A te donna mia. - Succede solo a Bologna

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Bologna più che una città … è una famiglia!
A te donna mia.
Di Annamaria Sanguigni
Mia cara donna, oggi lascia a casa doveri e preoccupazioni, e tra mimose e danze tuffati con le
braccia spalancate a questa vita che ti vuole.
Quando il mondo ti ha creato, una stella tutta d’oro e luccicante si è accesa.
Tu sei forte, svelta e giudiziosa, ma a volte il cuore troppo capriccioso si sfrena e dà di matto.
Quante volte per il cuore la tua vita s’è fatta di passione, e le fiammate dell’amore non hanno
lasciato cicatrici.
A te donna mia che cammini per le strade della città e vai come una saetta.
Scendi fuggi. Voli.
Donna con la cipria sulla pelle, bella, fresca sana e saporita, che finirà molle e raggrinzita come una
vescica bruciacchiata.
Donna con la criniera vaporosa, hai la voce roca sempre bella, guidata da un vento battagliero.
Donna che non hai più fiato, stanca di essere compatita. Per te il sole è freddo e scolorito e quello
che pareva dolce, è avvelenato.
In questo mese fresco e ventilato, ti regalo un fascio di colore e di pace, ti accarezzo il cuore, dove
nascono pensieri.
Ti voglio regalare un’aria nuova e piena di sapore, che ti stordirà, un mare più turchino, un cielo
zeppo di stelle e la luce profumata del mattino.
T i dono le speranze dei sospiri, le musiche del vento che confondano la tua mente.
Bologna più che una città … è una famiglia!
TU DONNA!
Di Annamaria Sanguigni
Sei carina sai? La tua pelle è morbida e liscia, le tue cosce lunghe .
Buttati là per terra brutta mignotta, nel tuo schifoso ventre mi voglio scaricare.
Non hai neanche i peli sotto le braccia, solo un velo biondo come un neonato.
Voltati puttana!
Allattami con quei seni grossi . Ti sbranerò un pezzetto alla volta, brutta schifosa!
Guardami, con la tua faccia bianca, strappati quegli orecchini troppo lunghi.
Non hai più unghie per fermarmi, non hai più forza, è scivolata via da tuo corpo come sudore, sento la tua
carne ancora viva.
Non riesco a smettere di sbatterti, voglio il mio posto e decido io quando smettere.
Entro ed esco, entro ed esco, entro ed esco, entro ed esco, entro ed esco, entro ed esco, entro ed esco,
entro ed esco.
I nostri corpi vicini, il buio della notte acqua sudicia che non lava.
C’è un cielo laggiù che si mangia la notte e la città vicina mi penetra come un pene.
L’avevo avuta finalmente la lurida donna che mi guarda come un verme.
L’aria torbida mi avvolge, sento l’odore di un altro letto da cui scendere in fretta.
Di nuovo il desiderio rubato è tra le mie braccia, la schiena contro un muro, il fiato soffiato sul collo.
Annuso il suo profumo e mi gira la testa.
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