche nelle sue manifestazioni non criminose, completa il quadro
delle sue ricerche (cd. ampiezza del campo d’indagine).
Oltre alle scienze criminali, delle quali si è accennato, varie altre discipline, che chiameremo scienze umane, si sono interessate al fenomeno della criminalità, ognuna,
tuttavia, sotto l’angolazione delle proprie specifiche conoscenze e secondo propri metodi di ricerca. Ci riferiamo principalmente alla sociologia, all’antropologia, alla medicina, alla psichiatria, alla pedagogia, alla statistica.
Il campo d’azione del criminologo è, pertanto, vastissimo. Egli deve utilizzare e farli
propri metodi e conoscenze di tutte queste scienze, integrarne il contenuto, raffrontandone gli approcci, le risultanze, le tecniche.
La criminologia è, dunque, scienza interdisciplinare in quanto cura rapporti con altre
discipline impegnate nella ricerca criminologica; multidisciplinare nel senso che studia il fenomeno criminale sotto vari aspetti e prospettive; è integrata perché tende a
coordinare ed a sistemare approcci, metodi, conoscenze e tecniche provenienti da diversi settori delle umane conoscenze.
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Introduzione
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3. La criminologia come scienza
Qualche autore (E. DE GREFF) ritiene la criminologia «scienza in sé inesistente» per
la contingenza, l’incertezza e l’ipoteticità delle sue teorie.
Ma che debba essere annoverata tra le scienze, invece, non vi è dubbio perché risponde
ai criteri di sistematicità e di controllabilità che sono i criteri essenziali per definire
una scienza.
Per sistematicità si intende la costruzione di un complesso di conoscenze acquisite su
un determinato oggetto, organizzata in un sistema e per controllabilità la possibilità di
sottoporre tali conoscenze ad un controllo di validità, sia sotto il profilo logico-formale, sia sotto quello empirico.
Per quanto attiene al metodo di ricerca, la criminologia si presenta, dunque, come
scienza empirica fondata, cioè, sull’osservazione del reale.
Sulla sua collocazione tra le scienze pure o tra quelle applicate, attualmente due sono
le principali correnti di pensiero contrapposte, quella di chi la considera scienza puramente teorica (P. CUCHE - H. LEVY BRUHL) perché cerca di riassumere osservazioni complesse in teorie astratte e chi, come Ferri, la considera come teorica e pratica
insieme nel senso che sui fatti oggetto di osservazione ricerca rapporti causali, correlazioni e variabili. Sotto questo aspetto, pertanto, la criminologia è scienza eziologica.
Questa opinione conciliativa ha trovato concorde L. ELLENBERGER (Recherche clinique et experimentale en criminologie, Montreal, 1965) il quale ha individuato, tra
quelle tradizionali, il gruppo delle scienze complesse (da lui così denominate) cui apparterrebbero la criminologia e la medicina.
Entrambe le discipline, infatti, sarebbero inutili e prive di significato se si limitassero
alla pura attività speculativa e non anche alla pratica applicazione. A che serve studiare
una malattia se non si determinano, poi, gli strumenti per guarirla?
Parimenti lo studio del crimine non può prescindere dallo studio dei mezzi migliori di
lotta atti a prevenire o almeno limitare e controllare il manifestarsi dei fenomeni.
Sotto questo profilo, pertanto la criminologia è scienza impegnata perché impone scelte
di valore che tengono conto anche degli orientamenti culturali di un dato momento
storico.
Ulteriori caratteristiche della criminologia sono state ravvisate nel fatto di essere cumulativa nel senso che le sue teorie sono costruite in derivazione l’una dall’altra e le
più recenti correggono, modificano, amplificano e perfezionano le precedenti, e sulla
sua capacità predittiva, cioè sulla capacità di formulare previsioni, ad esempio, circa
la pericolosità sociale di un soggetto, su quanti e quali delitti verranno commessi in un
dato momento storico ed in relazione ad un certo ambiente sociale (G. PONTI).
Il fatto che queste previsioni non possano essere valutate secondi parametri di assoluta
certezza, ma solo di probabilità, non toglie valore di scienza alla criminologia, se si
pensa che persino quelle scienze considerate esatte, come la fisica, sono state messe in
discussione dalla meccanica quantistica. Queste hanno portato ad asserire che, in qualsiasi campo scientifico, è impossibile prevedere con precisione il risultato di ogni mi-
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Capitolo 1
sura, per cui anche le leggi della fisica di Newton devono considerarsi probabili e non
esatte.
4. Approccio sociologico e approccio antropologico
La criminologia, nel tentativo di spiegare il sorgere e le cause del crimine, si avvale
degli studi (approcci) antropologici e sociologici.
L’approccio antropologico è rivolto all’uomo in quanto autore del reato per ricercare
i fattori organici, psicologici, motivazionali, psicosociali che possono averne determinato la condotta, anche in relazione ai fattori microsociali nei quali la personalità si è
formata.
L’approccio sociologico, invece, rivolge il suo interesse ai fattori macrosociali che
influenzano notevolmente il sorgere del crimine, indipendentemente da come questi
hanno interferito nel caso singolo.
Premessi questi concetti, può affermarsi che la ricerca della criminogenesi si attua
secondo tre indirizzi di pensiero: quello biologico-deterministico di marca lombrosiana che è rivolto al «corpo» dell’uomo per individuare al suo interno elementi che ne
abbiano determinato la condotta criminale; quello psicologico che cerca di penetrare
nella «mente» dell’uomo per trovare i motivi del comportamento delittuoso; e quello
sociologico/deterministico che considera la criminalità come fenomeno sociale da
interpretarsi attraverso molteplici aspetti.
Dai primi studi criminologici fino a quelli più moderni, si sono delineati modelli teorici e metodi diversi di indagini: dalle teorie unifattoriali che del problema danno rilievo
o a fattori individuali o a fattori sociali; alle teorie multifattoriali che esaminano tutti i
possibili fattori che possono condurre alla condotta criminosa; fino a quelle che ritengono la criminalità un problema di potere politico ed economico.
È importante non confondere il determinismo delle teorie criminologiche con la causa del comportamento criminale.
Le teorie unicausali sono quelle teorie che riconoscono una causa prevalente nel comportamento deviante, le teorie multifattoriali ne individuano varie.
Il collegamento tra la causa di un fenomeno criminale (o per meglio dire di un fattore
prevalente dell’agire criminale) e una teoria deterministica non è così diretto come
sembra.
Infatti, in criminologia ci sono esempi sia di teorie unicausali che di teorie multifattoriali con le quali gli studiosi hanno spiegato il comportamento criminale in una chiave
squisitamente deterministica.
Es. di teoria unicausale deterministica:
Il delinquente del Lombroso nasce criminale per la presenza di particolari tratti somatici e di caratteristiche psico-fisiche (cfr. approccio antropologico).
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Introduzione
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Es. di teoria multifattoriale deterministica:
La teoria dei coniugi Glueck spiega il fenomeno criminale con la presenza di particolari e diversi fattori fisici, ambientali e familiari.
In funzione di questa teoria i Glueck elaborarono delle tabelle predittive in grado di
prevenire futuri comportamenti criminali (cfr. teorie multifattoriali).
Allo stesso tempo ci sono molte teorie unicausali che pur riconoscendo la presenza di
un fattore predisponente non sono teorie deterministiche perché non escludono la libertà di scelta dell’individuo.
Elencheremo per cenni le principali discipline che si sono occupate del fenomeno criminoso, tutte confluite nella criminologia, per parlarne poi più diffusamente in luogo
opportuno.
Dall’approccio antropologico è nata l’antropologia criminale che è lo studio biologico e deterministico dell’uomo delinquente per il quale si nega che sia responsabile e
libero nella sua condotta, ma del quale si afferma la pericolosità sociale.
Dallo stesso approccio è scaturita la criminologia clinica che mira ad applicare le
conoscenze della criminologia generale al singolo delinquente per scoprire i fattori
ambientali microsociali che hanno agito su di lui e ad evidenziare gli interventi risocializzanti da operare.
La differenza sostanziale esistente tra antropologia criminale e criminologia clinica
consiste nell’obiettivo da raggiungere: per l’antropologia criminale, la difesa sociale;
per la criminologia clinica la possibilità del reinserimento sociale.
Anche la psicologia criminale trae origine dall’approccio antropologico ed esamina
sia l’autore del reato nel suo modo di essere, di sentire, di agire, sia il delitto stesso in
relazione ai motivi psichici che lo hanno determinato, sia l’ambiente esterno che ha
influenzato l’azione delittuosa.
La psichiatria forense utilizza le conoscenze della psichiatria per accertare l’eventuale presenza di condizioni morbose aventi rilevanza giuridica, come, ad esempio, per
determinare l’imputabilità o la pericolosità dell’autore di un reato, per la definizione di
circonvenzione d’incapace, per l’interdizione o l’inabilitazione in diritto civile.
Dall’approccio sociologico nasce la sociologia criminale che ritiene la criminalità un
fenomeno sociale. Tende, pertanto, a dimostrare rapporti di causalità tra comportamenti antigiuridici ed altre variabili della fenomenologia sociale ed a determinare l’influenza che ha l’ambiente sulle diverse caratteristiche individuali, quali, ad esempio,
l’età, il sesso, l’occupazione, la razza etc. (v. anche infra Cap. IV, §2).
Estratto della pubblicazione
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冟
Capitolo 1
Tavola 1
Vittimologia
(studio dell’incidenza della vittima nel delitto)
Politica criminale
pone gli obiettivi (scopi e modalità di prevenzione, punizione e trattamento) perseguiti dal diritto penale
Diritto penale
(mezzo di attuazione e limite della politica criminale)
Scienze criminali
(Discipline che
hanno ad oggetto del proprio
studio il problema
della criminalità)
Diritto penitenziario
regola la fase esecutiva (contatti importanti con la criminologia in
tema di studi sul trattamento, recidiva, risocializzazione) del procedimento giudiziario penale
Psicologia giudiziaria
(studio delle interrelazioni psicologiche tra i protagonisti del procedimento giudiziario)
Psicologia giuridica
(ramo della psicologia applicata al diritto)
Criminalistica
(tecnica di investigazione criminale)
Criminologia
(scienza multidisciplinare avente ad oggetto lo studio del delitto,
dei suoi autori e delle conseguenti reazioni sociali)
Tavola 2
Indirizzo sociologico
(studio finalizzato alla ricerca delle componenti sociali che sono
alla base del fenomeno criminale)
Approcci alla
criminologia Indirizzo antropologico
(studio dell’autore del delitto)
antropologia criminale
(studio biologico e deterministico dell’uomo delinquente)
criminologia clinica
(criminologia generale applicata al
singolo delinquente)
psicologia criminale (studio dell’autore del reato, del delitto stesso e dell’ambiente esterno)
psichiatria forense (accertamento della sussistenza di infermità che escludono o diminuiscono l’imputabilità)
sociologia criminale (studio della criminalità come fenomeno sociale)
Introduzione
Questionario
1. Cosa s’intende per scienze criminali?
(par. 1)
2. Qual è l’oggetto di studio della criminologia?
(par. 2)
3. Secondo quali criteri la criminologia è annoverata tra le scienze?
(par. 3)
4. Di quali studi si avvale la criminologia?
(par. 4)
Estratto della pubblicazione
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冟La criminologia
Capitolo 2
tra diritto ed evoluzione
del costume sociale
Sommario 冟 1. Definizione di delitto. - 2. Rapporti tra cultura, legge e potere. - 3. Rapporti interdisciplinari tra diritto penale e criminologia.
1. Definizione di delitto
Si è detto che la criminologia ha per oggetto lo studio della condotta delittuosa.
Per intraprendere tale studio è, pertanto, necessario capire che cosa deve intendersi per
delitto. Diciamo subito che nessuna definizione è possibile al di fuori di quello che è il
diritto positivo. Dobbiamo considerare delitti quei fatti che la legge penale ritiene tali,
sia pure per convenzione o definizione sociale.
Pur tuttavia, considerando come l’elencazione dei fatti proibiti che la legge penale
fornisce sia mutevole nel tempo, oltre ad essere rigida e schematica, la criminologia ha
cercato di proporre una propria di definizione di reato.
Si è partito, nel secolo scorso, dal concetto di delitto naturale, cioè dall’idea di un
reato le cui caratteristiche siano immutabili nel tempo e nello spazio perché riferite a
valori essenziali alla natura dell’uomo, quali la vita, l’integrità fisica, la salute etc.
L’omicidio, ad esempio, è stato sempre riconosciuto come fatto illecito ed universalmente deprecato.
Si è opposto che tutti i valori umani scaturiscono non da principi permanenti, ma dalla
cultura e dalla socializzazione.
Altri autori hanno affermato che oltre a presentare «variabili storiche» che fanno mutare nel tempo l’identificazione delle singole ipotesi di delitto, presentano anche delle
«costanti», indipendenti dalle valutazioni mutevoli dei legislatori e dalle evoluzioni
dei valori esistenti nelle strutture sociali. Tali costanti sarebbero rappresentate dai delitti naturali e da alcuni principi basilari, come il principio sanzionatorio e alcune categorie del pensiero penalistico, quali soggetto attivo, condotta, causalità, dolo, colpa,
capacità, soggetto passivo, conseguenze penali.
Estratto della pubblicazione
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冟
Capitolo 2
Ancora altri autori per definire il delitto si sono riferiti al criterio dell’antisocialità ma
anche questo è un puro giudizio di valore e, pertanto, variabile con il mutare della
cultura e dei suoi contenuti.
Si è tentato, allora, di differenziare i delitti secondo il criterio della maggiore o minore
gravità; sarebbero oggetto della criminologia soltanto quelli di maggiore gravità. Anche questo criterio non può trovare seria considerazione se si pensa alle notevoli difficoltà che si incontrano dovendo stabilire ciò che è grave da ciò che non lo è. Un comportamento particolare, quale, ad esempio, l’esportazione di capitali all’estero, può
essere considerato non censurabile in un determinato momento storico e da un dato
sistema sociale, ma essere considerato grave reato in altro momento o in altro Paese.
Pur criticato il criterio della maggiore o minore gravità del delitto, si deve riconoscere
alla criminologia l’impegno profuso per sottrarre dalle conseguenze penali quel gran
numero di minori autori di reati di poco conto (i c.d. reati bagatellari). Oggi, infatti, a
seguito della riforma della giustizia minorile, è previsto l’istituto della rinunzia all’azione penale per i reati di scarsa rilevanza sociale.
Anche la classica distinzione tra azioni che sono illecite per la loro stessa natura (mala
in se) e quelle che sono tali perché proibite (mala quia prohibita) nemmeno può delimitare il campo della criminologia perché è convenzionale e mutevole col variare della società e dei valori da queste espressi.
Vi sono stati, infine, alcuni autori i quali hanno affermato che devono escludersi dalle
indagini criminologiche i delitti politici perché non commessi da criminali comuni ma
da chi lotta per la liberazione del proprio Paese dalla dominazione straniera o da un
governo oppressivo. Vi si oppone la considerazione che alla luce delle leggi in vigore,
i reati commessi non cessano di essere tali. Spetta, semmai, al criminologo il compito
di qualificare un delitto come politico indagando sulla ideologia che lo ha provocato.
Deve, pertanto, concludersi che le condotte illecite sono esclusivamente quelle definite dalla legge e le indagini del criminologo devono partire da quelle definizioni.
In quest’ottica, pertanto, il diritto positivo necessariamente si baserà sul diritto naturale che sarà il suo canone valutativo.
Secondo una prospettiva giusnaturalistica, esiste, infatti, un sistema legale non scritto
corrispondente a tutti quei valori non modificabili nel corso del tempo perché indisponibili ed imprescindibili per la tutela dell’individuo.
L’uomo ha dinnanzi a sé due scelte: essere conforme o deviante.
Il compito del criminologo è quello di comprendere ed analizzare i comportamenti
criminali ed i motivi dell’agire delinquenziale.
A questo proposito, dalla criminalità va distinta la devianza.
Quest’ultima è un concetto di matrice sociologica più che giuridica e sempre più spesso è foriera di equivoci perché confusa con la violazione delle norme giuridiche.
La devianza è un concetto più ampio rispetto a quello di criminalità.
In un rapporto di genere a specie, è deviante colui che devia dalle norme ed è criminale
chi non rispetta la legge.
È la stessa genericità del concetto di devianza ad aver creato confusione.
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
La criminologia tra diritto ed evoluzione del costume sociale
冟 15
In realtà, se il criminale è colui che viola le norme giuridiche, il deviante è colui che si
discosta dalle regole, che non rispetta le norme di tipo sociale o i costumi generalmente condivisi dalla collettività.
2. Rapporti tra cultura, legge e potere
L’insieme delle tradizioni, dei costumi, delle leggi, delle credenze, delle conoscenze,
costituisce la cultura di una determinata società.
L’insieme dei contenuti di valore, delle ideologie e delle conoscenze che caratterizzano la cultura di una società rappresentano concetti modificabili con il decorrere del
tempo e pertanto relativi all’epoca storica, all’ideologia politico economica e socio
giuridica di un paese.
Con l’evolversi della cultura cambia anche il diritto positivo vigente, lasciando impregiudicati i diritti inviolabili dell’uomo perché indisponibili.
Infatti, i principi fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione e disciplinati anche a
livello internazionale non sono revisionabili.
Altri principi, invece, sono stati declassati o del tutto eliminati dalla cultura come dal
diritto, anche quello penale.
Es.: si pensi all’adulterio, a lungo contemplato tra i delitti contro il matrimonio all’articolo 559 c.p., dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale
con sentenza del 19 dicembre 1968 n. 126 e con sentenza del 3 dicembre 1969 n. 147,
poi definitivamente abrogato.
Si pensi ancora all’aborto, le cui fattispecie criminose erano contemplate nel codice
penale tra i delitti contro la integrità e la sanità della stirpe.
Dopo una lunga battaglia sociale e giuridica è intervenuto il Legislatore che con la
legge del 1978 n. 194 ha disposto quando, in che caso ed entro che limiti è ammessa
l’interruzione della gravidanza.
Alla luce di tutto ciò, se il diritto si adegua ai cambiamenti sociali e morali della comunità nazionale ed internazionale, anche la criminologia non può che adattarsi ed evolversi al cambiamento.
Tra l’altro v’è da dire che le stesse teorie criminologiche sono relative.
La non dogmaticità delle teorie scientifiche, infatti, implica la loro confutabilità e
modificabilità.
In criminologia non si può parlare di verità assolute, ma di verità che si succedono e si
alternano nel tempo alla luce dell’evoluzione della scienza giuridica e criminologica.
Anche il diritto penale, pertanto, è una delle componenti della cultura e le sue norme,
esprimendo il complesso dei valori in cui la società crede e sui quali si poggia, devono
servire ad assicurare uniformità di comportamento dei suoi membri nel rispettare e
perseguire quei valori stessi.
Estratto della pubblicazione
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16
冟
Capitolo 2
È all’interno delle società che si conviene quali debbano essere i comportamenti leciti
e quali i censurabili.
Le leggi, tuttavia, sono emanazioni di quei gruppi sociali dotati di maggior potere e
che stabiliscono quali siano quei valori, quei beni, quei diritti meritevoli di quella
particolare tutela privilegiata fornita dal diritto penale.
Accanto al potere dominante, in ogni società, convivono culture e ideologie diverse
che spesso sono in conflitto con quelle prevalenti ma che portano valori nuovi e che,
col passare degli anni, possono sostituirsi alla stessa cultura dominante. Coesistono,
cioè, contemporaneamente sia forme di consenso che di dissenso alla cultura dominante, entrambe socialmente utili, le prime perché impediscono il dissolversi dell’aggregato sociale, le seconde perché impediscono l’immobilismo ed il soffocamento delle
voci minoritarie.
Esiste sempre, in ogni caso, un vincolo tra la società e la cultura da essa espressa. A tal
proposito possiamo parlare di struttura, che è il tipo di sistema economico imposto da
chi detiene, nella società, i mezzi di produzione dei beni, e sovrastruttura, ossia l’insieme dei valori della stessa società, elaborati in funzione del tipo di sistema economico.
3. Rapporti interdisciplinari tra diritto penale e criminologia
Nel campo applicativo il rapporto tra criminologia ed il sistema della giustizia penale
è assai frequente.
Numerose norme del diritto penale e penitenziario si fondano sullo studio della personalità del reo per determinare la specifica sanzione da infliggere ed il trattamento
penale cui sottoporlo.
Lo studio della personalità del reo è, appunto, uno dei campi d’azione della criminologia alla quale si richiedono valutazioni circa l’imputabilità, la pericolosità sociale di
un soggetto, l’opportunità di prolungare o revocare misure di sicurezza.
Al criminologo è, pertanto, richiesta una partecipazione sempre più attiva e diretta
nelle attività giudiziarie penali.
In alcuni paesi stranieri preventive perizie criminologiche o psicologiche vengono richieste dai giudici nel corso del giudizio.
In Italia indagini criminologiche sono richieste ad esperti di criminologia per l’adozione e l’applicazione di misure alternative alla detenzione, ma solo dopo che sia intervenuta sentenza di condanna.
Numerose altre forme di collaborazione sono, inoltre, previste tra criminologo, personale penitenziario, educatori, operatori sociali e magistrati di sorveglianza in ordine al
trattamento carcerario o all’applicazione e revoca di misure di sicurezza o alternative
alla pena detentiva.
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冟Evoluzione
Capitolo 3
della criminologia
Sommario 冟 1. Le ideologie e l’illuminismo. - 2. Segue: Concezione liberale del diritto
penale - Cesare Beccaria. - 3. La scuola classica. - 4. Primi studi sociologici sul crimine. - 5. Lombroso. - 6. La scuola positiva. - 7. L’indirizzo
sociologico: dalla concezione marxista alla criminologia critica. - 8. L’indirizzo individualistico. - 9. Superamento dei determinismi. La nuova difesa
sociale.
1. Le ideologie e l’illuminismo
Il modo di interpretare e valutare i delitti ed i loro autori ed in che modo si è contrastata
la criminalità sono variati nel corso del tempo con il succedersi dei momenti ideologici
e culturali.
Prima del sorgere del pensiero moderno, in materia penale, il diritto leso poteva considerarsi essenzialmente basato sui principi dell’intimidazione e della vendetta.
Il delinquente era considerato un attentatore malvagio all’autorità del sovrano e sottoposto ad un giudizio di colpa dal significato anche religioso perché il potere sovrano
era inteso come promanazione della divinità.
Bisognava vendicarsi del criminale infliggendogli una dura punizione che poteva
anche consistere nella sua materiale soppressione nonché essere esemplare, cioè eseguita in pubblico affinché ciascuno potesse constatare ciò che comportava sfidare
l’autorità. Lo strumento di punizione era rappresentato dal supplizio ed anche la
morte doveva avvenire con sofferenze tanto più crudeli quanto più grave era stato il
delitto.
Le infrazioni più lievi erano punite con pene corporali: la fustigazione, l’amputazione,
la gogna, anch’esse per lo più pubbliche.
La reclusione era poco utilizzata. Le carceri esistevano, ma previste soprattutto come
luogo di attesa del giudizio o come forma di eliminazione extragiudiziaria di avversari
o di individui pericolosi.
L’esercizio dell’autorità penale dei giudici si estendeva a campi che ora riteniamo di
competenza della coscienza privata. Erano considerati reati i delitti di opinione, le
infrazioni all’etica religiosa, l’eresia, la stregoneria.
Estratto della pubblicazione
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Capitolo 3
I giudici avevano grandissima discrezione che sfociava nell’arbitrio. Rientrava nella
loro competenza qualificare un fatto come delitto, stabilire quantità ed entità della
pena.
Questo stato di cose durò fin quando il potere fu saldamente nelle mani dell’aristocrazia e del clero, fin quando, cioè, nel secolo XVIII non sorse la corrente ideologica
dell’illuminismo che dalla Francia si diffuse in tutta l’Europa.
L’illuminismo si proponeva di riportare alla luce lo spirito dalle tenebre dell’oscurantismo medievale; contro l’arbitrio, la corruzione, la superstizione, contro il potere assoluto delle classi fino ad allora dominanti proponeva la forza della ragione umana e la
sua eternità e universalità. Affermava, inoltre, il principio della libertà e dell’uguaglianza di tutti gli uomini, quale espressione di un diritto naturale primordiale che era
andato perduto per effetto di disfunzione delle strutture sociali. Occorreva poter ristabilire questo diritto primitivo ed a VOLTAIRE e MONTESQUIEU parve che lo strumento idoneo fosse la parità di tutti i cittadini di fronte alla legge. Non più privilegi di
nascita o di classe. La legge doveva sostituirsi all’autorità del sovrano e delle classi più
potenti.
D’altra parte si stava facendo largo una nuova realtà sociale, quella della borghesia e
dell’imprenditoria commerciale che prendeva coscienza di sé e del suo ruolo e mirava
a sostituire la vecchia classe dirigente.
2. Segue: Concezione liberale del diritto penale - Cesare Beccaria
Espressione dei principi illuministici è la concezione liberale del diritto penale della
quale si fece divulgatore ed anticipatore CESARE BONESANA, marchese di BECCARIA, quando nel 1764 pubblicò in forma anonima a Livorno il libro «Dei delitti e
delle pene» che riscosse un immediato e clamoroso successo e si diffuse in breve in
tutta l’Europa. Alla sua diffusione contribuirono anche i favorevoli ed ammirati commenti di VOLTAIRE e DIDEROT e l’opera influenzerà già nel secolo XVIII le riforme delle legislazioni penali di numerosi stati italiani ed europei.
Il movimento riformatore di BECCARIA si fondava su alcuni punti essenziali:
— dignità umana: la pena doveva essere ragionevolmente mite. Non si doveva fare
ricorso alla tortura ed era necessario, invece, abolire la pena di morte, o almeno
limitarla ai casi eccezionali;
— certezza del diritto: a tutti doveva essere assicurata parità di trattamento penale.
Il diritto doveva risultare scritto nei codici, non lasciato all’arbitrio dei giudici.
Non deve esistere reato se non espressamente previsto dal codice. La pena deve
avere carattere retributivo ed essere proporzionata alla gravità del delitto commesso. La sua funzione deve essere quella di rispondere alle esigenze della società
in cui si vive; deve essere espressione del diritto di autodifesa della società stessa e
non rapportata a violazioni di principi morali che possono variare nel tempo.
Estratto della pubblicazione
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Oltre a Cesare Beccaria anche JEREMY BENTHAM viene classificato tra gli adepti
della scuola classica, in particolare, per il suo principio di utilità della pena.
La pena deve essere utile:
— deve punire il reo per il reato commesso (funzione retributiva).
— deve dissuadere i consociati dal compiere il delitto (funzione di prevenzione generale).
Nell’ottica del reo, il compimento del reato deve procurare un vantaggio.
L’individuo che compie un’azione criminale, in termini utilitaristici, svolge un’attività
non molto diversa da un comune uomo d’affari (Bentham).
Come il professionista, anche il criminale effettua un calcolo di bilancio tra il guadagno ed il rischio che può derivare dal compimento del reato.
Se il vantaggio supera il costo, sia quello diretto che indiretto, per dirla alla Becker,
allora sarà indispensabile per il criminale delinquere (cfr. Becker).
La pena, infine, deve colpire il delinquente esclusivamente per quanto di illecito ha
commesso, senza nessuna valutazione di ciò che egli è o può diventare.
La figura del criminale è quella di un individuo dotato di assoluto libero arbitrio, capace di autodeterminarsi, non condizionato da influenze socio-ambientali, né da proprie
motivazioni psicologiche.
3. La scuola classica
Naturale approfondimento della concezione liberale ed ispirata ai principi dell’illuminismo fu la scuola classica del diritto penale che si sviluppò nel secolo XIX e che per
oltre un secolo influenzò il pensiero penalistico.
Suoi principali esponenti furono FRANCESCO CARRARA (1805-1888), GIOVANNI CARMIGNANI (1768-1847), PELLEGRINO ROSSI (1787-1848) ed ENRICO
PESSINA (1828-1916).
La dottrina della scuola classica pone a fondamento del diritto penale la concezione
etico-retributiva della pena.
Il reato consiste in una violazione cosciente e volontaria della norma penale da parte
di un soggetto dotato di libera volontà. Per essere imputabile basta che l’autore del
reato abbia la capacità di intendere il valore etico-sociale delle proprie azioni antigiuridiche e che, liberamente determinato, ha voluto.
La pena commisuratagli deve essere intesa dal reo come il corrispettivo necessario per
il male compiuto. Essa deve, pertanto, essere afflittiva, precisamente commisurata alla
variabile gravità del reato, determinata ed inderogabile (teoria della retribuzione).
È questo il cosiddetto sistema tariffario che considera il reato come entità giuridica e non
di fatto ed il suo autore moralmente ed assolutamente responsabile dei suoi atti, senza tener
conto delle condizioni sociali ed individuali che hanno interferito sul suo volere.
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Capitolo 3
Il merito della scuola classica consiste nell’aver delineato alcuni principi-guida di un
sistema fondato sulle garanzie delle libertà personali.
Tali sono il principio di legalità, secondo cui può essere punita soltanto la condotta
prevista dalla legge come reato; il principio di certezza del diritto, per il quale la sanzione per la condotta dalla legge definita illegale deve essere esattamente determinata;
il principio garantistico, contenente norme a tutela del diritto di difesa e della presunzione di innocenza; il divieto di analogia, secondo il quale, in mancanza di un’espressa disposizione legislativa, non è possibile ricavare la regolamentazione di un caso
non regolato da quella prevista per un caso simile.
4. Primi studi sociologici sul crimine
Verso la metà del secolo XIX il belga A. J. QUETELET (1796-1874) ed il francese
A.M. GUERRY (1803-1868), promotori della scuola cartografica o geografica, servendosi principalmente dei dati statistici riportati nel «Rendiconto generale dell’amministrazione della giustizia criminale in Francia», intrapresero lo studio sistematico
del reato in relazione all’età, al sesso, alla razza, all’istruzione, alle condizioni economiche, alle aggregazioni territoriali, al clima ed alle stagioni.
Essi individuarono una certa uniformità nel tempo dei fatti delittuosi, individuarono
«costanti» e regolarità statistiche nella distribuzione dei reati tra le varie classi della
popolazione e ciò consentì di interpretare il reato anche come fenomeno sociale.
Se, infatti, il comportamento criminoso manteneva nel tempo le sue caratteristiche
(quali, ad esempio, quello di essere effettuato dalle classi più povere o di minore
istruzione) il totale di tutte le trasgressioni isolate doveva certamente avere un rapporto significativo con le condizioni sociali. Doveva esserci nella società qualche
disfunzione che si rifletteva sul comportamento dei singoli e quindi sulla loro condotta criminosa.
Tutto ciò metteva in crisi le teorie della scuola classica che considerava il reato come
un’astratta entità di diritto.
Il reato non veniva più visto come fatto isolato, come espressione di una condizione
individuale, ma come comportamento inserito in un contesto sociale e da questo in
qualche modo condizionato.
Inoltre, lo studio delle costanti e delle regolarità statistiche del reato comportava anche
la possibilità di prevederli, almeno a livello di grandi numeri. Potrà prevedersi quanti
saranno i soggetti che commetteranno un reato, le loro caratteristiche sociali, le influenze che l’ambiente e la società avrà sul crimine.
Tutto ciò porterà ad una visione deterministica del crimine.
Estratto della pubblicazione
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5. Lombroso
Con gli studi statistici (QUETELET, GUERRY) si giunse alla conclusione che il crimine non dipendeva solo dalla volontà del singolo, ma che su di lui agivano anche
fattori legati alla società. Nasce così la visione deterministica della condotta criminosa, col mutamento dalla concezione liberale del delitto verso una percezione positivistica (XIX sec). Con tale visione vi era la convinzione che era all’interno della società
che dovevano ritrovarsi i fattori determinanti il crimine, dunque, si negava la responsabilità morale dell’individuo. Tale determinismo sociale si contrappose al determinismo biologico di Lombroso.
Carattere saliente del pensiero di LOMBROSO fu il determinismo biologico. Il
delitto per lui rappresentava un evento legato a qualcosa di patologico o di ancestrale (visione manichea e deresponsabilizzante del crimine); il reato è visto
come una malattia che va curata. Questo approccio è deresponsabilizzante nei confronti della società.
Egli esaminando nel dicembre del 1870 un reperto autoptico, il cranio del brigante Vilella, morto
nel 1864, notò un’anomalia morfologica congenita, la presenza della fossetta cerebellare mediana
o fossetta vermiana che è propria degli stadi embrionali degli animali inferiori (lemuri).
Fu per lui una folgorazione: gli sembrò di aver scoperto il segreto delle cause della criminalità ed
intraprese a lavorare sul concetto di atavismo, cioè sull’idea che l’ontogenesi, ossia lo sviluppo di
ciascun individuo della specie, ripercorra la filogenesi, ossia lo sviluppo della specie stessa. Ogni
individuo ripercorre nel proprio sviluppo individuale le tappe che sono state percorse dalla specie
cui appartiene.
Nella sua opera principale «L’uomo delinquente» espone la sua intuizione: nel criminale si è avuto
un arresto dello sviluppo ontogenetico; egli è un individuo filogeneticamente arretrato, un atavico
e presenta gli istinti feroci degli uomini primitivi.
Egli applicò per primo i metodi di ricerca biologica per lo studio del singolo autore
del reato e diede il via ad un indirizzo organico e sistematico nello studio della delinquenza (Scuola di antropologia criminale), cosicché la criminologia si impose come
scienza. Tra le principali teorie:
— la teoria del delinquente nato, secondo la quale i criminali sarebbero indotti fatalmente al delitto dalle loro malformazioni congenite, responsabili dell’arresto dello
sviluppo ontogenetico.
Le principali malformazioni sarebbero riconoscibili, secondo Lombroso, da una serie di caratteristiche somatiche, quali la morfologia cranica alterata, la fronte sfuggente, la mascella inferiore
prognata ecc. e da deformità mentali e comportamentali, quali la mancanza di sentimenti morali,
in particolar modo della compassione e della pietà, l’assenza di scrupoli e rimorsi, la deficiente
inibizione, la ridotta sensibilità al dolore, la vanità, il risveglio precoce dell’istinto sessuale, il
rifiuto del lavoro. Nella prospettiva lombrosiana si è dunque evidenziata, con forza dominante, la
presenza di un determinismo assoluto tale da privare l’uomo di ogni libertà di scelta.
In un secondo momento, fu lo stesso Lombroso a modificare e sfumare le sue considerazioni,
riconoscendo che il delitto poteva trovare origine in una molteplicità di cause.
Il Lombroso, infatti, riconobbe la possibilità di affiancare al delinquente nato anche il delinquente
folle ed occasionale. Pertanto, le ragioni che influivano sul comportamento deviante potevano
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Capitolo 3
trovare sede nell’occasionalità delle circostanze o anche in motivi psicopatologici. Proseguendo
i suoi studi sulla persona del delinquente e meditando sulla strage compiuta da un soldato
ritenuto epilettico, tale Masdea di Girifalco, che uccise sette compagni e ne ferì altri sei nella
caserma di Pizzofalcone a Napoli, LOMBROSO corresse la teoria dell’atavismo.
— la teoria dell’atavismo, secondo la quale la condotta criminosa è data da una sorta
di regressione o di fissazione a livelli primordiali, individuò nell’epilessia la forza
scatenante l’azione criminosa. Il delinquente è un epilettico nel quale la malattia
risveglia gli istinti atavici.
LOMBROSO, ispirò così, i più recenti studi di «criminologia clinica».
Alle teorie lombrosiane hanno fatto seguito quelle evolutive di Darwin.
— La selezione naturale. Secondo la teoria evoluzionistica di Darwin era l’ambiente
che, subendo mutamenti, operava una selezione naturale graduale.
Per Darwin, come per la maggiore parte dei biologi di oggi, la selezione naturale era la
principale spiegazione dell’evoluzione. Le differenze tra due individui, se pur piccole,
possono comunque determinare il successo nella sopravvivenza e nella riproduzione.
— La selezione sessuale. Poiché la differenza fra le diverse razze umane non sembrava apportare vantaggi ad uno o ad un altro individuo, Darwin introdusse il concetto di selezione sessuale.
Quest’ultima non si verificava nella lotta per la sopravvivenza, ma nella lotta degli
individui di un sesso sull’altro.
L’evoluzione dei corpi e dei comportamenti sessuali sono stati modellati nel tempo
dalla selezione sessuale.
La teoria dell’evoluzione intendeva fondamentalmente fornire una spiegazione dei
mutamenti progressivi del sistema biologico basandosi essenzialmente sulla selezione
naturale e sessuale.
6. La scuola positiva
Solo sull’esperienza, sul fenomeno, sulla induzione può costruirsi un sapere scientifico. È quanto affermano i cultori della scuola positiva i quali, partendo dall’osservazione che è il principio di causalità a regolare ogni fatto, applicano tale principio alla vita
sociale e quindi anche al fenomeno della delinquenza.
In criminologia i principali formulatori e divulgatori di questa corrente, pur con le
differenti forme di pensiero, furono LOMBROSO, FERRI, GAROFALO, GRISPIGNI, il belga PRINS e l’austriaco VON LISZT.
Il delitto non è una manifestazione libera e responsabile del soggetto, ma un fenomeno
determinato da cause specifiche.
Nell’applicazione delle pene il diritto penale non deve considerare la responsabilità
morale del delinquente, ma la sua pericolosità sociale, intesa come probabilità che per
effetto di certe cause possa commettere reati.
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In questo quadro la concezione retributiva della pena è sostituita dalla prevenzione
speciale, che viene attuata attraverso due metodi: il sistema del doppio binario (presente nel codice penale italiano risalente al 1930), che dispone, al fianco delle pene
tradizionali fissate in relazione all’entità del reato, le misure di sicurezza indeterminate
nel tempo per i delinquenti ritenuti socialmente pericolosi e la pena indeterminata,
applicata fino a quando il delinquente non sia ritenuto socialmente reinserito.
Nei paesi di cultura occidentale i principi della scuola positiva non furono mai completamente applicati.
Va, tuttavia, il merito a questa scuola di: a) aver evidenziato il problema della personalità del delinquente nei suoi condizionamenti bio-psico-sociologici; b) di aver visto il
reato dentro la realtà individuale e sociale; c) di aver intuito il problema della risocializzazione sostituendo alla pena una sanzione più elastica e adeguabile alla personalità
del soggetto.
Le critiche che si rivolgono a questa scuola riflettono, soprattutto, la deresponsabilizzazione dell’individuo, la negazione del principio di legalità e certezza giuridica
della pena essendo rimessa al giudice l’irrogazione della sanzione, ed il concetto
stesso di pericolosità sociale, secondo il quale potrebbero essere sottoposti a misure
di sicurezza anche coloro che non hanno ancora commesso reati, ma sono socialmente pericolosi.
7. L’indirizzo sociologico: dalla concezione marxista alla criminologia
critica
Nella sua analisi della società ad economia capitalistica, MARX mise in luce, intorno
alla metà del secolo XIX, come la disoccupazione fosse un fenomeno strutturale e non
congiunturale di tale tipo di società. Lo sviluppo del capitalismo, quindi, lungi dal
garantire la piena occupazione, necessita, per la propria affermazione, del costante
allontanamento dal sistema produttivo di un certo numero di appartenenti alla classe
operaia, che vanno ad alimentare le schiere del sottoproletariato.
La criminalità è allora il frutto delle disfunzioni di tale sistema. Pertanto la maggior
parte dei delinquenti non proviene, secondo questa concezione, dal proletariato consapevole della propria capacità di rovesciare il sistema capitalistico attraverso la lotta di
classe, ma dal sottoproletariato più degradato, che, non avendo acquisito coscienza di
classe, sa reagire alle ingiustizie sociali solo attraverso una ribellione individuale, attraverso, quindi, azioni delittuose.
Il primo studioso che, prendendo le mosse dalla concezione marxista del fenomeno
criminale, ha elaborato, agli inizi del novecento, teorie più marcatamente criminologiche è stato W.A. BONGER. Egli, sottolineando come un sistema di produzione fondato sull’iniziativa privata e, quindi, sulla concorrenzialità accentuasse il conflitto e l’aggressività tra le persone, affermava che la maggior inclinazione alla commissione dei
reati riscontrabile nel proletariato fosse frutto delle peggiori condizioni di vita in cui
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Capitolo 3
versava quest’ultimo e da un suo desiderio di rivincita. Anche la visione di Bonger,
pertanto, è permeata dal determinismo sociale.
Nella prima metà del novecento, però, è da registrare anche un approccio sociologico
alla criminologia di stampo liberale. C.R. SHAW e H.D. McKAI, della Scuola di Chicago, parlano di una criminalità espressione della disorganizzazione sociale, conseguente al rapido succedersi di regole di condotta in comunità prive di identità culturale, complice l’industrializzazione. Nelle aree socialmente ed economicamante più depresse, osservano i due studiosi, la delinquenza è assunta a modello culturale ed è
trasmessa agli appartenenti alle aree stesse o ai gruppi che in esse transitano. Ci troviamo di fronte alle cosiddette sottoculture criminali.
MERTON, dal canto suo, focalizzerà l’attenzione dei suoi studi sociologici sul concetto di anomia (quando, cioè, vengono a mancare le norme che si pongono come riferimento per gli individui), il cui significato è stato da lui ampliato nel senso di sproporzione tra le mete poste dalla cultura della società e i mezzi di fatto forniti dalla società
agli individui per conseguire le mete stesse.
CLOWARD e OHLIN (1960) si soffermeranno sul ruolo esercitato, nel divenire criminali, dall’appartenenza all’uno o all’altro gruppo sociale (teorie delle bande giovanili).
Questi indirizzi sociologici di stampo liberale, pur evidenziando le contraddizioni presenti nella società capitalistica, ne riaffermarono comunque l’indiscutibilità, definendo devianti coloro che si discostavano dalle sue regole e ponendosi come obiettivo la
reintegrazione di questi soggetti nell’ambito sociale. Per questi motivi tale criminologia fu definita «del consenso».
A questa si contrappose una «criminologia del conflitto», che, riappropriatasi delle
analisi sociali e politiche marxiste, ripropose in chiave rivoluzionaria la soluzione a
problemi generati da conflitti di classe insanabili. Questa nuova corrente di pensiero,
denominata, in un primo momento, nuova criminologia e, successivamente, criminologia critica, aveva tra le proprie fila studiosi marxisti di tutta Europa facenti capo alla
«National Deviance Conference», sorta in Inghilterra nel 1968. Tra questi studiosi vi
fu anche un nutrito gruppo italiano, che faceva riferimento alla rivista «La Questione
Criminale».
La criminologia critica, lungi dall’occuparsi delle caratteristiche di chi è dedito al
crimine, indaga sulle ragioni per cui una data società qualifica come devianti certe
condotte. Frutto di tale indagine è che la devianza non è più l’inosservanza delle norme, ma la conseguenza dell’oppressione della società capitalistica, la quale si limita a
perseguire soprattutto le condotte, da essa qualificate come illegittime, delle classi
subalterne.
In tale ambito di idee criminologia e politica si fondono, gettando le basi teoriche per
quello che fu il movimento del «sessantotto».
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