alcune notizie sui punti di passaggio della gita

ALCUNE NOTIZIE SUI PUNTI DI PASSAGGIO DELLA GITA
“Per parchi e menta a Sud di Torino”
Area attrezzata Oasi del Po Morto
L'Area attrezzata "Oasi del Po Morto" si estende su una superficie di 490 ettari, nei Comuni di
Carignano, Carmagnola e Villastellone. La zona rappresenta un classico esempio del continuo
spostamento dell'alveo del Po. La maggior parte dell'area attrezzata infatti si estende su un
territorio dove un tempo c'era una grande ansa del fiume Po, in seguito abbandonata e ora
parzialmente interrata. Il taglio dell'istmo che separava due meandri avvenne durante la piena
eccezionale del 1949, a seguito della quale il Po assunse in questa zona un andamento rettilineo,
abbandonando il suo precedente letto, che si trasformò in una lanca. Da allora accanto al fiume si
è creato un ambiente acquatico nuovo, che, per l'assenza di ricambio idrico, può essere
assimilato ad uno stagno. Fra gli animali tipici di questi ambienti troviamo la limnea, una piccola
lumachina erbivora, ed altri molluschi che si nutrono di residui organici, come l'unio e l'anodonta.
Numerosissimi sono inoltre gli uccelli acquatici, che qui trovano un ambiente tranquillo, vasto e
ricco di cibo.
La zona è in continua trasformazione. Se da un lato si riscontrano fenomeni di interramento
naturale di vecchie lanche, accelerati talvolta dall'opera dell'uomo nei decenni passati, dall'altro
lato continuano a registrarsi nuovi tagli di meandri, l'ultimo dei quali, avvenuto durante una piena
nel maggio 1999, ha creato una zona particolarmente ricca di piante ed animali, denominata "il
Garrettino", in corso di rimboschimento.
Il territorio dell'Oasi del Po Morto è stato profondamente modificato dall'attività di cava, cessata
alla fine degli anni '80. I laghetti di cava sono stati in gran parte rinaturalizzati ed ora alcuni di
essi sono utilizzati anche per la pesca sportiva oppure per la pratica del kayak e della canoa.
L'area del Po Morto di Carignano è tutelata anche quale Z.P.S (Zona a Protezione Speciale), in
quanto essa è una delle poche aree in cui vive l'ormai rarissimo rospo pelobate fosco. Oltre al
pelobate, nell'Oasi del Po Morto vivono anche altri anfibi (rospo, rana e raganella), rettili
(ramarro, tartaruga di palude, colubro) e moltissimi uccelli stanziali e di passo (martin pescatore,
airone rosso e airone cenerino, falco di palude, albanella reale, mignattino, garzetta, strogola,
averla).
Provincia:Torino
Comuni: Carignano, Carmagnola, Villastellone
CARIGNANO
Carignano è una piccola cittadina a sud di Torino, il capoluogo della Regione Piemonte. Conta circa
8700 abitanti. I numerosi ritrovamenti di reperti di origine romana (vasellame, tombe e armi) e di
una importante necropoli longobarda, lungo le strade che univano Pollenzo e il territorio artigiano ad
Augusta Taurinorum (Torino), testimoniano una frequentazione antica dove sarebbe sorta
Carignano. Con l’introduzione del Cristianesimo, sorsero nella campagna chiese e cappelle, alcune
delle quali si sono conservate, anche se alterate nelle linee originarie. L'origine della città è
medioevale: all'incirca attorno al X secolo, gli abitanti di alcuni nuclei abitativi sparsi nelle
campagne, si erano forse già riunita in un nucleo abitato stabile, sopra un piccolo rilievo alluvionale
del Po (l’isolato di San Giovanni) e nei secoli XII e XIII fu avviato il processo di costituzione del
borgo, fortificato con mura, torri di guardia e un castello posto verso il fiume Po. Grazie alla
presenza di importanti strade che recavano merci e uomini verso la Francia e verso alcune grandi
città come Asti, Chieri e Torino, Carignano si trovò al centro dei grandi commerci, che permisero il
suo ingrandimento e il suo sviluppo. Attorno alla seconda metà del tredicesimo secolo, il borgo, già
possedimento delle potenti famiglie feudali dei Provana e dei Romagnano, passò ai conti di Savoia.
Nel 1544, dopo la battaglia di Ceresole, Carignano subì un assedio da parte dei Francesi, che in
seguito imposero lo smantellamento dell’antico sistema difensivo, facendo costruire nuove
fortificazioni. Questo evento, disastroso per la storia cittadina, favorì nel secolo successivo un
rinnovamento urbanistico, con l’espansione dell’abitato oltre le mura. Nel 1621, il duca Carlo
Emanuele II di Savoia infeudò Carignano al figlio Tommaso Francesco, che ebbe il titolo di Principe
di Carignano. Nel 1683, il duca Vittorio Amedeo II di Savoia concesse a Carignano il titolo onorifico
di "Città". Tra il XVII e il XVIII, 11 grazie alla presenza di molte famiglie nobiliari, di un clero
intraprendente e, saltuariamente, della corte ducale, Carignano trasformò il vecchio centro urbano
medioevale, arricchendosi di splendide architetture barocche. Carignano partecipò ai moti
rivoluzionari di fine ‘700: nel 1798 fu innalzato l’albero della libertà. Annessa alla Francia l’anno
successivo, tornò ai Savoia nel 1814. Nel 1831, Carlo Alberto, settimo principe di Savoia Carignano,
salì al trono con il titolo di Re di Sardegna. Sul finire dell’800, l’impianto del Lanificio Bona – un
grande stabilimento di produzione e lavorazione della lana installato nel centro storico - concorse a
un contenuto sviluppo economico della città, che venne meno con la crisi generale dell’industria
laniera a metà del XX secolo. Oggi Carignano si presenta come una città d’Arte di grande interesse,
ospitale e disposta ad aprire le proprie porte al visitatore. Il turista esigente potrà camminare per le
antiche strade medioevali, entrare negli ampi cortili dei palazzi, percorrere le vie della religiosità
popolare ed aulica, sostando nelle numerose chiese barocche, costeggiando le incantevoli ville ottonovecentesche, immerse nel verde dei loro parchi eclettici, ed entrare in opere proiettate al futuro
come il grande centro polivalente (Municipio, Museo, Biblioteca, Teatro) realizzato negli anni ’90 del
XX secolo su progetto dell’architetto Alberto Sartoris. Carignano, a parte la parentesi di sviluppo
industriale legata al Lanificio Bona, ora conclusasi con la chiusura dello stabilimento, si caratterizza
come centro a vocazione agricola, per la particolare qualità dei suoi terreni, e residenziale, per la
vicinanza rispetto all’area metropolitana torinese. Gli anni ’90 del XX secolo, hanno segnato tuttavia
un sensibile incremento del terziario (pannelli solari, componenti per personal computer,
componenti di arredamento, etc.) e del settore dei servizi. 1. La torre civica Fu fatta costruire nel
1229 dai marchesi di Romagnano, Signori feudali del borgo medioevale. La torre di guardia è il più
antico edificio civile di Carignano, ed è attorniata dai resti delle mura di difesa. 2. Le case del centro
storico medievale La Città conserva alcuni begli edifici di età medioevale. Le facciate delle case sono
decorate da finestre gotiche e rinascimentali e da numerose terrecotte, che raffigurano stemmi
nobiliari, fiori, ghiande, foglie di quercia, figure geometriche, visi umani.
1. LA TORRE CIVICA Fu fatta costruire nel 1229 dai marchesi di Romagnano, Signori feudali del
borgo medioevale. La torre di guardia è il più antico edificio civile di Carignano, ed è attorniata
dai resti delle mura di difesa.
2.
LE CASE DEL CENTRO STORICO MEDIEVALE La Città conserva alcuni begli edifici di età
medioevale. Le facciate delle case sono decorate da finestre gotiche e rinascimentali e da
numerose terrecotte, che raffigurano stemmi nobiliari, fiori, ghiande, foglie di quercia, figure
geometriche, visi umani.
3. I PALAZZI MEDIEVALI E BAROCCHI Il centro storico conserva alcuni grandi palazzi di epoca
medievale e barocca, un tempo di proprietà di importanti famiglie nobiliari. Tra i palazzi
medievali, dobbiamo ricordare: il cosiddetto "Palazzo Dipinto", in piazza San Giovanni, il quale
presenta tracce di affreschi riferibili alla "Giustizia"; il palazzo attribuito al conte Renato di
Savoia, figlio illegittimo di Filippo di Bresse, poi duca di Savoia col nome di Filippo II; Casa
Portoneri, decorata con belle terrecotte. Vicino al palazzo Dipinto, esistevano una carrucola e
una pietra piatta; i debitori insolventi e chi non pagava le tasse erano torturati: erano sollevati e
fatti cadere con il sedere sulla pietra. I palazzi barocchi conservano scenografici scaloni, stucchi
ed affreschi; tra le principali dimore, erette o restaurate tra il XVII e il XVIII secolo, dobbiamo
ricordare quelle che appartennero ai Vivalda di Castellino, ai Provana di Collegno e ai Provana
del Sabbione, ai San Martino della Morra e ai Gianazio di Pamparato
4. IL DUOMO (IN PIAZZA SAN GIOVANNI) La chiesa parrocchiale è dedicata ai Santi Giovanni
Battista e Remigio. Il cantiere per la sua costruzione durò sette anni, dal 1757 al 1764.
L'enorme edificio religioso fu progettato da Benedetto Alfieri, architetto del Re di Sardegna. La
pianta della chiesa è costituita da un grande semicerchio in cui sono inscritti cinque cerchi più
piccoli. Il Duomo ribalta i concetti sino ad allora seguiti per l'architettura sacra in Italia;
entrando, infatti, il fedele può osservare facilmente l'altare maggiore e tutti gli altari, mentre in
precedenza l'attenzione doveva essere puntata sull'altare maggiore. Inoltre, in molte chiese
barocche, l'altare principale era visto dal fedele come un fondale teatrale; a Carignano, è il
sacerdote a percepire il grande colonnato d'entrata come lo sfondo di un teatro. La chiesa
conserva molte opere d'arte: le statue in stucco, opera di Giuseppe Bollina, scultore privilegiato
dei principi di Savoia Carignano; l'organo ottocentesco; quadri ed arredi sacri. La pianta
inconsueta si integra perfettamente con la piazza antistante al duomo. Gli stucchi, i marmi
dell'altare maggiore, le balaustre marmoree furono realizzate da alcuni importanti artisti attivi
anche nei cantieri di chiese e palazzi di Torino. Gli affreschi delle volte sono opera di Emanuele
Appendini (1879) e di Paolo Gaidano (1879/1885); molto belli sono soprattutto le opere di
Gaidano, che raffigurano episodi della vita di San Remigio e di San Giovanni Battista, Santi e
Beati della Casa Savoia, episodi biblici (Incontro di Gesù con la Samaritana; Caduta degli Angeli
ribelli; Gesù nell’orto di Getsemani).
Borgo Cornalese
Borgo Cornalese si trova appena fuori Villastellone, a meno di
mezz'ora di macchina o treno da Torino. Una volta arrivati avrete
davanti agli occhi la Villa dei Conti de Maistre, un grande parco, un
mulino, una bella chiesa in stile neoclassico dedicata alla Madonna
dei dolori e un borgo rimasto invariato negli ultimi secoli.
Fondato intorno all'anno 1000 da ungari e bulgari, il Borgo oggi è
oggetto di un grande ed ambizioso progetto di restauro
conservativo che lo farà di nuovo sbocciare nel cuore del Piemonte.
Borgo Cornalese fu fondato intorno all'anno 1000 da Ungari e
Bulgari. Nel 1180 il territorio del "Contado dei Bulgari", rinominato
"Borgaro Cornalexio", fu concesso ai Monaci Cistercensi, che lo
utilizzarono prevalentemente quale pascolo.
Il feudo venne fortificato con tre edifici in cui vi era il dazio del sale: Fortepasso, Malpertusio (oggi
Cascina Nuova) e Val di Cosso (oggi cascina Valcorso).
Nel 1300 vi si insediò la famiglia Costa, tesorieri dei principi D'Acaya, che vi rimase fino alla fine del
'700. Tra il 1799 e il 1816, il Borgo venne aggregato al territorio di Villastellone. L'Ottocentesca
Chiesa Beata Vergine dei Dolori venne costruita nel 1850 dal duca Eugène-Alexandre Laval di
Motmorency, marito di Anne-Constance de Maistre, figlia del filosofo Joseph de Maistre. E' un
edificio di pregevole fattura architettonica dalle linee neoclassiche.
Oggi l'abitato conserva l'aspetto di borgo agricolo medievale autosufficiente, pur comprendendo al
suo interno alcuni edifici di epoca più recente, tra cui appunto la Chiesa e la splendida Villa dei Conti
de Maistre con il suo parco.
Il mulino ad acqua ancora funzionante è messo in azione dalle acque della Bealera o Gora di Borgo.
La Chiesa di Borgo Cornalese - 1850
Nel 1850 venne iniziata la costruzione dell'attuale chiesa dedicata alla "Madonna dei Dolori e dei
Santi Barnaba ed Eugenio". Il progetto della sua realizzazione fu fatto dall'architetto Brunati su
commissione del Duca Eugenio Laval di Montmorency, allora proprietario del mulino. A Borgo
Cornalese ha passato molto tempo anche Don Bosco, fondatore dell'ordine dei Salesiani.
Villa de Maistre: dimora storica del '700
Dopo varie appartenenze, nel 1360 Borgo Cornalese fu infeudato a Ludovico Costa che era tesoriere
dei principi d'Acaya. Agli inizi del 1400 i Costa avevano consolidato la loro posizione tanto da creare
grandi rivalità.
Si narra che nel 1412 i carmagnolesi, approfittando dell’assenza di Luigi Costa, saccheggiarono e
incendiarono il castello di Fortepasso. II Costa saputo del fatto, arrivò con 1500 uomini. Nascostosi
nel bosco sulla riva del Po, fece uscire dei bovari per attirare nell'imboscata gli ignari carmagnolesi,
i quali caddero nell'agguato lasciando nelle mani dei Costa ben 400 prigionieri. Nel 1492 Bono
Giovanni Costa bonificò il territorio nella cui boscaglia si annidavano ogni sorta di malviventi e gente
equivoca, esponendo nel Borgo forche e berline.
II 5 ottobre 1560 Bongiovanni Costa, fece sottomissione al Duca Emanuele Filiberto, ottenendo in
cambio Polonghera.Nel 1601, il Marchesato di Saluzzo veniva militarmente annesso ai Savoia, con
esso anche il contado di Borgo Cornalese, che continuava ad appartenere ai Costa della Trinità. Nel
1775 figuravano proprietari del contado oltre ai Costa anche il Conte Pastoris ed il Marchese Parella
di San Martino. A quest'ultimo nel 1792 subentò il duca Eugenio Laval de Montmorency che divenne
tra I'altro proprietario del mulino e, nel 1830, anche della settecestesca villa, che volle trasformare
in una grande residenza, ampliandola. II duca la donò alla moglie Anne Costance de Maistre, figlia
di Joseph de Maistre, I'insigne filosofo delI’epoca che fu presidente del Parlamento della Savoia,
governatore della Sardegna e in seguito ambasciatore dei Savoia presso lo Zar a San Pietroburgo.
La duchessa Costance trascorreva lunghi periodi a Borgo, alternati con soggiorni a Chambery, in
Francia, dove la famiglia era originaria.
Nella Villa di Borgo riceveva amicizie illustri, tra le quali ricordiamo quella della marchesa Giulia di
Barolo. Una cappella posta nel grande giardino accolse Don Bosco, di cui i de Maistre furono
benefattori.
La duchessa Costance si spense il 2 aprile 1882, alI'età di 90 anni. Inumata nel sepolcreto di
famiglia, nei sotterranei della chiesa, riposa con altri familiari; ultima nel 1964, la raggiunse la
contessa Genoveffa da Digione.
II Conte Joseph de Maistre aveva un fratello: Xavier (1763-1852), ufficiale delI'esercito piemontese
ed illustre scrittore.Oggi tra i discendenti troviamo un altro Xavier. Nato a Torino il 1° aprile del
1949 e cresciuto nella residenza di Borgo Cornalese, incisore di acqueforti. Le sue opere si possono
ammirare nelle gallerie di tutto il mondo.
La Villa è una delle principali attrattive del territorio e ad oggi è chiusa al pubblico. Di fronte, visibile
dal cancello di ingresso, si può vedere il giardino all’italiana dove trovano spazio oltre 100 rose di
svariati tipi e colori.
Sul retro si può ammirare il parco di 16 ettari dove ci sono faggi, querce, tigli, pioppi e tante altre
piante che ogni anno ospitano diverse specie di uccelli migratori come beccacce e gruccioni.
Lo stemma della stessa città di Villastellone riporta delle calendule dorate che sono tratte dallo
stemma della famiglia de Maistre.
Il Mulino di Borgo Cornalese: una ruota che gira da oltre 500 anni
Nel Borgo Cornalese, a pochi chilometri dal centro urbano di Villastellone, si conserva una preziosa
testimonianza dell'attivita molitoria documentata a partire dal tardo XVI secolo.
La data 1592 dipinta sul prospetto laterale dell’opificio evoca l'origine antica dell'insediamento che
comprendeva il mulino a tre coppie di palmenti e la pesta da canapa. I macchinari erano ospitati in
due edifici distinti ubicati sulle sponde del corso d'acqua, rappresentati per la prima volta nel
catasto francese di inizio Ottocento.
L’impianto molitorio venne ampliato pochi decenni dopo, come attesta la mappa del catasto Rabbini.
In quell’occasione fu aggiunta una macina, perfezionando anche la balconera che reca la data 1834;
sul finire del secolo, il fabbricato in cui si svolgeva la lavorazione della canapa, ormai in disuso,
venne adibito a centrale elettrica in seguito smantellata.
La volumetria attuale è il risultato delle trasformazioni risalenti agli anni sessanta del Novecento
quando la struttura venne sopraelevata per inserirvi tre laminatoi a cilindri della celebre ditta
“Blanc”, il plansichter e il frangitutto, mentre vennero rimossi tre mole e il buratto. Il sistema ad
“alta macinazione”, azionato dalla ruota idraulica ottocentesca, è rimasto in attività fino alla
primavera del 2004; da allora non è più stato utilizzato.
L'installazione del mulino avvenne durante il governo dei Costa, consignori di Borgo, sin dalla prima
meta del Quattrocento e la proprietà passo successivamente al Duca Laval Montmorency, che
giunse a Borgo intorno al 1830. E’ probabile che I'ampliamento dell'impianto molitorio, datato 1834,
rientri nell'intervento di restauro degli edifici del Borgo, con la sistemazione della villa residenziale e
la costruzione della Chiesa, attuata dallo stesso Duca.
II meccanismo del mulino veniva sfruttato per la produzione di energia elettrica a favore dei conti
de Maistre, residenti nella villa antistante. Nel 1950, era, infatti, ancora funzionante la ruota
verticale utilizzata per la produzione di energia elettrica a 120 volt per mezzo di una dinamo. La
ruota azionava anche le macine in pietra all’interno della struttura. La coppia di palmenti giunta fino
a noi ha continuato a produrre farina di granoturco e mangimi per animali fino al 2007 quando il
mugnaio, che abita ancora nel mulino, è andato in pensione.
VIRLE
Castello dei Conti Piossasco di None e della Volvera. Per contrapporsi politicamente all’antica
casata dei Romagnano, gli Asinari, antichi feudatari di Virle, eressero un palazzo nel centro del
paese, rimaneggiando un edificio preesistente. L’ultimo degli Asinari, Gian Michele, lasciò i suoi
possedimenti in eredità alla figlia Margherita, che sposò in prime nozze il conte Aimone Piossasco di
None. Al nipote di quest’ultimo, Gian Michele, si deve la ricostruzione del castello, secondo lo stile
della prima metà del XVIII secolo. Il conte Gian Michele è descritto dagli storici dell’epoca come un
personaggio negativo per il patrimonio familiare: a detta di Antonio Manno, storico delle maggiori
famiglie nobili dello Stato sabaudo, rovinò il patrimonio di famiglia con la smania e la boria di
fabbricare. Infatti, si occupò anche del riadattamento delle antiche dimore di famiglia, a None e a
Piossasco: in particolare, verso la fine del ‘600, decise di costruire una splendida dimora sulla collina
piossaschese, non riuscendo a terminarla, giacché aveva destinato tutti i beni per rifare il palazzo di
Virle. Medesima sorte subì il rinnovamento del palazzo di None.
Nella facciata è incastonata una formella in terracotta di origine medioevale, da alcuni studiosi
attribuita all’antico castello degli Asinari. La preesistenza del fosso difensivo è conservata nella
particolare struttura ribassata che corre attorno alla facciata. Molte informazioni sul palazzo
potranno derivare da un esame attento del Fondo Piossasco, rimasto per anni in condizioni precarie
di conservazione in alcuni armadi dell’edificio, e riscoperto solo dopo che le suore vincenziane
avevano abbandonato la Villa negli anni ’90 del XX secolo. L'archivio è, ad un primo sommario
esame, composto di ben 181 faldoni, e conterrebbe carte databili dal XIII secolo in avanti.
Attualmente l’archivio è custodito presso la Soprintendenza Archivista dello Stato di Torino, pur
restando di proprietà dell’Istituto. Prima del trasferimento a Torino, la Soprintendenza provvide ad
esaminare in modo sistematico il contenuto dei faldoni, redigendo un "uno stato di consistenza"
dell'archivio stesso, in pratica riassumendo sinteticamente il contenuto di ogni falcone. Ingresso dal
giardino del castello alla cappella dei Piossasco nella Chiesa parrocchiale di S. Siro.
Di fronte al Palazzo vi sono due basse costruzioni, dette “palazzotti”; l’edificio storico è a pianta
rettangolare, con tre piani fuori terra. Antistante al castello, c’era un grande spiazzo, la cui
proprietà fu contesa per anni dal comune di Virle e dal conte, che ebbe la meglio nel 1842. Ottenuto
il pieno riconoscimento dell’area, il conte provvide a far piantare lunghe allee (viali) di pini e platani,
con siepi e pruni adibiti a confine. Le sale del piano nobile furono decorate da affreschi: purtroppo,
l’utilizzo ottocentesco del Palazzo non ha favorito la conservazione di queste pitture, la maggior
parte delle quali è stata coperta da intonaco ed anonime vernici. Per fortuna, fu conservato il Salone
balconato, affacciato sulla piazza, affrescato dai pittori quadraturisti modenesi Giuseppe e Nicolò
Dallamano4 . L’attribuzione degli affreschi di Virle è testimoniata dalle schede raccolte da
Alessandro Baudi di Vesme, il quale ebbe probabilmente accesso ad una documentazione
archivistica non ancora identificata. Un confronto può essere fatto con opere realizzate dai
Dallamano nei cantieri di Villa della Regina a Torino (salone) e con l’analoga decorazione del salone
d’onore della Villa Provana del Sabbione di Carignano, ancora leggibile malgrado le pesanti
alterazioni occorse soprattutto nel XX secolo5 . Nel 1773 fu investito del feudo di Virle il conte
Giuseppe Mauro Gaetano Piossasco di None, che decise di ristrutturare l’intero edificio,
modificandone anche l’aspetto esterno, forse per concorrere col vicino castello dei Romagnano. Allo
stato attuale, quasi tutti gli storici concordano nell’attribuire le modificazioni occorse al Palazzo
all’opera dell’architetto conte Ignazio Renato Birago di Borgaro. Il rifacimento si situa nel periodo di
attività dell’architetto, attivo per molto 4 Nato nel 1679 a Modena, giunse a Torino nel 1717, e fu
attivo nei cantieri sabaudi fino al 1757. Morì il 1 gennaio 1758. Suo figlio Niccolò, che esercitò per
alcuni anni a Torino, morì nel 1766. I Dallamano furono attivi in molti cantieri della corte:
decorarono a finte architetture il salone e il vestibolo della Villa della Regina a Torino, operarono al
Castello di Rivoli, nella Chiesa della Pietà di Savigliano, nella chiesa di S. Domenico a Racconigi,
nella chiesa parrocchiale di Carrù, in alcune chiese e a Palazzo Salmatoris di Cherasco. L’intervento
a Virle dovrebbe colocarsi al 1729, se si presta fede alla data dipinta su una porta del Salone
centrale. 5 Gli affreschi dei quadraturisti fratelli Gioannini eseguiti all’inizio del XVIII secolo (ed oggi
residuanti, con probabilità, in una sala del palazzo, furono probabilmente aggiornati dai Dallamano
per tramite dell’architetto che riplasmò la residenza; l’argomento della volta e delle pareti ricorda
molto da vicino le decorazioni di Palazzo Piossasco di None a Virle. Rimane il problema di raccontare
tali interventi alle riplasmazioni settecentesche dei due edifici, stante il divario cronologico che
separa l’attività dei pittori Dallamano, conclusasi negli anni ’50, dall’epoca probabile delle
ristrutturazioni operate all’incirca vent’anni dopo. Il legame famigliare qui ricostruito potrebbe
giustificare la migrazione di queste maestranze qualificate in anni precedenti gli interventi sulla
struttura degli edifici, confermando in entrambi i casi l’ipotesi dell’esistenza del salone di
rappresentanza in epoca anteriore al rifacimento. Le considerazioni qui espresse si fondano sui dati
oggi in nostro possesso, che non ci permettono di abbandonare il piano congetturale per giungere
ad una effettiva ricostruzione dei percorsi realizzativi. Tale operazione può attuarsi solo in seguito
ad una accurata lettura del materiale archivistico eventualmente rintracciabile. Walter Canavesio, in
www.sanvincenzo.com; 2003 tempo ai cantieri reali di Stupinigi ed Agliè, ed autore della
riplasmazione del castello di Birago e della costruzione della chiesa della confraternita di Vische.
Elementi caratteristici della sua architettura si riconoscono sia nella villa Piossasco di None a Virle
che nella villa già Provana del Sabbione a Carignano, da alcuni attribuita alla sua mano6 . Tali
residenze furono fatte edificare da famiglie nobili imparentate strettamente con l’architetto: infatti,
il conte Giuseppe Mauro di Piossasco di None (1754-1829), proprietario e probabile promotore
dell’opera, sposò il 24 aprile 1775 Angelica Gabriella Birago di Borgaro (1757-1831), sesta figlia
dell’architetto. Inoltre, un rapporto di parentela legava Aleramo Provana del Sabbione, proprietario
nella seconda metà del ‘700 della villa carignanese, all’architetto, figlio adottivo del conte Augusto
Renato Birago di Borgaro, marito in prime nozze con la contessa Gabriella Piscina, sorella della
moglie di Aleramo. Palazzo Piossasco di None: Salone d’onore, affreschi dei Dallamano 6 Una
tradizione non confermata da alcun documento attribuirebbe l’intervento al Palazzo dei Provana di
Carignano all’architetto Benedetto Alfieri. Tuttavia le date di inizio dell’attività dell’Alfieri non
concordano con il rinnovo della vecchia villa medioevale carignanese, situata in Via Monte di Pietà.
L’intervento diede alle pareti esterne l’aspetto movimentato che ancora oggi conserva, con le belle
modanature delle finestre. A Gaetano, successe il figlio Giuseppe Luigi Benedetto Piossasco di None
e della Volvera (morto nel 1853). Con disposizione testamentaria (15 marzo 1849), il conte fondò
l’Istituto S. Vincenzo de’ Paoli in Virle. La seconda moglie, Luigia Enrichetta Birago di Vische7 ,
morendo nel 1863 senza figli, lasciò in eredità tutti i possedimenti di Virle all’Istituto8 . Il castello
dei Piossasco, con le sue dipendenze, i palazzotti e gli edifici rustici, furono adibiti a varie attività
benefiche: un educandato per le fanciulle, un piccolo ospedale per poveri incurabili, un asilo
infantile, un ricovero per gli orfani e altre opere consimili di minore importanza. La contessa dette
incarico ad un gruppo di persone, in parte legati a vincoli parentali, di istituire concretamente
queste attività subito dopo la sua morte. L’Istituto, retto da Statuto Organico, fu approvato con
Regio Decreto del 30 aprile 1871. L’Istituto9 fu affidato alle suore Figlie della Carità di S. Vincenzo
de’ Paoli, attive anche in molti istituti dei paesi vicini, come Carignano. Purtroppo l’edificio storico
subì numerose alterazioni; anche l’esterno fu adattato alle nuove esigenze: furono abbattute le
colonne che delimitavano lo stradone per il passaggio della carrozza; le siepi e i pruni che ornavano
il piazzale antistante il castello furono eliminate, per adibire a piazza pubblica lo spazio. Molte delle
belle decorazioni interne del Palazzo furono ricoperte da una anonima vernice. Un incendio pare
abbia poi distrutto parte degli affreschi del Salone, nella parte posta verso il giardino: infatti, la
muratura esterna è rifatta con mattoni più recenti rispetto al resto dell’edificio. L’educandato fu
chiuso all’inizio del 1975. L’Istituto è strettamente legato alla storia virlese dell’Ottocento e del
Novecento, ed è ancora ben vivo nella memoria dei cittadini. Per comprendere meglio la storia
dell’istituto, è necessario esaminare brevemente alcuni passi sia del testamento della Contessa sia
dello Statuto Organico del 1871, che è rimasto in vigore sino alla metà degli anni '90, quando
finalmente ha subito alcuni aggiornamenti, dovuti per Legge. L’art. 15 dello Statuto del 1871
stabiliva che la sede dell'Istituto doveva essere a Torino, benché le attività dell'Istituto si
svolgessero totalmente a Virle. L'art. 16 dello stesso statuto, stabiliva che l'Amministrazione fosse
composta dall'Arcivescovo di Torino quale presidente; dal maschio più anziano (seniore) della
discendenza del conte Emiliano Avogadro della Motta e da tre membri nominati a vita. Nel
testamento della contessa erano sostanzialmente esclusi, come membri dell’Amministrazione
dell’Istituto, cittadini virlesi. Poiché l'Amministrazione dell'Istituto si riuniva sempre a Torino e gli
Amministratori si recavano a Virle una volta all'anno, esisteva un profondo distacco tra i cittadini di
Virle e questa istituzione. Tuttavia, la assidua presenza delle suore vincenziane garantiva alla
popolazione assistenza, cure costanti e sostegno religioso e morale, che contribuirono a legare la
Comunità all’Istituto. Le suore, in ogni modo, erano ospiti dell’istituto,, e rimasero in attività sino
agli inizi degli anni '90 del XX secolo. 7 Fu nominata dal re Carlo Alberto di Savoia Dama di Corte
della consorte Maria Teresa (29 maggio 1840), per la sua condotta esemplare, l’ottimo carattere e
le altre virtù che l’adornavano. Rimasta vedova,, si votò alla totale rinunzia a ogni cosa bella e
mortal che passa e non dura, scegliendo di dedicarsi ai poveri. Nel suo testamento (27 giugno
1862), lasciava il suo patrimonio e quello del consorte, conte Giuseppe Benedetto Piossasco di None
e della Volvera. Morì il 29 dicembre 1863. L’elegante lapide, posta sulla sua tomba nel giardino del
castello dei Piossasco, all’ombra della parrocchiale, ne ricorda le virtù: “Qui riposa la salma della
grande e pia contessa – Luigia Enrichetta Birago di Vische – morta in Torino il 29-XII-1863 che
vivente – divise coi poveri in un col proprio – il ricco patrimonio legatole – dal pio suo marito conte
Gaetano – Piossasco della Volvera – Morente – chiamolli a suoi eredi – sotto il patrocinio di San
Vincenzo de’ Paoli”. 8 Il testamento è datato 27 giugno 1862, presentato con atto 30 giugno 1862
ed aperto con atto 31 dicembre 1863, entrambi a rogito notaio Carlo Carlevaris 9 L’opera fu eretta
in Ente morale con Regio Decreto, il 31 dicembre 1864, col titolo di “Istituto S. Vincenzo de’ Paoli”;
l’Ente morale fu ribadito con Regio Decreto del 30 aprile 1871, in occasione dell’approvazione dello
Statuto. Con legge del 17 luglio 1890 n. 6972 fu eretto in IPAB. Nel consiglio d’amministrazione
c’erano l’arcivescovo di Torino (Presidente), il Visitatore della Missione di Torino e tre membri del
laicato torinese. Con Deliberazione della Giunta Regionale n 69/21211 del 10 dicembre 1992, la
sede amministrativa fu spostata da Torino a Virle Piemonte. Piossasco: conti di Bardassano, Mallere,
Ormea, Piossasco con Airasca, Volvera, None, Scalenghe e Castagnole, di Rivalba; signori di
Baldissero, Beinasco, Bicocca, Castelnuovo di Ceva, Cavour, Cercenasco, Envie, Montezemolo,
Paesana, Piobesi, Priero, Reano, Sale Langhe, Sangano, S. Dalmazzo, Vigone, Virle; consignori di
Alpignano, Bruino, Campiglione, Castelvecchio, Cavallerleone, Ceva, Cumiana, Parpaglia, Priola,
Testona
PARCO REALE DI STUPINIGI
Il territorio medioevale di "Stoponito", ricco d'acque sorgive, deve il suo popolamento alle Abbazie
di Staffarda e di Rivalta, che vi possedevano grange e chiese.
Il territorio definito in età medioevale presentava già un piccolo castello, tuttora visibile a levante
della palazzina (via Vinovo di Stupinigi), che anticamente difendeva il paese di Moncalieri: esso era
possesso dei Savoia-Acaia, ramo cadetto della dinastia, ma passò sotto la proprietà di Amedeo VIII
di Savoia quando l'ultimo degli Acaia morì nel 1418.
Amedeo VIII lo lasciò in proprietà nel 1439 ad un membro della famiglia, il marchese Pallavicino di
Zibello, ma i Savoia ne tornarono in possesso quando Emanuele Filiberto ne reclamò la proprietà nel
1564. Per volontà del duca, il castello e le terre adiacenti vennero lasciate all'Ordine Mauriziano.
Grazie alle continue bonifiche i suoli acquisirono fertilità e l'incremento dei boschi attirò la fauna
selvatica. L'interesse venatorio dei Savoia si rivelò già nel corso del XVI secolo quando tutto il
territorio, divenuto una Commenda dell'Ordine Mauriziano, venne riservato alle cacce ducali. Si
tracciarono le rotte Palmera e Pracavallo che dai castelli del Drosso e di Mirafiori sul Sangone
portavano quasi fino al torrente Chisola. In epoca barocca i territori si rivelarono adatti alla pratica
della chasse à courre (caccia praticata a cavallo con mute di cani, senza l'uso di armi da fuoco).
Tutto il territorio venne dunque rimodellato dalla costruzione della Palazzina con le sue rotte di
caccia e rondò.
Era l'aprile 1729, e venne affidato il progetto a Filippo Juvarra. Ma fu sotto il regno di Carlo
Emanuele III che la palazzina vide la nascita: nel 1731 già veniva inaugurata con la prima battuta
di caccia.
La costruzione si ampliò durante i regni di Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III con il contributo
di altri architetti, tra i quali Prunotto, Bo e Alfieri. Nel 1740 furono aggiunte altre due ali, ospitanti le
scuderie e le rimesse agricole.
Anche Napoleone Bonaparte vi soggiornò, dal 5 maggio al 16 maggio 1805, prima di recarsi a
Milano per cingere la Corona Ferrea. Qui egli discusse con le principali cariche politiche di Torino,
accogliendo il sindaco, la magistratura e il clero, con a capo il cardinale Buronzo. Sembra che il
cardinale, severamente redarguito dall'imperatore per le sue presunte corrispondenze con Carlo
Emanuele IV di Savoia, sia stato oggetto di una discussione che ebbe come risultato la sua
sostituzione con il vescovo di Acqui Terme, monsignor Della Torre.
Nel 1832 la palazzina divenne di nuovo proprietà della famiglia reale e il 12 aprile 1842 vi fu
celebrato il matrimonio tra Vittorio Emanuele II, futuro primo re d'Italia, e l'austriaca Maria Adelaide
d'Asburgo-Lorena. Fu poi ceduta al demanio statale nel 1919 e nel 1925 fu restituita, con le
proprietà circostanti, all'Ordine Mauriziano.
Nell'Ottocento ospitò per diversi anni un elefante indiano maschio, che era stato regalato a Carlo
Felice. L'elefante Fritz divenne famoso, ma dopo qualche anno l'elefante impazzì e incominciò a
distruggere ciò che lo circondava; venne abbattuto e donato al museo zoologico dell'università di
Torino. Attualmente l'animale imbalsamato è in mostra presso il Museo regionale di scienze naturali
di Torino.
La Regione Piemonte nel 1992 ha istituito il Parco naturale di Stupinigi e nel 2009 ha acquisito al
proprio patrimonio immobili appartenenti al contesto urbano e rurale del comparto di Stupinigi
appartenenti precedentemente all'Ordine Mauriziano.
Dal 1997 il Parco rientra nella tra i beni classificati dall'UNESCO Patrimonio dell'Umanità, in
relazione all'importanza storico-architettonica dei luoghi e alla presenza della Palazzina di Caccia di
Stupinigi, rientrante nel sito seriale delle Residenze Reali del Piemonte.