Assonanze silenziose A Porza in mostra un dialogo tra le opere di Erich Lindenberg e Gabriela Maria Müller / 13.02.2017 di Alessia Brughera Nel 2006 Erich Lindenberg, quasi settantenne, moriva all’improvviso nel suo atelier berlinese. Ai tempi dell’Accademia di Belle Arti a Monaco, erano gli anni Sessanta, aveva fatto promettere all’amica e pittrice Mareen Koch di occuparsi in futuro del suo lascito artistico. È così che, dopo la sua scomparsa, prestando fede all’impegno preso in gioventù, la Koch decise di istituire una fondazione intitolata all’artista tedesco con lo scopo di custodire e mostrare al pubblico le sue opere. Alla creazione del museo, che ha preso vita negli spazi di Villa Pia a Porza nel 2012, ha partecipato attivamente anche il fratello di Erich, Udo, rockstar molto nota nel panorama musicale teutonico. Da subito la Fondazione Lindenberg non si è limitata a conservare la produzione del pittore, ma ha proposto eventi espositivi che potessero ampliare la conoscenza dei suoi quadri avvalendosi del dialogo con figure a lui vicine per linguaggio espressivo o per obiettivi di ricerca. La rassegna presentata in questi giorni nelle sale del museo ci fa scoprire le affinità tra Lindenberg e Gabriela Maria Müller, nata a Teufen ma residente a Pura da vent’anni. Sono corrispondenze sottili quelle tra i due artisti, legate soprattutto alla modalità di lavoro, un lavoro paziente e minuzioso affidato a una gestualità che diventa rito e che richiede nel suo svolgersi calma e meditazione. Ad accomunarli è anche la propensione all’essenzialità, è l’esplorazione della dimensione temporale attraverso la purezza delle forme e la trasparenza della materia. Le loro opere sono fatte di riflessi, di sfumature e di riverberi, di chiarore e di silenzio. Un silenzio che per la Müller è sostanziale fin dal principio, quando immersa nella natura si apre ai suoni e ai ritmi della terra empatizzando con l’ambiente tramite la vista e il tatto. Qui l’artista raccoglie ciò che più la suggestiona, frammenti di un mondo mutevole e precario su cui esercita la propria manualità per originare piccoli universi di pensiero. Cera d’api, soffioni, semi, aghi di pino popolano i suoi lavori come entità di una visione elementare, come segni primari che definiscono una simbologia ancestrale ed esistenziale. La Müller appartiene a quella schiera di artisti che trovano nella natura una fonte inesauribile di ispirazione e che riescono a trasporre nelle proprie opere la loro esperienza quotidiana con il creato. Se dovessimo citare un autore a lei molto vicino, il nome sarebbe quello di Wolfgang Laib, non solo per l’utilizzo dei medesimi materiali, ma soprattutto per il considerare l’opera d’arte una sorta di nutrimento per l’anima, un luogo dall’incontaminato nitore che porta con sé qualcosa di atavico e che sa evocare il senso di armonia che regola l’universo. È un’arte che non passa dall’imitazione della natura, ma dalla sua appropriazione: ne preleva l’essenza quasi a volerla preservare dalla sua caducità, trasmutandola in nuclei narrativi improntati a uno spirito profondamente poetico. Diafane e fragili, le creazioni della Müller vivono di una quiete visiva che le avvicina alle superfici pittoriche di Lindenberg, in cui le forme si fanno impressioni dissolte nella luminosità. In un confronto che favorisce l’introspezione, nella mostra vediamo difatti i dipinti del maestro tedesco, lavorati nell’acqua per ottenere effetti di rarefazione che rendono figure e oggetti presenze evanescenti, intessere delicate consonanze con i lirici microcosmi dell’artista di Pura. Dall’accostamento dell’opera Il mistero oltre il visibile, dove la Müller cosparge una grande tela con della cenere di legno alluvionale, a uno dei quadri d’ombre di Lindenberg, dove l’immagine di un teschio sembra smarrirsi nella limpidezza del colore, scaturisce ad esempio una comune riflessione sul tema della morte, a cui entrambi riescono a conferire un’aura di misticismo. Interessante è notare come i lavori della Müller siano spesso frutto di un vero e proprio mestiere artigianale. È il caso dell’opera dal titolo Un nuovo mondo, del 2012, in cui l’artista ha cucito accuratamente più di milleduecento semi di dente di leone su di un velo tondo, a richiamare i vecchi telai e il paziente lavoro femminile, o de L’abbraccio dell’albero, del 2013, in cui ha realizzato con meticolosità ed energia fisica il frottage del tronco di un castagno secolare. Aghi di pino vengono poi deposti con precisione su più strati di voile, a farne nitide pagine di un grande erbario; semi di soffione dorati vengono diligentemente adagiati in ciotole di cera d’api messe a fluttuare sull’acqua, a farne un tributo alla natura; semi di cardo vengono appesi con zelo all’interno di un cubo di plexiglas su una trama di fili che segue le forme delle costellazioni, a farne un’invocazione al raccoglimento. Come quelle di Erich Lindenberg, le opere della Müller sono creazioni lente, per una fruizione dilatata, che sanno ricondurci a una dimensione di candore spirituale intrisa di luce e di silenzio.