L’impatto del Trauma sulle Famiglie
Appunti a cura di Mariagnese Cheli
In greco, trauma significa ferita. Eventi minacciosi per la vita – siano essi incendi o alluvioni,
aggressioni sessuali o attacchi terroristici – feriscono la mente, il corpo e l’anima. Il cuore
dell’esperienza traumatica è l’incertezza, la distruzione del senso di invulnerabilità.
Come osservato da molti ricercatori e clinici, forti legami coniugali e familiari e sostegno da parte
della comunità possono funzionare da tampone, se non da salva-vita, per i sopravvissuti al trauma
(van der Kolk, 1996; Herman, 1992; Matsakis, 1998a, 1998b).
Un sistema familiare coeso e supportivo fornisce ai suoi membri i mezzi per fronteggiare situazioni
di stress ed eventi avversi, consentendo alle persone di sentirsi connesse. Un gran numero di
ricerche riconosce l'importanza del supporto sociale familiare in un’ampia gamma di situazioni di
stress. Poter contare sul sostegno di familiari, amici e della propria comunità diventa fondamentale
nel coping di eventi traumatici, poiché tali situazioni possono provocare una rapida perdita delle
risorse a disposizione dell’individuo. Il sostegno sociale emerge in modo coerente e affidabile come
una risorsa di coping molto potente e un importante fattore che interviene nel processo di
regolazione post-traumatica (Modello Ecologico di Bronfenbrenner).
Uno dei fattori critici nel determinare se una persona che ha subito un trauma svilupperà una
reazione traumatica di lunga durata (in contrapposizione a una reazione traumatica breve) è la
qualità del sistema di attaccamento individuale e cioè l’abilità di chiedere e ottenere conforto e
speranza dagli altri. Ciò prevede che ci siano persone in grado di provvedere a questo tipo di
sostegno e che, inoltre, la persona traumatizzata sia in grado e disposta a riceverlo.
Non mancano gli effetti negativi del trauma sulla famiglia e sulle relazioni intime. Sono comuni
separazione, divorzio, insoddisfazione coniugale e instabilità emotiva nei bambini.
La persona sopravvissuta al trauma è spesso descritta dai familiari o come un partner “part-time” o
come una persona controllante e soffocante, o come un genitore inesistente o ultraprotettivo oppure
inconsistente (Courtois, 1988; Matsakis, 1994b, 2000). Genitori con alle spalle storie di guerra o di
abuso infantile possono avere difficoltà ad acceder a una genitorialità sufficientemente buona.
Alcuni usano metodi rigidi e punitivi utilizzati su di loro in passato. Altri sono così spaventati di
ripetere le esperienze pregresse da evitare completamente qualsiasi tentativo di imporre regole
educative. Adulti vittime di abusi nell’infanzia possono ripetere questi comportamenti contraddittori
una volta divenuti genitori (Courtois, 1988). Alcuni di questi metodi educativi possono portare a
conflitti con l’altro genitore e ad effetti deleteri sui bambini.
I ruoli familiari
Il membro vittimizzato può assumere facilmente il ruolo di “paziente designato” cronicamente
bisognoso, di “capro espiatorio”, di “tossico” imprevedibilmente distruttivo, di “invisibile”
assumendo una posizione defilata. Gli altri membri familiari spesso si posizionano in ruoli
complementari, come il “salvatore” che cerca senza successo di “salvare” o “curare” il membro
traumatizzato; il “permissivo” che sopporta il membro problematico, le sue richieste ricattatorie o i
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comportamenti impulsivi; il “protettore” che cerca di mantenere al riparo sia i familiari sia il
membro traumatizzato stesso da turbamenti emotivi causati dai comportamenti di quest’ultimo; o la
“roccia”, che tenta di farsi carico dei bisogni di tutti in famiglia. Questi ruoli familiari non vengono
esplicitamente definiti o assegnati, ma generalmente sono ben chiari a tutti i membri e dati per
definitivi, dal momento che raramente cambiano e si ritengono necessari per fronteggiare i
danneggiamenti da stress traumatico dei membri della famiglia.
Le Regole
In corrispondenza di questi ruoli impliciti, i membri della famiglia sviluppano delle aspettative non
dichiarate come risultato del fronteggiamento della fatica persistente, della confusione, della
delusione associate ai disturbi da trauma complesso. Queste aspettative implicite e pervasive si
fissano in “regole” che rendono le interazioni prevedibili sebbene insoddisfacenti e demoralizzanti.
“Regole traumatiche” possono basarsi sui seguenti principi: “Non avere sentimenti”, “non
considerare l’abuso reale”, “non parlare”, “qualsiasi cosa accada, non contrariare [la vittima del
trauma] o perderà il controllo e ce la farà pagare a tutti”, “gli altri familiari devono dimenticarsi dei
propri bisogni e fare ciò che [la vittima del trauma] chiede o di cui ha bisogno poiché è stata
abusata”, “lui/lei [la vittima del trauma] non riesce a controllare gli impulsi [usa sostanze, fa a botte,
ha comportamenti impulsivi e rischiosi] dal momento che ha PTSD”, o “lei/lui dovrebbe smettere di
reagire esageratamente a tutto e cominciare a crescere e smettere di essere un problema per tutti
noi”, e “non possiamo andare da nessuna parte perché lui/lei diventa così disturbato che rovina
sempre tutto” (Courtois, 1988).
I Miti e i Segreti familiari
I ruoli e le regole di una famiglia si basano solitamente sulle credenze che hanno assunto lo status di
mito (es. una verità considerata incontrovertibile sulla famiglia o sul familiare traumatizzato che è
diventata una parte integrale della “storia” della famiglia o dell’individuo) e segreto (es. cose che
uno o più membri familiari nascondono ad altri membri familiari, spesso riconducibile a senso di
colpa, vergogna, rimorso o paura o sfiducia che deriverebbero dalle reazioni nel caso che il segreto
fosse conosciuto). Il trauma complesso spesso porta dei segreti (es. le circostanze dell’abuso o
l’identità del perpetratore, spesso sconosciuta) e può portare anche un senso di tradimento,
abbandono o violazione della fiducia che rischiano di produrre altri segreti (es. una relazione
extraconiugale come risposta all’infedeltà o alla violenza del coniuge; “alleanze” tra il genitore non
maltrattante e i figli per non dire al genitore abusante delle cose che si teme possano provocare
nuovi comportamenti maltrattanti). La segretezza può diventare uno stile di vita per le vittime di
trauma dello sviluppo, al punto da tenere nascosti, nella vita adulta, sia fatti innocui sia fatti
importanti riguardo sé e altri, o pensieri e emozioni.
La Gerarchia familiare e i Confini relazionali
Le famiglie problematiche spesso risultano disorganizzate per quanto riguarda la gerarchia
intergenerazionale (es. la generazione più anziana rappresenta un modello e svolge una funzione di
leadership per la generazione successiva) e i confini nelle relazioni (es. mantenere nelle relazioni
affettive un equilibrio tra la vicinanza tra i membri della famiglia, senza coinvolgimenti estremi, e
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l’autonomia e l’autodeterminazione di ciascuno, senza un atteggiamento di distacco emotivo o di
rifiuto nei confronti degli altri). La fatica associata ai disturbi da trauma complesso può portare i
genitori a comportarsi come bambini e i bambini ad assumere una posizione pseudo-adulta e uno
smisurato senso di responsabilità (il bambino “adultizzato” e l’inversione di ruolo). L’abuso
sessuale e fisico si verifica quando in una famiglia collassano la gerarchia e i confini relazionali: i
genitori si disinteressano dei figli o falliscono nel proteggerli; i bambini sono costretti a essere
troppo intimi con, o troppo distanti per salvarsi da, le persone con le quali dovrebbero sentirsi sicuri
emotivamente e non ipercoinvolti.
La Comunicazione familiare e gli Stili di problem solving
Le famiglie sono tra loro diverse per apertura e flessibilità (vs. rigidità), reciprocità (vs. direttività e
autoritarismo), e disponibilità emotiva (vs. distanza o rifiuto) dei loro stili di comunicazione e di
risoluzione di problemi. Vivere con un disturbo da trauma complesso, che affligge sé o un familiare,
tende a far diventare la comunicazione e le modalità di risoluzione dei problemi più rigide, direttive
e controllanti ed emotivamente distanzianti o rifiutanti, dal momento che questi stili sono i più
adattivi in situazioni di estrema emergenza e i traumi dello sviluppo possono portare un bambino ad
adottare (o un adulto a regredire verso) una mentalità e uno stile di fronteggiamento dominati da
disperati tentativi di sopravvivere, a qualsiasi costo.
Sulla scia di un evento traumatico, i familiari possono impegnarsi in (a) comportamenti apertamente
non supportivi (ad esempio, eccessivo atteggiamento critico verso l'individuo), (b) in
comportamenti intenzionalmente utili ma percepiti come non solidali (ad esempio, dare consigli non
richiesti), o (c) in comportamenti involontariamente inutili (ad esempio evitando l'individuo o
l’impatto del disagio quando lui o lei cerca di parlare dell'esperienza traumatica) che possono
influenzare la disponibilità al sostegno (Dakof e Taylor, 1990; de Ruiter, de Haes e Tempelaar,
1993; Manne e Glassman, 2000; Manne e Al., 1997).
Gli effetti negativi di questi comportamenti non supportivi sono stati riscontrati nei casi di cancro
(de Ruiter e Al, 1993; Manne e Al, 1997), in altre gravi malattie (Manne e Zautra, 1989), e in
famiglie che devono fronteggiare eventi di vita molto stressanti (Rook, 1984; Vinokur e Van Ryn,
1993).
Diversi ricercatori (Dunkel-Schetter, 1984; Wortman e Conway, 1985; Wortman e Dunkel-Schetter,
1987) suggeriscono che i membri della famiglia possono avere reazioni emotive negative che sono
in contrasto con il modo in cui pensano di agire nei confronti dell’individuo traumatizzato (cioè, in
modo allegro, ottimista), di conseguenza, essi possono (a) evitare fisicamente l'individuo (b) evitare
di parlare del trauma con l’individuo oppure (c) ridurre la gravità delle circostanze individuali
(Dakof e Taylor, 1990). Tali risposte possono bloccare l’elaborazione del trauma attraverso il
divieto di poterne parlare apertamente. Per esempio, la tendenza alla minimizzazione del trauma è
stata dimostrata essere estremamente negativa nei soggetti con diagnosi di cancro (Dakof e Taylor,
1990). Sembra che più i membri della famiglia sono in grado di gestire le proprie reazioni al trauma
e capire quello che può essere utile, più saranno in grado di fornire il sostegno sociale vitale per il
superamento del PTSD.
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Queste considerazioni confermano la natura circolare degli effetti del trauma. Le reazioni del
singolo individuo traumatizzato e le risposte del sistema familiare sono collegati in un processo
circolare.
La misura in cui la famiglia può supportare l'individuo è legata al modo in cui i membri della
famiglia gestiscono le proprie reazioni al trauma, mentre le caratteristiche specifiche del trauma,
della vittima e della sintomatologia a loro volta influenzano l'impatto del trauma sulla famiglia.
Effetti Transgenerazionali del Trauma
Inversione di ruolo - Gli impatti multi-generazionali del trauma sono molteplici. Studi effettuati
su bambini sopravvissuti all’Olocausto, veterani della Seconda Guerra Mondiale e della guerra in
Vietnam e i sopravvissuti ad altri traumi mostrano come i figli tendano ad assumere il ruolo di
caretaker rispetto al genitore traumatizzato o a quello non traumatizzato ma comunque stressato. I
bambini possono sviluppare bassa autostima e rabbia come risultato dell’instabilità emotiva vissuta
in casa o del distanziamento emotivo del genitore, oppure per entrambe, che i bambini avvertono
come rifiuto, anche se non c’è abuso palese. Come il genitore che non ha subito il trauma, provano
empatia e rabbia verso il genitore vittima di trauma. Questo crea un tumulto interiore che è
un’ulteriore fonte di rabbia, depressione e bassa autostima.
Anche alle scuole elementari è stato notato che i bambini con problemi di traumi in famiglia
possono spostare la loro rabbia sui fratelli, i compagni di classe o altri. Oppure, possono
interiorizzare questa situazione manifestandola sotto forma di depressione, abuso di sostanze in età
pre-adolescenziale e adolescenziale oppure disordini del comportamento alimentare e sintomi
somatici. Sono stati inoltre riscontrati problemi di concentrazione, apprendimento e fobia sociale
(Matsakis, 1996b).
Quando il trauma psicologico si configura come la conseguenza di azioni protratte da un genitore o
da una figura di attaccamento, tutte le dinamiche familiari ne vengono sconvolte, non solamente
quelle con il genitore maltrattante o trascurante, come il risultato di una ricerca di fiducia,
protezione e responsabilità, stravolta da un trauma intenzionale. (Courtois, 1988). Il genitore (o i
genitori) non-offending e gli altri membri della famiglia (es. i fratelli) possono ugualmente
sperimentare l’abuso o la violenza come traumatici dal momento che ne sono stati testimoni o sono
coinvolti in modo collaterale, o a causa di una sensazione di shock e vulnerabilità, vergogna, lutto,
dovuti all’idea di avere fallito nella funzione di protezione.
L’abuso perpetrato da persone al di fuori della cerchia familiare ristretta può indurre nei bambini la
sensazione di isolamento o la paura di essere rifiutati dalla famiglia, come risultato di uno stigma
sociale e del loro senso di impotenza (a volte rinforzato da un atteggiamento dei familiari
improntato alla negazione o all’indifferenza), e gli adulti di riferimento o gli altri familiari possono
sperimentare un senso di colpa, di vergogna, di vittimizzazione (in modo particolare se l’abusante è
una persona che si credeva fidata o se ritengono che avrebbero dovuto capire tutto e prevenire ciò
che è successo). Se il trauma psicologico coinvolge la famiglia, i familiari (compresi i bambini)
spesso si sentono colpevoli per non essere stati in grado di proteggere dal dolore i genitori o gli altri
familiari. Tutte queste attribuzioni vengono filtrate dai sistemi di appartenenza etnica/culturale e
dagli altri sistemi di significato.
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Anche la relazione di coppia viene profondamente coinvolta quando uno dei due partner o un figlio
soffrono di disturbi da trauma. Si verifica ad esempio una riduzione della capacità dei genitori di
supportare effettivamente i bambini quando si verificano elementi stressanti dovuti al trauma. Le
relazioni coniugali e genitoriali costituiscono risorse importantissime di supporto e cura per ciascun
membro della famiglia nell’attivazione del trauma psicologico. Al contrario, quando i genitori
rispondono allo stress di un’esperienza traumatica con ostilità, rabbia, ansia e conflittualità,
l’ambiente familiare può esacerbare i sintomi trauma-correlati nei membri della famiglia e nel
sistema familiare nel suo complesso. Quando una famiglia attraversa periodi di stress intenso (es. in
un divorzio conflittuale o nei casi di violenza domestica), c’è il forte rischio che le funzioni
genitoriali vengano influenzate negativamente dall’irritabilità, dall’aggressività o dal distacco. Altri
fattori possono aggravare la compromissione delle funzioni genitoriali (es. esperienze di trauma
psicologico del genitore, disturbi nella salute mentale o di abuso di sostanze). I sintomi traumatici
impattano anche sull’abilità dei genitori di mantenere intatte le routine e i ruoli familiari (Jordan e
altri, 1992; Ruscio, Weathers, King e King, 2002). I bambini dipendono dai loro genitori per
ricevere un supporto emotivo, dei modelli di comportamento e la percezione di sicurezza/protezione
che derivano dal mantenimento dei ruoli e delle routine familiari. Infatti, quando i genitori
sperimentano a loro volta i sintomi da stress, i figli hanno difficoltà a gestire le proprie reazioni agli
stimoli stressanti. Ciò si ritiene vero non solo per i bambini vittime di traumi, ma anche per i fratelli
o le sorelle alle quali semplicemente è stata riferita l’esperienza traumatica (Saltzman e Al., 2008).
Atteggiamenti dei genitori quali chiusura relazionale, iperprotettività o un’intensa preoccupazione si
pongono come elementi che possono peggiorare i sintomi dei bambini traumatizzati (Scheeringa e
Al., 2007). Diversi autori hanno riscontrato come la depressione dei genitori sia correlata
positivamente con i sintomi da stress dei loro figli (Meiser-Stedman, Yule, Dalgleish, Smith e
Glucksman, 2006).
Il trauma psicologico pervade l’intero sistema familiare, potenzialmente per più generazioni
(Horenczyk e Al., 2008). Se esposti a trauma psicologico i figli di genitori traumatizzati sono a
rischio di sviluppare PTSD o difficoltà psicologiche ad esso correlate in misura maggiore di altri
bambini (Brand, Engel, Canfeld e Yehuda, 2006). I risultati indicano che un fattore di rischio per il
PTSD – come l'elevata produzione di cortisolo - può essere trasmessa geneticamente dalle madri
con PTSD vittime di terrorismo ai loro bambini durante la gravidanza (Brand e Al., 2006).
Principi-guida
L’ambiente sociale come sistema di cura delle relazioni è considerato stabile quando sono
soddisfatte le seguenti tre condizioni: (1) i caregiver del bambino sono in grado di aiutarlo a
regolare le emozioni e proteggerlo dagli stressor; (2) la famiglia estesa del bambino, il gruppo dei
pari o i vicini sono capaci di supportare il bambino e (3) facilitare l’intervento dei servizi in modo
tale da poter fornire ciò che i caregiver o la famiglia estesa non siano in grado di assicurare in
termini di bisogni evolutivi.
Il tema principale di questa fase di trattamento è proteggere il bambino da ambienti minacciosi ed
impulsi pericolosi e di preparare il terreno per le altre fasi del trattamento. Un bambino in questa
fase presenta disregolazione comportamentale e l’ambiente sociale/sistema di cura è minaccioso.
Gli interventi domiciliari e di comunità sono utilizzati per acquisire un quadro complessivo
dell’ambiente di vita quotidiano del bambino e per valutare il grado di minaccia e pericolo. Durante
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questa fase c’è bisogno di una stretta collaborazione tra diversi servizi: educativi, sociali, clinici.
Anche il lavoro sulla gestione delle emozioni e l’assistenza legale possono essere implementate in
questa fase.
L’aspetto principale di questa fase è lo sviluppo delle competenze necessarie per gestire le emozioni
e proporre la creazione di un ambiente sociale sicuro. Al bambino e alla famiglia devono essere
insegnate competenze che li aiutino a sopportare l’impatto del trauma in modo tale che i
comportamenti estremi possano essere minimizzati. Per rendere efficace la psicoterapia basata
sull’acquisizione di competenze, l’ambiente del giovane deve garantire sicurezza. Il principale
strumento in questa fase di trattamento è il training sull’acquisizione di competenze di regolazione
emotiva, altrimenti definito psico-educazione.
Letture consigliate
Walsh F. (2008), La resilienza familiare, Raffaello Cortina.
Cook A., Blaustein M., Spinazzola J., van der Kolk B. (2003), Complex Trauma in Children and
Adolescents: White Paper, National Child Traumatic Stress Network, in www.nctsn.org. La
traduzione italiana è reperibile al seguente indirizzo web: www.ausl.bologna.it (in Sezioni
Tematiche-Il Faro).
Cheli M., Ricciutello V., Valdiserra M., (a cura di) (2012), Maltrattamento all’Infanzia. Un modello
integrato di interventi per i Servizi Sociali e Sanitari, Maggioli.
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