GIANNI AMBROSIO
La politica ha
bisogno della
misericordia
Lo scorso settembre il Consiglio delle conferenze
episcopali euro- pee (CCEE) ha organizzato a Sarajevo
un incontro dedicato all’ur- genza e all’attualità delle
opere di misericordia nel nostro continente. Mons.
Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e membro
della Direzione della Rivista, è intervenuto sul tema
della misericordia come sfida politica, alla luce del
Francesco
e
sullo
sfondo
dell’involuzione individualista della cultura occidentale
post- moderna che tende a oscurare la realtà della
societas. L’invito di papa Francesco a riconoscere e a
far valere l’istanza della misericordia nell’agire politico
è rivolto a tutti coloro che hanno a cuore il bene
dell’umanità e che sono consapevoli della necessità di
ritrovare, nel mondo multipolare, lo slancio di un nuovo
umanesimo fertile e vita- le. Esso risuona come appello
a sviluppare tre ‘abilità’ – «la capacità di integrare, la
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papa
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di
La Rivista del Clero Italiano
magistero
capacità di dialogare e la capacità di generare» – considerate strategiche per avviare una nuova stagione
politica.
Nella riflessione proposta da papa Francesco l’11 gennaio 2016 in
occasione del suo incontro con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, troviamo una particolare attenzione al rapporto tra la
misericordia e l’azione diplomatica e politica. Di fronte alle complesse
situazioni di crisi e di forti tensioni, il papa ricorda che «la sfida che
più di ogni altra ci attende è però quella di vincere l’indifferenza per
costruire insieme la pace, la quale rimane un bene da perseguire sempre»1. La misericordia vince l’indifferenza: è il leitmotiv del pensiero
di papa Bergoglio. Anche l’agire politico deve avere come ‘filo condut-
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La Rivista del Clero Italiano
tore’ la misericordia, così come «la misericordia è stata come il “filo
conduttore” che ha guidato i viaggi apostolici già nel corso dell’anno
passato».
Questa riflessione rivolta ai diplomatici è stata approfondita da A.
Spadaro, direttore della rivista «Civiltà Cattolica»2. Egli si domanda:
«In che senso, dunque, si può affermare che la misericordia ha un
valore politico? In che modo essa va intesa come una forma dell’agire
politico e diplomatico?». Sviluppando il pensiero del papa, Spadaro
evidenzia come la misericordia sia considerata e proposta come una
categoria politica che, vincendo l’indifferenza, favorisce e promuove il
dialogo, la riconciliazione, la giustizia e il bene comune.
Tenendo presente questa riflessione che descrive e approfondisce
«i tratti di valenza diplomatica e politica della misericordia», presento alcuni spunti di riflessione sulle sfide dell’attuale scenario sociopolitico e culturale. Sullo sfondo della riflessione di papa Francesco
sulla valenza politica della misericordia, vi è, infatti, la marcata preoccupazione per l’attuale realtà socio-politica. Questa situazione interpella i politici (e non solo) perché comprendano la necessità della
misericordia come condizione per affrontare le odierne sfide: venire
incontro all’esigenza di pace, di giustizia e di solidarietà in una realtà
complessa, accogliere le differenze come risorsa in una realtà plurale,
far crescere persone capaci, a ogni livello, di decidere in favore della
libertà, della dignità e del bene comune.
La strategia della misericordia
Gianni
Ambrosio
I diversi accenti di novità di papa Francesco rispetto alla Dottrina
sociale della Chiesa sono ben evidenti nell’approfondimento di alcune tematiche e nell’indicazione di nuove prospettive. Troviamo
queste novità soprattutto nel capitolo IV dell’Evangelii Gaudium e
nella Laudato si’, con il particolare risalto alla scelta preferenziale per
i poveri, al bene comune intergenerazionale, all’impegno per la cura
della nostra «casa comune». Gli aspetti di novità riguardano anche il
modo di riflettere, di argomentare e di coinvolgere, con un’apertura spirituale e culturale rispetto alle persone e alle sfide odierne, con
un marcato intreccio tra la dimensione personale e quella politica, tra
la pace del cuore e la pace sociale, tra l’impegno spirituale e quello
pubblico. Le periferie, la sofferenza dei poveri, la crisi umanitaria in21
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terpellano tutti: per questo il messaggio di Francesco richiama tutti
alla necessità di andare incontro alle persone nella loro sofferenza, di
favorire il bene comune, la pace e la solidarietà. Tutti sono chiamati
a diventare più consapevoli del momento particolare che stiamo attraversando: occorre un deciso impegno per superare la crisi morale,
culturale ed economica che accresce le disuguaglianze, genera sfiducia
e rassegnazione, alimenta l’indifferenza, suscita la protesta populista e
xenofoba. La precarietà della vita e le tensioni tra i «centri» e le «periferie» provocano una conflittualità che coinvolge drammaticamente
cittadini e gruppi sociali.
Da qui l’esigenza di mettere in forte risalto la strategia della misericordia e del perdono sia nei rapporti personali sia nei rapporti politici
e nelle stesse relazioni tra gli Stati. Già Giovanni Paolo II, in particolare dopo l’attacco terroristico negli Stati Uniti, aveva affermato che
non c’è giustizia senza perdono e che la capacità di riconciliazione sta
alla base di ogni progetto di una società giusta e solidale. Francesco si
pone nella stessa direzione per avviare concreti processi di riconciliazione, convinto che la spirale della violenza può essere scongiurata da
una politica ispirata dalla misericordia, capace di conferire un significato più autentico alla giustizia. Non per sostituire la giustizia o cancellarla, ma per riempirla di umanità e di speranza, in vista di relazioni
buone fra le persone e fra le stesse nazioni3.
«La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi
la dà e chi la riceve»4. Questa frase di Shakespeare, citata da papa
Francesco nel Messaggio per la 50ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (24.1.2016), rende omaggio all’eminente drammaturgo
nella ricorrenza dei 400 anni dalla sua morte. L’affermazione del poeta inglese costituisce in se stessa – e, ancor più, nelle intenzioni di
Francesco – un invito a considerare il risvolto culturale, sociale e politico della misericordia. Per i comunicatori di oggi – con lo sviluppo
della tecnologia informatica, la comunicazione è globale e universale –,
tener presente la saggezza del grande ‘comunicatore’ inglese, vuol dire
riconoscere che tutti siamo bisognosi di misericordia, da accogliere
in primo luogo e poi da praticare nella vita quotidiana. Ogni ambito
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La politica ha bisogno della
misericordia
La doppia benedizione
La Rivista del Clero Italiano
della vita, ogni interazione sociale, ogni professione, ogni persona ha
bisogno di riconoscere che la misericordia è una doppia benedizione.
Questa è la grande ‘forza’ della misericordia: coinvolge tutti e va a beneficio di tutti, dona fiducia, genera la vita, accresce la libertà per tutti.
Come tutta la terra ha bisogno del refrigerio della pioggia, così la nostra vita, in ogni suo ambito e contesto, ha bisogno di misericordia per
non diventare vita arida, secca, incapace di generare e di portare frutto.
Anche «il linguaggio della politica e della diplomazia» deve essere
ispirato «dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto», afferma il
papa. Il mondo odierno, «diviso, frammentato, polarizzato», esige la
misericordia per «contribuire alla buona, libera e solidale prossimità
tra i figli di Dio e fratelli in umanità». Coinvolti nel dinamismo della
misericordia, si diventa capaci di vivere insieme, in grado cioè di vedere e di ascoltare l’altro, capaci di accogliere e di donare. Questo è
richiesto a tutti, perché è l’atteggiamento giusto che ci fa diventare cittadini responsabili che escono dalla condizione di spettatori, di utenti,
di consumatori. Si condividono domande e dubbi, gioie e sofferenze,
si cammina fianco a fianco, senza presunzione e senza prepotenza,
mettendo le nostre capacità e le nostre decisioni al servizio del bene
comune.
L’audacia creativa
Gianni
Ambrosio
L’odierna situazione sociale e politica – a livello regionale, nazionale e
internazionale – richiede la capacità di osare: è necessaria l’«audacia
creativa» che la misericordia è in grado di offrire. Il mondo globalizzato e fortemente in movimento, ove regnano la paura, l’insicurezza e l’incertezza del futuro, esige un dinamismo propulsivo. La forza
creativa della misericordia osa sperare andando oltre ciò che sembra
impensabile: da qui deriva la sapienza diplomatica che sa offrire i
cammini per arrivare a ciò che sembra irrealizzabile, come pure deriva l’atteggiamento pedagogico che stimola la libertà e favorisce l’incontro. Queste caratteristiche emergono come fondamentali non solo
nei rapporti interpersonali, ma anche nei rapporti tra nazioni, popoli
e Stati. La misericordia apre infatti la porta alla speranza rispetto a
ogni situazione bloccata, non pone riserve o condizioni previe, semina
parole e gesti che smuovono il cuore e la mente.
La creatività è chiesta in particolare a coloro che hanno responsabi20
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lità politiche. I tempi che viviamo esigono una capacità innovativa che
va oltre la semplice e quotidiana ripetizione di schemi, di formule e di
pratiche tradizionali. L’audacia creativa della misericordia è il fattore
dinamico e costruttivo della riconciliazione, della pace, della giustizia.
Già nel modo di pensare e di riflettere occorre introdurre lo sguardo misericordioso: si tratta infatti di ‘vedere’ in modo nuovo le questioni cruciali come le povertà, i rifugiati, la globalizzazione selvaggia,
la cura per l’ambiente. La misericordia sfida la politica perché cerchi
e trovi soluzioni più innovative, superando formule logore e schemi
di dubbia efficacia. Se oggi appare a tutti necessario favorire un cammino nuovo verso la coesione e la pace, occorre anzi tutto riconoscere
che nessuno è mai perso in modo definitivo e che ogni difficoltà può
trovare una qualche soluzione. La misericordia, per la sua costante
fiducia, evita ogni visione rassegnata e determinista e introduce l’inaspettato nel flusso di una vita politica altrimenti prigioniera della
ripetitività, dell’inerzia o degli slogan.
Per evidenziare l’esigenza di un cambiamento innovativo di una realtà
società diventata poco incline a considerare e a valorizzare ciò che è
umano, può essere utile partire dalla famosa affermazione di Aristotele:
«l’uomo è per natura un animale politico». L’uomo è zòon politikòn,
anzi è zòon lògon echòn, dotato e capace di parola. Una parola che
consente di comunicare non solo ciò che è utile e ciò che è nocivo, ma
anche ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. È proprio dell’uomo avere
la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e avere la
possibilità di comunicare e trasmettere questa percezione. Questa visione antropologica e politica ha segnato profondamente la storia del
pensiero filosofico e socio-politico occidentale.
Uomo, natura, animale, politico, parola, comunicazione: in una
sola concisa formulazione si condensano e si intrecciano aspetti decisivi della realtà umana. L’uomo è legato alla polis, anzi solo l’uomo
è polis, strettamente congiunto con la vita comunitaria, costruttore
della vita sociale nella forma tipica della polis. L’uomo è l’animale politico capace di amicizia civica e bisognoso di mettere in comune con
gli altri conoscenze, capacità, tecniche, lavoro. Così la vita associata
diventa vita civile, sociale, politica.
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La politica ha bisogno della
misericordia
L’uomo e la ‘societas’
La Rivista del Clero Italiano
Quando il frate fiammingo Guglielmo di Moerbeke, domenicano,
nella seconda metà del Duecento, tradusse la Politica di Aristotele, usò
l’espressione «animale civile», in quanto aveva in mente la civitas del
suo tempo. Sulla stessa linea si colloca Tommaso d’Aquino, il quale,
tuttavia, ritiene che la nozione di uomo politico presenti un doppio
livello: l’uomo è «animale sociale e politico». La prima dimensione è
data dalla naturale socialità umana, mentre la seconda è attuata dalla concreta costruzione politica. Nella polis gli uomini diventano più
umani e fanno fiorire la civiltà, l’arte, il pensiero. È nella polis che gli
uomini e le donne accrescono la loro soggettività e la intrecciano con
la vita comune, dando origine alle istituzioni necessarie per ordinare
e promuovere la vita democrazia, vincendo la tentazione sempre
incombente della barbarie.
L’oblio della ‘societas’
Gianni
Ambrosio
L’epoca post-moderna ha abbandonato questa visione socio-antropologica dell’uomo. «Non esiste una cosa come la società: there is no
such thing as society», la famosa affermazione di Margaret Thatcher,
primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, riassume con una
pragmatica battuta l’orientamento che viene da lontano, ma che si è
affermato negli ultimi decenni come drastica rottura rispetto sia alla
visione classica sia alla stessa visione espressa dalla modernità individualista. Nella cosiddetta post-modernità, si impone l’orientamento
espresso dalla Thatcher soprattutto a livello di prassi, coinvolgendo
naturalmente, anche se in parte, il livello di idee politiche e filosofiche. La società è stata una parola chiave nel corso dei secoli. Non era
un concetto generico, ma una ‘cosa’ precisa che indicava gli assetti
territorialmente definiti e stabilizzati che coincidevano con le istituzioni politiche delle democrazie nazionali, relativamente coese. Anche
i mondi culturali, decisamente stabili, erano facilmente identificabili.
Possiamo dire che la coincidenza di alcuni fattori, come il territorio, la
lingua, la politica, la cultura e l’economia, assicurava la convinzione di
vivere in una precisa e particolare società. Poco alla volta, questa coincidenza si affievolisce ed emerge con forza l’affermazione dell’individuo. Fino ad arrivare al prevalere del lato ‘oscuro’ dell’autoaffermazione, che causa la crisi degli assetti interni della modernità societaria:
«il lato oscuro dell’individualismo è il suo incentrarsi sull’io, che a un
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La tristezza individualista
Forse ad alcuni possono apparire drastiche alcune affermazioni di
papa Francesco sull’indifferenza, sull’individualismo, sull’egoismo
del nostro tempo, magari pensando a suggestioni dovute alla sua
provenienza latino-americana o a prospettive moralistiche. Se la sua
sensibilità spirituale e culturale non è di certo negata ma semmai valorizzata – in particolare lo sguardo sul mondo visto dalle periferie, le
conseguenze dell’ingiustizia considerate concretamente partendo dai
poveri –, la sua critica rivolta all’individualismo soprattutto occidentale è uno stimolo rivolto alla politica e alla cultura, un pressante invito
a riconoscere la necessità di un punto di vista più creativo, più ampio,
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La politica ha bisogno della
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tempo appiattisce e restringe le nostre vite, ne impoverisce il significato, e le allontana dall’interesse per gli altri e la società»5.
Nei processi in corso, la socio-cultura occidentale postmoderna
tende a dimenticare la realtà della societas. L’attenzione quasi esclusiva
all’individuo lascia da parte il prossimo, ignora lo spirito civico, dimentica il bene comune6. Anzi, spesso non solo dimentica o ignora,
ma arriva quasi a negare il fatto che, per le persone umane, «vivere»
significa «vivere inter homines», stando cioè tra e con gli uomini, dentro le relazioni umane7.
Sono diversi gli osservatori dell’odierna realtà sociale, soprattutto
occidentale, che esaminano le diverse conseguenze dell’individualismo. Basti citare, per esempio, le vaste analisi di Zygmunt Bauman8.
Un altro studioso, Marcel Gauchet, non esita ad affermare: «Viviamo
in una società in cui si ammette che gli individui hanno una precedenza assoluta, che all’inizio della storia c’erano solo individui e che perciò non si può pensare a una loro coesistenza solidale. Come pensare
ciò che li unisce, ciò che devono fare insieme, ciò che devono sperare
insieme?»9. Per usare il neologismo introdotto dall’antropologo Marc
Augé, possiamo dire che la stessa società tende a configurarsi come
un «non-luogo», diventando una sorta di vuoto che si riempie di molte cose, uno spazio ove si transita ma non si abita, senza un legame
né impegno10. Così l’esistenza si caratterizza per la fatica di essere se
stessi11, dispersi e frammentati in compiti e in ambiti diversi, con un’agenda ripiena del cosiddetto multitasking (multiprogrammazione) ma
svuotata di umanità.
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più attento alla vita quotidiana e alle situazioni di disagio di molte
persone. «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice
ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che
scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri
superficiali, dalla coscienza isolata» (Evangelii gaudium, n. 2). Senza
una visione dell’uomo come essere in relazione e senza un contesto
relazionale in cui prende forma il bene comune, non si cammina verso
l’umanizzazione, ma si perseguono solo interessi individuali ed egoismi competitivi. Ciò crea ingiustizia, disuguaglianza e, di conseguenza, conflitto e violenza. In una parola, tutto ciò causa processi che
destabilizzano la società e snaturano la vita: «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo
sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli
familiari», scrive Francesco in Evangelii gaudium (n. 67).
Bisogna dunque guardare dal punto di vista della vita concreta delle persone che soffrono: già questo è, per Francesco, il primo passo
che la politica deve compiere. Con lo sguardo della misericordia, la
politica diventa più creativa, più umana e più libera: «Se la politica
dev’essere veramente al servizio della persona – ha ribadito ai membri del Congresso degli Stati Uniti d’America – ne consegue che non
può essere sottomessa al servizio dell’economia e delle finanze». Per
questo è necessaria una visione ampia e innovativa, «con una maggior
attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine
a nuovi conflitti». Ma è doveroso constatare che «i disegni politici
spesso non hanno questa ampiezza di vedute» (Laudato si’, n. 57).
La friabilità psico-culturale
Gianni
Ambrosio
Papa Francesco, con la sua attenzione a chi soffre, non considera solo
le ripercussioni sociali ed economiche dell’individualismo che rende
difficile (o impossibile) «pensare-fare-sperare insieme», ma tiene conto anche dei drammatici risvolti psicologici e culturali del vivere senza
legami sociali in una società indifferente ed estranea. Alcuni spunti
del suo pensiero possono trovare una documentazione molto pertinente in Catherine Ternynck, che, nella sua professione e nell’esperienza pluridecennale di psicanalista, mette in luce le conseguenze del
pensiero e della prassi individualista12. Questa studiosa ritiene che,
soprattutto a partire dagli anni Settanta, la tendenza individualista ar20
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rivi a un’esasperazione tale da affermare che l’uomo è artefice di se
stesso, guidato solo dalle proprie scelte. Emergono così le drammatiche fragilità ormai molto diffuse, causate dall’imperativo all’autodeterminazione a tutti i costi. A livello sociale, culturale ed economico si
tende a negare la relazione, il legame, la regola. L’individuo si ritrova
disorientato e incerto, solitario e fragile. La sua stessa ‘consistenza’
sarebbe ormai in discussione, come testimoniano le nuove ansie e le
inedite forme depressive, ben note a psichiatri, psicanalisti, medici, a
chiunque ascolta la sofferenza umana. Queste forme di disagio non riguardano solo la precarietà sociale o l’incertezza del futuro o le vere e
proprie patologie psicologiche che sempre hanno segnato la vita delle
persone.
Per Ternynck è l’humus (da cui homo e humanitas) che si è impoverito, quasi svuotato, proprio per il venir meno delle relazioni, dei
legami, della responsabilità: la ‘terra’ su cui poggiamo è divenuta friabile, inconsistente. Con questo humus povero e inconsistente, l’uomo
stesso diventa ‘di sabbia’, incerto, fragile, dubbioso, stanco. È un
uomo friabile che fatica a portare la sua vita. Chiede conforto, riconoscimento e rassicurazione, ma non sa a chi rivolgere questa domanda,
perché la sua autonomia e il suo individualismo hanno generato la crisi di legittimazione di ogni autorità, di ogni legame. L’Io postmoderno, con il rifiuto dell’autorità, della famiglia, delle istituzioni, non ha
alcuna sicurezza e si scopre ansioso e vuoto. È preoccupato della propria autorealizzazione, ma l’autorealizzazione è sempre precaria nella
società che U. Beck ha definito «società del rischio»13. L’individuo è
orfano e in continua ricerca di sé, non riesce a immaginarsi dentro una
vita condivisa che gli assicuri accoglienza e appartenenza. D’altronde
la crisi della politica e delle diverse istituzioni rappresentative lascia
spazio alla visione pragmatica e utilitaristica, per cui i processi economico-finanziari diventano il fondamento della società e ciò che è utile
al consumo e alla gratificazione immediata diventa la ragion d’essere
di ogni individuo che persegue il proprio interesse.
Forse l’analisi della Ternynck può essere sintetizzata nell’immagine di un uomo che si sente orfano e che è in cerca di un padre.
Tuttavia non può trovarlo, anche perché non sa e non vuole riconoscerlo. Meritano di essere riportate alcune delle immagini che troviamo disseminate nel libro di Ternynck e che meritano di essere valutate
con attenzione: «Il cielo era troppo basso, il mondo troppo stretto.
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Sognavamo grandi spazi, una fraternità senza padre, un’educazione
senza maestro, una terra senza memoria. Saremmo stati artefici delle
nostre vite, costruttori, capimastri. Io sono l’uomo di questo disincanto. Mi scopro inquieto. Stanco di dovermi portare. Imparo che il
vuoto pesa. Da tempo guardavo il mondo ingombro. Le borse piene,
gli appetiti saziati, le carni e le cose ammucchiate. Sono inquieto. Da
ogni parte il mercato guadagna e il deserto cresce. La materia non la
finirà più di cadere sullo spirito».
Le crisi geo-politiche
Gianni
Ambrosio
A questa lettura psico-sociale, che penetra nei luoghi esistenziali deteriorati dall’individualismo, sarebbe opportuno aggiungere un’analisi
della complessità politica contemporanea. È evidente la crisi geo-politica odierna, spesso paralizzata e inchiodata al passato. La traiettoria dei diversi viaggi di papa Bergoglio mostra la sua attenzione ai
molti luoghi in cui è necessaria la misericordia: «La misericordia è
stata come il “filo conduttore” che ha guidato i miei viaggi apostolici già nel corso dell’anno passato», ha affermato (Discorso al Corpo
diplomatico, 11.1.2016). Rivela così non solo tutta la sua preoccupazione ma anche la sua volontà di suscitare risposte e «guarigioni» là
ove si combatte la «terza guerra mondiale a pezzi». Per fermare questa guerra mondiale, di cui egli parla con insistenza, l’unica via è «la
pace mondiale a pezzi», da ricercare da parte dei leader politici aiutati
dalle autorità religiose, dagli uomini e dalle donne di buona volontà.
Questa via, anche se percorsa con piccoli passi, anche se spesso deve
limitarsi a gesti significativi, deve essere intrapresa con audacia per
non arrendersi all’indifferenza e alla rassegnazione. La nostra risposta
alla crisi, ha detto Francesco al Congresso degli Stati Uniti d’America, «dev’essere una risposta di speranza e di guarigione, di pace e di
giustizia. Ci è chiesto di fare appello al coraggio e all’intelligenza per
risolvere le molte crisi economiche e geo-politiche di oggi».
Lasciando agli specialisti l’analisi della complessa fenomenologia
socio-politica odierna, non si può non accennare alla sfiducia nei
confronti della politica e allo smarrimento dell’establishment politico. Aumentano i conflitti e le tensioni in molte aree del mondo, diversi
Paesi sono quasi nel baratro, a un passo dal default e dalla guerra
civile, diminuisce la capacità delle leadership tradizionali di guidare
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il cambiamento e di favorire l’incontro e la pace. D’altra parte cresce
una visione della politica spesso intesa e vissuta come questione di
emozioni e di proclami e non di policy. Comunque, al di là della capacità o della inadeguatezza delle leadership, la congiuntura politica appare segnata dalla diffusa sfiducia nei confronti delle varie istituzioni
politiche e di chi le rappresenta.
Di fronte alle conseguenze negative della globalizzazione, al massiccio fenomeno delle migrazioni, al potere della tecno-scienza e delle
lobby finanziarie, appare necessaria una svolta politico-culturale. Solo
con sguardo nuovo e lungimirante, con un deciso impegno etico e con
il coraggio di avviare processi di pacificazione e di collaborazione, si
possono porre le condizioni per tenere insieme società culturalmente
eterogenee, segnate da squilibri demografici e economici profondi e
da un attivismo di movimenti e gruppi di varia natura che si affacciano
in modo tumultuoso sullo scacchiere politico.
La misericordia è come il refrigerio della pioggia sulla terra, afferma
Shakespeare. Di questo refrigerio ha bisogno l’uomo e la civitas umana.
Chi si lascia guidare dalla misericordia vede e ascolta il profondo
disagio di persone e popoli, cura le ferite dei poveri, avvia processi di
inclusione e di riconciliazione, genera dinamiche nuove. Ecco la sfida
alla politica perché faccia fronte con creatività e audacia all’attuale
situazione, ricuperi la sua dignità di essere al servizio e favorisca la
cultura dell’incontro. Nelle trasformazioni e nei sommovimenti sociali
in atto, la dinamica della misericordia smonta la rischiosa tendenza
alla polarizzazione e favorisce il ricupero, con «il pensiero aperto», di
una visione condivisa su valori profondamente umani.
L’aforisma di Shakespeare ricorda, con ragione, che la misericordia
non è un obbligo. Tuttavia verrebbe da dire che, oggi in particolare,
la misericordia è un dovere di tutti, perché genera vita in ogni ambito
e in ogni relazione14. Certamente la misericordia è un dono: «scende dal cielo», dice il poeta inglese. È Dio misericordioso, ci ricorda
papa Francesco, che dona questo refrigerio, un dono da accogliere
con grande responsabilità e con l’impegno serio di donare gesti di
misericordia, gesti che generano vita personale e collettiva. «Scende
dal cielo» e arriva sulla terra: tutta l’umanità ne beneficia. Il refrigerio
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La politica ha bisogno della
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Il refrigerio della misericordia
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donato a tutti diventa l’impegno di tutti. Con il suo dinamismo innovativo e creativo, la misericordia aiuta l’umanità a trovare il linguaggio
per lavorare insieme e per cercare di uscir fuori dalla situazione difficile in cui ci troviamo. Senza la misericordia, il nostro mondo in agitazione diventa ancor più ingovernabile, lasciando in affanno e nella
sofferenza persone e popoli.
La politica non può restare inerte rispetto a una situazione che presenta molti rischi, dallo sradicamento personale allo sgretolamento
del tessuto sociale, dalla prepotenza di chi è più forte e spregiudicato allo sfruttamento delle persone e dell’ambiente. Il disinteresse nei
confronti del bene comune, concretamente inteso, crea un contesto
non vivibile, in cui ognuno trova nell’altro un rivale, un nemico. Con
lo sguardo lungo della misericordia, la politica arriva a riconoscere e
a toccare da vicino le ferite delle persone per cercare di guarirle e, se
possibile, per cercare di evitare le ferite, con la concretezza del prendersi cura e con la responsabilità delle scelte che incidono sul futuro.
La paralisi della politica può essere superata se, in luogo di occupare spazi di potere, si avviano ‘processi’. Restare nell’indifferenza
vuol dire rinunciare a vincere la sudditanza ai modelli di consumo e
di sfruttamento imposti da un mercato anonimo ma imperante, con
la conseguente ricerca di ‘scialuppe di salvataggio’ per assicurarsi un
possibile soccorso.
Nulla è mai perduto
Gianni
Ambrosio
La misericordia sollecita la politica perché si adoperi per favorire la
riconciliazione nello scenario internazionale. Nulla è irreparabile: è la
logica della misericordia «che nulla dà mai per perduto». Le vicende tragiche della storia possono essere superate sciogliendo le diffidenze, le incomprensioni, le lacerazioni. Il linguaggio della politica
che ha a cuore la speranza di una convivenza umana pacifica è quello
dell’inclusione e della riconciliazione. Ciò non significa non affrontare
i conflitti, ma significa attraversarli e superarli, senza restare imprigionati nelle convenienze, negli interessi contingenti e nelle convenzioni
semplificatrici. La politica che non dà nulla per perduto trasforma il
conflitto in un confronto civile, in un dialogo aperto.
Così la politica vola alto, non si limita a gestire il presente, non si
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riduce a funzionamento amministrativo. Si pone invece al servizio degli uomini e del bene comune, ricuperando la sua dignità e la sua missione. «Non abbiate paura di entrare nelle grandi discussioni, nella
Politica con la maiuscola»: è l’invito che il papa ha rivolto ai movimenti popolari e alle «organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni
di altri settori della società», perché diano il loro contributo per rifondare «le democrazie che stanno attraversando una vera crisi». L’invito
si estende a tutti gli uomini, chiamati a «compiti imprescindibili per
camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione
dell’indifferenza: mettere l’economia al servizio dei popoli; costruire
la pace e la giustizia; difendere la Madre Terra»15.
La visione ampia e il pensiero aperto
Nell’Enciclica Laudato si’, Francesco scrive:
L’invito di papa Francesco a riconoscere e a far valere l’istanza della
misericordia nell’agire politico tiene conto della complessità del mondo attuale e della interdipendenza dei popoli come pure della degenerazione dell’agire politico sia per la corruzione sia per gli stereotipi e le
semplificazioni. La cultura dell’incontro è una cultura umanistica che
pone al centro la persona umana nella sua dignità e integrità.
La misericordia aiuta la politica a lasciarsi interpellare dal «pensiero aperto» o «pensiero in movimento»: apertura nel senso di scoperta
dell’altro per avviare relazioni di reciprocità con l’altro; movimento
nel senso di aprire nuovi orizzonti per una convivenza più umana verso cui tendere. In questo modo la politica dimostra di avere fiducia
negli uomini e sa infondere fiducia tra gli uomini, guarisce le memorie
ferite, offre un orizzonte di futuro. Di fronte al disincanto e alla diffidenza, la risposta della politica «dev’essere una risposta di speranza
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La politica ha bisogno della
misericordia
Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e
che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo
interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica
è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della
mancanza di buone politiche pubbliche. Se la politica non è capace di
rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti,
continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità (n. 197).
La Rivista del Clero Italiano
e di guarigione, di pace e di giustizia. Ci è chiesto di fare appello al
coraggio e all’intelligenza per risolvere le molte crisi economiche e
geopolitiche di oggi»16. Questo coraggio dell’intelligenza viene dal dinamismo della misericordia: è ciò che la comunità mondiale richiede
oggi per uscire dall’impotenza e dalla paralisi, dalla paura e dalla rassegnazione.
L’appello che il papa rivolge alla politica perché si lasci illuminare
e guidare dalla misericordia è rivolto a tutti coloro che hanno a cuore
il bene dell’umanità e che sono consapevoli che occorre ritrovare, nel
mondo multipolare, lo slancio di un nuovo umanesimo fertile e vitale,
basato su tre capacità: «la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare»17.
1
Francesco, Discorso in occasione degli auguri del Corpo diplomatico, 11.1.2016.
A. Spadaro, La diplomazia di Francesco: la misericordia come processo politico, «Civiltà
Cattolica», 13 febbraio 2016, 3975, pp. 209-226. Vedi anche la Lectio magistralis tenuta
dal cardinale Parolin a Pordenone su L’impegno diplomatico come esercizio di giustizia e
misericordia, «L’Osservatore Romano», 27-28 agosto 2016.
3
Cfr. Francesco, Il nome di Dio è Misericordia, Piemme, Milano 2016 (scritto con il
giornalista Andrea Tornielli); cfr. anche A. Garriero (a cura di), Il vocabolario di Papa
Francesco, Elledici, Torino 2016.
4
Shakespeare, Il mercante di Venezia, Atto IV, Scena I.
5
C. Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Bari 2006, p. 6.
6
L. Zoja, La morte del prossimo, Einaudi, Torino 2009.
7
Come ha ben evidenziato, sulla scorta del pensiero classico, H. Arendt, Vita
activa, Bompiani, Milano 1991.
8
Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999; La solitudine del
cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000; Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari
2002; Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Bari 2003; Vita liquida,
Laterza, Bari 2005; Paura liquida, Laterza, Bari 2006.
9
M. Gauchet, La démocratie contre elle-même, Gallimard, Paris 2012.
10
M. Augé, Non luoghi. Introduzione ad un’antropologia della surmodernità, Elèuthera,
Milano 2009.
11
B.C. Han, La società della stanchezza, Nottetempo, Milano 2012; A. Ehrenberg, La
fatica di essere se stessi. Depressione e società, Einaudi, Torino 2010.
12
C. Ternynck, L’uomo di sabbia. Individualismo e perdita di sé, Vita e Pensiero, Milano
2012.
13
U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma 2000; La
società globale del rischio, Asterios, Trieste 2001.
14
Cfr. C. Giaccardi, Essere generativi. Un tema di fondo del magistero di papa
Francesco,
«La Rivista del Clero Italiano», 98 (2017), 1, pp. 27-42.
15
Francesco, Discorso al 3° Incontro dei movimenti popolari, 5.11.
2016.
16
Francesco, Discorso al Congresso degli Stati Uniti,
24.9.2015.
Gianni
Ambrosio
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Francesco, Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno,
6.5.2016.
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