Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina B Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa “ALLA RICERCA DELLE RADICI DELLA NOSTRA CULTURA” ALBERTO MARIO BANTI ALESSANDRO GHISALBERTI MARISA VERNA PIPPO RANCI FRANCO GIULIO BRAMBILLA n. 5 GAZZADA, VILLA CAGNOLA 12-13 MAGGIO 2011 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 1 Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa “ALLA RICERCA DELLE RADICI DELLA NOSTRA CULTURA” ALBERTO MARIO BANTI ALESSANDRO GHISALBERTI MARISA VERNA PIPPO RANCI FRANCO GIULIO BRAMBILLA n. 5 Sede: Segreteria: Cassiere: Presso Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano, Largo A. Gemelli, n. 1 Presso Banca Popolare Commercio e Industria - Milano, Via Moscova, 33 - Tel. 62.755.1 Presso Banca Popolare di Milano - Milano, Piazza Meda n. 2/4 - c/c n. 40625 Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si può rivolgere alla Segreteria dell’Associazione - tel. 02/62.755.252 - E-mail: [email protected] sito web: www.assbb.it Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 3 Solo chi è pronto a dar battaglia per i propri ideali ha diritto alla felicità e alla libertà. Goethe Non basta sopravvivere. Bisogna anche avere una ragione per vivere. Hubeuve-Meri 3 Libro Gazzada 5-2011 4 16-06-2011 12:18 Pagina 4 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 5 Rinnovando l’esperienza degli scorsi anni si è aggiunto un ulteriore tassello a quel mosaico che stiamo costruendo di volta in volta, fidando alla fine di completarne nel tempo il disegno attraverso il quale leggere, forse sotto traccia, il fondamento di quelle radici che stanno all’origine della nostra cultura. Percorso difficile, multiforme, ma necessario per illuminare le nostre scelte. Scelte per il nostro ruolo di operatori professionali, ma scelte che traggano ispirazione da valori e principi nei quali riconoscere il senso della nostra storia, dei nostri comportamenti, delle nostre coscienze. In un mondo in cui crolla ogni mito e che nulla concede all’utopia, pare utile non tanto “raccontare”, attraverso emblematiche testimonianze, una cultura, quanto riscoprirne le sue radici storiche e veraci al fine di ritrovare in quelle la nostra identità. Le “lanterne cieche” del nostro tempo non sanno illuminare il nostro cammino né all’indietro nella memoria, né al presente nella riflessione, né in avanti nella fiduciosa attesa, nella speranza, nella consolante certezza di un domani per il quale valga la pena di vivere. Perché guardare al futuro non basta. Quale futuro infatti si può costruire senza avere cura del proprio passato? Il passato è la nostra memoria, la memoria è la nostra Storia, la Storia è la nostra identità. Non esiste una Storia lontana e senza più importanza. La Storia torna sempre. giuseppe vigorelli 5 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 6 Biografia Giuseppe Vigorelli Presidente Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa Laureato in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dall’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana entra in un industria milanese con responsabilità di produzione. Quindi, entra nel sistema bancario, presso la Banca per il Commercio Serico. Dopo un periodo a Londra, collabora alla trasformazione della Banca dal settore serico a quello tessile e quindi alla diversificazione dell’attività in tutti i settori dell’industria e del commercio, cambiando denominazione in Banca Commercio e Industria. Da Vice Direttore Aggiunto diventa Vice Direttore Generale nel 1968, fino al 1975 anno in cui viene nominato Direttore Generale, posizione che mantiene fino al 1993. In quell’anno assume la carica di Vice Presidente e di Amministratore Delegato della Banca Popolare Commercio e Industria e nel 1997 ne diventa Presidente. Nel corso degli anni ‘70 e ‘80 realizza cinque acquisizioni bancarie e tre succursali estere in Lombardia, negli anni ‘90 una sesta acquisizione nonché il ramo commerciale italiano di una banca estera e l’acquisizione di una rete di sportelli in dismissione di una banca nazionale. Nel 1995 assume il controllo della Banca Popolare di Luino e di Varese S.p.A., nella quale ricopre la carica di Vice Presidente Vicario fino al febbraio 2003, e costituisce il Gruppo Bancario Banca Popolare Commercio e Industria. Nell’ambito del Gruppo nel 1998 crea una delle prime banche virtuali italiane ed apre una affiliata in Lussemburgo. Nel corso degli anni ‘80 realizza un complesso di società del settore parabancario, ABF Leasing e ABF Factoring, e partecipa alla fondazione del Gruppo ARCA (fondi, merchant, SIM, trading, assicurazioni), composto dalle prime 12 banche popolari del Nord Est. Nel 1995 diviene Vice Presidente del Gruppo. Da oltre 20 anni è membro del Consiglio dell’Associazione Bancaria Italiana e dal 1995 anche del suo Comitato Esecutivo, avendo altresì ricoperto la Presidenza della Commissione per la Riforma dell’Associazione. Nel 1972 fonda l’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, assumendone la Presidenza, con l’adesione delle prime 12 banche, che poi crescono fino alle attuali 150, del più ampio arco del sistema bancario italiano: dalle Casse di Risparmio alle Banche Popo- 6 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 7 lari, dalle Ordinarie a quelle di interesse nazionale e diritto pubblico, agli Istituti speciali a medio termine. Sponsor accademico della Facoltà di Economia e Commercio della Università Cattolica di Milano. Dal 1976 è consigliere della Associazione “Luzzatti” delle Banche Popolari, fino alla sua unificazione con la Tecnica. Quindi è entrato a far parte del Consiglio d’Amministrazione e del Comitato Direttivo della nuova Associazione Nazionale fra le Banche Popolari. Nel 1978 per meriti bancari gli viene conferita la Commenda su istanza dell’Associazione Bancaria Italiana. Dal 1982 al 1998 fa parte del Consiglio d’Amministrazione della Centrobanca, istituto di credito a medio termine della categoria. Dal 1982 al 2001 è membro del Consiglio d’Amministrazione dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane, e dal 1995 al 2001 anche del suo Comitato Esecutivo. Nel 1983 è chiamato a far parte della Giuria dell’Oscar di Bilancio, e dal 1993 al 2000 ricopre la carica di Presidente. Dal 1987 al 1996 fa parte del Consiglio di Amministrazione della Istinform, società interbancaria di consulenza informatica, assumendone per cinque anni la Presidenza e saldando l’area privata del sistema bancario, con l’accoppiamento del mondo delle Banche Ordinarie a quello delle Banche Popolari. Dal 1988 al 1998 fa parte del Consiglio d’Amministrazione della Unione Fiduciaria. Dal 1990 al 1996 fa parte del Consiglio di Amministrazione della Multitel, società interbancaria di software con la carica di Vice Presidente. Dalla fondazione è Consigliere e membro del Comitato Esecutivo della Centrosim spa, società di categoria delle Banche Popolari, di cui è stato Presidente dal 1995 al 1998. Nel 1998 la Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie ed Assicurative dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, alla cui nascita, contribuì la stessa Associazione, gli conferisce la Laurea honoris causa in Economia Bancaria. Sempre nel 1998 l’American Biographical Institute lo nomina “Man of the Year” e la Provincia di Milano gli conferisce la Medaglia d’Oro della Riconoscenza e alla Cultura. Il 18 maggio 1998 viene costituita BPCI International in Lussemburgo, di cui diviene Consigliere. Il 27 maggio 1998, nell’ambito del Gruppo, crea On Banca, la prima vera banca virtuale italiana e ne diviene Consigliere, fino al febbraio 2002 quotandola alla Borsa di Milano. Da oltre 16 anni partecipa al Fondo Monetario Internazionale di Washington e alle riunione del Forex Club Italiano: l’associazione nazionale dei cambisti che nel 1998 lo nomina Socio d’onore. 7 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 8 Il 2 giugno 1999 è nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica. Il 7 dicembre 1999 il Comune di Milano gli ha conferito l’Ambrogino d’oro (medaglia d’oro di Benemerenza Civica). Il 1 dicembre 2000 acquisisce la Banca Carime S.p.A. e ne diviene Vice Presidente Vicario. Il 30 gennaio 2001 viene costituita la BPCI Fin e ne diviene Presidente. In data 23 marzo 2001 viene nominato Consigliere del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi ed entra a far parte del Comitato di Gestione. In data 2 settembre 2003 viene nominato consigliere del Consiglio di Amministrazione del Fondo Interbancario di Garanzia. In data 27 marzo 2003 viene costituita la BPCI Fin Seconda S.p.A. e ne diviene Presidente. Il 1° Luglio 2003 promuove l’aggregazione con il Gruppo della Banca Popolare di Bergamo per la costituzione della nuova Società a responsabilità limitata Banche Popolari Unite di cui diventa Vice Presidente Vicario. Nel giugno 2005 gli è conferita l’onorificenza dal Presidente Ciampi di Grande Ufficiale della Repubblica italiana. Nell’aprile 2006 é proclamato Presidente Onorario di UBI Banca. Dal 1968 al 1980 è stato Amministratore dell’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” di Milano. E’ inoltre Consigliere di diversi organismi e fondazioni a scopo culturale e sociale. 8 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 9 Prof. Alberto Mario BANTI Professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Pisa “Il nazionalismo e la formazione dello Stato unitario italiano”. Lo Stato unitario è uno Stato-nazione, il che significa che è uno Stato che si differenzia profondamente dagli Stati dinastico-territoriali esistiti sul territorio della penisola sino al 1859-60. Ciò che caratterizza essenzialmente questa tipologia di Stato è l’idea della pre-esistenza di una nazione – in questo caso della nazione italiana – che, secondo i suoi sostenitori, ha un diritto etico e politico a esprimersi attraverso assetti istituzionali che ne sanciscano l’esistenza. In questa concezione, dunque, il concetto di nazione ha una centralità assoluta. Ma da dove viene? «Nazione» è una parola che deriva dal latino ed è largamente utilizzata anche in epoca medievale e moderna. Allora, però, non ha uno specifico significato politico; piuttosto, indica genericamente dei gruppi di individui che hanno qualche tratto comune (lingua, cultura, provenienza). Oltre a non avere una precisa connotazione politica, il termine «nazione» si riferisce a comunità territorialmente non ben definite: vi sono molti e vari esempi di intellettuali, scrittori o politici che parlano indifferentemente di nazione italiana, o napoletana, o veneziana, e via dicendo. Il quadro cambia radicalmente nel corso del XVIII secolo, e cambia in particolare grazie alle innovazioni istituzionali e linguistiche promosse dai protagonisti della Rivoluzione francese. In cerca di un termine che indichi il soggetto collettivo che deve sostituirsi al re come depositario esclusivo della sovranità politica, i rivoluzionari lo trovano nel termine «nazio9 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 10 ne». Il processo che fa sì che il termine «nazione» entri per la prima volta nel vocabolario politico viene sancito da un articolo fondamentale della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789), il n. 3, che dice: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che da essa non emani espressamente». Questo enunciato sconvolge l’intero lessico politico. Da allora, in Francia e fuori di Francia, chi vuole fondare le istituzioni pubbliche sulla volontà di tutti coloro che vivono in un dato territorio, si riferisce a questo soggetto collettivo designandolo col termine di «nazione» (e poi anche con quello di «popolo», che diventa immediatamente un sinonimo di «nazione»). È ciò che accade anche nella Penisola italiana: sono i simpatizzanti della Rivoluzione francese che per la prima volta negli ultimi anni del XVIII secolo lanciano il progetto di uno Stato per la nazione italiana: cioè asseriscono che esiste una nazione italiana e che, in nome di questo «fatto», è giusto adoperarsi perché venga creato uno Stato nazionale italiano. E questa è una dinamica imitativa. Poco più tardi, a questa prima dinamica se ne aggiunge un’altra, reattiva, sollecitata dalle occupazioni napoleoniche. Compiute in nome della superiorità etica della nazione francese, sollecitano risposte «simmetriche e contrarie»: in Spagna, in Olanda, in Germania, e anche in Italia, molti di coloro che si oppongono alle occupazioni napoleoniche cominciano a farlo in nome dei diritti della propria «nazione». Tutta questa dinamica comporta un passaggio delicato che scaturisce da due interrogativi fondamentali: «quali sono le nazioni?»; e «chi ne fa parte?». In Italia, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, chi parla il linguaggio della nazione oscilla molto 10 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 11 nell’identificazione della comunità di riferimento; e così capita di sentir parlare di nazione cispadana, o napoletana, o veneziana, o siciliana, e così via. E tuttavia entro il primo decennio del XIX secolo i portavoce nelle nuove istanze nazionali optano per la nazione italiana. Perché? Perché nella prima metà del XIX secolo i primi influenti movimenti nazionali sono promossi da intellettuali o da leader politici con un’ottima formazione intellettuale, che identificano le nazioni sulla base di un primo criterio essenziale, ovvero la lingua. L’esistenza di una lunga tradizione letteraria scritta in italiano induce facilmente i promotori del movimento risorgimentale (da Cuoco a Foscolo, da Manzoni a Mazzini, ecc.) a considerare che la nazione di riferimento per un movimento politico che voglia rinnovare integralmente le istituzioni esistenti sulla Penisola sia, appunto, la nazione italiana. Tuttavia c’è un grado di forzatura pazzesco in questo tipo di operazione. All’inizio del XIX secolo l’italiano letterario è usato (ed è conosciuto) solo da una percentuale minima di coloro che vivono nella Penisola, poiché tutti gli altri parlano dialetti che si differenziano molto l’uno dall’altro per strutture lessicali e sintattiche. Si stima che nel 1861 gli «italofoni» fossero tra il 2.5% e il 9.5% del totale degli abitanti della Penisola. E questa è una prima difficoltà. A ciò si aggiunga che il movimento risorgimentale (come altri movimenti nazional-patriottici di inizio Ottocento) vuole costruire uno Stato-nazione unificando o smembrando Stati preesistenti; in un simile contesto i promotori del movimento nazionale devono convincere i potenziali militanti che la «nazione» esiste, anche contro ogni evidenza, e che vale la pena di fare qualcosa per essa, nonostante questa sia un’impresa estremamente pericolosa perché ha contro di sé tutte le istituzioni ufficiali di quasi tutti gli Stati che sono usciti dal riassetto geopolitico del Congresso di Vienna. Sembra quasi una missione impossibile. E invece, 11 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 12 malgrado le enormi difficoltà comportate da questo programma, il movimento risorgimentale, nelle sue varie e spesso contrastanti articolazioni, riesce a riscuotere uno straordinario successo, tanto da raccogliere intorno a sé una militanza «di massa», e ottenere l’obiettivo che si prefiggeva, cioè la costruzione di uno Stato nazionale unitario. Come fa ad avere questo successo? Se ciò avviene è perché i leader intellettuali e politici del nazionalismo sanno presentare questa ideologia con le seducenti vesti di una «nuova politica». La proposta politica nazionalista è nuova perché vuole coinvolgere le masse; ed è nuova perché vuole farlo non tanto facendo appello alla ragione degli illuministi, alla solida cultura, all’indagine lucida e distaccata, ma facendo appello all’universo prerazionale delle emozioni. E ci sono ottimi motivi perché sia così: come potrebbe essere altrimenti, se si vogliono coinvolgere nel discorso politico anche persone analfabete o semi-analfabete? E come potrebbe essere altrimenti, se si vuole diffondere un discorso politico altamente innovativo e – almeno nelle sue formulazioni iniziali – radicalmente eversivo degli assetti politici dominanti? La realizzazione di una «nuova politica», cioè di una politica che sappia parlare al cuore del «popolo», passa attraverso la formazione di una «estetica della politica». Con questo termine si indica una modalità della comunicazione politica che certo non è ignota in epoca moderna, ma che ora prende dimensioni prima sconosciute; una modalità sollecitata dalla constatazione secondo la quale strumenti che normalmente servono per divertirsi e rilassarsi (romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue e opere liriche) possono anche riempirsi di messaggi politici, senza per questo perdere niente del loro fascino. 12 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 13 Per la formazione di una nuova «estetica della politica» è essenziale lo stretto rapporto che il nazionalismo intreccia con l’esperienza intellettuale comunemente nota col termine di «romanticismo». Dei molti aspetti che connotano l’elaborazione romantica, uno merita di essere particolarmente sottolineato: gli intellettuali che vi si avvicinano mettono ben presto a fuoco l’idea di «un’arte per il popolo», termine che in questo caso non vuol dire altro che «un’arte per il più largo numero possibile di persone». Si tratta di un programma estetico che è certamente sollecitato anche dal nuovo statuto socio-professionale del letterato o dell’artista della Restaurazione: non più sostenuto da un mecenate, non più assunto stabilmente da una famiglia nobile, deve essere capace di vendere le sue opere sul mercato se vuole procacciarsi di che vivere. Ma ciò che è importante osservare, è che diversi intellettuali e artisti romantici danno a questo chiaro programma professionale una declinazione nettamente nazionalista. Perché lo fanno? Da un lato, perché capiscono che la nazione è un tema politico «caldo», reso estremamente «popolare» dalle vicende della Rivoluzione francese, e soprattutto dalle reazioni suscitate dalle occupazioni napoleoniche; cosicché raccontare storie di ispirazione nazionalista significa raccontare storie che trovano già un pubblico sensibile, e quindi un «mercato» a cui vendere i propri lavori. Dall’altro lato lo fanno anche per intima convinzione, che si traduce talora in una militanza che a qualcuno costa la vita, la prigione o l’esilio. È ad opera di persone di questo tipo, che talora sono anche dei veri e propri geni creativi, come Giovanni Berchet, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Francesco Hayez, Giuseppe Verdi e molti altri con loro, che il nazionalismo risorgimentale può avvalersi di un’«estetica della politica», che si traduce in una vasta 13 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 14 costellazione di romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue e melodrammi di ispirazione nazional-patriottica. Sono questi gli strumenti comunicativi che riescono a fare del nazionalismo un discorso mitico di grande impatto. La mitografia che ne deriva è efficace perché riesce a proporre delle nuove, potenti, suggestioni: e sono proprio queste che danno al discorso nazionale un grande impatto emotivo. Quale definizione di «nazione» sorregge questa straordinaria vicenda politico-culturale? È una definizione articolata in tre parti fondamentali: la nazione viene considerata come una comunità di parentela, ovvero come una «comunità di discendenza» dotata di una sua genealogia e di una sua specifica storicità. In questa concezione il nesso biologico tra le generazioni e gli individui diventa un dato fondamentale: da qui il ricorso frequente a termini come «sangue» o anche «razza», per connotare i nessi che legano le persone alla comunità. Da questa concezione deriva anche un suggestivo sistema linguistico fatto di «madre-patria», di «padri della patria», di «fratelli d’Italia», mentre la «famiglia» diventa costantemente un sinonimo della comunità nazionale nel suo complesso, o un termine che ne indica il suo nucleo fondativo minimale; la nazione viene descritta anche nelle sue componenti di genere, attraverso un’operazione che attribuisce agli uomini della nazione il compito di difenderla armi alla mano, ed alle donne della nazione il compito di riprodurre – in forma casta e virtuosa – le linee genealogiche che strutturano la nazione come comunità di parentela; infine, la nazione è descritta come una comunità i cui membri devono essere entusiasticamente disposti al sacrificio della propria vita. Il richiamo alla necessità del 14 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 15 sacrificio è un’operazione che consente di presentare il discorso nazionale come un discorso politico para-religioso: i militanti morti per la causa diventano subito dei «martiri», cioè in senso proprio dei soggetti che hanno «testimoniato» con la morte la propria «fede» politica; in tal modo le guerre nazionali si trasformano in «guerre sante» o «crociate»; l’azione di propaganda diventa «apostolato»; e la rinascita della nazione diventa «resurrezione» (questo il senso etimologico originario del termine «Risorgimento»). Descrivere in questo modo la comunità nazionale, e l’azione politica che è necessario fare per essa, significa presentare il tutto con tratti di plausibilità molto forti, poiché su una proposta politica enormemente innovativa si proiettano valori e simboli molto ben radicati nella mentalità diffusa all’inizio del XIX secolo: chiunque capisce subito di cosa si parla se si dice che la nazione è una «famiglia» e che perciò i suoi membri sono «fratelli», legati dal «sangue» e dal «cor»; inoltre proiettare nello spazio della nazione il valore dell’onore (gli uomini combattono e difendono la rispettabilità delle proprie donne) è ricorrere a una passione che all’epoca è profondamente radicata, una passione per la quale non si esista a combattere dei duelli; e infine associare l’ideologia nazionale a specifici simboli della tradizione cristiana significa presentare la nazione con i caratteri di un linguaggio che tutti conoscono e quasi tutti apprezzano. Ed è proprio in queste dinamiche che occorre vedere sia le ragioni del grande impatto del discorso nazionale nel Risorgimento, sia le ragioni della sua duratura presenza nella successiva storia d’Italia. 15 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 16 Biografia Alberto Mario Banti Ha studiato all’Università di Pisa, alla Scuola Normale di Pisa e all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, dove ha conseguito il suo PhD. Attualmente è Professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Pisa. Si è occupato di storia sociale dell’Italia contemporanea, di storia del Risorgimento italiano e di storia del nazionalismo europeo ottocentesco. Principali pubblicazioni dell’Autore: Storia della borghesia italiana. L’età liberale, Donzelli Editore, Roma 1996. La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000. Il Risorgimento italiano, Laterza, Roma-Bari 2004. L’onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra, Einaudi, Torino 2005. Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari 2011. 16 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 17 Prof. Alessandro GHISALBERTI Ordinario di Filosofia Teoretica nell’Università Cattolica del S.Cuore di Milano “L’universalismo di Dante nella formazione dell’identità europea”. Parlare di Europa ai tempi di Dante significa assumere una consapevolezza preliminare, dovuta anche quando si parla di Italia nell’età di Dante, ossia si deve essere consapevoli del rischio di caricare i due termini, Europa e Italia, di una valenza geopolitica che in quel tempo non possedevano; eppure Dante è certamente tra i formatori dei valori che nel tempo l’Europa delle nazioni farà propri, così come fondamentale è stato il contributo del poeta fiorentino nel corso dei cinque secoli successivi alla sua morte alla formazione dello stato italiano unitario, della cui nascita ricorre quest’anno il 150° anniversario. In particolare la lingua toscana e la poesia di Dante sono stati riferimenti decisivi nei secoli a forgiare la storia della letteratura e cultura d’Italia, anche quando l’Italia unita non c’era ancora, ma si parlava l’italiano e nel mondo si diffondevano l’arte, la musica, i costumi italiani. Senza cadere in antistorici anacronismi, intendiamo ripercorre un itinerario non alla ricerca di un precursore, ma meglio si direbbe di un “formatore”, volto cioè a far emergere elementi forti calati nel pensiero e nelle azioni di Dante veicolanti la coscienza di una comune patria ideale transnazionale. 1. Dante, Firenze e l’Europa La maggior parte delle lettere pervenuteci iniziano con “Dantes de Florentia”, o “Florentinus exul immeri17 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 18 tus” , sino al celebre incipit della lettera a Cangrande: “Dantes Alagherii florentinus natione non moribus”, dove la deplorazione della decadenza morale di Firenze veicola nel poeta un oltrepassamento etico-politico della città natia, per acquistare altrove, nell’Italia o nel potere del sacro romano impero, la dignità di fiorentino autentico, negatagli dalla sua terra d’origine. Se Firenze, destinandolo ad un esilio perpetuo, è risultata matrigna, Dante non cessa di dichiararsi suo figlio, e anche nell’età matura, nel canto XXV del Paradiso, auspicherà come proprio futuro di giustizia ed insieme di gloria quello di essere incoronato “poeta sacro” nel battistero di San Giovanni della sua Firenze: Se mai continga che ‘l poema sacro al quale ha posto mano cielo e terra sì che m’ha fatto per più anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov’io dormi’ agnello, nimico ai lupi che li dànno guerra; con altra voce ormai, con altro vello ritornerò poeta; ed in sul fonte del mio battesmo prenderò ‘l cappello” (Pd XXV, 1-9). Assumiamo qui due degli elementi portanti della nostra lettura su Dante e l’Europa: anzitutto la fiorentinità di Dante e la narrazione che egli fa nelle diverse Cantiche della Commedia della storia di Firenze; in secondo luogo la cifra forte che è all’origine di questa storia e la sorregge anche in tempi di avversità, è rinchiusa nel connubio destinale di romanesimo e germanesimo, che a partire da Carlo Magno ha segnato la nuova traiettoria fondativa dell’Occidente cristiano, coesteso in senso geografico con quello che ai tempi di Dante si chiamava Europa. 18 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 19 Come è stato osservato1, la storia di Firenze è narrata da Cacciaguida nel cielo di Marte, all’interno dei tre canti centrali del Paradiso (XV-XVI-XVII): lo sfondo del cielo di Marte è rosseggiante, segno riconducibile all’età guerriera e trionfale della Roma imperiale, ma già al suo arrivo (Pd XIV, 85 ss) su Marte, che accoglie Cacciaguida e la grande schiera dei martiri per la fede, Dante vede dominare il rosso, il colore del sangue, e le luci splendenti dei martiri si dispongono a forma di croce: Sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo. Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno; ché ‘n quella croce lampeggiava Cristo (Pd XIV, 100-104) Marte era il protettore (pagano) di Firenze, mentre Giovanni battista era il protettore della Firenze cristiana, come ricorda Cacciaguida parlando dei Fiorentini del suo tempo come dei cittadini atti a portare le armi e risiedevano “tra Marte e ‘l Batista” (Pd XVI, 47), ossia la statua di Marte sul Ponte Vecchio e il Battistero di san Giovanni battista, i due segni dei limiti della città di allora. Del resto, nel canto VI del Paradiso, l’inizio della storia ideale di Firenze, con la fondazione delle antiche mura, è fatta coincidere con la novità operata da Carlo Magno, quando l’impero romano rinasce nel segno di Cristo, sancendo il già menzionato connubio decisivo di romanità e di cristianesimo e dà inizio alla Firenze della “cerchia antica”, le cui mura furono costruite, secondo le attestazioni documentarie oggi acquisite dagli studiosi, proprio nell’Ottocento carolingio: una città piccola ma 1 Cfr, E. Travi, Dante tra Firenze e il paese sincero, Milano 1984, pp. 88-96 19 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 20 pura nei suoi sentimenti e nei suoi costumi. Pace, sobrietà e pudicizia erano le sue bandiere, su cui rintoccavano le campane che invitano alla preghiera: Fiorenza dentro da la cerchia antica, ond’ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica. Non avea catenella, non corona, non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona. Non faceva nascendo, ancor paura la figlia al padre; ché ‘l tempo e la dote non fuggien quinci, e quindi la misura. Non avea case di famiglia vote; non v’era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che ‘n camera si pote (Pd XV, 97-108). Queste celebri terzine rivelano senza bisogno di aggiunte quali erano i valori su cui per Dante era sorta la Firenze erede dell’universalismo di Roma e rinnovata per sempre dall’inserzione dell’anima cristiana. La Firenze degli anni del primo Trecento, anni in cui il poeta è viaggiatore nei tre regni ultraterreni, ha tralignato, allontanandosi da quei valori che soli le consentirebbero di recuperare la dignità naturale e ridiventare in terra modello specchiante la perfezione della “vera città” ( Pg XVI, 96). Chiamata a essere protagonista della pacificazione del mondo, ossia dell’Europa cristiana del tempo, Firenze nella Monarchia è indicata da Dante come affidataria del mandato dalla provvidenza divina della missione di guida dell’umanità, e per questo deve salvaguardare i due tratti fondamentali dell’universalismo sopra ricordati, in cui convergono gli ideali religiosi e politici, di Chiesa e Impero. Firenze è pertanto il simbolo stesso della civitas, dei valori che devono appartenere a qualunque città del20 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 21 l’Europa cristiana, e, secondando l’impegno dell’autore della Monarchia, di ogni cittadino, di ogni persona in cui è attivo l’intelletto possibile. E ciò nonostante l’amata lingua volgare fiorentina, che, nella percezione lungimirante che Dante mostra di avere circa la variazione delle lingue nel corso della storia, lungi dall’ostacolare, consente alla patria universale di accogliere al suo interno la pluralità linguistica e le identità storiche particolari. Ricordiamo che al tempo di Dante la lingua comune delle istituzioni e degli intellettuali restava il latino, lingua in cui egli stesso scrisse significativamente, ma in un certo senso anche contraddittoriamente, un trattato a difesa del volgare nobile (De vulgari eloquentia). 2. Romanesimo e cristianesimo nelle opere di Dante È nota la dichiarazione che Dante fa all’inizio del secondo libro della Monarchia, a proposito dell’avvenuto cambiamento circa una valutazione politica: un tempo si era convinto che il popolo romano avesse conquistato il mondo con la forza delle armi, mentre in seguito cambiò opinione, perché capì che tutto era avvenuto per un preciso disegno della Provvidenza2. Gli elementi più significativi della nuova prospettiva assunta da Dante nei confronti dell’impero romano possono essere ricondotti all’oltrepassamento della convinzione circa l’origine violenta dell’impero romano stesso: l’idea era che, senza alcun fondamento giuridico, i “Admirabar equidem aliquando romanum populum in orbe terrarum sine ulla resistentia fuisse prefectum, cum, tantum superficialiter intuens, illum nullo iure sed armorum tantummodo violentia obtinuisse arbitrabar. Sed postquam medullitus oculos mentis infixi et per efficacissima signa divinam providentiam hoc effecisse cognovi, admiratione cedente, derisiva quasi supervenit despectio, cum gentes noverim contra romani populi preheminentiam fremuisse” (DANTE, Monarchia, IV, 1). 2 21 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 22 Romani avrebbero sottomesso al loro comando tutti i popoli ricorrendo alla violenza della guerra e all’imposizione delle proprie leggi con la forza delle armi. Nel libro XIX del De civitate Dei Agostino aveva visto come già inscritto in questa prevaricazione, insieme con la ingiustizia di fondo che portò i Romani a “servire demoni malvagi e impuri”, il destino di decadenza e di dissoluzione, compiutasi negli anni del suo episcopato anni, dell’impero di Roma3. Sollecitato dagli spazi che la scienza della politica andava aprendo nell’Occidente latino, a partire dall’innovativo Commento di Tommaso d’Aquino alla Politica di Aristotele, Dante accede ad una lettura incentrata sulla naturalità delle istituzioni politiche; il percorso naturale è a sua volta segnato dalla provvidenzialità, ossia l’impero romano si è costituito secondando un disegno di Dio, creatore della natura e principale artefice di ogni bene, ed in particolare artefice primo di quel bene che è il diritto (“ius in rebus nichil est aliud quam similitudo divine voluntatis”4). Il popolo romano si è attribuito di diritto, e non usurpandolo, l’ufficio di Monarca universale, anzitutto perché al più nobile dei popoli spetta l’egemonia su tutti gli altri. Dante sostiene questa affermazione dichiarando, con Aristotele, l’equivalenza di nobiltà e virtù, e rivendicando una duplice nobiltà per gli antichi Romani: la nobiltà propria, e quella ereditata dagli antenati. Gli attestati di questa duplice nobiltà sono desunti tutti dall’Eneide di Virgilio, che parla di Enea come del più virtuoso e del più valoroso personaggio dell’antichità, e come di un nobile per stirpe, relativamente sia agli antenati, sia 3 AGOSTINO, De civitate Dei, XIX, 21, 2; tr. it. a cura di L. Alici, Milano 1984 , p. 977. 4 DANTE, Monarchia, II, 2. 22 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 23 alle mogli (va notato tuttavia che Dante non parla mai della madre di Enea, Venere). L’origine naturale dell’impero romano è connessa al suo essere costruito sul diritto: il diritto è un rapporto corretto tra le persone, e perciò è finalizzato al bene comune; il fine del diritto è il bene dello stato. I romani si sono mossi in vista del bene dello stato, bandendo ogni cupidigia ed amando la pace universale, per cui Dante parla della sottomissione delle genti come di un’opera di salvezza: “Populus ille sanctus, pius et gloriosus propria commoda neglexisse videtur, ut publica pro salute humani generis procuraret. Unde recte illud scriptum est: “Romanum imperium de Fonte nascitur pietatis”5. L’impero romano scaturisce dalla fonte della pietà: è un’affermazione attribuita a Costantino e ricavata dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, a conferma del prevalere della lettura provvidenzialista dell’impero di Roma, sul quale si doveva innestare la vicenda della salvezza spirituale dell’umanità, attraverso la chiesa di Cristo. Che il popolo romano ed il luogo della città di Roma siano stati ordinati dalla natura all’impero è parimenti attestato da Virgilio, in primo luogo nel celebre verso dell’Eneide (VI, 852): “Tu regere imperio populos, Romane, memento”. Gli ultimi due paragrafi del secondo libro della Monarchia sono invece caratterizzati per la giustificazione della legittimità dell’impero romano sulla base della Sacra Scrittura. Il Vangelo di Luca introduce l’editto di Augusto per presentare la nascita di Cristo: “Ma Cristo, come testimonia il suo scriba Luca, ha voluto nascere dalla Vergine madre sotto l’editto dell’autorità 3 Ibi, II, 5. 23 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 24 romana, affinché il figlio di Dio fatto uomo venisse iscritto come uomo in quel singolare censimento del genere umano: ciò ha significato il suo attenersi all’editto. Ma forse è più santo credere che quell’editto sia stato emanato da Dio per mezzo di Cesare, affinché l’atteso da tanti secoli nella società dagli uomini, potesse registrare se stesso fra gli uomini. Dunque con la sua azione ha attestato che l’editto di Augusto, detentore dell’autorità dei Romani, doveva essere giusto”6. Dante annota poi come sempre il Vangelo attesti che la condanna a morte di Gesù è stata pronunziata da Pilato, procuratore del popolo romano in Palestina e rileva che, se l’impero romano non fosse esistito di diritto, né Pilato, né Tiberio Cesare, di cui Pilato era vicario, avrebbero avuto giurisdizione sull’intero genere umano; perciò la sofferenza di Cristo non sarebbe stata un castigo, perché non sarebbe stata conseguenza della sentenza di un giudice legittimo, avente cioè giurisdizione su tutto il genere umano7. Il disegno provvidenziale su Roma è anticipato da Dante nel libro IV del Convivio, dove vengono sintetizzati i punti precedentemente esaminati, ma dove troviamo anche un dato ulteriore, assai interessante, riguardante la contemporaneità tra l’inizio della stirpe di Gesù, con Davide, da cui discendeva Maria, e l’inizio della stirpe italica con Enea: “E tutto questo fu in uno temporale, che David nacque e nacque Roma, cioè che Enea venne di Troia in Italia, che fu origine de la cittade romana, si come testimoniano le scritture. Per che assai è manifesto la divina elezione del romano imperio per lo nascimento de la santa cittade che fu contemporaneo a la radice de la progenie di Maria”8. 6 7 8 Ibi, II, 10. Cfr. ibi, 11. DANTE, Convivio, IV, 5. 24 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 25 Due richiami di questo passo ci consentono di esplicitare alcune riflessioni sull’atteggiamento di Dante nei confronti di Roma e del suo destino di essere la generatrice dell’Europa cristiana: anzitutto la città è chiamata santa già alle sue origini; la santità della Roma sede della cattedra di Pietro non rompe una tradizione, bensì la riprende e la continua. Anche perché l’antico impero dei romani deve continuare con il grande “Monarca romano”, di diritto “Monarca universale”, ideale cui Dante resta fortemente vincolato, nonostante l’insorgere delle forti nuove sensibilità particolariste negli anni in cui il poeta scrive9. Un dato che va registrato con attenzione, nella riflessione sull’universalismo di Dante, è costituito dal fatto che egli non parla mai di due imperi, d’Occidente e d’Oriente, ma li considera unitariamente. Nella narrazione fatta da Giustiniano, nel canto VI del Paradiso, del volo dell’aquila imperiale si dice che, dopo che Costantino rivolse l’aquila di Roma a Oriente, dove fondò la “seconda Roma”, Costantinopoli, cento e cent’anni e più l’uccel di Dio ne lo stremo d’Europa si ritenne, vicino a’ monti de’ quai prima uscio; e sotto l’ombra de le sacre penne governò il mondo lì di mano in mano, e, sì cangiando, in su la mia pervenne. Cesare fui e son Iustiniano (Pd VI, 4-10) Nella rassegna storica che svolge, dopo aver parlato dell’imperatore Tito, Giustiniano passa a Carlo Magno, con un salto cronologico non valutato, perché a Dante 9 Cfr. DANTE, Monarchia, III, 1. 25 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 26 importa solo far dire a Giustiniano che l’aquila ha trovato in Carlo Magno il degno successore degli imperatori romani, il quale, riunificando l’Europa sotto la sua corona e sconfiggendo il “dente longobardo”, che aveva attaccato il papa, inaugurò il sacro romano impero, in cui l’universalismo politico si amalgamò con l’universalismo cristiano. Ora, lamenta Dante per bocca di Giustiniano, l’universalismo è offeso in modo vergognoso sia dai Guelfi, che sostengono un sovrano nazionale, nemico del governo dell’Impero mondiale, sia dai Ghibellini che si vantano di essere seguaci dell’aquila, ma di fatto perseguono interessi e fini particolaristici. Queste terzine (Pd VI, 100-111) attestano la consapevolezza di Dante circa il venir meno degli ideali di cui si è fatto e si sta facendo difensore nei suoi scritti: la realtà è cambiata a livello dei massimi esponenti politici, in chiave nazionalista; già abbiamo visto come Dante stigmatizzi la decadenza contestuale della sua Firenze dalla vocazione universalistica. Ciononostante, con una sofferta lacerazione interiore, alla realtà fattuale contrappone il progetto ideale, quasi in uno stremo lancinante di “ in spe contra spem”. Ne è fedele trascrizione quanto scrive nella Epistola VII, il 17 aprile 1311, a Enrico imperatore, Arrigo VII, che dopo aver destato speranze di recupero dell’unità imperiale, in realtà si è arrestato, al punto che Dante gli rivolge la domanda di Giovanni il battista: Scrive infatti: “siamo indotti dall’incertezza a dubitare e a prorompere così nelle parole del Precursore: “Sei tu che devi venire o aspettiamo un altro?” E benché la lunga sete, come suole, furiosa pieghi nel dubbio ciò che, per essere vicino, è certo non di meno in te crediamo e speriamo, affermando che tu sei il ministro di Dio e il figlio della Chiesa e il promotore della gloria di Roma”10. Dunque “in spe, contra spem”: sfiancati dal DANTE, Epistole, VII,7-9. In Opere minori, tomo II, Milano-Napoli 1979, p. 565. 10 26 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 27 dubbio, ma ostinati nel credere e nello sperare! Più avanti, ribadisce che “il glorioso potere dei Romani né dai limiti dell’Italia né dal termine della tricorne Europa è ristretto” (VII, 11-12). L’aspetto politico e l’aspetto teologico convergono nel progetto dantesco della diarchia, della ricostituzione della duplice autorità somma, sovrana e indipendente, il cui assetto è stato minato sia dalle istanze ierocratiche di Bonifacio VIII, sia dalla lotta antiromana di imperatori e di sovrani. Dante vede nell’armonica, pacifica e ordinata coesistenza delle due autorità universali, l’unica via possibile per salvaguardare le istanze finalistiche, difese sia dalla filosofia politica, sia dal credo cristiano. In questa direzione vano letti i passi, soprattutto della Commedia, in cui Dante si riferisce a Roma antica, per celebrare i monumenti e le gesta della sua storia provvidenziale, come pure quelli in cui passa in rassegna la Roma basilicale e cimiteriale, la città santa dei pellegrini e il maestoso complesso del Laterano, che testimonia l’ineguagliabilità del punto di arrivo di una città da sempre predestinata: “Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d’Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond’ella è vaga, veggendo Roma e l’ardüa sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali andò di sopra”11. Volendo sintetizzare le conclusioni di Dante circa la genesi e la natura dell’impero di Roma antica, non possiamo che evidenziare il mutamento di prospettiva compiuto in rapporto agli autori che l’hanno preceduto. Superata del tutto la visione propria dell’agostinismo politico, in ultima analisi antiromana, e riproponendo i 11 DANTE, Paradiso, XXXI, 31-36. 27 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 28 valori forti della diarchia medievale, poggiante sull’universalità della chiesa e su quella della monarchia, Dante vede per le due un’unica città capace di esserne il simbolo e la rispettiva capitale ideale: Roma, l’“alma Roma antica”, “che fè i romani al mondo reverendi” (Par. XIX, 102), e la Roma cristiana “che si murò di segni e di martiri” (Par. XVIII, 123). Con una vertiginosa sintesi Dante parla di Roma celeste, di Roma come Paradiso, così come tante volte nella letteratura patristico–cristiana si era parlato di Gerusalemme, della “Gerusalemme celeste” come del Paradiso. Nel canto XXXII del Purgatorio per tutti i giusti Dante preconizza una cittadinanza in Roma–Paradiso, alla consumazione di tempi: “Qui sarai tu poco tempo silvano; e sarai meco sanza fine cive di quella Roma onde Cristo è romano”12. Nella parte finale del trattato sulla Monarchia, Dante osserva che l’uomo, essendo provvisto di una duplice natura, fisica e spirituale, ha pure un duplice fine da realizzare, ossia la felicità terrena e la felicità eterna. L’autonomia del potere temporale da quello spirituale non toglie che sia necessario un coordinamento: l’imperatore deve usare verso il pontefice quella riverenza che il figlio primogenito deve al padre, e ciò in virtù del fatto che la felicità terrena è per molti aspetti ordinata al conseguimento di quella eterna13. Viene così ribadita la gerarchia medievale dei fini, non per una comoda correzione di rotta, quasi a voler rimediare l’eccessiva divari- DANTE, Purgatorio, XXXII, 100-102. Per una sintesi prospettica dell'immagine di Roma dopo Dante sino all'umanesimo, cfr. A. GHISALBERTI, Roma antica tra Medioevo e Umanesimo, in “Studi Umanistici Piceni”, 19 (1999), pp. 129-137. 13 “Cum mortalis ista felicitas quodammodo ad immortalem felicitatem ordinetur” ( DANTE, Monarchia, III, 15, 17-18). 12 28 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 29 cazione proiettata verso il dualismo, bensì per sollecitare una modalità giusta di intendere sul piano operativo le conclusioni raggiunte a livello speculativo. 3. Dante traccia i confini ideali dell’Europa Ricordavamo prima che, nell’epistola VII, Dante scrive ad Arrigo VII “che il glorioso potere dei Romani né dai limiti dell’Italia né dal termine della tricorne Europa è ristretto”14: tricorne, ossia approssimativamente triangolare, dalla linea del Don alle colonne d’Ercole, alle isole britanniche. Il termine orientale dell’Europa è costituito dai monti della Troade (“lo stremo d’Europa”), da cui mosse l’aquila imperiale, seguendo il viaggio di Enea, che da Ilio approdò ai lidi del Lazio; l’occidente è dato dalle coste atlantiche della Castiglia, in cui si situa Calaruega, la città natale di San Domenico: In quella parte ove surge ad aprire Zefiro dolce le novelle fronde di che si vede Europa rivestire” (Pd XII, 56-48) La Spagna è l’Occidente dell’Europa, dove il dolce vento di ponente, Zefiro, soffia nella stagione primaverile, quando gli alberi mettono le fronde. Ma le coordinate geografiche acquistano un forte significato simbolico, quello per cui Francesco nascendo ad Assisi, e sorgendo come un sole splendente, fa sì che “chi d’esso loco fa parole/ non dica Ascesi, che direbbe corto/ ma Oriente, se proprio dir vuole” (Pd XI, 52-54). E Cala- Dante, Epistole, VII, 11. In Opere minori, tomo II, Milano-Napoli 1979, p. 565. 14 29 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 30 ruega, la città di Domenico, non lontana dal golfo di Guascogna, aperto sull’oceano Atlantico, situa l’Occidente “non molto lungi al percuoter de l’onde/ dietro a le quali, per la lunga foga,/ lo sol tal volta ad ogni uom si nasconde” (Pd XII, 49-51). E’ passato quasi un secolo rispetto agli anni della stesura del poema, da quando la geografia d’Europa è stata rinnovata nei suoi confini simbolici da due grandi campioni dello Spirito: dall’Oriente di Francesco, tutto serafico nell’ardore della carità, e dall’Occidente di Domenico, maestro di sana dottrina, che “in picciol tempo gran dottor si feo” (Pd XII, 85). In questa Europa contrassegnata da confini simbolici, ma suscitati dalla carica dello Spirito, costruiscono la propria cittadinanza civile e religiosa gli uomini e le donne del secolo di Dante. Nel cielo del sole sono accolti i personaggi che in un arco cronologico assai vasto, dal V al XIII secolo, hanno costruito la “sapienza” dell’Europa cristiana. Si tratta grandi maestri delle cattedre universitarie o di umili frati, di giuristi o di mistici, di diversa patria di origine, provenienti da diversi paesi d’Europa: da Severino Boezio al venerabile Beda, da Alberto Magno o di Colonia a Tommaso d’Aquino, dal novarese Pietro Lombardo e dal viterbese Bonaventura da Bagnoregio, divenuti entrambi maestri a Parigi, al fiammingo Ugo di San Vittore e allo scozzese Riccardo di San Vittore; ancora inclusi nelle due corone di dodici più dodici sapienti che appaiono nel cielo del Sole sono Sigieri di Brabante, maestro alla Sorbona (“nel Vico de li strami”) e Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di spirito profetico dotato”: dalla settentrionale Parigi all’estremo lembo meridionale di San Giovanni in Fiore, sulla Sila calabra, Dante indica con altri nomi gli estremi di un tracciato della geografia culturale dell’Europa, sempre in una prospettiva intensamente e variegatamente unitaria. 30 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 31 Un bilancio del percorso che abbiamo sviluppato, con l’intenzione di volere essere il più possibile fedele e corretto interprete del pensiero di Dante circa il tema dell’Europa, ci fa constatare come Dante sia un autore estremamente difficile, a causa della straordinaria ricchezza ed insieme della enorme complessità delle sue opere. Gettando uno sguardo a ritroso su ciò che abbiamo fatto emergere, si nota subito come tutti i problemi che abbiamo enucleato contengano una forte marcatura autobiografica, un intreccio forte tra biografia e opera. La sua esaltazione dei valori universali di un Impero che storicamente aveva perso molto terreno, la celebrazione della missione di Firenze, che nel presente storico era invece segnata da grandi corruzioni, la difesa dei valori nobili della tradizione in un momento in cui dominavano i mercanti, i banchieri, i costumi immorali su ogni fronte, ci fanno cogliere un Dante carico di una dimensione profetica, nel senso di un portatore di valori straordinari, superiori alla percezione ordinaria, della diffusione dei quali egli si sente investito in seguito a una visione, a un mandato dall’alto, lo stesso che l’ha autorizzato a compiere l’audace viaggio nei tre regni ultraterreni nella Commedia. Nel caso del pensiero politico universalistico, transnazionale, Dante appare quasi “profeta di sé stesso”, ossia autorizzato a ciò dalla propria storia famigliare (vedi i Canti di Cacciaguida), dalla personale vicenda di esule per troppo amore degli ideali puri della politica, dall’autopercezione delle proprie capacità intellettuali che lo fanno sentire un diverso, con una marca di eccezionalità che lo inquieta ed insieme lo carica di responsabilità. Può, questo percorso dantesco, essere di aiuto nel ripensare l’unità europea di oggi? Certamente, se fissiamo lo sguardo sulla sua visione delle radici comuni della civiltà europea, che affondano nell’Europa medievale. Ricordiamo che la novità di questa, la destinale sintesi di romanesimo e cristianesimo, aveva comportato un cam31 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 32 biamento nella stessa geografia, modificata nei suoi tracciati rispetto a quelli dell’impero romano: questo comprendeva il Nord Africa e grosse porzioni di Asia, dunque non era l’Europa. Determinanti per Dante sono le affinità che accomunano le nazioni europee, le stesse affinità che ancora oggi uniscono gli spiriti nella tensione verso valori ideali condivisi (libertà, giustizia, solidarietà) dalla umanità europea, più di quanto non li separino i confini nazionali, le identità linguistiche o i particolarismi geopolitici. All’Europa delle nazioni affiancherei un valore aggiuntivo, quello dell’Europa dello Spirito, termine con cui voglio esprimere le coordinate identitarie, identificative dell’appartenenza all’Europa, o anche quella che si potrebbe dire l’anima dell’Europa. Dante ha abitato tre luoghi: Firenze, le città d’Italia che lo hanno ospitato esule, l’universalismo europeo inteso come l’Impero, nel quale dimorò con indomita tensione ideale. Ecco i tre luoghi dell’Europa di Dante, cui appartenne senza essere proprietà esclusiva di nessuno, perché egli fu un europeo che ha abitato quella terra che è la vita interiore, quella dimensione vitale che chiamiamo anima, la quale fa pulsare fortemente, accanto alla vita del corpo, la vita dell’uomo interiore, la vita dello Spirito, fonte della comunione tra i popoli e capace di suscitare identità forti e durature. Fuori testo [Un riferimento che aiuta la memoria di operatori di Banca a tenere i collegamenti con questa lezione: sulla moneta di 2 Euro, conio italiano, compare l’effigie di Dante, mentre nel caso di diverse altre nazioni europee compaiono teste coronate del presente o del passato. Dante pertanto è stato assunto come figura altamente rappresentativa della cultura e della storia del popolo italiano, nel contesto della moneta unica europea]. 32 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 33 Biografia Alessandro Ghisalberti Professore ordinario di Filosofia teoretica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Università Cattolica del Sacro Cuore. Già docente di Storia della filosofia medievale, è' direttore della "Rivista di Filosofia neo-Scolastica". Socio della Società filosofica italiana, membro della Siepm (Société internationale pour l’étude de la philosophie médiévale), membro della SISPM (Società italiana per lo studio del pensiero medievale), membro del Consiglio direttivo dell’Istituto internazionale di Studi Piceni, dell’Istituto di Studi umanistici F. Petrarca, del Comitato direttivo del Centro per le ricerche di Ontologia, Metafisica ed Ermeneutica (CROME) dell’Università Cattolica di Milano, del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, dell’Istituto “Veritatis Splendor” di Bologna, della Rivista “Medioevo”, dell'Anuario de Historia de la Iglesia. È socio corrispondente dell’Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere. Principali pubblicazioni dell’Autore: -Guglielmo di Ockham, Milano, 1972 (con quattro ristampe successive; traduzione in portoghese, Porto Alegre 1997). -Giovanni Buridano dalla metafisica alla fisica, Milano, 1975 (due ristampe). -Introduzione a Ockham, Roma-Bari, 1976 (tre ristampe). -Le “Quaestiones de anima” attribuite a Matteo da Gubbio. Edizione del testo, Milano, 1981. -Medioevo teologico. Categorie della teologia razionale nel Medioevo, Roma – Bari, 1990; ristampa 2005. -Giovanni Duns Scoto: filosofia e teologia, Milano, 1995 (Raccolta di saggi di Autori vari). -Invito alla lettura di Tommaso d’Aquino, Cinisello Balsamo 1999. -Traduzione italiana e commento di: Tommaso d’Aquino, Trattato sull’unità dell’intelletto, Milano 2000. 33 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 34 -Dalla prima alla seconda Scolastica, Bologna 2000 (Raccolta di saggi di Autori vari). -As raizes medievais do pensamento moderno, Porto Alegre 2001. -Il pensiero filosofico e teologico di Dante Alighieri, Milano 2001 (Raccolta di saggi di Autori vari). -La filosofia medievale, Firenze 2006. -Dante e il pensiero scolastico medievale, Milano 2008. -Mondo, Uomo, Dio. Le ragioni della metafisica nel dibattito filosofico contemporaneo, Milano 2010 (Studio sulla metafisica contemporanea, in una miscellanea di saggi di Autori vari). -Pensare per figure. Diagrammi e simboli in Gioacchino da Fiore, Roma 2010 (Raccolta di saggi di Autori vari). 34 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 35 Prof.ssa Marisa VERNA Direttrice Dipartimento Scienze Linguistiche di Letteratura Straniera nell’Università Cattolica del S.Cuore di Milano “il contributo della letteratura francese alla cultura europea”. Il tema qui proposto è evidentemente immenso: non tenterò di coprire nemmeno in parte lo spazio che si aprirebbe davanti a noi, se volessimo prenderlo sul serio. Da Carlomagno in poi, infatti, la Francia ha edificato un paesaggio culturale incommensurabile all’interno dei confini labili e sempre ridiscussi dell’Europa. Dentro questo paesaggio, potremmo del resto scegliere diverse prospettive: quella linguistica (il francese come lingua della diplomazia europea, e della cultura in generale); quella spirituale (l’apporto della filosofia e della teologia francesi alla costruzione dell’idea stessa del continente); quella politica (evidentemente cruciali sono le tante opere teoriche e letterarie che hanno posto uno sull’altro i mattoni che compongono l’edificio politico-istituzionale dell’attuale Unione); ultima, ma non meno rilevante, quella più strettamente estetica, che vede la Francia in prima linea nella fondazione di correnti, tendenze e stili letterari e artistici, che dal XI° secolo a buona parte del XX° hanno inciso sulle culture nazionali europee. Se dovessi fare qualche nome, potrei partire dal Medioevo e scegliere una manciata di personalità nella gran messe che mi si offrirebbe davanti: la poesia trobadorica con Guglielmo IX d’Aquitania; ancora, Chrétien de Troyes, Christine de Pisan, François Villon; potrei proseguire con il Rinascimento (Ronsard, Rabelais, Montaigne), per poi passare al Grand Siècle, in cui giganti come Molière, Racine, La Fontaine e Pascal 35 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 36 offuscano un quadro fin troppo ricco e complesso per essere anche solo avvicinato. Il gioco sarebbe molto proficuo se non fosse impossibile: e non è per ignavia se rinuncio a proporvelo. Taccio quindi di autori che da soli basterebbero ad occupare diversi volumi: Baudelaire, Rimbaud, Proust. L’educazione sentimentale di Flaubert Parlerò in questa sede di un romanzo soltanto, e di un tema specifico che mi pare adeguato per sollecitare la riflessione nei lettori di oggi: tratterò dell’Educazione sentimentale di Flaubert, e della centralità del problema economico-politico nella sua struttura. La questione del denaro appare in quest’opera “persistente in maniera ossessiva”, e tale da marcare il “tessuto di un’intera società”.1 Non che il tema ossessionasse Flaubert, il quale è narratore ‘impassibile’, distaccato dalle vicende di cui racconta: ma esso ossessionava il mondo che nel testo è rappresentato, e che finirà stritolato nella terribile macina dell’ironia flaubertiana. Ricordo brevemente la storia del romanzo e la vicenda ivi narrata. La genesi del romanzo risale molto in alto nella vita di Flaubert. Ne esiste infatti una prima versione, del 1845 (l’autore aveva ventiquattro anni), che fu messa da parte e ripresa molti anni dopo, nel 1864, e terminata nel 1869, quando fu pubblicata da Michel Lévy. Da una giovanile adesione all’ideale romantico, Flaubert aveva percorso molta strada, e la sua estetica era ormai perfetta- 1 Stefano Agosti, Introduzione a Gustave Flaubert, L’Educazione sentimentale, traduzione di Marina Balatti, Universale Economica Feltrinelli, “I Classici”, 1992, p. vii. Tutte le citazioni dall’opera saranno tratte da questa traduzione e saranno indicate fra parentesi nel corpo del testo. Per una conoscenza approfondita dell’estetica di Flaubert, si veda Sergio Cigada, (Il pensiero estetico di Gustave Flaubert), in Contributi dell’Istituto di Filologia moderna. Serie francese, vol. III, Milano, Vita e Pensiero, 1961, p. 184-456. 36 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 37 mente matura: il romanzo è considerato oggi il primo esempio di narrazione moderna, il cardine dal quale prenderà il via la svolta che subirà il genere stesso della narrazione. I giudizi di Joyce, Proust, Kafka, basterebbero a farne una pietra miliare. Al momento della sua pubblicazione le reazioni furono invece perlopiù negative: le accuse di volgarità (Barbey d’Aurevilly, in una recensione uscita nel “Constitutionnel” del 29 novembre 1869, definisce il romanzo la storia volgare di un giovane volgare), di faziosità rivoluzionaria (accusa fra le più ridicole, come tenteremo di dimostrare più avanti), di immoralità, bassezza e simili amareggiavano Flaubert, ma non lo interessavano: “(…) tutto ciò non mi smuove. Ma mi domando: a che scopo pubblicare?”2. Le critiche specificamente estetiche lo toccavano più da vicino, ma paradossalmente esse sono la testimonianza più certa dell’innovazione proposta dal romanzo: tutte biasimano essenzialmente la mancanza di ‘composizione’, l’apparente sconnessione degli eventi narrati, che paiono sommati senza veramente succedersi in una progressione logica. Non c’è insomma una vera storia, e il racconto gira a vuoto. I rari giudizi favorevoli mettevano in luce i medesimi tratti, ma in positivo. Il commento di Emile Zola vale una citazione: Flaubert rifiutava ogni affabulazione romanzesca e centralizzante. Voleva la vita giorno per giorno, come si presenta, col suo succedersi continuo di piccoli incidenti volgari, che finiscono per farne un dramma complicato e temibile. Niente episodi preparati di lunga mano, ma l’apparente sconnessione dei fatti: il trantran ordinario degli avvenimenti, i personaggi che si incontrano, si perdono e si incontrano di nuovo (…); nient’altro che figu- Lettera a George Sand del 3 dicembre 1869. Consultabili in Correspondance Flaubert-Sand, Flammarion, Paris 1981. 2 37 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 38 re di passanti che si urtano su un marciapiede. Si trattava, qui, di una delle concezioni più originali, più audaci e più difficili da realizzare che abbia mai tentato la nostra letteratura, che non difetta certo di ardimento.3 Ora, cosa racconta l’Educazione sentimentale? In una lettera del 1864 a M.lle Leroyer de Chantepie l’autore descriveva il suo progetto in questi termini: “Voglio fare la storia morale degli uomini della mia generazione; ‘sentimentale’ sarebbe più vero. È un libro d’amore, di passione; ma di passione quale può esistere oggi, e cioè inattiva”. L’apparente ambiguità del titolo, che i contemporanei non mancarono di rilevare (educazione del sentimento, educazione al sentimento, educazione attraverso il sentimento?) contiene una delle chiavi dell’opera. In una pagina di brogliaccio Flaubert aveva scritto: “mostrare che il sentimentalismo (il suo sviluppo a partire dal 1830) segue la Politica e ne riproduce le fasi”4. Sentimentalismo sta qui per Romanticismo, quella visione del mondo e quella cultura di cui Flaubert aveva già descritto il fallimento in Madame Bovary, e che dall’individuo Emma si estende a tutta una società. L’amore e la storia, visti uno di fronte all’altra, si erodono a vicenda, in uno specchio che è “una corrispondenza fra due ambiguità”5. La vicenda, in breve: il romanzo si apre il 15 settembre 1840 sul battello che da Parigi conduce il giovane Frédéric Moreau a Nogent e si chiude, sempre a Nogent, nell’inverno del 1869. Frédéric e Deslauriers, nati e cre- 3 L’articolo fu pubblicato sul “Messager de l’Europe” nel 1875. Il corsivo _ nostro. 4 Gustave Flaubert, Carnets de travail, P.-M. de Biasi (a cura di), Balland, Paris 1988, p. 296. Salvo diversa indicazione, tutte le traduzioni sono nostre. 5 Stefano Agosti, Introduzione a Gustave Flaubert, L’Educazione sentimentale, p. XXI. 38 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 39 sciuti nella stessa cittadina di provincia, si incontrano a Parigi nel 1841. Frédéric, il ricco idealista, studia diritto senza enusiasmo, Deslauries, nato povero, mira al successo e tenta, fra le altre, la via della politica. Frédéric ha incontrato sul battello Marie Arnoux, moglie del proprietario de L’Art Industriel, innamorandosene perdutamente (la donna è per lui “un’apparizione”, p. 6). A Parigi si annoia, e perde tempo. Fallisce agli esami, e fallisce in tutto ciò che tenta: la pittura, la politica, l’amore. È un velleitario. Otterrà comunque la laurea in giurisprudenza, ma darà pessime prove della sua abilità durante un breve periodo di apprendistato nel paese natale. Deslauriers, a sua volta, non farà che barcamenarsi fra politica, affari poco puliti e progetti di matrimonio, nell’ansia di ottenere infine il ‘successo’. Torneranno entrambi a Nogent, dove Deslauries sposerà Louise Roque, figlia dell’amministratore del ricco banchiere Dambreuse, per anni ‘promessa’ a Frédéric. I due amici si incontrano e rievocano i ricordi di giovinezza, in ultimo il tentativo fallito di entrare in un postribolo (“dalla Turca”), durante la loro adolescenza. Nel commentare il ricordo, i due amici pronunciano quello che pare l’epitaffio di tutta una generazione: “È la cosa migliore che abbiamo avuto”, disse Frédéric. “Già, forse hai ragione: è la cosa migliore che abbiamo avuto”, disse Deslauriers (p. 420). In questo breve riassunto ho volutamente ignorato i numerosi e gravi fatti storici che attraversano il romanzo, cui assistono, quasi da spettatori involontari e comunque sempre passivi, Frédéric e Deslauriers: la prima sommossa degli studenti del Quartiere Latino nel dicembre 1841; la rivoluzione del 22 febbraio 1848, che porterà alla proclamazione della Seconda Repubblica; la repressione violentissima della rivolta operaia del giu39 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 40 gno 1848; il colpo di Stato di Napoleone III, che porterà all’instaurarsi del Secondo Impero. La Storia non è assente dal romanzo, ne occupa anzi centinaia di pagine, ma si sbriciola nei minuti fatti, nella casualità, nella vigliaccheria dei protagonisti. Pure, nessun volume di storia saprebbe ricostruire con altrettanta profondità il fluire denso degli eventi, nei quali ci troviamo immersi come accade nella realtà, ovvero senza la bussola di una teoria o di un’ideologia. Parigi nell’Ottocento L’Educazione sentimentale non è per caso il “romanzo parigino”6 di Flaubert: solo lo spazio narrativo della capitale era adeguato ad ampliare la rappresentazione del reale inaugurata in Madame Bovary. In Francia la Storia si fa notoriamente a Parigi, fulcro di ogni cambiamento e dei sogni di intere generazioni: il dito di Emma scorreva già sulle cartine della metropoli, nel tentativo di sfuggire alla noia della provincia normanna. Parigi è un mito fin dagli anni Trenta dell’Ottocento: mito letterario e culturale, luogo simbolico della modernità, come testimoniano le centinaia di Guide di Parigi pubblicate nel corso del secolo, in Francia e nel mondo. La Bibliographie parisienne pubblicata nel 1887 da quello che allora si chiamava Museo Storico della città di Parigi conta 1287 titoli, molti dei quali pubblicati in Italia, Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Sudamerica, Svizzera, Belgio. Nella Prefazione di Jules Cousin si legge: Non si poteva comprendere la storia di Parigi come quella di ogni alta grande città di Francia (...). Là dove batte il cuore della Francia, là dove vive l’effervescenza del suo cervello, là dove si sprigiona il suo genio, la sto6 Flaubert parla appunto di un romanzo parigino nel Carnet 2, in una pagina datata 12 dicembre 1862, normalmente assunta come data d’inizio della rielaborazione del romanzo giovanile (Carnets de travail, p. 243). 40 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 41 ria locale prende necessariamente grandi proporzioni e i fasti della nostra storia letteraria, scientifica, teatrale, ecc., non possono essere separati dai gloriosi annali della ‘cité’ (...). Era quindi necessario ampliare il quadro di conseguenza, fare la biblioteca di Parigi-Capitale, costituire un fondo che permettesse di studiare in tutte le sue sfaccettature questo meraviglioso modello ondeggiante e variegato, assemblaggio di tutte le grandezze e di tutte le debolezze, di tutte le virtù e di tutti i vizi, di tutti gli splendori e di tutte le ignominie [della] moderna Babilonia7. Questa somma di luoghi comuni (l’energia, la varietà, il carattere antinomico della città, la “moderna Babilonia”) si distribuisce nell’Educazione sentimentale, nei suoi personaggi, nei fatti raccontati e nei discorsi riportati, fino a generare quel movimento a vortice che inevitabilmente conduce le trottole alla stasi. Nulla, infatti, lo sostiene: nessun valore, nessuna speranza. Se Balzac aveva completamente aderito al mito della nuova Parigi, non così Flaubert, che dal centro dell’occhio del ciclone guarda frantumarsi un mondo del quale pure sa di fare parte. Al centro del mito della capitale stanno i Boulevards, denominati da Balzac la nuova “Senna asciutta” della città8. Luogo simbolico, crogiuolo della dinamica stessa del mito, le recenti grandi vie di comunicazione attorniano il nuovo centro - economico, sociale, culturale, politico -, della Parigi moderna: la 7 Bibliographie parisienne. Tableaux de moeurs (1600-1800). Par Paul Lacombe, Parisien, Chez P. Rouquette, Libraire, Paris 1887, pp. 249 ; ed. reprint LACF Editions, Paris 2008, coll. Ç Histoire du Livre È, n. 1. Oggi la Bibliothèque Historique de la Ville de Paris - separata dal museo della capitale, il Carnavalet. 8 Balzac dà questa definizione dei Boulevardss in un articolo (Histoire et physiologie des Boulevardss de Paris), pubblicato per la prima volta a San Pietroburgo, oggi in Îuvres diverses, Conard, 1940, III, p. 611. 41 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 42 Borsa, i quartieri dei nuovi ricchi attorno alla rue de la Chaussée d’Antin. La trasformazione della città, inaugurata da Napoleone I, non ha praticamente conosciuto soste da allora (si può dire che Parigi sia ancora oggi una delle città al mondo più frequentemente ridisegnate da piani urbanistici di ammodernamento globale); le modifiche apportate al tessuto urbano diventano particolarmente importanti a partire dagli anni Trenta del XIX° secolo, con i Prefetti Chabrol e Rambuteau, e subiranno un’accelerazione senza precedenti con il Secondo Impero e la prefettura del Barone Haussmann (a partire dal 1853). La costruzione di numerosi “passaggi coperti” (fra il 1822 e il 1837) permette uno sviluppo rapido del commercio al dettaglio, specie dei cosiddetti “magasins de nouveauté”, antesignani dei grandi magazzini, in cui il consumo genera desiderio e il desiderio consumo. Ma sono soprattutto i Boulevards a cambiare il volto e la struttura sociale di Parigi: 110 nuove vie di comunicazione sono inaugurate già sotto la prefettura Rambuteau, secondo un programma monumentale e grandioso evidente. L’evoluzione della città medievale e barocca in città delle prospettive, delle rette e dei tracciati razionali è cominciata prima di Haussmann, sconvolgendo nel profondo il tessuto sociale ed economico della capitale: le speculazioni edilizie che si accompagnano alle campagne di demolizione e ricostruzione lanciate dai due prefetti spostano non solo enormi capitali, ma anche migliaia di persone, respinte al di fuori del nuovo cuore della città, verso le cinture popolari, o verso i quartieri medievali considerati immodificabili (il Quartiere Latino e il Marais). Ora, la metafora usata da Balzac (la Senna asciutta) per definire i Boulevards indica chiaramente lo spostamento del baricentro dalla ‘vecchia’ Parigi, che si raccoglieva attorno a Notre-Dame e al Palais Royal, centri 42 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 43 simbolici del potere trascendentale (emanato per diritto divino), alla Parigi moderna in cui si manifesta la nuova Francia egualitaria nata dalla Rivoluzione: essi sono lo spazio simbolico della mescolanza sociale, in cui i vari ‘ordini’ un tempo separati s’incontrano e si confondono. Come la città dell’Ancien Régime si era organizzata attorno al suo fiume, così la nuova città si organizza attorno al ‘fiume’ delle vie tracciate dalla società dell’industrializzazione e dal nuovo potere finanziario. Da uno spazio pubblico altamente simbolico quale era la Cité dominata dalla Cattedrale si è passati ad uno spazio pubblico dedicato unicamente al culto delle merci che vi si espongono, del prodotto sempre nuovo, del passaggio rapido. Il flâneur è infatti un personaggio tipico del romanzo balzacchiano, che bighellona nei Boulevards per vedere ed essere visto, per avere l’occasione di incontrare i protagonisti dei nuovi poteri. I Boulevards di Flaubert Adottando il punto di vista variabile e lo spostamento di focalizzazione nella tecnica narrativa, Flaubert crea un’impressione di sbriciolamento, delle immagini insolite della città, e un’idea di movimento incessante che invece di rispondere ai clichés delle Guide di Parigi assume il carattere vano e risibile in cui si trova immersa la realtà sociale che l’autore è impegnato a descrivere. Anche nel romanzo flaubertiano i Boulevards sono l’unico punto di riferimento stabile: ma la descrizione flaubertiana rovescia il bagaglio di immagini esaltanti normalmente associate alla città (il “meraviglioso modello ondeggiante e variegato” menzionato dalla Bibliographie parisienne) e immerge il negativo della rappresentazione nel reagente biancastro della banalità. Luogo di cristallizzazione e della produzione del desiderio (vi si vendono degli oggetti sempre nuovi, che si è obbligati a possedere se si vuole far parte del ‘gran mondo’), il Boulevards diventa per Flaubert la vetrina 43 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 44 della città-spettacolo in cui i processi di identificazione sono diventati risibili e derisori. Immersi in un mondo segnato dalla venalità e dall’artificialità, i personaggi del romanzo sono votati alla ‘riproduzione’ dei comportamenti o delle idee di altri. Il banchiere Dambreuse è un esempio fra gli altri: pur essendo nato nobile (conte D’Ambreuse), ha mutato nome quando il vento ha girato verso la borghesia, si rivolge all’industria di cui ha colto il prossimo sviluppo, e “con l’orecchio in ogni ufficio, la mano in ogni impresa, spiando le buone occasioni, sottile come un greco e laborioso come un alverniate, aveva accumulato una fortuna a detta di tutti considerevole” (p. 20; i corsivi sono nostri). Le locuzioni scelte dall’autore per definire Dambreuse rientrano nella grande palude del luogo comune, in cui sono invischiati tutti i personaggi: il banchiere è astuto come un greco, (il Trésor de la langue française menziona “greco” fra i sinonimi di “ladro”, “scroccone”), e laborioso come un alverniate, affermazione che per la sua stoltezza merita certo di essere attribuita a quella doxa che trasforma in verità ogni diceria. Flaubert è avvezzo a questo gioco: fra le sue pubblicazioni postume c’è un esilarante Dictionnaire des idées reçues9, in cui preconcetti, detti, sentenze e sciocchezze di ogni tipo sono riportate secondo l’ordine sistematico del dizionario, in una doppia volontà di parodia e di ‘vendetta’ sulla stupidità umana. Il celebre discorso indiretto libero inaugurato in Madame Bovary è diventato nell’Educazione sentimentale talmente fluido da rendere quasi impossibile distinguere nettamente la variazione del punto di vista: chi sta 9 Si veda ad esempio l’edizione diplomatica dei tre manoscritti ritrovati con questo titolo: Liguori, Napoli, 1966 e Nizet, Parigi 1966, a cura di Lea Caminiti. 44 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 45 descrivendo il ricco Dambreuse? Il Narratore, Frédéric, o il soggetto informe rappresentato dalla Vox populi? Nell’epigrafe a uno dei manoscritti del Dizionario dei preconcetti si legge infatti: “Vox populi, vox Dei. Sagesse des Nations”. Segue una citazione dalle Massime di Chamfort, che definisce idiozia qualunque idea comunemente accolta, in quanto essa “è piaciuta alla massa”. Qui sta il paradosso quasi miracoloso dell’Educazione sentimentale: la volontà di “fare arte, scrivere la più bella prosa che sia mai esistita”, a partire dalla “mediocrità atroce del mondo”10. E atroce è la dissoluzione del reale che si realizza in queste pagine in un costante rimando di banalità e clichés, cui contribuisce in buona misura anche il ruolo inedito assunto dal giornalismo in questi anni dell’Ottocento. Flaubert insite infatti sulla messa in scena di un nuovo potere: la stampa. Portaparola di una cultura edonista e di un’arte commerciale (che comincia a essere riprodotta, venduta, imitata), la stampa costituisce una nuova potenza la cui vacuità non sfugge al cinismo di Flaubert. Non a caso il signor Arnoux è proprietario di un “negozio” in cui si vendono riproduzioni di manufatti artistici e una rivista dal titolo rivelatore: L’Arte industriale. Subito dopo essere stato presentato al signor Dambreuse, Frédéric s’imbatte nella vetrina del commercio di Arnoux, vero e proprio simulacro in miniatura del mondo rappresentato nella narrazione: Le alte vetrate trasparenti offrivano allo sguardo, abilmente disposti, disegni, statuette, stampe, cataloghi, alcuni numeri dell’Art Industriel; i prezzi dell’abbonamento erano ripetuti sulla porta, decorata al centro dalle 10 Stefano Agosti, Introduzione a Gustave Flaubert, L’Educazione sentimentale, p. XI. 45 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 46 iniziali dell’editore. Appoggiati ai muri si scorgevano grandi quadri dalla vernice lucente, e verso i fondo due cassapanche cariche di porcellane, di bronzi, di oggetti curiosi e allettanti; tra di esse stava una scaletta chiusa in alto da una tenda di panno. Un antico lampadario di Sassonia, un tappeto verde sul pavimento e un tavolo intarsiato davano all’ambiente più l’aspetto di un salotto che di un negozio (p. 22). Le alte vetrate, il bric-à-brac di oggetti dal dubbio gusto, le “curiosità”, la rivista stessa: la città esaltata da Balzac nei suoi romanzi è qui descritta senza l’adesione del Narratore, e tuttavia non è descritta dall’alto. Gli “interminabili muri di vetro”, una sequela di vetrine e di merci che occupavano ormai una buona parte dello spazio dei Boulevards, e di cui ci si lamentava già nella Parigi della metà del secolo, sono qui descritti come l’oggetto del desiderio di Frédéric, doppio e maschera dell’autore stesso. La gioia esaltante che il protagonista si attendeva di trovare nella capitale non arriva, e anche i corsi di diritto lo annoiano: frequenta le lezioni per quindici giorni, e abbandona le Istituzioni di diritto romano alla Summa divisio personarum, che non a caso concerne il diritto della persona. La prima Summa divisio del giurista romano Gaio recita infatti: E certamente la maggiore differenza nel diritto delle persone è questa, che tutti gli uomini o sono liberi o sono schiavi (G. I, 9-12). La Storia Come ho annunciato nella prima parte di questa comunicazione, la Storia, con il suo tragico fardello di violenza e morte, è presente in modo massivo nel romanzo. Essa è tuttavia disciolta nel fluire informe degli eventi, e tutti i personaggi paiono subirla senza comprenderla. Il disprezzo di Flaubert per la politica è 46 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 47 noto, e attestato da numerose lettere o testimonianze di amici e artisti dell’epoca. Maxime du Camp, fra gli amici più cari di Flaubert, pubblicò nel 1876 un volume di ricordi sulla Rivoluzione del 1848: si tratta di una serie di appunti annotati giorno per giorno, in cui racconta le esperienze vissute insieme a Flaubert e a Bouilhet fra il 1847 e il 1848. Un confronto fra i ricordi di Du Camp e la corrispondenza di Flaubert è interessante per valutare la differenza nella percezione degli eventi da parte dei due amici, specie in relazione al risultato artistico rappresentato dal romanzo stesso. Nel 1847 i tre amici avevano assistito a un Banchetto Riformista a Rouen, per “vedere come si agitano le folle”. Nei banchetti riformisti si riunivano politici dell’area repubblicana o moderata per promuovere riforme al regime di Luigi Filippo. Sarà proprio il divieto di indire uno di questi banchetti, il 22 febbraio 1848, a scatenare la prima ondata rivoluzionaria. I ricordi di Du Camp: Mai una simile valanga di luoghi comuni peggiorati da frasi fatte e da cacofonie d’immagini si era rovesciata su di noi. Noi eravamo dei letterati che vivevano nell’opera di Omero, di Goethe, di Shakespeare, di Hugo, in Musset, di Ronsard, preparavamo i nostri viaggi e mai aprivamo un giornale politico11. Flaubert in una lettera a Louise Colet, dicembre 1847: Ho tuttavia visto ultimamente qualcosa di bello e sono ancora dominato dall’impressione grottesca e pietosa a un tempo che questo spettacolo mi ha lasciato. Ho assistito a un Banchetto Riformista! Maxime du Camp, Souvenirs de l’Année 1848, Hachette, Paris 1876, pp. 4043.citato in Lorenza Maranini, Il ’48 nell’Education sentimentale, in Il ’48 nella struttura dell’Education sentimentale e altri studi francesi, Nitri-Lischi, Pisa 1963, pp. 11.117. 11 47 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 48 Lo scetticismo è il medesimo, così come l’ideale dell’Arte pura, ma la concisione di Flaubert si distingue nettamente dall’atteggiamento di orgogliosa superiorità assunto da Du Camp. Gli esempi di luoghi comuni uditi in quell’occasione (l’oratore era Odilon Barrot, un candidato legisstimista moderato), ne sono una prova: Du Camp: “il carro dello Stato”, “la coppa deludente della popolarità”, “L’Idra dell’Anarchia”, “la fatale cecità del potere”, “la sterile ambizione che semina le torce della discordia”, “la moralizzazione dei poveri”. Flaubert: “il timone dello Stato”, “l’abisso verso il quale corriamo”, “l’onore del nostro stendardo”, “la fraternità dei popoli”. Flaubert riporta un minor numero di esempi e di episodi, e soprattutto riporta unicamente quelli che gli paiono espressivi, ossia corrispondenti al sentimento delle cose, oltre che al suo proprio, di nausea, disgusto, amarezza. Nella stessa lettera lo scrittore parla infatti dell’ “impressione di disgusto” lasciatagli da quell’esperienza, delle “triste opinione sugli uomini”, dice di sentirsi “gelare fin nelle viscere”, e che “l’amarezza [vi] entra nel cuore di fronte a delle sciocchezze così deliranti, a delle stupidità così scatenate”. Se Du Camp si limita a giudicare un mondo la cui stoltezza lo fa ridere, Flaubert si giudica di fronte a quello stesso mondo, di cui è a un tempo osservatore e protagonista. In questo senso può essere assunta l’analogia Flaubert/Frédéric; in una lettera a Du Camp, l’autore del romanzo si descrive così: Sai bene che io sono l’uomo degli ardori e degli sfinimenti. Se tu sapessi tutte le invisibili reti d’inedia che circondano il mio corpo e tutte le nebbie che mi fluttua48 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 49 no nel cervello! Provo sovente una fatica da far morir di noia ogni volta che si tratta di fare qualsiasi cosa, ed è grazie a immensi sforzi che finisco per cogliere l’idea più chiara. La mia giovinezza mi ha immerso in non so quale oppio d’istupidimento per il resto dei miei giorni. Ho la vita in odio. La parola è partita, che resti! Sì, la vita, e tutto ciò che mi ricorda che bisogna subirla. È un supplizio mangiare, vestirmi, stare in piedi. Mi sono portato questo sentimento dovunque, al liceo, a Parigi, sul Nilo, nel nostro viaggio12. Nel capitolo I della III parte dell’Educazione sentimentale, dove si descrivono le giornate culminanti della rivolta del febbraio 1848, Flaubert distribuisce molte delle banalità ascoltate, molti degli episodi riportati anche da Du Camp, ma tutto è come appiattito in una desolante insignificanza, cui Frédéric assiste, travolto come un sughero dall’acqua di un fiume. Nell’attacco inutile al Palais-Royal — il re è già fuggito —, si susseguono alcuni degli fatti più crudi del racconto: il saccheggio del popolo ormai esaltato dalla vittoria, la furia delle masse assetate di vendetta. Queste scene alternano tuttavia con episodi che Flaubert aveva già definito nella sua lettera a Louise Colet “sciocchezze deliranti”, “stupidità scatenate”. Frédéric è in compagnia di Hussonnet, che lavora come autore di réclames per i giornali di moda e per l’Art Industriel, il commercio degli Arnoux. Come Frédéric è un fallito, il simulacro di un autore, (scrive per denaro, compone per vendere oggetti). A differenza di lui però, lo fa con il cinismo consapevole di chi ha compreso come va il mondo, e nell’osservare i fatti del 24 febbraio non risparmia il sarcasmo. Nell’ondata di folla che li ha travolti nel Palazzo Reale, Hus- 12 Lettera del 21 ottobre 1851. Citata in Il ’48 nell’Education sentimentale, p. 23. 49 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 50 sonnet è colui che osserva lucidamente, divertendosi a commentare i fatti con lo scherno di Du Camp. Cito dal romanzo: All’improvviso risuonarono le note della Marsigliese. Hussonnet e Frédéric si affacciarono sulle scale: era il popolo. Si rovesciò su per lo scalone un’ondata tumultuosa di teste scoperte, di elmetti, di berretti rossi, di baionette e di spalle, con una violenza tale che alcuni erano come inghiottiti in quella massa brulicante che saliva, saliva sempre come un fiume risospinto dall’alta marea, con un vasto muggito e un impeto irresistibile. In cima, la folla si disperse, e il canto cadde. Si sentiva soltanto il calpestio di tutte quelle scarpe e il mormorio uniforme di tutte quelle voci. Ogni tanto, però, un gomito troppo compresso sfondava una vetrina; da una console un vaso o una statuetta rotolavano a terra. I rivestimenti di legno, premuti dalla folla, scricchiolavano. I visi erano arrossati, e il sudore colava a larghi rivoli. Hussonnet se ne venne fuori con questa osservazione: “Non si può dire che gli eroi abbiano buon odore!” “Sapete essere terribilmente irritante”, disse Frédéric. (pp. 284-285. I corsivi sono miei). Le metafore usate per descrivere il popolo in rivolta sono le medesime che costellavano i quotidiani dell’epoca, e che molta pubblicistica tardo-romantica non esitò ad assumere come tratti valorizzanti (il fiume, il muggito, l’impeto). La scrittura di Flaubert assorbe le stesse analogie dall’esterno, e l’ironia del Narratore è punteggiata dai commenti feroci di Hussonnet. Nell’episodio che segue questo delicato gioco di rimandi diventa ancora più evidente. Costretti dal fluire della folla, i due amici si trovano nella sala del trono, sul quale “era seduto un popolano con la barba nera, con la camicia aperta e l’aria ilare e stupida di un fantoccio” (p. 285). 50 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 51 La battuta di Hussonnet ricorda da vicino i commenti sprezzanti di Du Camp, e nello stesso tempo impasta e rifonde nella scrittura narrativa il ‘rumore di fondo’ dei discorsi pubblici, degli articoli di giornale, della vox poluli: “Che mito! disse Hussonnet. “Eccolo, il popolo sovrano!” Il trono, sollevato sopra le teste, attraversò ondeggiando tutta la sala. “Accidenti come beccheggia! Il vascello dello Stato è sballottato da un mare in tempesta! Che danza selvaggia!” (p. 285. Il corsivo è mio). Ora, se le metafore pronunciate da Hussonnet sono del medesimo tipo di quelle annotate sia da Flaubert che da Du Camp dopo il banchetto riformista (vascello dello Stato, mare in tempesta, danza selvaggia), è il Narratore che attribuisce una colorazione tragica all’evento, con quel verbo “ondeggiare”, realistico e piano, ma così pregno del pericolo che incombe sullo ‘stupido fantoccio’ seduto sul trono. La furia che segue è descritta con una successione di dettagli minuti (gli oggetti fatti a pezzi dalla folla, elencati uno a uno) e al contempo atroci, come quello della prostituta drappeggiata in Statua della Libertà: In anticamera, in piedi su un mucchio di panni, stava una puttana, nella posa della Statua della Libertà: immobile, con gli occhi sbarrati, faceva paura (p. 286). In un passo di poche righe Flaubert riporta poi un fatto presente nei Ricordi di Du Camp. Anche in questo caso il confronto è utile per comprendere l’atteggiamento dell’autore nei riguardi della Storia. Du Camp: In piedi sullo stilobate di una delle colonne del porti51 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 52 co, guardavo attentamente un gruppo di uomini che marciavano con regolarità militare e che si dirigevano verso di noi. Il gruppo di avvicinò, e riconobbi dei soldati della Guardia Municipale a cavallo, senz’arma alcuna e in bassa uniforme. Arrivati a dieci passi da noi, quegli uomini si tolsero il berretto della divisa, e, con un sorriso forzato, salutarono. Uno di essi pronunciò una breve frase e io distinsi le parole “Popolo e sacra causa”. Dietro di me, udii armare dei fucili. Flaubert e io ci scambiammo un’occhiata e ci comprendemmo. Con slancio, fummo presso le guardie, abbracciandole, stringendo loro la mano e chiamandole “nostri fratelli perduti”13. Flaubert: Fuori avevano appena fatto tre passi che incrociarono un plotone di guardie municipali in bassa uniforme, le quali, togliendosi il berretto, e scoprendo con quel gesto le teste un po’ calve, salutarono il popolo con un profondo inchino. A tale attestazione di rispetto i vincitori coperti di stracci si ringalluzzirono. Anche Hussonnet e Frédéric non poterono fare a meno di provare un certo piacere (p. 286). L’espressione “vestiti di stracci”, posta tra “vincitori” (termine molto forte, quasi definitivo), e “si ringalluzzirono”, indebolisce il valore del sostantivo e lo carica di significati ironici, quasi grotteschi. Tutto è rimesso in discussione: il senso della vittoria e la sincerità del saluto delle guardie. Ma soprattutto è rimesso in discussione il coraggio dei due amici, che provano anch’essi “una certa soddisfazione”. Frédéric, che non sa mai dove collocarsi, si pone qui tra i “vincitori coperti di stracci”. Nei commenti divergenti dei due amici si annulla tuttavia la 13 Maxime du Camp, Souvenirs de l’Anée 1848, Hachette, Paris 1876, pp. 9798. 52 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 53 possibilità di un senso, in un contrappunto musicale e funebre a un tempo: “Andiamo via”, disse Hussonnet, “questo popolo mi dà il voltastomaco” (p. 286) (…) “Che cosa conta?” replicò Frédéric, “per me il popolo è sublime” (p. 287). Frédéric è l’uomo di “tutte le debolezze” e si lascia “travolgere dalla pazzia universale” (p. 295); parlando di sé con Du Camp, Flaubert si era definito “l’uomo di tutti gli ardori e tutti gli sfinimenti”. Frédéric è dunque Flaubert, con la differenza che l’autore sa guardare se stesso dentro il flusso degli eventi. Come aveva già fatto con Emma Bovary, Flaubert realizza nel personaggio di Frédéric quello che Sergio Cigada ha definito il “triangolo logico”: il Narratore guarda se stesso guardare, e riesce in questo modo ad attribuire un valore alle cose, nella lucida bellezza dell’arte14. L’occhio dell’artista non è più, come in Balzac, un fascio di luce che rischiara una certa zona del reale, ma un faro che gira costantemente attorno a se stesso, che vede tutto ciò che accade, comprese le reti che legano e oppongono cosa a cosa, nell’infinito rimbalzo della vita. La Storia è dunque presente nell’Educazione sentimentale, ma è presente come critica di se stessa e dei suoi protagonisti, le cui ragioni si compongono e si annullano a vicenda. Più di Frédéric, Parigi è la vera protagonista del romanzo: centro di una nuova dialettica della Storia, vortice nel quale essa si azzera. Dopo aver assistito agli orrori delle giornate di giugno – in cui i borghesi si sono vendicati degli operai, con 14 Così Sergio Cigada in Gustave Flaubert, in (Genesi e struttura tematica di Emma Bovary), in Contributi del seminario di Filologia moderna. Serie francese, vol. I, Milano, Vita e Pensiero, 1960, p. 185-277. 53 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 54 uguale ferocia — Frédéric non ha altro pensiero al di fuori del suo amore per Madame Arnoux: La mattina provò un senso di gioia, di riconquistata indipendenza; era fiero di aver vendicato la signora Arnoux sacrificandole una fortuna [il protagonista ha appena rinunciato a un ricco matrimonio per rispettare il ricordo del suo antico amore per Marie].Poi fu preso da una specie di stupore per suo gesto; si sentiva come spezzato da una stanchezza infinita. La mattina del giorno dopo, seppe dal suo domestico le ultime notizie: era stato decretato lo stato d’assedio, l’Assemblea era stata sciolta e una parte dei rappresentanti del popolo si trovava a Mazas. Frédéric era talmente preoccupato per sue faccende che quelle del paese lo lasciarono indifferente (p. 409). L’indifferenza del protagonista al colpo di Stato dice l’inanità del suo interesse per la Rivoluzione, il cui fallimento incarna in ogni modo la rovina di tutta la gioventù cresciuta negli ideali romantici: come Flaubert aveva annunciato, il romanzo può essere definito la “storia morale degli uomini della [sua] generazione”. Alla fine del capitolo quinto della III parte ogni illusione sarà perduta: nel vedere il repubblicano Sénécal uccidere l’operaio Dussardier, Frédéric non ha altre reazioni se non l’atarassia (“e Frédéric, inpietrito, riconobbe Sénécal”, p. 411). Sénécal gli era stato presentato nel 1841 come un futuro Saint-Just, che per dieci anni aveva cavalcato l’onda rivoluzionaria: il suo passaggio nelle fila di Napoleone lascia il protagonista semplicemente “béant”15: l’efficacia del gerundio francese si estende a quel grande ‘bianco’ temporale che separa il capitolo V 15 Cito dall’edizione francese Folio Pocket, 1998, p. 507. 54 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 55 dal VI, sedici anni “entro cui precipitano e si dissolvono, dal punto di vista della rappresentazione, gli eventi dell’Educazione sentimentale”16. L’ultimo incontro con il gande amore della sua vita, Marie, sarà un grottesco fallimento, e sappiamo come si concluderà, nel 1869, il romanzo: con la rievocazione nostalgica di un’avventura mancata in un postribolo. Conclusioni Vale la pena a questo punto domandarsi: in che misura questo romanzo contribuisce alla costruzione di una coscienza europea? Vale la pena di attardarsi su un nichilismo così desolato, un così amaro bilancio di una generazione e di una cultura? Flaubert non riteneva che un’opera d’arte dovesse essere portatrice di valori etici, riteneva anzi indegno dell’arte quell’autore che avesse infuso le proprie convinzioni in un testo letterario. Unico valore dell’artista è l’arte stessa, “la più bella prosa che sia mai esistita”. Ma quella stessa prosa ha per finalità la resa del vero, il sentimento delle cose nella loro più profonda necessità. Come aveva già osservato la Maranini Flaubert è passato, senza possibile discussione, dalla cognizione particolare dei fatti, alla ‘visione’ di essi in un collegamento di ‘necessità’, e, quindi, alla ‘conoscenza’ di essi. Al loro senso metastorico, vale a dire, poetico (…) dalla cronaca dispersiva si passa allo stile espressivo (…) dalla cronaca alla quale il giudizio si sovrappone come qualche cosa di estraneo o di aggiunto, si arriva a una narrazione che è già in se stessa, oltre che ‘stile’ (o, in altri termini, espressione che si realizza attraverso un ritmo nuovo imposto alle parole), anche 16 Stefano Agosti, Introduzione, p. XV. 55 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 56 lucido esame delle sequenze dei fatti, e, quindi, critica storica17. Ora, non si esce indenni dall’Educazione sentimentale: se lo si legge con attenzione, riconoscersi in questo romanzo è inevitabile, così come inevitabile è ritrovare fra le sue pagine le questioni e i dibattiti che il nostro tempo crede di aver inventato. Guardando se stesso guardare, Flaubert può ancora insegnarci a vedere: a comprendere noi stessi e la storia che ci precede, ma anche quella che ci sta di fronte. Non certo per proporre un insegnamento (egli ne avrebbe avuto orrore), ma per offrirci una prospettiva di lucidità, un interrogativo che l’arte, quando è tale, lascia sempre aperto. 17 Lorenza Maranini, Il ’48 nell’Education sentimentale pp. 53 e 60. 56 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 57 Biografia Marisa Verna 1995 : ottiene di dottorato in Scienze Linguistiche, filologiche e Letterarie con una tesi sull’Opera teatrale di Joséphin Péladan. 1995-2000: collaboratrice ed esperta linguistica di lingua francese Ottobre 2000: ricercatrice universitaria di Letteratura francese Ottobre 2002 Professore Associato di Letteratura francese. Novembre 2004 Professore Ordinario di Letteratura Francese. Novembre 2010 Direttore del Dipartimento di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere Curriculum Accademico. Membro della scuola dottorale in scienze linguistiche, filologiche e letterarie. Collabora con le Università di Paris VII Paris III per co-tutele dottorali (tre dottorati attualmente in corso). Partecipante ai seguenti progetti di ricerca: Simbolismo e Naturalismo fra lingua e testo, diretto da Sergio Cigada (PRIN 2001) ; la Sinonimia fra langue e parole, diretta da Sergio Cigada, Co-finanziamento ministeriale (PRIN 2005); Il canone drammatico europeo, diretto da Annamaria Cascetta;. Tiene corsi di letteratura francese per la Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere, di Drammaturgia francese per la Facoltà di lettere e ha tenuto corsi di lingua francese per la filosofia; ha tenuto il corso di Lingua e Civiltà dei paesi francofoni per la Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario dell'Università Cattolica di Milano. E’ membro del C.I.T. (Centro d’Iniziativa teatrale) diretto da Annamaria Cascetta. Eletta Direttore del Dipartimento di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere a decorrere dal 1 novembre 2010. Eletta nel direttivo della Società Universitaria di Studi di Lingua e Letteratura Francese il 19 novembre 2010. Il nuovo direttivo è entrato in funzione a partire dal gennaio 2011. Nominata nella direzione della rivista Analisi Linguistica e Letteraria a partire dal 2011. 57 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 58 Principali pubblicazioni dell’Autore: 1991 Un esempio di teatro simbolista: la “Sémiramis” di Péladan “Aevum”, Rassegna di scienze Storiche linguistiche e filologiche, 3, Anno LXV, settembre-dicembre 1991, pp. 579-607. 1992 Strutture simboliste a teatro: l’esempio di Péladan, in Il SimbolismoFrancese, la poetica le strutture tematiche, i fondamenti storici, Atti del Convegno tenutosi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dal 28 febbraio al 2 marzo 1992, Carnago (Varese), SugarCo ed., 1992, pp. 187209. 1994 Teorie estetiche teatrali: Péladan “L’Analisi Linguistica e Letteraria”, 2, Anno II, 1994, pp. 499-554. 1996 “Cœur en peine” di Joséphin Péladan: storia di un’anima “L’Analisi Linguistica e Letteraria”, 2, Anno IV, 1996, pp. 463-80. 1997 Il teatro inedito di Joséphin Péladan “Studi Francesi”, 123, settembre-dicembre 1997, pp. 495-509. 1999 Dal “Petit Théâtre des Marionnettes”a Ubu roi”: verso l’avanguardia “Il castello di Elsinore”, quadrimestrale di teatro, 35, anno XII, 1999, pp. 17-36. 2000 L’opera teatrale di Josephin Peladan. Esoterismo e Magia nel Dramma simbolista, Vita e Pensiero, Milano 2000, 435. 2002 Raccontare il viaggio: descrizione o invenzione? Il viaggio nella scrittura francofona di fine Ottocento, in Tipologie di testi e tecniche espressive, a cura di C.M. Giovanni Gobber, Vita e Pensiero, Milano 2002, 109-109. 2003 Colore e parola. Le Livre d’Art. Il sogno della fusione delle arti in una rivista fin de siècle, in Lingua cultura e testo. Miscellanea di studi francesi in onore di Sergio Cigada, a cura di Bernardelli Giuseppe Galazzi Enrica, Vita e Pensiero, Milano 2003, 12. 2005 Vers un art total. Synesthésie théâtrale et dramaturgie symboliste, «Revue histoire du théâtre», 2005, ottobre, 307-332. 58 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 59 2005 La Pantomime, une structure poétique et dramatique, «L’Analisi Linguistica e Letteraria», 1-2005, 93-93. 2006 “La Révolte” di Villiers de l’Isle-Adam: storia di un malinteso, in Atti del Congresso «Simbolismo e Naturalismo: un confronto» (Milano, 8-11 marzo 2000), Vita e Pensiero, Milano 2006, 463-490. 2006 La synesthésie comme véhicule d’extase dans le “Côté de chez Swann” de Marcel Proust,, in Atti del Congresso CD ROM Université de la Savoie, Chambéry 2006, vol 2, Dominique Lagorgette éd. , pp. 510-24. 2006 Simbolismo e Naturalismo: un confronto, Vita e Pensiero, Milano 2006, 560 (a cura di). 2006 La Pantomime entre Symbolisme et Naturalisme, «L’Analisi Linguistica e Letteraria», 2006, 2-2006, 325-346. 2007 Baudelaire e Faust: storia di Una (falsa) incomprensione, «Humanitas», 2007, 62, 969-988. 2008 Jouir des aubépines: sur quelques pages de Proust et la synesthésie, in Correspondance des sens et perception esthétique: aspects intermédiaux dans l’oeuvre de Marcel Proust, in Die Korrespondenz der Sinne. Wahrnehmungsästetische und intermediale Aspekte im Werk von Proust, a cura di U. Felten, Wilhelm Fink, Leipzig 2008, 269-283. 2008 La signora delle Camelie. Drammi in cinque Atti di Alessandro Dumas figlio. Traduzione e note di Marisa Verna, DSU Diritto allo studio Università Cattolica, Milano 2008, 184 (a cura di). 2008 Proust et l’art de la langue. La synonymie comme idolâtrie linguistique, in La Sinonimia tra langue e parole nei codici italiano e francese, a cura di M. Verna - S. Cigada Vita e Pensiero, Milano 2008, 231-254. 2008 La Sinonimia tra langue e parole nei codici italiano e francese, a cura di M. Verna - S. Cigada Vita e Pensiero, pp. 630. 2009 Proust e lo spazio Marisa Verna e Alberto Frigerio (a cura di), Atti della giornata di studi, 15 ottobre 2009, Cives Universi e EduCatt, Milano 2009, pp. 99, ISBN 978-888311-717-6. 59 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 60 2009 Finestre, serre, telescopi, acquari: lo sguardo dall’esterno nella descrizione proustiana, in Proust e lo spazio Marisa Verna e Alberto Frigerio (a cura di), Atti della giornata di studi, 15 ottobre 2009, Cives Universi e EduCatt, Milano 2009, pp. 39-54. 2010 Simbolismo e Naturalismo tra lingua e testo, Vita e Pensiero, Milanno 2010, Sergio Cigada e Marisa Verna (a cura di), pp. 522. 2010 Ce “lac inconnu où vivent ces expressions sans rapport avec la pensée et qui par cela même la révèlent”: le rôle du registre linguistique dans la « Recherche du Temps Perdu » : l’Affaire Dreyfus, comunicazione, in Atti del Congresso «I registri linguistici come strategia comunicativa e come struttura letteraria» (Milano, 6-8 novembre 2008), Marco Modenesi, Marisa Verna e Gian Luigi Di Bernardini (a cura di), EduCatt, Milano, Milano 2010, pp. Marco Modenesi, Marisa Verna, Gian Luigi di Bernardini (a cura di). 2010 D’une chevelure odorante au temps de l’extase: sur des synesthésies proustiennes, in Simbolismo e Naturalismo tra lingua e testo, Vita e Pensiero, Milano 2010, pp. 477-494. 2011 (in stampa) Alexandre Dumas figlio, La signora delle Camelie, (a cura di) Marisa Verna, Edizioni ETS, Pisa. 2011 (in stampa). Pour une langue sensible : l’héritage symboliste dans l’écriture proustienne, in La Littérature symboliste et la langue, dirigé par Olivier Bivort, Paris, Classiques Garnier, coll. Rencontres, 2011. 60 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 61 Prof. Pippo RANCI Docente nell’Università Cattolica del S.Cuore di Milano “La responsabilità delle banche tra povertà e ricchezza”. Questa conversazione trae origine dal lavoro che sto conducendo per dare forma e contenuto ad un breve corso universitario dal titolo “Etica dell’economia e della finanza” che mi è stato affidato in dalla Facoltà di Scienze bancarie in Università Cattolica. L’incarico è insolito per un economista e mi ha posto in una condizione mista di imbarazzo, timore, curiosità e interesse. Mi era ben chiaro che l’etica la possono insegnare i filosofi e i teologi, non gli economisti. Ho cercato di sviluppare lo studio dei condizionamenti sull’agire umano che vengono dal sistema economico, trovando qui, mi pare, il ruolo dello scienziato sociale, categoria alla quale appartiene l’economista, nel fornire alla valutazione etica del comportamento individuale un’integrazione indispensabile.1 Ho cercato di estrarre dalle riflessioni oggetto del corso quelle che hanno attinenza con la banca. 1. La responsabilità sociale dell’impresa in generale Il dibattito sulla responsabilità sociale dell’impresa, almeno per quanto riguarda gli studiosi di economia, non può prescindere dalla posizione nettamente negativa espressa da Milton Friedman (1912-2006), premio 1 Ne ho scritto in “L’esperienza di un economista che insegna etica” nella rivista Impresa progetto, n.1, 2010 61 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 62 Nobel per l’economia 1976, definito dall’Economist “l’economista più influente della seconda metà del XX secolo, se non di tutto il secolo”. La posizione è chiaramente espressa in un testo breve, il suo articolo sul New York Times Magazine del 13 settembre 1970, che condensa gli argomenti del suo libro “Capitalism and Freedom” del 1962. Il titolo dell’articolo è “La responsabilità sociale delle imprese è di accrescere i profitti”. Si cominciava allora a parlare di responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsibility).2 Dice Friedman: “Le discussioni sulla “responsabilità sociale delle imprese” sono degne di nota per la loro imprecisione analitica e mancanza di rigore. Cosa significa affermare che gli “affari” (business) abbiano delle responsabilità? Solo le persone possono avere responsabilità... Nell’esaminare la dottrina della responsabilità sociale dell’impresa, il primo passo verso il chiarimento è quello di chiedere precisamente che cosa essa comporta e per chi.... In un sistema di libera impresa libera e di proprietà privata, il manager è un dipendente della proprietà dell’impresa. Ha una responsabilità diretta nei confronti dei suoi datori di lavoro. Tale responsabilità consiste nel condurre gli affari secondo i desideri dei proprietari, che generalmente consisteranno nel fare più soldi possibile...” (traduzione mia) In molte trattazioni odierne sulla responsabilità sociale dell’impresa si cita Friedman come un avversario, anzi l’avversario. A me pare che Friedman, pur esprimendo veemente condanna di pratiche che normalmente 2 Userò anch’io l’acronimo CSR perché l’omologo italiano RSI mi disturba, non riesco a considerare abbastanza lontani nel tempo la Repubblica Sociale Italiana e gli orrori della guerra mondiale. 62 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 63 consideriamo buone, svolga un discorso centrato sul chiarimento delle responsabilità e quindi, tutto sommato, autenticamente etico. L’amministratore d’impresa rende conto ai suoi proprietari, che normalmente sono azionisti e, possiamo oggi aggiungere, forse gestori di fondi pensione che amministrano il piccolo patrimonio di sopravvivenza di tanta gente di modesta situazione economica. Qui non è questione di altruismo o egoismo: ciascuno può decidere di spendere per il bene sociale, ma lo faccia usando i soldi suoi, che sia azionista o manager; non lo deve fare il manager nell’esercizio della sua funzione, con i soldi altrui. Se lo fa, imponendo le sue scelte circa ciò che è bene per la società, egli viola il patto che lo lega a chi gli ha affidato l’impresa; noi diremmo che compie appropriazione indebita, Friedman gli rivolge un’accusa che a noi oggi appare curiosa, ma che negli Stati Uniti degli anni ’60 doveva apparire ancor più cocente, dice che è un socialista, ancorché inconsapevole. Va posta attenzione, secondo me, al seguito della frase: “...Tale responsabilità consiste nel condurre gli affari secondo i desideri dei proprietari, che generalmente consisteranno nel fare più soldi possibile osservando le regole basilari della società, sia quelle contenute nelle leggi sia quelle incorporate nei costumi etici...” Friedman esprime una posizione di grande attualità. Il capitalismo non è la legge del profitto ad ogni costo, è un sistema rispettabile se (poiché) si basa sul rispetto delle leggi: l’illegalità diffusa in molte parti del mondo e del nostro Paese non trova posto nella visione del più radicale tra i sostenitori del capitalismo. Non solo, ma il richiamo ad un altro punto di riferimento, costituito dai “costumi etici” che non stanno nella legge ma pur sempre incorporano “regole basilari della società” evoca la condanna del formalismo, l’importanza di interpretare e 63 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 64 seguire lo spirito delle leggi, compresi i comportamenti ovviamente positivi per la società che il legislatore non ha, o non ha ancora, fissato in norme. Da noi viene da pensare alla tutela degli interessi delle minoranze azionarie, al rifiuto delle posizioni di potere economico puntellate dagli incroci azionari. In paesi ad uno stato meno avanzato di sviluppo economico non si può non pensare alla tutela dei lavoratori (quanto lavoro minorile e quanta sostanziale schiavitù sono ancora presenti), alla tutela dell’ambiente (quanti disastri ambientali protetti dalla mancanza di leggi adeguate, anzi provocati proprio dall’attrazione delle pratiche nocive in paesi ancora privi di una normativa ambientale), al rispetto delle minoranze etniche o religiose. L’odierno sviluppo della CSR ha le sue motivazioni in termini di interesse dell’impresa al buon rapporto con i suoi stakeholders (lavoratori, consumatori, fornitori, comunità locale e nazionale) e alla reputazione, fattori che concorrono alla profittabilità nel lungo periodo. Friedman parla di “... un modo per le imprese di conquistarsi benevolenza come sottoprodotto di spese che sono interamente giustificate dal tornaconto...” sottolineando ironicamente la dose di ipocrisia che è insita in queste operazioni. Friedman non le condanna, visto che procurano utili, ma il suo appello alla schiettezza è apprezzabile: “... da parte mia, se facessi appello ai manager affinché si astengano da questo ipocrita comportamento di facciata per il motivo che esso indebolisce i fondamenti di una società libera, sarei incoerente. Sarebbe un richiamo ad esercitare una “responsabilità sociale”! Se le istituzioni e l’atteggiamento del pubblico rendono conveniente per loro rivestire in questo modo le loro 64 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 65 azioni, io non posso esprimere indignazione e denunciarli. Allo stesso tempo, posso esprimere ammirazione per quegli imprenditori individuali o ... azionisti ... che disdegnano queste tattiche come affini alla frode...” Duro e probabilmente eccessivo. Ma ricordiamo il bilancio sociale, pieno di opere buone, pubblicato dalla Enron ogni anno, fino alla vigilia della bancarotta fraudolenta! La CSR non dovrebbe mai porsi in contrasto con l’etica della responsabilità. A questo fine qualche raccomandazione può essere utile. La CSR esige una rendicontazione adeguata. I bilanci “sociali” o “di responsabilità” dovrebbero essere documenti veramente informativi, redatti in modo da consentire all’osservatore esterno, allo studioso, i confronti tra imprese e la costruzione di indicatori sintetici che mostrino se le azioni esposte sono significative (o trascurabili) quanto a dimensione e carattere innovativo, se sono in crescita o in calo nel tempo. È nell’interesse di quelle imprese che sono sinceramente impegnate nell’esercizio di responsabilità sociale collaborare alla creazione di un qualche “marchio di qualità” che potrebbe ridurre lo spazio dei comportamenti strumentali e ipocriti, forse meglio di quanto potrebbe fare un’improbabile normativa pubblica. Quanto al perseguimento del profitto, resta comunque essenziale l’orizzonte temporale di riferimento. Ai miei studenti propongo una rilettura dell’esperienza di Adriano Olivetti, imprenditore che vide lo sviluppo dell’impresa strettamente congiunto con quello della comunità locale e con l’elevazione culturale dei dipendenti, condizione per creare un terreno fertile in cui le innovazione possano attecchire e talvolta anche essere generate. Le sue intuizioni non mi sembrano smentite dalla storia successiva alla sua morte prematura nel 1962. La crisi dell’Olivetti, comune a tutte le vecchie imprese di macchine da ufficio elettromeccaniche e in parte spiegata da 65 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 66 alcune note debolezze del contesto industriale e finanziario italiano, non ha impedito che proprio in ambito Olivetti sorgesse una dinamicissima impresa di telefonia mobile e crescessero managers migrati con successo in molti settori, che Ivrea e il Canavese restassero un esempio di qualità urbanistica, architettonica e culturale resistenti al tempo. Il confine tra la lungimiranza e la sensibilità sociale dell’imprenditore è davvero sfumato. Tutto ciò detto per le imprese in generale, è necessario dire qualcosa di diverso per le imprese bancarie? 2. La banca è speciale, e questo comporta onori e oneri Sappiamo che la banca è un’impresa speciale. La sua specialità ha costituito a lungo un ostacolo allo stesso riconoscimento del suo carattere d’impresa. Ora questo aspetto è stato chiarito, con una trasformazione radicale avvenuta negli ultimi vent’anni. Nessuno rimpiange la banca ente pubblico, o la commistione tra attività bancaria e beneficenza. La banca è impresa, ma in modo speciale, e questa specialità, spesso invocata, resta mal definita. Per lo scopo di questa conversazione può servire una drastica semplificazione che individua due grandi tipi di banche, diversissime per origine, entrambe speciali rispetto alla nozione d’impresa, ma in modo diverso. Un primo tipo è quello che trae origine dalle esigenze delle società locali e che ha assunto nella sua evoluzione storica aspetti marcati di servizio pubblico. Sono esemplari in questo senso le Casse di risparmio e istituzioni affini; ma altrettanto esemplari le banche di credito cooperativo e analogamente, per lungo tempo, le popolari. La specialità in questo modello è ben individuata nella responsabilità verso lo sviluppo dell’economia locale, le esigenze della comunità locale e partico66 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 67 larmente dei suoi strati più deboli. L’altro tipo è la banca dei banchieri fiorentini e genovesi, dei precursori di Lombard Street, finanziatori dei sovrani e delle loro guerre sempre ispirate da un preteso interesse pubblico, ma anche di grandi intraprese economiche che con il pubblico interesse forse avevano maggiore attinenza come il canale di Suez. La specie si è evoluta nella moderna categoria delle banche d’investimento, costruttrici di grandi gruppi industriali, soggetti di una politica industriale forse più efficace di quelle conclamate nelle sedi politiche. In entrambi i casi e in modo assai diverso, la banca è un’istituzione “di sistema” come si dice oggi, con il pro e il contro di questa espressione; un’istituzione quindi che nella sua funzione “di sistema” ha trovato per secoli la legittimazione per il suo profitto, per il grado di protezione e di potere di mercato di cui ha goduto, per la sua stessa esistenza. La trasformazione dell’ultimo trentennio ha molto attenuato queste caratteristiche, tendendo ad una ripartizione dei compiti: alle autorità di regolazione l’emanazione di norme che salvaguardino l’interesse generale e la sorveglianza sulla loro applicazione, all’impresa bancaria il perseguimento del profitto all’interno di quelle norme. L’attuazione non è così semplice, un po’ per la resistenza della vecchia mentalità e un po’ perché lo schema non riesce a cogliere la complessità del sistema. L’attenzione alla comunità (locale o più ampia) rimane essenziale, se non altro come strumento per l’espansione dell’attività e quindi la produzione di profitti a lungo termine; ma la motivazione del profitto non sempre conduce, di per sé, alle scelte migliori. È possibile che l’utilizzazione della raccolta per impieghi puramente finanziari sia più profittevole del finanziamento accordato alle imprese, che richiede l’uso di capacità valutativa e collaborazione consulenziale. Anche qui la lungimiranza 67 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 68 nella ricerca di un profitto durevole e l’attenzione solidale alle esigenze della comunità locale conducono su sentieri per lungo tratto coincidenti, anche se restano virtù distinte e capaci, a volte, di entrare in conflitto tra loro. 3. La degenerazione della finanza e i rischi della corsa al profitto La finanza, da quando il termine è venuto a indicare un’attività sviluppata e un settore importante nell’economia, ha sempre posto sul tappeto quesiti etici di grande rilievo. La dimensione di questi problemi è emersa e divenuta palese nelle occasioni delle grandi crisi finanziarie, di cui quella dell’ultimo decennio è solo la più recente in una lunga serie. Ogni volta, nel formarsi delle bolle che conducono alla crisi finanziaria, si manifestano errori di previsione che si generalizzano, distorsioni strutturali che tendono ad accentuarsi con circoli viziosi, carenze nell’apparato di sorveglianza e regolazione: problemi tutti che possono essere analizzati con un freddo approccio tecnico e per i quali si indicano di volta in volta soluzioni di miglioramento degli strumenti previsivi, di rafforzamento dell’informazione che consenta comportamenti più ragionati e meno imitativi, do correzione strutturale che riduca l’area dei conflitti d’interesse, di rafforzamento delle istituzioni dedicate alla vigilanza e alla regolazione. Accanto a tutto ciò e in modo apparentemente indipendente si scatena puntualmente l’esecrazione dell’eccessiva avidità e della smodata ricerca del profitto nelle singole operazioni, nonché, in complesso, dell’arricchimento personale come fine dominante dell’attività professionale e d’impresa. In genere l’analisi tecnica e lo sdegno sono poco comunicanti. Molti lavorano all’analisi e alla costruzione dei rimedi, all’interno delle comunità accademiche, finanzia68 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 69 rie, politiche. La grandissima parte dei cittadini, osservatori o vittime, esprime sdegno e nutre una crescente sfiducia nei confronti dell’intero mondo finanziario. Il nesso tra l’analisi tecnica e la denuncia etica sembra affiorare in una frase pronunciata da uno dei massimi responsabili della grande liberalizzazione e dei suoi eccessi, Alan Greenspan. In una testimonianza davanti al Senate Banking Committee il 16 luglio 2002 il potente presidente della Federal Reserve disse: “un’avidità contagiosa è sembrata investire gran parte della nostra comunità economica.... Non è che gli uomini siano diventati più avidi che nelle generazioni passate. È che le vie per esprimere l’avidità si sono ingrandite in misura così enorme”3 Ecco il punto: le vie (anzi i viali, “avenues”) per esprimere l’avidità. L’avidità non è inizialmente maggiore che in passato, ma certo lo diventa se il contesto è favorevole e addirittura incentivante. Robert Shiller ha usato il termine “contagio”4 e l’analogia con le grandi epidemie della storia. Ho provato a chiedere ad un amico italiano, per anni operatore finanziario di medio livello a Londra, testimone e nel suo piccolo attore della grande bolla di titoli tossici, come abbia potuto partecipare ad un’operazione così riprovevole. Potevo prevedere la risposta: certo che ho venduto titoli rischiosi, il cui grado di rischio non era 3 “An infectious greed seemed to grip much of our business community ... It is not that humans have become any more greedy than in generations past. It is that the avenues to express greed have grown so enormously”. La citazione viene riportata da Frank Partnoy, operatore finanziario, avvocato e professore di diritto all’Università di San Diego nel suo libro intitolato appunto: Infectious Greed. How Deceit and Risk Corrupted the Financial Markets, Holt, New York, 2003. 4 Nel suo Irrational Exuberance e poi in Finanza shock. Come uscire dalla crisi dei mutui subprime, Egea, 2008. 69 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 70 ben misurabile, ma le avvertenze erano scritte nel contratto, l’acquirente poteva leggerle, e per parte mia questo era il gioco su cui poggiava il mio stipendio (essenziale per la rata del mio mutuo) e la mia carriera. Non potevo, io solo, fare diversamente. Il singolo ha le sue giustificazioni ad ogni livello, compreso quello del responsabile di vertice di una società finanziaria impegnata in una lotta competitiva senza quartiere nel mercato globale. Ma tutti assieme i singoli hanno non solo creato le premesse di una crisi gravissima, ma anche alimentato una sistematica distruzione di virtù fondamentali nella vita civile: la moderazione, il rispetto, la fiducia. Come si è creata una situazione simile? Quali passi iniziali, apparentemente innocui, hanno avviato il contagio? La responsabilità etica non può essere cercata solo nell’ultimo anello di una lunga catena; e andando indietro agli anelli precedenti possiamo incontrare una sincera sorpresa in persone convinte di aver compiuto solo il bene, ignare di aver posto i semi di una pericolosa degenerazione. 4. Una grande responsabilità odierna: contrastare l’illegalità e la criminalità A costo di scandalizzare qualcuno, propongo ai miei studenti una sia pur tenue somiglianza tra la situazione dell’amico impegolato nella finanza londinese e il ragazzo di Casal di Principe descritto da Roberto Saviano nelle pagine di Gomorra, al quale hanno insegnato che se non impari a sparare non sei un uomo; il ragazzo che si arruola nella malavita perché là dove vive non gli si offre occupazione alternativa. Situazioni per diverse, ma accomunate dalla collocazione dell’individuo in una posizione soggetta all’influenza di un contesto forte e, in differente misura, spietato. 70 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 71 L’affacciarsi della criminalità organizzata al nostro itinerario non è solo per fornire un’analogia che qualcuno può trovare discutibile. La criminalità organizzata è poderosamente presente nel sistema economico nazionale e locale in cui viviamo e nell’economia globale in cui il nostro sistema è inserito. Costituisce una minaccia autentica, in molti contesti crescente, che nessun discorso sull’etica economica può ignorare. Non può ignorarla un discorso sull’etica nel sistema bancario e finanziario, che si trova collocato proprio nel punto critico dello sviluppo dell’economia criminale, dove il riciclaggio del danaro sporco facilita l’infiltrazione mafiosa nell’economia legale per la via dell’acquisizione di imprese troppo indebitate e della concorrenza sleale in alcuni settori dove le imprese sane vengono comprese ed espulse. Spesso il ruolo dell’istituzione finanziaria è laterale, si può considerare irrilevante rispetto all’aspetto condannabile. Anche qui l’episodio grave e condannabile sta spesso alla fine di una catena di scelte, contratti e legami, omissioni: passi che comportano, ciascuno, solo qualche “piccola” illegalità o mancanza di trasparenza. È tempo di rigore su questo punto, se non altro per il doveroso rispetto di tante vittime delle mafie. Per il sistema bancario c’è stato un lungo periodo in cui l’obiettivo della crescita per la singola banca e quello della stabilità per il sistema sono stati considerati prevalenti rispetto all’esigenza di trasparenza e persino di legalità (almeno in campo fiscale, come i più anziani certamente ricordano, ma forse non solo loro). Oggi sappiamo abbastanza della pericolosità e del carattere epidemico della criminalità organizzata, troppo per poterci concedere distrazioni o debolezze. Sappiamo con maggior certezza che per il passato, che l’epidemia si diffonde molto meglio in ambienti meno rigorosi e meno trasparenti, cosicché la mancanza lieve contribuisce significativamente a creare le condizioni per il fatto 71 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 72 grave. La diffusione delle epidemie di origine batterica è stata arrestata non solo dagli antibiotici ma soprattutto dalla diffusione dell’abitudine a lavarsi spesso le mani. 5. Ricchezza e povertà E così arriviamo infine al nostro tema: la responsabilità delle banche tra povertà e ricchezza, cioè nel far crescere o ridurre le differenze di reddito e di ricchezza, che comportano distanze sociali e divari di opportunità per i giovani. Bene, non credo che il tema possa essere separato da quelli cui ho fatto cenno sopra. I divari sono ancora grandi, e occorre fare attenzione alle tendenze. In Italia come nella maggior parte dei paesi industrializzati i divari sono cresciuti nettamente negli ultimi trent’anni: lo mostrano bene le statistiche disponibili, come questo grafico di fonte OCSE che mostra per la grandissima parte dei paesi membri di questa organizzazione una tendenza all’aumento della disuguaglianza (misurata con il coefficiente di Gini applicato ai redditi) nel periodo 1985-2008. 72 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 73 La più recente rilevazione della Banca d’Italia (dicembre 2010) mostra che in Italia il 10% delle famiglie più ricche ha il 44,7% della ricchezza; il 50% delle più povere ha il 9,8%: c’è un 3,2% di famiglie che ha ricchezza negativa. L’Istat ha definito una soglia di povertà assoluta definita come la spesa minima per un’esistenza dignitosa, tenuto conto della dimensione della famiglia, della sua composizione per età, della localizzazione geografica. Risulta che nel 2007 vivevano sotto questa soglia circa 1 milione di famiglie (che comprendono circa 2,5 milioni di persone), pari al 4,1 % della popolazione. I divari nel mondo sono molto più gravi. Su ormai quasi 7 miliardi di abitanti del pianeta si stima che la popolazione che vive con meno di un dollaro USA (al cambio che definisce la parità di potere d’acquisto) al giorno ammonti a oltre un miliardo, e a 2,5 miliardi la popolazione sotto i 2 dollari al giorno: queste due soglie misurano due gradi di una povertà comunque grave che affligge poco meno di metà dell’umanità, e il 20% dell’umanità in forma estrema. L’impetuoso sviluppo di alcuni paesi tra cui i grandi che stanno nella sigla BRICS (Brasile Russia India Cina Sudafrica) sta facendo uscire grandi masse dalla povertà estrema e creando vasti strati di nuovi ricchi: così si accorciano le distanze tra paesi e si allargano quelle interne ai paesi stessi. La ricerca delle ricette per la lotta alla povertà sta alimentando un vasto dibattito. Che investe la politica del commercio mondiale, il trattamento della proprietà intellettuale, la politica degli aiuti e della cooperazione internazionale. Il settore finanziario partecipa alla ricerca di nuove vie con innovazioni a volte geniali, come l’espansione della microfinanza. A tutti i livelli c’è spazio per un impegno. Significativo il tema dell’inclusione finanziaria: uno sforzo per 73 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 74 conquistare all’impiego di elementari servizi bancari persone e ceti finora esclusi per opera sia di una radicata diffidenza, sia di una scarsa capacità delle offerte loro rivolte. L’inclusione fornisce maggiore sicurezza e migliori strumenti di promozione sociale e contrasta l’emarginazione; merita quindi un impegno che vada un poco al di là dell’interesse dell’impresa bancaria, anche di quello a lungo termine. Un poco al di là, ma non necessariamente fino a contraddire la massima friedmaniana dell’impresa che ha per missione il profitto, senza doversi spingere in un’area radicalmente diversa dall’economia capitalistica, verso quella che è stata chiamata l’economia del dono. Che naturalmente ha non solo diritto a esistere ma una sua nobile funzione e potrebbe anche estendersi un poco oltre la nicchia in cui oggi si trova. 74 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 75 Biografia Pippo Ranci Professore fuori ruolo di Politica economica nell'Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano; vi insegna economia dell’energia ed etica dell’economia e della finanza. È stato Presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas dal 1996 al 2003 e vicepresidente del Council of European Energy Regulators dal 2000 al 2004. Ha fondato e diretto dal 2004 al 2008 la Florence School of Regulation presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, di cui è advisor. È professore part-time della Barcelona Graduate School of Economics. Ha insegnato anche all’Università di Bergamo. Tra i fondatori dell'IRS (Istituto per la Ricerca Sociale) di Milano, ne è stato presidente nel periodo 1973-82 e vi ha diretto le ricerche di economia industriale Ha svolto incarichi di consulenza presso vari ministeri tra cui il Ministero dell'Industria, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Commissione Europea. È laureato in economia all’Università Cattolica e ha conseguito un M.A. alla University of Michigan. Principali pubblicazioni dell’Autore: Brandolini A. e C.Saraceno, Povertà e benessere. Una geografia delle disuguaglianze in Italia, il Mulino, 2007. Friedman M., Capitalism and Freedom, 1962 (edizione italiana: Capitalismo e libertà, Studio Tesi 1995, IBL libri 2010). OECD (OCSE), Growing Income Inequality in OECD Countries: What Drives It and How Can Policy Tackle It?, OECD Forum on Tackling Inequality, Parigi, 2 Maggio 2011. 75 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 76 Partnoy F., Infectious Greed. How Deceit and Risk Corrupted the Financial Markets, Holt, New York, 2003 Onado M., I nodi al pettine, Laterza, 2009. Ranci P., “L’esperienza di un economista che insegna etica” in Impresa progetto, n.1, 2010. Sua Santità Giovanni Paolo II, Lettera enciclica “Sollicitudo Rei Socialis”, 1988. 76 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 77 Mons. Franco Giulio BRAMBILLA Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano “La sfida dell’educazione: la questione dell’identità”. Il ventennio che è appena terminato sembra un tempo che ha visto spegnersi lo slancio educativo. L’intervento sociale a favore di terzi si è spostato sul versante della risposta ai bisogni sia materiali che spirituali. La stessa Chiesa è sembrata dirigersi verso altri approdi, molto sporgente sul sociale e sui temi della carità e del volontariato. Sul palcoscenico della comunicazione pubblica le figure apprezzate del ministero e dei laici sono prevalentemente quelle che sottolineano la funzione terapeutica o solidarista del cristianesimo. Occorre riprendere con forza la fiducia nella funzione educativa, la necessità della promozione culturale, la sua urgenza per un’efficace ripresa dell’evangelizzazione. Questo soprattutto di fronte alle nuove generazioni, ai ragazzi, agli adolescenti e giovani, i quali si attendono un rinnovato slancio educativo, una nuova stagione a cui, come è noto, la Chiesa italiana dedicherà il prossimo decennio. Oso sperare che questa concentrazione sul tema prospetti nuove vie e frutti inediti per il futuro prossimo. Allora provo a fornirvi una traccia per leggere il testo programmatico dei Vescovi per il decennio, Educare alla vita buona del vangelo. Potremmo dire in sintesi: l’educazione è quel rapporto che aiuta ciascuno a costruire la propria identità come vocazione e a scegliere la vocazione come volto della propria identità. Suggerisco un percorso in cinque tappe: l’educazione 1/ deve pensarsi in rapporto alle attuali difficoltà dell’educazione; 2/ trovare nella “generazione” il suo modello paradigmatico; 3/ distendersi nel tempo in modo trans77 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 78 itivo e drammatico; 4/ dirsi in racconti di Vangelo che fanno accedere a Gesù; 5/ far attenzione ai livelli antropologici dell’intervento educativo. Ecco i cinque passi del nostro percorso. 1. “In un mondo che cambia”: la questione attuale. Il Documento dei Vescovi prende avvio da una declinazione diventata quasi di moda anche nel linguaggio comune: “Educare in un mondo che cambia”. Si preoccupa, però, subito di precisare: «Il “mondo che cambia” è ben più di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove: con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei credenti. È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo» (n. 7). Assumendo questa istanza il testo trova nel lucidissimo intervento del Papa all’Assemblea dei Vescovi del maggio 2010 lo spunto per dedicare il prossimo decennio alla questione attuale dell’educazione, dentro un “orizzonte temporale proporzionato alla radicalità e all’ampiezza della domanda educativa”. Di questa domanda Benedetto XVI si è fatto acuto interprete andando “fino alle radici più profonde di questa emergenza” educativa. Egli ha indicato due radici dell’odierna sfida educativa, che interessano tutti e non prima di tutto l’educazione cristiana, ma che riflettono soprattutto su questa i loro effetti negativi. La prima radice è una concezione e una pratica dell’educazione come “autosviluppo”, fondata su un concetto di autonomia dell’uomo che non sarebbe in debito con nessuno per il suo essere e divenire persona; la seconda è il “naturalismo” antropologico (il Papa usa l’espressione scetticismo e relativismo) a cui corrisponde una concezione dell’educazione carente di ogni dimensione etica: educare significherebbe e-ducere, 78 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 79 tirar-fuori le virtualità iscritte nell’uomo concepito come natura meccanicamente intesa. La natura umana non è vista come una grammatica che contiene una promessa e un appello a decidere e a costruire la propria identità, ma è una “cosa di natura” che si può trasformare a proprio piacimento. Le nuove biotecnologie dettano inesorabilmente la strada del percorso educativo e trovano il loro alleato nelle scienze della vita concepite in modo empirico e funzionale. Educare diventa, allora, abilitare a conoscere i meccanismi naturali e i funzionamenti sociali. In tal modo ciascuno può diventare un self made man. Queste due concezioni dell’attuale concezione educativa diffusa (autonomismo moderno e naturalismo scientifico) si saldano perfettamente nell’escludere due caratteristiche essenziali dell’educazione: il suo carattere relazionale e la sua dimensione etica. Ad esse bisognerebbe aggiungere come terza, la distensione temporale del processo educativo, situato tra una promessa e un compimento. Si noti: tre componenti che appartengono alla dimensione antropologica dell’educare, la cui negazione rende impossibile ogni determinazione della differenza cristiana dell’opera educativa. Senza questo discernimento attuale ogni discorso sull’educazione rimane rinchiuso nel limbo delle dichiarazioni generiche. Bisogna essere grati al Papa che con assoluta semplicità – come è nel suo stile – e con un tratto intellettualmente disarmante ci ha portato a vederne le radici. In tal modo il primo capitolo del Documento ha qui la sua punta critica: tutti gli altri aspetti emergenziali dell’educazione oggi (n. 9) come il pluralismo valoriale (n 10), la frattura generazionale (n. 12), le separazioni tra le dimensioni costitutive della persona (n. 13), la chiusura all’integrazione sociale (n. 14) hanno la propria radice malata in una visione autonomistica e naturalistica dell’uomo. Forse si potrebbe aggiungere un punto decisivo, che deriva direttamente da queste due radici e che rende oggi 79 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 80 l’opera educativa particolarmente “liquida”, incapace di dare forma cristiana alla vita umana. Se educare significa autosviluppo, autoeducazione, e se comporta semplicemente vivere secondo una natura “plasmabile” a piacere, tutto il percorso educativo resta abbandonato a se stesso: in realtà è soggiogato dal flusso inarrestabile delle emozioni, degli affetti, del sentire, del prova e riprova, dello sperimentalismo, ma non raggiunge mai la forma matura dell’esperienza. Ne soffrono soprattutto le esperienze umane fondamentali: il rapporto uomo e donna, la relazione genitori e figli, le pratiche dell’amicizia e della fraternità, il senso del convivere civile, le forme della solidarietà sociale. Esse sono affidate alla sensazione e al sentimento, ma domani ci potrebbe essere un’emozione nuova che cancella la traccia della prima: viene qui minata sino alla radice ogni possibilità di scelta di vita e ogni vocazione stabile. Oggi molti vivono tanti esperimenti, tutti provano tutto, spesso si fatica a scegliere tra infinite possibilità, ma è difficile fare un’esperienza affidabile a cui consegnare la propria vita. 2. “Identità, generazione, cammino”: il paradigma educativo. A partire dal discernimento storico delle attuali difficoltà dell’educazione, occorre trovare un paradigma educativo che ne corregga dall’interno le radici malate e le conseguenze. Ora, per trovare questo “paradigma” non bisogna troppo precipitosamente cercare una risposta cristiana a un problema antropologico. Ciò, tra l’altro, ci escluderebbe dal confronto culturale. Esiste un paradigma educativo che è iscritto nella vita stessa dell’uomo, leggendo il quale possiamo giungere a comprendere le dinamiche dell’intera opera pedagogica. Esso dimora da sempre nella carne dell’uomo, si annun80 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 81 cia nella sua nascita, esprime il debito originario alla vita: è l’evento della generazione, il senso e il modo con cui la vita viene trasmessa e ricevuta. Purtroppo, ha sconsigliato la ripresa di questa paradigma la sua versione autoritaria o maternalista, che ha avuto il suo momento acuto nell’Ottocento e che ha generato una reazione antiautoritaria e puerocentrica nel Novecento. Con tutte le varianti del caso. Questo modello di educazione intesa come sviluppo delle virtualità naturali del ragazzo/giovane è aggravata dal diffuso scetticismo circa la trasmissibilità degli ideali civili e religiosi (si sente spesso dire, anche da genitori cristiani: “quando sarà grande deciderà lui stesso”). Inoltre il modello antiautoritario corrisponde alla crisi di autorità nella tradizione civile, morale e religiosa della società moderna. Viene a mancare il riferimento autorevole nel discorso educativo, mentre la formazione della coscienza è divenuta ormai questione privata. L’universo civile non riesce più a mediare i codici, i valori e comportamenti che strutturano la libertà. Che rapporto c’è, allora, tra autorità ed educazione? Qual’è il senso e la necessità della buona autorità nell’educare. Il rapporto educativo rimanda originariamente alla generazione, al rapporto padre/madre - figlio, anche se la forma paternalista di questo modello sconsiglia a molti di riprenderlo. Allora è necessario ritrovare una concezione non paternalista del “paradigma generativo”: i genitori trasmettono la vita con tutto il suo corredo in dotazione (si pensi solo alla lingua, con cui essi trasmettono il “senso” del mondo), e devono lasciare lo spazio e soprattutto il tempo perché la vita trasmessa sia ricevuta come un dono e non solo come una cosa di natura. Questo spazio e tempo sono l’atmosfera della libertà, e diventar grandi non è nient’altro che il cammino – oggi spesso avventuroso e interminabile – con cui riconoscere in modo grato il debito alla vita che ci è stata trasmessa. Per sceglierla come cosa buona per sé. 81 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 82 Il paradigma generativo gode oggi di cattiva fama, ma non si può buttare con l’acqua sporca della sua versione autoritaria, anche il bambino della buona relazione educativa. Così si perde proprio il “figlio”: esso non viene più “generato” alla vita, anche se oggi questo è un atto che comporta le doglie del parto fino al suo approdo alla vita adulta. La mancanza di riferimenti condanna il figlio a navigare sotto un cielo senza stelle e a desertificare la sua coscienza, lasciata come una tabula rasa su cui scrivere continuamente sensazioni passeggere. O, come è stato detto recentemente, lo abbandona a essere il “figlio del desiderio” che deve esaudire le attese dei suoi genitori, che lo hanno scelto e voluto controllando la sua nascita. La nascita “sotto controllo” esprime oggi più l’esaudimento del desiderio dei genitori che un servizio alla vita e al mondo. Il percorso dell’identità da parte del figlio diventa così interminabile, aggravato anche da fattori socioeconomici che rinviano sempre più per il giovane la data di assunzione delle responsabilità. Il cammino dell’esistenza diventa un’impresa che non ha più il sapore della sfida alla vita, ma deve corrispondere al desiderio di chi ci ha voluti, con tutti gli alti e bassi del caso. Generare però significa “dare alla luce”, ma non si può farlo se non “dando una luce” per vivere. Non è un gioco a due genitori-figli, ma un’avventura a tre: il padre e la madre sono dispensatori della vita per conto di un Terzo, ne trasmettono il dono e il senso, perché il mistero dell’esistenza sia promessa e appello e ciascuno scelga non i genitori, ma ascolti la chiamata della vita che essi trasmettono. Allora, l’autorità del padre e della madre, e rispettivamente l’autorità dell’educatore, si esercita non per forza propria, ma diventa dal di dentro testimonianza alla vita buona, alle infinite forme con cui si presenta nella storia della cultura e dell’oggi, perché in queste forme si rende presente qualcosa del mistero e della verità dell’esistenza. Se educare è «tirar fuori», ciò comporta che si indi82 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 83 rizzi verso un qualche modello in cui il giovane può e deve riconoscersi e che deve scegliere come buono per sé. Vi sono nel Documento dei Vescovi questi temi, apparentemente disseminati, ma che ne formano come l’ossatura e che vanno letti in profonda unità: la questione dell’identità debole e la sua formazione che è oggi l’impresa più difficile caratterizzata da una molteplicità inestricabile di riferimenti valoriali (n. 10); il nesso stretto che si instaura tra educare e generare (si legga il decisivo n. 27), la tematica del cammino dove la vita ricevuta in dono genera sempre di nuovo la propria identità alla prova del tempo disteso (n. 28). Identità, generazione e cammino costituiscono, dunque, un unico processo drammatico, con cui la vita generata e donata (l’identità psichica e sociale ricevuta) apre il cammino per diventare una vita voluta (l’identità personale e vocazionale scelta). 3. “Educare alla vita buona”: l’identità transitiva, drammatica e narrativa. In questo scarto si pone il processo educativo: solo riconoscendo in modo grato ciò che si è ricevuto e si continua ad accogliere (la promessa) è possibile rispondere alla vita che chiama e alla sua verità (la vocazione); solo rimanendo in una buona relazione con coloro che continuano a trasmetterci vita è possibile rispondere alla vita e rispondere di noi stessi in prima persona (qui sta la dimensione etica e religiosa dell’educare, mediazione necessaria per la vocazione cristiana); solo lasciando lo spazio e il tempo come cammino per decidersi si può mettere in gioco il proprio futuro (la metafora del cammino, anzi dell’esodo, è decisiva per entrare nella terra promessa). La sfida dell’identità sta tutta qui: non è un’identità già data, o una sconosciuta da cercare e sospesa alla improbabilità del desiderio di chi ci ha voluto, ma è 83 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 84 un’identità che si snoda tra promessa e ricerca della terra in cui entrare. È un’identità transitiva (passa attraverso il tu dei genitori, degli educatori, del noi sociale), drammatica (deve decidere di sé di fronte alla vita e alle forme con cui è stata trasmessa) e narrativa (deve portare alla parola per sé il senso trasmesso cercandone la verità). Ha sorpreso non poco gli ascoltatori il breve ed efficace sviluppo con cui il Papa ha declinato in modo quasi colloquiale il senso transitivo della ricerca dell’identità e dell’educare. Gli Orientamenti lo riportano per intero al n. 9: «In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’“io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo “tu” e “noi” nel quale si apre l’“io” a se stesso». Ecco la prima correzione decisiva della concezione attuale dell’educazione: educare è un fatto di relazione, l’io trova se stesso passando attraverso l’altro, ma l’incontro con l’altro apre l’io alla propria interiorità, dischiude in essa una promessa e un appello perché l’uomo si avventuri nel cammino della vita. Dal di dentro il paradigma generativo si apre alla sua dimensione drammatica (da drama, azione), in cui la “relazione” educativa (io-tu-noi) si assoggetta alla prova del tempo disteso e la promessa dell’inizio deve passare attraverso il prezzo della fedeltà. Di qui la metafora del cammino, anzi dell’esodo, ricordata in modo strategico al n. 19 degli Orientamenti: Dio educa il suo popolo: «L’esodo dall’Egitto è il tempo della formazione d’Israele perché, accogliendo e mettendo in pratica i comandamenti di Dio, diventi il popolo dell’alleanza (cfr Dt 8,1). Il cammino nel deserto ha un carattere 84 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 85 esemplare: le crisi, la fame e la sete, sono descritte come atti educativi, “per sapere quello che avevi nel cuore… per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,2-3). L’esortazione divina crea la consapevolezza interiore: “Riconosci in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te” (Dt 8,5, cfr Os 2,16-25)». Ora entrano in scena tutti i grandi temi dell’educare: il tema della libertà e della legge (“ti ha messo alla prova per saggiare ciò che avevi nel cuore e se avessi obbedito ai suoi comandi…”), della privazione dei beni essenziali per vivere e del nutrimento che viene dall’alto (“ti ha fatto provare la fame e ti ha nutrito di manna…”), della decisione di nutrirsi di un cibo/senso (Man-hu, che cos’è?) sconosciuto a sé e alla tradizione dei padri (“che tu non conoscevi né i tuoi padri avevano conosciuto…”), del credito da prestare (la fede!) alla promessa a cui quel cibo rimanda (“per farti capire che non di solo pane…”) e che la Parola di Dio viva e zampillante interpreta come verità del cammino (“ma da quanto esce dalla bocca del Signore!”). Il carattere “drammatico” dell’educazione mette in gioco la libertà di tutti, anzi crea lo spazio perché il giovane giochi la sua libertà. Diventare liberi non è solo un fatto di relazione, ma esige un’inevitabile determinazione eticoreligiosa, implica una scelta e una capacità di rispondere. Non solo nei confronti dell’educatore (genitore, insegnante, sacerdote, amico, ecc.) ma, attraverso di lui, alla vita, imparando a rispondere di sé. La libertà deve decidere e decidersi per diventare libera, se resta sospesa a far zapping tra le infinite possibilità dell’esistenza, rimane anche inchiodata al punto di partenza, non riesce a darsi un volto e lascia l’uomo “senza qualità”. L’uomo prende il volto della sua vocazione, della sua scelta di vita. Perciò il vangelo mette sulla bocca del giovane ricco la domanda delle domande: Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna? 85 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 86 Infine, l’identità ha una dimensione narrativa: per scegliere e decidersi bisogna interpretare il senso contenuto nelle forme della vita trasmesse, perché in modo critico e creativo ciascuno si disponga dinanzi alla verità dell’esistenza, possa costruire il suo percorso di vita buona. Basterà qui citare lo stupendo passo del discorso ai Vescovi riportato al n. 13, dove Benedetto XVI dice con estrema limpidità tutto questo: «Educare è formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio». Semplicemente perfetto. 4. Racconti di vangelo: come venire a Gesù. Siamo approdati a comprendere a che condizioni il mistero dell’uomo vere clarescit incontrando il mistero di Cristo. Non si tratta solo di illuminazione, ma d’incontro, di un avvenimento disteso nel tempo, in cui uomini e donne “vanno da” Gesù. Il Vangelo è il racconto sorprendente di questi incontri dove, andando da Gesù, le donne e gli uomini ritrovano se stessi. Ma possono incontrare veramente Lui, e non solo la risposta ai loro bisogni, se entrano nel campo gravitazionale del Padre suo (“nessuno viene a me se il Padre non lo attira”). Gesù è la vita dell’uomo perché è il rivelatore del Padre, perchè è in persona la vita di Dio donata. Ma Gesù è la Parola del Dio invisibile – e troppo poco riflettiamo su questo – in quanto “Figlio”: per un verso, ciò si riferisce alla universale esperienza dell’essere figli, dell’essere generati, per l’altro verso, Gesù è il Figlio unico generato (Unigenito). La sua singolarità filiale è la verità dell’universale esperienza dei figli di Adamo, ne gua86 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 87 risce le distorsioni e le malattie, ne alimenta la promessa e la chiamata. Dice la lettera agli Ebrei: “pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza delle cose che patí”. Il vangelo è la storia narrata di questo cammino “filiale”, che impara – Lui che è il Figlio Unigenito – dalle cose che patisce. Gesù apre i linguaggi imparati a Nazaret e in Galilea in trenta interminabili anni di silenzio e umiltà (da humus, cioè di immersione nella vita degli uomini), perché in soli tre anni esplodano a dire il mistero di Dio (“il Regno dei cieli è simile a…”). Già fin dall’inizio del suo ministero, Gesù richiama come antidoto a ogni tentazione il passo del Deuteronomio citato sopra: «non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore»: l’uomo non vive solo di bisogni, ma ha fame di parola e di senso. Per andare da Gesù occorre nutrire i propri bisogni, alimentandoli con la parola viva che zampilla dalla bocca di Dio. Tutti cercano Gesù per essere guariti, saziati, dissetati, risanati, liberati dal male ma, mentre li guarisce, Gesù suggerisce la fame e la sete di un altro pane e di un’altra acqua che sfama e disseta l’uomo come essere capace di relazione e di vita buona. L’uomo non può vivere solo di una vita soddisfatta, egli cerca di raggiungere una vita buona condivisa. Una vita piena di cose, ma povera di legami e di significati, è come una casa affollata di beni, che però non ha il calore dell’amicizia e dell’amore. L’educazione trova così nei racconti del Vangelo una costellazione di segni di vita buona che assume, purifica e trasforma la vita ferita e divisa. Alla scuola del Vangelo, Gesù educa i suoi discepoli e come il Pastore buono li conduce attraverso la porta della vita. La narrazione evangelica contiene la trama di infiniti incontri con Gesù, di molte porte d’accesso a Lui, di identità negate e ritrovate, ferite e risanate, malate e trasformate, marginalizzate e riaccolte, perdute e ritrovate. Lasciamoci condurre dal vangelo, per incontrare Gesù maestro, medico, amico, redentore. 87 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 88 Nel testo del secondo capitolo degli Orientamenti per il prossimo decennio troviamo un percorso esemplare per l’incontro con Cristo, un incontro che nutre la fame di vita del suo popolo (nn. 17-18), che porta a compimento la pedagogia esemplare di Dio dell’AT (n. 19) e che si rinnova nella Chiesa discepola, madre e maestra (nn. 20-21). L’incontro con Cristo ha un carattere “spirituale”, cioè plasma un’esistenza nello Spirito, che fa della vita umana un “culto spirituale” gradito a Dio (n. 22). La punta dell’educare disegna una esperienza vocazionale della vita (n. 23), in un tempo, come dicevamo sopra, dove la costruzione dell’identità si è sfuocata e viene continuamente rinviata. Della vocazione vengono indicate anche le armoniche (n. 24), perché essa assuma fin dall’inizio una tonalità ecclesiale, missionaria e sociale. Come si vede, il capitolo centrale degli Orientamenti, disegna quasi un canovaccio a disposizione delle comunità cristiane, degli educatori e di tutte le persone di buona volontà, perché si realizzi nel processo educativo il sorprendente scambio con cui il mistero di Cristo fa percorre a tutti il cammino filiale e spirituale. Perché la scommessa dell’educazione sta qui tutta: costruire credenti cristiani con un forte tratto spirituale e con una tenace responsabilità sociale. Credenti che, come testimonia la storia dell’Occidente, hanno cambiato il volto della storia, donne e uomini che non hanno temuto di aprire le porte a Cristo, perché il suo modo di essere verità dell’uomo e vita del mondo è quello di liberarne il cuore e la mente, le mani e il gesto. 5. Livelli antropologici dell’intervento educativo. Concludo sulle attenzioni educative da coltivare a partire dall’attuale situazione della popolazione giovanile che questo tempo ci presenta: mi sembra un aspetto che esigerebbe una riflessione sulla condizione giovani88 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 89 le attuale e sulla sue caratteristiche emergenti. In altri luoghi ho tentato questo tipo di lettura1, ma qui mi sembra più fruttuoso fare un piccolo cenno sintetico ai livelli antropologici dell’intervento educativo. – livello psicologico: riguarda la prima modalità della coscienza del “sentirsi” del soggetto, la modalità propriamente affettiva. E’ abbastanza chiaro come questo livello influisca su quello che chiamiamo l’interesse e conseguentemente la volontà nel rapporto educativo. Qui bisogna evitare – a mio giudizio – almeno gli estremi: quello di chi si lascia irretire nella relazione immediata e affettivamente calda, senza uscire dal circolo vizioso che essa tende a creare, quando non viene purificata, elaborata, fatta crescere e maturare; e quello di chi la censura, pensando così di sottoporre il minore a una specie di intervento-shock, per fargli comprendere subito fin dall’inizio che la bontà della proposta non dipende dalla intensità del canale di comunicazione. La relazione matura consiste in un andirivieni tra il punto di partenza del soggetto e la proposta obbiettiva offerta; il suo criterio più certo è quello di far convergere su un disegno/progetto, che consiste nella trasmissione delle forme della vita buona (cristiana). – livello culturale: è quello che introduce al sistema delle rappresentazioni oggettive con cui il soggetto articola la sua posizione nel mondo, nel gruppo e nella società civile e si abilita a una crescente capacità di esprimersi consapevolmente e liberamente con quella strumentazione. È il livello specifico di intervento dell’insegnante. La vera difficoltà di questo livello dell’intervento educativo consiste nel superare un’interpreta- F.G. BRAMBILLA, “Linee teologiche per la pastorale giovanile”, Educare i giovani alla fede, Milano, Ancora, 1990, 99-141. 1 89 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 90 zione esclusivamente materiale della trasmissione del sapere. Il sapere in ogni sua forma è un linguaggio che serve per comunicare e per decidersi per un progetto comune, nel quale ciascuno alla fine decide di sé. Il sapere non ha a che fare solo con la scienza, ma anche con la coscienza di sé: ma questo non è qualcosa che fa meno scientifico il sapere, ma lo colloca dentro un’esperienza sapienziale della conoscenza. L’uomo colto non è quello che sa di più, ma è quello che ha imparato molti linguaggi per comprendere la vita e per dirsi di fronte al mistero dell’esistenza. – livello etico-religioso: è il livello dove avviene la disposizione libera del soggetto di fronte alle istanze supreme della vita, dove esso si determina come risposta al bene, cioè come vocazione. La trasmissione del sapere non è solo trasmissione di cose da conoscere, ma è abilitazione a una capacità a comunicare e a comunicarsi e quindi a scegliere e a donarsi. Per questo anche l’insegnante e l’educatore partecipano all’affascinante avventura con cui ciascuno risponde di sì al carattere buono e promettente della vita. E questi molti la chiamano scelta di vita, il codice religioso la chiama vocazione, in ogni caso significa identità personale e sociale della persona, il bene più grande che possiamo trasmettere! 90 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 91 Biografia Franco Giulio Brambilla Nato a Missaglia (LC) il 30.06.1949, è prete della diocesi di Milano. Ordinato sacerdote il 07.06.1975, ha perfezionato i suoi studi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, prima ottenendo la Licenza (1977) e poi conseguendo nel 1985 la Laurea con un lavoro su La cristologia di Schillebeeckx. È professore ordinario presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e da settembre 2006 è stato nominato Preside della stessa Facoltà Teologica. Il 23 settembre 2007 è stato ordinato Vescovo Ausiliare della Arcidiocesi di Milano e ricopre l’incarico di Vicario Episcopale per il Settore Cultura. Principali pubblicazioni dell’Autore: La cristologia di E. Schillebeeckx, La singolarità di Gesù come problema di ermeneutica teologica (1989). Cristo Pasqua del cristiano (1991); Il Crocifisso risorto. Risurrezione di Gesù e fede dei discepoli (1998). Esercizi di cristianesimo (2000); Alla ricerca di Gesù (2001). E. Schillebeeckx (2001); La parrocchia oggi e domani (2003); Chi è Gesù? Alla ricerca del Volto (2004). Antropologia teologica. Chi è l’uomo perché te ne curi? (2005); Cinque dialoghi su matrimonio e famiglia (2006). 91 Libro Gazzada 5-2011 92 16-06-2011 12:18 Pagina 92 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 93 ADERENTI ALLA ASSOCIAZIONE PER LO SVILUPPO DEGLI STUDI DI BANCA E DI BORSA Alba Leasing S.p.A. Allianz Bank Financial Advisors, S.p.A. Asset Banca S.p.A. Associazione Nazionale per le Banche Popolari Banca Agricola Commerciale della Repubblica di San Marino Banca Agricola Popolare di Ragusa Banca Aletti & C. S.p.A. Banca di Bologna Banca della Campania S.p.A. Banca Carige S.p.A. Banca Carime S.p.A. Banca Cassa di Risparmio di Asti S.p.A. Banca CR Firenze S.p.A. Banca Fideuram S.p.A. Banca del Fucino Banca di Imola S.p.A. Banca per il Leasing - Italease S.p.A. Banca di Legnano S.p.A. Banca delle Marche S.p.A. Banca Mediolanum S.p.A. Banca del Monte di Parma S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. Banca della Nuova Terra S.p.A. Banca di Piacenza Banca del Piemonte S.p.A. Banca Popolare dell’Alto Adige Banca Popolare di Ancona S.p.A. Banca Popolare di Bari Banca Popolare di Bergamo S.p.A. Banca Popolare di Cividale Banca Popolare Commercio e Industria S.p.A. Banca Popolare dell’Emilia Romagna Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio Banca Popolare di Lodi S.p.A. Banca Popolare di Marostica Banca Popolare del Mezzogiorno S.p.A. Banca Popolare di Milano Banca Popolare di Novara S.p.A. Banca Popolare di Puglia e Basilicata Banca Popolare Pugliese Banca Popolare di Ravenna S.p.A. Banca Popolare di Sondrio Banca Popolare di Spoleto S.p.A. Banca Popolare Valconca S.p.A Banca Popolare di Verona - S. Geminiano e S. Prospero S.p.A. Banca Popolare di Vicenza Banca Regionale Europea S.p.A. Banca di San Marino Banca di Sassari S.p.A. Banca Sella S.p.A. Banco di Brescia S.p.A. Banco di Desio e della Brianza Banco di Napoli S.p.A. 93 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 94 Banco Popolare Scpa Banco di San Giorgio S.p.A. Banco di Sardegna S.p.A. Barclays Bank Plc Carichieti S.p.A. Carifermo S.p.A. Cariromagna S.p.A. Cassa Lombarda S.p.A. Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A. Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. Cassa di Risparmio di Cento S.p.A. Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A. Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A. Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A. Cassa di Risparmio Friuli Venezia Giulia S.p.A. Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A. Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A. Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A. Cassa di Risparmio della Repubblica di S. Marino Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A. Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. Cassa di Risparmio di Savona S.p.A. Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A. Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A. Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A. Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A. Cedacri S.p.A. Centrobanca S.p.A. Cerved Group S.p.A Credito Artigiano S.p.A. Credito Bergamasco S.p.A. Credito Emiliano S.p.A. Credito del Lazio S.p.A. Credito Siciliano S.p.A. Credito Valtellinese CSE - Consorzio Servizi Bancari Deutsche Bank S.p.A. Eticredito Banca Etica Adriatica Euro Commercial Bank S.p.A. Federazione Lombarda Banche di Credito Cooperativo Federcasse Intesa SanPaolo S.p.A. Istituto Centrale Banche Popolari Italiane Mediocredito Trentino Alto Adige S.p.A. Pravex Bank PJSCCB SEC Servizi Scpa SIA-SSB S.p.A. UBI Banca Scpa UBI Banca Private Investment S.p.A. UBI Pramerica SGR S.p.A. UGF Banca S.p.A. Unicredit Banca S.p.A. Unicredit Credit Management Bank S.p.A. Unicredito Italiano S.p.A. Unione Fiduciaria S.p.A. Veneto Banca Holding Scpa 94 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 95 Amici dell’Associazione Arca SGR S.p.A. Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno Centro Factoring S.p.A. Finsibi S.p.A. Fondazione Cassa di Risparmio di Biella S.p.A. 95 Libro Gazzada 5-2011 16-06-2011 12:18 Pagina 96 Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si può rivolgere alla Segreteria dell’Associazione - tel. 02/62.755.252 - E-mail: [email protected] - sito web: www.assbb.it Stampato da Grafica Briantea Srl - Usmate (MI) Giugno 2011 96