INFORMAZIONE FILOSOFICA Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Registrazione n. 634 del 12 ott. 1990 Tribunale di Milano. Spedizione in abbonamento postale gruppo IV/70. Prezzo: L. 7500 Copie arretrate L. 10000 Abbonamento annuale (5 numeri): L. 35000, studenti L. 25000, estero L. 56.000 Redazione, direzione, amministrazione e pubblicità: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. 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Gentili lettori, il mondo della filosofia, dei filosofi, è scosso alla radice dalla successiva scomparsa, in un brevissimo arco di tempo, di due figure cardine del pensiero filosofico novecentesco, Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra. Due autori, la cui opera, le cui scelte di vita, la cui militanza filosofica e culturale hanno profondamente segnato lo sviluppo della filosofia di questo secolo. In particolare, un lutto, una perdita che colpisce la tradizione filosofica milanese, quella tradizione che agli inizi degli anni ’50 si accingeva a diffondere, a discutere, a riflettere l’eredità di pensiero lasciata da Antonio Banfi. Al ricordo di Mario Dal Pra sarà dedicato il prossimo numero di questa rivista. Qui ricordiamo Ludovico Geymonat, la cui biografia filosofica, profondamente caratterizzata da grande generosità culturale e costante impegno civile, ha nutrito e nutre tutt’oggi in modo decisivo il panorama e la fisionomia della nostra cultura. Di Geymonat epistemologo, storico della scienza e della filosofia, non vogliamo soprattutto dimenticare la passione per il pensiero scientifico, la sua battaglia per diffondere la filosofia della scienza, la logica, nel mondo accademico e nella cultura contemporanea in genere. Un fervore che traspare, lucido, preciso, nelle parole, che vorremmo qui in parte riportare, con cui ebbe di recente a presentare un convegno dal titolo: La filosofia della scienza oggi (Europa 1993), organizzato a Napoli (12-14 aprile 1991) dall’ Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dall’ Istituto Ludovico Geymonat per la Filosofia della Scienza, la Logica e la Storia della Scienza e della Tecnica: «L’era moderna era stata caratterizzata dalla fiducia nelle capacità conoscitive dell’uomo, capacità che l’avrebbero portato a cogliere le regolarità dominanti nella natura fisica e in quella sociale. Conoscere significa dunque cogliere ciò che resta costante nella continua variazione dei fenomeni. Questa costanza è il segno dell’oggettività di ciò che noi osserviamo nel moto dei corpi celesti, come in quello dei fenomeni umani, e questo è ciò che caratterizza la conoscenza “vera”. Invece, il disordine è ciò che caratterizza la semplice presa d’atto della natura così come si presenta a noi nel momento di osservarla. Al contrario, ciò che caratterizza il post-moderno è che in esso l’ordine non è più il carattere distintivo della vera realtà: si hanno allora fenomeni irregolari e ciò malgrado oggettivi e questo implica che essi andranno studiati non con la matematica che regolava i fenomeni ideali secondo la concezione precedente, ma con una matematica nuova (del disordine, della probabilità, del caos). Questo ricorso a una diversa matematica è il primo carattere che distingue la scienza post-moderna da quella moderna. Se la scienza post-moderna è soprattutto interessata dalla complessità ciò comporta che l’epistemologia dovrà essere a sua volta interessata dalla complessità delle possibili teorizzazioni scientifiche che nascono nei vari campi del sapere. Dalla filosofia della scienza alle filosofie delle singole scienza: questa potrebbe essere la formula più opportuna per indicare il mutamento di prospettiva segnato dal patrimonio conoscitivo contemporaneo. Ma questa formula va complicata dalla consapevolezza che anche l’epistemologia possiede oramai una storia complessa, con differenti tradizioni concettuali, cui occorre necessariamente riferirsi se si vuole avere un’immagine meno imprecisa dei dibattiti contemporanei. [...] Si tratta allora di recuperare tutta la ricchezza e la complessità del dibattito epistemologico del Novecento per mettere capo ad una riflessione capace di muoversi su di un orizzonte aperto, da costruirsi attraverso un costante confronto concettuale tra le differenti tradizioni di pensiero. Naturalmente nel momento stesso in cui denunciamo la complessità delle varie tradizioni epistemologiche non possiamo non favorire un confronto che sia il più ampio e libero possibile. [...] Il franco riconoscimento dell’esistenza di una pluralità di punti di vista presenti all’interno delle stesse differenti tradizioni epistemologiche deve infatti indurci a modificare il nostro atteggiamento culturale di fondo nei confronti della filosofia della scienza, abbandonando ogni pretesa aprioristica di ridurla unicamente a questa o quella componente esclusiva ed unilaterale per favorire un programma di ricerca più aperto e comprensivo. Un programma di ricerca sistematicamente in grado di imparare lavorando anche tra le zone di confine tra le varie tradizioni epistemologiche senza peraltro rinunciare ad elaborare un proprio ed autonomo punto di vista. E’ nostra convinzione che una più seria analisi epistemologica dell’impresa scientifica possa oggi essere conseguita unicamente puntando programmaticamente sulla confrontabilità e sulla traducibilità reciproca tra le diverse tradizioni, tra le diverse discipline e tra le varie epistemologie che ne sono scaturite storicamente. Non è più possibile inseguire il mito di un modello epistemologico astratto e univoco, buono per tutte le discipline scientifiche, né è più legittimo concepire la filosofia della scienza separandola dalla storia della scienza. Anche alla luce di queste schematiche considerazioni la riflessione epistemologica richiede dunque dialogo e confronto come condizioni essenziali ed indispensabili per il suo stesso sviluppo. La “nicchia” ambientale della pratica scientifica in realtà costituisce anche la “nicchia” ambientale più opportuna per la stessa riflessione epistemologica la quale si può sviluppare e approfondire unicamente nella misura in cui sappia difendere uno stile di razionalità basato su un costante confronto critico tra posizioni diverse, differenti e persino conflittuali, senza escludere aprioristicamente alcuna tradizione epistemologica. [...] SOMMARIO 5 PROFILO 5 Ricordo di Ludovico Geymonat 48 Il ritorno dei neokantiani 49 Michael Walzer sui nuovi comunitarismi 50 La ‘pace perpetua’: storia di un dibattito 9 RESOCONTO 51 Wilhelm von Humboldt 9 Filosofia e politica in Germania tra le due guerre 52 La filosofia di Michael Dummet 52 Una nuova immagine di Platone 21 AUTORI E IDEE 53 Nietzsche tra filologia e attualizzazione 21 Lacan e la filosofia 54 Cielo fisico e cielo morale 21 Del simbolo, dell’uomo 56 Heidegger e i Greci 22 Un manifesto dell’edonismo 56 Filosofia e liberazione 22 L’integrità della ragione umana 57 Nuove vie della filosofia 23 Breve storia dell’apparenza 58 Da Vienna a Napoli: il viaggio di Lessing in Italia 24 Isaiah Berlin: il conflitto inevitabile 58 Pluralismo delle religioni 24 Giustificazioni di Dio 26 Habermas: pensiero post-metafisico ed etica del 60 CALENDARIO 27 Michael Dummet: alla base della verità 28 Su Sartre e Beauvoir 64 DIDATTICA 29 L’inumano dell’uomo: la morale di André 64 L’insegnamento della filosofia attraverso i testi 64 Interventi, proposte, ricerche 31 TENDENZE E DIBATTITI 65 Convegni 31 Ecce Nietzsche: un filosofo per tutti e per nessuno 32 Chi è Nietzsche? 67 NOTIZIARIO 33 Nietzsche alla ribalta nel mondo anglosassone 34 Il dibattito sul libero arbitrio 68 RASSEGNA DELLE RIVISTE 35 Ritorno alla Grecia 37 Trasformazione delle scienze dello spirito 39 PROSPETTIVE DI RICERCA 39 Diverse lingue 40 Maimonide e la cabala 40 Storia dello strutturalismo 41 Husserl 42 La ripetizione di Kierkegaard 42 Ripensando Kant e altri filosofi 43 Il granaio di Montesquieu 43 Wittgenstein: una biografia e un romanzo 44 Felice Tocco e la tradizione filosofica italiana 45 William Whewell 47 CONVEGNI E SEMINARI 47 Il dolore, la sofferenza 47 I problemi del tradurre 74 NOVITA’ IN LIBRERIA PROFILO Ludovico Geymonat PROFILO Per sessant’anni, fin dal primo libro del 1931, aveva E’ proprio questa esigenza che lo accompagnerà - se non alzato la sua voce per scuotere il panorama filosofico lo guiderà - nelle diverse fasi della sua produzione italiano, aveva condotto una “battaglia culturale” senza filosofica, nelle diverse e successive proposte teoretiche risparmio di impegno contro ogni forma di idealismo e di che egli verrà facendo, sostenute da un altro elemento soggettivismo, avendo fin da allora riconosciuto «la costante e, per così dire, più intrinseco al razionalismo possibilità, anzi la necessità, di dare una nuova forma alla forte, caratteristico di tutta questa evoluzione: la convingnoseologia positivistica». E la sua non è stata una zione di una profonda unità fra scienza e filosofia, pur presenza - intellettuale, morale, e addirittura fisica, con nelle distinzioni e nelle “tecniche” specifiche. Agli inizi quel suo corpaccione da montanaro - che si potesse far del suo lungo cammino ebbe a dire che «qualunque distinzione aprioristica dei due “pensieri” risulta illusofinta di ignorare o della quale sbarazzarsi facilmente. Se n’è andato in silenzio, sommessamente, il 29 novem- ria. Nel suo reale sviluppo dell’umanità essi sono variabre dell’anno appena trascorso. Da due anni circa, dopo mente interconnessi fra di loro»; e nell’introduzione alla un’accidentale caduta a Barge - il paesino del cuneese Storia del pensiero filosofico e scientifico, l’Enciclopedove aveva una casa che tanto amava e che da qualche dia Geymonat, come viene familiarmente chiamata dagli anno l’aveva eletto cittadino onorario - era in ospedale: studenti, pubblicata in una prima edizione fra il 1972 e il prima a Saluzzo, con un braccio rotto, poi qualche giorno 1976 riaffermerà: «Pensiero filosofico e pensiero sciena Revello, infine, dalla metà di ottobre, a Passirana di tifico non sono affatto in antitesi l’uno con l’altro, ma Rho, per la riabilitazione. Al di là dei problemi della sono sue facce della medesima razionalità che faticosacaduta, aveva subito un forte attacco di parckinsonismo; mente si fa strada nella storia dell’uomo. Le “visioni del ma niente faceva pensare ad una fine così improvvisa: lo mondo” elaborate a grado a grado da filosofi e da scienziati non risultano mai interaha stroncato un’influenza viramente soddisfacenti, mai dele, con altissimi accessi febbrifinitive, mai complete. Ma proli, proprio il giorno in cui la prio in questa non definitività moglie, ad una riunione delsi rivela il loro autentico caratl’Istituto Geymonat (sorto a tere razionale, cioè la loro apMilano e Varese nel 1985), ci partenenza a un vastissimo aveva annunciato che Ludovico processo che rifiuta di conclusarebbe stato dimesso il giovedersi in qualcosa di dogmatico dì successivo. e di indiscutibile. Sono visioni Un giorno nella cella mortuaria costituitesi sulla base di certi dell’ospedale, poi la domenica ben determinati argomenti, e il trasporto a Barge: un paese ricche di stimoli anche per chi gli si è stretto attorno con semdi Corrado Mangione si senta in dovere di criticarle plicità per l’ultimo saluto, e sulla base di ben altri argohanno pronunciato parole commenti. La loro funzione è di mosse, non di circostanza, un collaborare all’affermarsi delrappresentante del comune, la ragione, di aprirle nuove Norberto Bobbio, una nipote, prospettive, di renderla nel un compagno di lotta partigiana, un allievo, un compagno di Rifondazione Comunista contempo più cauta e più coraggiosa». Non è certo possibile seguire qui passo passo l’evoluzio(cui Geymonat, com’è noto, aveva aderito). Così ci ha lasciati Ludovico Geymonat. Aveva 83 anni, ne del pensiero di Geymonat, e dovremo accontentarci di essendo nato a Torino l’11 maggio 1908. Nel ’30 si era alcuni cenni, collegati ad alcune delle sue opere principalaureato in filosofia (con Annibale Pastore), nel ’32 in li che in qualche senso segnano altrettante tappe del suo matematica (con Guido Fubini); aveva quindi comincia- itinerario intellettuale e culturale. to giovanissimo, a soli 23 anni, la sua militanza culturale Dopo l’esordio sopra richiamato, Geymonat viene attratcol volume: Il problema della conoscenza nel positivi- to (più volte lui stesso dirà “affascinato”) dal neopositismo, nel quale, come si esprimerà qualche anno dopo, vismo del circolo di Vienna e della scuola di Berlino: va tentava di mettere in luce, con una lettura affatto nuova a studiare con Schlick, introduce in Italia il pensiero del positivismo comtiano, «il carattere positivistico...di neopositivista (ad esempio, con La nuova filosofia della alcune grandi tesi filosofiche»; ma nel “delineare” un natura in Germania, 1934), al quale aderisce, pur con proprio “sistema” sembra al giovane filosofo «già un precise riserve, tra l’altro, circa l’ “assoluto antistoriciliberarmi in qualche modo da esso»: sicchè quel libro smo” dello stesso: «anche se non sono mai stato a rigore esprime anche un atteggiamento che sarà costante in un neopositivista,...è certo che ne subii in misura rimarGeymonat, quello della ricerca critica continua, che gli chevole l’influenza», dirà nel 1977. Forse il momento più derivava da una reale e sincera apertura di pensiero, pregnante di tale influenza è rappresentato dagli Studi per attento ad accogliere criticamente novità, a vagliare solu- un nuovo razionalismo (1945), dove vengono raccolti in zioni e posizioni diverse, a considerare sempre provviso- modo organico molti saggi già pubblicati e dove, accanto rie le tappe delle proprie acquisizioni. Un atteggiamento a una “sofferta” adesione “alla cosiddetta filosofia neovitale e dinamico che gli proveniva dalla convinzione che positivistica”, si chiarisce il senso di quel “nuovo” che «la filosofia, essendo puro pensiero, deve essere necessa- figura nel titolo, affermando che il «razionalismo, cui riamente progresso e vita, non contemplazione statica o aspira la cultura moderna, deve essere ben più agguerrito e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati; morte». Ricordo di Ludovico Geymonat PROFILO esso deve contemporaneamente essere: critico, ossia capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione dalle filosofie mistiche e decadenti, fiorite negli ultimi anni; costruttivo, cioè in grado di soddisfare le esigenze di ricostruzione e di logicità caratteristiche della nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi allo spirito umano. E’ proprio in tempi di filosofie “decadenti” che si fa più pressante l’appello alla ragione, la quale «ha semplicemente deluso coloro che amavano, per principio, l’oscurità, il mistero, l’imprecisione, la retorica». Una delle prerogative di questo nuovo razionalismo è la consapevolezza della natura postulazionale dei principi «di carattere ineliminabilmente convenzionale»; ma lungi dal rappresentare una difficoltà, questo presenta il vantaggio che - come dirà nei Saggi di filosofia neorazionalistica (1953) - l’indirizzo neorazionalistico, che «non è, e non pretende, essere un “sistema di verità assoluta”, ma un puro e semplice modo...d’impostare il lavoro filosofico», dal momento che non ha «sistemi precostituiti da difendere», si trova ad essere «nella migliore disposizione possibile per apprezzare qualsiasi critica seria e far tesoro di ogni suggerimento concreto, che non nasconda preconcetti dogmatici di ordine generale». E’ un’impostazione democratica del sapere, una visione di totale apertura, si potrebbe dire “dialettica” in senso lato (e sta proprio qui - a mio avviso - la reale motivazione del suo successivo incontro e adesione al materialismo dialettico, adesione che non fu motivata e mai si ridusse a stereotipo ideologico) che porta Geymonat, con successive riflessioni, ad allontanarsi definitivamente dal neoempirismo (in particolare con Filosofia e filosofia della scienza, 1960); fa certo parte di queste riflessioni - ed è sicuramente la base lontana sulla quale Geymonat proporrà negli anni settanta il suo concetto di “patrimonio tecnico-scientifico”- la ricerca sui rapporti fra scienza, tecnica, convinzioni e istituzioni religiose che si concreta, nel 1957, nel prezioso volumetto su Galileo Galilei. Questa continua ricerca approda negli anni settanta come sopra ho accennato - ad una ripresa di temi essenziali del materialismo dialettico ispirato alle idee di Marx, Engels e Lenin col capitolo: “Primi lineamenti di una teoria della conoscenza materialistico-dialettica”, contenuto nel volume: Attualità del materialismo dialettico , pubblicato nel 1974 (gli altri tre capitoli del volume sono dovuti rispettivamente a E. Bellone, G. Giorello e S. Tagliagambe), e soprattutto in Scienza e realismo, del 1977 (dove veniva aggiunto uno specifico e significativo riferimento al pensiero di Mao Tse Tung), che apparve come diciassettesimo volume della collana di filosofia della scienza che egli diresse, presso Feltrinelli, dal 1960 ai primi anni Ottanta. Altro tema ripreso e sviluppato da Geymonat in particolare negli anni Ottanta è quello del rapporto della filosofia della scienza con la storia della scienza: dico ripreso perchè oltre alla ricerca, sopra ricordata, verso la scuola neopositivistica, risale addirittura al 1947 quella Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale che - a mio parere resta in assoluto una delle migliori presentazioni storicoteoriche della problematica alla base dei fondamenti della matematica. D’altra parte il suo interesse per la matematica non venne mai meno, anche se i suoi inter- venti specifici in questo campo si concentrano sostanzialmente nei primi anni dopo la laurea. Anzi, una delle caratteristiche del discorso epistemologico di Geymonat è proprio l’attenzione ai problemi che la matematica pone e che rendono impossibili soluzioni troppo facili sul piano filosofico: è qui opportuno ricordare che a Geymonat si deve il rinnovato interesse per la filosofia della matematica e soprattutto per la logica matematica in Italia. Questo tipo di indagini coinvolse tanto filosofi quanto matematici e si può dire che la quasi totalità dei docenti di tali discipline nella Università italiane sia stato, direttamente o indirettamente, legato a Geymonat. Altro campo - più vicino a certa problematica neopositivista - è la filosofia della probabilità, su cui Geymonat ritornò in parecchi periodi della sua vita, a partire dal 1940, fino al volume: Filosofia della probabilità (1982) scritto in collaborazione con D. Costantini (un probabilista puro che proprio il rapporto con Geymonat aveva indirizzato ad una visione più generale della sua disciplina, cosa che del resto era avvenuta anche per molti altri giovani matematici e fisici). Sullo “storicismo scientifico” di Geymonat mi limiterò a ricordare il volume Scienza e storia (1985) come pure, per molti versi, il volume “dialogico” (gli interlocutori erano E. Agazzi e F. Minazzi) Filosofia, scienza e verità (1989). Va qui sottolineato che lo “storicismo” di Geymonat non fu mai puramente dottrinario, ma si concretizzò in specifiche indagini proprie e in numerose iniziative editoriali e non (basti ricordare la collana Utet da lui diretta dei Classici della Scienza, o la sua funzione determinante nello sviluppo della Domus Galileiana). Ho nominato di passaggio solo alcuni titoli della copiosissima produzione geymonatiana, come ho fatto cenno solo ad un paio delle sue numerose iniziative editoriali; già questi pochi esempi mostrano tuttavia che Geymonat ha avuto rapporti con quasi tutti i grandi editori italiani e che non ha certo disdegnato di “lanciarne” dei nuovi. Comunque, una bibliografia completa delle sue opere fino al 1977 si può trovare in M. Quaranta e B. Maiorca, L’arma della critica di Ludovico Geymonat, (1977) mentre una testimonianza illuminante sull’attività editoriale di Geymonat si può trovare nel contributo di Emanuele Vinassa di Regry, “Geymonat e l’editoria italiana”, al volume Scienza e filosofia. Saggi in onore di Ludovico Geymonat (1985) che contiene tra l’altro la bibliografia di Geymonat aggiornata a quell’anno. E’ difficile, e sarebbe comunque ingiusto “ridurre” una personalità come quella di Geymonat alla sola dimensione di studioso: antifascita militante, partigiano combattente, civilmente e politicamente impegnato (prima nel PCI, quindi in DP e infine in Rifondazione comunista) era un entusiasta e un partecipe per natura. E con ciò non voglio dire che fosse un uomo “perfetto”, come si è soliti fare quando una persona cara ci lascia. Tutt’altro: aveva difetti altrettanto marcati delle sue virtù, difetti che lo rendevano un uomo talora difficile da trattare, con i suoi scatti d’ira, le sue passioni brucianti seguite da indifferenza totale, con quel suo dividere la vita, nei comportamenti, in bianco o in nero, amico o nemico, razionale o irrazionale, con una sorta di candida ingenuità insospettabile - e non sempre facilmente perdonabile - in un nome e in uno studioso della sua levatura; personalmente ho avuto con lui scontri molto aspri (condotti «con quell’as- PROFILO soluta sincerità che è la condizione di un’assoluta amicizia», come ebbe a scrivere nel 1964) che hanno veramente messo a dura prova un’amicizia più che trentennale. Ma gli debbo anche riconoscere una grande capacità di ammettere i suoi eventuali torti, o più semplicemente i suoi sbagli, o abbagli, e una dedizione amicale totale, a volte quasi imbarazzante. Contrariamente a quanto più di un commentatore ha detto in occasione della sua morte, Geymonat è stato lucido e attivo certamente almeno fino al ricovero in ospedale, e ne fanno fede, ancora una volta, i suoi interventi, volumi o articoli, nei quali è rimasta fino alla fine evidente quella «ricerca, talvolta esasperata, di chiarezza» che egli dichiarava essere un suo scopo fin dal 1945 e che più d’una volta ha fatto dire a critici superficiali, e interessati, che Ludovico Geymonat è scomparso il 29 novembre 1991 a Passirana di Rho. Nato a Torino l’11 maggio del 1908, si forma nelle scuole dei gesuiti dalle quali, pur essendo uno dei migliori allievi, è però espulso a causa di un anomalo tema su Giovanna d’Arco. Passato al liceo Massimo d’Azeglio vi frequenta l’ultimo anno per poi iscriversi all’università torinese dove si laurea, prima in filosofia (1930) con Annibale Pastore (discutendo una tesi dedicata a Il problema della conoscenza nel positivismo), poi in matematica (1932) con Guido Fubini (discutendo una tesi di analisi superiore), entrando anche in contatto diretto con Giuseppe Peano. Nel maggio del 1929 è già arrestato per antifascismo per aver firmato (insieme ad altri studenti, tra i quali Massimo Mila, Franco Antonicelli, Umberto Segre e Paolo Treves, cui si unì anche Umberto Cosmo) una lettera di solidarietà a Benedetto Croce il quale, dopo aver difeso in parlamento il laicismo dello Stato ed aver criticato apertamente i Patti lateranensi, era stato violentemente attaccato da Benito Mussolini. In tal modo Geymonat si segnalò immediatamente alle autorità fasciste per il suo coerente antifascismo e per la sua tipica coscienza morale. Durante tutti gli anni seguenti Geymonat non si piegò mai al regime fascista e conseguentemente non accettò mai di iscriversi al partito fasci- nei suoi scritti non era contenuta “abbastanza filosofia”. Ma sarebbe difficile sopravvalutare il contributo di Geymonat, del suo razionalismo agguerrito e combattivo, della sua battaglia per il superamento delle “due culture”, alla cultura filosofica, storica e scientifica italiana dagli anni Trenta in poi; e mi piace terminare questo breve ricordo con le parole con cui egli chiudeva l’introduzione alla Enciclopedia Geymonat: «Solo se sostenuta dall’entusiasmo dei propri successi, se temprata dall’esatta valutazione delle difficoltà tuttora non risolte, l’umanità può persistere nella difficile via della ragione, senza farsi tentare da quelle - tanto più comode - del conformismo dogmatico o del pessimismo irrazionalista». sta, anche se questa sua ferma e coerente decisione ebbe un prezzo alquanto salato: lo costrinse ad abbandonare l’insegnamento presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Torino (dove svolgeva attività di assistente di analisi algebrica), gli impedì di insegnare nei licei statali, pur avendo vinto a pieni voti sia il concorso per l’insegnamento di filosofia sia quello per l’insegnamento di matematica, che svolgeva presso il Liceo privato “G. Leopardi” (dove ebbe come collega di lettere Cesare Pavese). Durante gli anni Trenta, avendo vinto il premio Cantoni di filosofia bandito dall’Università di Firenze, ottenne una borsa di studio con la quale - anche grazie ad un aiuto finanziario del padre potè soggiornare a Vienna per un intero semestre nel 1935, entrando in diretto contatto con gli esponenti del Circolo di Vienna. Durante questo soggiorno, oltre a legarsi in modo particolare con Moritz Schlich e Friedrich Waismann, studiò con attenzione le idee direttive del neopositivismo, diventando ben presto uno dei più acuti e profondi conoscitori italiani di questo movimento filosofico. Gli ultimi anni del regime fascista lo vedono comunque sempre più impegnato nella lotta antifascista: la discussione e la conoscenza di un operaio comunista come Luigi Capriolo, proveniente da dodici anni di carcere e confino, lo inducono non solo ad uscire dall’isolamento forzato di un generico antifascismo senza significativi sbocchi pratici ma anche ad iscriversi senza riserve - nel 1940 - nel Partito Comunista, nelle cui file partecipò in prima persona alla lotta di Liberazione in Piemonte, dove svolse un ruolo di primo piano come commissario politico della 105 brigata Garibaldi “Carlo Pisacane”, nonché come redattore capo responsabile per l’edizione torinese clandestina de “l’Unità”. Dopo la Liberazione Geymonat torna più direttamente all’amato mondo degli studi, in primo luogo pubblicando, negli stessi giorni dell’insurrezione nazionale, il suo impegnativo volume: Studi per un nuovo razionalismo e dando vita nell’immediato dopoguerra (insieme ad altri intellettuali come Nicola Abbagnano, Norberto Bobbio, Eugenio Frola, ecc.) al Centro di Studi Metodologici di Torino con il quale diffonde in modo critico la lezione neopositivista. Nel 1949 vince il primo concorso di filosofia teoretica indetto dalla caduta del fascismo e diviene professore di filosofia presso l’Università di Cagliari. Nel ’52 si trasferisce all’Università di Pavia dove insegna Storia della filosofia per poi ottenere nel 1957 la prima cattedra italiana di Filosofia della scienza presso l’Università di Milano, che tiene fino al 1979. F.M. Opere di Ludovico Geymonat (in volume) Il problema della conoscenza nel positivismo Bocca, Torino 1931 La nuova filosofia della natura in Germania Bocca, Torino 1934 Studi per un nuovo razionalismo Chiantore, Torino 1945 Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale Levrotto & Bella, Torino 1947 Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica a cura di G. Giorello e M. Mondadori, Il Saggiatore, Milano 1979 Per Galileo a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1981 Filosofia della probabilità (con D. Costantini), Feltrinelli, Milano 1982 Saggi di filosofia neorazionalistica Einaudi, Torino 1953 Riflessioni critiche su Kuhn e Popper Dedalo, Bari 1983 Il pensiero scientifico Garzanti, Milano 1954 Lineamenti di filosofia della scienza Mondadori, Milano 1985 Galileo Galilei Einaudi, Torino 1956 Scienza e storia, a cura di F. Minazzi, Bertani, Verona 1985 Filosofia e filosofia della scienza Feltrinelli, Milano 1960 Le ragioni della scienza (con G. Giorello e F. Minazzi), Laterza, Bari 1986 Storia della matematica in Storia delle scienze a cura di N. Abbagnano, Utet, Torino 1962 (vol. I, pp.305-662) La ragione e la politica a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1987 Storia del pensiero filosofico e scientifico Garzanti, Milano 1970-76, 7 voll. Scienza e realismo Feltrinelli, Milano 1977 Contro il moderatismo a cura di M. Quaranta, Feltrinelli, Milano 1970 Del marxismo a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1987 La libertà Rusconi, Milano 1988 Filosofia, scienza e verità (con E. Agazzi e F. Minazzi), Rusconi, Milano 1989 I sentimenti Rusconi, Milano 1989 La società come milizia a cura di F. Minazzi, Marcos y Marcos, Milano 1989 La Vienna dei paradossi a cura di M. Quaranta, Il Poligrafo, Padova 1991 Filosofia e scienza nel ‘900, a cura di M. Quaranta, Edizioni GB, Padova 1991 L’ultimo scritto di Geymonat, La filosofia dell’empirismo logico: una testimonianza sul Wiener Kreis, è apparso nel volume: Il cono d’ombra. La crisi della cultura agli inizi del '900, (a cura di F. Minazzi, Marcos y Marcos, Milano 1991, pp. 21-44), ed è dedicato ad una inedita testimonianza sul Circolo di Vienna. Sull’opera di Geymonat si veda: AA.VV., Scienza e filosofia. Saggi in onore di L. Geymonat, a cura di C. Mangione, Garzanti, Milano 1985 M. Quaranta e Bruno Maiorca, L’arma della critica di L. Geymonat, Garzanti, Milano 1977 F. Minazzi, Ludovico Geymonat: dal neopositivismo al materialismo dialettico, “Marx centouno”, n.7, 1991, pp.155-163 PROFILO Monaco di Baviera, corteo in occasione dell'inaugurazione della Haus der Kunst (1937) RESOCONTO PROFILO Credo che a La comunità, la morte, Presentiamo qui gli atti di un dibattito sul tema: “Filoso- Roberto l’Occidente di Domenico Losurdo ci fia e politica in Germania tra le due guerre”, organizzato Esposito si debba accostare con il rispetto doda “Informazione Filosofica” presso la Casa della Culvuto a un libro importante: vale a dire tura di Milano (25 novembre 1991), in collaborazione attraverso una discussione impegnacon l’ Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e ta e non diplomatica dei problemi che l’ Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici di Milano. Occasione del convegno e del dibattito che ne è solleva, delle soluzioni che prospetta, dei presupposti da seguito è stata la presentazione dell’opera di Domenico cui muove. Un libro importante per almeno tre ordini di Losurdo: La comunità, la morte, l’Occidente: Heidegger motivi. Intanto per la vastità del materiale che mette in e l’ «ideologia della guerra» (Bollati Boringhieri 1991). campo ed esamina con una “filologia” inconsueta per un Ricostruendo attraverso la biografia intellettuale e l’o- saggio di battaglia come pure esso è. Ad essere indagato pera filosofica di pensatori significativi dell’epoca il in tutte le sue articolazioni interne non è solo il rapporto clima culturale-ideologico di un’intera generazione di tra Heidegger e il nazismo, ma la relazione tra un’intera intellettuali in Germania all’indomani della prima guer- generazione europea di intellettuali e quella ra mondiale e fino alla presa del potere da parte del Kriegsideologie che costituisce il collante appunto ‘ideopartito nazionalsocialista, Losurdo va a cogliere uno dei logico’ (il saggio di Losurdo appartiene al genere un nessi fondamentali della tradizione del pensiero occi- tempo assai frequentato della ‘critica ideologica’) di tutta dentale: il rapporto tra filosofia e ideologia politica. una serie di opzioni linguistiche, concettuali e politiche: Soprattutto il modo di questa ricostruzione, a partire cioè ad essa rimanda, infatti, non soltanto l’idea di “comunità” nazionale, saldata misticadall’interno del pensiero di mente nella comunanza di determinati autori, per pro“sangue e suolo” appunto cedere poi gradatamente aldal pericolo della guerra, l’esterno, al contesto cultuma anche, più in generale, rale-ideologico, politicoil rifiuto dei valori della sociale, in cui l’opera di modernità, a partire dai diquesti viene producendosi, ritti universali della rivolurende il rapporto tra filosozione dell’89 fino alla defia e potere politico un promocrazia e al bolscevismo blema decisamente inquie(nel libro di Losurdo semtante per le domande che pre affiancati in un unico pone circa il ruolo e le regiudizio positivo). sponsabilità del “filosofaIl secondo motivo di intere” in determinate situaIntervengono Cesare Cases, resse del volume è costituizioni politiche. Nel caso del Roberto Esposito, Domenico Losurdo, to dal fatto che questo prelibro di Losurdo, la pecuGiorgio Penzo, Stefano Petrucciani zioso lavoro di scavo non liarità dell’analisi di queavviene a scapito, ma in sto rapporto è accresciuta funzione di una tesi assai dal fatto che le varie posinetta che lo colloca in mazioni filosofiche prese in eniera inequivoca all’intersame non vengono ricondotte né a un rifiuto di principio del coinvolgimento no del dibattito in corso e che è la seguente: quella politico, né a un aperto schieramento ideologico con il “ideologia della guerra” presente in maniera diversamenpotere dominante, ma in tutte viene individuato, certo in te calibrata in tutti gli autori trattati e in particolare in maniera ogni volta diversa, un presupposto problemati- Heidegger porta dritta al nazismo. Quest’ultimo costituico comune, che appunto costituisce l'oggetto dell'analisi sce il compimento politico - o l’effettuazione - di una di Losurdo: una sorta di “incommensurabilità di fondo”, parabola teoretica che ha alla propria base la “deunivertra pensiero filosofico e ideologia politica. In virtù di un salizzazione” dell’idea di uomo e la naturalizzazione tale presupposto l’autonomia che fonda la riflessione della storia già anticipata da Burke e De Maistre e a vario filosofica in quanto tale non ammetterebbe che anche nel titolo presente nelle opere di Sombart, Jaspers, Jünger, caso di una evidente e rinnovantesi sovrapposizione, se Schmitt e naturalmente Heidegger (non senza qualche non addirittura identificazione tra contenuto filosofico e eco in autori insospettabili come Freud, Weber, Husserl, contenuto ideologico, si possa parlare di contaminazio- Mann, Croce o Wittgenstein). Quando questa “ideologia” diffusa come un morbo mortale negli anni Dieci e ne tra filosofia e potere politico. Permane tuttavia irrisolto il peso del giudizio storico su Venti arriva a dedurre dalla disfatta della modernità la un’epoca di crimine sistematico nei confronti dell’uma- necessità di un nuovo inizio miticamente rivestito dei nità, a cui fa eco, ed è storia dei nostri giorni, il preoccu- panni dell’antica polis greca, allora i tempi sono maturi: pante riaccendersi di ideologie razziste di compensazio- la cultura tedesca è pronta a riconoscere nel Führer l’ ne. Tutto ciò non permette, oggi come allora, di liquidare “eroe” che salverà l’Occidente dall’invasione dei “meril problema attraverso documentate attribuzioni di col- canti” ariani o ebrei (o peggio ancora “zingari, papuani, pa. Il lavoro di Losurdo è in tal senso una testimonianza ottentotti”) che ne minacciano la sopravvivenza. E arriviamo così al terzo merito del libro di Losurdo: la eloquente. Filosofia e politica in Germania tra le due guerre RESOCONTO PROFILO capacità di distinzione interna che sottrae la propria tesi ad ogni atteggiamento pregiudiziale. Distinzione non solo tra antigiudaismo e antisemitismo; non solo tra i vari intellettuali, diversificati in merito sia alla scelta nei confronti del nazismo, sia all’itinerario filosofico che ad essa li ha condotti; ma anche tra i differenti strati interni dell’opera dei singoli autori. Dei quali comunque, a partire da Heidegger, Losurdo è ben lontano da negare la “grandezza” filosofica. Ciò che egli contesta è invece l’atteggiamento pregiudizialmente “innocentista” di coloro che pur di arrivare al loro scopo o adottano quell’ermeneutica sillogistica secondo la quale, dal momento che cultura e fascismo sono termini contraddittori, chiunque sia filosofo - e grande filosofo - non può essere fascista; o trattano l’adesione di Heidegger al nazismo come episodio marginale e contingente del tutto esterno alla formazione delle sue categorie filosofiche. Al contrario afferma Losurdo - tale adesione deve in qualche modo originarsi in quelle categorie. E’ vero che esiste una sorta di “eccedenza” della filosofia - di ogni filosofia, e di quella di Heidegger in modo del tutto particolare - rispetto alla pressione del proprio tempo: ma anch’essa va letta dentro coordinate storicamente determinate. Certo, non bisogna mai perdere di vista la linea di confine tra “teoria” e “ideologia”, ma neanche il fatto che tale linea è per forza di cose segmentata, sfrangiata, interrotta. Non solo, ma che non taglia orizzontalmente, come vorrebbe Habermas, la produzione di Heidegger in due fasi distinte e separate - prima e dopo il ’29 - bensì la attraversa verticalmente in tutta la sua estensione. Tant’è vero che già in Sein un Zeit si fanno strada alcune categorie poi piegate all’esito che sappiamo negli anni oscuri del rettorato. Ma quali categorie? Proprio qui mi pare vengano alla luce una serie di problemi non soltanto di interpretazione, ma anche di coerenza interna rispetto ai presupposti teorici che la fondano nel libro di Losurdo. Questi giustamente richiama a sostegno della propria tesi la contrapposizione, al centro di Essere e Tempo, tra il “Se stesso autentico della decisione” e l’impersonalità seriale di un “sì” che «non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte». Non mi pare dubbio che siamo qui già in presenza di un “gergo dell’autenticità” - per dirla con Adorno - che, ambiguamente storicizzato nel destino della Gemeinschaft tedesca, porterà al tragico cortocircuito della Selbsbehauptung. Ma per quale via, per quale transito teoretico? Secondo Losurdo per quella della “detrascendentalizzazione” e “deuniversalizzazione” del soggetto. Per me, al contrario, come anche per altri interpreti, per quella della sua eccessiva universalizzazione; e cioè per una mai smaltita caratterizzazione umanistica e spiritualistica che “tradisce” l’analitica del Dasein e la espone al rischio di un’indebita traduzione politica: dove per umanesimo s’intende evidentemente una determinata concezione dell’umanità dell’uomo necessariamente - cioè metafisicamente - portata a riconoscersi nella massima estensione del dominio umano sulla terra. Non erano stati questi la libertà e il compito affidati all’uomo anche dal Dio cristiano? E non era stato proprio questo umanesimo dell’essenza a giustificare in Husserl l’esclusione dal concetto di uomo occidentale - vale a dire dell’uomo tout court - di coloro che di quell’umanesimo non si erano fatti ancora né soggetti, né oggetti, come lo stesso Losurdo sottolinea? Si direbbe che Heidegger respinga l’umanesimo classico non perchè troppo, ma perchè troppo poco, spiritualistico; così che anche il costante richiamo all’essere-per-lamorte finisce per intrecciarsi indissolubilmente con la traduzione ultraumanistica che vede nella morte l’estremo raccoglimento del soggetto intorno al suo inappropriabile proprium: appunto la propria morte. E’ la stessa dialettica di prossimità e distanza che fa del pensiero dell’Essere ancora un pensiero dell’uomo per l’uomo. O anche: che nella rappresentazione della “distanza” celebra insieme l’assoluta presenza a se stesso di chi s’interroga sull’assenza della propria patria e sulla modalità della sua riconquista, come fin nella Lettera sull’umanismo è dichiarato. Per non parlare della Einführung in die Metaphysik, in cui l’oscillazione tra ontologia e antropologia perviene alla fine a una compiuta sovrapposizione. Che sia l’Uomo ad essere affidato a una “cura” essenzialmente umana, umana per essenza, sta di fatto che è da tale coappartenenza che si mette in moto quella potentissima macchina mitologica, già pervenuta nella Rektoratsrede al suo esito “istoriale-operativo”. E’ il punto, precisamente, in cui l’umanesimo heideggeriano trova compimento nel mito romantico dell’Opera, come appare chiaro dalla ripresa in chiave antimoderna dell’ “Inizio” greco al centro anche del libro di Losurdo. Cos’altro è quella Grecia, per Heidegger, se non il luogo di sutura filosofico-politico tra teoria e prassi, funzionalizzato al nuovo destino della Germania? E qui veniamo al secondo punto che mi lascia perplesso. Losurdo batte, anche qui giustamente, sul ruolo politico assegnato da Heidegger - da un certo Heidegger almeno, perchè sicuramente esiste un precedente e successivo Heidegger “impolitico” - alla filosofia. Convengo che sia proprio questo il rischio ancora implicito nell’heideggerismo. Ma come contrapporre ad esso - è ciò che fa implicitamente Losurdo - l’altra grande politicizzazione europea della filosofia rappresentata dalla “filosofia della prassi” di Marx? E non era Marx stesso stato influenzato, in termini evidentemente diversi, dal medesimo romanticismo dell’Opera, cui anche quell’Heidegger “politico” attinge a piene mani? Lo si potrebbe negare solo contrapponendo un Hegel marxiano al Fichte heideggeriano, cosa che non mi sembra molto reggere da nessun punto di vista (si pensi anche al ruolo di Schelling). E d’altra parte debole mi pare anche la lettura del “comunismo” marxiano come opposizione dell’idea di “società” a quella di “comunità”: quando è proprio la comunità come restaurazione della totalità infranta dal capitalismo al cuore della (storicamente infausta) utopia marxiana lungo una traiettoria che se non ha al proprio inizio il comunitarismo di Fichte, sicuramente ha quello di Rousseau. Anche qui a meno di voler connettere tra di loro liberalismo, democrazia e bolscevismo come contraltare “moderno” all’antimodernismo nazista. Qui c’è un’ultima questione da puntualizzare. Personalmente trovo il libro di Losurdo utilissimo a combatter l’assurda tesi - oggi ritornata in circolazione - della identificazione “totalitaria” di comunismo e nazifascismo. Poche formule contengono pari potenziale di sem- RESOCONTO PROFILO plificazione e di vero e proprio travisamento della realtà storica. E tuttavia qualcosa in più va detto. Se non si vuole rendere a quella grande potenza storica che è stato il comunismo in questi settanta anni lo stesso torto che fanno ad Heidegger coloro che ne negano ogni responsabilità filosofica, bisogna ammettere che esso si è contrapposto alla democrazia con la stessa determinazione con cui lo ha fatto il fascismo. Anche se per motivazioni opposte e imparagonabili. Lo dico senza nessun entusia- smo per la democrazia presente e senza nessuna enfasi per il suo ipotetico “valore”. Ma i fatti restano tali da qualsiasi lato li si guardi. Anche per quanto riguarda la modernità: se c’è un punto - un solo punto - in cui comunismo e fascismo si toccano è la percezione che un’epoca fosse finita e che fosse necessario pensare ad un’ulteriorità capace insieme di compierla e di superarla. Comunque ci si collochi, va quantomeno detto che tale “ulteriorità” è stato meglio perderla che trovarla. Potrebbe sembrare che Domenico Losurdo nel suo interessante studio sull’ideologia della guerra, La comunità, la morte, l’Occidente, dovesse prendere in considerazione soltanto la problematica di Heidegger, dato che nel sottotitolo si legge Heidegger e l’ “ideologia della guerra”. In realtà Losurdo allarga la sua indagine ai principali pensatori della prima metà del secolo che sono alla base di tale ideologia. Ricorrono nomi noti, come Nietzsche, Klages, Spengler, Schmidt, Baeumler, Weber e altri. In modo particolare però, Losurdo prende in considerazione Jaspers. Ed è questa direi la novità di tale studio, sulla quale vorrei soffermarmi. Si è discusso a lungo sul rapporto tra il pensiero di Heidegger e la cultura del nazionalsocialismo. In queste discussioni non compare mai il nome di Jaspers. Losurdo intende invece mostrare come neppure Jaspers si sarebbe sottratto al fascino ambiguo dell’ideologia della guerra. Dunque, non solo il pensiero di Heidegger, ma pure quello di Jaspers deve essere posto sotto processo. Questa è una tesi nuova nel contesto del dibattito sul germanesimo in genere e sul nazismo in particolare, ancora vivo in questi anni. A riguardo vorrei far notare che se è possibile mettere in luce nella problematica di Heidegger una certa ambiguità, che potè essere utilizzata dalla cultura del nazionalsocialismo, non è invece possibile a mio avviso affermare altrettanto nei confronti del pensiero di Jaspers. A differenza di Heidegger, Jaspers si è tenuto sempre lontano da ogni ingaggio con la politica del nazionalsocialismo. E ciò non soltanto perchè aveva una moglie ebrea, ma soprattutto perchè Jaspers come uomo è stato sempre profondamente coerente con il suo pensiero. Anzi, ritengo che nessun pensatore del nostro secolo abbia saputo mettere a fuoco una filosofia della libertà come quella di Jaspers. Losurdo da parte sua cerca di sottolineare con insistenza in alcune espressioni prese dagli scritti di Jaspers un possibile rapporto con i temi di fondo dell’ideologia della guerra, come quelli della morte, del pericolo, del destino che si ritrovano nella tematica della comunità. In questo contesto Losurdo mostra a mio avviso di non tenere ben presente la distinzione di fondo tra alcune categorie esistenziali tipiche della filosofia della vita e dell’esistenzialismo e le stesse categorie esistenziali che vengono elevate da Jaspers al livello ontologico. Per sottolineare questa sua profonda distinzione, Jaspers parla più precisamente di categorie esistentive: si tratta dell’esistenza aperta alla trascendenza. Ciò comporta che i momenti esistenziali della morte, del pericolo, del destino e della comunità ricevano in questo ambito di trascendenza jaspersiana un significato del tutto diverso da quello che Losurdo intende mettere in luce nel contesto di una ideologia della guerra. In Jaspers le categorie esistenziali della comunità, del pericolo, della morte e del destino ricevono un senso ontologico. Esse sono ben distanti dall’essere considerate nello stesso senso dell’ideologia della guerra, appunto perchè hanno il solo compito di portare l’esistenza di fronte alla trascendenza. Se Jaspers parla della fedeltà alle origini, alla storicità, ciò non significha che parli di una fedeltà all’esseretedesco ma piuttosto all’aprirsi al problema ontologico del fondamento del singolo. Così, se Jaspers esprime il suo rammarico per il fatto che al posto del destino dell’uomo subentri un legame alla macchina sociologica, egli vuole con ciò mettere in luce soltanto la dimensione inautentica del “si” anonimo, dove l’individuo si trova alienato. Non si tratta di un disprezzo aristrocratico della massa, ma solo della preoccupazione che l’individuo venga massificato. Ed ancora, se Jaspers parla di un legame alla sostanza della propria storicità, non intende la coscienza di sentirsi membro della comunità popolare, ma la coscienza di aprirsi al fondamento dell’uomo, che è dato soltanto dall’apertura alla trascendenza. Se nello scritto La situazione spirituale del tempo (1931) Jaspers asserisce di preferire la morte all’asservimento, questo non significa un elogio delle morte nel senso dell’ideologia della guerra, ma solo un elogio della libertà. In uno degli scritti politici più fondamentali redatti dopo il 1945, La bomba atomica e il destino dell’uomo, Jaspers arriva a formulare il paradosso che sarebbe meglio perdere la vita piuttosto che perdere il dono misterioso della libertà. Inoltre, la situazione limite, che è una delle categorie esistentive fondamentali di Jaspers, è lontana dal poter essere interpretata nel senso della comunità guerresca tipica dell’ideologia della guerra. La categoria fondamentale per leggere gli scritti politici di Jaspers dopo il 1945 è quella della “conversione interiore”, che chiarisce la distinzione di fondo tra politica e sovra-politica. Se si tiene presente questa categoria esistentiva politica e quella filosofica della comunicazione, si può capire come la distinzione che Jaspers fa tra comunità e società non possa essere racchiusa nello schema dell’ideologia della guerra. E’ noto che la problematica della comunicazione si fonda sulla distinzione tra il conoscere tipico dell’intelletto e il comprendere tipico della ragione. La ragione non è estrinseca all’intelletto, ma è lo stesso intelletto quando Giorgio Penzo PROFILO questo prende coscienza dei suoi limiti conoscitivi. La verità tipica del conoscere non riguarda il fondamento dell’uomo; mentre la verità della ragione riguarda solo il fondamento dell'uomo, che come tale si sottrae ad ogni presa dell’intelletto conoscente. La problematica esistentiva della comunicazione non può perciò essere messa a fuoco dall’intelletto, ma solo dalla ragione. I tratti caratteristici della comunicazione esisitentiva sono l’essereunito-a, cioè all’altro, e l’essere-in-solitudine. Questa categoria esistentiva è diversa da quella esistenziale di essere-isolati, poichè questa riguarda il singolo in rapporto alla società. Si capisce così come Jaspers intenda la distinzione tra comunità e società. La prima si compone di più singoli aperti alla solitudine del proprio fondamento e quindi aperti al nulla. Si tratta di una comunità sotto l’angolo visivo della comunicazione, grazie alla quale ogni singolo è aperto alla trascendenza. La seconda invece è composta da più singoli, aperti solo alla dimensione dell’intelletto. Nell’unione esistentiva della comunità viene meno da una parte ogni verità rivelata, nel senso di una verità religiosa ben delineata, dall’altra ogni concezione del mondo che è alla base delle diverse ideologie. Questi due modi inautentici della comunicazione, l’uno a livello religioso e l’altro al livello politico, sono invece propri della società. In una conferenza del 1956, La dimensione collettiva e il singolo, Jaspers distingue tra comunità sostanziale e società tecnica. Questa distinzione implica due diversi modi di concepire l’autorità. Se nella comunità l’autorità proviene dall’interno, nella società l’autorità proviene dall’esterno, decadendo così ad autoritarismo, aperto sempre al pericolo della violenza. Nel contesto dell’autoritarismo Jaspers non fa distinzione tra Stato e Chiesa, perchè si è sempre di fronte a una autorità ben definita. Nella consapevolezza di essere in possesso della verità, lo Stato e la Chiesa si sentono giustificati ad imporre ai loro membri tale verità conosciuta. In particolare Jaspers allude allo stato marxista e soprattutto a quello nazista, che sarebbe l’espressione più tipica del totalitarismo. In tal senso la comunità tedesca tipica dell’ideologia della guerra sarebbe piuttosto espressione della società e non già della comunità. Se si vuole comprendere più a fondo la distinzione jaspersiana tra comunità e società, si deve tener presente la distinzione che fa Max Stirner tra comunità e società, alla quale corrisponde rispettivamente la distinzione tra rivolta e rivoluzione. La rivolta è un atto del tutto esistenziale in quanto indica l’intima ribellione dell’individuo che non intende perdere nell’anonima società la sua interna coerenza. Si tratta di voler superare ogni estraniazione dell’io nell’anonimo della massa. Il cosidetto egoismo stirneriano non può a mio avviso essere definito, come vogliono Marx ed Engels, come un egoismo puramente anarchico. Stirner intende tematizzare un’esistenza dalla quale esuli ogni concezione universale, che egli definisce come “santa”. La dimensione universale del concetto che è alla base delle diverse ideologie rappresenta il momento dell’estraniazione dell’io, e perciò appartiene all’ambito della società, dove l’io non è più “mia proprietà”. Di qui il titolo dell’opera di Stirner del 1845, L’unico e la sua proprietà. A differenza della realtà della rivoluzione che morde su un terreno sociale e presuppone il riconoscere come valido un vivere secondo leggi, il momento della rivolta si esaurisce solo in un atto interiore. Più precisamente, si ha una presa di posizione del soggetto rispetto all’oggetto, senza curarsi di modificare l’oggetto. In forza di questo atto l’oggetto perde la sua santità. E caduta la santità dell’oggetto, il soggetto si trova ad essere per se stesso nella dimensione di io come proprietà e quindi nella dimensione di unico. In qualsiasi rivoluzione invece, per quanto radicale essa sia, muta solo l’oggetto, mentre rimane intatta la santità di questo. L’ideologia della guerra verrebbe considerata da Stirner come un’espressione “santa” e perciò inautentica. Quando Marx ed Engels scrivono la loro critica all’opera di Stirner, che apparirà ne L’ideologia tedesca, mostrano di non aver saputo cogliere la verità profonda della rivolta e quindi della comunità. In questa, il singolo si trova unito all’altro singolo al di fuori di ogni dimensione santa della legge e quindi al di fuori di ogni concezione ideologica. Posto in chiaro che non è del tutto oggettivo interpretare la categoria esistentiva di Jaspers di comunità come categoria esistenziale tipica dell’ideologia della guerra, riesce facile chiarire il problema che riguarda la realtà storico-esistenziale di essere-tedesco, tipica di Jaspers, che secondo Losurdo dipenderebbe anch’essa dall’ideologia della guerra. A riguardo si può fare una considerazione di carattere generale. Non c’è dubbio che Jaspers parli con simpatia dell’essere-tedesco. Però egli dà a questa espressione un significato ben diverso da quello tipico dell’ideologia della guerra. La concezione di essere-tedesco di Jaspers richiama Nietzsche, secondo il quale essere-tedesco significa dis-germanizzarsi. Purtroppo il super-uomo di Nietzsche è stato interpretato nei primi decenni del nostro secolo sotto l’angolo visivo della filosofia della vita e dell’esistenzialismo. Sotto il primo aspetto è stato letto per lo più in chiave di un darwinismo più o meno brutale, e sotto il secondo aspetto è stato letto in chiave eroica. Jaspers dà di Nietzsche un’interpretazione a livello di filosofia dell’esistenza. Secondo Jaspers, come anche secondo Nietzsche, non c’è un modello fisso rispetto al quale sia possibile definire l’essere-tedesco. In altre parole, nessuna cultura tedesca può dire di se stessa di essere un’autentica cultura germanica. Così, se Losurdo accusa Jaspers di parlare con simpatia dell’essere-tedesco, ci si rende però conto che non si tratta di un essere-tedesco ben determinato come quello sostenuto dall’ideologia della guerra. Così pure quando Losurdo parla dell’amicizia di Jaspers con Weber, che indubbiamente nutre delle simpatie per un certo nazionalismo, ciò non implica che Weber abbia influenzato Jaspers in questo ambito. E’ noto che Weber insegna a Heidelberg dal 1897 al 1899 e che durante questo tempo Jaspers partecipa al suo circolo culturale. Il nome di Weber ricorre spesso negli scritti di Jaspers. In particolare Losurdo ricorda la monografia su Weber del 1932, dal titolo Max Weber. Essenza tedesca nel pensiero politico, scientifico e filosofico. Nella nuova edizione del 1952 viene tralasciato il richiamo all’essenza tedesca che poteva dare adito a qualche ambiguità. Per chiarire però il suo particolare modo di vedere l’essenza tedesca, RESOCONTO PROFILO Jaspers ci tiene a sottolineare che il suo lavoro su Weber appare per la prima volta nel tempo in cui diventa pericolosa la violenza nazista. Weber è per Jaspers un filosofo che non si limita a insegnare filosofia, ma a viverla. Nella commemorazione tenuta nel 1920 per la morte di Weber, Jaspers sottoliena che in Weber si può vedere l’essenza di ogni esistenza filosofica, che si rivela nella coscienza di fronte all’assoluto nelle sue diverse espressioni. Questa coscienza si esprime nella ragione che è l’orizzonte ultimo delle responsabilità. In questa lettura Jaspers vede Weber non già come un rappresentante di una determinata concezione di essere-tedesco, ma come un rappresentante della ragione. Non c’è alcun dubbio che, se Jaspers parla dell’esseretedesco, lo fa proprio in polemica con l’interpretazione dell’ideologia della guerra. Quando dopo il 1945 si doveva pensare a riproporre un’autentica tradizione culturale tedesca, Jaspers pensa a figure come Lessing, Kant e soprattutto Goethe. Sono significative le due conferenze che egli tiene in onore di Goethe. La prima, del 1947, porta il titolo Il nostro avvenire e Goethe ed è tenuta quando Jaspers riceve il premio Goethe della città di Francoforte. La seconda del 1949 porta il titolo L’umanità di Goethe ed è tenuta in occasione del secondo centenario della nascita di Goethe, nella cattedrale di Basilea. Goethe viene proposto al popolo tedesco come una figura “tedesca” di primo piano da imitare. E’ il tempo in cui Jaspers scrive le sue opere politiche e parla di sovrapolitica come di una nuova dimensione etico-pedagogica per il popolo tedesco del dopoguerra. Jaspers intende la dimensione di sovra-politica come un “mutamento interiore”. In queste conferenze su Goethe egli si pone il problema fino a che punto i grandi del passato possano ancora avere un senso per il tempo presente, senza esporsi con ciò al pericolo di cadere in un culto o peggio in una divinizzazione di questi “grandi”. Jaspers dà al termine grandezza un significato fondamentalmente diverso da quello tipico della cultura eroica dell’ideologia della guerra. E’ grande per Jaspers solo colui che aiuta il singolo ad aprirsi al suo fondamento interiore. Così Goethe è grande, secondo Jaspers, perchè riesce a realizzare l’esistenza umana in una pienezza spirituale che di rado si può constatare nella storia. Solo in questo modo la realtà umana racchiusa nelle opere di Goethe può essere ancora attuale per il popolo tedesco. Purtroppo la politica di Jaspers come sovra-politica, cioè come conversione interiore non può essere capita pienamente neppure dalla Germania democratica. Per questo egli pensa di abbandonare la sua amata Germania. Il dolore del distacco sarà un motivo di polemica con la sua amica e scolara Hannah Arendt, che non riusciva a capire perchè Jaspers voleva ancora riconoscersi tedesco. Anche l’ebrea H. Arendt cade però nell’equivoco che la Germania dovesse essere circoscritta alla Germania della cultura prussiana. Ma né Nietzsche né Jaspers si riconoscono in questa angusta Germania, pur affermando nello stesso tempo di voler essere ancora tedeschi. Penso che il libro di Losurdo sia molto importante, perchè credo che sia il primo tentativo attuale di far uscire Heidegger da quella specie di “splendido isolamento” in cui era finito nel dopoguerra e in cui il suo indubbio rapporto con il nazionalsocialismo diventava quasi una questione di scelte personali, una contesa tra chi optava per una philosophia perennis, di fronte alla quale ogni errore politico diventa una veniale debolezza della carne, e chi si accaniva contro il peccatore, invocando un rogo tardivo, che poi sarebbe stato un rogo postumo. In questa situazione la messa al bando di Heidegger decretata dal marxismo si rivela un’arma a doppio taglio, poichè l’etichettatura come pensatore reazionario o progressista collocava Heidegger in una compagnia che, buona o cattiva che fosse, era pur sempre una compagnia che aveva una sua legittimità storica, non solo consolante, ma pure conveniente. Come ricorda Losurdo, Lukács, che certo non esitava ad amettere o radiare a seconda dell’ideologia politica, in base al convincimento che nessuna concezione del mondo è innocente, mostrò un insolito rispetto per Heidegger sia nella Distruzione della ragione, sia nel saggio Heidegger redivivus, sulla Lettera sull’umanismo a Jean Beaufret, sia nel poco noto libro sull’esistenzialismo. Losurdo conosce benissimo Lukács, che prima di lui aveva spiegato l’adesione del pensatore al nazismo nel contesto della “distruzione della ragione”, ma il suo libro non è affatto un duplicato di quello di Lukács e non solo Cesare Cases perchè ci sono di mezzo quasi cinquant’anni di ricerche e di pubblicazione di nuovi documenti, ma perchè quel libro soffriva delle pastoie che l’autore si era autoimposto. Heidegger era relativamente ben trattato, ma anche lui era una sottosezione di una sezione di una totalità malefica, che restava tale anche se vi capitava dentro un diavolo più intelligente degli altri. Lukács non poteva fare a meno di sussumere in qualche categoria e chiedeva alla totalità la forza di picconare i suoi singoli rappresentanti. Losurdo invece parte dal concreto, parte da Heidegger per tastare il terreno intorno a lui, che si rivela assai fecondo, in cerca di analogie. In questa prospettiva le contraddizioni interne del filosofo passano in secondo piano; non si vuole nel libro fare quella critica immanente cui Lukács aspirava, ma che raramente otteneva, perchè il pregiudizio ideologico arrivava alla meta prima di questa critica. Una critica immanente l’aveva già condotta molto bene Sternberger nella sua tesi di laurea del 1930, pubblicata solo alcuni anni fa; la tesi verteva su un solo paragrafo di Essere e tempo, quello - non ricordo più se il 91 o il 93 in cui si pone la morte a fondamento dell’Esserci come essere per la morte. Sternberger con un’analisi puntuale dimostrava l’assurdità di fondare l’esistenza umana su un’esperienza che l’uomo non può mai avere in prima persona. A Losurdo non interessa la morte come principio dell’ontologia heideggeriana, ma come tema centrale dell’epoca nei dintorni della prima guerra mondiale, tema di cui quella heideggeriana non è altro che la PROFILO versione più radicale, una delle versioni più radicali. L’esaltazione del sacrificio e la mistica della comunità sono le altre componenti di quella che Losurdo chiama l’ideologia della guerra. Nel ravvisarne la presenza nei contemporanei Losurdo non esita a fare i nomi non solo di Jaspers, di Weber e di Husserl, ma anche di Buber e di Rosenzweig, che la recuperano a favore dell’ebraismo, sicchè anche coloro che saranno le future vittime del nazionalsocialismo hanno atteggiamenti che li portano in vicinanza del razzismo nazionalsocialista. A questo punto ci si può chiedere se un fenomeno così vasto, che coinvolge anche le vittime dell’odio antisemita nutrito dalle fantasie comunitarie, non abbia un minimo di legittimità teorica. Losurdo sembra contestarlo e in questo si accosta a Lukács; per esempio, per quanto riguarda i francofortesi, egli li porta in vicinanza di Heidegger, ma all’ultimo momento li distacca, dimostrando come in essi viva sempre la speranza di realizzare l’illuminismo, mutando le basi della società. Questo è filologicamente corretto ed è valido contro Lucio Colletti che fin dalla sua recensione della Dialettica dell’Illuminismo, contemporanea alla versione italiana, mostra di non aver capito nulla di questo libro e di ritenere che sia un libro rivolto contro l’Illuminismo. In realtà però, se faceva eccezione per Heidegger e Schmitt, soprattutto per ragione politiche, il nazionalsocialismo era un trauma difficilmente superabile per degli emigrati ebrei antinazisti. Horkheimer e Adorno avevano seguito la massima di Benijamin, secondo la quale bisogna imparare dal nemico. Losurdo parla di “eccedenza di teoria” sull’ideologia; ma in che cosa consiste questa eccedenza? A mio avviso nel fatto che il romanticismo anticapitalistico, non avendo prospettive positive che passino necessariamente attraverso il capitalismo, come le ha il marxismo, è molto più sensibile agli aspetti negativi di questo e al tipo di uomo che incarna questi aspetti negativi. Per fare la mia parte di pedante, chiamato come esperto di tedesco, dirò che in Losurdo c’è un unico errore terminologico che mi sembra significativo, dato che negli errori vien fuori l’inconscio, soprattutto in un uomo come Losurdo, che esamina tutto alla luce della ragione. A un certo punto del testo si parla del richiamo alla grecità in Heidegger, che non può essere un elemento unificante per tutta l’umanità, ma serve a definire gli schieramenti in lotta: «il nome di Eraclito non è la formula per il pensiero di un’umanità in sé abbracciante l’intero globo». Si tratta di una citazione da Heidegger, a cui tra parentesi fa seguito il termine tedesco, Allerweltsmenschheit an sich. Losurdo traduce «l’umanità in sé abbracciante l’intero globo», dando l’impressione che si tratti di una polemica contro l’umanesimo in generale, contro la retorica umanistica, mentre non è così, perchè Allerweltsmenschheit non vuol dire l’umanità che abbraccia l’intero globo, ma vuol dire un’umanità buona per tutti gli usi. L’espressione Allerwelt ha sempre una connotazione negativa; in questo caso indica un’umanità da quattro soldi. Cioè qui la polemica è contro l’umanesimo come ideologia del piccolo borghese alienato, americano o russo che sia. Heidegger aveva questi due bersagli, così come in generale l’ideologia della guerra esaminata da Losurdo. Si tratta quindi di una polemica contro l’ultimo uomo di Nietzsche; e questa polemica, a mio parere, prescindendo dalle implicazioni politiche che ne ha tratto Heidegger e in generale l’ideologia della guerra, prescindendo dalla esaltazione della bionda bestia ellenico-germanica, questa polemica ha il suo aspetto legittimo. Penso che questa sia la ragione della tenace sopravvivenza dell’anticapitalismo romantico, benchè Lukács credesse di essersene sbarazzato non solo personalmente, ma anche sul piano teorico. E penso anche che questa sia la ragione per cui la Germania, e in fondo tutto il mondo, dopo essersi di nuovo adagiati nel capitalismo, hanno proclamato Heidegger il grande pensatore dell’occidente. Questo anche perchè, a differenza di Nietzsche, Heidegger permette di continuare a filosofare, cambiando il linguaggio e chiudendo gli occhi di fronte alla realtà. Una realtà che riappare nella genesi del pensiero heideggeriano delineata da Losurdo, di cui vorrei di nuovo esaltare il libro, dopo aver fatto osservare qualche suo limite, che del resto io giustifico ampiamente, perchè anche l’Allerwelt, l’umanismus è sempre buono contro l’ideologia della morte, ripercorsa in questo libro. Stefano Petrucciani dedicato addirittura un libretto). L’importante del libro di Losurdo, però, è che non si ferma neppure alla messa in evidenza di questa connessione, ma compie un passo successivo e significativo. Mostra cioè come questa interna policità o scelta di campo della filosofia di Heidegger abbia le sue origini, ovvero le sue motivazioni nel rapporto stretto che intercorre tra il pensiero heideggeriano, da un lato, e dall’altro quel complesso ideologico che, semplificando un po’, si può riassumere nelle parole chiave “ideologia della guerra” e “critica reazionaria della modernità”. A mio avviso la questione davvero significativa e di grande interesse è proprio questa: Losurdo ci mostra, in sostanza, che non si deve guardare al nazismo di Heidegger come al traviamento di un grande filosofo; l’ottica che ci propone è completamente diversa. Guardare alla filosofia di Heidegger come a una nità, la morte, l’Occidente. Heidegger e l’ideologia della guerra) sta certamente nel modo in cui esso reimposta e ricontestualizza la questione del nazismo di Heidegger. Il libro, infatti, va oltre la questione delle scelte filonaziste del filosofo, scelte ormai comprovate e sulle quali non rimane molto da dire. Non si ferma a riflettere solo sulla circostanza inquietante di un filosofo che si fa nazista: mostra anche come vi sia un legame forte, non scindibile tra molti aspetti del pensiero di Heidegger e le sue scelte politiche. Queste, in altri termini, non sono certo l’incidente di percorso che capita a un filosofo perso nel cielo delle idee (come Talete quando cade nel pozzo e viene deriso dalla servetta tracia, nell’aneddoto cui recentemente Hans Blumenberg ha Uno dei meriti principali del libro di Losurdo (La comu- PROFILO filosofia che è profondamente permeata e imbevuta da elementi ideologici, e che proprio per questo può anche diventare, a un certo punto e per un certo periodo, teorizzazione nazista (sebbene caratterizzata da un modo molto specifico di interpretare il nazismo). Non il traviamento di un grande filosofo, quindi, ma la ideologicità e politicità di una filosofia, ri-spetto alla quale le scelte politiche non sono un incidente. A questo proposito mi sembra che uno dei risultati più importanti del libro di Losurdo sia quello di mostrare come il passaggio della prima guerra mondiale sia a tutti gli effetti decisivo per comprendere i percorsi dell’ideologia tedesca che sboccano nel nazismo. Questo è il passaggio cruciale, perchè è proprio dalla “ideologia della guerra” che scaturiscono tutti quei topoi concettuali che poi il nazismo sfrutterà ampiamente. L’esaltazione bellicistica, mostra Losurdo, contagia buona parte della grande cultura tedesca; e non è difficile ritrovare le tracce di questa ideologia della guerra anche nel pensiero di Heidegger. Basta leggere per esempio un passo inequivocabile che Losurdo cita da un corso su Hölderlin del 1934-35: «Proprio la morte che ogni singolo uomo deve morire per sé e che singolarizza all’estremo ogni singolo per sé, proprio la morte e la disponibilità al sacrificio crea innanzitutto lo spazio della comunità dal quale scaturisce il cameratismo». Qui, evidentemente, l’eco dell’ideologia della guerra è ancora fortissima. Perciò, se si accoglie il tipo di lettura proposto da Losurdo, la discussione sul pensiero di Heidegger viene, per così dire, ri-orientata, e il vero problema diventa quello di capire quanto questa importante filosofia sia però permeata dalla assimilazione di indigesti materiali ideologici. La questione perciò, si potrebbe dire, non è più o non è tanto una questione concernente il rapporto teoria/biografia, ma diventa cosa diversa: una questione interna alla teoria. Losurdo dunque critica, e direi a ragione, la pretesa che era stata di Habermas nella introduzione al libro di Farias: non è possibile separare con un taglio di coltello, nella produzione di Heidegger, la filosofia ovvero la pura teoria dall’ideologia. Non lo si può fare né fissando un discrimine cronologico (come accadeva nel testo di Habermas), né assegnando alcuni testi all’ideologia e altri alla teoria. In tutta la produzione di Heidegger, sostiene Losurdo, le due dimensioni sono intrecciate, come del resto accade non solo nel pensiero di Heidegger, ma in tante altre filosofie, più o meno a noi vicine. Ciò ha un’implicazione sulla quale mi vorrei soffermare un momento. Losurdo ci suggerisce di leggere i testi (della storia della filosofia e del pensiero politico, non solo i testi di Heidegger) comprendendoli come un intreccio dove convivono cose diverse: il testo è attraversato dal conflitto delle ideologie e vi partecipa, ma ciò non vuol dire che sia riducibile a pura e semplice ideologia. C’è un momento di autonomia e di autoconsistenza della teoria (in questo caso della teoria heideggeriana, ma il discorso ha una validità generale) che non è riportabile riduzionisticamente a epifenomeno di conflitti sociali. Ripeto, c’è un momento di autonomia della teoria, anche se, come sostiene Losurdo, la linea di separazione tra teoria e ideologia non è né comoda né confortevole, ovvero i confini e i discrimini non sono facili da tracciare. Però questi confini ci sono, almeno nel senso che non è praticabile, e non è nelle intenzioni di Losurdo, una lettura riduzionistica del pensiero filosofico. Questo mi sembra un buon punto di partenza per affrontare quello che comunque è un problema molto serio, e cioè la questione del rapporto tra i condizionamenti storici e ideologici e la pretesa di verità della teoria. La precondizione per discutere seriamente questo problema, a mio avviso, è quello di comprendere che esso non può essere coerentemente trattato nello spazio teorico di un riduzionismo radicale (sia esso un riduzionismo foucaultiano, nietzscheano, come quelli che oggi vanno più di moda). E non può esserlo per la semplicissima ragione che la negazione radicale della pretesa di verità della teoria, in quanto sia teorizzata, è autocontraddittoria. Lo è perchè contiene in sé quella pretesa di verità di cui nega l’esistenza, quando pretende di ridurla a epifenomeno di altro. A partire da qui, perciò, dovrebbe cominciare la discussione del problema, che non è né semplice né agevole da trattare. L’altra questione presente nel libro di Losurdo sulla quale mi vorrei soffermare, invece, è quella che concerne i nessi che si possono stabilire fra tre termini: da un lato il pensiero heideggeriano, dall’altro quella che per comodità possiamo chiamare la “critica reazionaria della modernità” e cioè quella che, semplificando, possiamo attribuire alla Scuola di Francoforte (ma gli autori più rilevanti a questo proposito, tra i francofortesi, sono secondo me Marcuse e Adorno). Innanzitutto un chiarimento: per critica reazionaria della modernità (Marcuse parlava a questo proposito della Weltanschauung di un nuovo realismo eroico-popolare) possiamo intendere, con tutto l’arbitrio che è inevitabile quando si ragiona su concetti così ampi, un pensiero che si definisce in sostanza attraverso una serie di coppie concettuali dove l’un termine designa il valore e l’altro il disvalore. Queste antitesi, che vengono tutte ripercorse nel libro di Losurdo, sono ad esempio Kultur contro Zivilisation, comunità contro società, organicismo contro individualismo, ideologia della guerra contro umanitarismo, culto del pericolo contro ricerca della sicurezza, retorica del tragico contro banalità quotidiana, gerarchia di valore tra gli uomini contro uguaglianza, culto della radici contro universalismo razionale, popolo-nazione contro internazionalismo, e si potrebbe continuare. Abbiamo visto come non sia difficile mostrare gli intrecci che legano il pensiero heideggeriano con molte di queste tematiche (che compongono un vasto e differenziato arcipelago, abitato da autori di diverso livello, dai notevoli Sombart e Spengler fino a libellisti di infima qualità). Ma allora che rapporto vi è tra la critica heideggeriana della modernità e la critica della modernità e dell’illuminismo che viene svolta dalla Scuola di Francoforte, e soprattutto da Horkheimer, Adorno e Marcuse? Su questo punto, che Losurdo a mio avviso affronta in modo equilibrato, faccio solo due o tre considerazioni. Innanzitutto bisogna ricordare che proprio alla Scuola di Francoforte si deve una precoce e intransigente critica della ideologia antimoderna e antiliberale che si afferma in Germania e che confluisce nel nazismo. Esemplare a questo proposito è il saggio di Marcuse che appare nel RESOCONTO PROFILO 1934 sulla “Zeitschrift für Sozialforschung” col titolo La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato. Si tratta di un prezioso catalogo critico di molti dei temi che ritroviamo analizzati anche nel libro di Losurdo: Marcuse sottopone a un giudizio impietoso tutta la nuova Weltanschauung cui anche Heidegger, secondo lui, dà il suo contributo. Gli aspetti fondamentali del pensiero antiliberale, antimoderno e totalitario sono per Marcuse: la eroicizzazione dell’uomo, il naturalismo organicistico, l’odio per le idee dell’89, il culto della comunità, del destino, del sacrificio, del mito, il disprezzo per la felicità delgli individui. Ma l’altro punto importante è, aggiunge Marcuse, che qui non siamo di fronte solo a un pensiero irrazionalistico: piuttosto l’esaltazione irrazionalistica, che è antiliberale sul piano ideologico, ma non sul piano dei rapporti economico-sociali, ha in realtà un fine nescosto molto razionale, e cioè quello di stabilizzare le strutture del sistema di produzione dominante e di promuovere la sottomissione ad esso con iniezioni di narcotico ideologico. Non vi possono essere dubbi, perciò, sul fatto che la critica francofortese della modernità si contrappone frontalmente alle correnti ideologiche che attaccano la modernità e il liberalismo dal versante opposto, ivi compreso Heidegger. La critica francofortese vuol essere una autocritica dell’illuminismo: Horkheimer e Adorno lo scrivono in tutta chiarezza a conclusione del capitolo sull’antisemitismo della Dialektik der Aufklärung: «L’illuminismo stesso, divenuto padrone di sé e forza materiale, potrebbe spezzare i limiti dell’illuminismo”. Ma il punto si chiarisce ancor meglio se si guarda a questa problematica da un altro angolo visuale: da un lato la prospettiva di Horkheimer e Adorno critica l’illuminismo perchè non è abbastanza illuminato, e la modernità perchè non è abbastanza moderna. Ma dall’altro, contro le moderne mitologie nazionalistiche, neopagane, ecc., Horkheimer e Adorno intendono mostrare, anche se questo aspetto viene di solito meno notato, che “il mito è già illuminismo». Ciò vuol dire, al di là della formula lapidaria, che il regresso al mito non è un’alternativa perchè il mito è già una strategia di dominio razionale, e dunque non è un totalmente altro rispetto all’illuminismo e al progresso, ma è coinvolto in essi. Ciò riconferma dunque quanto la critica francofortese sia inassimilabile ad altre critiche della modernità di segno opposto. Ma c’è anche un’altra questione che dev’essere ricordata per completare il quadro: difensori dell’illuminismo, Horkheimer e Adorno sostengono però che le promesse dell’illuminismo non si sono realizzate, e che proprio per questo “la riflessione sull’aspetto distruttivo del progresso” non può essere “lasciata ai suoi nemici”. Quindi, sebbene inassimilabili alla critica reazionaria della modernità, Horkheimer a Adorno invitano però, in un certo senso, a prenderla sul serio, come per esempio Adorno, in alcuni suoi scritti, ha preso sul serio Spengler. All’epoca in cui fu formulato, quest’invito a prendere sul serio i critici reazionari del progresso aveva certamente un grande valore di rottura nei confronti delle visioni ottimistico-storicistico-progressiste. Oggi può apparire addirittura una banalità, dal momento che le illusioni del progresso sono talmente scomparse dalla scena che si potrebbe quasi sentire il bisogno di richiamarle in vita. E’ probabile che il mio libro abbia conseguito il risultato di scontentare sia gli apologeti che gli accusatori un po’ moralistici di Heidegger. Rifiutando di immergere il dibattito filosofico del Novecento in un’aura asettica e remotamente lontana dai rumori del mondo e respingendo al tempo stesso l’accanimento ad personam ai danni di un singolo autore, arbitrariamente staccato dal contesto storico e dalla vicenda di un’intera (o quasi) generazione di intellettuali, ho preso le mosse non dal 1933, bensì dal 1914 e dall’ “ideologia della guerra” che, a partire da quel momento, contagia larga parte della cultura europea. La Kriegsideologie (l’espressione è di Thomas Mann del 1928) si manifesta in modo diverso nell’ambito delle contrapposte coalizioni impegnate nel conflitto. L’Intesa (che pure nel suo seno conta sulla presenza della Russia zarista) cerca di giustificare l’immane sacrificio imposto a milioni e milioni di uomini, proclamando una sorta di crociata e di guerra santa contro gli Imperi Centrali, denunciati come il focolaio del dispotismo e del militarismo guerrafondaio. La Germania procede diversamente, individuando e celebrando nella guerra, e nella concentrazione e nel sacrificio che essa comporta, la “situazione assoluta” o la “situazione-limite”, grazie alla quale è possibile recuperare o attingere la dimensione autentica dell’esistenza. Il pericolo e la vicinanza della morte per un verso consentono all’individuo di superare la dispersione e massificazione della banalità quotidiana, per un altro verso lo inseriscono in un rapporto di autentica comunità e Gemeinschaft con i suoi camerati e col popolo nel suo compelsso, impeganto in una lotta che richiede ala tempo stesso consapevolezza e concentrazione individuale e unità corale. E’ recentemente comparso il volume relativo al 1990 degli ANNALI DELLA FONDAZIONE UGO SPIRITO. La Fondazione ha iniziato la propria attività nel 1981, due anni dopo la morte di Ugo Spirito, e già dopo cinque anni è stata in grado di presentare la bibliografia delle opere del filosofo. L’idea della pubblicazione degli Annali risale al 1987 e si concretizza nel 1989, quando compare il primo volume della serie. La finalità di questa iniziativa editoriale, a cadenza annuale, è legata non solo alla necessità, messa in luce da più parti, di tenere aggiornati i lettori sugli studi e le pubblicazioni riguardanti Ugo Spirito, ma anche di aprire nuove vie di ricerca, servendosi del ricco patrimonio documentario rappresentato dall’ Archivio-Spirito, conservato presso la Fondazione. Per quest’ultimo aspetto appare particolarmente importante la sezione “Inediti” del volume, all’interno della quale troviamo un inedito di Ugo Spirito dal titolo: L’io e le sue implicazioni, con una introduzione di Vittorio Mathieu, e la pubblicazione integrale degli “Atti del Domenico Losurdo PROFILO PROFILO Convegno italo-francese di studi corporatici” (1935), a cura di Giuseppe Parlato. Nella sezione “Saggi” compaiono un articolo di A. Rigobello, Ugo Spirito: dal problema all’affermazione, dedicato al “proble-maticismo” spiritiano, atteggiamento teoretico che viene applicato non solo alla filosofia, ma anche ad altri ambiti culturali, ad esempio le questioni di natura etico-politica, e un saggio di H. A. Cavallera dal titolo: L’occhio del pensiero: Ugo Spirito tra gli anni ’60 e gli anni ‘70. Non ha senso isolare Heidegger dalla vicenda di una generazione di intellettuali affascinata dalla Kriegsideologie: certo, alcuni riescono a staccarsene, in momenti diversi e in modo più o meno faticoso e più o meno radicale, giungendo in casi rari a formulare una lucida critica dell’ideologia, cui pure in precedenza era andata la loro adesione (è il caso di Thomas Mann). Altri, pur continuando ad essere ispirati dalla Kriegsideologie ben oltre il 1918, non varcano comunque la soglia fatale dell’adesione al nazismo: è il caso di Jaspers. Non è il caso di Heidegger, che non solo varca tale soglia, ma continua a rimanere sostanzialmente legato, sino alla fine, alla Germania del Terzo Reich, pur nell’ambito di un rapporto contraddittorio e di una incessante e tormentata reinterpretazione soggettiva di tale rapporto. Ma, proprio perchè conviene prendere le mosse dal 1914, risulta inattendibile il tentativo di datare la svolta conservatrice del filosofo qui in questione a partire dalla crisi economica mondiale, e tedesca in modo particolare, del 1929. Lo stesso Habermas, che formula tale tesi allo scopo di salvare e mettere all’asciutto sul terreno della pura teoria il capolavoro di Heidegger, è costretto per un altro verso a riconoscere le «connotazioni singolari» che in Essere e Tempo rivestono categorie come Schicksal e Geschick. In realtà, ci imbattiamo in tutte le parole chiavi dell’ “ideologia della guerra” propria della Germania: “comunità”, “fedeltà”, “destino”. Per sottolineare la comunanza del destino, Heidegger fa ricorso ad un termine specifico, Geschick, nel cui ambito - si badi bene - «i singoli destini sono anticipatamenti segnati». Siamo così ricondotti alla “fedeltà incondizionata” e al “legame incondizionato” di cui, qualche anno dopo Essere e Tempo, parla, come abbiamo visto, Jaspers. L’adesione di Heidegger al nazismo, Esposito ritiene di poterla mettere sul conto di una persistente visione umanistica e universalistica. Si tratta di una tesi avallata anche da altri prestigiosi interpreti, che tuttavia a me sembra paradossale. Non ci dovrebbero essere dubbi sulla violenza della polemica anti-universalistica che caratterizza il nazismo nel suo complesso. La categoria di umanità in quanto tale risulta priva di senso agli occhi di Hitler che preferisce invece parlare di “umanità ariana” e si rifiuta di sussumere sotto il concetto di uomo quei “parassiti” che sono gli ebrei e, in generale, i sotto-uomini, gli Untermenschen delle razze considerate inferiori. Dichiarazioni analoghe si possono leggere in Rosenberg, Baeumler, Heyse, Böhm, i quali anzi individuano nell’universalismo prima romano, e poi cristiano e nell’abbandono del “nominalismo” caro a Nietzsche, la causa o il filo conduttore della parabola rovinosa dell’Occidente. In tale contesto è da inserire anche la polemica, ovviamente caratterizzata da uno spessore teorico infinitamen- te superiore, di Essere e tempo (par.10) contro la categoria di “spirito”, o di “anima”, in ultima analisi contro il concetto di “uomo” in quanto tale, che poi non sarebbe altro che la «definizione cristiana deteologizzata» «nel corso del pensiero moderno». In tale contesto va pure collocata la contrapposizione della categoria di Dasein e di storicità a quella di Gattung e di genere umano, nonchè il disprezzo con cui Heidegger parla della Allerweltsmenschheit. Per sottolineare il fatto che quest’ultima viene contrapposta, in modo esplicito, all’ “esistenza storica occidentale-germanica”, ho preferito qui ricorrere ad una traduzione quanto più possibile letterale e vicina al significato etimologico (che per Heidegger è quello originario e più autentico). D’altro canto, la polemica contro la Allerweltsmenschheit rinvia a quella contro l’ «inconsistente e disimpegnato affratellamento universale» (Weltverbrüderung). L’universalità, il concetto di uomo in quanto tale, sono qui come altrove il bersaglio costante della polemica di Heidegger (così come degli ideologi del Terzo Reich). E, a tale proposito, vorrei ricordare ad un autorevole studioso di Hannah Arendt qual’è Esposito che già l’autrice delle Origini del totalitarismo, nello spiegare la parabola rovinosa che conduce, attraverso un lungo processo e paurosi salti di qualità, a Auschwitz, prende le mosse dalla decostruzione del concetto universale di uomo operata da Burke nel corso della sua furibonda polemica contro i diritti dell’uomo proclamati dalla Rivoluzione francese. Mi lascia invece perplesso una categoria come quella di “romanticismo dell’Opera”, di cui Esposito si serve per accostare marxismo e Heidegger del discorso rettorale. In realtà, le filosofie della prassi (al plurale) possono avere i significati filosofici più eterogenei, sussumere contenuti politici diversi e contrapposti e rinviare a tradizioni culturali e nazionali quanto mai disparate (Laski ha potuto scrivere che l’ “azione” è l’ “essenza” dello “spirito americano”). E’ vero che Del Noce ha creduto di poter accostare o assimilare, sotto la categoria di “primato del divenire”, fascismo e comunismo, Mussolini e Gramsci. Ma, a parte ogni altra considerazione, tale visione ha il torto di semplificare arbitrariamente la contraddittoria realtà del fascismo (e del nazismo), il quale si è talvolta impegnato esso stesso in una polemica contro l’attivismo moderno. Si pensi, ad esempio, ad un autore come Julius Evola, che così motiva la sua Rivolta contro il mondo moderno: «L’essere, lo stare, al moderno valgono perciò quasi come morte: egli non vive se non agisce, se non si agita». E, con tale esplicita rivendicazione del primato dell’essere siamo ricondotti nelle vicinanze della denuncia heideggeriana del moderno “oblio dell’essere”. Ho accennato nel mio libro alle diverse anime ideologiche del nazismo: la categoria di “primato del divenire” o di “romanticismo dell’Opera” può risultare feconda per la comprensione della corrente del modernismo reazionario, non certo di quella caratterizzata dall’ideologia del sangue e del suolo. Il tratto unificante di queste anime diverse e contrastanti del nazismo è costituito invece dalla polemica contro il concetto universale di uomo. Nell’insistere sulla presenza della Kriegsideologie in Heidegger in tutto l’arco della sua evoluzione e nel PROFILO respingere la periodizzazione suggerita da Habermas, non ho inteso negare l’eccedenza dell’elaborazione teorica rispetto alle opzioni politiche del filosofo, eccedenza non messa in discussione neppure dall’autore della Distruzione della ragione. Ma in che cosa essa consiste? Sulle orme di Lukács, Cases sembra individuarla nell’analisi critica della società del tempo sia pure condotta a partire dalle posizioni proprie dell’anticapitalismo romantico. E’ possibile però un approccio diverso o un’ulteriore chiave di lettura. Autori come Heidegger, Schmitt, Jünger hanno implacabilmente smascherato l’ideologia della guerra dell’Intesa, nell’ambito della quale l’universalismo è solo la giustificazione ideologica dell’ “interventismo universale” e lo strumento per la criminalizzazione del nemico (Schmitt). Proclamando la crociata in nome del valore universale della democrazia, i paesi dell’Intesa sono riusciti a padroneggiare una componente decisiva della guerra odierna, quella “fideistica”, e in tal moso hanno operato una “mobilitazioen totale” (anche delle coscienze) senza precedenti nella storia e comunque superiore a quella messa in atto dalla stessa Germania guglielmina (Jünger). Sia pure a partire, in ultima analisi, dalle posizioni proprie di un imperialismo rivale e contrapposto, la grande culturta conservatrice o reazionaria del Novecento tedesco ha smascherato implacabilmente l’ideologia della guerra dell’Intesa (e ad aver trionfato ai nostri giorni - si pensi alla recente guerra del Golfo - è per l’appunto quest’ultima ideologia che legittima il ricorso spietato ai più terribili mezzi di distruzione e di morte della tecnologia moderna in nome dell’ “interventismo democratico” e del ristabilimento dell’ordine planetario mediante energiche operazioni di polizia internazionale). Tale denuncia trova il suo momento più alto di generalizzazione e metafisicizzazione in Heidegger il quale, sia pure con accenti via via diversi, nel corso della sua tormentata evoluzione, decostruisce l’ideologia universalistica in quanto strumento di guerra, di dominio e di sopraffazione a livello planetario e persino nel rapporto tra uomo e natura. Bisogna allora abbandonare al suo destino la categoria di universalità? No, non è questa la conclusione che si deve trarre. Secondo l’indicazione di Marx, l’ideologia è il conferimento della forma dell’universalità a contenuti e interessi empirici determinati che ne risultano in tal modo trasfigurati. Ma alla categoria di universalità non può non far riferimento la stessa critica dell’ideologia che consiste infatti nella denuncia della peseudo-universalità, nel potenziamento arbitrario e surrettizio a universale di un particolare determinato e spesso vizioso. La condanna della sopraffazione, esercitata a danno di un individuo o di un gruppo sociale o etnico, presuppone il riconoscimento della dignità di ogni individuo o uomo in quanto tale; non è possibile mettere in discussione una determinata ideologia universalistica senza far ricorso ad una meta-universalità, cioè ad una universalità più ricca e più vera. Non procede così anche Esposito nel criticare giustamente Husserl per aver identificato l’ “uomo occidentale” con l’ “uomo tuot-court”, escludendo quindi indios e zingari? Negare il criterio dell’universalità significa negare in ultima analisi ogni criterium veritatis, ogni possibilità di sottoporre a controllo e a critica un’afferma- zione o un comportamento; significa spianare la strada, in ultima analisi, ad un arbitrio e ad una violenza riluttanti a qualsiasi regola e a qualsiasi verifica meta-individuale e intersoggettiva. E’ solo la categoria di universalità a rendere possibile l’autocritica e autocorrezione di una civiltà. Se la politica di sterminio e genocidio (e di quello a danno degli indios prima ancora della “soluzione finale” a danno degli ebrei) è stata condotta all’insegna di un nominalismo antropologico che rifiuta di sussumere pienamente le sue vittime sotto il concetto universale di uomo, è proprio in nome di tale concetto che l’Occidente, nei suoi momenti più alti (a cominciare da Las Casas), ha saputo sviluppare un bilancio autocritico della sua storia. Alla fine dell’Ottocento, un teorico del razzismo e del darwinismo sociale, Gumplowicz, così descrive e giustifica lo sterminio degli Ottentotti: «I boeri cristiani li consideravano non come “uomini” bensì come “esseri” (Geschöpfe) che è lecito sterminare alla stregua della “cacciagione del bosco”». Tocqueville invece osserva che in America i bianchi si rifiutano o stentano a riconoscere nei negri «i tratti generali dell’umanità»; e in modo analogo si comportano nei confronti degli Indiani, ormai sul punto di essere cancellati dalla faccia della terra. Ma poi è lo stesso autore della Democrazia in America a celebrare l’incessante espansione dei bianchi che combattono “il deserto e la barbarie” (la categoria di barbarie finisce di nuovo con l’incrinare il concetto universale di uomo). Il fatto è che, a parte momenti privilegiati e autori d’eccezione, l’Occidente non ha saputo procedere ad una riflessione autocritica radicale e suscettibile di penetrare in profondità nella sua cultura e nella sua coscienza comune. Ciò ha poi reso agevole l’emergere e il dispiegarsi di una barbara politica di discriminazione razziale nel cuore stesso dell’Europa. E’ significativo il fatto che, nel corso della seconda guerra mondiale, nelle sue conversazioni a tavola, Hitler paragona la sua politica di sterminio degli “indigeni” dell’Europa orientale alla guerra «mossa agli Indiani dell’America del Nord». Pur di portata così ambiziosamente planetaria, il bilancio dell’Occidente tracciato da Heidegger (o da Schmitt) non fa cenno alla lunga catena di crimini commessi dal colonialismo a carico dei popoli esclusi dalla storicità occidentale, compresi quegli ottentotti sui quali con tanto disprezzo si esprime l’Introduzione alla metafisica. E tale atteggiamento è da porre in relazione non solo con le opzioni politiche del suo autore, ma anche con una filosofia tutta pervasa dal pathos dell’irriducibile peculiarità occidentale, la quale esclude da sé la banale, se non barbarica Allerweltsmenscheit dei popoli altri dall’Occidente e dalla Germania. E’ un pathos, peraltro, da cui non riesce realmente a liberarsi neppure Husserl, che parla degli indios con il medesimo sovrano disprezzo con cui Heidegger parla degli ottentotti e dei negri. E’ un pathos che continua a pesare in modo infausto ancora sulla storia e sulle vicende belliche dei giorni nostri. In questo senso, l’ideologia della guerra dell’Intesa, oggi più che mai vitale, va denunciata non in quanto universalistica, come fa Schmitt (e Heidegger) ma, al contrario, per il fatto che riduce l’universale a particolare (l’Occidente, e per di più l’Occidente in sua determinata configurazione politicostatuale). Non è un caso che, nel corso della prima guerra RESOCONTO PROFILO mondiale, gli ideologi più esagitati dell’Intesa bollano i tedeschi in quanto “unni” o “vandali” o “goti”. Esposito prende anche posizione, in modo sobrio, a favore della democrazia. Ma è possibile separare la genesi e lo sviluppo di questa forma politica dalla proclamazione dei diritti dell’uomo in quanto tale, inteso cioè nella sua universalità?. Tali diritti sono peraltro chiamati a diventare concreti, e non solo nei rapporti sociali e materiali esistenti all’interno di ogni singolo Stato, ma anche a livello internazionale, nei rapporti tra nazioni piccole e grandi, ovvero tra Stati deboli e Stati superpotenti e superarmati. E’ in tale chiave che io leggo la tradizione che da Marx conduce alla rivoluzione d’Ottobre la quale ultima - qualunque sia il giudizio sul “socialismo reale” - nel chiamare alla lotta e alla rivolta quelli che definisce gli “schiavi delle colonie”, nel rivendicare la pari dignità di ottentotti, papuani ecc., e nell’imprimere un poderoso impulso al processo di decolonizzazione, ha il merito di aver costituito uno dei momenti più alti di autocritica dell’Occidente e di aver fornito un contributo importante alla costruzione del concetto universale di uomo. Quella che parte da Marx è una tradizione organicista? Non era questa l’opinione di Thomas Mann, da cui ho ripreso la distinzione/contrapposizione (formulata nel 1928) tra Gemeinschaft , forgiata dalla guerra e innalzata a oggetto di culto e Gesellschaft , marxisticamente intesa in senso profano. Naturalmente, si tratta di un’opinione nient’affatto vincolante, ma diamo uno sguardo alla storia culturale dell’Europa in qualche modo tenuta presente dal grande scrittore. Man mano che si sviluppano le contraddizioni che poi conducono allo scoppio della prima guerra mondiale, a sottolineare la necessità di una corale comunità d’intenti non sono solo i nazionalisti. Per quanto riguarda l’Italia, ai tempi della guerra libica, Croce accusa i socialisti e i marxisti di aver distrutto la “coscienza dell’unità sociale” e aver provocato la «generale decadenza del sentimento di disciplina sociale: gli individui non si sentono più legati a un gran tutto, sottomessi a questo, cooperanti in esso, attingenti il loro valore dal lavoro che compiono nel tutto». Due anni dopo, il filosofo liberale individua la realizzazione dell’agognato “gran tutto” nel “socialismo di Stato e di Nazione”, in pratica nel socialismo di guerra e nell’organizzazione e militarizzazione totale della classe operaia e della popolazione. Sono gli anni in cui, secondo l’osservazione dello storico G. L. Mosse, la guerra e la mobilitazione totale vengono celebrate «come strumento per abolire la struttura di classe». Né si tratta solo di teorie. A partire dallo scoppio del conflitto, l’irreggimentazione della società raggiunge un livello senza precedenti. Sono lì a dimostrarlo i tribunali militari, i plotoni d’esecuzione, la prtaica delle decimazioni: allo Stato - osserva Weber nel 1917 - «viene oggi attribuita a una forza “legittima” sulla vita, la morte e la libertà»; e ciò non vale solo per la Germania, ma anche per i Paesi di più antiche tradizioni liberali. In questo momento, a dar prova di olismo e di organicismo non sono solo i nazionalisti dichiarati, ma anche i liberali, tutti accomunati dalla persuasione della necessità del sacrificio di milioni e milioni di individui sull’altare della salvezza dello Stato o della patria. A rifiutare tale gigantesco rito sacrificale e a contestare il potere di vita e di morte dello Stato è invece il movimento rivoluzionario richiamantesi a Marx e sfociato nella rivoluzione d’Ottobre. Anche a voler fare astrazione dallo svolgimento storico reale, non mi sembra che possa essere considerata organicista la visione marxiana di una società senza classi, nell’ambito della quale assieme allo Stato si è estinta anche la politica e ogni individuo può svilupparsi senza costrizione alcuna. Si tratta naturalmente di analizzare la concreta efficacia politica dispiegata da questa utopia dell’estinzione dello Stato (che a me sembra la parte più caduca del discorso di Marx), ma allora siamo ricondotti sul terreno sella storia reale del nostro tempo, che non può certo essere ridotta allo scontro tra ideologie organiciste e anti-organiciste. Mi accorgo che siamo giustamente andati ben al di là del volume qui discusso. Il quale peraltro ha cercato di tracciare un bilancio più equilibrato della storia del Novecento collocando la barbarie unica del Terzo Reich in un contesto storico più vasto che, a partire dal 1914, vede diffondersi in tutta Europa e anche negli USA ideologie della guerra diverse e contrastanti, ma tutte torbide ed inquietanti, in un contesto storico che successivamente, a partire dal 1917, vede tutto l’ “Occidente” (e persino personalità insospettabili come Churchill e Henry Ford) impegnato nella denuncia del complotto “ebraicobolscevico” e in preda a virulente manifestazioni di antigiudaismo e antisemitismo. E dunque, non solo la vicenda di Heidegger va collocata nell’ambito della vicenda novecentesca della Germania, ma quest’ultima, pur col suo orrore unico, non può essere staccata, a sua volta, dalla storia complessiva della Seconda Guerra dei Trent’anni, la quale ultima chiama in causa pesantemente anche gli Stati liberali. A confutazione di certi stereotipi nazionali ancora oggi duri a morire, basti dire che la tradizione conservatrice e reazionaria tedesca risulta profondamente debitrice - e lo dichiara esplicitamente - nei confronti del whig inglese Edmund Burke. Ma è un tema qui appena accennato, anche perchè al suo approfondimento è dedicato un mio lavoro ulteriore. AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Lacan e la filosofia Lacan avec les philosophes (Albin Michel, Parigi 1991) è il volume che raccoglie gli atti del convegno organizzato a Parigi nel maggio del 1990 dal Collège international de philosophie con gli interventi di molti tra i protagonisti dell’attuale pensiero filosofico francese, e con l’intento dichiarato di operare una “riappropriazione” del lavoro di Lacan da parte della filosofia. Per almeno 15 anni - dal 1966, anno di pubblicazione degli Ecrits, sino al 1981, anno della morte - Jacques Lacan è stato probabilmente il maggior interlocutore del pensiero filosofico in Francia. Istituzionalmente estraneo alla filosofia e al mondo accademico, Lacan aveva peraltro assunto una posizione centrale nel dibattito e nella ricerca di quegli anni. I pensatori più diversi - Foucault, Deleuze, Derrida, Lyotard - si trovarono a definire il proprio lavoro in rapporto a quello di Lacan, costretti ad adottarne concetti e terminologia. A quasi dieci anni dalla sua morte il convegno organizzato dal Collège international de philosophie ha inteso fare il punto su tale lavoro e attuare, secondo le parole di uno degli organizzatori, Patrick Guyomard, «la reinscrizione effettiva di Lacan nel campo della filosofia». Apre il volume un notevole intervento di Philippe Lacoue-Labarthe sulle origini dell’etica nel pensiero di Lacan. Per Lacan la filosofia si instaura su di una liquidazione della tragedia, del tragico come dimensione dell’irrimediabile, dell’invalicabile; l’etica del Bene che ne deriva, da Platone al cristianesimo, comporta una negazione del rapporto indissolubile tra due termini inconciliabili, il bene e il male, con la conseguente posizione edificante della tradizione filosofica, caratterizzata da una sostanziale assenza di rapporto tra etica ed estetica. Per Lacoue-Labarthe l’etica tragica propugnata da Lacan, in particolare nella sua lettura dell’Antigone e in rapporto a Hegel, è essenzialmente un’etica del paradosso, dove due termini tra loro inconciliabili non possono sussistere l’uno indipendentemente dall’altro. In tal senso ogni etica è solo la “formazione sublimata” di un’estetica. Ma l’estetica per Lacan è soprattutto questione di simbolico, di logica del significante. E’ questo il tema affrontato al convegno da una filosofa russa, Natalia Avtonomova, attraverso un confronto con l’opera di Kant. Entrambi procederebbero secondo una “strategia trascendentale”: l’oggetto, una volta privato di tutte le sue proprietà empiriche e contingenti, e in modo sistematico, prima di cessare d’essere anche solo pensabile, rivela nondimeno una proprietà ineliminabile, per Kant la “cosa in sé”, per Lacan la pura distinzione significante. La differenza è che Lacan, sulla scorta di Freud, si è occupato di ciò che Kant ha ignorato (lapsus, sogni, ecc.), formulando una tripartizione (reale, simbolico, immaginario) omologa a quella di Kant (logica, estetica, etica), che aspira però a un maggior grado di generalità. Alain Badiou, autore che ha fatto molto parlare di sé in questi ultimi anni in Francia proprio per l’inserzione di temi lacaniani nel suo lavoro filosofico, ci propone un esame del rapporto tra l’opera di Platone e quella di Lacan riguardo al ruolo delle matematiche nel campo del sapere filosofico. Secondo Badiou da Nietzsche in poi la filosofia occidentale è essenzialmente tesa a liberarsi della “malattia platonica”, dando luogo alla rimozione di ogni dottrina della verità a favore di una dottrina della conoscenza strettamente ermeneutica, artistica, poetica. Lacan rappresenterebbe appunto un’inversione di tendenza rispetto a questa linea per la centralità che egli assegna alla questione del “matema”. JeanLuc Nancy si è assunto invece il compito di un’analisi del rapporto, poco noto in Italia, tra Lacan e Heidegger. Nancy, contrariamente a una tendenza prevalente in Francia, differenzia fortemente Heidegger da Lacan, proprio riguardo al concetto di verità. In Lacan la verità come mancanza è mancanza di nulla: l’oggetto non manca di alcuna proprietà, ma semplicemente “manca al suo posto”, viene pensato là dove non è. Il “ritrarsi” heideggeriano, l’essere che non è l’essere dell’ente, è invece manifestazione della finitezza dell’essere. Una mancanza simbolica si contrappone dunque in questo caso a una mancanza reale. In questo la posizione di Lacan si sottrae a ogni ipotesi di esistenzialismo. Il rapporto di Lacan con Alexandre Kojève e la tradizione hegeliana francese è al centro delle analisi di Mikkel BorchJacobsen, mentre Jean-Claude Milner, in un intervento molto penetrante, si è occupato del rapporto tra Lacan e il sapere propriamente scientifico. L’ultimo intervento, quello di Jacques Derrida, ha avuto qualcosa di sorprendente. Derrida è infatti considerato l’alter ego teorico di Lacan, il suo grande confutatore. Si può enucleare la controversia ormai storica tra Derrida e Lacan rispettivamente nelle tematiche contrapposte della “disseminazione” e della “legge” in quanto legge del linguaggio; la disseminazione, concetto vitalistico di derivazione fenomenologica, si sottrae a ogni effetto di “castrazione” imposto dal linguaggio, mentre la “legge” di Lacan è un a-priori, per cui ciascun parlante non può decidere completamente il senso di ciò che dice. Ora, nel suo intervento al convegno, Derrida ha abbandonato il concetto di disseminazione e, rimangiandosi buona parte delle sue critiche classiche a Lacan, ha addirittura presentato il loro rapporto di interlocuzione come l’asse portante degli sviluppi teorici della filosofia francese degli ultimi anni. F.E. Del simbolo, dell’uomo E’ stato presentato a Milano l’ultimo libro di Carlo Sini, Dal simbolo all’uomo (EGEA, MIlano 1991). Tappa significativa di un’elaborazione teoretica dedicata allo smascheramento della logica antropocentrica della scienza, questo testo è anche una difesa dei “diritti del simbolo” sia contro il suo allontanamento nella sfera dell’immaginario, sia contro la sua annessione al campo d’indagine delle scienze. Presentando il testo, Rocco Ronchi ha individuato la “domanda fondamentale” che sta alla base dell’opera di Carlo Sini nella questione se si dia, e come, un “al di là” del pensiero. Vi sono teorie che relegano il simbolo nell’ambito della figurazione e che, partendo dal punto di vista del concetto, non fanno che interrogarsi sul con- AUTORI E IDEE cetto senza pervenire alla verità originaria del concetto stesso. Nel corso della storia della riflessione filosofica la verità del simbolo viene progressivamente oscurata dallo sguardo dell’intelletto, per riemergere come risultato di corto-circuiti teoretici. In René Alleau, osserva Sini, è evidente la scissione fra “simbolo” e “realtà”, dati come precostituiti l’uno di fronte all’altro, e la conseguente assegnazione dell’elemento simbolico alla dimensione dell’immaginario, o dell’onirico. La concezione di Alleau rende impraticabile l’idea di costituire una “simbolica”, ovvero una scienza del simbolo, che rimane sospesa fra l’alternativa di adeguare la propria logica d’indagine all’”oggetto” studiato, pervenendo così non a una scienza del simbolo, ma al simbolismo, o di riproporre, contro i propri stessi buoni propositi, strumenti di indagine concettuali, riducendo così la simbolica a semiotica. Ernst Cassirer ribadisce come la dimensione più originale del linguaggio non risieda nella significatività logico-scientifica, ma piuttosto in quella simbolico-mitica, ove vige identità fra il nome e l’essenza della cosa. Ma pur riconoscendo la specificità dell’esperienza simbolica dell’uomo “primitivo”, Cassirer non tien fermo all’affermazione della sua autonomia e cede alla tentazione di considerare questa esperienza dal punto di vista superiore dell’esperienza “oggettiva” dei moderni. Friedrich Creuzer, il padre del progetto di una “simbolica generale”, coglie il carattere endeictico, cioè mostrativo, creativo del simbolo. Il symbolon è, originariamente, quell’intero che, spezzato in due, consente il mutuo riconoscimento dell’unità ai possessori di ciascun pezzo; il “simbolo” non è dunque segno di una realtà data, sensibile o ideale che sia, non è una funzione, ma un evento. Eppure lo stesso Creuzer perde questo punto di vista, quando sovrappone una filosofia romantica e neoplatonizzante alle proprie acquisizioni di filologo. Dall’insieme di queste posizioni, osserva Sini, si può rilevare come l’idea di “definire” il simbolo, sottesa a ogni “scienza del simbolo”, muova dal presupposto che esiste un ambito concettuale che non è simbolico e che, pure, sul simbolico ha diritto di parola e di giudizio. Il problema, secondo Sini, consiste nel determinare “a partire da che” il concetto definisce il “simbolo” come “funzione simbolica”; vale a dire determinare quale sia la dimensione propria dell’operazione concettuale. Questa dimensione è quella pragmatica e riguarda il luogo in cui i soggetti sorgono in quanto comunicanti, essendo il gesto vocale autoggettivante. Tenendo fermo all’universalità oggettiva nel concetto, l’atto linguistico «si divincola dal grafema corporeo per sollevarsi a puro etere», respingendo nel privato e nell’insignificante ciò che non è riducibile a concetto. Così definita, la funzione pragmatica, intersoggettiva e universalizzante del linguaggio si presenta dunque come il fine della dimensione pubblica dell’atto linguistico. Un certo tipo di lettura di Nietzsche e di Heidegger ha condotto, osserva Sini, alla “crisi del concetto”, delle ideologie, della ragione, dell’Occidente e, alla fine, al salto nell’”Altro”. Da qui il proliferare delle ricerche sul simbolo, sulla metafora, sulla conoscenza estetica e così via. A parere di Sini occorre invece chiedersi, “platonicamente”, cosa sia il simbolo. Quando si dice “questo è un simbolo”, “questo è un concetto”, in questo momento, nell’atto di compiere questo gesto, ci si muove su un terreno che è precedente alla decisione stessa su cosa sia “simbolo” e cosa sia “concetto”. E’ un terreno etico, nel senso etimologico del termine, e indica il radicarsi del soggetto in una dimensione ontologica che lo precede, l’ethos. L’impostazione delle “scienze umane”, ma anche quella dell’”uomo comune”, fa proprio il contrario, e cerca di parlare del simbolo a partire dall’uomo. L’enunciato, che vuole poi essere una definizione, “l’uomo è un animale simbolico”, dice che c’è un’entità, l’uomo, che si presume di conoscere, che appartiene al genere “animale” e che si differenzia dagli altri membri di questo gruppo per il suo caratterizzarsi come “produttore di simboli”. In questa prospettiva le sole questioni plausibili sono, per esempio, quella sul “come” e sul “quando” sia nata e si sia evoluta questa “facoltà simbolica”: questioni da antropologi, da psicologi o da sociologi, appunto. Il filosofo si deve invece chiedere - e non soltanto presupporre - cosa sia uomo, cosa sia simbolo. Per fare ciò deve vedere come l’ente uomo “abbia luogo”, in senso letterale, fra gli altri enti, a partire dalla relazione che costituisce l’uno e gli altri enti come tali in un “mondo”. F.C. Un manifesto dell’edonismo A dispetto di una casuale quasi omonimia, l’ultimo libro di Michel Onfray s’intitola: L’Art de jouir, (L’arte di godere, Grasset, Parigi 1991), proprio come suonava il titolo di una delle opere più note del medico-filosofo Julien Offray de La Mettrie. Il libro costituisce una nuova tappa del lavoro di ricostruzione antropologica dell’homo philosophicus, che da qualche anno Onfray va compiendo. Recente è la traduzione italiana di una sua opera significativa in tal senso: Il ventre dei filosofi (Rizzoli, Milano 1991). Dall’esperienza e dai postumi di un esaurimento organico La Mettrie aveva dedotto la materialità della psiche e del pensiero, tesi che aveva suscitato scandalo e ostilità, tali da costringerlo a fuggirsene dalla Francia. L’idea che il pensiero possa essere prodotto dal corpo fisico urta ancor oggi tanto la coscienza religiosa, quanto quella filosofica. Se ancora per i presocratici - afferma Michel Onfray - «l’esercizio mentale si fa in opposizione ad una energia di cui il corpo è portatore», da Platone in poi si afferma il dualismo tra mente e corpo e la relativa squalifica di quest’ultimo. Al filosofo, disincarnato dai suoi umani appetiti, spetta soltanto la contemplazione del cielo delle idee. «Né carne, né muscoli, né pelle, né sesso, l’angelo è la forma assunta dalla mente», da cui la condanna non soltanto del corpo, ma delle sue stesse facoltà. Ai “sensi interni” del gusto e dell’odorato viene negata qualsiasi vera potenzialità conoscitiva; essi sono gerarchizzati in un ordine che vede prevalere la facoltà della vista, più spirituale e asettica. Così Kant disprezza il naso, ricettore dei più vili effluvi, che per suo tramite pervengono a disturbare la coscienza. Tuttavia, osserva del resto Onfray, se «il corpo è il grande assente della tradizione filosofica in generale», nondimeno i filosofi, in quanto creature terrestri, sono anch’essi fatti «di carne, di pelle, di sangue e di desiderio», con un corpo dunque che, negato, riafferma la sua esistenza attraverso i sintomi e le affezioni. E’ tra i più convinti denigratori della corporalità che Onfray va a cercare i segni somatici dei più evidenti conflitti intellettuali: nella conversione di Agostino, nell’esperienza mistica di Pascal, egli rintraccia i passaggi cruciali verso una nuova salute, dove alla carne viene ingiunto di risolvere il conflitto dello spirito. E’ una prospettiva da “fisiologia del filosofico”, quella che l’autore riprende dal radicalismo nicciano, nella sua intenzione di rovesciare il platonismo, e che trova un altro maestro in Gilles Deleuze, fautore di una «rematerializzazione e rinascita del corpo», unità ripristinata di spirito e materia, dove «pensare è ciò che può apprendere un corpo non pensante, la sua capacità, le sue attitudini o posture». L’araldica di una tradizione filosofica più sensibile ai temi del corpo è tracciata da Onfray lungo una linea che parte dal materialismo di Democrito, attraversa un certo settarismo gnostico (i barbelognostici) e il pensiero libertino, e arriva a Nietzsche, la cui critica allo spirito ascetico è preliminare ad una morale post-metafisica e post-cristiana, ancora da inventare. Su questa linea il libro di Onfray dà in effetti ragione del suo sottotitolo: «per un materialismo edonistico». E.N. L’integrità della ragione umana Dopo la pubblicazione di The critical theory of Jürgen Habermas (1978), Thomas McCarthy é stato riconosciuto come il principale commentatore e interprete del lavoro di Habermas nel mondo anglo-sassone. Sebbene McCarthy abbia nell’insieme della sua produzione teorica sviluppato una posizione indipendente dagli esiti della teoria sociale habermasia- AUTORI E IDEE na, egli viene tuttavia ancora per la maggior parte considerato il fedele “lettore” americano di Habermas. La pubblicazione del suo ultimo saggio: Ideals and illusions: on reconstruction and deconstruction in contemporary critical theory (Ideali e illusioni: ricostruzione e decostruzione nella teoria critica contemporanea, MIT Press, Cambridge 1991), conferma tuttavia la posizione critica di McCarthy nei confronti della complessa e voluminosa teoria di Habermas, dando diversa voce, nel contesto, a pensatori come Derrida, Foucault e Rorty. Thomas McCarthy condivide pienamente l’opinione di coloro che vedono oggi in pericolo il destino della legalità della teoria sociale e politica, che ci proviene da Kant e dall’Illuminismo, e di conseguenza in pericolo l’integrità stessa della ragione umana. Tuttavia la sua ricezione della critica della ragione universalista esposta da Foucault è meno allarmista rispetto a quella di Habermas. Inoltre McCarthy critica anche il tentativo attuato da Habermas per salvare l’eredità dell’Illuminismo, salvando qualcosa della forza della trascendentalità kantiana, al fine di dedurre l’etica e l’universalismo cognitivo senza far riferimento ad altro che alle caratteristiche innate nella struttura della comunicazione umana. Cosí, per esempio, gli strenui sforzi di Habermas per mostrare la possibilità di raggiungere il consenso razionale riguardo alla politica sociale all’interno di “un’ideale situazione di discorso”, dove niente conta se non il riconoscimento della razionalità degli argomenti individuali, non sono, come suppone Habermas, condizione necessaria per il conseguimento di una libertà ottimale. La minimalizzazione della repressione, aggiunge McCarthy, non é il risultato di un qualche consenso irraggiungibile su ciò che é giusto universalmente, ma di un generale consenso sociale circa la legittimità delle differenze nelle opinioni e il conseguente accordo sulla desiderabilità razionale effettiva delle forme istituzionali, attraverso le quali può essere raggiunto il compromesso. La tendenza di McCarthy a pragmatizzare il significato degli argomenti di Habermas, con lo scopo di salvare le sue conclusioni, emerge anche in un suo precedente libro: Democracy and complexity, (Democrazia e complessità, 1989) dove McCarthy sembra criticare ciò che egli considera una predilezione sfortunata di Habermas per i sistemi teorici, che lascia intravedere una certa sua disposizione alla sistematizzazione in quanto tale. Ideals and illusions, ponendosi in linea con questa impostazione, raccoglie otto saggi recenti di McCarthy. I primi quattro, riuniti sotto il titolo di “Deconstruction and critical theory”, si occupano rispettivamente di Rorty, Foucault, Derrida e Heidegger, evidenziando la loro comune tensione verso una prospettiva di neo-Illuminismo, che McCarthy condivide. La seconda sezione, “Reconstruction and critical theory”, include tre analisi critiche di McCarthy sul pensiero di Habermas e un interessante studio sugli aspetti religiosi del problema del trascendente in relazione a Kant, alla scuola di Francoforte e al teologo politico contemporaneo Helmut Peukert. V.R. Breve storia dell’apparenza Si situano in un territorio intermedio tra teoria della conoscenza ed estetica le riflessioni sviluppate da Norbert Bolz in Eine kurze Geschichte des Scheins (Una breve storia dell’apparenza, W. Fink Verlag, München 1991). Di fronte ai mutamenti introdotti dai moderni media, e in particolare dalle tecnologie computerizzate, nella nostra percezione della realtà, Bolz ripropone la questione, antica come la filosofia, del rapporto tra essenza e apparenza. Le riflessioni di Norbert Bolz si situano nell’orizzonte di una crisi del concetto di realtà e di una corrispondente confusione dei confini tra essere e apparire, realtà e immaginario, che dal suo punto di vista è determinata dalla presenza massiccia nel nostro mondo della vita dei nuovi media elettronici e delle tecnologie computerizzate, attraverso le quali si possono ottenere sofisticati effetti di simulazione della realtà. Partendo dalla constatazione che «oggi le tecnologie della simulazione mettono in questione la tradizionale differenza tra reale e immaginario», Bolz mira ad una «rideterminazione filosofica del rapporto fra essere e apparenza». Nelle correnti filosofiche moderne il problema del rapporto tra essenza e apparenza diventa di competenza della teoria della conoscenza e dell’estetica, perdendo progressivamente le sue valenze ontologiche. Secondo Bolz, l’estetica non è più nell’epoca attuale una “teoria delle (belle) arti”, ma si suddivide in una “teoria della aisthesis” (come teoria dei media), e in una “tecnologia della produzione digitale di immagini” (grafica computerizzata). Bolz intende circoscrivere con le proprie riflessioni il concetto e l’ambito di una “estetica dei media” come “nuova scienza guida”. I riferimenti filosofici, antropologici e sociologici che Bolz richiama, sono disparati, e vanno da Nietzsche a Benjamin, da Carl Schmitt a Gehlen, da Hobbes a Hegel, da Heidegger a Adorno, da Gunter Anders a Baudrillard, fino ad una serie di studi socio-psicologici sui nuovi media e sul concetto di simulazione. In Nietzsche da un lato la razionalità intende dissolvere, attraverso gli strumenti del pensiero critico, le immagini della tradizione, dei miti e delle religioni (tendenza iconoclasta dell’Aufklärung); dall’altro que- sta stessa critica non può fare a meno di creare nuove immagini e nuove mitologie (tendenza mitopoietica dell’Aufklärung). Ciò comporta un mutamento dell’ottica del filosofare: il “filosofare col martello”, che è al tempo stesso il risultato e il punto di partenza della “trasvalutazione dei valori” e del “crepuscolo degli idoli”, scopre nella capacità di produrre metafore e immagini una dimensione originaria dell’esistenza umana, la dimensione estetica, conducendo ad una giustificazione dell’esistenza in quanto progetto creativo. Facendo riferimento ad autori che si collocano su versanti ideologici e culturali diversi - come ad esempio Gehlen e Benjamin - Bolz delinea ora i contorni di una antropologia filosofica “materialistica”, secondo cui la caratteristica fondamentale dell’essere umano è il suo bisogno di immagini, insieme alla sua capacità di produrne. Ma come valutare il profluvio di immagini tipico delle società moderne, nelle quali l’immaginario umano si nutre alla fonte dei media? A questo proposito Bolz mette a confronto due posizioni opposte: quella di Heidegger, da lui definita “auratica”, che vede nella possibilità di riprodurre tecnicamente le immagini un’espressione dell’oblio dell’essere nell’”epoca dell’immagine del mondo”; e quella di Benjamin, che con il suo “materialismo antropologico del film” tenta di conferire un “indice rivoluzionario” al profluvio di immagini tipico dell’epoca della riproducibilità tecnica delle opere d’arte. In questo l’attenzione di Bolz cade in particolare sulla distinzione benjaminiana tra “prima” e “seconda” tecnica (che riecheggia la dialettica marxiana di “prima” e “seconda” natura): dove dal lato della “prima” tecnica stanno consumo e sacrificio dell’individuo, dominio della natura, estraniazione e rimozione delle domande ultime; mentre a favore della “seconda” troviamo il suo carattere sperimentale e creativo e la sua capacità di mantenere un atteggiamento ludico e non violento nei confronti della natura. Nel suo studio Bolz ripercorre alcuni momenti della discussione filosofica e teologico-politica sul rapporto realtà/apparenza e sul concetto di immagine: dalla tragedia greca, che mostra, come ebbe a dire Heidegger, «la necessità dell’essere nell’apparenza», a Parmenide e Platone, che fanno valere la forza del pensiero contro la minaccia insita nell’aprirsi della differenza tra realtà e apparenza, fino al monoteismo ebraico e alle sue propaggini moderne nella Religion der Vernunft (Religione della ragione) di Hermann Cohen. Comune al pensiero parmenideo e a quello ebraico è la negazione del valore delle apparenze a favore dell’essere o di un “mondo vero”, di cui il mondo apparente non sarebbe che una manifestazione imperfetta. E tuttavia, afferma Bolz, «in questo rinnegamento parmenideo ed ebraico-monoteistico della realtà, l’apparenza viene pur sempre riconosciuta nella sua potenza storica; sarà solo il discorso cristiano-platonico a ridurla a me- AUTORI E IDEE ra apparenza». Diversamente vanno le cose in Nietzsche, che nega il valore di un mondo “in sé”, “vero”, al di là del mondo apparente, individuando in esso nient’altro che una “favola” metafisica, e nella fenomenologia ermeneutica di Heidegger, per il quale “fenomeno” è “ciò che si mostra”: solo sulla base del mostrarsi, l’essente può anche presentarsi come ciò che non è, dunque come illusione, “apparenza”. La questione fondamentale non è più quella del rapporto tra essere e apparire, ma tra fenomeno, come mostrarsi dell’ente così come esso è, e nascondimento. M.M. Isaiah Berlin: il conflitto inevitabile Non esiste alcun dubbio sull’importante e originale contributo fornito da Isaiah Berlin con la sua analisi della storia delle idee. I suoi saggi, riuniti e pubblicati in cinque volumi dal suo editore ed esecutore letterario, Henry Hardy del Wolfson College di Oxford, sviluppano un’interpretazione nuova e profonda del moderno pensiero europeo. Proprio al fine di sottolineare l’importanza dell’opera di Berlin nel quadro della moderna cultura occidentale e del movimento delle idee nel mondo, é stato recentemente pubblicato un saggio che vuole essere, come viene dichiarato nel titolo, una celebrazione della figura di questo pensatore: Isaiah Berlin: a celebration (Isaiah Berlin: una celebrazione, a cura di Edna e Avishai Margalit, Hogarth, London 1991). Nell’analisi della storia delle idee che Isaiah Berlin ci propone colpisce innanzitutto la grande capacità di penetrare nel pensiero di pensatori nient’affatto vicini alla sua visione del mondo. Il suo contributo alla filosofia politica e morale inizia con i suoi scritti sulla libertà, che sovvertono le prevalenti regole ortodosse, sollevando dubbi sulla vera origine della tradizione occidentale. Pur ammettendo che i valori ultimi sono oggettivi e conoscibili, Berlin afferma che essi sono molteplici e differenti e proprio a causa di questa differenziazione e molteplicità entrano in conflitto gli uni con gli altri. I valori inoltre sono tra loro incommensurabili e le scelte che noi operiamo su di loro, sono scelte intrinsecamente tragiche e radicali. Per Berlin non esiste nessun bene sommo, nessuna forma perfetta di vita umana che si possa aspirare a raggiungere e che non potrà mai essere raggiunta, né esiste un metro di misura comune, con cui valutare differenti forme di vita umana, implicanti beni differenti e inconciliabili. Questa affermazione della varietà e incommensurabilità dei valori della vita umana vuole corrisponde alla tesi secondo cui l’idea di perfezione è in sé stessa incoerente. I conflitti tra i valori non sono per Berlin provocati dalla contingenza, ma dalla natura dei valori stessi. L’incommensurabilità di cui parla Berlin è dunque una incommensurabilità costitutiva. Questa caratteristica radicale di pluralismo oggettivo del pensiero di Berlin è stata facilmente fraintesa e accusata di relativismo. Al contrario Berlin ha sempre sottolineato che sebbene i valori si realizzino in differenti modalità di vita, dipendenti da forme culturali diverse, i valori ultimi sono oggettivi e universali, come lo sono i conflitti tra di essi. Il pluralismo di Berlin è espressione di un certo tipo di realismo dei valori, non di scetticismo o di relativismo, come egli stesso sottolinea in una recente raccolta di saggi, The crooked timber of humanity: chapters in the history of ideas (Il carattere tortuoso dell'umanità: capitoli di storia di idee,1990). La sua tesi dell’incommensurabilità dei valori possiede in effetti un significato universale e la sua interpretazione non differenzia la cultura tradizionale europea del razionalismo e del monismo dalla altre culture del mondo. Le implicazioni di questa tesi nel campo della filosofia politica minano alla base il pensiero liberale, proponendo invece un liberalismo agnostico. Per Berlin, cosí come entrano in conflitto i valori, anche le diverse concezioni di libertà sono incommensurabili e in opposizione tra loro. In tal senso il progetto legalista o costituzionalista che trova chiara espressione nel lavoro di Rawls, quale tentativo di specificare un insieme unico di diritti o di libertà-base in connessione armonica tra di loro, è per Berlin pura illusione. In Two concepts of liberty (Due concetti di libertà, 1959) Berlin tenta appunto di applicare il pluralismo dei valori all’ideale della libertà stessa. Nel fondare il valore della libertà sull’incommensurabilità, Berlin mette in discussione il liberalismo dottrinale e fondamentalista, cioè il liberalismo di Nozick, Hayek, Rawls e di Ackerman, che sembrano supporre che l’incommensurabilità della vita morale e politica, e quella della libertà stessa, possano essere rimosse con l’applicazione di una teoria che pare possedere il carattere di una formula talismanica. Berlin é filosofo della storia tanto quanto della libertà. Il suo rifiuto della inevitabilità storica è coerente con il suo rifiuto generale del determinismo umano. Nel riaffermare il pensiero di Vico e di Herder egli cerca infatti di rendere plausibile l’idea secondo cui nella storia esiste una modalità di comprensione, che è irriducibile a quella delle scienze naturali. A questo proposito è da sottolineare la vicinanza tra il pensiero di Berlin e quello di Hume. Entrambi infatti mostrano una propensione per la contingenza della storia, entrambi sono uomini profondamente civili, difensori dei valori che hanno animato l’Illuminismo: le loro concezioni sono alla base delle società moderne, nella cui difesa essi si sono fermamente impegnati. V.R. Giustificazioni di Dio La figura biblica di Giobbe ha offerto spunti di riflessione a due opere, che pur proveniendo da contesti intellettuali diversi, camminano entrambe sul crinale tra filosofia e religione: si tratta del volume di Lev Sestov, Sulla bilancia di Giobbe. Peregrinazioni attraverso le anime (traduzione di Alberto Pescetto , con un saggio Czeslaw Milosz, Adelphi, Milano 1991) e dello studio di Giovanni Moretto, Giustificazione e interrogazione. Giobbe nella filosofia (Guida, Napoli 1991). Giobbe è il giusto che, provato da Satana con il permesso di Dio, accetta il tormento unicamente in forza della fede. Durante le prove cui è sottoposto rifiuta le giustificazioni razionali che gli amici gli offrono, si tiene ben saldo nella propria disperazione, nella convinzione che il proprio stato è assolutamente assurdo e non giustificabile dal punto di vista della argomentazioni che l’uomo può escogitare. Tentare di comprendere ciò che gli sta accadendo sarebbe già un venir meno alla fede in Dio. C’è però in questo atteggiamento riflessivo una sorta di ambivalenza: se indubbiamente “umano” è lo strumento razionale, lo è pure il rifiuto di considerarlo come esaustivo rispetto alla totalità della condizione umana. L’ambivalenza conduce qui a un paradosso: ancora più profondamente umana delle giustificazioni razionali è la disperazione di Giobbe, per cui chi sa essere uomo, chi sa permanere nella disperazione, entra in contatto con Dio. Come filosofo, Lev Sestov rifiuta questo esito “umanistico”, o anzi, “umanocentrico”. La sua polemica antiumanistica è infatti radicale, come Czeslaw Milosz evidenzia nel suo saggio d’introduzione, “Salvezza dalla disperazione”. Presi di mira da Sestov sono gli inventori di teodicee, che tentano di conciliare razionalmente l’esistenza di Dio con quella del male nel mondo, come coloro che dalla ribellione alla necessità imposta da un ordine razionale delle cose concludono a un’esaltazione quasi prometeica della libertà dell’uomo. Ma la condanna di Sestov investe anche chi alla Rivelazione ha sostituito una “filosofia della Rivelazione”, e chi al riconoscimento della disperazione e dell’assurdo, come tratti distintivi della condizione umana, sostituisce una “filosofia della disperazione” e una “filosofia dell’assurdo”. Ciò spiega anzitutto perché, nonostante la figura di Sestov sia stata rivendicata dall’esistenzialismo parigino degli anni Quaranta e Cinquanta, i punti di contatto fra il movimento e il pensatore russo siano di fatto solo superficiali. In secondo luogo spiega l’idem sentire, su cui si fonda forse l’amicizia personale a dispetto delle divergenze teo- AUTORI E IDEE Georges de la Tour, Giobbe e la moglie (Epinal, Musée Départment des Vosges AUTORI E IDEE retiche, che accomuna Sestov a Husserl. Certo, nell’aut-aut tra ragione e fede, tra Atene e Gerusalemme, tra Platone e gli stoici da una parte, Pascal, Dostoiewskij, Nietzsche e Kierkegaard dall’altra, Sestov aveva scelto la fede, Husserl la ragione; ma simile era, si potrebbe dire, la risolutezza con cui era stata fatta la scelta e la determinazione ad accettare le insolubilità e i vicoli ciechi di fronte ai quali ci si sarebbe potuti trovare. Il più evidente dei quali è il fatto che Sestov, proprio come “filosofo”, resta totalmente all’interno del paradosso relativo all’aspetto “umanistico” del proprio rifiuto dell’esaustività della ragione nei confronti del problema del male nel mondo, cioè del problema della vita dell’uomo e non solo del suo pensiero. Il filosofo Sestov pare non avvedersi del fatto che ponendo il problema dell’inadeguatezza della ragione nei confronti delle esperienze che l’uomo fà del divino e della propria stessa condizione, con ciò stesso tali esperienze si vengono a qualificare come tanto propriamente umane da diventare caratteristiche definitorie dell’uomo. Solo l’uomo di fatto è colui che è messo alla prova da Dio, e deve dare di ciò una giustificazione. Proprio questo è invece il problema centrale messo a fuoco da Giovanni Moretto nella raccolta di saggi dal titolo: Giustificazione e interrogazione. Moretto sostiene che la struttura della teodicea, in quanto forma di giustificazione, non é propria soltanto di una riflessione inserita nella prospettiva cristiana, ma appartiene anche «ad un tempo post-cristiano, caratterizzato dalla morte del Dio biblico». L’origine della teodicea è «universalmente filosofica e quindi extra biblica». Fin qui anche Sestov potrebbe essere d’accordo con la riconduzione della prospettiva della giustificazione a quella della speculazione razionale e antropocentrica, che egli considera contraria alla fede. Ma Moretto insiste sul carattere antropologico della giustificazione, sul fatto che la teodicea possiede “un’intima convertibilità” in antropodicea. In questo modo la vicenda di Giobbe «è il libro classico della teodicea, proprio perché non intende facilitarsi le cose, sopprimendo l’uno o l’altro dei protagonisti del dramma, Dio e l’uomo. Il senso del dramma è che i due protagonisti hanno bisogno l’uno dell’altro per definirsi». Alla luce del problema della giustificazione Moretto legge anche il pensiero di Martin Heidegger, in particolare il suo Satz vom Grund, il “principio del fondamento”. Nel passaggio dall’accezione leibniziana del principium rationis a quella heideggeriana della “tesi del fondamento” Moretto vede una peculiare forma di conversione dell’antropodicea in teodicea, stante il presupposto del carattere religioso dell’Essere heideggeriano. Tale conversione sarebbe anzi interna alla storia della riflessione heideggeriana, per via della “svolta” - la cosiddetta Kehre - operata da Heidegger rispetto a una figura del pensare che per Moretto è «jobica, in quanto costruita attra- verso la pretesa dell’uomo (Dasein) di “giustificare” l’essere...alla figura del pensiero (Denken)». Non si tratta, dunque, di rinunciare alla giustificazione, né di rimuovere l’uomo con un improbabile abbandono a Dio, ma di analizzare la specificità dell’interrogazione radicale che ci proviene dalla cultura greca e di quella che ci proviene dalla Bibbia, la specificità della dimensione razionale e di quella della preghiera. Secondo Moretto le due vie, che sono consustanziali, possono e debbono intersecarsi, per rispondere “al più classico” dei problemi della filosofia, quello della giustificazione del male. La filosofia, per incontrare la verità della Bibbia, «deve soltanto iuxta naturam suam universalizzare quelle verità, rendendole patrimonio di ogni uomo che venga in questo mondo». La filosofia, per raggiungere il suo scopo, l’universalizzazione della verità riguardo l’esperienza umana, «non ha nemmeno bisogno di passare attraverso l’esperienza della teologia cristiana». Se la grandezza di Giobbe è per Sestov l’aver abbandonato la conoscenza a favore della fede, per Moretto, che riprende Agostino, la pazienza di Giobbe è una virtù non solo etica ma «dianoetica dell’uomo che contempla il mondo in una luce crepuscolare, nell’ora del giudizio e della verità ultima». F.C. Habermas: pensiero postmetafisico ed etica del discorso Con gli studi raccolti in Erläuterungen zur Diskursethik (Chiarimenti sull’etica del discorso, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991) Jürgen Habermas prosegue le ricerche presentate nell’opera del 1983 Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln (Coscienza morale e agire comunicativo), nel tentativo di fondare, dal punto di vista della teoria dell’agire comunicativo, la possibilità e la specificità del discorso etico. Alcuni dei tratti che differenziano la proposta teorica di Habermas tanto dal relativismo postmoderno quanto da rinnovate tentazioni metafisiche sono ora accessibili ai lettori italiani nella raccolta di saggi: Il pensiero post-metafisico (a cura di Marina Calloni, Laterza, RomaBari 1991). In Erläuterungen zur Diskursethik Jürgen Habermas tenta di superare, attraverso la discussione di alcune questioni riguardanti lo statuto gnoseologico del discorso etico, il contrasto tra un astratto universalismo morale ed una posizione relativistica, delineando così la possibilità di una discussione razionale anche se di una razionalità sui generis) dei problemi etici. Nel volume sono raccolti saggi già pubblicati in volumi collettivi e interventi letti da Habermas in occasione di incontri organizzati da uni- versità statunitensi. Unica eccezione, l’ampio studio che dà il titolo al volume e che deriva da appunti di ricerca degli anni 198790. Scorrendo il volume si ha l’impressione che questi testi, per struttura e modalità di approccio ai problemi, rappresentino più momenti di una riflessione in progress (o, con le parole di Habermas, di un “processo di apprendimento”) che non risultati definitivi della ricerca. Lo sfondo della discussione è qui dato dalle critiche mosse alle concezioni universalistiche della morale da pensatori come Aristotele, Hegel e dal contestualismo contemporaneo. Questa prospettiva non porta però Habermas a negare, come fanno le correnti che si rifanno all’empirismo, la possibilità di una discussione e di una decisione razionale delle questioni etiche, ma al contrario lo induce a individuare la specificità del discorso morale. Questo, che non è una forma di conoscenza nel senso delle scienze esatte o della “ragion pura” di Kant, ma si fonda sulle intuizioni della vita quotidiana, si presenta con il carattere di una razionalità che gli è specifica, e che Kant aveva già individuato quando distingueva tra uso “puro” e “pratico” della ragione. Partendo da questo tentativo (condiviso, sia pure con diverse accentuazioni, anche da Karl-Otto Apel) di riprendere e riformulare la teoria morale kantiana avvalendosi degli strumenti della teoria dell’agire comunicativo, Habermas discute in questo volume una serie di problemi e obiezioni mosse ai suoi studi precedenti. Tra i problemi fondamentali indichiamo qui: il significato dell’etica del discorso; il rapporto tra i concetti dell’etica del discorso e le intuizioni morali che si trovano alla sua base; il rapporto tra ragione pratica e teoretica, tra fondazione teorica della norma e sua applicazione. Nel saggio che dà il titolo al volume, Erläuterungen zur Diskursethik, questi problemi vengono discussi con riferimento alle posizioni di autori che recentemente hanno posto le questioni etiche al centro della propria riflessione: tra gli altri J. Rawls, E. Tugendhat, K.-O. Apel, A. MacIntyre. L’orizzonte teorico generale di questi studi più recenti di Habermas è delineato in maniera sistematica soprattutto nella Theorie des kommunikativen Handelns del 1981 (trad. it. Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna). Ora, con la recente traduzione italiana di Nachmetaphysisches Denken (Il pensiero post-metafisico), pubblicato originariamente nel 1988, vengono presentati al lettore italiano alcuni saggi risalenti alla seconda metà degli anni Ottanta, in cui Habermas prende posizione da un lato contro gli esiti “disfattistici”, relativisti e post-moderni della critica kantiana delle pretese assolutistiche della ragione, dall’altro «contro quei tentativi che mirano a ritornare a forme di pensiero metafisico»: pagine polemiche al riguardo sono dedicate in particolare alle concezioni di Dieter Henrich. I saggi raccolti da Habermas in questo volume riper- AUTORI E IDEE corrono diversi temi e momenti della storia della filosofia dall’antichità ai giorni nostri, giungendo a prendere in considerazione alcune questioni cruciali dell’attuale filosofia analitica del linguaggio, della psicologia sociale e relative a quello che potremmo chiamare lo “statuto letterario” della filosofia. A questo proposito si veda l’ultimo saggio, “Filosofia e scienza come letteratura”, che prende spunto da un’analisi di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino). L’intenzione comune ai diversi studi è però quella di individuare gli elementi di una concezione della razionalità che, pur volendosi “scettica” e consapevole dell’impossibilità di realizzare le pretese metafisiche avanzate dalla filosofia nel corso della sua storia, non rinunci a far valere un’esigenza di validità universale. Ciò porta Habermas a sostenere una concezione comunicativa e intersoggettiva della ragione, che sembra avere il suo punto d’appoggio nella sostituzione del primato della coscienza con quello del linguaggio. In questa prospettiva di concretizzazione del concetto di razionalità e di superamento dell’astrattezza dell’io trascendentale kantiano, Habermas integra gli esiti delle più recenti teorie pragmatistiche del significato e dell’azione con il concetto fenomenologico di “mondo della vita”, nel cui orizzonte comunicativo si intrecciano dialetticamente le istanze dell’individuo, della cultura e della società. Da questi studi di Habermas sul Pensiero post-metafisico prende le mosse lo studio di Elena Agazzi, Dopo Francoforte. Dopo la metafisica (Liguori, Napoli 1990), che mette a confronto le posizioni di Habermas con quelle di Karl Otto Apel e Hans Georg Gadamer, individuando rispettivamente nella “teoria dell’agire comunicativo”, nella “ritrascendentalizzazione del soggetto” e nell’”orizzonte della tradizione” tre diverse proposte teoriche alternative al “nichilismo” e ad una “rappresentazione individuale della realtà, priva di sbocchi emancipativi”. M.M. Michael Dummett: alla base della verità L’influenza che Michael Dummett sta esercitando sul pensiero contemporaneo, e non solo limitatamente al mondo anglo-americano, si è realizzata attraverso la pubblicazione di una dozzina di saggi, due libri sulla filosofia di Gottlob Frege e un trattato di logica. Attraverso di essi Dummett ci ha spinto a ripensare il problema del vero, della logica, del significato e della loro relazione con le più profonde questioni metafisiche. Il suo nuovo libro, The logical basis of metaphysics (Le basi logiche della metafisica, Duckworth, London 1991) prende in considerazione questi temi parallelamente, presentando per la prima volta in forma sistematica un resoconto delle sue idee. La pubblicazione di quest’opera rappresenta la principale affermazione delle idee che hanno provocato la maggior parte delle controversie fondamentali della filosofia analitica in quest’ultimo scorcio del ventesimo secolo. Con quest’ultimo libro Michael Dummett ci presenta l’odierna sistemazione del suo pensiero, risultato di un lungo lavoro, iniziato nel 1976, di revisione e di sviluppo delle sue primitive posizioni. Scopo di Dummett é cercare qui di porre le basi per una meaning-theory, che possa spiegare in che cosa consista la conoscenza del linguaggio per un individuo parlante. Nel proporre un modello generale per il linguaggio, una meaning-theory deve saper determinare in particolare la corretta logica del linguaggio, specificando il significato delle costanti logiche, e fornendo l’insieme delle leggi logiche che valgono per esso. Simultaneamente deve chiarire il concetto di vero, evidenziando le sue relazioni con il significato. Secondo Dummett, se si riesce a dare risposta alle domande poste da questi problemi, si riescono anche a risolvere insieme i vecchi problemi posti dal realismo metafisico. Ovunque, nella storia della filosofia, il realismo ha prodotto controversie. In taluni casi si è detto che non esistono valori oggettivi nel mondo, che è la natura umana che produce le nostre vedute morali. Analogamente si è affermato che le verità matematiche non sono indipendenti da noi, ma sono il prodotto delle nostra creatività; cosí come si è detto che il mondo fisico non può essere concepito come esistente indipendentemente dall’esperienza, ma che anzi la sua relazione con l’esperienza è interna ad esso. Per Dummett il bisogno di un nuovo approccio a questi problemi scaturisce proprio dal fallimento di questi dibattiti tradizionali. Egli pensa che la chiave dell’inadeguatezza delle soluzioni proposte dal realismo si trovi nella accettazione, comune a queste soluzioni, del principio di bivalenza, secondo cui ogni affermazione appartenente ad un universo dato è determinatamente vera o falsa. La connessione tra bivalenza e realismo produce la credenza che la verità o falsità di un’affermazione non é una funzione della nostra indagine, ma è determinata da una realtà che esiste indipendentemente dalla nostra conoscenza. Ciò vuol dire che impiegare il principio di bivalenza, cioé impiegare una logica classica generante una semantica bivalente, equivale a essere realisti. In definitiva, per Dummett proporre una soluzione ai problemi sollevati dal realismo equivale ad evitare la teoria semantica che ad esso sottende. Proprio questo è lo sforzo che egli intraprende, ponendo le sue idee come punto di partenza per la costruzione di un’adeguata teoria del significato e con ciò una soluzione del problema metafisico ad essa collegato. In The logical basis of metaphysics si ritrovano di fatto tutti i principali temi della filosofia analitica: il problema del vero, del significato, della conoscenza, della comprensione, dell’olismo e della giustificazione delle leggi logiche. Ripudiando apertamente la semantica classica, Dummett difende una posizione verificazionista-pragmatista per la sua meaning-theory, affermando che il miglior modello disponibile in tal senso è quello offerto dall’intuizionismo, dal momento che la logica intuizionista si autogiustifica, non richiedendo l’appoggio di una teoria semantica. Sebbene nel libro siano presenti i temi consueti trattati da Dummett, essi vengono qui riaffermati con argomenti nuovi. Uno degli sviluppi più interessanti, mai espresso prima con tale chiarezza, é quello che afferma le ragioni per cui egli crede che i problemi metafisici si risolvono conseguentemente alla soluzione di quelli logici. Incominciare da un’indagine metafisica, provando a derivare da essa una descrizione di ciò che pensiamo del vero e dunque della logica, significa adottare una strategia topdown, che possiede lo svantaggio di non darci la possibilità di conoscere come poter fornire una chiara visione delle controversie metafisiche in questione. Adottando al contrario un procedimento d’indagine bottom-up, incominciando cioé col fornire un corretto modello del significato per le affermazioni controverse, è possibile per Dummett risolvere in un secondo tempo le controversie metafisiche stesse. Questo perché ciascun modello di significato porta con sé un modello metafisico, sicchè una volta determinata una descrizione del significato, non resta che accettare il modello metafisico ad esso relativo. Una strategia questa, che richiama alcune idee caratteristiche del pensiero dummettiano. Dummett infatti considera come indagine fondamentale la filosofia del pensiero, e la sola maniera per approfondirla si attua attraverso il linguaggio, con cui il pensiero si esprime. Un’indagine sul linguaggio equivale ad analizzare ciò che chiunque deve implicitamente sapere per essere considerato parlante una determinata lingua. Il primo passo nel costruire una teoria del significato è infatti fornire una rappresentazione sistematica della pratica necessaria per parlare un linguaggio. Dei problemi sorgono invece a questo proposito se si accetta il principio di bivalenza che produce una meaning-theory incapace di stabilire un’unione tra la conoscenza del parlante e la sua pratica, unione che deve essere stabilita se la nostra teoria del significato vuole essere adeguata. E’ proprio questo il nodo centrale che ha generato negli ultimi venti anni il dibattito intorno al lavoro di Dummett. La sua posizione appare poggiare su di una inestricabile doppia tensione tra da una parte il problema legato alle leggi logiche, al loro bisogno di essere giustificate e a come giustificarle, dall’altra il fatto che la natura dell’inferenza deduttiva ci costringe ad accettare una distinzione tra la verità delle affermazioni AUTORI E IDEE Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir nello studio in Boulevard Raspail 22 (G. Freund 1964, G. Neri) e il possedere dei motivi per considerarle vere. Per Dummett tale distinzione deve essere mantenuta, anche se ci conduce all’accettazione di una teoria realistica del significato. Nonostante molte affermazioni discutibili, senza dubbio Dummett ci mette a disposizione con questo libro un materiale interessante e articolato, capace di arricchire un dibattito che sta uscendo dai confini anglo-americani, per essere accolto anche dalla cultura europea. V.R Su Sartre e Beauvoir Se come maîtres à penser sembrano piuttosto dimenticati, come personaggi Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir non smettono di suscitare interesse in Francia. Nella ricezione del pubblico il loro ruolo di protagonisti della cultura degli anni Sessanta sembra di fatto essersi depositato in un interesse biografico che, nella sostanza, è indifferente ai contenuti filosofici del loro pensiero. Parliamo di due studi biografici recentemente ap- parsi nelle librerie francesi: Simone de Beauvoir, di Deirdre Bair (traduzione dall’inglese di Marie France de Palomera, Fayard, Parigi 1991) e Une si douce Occupation... Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre 1940-1944, di Gilbert Joseph (Una Occupazione tanto dolce... , Albin Michel, Parigi 1991). A queste biografie fa riscontro un testo inedito di Sarte, che raccoglie i quaderni composti durante un viaggio in Italia nel giugno 1952, pubblicato a cura di Arlette Elkaim-Sartre col titolo: La reine Abermarle (La regina Abermarle, Gallimard, Parigi 1991). Si tratta di note sparse, dove emerge un’immagine dell’Italia tutto sommato da cartolina e che ricordano, per molti versi, la sensibilità spaesata di Antoine Roquentin, il famoso personaggio della Nausea. Il libro di Gilbert Joseph è una ricostruzione storica, dati alla mano e veleno nell’inchiostro, che costituisce un pesante atto d’accusa del dégagement della coppia negli anni dell’Occupazione tedesca. E’ noto come il primo successo teatrale di Sartre, Les Mouches (Le mosche), sia stato rappresentato nel teatro collaborazionista “Sarah Bernhard”, previo visto della censura “ariana”; come pure è risaputo che Simone de Beauvoir collaborava in quel periodo alle trasmissioni della Radio-diffusion Nationale. Da qui le accuse di opportunismo dell’autore di questa biografiapamphlet, che ha il vizio evidente di detestare i suoi protagonisti, di far intervenire il giudizio estetico sull’opera e la riprovazione morale quali inutili commentari alle imprese di Sartre e della Beauvoir. Calcolo, ambizione letteraria, sete di celebrità a tutti i costi e persino dissolutezza erotica i capi d’accusa accumulati da Joseph, che è andato a spulciare tra gli archivi di polizia e tra gli statini professionali dei due brillanti professori di liceo col solo intento di dimostrare come fosse usurpato il titolo di “resistenti”, di cui essi si sono fregiati nel Dopoguerra. C’è da dire che la ricostruzione di Joseph non pecca certo per mancanza di dati storici. Riscontri che possiamo augurarci vengano utili per un lavoro biografico più complessivo e meno partigiano, dove so- AUTORI E IDEE prattutto il giudizio sul personaggio non venga automaticamente e ingiustificatamente portato sull’opera. Di parte sembra anche l’analisi che la studiosa americana Deirdre Bair dedica a Simone de Beauvoir - un monumento di 800 pagine - che fin dalla prefazione denuncia l’intenzione di proporsi come una «biografia femminista». Non si può certo negare l’importanza dell’opera della Beauvoir come autrice di Le Deuxième Sexe (Il secondo sesso) nella storia del pensiero femminista. Ma se la biografia della Bair non diventa agiografica è perché mantiene una precisione e mobilita una messe di dati da renderla preziosa, pur conservando una distanza critica che è tuttavia, nello stesso tempo, ideologica. Ciò è evidente nella valutazione del presunto ruolo subalterno che viene attribuito alla Beauvoir nei confronti di Sartre; in fondo ci troviamo di fronte a una donna sottomessa che scrive: «io ero intelligente, certo, ma Sartre era un genio». Può essere vera l’annotazione secondo cui Simone de Beauvoir era stata «educata, come tutte le donne del suo tempo, a sentirsi inferiore agli uomini», ma non c’è bisogno di rilevare quanto Sartre fosse un uomo «minuscolo, un metro e cinquanta al massimo», per farne risaltare la grande statura intellettuale. E.N. L’inumano dell’uomo: la morale di André Glucksmann «Fai in modo che niente di ciò che è inumano ti sia estraneo». Non è una citazione da Dostoievskij, ma l’imperativo di L’XI Commandément (L’XI Comandamento, Flammarion, Parigi 1991) di André Glucksmann. E’ un libro di “morale”, avverte subito l’autore, che si propone di demolire l’intero edificio della morale corrente, costruita sulle buone intenzioni e sui pii desideri di un sognante umanesimo. All’origine della gioconda concezione che vede l’uomo abitato dalla virtù e il Bene quale destino del mondo vi è, per André Glucksmann, l’ottimismo razionalista dell’Illuminismo. E’ la storia del nostro secolo a fornire la tragica smentita di tali visioni, ma è proprio questa tragedia che impone di ripensare le categorie della morale e di vedere «il luogo dell’inumano» nell’uomo stesso. Assumere la componente di Male intrinseca all’uomo significa arginarla e combatterla senza avere la pretesa di abolirla. I veri nichilisti, sostiene Glucksmann, sono coloro che rifiutano la realtà, che sognano la palingenesi morale degli uomini e costruiscono sistemi per reinventare il mondo. La legittimazione delle tendenze integraliste che vediamo affermarsi oggi risiederebbe in questo integralismo filosofico, nella sua essenza tota- litario. L’analisi dell’integralismo moderno è una delle parti più argomentate e convincenti del libro, che si chiede come esso sia potuto prosperare in un secolo che ha glorificato i valori universali e l’idea di uguaglianza. L’instabilità che caratterizza la modernità, osserva Glucksmann, l’anonimia dello spazio tecnologico, la neutralizzazione del senso operata dalla logica dell’informazione totale, producono un effetto di angoscia e una tentazione di ripiego sui valori minimi, ma assoluti, dell’integralismo. Questo può di volta in volta assumere connotati e finalità diversi, ma sempre partecipa di una medesima logica di esclusione che deriva dalla necessità di definirsi polemicamente contro un nemico. Un soggettivismo assoluto ne è alla base: «esso dà conto di sé solo a se stesso, si fa giudice, pentito, vittima, carnefice e ricompensa ultima di una propria azione che riprende su di sé la schiuma della propria infinità.» Se gli integralismi esprimono del resto la versione caricaturale ed esacerbata della disillusione umanista di un mondo improntato al Bene, conviene, conclude Glucksmann, portare a compimento il processo di autocritica dei valori della cultura occidentale per riaprire il campo di possibilità ad una nuova morale. E.N. Ricoeur e lo spazio pubblico della lettura Interpretare significa in primo luogo per Paul Ricoeur imparare a leggere, e questo per due motivi: perchè per criticare, analizzare, comprendere bisogna frequentare i testi, ascoltarli, provarsi nella spiegazione; poi perchè il mondo circostante si offre come un universo di alfabeti, libri, interpretazioni già avvenute. Con Lectures 1 (Letture 1, Seuil, Parigi 1991) prende avvio la presentazione degli articoli pubblicati da Ricoeur nel corso degli anni spesso in merito ad altri libri e autori, a confronti diretti con le problematiche più attuali. Il primo volume raccoglie gli interventi “Autour du politique”: il prossimo comprenderà i saggi di ordine estetico, il terzo quelli inerenti al problema della religione e del male. I tre campi secondo cui sono raccolti gli articoli ricoeriani esprimono in modo molto perspicuo gli interessi teroretici di questa mente enciclopedica: Lectures ci fa entrare nella biblioteca ideale di Paul Ricoeur, ci indica gli autori più sottolineati, più interrogati, ci fa toccare con mano le conversazioni solitarie e ideali con i testi più incisivi della personale riflessione dell’autore. Questo volume è dedicato al “politico “, o per meglio dire, come suggerisce lo stesso Ricoeur: «Avrei amato chiamare questo libro Lo spazio pubblico, nel senso arendtiano, cioè la manifestazione del rapporto con altri in un ambito istituzionale, che si tratti di istituzioni linguistiche o politiche». L’interesse per la scena pubblica e etica dell’esperienza umana fu sollevato in Ricoeur dall’incontro con Jaspers, con Weil, con Patocka, con Arendt e con i problemi relativi alla filosofia della azione, alla deliberazione pubblica, alla salvaguardia di ciò che è umano di fronte al nichilismo imperante. Osserva ancora Ricoeur a proposito di questo testo: «Dobbiamo tener conto di un certo numero di fragilità fondamentali dell’esistenza. Non dobbiamo creare ex nihilo il senso, ma rispondere a interrogativi ineluttabili». Lectures, “Autour du politique”, connette molto strettamente fragilità e responsabilità. Sono questi i due poli, i due luoghi che definiscono la scena pubblica: da un lato la fragilità della vita in società, i conflitti di interpretazione, i differenti dissidi e punti di vista, dall’altro la responsabilità a cui tutti sono chiamati per non scivolare nella rassegnazione, nell’anarchismo. Il problema per Ricoeur non è essere o non essere nichilisti, ma come pensare e agire di fronte al nichilismo. Frequentare la propria biblioteca ideale significa porsi con altri, contro altri, i medesimi problemi, ingaggiare un dialogo a più voci, seguire le tracce di una propria, condivisibile tradizione. Lectures raccoglie testi che esprimono i temi cari alla riflessione ricoeuriana, come quello dell’impossibilità di una scienza della praxis: l’azione è sottoponibile solo, secondo la linea aristotelica, a una saggezza probabile, per accenni, schizzi, mai per certezze. In questo senso la retorica per il suo carattere argomentativo, pubblico, fra dimostrabile e aleatorio, è il linguaggio proprio dello spazio pubblico. Ma in questa raccolta si trova anche espresso uno dei temi centrali dell’ultimo Ricoeur, ossia la “saggezza pratica”, la prudenza, quale corretivo della possibile rigidità della morale dei costumi, delle istituzioni di una comunità data. Centrale è anche il tema della giustizia. Estremamente interessanti infine gli interventi a caldo, “circostanziali”, sulla rivoluzione cinese, su Israele, sulla situazione universitaria del ’68. F.M.Z. AUTORI E IDEE Sils Maria (Engandina), Das trunkene Lied dallo Zarathustra di Nietzsche. TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Ecce Nietzsche: un filosofo per tutti e per nessuno In Francia è noto come negli anni ‘6O Friedrich Nietzsche sia stato adottato dal milieu intellettuale come filosofo del sospetto, della riabilitazione delle gioie del corpo, della sensibilità come profusione infinita: enfant terrible del pensiero, Nietzsche mette a soqquadro tutte le categorie della tradizione metafisica. Una serie di recenti pubblicazioni segnala un nuovo interesse in Francia per questo autore “polimorfo”, ma la discussione oggi non si gioca più tanto sul piano metafisico-estetico quanto su quello politico-storico. E’ il caso di una serie di testi di autori vari, testimonianza di una recente discussione sulla ricezione del filosofo da parte degli intellettuali ebrei: De Sils Marie à Jerusalem. Nietzsche et le judaisme; les intellectuelles juifs et Nietzsche (Da Sils Maria a Geru-salemme. Nietzsche e l’ebraismo; gli intellettuali ebrei e Nietzsche, Cerf, Paris 1991). A ciò si affianca la traduzione francese dell’ormai classico studio di Karl Löwith: Nietzsche: philosophe de l’éternel retour du même (Nietzsche: filosofo dell’eterno ritorno, CalmannLévy, Paris 1991) e dell’altrettanto classico Introdution 9 Nietzsche (Introduzione a Nieztsche, Ed Univ/ De Boeck Université 1991) di Gianni Vattimo. Completa la panoramica un volume collettivo, Pourquoi nous ne sommes pas nietzschéens?” (Perchè non siamo nietzscheani, Grasset, Paris 1991), che si presenta come il manifesto di una generazione intellettuale che prende posizione rispetto agli anni e ai maestri (“padri”) della loro formazione, ossia coloro che avevano dato vita alla “Nietzsche-Renaissance” degli anni ‘6O. Lo stacco avviene sul piano politico in base all’”esigenza ancestrale di razionalità”, rispetto alla quale la filosofia incendiaria di Nietzsche comporterebbe nefaste e mortifere conseguenze nel dominio dell’azione pubblica e della società democratica. Scontro generazionale? Eredità edipica? Gusto polemico? Sia quel che sia, per gli autori in questione: A. Boyer, A. CompteSponville, V. Descombes, L. Ferry, R. Legros, P. Raynaud, A. Renaut, P.-A. Taguieff, Nietzsche è un punto di non ritorno della filosofia e soprattutto della critica alla tradizione metafisica occidentale. La posta in gioco non è tanto una visione dell’essere, quanto la possibile “presa”, da parte della riflessione filosofica, sulla realtà politico-pubblica. La questione è: fino a che punto è possibile seguire la critica nietzscheana della tradizione razionalista? Cosa comporta questa posizione sul piano dell’azione libera e responsabile degli individui? Detto altrimenti: lo stile decostruzionista, critico, caro alla “Nietzsche-Renaissance”, non mina alla base la “passione democratica”? L. Ferry e A. Renaut pongono questa alternativa: di fronte all’erosione della tradizione da parte della critica, da un lato, e l’intrinseca debolezza della democrazia dall’altro, la fondazione e la legittimità dei valori pubblici, comunicabili, condivisibili (e cioè: le norme, le istituzioni, i criteri) diventano estremamente complesse. Due sono allora i possibili atteggiamenti: il primo, a cui si richiamano gli stessi Ferry e Renaut e filosofi come Rawls, Apel, si propone di «approfondire i presupposti teorici e le modalità pratiche del modello della deliberazione argomentativa». Il secondo, a cui parteciperebbe Mac Intyre, per esempio, denuncia insormontabile il vuoto di punti di riferimento reali e attacca la fragilità della democrazia per «interrogarsi sulle possibilità di far sorgere, attraverso una critica della moderna democrazia, l’analogo contemporaneo di un universo tradizionale». L’aut-aut è chiaro: argomentazione contro tradizione, democrazia contro neo conservatorismo, deliberazione pubblica contro autorità. Nietzsche a questo proposito costituisce l’espressione più raffinata della prospettiva neo-conservatrice, che mira a trovare un analogo della tradizione, e il confronto diretto con la sua acutezza d’analisi permetterebbe di misurarsi con gli effetti “perversi” di tale opzione. D’altra parte il rapporto con Nietzsche non puo’ che essere contraddittorio. La critica nietzscheana della scienza, della modernità, della razionalità è certo convincente, se non seducente. Ma Nietzsche non è un bieco e ingenuo conservatore: il processo della modernità è irriversibile. Nietzsche ricerca allora il “grande stile “, perseguendo l’ideale di un’integrazione delle forze vitali, di una intensificazione della vita creativa, estetica “sovraumana”: una «gerarchizzazione armoniosa delle forze vitali che corrisponderebbe all’analogo dell’universo della tradizione». Da qui sorgono due questioni. Da un lato: può l’eterno ritorno avere un carattere dialettico? Dall’altro: come conciliare nello stesso Nietzsche quello strano misto fra autonomia (super/oltre uomo ) e gerarchia (cosmologia, eterno ritorno dell’identico)? Questo “misto” sarebbe possibile, affermano Ferry e Renaut, «se l’integrazione di cio’ che la modernità ha conquistato non costringesse a rompere, per sempre, con l’eventuale eredità degli Antichi». Su questa linea si situa anche l’intervento di P. Raynaud, che propone di rilanciare una certa strategia nietzscheana: come il filosofo tedesco ha saputo fare dell’Aufklarung uno strumento per criticare dall’interno la ragione, così il suo “irrazionalismo” puo’ divenire un mezzo per perseguire e non rinunciare all’emancipazione delle Lumières. Secondo Raynaud «il compito della filosofia politica sarebbe allora di prendere il pensiero nietzscheano come antidoto dello spirito moderno, o meglio come un mezzo privilegiato per l’autocritica della modernità». A questo proposito l’autore dà luogo a un confronto molto stringente fra Nietzsche e Weber, al quale viene attribuita una critica di stile nietzscheano della modernità, il cui esito sarebbe una discussione della medesima e non un suo oltrepassamento. Sebbene questa raccolta non apporti nessun particolare contributo innovativo all’interpretazione del pensiero nietzscheano, è pur vero che il lettore francese, di questi tempi, ha la possibilità di mettere a confronto punti di vista differenti sul pensiero di Nietzsche. Chi accostasse le traduzione francesi delle monografie di Karl Löwith, da un lato, e di Gianni Vattimo, dall’altro, avrebbe molti elementi per rivisitare il problema dell’essere o non essere “nietzscheani”. La lettura di Löwith può essere considerata un “antidoto” al manifesto generazionale degli intellettuali francesi in rapporto a Nietzsche: l’interpreta- TENDENZE E DIBATTITI zione dell’eterno ritorno proposta da Löwith porta più sulla cosmologia nietzscheana che non sul suo naturalismo metafisico. D’altra parte l’interpretazione di Vattimo può essere letta come correttivo della visione riduttiva dell’alternativa argomentazione-tradizione, nel momento in cui la tradizione metafisica viene rivisitata come destino dell’essere e l’ermeneutica dal canto suo ha di mira la semplice opposizione autorità-conformità-passato e argomentazione-deliberazione-presente. Un ‘altra iniziativa considerevole è la pubblicazione degli atti del recente colloquio dedicato ai rapporti fra Nietzsche e gli intellettuali ebrei, raccolti con il titolo: De Sils Marie a Jerusalem, da D. Bourel e di J. Le Rider. A partire dagli anni 1874/5 la ricezione del filosofo nel mondo ebraico è stata complessa: per certi sionisti Nietzsche offriva l’esempio di un rovesciamento fecondo dei valori borghesi della vecchia Europa; per altri proponeva una filosofia d’élite che andava semplicemente liberata dalla sua tonalità troppo tedesca. In epoca più recente l’influenza nietzscheana ha giocato un ruolo importante nel divenire-ebreo di autori come Rosenzweig, Scholem, Buber. Fermo restando l’ambiguità di Nietzsche nei confronti degli ebrei, la tesi più interessante che questa raccolta suggerisce è che l’antisemitismo nietzscheano dipenda più da un filoellenismo, che da un odio reale per gli ebrei. Inoltre bisogna considerare la reale ignoranza degli ebrei da parte del filosofo tedesco, e non solo di quelli del suo tempo, ma anche di quelli dell’Antico Testamento, tant’è che per Nietzsche gli ebrei più ebrei sono Gesù e Paolo. Segnaliamo qui infine un’iniziativa delle edizioni La Pléiade, che a partire dal ’94 avvieranno la pubblicazione delle opere complete di Nietzsche sulla base della edition grise di Gallimard. F.M.Z. Chi è Nietzsche? Tra i vari studi critici recentemente pubblicati in Italia sulla figura e l’opera di Friedrich Nietzsche, alcuni sembrano orientarsi in particolare verso una tendenza interpretativa che vede il filosofo tedesco più come moralista e “profeta”, che come filosofo sistematico. Segnaliamo in tal senso la pubblicazione di una conferenza di HansGeorg Gadamer, Il dramma di Zarathustra (a cura di Carlo Angelino, Il Melangolo, Genova 1991) e il saggio di uno dei maggiori interpreti dell’opera di Nietzsche, Sossio Giametta, Nietzsche, il poeta, il moralista, il filosofo. Saggio su Così parlò Zarathustra (prefazione di Claudio Magris, Garzanti, Milano 1991). Notevole contributo a questa tendenza interpretativa viene peraltro dall’edizione critica delle opere di Nietzsche, curata da Giorgio Colli e Mazzino Montanari, di cui è recente la pubblicazione di La gaia scienza. Idilli di Messina e frammenti postumi 1881-1882 (Adelphi, Milano 1991); Raccolta di aforismi composti tra il 1881 e il 1882, La gaia scienza appartiene al cosiddetto “periodo illuminista” di Friedrich Nietzsche. E’ il periodo che segna il distacco dalla metafisica di Schopenhauer e dall’arte di Wagner, che aveva preso coloriture fin troppo misticheggianti per i gusti di Nietzsche: il reciproco dono di una copia del Parsifal e di una di Umano - troppo umano fu tra i due un «incrociarsi di spade», come ebbe a dire il filosofo. In questo contesto prende forma la “filosofia del mattino”: religione greca, metafisica schopenhaueriana e arte wagneriana decadono ora a “illusioni”, ad apparenze che devono essere smascherate, e tale smascheramento è delegato alla “scienza”. In Umano - troppo umano la scienza che smaschera è la psicologia; essa però non è ancora “gaia”, poiché il livore con cui metafisica, religione e arte appaiono “maschere” degli umani impulsi non permettono ancora quella “leggerezza” che è condizione imprescindibile dello spirito liberato, e che si concretizza in una presa di distanza dalla scienza stessa. E’ questo il punto di vista che viene raggiunto con la Gaia scienza, che è tale proprio perché essa non è né la forma esistenziale, né la verità ontologica dello spirito libero, ma solo lo strumento per la sua liberazione. Qui la forma aforistica prepara già il “pensare poetico” di Così parlò Zarathustra, ideato e composto fra il 1881 e il 1885. Questo non è casuale, spiega Sossio Giametta nel suo recente studio critico, dato che Nietzsche è “filosofo per necessità”: prima di tutto scettico, poi moralista e infine, di conseguenza, poeta, quando deve comunicare un pensiero che è “per tutti e per nessuno”. Pensiero che è in verità incomunicabile, sicchè per Nietzsche la filosofia, strumento per la vita, deve assumere necessariamente di volta in volta i caratteri dell’invettiva rapsodica e asistematica degli aforismi, piuttosto che la forma sapienziale del poema oracolare. Non si tratta però di una opportuna commistione fra un pensiero non sufficientemente “fine”, o troppo “freddo”, e la poesia, che gli fornisce le nuances, o anche solo le immagini necessarie a esprimere la “vita”. Si tratta invece, suggerisce Giametta nelle trecento pagine del suo saggio, di un diverso interesse, che si esprime anche con lo strumento della filosofia. E’ dunque una forzatura ricondurre le riflessioni in forma aforistica della Gaia scienza, e ancor più quelle in forma poetica dello Zarathustra, a un impianto concettuale sistematico; tesi questa che accomuna Giametta a Mazzino Montanari - di cui Giametta fu collaboratore - e che figura come presupposto filologico all’edizione critica dell’opera completa di Nietzsche. “Superuomo”, “morte di Dio”, “eterno ritorno” non valgono dunque come concetti, ma come “idee limite”: la posizione di Nietzsche nei confronti della “funzione logica della filosofia” è negativa; la filosofia “serve” per la vita dell’uomo non per interpretare la realtà dell’essere, ma per viverla, e a questo scopo devono essere orientati i suoi concetti. Nietzsche stesso, quando si autocomprende come filosofo, cade nell’errore che egli stesso rimprovera ai filosofi: ipostatizzando posizioni quali il rifiuto vitalistico della teoria e della religione, egli dimentica la leggerezza del canto e della danza e va avanti a parlare, cioè a filosofare. Eppure, proprio perché dietro alla posizione dello scettico c’è quella del moralista, e dietro quella del moralista quella di un credente in un sistema di valori, occorre chiedersi fino a che punto non fosse necessario il fraintendimento, o l’autofraintendimento, della “battaglia filosofica” nietzscheana. Sorge addirittura il sospetto che, perfino sul piano storiografico, potesse avere ragione Heidegger, quando collocava Nietzsche sulla vetta più alta del cammino della filosofia occidentale - e comunque al di qua del crinale - come l’ultima figura del soggettivismo della metafisica. Con l’interpretazione heideggeriana della tensione tra vita e saggezza in Nietzsche fa i conti anche Hans-Georg Gadamer nel suo libretto: Il dramma di Zarathustra, che presenta il testo di una conferenza tenuta in occasione del centenario della pubblicazione dell’opera nietzscheana. Nietzsche, prima che filosofo, è anzitutto un “inguaribile moralista”, uno “sperimentatore straordinario”; per questo Gadamer nega che la forma letteraria scelta per lo Zarathustra possa essere poi ripudiata a favore di una presunta maggior sistematicità teoretica. Singolare caso di incompatibilità profonda, quella delle filosofie di Nietzsche e Gadamer. Se, come ricorda Carlo Angelino nella sua Prefazione al testo gadameriano, la coscienza della finitezza umana rappresenta il presupposto dell’ermeneutica filosofica di Gadamer, proprio questo presupposto è l’obiettivo polemico di Nietzsche. Quella di Gadamer è una filosofia fondata su una coscienza che è anzitutto autocoscienza della propria storicità, cioè del proprio essenziale pro-venire. Il gioco cosmico nietzscheano si pone invece nella dimensione sovratemporale dell’eterno ritorno, in quell’implosione dell’attimo nella quale si avvita e precipita la relazione causale, fondata sulla temporalità del rapporto di successione. Nonostante però la lontananza delle prospettive e il fatto che Gadamer dichiaratamente non ami lo Zarathustra, penetrante è la sua analisi del testo, da lui ritenuto anzitutto «un’opera d’arte letteraria», dalla quale non è affatto facile, e forse neppure legittimo, estrapolare «un universo di concetti unitario». Se non si tiene in adeguato conto questo fatto si va incontro a un duplice, possibile fraintendimento. Il primo riguar- TENDENZE E DIBATTITI Friedrich Nietzsche da il rischio di irrigidire concettualmente alcune intuizioni di Nietzsche, incagliando il suo pensiero in contraddizioni apparentemente insanabili, come quella a cui giunge ad esempio Karl Löwith, rendendo inconciliabile l’idea dell’”eterno ritorno” con quella di “volontà di potenza”. Merito precipuo di Heidegger, dice Gadamer, è stato proprio quello di aver composto questo apparente contrasto, mostrando come l’anello dell’eterno ritorno e la volontà di potenza siano facce di una stessa medaglia, la dissoluzione del problema del senso e della causalità finalizzata. Il secondo rischio di fraintendimento consiste nell’identificazione della figura di Zarathustra con Nietzsche stesso. Bisogna invece tener conto del fatto, osserva Gadamer, che lo Zarathustra di Nietzsche è composto non solo dai discorsi, ma anche dalla vicenda di Zarathustra. Quello che ne esce, e che costituisce il frutto teoretico dell’opera, è la tensione fra vita e sapere: cercare la saggezza preclude la vita, ma preclude anche la saggezza stessa, perché essa è accettazione della vita, amor fati. F.C. Nietzsche alla ribalta nel mondo anglosassone L’interesse che il pensiero nietzscheano sta riscuotendo nei paesi anglosassoni sorprende non solo gli studiosi europei, ma lo stesso mondo intellettuale di quei paesi. Colpisce innanzitutto la quantità degli studi sul pensiero di Nietzsche apparsi tra il 1990 ed il 1991 presso le maggiori case editrici inglesi e americane. Dare una spiegazione esauriente di questo fenomeno é cosa complessa; certamente si può dire che con queste pubblicazioni gli studi su Nietzsche nella cultura anglo-americana hanno raggiunto una maturità in grado di riconoscere in questo filosofo un pensatore di eccezionale importanza, sottraendolo all’abbraccio soffocante del “nuovo Nietzsche decostruzionista”, sia al severo giudizio della filosofia analitica. Lo studio di Robert John Ackerman, Nietzsche: a frenzied look (Nietzsche: uno sguardo amichevole, University of Massachusetts Press, Amherst 1990), è il frutto di anni di riflessioni e di insegnamento. La sua discussione poco sistematica del filosofo non ha come scopo di descrivere ciò che Nietzsche è stato o ha detto, ma di fornire delle risposte alle problematiche nietzschiane, mettendo in evidenza il proprio punto di vista. I limiti di una tale lettura vengono d’altra parte sollevati dallo stesso Ackerman nell’introduzione. Al Nietzsche degli anni de La nascita della tragedia (1872) è dedicato il libro di John Sallis, Crossings: Nietzsche and the space of tragedy (Passaggi: Nietzsche e lo spazio della tragedia, University of Chicago Press, Chicago 1991). Utilizzando spesso un gergo heideggeriano-derridiano - in genere mal sopportato dai lettori anglo-americani - Sallis critica l’idea semplicistica e comunemente accettata secondo cui la prima filosofia nietzscheana è quasi interamente debitrice del pensiero di Schopenhauer. Mettendo in evidenza i testi greci su cui presumibilmente Nietzsche studiò, in particolare Euripide, Sallis riesce a fornire una interpretazione alternativa. In Nietzsche and the question of interpretation: between hermeneutics and decon- TENDENZE E DIBATTITI struction (Nietzsche e il problema dell’interpretazione: tra ermeneutica e decostruzione, Routledge, London 1990) Alan D. Schrift cerca di trovare un punto di unione tra l’interpretazione di Nietzsche avanzata da Heidegger e quella fornita da differenti pensatori contemporanei francesi, fra cui Derrida. Pur restringendo la sua attenzione solo a una parte dei pensatori implicati, Schrift affronta questo difficile compito in maniera lodevole, mentre la lettura che egli propone di Nietzsche, improntata a un pluralismo interpretativo, in cui l’attenzione filologica è congiunta a uno sviluppo della nostra capacità di interpretazione creativa, appare meno incisiva e non sufficentemente articolata. Un’alternativa più radicale al Nietzsche decostruzionista per quanto riguarda il problema della verità, della conoscenza e della filosofia sembra essere quella offerta da Maudemarie Clark in Nietzsche on truth and philosophy (Nietzsche, sulla verità e sulla filosofia, Cambridge University Press, Cambridge 1991). Secondo l’autrice, la negazione della possibilità della conoscenza e il rifiuto del vero, che caratterizzano il primo pensiero di Nietzsche, sono dovuti in particolare all’idea dell’esistenza della cosa in sé e al modello rappresentazionale della percezione ad essa associato, di cui egli inizialmente era prigioniero. Una volta liberatosi da questi legami, Nietzsche riesce però a ripensare in maniera significante il vero e la conoscenza. Clark interpreta questo passaggio non come una ricaduta in una posizione pre-nichilistica, ma come un superamento del nichilismo, che permette a Nietzsche di sviluppare una posizione che si potrebbe dire “neo-kantiana”. Pertanto l’esito del pensiero nietzscheano non condurrebbe verso la dissoluzione del concetto di vero e di conoscenza, ma al contrario ad una nuova vita di questi due concetti. Ciò tuttavia non è sufficiente, fa notare Clark, per affermare una rinascita della metafisica sotto gli auspici nietzscheani. Alistair Moles, nel suo Nietzsche’s philosophy of nature and cosmology (La filosofia della natura e la cosmologia di Nietzsche, Lang, New York 1989), cerca di chiarire l’interpretazione della vita e del mondo, quale emerge sia negli scritti pubblicati, che in quelli non pubblicati di Nietzsche. Ne scaturisce una sorta di filosofia della natura e di cosmologia caratterizzata da un intento che oltrepassa quello scientifico. Con essa Nietzsche non solo critica l’interpretazione tradizionale della vita e del mondo, ma esprime anche una sua propria opinione su questi concetti, tanto che il libro di Moles può essere considerato uno dei più profondi tentativi apparsi fino ad oggi di chiarire che cosa Nietzsche abbia voluto affermare su questi argomenti, demolendo in maniera pressoché definitiva quell’interpretazione semplicistica che attribuiva a Nietzsche la caratterizzazione della vita e del mondo esclusivamente in termini di volontà di potenza. Un approccio completamente diverso é invece quello adottato da Henry Staten nel suo Nietzsche’s voice (La voce di Nietzsche, Cornell University Press, Ithaca/NY 1990), in cui si tenta di dare un’interpretazione psicoanaliticamente orientata dei testi nietzschiani. Un’operazione questa giustificata in parte dal fatto che Nietzsche stesso utilizzò frequentemente “letture psicologiche” di altri filosofi. Within Nietzsche’s labyrinth (Nel labirinti di Nietzsche, Ruotledge, London 1990) di Alan White 6 uno dei libri più complessi. White appare come il lettore e l’interlocutore ideale di Nietzsche, soprattutto se lo si considera come un sostenitore dell’elemento dionisiaco della filosofia nietzscheana. Le teorie di Nietzsche sulla tragedia e la sua concezione genealogica sono seguite da un’estesa riflessione sulla resurrezione dell’anima di Zarathustra; una sezione finale del libro considera questa interpretazione in rapporto alla comprensione della concezione nietzscheana della vita umana. In connessione con l’impostazione interpratativa di White si può collocare lo studio di Leslie Paul Thiele, Friedrich Nietzsche and the politics of the soul: a study of heroic individualism (F. Nietzsche e la politica dell’anima: uno studio di individualismo eroico, Princeton University Press, 1990), che aggiunge alle considerazioni sulla rivalutazione del genere umano un’analisi dei vari tipi umani, su cui Nietzsche ha posto la sua attenzione: il filosofo, l’artista, il santo, l’eremita, il super-uomo. Tutta questa interpretazione soggiace però alla semplicistica assunzione come idea guida dell’individualismo eroico. Infine la discussione sul valore, sull’etica, sulla politica e sulla loro reciproca connessione, sviluppata da Lester H. Hunt nel suo Nietzsche and the origin of virtue (Nietzsche e l’origine della virtù, Routledge, London 1991), è un tentativo di considerare che cosa abbia prodotto in Nietzsche l’immoralismo e la rivalutazione dei valori, con cui il filosofo non ha voluto semplicemente criticare i luoghi comuni circa la morte e i valori, ma mostrare la strada per una riorientazione della teoria morale e politica secondo una concezione del valore e della virtù, svincolata da un pensiero antinaturalistico. V.R. Il dibattito sul libero arbitrio Nel mondo anglo-sassone il dibattito sul libero arbitrio ha sempre suscitato grande interesse, forse anche a causa della sua associazione con ciò che può essere definito come la “speranza della nostra vita”, cioé la nostra propensione a considerarci come unici responsabili del nostro carattere e delle nostre scelte, piuttosto che vittime della natura, del destino o di altro che sia, incluso Dio. A partire circa dal 1980 si può constatare un’ulteriore rinascita di questo dibattito, che vede la recente pubblicazione di una serie di studi sul tema: Free will and the christian faith (Il libero volere e la fede cristiana, Clarendon, Oxford 1991), di W. S. Anglin; The dilemma of freedom and foreknowledge (Il dilemma della libertà e della preconoscenza, Oxford University Press, Oxford 1991), di Linda Trinkaus Zagzebski; The non-reality of free will (La non-realtà del libero volere, Oxford University Press, Oxford 1990), di Richard Double; Freedom within reason (La libertà nella ragione, Oxford University Press, Oxford 1990), di Susan Wolf. Altri saggi affrontano invece le radici del problema, analizzando per esempio il concetto di libertà in filosofi come Kant, quasi per operare una sorta di legittimazione del dibattito. E’ il caso dell’opera di Henry E. Allison, Kant’s theory of freedom (La teoria della libertà di Kant, Cambridge University Press, Cambridge 1990). In Free will and the Christian faith, W. S. Anglin afferma che la speranza dell’uomo di sentirsi padrone della propria vita, può essere raggiunta solo se si possiede un libero arbitrio, una capacità di scegliere i valori e i propri scopi indipendentemente da ogni determinismo. Una tale concezione della libertà umana può conciliarsi con l’ortodossa dottrina cristiana dell’onnipotenza, onniscienza e bontà di Dio, apportando un contributo interessante al dibattito sul problema cristiano del male, dell’immortalità e della rivelazione. A differenza di molti altri filosofi, Anglin non elimina gli argomenti più deboli a favore del libero arbitrio, proponendo una completa ed informata visione delle recenti controversie su questo tema. Linda Trinkaus Zagzebski mostra invece diffidenza nell’appellarsi all’argomento della causazione e una certa ritrosia nel risolvere l’apparente conflitto tra la pre-conoscenza divina e la libertà umana. Zagzebski analizza criticamente le tre soluzioni tradizionali di questo dilemma, quella dovuta a Boezio, a Ockham, e alla scolastica spagnola del sedicesimo secolo, in particolare a Luis de Molina. A queste soluzioni, Zagzebski oppone tre argomentazioni alternative, che tuttavia non convincono pienamente, dato che ciascuna si appoggia ad assunzioni discutibili, non potendo ammettere, come soluzione del problema, un’impostazione che limiti la pre-conoscenza divina. In definitiva, sia Anglin, che Zagzebski affermano che l’idea di un libero volere, non deterministico e non causale, é necessaria per dare significato alla speranza della vita umana e al credo teistico. Ma essi pongono poca attenzione al problema centrale se il libero arbitrio, che in senso tradizionale é il fautore, sia attaccabile o intelligibile. In The non-reality of free will Richard Double affronta ogni teoria corrente con argomenti provocatori, spesso originali. TENDENZE E DIBATTITI Egli afferma che le nostre idee di libero volere e di responsabilità morale sono un misto di fattori pragmatici, ideologici, convenzionali e psicologici, che non si basano su fatti oggettivi. Prendendo a prestito una terminologia propria della psicologia cognitiva, Double pensa che il concetto di libero arbitrio sia un concetto “esemplare”, il cui significato 6 determinato dai paradigmi applicati; inoltre esso possiede molteplici modelli contradittori, che non potendo essere conciliati tra loro inducono Double ad affermare la non realtà del libero volere. Come Double, anche Susan Wolf, in Freedom within reason, rifiuta l’interpretazione tradizionale dell’agire, criticando la teoria compatibilista, che cerca di armonizzare il libero volere con il determinismo. Difendendo essenzialmente un pluralismo normativo, Wolf afferma che un individuo 6 responsabile unicamente se 6 in grado di formare le proprie azioni sulla base di ciò che è vero e buono; il che dovrebbe significare, non senza una certa ambiguità, che le persone sono moralmente responsabili solo se possiedono la capacità di agire giustamente per buoni motivi. «L’idea della libertà non potrà mai ammettere una piena comprensione» - sosteneva Kant - intendendo con ciò il fatto che la libertà, poiché richiede assenza di determinazione causale, non potrà mai essere spiegata. La nostra conoscenza è confinata agli oggetti dell’esperienza possibile, in quanto sottoposta al principio di causalità. Inoltre non possiamo nemmeno comprendere pienamente perché il concetto di causalità sia una categoria fondamentalmente implicita nei nostri giudizi, nella nostra rappresentazione delle cose. Cosí Henry Allison cerca di chiarire e difendere l’affermazione di Kant, secondo cui l’assenza della causalità è una condizione per l’esistenza dell’azione razionale e per la responsabilità morale. Per Kant l’individuo che agisce secondo ragione non agisce semplicemente per soddisfare i propri desideri, ma in quanto egli valuta se questi desideri siano degni o non degni di essere perseguiti. Tuttavia questo atto di valutazione, osserva Allison, non deve essere pensato come una conseguenza causale dei desideri dell’individuo. Questa nozione di valutazione non-causale é il cuore di molti argomenti kantiani sul rapporto tra libertà, razionalità e morale. Anche all’interno della teoria dell’idealismo trascendentale Allison tenta di salvare la concezione della libertà di Kant, ma travalica il pensiero kantiano, non rimanendogli fedele. L’idealismo trascendentale, sostiene Allison, può essere interpretato in due differenti maniere: la prima concepisce il mondo delle cose in sé e quello delle apparenze come due mondi separati; la seconda considera l’esistenza di un solo mondo, giudicato in due maniere differenti, o come concepito da noi, soggetto dunque a una connessione spaziotemporale o causale, o come indipendente da queste condizioni implicite nell’esperienza umana. Per Allison, la prima inter- pretazione toglie valore alla libertà, rendendola inaccessibile e senza rilevanza rispetto al mondo in cui noi viviamo, mentre la seconda implica la possibilità dell’esistenza di un duplice problema della libertà. V.R. Ritorno alla Grecia Che significato ha per i moderni il culto degli antichi dei greci? E’ questo il tema comune sotto il quale possono essere riassunte tendenze di pensiero per molti aspetti diverse, come quelle sviluppate da Friedrich Otto, James Hillmann e Hans Blumenberg. Per tutti questi autori, in ogni caso, quello greco è un “paesaggio dell’anima”, condizione ontologico-esistenziale ineludibile. Walter Otto sta recentemente conoscendo in Italia, dopo le prime traduzioni degli anni Quaranta, una notevole attenzione editoriale: alla traduzione italiana, cinquantasette anni dopo la sua comparsa in Germania, di Dioniso. Mito e culto (traduzione di Albina Ferretti Calenda Il Melangolo, Genova 1990), fa seguito quella de Il poeta e gli antichi dei (traduzione di Monica Ferrando, introduzione di Gianni Carchia, Guida, Napoli 1991). Di James Hillmann, invece, è da segnalare Vana fuga dagli Dei (traduzione di Adrian a Bottini Adelphi, Milano 1991), mentre di Hans Blumenberg, la sua voluminosa Elaborazione del mito (a cura di Bruno Argenton, introduzione di Gianni Carchia, Il Mulino, Bologna 1991). Per Walter Friedrich Otto, filologo classico e storico delle religioni, la comprensione della breve stagione storica della religiosità degli antichi Greci è la chiave indispensabile per quella della modernità. Non si tratta solo di trovare - come in fondo è per Hillmann - in questa o quella figura della costellazione religiosa o mitologica greca, un archetipo mentale o psichico sovrastorico; né, tantomeno, “scientificamente”, cioè razionalisticamente e positivisticamente, di ridurre quella greca e, in genere, tutte le forme di religiosità, a produzione storica legata a uno stadio “infantile” dell’umanità. A parere di Otto è la forma di religiosità greca nel suo complesso, la sua peculiare concezione del sacro, a costituirsi per noi come problema, tanto nella sua presenza, quanto nella rimozione, vera o apparente, subita da questa concezione ad opera del cristianesimo e della scienza moderna. Quando Otto prende in considerazione una figura particolare dell’universo mitologico greco, lo fa perché ritiene che in essa emergano i caratteri salienti di questo universo nel suo complesso. E’ il caso dello studio su Dioniso, in cui Otto tematizza la questione della dimensione greca del sa- cro. Un testo ormai “classico”, rappresentativo di una prospettiva di ricerca nel campo dell’antichistica che si impose in Germania negli anni Venti e Trenta; si ricordi almeno, a questo proposito, Karl Reinhardt, del quale è stato recentemente tradotto lo studio su Sofocle (Il Melangolo, Genova 1990). Gli approcci etnologici, antropologici al problema del sacro, per il solo fatto appunto di essere “logici”, cioè “scientifici”, non colgono il segno del problema e si rendono perciò responsabili dell’”oblio del sacro”. Il libro di Otto vuole essere dunque innanzitutto una difesa della “specificità del sacro” contro ogni impostazione positivistica, ma anche, difesa della specificità del sacro in Grecia: lo “spirito greco”, radice della cultura occidentale, è un prodotto unico, irripetibile. Il mito e il rito sono ciò da cui traluce la “profondità” del divino greco, che nel culto di Dioniso manifesta le sue caratteristiche essenziali. Ne Il poeta e gli antichi dei, Otto mette più direttamente a fuoco il problema, impostosi soprattutto a partire dal neoclassicismo, del valore della grecità per l’uomo moderno. Goethe e Hölderlin sono le due figure che mettono fine all’illusione, già propria dell’età romana, di quella rinascimentale e di gran parte del neoclassicismo, della possibilità di un recupero storico delle forme della grecità. Con Goethe e con Hölderlin, a parere di Otto, prende forma la dimensione tragica dell’esistenza: la “scoperta” dello scarto irriducibile che, con l’avvento del Cristianesimo, separa i moderni dai Greci. Dopo il Cristianesimo, solo attraverso la mediazione della religiosità greca l’uomo moderno può rapportarsi alla grecità. Per Goethe e Hölderlin è anzitutto il poeta che è chiamato a questa mediazione: l’attività che si esplica nel poiein accomuna, infatti, questa figura alla dimensione della religiosità mitologica greca. Per James Hillmann, psicologo di formazione junghiana, quello della religiosità mitologica dell’antica Grecia è, invece, “paesaggio dell’anima”, nel senso che i suoi elementi sono “archetipi dell’inconscio collettivo”. Per questo ogni fuga dagli dei è “vana”; essi abitano da sempre in noi e proprio nella malattia la loro presenza diviene evidente. La Grecia è allora la regione della nostra “storia immaginale”: un’espressione questa con cui Hillmann sottolinea l’aspetto di “datità” delle figure psichiche, degli archetipi, rispetto all’aspetto attivo del soggetto immaginante. Quasi paradossalmente, per Hillmann la malattia mentale ha un carattere “divino”: basterebbe rovesciare il senso di questa affermazione, per riconoscere alla follia un’origine non esogena, ma radicalmente, profondamente umana, e perciò terapizzabile. Vana fuga dagli dei raccoglie due conferenze; esaminando tre casi clinici di paranoia, la follia paranoide, la credenza religiosa e, addirittura, la ricerca filologica, qualora questa pretenda positivisticamente TENDENZE E DIBATTITI Trittico Ludovisi: Nascita di Afrodite, 470-450 circa (Roma, Museo Nazionale) di esaurire il senso del mito, Hillmann ne rintraccia la radice comune nella fede per la “lettera” della manifestazione divina e nel rifiuto della dimensione misterica. Alla “fanìa” del divino si richiede che diventi “illuminazione”, cioè che si dia con i caratteri della totalità, univoca e universale. Il ricorso a Ermes, dio dell’interpretazione e dell’ironia, come riconoscimento della distanza fra la “lettera” della manifestazione del divino e il suo senso, è il rimedio che Hillmann propone, sul piano individuale, per la follia paranoide e per le sue forme; sul piano sociale ciò corrisponde al riconoscimento del carattere ambiguo della rivelazione, e di quello ermeneutico, non univoco, della sua comprensione. Ciò che accomuna l’impostazione di Hans Blumenberg a quelle di Otto e Hillmann è il rifiuto di considerare il mito come un comodo strumento per rivestire conoscenze razionali, una sorta di “banca iconografica”, da affiancare alle indagini dell’inteletto, o da utilizzare come decorazione di esperienze estetiche. “Elaborazione del mito” è anzitutto, in un senso del tutto particolare, il nisus conoscitivo del mito stesso, che per questo aspetto viene avvicinato allo sguardo teoretico, come tentativo d’interpretazione del reale attraverso una sua “elaborazione”. Di qui la continuità e la convivenza di mythos e logos, che non significa affatto un dissolversi del primo nel secondo. Al di fuori di qualsiasi impostazione ingenuamente illuminista, come ribadisce Gianni Carchia nell’Introduzione all’opera di Blumenberg, il mito non è qui un “accecamento della coscienza”, che precede il rischiaramento della ragione, ma un’esperienza affatto peculiare del reale, che si pone al di là della scissione tra soggetto, spazio e tempo, all’interno dei quali il mito si muove, incontra gli oggetti costituiti come tali, li conosce, li utilizza; il debito di Blumenberg nei confronti di Heidegger è in tal senso evidente. Estranea all’esperienza mitica è dunque la nozione stessa di “processo”: se la riflessione filosofica, e la sua storia, si svolgono come un succedersi di figure, il “ragionare” mitico “procede” per sovrapposizioni e continui “riempimenti di senso” delle situazioni che esperisce. L’impostazione teorica blumenbergiana è stata per questo interpretata come una sorta di “metaforologia”. Non c’è in questo, nota Carchia, alcun culto dell’arcaico: il paradigma conoscitivo blumenberghiano è quello ermeneutico e la produttività storica del mito passa attraverso una continua opera di risemantizzazione. Ciò d’altra parte non significa che il mito proponga una costellazione di archetipi, con la contrapposizione tra processualità del divenire temporale e immodificabilità del divenire mitico. Blumenberg stesso, come ricorda Carchia, prende le distanze da un possibile accostamento a Otto, chiarendo che la propria nozione di Zeitindifferenz è tutt’altra cosa dalla Zeitlosigkeit, con cui si vuole caratterizzare ciò che è “sovratemporale”, eterno. Dal punto di vista dell’indagine teorica, in effetti, il tentativo di lettura del reale condotto dal mito si qualifica come uno scacco, come logica dell’inspiegabilità; anche qui è evidente l’influenza di Heidegger. La “spiegazione” mitica è tanto poco una spiegazione, frutto di una “ricerca”, di un’indagine, che all’ideale conoscitivo di rendere trasparente il proprio oggetto con l’illuminazione della ragione, il mito oppone l’oscura alterità di ciò che è originario. Per l’indagine storica i “fatti” narrati dai miti non possono che sprofondare nell’oblio. TENDENZE E DIBATTITI F. C. Trasformazione delle scienze dello spirito In due libri recentemente pubblicati in Germania viene discusso il problema del significato filosofico, gnoseologico ed epistemologico delle ‘Geisteswissenschaften’ (scienze dello spirito). Si tratta del volume collettivo Geisteswissenschaften heute (Scienze dello spirito oggi, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991) e dell’opera di G. Scholtz, Zwischen Wissenschaftsanspruch und Orientierungsbedürfnis. Zu Grundlage und Wandel der Geisteswissens-chaften (Tra esigenza di scientificità e bisogno di orientamento. Sul fondamento e sulla trasformazione delle scienze dello spirito”, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991). La raccolta di studi: Geisteswissenschaften heute - che ha come sottotitolo “un memoriale” - è una sorta di bilancio conclusivo di un progetto di ricerca sull’attuale situazione delle scienze dello spirito, realizzato presso l’università di Costanza con lo scopo di fare il punto sulle prospettive di ricerca nell’ambito delle scienze dello spirito dal punto di vista della storia della scienza, dell’epistemologia e della teoria della conoscenza. Nel suo contributo Jürgen Mittelstrass affronta la questione della possibilità di un sistema unitario delle scienze, in cui anche le scienze dello spirito troverebbero una loro collocazione. Nelle condizioni della scienza moderna, che riconosce una pluralità di livelli di realtà e di modelli epistemologici, il concetto di un sistema delle scienze va inteso come un concetto regolativo, da utilizzarsi criticamente e costruttivamente contro le tendenze delle diverse discipline alla particolarizzazione. Per definire l’ambito delle scienze dello spirito Mittelstrass utilizza l’espressione - già neo-kantiana - di scienze della cultura (Kulturwissenschaften): queste avrebbero per oggetto la cultura come «insieme del lavoro umano e delle forme di vita», ”la forma culturale del mondo”, e con ciò avrebbero la possibilità di annoverare tra i loro oggetti anche le scienze della natura, in quanto espressione di una determinata forma culturale. Hans Robert Jauss affronta invece il problema del ruolo delle scienze dello spirito in rapporto al dialogo tra le diverse discipline e allo sviluppo di una cultura scientifica, individuando una loro triplice funzione: interdisciplinare, integrativa e dialogica. Wolfgang Frühwald individua la base storica di alcuni sviluppi errati dell’università moderna nella contrapposizione, che ha origine nel secolo XIX, tra formazione culturale linguistico-umanistica e politecnica. A questo riguardo egli considera le scienze dello spirito come «scienze formatrici, produttrici di illuminismo (aufklärende), che agiscono come una barriera contro le tendenze del nostro tempo alla rimitizzazione e come elemento integrale della riflessione della scienza su se stessa». Per quanto riguarda l’antico problema del rapporto tra scienze della natura e dello spirito, Reinhart Koselleck prende spunto dal fatto che nella prassi della ricerca i confini tra questi due gruppi di scienze vengono costantemente trasgrediti. Da un lato vengono messe in luce le specializzazioni metodiche delle scienze, che rinviano a comunanze teoretiche di fondo, senza le quali non sarebbero possibili i progressi negli ambiti particolari della ricerca; dall’altro vengono delineate le trasformazioni del concetto di “spirito” (Geist) dall’epoca dell’idealismo tedesco fino all’attuale epoca scientifica. Le scienze dello spirito riducono il concetto di Geist, tramite un processo iniziato con la filosofia neo-kantiana, ad un ambito di operazioni soggettive della conoscenza; tuttavia in questo processo non si perdono le esigenze di unità sistematica che nel concetto di Geist erano implicite, in quanto ad esso subentrano altri concetti, come ad esempio quelli di “vita” e di “cultura”. Infine Burkhart Steinwachs si chiede fino a che punto le trasformazioni del mondo della comunicazione attraverso i mass-media coinvolgano le scienze dello spirito, individuando al proposito tre punti centrali: i media diventano mezzi di comunicazione e di trasmissione del sapere delle scienze dello spirito; trasformano il ruolo dei mezzi tradizionali di trasmissione del sapere e con ciò modificano il rapporto delle scienze umane con la dimensione pubblica; offrono alla ricerca di queste scienze nuovi ambiti oggettuali. Alcune delle tematiche discusse in Geisteswissenschaften heute ritornano nell’opera di Gunter Scholtz, come ad esempio il rapporto delle scienze dello spirito con la tradizione della filosofia classica tedesca (in particolare con la riflessione estetica dell’idealismo e con pensatori come Herder e Schopenhauer) ed il problema di una definizione delle Geisteswissenschaften in relazione alle scienze della natura, da una parte, alle Kultur- e Sozialwissenschaften (scienze sociali e della cultura), dall’altra. Il punto di partenza degli studi raccolti da Scholtz in questo volume è la discussione riapertasi recentemente - sia nell’ambito dell’ermeneutica e del pensiero post-moderno, sia in quello delle filosofie di matrice analitica - sulla funzione e sul ruolo delle scienze dello spirito nell’ambito del sapere umano. Il tentativo di Scholtz è di sottrarsi agli esiti negativi dello scetticismo per quanto riguarda sia le possibilità conoscitive delle scienze della natura, sia il carattere di scientificità delle scienze dello spirito. Particolare attenzione è dedicata da Scholtz alla determinazione del concetto di Geisteswissenschaften, che coincide qui con la determinazione dell’ambito e del compito di quelle che egli chiama anche Nichtnaturwissenschaften (non-scienze della natura): un problema questo che conduce alla discussione del rapporto di queste scienze con l’ambito della prassi sociale. Già Wilhelm Dilthey, che fu il primo a conferire al termine Geisteswissenschaften un significato sistematico (anche se l’espressione compare per la prima volta nella traduzione tedesca del System of logic di John Stuart Mill, per designare le “scienze morali”), sottolineava, nella sua Introduzione alle scienze dello spirito del 1883, il significato delle scienze dell’uomo e della storia per la prassi sociale. A questo riguardo Scholtz individua due tradizioni opposte: la prima pone l’accento sul significato etico e pratico di queste scienze (Schleiermacher, Gervinus, Troeltsch, J. S. Mill, Comte); la seconda le considera come scienze empiriche, strutturali o nomologiche della natura umana e della società. In entrambe le concezioni si ha per Scholtz una considerazione unilaterale dell’ambito e della funzione delle scienze dello spirito. E’ solo nel riconoscimento e nell’accettazione della tensione tra esigenza di scientificità e bisogno di un orientamento nella prassi vitale che risiede la natura più specifica di queste scienze. Attraverso questo riconoscimento si potranno evitare, secondo Scholtz, due opposti errori: quello per cui le scienze dello spirito diventano semplici “dottrine morali”, produttrici di “visioni del mondo” e di “ideologia”, e quello che le riduce ad un “positivismo privo di spirito”. M.M. TENDENZE E DIBATTITI Pieter Bruegel, La Torre di Babele (1564) PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Diverse lingue Prima traduzione italiana di un testo a cui la cultura occidentale degli ultimi centocinquanta anni ha ampiamento attinto, l’opera di Wilhelm vom Humboldt, La diversità delle lingue (a cura di Donatella Di Cesare, premessa di Tullio De Mauro, Laterza, Roma-Bari 1991), che segna l’inizio della moderna filosofia del linguaggio. L’opera di Maurice Olender, Le lingue del paradiso (Il Mulino, Bologna 1991) è invece una ricostruzione critica della storia della linguistica “antropologica”, di quella, cioè, che partendo dalla diversità delle lingue muove a cercarne la radice nelle diversità religiose e culturali prima, razziali poi. Filosofo, non meno che linguista, Wilhelm von Humboldt ne La diversità delle lingue, uscita postuma nel 1836, indaga le radici antropologiche della varietà linguistica, considerata nella sua dimensione storica. Linguista, non meno che filosofo, come ricorda Tullio De Mauro, Humboldt compone il suo quadro d’insieme elaborando il patrimonio tecnico di nozioni linguistiche, accumulate da lui stesso e dai suoi contemporanei. Se l’analisi dei concreti fatti linguistici, soprattutto nei loro aspetti fonetici, occupa buona parte di questo lavoro, emerge però di continuo il vero obiettivo di Humboldt, che è anzitutto filosofico: dar conto della formazione del pensiero, o meglio, della differenza fra i modi di pensare e di vivere. Come sottolinea Donatella Di Cesare nell’Introduzione al testo, proprio al tentativo di essere sintesi di filosofia e ricerca linguistica empirica va ricondotta l’”inattualità” della prospettiva humboldtiana: accantonata dalla linguistica comparata, che sul modello delle scienze esatte tende a porsi come scienza del linguaggio, l’indagine di Humboldt si configura piuttosto come un’ermeneutica del linguaggio. Humboldt individua due possibili livelli di analisi del fenomeno linguistico, corrispondenti ai suoi due principi costitutivi: «la forma fonica e l’uso che ne viene fatto per designare gli oggetti e per connettere i pensieri». Il principio designativo riguarda le leggi generali che il pensiero impone al linguaggio; la forma fonica, invece, «è il vero principio costitutivo e direttivo della diversità delle lingue». Il divaricarsi storico e geografico delle varie culture non ha dunque una radice esclusivamente linguistica, ma più propriamente mentale; in secondo luogo la lingua ha un’influenza diretta sul pensiero, non unicamente il contrario. La dimensione storica della ricerca humboldtiana consegue dalla definizione del linguaggio che in essa viene data: la lingua non è un’opera (ergon), ma un’attività (enérgheia). Nella prospettiva di Humboldt il carattere cinetico del divenire delle lingue si salda con il divenire dello spirito in un senso tanto specificatamente intellettuale - il pensiero si forma nel e con il linguaggio - quanto, in senso più lato, antropologico: l’essere del linguaggio è il divenire dello spirito, che si particolarizza e si individualizza nelle singole culture storiche. Humboldt ha esplicitamente rifiutato, a questo proposito, una gerarchia fra le culture e fra i popoli in funzione di una gerarchia fra le lingue, ma ha ipotizzato una distinzione fra le lingue stesse in base al loro maggiore o minore grado di avvicinamento alla “forma legale”, ovvero in base alla loro maggiore o minore capacità di raggiungere il proprio “scopo ultimo”, lo sviluppo dello spirito. Da una medesima identificazione tra spirito e linguaggio la linguistica ottocentesca muoveva di fatto i passi necessari verso l’individuazione di una contrapposizione non linguistica, ma spirituale e antropologica, tra Ariano ed Ebreo: questa la “coppia provvidenziale” che Maurice Olender affronta nella sua opera: Le lingue del paradiso. L’opposizione tra le due figure non rimanda, come nota Jean-Pierre Vernant nell’Introduzione al testo, a un equilibrio per cui l’Ebreo avrebbe dalla sua il monoteismo, ma sarebbe una figura statica, puramente autoconservativa, chiusa al progresso spirituale e ai valori della cristianità, mentre l’Ariano, al contrario, sarebbe una figura storica, dinamica, creativa, e proprio perciò progressiva. Muovendo dalla questione di quali fossero le “lingue del Paradiso” - così suonava il titolo di un’opera secentesca di Andreas Kempe - Olender ricostruisce una storia e una preistoria della linguistica prima del suo attuale statuto, quando essa, ancora prima di Humboldt, si collocava tra “mythos” e “logos”, tra filologia e mitologia. La dimensione dinamica, ovvero storica, costituisce il momento di continuità fra l’impostazione humboldtiana e le ricerche prese in esame da Olender, e si sviluppa attraverso due riferimenti, il “mito delle origini” e l’idea di una teodicea, cioè di una Provvidenza operante nella storia, che giustifica l’idea di progresso. Il “mito delle origini” determina l’indirizzo delle ricerche in due momenti successivi: la questione della “lingua del Paradiso” prima, e quella dell’origine delle lingue indoeuropee poi. Elemento di continuità fra i due momenti è d’altronde la dimensione antropologica, in cui la ricerca filologica viene collocata dal “mito delle origini”, dimensione ancora più evidente laddove più marcato, nel secondo momento, è l’incrocio con le tematiche religiose. Quando infatti si incomincia a pensare a una lingua diversa dall’ebraico come “lingua dell’origine”, quando si costituisce la “coppia provvidenziale” di ebraico e sanscrito - quella lingua che pure Humboldt considerava come la più vicina alla sua forma legale, ovvero la più adeguata al suo scopo ultimo, la manifestazione e il progresso dello spirito -, di cultura semita e cultura ariana, ciò avviene in considerazione dell’uno e dell’altro termine della coppia nel loro ruolo di matrici, l’una religiosa, l’altra culturale, del cristianesimo. E’ a questo punto che si fa luce l’idea di un progresso che rimanda alla teodicea e si costituisce come dualità ideologica il già ricordato dualismo fra una presunta caratterizzazione statica della cultura giudaica - che troverebbe riscontro nella lingua - e una caratterizzazione creativa di quella ariana. Gottfried Herder è una figura esemplare di questo momento di trapasso: l’idea di progresso si fonda in lui su quella di Provvidenza e si coniuga con quella dell’unità del genere umano, che si realizza nella storia come affermazione progressiva degli ideali della cristianità. Anche in lui si ritrova l’ambivalenza fondamentale riscontrata in Humboldt: se «capire l’umanità diventa l’arte di scoprire l’ordine divino inscritto nella Bibbia» afferma Olender - allora «al limitare del suo cristianesimo il pluralismo culturale di Herder si trasforma in una storia delle religioni che non fa mistero delle sue priorità». PROSPETTIVE DI RICERCA Come in molte delle figure prese in considerazione da Olender il rifiuto di un uso “razzista” della nozione di “razza” e di antisemitismo va di pari passo con valutazioni negative, seppur limitatamente a talune razze “in quanto tali” e alla “cultura giudaica”. L’ultima parola, quella più importante e più coerente dal punto di vista teoretico, finisce per essere non l’opposizione, pure apertamente professata, a ogni forma di classificazione e discriminazione razziale, ma la gerarchia dei valori che nella filosofia della storia si accompagna e fonda le scelte lato sensu ideologiche. Humboldt ed Herder sono per questo problema cruciale figure paradigmatiche. L’atto valutativo connesso a una qualunque filosofia della storia si scontra con la necessità di considerare anzitutto iuxta propria principia le singole culture storiche, e poi di considerarle effettivamente in quanto tali, cioè nella loro determinazione storica, in modo il più possibile scevro da ipoteche ideologiche. Come osserva Jacques Le Goff, in un’ampia recensione del testo di Olender, si potrebbe pensare alla storia come antidoto a questa filologia culturale a-storica e ideologica, infiltrata dal razzismo. A prescindere però dal fatto che, come ammette Le Goff stesso, la storia stessa non è certo stata esente da manipola- zioni, e il dibattito sul suo statuto epistemologico è quantomai aperto, occorre chiedersi fino a che punto, fatta la scelta di elaborare non una ricostruzione di tipo etnologico, ma una filosofia della storia che si fonda necessariamente su un’assiologia, non sia una scelta altrettanto “ideologica” quella di considerare iuxta propria principia ciascuna cultura storica, piuttosto che inserirla in un processo in cui essa è solo “momento”. F.C. Maimonide e la cabala L’opera di Mosheh ben Maimôn, più noto con il nome di Mosè Maimonide, è al centro delle interessanti analisi di due studiosi francesi: Moshe Idel, autore di Maimonide et la mystique juive (Maimonide e la mistica ebraica, Cerf, Parigi 1991), e Jean Robelin con il suo Maimonide et le langage religieux (Maimonide e il linguaggio religioso, PUF, Parigi 1991). Mosè Maimonide è senz’altro una delle figure di primo piano nella storia della cultura ebraica. La sua opera di rinnovamento della tradizione filosofica cabalisti- ca trova la sua espressione più significativa nella Guida dei perplessi (1170), testo complesso e di ricchissima erudizione, dove sono sintetizzate le diverse matrici culturali della filosofia maimonidea: la tradizione ebraica, quella araba e quella di ascendenza aristotelica. Proprio nel solco dell’aristotelismo procede il discorso del filosofo di Cordoba che intende interpretare la rivelazione religiosa attraverso una rigorosa dimostrazione filosofica. Il programma dottrinale di Maimonide, proprio per il suo carattere razionale, era stato violentemente osteggiato da alcuni autorevoli rappresentanti della tradizione mistica e condannato come estraneo allo spirito autentico dell’ebraismo. Nella concezione di questi cabalisti, per i quali l’intuizione mistica rimaneva la sorgente unica ed autentica di tutto il pensiero religioso ebraico, il concetto e lo stesso procedimento razionale venivano stimati quali pallide rappresentazioni metaforiche delle verità contenute negli arcani della cabala. In questo quadro, come rivela Moshe Idel, c’è chi, attraverso un complicato lavoro esegetico, tenta invece di inscrivere l’opera di Maimonide all’interno della tradizione esoterica ebraica. Ciò che veniva messo in evidenza da certi cabalisti meno legati all’ortodossia, era un certo esoterismo della formulazione del discorso filosofico di Maimonide, che rimane tuttavia di natura razionalista. Idel segue lo svolgersi di questa disputa dottrinaria attorno all’opera di Maimonide, che verrà tradotta in latino col titolo di Ductor perplexorum (Guida dei perplessi) e mette in evidenza come, grazie al confronto su questo testo fondamentale, il pensiero ebraico si apre al colloquio con la cultura araba e con la filosofia scolastica. Lo studio di Jean Robelin prende invece in esame il progetto filosofico che sottende l’opera di Maimonide. Il primo passo di questa analisi è costituito dalla definizione di uno specifico linguaggio religioso. Robelin mostra poi come la razionalità religiosa costituisca il terreno di crescita del razionalismo maimonideo. Il saggio si conclude con una limpida analisi che prende in esame le apparenti contrazioni in seno al corpo dottrinario della religione ebraica, evidenziando come, per Maimonide, la Legge oscilli tra Storia ed Eternità. E.N. Una storia dello Strutturalismo La biografia critica di quello che è stato il riferimento metodologico e culturale di un decennio, i contestati anni Sessanta, viene pubblicata in Francia a cura di François Dosse col titolo: Histoire du Structuralisme, (Storia dello Strutturalismo, tomo I, Editions de la Découverte, Parigi 1991). Marc Chagall, I cancelli del cimitero, (1917) Le matrici del metodo strutturalista sono da ricercarsi nella linguistica di Ferdinand de Saussure. Nel suo Corso di linguistica PROSPETTIVE DI RICERCA generale (1913) lo studioso svizzero aveva osservato come il linguaggio funzioni secondo proprie ed autonome regole, mettendo in rilievo che il significato delle parole non viene soddisfatto dalla pura funzione definitoria delle stesse. Soltanto attraverso uno studio di carattere scientifico, che stabilisca le strutture del linguaggio, si può raggiungere quello che nel linguaggio è solamente evocato. «Non esiste struttura che non sia linguaggio, sia pure un linguaggio esoterico o non verbale» - scriverà Gilles Deleuze nel 1972. Questa struttura linguistica fondamentale sarà cercata da Claude Lévi-Strauss nell’ambito del mito, Jacques Lacan cercherà di definirla per quanto riguarda la psicoanalisi, Louis Althusser proverà a rinnovare il pensiero marxista attraverso il ricorso al concetto di struttura. Roland Barthes infine ne farà l’utensile critico fondamentale della sua analisi della letteratura. Sono questi - nel libro di François Dosse - i “quattro moschettieri” che, a metà degli anni Sessanta, irradiano a colpi di polemiche, ma soprattutto di scritti, il discorso strutturalista. D’impronta tipicamente francese, tanto da essere registrato come “French Criticism” nel mondo anglo-sassone, lo Strutturalismo si presenta come un programma di rinnovamento delle scienze umane, un metodo per sua natura indifferente agli ambiti di applicazione. La definizione più sintetica e aperta ci viene da Michel Serres: «Una struttura è un insieme operazionale a significazione indefinita, che raggruppa un numero qualsiasi di elementi di cui non viene specificato il contenuto, e di relazioni, in numero finito, senza specificarne la natura, ma di cui si definisce la funzione». Anche Dosse mette in rilievo la dimensione epistemologica del metodo strutturalista, rimarcando tuttavia il carattere ideologico che esso è venuto col tempo ad assumere. Forti del riconoscimento di un metodo che si voleva scientifico e che aveva scalzato la tradizione filosofica a vantaggio delle scienze umane, non pochi strutturalisti si sono lanciati nel progetto di una «scienza unitaria» che rendesse conto dell’intero universo umano. Sarebbe questo, secondo Dosse, il programma comune di una generazione di intellettuali: un progetto epistemologico globale che nascondeva un’ideologia antiumanistica di fondo, di cui è interprete conseguente Michel Foucault che, in Le parole e le cose, scrive: «non si può più pensare se non nel vuoto dell’uomo scomparso». Il primo volume della storia dello strutturalismo di Dosse si presenta così come un atto critico, che denuncia a sua volta un proprio progetto culturale: «Mettere in evidenza gli empasses dello Strutturalismo non deve significare una regressione all’età d’oro dei Lumi, ma al contrario un superamento verso un avvenire, quello della costituzione di un umanesimo storico». Non resta che attendere il secondo volume, annunciato per la primavera del’ 92. E.N. Husserl Edmund Husserl é stato un filosofo estremamente prolifico e versatile, e proprio per la vastità dei temi trattati chiunque cerchi di proporre una valutazione comprensiva del suo lavoro si trova di fronte ad un compito assai arduo. Questo non sembra però spaventare David Bell, che nella sua monografia: Husserl (Routledge, London 1990), muove da una brillante esposizione di uno dei primi lavori di Husserl, ormai quasi dimenticato, Filosofia dell’aritmetica (1891), procedendo poi, in modo illuminante, attraverso le difficili e frammentarie Ricerche logiche (1901). Ma quando si tratta di prendere in esame la riduzione fenomenologica introdotta da Husserl in Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913), sembra che Bell non riesca a cogliere il potere e la coerenza della matura posizione husserliana, né a capire la sua vulnerabilità rispetto alla critica elaborata da Heidegger. David Bell mette in evidenza come, dopo aver studiato filosofia a Vienna con Brentano, Edmund Husserl ne accetti il progetto di base, consistente nel fondare l’apparente certezza e universalità delle teorie astratte nella particolarità e incertezza dell’esperienza quotidiana. E’ quanto emerge dal tentativo husserliano di applicare l’approccio genetico-psicologico di Brentano alla fondazione della matematica in Filosofia dell’aritmetica. Nonostante Husserl non si ritenesse soddisfatto di questo suo lavoro, Bell fornisce una brillante difesa del proposito fondamentale del filosofo di considerare i concetti matematici come derivati da esperienze quotidiane. In questo Bell riconosce in Husserl l’atteggiamento proprio di un solipsista metodologico, secondo il quale la costituzione effettiva del mondo non implica alcuna differenza per gli stati mentali. D’altra parte un metodo di indagine che non si richiami ad altro che alla vita mentale individuale del soggetto, non costringe a negare, osserva Bell, che esistano delle entità oggettive. Un’altra concezione fondamentale che Husserl trae da Brentano è l’idea di “intenzionalità”, secondo cui la mente è essenzialmente caratterizzata dal suo “dirigersi” verso qualcosa. Questa spiegazione relazionale della mente fa tuttavia sorgere il problema della caratterizzazione di un oggetto non esistente (è noto l’esempio dell’unicorno), che rientra però nell’insieme di oggetti verso cui il pensiero può diriger- Edmund Husserl PROSPETTIVE DI RICERCA si. Nelle Ricerche logiche Husserl avanza a questo proposito una soluzione a questo problema; egli infatti pur continuando a considerare l’intenzionalità come distintivo mentale, corregge la confusa nozione di oggetto intenzionale con la nozione di contenuto intenzionale, inteso come ciò che dirige la mente verso un oggetto più o meno esistente. A questo proposito Bell propone tuttavia un’interpretazione prettamente psicologica delle Ricerche, che mette in pericolo la sua stessa difesa degli argomenti husserliani contro quelli sollevati da Frege. Anche l’interpretazione di Bell del rapporto che lega le Ricerche alle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica è completamente differente da quella tradizionale e sembra effettivamente conseguenza di una posizione erronea. In effetti Bell non vede, nelle problematiche affrontate dai due testi, una continuità capace di dar conto dello sviluppo fenomenologico di Husserl verso un’analisi universale della coscienza. Ciò conduce Bell a confondere la riduzione trascendentale con ciò che Husserl chiama la “neutralizzazione”, o la limitazione della riflessione che coglie la nostra esperienza del mondo, quando non prendiamo una decisione sulla sua attualità o inattualità. Da questo fraintendimento segue anche l’incapacità di Bell di considerare adeguatamente la critica heideggeriana alle posizioni di Husserl, che dal punto di vista dell’agire quotidiano metteva in discussione che la mente fosse separabile dal mondo e diretta verso di esso esclusivamente attraverso il suo contenuto intenzionale. Una serie di fraintendimenti questi che, complice molto probabilmente il pragmatismo proprio della cultura anglo-americana, si ripercuotono nel giudizio conclusivo di Bell sull’opera di Husserl, la cui importanza risiederebbe nel fatto che la fenomenologia induce il filosofo ad abbandonare la filosofia trascendentale a favore della priorità della pratica quotidiana. V.R. La ripetizione di Kierkegaard Il 16 ottobre 1843 usciva nelle librerie di Copenhagen, ad opera di un certo Constantin Constantius, un singolare racconto a sfondo psicologico dal titolo: Gjentagelsen (La ripetizione). Quello stesso giorno veniva pubblicata un’altra opera del medesimo autore, Frygt og Baeven ,(Timore e tremore). La notorietà di quest’ultima svela il nome dell’autore che si nasconde sotto lo pseudonimo: si tratta di Sören Kierkegaard. Con il titolo: La ripetizione. Un esperimento psicologico (a cura di Dario Borso, Guerini e Associati, Milano 1991) è oggi disponibile in traduzione italiana la prima edizione critica di questo scritto pseudonimo di Kierkegaard. “Libro bizzarro”, come lo definì lo stesso Sören Kierkegaard, La ripetizione tocca in verità alcuni nodi fondamentali della riflessione del pensatore danese, paludati sotto le spoglie del resoconto di un innamoramento di un fidanzamento e del definitivo abbandono da parte della ragazza. Il manoscritto kierkegaardiano, con le parti espunte, lascia intravedere, in modo ancora più esplicito di quanto non faccia il testo pubblicato, la presenza della vicenda personale di Kierkegaard, il fidanzamento e la rottura con Regine Olsen. Non questo però è l’interesse di questo conte philosophique, che nella sua forma letteraria dichiara il proprio intento, quello di rovesciare la metafisica. “Rovesciamento” in senso letterale, perché nello scontro dialettico fra particolare (l’”eccezione”) e universale, è il primo che viene privilegiato dal punto di vista teoretico da Kierkegaard. Quella di Kierkegaard vuole essere qui una confutazione “non filosofica” della metafisica, attuata cioè senza seguire i modi argomentativi ad essa propri, e soprattutto senza seguire quelli dell’aborrita dialettica hegeliana in voga nella Danimarca dell’epoca. Il metodo “psicologico”, prospettiva cui fa riferimento il sottotitolo dell’opera, è dunque lo strumento con cui Kierkegaard vuole smascherare l’apparente sicurezza della metafisica e la fiducia che essa ripone nell’argomentazione razionale. Per confortare le proprie confutazioni della metafisica, Kierkegaard chiama in causa Diogene, quel Diogene che con la semplice azione del camminare confutò le argomentazioni degli Eleati contro il movimento. Aneddoto scelto non casualmente, nota Dario Borso, in quanto ripreso a bella posta da Hegel, che aveva irriso alla “confutazione” di Diogene, misconoscendone il carattere peculiare rispetto a quello di una qualsiasi argomentazione di stampo metafisico. Si badi bene però: proprio per la sua irriducibilità a un’argomentazione prettamente filosofica, la nozione kierkegaardiana di ripetizione non vuole affatto porsi come una soluzione della diatriba fra Parmenide ed Eraclito. Se l’idea di repetere è incompatibile con la fissità e l’immutabilità dell’Essere, lo è in misura ancor maggiore con l’idea di divenire. Eppure la nozione di ripetizione vuole proprio essere una soluzione, anche se non esclusivamente teorica, del rapporto ontologico fra l’eternità dell’Essere e la caducità del divenire, vuol fondare un atteggiamento che tenga conto dell’irrompere della dimensione dell’eterno in quella della temporalità della storia. La ripetizione si rivela in tal senso una categoria esistenziale che Kierkegaard utilizza per richiamare anche in questo scritto la propria celebre tripartizione tra vita estetica, vita morale e vita religiosa, anche se con un certo spostamento di accenti. Il giovane al quale Constantin Costantius si rivolge è un poeta, ma questi non è affatto una pura e semplice esemplificazione di “vita estetica”, quella che si esaurisce nel godimento dell’attimo, sem- pre fuggente e, per definizione, irripetibile. Nel suo farsi disponibile alla ripetizione, al matrimonio, nel suo rinunciare all’eccezionalità fine a se stessa, il poeta arriva quasi a essere figura della vita morale. Questo perché egli ha in sé, pur senza impadronirsene nella piena consapevolezza, un fondo religioso che è «come un segreto che non sa spiegare, mentre questo segreto lo aiuta a spiegare poeticamente la realtà». Se di questo animo religioso il giovane fosse stato consapevole, non avrebbe certo potuto evitare la sofferenza procuratagli dalla vicenda; anzi essa sarebbe stata ancora più acuta, Ma egli avrebbe saputo con “logica ferrea” andare incontro allo scandalo e al grottesco che le sue azioni, comandate da un’autorità sovrumana, gli avrebbero procurato: «avrebbe esaurito religiosamente tutti gli errori deducibili da quella vicenda», comprendendo però se stesso dal principio alla fine, «con religioso timore e tremore, ma pure con fede e fiducia». F.C. Ripensando Kant e altri filosofi Nell’ambito dell’interesse della filosofia anglosassone per i problemi inerenti alla teorizzazione di un modello per la mente nel contesto di una teoria della conoscenza, si può notare la tendenza ad un riesame del pensiero di grandi filosofi appartenenti a quella che é stata definita la moderna filosofia continentale, con l’intento di porre in relazione le soluzioni da loro proposte con quelle perseguite oggigiorno. Le reinterpretazioni del pensiero kantiano proposte da Patricia Kitcher in K a n t ’ s trascendental psychology (La psicologia trascendentale di Kant, Oxford University Press, Oxford 1990) e da Wayne Waxman in Kant’s model of the mind a new interpretation of trascendental idealism (Il modello della mente di Kant: una nuova interpretazione dell’idealismo trascendentale, Oxford University Press, Oxford 1991) hanno senso se inserite all’interno di questa tendenza interpretativa. Lo stesso accade con lo studio di David Pears, Hume’s system: an examination of the First Book of his ‘Treatise’ (Il sistema di Hume: un esame del primo libro del suo ‘Trattato’, Oxford University Press, Oxford 1991), in cui viene riproposta una rilettura di Hume e della sua teoria della conoscenza. Come è noto Kant non ha rispettato la distinzione tra filosofia e psicologia. Egli infatti ha affermato sia che l’esperienza dell’auto-coscienza per essere possibile deve possedere il carattere proprio dell’esperienza di oggetti, sia che è l’immaginazione, guidata dai concetti degli oggetti, che PROSPETTIVE DI RICERCA possiede la capacità di unificare il dato sensibile e cosí di produrre rappresentazioni. Quest’ultimo aspetto della filosofia di Kant viene considerato da molti come un futile tentativo per determinare questioni empiriche tramite la riflessione filosofica. Di questo avviso non è Patricia Kitcher, che cerca di riabilitare proprio ciò che é stato definito “il soggetto immaginario della psicologia trascendentale”. La psicologia trascendentale in tal senso analizzerebbe i compiti della conoscenza per determinare una specificazione globale di una mente capace di adempiere a questi compiti. A questo proposito Kitcher arriva a definire l’immaginazione come ciò che possiede le regole per sintetizzare gli stati cognitivi, facendo sorgere però il sospetto che la psicologia trascendentale non possa subire tale metamorfosi, senza cadere in una semplice psicologia empirica. Ciò che Kant ha messo in chiaro non è come si formano le rappresentazioni di oggetti, ma che cosa si deve intendere per percezione per ottenere un comportamento oggettivo, quale è necessario per l’autocoscienza. Questo forse é il suo maggior contributo alla psicologia trascendentale. Un contributo che Kant stesso ha considerato più importante della sua analisi delle facoltà cognitive, e che tuttavia non fa parte della versione della psicologia trascendentale, a cui hanno mosso obiezioni i commentatori della tradizione analitica. Come Kitcher, anche Wayne Waxman dichiara che per Kant il concetto di immaginazione è un ingrediente necessario della percezione; ma egli mette in relazione questa affermazione con l’idealismo trascendentale kantiano: il pensare lo spazio e il tempo come cose in sé. Anche se si può sostenere che la rappresentazione di oggetti si ottiene con l’immaginazione senza l’implicazione dei grezzi dati sensibili, è naturale supporre che le stesse impressioni sensibili si presentano in un determinato ordine temporale, indipendentemente dall’attività dell’immaginazione. Secondo Waxman, considerare le relazioni temporali a livello di dati non sintetizzati dai sensi come realtà sopra(meta)-immaginazionali non è consonante con l’idealismo trascendentale. Per Kant i dati attuali dei sensi, che giacciono oltre la soglia della coscienza, sono materia primaria assolutamente informe. Tutte le relazioni temporali, anche quelle esistenti tra sensazioni di cui noi siamo consci, sono prodotte dall’immaginazione. Il che tuttavia implicherebbe, in modo difficilmente plausibile, l’idea di una immaginazione che impone forme temporali a dati intrinsecamente atemporali. Nella sua interpretazione del pensiero humiano David Pears si pone in linea con la tendenza, già perseguita da John Wright in Sceptical realism (1983) e da Galen Strawson in The secret connexion (1989), a fornire un’interpretazione del concetto di causalità di Hume in contrasto con quella tradizionale, considerata riduzionistica, secondo cui la causazione non é nient’altro che una regolare sequenza di eventi congiunti, e ogni altra nozione di “potere” o “forza” causale, unita all’idea di un’unione necessaria tra causa ed effetto, non sono altro che chimere. Questa spiegazione riduzionistica non coglie per Pears lo spirito centrale della filosofia scettica di Hume, che afferma l’esistenza di una forza reale propria della natura, la quale non risulta direttamente accessibile ai nostri sensi. Pears inoltre afferma che Hume non può essere considerato un mero riduzionista, perché altrimenti risulterebbe difficile spiegare la sua continua insistenza sulla nostra ignoranza dei principi ultimi, che per essere ignorati, devono evidentemente esistere. Il radicale riduzionismo applicato a Hume, osserva Pears, non tien conto del grande balzo che egli compie nel passare dalla sua teoria del significato alla teoria della credenza. A questo proposito Pears presenta Hume come un proto-wittgensteiniano. Come Wittgenstein neutralizza la domanda sulla legittimità delle nostre inferenze logiche e matematiche, appellandosi alla struttura della pratica naturalmente adottata dagli individui, cosí Hume nella sua analisi dell’ambiguità della causalità insiste sulla futilità della continua ricerca di giustificazioni oggettive e razionali per le nostre credenze. L’interpretazione che Pears propone di Hume ha molto da dire a coloro che sono impegnati in quello che oggi è forse il problema centrale della teoria della conoscenza, il problema della frattura tra ciò che noi siamo naturalmente disposti a credere e ciò che possiamo legittimamente credere. Se l’interpretazione di Pears è giusta, Hume può rappresentare per noi una via intermedia tra il pallido scetticismo e il riduzionismo dogmatico. V.R. l granaio di Montesquieu L’edizione critica delle Pensées di Montesquieu, a cura di Louis Desgraves, è oggi disponibile nelle librerie francesi: Pensées suivies du Spicilège (Pensieri, seguiti dallo spicilegio, Laffont, Parigi 1991). Le note, gli umori, le considerazioni a margine della sua attività di saggista, come pure aforismi, note di viaggio e di spesa, sono scrupolosamente raccolti nei quaderni, che costituiscono una sorta di archivio di materiali, utilizzato da Montesquieu per la redazione delle Lettres Persanes e dell’Esprit des Lois. «Pensieri sparsi che non ho inserito nelle mie opere, idee che non ho approfondito e che conservo per ripensarvi all’occasione» - così commentava l’autore - tutto questo costituisce lo “spicilegio” (letteralmente: antologia scelta di scritti o, in una più suggestiva accezione, raccolta di messi prima della spigolatura) di Charles-Louis de Montesquieu. Originariamente non desti- nati alla pubblicazione, i tre volumi delle Pensées e lo spicilegio furono redatti a intervalli irregolari tra il 1720 e il 1755, anno della morte del filosofo. Per lo specialista essi rappresentano il vasto cantiere intellettuale che porterà all’edificio complesso dell’Esprit des Lois (Spirito delle leggi, 1748); storia, economia, geografia, religione e antropologia, tutti i temi maggiori di Montesquieu sono abbozzati con decisione, e spesso si condensano in aforismi dalla forma definitiva. Nelle tante considerazioni sui costumi umani, si rende evidente una vena moralistica che apparenta Montesquieu ai grandi, La Rochefoucauld e Vauvenargues, ma il tono rimane sereno, divertito, ironico, anche quando può sembrare feroce, come si può rilevare da questa considerazione: «Senza la sifilide le signore per bene sarebbero perdute: tutti andrebbero con le cortigiane. E’ dunque la sifilide a produrre la galanteria». O ancora: «Ciò che manca agli oratori in profondità, essi ve lo restituiscono in lungaggine». Lo studioso dei costumi e il moralista si incontrano in queste brevi note, ne uscirà quel capolavoro di leggerezza e di ironia rappresentato dalle Lettres Persanes (Lettere persiane, 1721). E.N. Wittgenstein: una biografia e un romanzo E’ solo da un paio di anni che l’opera e il pensiero di Ludwig Wittgenstein sono stati introdotti in Francia, principalmente attraverso il magistero di Jacques Bouveresse. L’interesse per la figura intellettuale ed umana di uno dei più originali ed eclettici pensatori della Vienna finis Austriae si specchia nel successo che sta riscuotendo la recente traduzione francese di due opere appartenenti alla cultura anglosassone: la biografia di Wittgenstein curata da Brian Mac Guinness, Wittgenstein. Les années de jeunesse, (Wittgenstein. Gli anni della giovinezza, trad. franc. di W. Tennenbaum, Tomo I, Seuil, Parigi 1991) e il romanzo dell’americano Bruce Duffy, (Le monde tel que je l’ai trouvé), Il mondo come l’ho trovato, trad. franc., di Christophe Marchande - Kiss, Flammarion, Parigi 1991), liberamente ispirato al personaggio di Wittgenstein. La ricostruzione biografica di Brian Mac Guinness è accurata e precisa nel presentare la vicenda esistenziale del filosofo viennese, dagli anni dell’infanzia fino alla stesura del Tractatus logico-philosophicus (1913-1918). Uno dei meriti dell’autore è quello di aver potuto lavorare su materiali finora inediti (i diari e le corrispondenze di Wittgenstein), che gli hanno permesso di aprire nuove prospettive d’interpretazione non solo per quanto riguarda la complessa PROSPETTIVE DI RICERCA personalità del filosofo, ma anche la sua formazione intellettuale. L’infanzia di Ludwig Wittgenstein, nato in una famiglia della ricca borghesia viennese, è dominata dalla figura del padre Karl, uomo di ricca cultura e dalla personalità intransigente. Come ai fratelli, anche a Ludwig viene imposta una carriera di ingegnere e di uomo d’affari, una costrizione che porterà tre dei suoi fratelli al suicidio e che verrà dolorosamente accettata da Ludwig al prezzo di un rinnegamento della propria personalità. Nei diari intimi, riflettendo sui propri anni di infanzia, Wittgenstein li vedrà segnati da un profondo senso di colpa e dal sentimento di una mancanza. La lettura di Schopenhauer, conosciuto negli anni dell’adolescenza, e l’amicizia con Otto Weininger, il giovane autore di Sesso e Carattere, che si toglierà la vita a 28 anni, segnano profondamente il carattere e la sensibilità di Wittgenstein e lo convincono che il suicidio, il «peccato elementare», resti la sola vera soluzione per chi abbia smesso di essere all’altezza delle proprie esigenze morali. E’ con questa predisposizione che egli si iscrive alla facoltà di ingegneria dell’Università di Manchester, dove si impegna in uno studio approfondito dei fondamenti della logica matematica. Nei diari di questo periodo troviamo annodate le preoccupazioni di carattere morale con i problemi logici: «Come posso essere un logico - si chiede Wittgenstein - se non sono ancora un essere umano?». A Cambridge - dove ha modo di conoscere Russell, subito colpito dal genio del giovane austriaco, e dove entra in amicizia con George Moore, autore dei Principia Ethica - Wittgenstein riceve la notizia della morte del padre. Gli avvenimenti precipitano: Wittgenstein litiga con Russell e decide di tornare in Austria per arruolarsi nell’esercito. Il Tractatus logico-philosophicus trova la sua prima stesura nelle trincee. Non è più lo stesso uomo quello che torna dal fronte e che si chiede se prendere i voti o se fare il maestro elementare; accompagnano questa metamorfosi le letture di Kierkegaard e di Angelus Silesius. Nel 1922, data in cui viene infine pubblicato il Tractatus, Wittgenstein ha già simbolicamente chiuso i conti con la sua vita precedente: la ricca eredità paterna è stata devolta a vari scrittori e artisti (ne beneficiano tra gli altri Rilke, Kokoschka, Loos), nonché alla rivista Der Brenner, il cui spirito si avvicinava alle idee di riforma morale e intellettuale di Wittgenstein. Il saggio biografico di Mac Guinness ripropone dunque una immagine sdoppiata di Wittgenstein, dove il punto di frattura starebbe appunto negli anni successivi alla guerra. Il mistero di questa affascinante personalità resta racchiuso nella definizione che Wittgenstein stesso ha dato del suo lavoro e della filosofia in generale, secondo cui essa «non è un corpo di dottrine, ma un’attività». Attività che, secondo Mac Guinness, è comparabile ad una ricerca mistica; in questo senso il cambiamento di Ludwig Wittgenstein posizione di Wittgenstein viene “letto” nei termini di una «conversione religiosa». Il nucleo narrativo del romanzo di Bruce Duffy, Le monde tel que je l’ai trouvé, si sviluppa attorno al rapporto umano e intellettuale tra Wittgenstein, Russell e il già citato George Moore. Uno dei vantaggi della fiction rispetto alla biografia, sostiene Duffy, è quello di poter stabilire delle connessioni ipotetiche, ma significative, laddove il puro dato biografico rimane muto. La correlazione tra ciò che Wittgenstein vede, quello che sente e quello che pensa viene dunque ripristinata in via immaginaria ed è sottoposta unicamente al criterio della credibilità romanzesca: «Il romanzie- re - afferma Duffy nella sua Introduzione è in grado di mostrare ai lettori una sorta di continuità, di comprensione dell’esistenza quale il biografo non ha il diritto di supporre. Per questo motivo ho deliberatamente scelto di scrivere un romanzo, perché la finzione è irresponsabile». E.N. Felice Tocco e la tradizione filosofica italiana C’è una specificità della tradizione filosofica italiana? Ci fu, e in che misura, una dittatura del così detto idealismo PROSPETTIVE DI RICERCA italiano? E in questo quadro, chi furono e che funzione svolsero i “minori”? Queste le domande che negli anni ’80 animavano un vivace dibattito. Alle prime due domande si rispose, come è ovvio, sia in senso affermativo, sia negativo. Quanto ai “minori”, si trattò di cogliere, illuminare e capire i contesti nei quali a attraverso i quali i singoli studiosi avevano lavorato. Nel frattempo si è diventati consapevoli che il problema della specificità o della crisi di identità della filosofia italiana è un problema che deve essere affrontato volta per volta, autore per autore, contesto per contesto, facendo anche un po’ di storia a proposito di ciò che gli altri presentano e ripresentano come problema e teoria della storia. Da questo punto di vista è il caso di menzionare la monografia che Massimo Ferrari ha recentemente dedicato al neokantismo italiano e a Felice Tocco (1845-1911): I dati dell’esperienza. Il neokantismo di Felice Tocco nella filosofia italiana tra Ottocento e Novecento (L. S. Olschki, Firenze 1990). Stroncato da Gentile e trattato come studioso domenicale, Felice Tocco esce dallo studio di Massimo Ferrari come quel “protagonista” che oggettivamente era, in dialogo con il meglio della filosofia europea. Dice bene Ferrari, avviandosi a concludere: «Tra gli allievi di Tocco ve ne sono alcuni [...] che meritano di essere ricordati: [...] Faggi, Vidari, Lamanna, Levi, Mandolfo, Lombardo Radice, lo stesso Gentile si laurearono e si perfezionarono a Firenze con Tocco [...] ed è nell’Istituto di Studi Superiori che, sotto il segno della filosofia positiva di Villari e dell’intreccio tra storia e filologia, venne costituendosi anche per gli studi filosofici una tradizione feconda, improntata a una severa disciplina mentale che non era né morta erudizione, né stanca ripetizione dei valori perenni, bensì impegno costante per la comprensione della filosofia come giustificazione della conoscenza e legittimazione delle idee che guidano l’uomo nella storia.» A questo si aggiunga che Arturo Massolo, che aveva iniziato i suoi studi alla fine degli anni Trenta dedicandosi in particolare a Kant, ci raccomandava, ancora negli anni Cinquanta, di leggere il Kant e il Platone di Tocco. La monografia di Ferrari, già noto per i suoi studi su Varisco, si articola in tre capitoli assai omogenei nel tono, nell’oggetto e nell’ampiezza: Da Spaventa al neokantismo; Il neokantismo degli anni Ottanta; il Kant di Tocco tra la “crisi del positivismo” e la “rinascita idealistica”. A questo materiale di studio fa riscontro la pubblicazione, risalente al 1988, delle lezioni di Tocco su Kant, divise in due quaderni: 1900-1902, brevemente commentate da Giulio Raio: Lezioni su Kant di Felice Tocco. Studio ed edizione. Kant risulta tra i pensatori più meditati anche da Annibale Pastore (1868-1956), altra figura che meriterebbe un’attenzione meno corriva. E’ ciò che ha fatto Fabio Bazzani, che ha schedato e datato le carte, i manoscritti e le lettere di Pastore, ora raccolti in Le carte di Annibale Pastore. Fondo dell’Accademia “La Colombaria” (L. S. Olschki, Firenze 1990). Un’edizione che giunge a proposito in attesa di leggere gli atti del convegno su Pastore che si è svolto a Siena nel maggio 1990 e che saranno pubblicati dall’Istituto L. Geymonat. Per dare un’idea del filosofo, che fu spirito libero ed eccentrico, studioso di problemi logici e scientifici in un momento non propriamente favorevole, mette conto riportare qualche riga del curatore che ne illumina anche l’attualità: «Mi sembra che nella ipotesi di una metafisica critica, conciliativa di opposte tendenze, pure nel caso della filosofia pratica Pastore si muova in una prospettiva di conciliazione e, in primo luogo, nella prospettiva di conciliare l’etica di Marx e di Hegel con la morale di Kant. Se l’intento è quello di costruire una società retta da principi solidaristici, allora ci si deve rivolgere a Marx, forse a Hegel, ma non a Kant, poichè Marx, e Hegel, elaborano un’etica della collettività, mentre Kant si colloca in un’ottica eminentemente individualistica. Se, al contrario, l’intento è quello di garantire la libertà personale, la priorità del soggetto sull’oggetto, allora è necessario rivolgersi a Kant, poichè Hegel e Marx, in quanto incentrano tutta l’attenzione sulla socialità dell’etica, non sanno conferire spazio adeguato alle libertà singole. Ma l’intento è duplice: armonizzare libertà del singolo ed esigenza del mantenimento sociale. E proprio sul piano pratico, tramite la duplicità dell’intento che indica, Pastore riesce a correggere l’interpretazione forse troppo schematica e riduttiva che fornisce tanto di Marx e di Hegel quanto di Kant». Per quanto ci sia dello schematismo in queste carte, come nota Bazzani, e talora anche qualche ingenuità, viene spontaneo chiedersi se non siano proprio questi i problemi che troviamo al fondo del dibattito filosofico contemporaneo o meglio: che dovremmo trovarvi - almeno per coloro che credono che la filosofia abbia a che fare con gli uomini e non con gli dei o gli angeli, con gli esseri (umani), piuttosto che con l’Essere. L.S. William Whewell A una considerazione della scienza non semplicemente come invenzione, rivoluzione e intuizione, ma anche come tentativo di ordinare e sistematizzare le teorie e le tecniche scientifiche per creare una struttura d’insieme capace di garantire un normale funzionamento della scienza, risponde la recente pubblicazione in Inghilterra di due monografie sull’opera di un pensatore per lo più dimenticato del seco- lo scorso, William Whewell (17941866). Si tratta del saggio di Menachem Fisch, William Whewell: philosopher of science (William Whewell: filosofo della scienza, Clarendon Press, Oxford 1991) che figura anche come curatore, insieme a Simon Schaffer, del volume: William Whewell: a composite portrait (William Whewell: un ritratto composito, Clarendon Press, Oxford 1991). In entrambi i casi abbiamo di fronte un’interessante analisi dello sviluppo intellettuale di Whewell in relazione allo sviluppo scientifico della sua epoca. William Whewell fu storico della scienza e filosofo. Visse e insegnò a Cambridge. Fu autore di opere scientifiche, per la maggior parte espositive, di scritti di filosofia morale e soprattutto di due importanti lavori di storia e filosofia della scienza: The history of inductive sciences (3 voll., 1837) e The philosophy of the inductive sciences (1840). Dalla morte di Whewell poco del suo lavoro è stato ristampato, data anche una certa obsolescenza che in breve tempo colse gran parte dei suoi testi. Nonostante questo, Whewell ha svolto un ruolo importante nel mondo scientifico inglese della prima metà del XVIII secolo. I suoi due lavori più importanti, anche se risultano superati, sono molto interessanti se considerati come l’espressione di un certo periodo scientifico, così come viene riportato e analizzato attraverso gli occhi di un osservatore interno ai problemi stessi. A questo proposito si può menzionare la posizione che Whewell assunse nei confronti di J. S. Mill, sostenendo che l’induzione può essere definita solo come metodo effettivamente usato nella costruzione delle scienze cosidette induttive, e non astrattamente e indipendentemente da esse. L’idea dell’esistenza di una logica induttiva è del tutto futile per Whewell, dato che il procedimento di formazione di un’ipotesi non risulta mai logicamente corretto. Lo studio di Menachem Fisch analizza dettagliatamente parecchi degli scritti filosofici di Whewell, anche quelli mai pubblicati, dimostrando che il sistema filosofico di Whewell fu originariamente pensato secondo un ordine esattamente opposto a quello usato poi dal filosofo nella sua Philosophy of the inductive sciences: ciò risulterebbe confermato dal fatto che l’epistemologia quasi-kantiana con cui quest’opera inizia è una delle ultime teorie formulate dall’autore. Ulteriori considerazioni su aspetti del lavoro e della vita di Whewell le si può trovare nella raccolta di saggi: William Whewell: a composite portrait. Tra le analisi più interessanti contenute in questo volume si segnalano i saggi di John Hedley Brooke e di Michael Ruse. Brooke fornisce una descrizione illuminante del credo religioso di Whewell e della sua tendenza verso la teologia naturale, che nonostante l’impegno religioso di Whewell non emerge chiaramente dai suoi scritti. Ruse esamina invece il personale lavoro scientifico di PROSPETTIVE DI RICERCA Mathias Grünewald, Altare di Issenheim (1505-1516) particolare della Crocefissione (Colmar, Musée d'Unterlinden) CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Il dolore, la sofferenza Organizzato dalla Società Filosofica Italiana, si è tenuto a Matera, dal 3 al 5 ottobre 1991, un convegno nazionale dal titolo: Il dolore; modi e interpretazioni della sofferenza. Relazioni di Armando Rigobello, Giorgio Penzo, Aldo Zenardo, Salvatore Veca, Piero Di Giovanni, Andrea Milano, alle quali sono seguite vivaci comunicazioni e discussioni. A concludere il convegno è stata una tavola rotonda, dedicata alla specificità dell’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie. Diversi e numerosi i contributi per un convegno che ha evidenziato le difficoltà di lettura di un problema così complesso quale si è rivelato quello della sofferenza. Armando Rigobello ha definito il dolore un enigma di cui non si può semplicemente cogliere il senso. Per cercare di comprenderlo e delinearne un orizzonte di senso, è necessario un approccio fenomenologico al quale deve seguire il momento interpretativo. Rigobello ha fatto un richiamo a Husserl, che pone il dolore e il piacere all’interno di una esperienza corporea. Passando dalla fenomenologia all’interpretazione, Rigobello ha delineato due proposte di senso, che vedono rispettivamente il dolore connesso alla creatività e come occasione di rinnovamento morale. Giorgio Penzo ha guardato alla possibilità di considerare una radice metafisica della sofferenza e una radice che metta in discussione la componente metafisica. Egli ha così parlato di scandalo della sofferenza che trova il suo senso nel Dio assente. L’uomo, in tal modo, non può mai spiegarsi il perchè della presenza della sofferenza il cui senso è, appunto, il non aver senso. Emerge così, di fronte a tale impossibilità, la finitezza dell’uomo: il senso del non senso del dolore sta nel non cercare di definirlo dogmaticamente, nell’accettarlo (Nietzsche) e nell’intendere l’uomo come essere per la sofferenza. Anche Andrea Milano, nell’intenzione di fornire dei materiali per un’interpretazione del dolore, ne ha proposto un approccio all’interno di un orizzonte teologico metafisico. Egli ha sostenuto che la teologia si è sempre lasciata orientare in quanto costruita su presupposti pensati come razionali, ma che in realtà sono precristiani. I teologi hanno, così, interpretato il dolore come afflizione di un male percepito come male (S. Tommaso), come malattia storica, di cui è responsabile l’uomo che soffre perchè ha peccato (Genesi), come possibilità di ammaestramento. Tuttavia la sofferenza rimane, per la fede, un mistero che sussiste nel mistero di Dio, il quale attraverso di essa manifesta le sue opere. Per Aldo Zanardo la sofferenza ha vari esiti fra cui esiti di saggezza. Egli si è soffermato sul senso del limite e sul ricollocamento nella vita di una più adeguata comprensione di sé e del mondo, entrambe forme di saggezza di cui la sofferenza può essere occasione. In questo senso il dolore è da intendere come un’esperienza che, nel farci sentire deboli come soggetti, inadatti rispetto al mondo circostante, ci insegna la finitezza, imponendoci una rettifica della nostra comprensione di noi stessi, degli altri e del mondo naturale. Questa ricostruzione del nostro essere nella vita rappresenta una svolta che ci conduce alla saggezza. Per il mondo antico si può parlare di una saggezza accettativa, derivante dalla constatazione dell’inestirpabilità della sofferenza dalla vita umana, diversa dalla saggezza di consolazione del mondo cristiano, che guarda invece a un mondo futuro senza sofferenza. Il mondo moderno non ha una saggezza del limite, perchè non ha consapevolezza del per sé del mondo naturale e del cosmo. Dalla sofferenza l’uomo ha ancora da imparare il senso del limite, l’avere misura nel rapporto con il mondo naturale e con gli altri. Salvatore Veca ha centrato invece l’attenzione sulle sofferenze sociali. Egli ha esordito illustrando una tesi dell’utilitarismo negativo che, connettendo la nozione di sofferenza con quella di utilità o disutilità, prescrive una minimizzazione della disutilità collettiva e quindi della sofferenza evitabile, e una massimizzazione della utilità e quindi della felicità o del benessere collettivo. Ciò che connette la sofferenza con la dignità è il linguaggio in quanto forma di vita, rinvio ad una comunità di parlanti che in esso riconoscono il senso della sofferenza collettivamente interpretata. Se non viene riconosciuta la pari dignità fra parlanti aven- ti un patrimonio linguistico comune, si ha esclusione dalla comunità, il che ha come conseguenza l’umiliazione, la degradazione, l’erosione dell’autonomia e della dignità di agenti. Questa è la sofferenza sociale più saliente, generata da un certo assetto delle istituzioni fondamentali; essa è la rottura del presupposto di un tale assetto, ovvero la necessità dell’identità stabile nel tempo, fra individuo e collettività. Il contributo infine di Piero Di Giovanni ha avuto come presupposto la lettura in termini filosofici dell’opera di Freud, che pone in relazione il dolore con i temi dell’angoscia, del lutto e della nevrosi. La psicanalisi deve considerare il soggetto affetto da nevrosi nella sua specificità di individuo che vive in una dimensione storica, dove la presenza del dolore è causata dall’uomo stesso, ma anche dalla caducità della vita. L’uomo soffre anche perchè comprende tale caducità, ed è per questo motivo che per Freud la psicanalisi, nel tentativo di liberare l’uomo dal dolore, deve assumere una connotazione filosofica. L.L. I problemi del tradurre L’argomento dell’ultimo simposio della Humboldt-Stifung: Geisteswissenschaftliches und literarisches Übersetzen im internationalen Kulturaustausch (La traduzione nel campo della letteratura e delle scienze dello spirito dal punto di vista di uno scambio culturale tra nazioni, Sonthofen 7-11.X.1991), ha preso in considerazione i problemi della traduzione di testi filosofici, giuridici, storici, sociologici e, naturalmente, letterari. L’argomento non è nuovo; ciò che è nuovo, ovvero ciò che è divenuto evidente dopo la riunificazione del 3 ottobre 1990, è il ruolo sempre più cospicuo svolto dalla nazione culturale tedesca, oggi come in passato, nel mettere in moto gli sforzi della comunità dei ricercatori, promuovendo ricerche, sperimentazioni, addirittura nuovi modi di pensare in tutte le nazioni del mondo. CONVEGNI E SEMINARI Che significato hanno le traduzioni nel contesto delle singole culture? Quali sono le condizioni meteriali e di mercato, di cui deve tener conto chi si dedica alla traduzione? Queste le domande principali discusse al simposio. Chi si reca a Parigi, al Ministère de la francophonie, trova tutte le informazioni necessarie a proposito del ruolo svolto in tal senso dalla lingua e dalla cultura francese. Ma un ministero siffatto non lo si trova né a Bonn, né a Berlino: al più si trovano, a Monaco e in tutto il mondo, le sedi del Goethe Institut (il corrispondente della nostra Società Dante Alighieri) e, a Bonn, l’istituto Inter Nationes, che mette a disposizione fondi per tradurre sal tedesco in altre lingue. Di fatto sono proprio i ricercatori che hanno avuto esperienza dei risultati più avanzati della ricerca prodotta in Germania a fornire oggi, con il loro impegno in quanto traduttori, un’efficace risposta a questo bisogno di comunicazione. Il motto lanciato dal segretario della Humboldt-Stiftung, Heinrich Pfeiffer si riassume nella formula: «tradurre significa gettare ponti»; la traduzione aiuta alla comprensione tra culture diverse e dunque non solo al progresso della ricerca, ma anche alla pace. Squisitamente letterario, e di portata tanto più universale, è stato l’intervento di Karl Dedecius, direttore del Deutsches Polen-Institut di Darmstadt. Se Benedetto Croce negava la possibilità di una traduzione, perchè il testo scritto può dare espressione al pensiero solo nelle stesse parole attraverso le quali il pensiero ha preso forma, ciò non toglie, ha osservato Dedecius, che il lettore di una traduzione possa mettersi lui stesso a pensare, dando nuova forma al pensiero espresso dal testo originale. Considerazioni sistematiche sui problemi metodologici della traduzione sono venute invece da Marco Buzzoni, che ha insistito sull’esistenza di tre antinomie fondamentali: 1) in linea di principio si può dire che ogni testo sia, in quanto tale, traducibile, ma in verità ogni traduzione dipende dal contesto storico e sociale che l’ha prodotta; 2) la traduzione è una fonte, perchè riproduce un originale, ma è anche il risultato di un’attività ermeneutica, perchè dà un giudizio sulla natura dell’originale; 3) la traduzione, infine, può essere o letterale o libera. Molto vivace il lavoro delle sezioni. La prima, diretta da due linguisti, Wolfram Wills e Mario Wandruszka, si è occupata degli aspetti concettuali di lingua, interpretazione e traduzione, fermandosi in particolare sul fatto che tradurre serve a mettere in discussione le grammatiche delle singole lingue, e serve anche a verificare la legittimità di nuove forme idiomatiche. Il punto che più ha agitato gli animi è stato, ovviamente, l’accettabilità o meno di “universali linguistici”, come è avvenuto, ad esempio, nella relazione di Paolo Ramat. La terza sezione, diretta da Christian Tomuschat e Kurt Lipstein ha considera- to le traduzioni di testi giuridici, sociologici ed economici; la quarta, diretta da Rudolf Vierhaus e Rudolf Makkreel, è stata dedicata alle scienze storiche. Degli aspetti artistici della traduzione di testi letterari hanno discusso i relatori della quinta sezione, diretta da Wilhelm Voßkamp e Ludo Verbeeck; mentre si sono occupati di “storia e tipologia della traduzione” i relatori della sesta, diretta da Armin Paul Frank e Marion Adams. L’”estraneità culturale” è stata l’argomento della settima sezione, diretta da Horst Turk e Anil Bhatti, e il contesto culturale dell’attività del traduttore lo è stato per l’ottava, diretta da Fritz Nies, Fritz Paul e Yushu Zhang. Con particolare attenzione si è discusso sia del traduttore, in quanto libero soggetto culturale, sia della comunità dei lettori, il cui interesse obiettivo per un testo proveniente da un’altra cultura è sempre condizionato dalle proprie componenti culturali. Dedicata ai problemi specifici della traduzione filosofica è stata invece la seconda sezione, diretta da Rüdiger Bubner e Istvan M. Feher. Dal punto di vista pratico, sono stati gli scritti di Hegel e Heidegger (senz’altro i più citati) a esemplificare le difficoltà incontrate nella traduzione. Delle loro esperienze in quanto traduttori di Hegel hanno parlato Marina Bykova, per il russo, e Georgia Apostolopoulou, per il greco; di Heidegger hanno parlato Jorge Rivera, per lo spagnolo, e Istvan M. Fehrer, per l’ungherese. Discutendo su questi due grandi filosofi è divenuto chiaro che, se è vero che ogni lingua ha un suo proprio spirito, è anche vero che ogni lingua contiene termini presi a prestito dal greco e dal latino. A ragione Ryosuke Osashi (traduttore di Heidegger in giapponese) ha però fatto notare che nelle lingue dell’Estremo Oriente, pur a fronte di importanti prestiti dalla terminologia filosofica di origine greco-latina (risalenti al Seicento), la morfologia e la sintassi sono talmente diverse da costringere il traduttore a percorrere una delle seguenti alternative: o un creativo fraintendimento o un’analogia con la tradizione confuciana o una consapevole decisione sul modo in cui ciò che viene dall’Occidente possa entrare a formare una cultura dell’Estremo Oriente. Detto questo, è evidente che la nota questione teorica dello “spirito di una lingua” deve essere fatta oggetto di un’analisi fenomenologica. Se Dariusz Aleksandrowicz ha parlato di gradi di “trasparenza”, Tom Rocmore ha insistito sul fatto che, da una parte, la traduzione presuppone una comprensione, ma, d’altra parte, la comprensione presuppone ben più che solo una traduzione; per comprendere un determinato testo noi dobbiamo fare uso di una traduzione, ma il resto, la ricerca di altre formulazioni, la sostituzione di certe parole con altre, la trasposizione di un’idea in un’altra prospettiva, ecc. spetta a noi. Una tavola rotonda, a cui hanno partecipato Dieter W. Benecke, Manfred Egelhard, Claus Sprick, Fritz Nies, José Lambert, Markku Mannila, sotto la moderazione di Kurt-Jürgen Maaß, è servita a mettere in chiaro possibilità e limiti di un approccio teorico e pratico ai problemi della traduzione. R.P. Il ritorno dei neokantiani In una recente rassegna di alcuni studi sul neokantismo, Dominique Bourel parla di un vero e proprio “retour des néo-kantiens” (“Archives de philosophie”, LIV, 1991, pp. 518-522). L’espresione è quanto mai appropriata e l’ormai diffuso interesse per la complessa parabola del neokantismo tedesco (ma in realtà non solo tedesco) ha trovato una conferma ulteriore, se non addirittura un riconoscimento “istituzionale”, in occasione del convegno internazionale organizzato da Ernst Wofgang Orth e Helmut Holzhey, dal 9 al 13 settembre 1991 presso l’Università di Trier, sul tema: Neukantianismus. Perspektiven und Probleme (Neokantianismo. Prospettive e problemi). Le relazioni e le comunicazioni di numerosi e qualificati studiosi (cospicua, peraltro, la partecipazione italiana) hanno messo a fuoco sia lo stato attuale della ricerca sulle diverse ‘scuole’ neokantiane o su singoli rappresentanti del neokantismo tedesco a cavallo tra Otto e Novecento (da Cohen a Windelband, da Rickert a Cassirer), sia l’importanza delle filosofie neocriticiste nel panorama della filosofia europea di questo secolo, nonostante una sorta di ‘rimozione’ che ha per lungo tempo declassato il “ritorno a Kant” ad una sterile filosofia professorale, tramontata senza clamori dopo la prima guerra mondiale. Tra gli interventi si segnala in primo luogo (Friedrich Tenbruck, Wolfgang Schulz, Mario Signore, Harald Homann, Ferdinand Fellmann) quelli che hanno affrontato l’importanza del neokantismo per l’elaborazione di una teoria della cultura moderna, tanto nella direzione della problematica dei “valori”, tipica della scuola del Baden, quanto nell’accezione dinamica e vitalistica di Simmel, centrando al contempo l’attenzione sull’analisi del mondo sociale nel punto di incrocio - o di “concorrenza” - tra etica e sociologia (Klaus Christian Köhnke), così come sui fondamenti dell’analisi sociale in Tönnies e Weber o nel confronto Weber-Rickert (Peter-Ulrich Merz, Milos Havelka, Franco Bianco). Un rilievo non inferiore è stato attribuito al contributo che le filosofie neokantiane hanno offerto in ambito epistemologico, nel tentativo di determinare le condizioni di possibilità dell’esperienza fisica (su questo tema si è intrattenuto Jules Vuillemin nella relazione che ha aperto il convegno) e, più in generale, di delineare una teoria della scienza (Werner Flach), la CONVEGNI E SEMINARI cui importanza può essere ancora oggi criticamente rivendicata (Jean Petitot), specie se si tien conto dei fraintendimenti in cui è incorso il neopositivismo nella sua ‘demolizione’ del kantismo (Massimo Ferrari). Nelle altre sessioni del convegno sono stati analizzati alcuni pensatori della generazione neokantiana più giovane - come Max Adler, Emil Lask e Bruno Bauch - che ancora non hanno ricevuto adeguata attenzione (Wilfried Lehre, Stephan Nachtsheim, Walter Zeidler); ma particolarmente stimolante è stata soprattutto la messe dei contributi su Cohen - sia il Cohen della ‘logica della conoscenza pura’, sia il Cohen della filosofia della religione -, su Cassirer e la Lebensphilosophie, e infine su Natorp, nel suo duplice rapporto con Heidegger e con Dilthey (Jean Seidengart, Geert Edel, Andrea Poma, Pierfrancesco Fiorato, Thomas Knoppe, Karl-Heinz Lembeck, Christoph von Wolzogen). Parallelamente altri studiosi hanno invece tentato sia un quadro generale delle interpretazioni di Kant e della ‘filologia kantiana’ che hanno avuto origine dal neokantismo di fine Ottocento (Rudolf Malter, Nobert Hinske), sia un bilancio del contributo che la scuola di Marburgo o le correnti neokantiane nel loro complesso hanno lasciato in eredità al dibattito attuale nell’ambito dell’etica, della filosofia del diritto e della filosofia della religione (Helmut Holzhey, Hans Ludwig Ollig). Il convegno di Trier ha fornito uno sguardo d’insieme sulle ricerche dedicate al neokantismo, oggi in pieno svolgimento, per quanto tutt’altro che riconducibili a un denominatore comune sia per l’impostazione storico-teorica che le guida, sia per le valutazioni a cui esse approdano. Su un punto, tuttavia, gli studiosi convenuti a Trier sembrano concordare unanimamente: il neokantismo - giuste le parole introduttive di Ernst Wolfgang Orth - ha rappresentato un’epoca filosofica che, proprio per la sua brusca interruzione dopo il 1933, deve essere sondata in profondità se si vuole comprendere veramente il senso della filosofia contemporanea. Dopo Kant - ha aggiunto Orth - non si può non essere in qualche misura ‘neokantiani’: da questo punto di vista, come ha osservato Gerhard Funke, intervenendo alla tavola rotonda che ha concluso il convegno, il neokantismo rappresenta ancora oggi un irrinunciabile “fermento della vita filosofica” M.F. Michael Walzer sui nuovi comunitarismi Quello che più colpisce dell’attuale scena internazionale è il “nuovo disordine” che la regola, che scuote antichi equilibri, ricomponendo comunità nazionali e ristretti gruppi di appartenenza culturale. La crisi dello Stato nazionale classico, così come la disso- luzione dell’impero russo hanno travolto tanto l’idea dello Stato centrale, limitato da confini nazionali, quanto la prospettiva del centralismo comunista. Ciò impone altresì la necessità di ripensare da una parte la costituzione di organismi soprannazionali, mentre dall’altra di riconsiderare anche i limiti stessi di una forma di Stato sociale che si dimostra tanto più debole, quanto più eterogenee sono le sue componenti culturali ed etniche. Di questi problemi, articolati secondo un linguaggio trasversale che coinvolgeva filosofia, sociologia e politica, si è discusso con Michael Walzer nell’ambito del Festival Nazionale de “l’Unità” il 6 settembre 1991 a Bologna. Giancarlo Bosetti ha posto l’accento sulla progressiva divaricazione che si è venuta a creare fra la concezione universalistica della politica mondiale e quella realistica dell’ordine sociale, ovvero fra la versione cosmopolitica kantiana e quella particolaristica della fattualità storica, che mette in crisi la stessa prospettiva degli ideali soprannazionali. In tal senso, si è chiesto Bosetti, può ancora esistere un qualche rapporto normativo fra giustizia internazionale e governo mondiale? Su questa domanda iniziale si è venuta ad articolare l’intera relazione di Michael Walzer, docente a Princeton e noto in Italia oltre che per i suoi saggi (si veda il n. 5 di “MicroMega”), soprattutto per le sue opere: Sfere di giustizia (Feltrinelli), Guerre giuste e ingiuste (Liguori), Esodo e rivoluzione (Feltrinelli) e Interpretazione e critica sociale (Lavoro), mentre sono di prossima pubblicazione La compagnia dei critici e una raccolta di saggi presso l’editore Marsilio. Walzer viene comunemente considerato come uno dei maggiori teorici dei cosiddetti comunitari, una corrente di pensiero che si è sviluppata negli Stati Uniti fra gli anni ’70 e ’80, a seguito della pubblicazione dell’opera di John Rawls, Una teoria della giustizia, che riproponeva una concezione universalistica e astratta del soggetto, secondo un’impostazione liberal-kantiana. Di contro i comunitari, a partire da Michael Sandel, sostengono una concezione contestualistica e culturalmente relativistica dell’etica e della giustizia, in rapporto alle diverse sfere di appartenenza culturale. Nella sua analisi Walzer è partito da una constatazione fenomenologico-descrittiva, secondo cui attualmente la scena mondiale è caratterizzata dal riemergere di forme di “tribalismo” e di “parrocchialismo”, sulla base dell’appartenenza etnica, religiosa e culturale e della condivisione di certe pratiche sociali, su cui si baserebbe anche la solidarietà reciproca. Partendo da questa struttura molecolare della convivenza civile, Walzer ha poi affrontato quello che da sempre è stato uno dei presupposti cardinali del liberalismo, è cioè la necessità di far coesistere il “pluralismo culturale” con for- me di vita eterogenee, nella pace e nel rispetto reciproco. Ma nel corso di questo secolo la storia dell’integrazione multiculturale in Europa e negli Stati Uniti è stata indubbiamente molto diversa, proprio perché il continente europeo è stato per lo più caratterizzato dalla presenza di Stati nazionali e da forme di Stato sociale con una popolazione pressoché omogenea. Con l’occhio puntato verso la futura identità della Comunità Europea, Walzer ritiene che l’esperienza politica e culturale delle nuove immigrazioni sia un esperimento fondamentale che potrebbe contribuire anche al superamento del dislivello fra Nord e Sud, ma soprattutto al superamento del tradizionale concetto liberale di cittadinanza o di solidarietà internazionalistica, tramite una nuova figura di cittadino, in grado di vivere in pace con la propria comunità di appartenenza e con la più ampia società che lo circonda. Numerose sono state le obiezioni sollevate contro questa impostazione comunitaristica. In particolare, Gianfranco Pasquino ha fatto rilevare la sottovalutazione della problematica dei conflitti che verrebbe operata da questa concezione dell’appartenenza etnica. Michelangelo Bovero ha invece riproposto la visione cosmopolitica kantiana, sottolineando il deficit normativo che caratterizzerebbe la teoria dei comunitari. Salvatore Veca ha d’altra parte sottolineato la difficoltà che si incontrerebbe nel comunicare fra comunità diverse, soprattutto nel dover stabilire quale tipo di linguaggio possa essere reciprocamente usato e perché questo debba essere prioritario rispetto agli altri. Walzer ha ribattuto affermando che lui stesso non si ritiene cittadino del mondo e che è illusorio parlare di cittadinanza in termini universalistici. Le varie forme di conflittualità e i pericoli del fanatismo possono essere viceversa risolti attraverso un processo di negoziazione. Questi stessi temi sono stati poi ripresi dallo stesso Walzer nel corso di una conferenza pubblica, a cui hanno partecipato Claudia Mancina, Maurizio Viroli, Salvatore Veca e Giancarlo Bosetti. Walzer ha nuovamente ripreso la differenza che distingue l’Europa dagli Stati Uniti in termini di politica immigratoria, mettendo in luce quali dovrebbero essere a suo parere i fattori indispensabili e scalari per una politica d’integrazione, tale da permettere una società multiculturale: a) articolazione delle differenze, in cui ogni gruppo possa dare voce alle proprie aspirazioni, senza tendere ad una forzata omogeneizzazione con altri raggruppamenti sociali; b) negoziabilità delle differenze; c) incorporazione delle differenze - non trascendibili - entro lo Stato che non le emargini, ma che sappia anzi far loro da supporto strutturale. E’ questo il principale pericolo a cui vanno incontro le società e le democrazie multiculturali e polietniche. Le obiezioni hanno di nuovo ribadito che se da una parte l’attuale cultura democratica tende a superare CONVEGNI E SEMINARI l’antica dicotomia fra particolarismo e universalismo, dall’altra essa ripropone invece la necessità di ridefinire il livello normativo dell’interazione collettiva. Forse la visione un po’ “rappacificata” all’interno dell’identità di gruppo che Walzer sostiene con una certa enfasi comunitaristica, sottovaluta in effetti i molti pericoli insiti in certe forme di “tribalismo”, così come non prende esaustivamente in considerazione l’identità complessa del soggetto attuale, ma soprattutto minimizza la necessità di ritrovare nuove forme di solidarietà, al di là del gruppo di appartenenza. La solidarietà verso i non-partecipanti alla comunità non può infatti essere di tipo culturale, bensì normativo, dal momento che essa deve poter comprendere ex-negativo e in modo contro-fattuale le forme di “ingiustizia” ancora presenti nelle diverse sfere sociali. L’universalismo si ripresenta così sotto mutate spoglie, proprio grazie alla critica radicale mossa ad esso dai comunitari. M.C. La ‘pace perpetua’: storia di un dibattito Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è svolto a Napoli dal 23 al 27 settembre 1991 un seminario condotto da Domenico Losurdo, che ha avuto come tema il concetto di “pace perpetua”, dalle sue prime formulazioni fino alle trasformazioni prodotte in questo concetto dalla storia contemporanea. Per Domenico Losurdo il concetto di “pace perpetua” non può essere disgiunto da quella concezione universalistica dell’umanità che si afferma solamente con la Rivoluzione francese. Infatti in Erasmo da Rotterdam la “pace perpetua” è un invito alle sole nazioni cristiane allo scopo di meglio condurre le operazioni militari contro gli “infedeli”. L’abate di Saint-Pierre opera poi un duplice invito alla pace perpetua innanzitutto tra gli stati e poi tra i sovrani cristiani: si tratta essenzialmente di un patto di mutuo soccorso, grazie al quale ogni sovrano si impegnerà a sedare con il massacro di ribelli ogni sedizione sfuggita al controllo di un altro sovrano. Di contro già in Voltaire gli ideali pacifisti cominciano a collegarsi a concezioni universalistiche e di trasformazione politica e sociale dell’esistente e Rousseau, nel curare le opere dell’abate di Saint-Pierre, vi premette un “giudizio” nel quale afferma che solo una rivoluzione a carattere democratico potrà estirpare la guerra. Con la rivoluzione del 1789 la “pace perpetua” diviene una parola d’ordine politica. A differenza della Rivoluzione Americana, la Rivoluzione del 1789 dichiara il carattere universale della concezione dell’uomo e dei suoi diritti, abrogando colonie e schiavitù. Kant ritorna a riaffermare il rapporto tra pace e democrazia: rifiuta l’idea di un esercito permanente e esalta l’immagine di un cittadino-soldato pronto alle armi per l’autodifesa della patria, propugna il principio del non intervento, l’interruzione della vergognosa tratta degli schiavi e, infine, auspica una federazione di liberi stati. Ma quest’ultima concezione giustifica di fatto operazioni militari contro gli stati assolutistici e diverrà l’ideologia espansionistica della Francia. L’ideale della “pace perpetua” comincia paradossalmente a trasformarsi, attraverso l’idea di creare una “grande e universale nazione degli uomini”, in una ideologia della guerra. Hegel individua il paradosso: la violenza come strumento di realizzazione della “pace perpetua”. In base a questa assunzione egli critica i meccanismi ideologici della richiesta di pace perpetua che la trasformano in un’ideologia della guerra. Inoltre se Kant e Rousseau credevano che la forma repubblicano-democratica dello Stato ga- Diego Velazquez, La resa di Breda, (Las Lauzas, 1634-35) CONVEGNI E SEMINARI rantisse automaticamente la pace tra i popoli, Hegel osserva che il cessare del dispotismo non è affatto garanzia di pace, poiché la passione bellica può infiammare le masse altrettanto quanto i sovrani, come peraltro dimostra l’esempio rivoluzionario francese. D’altro canto, l’esempio inglese mostra invece come Stati costituzionali possano intraprendere guerre non solo per il capriccio dei regnanti, ma per precisi e pressanti interessi economici e commerciali. A differenza questa volta di Kant, osserva Losurdo, Hegel cade vittima dell’ideologia guerrafondaia della pace perpetua quando invoca una pace degli Stati europei allo scopo di mantenere un saldo controllo sulle colonie. La posizione di Marx ed Engels sul tema della pace perpetua tende a radicalizzare i temi della riflessione illuministica: è possibile la pace perpetua solo a patto di rivoluzioni politiche e sociali ben più radicali di quelle prospettate dagli illuministi. Lenin riprenderà il progetto della pace perpetua proponendo l’abolizione della diplomazia segreta e il controllo dal basso della politica internazionale. A differenza però della tradizione di pensiero illuministica, il marxismo non ha mai nascosto il fatto che le invocate rivoluzioni sono, a tutti gli effetti, delle guerre. Da ultimo Losurdo ha analizzato l’ideologia della guerra nata nell’Intesa durante il primo conflitto mondiale. L’ “interventista democratico” Salvemini parla di “guerra per la pace”, per abbattere il militarismo tedesco e con esso i motivi di turbamento della pace in Europa. Le posizioni di Salvemini trovano una eco imponenete nelle idee wilsoniane della “guerra contro la guerra”, della guerra contro Austria e Germania per insegnar loro le “buone maniere” pacifiste e democratiche. D’altro canto la socialdemocrazia tedesca all’inizio del conflitto utilizzava concezioni assai simili: occorreva combattere la guerra contro l’impero autocratico e militarista dello Czar in nome di un duraturo periodo di pace. Ma se questa ideologia della guerra in Germania è una eccezione, nell’intesa è la norma: è ancora Salvemini a parlare di una “civile guerra internazionale” che faccia in Austria-Ungheria e in Germania la democratizzazione voluta dalle socialdemocrazie di quei paesi; Mussolini gli fa eco e Boutroux parla di una “crociata filosofica” antitedesca: nasce così la posizione che dipinge la cultura tedesca tout court come reazionaria e militarista. L’ideologia dell’Intesa è uno sviluppo delle idee nate nella lotta coloniale, per cui occorreva portare la “civiltà” ai “barbari” dove qui civiltà sono diventate le istituzioni liberali e i barbari i popoli militaristi di lingua tedesca. Wilson parlerà a tal proposito di una “guerra santa” che non si interromperà mai fin quando ogni ingiustizia sarà debellata. E’ tipico notare che le operazioni belliche compiute dopo il 1918 contro il territorio sovietico non siano mai state accompagnate da una formale dichia- razione di guerra: si trattava evidentemente nella mente dei leaders occidentali solo di “operazioni di ristabilimento dell’equilibrio internazionale turbato”. E.V. Wilhelm von Humboldt Organizzato dal Dipartimento di Filosofia e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, si è svolto ad Anacapri dal 12 al 14 settembre 1991 un Convegno internazionale sulla figura e l’opera di Wilhelm von Humboldt, che ha messo in luce la personalità così ricca di interessi per i vari aspetti del mondo umano, per l’uomo come singolo e nella totalità della storia, per il linguaggio come forma spirituale, che è sempre concretezza delle diverse lingue, per il problema del comprendere e per la promozione di una migliore costituzione civile In quella che si è soliti denominare l’età di Goethe, al compiersi dell’epoca dei lumi e nei primi decenni del XIX secolo, la filosofia classica tedesca fu un vero crogiuolo di idee, rappresentato da singolari figure di pensatori. Tra queste, un posto di particolare rilievo spetta a Wilhelm von Humboldt. Ne è una conferma, ha osservato Fulvio Tessitore in apertura del convegno, la crescente fioritura di studi humdoltiani degli ultimi decenni, segno di quella svolta antropologica della filosofia che, operata da Humboldt nell’epoca dei sistemi metafisici dell’idealismo classico tedesco, sempre più oggi appare una feconda via di ricerca, dopo gli ontologismi, gli strutturalismi, il decostruzionismo. Humboldt visse profondamente i travagli della storia del suo tempo, mentre ne analizzava i problemi anche sul piano teorico: i problemi del diritto, della conoscenza del passato. Fu comunque essenziale per la sua attività di intellettuale-politico, funzionario dello stato, linguista e sociologo, il passaggio attraverso l’antichità classica, come ha riccamente documentato Umberto Carpi (Università di Pisa). Riferendosi in particolare agli studi humboldtiani di archeologia, in cui la Bildung greca viene delineata come il modello più alto di umanità, Carpi individua un punto cruciale nel rapporto tra il discorso estetico-antropologico e la problematica del lavoro, che i greci delegavano agli schiavi, laddove per i moderni la specializzazione delle facoltà è fonte di progresso. Agli studi di antropologia di Humboldt si è rivolto invece Jean Quillien, autore di un recente volume su L’anthropologie philosophique de G. von Humboldt (Presses Universitaires de Lille), che nella sua relazione ha preso in considerazione le motivazioni teoriche essenziali della distanza che separa Humboldt da Kant. Pur muovendosi entro la tradizione, Humboldt maturò un’idea del filosofare che avrebbe costituito una sorta di fondazione delle scienze umane, abbandonando la dimensione ontologica, ancora presente in Kant, nella direzione di una antropologia filosofica, che a partire dal linguaggio gli consentì di riproporre in maniera costruttiva la domanda su “che cos’è l’uomo?”, senza trascurare la tensione di individuale e universale che caratterizza la storia della filosofia dalle sue origini. Prendendo spunto dalla rilettura delle considerazioni hegeliane sul linguaggio e sull’assoluto, Josef Simon (Università di Bonn) ha indicato un punto di convergenza tra Humboldt e Hegel. Per quest’ultimo il vero non fu Sostanza, ma Soggetto, come si apprende dalla Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, e l’assoluto può dirsi che “non è”, ma “si mostra” (Zeigen) attraverso il linguaggio, che è il Dasein (l’esistenza) dell’assoluto. Allo stesso modo Humboldt, che certo non teorizzò lo spirito assoluto, intese però il linguaggio come il Dasein dello spirito nella lingua determinata di ognuno e sempre in un contesto particolare: un mostrare oltre il segno. Antonio Carrano (Università di Napoli) ha analizzato invece il ruolo delle idee nella concezione di filosofia della storia di Humboldt. La filosofia del comprendere di Humboldt ha il suo centro nell’universale non astratto, nella funzione orientativa delle idee, che esprimono un bisogno di totalità mai separabile dai momenti concreti della sua attuazione nel processo della storia. Riprendendo in particolare le importanti considerazioni di Humboldt sul compito dello storico, e collocandole all’interno del più ampio raggio dei suoi interessi estetici e linguistici, Tilman Borsche (Università di Heildesheim) ha illustrato l’analogia posta da Humboldt tra lo storico e l’artista. Come il poeta, lo storico è creativo nell’atto di comprendere i fatti come elementi di un contesto significante, nel quale una verità interiore viene alla luce, non senza rapporto indissolubile con il documento accertato. Donatella Di Cesare (Università di Roma) attenta conoscitrice dei testi di Humboldt (è recente la sua traduzione di La diversità delle lingue, per l’editore Laterza), ha parlato della fondazione dell’ermeneutica filosofica in Humboldt dal punto di vista di un abbandono della filosofia come sistema in direzione di un filosofare come interpretazione dei modi di essere e di comprendersi dell’uomo nel mondo. In tal senso, nota la Di Cesare, la concezione humboldtiana del linguaggio si può dire rappresenti un traguardo insuperato nella consapevolezza delle difficoltà della comprensione. Il progetto di una antropologia comparata fu interesse precipuo di Humboldt in evidente sintonia con gli studi di anatomia comparata di Goethe. L’analogia fra i due piani di ricerca, ha fatto notare Paola Giacomoni (Università di Trieste), si spiega sulla base dell’unità dell’ “oggetto-uomo”, anche se in definitiva assai diversi furono i modi di approccio al mondo viven- CONVEGNI E SEMINARI te: Goethe fu attirato dalle forme e dalle superfici, Humboldt dalle forze misteriose e magmatiche della natura e dell’interiorità umana. Del “lavoro dello spirito”, secondo una nota espressione di Humboldt, nelle sue articolazioni linguistiche ha specificamente trattato Jurgen Trabant (Università di Berlino). Accentuando la rottura con la tradizione leibniziano-kantiana, Trabant ha individuato nella concezione humboldtiana del linguaggio come suono che articola il pensiero una profonda unità di segno ed espressione. Il tema dell’articolazione si muove sul doppio referente dei moti dell’animo, razionali e passionali, e della convenzione segnica: labirinti per i quali Humboldt è in grado di fornire un filo d’Arianna. Tra le relazioni conclusive del convegno quella di Giovanni Moretto (Università di Genova) ha affrontato il rapporto tra Schleiermacher e Humboldt, un rapporto che, altre volte indagato per lo più sul piano del metodo della ricerca storica, viene qui posto dal punto di vista della dimensione religiosa. Il “cristiano” Schleiermacher e il “pagano” Humboldt si incontrano sul significato di un’esperienza umana che è ricerca dell’infinito nel finito, come accade nella poesia e nell’arte in generale. Giuseppe Cacciatore (Università di Napoli) ha infine presentato un documentato studio su Humboldt e la tradizione storicistica tedesca. E’ stato proprio Dilthey infatti a indicare nella riflessione di Humboldt sulla storia quei motivi essenziali che sono all’origine della prospettiva storicistica: l’individualità, il nesso di universale e singolare, la polemica contro la filosofia della storia, il tema del comprendere che colloca l’uomo al centro del processo della storia universale. A conclusione dei lavori del convegno Giuseppe Cantillo ha tracciato un limpido bilancio dell’incontro scientifico di Anacapri, che ha rappresentato un momento di chiarificazione e di approfondimento del più ampio contesto in cui nacque e maturò l’idealismo classico tedesco. R.V.C. La filosofia di Michael Dummett Si è svolto a Mussomeli (Caltanisetta) un convegno internazionale dal titolo: La filosofia di Michael Dummett. Uno tra i principali punti di riferimento della discussione filosofica contemporanea, Michael Dummett è conosciuto in Italia sia per la traduzione di diversi suoi lavori, sia per aver contribuito alla formazione di diversi filosofi italiani, che si sono recati a Oxford per approfondire con lui i loro studi. Di Michael Dummett sono noti in Italia: Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege (a cura di C. Penco, Marietti, Genova 1983); La verità e altri enigmi (raccolta di scritti a cura di M. Santambrogio, Il Saggiatore, Milano 1986); Alle origini della filosofia analitica (serie di lezioni tenute a Bologna a cura di E. Picardi, Il Mulino, Bologna 1991). Recentemente sono stati pubblicati in Inghilterra altri lavori di Dummett d’importanza fondamentale per la discussione dei prossimi decenni; oltre a un’altra raccolta di suoi articoli dal titolo: Frege and other philosophers, è finalmente uscito il tanto atteso Frege, Philosophy of mathematics. Da segnalare infine la pubblicazione di un testo che raccoglie ed elabora le idee filosofiche fondamentali del filosofo oxoniense, il cui titolo richiama la grande tradizione della filosofia occidentale: The logical Basis of Metaphysics. Il filo conduttore della filosofia di Michael Dummett passa attraverso una ridefinizione delle dicotomie filosofiche tradizionali, in particolare il contrasto tra il realismo e le diverse filosofie che vi si oppongono, da lui raccolte sotto l’etichetta di anti-realismo, come l’idealismo, la fenomenologia, il verificazionismo, il comportamentismo in psicologia e il costruttivismo in matematica. L’originalità di Dummett è stata prima di tutto quella di definire una nuova forma di anti-realismo, che sfugga agli aspetti riduzionistici delle diverse posizioni del genere, succedutesi nella storia della filosofia. In secondo luogo la sua caratterizzazione del dibattito realismo-antirealismo ha messo in evidenza come esso abbia due facce: una metafisico-ontologica, riguardante cioè la sussistenza degli oggetti di cui si parla, e una semantica, riguardante cioè la validità di certe classi di asserzioni. In questo secondo caso il problema diventa: possiamo ammettere che ogni nostra asserzione sia vera o falsa indipendentemente dai mezzi che abbiamo per controllarne la verità? Per un realista esisteranno sempre asserzioni, la cui verità dipende da una realtà esterna a noi e che per principio ci saranno sempre inconoscibili; un antirealista dubita della validità di questa nozione di verità e cerca delle alternative ad essa. Il convegno di Mussomeli è stato organizzato e introdotto da B. Mc Guinness (Università di Siena). Tra gli intervenuti, Donald Davidson (Università di Berkeley), la cui posizione realista in teoria del significato si contrappone all’antirealismo di Dummett, ha presentato una relazione sull’aspetto sociale del linguaggio, tesa polemicamente a ridimensionare l’importanza degli aspetti normativi e istitiuzionali del linguaggio rispetto alla comunicazione. Su posizioni realiste è stata anche la relazione di Akeel Bilgrami (Columbia University), che ha discusso il classico problema delle altre menti e della attribuzione di stati mentali ad altri e a sé. Seguendo i due principali filoni della filosofia di Dummett, alcune relazioni sono state dedicate alla filosofia della matematica e altre alla teoria del significato: tra le prime Crispin Wright (Università di S. Andrews, Scozia), autore di un fondamen- tale libro sulla filosofia della matematica di Wittgenstein, ha discusso la posizione di Dummett sull’importanza filosofica del teorema di Gödel; C. Penco (Università di Genova) ha discusso l’interpretazione di Dummett della filosofia della matematica di Wittgenstein; G. Luigi Olivieri (Oxford), uno degli organizzatori del convegno, ha presentato una discussione critica dell’anti-realismo in filosofia della matematica. Sulla teoria del significato sono intervenuti E. Picardi (Università di Bologna); sul tema dei rapporti tra asserzione e convenzione, Dag Prawitz (Università di Stoccolma) ha dato una discussione generale sulla posizione anti-realista in teoria del significato e Bob Hale (Università di S. Andrews) ha presentato una ricostruzione della discussione fatta da Dummett nel capitolo sui nomi propri del suo libro su Frege. G. Sundholm (Università di Leida) ha discusso connessioni tra le idee di Dummett e teorie di Martin Löf. Le restanti discussioni hanno toccato altri grossi temi della filosofia di Dummett; B. F. Mc Guinnes ha discusso alcune posizioni di Dummett anche in connessione al suo ultimo libro, The logical basis of metaphysics. Un confronto tra la posizione di Dummett e quella di Wittgenstein sul modo di intendere la filosofia, e in particolare sul problema della sistematicità dell’impresa filosofica, è stato sviluppato da David Pears (Università di Oxford), mentre Joachim Schulte, che ha recentemente curato l’edizione tedesca del testo di Dummett: Alle origini della filosofia analitica, ha discusso il tema delle asserzioni sul passato, con riferimento a un lavoro di Dummett presente nell’antologia Verità e altri enigmi. C.P. Una nuova immagine di Platone «Le dottrine non scritte non sono altre da quelle scritte, ma sono ciò a cui lo scritto rinvia oltre sé»: con queste parole Vittorio Mathieu ha commentato il convegno internazionale di studi dal titolo: Verso una nuova immagine di Platone, svoltosi dal 7 al 9 ottobre 1991 all'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Nell’occasione sono state presentate la nuova edizione degli scritti di Platone, Tutti gli scritti (Rusconi, Milano 1991), diretta da Giovanni Reale e la raccolta delle relazioni tenutesi al convegno, pubblicata con lo stesso titolo del convegno: Verso una nuova immagine di Platone (Istituto Suor Orsola Benincasa, Napoli 1991, distrib. Rusconi). Nella prima delle sue relazioni, Giovanni Reale ha trattato dei tre paradigmi storici nell’interpretazione di Platone e dei fondamenti del nuovo paradigma. Il paradigma CONVEGNI E SEMINARI “neoplatonico” era basato su di una rilettura di Platone in chiave allegorica. Il paradigma moderno, inaugurato dagli studi platonici di Schleiermacher, era fondato sull’ipotesi dell’azzeramento della tradizione del platonismo e sull’autarchia dei dialoghi platonici. Le difficoltà principali di questo paradigma, stavano nella ricerca di quella “sistematicità” del pensiero di Platone, che pur postulata non era ricavabile dai soli dialoghi scritti. Dal superamento di questo paradigma scaturisce il nuovo: i dialoghi scritti di Platone trovano completamento e organicità nelle dottrine non scritte, esoteriche, legate all’insegnamento interno alla scuola di Platone e che ci vengono tramandate da varie fonti della tradizione platonica. Un ulteriore approfondimento di questo progetto ermeneutico è stato svolto nella relazione di Thomas Szlezàk, dedicata al rapporto fra oralità e scrittura nella filosofia di Platone. Szlezàk sottolinea la distinzione fra esoterismo o segretezza nell’insegnamento orale platonico: l’esoterismo ha fondamento nella qualità pedagogica e dottrinale specifica del dialogo vivo tra mestro e discepoli, non certo in una aristocratica segretezza del sapere filosofico. Platone, collocato al confine fra tradizione orale e scritturale, riservava alle lezioni non scritte il compito di dare risposta sintetica e definitiva alle discussioni “aperte”, contenute nei testi scritti, togliendo fissità e approssimazione ai concetti morti della parola scritta con il vivo intervento del pensiero. La tradizione della filosofia orale di Platone rimonta innanzitutto ad Aristotele ed è dal confronto fra essa e gli scritti platonici che può trovare soluzione il problema ermeneutico. Il piano dei lavori del Convegno prevedeva di fatto un approfondimento dell’immagine neoplatonica di Platone e una analisi del paradigma romantico. Werner Beierwaltes si è posto il problema della continuità-discontinuità del neoplatonismo rispetto alla tradizione propriamente platonica. Se Zeller è per la continuità dei fondamenti platonici, Hegel ha visto nel neo-platonismo uno sviluppo speculativo del platonismo originario. Il “medioplatonismo” ha poi cercato di ricostruire il tessuto storico del graduale trapasso dottrinale da Platone a Plotino e a Proclo. Beierwaltes si è quindi soffermato sul ruolo originale svolto dai neoplatonici nel disporre la sintesi tra teologia ebraicocristiana e razionalismo greco. Hans Kramer ha vagliato invece il paradigma romantico dell’ermeneutica platonica: estromissione della tradizione “indiretta”, ricerca del “sistema” nella molteplicità dei dialoghi, apprezzamento della forma-dialogo come espressione artistica del pensiero. Il rapporto di Schleiermacher con Schelling, da un lato, e con Schlegel, dall’altro, è il riferimento per la ricostruzione dell’immagine romantica di Platone, caratterizzata dalla tendenza a ricercare il pensiero di Platone nella sola sede dei dialoghi scritti. E qui risulta evidente come il “nuovo paradigma” proposto dalla scuola di Tubinga non sia solo un paradigma storiografico, ma ponga le premesse per una diversa ipotesi teoretica ed ermeneutica. Il tema teoretico, dopo quello storico-ermeneutico, è emerso nelle relazioni che hanno riguardato le dottrine non scritte di Platone nelle loro connessioni con i concetti esposti nei dialoghi scritti. Enrico Berti ha affrontato il tema de “Le dottrine non scritte intorno al Bene nelle testimonianze di Aristotele”. Le dottrine orali, secondo Berti, sono solo il “succo” filosofico di quanto, nei dialoghi scritti, Platone si limitava ad esporre in contesti dialettici diversi e in forma indiretta, ironica, allusiva, incompleta ecc. In effetti le dottrine platoniche non scritte vertono tutte intorno alla concezione morale e all’idea del Bene come l’Uno. La questione ermeneutica è in tal senso complessa, ha osservato Berti, in quanto le dottrine orali imputate da Aristotele (per confutarle, fra l’altro) a Platone mostrano una concezione sistematica, ontologica e apodittica dei Principi (il Bene, l’Uno, la Diade ecc.) e dell’etica piuttosto che una concezione dialettica, quale appare invece dai Dialoghi scritti. Michel Erler ha preso ad oggetto del suo intervento in particolare i cosidetti Dialoghi “aporetici”, quei dialoghi cioè che si concludono con un nulla di fatto, con un vicolo cieco della dialettica. Per Erler l’unica ipotesi convincente è considerare tale aporeticità come propedeutica ad un superiore livello di pensiero, che Platone riteneva di non poter affidare ai testi scritti. Secondo Platone i dialettici che incappino nelle aporie si muovono ad un livello di “fondazione” del pensiero non sufficientemente “alto” e ugualmente si ingannano coloro che affidano la loro ansia di conoscenza esclusivamente al commercio con la parola scritta. Inserendosi in un medesimo contesto problematico Maurizio Migliori ha esaminato il rapporto scritturaoralità nel Parmenide, giungendo alla conclusione che, per Platone, l’autentica “dialettica” del pensiero e della conoscenza non può mai esser riprodotta dalla parola scritta. Ma allora, quale sarebbe il significato di dialoghi complessi come il Parmenide? Il fatto è che il passaggio dal V al IV secolo segna la crisi della cultura orale a vantaggio di quella scritta, di cui la trattatistica aristotelica è un esempio supremo. Il dialogo scritto di Platone è il tentativo, poco convinto, di cercare una mediazione fra la dialettica orale e la scrittura, fra l’ordine originario del pensare e le forme di espressione e di conoscenza dei nuovi tempi. Sviluppando ulteriormente il confronto, Giancarlo Movia ha affrontato questa tematica attraverso un’analisi del Sofista. Come il Parmenide anche il Sofista si rivela debitore nei confronti di un pensiero maturato e discusso nella riflessione e nella discussione orale. Il tema stesso del dialogo, il metodo della filosofia contrapposto a quello della sofistica, conduce proprio al nodo del rapporto fra pensiero e linguaggio, fra lògos e dialettica: siamo di fronte a un pensiero che opera con il linguaggio, rendendosi autonomo dagli errori del linguaggio naturale evidenziati dall’analisi filosofica. La tematica perì toù agathoù è il fulcro dell’insegnamento orale di Platone, ad essa è stata dedicata la seconda relazione al convegno di Giovanni Reale. Platone si guardava dal mettere per iscritto la sua dottrina intorno al Bene per evitare fraintendimenti e derisioni. I concetti fondamentali del pensiero e della filosofia intrattengono con il linguaggio comune un rapporto difficoltoso e stratificato, né d’altra parte possono essere tradotti in modo articolato e preciso, nella scrittura. Nella scrittura, come nel linguaggio ordinario, si perde per Platone il rapporto profondo e fondante fra pensiero e parola, pensiero e linguaggio tipico della filosofia. Da questo punto di vista il nuovo paradigma storiografico si presenta come propedeutico per una corretta interpretazione del pensiero di Platone: le idee fondanti del platonismo tornano ad essere il presupposto teoretico di quanto Platone volle consegnare alla scrittura. Si comprende in tal senso il commento che Emanuele Severino ha fatto del convegno: Platone è il filosofo che ha allontanato definitivamente il pensiero occidentale da quello orientale aprendolo alla comprensione della molteplicità. E’ questo il vero valore delle sue dottrine e lo sforzo di collocarle correttamente nel loro tempo rende più completa ogni interpretazione del pensiero fondativo della cultura europea. G.d.M. Nietzsche tra filologia e attualizzazione A Sils Maria, in Engadina, si è svolto nell’estate 1991 l’annuale convegno nietzscheano, organizzato dal germanista svizzero Peter André Bloch, in cui alcuni temi dell’opera del filosofo sono stati letti, in una prospettiva attualizzante, anche alla luce degli attuali mutamenti politici nell’Europa dell’Est. Vengono intanto pubblicati dal filologo Wolfram Groddeck i testi che documentano la genesi dei Ditirambi di Dioniso, l’opera in versi scritta da Nietzsche sulla soglia della follia. Con riferimento alla critica nietzscheana di alcuni aspetti della cultura illuministica e razionalistica europea, alcuni dei partecipanti hanno interpretato le recenti trasformazioni politiche nei paesi dell’Europa dell’Est come la fine di presupposti fondamentali della cultura dell’Aufklärung. Ralf Eichberg (Halle) ha ad esempio individuato nel crollo dei sistemi sociali e politici dei paesi dell’Europa orientale la fine del sogno dell’Aufklärung di liberare l’essere umano dal male attraverso l’educazione e la ragione, di considerare la storia come processo di realizzazione della felicità uni- CONVEGNI E SEMINARI versale. Su tutto ciò già Nietzsche aveva gettato l’ombra del dubbio attraverso una critica - a sua volta “illuministica”, in quanto demistificante - del culto della ragione e della metafisica illuministica dell’immanenza. Ciò non toglie, osserva Eichberg, che dopo l’opera nietzscheana di demitizzazione resti pur sempre lo spazio per prospettive etiche individuali. Dal problema del significato di una prospettiva individualistica nei paesi “post-socialisti” ha preso le mosse lo studioso jugoslavo di Nietzsche Mihailo Djuric, che ha indicato nel concetto nietzscheano di “individuo sovrano” l’espressione di una nuova dimensione della ragione. Le sue riflessioni sul concetto di individuo e di prospettivismo della razionalità appaiono però ambigue, se si tien conto del fatto che Djuric - dopo essere stato incarcerato per vent’anni sotto il regime di Tito - sembra oggi essersi lasciato sedurre dalle ambizioni di grandezza del nazionalismo serbo, le cui tragiche conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti. Ancora nell’ambito del rapporto tra Nietzsche e la cultura di matrice socialista e marxista, il germanista italiano Aldo Venturelli ha dedicato il proprio intervento al tema: “Lenin lettore di Nietzsche”. In particolare negli anni di Ginevra, tra 1905 e 1908, Nietzsche era, accanto a Marx, uno degli autori più letti da Lenin, come testimonia il rinvenimento nella biblioteca di Lenin al Cremlino di un un esemplare della Nascita della tragedia. Più interessante di questi elementi già noti è però la considerazione che, per caratterizzare gli obiettivi politici da raggiungere dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905, Lenin impiegò la formula nietzscheana della “trasvalutazione dei valori”, ad indicare che il marxismo non è un dogma morto ed irrigidito, ma una guida teorica per l’azione. D’altra parte, dal punto di vista delle democrazie liberali, c’e da dire che Nietzsche fu tra i più accesi critici della democrazia, e nei tratti aristocratici della sua critica, che vede nei sistemi politici democraticoliberali il dominio della maggioranza ed il predominio dell’interesse materiale sui valori spirituali, egli si dimostrò figlio del suo tempo. Il timore di Nietzsche, come ha rilevato Urs Marti (Berna/Berlino), era che le società democratiche e di massa si sviluppassero nella direzione di uno sradicamento della cultura e della mancanza di un’autorità, che potesse integrare le diverse spinte centrifughe. Compito del filosofo doveva essere quello di una riflessione critica spregiudicata e dell’invenzione di nuove possibilità di vita. Ma se le società democratiche si basano sul conflitto e sull’equilibrio tra diversi individui - nel linguaggio nietzscheano diverse “volontà di potenza” - c’è da chiedersi allora su cosa possa basarsi una nuova connessione tra le diverse soggettività? Il filosofo della religione Jörg Salaquarda (Vienna) ha indicato nella dimensione del “sacro” la possibilità di stabilire una nuova coesione tra gli individui. Di diverso tenore l’intervento di Iso Camartin, dedicato al tema della “solitudine” di Nietzsche come “forma di vita”. Nell’intento di presentare una sorta di “fenomenologia della solitudine” Camartin ha paragonato l’esperienza di Nietzsche a Sils Maria, con il distacco dall’amato-odiato Wagner, a quella della solitudine dei mistici. Dal punto di vista storico-culturale, invece, il significato della solitudine consisterebbe nel fatto che, quanto più importante diventa l’individuo nella società, tanto più intensa diventa l’esperienza della solitudine. All’ultimo, drammatico periodo dell’esistenza di Nietzsche rinvia il testo poetico dei Ditirambi di Dioniso, che il filosofo intendeva inviare nel gennaio 1889, poco prima del manifestarsi della follia, al poeta francese Catulle Mendès. Gli interpreti di Nietzsche hanno lungamente discusso il problema del significato da attribuire a questi testi, ed in particolare se essi siano l’espressione di una poesia “dionisiaca” in cui si trasfigura e supera il livello della razionalità filosofica, o se non siano invece da intendersi come le prime avvisaglie della malattia di Nietzsche. A favore della prima tesi si schiera ora il filologo Wolfram Groddeck, con una monumentale opera in due volumi pubblicata dall’editore De Gruyter (Berlino/New York 1991). Nel primo volume, Die Dionysos-Dithyramben. Textgenetische Edition der Vorstufen und Reinschriften (I ditirambi di Dioniso. Edizione, dal punto di vista della genesi del testo, delle prime stesure e delle trascrizioni in bella copia) Groddeck dà alle stampe, oltre all’ultima versione del testo, tutti i lavori preparatori che la precedono, solo in parte accolti nell’edizione critica di Colli e Montinari. Nel secondo volume, Die Dionysos-Dithyramben”. Bedeutung und Entstehung von Nietzsches letztem Werk) lo studioso presenta un accurato commentario in cui viene discusso il significato della stesura definitiva dei Ditirambi. M.M. Cielo fisico e cielo morale Nelle sue lezioni sul tema Rivoluzione del cielo fisico e riforma del cielo morale. Scienza e vita civile da Giordano Bruno ai Lincei, tenute dal 4 all’8 novembre 1991 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Saverio Ricci ha posto in relazione due ambiti storiografici finora tenuti distinti dalla letteratura sull’argomento: da un lato la storia della fortuna di Giordano Bruno nella cultura moderna, dall’altro la storia dell’Accademia dei Lincei e la biografia intellettuale del suo fondatore, il principe romano Federico Cesi. Tra i motivi della distanza tra i due ambiti storiografici prevale sicuramente il configurarsi nella coscienza europea dell’immagine di Giordano Bruno come martire della scienza moderna, fortemente in contrasto con quella, peraltro meno nota, di Federico Cesi come diplomatico della scienza, impegnato in un’opera di cauta mediazione tra i rappresentanti della nuova scienza, che egli andava accogliendo nella nuova Accademia, e la Chiesa cattolica. In realtà, dopo la sua morte, il pensiero di Giordano Bruno ha esercitato, anche se in modo non dichiarato e sotterraneo, una profonda influenza sull’ambiente intellettuale linceo, che sotto l’accorta direzione di Cesi riprenderà alcuni motivi cosmologici del programma bruniano, lasciando però cadere le radicali istanze di riforma etica e civile in esso contenute, pur insistendo sull’utilità del sapere per il buon reggimento degli ordini civili. L’Accademia dei Lincei venne fondata il 17 agosto 1603, quando solo da pochi giorni era stato promulgato l’editto con il quale la Chiesa proibiva le opere di Bruno. E in effetti il nome di Bruno non ricorre mai nel carteggio dei Lincei. Neppure nelle opere di Nicola Antonio Stigliola, l’unico linceo che conobbe direttamente Bruno, si trova menzione diretta del suo pensiero. In realtà, il silenzio su Bruno in ambiente linceo mostra con quale efficacia il monito di Campo dei Fiori abbia agito come un limite oggettivo su tutti coloro, che dopo il 1600 ebbero in animo di procurare un progresso della scienza. Anche se gli elementi del programma unitariamente filosofico, religioso e politico di Bruno ritorneranno in qualche modo in tutta la storia dell’Accademia dei Lincei. Il programma bruniano era consistito nella finale rivendicazione alla filosofia della dignità di legge, ovvero di un sapere che come scrive Bruno nel De la causa - si faccia concreto promotore di giustizia e civiltà «ordinando leggi e riformando costumi». Già nella Cena delle ceneri Bruno aveva conferito alla scoperta copernicana un preciso significato etico-religioso: essa non è che l’aurora, che prelude alla rinascita del sole dell’antica vera filosofia, quella degli antichi pitagorici, una filosofia che ispiri una radicale riforma degli ordinamenti morali, civili e politici, eliminando le cause che su questo piano ostacolano e bloccano la rivoluzione del cielo fisico, la rifondazione del sapere come cosmo. Ora, questa rinascente antica filosofia sarà la filosofia nolana: Bruno è colui il quale ha varcato i cieli, svelando l’inconsistenza dell’ordine cosmologico tradizionale. Nell’infinità dell’universo risplende, secondo Bruno, la stessa infinità di Dio che è presente in ogni parte della creazione, e in noi stessi non meno che negli astri. La base di un possibile accordo, costantemente ricercato, con la Chiesa, è in Bruno la distinzione tra il piano della verità e quello della fede: le sacre scritture non hanno come scopo quello di comunicare il vero circa le cose naturali, ma quello di prescrivere leggi circa i comportamenti morali; hanno quindi validità sul piano morale, non su quello della verità scientifi- CONVEGNI E SEMINARI ca. Tuttavia, nell’acuirsi dello scontro con i puritani inglesi, si fa chiara agli occhi di Bruno la consapevolezza che non è possibile una rifondazione del sapere senza una riforma radicale sul piano etico: così la rivendicazione del valore etico-religioso del copernicanesimo assume alla fine i tratti drammatici di una critica radicale di tutto il cristianesimo sul piano dell’efficacia sociale e civile dei suoi insegnamenti. Nello Spaccio della bestia trionfante, alle costellazioni dell’astrologia tradizionale Bruno fa corrispondere i vizi ed i crimini dell’uomo in terra. Su tutto predomina quella che Bruno chiama la grande avarizia che va lavorando sotto il pretesto di voler mantenere la religione. La grande avarizia è innanzitutto il protestantesimo che mortifica la scienza e infiamma guerre fratricide; ma poi è anche il cattolicesimo che pur non disprezzando le buone opere, ne tollera un uso falso e corrotto; grande avarizia è in generale la fede nel cui nome vengono compiuti massacri e spoliazioni nel nuovo mondo. Condannando Bruno, la Chiesa cattolica di fatto non condannò soltanto il sostenitore dell’infinità dell’universo e l’eretico dubbioso circa i dogmi fondamentali della divinità di Cristo e della Trinità, ma anche il sostenitore di una precisa politica dei dotti e di una precisa politica tout court. Si trattava del programma massimo della filosofia europea: rivoluzione dell’immagine dell’universo e attacco frontale all’aristotelismo nello sviluppo del copernicanesimo; rivendicazione dell’autonomia dei sapienti dall’autorità della Chiesa nel riordinamento delle leggi e nella riforma dei costumi; critica della morale cristiana e soprattutto della sua degenerazione protestante, con i suoi effetti deleteri sul piano civile; opposizione all’alleanza tra politica spagnola e Controriforma cattolica; rifondazione della vita civile sui valori della giustizia, del merito e della fatica, e sua riconsacrazione come tramite efficace della giustizia divina. Il programma di Federico Cesi, invece, sarà alla fine sensibilmente diverso: egli reclama la libertà di filosofare in naturalibus, ma non pretende di riformare la vita civile. Tuttavia, l’accorta opera di mediazione che Cesi svolse per quasi un trentennio tra i nuovi filosofi e le autorità ecclesiastiche, rappresenta anche lo sforzo di trovare forme nuove in cui esprimere un’ansia antica, quella che Bruno aveva manifestato in toni radicali e scandalosi: l’ansia cioè di ricomporre l’unità tra il cielo fisico e il cielo morale, tra una nuova immagine dell’universo e i valori e le istituzioni della civiltà. Nei suoi scritti inediti, Cesi delinea una critica assai severa dei costumi del suo tempo in cui ricorrono motivi analoghi a quelli della polemica civile di Giordano Bruno. Alla società del suo tempo Cesi, come Bruno, contrappone l’epoca classica con le sue lotte per il bene comune, per la pubblica utilità. Deplora inoltre la decadenza del sapere nelle Università di cui Presunto ritratto di federico Cesi (Palazzo Cesi) Giordano Bruno (incisione di C. Mayer, pubblicata nel 1824) CONVEGNI E SEMINARI sono responsabili gli aristotelici, a causa dei quali l’insegnamento della filosofia è ormai generalmente stimato inutile rispetto all’assoluto prevalere delle arti pratiche. In toni meno accesi il principe dei Lincei riprende questi temi nel suo Discorso sul naturale desiderio di sapere, pronunciato nel 1616. Qui Cesi, richiamandosi alla grande tradizione delle Accademie d’Italia, afferma l’urgenza di rinnovare la funzione civile della cultura e la collaborazione dei dotti per l’avanzamento del sapere, cui è connesso il bene della società e dello Stato. Alla Chiesa e ai prìncipi Cesi propone il compito di un attivo sostegno al progresso della scienza in vista del pubblico utile. Il che implica però una precisa delimitazione di campi: i Lincei non si occuperanno né di questioni teologiche, né di questioni politiche, ma d’altra parte la Chiesa e i prìncipi dovranno lasciare ai ricercatori la libertas philosophandi in naturalibus, vale a dire quell’autonomia che già Bruno aveva vigorosamente rivendicato al prezzo della vita. G.D.R. Heidegger e i Greci Nell’ambito del ciclo di seminari su momenti e problemi della storia del pensiero, organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Manfred Riedel ha tenuto nei giorni 20-22 maggio 1991 una serie di lezioni sul tema: Martin Heidegger e i Greci, in cui è stato posto il problema della necessità per Heidegger di un ritorno agli inizi per ricercare il “senso dell’essere” originariamente esperito e successivamente consegnato all’oblio e al nascondimento. Per Heidegger, ha sottolineato Manfred Riedel, si tratta di recuperare ciò che della verità dell’essere è stato anticipato e poi consumato nel corso della storia della filosofia: questo il compito che la filosofia deve assumere e che può assolvere percorrendo i sentieri del “domandare”. Porre il problema della Verità significa infatti per Heidegger ripercorrere la storia del pensiero occidentale attraverso una vera e propria decostruzione fonomenologica dell’ontologia, con cui egli tenta di ricostruire il senso della concezione greca. Circoscrivere i limiti della tradizione ontologica, in una appropriazione positiva del passato è il fondamentale compito critico della filosofia, un compito che per Heidegger si esplica nel rendere trasparente la comprensione dell’essere. Seguendo Aristotele, Heidegger riconosce come la storia della filosofia antica sia la storia della scoperta della distinzione dell’essere dall’ente. La metafisica si è sempre mossa nell’ambito della differenza ontologica ed è in quest’ambito che Heidegger intraprende la sua ricerca sul senso della verità come non essere nascosto. Riedel ha poi sottolineato come la questione dell’essere in Heidegger sia scaturita a partire dalla domanda, propria della filosofia neokantiana del valore, «se la verità sia un valore atemporale che deve essere, e se l’essere vada inteso a partire dal dover essere». L’essere per Heidegger non è un “ente atemporale”, bensì si tratta per esso del senso dell’essere del suo esserci. Esso dunque può essere compreso solamente a partire dalla sua situazionalità. Viene qui chiamata in causa l’esperienza del tempo, attraverso la quale Heidegger restituisce alla vita la cosa del pensiero. D’altra parte però quella stessa esperienza diviene ciò che permette a Heidegger, nel passaggio dall’esserci all’essere, di non considerare più la storia come possibilità di una critica del presente e quindi come una possibilità per l’esistenza umana; il problema dell’esperienza del tempo si fa allora storia dell’essere stesso «nei suoi momenti sublimi, che si temporalizzano come “destino” nelle epoche della metafisica». In un primo tempo si è trattato per Heidegger di ripercorrere la storia della scoperta dell’essere come distinto dall’ente. Ma per poter meglio distinguere la domanda dell’essere in generale, osserva Riedel, Heidegger ha dovuto isolare il problema del modo in cui il tempo fa parte del senso dell’essere, il che implicava un allontanamento da quella metafisica della libertà e della volontà di potenza che precludeva la possibilità di comprendere l’esperienza originariamente greca. Da un lato si trattava dunque di decostruire la via fondamental-ontologica, ma dall’altro di acquisire la capacità dell’ascolto di ciò che viene da lontano ed è teso verso il lontano. Sono questi i termini della svolta heideggeriana, con cui viene compiuto il primo passo verso la storia dell’essere, lasciandosi alle spalle la comprensione dell’essere propria dell’esserci e la temporalizzazione. Il tempo infatti diviene “tempo dell’apertura”, “luogo”: il luogo in cui ha inizio contemporaneamente il denascondimento dell’ente, la domanda rivolta all’ente in quanto tale e la storia dell’Occidente. Riedel ha fatto notare come nei corsi del 1932 su Anassimandro e Parmenide, non ancora pubblicati, la storicità del domandare sia centrale e mostri come nella conoscenza storica vi sia per Heidegger la necessità di elevare ciò che è stato all’altezza di una storia che è storia dell’essere stesso nei suoi momenti sublimi. Riedel ha inoltre sottolineato come nelle intenzioni di Heidegger vi fosse - almeno in una fase iniziale - l’interesse a rilevare che per i Greci porre il problema dell’essere e della verità vuol dire occuparsi di qualcosa che è nel mondo, fa parte della vita e del suo movimento. La custodia dell’essere ha la sua dimora in un luogo preciso: la polis. In tal modo la funzione del logos non è solo quella di rendere accessibile l’ente, ma anche di custodirlo. A differenza di Heidegger che a partire dalla critica nietzscheana, assume un atteggiamento fondamentalmente antiplatonico - considerando anzi la filosofia platonica il luogo del cominciamento del nascondimento - Hans Georg Gadamer si attiene fermamente al pensiero platonico. Dopo la svolta infatti per Heidegger l’inizio della metafisica non è più individuato con l’avvio della domanda dell’essere, quanto con il destino del suo nascondimento. La metafisica viene interpretata come abbandono, che ha inizio con la filosofia greca, quella platonica, e si estende fino a caratterizzare l’atteggiamento mondano del pensiero calcolatore e tecnico. Riedel ha voluto in effetti rilevare come la differenza di posizione nei confronti dei Greci da parte di Heidegger e Gadamer, si manifesti in fondo a partire dal problema dell’ethos: domandare se non sia necessario mantenere il livello etico, come aver cura del mondo, all’interno dello statuto filosofico. E’ questo il motivo per il quale, secondo Riedel, vale la pena affrontare il problema stesso della storia e segnalare come, contrapponendosi a Heidegger, alla sua via in alto della storia, Gadamer voglia piuttosto valutare la storia a partire dai suoi effetti sul mondo, dalla sua via in basso. Egli osserva come nonostante la necessità per Heidegger di non sostenere un evolversi progressivo della storia, la stessa modalità con cui questi ricostruisce il percorso storico attraverso l’oblio comporti in fondo un qualcosa di quella logica che regge l’astratta costruzione hegeliana, là in vista della fine, qui dell’inizio. In ogni caso, ha sottolineato Riedel, aldilà della chiusura che la stessa riflessione gadameriana ad un certo punto rivela, vale soffermarsi su ciò che il diverso orientamento di Gadamer e Heidegger nei confronti dell’inizio della filosofia in Grecia apre per la nostra riflessione. V.L. Filosofia e liberazione Si è svolto presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, nei giorni 15-16 aprile 1991, un convegno internazionale sul tema: Filosofia e liberazione, organizzato dal Dipartimento di Filosofia, dal Dipartimento di Filosofia e Politica dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Accanto agli ospiti stranieri e ai relatori hanno partecipato al convegno Fulvio Tessitore, Giuseppe Cantillo, Mario Agrimi, Giuseppe Lissa, Aldo Masullo, e numerosi altri studiosi. L’intervento di Paul Ricoeur, particolarmente atteso, ha chiuso le due giornate di studio, in cui si è dibattuto intorno a un concetto come quello di “liberazione”, oggi come non mai il più problematico nel confronto tra l’Europa e gli altri mondi storici. CONVEGNI E SEMINARI La filosofia della liberazione non intende esprimere semplicemente una tendenza “naturale” dell’uomo all’intersoggettività, ma si presenta come un vero e proprio movimento di lotta, calato nella situazione sociale ed esistenziale dei paesi latino-americani e in polemica con la connotazione eurocentrica del pensiero occidentale, di cui non ha però mancato, nell’ultimo ventennio, di approfondire il dibattito eticoteoretico, scoprendo in particolare Marx dopo il comunismo, e in certo senso liberandolo dalla storia del cosiddetto socialismo reale. Alfredo Gomez Müller, dell’Institut Catholique di Parigi, ha illustrato le tappe di una filosofia della liberazione, che si radica fortemente nella questione sociale dei paesi dell’America latina, e che, pur nella interna diversità di accenti, rappresenta una sorta di uscita dalla minorità dei filosofi ispano-americani rispetto alla tradizione occidentale. Gwendoline Jarczyk del Collège de France, ha sostenuto la tesi assai impegnativa di una sostanziale indifferenza delle grandi filosofie, dai greci ai giorni nostri, nei confronti delle condizioni storiche immediate in cui si attua il concetto di libertà. Da ciò consegue l’esclusione dal dibattito filosofico delle tematiche libertarie dei popoli assolutamente poveri, ai limiti della sussistenza economico-politica, che si richiamano a un’idea di libertà come autonomia delle decisioni e libero accesso a tutte le risorse della terra e dell’intelligenza. E’ chiaro in tal senso che il referente polemico obbligato della filosofia della liberazione è ogni analisi dei problemi condotta dal punto di vista esclusivamente europeo. Pierre-Jean Labarrière ha ben distinto tra “europeismo”, che mira a costituire l’unità politica dei paesi europei, e “eurocentrismo”, al cui interno ancora si deve chiarire la differenza tra una posizione che mira a confrontarne i valori con quelli extra-europei e quella che invece vuole affermare il dominio di una piccola parte del mondo sul resto del pianeta. La conquista-scoperta del nuovo mondo nel secolo XV e il colonialismo sono stati espressione di una volontà di potere che ancora oggi riscontriamo nell’opposizione Est-Ovest, Nord-Sud. L’insieme di queste considerazioni ha trovato riscontro immediato nell’intervento di Giulio Girardi, dell’Università di Sassari, che si è fatto carico di una presa di posizione politica, schierandosi dalla parte del Sud e delle correnti culturali, teologiche e filosofiche che esprimono il punto di vista dei popoli oppressi, emergenti alla dignità di soggetti storici. Restando del tutto all’interno del pensiero occidentale contemporaneo, Domenico Iervolino, dell’Università di Napoli, ha tracciato un profilo penetrante del pensiero di Ricoeur, nel suo svolgersi tra ermeneutica e storia come racconto, filosofia della pratica ed etica della comunicazione con l’altro. Il pensiero di Ricoeur potrebbe dirsi umanistico, non però antropocentrico: egli pone l’identità personale sempre al plurale e sempre nella serietà dell’agire tra i molteplici giochi dell’essere e della coscienza riflessiva. In discussione polemica con Ricoeur si è posto Enrique Dussel, dell’Università di Città del Messico, esponente di primo piano della filosofia della liberazione, di cui è stato uno degli iniziatori. Questi ha messo in evidenza la specificità della filosofia della liberazione rispetto alla stessa teologia della liberazione e alle filosofie dell’occidente: quelle di Gadamer, Habermas, Apel, Lévinas. La rilettura dei testi di Marx operata dalla filosofia della liberazione muove dal presupposto che il tema del Capitale non sia il capitale, bensì la miseria, il povero, il non-uomo. Conseguentemente Dussel pone l’esigenza che la filosofia diventi “economia”, rivolgendosi alla relazione interumana di base, che a suo dire non è mera produzione di materiali-merci, ma è al tempo stesso relazione etica, spirituale, linguistica, politica. Paul Ricoeur ha infine preso la parola per sottolineare la presenza del rapporto filosofia-liberazione nel pensiero della nostra tradizione, le cui tappe essenziali da Spinoza all’evento della Rivoluzione francese, alla nascita del contrattualismo sino ad oggi, hanno rappresentato un cammino di lenta, ma decisa affermazione dell’idea di democrazia contro ogni sacralità del dominio sull’uomo. Certamente Ricoeur ha più a cuore la dimensione etica dell’ermeneutica, che non la sua riduzione ad un’economia, alla quale egli guarda con esplicito sospetto. R.V.C. Nuove vie della filosofia Nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, André Jacob, dell’Università di Nanterre, ha tenuto dal 21 al 25 ottobre 1991 una serie di lezioni sul tema: Nuove vie della filosofia all’alba del III millennio. Dalla considerazione delle dieci diverse vie filosofiche che si sono dispiegate nel corso della storia, Jacob ha tratto le indicazioni per un nuovo percorso praticabile che, come via alla verità, eredita la funzione mediatrice del metodo, e permette all’uomo contemporaneo di superare l’ostacolo che si staglia sul suo cammino: il nihilismo, inteso da Jacob nella sua complessità di fenomeno culturale e sociale. Lo sforzo teoretico messo in atto da André Jacob consiste in un’assunzione di responsabilità rispetto all’opposizione tra la negazione nihilista e la tradizione da essa messa in crisi che individui una “terza posizione” in cui l’opposizione può essere superata. Questa via dell’esistenza alla ricerca di senso si dispiega come antropo-logica (etimologicamente: come logica dell’esistenza umana), come teoria generale dell’uma- no (del linguaggio, del comportamento, delle istituzioni). Fornendo indicazioni sulla forma d’esistenza a maggior contenuto di senso, essa permette anche di fondare l’etica; o meglio, permette d’individuare la forma d’esistenza in cui si potrà fondare un’umanità più compiuta. Come approccio all’umano nella sua generalità, la via antropo-logica supera la frammentarietà delle scienze umane. Il suo campo si origina a partire dall’opposizione lamarckiana individuo-ambiente. Come logica, essa è com-prensione del processo dell’umano a partire dall’individuazione che apre a uno spazio-tempo-materia che diviene senso. La logica dell’esistenza umana s’induce per omologia dalla logica del linguaggio, derivante da quella che Jacob chiama la “linguistica operativa” di Guillaume. Infatti, per via del carattere trascendentale del linguaggio, mediatore universale dell’esperienza umana, l’operatività linguistica offre il modello di un individuo che ha la possibilità di sollevarsi da un livello di particolarità ad uno di universalità. Inoltre, l’istanza di discorso che unifica sul piano della sincronia il processo discorsivo funge da modello dell’ “istante fondatore” del soggetto (su-jet); istante che permane nella “temporalizzazione” in cui il soggetto stesso si costituisce. L’operatività linguistica comporta però sempre, nella sua diacronicità, la possibilità di un’eccedenza rispetto alla lingua intesa come sistema sincronicamente definito; pertanto essa offre anche il modello di un individuo che preserva la propria singolarità dall’ “assoggettamento” ad un sistema impersonale. Sono quindi distinguibili tre campi in cui può articolarsi lo spazio-tempo-senso. Dall’individualità si può svolgere un processo verso l’assoggettamento alla legge da parte di un “ego” che resta al sicuro, chiuso nella staticità (la sfera ne è rappresentazione efficace). Diviene anche com-prensibile il rischio di una dissoluzione e-motiva dell’individuo nel cosmo, anticipazione della morte, che è riduzione al piano puramente biologico. Infine si può comprendere la possibilità di un processo umanizzante: la “personalizzazione” di un soggetto (su-jet) sempre “da fare”, caratterizzato dall’essere in relazione di co-operazione e dia-logo con l’Altro. Questo soggetto teoretizzante si libera da ogni condizionamento immediato dell’ambiente, elevandosi ad un universale interculturale, a un “modello antimodello”. Il cono capovolto, come immagine della relazione fra individuale e universale, rappresenta efficacemente un soggetto in tal modo costituito il cui carattere “dia-tropico” ha la proprietà del superamento dinamico delle dualità, evitandone però l’empasse del logocentrismo eurocentrico, incapace di restituire la ricchezza e la flessibilità del “tropos” (figura, gesto, giro) con le e-voluzioni, ma anche con la sov-versività e la con-versità che ne possono derivare. L’etica, come ritrovamento della dimora CONVEGNI E SEMINARI (ethos) dell’umano, ricava dall’antropologica i principi dell’autonomia e dell’interrelazione. Superando la chiusura coscienzialistica della morale, l’etica, come ricerca di uno spazio-tempo pienamente umano, ha di mira non il Bene, ma la riconfigurazione dei rapporti intersoggettivi, in cui siano salvaguardate le esigenze dell’aristos e del demos. Il superamento dell’interiorismo della morale comporta anche un’indispensabile riferimento all’agire politico. Alla luce di queste indicazioni antropologiche Jacob ha suggerito una lettura dell’attuale situazione internazionale. La cattura del soggetto nell’etero-nomia, realizzatasi con i totalitarismi di questo secolo, si ripresenta oggi con la chiusura che accompagna l’affacciarsi dei particolarismi (razzismi, nazionalismi, localismi). Ma Jacob ha voluto anche mettere in guardia dalla cattura economica che costringe l’individuo della società dei consumi entro l’arco ferreo dello stimolo-risposta. La spersonalizzazione conseguente alla perdita della distinzione tra fine e mezzo comporta una privazione di senso, un’involuzione dello spazio-tempo-senso a spazio-tempomateria. G.L. Da Vienna a Napoli: il viaggio di Lessing in Italia Il 30 ottobre 1991, nel Teatro di corte di Palazzo Reale in Napoli, Mario De Cunzo, Gerardo Marotta, Paul Raabe, Lea Ritter Santini e Nicola Spinosa hanno inaugurato la mostra: Da Vienna a Napoli in carrozza. Il viaggio di Lessing in Italia. Era presente S. E. Friedrich Ruth, Ambasciatore della Repubblica di Germania in Italia. La ricca esposizione è stata completata da un Convegno Internazionale di Studi, tenutosi dal 31 ottobre al 1 novembre 1991 a Palazzo Serra di Cassano, sul tema: Lessing e i suoi contemporanei in Italia, organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal Goethe Institut di Napoli. Nel suo intervento d’apertura Gonrad Wiedemann, uno degli studiosi più attenti di Lessing, ha messo in rilievo una sostanziale disomogeneità degli interessi di Lessing rispetto a quelli dei suoi più noti contemporanei. Il viaggio di Lessing appare radicalmente differente da quelli che successivamente intraprenderanno, per esempio, Goethe e Humboldt. Lessing non pare condividere il cliché, per altro molto diffuso nella seconda metà del XVIII sec., dell’Italia come Paese politicamente e culturalmente decaduto. Al contrario, riallacciandosi in qualche modo alla tradizione umanistica, Lessing si reca in Italia con l’intenzione di visitare una provincia della “Repubblica dei letterati”. Nonostante l’o- riginalità dell’approccio, il “diario” di viaggio non appare uno scritto particolarmente significativo: è sintomatico che l’attenzione di Lessing non sia stata richiamata, per esempio, da personaggi come Vico, Muratori o Beccaria. Paolo Chiarini ha riportato il dibattito su un piano più strettamente “germanistico”, mettendo in luce il carattere di opera sistematica aperta della Hamburgische Dramatugie, che segna un momento fondamentale dell’estetica tedesca, sottraendo la rappresentazione tragica alla tradizione dei canoni aristotelici. Ampio spazio è stato dedicato alle esperienze e ai colloqui “torinesi” di Lessing. A questo scopo Giancarlo Romagnani ha ricostruito il panorama della Torino intellettuale negli anni 1775-76, rilevando la presenza di tutta una letteratura che potremmo definire “sotterranea”, propria dei circoli segreti della massoneria. Carlo Ossola ha evidenziato l’influsso su Lessing della Bibliopea, pubblicata nel 1776 da Carlo Denina con l’intento di fornire un’esposizione dell’arte di comporre libri. Resta comunque certo che il confronto fra Lessing e la cultura torinese di quel periodo fu estremamente fecondo: a tal fine Lucetta Levi Momigliano si è soffermata sull’incontro tra Lessing e Giuseppe Vernazza, uno degli intellettuali italiani più prestigiosi del tempo. Un’analisi della letteratura critica più recente su Lessing, in particolare degli interventi di Wiedmann, Raabe e Grimm, pubblicati a metà degli anni 80, ha caratterizzato l’intervento di Gert Mattenklott. Wiedemann aveva espresso un giudizio sostanzialmente negativo del “diario” lessingiano, rimproverandogli un eccessivo interesse per l’erudizione libresca a discapito «delle impressioni esteriori, della loro varietà cromatica e della loro intensità sensoriale”. Raabe invece, basandosi principalmente su fonti epistorali, aveva proposto l’immagine di un Lessing fervidamente interessato alla realtà quotidiana, letteraria e scientifica del paese che visita, ma impossibilitato dalla prematura morte a comporre un’opera che rendesse conto di questo interesse. Mattenklott cerca di superare il contrasto tra i due studiosi, sostenendo l’impossibilità per Lessing di descrivere le proprie inmpressioni attraverso il genere del “diario”. Quello che appare come limite principale del “diario” di viaggio in Italia, in quanto miscellanea di scritti eruditi, diventa, semmai, il limite della concezione stessa che ha Lessing della dignità letteraria. Marta Cavazza ha invece evidenziato la curiosità scientifica e la passione bibliofila di Lessing. Tra i disparati testi acquistati in Italia per la biblioteca di Wolfenbüttel, la Cavazza ha menzionato la Philocentria, operetta di un ex-gesuita sul fenomeno di gravità, ed un lavoro sui fuochi di Pietramala, dovuto all’astronomo Francesco Bianchini. Stefan Mattuschek ha tracciato infine un interessante quadro del rapporto tra Vico e Lessing, che si sviluppa nel momento in cui lo scrittore tedesco si interessa al problema dell’educazione del genere umano e della filosofia del linguaggio. Per Vico come per Lessing è necessario immaginare la Provvidenza divina come l’istanza predominante per arrivare al concetto del genere umano: una Scienza Nuova della Bibbia. R.I. Pluralismo delle religioni Si è svolto a Torino nei giorni 18 e 19 Ottobre un convegno internazionale sul tema: Cristianesimo e Religioni. Filosofia e teologia di fronte alla sfida del pluralismo. Organizzato dall’Università di Torino, di Macerata e di Roma (Tor Vergata) e dalla redazione della rivista “Filosofia e teologia”, l’incontro ha tematizzato il problema del pluralismo religioso, sia come realtà sociologicamente rilevabile, sia come valore, di fronte alla pretesa di assolutezza e verità che le singole religioni, ma anche la filosofia e la teologia, portano inevitabilmente con sé. L’apertura dei lavori è stata affidata a M. Pagano (Torino), che ha delineato l’itinerario del convegno e la natura della posta in gioco. Individuando nella prospettiva dei lavori di J. Hick e di W. Pannenberg i due modelli più caratteristici di risposta filosofico-teologica al problema del pluralismo, Pagano ha richiamato il rilevante apporto della prospettiva teoretica di L. Pareyson, che riportando alla luce il carattere costitutivamente ermeneutico della filosofia e il suo radicamento nella verità, può offrire un modello di risposta ai problemi del pluralismo. J. Hick (Claremont, California), ha portato la discussione sul piano teologico, all’interno della prospettiva cristiana del rapporto tra cristianesimo e religioni mondiali (ebreismo, islam, induismo e buddhismo), individuando due ordini di problemi, inerenti cioè le istanze salvifiche e le istanze veritative delle religioni. Sotto il primo profilo, dopo aver definito in termini generali la nozione di salvezza come riscatto/ liberazione dal carattere insoddisfacente e imperfetto della vita umana, Hick ha mostrato l’impossibilità di un raffronto delle fedi sulla base della loro efficacia salvifica proponendo di pensare la salvezza come una realtà, non esclusivamente cristiana, che muovendo dall’Unica realtà trascendente influisce sulla vita umana attraverso differenti totalità religiose. Sotto il profilo veritativo i conflitti tra le religioni si situano a livello di credenze storiche, metafisiche e teo-logiche. Al primo livello le differenze interreligiose, componibili solo attraverso prove storiche, sembrano rimanere permanenti. Anche a livello metafisico le credenze in gioco non paiono componibili tra loro, perchè CONVEGNI E SEMINARI funzioni di un sistema più ampio centrato sulla concezione della Realtà Ultima, che, ed è il terzo livello, concepita personalmente o impersonalmente permane difficilmente accessibile nella sua relazionalità interreligiosa. Semmai si dovrà pensare la Realtà Ultima come realtà mai adeguatamente esprimibile in termini umani, realmente trascendente, capace tuttavia di una salvezza che passa proprio nelle forme storiche della risposta umana alla volontà salvifica. Pur ribadendo l’imprescindibile necessità del dialogo. Dal punto di vista della riflessione teologica cristiana W. Pannenberg (Monaco di Baviera) ha mostrato di considerare i conflitti di ordine veritativo presenti nelle varie religioni, in modo pregnante. Le domande poste in tal senso da Pannenberg si sono incentrate sulla realtà divina della fede cristiana, sul contenuto di salvazione delle altre religioni e sull’insegnamento per la religione cristiana proveniente dalla realtà divina di quest’ultime. Nelle risposte si è fatto riferimento sia alla polemica profetica che neotestamentaria circa le rappresentazioni antropomorfiche di Dio, ma anche all’idea paolina della confusione tra Creatore e creature, presente nelle religioni ellenistiche. Nell’accezione cristiana la salvezza non può non mantenere Cristo come unico criterio di salvezza che non esclude però coloro che, pur non partecipando della comunità storica della Chiesa, vivono secondo il messaggio di Cristo. W. Waldenfels (Bonn) ha ripercorso le tappe della biografia e della riflessione di Keiji Nishitani, uno dei più autorevoli rappresentanti della scuola di Kyoto, aperta a molteplici influssi culturali dell’occidente. Nishitani, definitosi “buddhista e cristiano in divenire”, approfondendo la nozione di vuoto, tipica di autori come Nagarjuna e anche dello Zen, ha incontrato il locus classicus cristologico della ekkenosis (farsi-vuoto) di Cristo nella kenosis essenziale di Dio, presentando così una suggestiva realizzazione dell’incontro tra cristianesimo e buddhismo. Parallelamente a questa apertura verso espressioni culturali e religiose dell’estremo oriente, Kh. Fouad Allam (Trieste) ha aperto una finestra sulle dinamiche, anche contradditorie, presenti nell’Islam contemporaneo e concernenti il riconoscimento del pluralismo religioso e la difesa dell’identità islamica. V. Melchiorre (Milano) e C. Geffrè (Parigi) hanno affrontato la questione delle condizioni teoriche ed ermeneutiche del dialogo dal punto di vista filosofico, il primo, teologico il secondo. Melchiorre ha preso le mosse dall’insanabile aporia della coscienza religiosa, la quale afferma i nomi molteplici del divino, da una parte, e insieme, dall’altra, anche «l’impossibilità di dire l’Ultimo Nome». Rileggendo alcune tappe cruciali della storia del pensiero da Anselmo a Gassendi, a Descartes, a Kant e a Hegel, Melchiorre ha inteso mostrare come ogni processo conoscitivo, che sempre parte dal finito, porti in sé la necessità della postulazione dell’Infinito o dell’Assoluto fondante. E’ nel simbolo e nel linguaggio metaforico del Sacro che si ritrova la composizione dell’ambivalenza di silenzio e parola, tipica dell’esperienza religiosa, capace di fondare la legittimità e l’esigenza di un pluralismo espressivo intorno alla Causa di tutte le cose. Riprendendo in prospettiva teologica la distinzione già introdotta da E. Schillebeeckx tra “pluralismo di fatto” e “pluralismo di diritto”, C. Geffrè ha posto la fondazione del pluralismo di diritto nella ricomprensione del rapporto tra Chiesa e Israele. La morte di Cristo, rompendo il diaframma tra Israele e “le Genti”, pone la Chiesa di fronte ad una salvezza, il cui compimento è nel Regno di Dio ed è capace di valorizzare pienamente le ricchezze autentiche presenti nelle altre tradizioni religiose. Infine G. Filoramo (L’Aquila) ha centrato l’attenzione sull’apporto offerto dalle Scienze Umane allo studio del rapporto religione/religioni. Dopo aver ripreso la questione epistemologica, egli ha evidenziato come la configurazione di una disciplina definibile come “Scienza delle Religioni” possa contemporaneamente salvare il dato molteplice delle religioni storiche e il pluralismo metodologico di approccio a un oggetto non riducibile ad unità. Filoramo ha poi ripreso la polemica, avviatasi negli anni ’60 tra un’accezione di Scienza della Religione erede del verstehen di Schleiermacher, Otto, Van del Leeuw, che considera la religione come realizzazione Villard de Honnecourt (XIII sec.) Il grande Architetto dell'Universo. (Bibliothèque nationale de Paris) del suo proprio Geist, e una prospettiva CALENDARIO CALENDARIO Nel quadro della propria attività, la Fondazione San Carlo di Modena ha organizzato, a partire dall’ottobre 1991, un ciclo di lezioni sul tema: Religioni in dialogo. Storia e attualità, che si protrarrà fino al marzo 1992. Il calendario delle relazioni è il seguente: 3 ottobre, A. Rizzi: “Il dialogo tra le religioni”; 17 ottobre, L. Caro: “Israele e i popoli della Bibbia”; 14 novembre, P. Sequeri: “Extra ecclesiam nulla salus? Dalla teologia medievale a Pico ed Erasmo”; 12 dicembre, G. Imbruglia: “Il cristianesimo nelle Americhe”; 16 gennaio, E. Mazza: “La liturgia dopo il Concilio di Trento. Dai riti-spettacolo alla pastorale liturgica”; 6 febbraio, G. Sorani: “La ‘Nostra Aetate’ e il dialogo cristianoebraico”; 27 febbraio, M. Introvigne: “Nuove sette, nuovi sincretismi e ritorno al sacro”; 5 marzo, K. Fouad Allam: “L’Islam e l’Occidente”. Il 12 marzo le lezioni si chiuderanno con una tavola rotonda su “Il dialogo ecumenico in Italia verso il terzo Millenio” a cui partecipano M. Vingiani, S. Ribet e T. Valdam. Aperture al futuro. Le forme e la storia è il titolo di un ciclo di lezioni, che ha preso il via nell’ottobre 1991 e si protrarrà fino all’aprile 1992 con il seguente calendario: 25 ottobre, P. P. Portinaro: “Signum prognosticum. Meditazioni postkantiane sulla filosofia della storia”; 8 novembre, M. Cometa: “Soglie dell’abbandono. La secolarizzazione della pazienza nella letteratura tedesca contemporanea”; 22 novembre, S. Vegetti Finzi: “Il doppio tempo dell’attesa. Tempo biografico e tempo biologico nel ‘mettere al mondo”; 6 dicembre, G. Bompiani: “In attesa dell’occasione. Due forme della temporalità”; 14 febbraio, A. M. Iacono: “Futuro, ciclo, evoluzione, apocalisse”; 14 febbraio, C. Grottanelli: “La prognosi tra divinazione e profezia. Grecia natica e mondo biblico”; 23 marzo, A. Placanica: “Futuro temuto-futuro sperato. Coerenze e mutazioni nel paradigma della fine”; 10 aprile, A. Prosperi: “Fine del mondo-conquista del mondo. Ascesa e crisi del profetismo apocalittico nell’età delle scoper te”.Venerdì 11 ottobre 1991, Albano Biondi e Massimo Cacciari hanno presentato il De Vita di Marsilio Ficino (a cura di A. Biondi e G. Pisani, Ed. Biblioteca dell’immagine).Sabato 30 novembre 1991 è stato presentato il libro di Pier Cesare Bori, Per un consenso etico tra culture (Marietti, Genova 1991): al dibattito con l’autore sono intervenuti Guglielo Forni e Mohamed Kerrou. Un seminario di studio su: Alfred Schutz. Le strutture del mondo della vita, è annunciato per gennaio-marzo 1992. Questo il calendario degli interventi: 15 gennaio, E. Melandri: “Alfred Schutz e i rapporti tra sociologia e fenomenologia”; 3 febbraio, R. Bodei: “Transiti: i confini del mondo della vita”; L. Muzzetto: “La ‘werelation’ come fondamento dell’intersoggettività”; 4 marzo, L. Sciolla: “Strutture di rilevanza e mondo della vita”. Sempre per gennaio-marzo 1992 è annunciato un seminario di studio sul tema: Non violenza e jihad nella cultura e nella storia islamica, a cui parteciperanno Khaled Fouad Allam e Bianca Maria Amoretti Scarcia. ● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via S. Carlo, 5, 41100 Modena, tel. 059/222315 Si è tenuto l’8 e 9 ottobre 1991 presso l’Università di Essen un convegno sul tema: Est-Ovest oggi: contro la coazione al metodo nelle scienze dello spirito, organizzato dall’editore “Die Blaue Eule”. Sono intervenuti: N. Thon, R. Maiwald, J. Klein, K. R. Wagner, K. Bering, A. Steffens, A. Rooch, J. Fellsche, E. Lehmann, G. Zimmermann, E. Reckwitz e R. Heinz. ● Informazioni: Verlag Die Blaue Eule, Aktienstr. 8, D-4300 Essen 11. Si è svolto dal 16 al 18 ottobre 1991 a Weilburg un convegno sul tema: Princìpi cognitivi per l’ordinamento e la rappresentazione del sapere. ● Informazioni: P. Jaenecke, SEL Alcatel, Ostendstr. 3, D-7530 Pforzheim. Il 24 e 25 ottobre 1991 si è tenuto a Greifswald un convegno sul tema: Linguaggio e atto del parlare: strutture e funzioni, norme, valori e azione. ● Informazioni: D. Bastian, Institut für Deutsche Philologie, ErnstMoritz-Arndt-Universität, Bahnhofstr. 46-47, D-2200 Greifswald. Si è tenuto a Monte Livata (Subiaco/ RM), nei giorni 28-30 ottobre 1991, un convegno su: Il problema del fondamento e la filosofia italiana del Novecento, organizzato dal Centro per la Filosofia Italiana. Questo il programma degli interventi: V. Mathieu: “L’atto come fondamento”; A. Masullo: “Il fondamento e il tempo”; F. Bosio: “La razionalità discorsiva e il problema del fondamento nel pensiero italiano contemporaneo”; A. Capizzi: “La scelta come fondamento”; E. Severino: “Elenchos”; E. Baccarini: “Il fondamento nel pensiero di E. Severino”; F. Prini: “Fondamento e finalità”; F. Rivetti Barbò: “Un dibattito sui fondamenti conoscitivi in Italia”; P. Miccoli: “Il fondamento: tirannia o seduzione del filosofare?”; G. Vattimo: “Il fondamento secolarizzato”; G. Carcaterra: “Il problema del fondamento nella filosofia morale del ‘900 in Italia”; S. Moravia: “Esperienza vissuta e morale”; B. Lauretano: “Il problema dello sfondamento”; I. Mancini: “Filosofia della religione: il fondamento”; F. Barone: “Il problema del fondamento e la filosofia della scienza”; A. Pieretti: “Fondamento e linguaggio: un problema aperto”; R.D. Brienza: “L’uomo e la sua formazione: il fondamento tra troppo e il troppo poco di semanticità”. ● Informazioni: Centro per la Filosofia Italiana, viale Piave 79, 00040 Tor San Lorenzo (RM), tel. 06/9103741 I giorni 18 e 19 ottobre 1991, presso il Centro Culturale San Fedele di Milano, è stato organizzato dall’Associazione Hans Urs von Balthasar, in collaborazione con l’Editoriale Jaca Book e l’Editrice Morcelliana, un convegno di studi sul tema: Solo l’amore è credidibile. Hans Urs von Balthasar, una teologia dagli spazi illimitati. Hanno preso la parola: P. Henrici: “La formazione culturale e teologica di H. Urs von Balthasar; R. Vignolo: “Gloria, una rilettura dell’estetica teologica; G. Dalmasso: “Teologica: la verità ‘di’ Dio”; G. Sommavilla: “Balthasar in Italia: la testimonianza di un traduttore”; E. Guerriero: “L’estremo amore di Dio nella gloria del suo morire: Teodrammatica”; J. Servais: “L’Istituto S. Giovanni e la Casa Balthasar”; A. Sicari: “Maria, Pietro e Giovanni, figure della Chiesa. L’ecclesiologia di H. Urs von Balthasar”. ● Informazioni: Associazione Hans Urs von Balthasar, Via S. Simpliciano 7, 20121 Milano Organizzato dalla rivista “Nuova Secondaria”, il 28 e 29 ottobre 1991, presso la Camera di Commercio di Brescia, si è tenuto il corso nazionale di aggiornamento: “Filosofia” e “Filosofia di”. Ruolo e funzioni della filosofia nella nuova scuola secondaria. Relazioni di E. Agazzi, D. Antiseri, G. Giorello, M. Perniola, N. Matteucci, F. D’Agostino, A. Rigobello, I. Mancini, G. Acone, E. Berti, C. Sini. ● Informazioni: Editrice La Scuola, Ufficio corsi e convegni, Via Cadorna 11, Brescia I giorni 1 e 2 novembre 1991, il Centro Internazionale di Studi di Estetica ha tenuto a Palermo un seminario dal titolo: Laocoonte 2000, in occasione della pubblicazione del Laocoonte di Lessing, promossa dallo stesso Centro. Si segnalano le relazioni di B. Andreae: “Perchè il prete Laocoonte è così grande in confronto ai suoi figli e per quale motivo ha i capelli scomposti e irsuti?”; Giorgio Cusatelli: “Laokoon: un gesto; e Vittorio Fagone: “Laocoonte: un «errore necessario»?”. ● Informazioni:Centro Interna-zione Studi di Estetica, Viale delle Scienze, 90128 Palermo, tel. 091/6560274 Si è svolto dall’1 al 3 novembre 1991 a Bad Boll un convegno su: Simone Weil pensatrice politica. CALENDARIO ● Informazioni: Evangelische Akademie, Akademieweg 11, D-7325 Bad Boll. E’ iniziato il 5 novembre 1991 ad Amburgo un ciclo di seminari sul tema: Caos e sistema. ● Informazioni: Evangelische Akademie Nordelbien, Esplanade 15, D2000 Hamburg 36. Si è tenuto il 6 e 7 novembre 1991 presso l’Università di Osnabruck un convegno sul tema: Redenzione attraverso la rivelazione o la conoscenza? Sul risveglio della gnosi. ● Informazioni: Prof. Dr. Georg Untergassmair, Universität Osnabrück, Fachbereich Katholische Theologie, Driverstr. 26, D-2848 Vechta. La Casa della Cultura di Milano, nel quadro della sua attività seminariale, organizza a partire dal novembre 1991 una serie di incontri sul Pensiero inventivo. La fabbrica della cultura, a cura di Psòmega, che si articoleranno secondo il seguente calendario: 6 novembre, M. Bonfantini: “Il Pragmatismo è un umanesimo?”; 6 dicembre, M. Bertoldini, C. Talamo: “L’atto progettuale”; 24 gennaio, M. Bonfantini, M. Ferraresi, L. Marconi: “Le semiotiche speciali”; 14 febbraio, M. Bonfantini, A. Ponzio: “Dialogo della menzogna”; 16 aprile, M. Macciò: “Freud e il comunismo”; 30 aprile, R. Satolli, F. Terragni: “Bioetica ed ecopolitica”; 14 maggio, G. Neri, R. Valtorta, M. Ferraresi, M. Finazzi: “Futuro e immagine”; 28 maggio, G. Liguori, G. Stocchi: “Da sogni e da città”. Martedì 10 dicembre ha inoltre avuto luogo una tavola rotonda con la partecipazione di M. Cacciari, M. Ferraris, C. Formenti, R. Madera, M. Spinella, sul tema: Miti e misteri del mondo laico. La discussione ha preso spunto dalla pubblicazione del libro di Carlo Formenti: Piccole apocalissi. Tracce della divinità nell’ateismo contemporaneo (Cortina editore, 1991). ● Informazioni: Casa della Cultura, Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567 Il Club dei Club e il Laboratorio Riformista, insieme alla rivista “Il Bianco e il Rosso” e con la collaborazione scientifica del Centro studi Politeia di Milano, hanno organizzato un convegno sul tema: Etica laica ed etica cattolica a confronto. Valori, Cultura e Politica, che si è svolto al Palazzo delle Stelline di Milano nei giorni 8 e 9 novembre 1991. Il primo giorno, il tema “Laicità e religiosità nel mondo secolarizzato” è stato discusso da H. T. Engelhardt Jr., M. Mori, A. Bausola; è seguita una serie di interventi di studiosi, mentre le conclusioni sono state tratte da S. Veca e F. Forte. Il secondo giorno del convegno, alla tavola rotonda sul tema: “Dopo i comunismi: politica e valori in Italia e in Europa”, hanno pertecipato P. Carniti, C. Martelli, M. Martinazzoli, G. Napolitano; le conclusioni sono state di G. Spadolini. ● Informazioni: Politeia, Via Brera 18, Milano, tel. 02/877873 Il giorno 11 novembre 1991, presso l’Aula Absidale di Santa Lucia in Bologna, il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e l’Università di Bologna hanno organizzato una giornata di studio e dibattito per presentare la ricerca: Come finanziare l’istruzione universitaria, realizzata dal Centro Politeia di Milano. L’analisi della situazione del diritto allo studio e le nuove proposte di intervento, quali i prestiti di studio, sono stati dibattuti in una serie di interventi di docenti, sindacalisti e uomini politici. Relazioni di: A. Visalberghi: “Uno sguardo al panorama internazionale”; A. Martinelli, V. Capecchi e A. Zuliani: “Gli aspetti sociologici: gli effetti sulla composizione sociale degli studenti, gli sbocchi professionali dei laureati”; G. Mazzocchi e F. Cavazzutti: “Gli aspetti economici: effetti sulla finanza pubblica, problemi di equità e di efficienza”. ● Informazioni: Politeia, Via Brera 18, 20100 Milano, tel. 02/877873 Il giorno 14 novembre 1991, l’Università degli Studi di Milano, in occasione del centenario della nascita di Antonio Banfi ha inaugurato un ciclo di letture intitolate al nome del filosofo, che verranno tenute annualmente da illustri studiosi italiani e stranieri. Per l’anno accademico 1990-91, Norberto Bobbio ha parlato sul tema: La filosofia della storia oggi. ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi di Milano, Via Festa del Perdono 7, 20122 Milano, tel. 02/58352733 Si è svolto il 14 novembre 1991 a Norimberga un convegno su: La conoscenza di sé e la notte della colpa. Giovanni della Croce e la mistica della liberazione. ●Informazioni: C. Pirckheimer Haus, Königstr. 64, D-8500 Nürnberg 1. Il 16 novembre 1991 si è tenuto a Karlsruhe un convegno su: L’uomo, centro della creazione. Sulla visione della vita e del mondo di Albert Schweitzer. Interventi di Claus Günzler (Karlsruhe), Hans H. Jenssen (Berlin) e Hans-Joachim Werner (Karlsruhe). ● Informazioni: Katholische Akademie der Erzdiözese Freiburg, Postfach 947, D-7800 Freiburg, tel. 0761/19180. Si è svolto a Heidelberg, il 16 e 17 novembre 1991, un convegno dedicato al tema: Fenomenologia e filosofia della natura, cui hanno partecipato Eberhard Avé-Lallement (Monaco), Heribert Nobis (Monaco) e Bernhard Rang (Friburgo in Brisgovia). ● Informazioni: Katholische Akademie der Erzdiözese Freiburg, Postfach 947, D-7800 Freiburg, tel. 0761/19180 L’Accademia Cattolica di Treviri ha organizzato, dal 21 al 23 novembre 1991, un convegno su: Libertà e giustizia: due principi contrastanti nell’attività economica? ●Informazioni: Katholische Akademie Trier, Postfach 2330, D5500Trier Nel novembre 1991 ha preso il via, a cura degli Editori Laterza e della Fodazione Sigma Tau, un ciclo di conferenze dal titolo: Lezioni italiane, che studiosi di fama internazionale terranno in diverse Università italiane. Il programma per il 199192 è il seguente: 21-22 novembre, Università ‘La Sapienza’ di Roma Wolf Lepenies: “Ascesa e caduta dell’intellettuale in Europa”; 11-13 dicembre, Università degli Studi Milano - John Barrow: “Perchè il mondo è matematico?”; 16-18 dicembre, Università degli Studi di Bologna Francisco Varela: “Un know-how per l’etica”; 17-18 gennaio, Università ‘La Sapienza’ di Roma - Francesco Corrao: “Modelli psicoanalitici”; 1214 febbraio, Università degli Studi di Milano - Ilya Prigogine: “Le leggi del caos”; 24-26 marzo, Università ‘La Sapienza’ di Roma - Hilary Putnam: “Il Pragmatismo, una questione aperta”; 7-9 aprile, Università degli Studi di Milano - Aldo Giogio Gargani: “Il testo del tempo”; s.g. novembre 1992, Università ‘La Sapienza’ di Roma Jean Starobinski: “Aspetti del dono”. ● Informazioni: Fondazione SigmaTau, P.zza S. Ignazio 170, 00186 Roma, tel. 06/6783458. La Heimvolkshochschule St. Jakobushaus di Goslar ha organizzato dal 25 al 29 novembre 1991 un seminario di introduzione alla filosofia dedicato al tema: Verità e realtà. ● Informazioni: Heimvolkshochschule St. Jakobushaus, Reusstr. 4, D-3380 Goslar. Il 27 novembre 1991, presso la Sala del Guariento dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere e Arti, è stata organizzata dall’Università degli Studi di Padova una giornata di studio: Luigi Stefanini (18911956). Nel centenario della nascita. Dell’opera e del pensiero del filosofo hanno parlato: G. M. Pozzo: “Stefanini maestro”; P. Prini: “Il pensiero di Luigi Stefanini”; G. Flores d’Arcais: “L’estetica e la pedagogia di L. Stefanini”. Nell’occasione sono stati presentati l’edizione di due opere: L. Stefanini, Platone (2 voll., CEDAM, Padova 1991) e Dialettica dell’immagine. Studi su l’ “Imaginismo” di L. Stefanini (A cura dell’Associazione Filosofica Trevigiana, Marietti, Genova 1991). ● Informazioni: Accademia Patavina di Scienze Lettere e Arti, Via Accademia 7, Padova, 049/655249 Si è svolto il 29 e 30 novembre 1991 presso l’Accademia cattolica ‘Die Wolfsburg’ a Gelsenkirchen un corso filosofico di base sul tema: Simone Weil: mistica e filosofia del quotidiano. ● Informazioni: Katholische Akademie Die Wolfsburg, Virchowstr. 120, D-4650 Gelsenkirchen. Il giorno 30 novembre 1991, a cura delle Università ‘La Sapienza’ e ‘Tor Vergata’ di Roma, si è tenuto presso il Dipartimento di Filosofia e di Teoria delle Scienze Umane un colloquio sul tema: Prospettive del Realismo. Hanno preso la parola: A. Stroll: “Reflection on Surfaces”; P. Bozzi: “E’ la percezione una facoltà ‘psichica’?”; H. Hochberg: “Russell’s Hypothetical Realism”; F. Restaino: “Realismo senza fondamenti”; B. Mac Guinness, “Truth, Time and Deity”; G. Frongia, “Può lo scetticismo essere confutato?” ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane, Via Magenta 5, 00100 Roma L’Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Napoli, ha organizzato, nei giorni 2 e 3 dicembre 1991, un convegno dal titolo: Ricordo di Pietro Piovani (1922-1980). Sono intervenuti G. Galasso: “Presentazione del volume di autori vari: L’opera di Pietro Piovani (Napoli 1991); E. Opocher: “La filosofia del diritto di P. Piovani e il pensiero di Capograssi”; V. Mathieu: “P. Piovani e il diritto naturale”; M. A. Cattaneo: “Alcune considerazioni su giusnaturalismo, giustizia e sentimento del diritto naturale”; P. Rescigno: “Le ‘situazioni’ del diritto”; A. Giuliani: “Attualità del vichismo di P. Piovani”; A. Tarantino: “Dalla natura delle cose sto- CALENDARIO riche al principio di effettività”; G. Marino: “Filosofia della legge e il positivismo della scienza”; G. Martano: “L’ars poetica oraziana nella germinazione del pensiero vichiano”; A. Masullo: “La difettività del fondamento”; G. Calabrò: “Incontro con Montaigne”; M. Agrimi: “Ancora sul Vico di Piovani”; D. Corradini: “La norma e le norme: il problema dell’intersoggettività e del riconoscimento; A. Agnelli: “Filosofia politica e filosofia monastica: la scelta vichiana di P. Piovani”. Dal 12 al 14 dicembre 1991 l’Istituto Suor Orsola Benincasa ha organizzato un convegno sul pensiero di Augusto del Noce. Il convegno è stato articolato per aree tematiche e ha visto la partecipazione di circa trenta studiosi, impegnati in sei tavole rotonde. Per la sezione: “Il problema dell’ateismo”, hanno preso la parola M. Cacciari: “Il ‘problema dell’ateismo’”; S. Natoli: “Salvare il tempo e dominare l’evento? Ateismo e modernità nel pensiero di A. Del Noce”; A. Rigobello: “Male e giustizia in A. Del Noce”; M. M. Olivetti: “Status naturae lapsae e ateismo nel costituirsi della filosofia moderna”; R. Buttiglione: “Il rapporto tra Filosofia e Teologia e la questione del cristianesimocome problema fondamentale della filosofia moderna nel pensiero di A. Del Noce”. Per la sezione: “Del Noce e il Marxismo”, hanno parlato E. Berti: “la dialettica nel pensiero di A. Del Noce”; S. Azzaro: “Marx, Gramsci, Gentile”; R. De Mattei: “A. Del Noce e il suicidio della rivoluzione”; G. Cotroneo: “Il ‘cattolicesimo comunista’”; V. Strada: “Il marxismo nell’interpretazione di Del Noce”. Per la sezione:”Gnosticismo e utopia”, hanno parlato L. Pellicani: “Del Noce e lo gnosticismo rivoluzionario”; A. Andreatta: “Su alcune riflessioni delnociane in tema di utopia”; T. Perlini: “L’influenza del pen- siero russo sulla riflessione delnociana”; G. Riconda: “Del Noce e il pensiero esostenziale russo”; M. Quaranta: “A. Del Noce o della Ragion divisa”. Per la sezione: “Del Noce e la critica dell’idea di modernità”, hanno preso la parola L. Colletti: “Del Noce e la critica della civiltà moderna; S. Maffettone: “Scienza moderna e riflessione critica nel pensiero di A. Del Noce”; A. Zanfarino: “Politica e critica della modernità”; A. Agnelli: “Il giudizio sul Risorgimento come misura dei filosofi italiani del Novecento per A. Del Noce”; G. Calabrò: “Cartesio e la crisi libertina nell’interpretazione di A. Del Noce”. Per la sezione: “Del Noce e l’interpretazione di Gentile”, hanno preso la parola A. Negri: “Del Noce, Gentile e l’interpretazione transpolitica della storia contemporanea”; V. Possenti: “Il Gentile di Del Noce”; B. De Giovanni: “L’interpretazione del pensiero di Gentile”; R. De Felice: “La storia contemporanea nella visione di A. Del Noce alla luce delle ultime vicende del comunismo”; P. Prini: “Rosmini, Gioberti, Gentile e il senso della filosofia del Risorgimento secondo Del Noce”. Infine per la sezione: “Del Noce filosofo della politica italiana”, hanno parlato C. Vasale: “Il problema di Del Noce come ‘problema Del Noce’. Appunti e spunti per una interpretazione politica del suo pensiero politico”; L. Russi: “Del Noce storico delle dottrine storiche. (1970-75)”; D. Castellano: “A. Del Noce e il problema della definizione di ‘destra’”; G. Galasso: “La lettura gramsciana di Del Noce”. Prosegue intanto il corso di aggiornamento e perfezionamento in discipline storico-filosofiche per l’anno accademico 1991-92, dal titolo: Dal criticismo allo storicismo. Storia della Storiografia Filosofica, che l’Istituto Suor Orsola Benincasa organizza dal novembre 1991 all’a- prile 1992. Ecco il calendario delle lezioni: 25 novembre - V. Mathieu: “Il criticismo kantiano (I)”; 26 novembre - V. Mathieu: “Ilcriticismo kantiano (II)”; 5 dicembre - C. Cesa: “Fichte: la dottrina della scienza”; 9 dicembre - G. Moretto: “Schleiermacher e i nuovi orizzonti della filosofia della religione”; 17 dicembre F. Moiso: “Schelling: dalla filosofia della natura all’idealismo trascendentale”; 9 gennaio - B. Forte: “Teologia e filosofia della storia: un dibattito ‘moderno’”; 13 gennaio - V. Verra: “Hegel: dalla Fenomenologia all’Enciclopedia”; 21 gennaio - C. Cesa: “Le vie dell’hegelismo”; 28 gennaio - C. Fabro: “Kierkegaard oggi”; 4 febbraio - G. Riconda: “Schopenhauer: volontà e rappresentazione”; 11 febbraio - L. Colletti: “Marx e la concezione materialistica della storia”; 18 febbraio - E. Rambaldi: “Feuerbach: umanesimo e critica della religione”; 25 febbraio - G. Vattimo: “Nietzsche: morte di Dio e rovesciamento dei valori”; 5 marzo - A. Negri: “La scienza della società: Comte e Spencer”; 10 marzo - V. Cappelletti: “Darwin: tra storia della vita e storia dell’uomo”; 17 marzo - G. Oldrini: “La cultura napoletana dell’Ottocento e l’Europa (I)”; 18 marzo - G. Oldrini: “La cultura napoletana dell’Ottocento e l’Europa (II)”; 24 marzo - F. Barone: “La crisi delle scienze empiriche”; 1 aprile - S. Mastellone: “Il pensiero politico dell’Ottocento tra liberalismo e democrazia”; 7 aprile - A. Trione: “L’estetica di Francesco De Sanctis”; 29 aprile - F. Tessitore: “Il sapere storico: filologia e metodologia delle scienze storiche”. ● Informazioni: Istituto Suor Orsola Benincasa, C.so Vittorio Emanuele 292, Napoli Il 7 e 8 dicembre 1991, presso il Centro Culturale Polivalente di Cat- tolica, ha avuto luogo un convegno dal titolo: Elogio della Politica, organizzato dalla Biblioteca Comunale in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Alla discussione, cui faceva da moderatore Beniamino Placido, sono intervenuti: R. Bodei, A. Bolaffi, G. Carandini, G. Carbone, U. Galimberti, A. Giolitti, D. Losurdo, A. Manzella, G. Marramao, S. Vertone. ● Informazioni: Centro Culturale Polivalente, Piazza della Repubblica 2, 47033 Cattolica (FO), tel. 0541/ 967802. Dal 9 al 12 dicembre 1991, l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, in collaborazione con il Centro Internationale di Studi Semiotici e Cognitivi, ha organizzato nella sede della Biblioteca di Stato un seminario sul tema: Semantic Theory. Relazioni di C. Fillmore: “Integrating Lexical Semantics and the Semantics of Grammar”; M. Bierwisch: “Semantic Form as an Interface between Grammatical and Conceptual Structure”; G. Nunberg: “Deixis and Property Transfer: The Varieties of Deference”; B. Shanon: “The Place of Semantic Repre-sentation in Cognitive Theory”; A. Caramazza: “The Dissolution of Meaning in Brain Damage”. ● Informazioni: Università di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516 Martedì 10 dicembre 1991, presso l’aula magna dell’Università degli Studi di Pavia, in occasione della presentazione della traduzione italiana del libro di Michel Mayer, Problematologia. Filosofia, scienza e linguaggio (Pratiche Editrice, Parma 1991), l’autore, presentato da Livio Rossetti, ha tenuto una conferenza sul tema: Passioni e identità personale. ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI Palazzo Serra di Cassano - Via Monte di Dio, 14 - 80132 Napoli 9-12 dicembre Giancarlo Rota (M.I.T. Boston) Phenomenology and the foundations of mathematics The axiomatic method and the hermeneutic circle in mathematics - The problem of existence of mathematical constructs - Invention and discovery in mathematics Mathematization as the ideal of the science. 16-20 dicembre F. Jarauta, E. Trias, F. Savater A. Gonzales, J. I. Linazasoro Pensamiento español contemporaneo España, o la historia de una incertidumbre - Exilio occidental y viaje a Oriente - Amor proprio y libertad. Los paradojas de la ética - «La noche española». España como metaforta del exceso en el arte del siglo XX - El espacio interiorizado. Un analisis y una propuesta. 7-10 gennaio Gianfranco Poggi (Uni. Virginia) La Filosofia del denaro di Simmel La Filosofia del denaro: contesti della genesi dell’opera - Azione sociale, agire economico, spirito oggettivo La natura del denaro - La società moderna nel prisma del denaro. 7-11 gennaio Adriaan Peperzak (Amsterdam) Il superamento delle tradizioni antiche e moderne nella filosofia pratica di Hegel La filosofia del diritto di Hegel come trasformazione della Repubblica di Platone - Elementi aristotelici nella filosofia hegelianan della prassi Hegel contra Hobbes e Rousseau - La recezione hegeliana dell’etica trascendentale kantiana - La prassi secondo Hegel e Heidegger. 13-16 gennaio Aldo Masullo (Napoli) Il sogno tra Medioevo e Rinascimento Il sogno nella tarda antichità - Le visioni: sogno e sognatori nelle fonti letterarie e nell’iconografia medievale - La «natura» nel sogno: l’incubo e le metamorfosi - Il sogno del sogno: i labirinti di Poliphilo -Il sogno e i sogni: dal testo all’immagine. Fenomeno-patia del tempoed etica della salvezza 27-30 gennaio Girolamo Cotroneo (Messina) Il tempo fenomeno-logico e il paradosso della fattualità - L’ermeneutica della fattualità e il paradosso del tempo - La fenomeno-patia del tempo - Il tempo fenomeno-patico e l’etica della salvezza. Benedetto Croce dalla politica all’etica 20-24 gennaio Patrizia Caselli (Pisa) 3-7 febbraio Carlo Sini (Milano) La riscoperta della politica - Un liberalismo anomalo - Liberalismo, socialismo, democrazia - Il primato dell’etica. CALENDARIO ● Informazioni: Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi, B.go Carissimi 10, Parma Il 10 dicembre 1991 ha avuto luogo ad Amburgo, presso l’Accademia evangelica, un convegno, con la partecipazione della teologa Dorothee Sölle, sul tema: Il valore di mercato dell’etica. ● Informazioni: Evangelische Akademie Nordelbien, Esplanade 15, D2000 Hamburg 36, tel. 040/341264. Nei giorni 13 e 14 dicembre 1991 si sono tenute a Roma due giornate di studio su: La teoria generale dell’interpretazione di Emilio Betti. Al convegno, organizzato dall’Istituto di Teoria dell’Interpretazione e di Informatica Giuridica dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma e dal C.N.R., hanno partecipato: G. Benedetti: “Interpretazione dell’atto di autonomia privata tra teoria generale e dommatica. Un paradosso”; F. Bianco: “La ‘Teoria generale dell’interpretazione’ nel dibattito ermeneutico contemporaneo”; F. P. Casavola: “Emilio Betti tra storiografia ed ermeneutica”; G. Crifò: “La genesi della teoria dell’interpretazione di Emilio Betti”; J. Grondin: “L’universalité del l’herméneutique selon Emilio Betti”. ● Informazioni: Brunella Talarico, tel. 06/49910222 Si è tenuto il 13 e 14 dicembre 1991 presso l’Accademia cattolica ‘Die Wolfsburg’ a Gelsenkirchen un corso filosofico di base sul tema: Edith Stein: essere finito ed essere eterno nell’attimo. ● Informazioni: Katholische Akademie Die Wolfsburg, Virchowstr. 120, D-4650 Gelsenkirchen, tel. 0209/ 202499. Dal 29 dicembre 1991 al 4 gennaio 1992 si è svolto a Gerusalemme e Tel Aviv un convegno sul tema: Leibniz e Adamo. ● Informazioni: Prof. Dr. Marcelo Dascal, P.O. Box 296, 5500 Kiron, Israele. Mercoledì, 8 gennaio 1992 ha avuto inizio, nella sede della Fondazione Rosselli di Torino, un ciclo d’incontri, con riunioni mensili riservate a studiosi e ricercatori, su: Globalizzazione e la Triade: conflitto e cooperazione nell’attuale sistema internazionale. Agli incontri, coordinati da Miriam Campanella, sono stati invitati tra gli altri Susan Strange, Stuart Holland (Istituto Universitario Europeo di Firenze) e Pierre Allan (Università di Ginevra). La relazione introduttiva all’incontro inaugurale del ciclo è stata tenuta da James N. Rosenau (University of Southern California), che ha parlato sul tema: “La turbolenza nella politica mondiale”. ● Informazioni: Fondazione Rosselli, Via S. Quintino 18/c, 10121 Torino, tel. 011/541113 Il centro culturale ‘La Casa Zoiosa’ organizza per il 1992 nella propria sede di Milano una serie di corsi: Alle origini del cristianesimo: la cultura ellenica nei suoi rapporti tra giudaismo e cristianesimo, quattro incontri con Rizzardi (ogni martedì alle ore 20.30, a partire dal 14 gennaio); Scrittura letteraria, cinque incontri con A. Nociti (ogni giovedì, alle ore 20.30, a partire dal 16 gennaio); La cinematografia di Luis Buñuel, quattro incontri co R. Escobar (ogni lunedì, alle ore 20.30, a partire dal 20 gennaio); per la serie: Storia di luce tra ‘500 e ‘600: funzione e significati della luce nella pittura da Leonardo a Rembrandt: “Da Leonardo a Caravaggio”, quattro incontri con E. Cerchiari (ogni mercoledì, alle ore 20.30, a partire dal 5 febbraio), e “Il grand siécle in Francia, Spagna e Olanda”, quattro incontri con E. Cerchiari (ogni mercoledì, alle ore 20.30, a partire dal 4 marzo); La perfezione della distanza: quattro variazioni sul tema, quattro incontri con R. Ronchi (esercizi di lettura di poesia contemporanea, ogni martedì, alle ore 20.30, a partire dall’11 febbraio); Etica oggi. Tre generazioni di filosofi a confronto, incontro con L. Sichirollo, G. Bonacina, A. Burgio (lunedì 17 febbraio, alle ore 20.30); L’eredità che il pensiero filosofico del nostro secolo lascia al duemila, lezioni di P. Rossi, E. Severino, J. Petitot, I. Toth, H. G. Gadamer (ogni lunedì, alle ore 20.30, a partire dal 9 marzo). Per la partecipazione ai corsi è necessaria l’iscrizione. ● Informazioni: ‘La Casa Zoiosa’, C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano, tel. 02/6551813 A partire dal 15 gennaio 1992, la Fondazione Corrente organizza per l’anno 1992 un seminario permanente di filosofia dal titolo: Oggetti e forme del pensiero. Muovendo da ambiti di riflessione molto differenziati, la proposta è quella di “riprovare a fare filosofia”, ridar voce a questioni magari “vecchie”, comunque “fondamentali”, cercando di individuare percorsi dimenticati, indicare nuove strade, coniugare tradizione e invenzione. Il calendario degli incontri è il seguente: 15 e 22 gennaio, L. Magnani: “Conoscenza e matematica”; 29 gennaio e 5 febbraio, M. Prandi: “Volontà di comprendere”; 12 e 19 febbraio, G. Scibilia: “Decostruzione e costruzione”; 11 e 18 marzo, L. Bonesio: “L’apertura del- lo spazio estetico”. Gli atti degli incontri verranno pubblicati presso l’editore Guerini e Associati di Milano. ● Informazioni: Fondazione Corrente, via Carlo Porta 5, 20121 Milano, tel.02/6572627 Si è svolto dal 17 al 19 gennaio 1992, presso l’Accademia evangelica di Tutzing, un convegno su: Pensare nella costellazione. L’attualità di Walter Benjamin nel centenario della nascita. ● Informazioni: Evangelische Akademie Tutzing, Schlossstr. 2-4, D-8132 Tutzing, tel. 08158/2510. Dal 17 al 19 gennaio 1992, presso l’Accademia Evangelica del Palatinato, si è tenuto un convegno sul tema: Diritto e morale. Qualcosa di vecchio e di nuovo su un difficile rapporto. Scopo del convegno è di chiarire il complesso rappporto tra diritto e morale in una prospettiva filosofica, giuridica, politologica e teologica. ● Informazioni: Evangelische Akademie der Pfalz, Domplatz 5, 6720 Speyer, tel. 06232 109191. Viene spostato dal 3-6 ottobre 1991 al 13-16 febbraio 1992 il convegno di Ginevra sul tema: Giustizia sociale: pro e contro. ● Informazioni: Christine Tappolet, Département de Philosophie, Université de Genève, CH-1211 Genève 4. Si svolgerà a Urbino dal 2 al 4 marzo 1992 un convegno sul tema: Il giovane Nietzsche. Aspetti del suo pensiero e della sua opera con particolare attenzione al primo periodo di Basilea. ● Informazioni: Segreteria Convegno Nietzsche, Istituto di Lingue, Piazza Rinascimento 7, I-60129 Urbino. ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI Palazzo Serra di Cassano - Via Monte di Dio, 14 - 80132 Napoli Filosofia e scrittura La pratica del discorso tra oralità e scrittura - L’alfabeto e la nascita della logica - La tradizione della filosofia — La fine della metafisica e il futuro del pensiero - L’etica della scrittura e la pratica del foglio-mondo. 10-13 febbraio Alfonso Ingegno (Firenze) Malebranche. Dalla ‘Recherche de la vérité’ al ‘Traité de la natureet de la grâce’ Nasita e metamorfosi della Recherche de la vérité - La polemica con Foucher: una revisione decisiva - Traité de la nature et de la grâce - Da Malebranche a Vico. 10-14 febbraio Ettore Lojacono (Bruxelles) Descartes: la logica e il metodo. Problemi e ipotesi interpretative I manuali di logica della fine del XVI e dei primi decenni del XVII secolo Dalla logica al metodo - Le diverse proposte teoretiche cartesiane e il metodo in atto: dalle Regulae agli Essais (I e II) - Metodo e metafisica alla luce deu recenti contibuti di J. L. Marion. 9-13 marzo Bernard Besnier (Saint-Cloud) Conjectanea ad Timaeum pertinentia Le sens de la figure du démiurge - La psychologie (l’essence mixte de l’âme, ses deux facultés cognitives) L’astronomie: les mouvements de Venus et de Mercure - La formation des corps simples: a) signification des triangles élémentaires - La for- mation des corps simples: b) l’unification des corps simples dans un même: surmonter le désordre de la doxa. Nascita e decadenza del metodo scientifico - Dal metodo della scienza alla retorica degli scienziati - retorica e logica - Retorica e conoscenza. 23-27 marzo Reiner Wielh (Heidelberg) 30 marzo-3 aprile Giuseppe Orsi (Ist.It.St.Fil.) Caso e libertà Momenti di una filosofia dello spirito La negazione teologica del caso nell’etica di Spinoza - La revisione antropologica di caso e libertà nell’etica di Spinoza - Dei diversi significati di caso e necessità nella filosofia di Kant - Teologia e Libertà in Kant - Sguardi sull’attuale discussione circa il rapporto tra caso e necessità. 23-27 marzo Marcello Pera (Catania) Dal metodo della scienza alla retorica degli scienziati Poesia, filosofia, cristologia in Petrarca - Storia, verità, certezza in Vico - Spirito, logica, tempo in Hegel - «Natura», «natura umana», «alto sentire» in Leopardi - Spirito, espressione, memoria in Croce. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari L’insegnamento della filosofia attraverso i testi E’ possibile costruire un itinerario di attraversamento della filosofia che sappia congiungere l’attenzione per la riflessione specifica dei filosofi con il rinvio ai contesti culturali e alle correnti di pensiero, l’esposizione storicocronologica e il primato della lettura diretta dei testi? Il nuovo corso di filosofia: Il testo filosofico. Storia della filosofia: autori, opere, problemi (Edizioni Scolastiche Bruno Mondandori, Milano 1991), nato da un progetto collettivo elaborato da Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli ed Emilio Zanette, cerca di impostare l’insegnamento della filosofia secondo una pluralità di modelli e di prospettive, tutte convergenti però nel riconoscimento della centralità dei testi e nel tentativo di costruire le necessarie mediazioni per la loro interpretazione. Con l’apparizione del primo volume de Il testo filosofico, che riporta come titolo: L’età antica e medievale, prende avvio la pubblicazione di un nuovo corso per l’insegnamento della filosofia, destinato ad articolarsi attraverso altri due volumi, di cui il terzo, dedicato alla filosofia contemporanea, si articolerà a sua volta in due tomi. Le notevoli dimensioni dell’opera non devono indurre a pensare che gli autori si siano proposti l’obbiettivo di un’irraggiungibile esaustività sul piano dell’informazione. Si è cercato invece di costruire uno strumento che, pur compiendo alcune precise scelte, nel senso di privilegiare nella trattazione i “classici” del pensiero e le correnti fondamentali della filosofia antica, presenti tuttavia una notevole flessibilità di utilizzo e lasci ampio spazio alla costruzione di percorsi individuali nell’insegnamento. L’ampiezza del lavoro dipende inoltre dalla ricerca di conciliare il mantenimento di una struttura espositiva dei percorsi della filosofia con la lettura di un’ampia selezione di testi, integrata da un adeguato apparato esplicativo. Convinzione degli autori è che, se il testo filosofico costituisce il luogo privilegiato attraverso cui lavorare per raggiungere gli obbiettivi formativi e cognitivi dell’insegnamento della filosofia, «occorre tuttavia costruire le condizioni di accesso al testo stesso» e cioè «mettere a fuoco... gli elementi di contesto, storicoculturale e teoretico, necessari a collocare e a leggere ogni singolo testo; gli strumenti fondamentali di lettura e di interpretazione; le strategie argomentative e comunicative seguite dall’autore; il repertorio lessicale utilizzato dall’autore stesso». In questa prospettiva il testo dell’autore non è introdotto come supporto antologico dell’esposizione manualistica, non costituisce una semplice esemplificazione dei contenuti di una narrazione che si sviluppa del tutto indipendentemente da esso, ma rappresenta una parte integrante ed essenziale di ciascuna delle unità didattiche attraverso cui si articola il corso d’insegnamento. Le singole unità, a loro volta, non sono costruite secondo un modello unico di organizzazione della materia: accanto a unità organizzate per autori (che presentano cioè il pensiero di un filosofo nella sua organicità), abbiamo unità costruite per temi e problemi; a queste si aggiungono unitàbiografie (che illustrano “casi” di itinerario biografico-filosofico) e unità costruite per intersezioni. Del primo tipo sono gli ampi capitoli riservati a Platone, ad Aristotele, a Plotino, a Tommaso d’Aquino e a Ockham. Socrate, Agostino e Abelardo sono invece presentati seguendo il filo conduttore della loro vicenda biografica e intellettuale. Sotto il titolo “temi e problemi” vengono ricostruiti alcuni dei principali nodi problematici del pensiero antico-medievale, intorno a cui si sono intrecciate più strategie intellettuali (per es.: uno e molteplice, linguaggio e verità, felicità, scepsi). Le “intersezioni”, a loro volta, analizzano particolari interrelazioni fra pensiero filosofico e scienze (per es.: “Da Ippocrate a Galeno: filosofia e medicina in Grecia”). Ciascuna unità, poi, si articola attraverso un ampio apparato didattico: oltre alle introduzioni ai vari autori e correnti, scritte con linguaggio chiaro ed accessibile agli studenti, compaiono le introduzioni ai brani tratti dalle opere, che a loro volta sono ampiamente commentati attraverso note esplicative. I testi di più ardua comprensione sono poi accompagnati da schede di lettura. La pre- senza per ciascun capitolo di un dizionario filosofico cerca di facilitare l’acquisizione, da parte dello studente, del lessico specifico della disciplina. Particolari temi e percorsi di approfondimento sono sviluppati attraverso delle schede che si affiancano al percorso principale, senza gravare sulla sua struttura espositiva. Va segnalato il fatto che ogni unità presenta delle schede di lavoro che suggeriscono possibili percorsi operativi di riflessione e di rielaborazione, oltre che di verifica dell’apprendimento. Ma l’aspetto forse più originale del nuovo corso di filosofia è la presentazione di alcune “unità-opere”, nelle quali non si presentano soltanto ampie sezioni di un testo, ma si forniscono strumenti specifici per l’avviamento alla lettura di un’opera filosofica (e, nella fattispecie, per il Gorgia di Platone e per il De Anima di Aristotele). Si intende in questo modo mettere in luce il rapporto che intercorre tra le strutture teoriche e le strutture comunicative, e tracciare una sorta di mappa dei generi filosofici. Il Testo filosofico mette dunque in gioco una pluralità di metodi e di possibili approcci all’insegnamento della disciplina, venendo incontro alle esigenze di una didattica complessa e non riducibile ad un unico “stile”. Questa complessa organizzazione del manuale non dà peraltro luogo ad una frammentazione e dispersione dei contenuti, poiché la struttura del corso rimane trasparente e chiara nelle sue articolazioni di fondo, anche grazie alla veste editoriale dell’opera. Hanno collaborato alla stesura di singoli capitoli Paolo Concetti, Marco Fossati, Guido Piazza, Giuseppe Pirola, Paola Pirzio, Anna Sordini e Paolo Ferri. Interventi, proposte, ricerche Nell’ambito di una discussione avviata sulla rivista “Paradigmi” da un primo intervento di Franco Bianco sulla didattica della filosofia (“Insegnamento della filosofia: metodo ‘storico’ o metodo ‘zetetico’?”, n. 23, 1990), vengono pubblicati sulla medesima rivista (n. 26, maggio-agosto 1991) due DIDATTICA contributi di Bruno Coppola: “Normalità e rivoluzione in filosofia”, e di Fulvio Papi: “Sull’identità culturale dell’insegnante di filosofia nelle scuole medie superiori”. Nell’insegnamento della filosofia, è noto, si sono concentrate tutte le contraddizioni della cosiddetta “Riforma-Gentile”, che faceva della filosofia, ben più di una disciplina, un criterio regolatore di fondo: di una interpretazione del significato della filosofia si fece una funzione trascendentale come mette in luce Bruno Coppola. L’esigenza attuale di rinnovamento rischia peraltro di stemperarsi spesso nella ricerca di una soluzione solo tecnico-operativa, ossia di un orientamento didattico valutato soltanto per i suoi caratteri di efficacia e di efficienza. Occorre invece restituire alla didattica della filosofia uno spessore teorico, ossia la «possibilità di proporsi come “pensiero della filosofia”», partendo da un’autentica passione per la teoria che deve animare il docente. Suo compito, infatti, è di reimpossessarsi del ruolo “pensante” di ricercatore, di non limitarsi a «trasmettere il sapere surgelato di una, comunque intesa, storia della filosofia», ma di entrare nel merito di quel sapere, di collocarsi in esso e di prendere posizione. A partire poi da alcune precisazioni circa i rapporti fra quelli che, per ricorrere ad una metafora kuhniana, si possono definire i momenti di “normalità” e i momenti di ricerca “straordinaria o rivoluzionaria” nel lavoro dei filosofi, l’autore affronta la questione inerente al ritmo e alla scansione dello sviluppo della filosofia, mostrando le complesse problematiche che si celano nella diffusa immagine della filosofia come incessante ricerca della verità. Che al problema della difficoltà dell’insegnamento nelle scuole superiori della filosofia - come disciplina che non dovrebbe essere insegnata attraverso un processo di “miniaturizzazione” - non sia possibile porre semplicemente rimedio attraverso il ricorso ad una qualche forma di “tecnologia didattica” - che pretenda di offrire la garanzia di «controllare, verificare, quantificare i risultati dell’insegnamento in una dimensione capace di una sua istituzionale obbiettività» -, è anche il punto di avvio della complessa riflessione di Fulvio Papi. Nel suo ampio intervento Papi muove da una individuazione della «difficoltà» come «isola emergente della figura culturale dell’insegnante di filosofia», per allargare la considerazione alla totalità di questioni che mettono oggi in forse l’identità culturale dell’insegnante, in generale, delle scuole superiori. «L’insegnante di filosofia non è, se non per una elevata finzione come, ad esempio, era quella della pedagogia di Gentile, un personaggio che si identifica idealmente in alcuni testi della tradizione filosofica, e che fa da tramite, evocativo, orale, vivente e teatrale assieme, tra lo spirito, ma anche la razionalità, il senso o il nulla, e coloro che, a loro volta, devono essere identificati in questo modo. L’identità culturale non si ritrova mai in un processo così semplice, quasi una deduzione della forma dell’esistenza da un cielo simbolico». Vanno diversamente esaminati quelli che di volta in volta sono «i significati pubblici che vengono attribuiti alle azioni di un insegnante di filosofia», «gli immaginari che sono prossimi al suo lavoro, quelli dunque degli allievi», i livelli di interazione sociale e comunicativa, l’immaginario che è proprio dell’insegnante e le sue forme di razionalizzazione, infine lo stato generale del sapere filosofico che costituisce la linea di continuità rispetto alla scelta originaria insegnante. Si tratta di una pluralità di variabili che non si situano «su una linea di composizione armonica», ma che costituiscono elementi per lo più conflittuali. Da qui discende la prima indicazione per chi voglia assumere la complessa funzione dell’insegnante: «la prima azione educativa che deve compiere un insegnante è sostanzialmente su se stesso, per dare un ordine accettabile a questo sistema di tensioni e per ostacolare, nei limiti del possibile, lo spontaneo trasferimento metaforizzato di queste tensioni nello stesso esercizio didattico». A partire da qui la riflessione di Papi si snoda nel duplice tentativo di mettere a fuoco l’insegnamento come pratica materiale e come senso, nonché la relazione che intercorre tra il senso dell’insegnamento ed il compito più generale del pensare filosofico. Meta orientativa delle argomentazioni dell’autore è la convinzione che «si possa insegnare meglio filosofia se si pensa che essa non sia una infinita autoriflessione su se stessa che si frammenta nel nulla, ma un particolare conoscere del mondo che nasce da una passione vitale di sapere, così come passioni di sapere sono le teorie scientifiche, le poesie, le pitture.» Convegni Alla Casa della Cultura di Milano ha preso avvio nel novembre 1991 un Corso di aggiornamento per insegnanti di filosofia delle scuole medie superiori, diretto da Fulvio Papi, che si protrarrà fino al febbraio 1992. Il calendario del Corso ha visto le seguenti relazioni: 7 novembre, G. Marchianò: “L’unificazione degli studi di estetica: convergenze, prospettive e progetti novecenteschi”; 14 novembre, G. Scaramuzza: “Per una fenomenologia dell’arte”; 28 novembre, A. Trione: “Arte, natura, simbolo”; 5 dicembre, F. Papi: “Sulla poesia”; 12 dicembre, F. Fanizza: “La genealogia della coscienza artistica moderna”; 23 gennaio, P. Montani: “Il soggetto e gli intrecci”; 30 gennaio, S. Givone: “Poesia e filosofia”; 6 febbraio, S. Zecchi: “Grande stile”. L’entrata è libera. Il corso è gratuito. Le lezioni saranno disponibili, registrate su audiocassette, al costo di L. 15.000. Informazioni: Casa della Cultura, Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567 Un convegno dal titolo: Radici storiche e problemi teorici della filosofia politica contemporanea, è previsto a Pisa nei giorni 10-12 aprile 1992. Promotori dell’inizianita per l’aggiornamento degli insegnanti di filosofia sono il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa, la sezione lucchese della Società filosofica Italiana e il Liceo Classico “G. Galilei” di Pisa, insieme con gli Assessorati comunale e provinciale alla cultura. Il lavori del convegno inizieranno il giorno 10 aprile alle ore 15.00, continueranno il giorno 11 mattina e pomeriggio, per concludersi nella mattinata del giorno 12. Queste le relazioni previste: V. Sainati: “Presentazione del corso”; Baccelli: “Temi e problemi della filosofia politica contemporanea”; S. Veca: “Contrattualismo e neocontrattualismo”; D. Zolo: “Teorie classiche, moderne e contemporanee della democrazia”; N. Badaloni: “Filosofie contemporanee ed epocali: il caso del marxismo”. In chiusura dei lavori (prevista per le ore 12.30 del giorno 12 aprile) si terrà una tavola rotonda con la partecipazione di tutti i relatori. Informazioni: Liceo Classico “G. Galilei”, via B. Croce 32, Pisa, tel. 050/23240 (dal lunedì al venerdì, ore d’ufficio); 050/47310 e 0584/791279 (ore 19-20). Per la partecipazione al convegno occorre inviare domanda e versare L. 20.000 su cc. postale n. 12848560, intestato a Liceo Classico “G. Galilei”, Pisa, specificando la causale del versamento. Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e l’I.R.R.S.A.E. Lombardia hanno promosso una tavola rotonda, tenutasi il 24 ottobre 1991 presso l’Università degli Studi di Milano, sul tema: Nuovi linguaggi per la professionalità docente. Rapporto tra arti, scienze e filosofia. Vi hanno partecipato: C. Scurati, G. Gori, F. Botturi, P. D’Alessandro, M. A. Del Torre, E. Franzini, G. Micheli, S. Pizzetti, S. Restelli, S. Sidoni. Cesare Scurati (Presidente dell’I.R.R.S.A.E. Lombardia) ha introdotto la tavola rotonda mettendo in luce come l’iniziativa di aggiornamento copra un’area formativa che è rimasta finora poco valorizzata rispetto ad altre discipline nell’ambito del rinnovamento degli insegnamenti e delle metodologie. Un primo traguardo del gruppo di ricerca, che vede la collaborazione di insegnanti di liceo di discipline umanistiche e filosofiche e di docenti e ricercatori DIDATTICA del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, è quello di preparare i “formatori”, come specifica figura professionale operante nella scuola nell’ambito dell’aggiornamento. Giambattistia Gori, Direttore del Dipartimento di Filosofia, ha invece sottolineato come fra insegnamento universitario e insegnamento filosofico liceale esista una continuità maggiore di quanto appaia dall’assetto istituzionale: una continuità, rappresentata anzitutto dagli studenti. Occorre pertanto lavorare su un’idea comune di insegnamento filosofico, confrontandosi con quelle che sono le stesse attese degli studenti quando intraprendono lo studio della filosofia. E’ evidente ormai l’insufficienza di un modello d’insegnamento che privilegia esclusivamente l’asse storicocronologico; è evidente anche l’insoddisfazione odierna degli studenti nei riguardi degli sfondi storico-culturali, davanti ai quali si poteva in passato rappresentare qualsiasi dramma filosofico. D’altronde, la necessità di superare un insegnamento manualistico, spesso identificato dallo studente che proviene dalle scuole superiori con lo studio della filosofia come tale, non deve far perdere di vista l’esigenza di commisurarsi con il piano della “generalità” in senso storico-culturale. In positivo, si tratta di promuovere una maggiore attenzione per la dimensione argomentativa del discorso filosofico, spesso finora trascurata a vantaggio di scelte ideologiche, di favorire un’indagine storico-filosofica che non rinunzi a prese di posizione concettuale e a valutazioni, per abbandonarsi semplicemente al flusso storico, di fare i conti con il carattere composito del linguaggio filosofico (in cui confluiscono più elementi del linguaggio scientifico, letterario, giuridico), ricuperando la stessa dimensione interdisciplinare della filosofia intesa come “genere misto”. La valorizzazione di questa dimensione interdisciplinare del discorso filosofico è quanto si propongono di conseguire i vari gruppi di ricerca che operano già da tempo nell’ambito della collaborazione fra I.R.R.S.A.E. e Dipartimento di Filosofia. Sono state quindi presentate, dai rispettivi coordinatori, alcune relazioni sulle seguenti attività di gruppo: “Filosofia e scienza” (G. Micheli), “Filosofia e cinema” (E. Franzini), “Letteratura e filosofia” (D’Alessandro), “Filosofia e storia” (F. Botturi, S. Pizzetti), “Filosofia e musica” (M. Fabbri), “Filosofia, educazione e scienze umane” (Zanelli). La Bibbia è uno dei grandi “codici” che sono alla base della cultura occidentale. Lo studio e la conoscenza di essa, anche sul piano meramente storicoculturale ed indipendentemente dal valore “sacro” attribuito ad essa dalle varie tradizioni religiose, sono ineludibili per chi voglia ricostruire le radici storiche dell’Occidente. E’ inevitabile quindi il confronto con il testo biblico nell’ambito della scuola a fianco dello studio della filosofia greca. Questi in particolare i temi emersi al convegno: Il libro assente: Bibbia, cultura e scuola in Italia, tenutosi a Bologna il 20 ottobre 1991. Organizzatrice del convegno è stata un’associazione laica di cultura biblica, Biblia, nata nel 1984 con sede nei pressi di Firenze, a cui aderiscono studiosi italiani di differente provenienza culturale, con la collaborazione di altre associazioni e riviste interessate all’argomento. I lavori erano articolati in tre relazioni fondamentali durante il mattino e in una tavola rotonda al pomeriggio. L. A. Schokel, del Pontificio Istituto Biblico, ha affrontato il tema: «Ricezione e produzione di cultura nella Bibbia», da un punto di vista più analitico che teorico, con esemplificazione di testi biblici. La Bibbia è infatti anche un testo culturale che ha prodotto figure tipologiche, moduli e forme poetiche, trame di simboli che hanno alimentato le culture occidentali successive e che non sono per nulla inferiori, per originalità, ai prodotti della cultura greca. Collocandosi su di un versante più filosofico, S. Natoli, dell’Università di Milano, ha sviluppato il tema: «Ermeneutica “laica” del testo sacro», mettendo in evidenza l’esperienza del sacro, rivissuta attraverso il rito, che si deposita nella Bibbia. Di fronte a questo testo, un atteggiamento “razionalista” sarebbe sempre riduzionistico; è necessario piuttosto un approccio di tipo ermeneutico, che stabilisca una fusione di orizzonti. Ogni atto ermeneutico, che è sempre esperienza dell’altro, implica sia l’inesauribilità dell’altro sia la finitezza dell’uomo interpretante. Nel testo sacro è in questione la verità come vita vissuta e non come teoria: termini e simboli religiosi sono trasposti dall’orizzonte originario a quello “secolare” e il testo”sacro” diventa “genere letterario”. La Bibbia si costituisce così come ermeneutica dell’Occidente o documentazione delle sue radici. La Bibbia come testo generativo di cultura è stato appunto il tema affrontato da S. Quinzio, noto studioso di ebraismo e in generale di questioni religiose. Senza il riferimento alla Bibbia - questa la considerazione introduttiva - non si possono capire grandi masse di fenomeni culturali dell’Occidente, come la pittura la poesia o l’ethos. Nonostante il processo di “ellenizzazione”, il messaggio biblico ha saputo conservare la sua specificità di fattore costitutivo della stessa modernità, la cui essenza può essere individuata nel passaggio dalla metafisica alla storia. La religiosità biblica sottrae alla natura la dimensione sacrale, in forza della trascendenza dell’unico Dio, consegnando il mondo alla sua autonomia. Su questa base, infatti, è potuta nascere l’idea di storia, che è più una creazione dei profeti ebraici che degli storici greci: Agostino e Gioacchino da Fiore sono i lontani precur- sori di Hegel. D’impostazione dichiaratamente didattica è stato l’intervento di M. Laeng, pedagogista dell’Università di Roma, che ha parlato su «La collocazionde di un insegnamento aconfessionale della Bibbia nella scuola». A partire dalla “canonizzazione” della Bibbia come un testo scritto, si è sviluppata la gamma complessa e tormentata dei vari tipi di lettura del testo sacro. Dalle letture originarie pneumatiche, mistiche ed anche visionarie, si è passati ad una considerazione di tipo prevalentemente filologico, in cui sono esaltate le dimensioni letterare, storiche, giuridiche e filosofiche. Ma come studiare oggi il testo biblico? Laeng ha proposto un itinerario “scolastico” così strutturato: nella scuola elementare dovrebbe valere un metodo di acculturazione a episodi (come le parabole); nella scuola media si dovrebbe lasciare spazio all’inquadramento storico dei testi biblici; nella scuola secondaria si dovrebbe procedere all’analisi del linguaggio biblico e dei concetti-chiave del testo. Ancora in ambito didattico si è sviluppato l’intervento di C. Bucciarelli, ricercatore del Censis, che ha presentato una ricerca sull’insegnamento della Bibbia nelle scuole dei vari Stati europei. Secondo Bucciarelli sembra che con la caduta delle ideologie totalizzanti si assista all’eclisse del fenomeno della “secolarizzazione”. D’altro canto, la generalizzazione del modello funzionalistico del mercato costringe la scuola a sintonizzarsi con questa realtà dominante. Una futura collocazione dello studio della Bibbia dovrà dunque puntare sulla dimensione umana del testo religioso, al di fuori di ogni ipoteca di tipo confessionale. Infine P. Stefani, biblista oltre che operatore scolastico, ha presentato una ricerca su «La Bibbia nei libri di testo della scuola secondaria». Nei manuali di storia e di filosofia, la presenza di sezioni dedicate alla Bibbia appare del tutto opzionale. Laddove compare la Bibbia è considerata sempre e solo Bibbia cristiana e mai anche ebraica; non si dà mai una “storia degli effetti” profondissimi di questo testo nella civiltà occidentale; non si conosce affatto la storia della genesi di questo “grande codice” (N. Frye) della nostra cultura. La proposta è allora quella di un’insegnamento aconfessionale della Bibbia, da svolgersi sul piano storico-culturale. A.C. NOTIZIARIO NOTIZIARIO Si sapeva dalle biografie che il primo e più importante filosofo russo, VLADIMIR SOLOV’EV (1853-1900) fu sospeso dall’insegnamento dopo l’uccisione di Alessandro II, per aver ricordato al successore che un principe cristiano non poteva autorizzare, senza cadere in contraddizione, delle esecuzioni capitali. Fra i 39 documenti della vita e dell’opera di Solov’ev, recentemente pubblicati da Ju. N. Sucharev nei “Vosprosy filosofii” (n. 2, 1991, pp. 136 e sgg.), nel quadro delle iniziative suggerite dall’attuale ripresa d’interesse per gli aspetti della cultura russa prerivoluzionaria, finora trascurati, sono ora accessibili: 1) la lettera con cui il Ministro degli interni, conte Michail T.Loris-Melikov, comunicò al collega dell’istruzione, barone Aleksandr P. Nikolai, l’ordine dello zar di sospendere Solov’ev dall’insegnamento; 2) l’accompagnamento di una ulteriore trasmissione della stessa lettera al ministro dell’istruzione, in relazione all’incarico, che Solov’ev anche deteneva, di membro del Comitato scientifico. E’ stata presentata il 14 novembre a Milano una nuova “iniziativa editoriale”, la EGEA (Edizioni giuridiche economiche aziendali) promossa dall’Università Bocconi e dall’editore Giuffré, che si affaccia sulla scena editoriale con tre proposte: una raccolta di testi di Samuel Beckett, Disiecta, a cura di Aldo Tagliaferri, la traduzione di una parte delle Enneadi di Plotino con il titolo: L’eternità e il tempo, a cura di Mario Vegetti, e l’opera di Carlo Sini, Dal simbolo all’uomo. Oltre agli autori dei suddetti volumi, hanno partecipato alla presentazione di questa collana Rocco Ronchi e Gino Zaccaria, direttori della collana insieme a Sini. La scelta di pubblicare opere così eterogenee come quelle di Beckett e di Plotino, ha osservato Sini, non vuole essere una “controtendenza”; un progetto di questo genere, prima ancora che velleitario, sarebbe ingenuo, perché non coglierebbe il nocciolo del problema, che consiste nella “ricerca di senso” di ciò che si fa. Per porsi una domanda di questo genere occorre muovere da una convinzione che è l’esatto contrario del presupposto su cui si fonda l’”industria culturale”: la filosofia non è un “aspetto” della cultura, è essa sola “cultura” in senso proprio, se con ciò si intende la riflessione su ciò su cui la chiacchiera non riflette. Volendo concretizzare questo rapporto con un’immagine, è la cultura che è “a rimorchio” della filosofia, e non viceversa. Il proliferare di traduzioni, la diffusione dei libri, la circolazione delle informazioni, la cosiddetta “sprovincializzazione” della cultura italiana sarà certo un aspetto positivo; chi vuole però realmente occuparsi di filosofia, ha concluso Sini, deve cercare non libri “culturali”, ma libri “che fanno cultura”. Per iniziativa di Mirella Mauro Bove, Maria Rosaria Alfani e Maurizio Zanardi sono nate a Napoli le EDIZIO- NI CRONOPIO, un’impresa culturale che si propone di percorrere sentieri nuovi o comunque scarsamente battuti dalla grande editoria. Classici della letteratura e del pensiero, ma anche saggi che interrogano le forme di vita, le etiche e le politiche del nostro tempo, costituiranno i titoli delle varie collane. La casa editrice farà il suo ingresso nelle librerie con due testi di carattere filosofico: Dopo il comunismo di Biagio de Giovanni, e Dell’io come principio della filosofia, ovvero sull’incondizionato nel sapere umano (a cura di Antonella Moscati), di F. W. J. Schelling. Il volume di De Giovanni, dialogando con grandi pensatori come Machiavelli, Tocqueville, Marx, Gramsci, tenta di delineare una teoria politica nuova, dimostrando come oggi essa sia resa possibile proprio dalla catastrofe dei regimi politici dell’Est europeo. Nel definitivo congedo dal comunismo, De Giovanni invita a riprendere il filo di un discorso politico incentrato sull’idea di libertà, antidoto ai totalitarismi ideologici e storici che hanno percorso la vicenda del secolo. Il secondo testo che queste Edizioni propongono è la prima traduzione integrale di uno scritto che Schelling compose all’età di vent’anni. Discutendo con grande vigore critico le posizioni filosofiche di Cartesio, Spinoza, Kant e Fichte, Schelling muove con decisione verso la sua originale concezione della libertà, attualmente al centro - in particolar modo nei lavori di Cacciari e di Pareyson - di una grande attenzione da parte degli studiosi. Nel programma della casa editrice figura, tra gli altri titoli, la traduzione della Prototeodicea, prima stesura della Teodicea di G. W. Leibniz, testo importante ed inedito anche in lingua tedesca. Del filosofo rinascimentale PIETRO POMPONAZZI è stata pubblicata la prima traduzione in lingua tedesca del Trattato sull’immortalità dell’anima (Abhandlung über die Unsterblichkeit der Seele, traduzione e introduzione di Burkhard Mojsisch, Felix Meiner, Amburgo 1990). Pubblicato nel 1516 a Bologna in lingua latina, il Trattato è il risultato di un confronto con Aristotele e con le posizioni aristotelico-scolastiche a proposito della questione tradizionale dell’immortalità dell’anima. Facendo ricorso all’esperienza, Pomponazzi mostra come nei limiti della ragione filosofica l’anima appaia sempre in connessione con il corpo e non possa darsi al di fuori di esso. Duecento anni separano questa traduzione dalla prima edizione tedesca del testo latino dell’opera, curata nel 1791 dall’erudito Chr. G. Bardili, cugino di Schelling. In collaborazione con L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e in relazione al programma filosofico che ha portato, presso l’editore Meiner di Amburgo, alla recente pubblicazione della Europaïschen Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften, é nata nel 1991, presso il medesimo editore, la rivista quadrimestrale DIALEKTIK. In ogni numero della nuova rivista vengono af- frontati alcuni nodi cruciali della riflessione filosofica contemporanea in campo teoretico-epistemologico, etico-politico e nel settore delle scienze sociali. Tenendo costantemente presenti l’attualità delle problematiche affrontate e la loro reale incisività nel dibattito filosofico odierno (la questione della filosofia di Marx e del marxismo è oggetto, ad esempio, del secondo numero), lo scopo che la rivista si propone è quello di fornire un esame razionale e comparato delle forme di conoscenza filosofica e scientifica nella prospettiva non solo dell’attualità della conoscenza, ma anche della totalità della comprensione. E’ stato pubblicato nella serie di atlanti del Deutscher Taschenbuch Verlag, dedicati a diversi ambiti del sapere, l’ ATLANTE DI FILOSOFIA (DTV, München 1991). L’atlante ripercorre la storia della filosofia dall’oriente all’antichità, dal medioevo al rinascimento, dall’idealismo tedesco alla filosofia contemporanea, presentando cronologicamente il pensiero dei diversi filosofi. L’intento è quello di rendere familiare il lettore con problemi, metodi e concetti fondamentali della filosofia, senza sacrificare alle esigenze didattiche la ricchezza informativa e la complessità dei problemi in questione. A questo scopo l’atlante si avvale - e qui risiede la sua originalità - di un ampio apparato di immagini che intendono visualizzare concetti e impostazioni problematiche dei diversi filosofi. Domenica 22 dicembre 1991 si è spento a Monaco di Baviera ERNESTO GRASSI. Nato a Milano nel 1902, fu allievo di Martinetti in Italia e di Blondel in Francia, seguendo poi per molti anni Heidegger a Marburgo e poi a Friburgo. Dopo aver insegnato nelle Università di Berlino e Monaco, era presidente del Centro Internazionale di Studi Umanistici di Roma e direttore dell’Istituto di Studi Filosofici e Umanistici di Monaco. Tra i suoi lavori recenti ricordiamo: Macht des Bildes. Ohnmacht der Rationalen Sprache (2 ed., 1972), Humanismus und Marxismus (1973), Die Macht der Phantasie: zur Geschichte abendländischen Denkens (1979), Rhetoric as Philosofy. The humanist tradition (1980), Heidegger and the Question of Renaissance Humanism (1983), Humanism and Rhetoric. The Problem of Folly (1985). Dopo una lunga malattia, si è spento a Poitiers il 9 ottobre 1991 GUY PLANTY-BONJOUR. Docente di Storia della Filosofia all’Università di Poitiers, era direttore del Centre de Rechèrche sur Hegel e Marx. Tra le sue opere ricordiamo in particolare: Les Catégories du matérialisme dialectique, l’ontologie soviétique contemporaine (1965) e Hegel et la pensée philosophique en Russie: 18301917 (1974); le importanti traduzioni di Hegel, La première philosophie de l’esprit (Jena 1803-04) (1969) e La Philosophie de l’esprit de la Realphilosophie de 1805 (1982); la cura, insieme a H. C. Lucas della raccolta di saggi Logik und Geschichte in Hgels System (1989). Martedì 19 novembre, nella sede del Parlamento Europeo a Strasburgo, sono state presentate la mostra delle pubblicazioni dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e le traduzioni spagnola e tedesca della Scienza Nuova di G. B. Vico, promosse dall’istituto stesso. Alla presentazione, introdotta dall’On. Biagio de Giovanni alla presenza dell’On. Enrique Baron Crespo, Presidente del Parlamento Europeo, hanno partecipato: José M. Bermudo (Madrid), Jacques D’Hondt (Poitiers) Vittorio Hösle (Trondheim), Vittorio Mathieu (Torino), Otto Pöggeler (Bochum), Giovanni Pugliese Carratelli (Pisa), March Roche (Ohio), Imre Toth (Regensburg); Jürgen Traband (Berlino). Il gennaio 1992 è morto a Milano MARIO DAL PRA. Nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) nel 1914, Dal Pra è stato uno dei maestri della rinnovata storiografia filosofica italiana del Novecento e anche uno dei nostri maggiori storici della filosofia. Laureatosi in Filosofia a Padova (’36), dopo aver insegnato per circa tre lustri filosofia nei licei (Rovigo, Vicenza e Milano), dal ’51 all’86 ha insegnato Storia della filosofia all’Università di Milano, succedendo ad Antonio Banfi. Ha svolto un ruolo di primo piano durante la guerra di Liberazione in Lombardia nelle formazioni azioniste. Dopo la Liberazione ha fondato nel ’46 la “Rivista di storia della filosofia”, che ha diretto fino alla morte, dalle cui pagine ha promosso un profondo rinnovamento della filosofia, dando contemporaneamente vita ad importanti iniziative editoriali e di ricerca, nonché ad una vera e propria “scuola” milanese di storici della filosofia. Nel 1990 l’Accademia dei Lincei gli ha assegnato il Premio Nazionale di filosofia. E’ autore di moltissime pubblicazioni tra le quali ci si limita a ricordare: Condillac (Bocca ’42); Il pensiero di S. Maturi (ivi ’43); Hume (ivi ’49, nuova ed. Hume e la scienza della natura umana presso Laterza ’73); La storiografia filosofica antica (Bocca ’50); Lo scetticismo greco (ivi ’50, poi Laterza ’75); Amalrico di Béne (Bocca ’51); Giovanni di Salisbury (Bocca ’51); Nicola d’Autrecourt (ivi ’51); Scoto Eriugena (ivi ’51); La dialettica in Marx (Laterza ’65, ’77); Logica e realtà (ivi ’74); Logica, esperienza e prassi (Morano ’76); Studi sul pragmatismo italiano (Bibliopolis ’84); Studi sull’empirismo critico di G. Preti (ivi ’88); Filosofi del Novecento (Angeli ’89) oltre alla monumentale Storia della filosofia (I ed. Vallardi 1975-78 in 10 voll; II ed. Piccin 1991-92 in 11 voll.). L’ultimo suo libro, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana (con F. Minazzi, Rusconi 1992) è in corso di pubblicazione. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi AUT-AUT n. 243-244, maggio/agosto 1991 La Nuova Italia, Firenze Leopardi e il mito, di A. Prete. Il mito e l’immagine. Da Hölderlin a Hillman, di M. Pezzella. Questo fascicolo speciale della rivista, dal titolo: Il mito in questione ha per oggetto il dibattito filosofico sul mito, che ha animato la filosofia tedesca dalle interpretazioni romantiche alle letture in chiave politica proposte negli anni ’20-’30, fino alla più recente discussione sulla “nuova mitologia”. Anche nel panorama filosofico italiano la questione del mito é ben radicata e soggetta a periodiche rivisitazioni. Ne è un esempio questo fascicolo, che si propone non tanto di esaminare la presenza del mito nella filosofia, quanto di interrogare il mito, in un’ ottica più problematica, come chiave di lettura del lavoro filosofico stesso, in base al presupposto secondo cui «reincontrando e interrogando il mito, la filosofia non fa che tematizzare la propria scena». “Sepulkralhermeneutik”. Considerazioni sul “mito” a partire da Bachofen, di G. Moretti. Mito. Esperienza del presente e critica della demitizzazione, di G. Carchia. Nel prossimo fascicolo della rivista comparirà un inedito di Husserl dal titolo: Rovesciamento della dottrina copernicana nell’interpretazione della corrente visione del mondo. Poesia, favola, verità, di S. Givone: il rapporto mito-verità dalla tradizione romantica alla lettura di Nietzsche e Heidegger; la favola come approdo del “mondo vero”. Filosofia dell’immemoriale e lavoro del mito, di G. Gabetta: la figura dell’”immemoriale” nella filosofia dell’ultimo Schelling. Soggetto e mito. Per una rilettura della Dialettica dell’Illuminismo, di R. Genovese. La risonanza mitica, di G. Comolli. Mitologia della ragione o supplemento d’anima. Sugli sviluppi recenti della “MythosDebatte”, di F. Cuniberto: a partire da una proposta di M. Frank: Der kommende Gott. Vorlesungen über die neue Mythologie (Frankfurt, 1983) l’articolo fa il punto sulla riflessione sul mito quale emerge da una determinata interpretazione della Frühromantik: dagli sviluppi tardo-ottocenteschi alle proposte più recenti. Diotima. Il mito platonico dell’Eros e il “Matriarcato” di Bachofen, di E Pulcini. Il sogno di Endimione. Capitoli sull’arte delle immagini, di F. Donfrancesco: il mito di Endimione nella pittura; la figura e l’opera di Carlo Mattioli (Modena, 1911). Postilla su Rilke e Orfeo, di F. Rella. Sulla certezza mitica, di J. Hillman: questo testo di James Hillman viene pubblicato in versione riveduta rispetto ad un’edizione francese del 1982, apparsa sulla rivista ginevrina “Cadmos”. Motivazioni del tramonto delle “grandi narrazioni” moderne. Confutazione della post-moderna “irriducibilità dell’incertezza”, di F. Rivetti Barbò. Il post-moderno, gli intellettuali e la cosiddetta “crisi dei valori”, di D. Cofrancesco: il disagio degli intellettuali nei confronti della modernità; questo disagio si concretizza in tre direzioni: la crisi dell’idea moderna di Stato, la crisi della contrapposizione destra/sinistra, la crisi di un modello di cultura “omologante”. Oltre il moderno. Verso un nuovo paradigma, di B. Lauretano: le argomentazioni di Lyotard sulla condizione post-moderna e la ricostruzione di Habermas del discorso filosofico della modernità a partire dal XVIII sec. come “principio della soggettività”. Per superare questo paradigma moderno é necessario adottare un nuovo paradigma, quello della ragione decentrata e dell’azione comunicativa. Il superamento delle categorie storiche nella ripresa in atto delle filosofie dell’esistenza, di G. Invitto. Il post-moderno come metafora dell’angoscia contemporanea, di A. Rizzacasa. IL CONTRIBUTO Vol. 15, n.3, luglio/settembre 1991 Editoriale B. M. Italiana, Roma Il post-moderno, di L. Geymonat: brevissima sintesi delle concezioni che stanno alla base della differenza tra moderno e postmoderno. “Pensiero debole” e ragione critica, di A. Sabetti: la caduta delle illusioni “moderne”, dal sogno illuministico del primato della ragione al sogno marxista, di ascendenza illuministica, della realizzazione di un mondo costruito in base alla ragione ed alla giustizia, costituisce l’atto di nascita del “pensiero debole”; accanto ad esso é forse altrettanto importante, secondo l’autore, richiamarsi alla fede nella ragione critica come punto di partenza per una filosofia realmente ancorata allo spirito del tempo. Un evento paradigmatico del post-moderno: la manipolazione genetica, di M. Alcaro. “Lasciateci passare...” e se il logos fosse soltanto un artificio linguistico?, di P. Ciaravolo: proposta di un’istanza criticistica sul valore del logos come atteggiamento proprio dell’odierna cultura post-moderna. FILOSOFIA Anno XLII, n.2, maggio/agosto 1991 Mursia, Milano La possibilità della possibilità, di V. Mathieu: a partire dalle proposte di riflessione di Kant (Opus Postumum) e di Abbagnano, l’articolo affronta il problema della “possibilità della possibilità”, svilup- RASSEGNA DELLE RIVISTE pandone le implicazioni. Bergson e Einstein. Le idee di durata e di tempo dell’universo materiale. I. Dal “tempo” della coscienza ai livelli paralleli della durata, di A. Genovesi: l’opera di Bergson del 1922, Durée et simultanéité. A propos de la théorie d’Einstein (Durata e simultaneità. A proposito della teoria di E.) affronta specificatamente la questione della relatività di Einstein nella sua formulazione ristretta. L’opera del 1922 si colloca nella prospettiva di sviluppo di una filospfia che va dalla matematica e dalla fisica alle scienze della vita; essa muove da due esigenze: una, personale e particolare, di delineare affinità e divergenze tra la propria dottrina della durata e la concezione del tempo di Einstein; l’altra, più generale, di indagare il rapporto tra scienza e filosofia. sce le tracce del corpuscolarismo empedocleo nei frammenti e nella testimonianze a disposizione. Parola e passione: Levinas e il problema del linguaggio nella letteratura critica più recente, di A. Fabris. Sokrates: Tugend ist Wissen, di R. Ferber. La dimensione ermeneutica della teologia francese contemporanea, di C. Semplici: Segue una bibliografia su: “Ermeneutica e teologia: vent’anni di dibattito in Francia”. Movimenti ed attività. L’interpretazione di Aristotele, Metaph Th 6, di C. Natali: la distinzione aristotelica tra movimenti e attività, questione rilevante anche da un punto di vista etico per il legame che é possibile instaurare tra la distinzione movimenti/ attività e quella produzione/prassi. Why Pericles’ slave fell into the fourth mode, di E. De Olaso. Modernità e metafisica, di V. Possenti: a breve distanza dalla morte, l’articolo si propone di analizzare l’opera di Augusto Del Noce, filosofo “politico”, alla luce di due termini guida: modernità e matafisica. Le avventure del platonismo (a proposito di pubblicazioni recenti sul Platone di Tubinga e sul rapporto platonismo- neoplatonismo), di L.M. Napolitani Valditara: confronto tra alcuni testi usciti in Italia nel 1990, tra cui D. Pesce: Il Platone di Tubinga (Brescia 1990) e P. Merlan: Dal platonismo al neoplatonismo (Milano, 1990) Storicità e situazione epistemologica della psicoanalisi: filiazione ed ortoprassi, di M. Francioni. TEORIA L’aporetica leibniziana della sostanza tra metafisica e dinamica. Esiti, implicazioni e corollari del Discorso di Metafisica, di A. Delcò. La sovrana intolleranza. Nuova androginia e modelli normativi, di V. Vitale: il mito dell’androgino, emblematicamente delineato nel Simposio platonico, ha sempre rappresentato per la cultura occidentale una dimensione non soltanto ambigua e inquietante, ma anche affascinante. L’epoca contemporanea non si sottrae a questa situazione, ma la vive in maniera nuova, come “progetto operativo”. La svolta ermeneutica, di L. Bottani: le considerazioni di Gerd Gemünden sulla svolta ermeneutica, esposte in Die hermeneutische Wende. Disziplin und Sprachlosigkeit nach 1800 (La svolta ermeneutica. Disciplina e mancanza di linguaggio dopo il 1800, Lang, New York, Bern, Frankfurt a/M, Paris, 1990), come tentativo di nascondere l’incomprensibile. ELENCHOS Anno XII, n. 1, 1991 Bibliopolis, Napoli L’”atomismo” e il corpuscolarismo empedocleo: frammenti di interpretazioni nel mondo antico, di M. L. Gemelli Marciano: riprendendo alcune osservazioni di Aristotele e di Teofrasto a proposito della presenza dei presupposti dell’atomismo nella teoria di Empedocle, l’articolo ricostrui- Il rischio dell’interpretazione, di C. Geffré: intervista di E. Clemente a Claude Geffré, esponente francese dell’ermeneutica teologica contemporanea. Vol. XI, n. 1, 1991 ETS, Pisa Tema della rivista: “Filosofia della religione: questioni aperte”. La decomposizione dell’”interiorità” come categoria filosofica, di V. Sainati: prendendo spunto da un dibattito sviluppatosi tra il 1931 ed il 1933 tra la filosofia neotomista di Francesco Olgiati e lo spiritualismo cristiano di Armando Carlini, l’articolo mette in evidenza i limiti dell’assunzione dell’”interiorità” come categoria filosofica. Storia e giustificazione in Ernst Troeltsch, di G. Moretto. Teologia ed ermeneutica in Claude Geffré, di E. Clemente: la riflessione teologica di Geffré, nato nel 1926 e docente di teologia, come esempio del rinnovamento e del ripensamento della teologia cattolica alla luce degli esiti del Concilio Vaticano II circa la prospettiva ecumenica, l’atteggiamento di dialogo con il mondo, la necessità di un’autointerrogazione della teologia stessa sulle proprie possibilità e sui propri fondamenti. Ricordo di Alberto Caracciolo (19181990), di X. Tilliette. L’inconsistenza ontologica della persona, di A. Negri: una rilettura “moderna” delle Confessioni di S. Agostino tesa a mettere in evidenza “l’inconsistenza personale” dell’uomo di fronte alla “consistenza” di Dio. RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA Vol. XLVI, n. 3, 1991 Franco Angeli, Milano Platone e il discorso scritto, di M. Isnardi Parente: la posizione di Platone in relazione al dibattito sulla superiorità dell’orale sullo scritto nell’Atene del IV sec. Nel Fedro e nella VII Epistola, Platone affronta questa tematica e sostiene l’importanza del discorso scritto, purchè esso rimanga sempre “aperto” a nuove interrogazioni e correzioni e rimanga comunque ancorato alla verità. E’ per questo che il mezzo di comunicazione adottato da Platone é il “discorso socratico”. Una via a Dio nel pensiero mistico di alGhazali, di M. Campanini: l’esperienza mistica di al- Ghazali alla luce della questione, posta dalla critica, dell’autenticità o meno di essa. L’articolo mette in luce il legame strettissimo nella filosofia di alGhazali tra mistica, ambito teoretico e ambito pratico. Prudenza, utilità e giustizia nel Seicento: Pierre Gassendi, di G. Paganini: il problema del diritto in Gassendi, oscillante tra il positivismo epicureo, influenze giusnaturalistiche e hobbesiane. Oggettività scientifica e ontologismo critico, di F. Minazzi. Ancora su filosofia e storia della filosofia, di P. Parrini. Lettere di Robin George Collingwood a Benedetto Croce (1912-1939), a cura di A. Vigorelli. Cassirer, Husserl e l’ermeneutica, di L. Landi: prendendo spunto da alcune critiche mosse a Cassirer sull’assenza di un esame approfondito della questione epistemologica e di un inquadramento storico della sua filosofia nel panorama filosofico del tempo, l’articolo esamina il libro di G. Raio (Cassirer e Husserl in Id Ermeneutica e teoria del simbolo, Napoli, Liguori, 1988) che analizza il ruolo della fenomenologia RASSEGNA DELLE RIVISTE nella riflessione di Cassirer, in contrasto con l’attuale tendenza ad evidenziare solo le componenti ermeneutiche della sua filosofia, che rischia di ridurre alla sola sfera linguistica la ricchezza dell’esperienza umana. Il primo convegno del gruppo italiano di storia delle scienze biologiche, di M. T. Monti: nota sul convegno: Le rivoluzioni scientifiche nelle scienze della vita (Pisa, 26-27 novembre 1990). RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXII, n.2, agosto 1991 Il Mulino, Bologna Heidegger, la scienza, e il linguaggio, di H. Albert. Struttura del tempo e formazione delle categorie nelle Meditationes di Descartes, di L. Neri: benchè il problema del tempo rimanga scarsamente esplicitato nella riflessione di Cartesio, é possibile tuttavia individuare all’interno dell’argomentazione cartesiana alcuni concetti riconducibili alla tematica temporale. L’articolo si rivolge soprattutto alle Meditationes de prima philosophia (1641) Bolzano e le dimostrazioni matematiche, di F. Paoli: il contributo di Bolzano alla chiarificazione di inferenza e dimostrazione matematica. Cassirer, Schlick e l’interpretazione “kantiana” della teoria della relatività, di M. Ferrari. accademico; questo progetto é animato dalla consapevolezza della specificità dello statuto della filosofia, attraverso la quale s’intende “leggere” tematiche e problemi anche extrafilosofici. Filosofia sbilenca. Attraverso Tracce e Spirito dell’utopia di Ernst Bloch, di E. Fagiuoli. Il superamento della prospettiva antropologica nelle opere e nelle lezioni di Heidegger su Kant, di F. Cassinari: le lezioni heideggeriane, recentemente pubblicate, mostrano come Kant rappresenti un interlocutore privilegiato di Heidegger nel suo tentativo di superare la prospettiva antropologica. Kant sarebbe giunto alle soglie di tale superamento, pur ritraendosi successivamente dalle posizioni teoretiche raggiunte. In ciò pare configurarsi una sorta di paradosso: da un lato Heidegger proietta su Kant difficoltà intrinseche alla propria posizione, dall’altro alcuni testi kantiani sembrano quasi proporre una risposta “heideggeriana” a tali difficoltà. L’orizzonte filosofico della psicologia comprensiva di Karl Jaspers, Wilhelm Dilthey e Georg Simmel, di F. Paracchini: prendendo le mosse dal rinnovamento in senso antiempiristico che percorre la filosofia tedesca tra Ottocento e Novecento, vengono considerati gli effetti di questo processo nelle sezioni psicologiche della Psicopatologia generale di Jaspers in cui, ricorrendo ai contributi antipsicologistici di Dilthey e Simmel, il filosofo ripensa i presupposti gnoseologici della sua scienza. Intervista a Carlo Sini. “Bis bina quatror”, di M. Spallanzani: la teoria cartesiana della creazione delle verità eterne ed il dibattito da essa suscitato nella cultura coeva. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO ITINERARI FILOSOFICI Vol I, n. 1, settembre/dicembre 1991 Soc. It. Ricerca Filosofica, Milano Inizia con questo numero la pubblicazione di una rivista di filosofia, nata dall’iniziativa di alcuni giovani studiosi dell’Università degli Studi di Milano, che si propone di rilevare ed esporre prospettive di ricerca filosofica maturatesi all’interno del mondo La teoria, l’ordine e il diritto; di F. Sciacca: nota al libro di Bruno Montanari: Profili e letture di teoria generale del diritto (Torino, Giappichelli, 1990). Umanizzazione e giustizia nella fenomenologia del diritto di Kojève, di A. Costanzo: recensione dell’opera di A. Kojève: Linee di una fenomenologia del diritto (Jaca Book, Milano, 1989). L’Europa e il diritto, di L. Franzese. Il pensiero filosofico di Augusto Del Noce: brevissimo resoconto redazionale del convegno: Il pensiero filosofico di Augusto Del Noce (12-13 novembre 1990, Università di Udine). Lévi Strauss e l’antropologia strutturale: materiali per una possibile riflessione in sede filosofico-giuridica, di L. Scillitani. Notas sobre la existencia de un posible derecho general a la desobediencia, di M. Gascon Abellan. Oltre la definizione. A proposito di L’altra storia di Aldo G. Gargani, di M. Fortunato. Il regionalismo epistemologico: una tendenza della filosofia contemporanea delle scienze in Francia, di P. Jacob. Il problema della giustificazione di una teoria della conoscenza, di L. Floridi: il dibattito epistemologico sul problema della natura della giustificazione e sulla legittimità di una teoria della giustificazione. La questione della crisi del diritto e dello Stato come messa in questione dell’obbligazione giuridica e dell’obbligazione politica, di E. Ripepe: le riflessioni sulla crisi del diritto e dello Stato proposte da Ripepe in occasione della lezione inaugurale dell’anno accademico 1990/91: dalla perdita di efficienza e di efficacia del sistema giuridico italiano, alla distanza tra cittadini ed istituzioni, ai rischi dell’individualismo deresponsabilizzato. REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE Vol. 96, n. 2, aprile/giugno 1991 A. Colin, Paris Vol. LXVIII, gennaio/marzo 1991 Giuffrè editore, Milano L’esplicitazione dei principi della legge naturale e le sue difficoltà, di D. Farias: gli elementi caratteristici della dottrina dei principi del diritto naturale e le difficoltà nell’esplicitazione di tali principi. Indolenza e politica in Fichte. La libertà, il male, l’azione, di J. C. Merle: l’evoluzione del pensiero politico di Fichte, con particolare attenzione alle vicende della Rivoluzione francese; l’ideale della libertà e l’aporia del diritto sul piano religioso come viene trattata nella Staatslehre (1813). The Greeks and democratic theory: Moses I. Finley’s Democracy Ancient and Modern revisited, di A. Moulakis. Tema della rivista: “Logica e filosofia della conoscenza”. Logique et métaphysique, di F. Poublanc: l’articolo considera come alcuni aspetti della dialettica hegeliana, che si propone di rivelare la contraddizione di fondo di tutte le cose, si pongono in una prospettiva demistificatrice. Eléments pour une “philosophie de la psychologie” à partir de la Grammaire Philosophique de Wittgenstein, di J. L. Petit: vengono prese in considerazione alcune conseguenze dell’analisi grammaticale di Wittgenstein per la psicologia. Il rinvio ad una fenomenologia della nostra esperienza intenzionale e ai meccanismi mentali e celebrali, a cui essa si richiama. L’assertion dans les contextes épistémiques; garants objectaux et bases d’évalua- RASSEGNA DELLE RIVISTE tion, di N. Mouloud. Die Wissenschaft denkt nicht, Di J. M. Salanskis: analisi di questa celebre affermazione di Heidegger da due punti di vista: quello delle opposizioni heideggeriane ontologia fondamentale/ontologia regionale e metafisica/pensiero, da un lato, e quello dell’ermeneutica di Essere e Tempo e dei testi posteriori, dall’altro. L’identitité personnelle et la source des concepts, di A. Shalom. Science et déterminisme, di L. Bouquiaux e P. Gochet: recensione di P. Amselek: Science et déterminisme, éthique et liberté (Scienza e determinismo, etica e libertà, Paris, PUF, 1988). REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE Vol. 96, n.3, luglio/settembre 1991 A. Colin, Paris Le judaïsme et les mythes politiques modernes, di E. Cassirer: l’articolo qui tradotto é tratto dalla rivista: “Contemporary Jewish Record, Review of events and Digest of opinion” (n.7, giugno 1944, pp. 115126), rivista le cui pubblicazioni si collocano tra il 1938 ed il 1945. Liberté et ordre des découvertes chez Descartes, di G. J. D. Moyal: dall’ipotesi del genio maligno della prima Meditazione prende spunto la questione del rapporto tra cogito e libertà esaminata nell’articolo. Substance et infini chez Spinoza, di J. M. Lespade. La relation du fini et de l’infini dans la genèse de l’être conscient, di J. L. Chédin: nella storia della filosofia moderna, da Cartesio all’idealismo tedesco, si é sviluppata una riflessione sistematica sulle condizioni di possibilità e la genesi dell’essere cosciente, che si scontra con l’impossibilità di determinare una relazione soddisfacente tra finito ed infinito nella prospettiva dell’”esplicazione della coscienza”. La filosofia contemporanea, in particolare la fenomenologia husserliana, hanno ereditato e sviluppato una tale aporia. L’origine et la fonction de la Metaphysica naturalis chez Kant, di L Freuler: secondo Mendelssohn, Kant sarebbe l’affossatore (Alleszermalmer) della metafisica. I suoi testi mostrano tuttavia come non solo un tale atteggiamento fosse estraneo a Kant, ma come addirittura egli progettasse una riforma ed una rinascita della metafisica. Substantialisation et substantivation: la syntaxe de l’objectivation religeuse chez Feuerbach, di C. Berner: prendendo le mosse dal principio di oggettivazione religiosa, criticato da Feuerbach, l’articolo si propone di cogliere il senso autentico della riflessione feuerbachiana, che non risiederebbe tanto nella dimostrazione della nonesistenza di Dio, quanto nel desiderio di sradicare i dogmatismi dalla filosofia ed offrire l’uomo concreto. Natural right and the end of history. Leo Strauss and Alexandre Kojève, di M. Roth. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 177, n. 2, 1991 Universa, Wetteren tifiche esaminate, la loro possibile datazione, ed un commento anche dell’importante racconto dei sogni, trascurato da Leiniz. Métaphysique radicale, di J. Margolis: la storia della metafisica può essere letta alla luce di un dualismo fondamentale: da un lato la tradizione classica, risalente a Parmenide, Platone e Aristotele, secondo la quale il reale é immutabile, si identifica con il pensabile e dipende da un’interpretazione metafisica del principio di noncontraddizione e del terzo escluso. Dall’altro lato la tradizione che rifiuta questa impostazione. A questa tradizione, risalente a Anassimandro e Protagora, si richiamano le teorie di tre filosofi americani: Peirce, Quine e Goodman. Tema della rivista: “Bergson”, di cui ricorre il cinquantenario della morte. Gli articoli esaminano la produzione del filosofo francese relativamente al problema del rapporto immanenza-trascendenza nel saggio: Evoluzione creatrice del 1907 (Bergson et l’indien sioux, di A. Robinet); in riferimento al Saggio sui dati immediati della coscienza del 1889 viene invece affrontata la questione relativa ad un confronto della filosofia di Bergson con quella di Husserl (La phénoménologie de l’intensité, di D. J. Herman). Viene inoltre esaminato il legame tra libertà e vita a partire da un’analisi della coscienza in chiave antiassociazionistica (La liberté et la vie chez Bergson, di G. Lafrance); secondo Bergson, infatti, l’associazionismo rappresenterebbe una teoria che riduce la coscienza ad un aggregato di stati senza una vera unità interna e condurrebbe ad una falsa idea di libertà. Idéalisme ou réalisme?, di J. Largeault: se i Greci hanno privilegiato l’immutabilità e la permanenza dell’Essere, rendendo possibile la nascita e lo sviluppo delle scienza razionale, gli Orientali hanno sottolineato piuttosto la molteplicità degli aspetti dell’Essere come manifestazione di unità. Per questo, secondo l’autore, essi sono idealisti. Compaiono inoltre i seguenti articoli: Des sensibles communs dans le De Anima d’Aristote, di D. Lories: gli studiosi, pur essendo d’accordo che nel De Anima (425 a 14- a 30) Aristotele non individua un organo sensoriale specifico preposto al coglimento dei sensibili comuni, sono in disaccordo a proposito delle interpretazioni da dare a questo fatto. Ciò che é essenziale in Aristotele é tuttavia l’unità delle facoltà sensitive e la corrispondenza alla cosa percepita. Bergson and non-linear non-equilibrium thermodynamics: an application of method, di P.A.Y. Gunter. Physique et métaphysique du rythme comme mimésis, di A. Kremer-Marietti: analisi della nozione bergsonniana di ritmo in chiave estetica, fisica e metafisica. Henry Bergson. Kritik der Quantität als allgemeine Entfremdungstheorie der Gegenwart, di K. P. Romanos. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Tomo 54, n.3, luglio-settembre 1991 Beauchesne, Paris Le premier registre de Descartes, di G. Rodis-Lewis: indagine sulle riflessioni cartesiane contenute nel Manuscrit des pensées de Descartes (Manoscritto dei pensieri di Descartes), copiato in parte da Leibniz e pubblicato da Foucher de Careil, con particolare attenzione alle questioni scien- Segue il Bulletin de littérature hégélienne VIII, a cura di P. J. Labarrière, G. Jarczyk, J. F. Kervegan. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 89, agosto 1991 Ed. Institut Supérieur de Philosophie Louvain La Neuve L’athéisme de Diderot, di B. Baertschi: Diderot é il primo a mettere in luce che gli sviluppi della scienze dell’epoca mettono in pericolo le prove dell’esistenza di Dio proposte da Cartesio in poi. Da ciò deriva anche la sua elaborazione di una concezione della natura ancora valida ai giorni nostri. Loi et éthique chez Kant et Lacan, di R. Bernet: le sorprendenti analogie tra il rigorismo della morale kantiana e l’etica del desiderio di Lacan. Rationalisation sociale et rationalité juridique, di H. Pourtois: a partire dalle lezioni RASSEGNA DELLE RIVISTE tenute da Habermas alla Harvard University nel 1986 dal titolo Law and Morality (in The Tanner Lectures on Human Values, Cambridge University Press, Cambridge 1986, pp. 217-279), viene esaminato il ruolo del diritto nella ricostruzione habermasiana della logica dell’evoluzione sociale come Medium di regolazione sistemica dell’azione nella società moderna e come istituzione. Philosophie et christianisme, di F. Van Steenberghen: replica ad un articolo di J. Garcia Lopez, “La cuestion de la filosofia cristiana” (Scripta theologica, XXII, 1990). A propos de la biographie de Simplicius, di S. Van Riet. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol. 45, n. 1, gennaio/marzo 1991 Klostermann, Frankfurt a/M Der Harmonie-Gedanke im frühen Mittelalter, di W. Beierwaltes: analisi di alcuni tratti fondamentali del pensiero filosofico dell’armonia nel Medioevo, con particolare attenzione al pensiero di Eriugena e agli apetti di questo dibattito che si aprono alla dimensione di una teoria della musica. Particolare attenzione viene dedicata ai concetti di Uno e di Unità, in quanto l’armonia é una forma determinata dell’unità. Die Folgen vorherrschender Moralkonzeptionen, di T. Pogge. Der Begriff der Bewegung bei Kant, di T. S. Hoffmann. “Natur” als Massstab menschlichen Handelns, di D. Birnbacher: la natura come concetto etico e come criterio etico; il naturalismo etico. Kants Schemata als Anwendungsbedingungen von Kategorien auf Anschauungen, di D. Lohmar: il concetto di affinità nello schematismo della Critica della ragion pura. Etwas ist in mir da, di U. Wolf: recensione di U. Pothasts, Philosophische Buch (Suhrkamp, Frankfurt a/M. 1988). Bibliographie der Schriften von Theodor Lipps, di N. W. Bokhove e K. Schuhmann. Philosophie der Subjektivität? Zur Bestimmung des neuzeitlichen Philosophierens, di H. Korten: resoconto dell’omonimo convegno tenutosi a Leonberg il 14 ottobre 1989 a cura della SchellingGesellschaft. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE rapporto simpatia-giustizia. FORSCHUNG Vol. 45, n. 2, aprile/giugno 1991 Klostermann, Frankfurt a/M Nihilismus und Revolte: Nietzschekritik, di A. Pieper. Camus’ Georg Simmel. Eine Religion der Immanenz, di C. F. Geyer: lo scritto di Simmel, La religione (1906, 1912, 1922) non é soltanto un primo, sistematico bilancio dei primi lavori filosofici e sociologici del filosofo, ma la lunga elaborazione di questo scritto offre anche uno spaccato della vita filosofica dell’autore e testimonia la costanza dei suoi interessi filosofici per la religione. Zur Wiederkehr des Historismus in der Gegenwartsphilosophie, di V. Steenblock: lo status attuale della discussione sullo storicismo alla luce degli odierni orientamenti: Habermas, Apel, Hösle. Ernst Cassirer über Geschichte und Geschichtswissenschaft, di T. Göller. Weshalb sind die Philosophischen Untersuchungen Wittgensteins nur ein Album?, di J. P. Schobinger. Die Bergson-Rezeption in Deutschland, di G. Pflug. Kant’s Amphiboly, di D. Pereboom: la componente antirazionalistica della riflessione kantiana, giudicata poco significativa dalla maggior parte degli interpreti, é l’oggetto di quest’articolo, impostato sull’argomento dell’anfibolia dei concetti della riflessione; il rapporto con Leibniz. Die Naturphilosophie im 18 Jahrhundert und der naturwissenschaftliche Unterricht in Tübingen, di M. Durner: le origini della riflessione schellinghiana sulla natura a Tubinga tra Rivoluzione francese e filosofia kantiana. Zur Kants Theorie der physikalischen Gesetze, di S. Marcucci: recensione di V. Murdroch: Kants Theorie der physikalischen Gesetze (La teoria kantiana delle leggi fisiche, de Gruyter, Berlin 1987). ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Vol. 73, n. 2, 1991 de Gruyter, Berlin, New York “Esti Triton” Aristoteles De Interpretatione 10,19, b 21-22, di C. Rapp. Neuere ausländische Arbeiten zu Kants Kritik der Urteilskraft, di G. Zöller. Platonism and Descartes’ view of immutable Essences, di T. M. Schmaltz: la questione, densa di difficoltà per il sistema cartesiano, del Dio creatore di verità eterne. Selbstschöpferische Ironiker und erschöpfte Liberale. Richard Rorty Utopie einer argumentationsfreien Zone, di H. Busche. Freiheit, Gleichheit, Brüderlichkeit bei Kant, di B. Kienzle. “Deutsche Zeitschrift für Philosophie”: Rückbesinnung auf ihre Ursprünge, di K. Gloy. Wittgenstein und Spengler, di R. Ferber. Bericht über den XV Kongress der Allgemeine Gesellschaft für Philosophie in Deutschland, “Philosophie der GegenwartGegenwart der Philosophie”, vom 24-28 September 1990 in Hamburg, di M. Wetzel. MAN AND WORLD ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Foucault: making a difference, di R. Lilly: il principio dell’esteriorità come guida del pensiero filosofico di Foucault; l’archeologia come analisi della produzione di differenze ed essa stessa differenza critica. Vol. 73, n. 1, 1991 de Gruyter, Berlin, New York Politik und Philosophie bei Aristoteles und im frühen Peripatos, di C. MuellerGoldingen. Property as an institutional Convention in Hume’s Account of Justice, di S. Freeman: l’interpretazione di Hume della natura e delle condizioni dei sistemi di proprietà come base primaria dei sistemi politici ed economici; le analogie e le differenze rispetto a Hobbes e Locke, la questione del Vol. 24, n. 3, luglio 1991 Kluwer, Dordrecht The life of order and the order of life: Eric Voegelin on modernity and the problem of philosophical anthropology, di D. J. Levy. A little daylight: a reading of Derrida’s “White Mythology”, di L. Lawlor: rilettura di La Mythologie blanche (La mitologia bianca, 1972) di Derrida. Willing and acting in Husserl’s lectures on ethics and value theory, di T. Nenon: la recente pubblicazione di scritti di Husserl sull’etica, Vorlesungen über Ethik und Wertlehre 1908-1914 (Lezioni sull’etica e RASSEGNA DELLE RIVISTE la dottrina dei valoroi 1908-1914, Kluwer, Dordrecht 1988) offre nuovi spunti di riflessione sulla sua concezione della volontà. The de-con-struction of reason, di S. Glynn: qual’é la natura della razionalità della ragione, da dove deriva e come é giustificata? Le possibili soluzioni, anche alla luce del dibattito epistemologico più recente. Intersubjectivity without subjectivism, di B. J. Singer: la filosofia di Mead e Buchler. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY The role of perceptual relativity in Berkeley’s philosophy, di R. Muehlmann. Fichte on skepticism, di D. Breazeale: i riferimenti allo scetticismo nell’opera fichtiana oscillano tra un atteggiamento di ferma ostilità e uno di apprezzamento. L’articolo tenta di spiegare come e perchè Fichte potesse, senza cadere in contraddizione, elogiare lo scetticismo per il suo indispensabile contributo alla crescita della filosofia e al tempo stesso rifiutarlo come autocontraddizione, denunciandolo per i suoi effetti negativi. A unique Way of existing: Merleau- Ponty and the subject, di J. Siegel. Vol. XXIX, n. 2, aprile 1991 Washington University, St. Louis Plato and the senses of words, di T. A. Blackson: la questione dell’omonimia nei dialoghi platonici. Prendendo le mosse dalla tesi di G. Vlastos (Reason and causes in the Phaedro, 1969) l’autore, difendendo il ruolo di Aristotele nella storia della filosofia, nega che Platone teorizzi un’omonimia, filosoficamente insidiosa, delle parole. Malebranche versus Arnauld, di M. Cook. Locke on personal identity, di K. P. Winkler: le difficoltà che emergono all’interno della dottrina lockeana dell’identità personale. Kant, Mendelssohn, Lambert and the subjectivity of time, di L. Falkenstein. Hegel, Marx and the concept of immanent critique, di A. Buchwalter: contrariamente alla affermazioni di Marx, i principi della logica speculativa hegeliana non sono estranei al concetto di immanenza critica che Marx ritiene implicito nella dialettica ragione-realtà. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXI, n. 3, settembre 1991 Fordham University, New York Time in Hegel’s Phenomenology of Spirit, di J. C. Flay. The insufficiency of Descartes’ provisional morality, di F. P. Coolidge: la morale provvisoria di Cartesio e il suo rapporto con la dottrina del metodo esposta nel Discorso. Religion, Nothingness and the challenge of post- modern thought: an introduction to the philosophy of Keiji Nishitani , di G. A. James: le opere ed il pensiero di Keiji Nishitani, nato nel 1900 e considerato come il più importante rappresentante della scuola di filosofia giapponese di Kyoto. The Many-Gods objection and Pascal’s wager , di J. Jordan. Condemned to time: the limits of MerleauPonty’s quest for being, di A. C. Lowry. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXIX, n. 3, luglio 1991 Washington University, St. Louis Socratic reason and socratic revelation, di M. L. Mcpherran: l’immagine tradizionale che la storia della filosofia ha dato di Socrate esclude che questi potesse rivolgersi a qualsiasi esperienza religiosa extrarazio-nale. L’articolo intende invece recuperare quest’ultimo aspetto della riflessione socratica, attraverso l’evidenziazione della portata del daimonion per il pensiero del filosofo. The Dating of Rule IV-B in Descartes’s Regulae ad directionem ingenii, di F. P. Van De Pitte. Radical hermeneutics, critical theory, and the political, di J. A. Doody: la teoria della prassi comunicativa di Habermas e l’utilità del suo pensiero per l’ermeneutica radicale. (aprile/giugno 1991, PUF, Paris) propone un articolo su Schopenhauer di R. Malter (Le transcendentalisme de Schopenhauer) ed una interessante rilettura del libro di M. Henry, L’essence de la manifestation (PUF, Paris 1963) centrato sul problema dell’alterità e sul concetto di immanenza che emergono dal testo (Une autre lecture de l’Essence de la manifestation: immanence, présent vivant et altérité, di Y. Yamagata). LES ETUDES PHILOSOPHIQUES AESTHETICA (n. 31, aprile 1991), rivista del Centro Internazionale di Studi di Estetica di Palermo, pubblica, per la prima volta in Italia, la Prefazione a L’Ordonnance des Cinq Espèces de Colonnes selon la Méthode Des Anciens, di Claude Perrault, testo chiave per una corretta ricostruzione e interpretazione del dibattito teorico in campo architettonico nella Francia del tardo Seicento. La figura di Perrault é peraltro rilevante anche in relazione all’intera cultura del Seicentoin: come menbro della prestigiosa Académie des Sciences egli è in contatto con i maggiori nomi della cultura coeva, Leibniz, Arnauld e Nicole (numerosi cono i legami delle idee di Perrault con il giansenismo). Al testo fa seguito un’appendice bibliografica a cura di M. S. Scalvini e S. Villari, curatori anche dell’introduzione al testo. THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol. 66, n. 2, 1991, Herder, Freiburg, Basel, Wien) propone un articolo di C. Hörl (Semantik und Handlungskausalität) sulla discussione circa l’intelligenza artistica nella filosofia analitica; in Die Wahrheit und das Gute, di J. Splett si esamina la figura di Socrate in rapporto alla nascita della metafisica. Nel numero successivo (Vol. 66, n. 3. 1991) appare un articolo di H. L. Ollig (Philosophische Zeitdiagnose im Zeichen des Postmodernismus) che esamina sinteticamente lo status del dibattito sul postmoderno in Germania, analizzando più precisamemte la posizione di Sloterdijk, Welsch e Koslowski. II BOLLETTINO DELLA SOCIETA’ FILOSOFICA ITALIANA (n. 143, maggio-ago- sto 1991) presenta un articolo di M. Zani dal titolo L’identità personale secondo Simone Weil che si propone di costruire su un piano logico la questione posta dalla Weil sul piano metafisico della “prospettiva impersonale riferita ad un io semza prospettiva”. Compaiono inoltre un articolo di G. Patella su Vico e la retorica e la proposta di un itinerario didattico di O. Frizzera dal titolo: Dal Mythos al logos nel pensiero antico. (Vol. XI, n. 2, agosto 1991) presenta un articolo di A. Meschiari dal titolo: Contributi allo studio dei fondamenti dello storicismo. La filosofia della lingua di Heymann Steinthal, che ricostruisce, parallelamente alla riflessione di Steinthal, lo status della filosofia del linguaggio nella metà del XIX sec. INTERSEZIONI NOVITA' IN LIBRERIA NOVITA' IN LIBRERIA AA.VV Razionalità fenomenologica e destino della filosofia Marietti, Genova ott./dic. 1991 pp.263, L. 40.000 Il punto sugli studi dedicati a Husserl, in una raccolta di saggi che affronta i temi fondamentali del più acuto indagatore nel campo della fenomenologia. AA.VV. Preghiera e filosofia Morcelliana, Brescia ottobre 1991 pp.438, L. 40.000 I saggi di questo volume tentano di rispondere a queste domande: è possibile una interrogazione filosofica della preghiera? Nel tempo del compiuto nichilismo, la crisi culturale della preghiera, del suo invocare, non tocca la stessa filosofia nel suo essere sguardo stupefatto dell’esistente? Aarnes, Asbjoern Cartesianische Perspektiven. Von Montaigne bis Paul Ricoeur Bouvier, Bonn sett./ott. 1991 pp.222, DM 58 Il libro apre una nuova strada nella vita spirituale della Francia: i discorsi del poeta e del filosofo si separano, condizionati dalla stretta vicinanza di letteratura e filosofia. Adinolfi, Isabella Poeta o testimone? Il problema della comunicazione del cristianesimo in Søren Kierkegaard Marietti, Genova ott./dic. 1991 pp.77, L. 25.000 Uno studio che si inserisce in una corrente diversa da ogni interpretazione riduttiva di Kierkegaard in chiave fideistica. Il tema della giustificazione della fede vi appare come un momento centrale nella riflessione del filosofo. Agazzi, E. - Cordero, A. (a cura di) Philosophy and the origin and evolution of the Universe Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991 pp.480, Dfl 190 Il libro fornisce elementi essenziali del retroterra scientifico necessario per comprendere le principali questioni della cosmologia moderna, offrendo allo stesso tempo un dibattito sui problemi che vi sorgono, che non sono di carattere puramente scientifico, né filosofico. Allen, R.E. (a cura di) Platone The dialogues of Plato: vol.II. The Symposium Yale UP, Yale ottobre 1991 pp.184, £ 16,95 Questa nuova traduzione del Simposio cerca di far rivivere questo classico per il lettore moderno. La traduzione è accompagnata da un commento che mira a facilitare la comprensione del pensiero platonico e a fornire riferimenti in relazione alla filosofia contemporanea. Alvarez, Fabio Ch. Die brennende Vernunft. Studien zur Semantik der “rationalitas” bei Hildegard von Bingen Frommann-Holzboog Stuttgart sett./ott. 1991 pp.288, DM 68 Amtmann, Rolf Die Ganzheit in der europäischen Philosophie Grabert, Tübingen sett./ott. 1991 pp.444, DM 68 Opposizioni come quella di corpo e anima, materia e spirito, materialismo e idealismo spesso conducono a vicoli ciechi. L’autore spiega che la soluzione andrebbe cercata nella moderna teoria della totalità. Annerl, Charlotte Das neuzeitliche Geschlechterverhältnis. Eine philosophische Analyse Campus, Frankfurt/M. sett./ott. 1991 pp.180, DM 38 La Sala, Federico La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica Pellicani, Roma ott./dic. 1991 pp.210, L. 35.000 Saggio su Nietzsche “e i suoi dintorni” (parmenide, Platone, Marx, Freud, Benjamin) tenta di andare “oltre” l’Edipo e la metafisica. Spesso con tono nietzscheano, chiarisce - attravesro Parmenide e d Eraclito - il fondamento della concezione tragica della realtà, verso il nuovo concetto di “mente accogliente”. Arens - John - Rottländer Erinnerung, Befreiung, Solidarität. Benjamin, Marcuse, Habermas und die politische Theologie Patmos, Düsseldorf sett./ott. 1991 pp.200, DM 29,80 Armon-Jones, Claire Varietes of affect Harvester Wheatsheaf, settembre 1991 pp.208, £ 30 Questo studio intende dimostrare che abbiamo bisogno di collocare le nostre emozioni in una più ampia visione dei nostri affetti. Si può confidare nel fatto che un tale approccio ci permetterà di spiegare la continuità delle emozioni con altri tipi di stati affettivi e special- mente con quello stato denominato “umore”. Audi, Robert Practical reasoning Routledge, London settembre 1991 pp.240, £ 9,99 Questa monografia propone un’originale teoria sul ragionamento pratico, che combina il realismo psicologico con l’adeguatezza filosofica, e mira ad integrare la struttura del ragionamento pratico in una plausibile psicologia cognitiva. Auroux, Sylvain - Weil, Yvonne Dictionnaire des auteurs et des themes de la philosophie Hachette, Paris sett./ott. 1991 pp.526, FF 75 Questo dizionario ha un repertorio di circa cento autori, una guida bibliografica e raccoglie piu’ di cento temi. E’ una fonte sulla quale verificare i riferimenti. Baccelli, Luca Praxis e Poiesis nella filosofia politica moderna Franco Angeli, Milano ottobre 1991 pp.272, L. 35.000 Bal,. K. - Wollgast, S. Schellenberger, P. (a cura di) Frühaufklärung in Deutschland und Polen Akademie, Berlin sett./ott. 1991 pp.374, DM 48 Baldini, Massimo Contro il filosofese Laterza, Bari settembre 1991 pp.190 Di fronte all’ “imperativo storico” di parlar chiaro come si sono comportati nel passato e come ancor oggi si comportano i filosofi? Una carrellata spesso polemica e sempre vivace su quanto è stato detto dai vari filosofi sul loro stesso linguaggio. Barret, Cyril Wittgenstein on ethics and religious belief Blackwell, London ottobre 1991 pp.256, £ 45 Espone le prospettive etiche religiose di Wittgenstein. L’opera sottolinea la suprema convinzione di Wittgenstein sull’importanza dei valori etici e religiosi; egli credeva che tale importanza non potesse tuttavia essere espressa adeguatamente. Bäumer, A. - Benedikt, M. (a cura di) Dialogdenken - Gesellschaftsethik. Wider die allgegenwärtige Gewalt gesellschaftlicher Vereinnahmung Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991 pp.432, ÖS 598 - DM 85 Bäumer, A. - Benedikt, M. (a cura di) Gelehrtenrepublik - Lebenswelt. Edmund Husserl und Alfred Schütz in der Krisis der phänomenologischen Bewegung Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991 pp.400, DM 80 - ÖS 560 Bechler, Zev Newton’s physics and the conceptual structure of the scientific revolution Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991 pp.624, Dfl. 300 Le due ontologie arrivano ineluttabilmente allo stesso posto: da una parte il rettilineo e ordinato verbalismo dell’aristotelico, dall’altra il platonico costretto a una circolarità della scienza che non può eludere, se non rinunciando agli ideali di certezza che condivide con l’aristotelico. Beierwaltes, Werner Selbsterkenntnis und Erfahrung der Einheit. Plotins Enneade V 3. Text, Übersetzung, Interpretation, Erläuterungen Klostermann, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.260, DM 88 Bergson, Henri Materie und Gedächtnis. Aine Abhandlung über die Beziehung zwischen Körper und Geist Intr. di E. Oger trad. di J. Frankenberger Meiner, Hamburg sett./ott. 1991 pp.256, DM 36 Beschin, Giuseppe (a cura di) Filosofia e ascesi nel pensiero di Antonio Rosmini Morcelliana, Brescia 1991 pp.397, L. 50.000 Una prima parte dedicata a un “sondaggio teoretico” fra platonismo, neoplatonismo e aristotelismo, una seconda specificamente dedicata a Rosmini sul possibile connubio tra filosofia e ascesi. Bhaskar, Roy Philosophy and the idea of freedom Blackwell, London ottobre 1991 pp.256, £ 35 La prima parte è una citica del lavoro di Richard Rorty sulla problematica epistemologica. La seconda parte consta di tre testi complementari a questa critica: il primo esamina la natura del realismo critico, il secondo indaga i NOVITA' IN LIBRERIA legami tra realtà e valore e il terzo è una visione sinottica del pensiero marxista. Bianco, Franco Di Bernardo, Giuliano (a cura di) Episteme e azione Franco Angeli, Milano settembre 1991 pp.248, L. 32.000 I diversi saggi che compongono questo volume analizzano l’attuale pluralizzazione dei criteri euristico-interpretativi dell’impresa cognitiva, il rifiuto delle prospettive di tipo riduzionistico sostenute dalle epistemologie analitiche standard, la valorizzazione delle dimensioni linguistiche, pragmatiche e intenzionali presenti nell’indagine eticofilosofica. Vengono così studiate concezioni e teorie che sono alla base non soltanto dell’odierna prospettiva “postanalitica”, ma anche di movimenti come lo storicismo, l’ermeneutica, il pragmatismo, “la nuova filosofia della scienza”, l’epistemologia evoluzionistica e il neoutilitarismo. Blumenthal, Henry Robinson, Howard (a cura di) Aristotle and the later tradition Clarendon, London settembre 1991 pp.288, £ 35 Il tema centrale di quest’opera è la filosofia di Aristotele e la sua influenza sul pensiero della tarda classicità, in particolare sul neoplatonismo. Include articoli sulla fisica, la metafisica, la teologia, l’etica, la logica e la filosofia della mente, scritti da alcuni studiosi americani ed europei. Bortolotti, Arrigo La religione nel pensiero di Platone Olschki, Firenze ott./dic. 1991 pp.300, L. 52.000 Lo studio contenuto in questo volume è la continuazione e il completamento del discorso iniziato in La religione nel pensiero di Platone. Dai primi dialoghi al Fedro, pubblicato dall’autore nel 1986. Bos, P. Adam Teologia Cosmica e Metacosmica Vita e Pensiero, Milano ottobre 1991 pp.404, L. 45.000 Una nuova interpretazione delle opere “perdute” di Aristotele che comportano una nuova considerazione globale della sua filosofia. Braitling, Petra Hegels Subjektivitätsbegriff. Aine Analyse mit Berücksichtigung intersubjektiver Aspekte Königshausen & Neumann Würzburg sett./ott. 1991 pp.234, DM 46 Brandl, J. (a cura di) Metamind, knowledge, and coherence. Essays on the philosophy of Keith Lehrer Ed. Rodopi, Amsterdam sett./ott. 1991 pp.200, Dfl 65 Braude, Stephen E. First person plural: multiple personality and the philosophy of the mind Routledge, London ottobre 1991 pp.288, £ 35 Un’analisi filosofica del fenomeno dello sdoppiamento della personalità. Braude sostiene che l’avvicendarsi delle personalità è una profonda ed autentica divisione dell’io. Braun, Johann Freiheit, Gleichheit, Eigentum. Grundfragen des Rechts im Lichte der Philosophie J.G. Fichtes Mohr Tübingen sett./ott. 1991 pp.189, DM 64 Bruno, Giordano Über di Monas, die Zahl und die Figur als Elemente einer sehr gemeinen Physik, Mathematik und Metaphysik A cura di E. von Samsonow Meiner, Hamburg sett./ott. 1991 pp.294, DM 88 In questa prima traduzione tedesca della sua fondamentale trilogia, Bruno individua nel numero la chiave dell’allontanamento del pensiero dai principi semplici verso l’idea della totalità. Calasso, Roberto I quarantanove gradini Adelphi, Milano ottobre 1991 pp.500, L. 32.000 Nietzsche, Kraus, Robert Walser. Adorno, Benjamin, Heidegger, Marx, sono alcuni dei nomi che appaiono in questo libro. Sono incontri che hanno lasciato traccia in saggi, indagini, articoli composti nel corso di più di vent’anni e qui presentati nell’ordine in cui sono stati scritti. Camastra, Francesco (a cura di) Libido dominandi. La teoria politica da Gregorio Magno a Gregorio VII Unicopli, Milano ott./dic. 1991 pp.173, L. 26.000 Attraverso una scelta di testi con ampia introduzione, il volume offre uno sguardo sulla filosofia politica di importanti esponenti medievali del potere politico e di quello religioso: da Gregorio magno a Aluino, da Carlo Magno a Gregorio VII. Cambiano, Giuseppe Platone e le Tecniche Laterza, Bari settembre 1991 pp. 270 A vent’anni dalla prima edizione, questo saggio rimane ancora oggi l’unico lavoro complessivo che tratti organicamente la riflessione platonica sul mondo concreto della “operatività” umana. Campbell, T.D. (a cura di) Biotechnologie, Ethik und Recht im wissenschaftlichen Zeitalter Steiner, Stuttgart sett./ott. 1991 pp.200, DM 70 Raccolta di saggi tedeschi, inglesi e francesi. Canto, Monique (a cura di) Les paradoxes de la connaissance: essais sur le Menon de Platon O. Jacob, Paris ottobre 1991 pp.280, FF 180 Uno studio sul Menone, che presenta nella forma piu’condensata e piu’ drammatica i punti principali del pensiero platonico. Cardoff, Peter Martin Heidegger Campus, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.140, DM 17,80 Questo scritto introduttivo cerca di rompere il campo del pensiero, comunicando con la filosofia di Heidegger in modo dialogico ed esaminando l’opera al di là dei pro e dei contro in cui è arenata. Carré, Patrick D’Elis a Taxila: eloge de la vacuité Criterion, Paris ottobre 1991 pp.110, FF 75 Al centro di questo viaggio iniziatico ai confini tra saggistica e narrativa, è Pirrone, filosofo greco dell’antichita’, fondatore dello scetticismo e compagno di Alessandro, che scortera’ durante le sue conquiste. Casati, R. (a cura di) Europena Yearbook of Philosophy. Vol.1/1991: Philosophy of mind Neske, Pfullingen sett./ott. 1991 pp.160, DM 38 Questo periodico è la piattaforma di lancio delle nuove generazioni accademiche del pensiero filosofico e viene pubblicato una volta all’anno da giovani universitari europei in lingua inglese. Gli otto articoli del numero 1 trattano problemi specifici della filosofia dello spirito. Cassirer, Ernst Rousseau, Kant, Goethe A cura di Rainer A. Bast Meiner, Hamburg sett./ott. 1991 pp.204, DM 32 Il presente volume comprende quattro importanti testi di Rousseau, Kant e Goethe, due dei quali appaiono per la prima volta in lingua tedesca. L’accurata edizione filologica comprende anche le note del curatore, con documentazione delle citazioni e utili spiegazioni. Cioran, E. M. L’inconveniente di essere nati Adelphi, Milano novembre 1991 pp.187, L. 25.000 Cioran vaga in questo libro non già intorno ai problemi come fanno spesso i filosofi, ma intorno alle “cose” come fanno i pochi che pensano veramente e fra le tante cose il puro fatto di essere nati. In questo libro, più che mai prima, Cioran si avvicina a certi temi, a certi modi dei buddhisti più radicali. Conche, Marcel (a cura di) Anassimandre. Fragmentes et temoignages PUF, Paris settembre 1991 pp.256, FF 245 Il problema iniziale della filosofia, quello del senso dell’uomo, ha preso sin dalle origini, con Anassimandro, la sua forma essenziale: cosa significa la morte? La “Parola di Anassimandro” è una giustificazione della morte. Corbin, Henry Storia della filosofia islamica Adelphi, Milano ottobre 1991 pp.285, L. 16.000 La vicenda del pensiero islamico non solo attraverso le figure che ebbero immensa influenza in Occidente, come Avicenna e Averroè, ma in tutte le sue molteplici, affascinanti ramificazioni, molte delle quali pressochè ignote fra noi prima di questo libro. Cusano, Nicola La dotta ignoranza a cura di G. Federici Vescovini Città Nuova, Roma settembre 1991 pp. 229, £. 23.000 Il problema che interessa Cusano, nella Dotta ignoranza è quello del rapporto tra verità di fede e verità di ragione, rivelazione cristiana e filosofia. Moderna la soluzione, che sfocia in una «mondanizzazione» del messaggio re- ligioso, nella pacificazione terrena della fede fondata sulla universalità del suo messaggio, il Verbo come Logos rivelato. Damascius, Westerink Leendert Gerrit (a cura di) Traité des premiers principes Belles Lettres, Paris 1986-1991 3 vol. Deleuze, Gilles - Guattari, Felix Qu’est-ce que la philosophie? Minuit, Paris ottobre 1991 pp.208, FF 85 La filosofia, in quanto attivita’ che crea concetti, si differenzia dalla scienza e dalla logica, le quali operano attraverso funzioni, su un piano di riferimento e con osservatori parziali. Derrida, Jacques Oggi l’Europa Garzanti, Milano ottobre 1991 pp.126, L. 18.000 “A quale concetto, a quale individuo reale, a quale entità determinata si può, al giorno d’oggi, assegnare in nome di Europa?” E’ questo lo spunto da cui parte la riflessione di Jacques Derrida che affronta in questo saggio uno dei temi più profondi e centrali dell’attualità culturale e politica: qual’è e quale sarà il ruolo del Vecchio Continente? Quale potrà essere il suo destino, ora che la situazione mondiale sta cercando nuovi equilibri? Derrida, Jacques La mano di Heidegger Laterza, Bari novembre 1991 pp.210 Un confronto di altissimo livello tra uno dei maggiori filosofi francesi contemporanei e il grande filosofo tedesco. Di Francesco, Michele Il Realismo analitico Guerini e Ass., Milano sett. 1991 pp.280, L. 40.000 Il volume fornisce un’ampia panoramica della filosofia del linguaggio in Russel mettendo a fuoco uno dei principali punti teoretici da cui si è originata la filosofia analitica. Druwe-Mikusin, Ulrich Moralische Pluralität. Grundlegung einer Analytischen Ethik der Politik Königshausen & Neumann Würzburg sett./ott. 1991 pp.216, DM 44 Il saggio contrappone (a livello analitico) il problema del fondamento normativo e di quello morale. Sulla base della filosofia della scienza di Quine viene elaborata una metaetica concezione di fondamento di nuovo genere, che costituisce il punto di partenza per una teoria dell’etica politica. Duhamel, Roland Nietzsches Zarathustra - Mystiker des Nihilismus. Eine Interpretation von F. Nietzsches Also sprach Zarathustra. Königshausen & Neumann Würzburg sett./ott. 1991 pp.128, DM 29,80 Dumont, Louis Homo aequalis. 2: L’ideologie allemande Gallimard, Paris ottobre 1991 pp.324, FF 145 Dopo aver posto in rilievo l’individua- NOVITA' IN LIBRERIA lismo del nostro mondo contemporaneo in “Homo hierarchicus” (1966), Dumont questa volta confronta l’aspetto francese e l’aspetto tedesco dell’individualismo moderno. mento. Prendendo spunto dall’episodio relativo alle nozze di Giacobbe, viene individuata una struttura fondamentale per l’analisi della società, il “matrimonio tra cugini”. Edmond, Michel-René Platon le philosophe roi Payot, Paris ottobre 1991 FF 140 L’impresa platonica si regge sulla necessita’per la politica di essere sorretta dalla filosofia. Questo saggio sviluppa tre punti: la critica dell’interpretazione cristiana, l’analisi della concezione platonica della giustizia e infine l’ordine politico giusto come oggetto di un sapere stabilito. Freadman, Richard Reinhardt, Lloyd On literary theory and philosophy. A cross-disciplinary encounter Macmillan, London sett./ott. 1991 pp.246, £ 35 Il saggio esplora i rapporti tra teoria letteraria contemporanea e filosofia analitica. Fra gli argomenti centrali del volume: l’io, l’etica, l’interpretazione, il linguaggio e la caratterizzazione della filosofia “analitica” e “continentale”. Emanuele, Pietro - Plebe, Armando L’Euristica. Come nasce una filosofia Laterza, Bari ottobre 1991 pp.200 Espagnat, Bernard d’ A la recherche du reel Presses Pocket, Paris sett./ott. 1991 FF 48 Una questione classica della filosofia viene riproposta da questo autore che rilegge le risposte tradizionali utilizzando un occhio scientifico. Un’iniziazione ai problemi della fisica dei nostri giorni. Fadini, Ubaldo Configurazioni antropologiche Liguori, Napoli 1991 pp. 274, L. 25.000 Raccolta di saggi, frutto delle ricerche di Fadini tra il 1985 e il 1990, che intende ribadire l’importanza di una costellazione filosofica - caratterizzata da un particolare “materialismo antropologico” - che sottolinea il significato “critico-affermativo” di un insediamento materiale/sensibile nel contesto sempre più artificiale della vita umana. Fellmann, Ferdinand Symbolischer Pragmatismus. Hermeneutik nach Dilthey Rowohlt, Reinbek sett./ott. 1991 DM 18,80 Il “pragmatismo simbolico” è il tentativo di una nuova ermeneutica filosofica che tenga conto nel processo di comprensione dell’esperienza emotiva. Formenti, Carlo Piccole apocalissi Tracce della divinità nell’ateismo contemporaneo Cortina, Milano settembre 1991 pp.196, L. 23.000 Il risveglio delle grandi religioni d’Oriente e Occidente suscita diffidenza nella società secolarizzata del XX secolo. Il crollo dell’utopia comunista ha appena riconsegnato la sinistra al mondo laico e ai suoi valori. L’ateismo è una religione. Una religione senza Dio, una religione dell’uomo che ignora i suoi stessi presupposti teologici. Questo libro ne analizza i miti, le rivelazioni e i messaggi di salvezza. Frazer, James G. Matrimonio e parentela a cura di Giulio Guidorizzi Il Saggiatore, Milano 1991 pp. 269, L. 50.000 E’ il sesto capitolo della seconda parte del II volume della monumentale opera di Frazer, Il Folklore nell’Antico Testa- Freund, Julien - Blanchet, Charles L’aventure du politique Criterion, Paris ottobre 1991 Frigerio, Maurilio Invito al pensiero di Bruno Mursia Editore, Milano settembre 1991 pp.216, L. 13.000 Fuller, Michael Truth, value and justification Avebury, ottobre 1991 pp.200, £ 32 Una ricerca sui fondamenti dell’ epistemologia e dell’etica, che traccia legami tra valore e realtà, vero e valore, realtà e teoria. L’autore conclude affermando che la filosofia non è mai esistita oltre il “paradigma kantiano”. Gander, H.-H. (a cura di) Von Heidegger her. Wirkungen in Philosophie - Kunst - Medizin Klostermann, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.160, DM 48 Gane, Michael Baudrillard’s bestiary: Baudrillard and culture Routledge, London ottobre 1991 pp.192, £ 35 Attingendo da numerosi importanti scritti di Baudrillard, che sono tuttora disponibili solo in lingua francese, Gane fornisce un’introduzione alla teoria culturale di questo pensatore, in particolare soffermandosi sulla concezione della modernità e sul complesso processo di simulazione. Gannon, Timothy Shaping psychology: how we got where we’re going UP of America, settembre 1991 pp.322, $ 33,95 Questo testo tratta le origini delle idee psicologiche in filosofia e le origini della psicologia scientifica. L’autore mostra le implicazioni della psicologia con la semiotica. Gehlhaar, Sabine S. Die frühpositivistische (Helmholtz) und phänomenologische (Husserl) Revision der Kantischen Erkennt-nislehre Junghans, Cuxhaven sett./ott. 1991 pp.278, DM 58 Geist, Werner Vom Wert des Menschen. Aus der Evolution zur Provolution. Versuch einer analytischen Hominologie Radius-Vlg., Stuttgart sett./ott. 1991 pp.332, DM 36 Gembillo, Giuseppe Croce e il problema del metodo Flavio Pagano Ed., Napoli 1991 pp.139, L. 15.000 Tappe del confronto di Croce con autorevoli metodologi quali Galileo, Droysen, Vailati, Mach; l’interesse di Croce comprende tanto le teorie dei epistemologi quanto quelle degli studiosi di storiografia etico-politica. Gerri, Giovanni Platone sociologo della comunicazione Pref. di Bruno Gentili Il Saggiatore, Milano 1991 L. 38.000 Platone comprese perfettamente vantaggi e svantaggi della parola scritta nei confronti dell’agonismo orale e della comunicazione diretta in voga fino al periodo precedente al proprio. La forma letteraria del dialogo vuole congiungere la possibilità di articolazione concettuale con il dinamismo della parola parlata. Gilman, Sander (a cura di) Conversation with Nietzsche Oxford UP, ottobre 1991 pp.304, £ 10,95 Questo album di ricordi, aneddoti e memorie private, provenienti da svariate fonti, riflette la realtà e i miti che circondavano Nietzsche. Il libro ricopre l’intero arco della sua vita e narra la sua visione delle figure storiche che hanno influenzato il suo pensiero, come Goethe e Napoleone. Gilson, Bernard L’essor de la dialectique moderne et la philosophie du droit Vrin, Paris ottobre 1991 pp.703, FF 390 Dal contenuto delle opere di Kant, Fichte ed Hegel, Gilson si è sforzato di determinare il significato del movimento del loro pensiero filosofico e giuridico. Gilson, Etienne - Maritain, Jacques Prouvost, Gery (a cura di) Correspondances 1923-1971: deux approches de l’etre Vrin, Paris ottobre 1991 Giorello, Giulio Strata, Piergiorgio (a cura di) L’automa spirituale. Menti cervelli computers Laterza, Bari 1991 pp.240, L. 33.000 Quattordici saggi elaborati dai partecipanti ai seminari organizzati dal Premio Europeo Cortina Ulisse sul tema “Corpo e mente nella storia e nella filosofia della scienza”. Interventi, fra gli altri di Daniel Deumet; Michele Di Francesco, John Eccles, Giulio Giorello, Thomas Nagel, Karl R. Popper, Roger Sperry sul problema del rapporto fra mente e cervello e sulla struttura e il funzionamento cerebrale. Glucksmann, André Le XIe commandement Flammarion, Paris ottobre 1991 pp.348, FF 120 A partire dalla sanguinosa storia del ventesimo secolo, una riflessione morale che porta a questo “undicesimo comandamento”: niente di cio’ che è inumano ci deve essere estraneo. Gomez-Muller, Alfred Chemins d’Aristote Felin, Paris sett./ott. 1991 pp.163, FF 110 Un’introduzione ad Aristotele attraverso tre percorsi. Il primo ripercorre la sua vita nella societa’ greca del quarto sec. a.C.; il secondo sviluppa la sua teoria della conoscenza; il terzo segue le tracce che la sua riflessione etico-politica ha lasciato nella storia del pensiero occidentale. Guillemin, Henri Regards sur Nietzsche Seuil, Paris ottobre 1991 pp.309, FF 130 Tentativo di indovinare o intravvedere il personaggio e le sue differenti maschere. Habermas, Jürgen Il pensiero post-metafisico Laterza, Bari settembre 1991 pp.300 Il volume è arricchito dall’introduzione di Marina Calloni e da un glossario, una sorta di dizionario filosofico del pensiero di Habermas nei termini in cui è stato tradotto in Italia. Handjaras, Luciano Problemi e progetti del costruzionismo Saggio sulla filosofia di Nelson Goodman Franco Angeli, Milano novembre 1991 pp.184, L. 25.000 Goodman si interroga essenzialmente su un unico problema: come costruiamo i nostri mondi della filosofia, dell’arte, della scienza e come ne valutiamo la giustezza. Ridifinendo i rapporti tra conoscenza, comprensione e operazioni costruttive, amplia e ridetermina l’idea di conoscenza e delinea una trama di somiglianze e differenze cognitive ed estetiche tra “opere” di solito considerate inconfrontabili. Hannay, Alastair Kierkegaard Routledge, London ottobre 1991 pp.390, £ 14,99 Un esauriente studio critico di Soren Kierkegaard. Nonostante il rifiuto di Kierkegaard di costruire un edificio teoretico alla maniera di Hegel, Alastair Hannay mostra come in realtà egli usi sistematicamente la filosofia per chiarire gli esiti della fede religiosa, della moralità e dell’etica. Harding, Sandra Whose science? Whose knowledge?: thinking from women’s lives Open UP, Milton Keynes settembre 1991 pp.320, £ 30 Esamina la possibilità di un modo femminista di conoscere e di una scienza femminista, considerando le conseguenze pratiche che un metodo femminista potrebbe avere per le relazioni politiche, sociali e sessuali. L’autrice esplora la natura e le implicazioni dell’epistemologia femminista e del postmodernismo femminista. Hare, R. M. Moralisches Denken. Seine Ebenen, seine Methode, sein Witz Bouvier, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.280, DM 48 “Moralisches Denken” è nello stesso tempo l’esposizione più concisa e più avanzata del progetto che R.M. Hare ha iniziato con “Die Sprache der Moral” e NOVITA' IN LIBRERIA “Freiheit und Vernunft” e che ogg, con il nome di “prescrittivismo universale” è fra le teorie di filosofia morale più discusse. Hare, R. M. - Barnes, Jonathan Chadwick, Henry Founders of thought Oxford UP, Oxford ottobre 1991 pp.304, £ 7,99 Quest’opera fornisce un’introduzione a tre influenti pensatori della classicità: Platone, i cui dialoghi costituiscono la base degli sudi logici, metafisici, morali e politici; Aristotele e S.Agostino. Harris, Errol E. Salvezza dalla disperazione. Rivalutazione della filosofia di Spinoza Guerini e Ass., Milano settembre 1991 pp.335, L. 48.000 Una ricostruzione filosofica e interpretativa della dottrina di Spinoza che offre una risposta ai problemi teoretici che essa pone. Il saggio offre originali prospettive concernenti le relazioni tra due dei massimi esponenti del razionalismo moderno, Spinoza appunto e Hegel. Hegel, Georg Wilhelm F. Fenomenologia della natura a cura di Pier Giuseppe Milanesi Unicopli, Milano 1991 pp.189, L. 26.000 Prima traduzione delle pagine delle Lezioni jenesi nelle quali Hegel espone la propria analisi del mondo fisico come puro mondo di rapporti qualitativi. Con testi, su questi stessi temi, di Goethe, Schelling, Kant e Schopenhauer. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich Phenoménologie de l’esprit a cura di Jean-Pierre Lefebvre Aubier, Paris ottobre 1991 pp.576, FF 180 Uno dei più importanti scritti della storia della filosofia, ora in nuova traduzione francese. Heidegger, Martin Saggi e discorsi a cura di Gianni Vattimo Mursia, Milano settembre 1991 pp.198, L. 12.000 I saggi e i discorsi riuniti in questo volume, uscito in edizione originale nel 1954, sono stati tutti composti intorno al 1950, nel momento in cui si andava diffondendo nella filosofia europea la discussione intorno al significato della cosiddetta “svolta” del pensiero heideggeriano annunciata dalla Lettera sull’umanismo nel 1946. Più di altri scritti heideggeriani, i Saggi e discorsi offrono un punto di vista privilegiato per cogliere l’immagine dell’uomo e del compito del pensiero. Konstellationen. Probleme und Debatten am Ursprung der idealistischen Philosophie (1789-1795) Klett-Cotta, Stuttgart sett./ott. 1991 pp.176, DM 68 La nascita dell’idealismo speculativo nelle lettere e nei discorsi. Heipke, K. (a cura di) Die Frankfurter Schriften Brunos und ihre Voraussetzungen VCH, Weinheim sett./ott. 1991 pp.309, DM 128 Raccolta degli interventi al convegno in una seduta del Gruppo di Lavoro Interdisciplinare di Filosofia dell’Università di Cassel sulle opere tarde latine di Giordano Bruno. Hermann, Friedrich-W. von Heideggers Grundprobleme der Phänomenologie. Zur “zweiten Hälfte” von Sein und Zeit Klostermann, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.64, DM 19,80 Hoogendijk, A. Phlilosophy for managers Veen, 1991 Visto che i managers devono programmare il futuro, devono avere una chiara visione dei propri obbiettivi; la riflessione “filosofica” su fini e mezzi può essere loro utile. Horster, Detlef Richard Rorty zur Einführung Junius, Hamburg sett./ott. 1991 pp.160, DM 17,80 Hübner, Benno Der de-projizierte Mensch. Metaphysik der Langeweile Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991 pp.176, DM 37,80 Hude, Henri Prolegomenes Ed. Universitaires Paris sett./ott. 1991 pp.219, FF 165 Come cominciare? La messa in moto della riflessione filosofica è al tempo stesso semplice ed assai complessa. Hume, David Enquete sur les principes de la morale a cura di Saltel Philippe Flammarion, Paris ottobre 1991 pp.352, FF 38 Un’introduzione alla filosofia della quale l’autore vorrebbe fare un piacere e non gia’ un lavoro. Hume, David Les passions a cura di Jean-Pierre Clero Flammarion, 1991 pp.352, F 38 Raccoglie il Trattato sulla natura umana e le Dissertazioni sulle passioni Heidegger, Martin Prolegomena alla storia del concetto di tempo Il Melangolo, Genova settembre 1991 pp.384, L. 50.000 Questo scritto si colloca sullo sfondo della filosofia dell’essere con una notevole potenza innovativa che mette in risalto i caposaldi del pensiero heideggeriano. E’ il corso di lezioni che Heidegger tenne a Marburgo nel 1924/ 25. Hyppolite, Jean Figures de la pensée philosophique PUF, Paris ottobre 1991 2 vol. pp.544, FF 149 Il pensiero filosofico della nostra epoca si caratterizza attraverso due movimenti antitetici, quello che cerca di svelare l’esistenza, che si è spesso opposto alle scienze, e quello che invece si è innalzato a considerare le strutture immanenti le scienze stesse. Henrich, Dieter Ingegno, Adolfo (a cura di) Da Democrito a Collingwood Leo S. Olschki, Firenze pp.208, L. 40.000 Jankélévitch, Vladimir L’avventura, la noia, la serietà Marietti, Genova ott./dic. 1991 pp.298, L. 35.000 Tre momenti dell’esistenza di ogni uomo interpretati come elementi fondamentali del vivere. Jaspers, Karl Il medico nell’età della tecnica Cortina Editore, Milano ottobre 1991 pp.158, L. 18.000 Non vi è stato alcun altro importante filosofo del nostro secolo che abbia conosciuto i problemi della condizione medica nell’età della tecnica come Jaspers, sia per l’esperienza diretta, sia per una riflessione su questa esperienza. I suoi scritti sulla condizione medica, raccolti qui per la prima volta in un unico volume, assumono pertanto un valore particolare. Jonas, Hans Lo gnosticismo a cura di Raffaele Farina Sei, Torino 1991 pp.437, L. 45.000 In questo studio, considerato ormai un classico, Jonas mette in luce i fondamenti dottrinari dello gnosticismo esaminando caratteristiche e teorie delle varie sette. Joukovsky, Francoise Le Feu et le fleuve: Heraclite et la Renaissance francaise Droz, Paris ottobre 1991 pp.152, FF 240 Mostra l’influenza di questo filosofo greco che postulava che il mondo racchiude una sola forza viva ed unica il cui simbolo è il fuoco. Kopper, Margit Die Systemfrage in der transzendentalen Methodenlehre der Kritik der reinen Vernunft und ihre Bedeutung für die Reflexion des Wissens in sich bei Hegel Königshausen & Neumann Würzburg sett./ott. 1991 pp.304, DM 68 Krüger, H.-P. (a cura di) Objekt- und Selbsterkenntnis. Zum Wandel im Verständnis moderner Wissenschaften Akademie-Vlg., Berlin sett./ott. 1991 pp.200, DM 51 Kühlewind, Georg Der sprechende Mensch. Ein Menschenbild aufgrund des Sprachphänomens Klostermann, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.224, DM 48 L’autrice colloca le differenze sessuali nel movimento di passaggio storico dal precedente modello di pensiero e di comportamento improntato a uno stile di vita a un tipo di ragione maschile del moderno soggetto. I suoi fondamenti tuttavia non vengono individuati in una natura maschile, ma nella struttura del comportamento razionale. Lacarriere, Jacques Les gnostiques A.M. Metaillé, Paris sett./ott. 1991 pp.192, FF 78 Un saggio originale, una sorta di meditazione poetica sugli gnostici estinti d’Egitto; il loro radicale rifiuto di credere nel mondo disegnato dai teologi del cristianesimo, li ha condotti alla distruzione. Lacoue-Labarthe, Philippe Nancy, Jean-Luc Le mythe nazi Ed. de l’aube, Paris ottobre 1991 pp.70, FF 45 Primo di una serie di brevi testi filosofici attraverso i quali importanti pensatori dei nostri giorni interverranno nel dibattito in corso. Quest’opera cerca di definire una peculiarita’ fondamentale del nazismo, nella misura in cui esso viene pensato come mito moderno. Lalande, André Vocabulaire technique et critique de la philosophie PUF, Paris ottobre 1991 2 vol. pp.704, FF 160 Fornisce delle definizioni semantiche, che non vanno considerate come dei principi formali, ma come delle spiegazioni. Non si tratta di costituire un’assiomatica, ma di conoscere delle realta’ linguistiche e di prevenire dei malintesi. Lash, Scott - Friedman, Jonathan Modernity and identity Blackwell, London settembre 1991 pp.448, £ 45 Un contributo al dibattito contemporaneo su modernismo e postmodernismo. Questo libro prefigura la possibilità di una “terza via”, rifiutando l’opposizione tra il razionalismo impersonale dell’alto modernismo e l’irrazionalismo antietico del postmodernismo. Lavelle, Louis Traité des valeurs: 1. Theorie generale de la valeur PUF, Paris sett./ott. 1991 pp.768, FF 350 Un quadro di tutte le direzioni nelle quali la riflessione umana si è impegnata, nel corso della sua storia, al fine di definire il valore assoluto e i valori particolari. Leach, Edmund Lévi-Strauss zur Einführung prefazione di K.-H. Kohl Junius, Hamburg sett./ott. 1991 pp.184, DM 17,80 Leibniz, Gottfried Wilhelm De l’horizon de la doctrine humaine (1693); La restitution universelle (1715) a cura di Fichant Michel Vrin, Paris ottobre 1991 pp.218, FF 120 Il testo è stato riprodotto in base al manoscritto originale. Nell’appendice Fichant propone un commento filosofico. Lemaire, Jacques (a cura di) La pensee et l’homme n. 18; le rationalisme est-il en crise? Ed. de l’Université de Bruxelles Bruxelles ottobre 1991 pp.165, FF 83 Si sono espressi a riguardo dei razionalisti convinti, degli scettici, degli specialisti nelle scienze umane, dei ricercatori in scienze esatte e degli storici. Lenk, Hans NOVITA' IN LIBRERIA Prometheisches Philosophieren. Von Paradoxien und pragmatischen Problemen heutigen verantwortlichen Denkens Radius-Vlg, Stuttgart sett./ott. 1991 pp.160, DM 24 Leser, N. (a cura di) Die Gedankenwelt Sir Karl Poppers. Kritischer Rationalismus in Dialog. Winter, Heidelberg sett./ott. 1991 pp.422, DM 148 Atti del simposio tenutosi a Lochau, presso Bregenz, nell’ottobre 1989, organizzato dall’ Instituts für Neuere Österreichische Geistesgeschichte della Ludwig-Boltzmann-Gesellschaft e dalla Internationale Akademie für Philosophie del Principato del Liechtenstein Lisciani-Petrini, Enrica L’apparenza e le forme. Filosofia e musica in Jànkélévitch Nuove ediz.Tempi Moderni, 1991 L. 20.000 Al regime discontinuo, inquietamente metamorfico della musica moderna si accosta la riflessione di Jankélévitch, al fine di mostrare un diverso modo di intendere la realtà. Attraverso il filosofo francese e altri - Adorno e Benjamin - il saggio affronta il cambiamento radicale impresso dalla modernità al rapporto uomo-mondo. Litt, Theodore L’individu et la communauté Age d’homme, Losanna settembre/ottobre 1991 pp.347, FF 160 Litt arricchisce il metodo dialettico tanto caro ad Hegel, grazie al suo confronto con la fenomenologia descrittiva di Husserl. E’ l’autore di “Introduction a la philosophie” e di “Hegel: essai d’un renouvellement critique” Lutz-Bachmann, M. Schmid Noerr, G. (a cura di) Die Unnatürlichkeit des Sozialen Nexus-Vlg., Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.154, DM 29 Makdisi, George Religion, law and learning in classical Islam Variorum, ottobre 1991 pp.336, £ 43,50 Questa seconda raccolta di articoli di George Makdisi riguarda le scuole di pensiero religioso e di sapere giuridico nel mondo islamico medievale e la loro difesa dell’ortodossia. L’autore cerca di rivalutare le implicazioni del conflitto tra i teologi “razionalisti” e quelli “tradizionalisti”, gli uni accettando l’influenza della filosofia greca, gli altri rifiutandola; in particolare viene esaminato il conflitto tra una di queste scuole tradizionaliste, la scuola di diritto Hanbali, ed il misticismo Sufi. La sezione finale del libro analizza le strutture della cultura ufficiale, le sue istituzioni, l’organizzazione e i principi che la ispirano in rapporto all’evoluzione delle Università nell’occidente medievale e ai Collegi degli Avvocati in Inghilterra, discutendo il contributo islamico ed arabo al concetto di libertà accademica ed intellettuale e allo sviluppo della scolastica e dell’umanesimo. Malebranche, Nicolas de - Minazzoli, Agnes (a cura di) De l’imagination A. Minazzoli Ed., Paris settembre 1991 FF 50 Un classico della filosofia, un’introduzione all’opera di Malebranche. Questa edizione comprende un’importante sezione che propone altri punti di vista sul tema, come quelli di Descartes, Pascal o S.Agostino. Mangiagalli, Maurizio La “Rivista di filosofia neoscolastica” (1909-1959) Vol. I.: Il movimento neoscolastico e la fondazione della rivista Vita e Pensiero, Milano ottobre 1991 pp.374, L. 60.000 Sullo sfondo della Milano tardoromantica e scapigliata dei primi del nostro secolo, viene presa in esame la fondazione della “Rivista di Filosofia neoscolastica”, dalla quale nascerà l’Università Cattolica. Marcel, A.J. - Bisiach, E. (a cura di) Consciousness in contemporary science Clarendon, London settembre 1991 pp.416, £ 17,50 Il peso della coscienza nella scienza moderna è discusso in questo volume, da alcune eminenti autorità nei campi della psicologia, della neurologia e della filosofia. Tra i temi trattati vi sono i disturbi della coscienza, le funzioni della coscienza e i fondamenti della coscienza nell’apprendimento. Margolis, Joseph The truth about relativism Blackwell, London ottobre 1991 pp.240, £ 35 Un’esauriente difesa del relativismo filosofico. Riunisce le principali linee d’attacco del mondo antico (soprattutto contro Protagora) e le varie critiche che sono state sviluppate dalla filosofia contemporanea angloamericana ed europea continentale. Margreiter, R. - Leidlmair, K. (a cura di) Heidegger. Technik - Ethik - Politik Königshausen & Neumann Würzburg sett./ott. 1991 pp.281, DM 58 Marx, W. (a cura di) Die Struktur lebendiger Systeme. Zu ihrer wissenschaftlichen und philosophischen Bestimmung Klostermann, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.140, DM 48 Il volume raccoglie i risultati del gruppo di studio “Philosophisce Grundlagen der Wissenschaften”. pp.196, £ 4,99 Questo libro, oltre ad occuparsi delle pubblicazioni di Foucault, offre numerosi contributi riguardanti la sua storia filosofica, i suoi debiti verso altri pensatori e i suoi complessi rapporti con lo strutturalismo francese. L’autore s’interroga inoltre sul valore della retorica filosofica di Foucault. Meyer, Michel Problematologia. Filosofia, scienza e linguaggio Pratiche Ed., Parma 1991 pp. 431, £. 43.000 Evidenziando la differenza problematologica tra domanda e risposta, Meyer chiarisce il ruolo delle filosofia come capo in cui rispondere equivale alla formulazione stessa della domanda. Ne risulta una tipologia di razionalità radicata nell’interrogatività, che si differenzia tanto dal modello scientifico che dalla tradizionale impostazione logicoontologica. Meyer, Michel Problematologia. Filosofia, scienza e linguaggio Trad. it. di Mario Porro Guerini e Ass., Milano ottobre 1991 pp.410, L. 40.000 Con il termine problematologia l’autore intende un pensiero filosofico che si fonda sul “domandare”, su una dialettica di domande e risposte che, in sintonia con la tradizione filosofica classica, sia interrogazione radicale, ricerca del fondamentale. Mayer prende le mosse dalla situazione attuale degli studi filosofici, che giudica debole ed arbitraria: sia il relativismo filosofico attuale che la storicizzazione a tutti i costi di ogni pensiero filosofico sono, in quanto frammentazioni del pensiero, anti-filosofia, perchè la filosofia è sempre, intrinsecamente, sistematizzante. Michel Foucault, philosopher Harvester Wheatsheaf, ottobre 1991 pp.368, £ 35 Questa raccolta di saggi sulla filosofia di Foucault valuta le sue varie opere sotto diverse prospettive: il suo posto nella storia della filosofia, il suo stile e il suo metodo di espressione filosofica, le sue nozioni di potere politico, il suo pensiero etico e la sua attitudine alla psicoanalisi. Milani, Raffaele Le categorie estetiche Pratiche Ed., Parma 1991 pp.371, L. 40.000 Sistemazione, in forma di “elenco”, delle principali categorie estetiche cui studiosi e autori hanno fatto riferimento nel corso degli ultimi tre secoli: bello, brutto, sublime e così via. Melchiorre, Virgilio Analogia e analisi trascendentale Mursia, Milano settembre 1991 pp.176, L. 28.000 Una nuova, originale e organica lettura del progetto metafisico kantiano. L’analisi condotta in questo volume mira a leggere nel “non detto” o nei presupposti che reggono sia l’interpretazione kantiana del mondo fisico, sia quella del processo storico, e infine la stessa ricerca trascendentale de la grande Critica. Mittelstraß, Jürgen (a cura di) Einheit der Wissenschaften. De Gruyter, Berlino sett./ott. 1991 pp.538, DM 138 Atti del colloquio internazionale della AdW di Berlino (Bonn, giugno 1990). Gruppo di lavoro: “Unità delle scienze”. Temi trattati: “Teoria della scienza. Interdisciplinarietà nella teoria e nella prassi”; “Il compito delle scienze dello spirito nel sistema delle scienze”; “Scienza e mondo della vita”. Merquior, J. G. Foucault Fontana, London settembre 1991 Montesquieu, Charles de Pensées; Le spicilege a cura di Louis Desgraves Laffont, Paris ottobre 1991 pp.1220, FF 150 I Pensieri e Lo spicilegio sono presentati qui nell’integralita’ del manoscritto di Bordeaux. Vi si trova un Montesquieu polemista, ritrattista impietoso e moralista. Moyal, Georges J.D. (a cura di) René Descartes: Critical assessments Routledge, London ottobre 1991 4 volumi, £ 300 Una raccolta dei più importanti contributi sulla dottrina cartesiana. Sono qui proposti circa 120 articoli concernenti il metodo cartesiano, l’epistemologia, la metafisica e gli apporti alla matematica e alle scienze. Negele, Manfred Grade der Freiheit. Versuch einer Interpretation von Hegels Phänomenologie des Geistes Königshausen & Neumann Würzburg sett./ott. 1991 pp.241, DM 56 Nietzsche, Friedrich David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore Adelphi, Milano ottobre 1991 pp.120, L. 10.000 David Strauss, studioso del cristianesimo e saggista, sarebbe oggi generalmente dimenticato se Nietzsche non lo avesse scelto come bersaglio di questa “considerazione inattuale” per delineare il ritratto del “filisteo della cultura”, puro prodotto della Germania del suo tempo, in cui intravedeva un penoso modello per le età future. Nietzsche, Friedrich Ecce Homo a cura di Roberto Calasso Adelphi, Milano ottobre 1991 pp.250, L. 16.000 Nell’autunno del 1888, nelle febbrili settimane che precedettero la “follia di Torino” e il successivo, definitivo silenzio, vennero scritte queste pagine che rimangono una delle vette stilistiche di Nietzsche e insieme un tentativo senza precedenti di capire se stessi. Nietzsche, Friedrich La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti 1870-1873 Adelphi, Milano novembre 1991 pp.294, L. 18.000 Questo libro è il primo esempio di quell’approccio del tutto personale ad altri pensatori, che poi resterà caratteristico di Nietzsche. Nietzsche, Friedrich Le livre du philosophe a cura di Angele Kremer-Marietti Flammarion, Paris ottobre 1991 pp.192, FF 30 Alcuni testi scritti, a volte in forma frammentaria, tra il 1872 e il 1875. Niquet, Marcel Transendentale Argumente. Kant, Strawson und die sinnkritische Aporetik der Detranszendentalisierung Suhrkamp, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.580, DM 78 Al centro di questa analisi c’è il concetto di argomentazione trascendentale. Alla fine l’autore, partendo dalla critica categoriale del senso, riesce a sbarazzare l’argomentazione della detrascendentalizzazione dal fuorviante frainten- NOVITA' IN LIBRERIA dimento di sé e quindi a mettere a nudo il nocciolo razionale di questo tipo di necessaria autochiarificazione della “ragione” filosofica. Noonan, Harold Personal identity Routledge, London ottobre 1991 pp.272, £ 10,99 In quest’opera l’autore fornisce un’introduzione sulle maggiori teorie storiche e sul dibattito corrente, includendo la sua interpretazione del problema dell’identità personale. Nothelle-Wildfeuer, Ursula “Duplex ordo cognitionis”. Zur systemathischen Grundlegung einer katholischen Soziallehre im Anspruch von Philosophie und Theologie Schöningh, Paderborn sett./ott. 1991 pp.855, DM 98 Orth, E. W. Perspektiven und Probleme der Husserlschen Phänomenologie. Beiträge zur neueren HusserlForschung K. Alber, Freiburg i.Br. sett./ott. 1991 pp.360, DM 98 Perissinotto, Luigi Logica e immagine del mondo. Studio su Über Gewissheit di Wittgenstein Guerini e Ass., Milano ottobre 1991 pp.256, L. 34.000 Spunto per la stesura del lavoro, che risale agli anni 1950-51, è il viaggio che Wittgenstein compì nell’anno immediatamente precedente negli Stati Uniti, viaggio nutrito di discussioni e polemiche con i filosofi americani. Il lavoro di Perissinotto costituisce una piena valorizzazione dell’immensa ricchezza teoretica di quest’ultima opera wittgesteiniana, collocandola in modo equilibrato e coerente all’interno di una lettura globale del percorso filosofico di Wittgestein. Philippe, Marie-Dominique Introduction a la philosophie d’Aristote Ed. Universitaires Paris settembre 1991 pp.302, FF 198 Fino a che punto la ricerca di Aristotele ha penetrato la conoscenza dell’uomo, dell’universo e dell’essere primo? L’opera è completata da un breve studio degli scritti aristotelici, per facilitarne la lettura. Philosophie, n. 31: Marx Minuit, Paris settembre 1991 pp.92, FF 52 Contiene un frammento inedito dei manoscritti del 1844 concernente il sapere assoluto secondo Hegel. Il legame tra Marx ed Aristotele secondo alcuni appunti di Marx stesso.La lingua di Marx: le sue invenzioni concettuali e le sue invenzioni linguistiche. I rapporti di marx col giudaismo e con la religione. Il pensiero di Marx e quello di Max Weber Picht, Georg Glaube und Wissen. Einleitung von Christian Link Klett-Cotta, Stuttgart sett./ott. 1991 pp.300, DM 60 Plebe, Armando - Emanuele, Piero L’euristica. Come nasce una filosofia Laterza, Bari 1991 pp.193, L. 27.000 L’euristica, l’arte di trovare argomenti e di inventare concetti, è tornata di recente al centro del dibattito filosofico, scientifico ed estetico, contrapponendosi all’ermeneutica per l’accento posto sul valore dell’originalità. Dalla sua prospettiva emerge una concezione nuova della maniera in cui nasce una filosofia. pp.132, L. 18.000 “La filosofia moderna” afferma Putnam “è stata ipnotizzata dall’idea che gli eventi scientifici siano i soli eventi possibili “ Nelle quattro lezioni che compongono La sfida del realismo, Putnam si fa portavoce di un “realismo pragmatico” teso ad eliminare quel dualismo, e a restituire al pensiero la possibilità di pensare tutta la realtà (l’io più il mondo) secondo uno schema unitario, non frammentato. Pleines, J.E. (a cura di) Zum teleologischen Argument in der Philosophie. Aristoteles - Kant - Hegel Königshausen & Neumann, Würzburg sett./ott. 1991 pp.224, DM 48 Poiché anche le indagini storiche e i tentativi di ricostruzione nei confronti di Aristotele, Leibniz e Kant o Schelling e Hegel sono caratterizzati dalla preoccupazione, dovremmo verificare la solidità dell’argomento teleologico nelle attuali condizioni, se non vogliamo sconsideratamente buttarlo via in nome della scienza o dell’illuminismo. Quillien, Jean L’antropologie philosophique de G.de Humboldt Presses Universitaires de Lille Lille ottobre 1991 pp.644, FF 150 Per meglio comprendere la teoria humboldiana del linguaggio e dei linguaggi. Un’analisi approfondita di cio’che ne costituisce il fondamento antropologico. Pöggeler, Otto Neue Wege mit Heidegger Alber, Freiburg i.Br. sett./ott. 1991 pp.500, DM 98 Popper, Karl R. Die beiden Grundprobleme der Erkenntnistheorie. Aufgrund von Manuskripten aus den Jahren 1930-33 hrsg. von Hansen Troels Eggers J.C.B. Mohr, Tübingen sett./ott. 1991 pp.450, DM 90 Porphyrios, Demetri Classical architecture Academy, London ottobre 1991 pp.200, £ 35 Questo libro consta di una serie di lezioni tenute dall’autore alla University of Virginia. Sono discussi il concetto aristotelico di “techne”, il significato fondamentale del Classicismo e dello stile, le implicazioni dell’odierno pluralismo e il reale valore della tradizione. Price, B. B. Medieval thought: an introduction Blackwell, Oxford ottobre 1991 pp.240, £ 35 Ripercorre i modi nei quali il pensiero astratto medievale ha espresso le interazioni tra i corsi di studio e la lettura dei classici, il latino e la lingua volgare, la filosofia e la teologia. Il libro presenta inoltre i profili dei principali intellettuali dell’epoca. Raio, Giulio Introduzione a Cassirer Laterza, Bari novembre 1991 pp.260 Il primo studio generale e approfondito che ripercorre l’intera opera di Ernst Cassirier, completato da una breve storia della critica e da un’ampia bibliografia. Reale, Mario (a cura di) Verso una nuova immagine di Platone Ist. Suor Orsola Benincasa/Rusconi Napoli novembre 1991 Le lezioni di studiosi italiani e stranieri in occasione del convegno: “Verso una nuova immagine di Platone”, tenutosi a Napoli il 7-9 ottobre 1991. Ricoeur, Paul Filosofia della volontà 1 Marietti, Genova ott./dic. 1991 pp.482, L. 70.000 Il primo volume dell’opera-chiave di uno dei più importanti filosofi francesi del Novecento. Ricoeur, Paul Dell’interpretazione. Saggio su Freud Il Melangolo, Genova settembre 1991 pp.600, L. 60.000 Ricoeur in questa suo opera capitale, precisa e feconda di nuovi spunti critici tutti i testi di Freud, dal Progetto del 1895 all’Interpretazione dei sogni, alle ultime opere sul disagio nella civiltà e sul significato della cultura e di Eros. Pufendorf, Samuel a cura di Tully James On the duty of man and citizen according to natural law Cambridge University Press, ottobre 1991 pp.232, £ 27,50 Un compendio della teoria politica del diritto naturale di Pufendorf, la piu’ influente teoria del diritto naturale dei secoli diciassettesimo e diciottesimo. L’autore offre una classica giustificazione del primo stato illuminato moderno e delle sue appropriate relazioni di soggezione politica e morale. Ritter, Jaochim Paesaggio. Sulla funzione dell’estetico nella società moderna Guerini e Ass., Milano ottobre 1991 pp.88, L. 14.000 All’interno delle riflessioni sul paesaggio si propone per la prima volta in italiano un saggio di Ritter scritto in occasione dell’accettazione del Rettorato di Münster nel 1963, in cui il senso estetico del paesaggio è analizzato prendendo spunto dalla celebre scalata del Monte Ventoso (26 aprile 1335) da parte di Francesco Petrarca. Da qui l’autore prende lo spunto per analizzare il rapporto tra natura e speculazione filosofica come caratteristica del mondo moderno. Putnam, Hilary La sfida del realismo Garzanti, Milano settembre 1991 Röbig, Klaus Sind Soldaten potentielle Mörder? Zum Problem der moralisch-ethischen Rechtfertigung des Tötens im Krieg Prolog-Verlag, Kassel sett./ott. 1991 pp.100, DM 18 Roellecke, G. (a cura di) Öffentliche Moral. Gut und Böse in der Beobachtung durch Geschichte, Religion, Wirtschaft, Verteidigung und Recht Müller, Heidelberg sett./ott. 1991 pp.182, DM 88 Rosset, Clément La philosophie tragique PUF, Parigi sett./ott. 1991 pp. 176, FF 44 Il tradico come paradigma e termine di confronto per l’etica e la morale. Ryle, Gilbert Per una lettura di Platone Guerini e Ass., Milano ottobre 1991 pp.236, L. 34.000 Una difesa di Platone, accusato di aver attaccato importanti politici del suo tempo. Accuse in seguito alle quali Platone abbandona il dialogo dialettico socratico, proibisce l’insegnamento della dialettica ai giovani, e fonda l’Accademia, dove non insegna ma dove è attivo Aristotele proprio con l’insegnamento della retorica e della dialettica. Ryle ci offre una storia diversa, che sfrutta testimonianze diverse e che cerca di riflettere su argomenti che sono stati trascurati. Sahel, Claude La Tolérance. Pour un humanisme hérétique Autrement, Parigi sett./ott. 1991 pp. 221, FF 98 L’analisi della tolleranza mette in campo le dissimetrie fondamentali della relazione umana e la loro apprensione etica. Sandkühler, H. J. - Holz, H. H. (a cura di) Geschechtliche Erkenntnis. Zum Theorietypus “Marx” Meiner, Hamburg sett./ott. 1991 pp.150, DM 30 Schällibaum, Urs Geschlechterdifferenz und Ambivalenz. Ein Vergleich zwischen Luce Irigaray und Jacques Derrida Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991 pp.256, DM 55 Scheler, Claus-A. Wittgensteins Kristall. Ein Satzkommentar zur Logischphilosophischen Abhandlung Alber, Freiburg sett./ott. 1991 pp.220, DM 48 Schlette, Heinz Robert Konkrete Humanität. Studien zur praktischen Philosophie und Religionsphilosophie. Aus Anlaß des 60. Geburtstages a cura di J. Brosseder Knecht, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.480, DM 95 Schmidt, S. J. (a cura di) Kognition und Gesellschaft. Der Diskurs des radikalen Konstruktivismus 2 Suhrkamp, Frankfurt sett./ott. 1991 pp.280, DM 18 Questa antologia presenta le posizioni di discussione interdisciplinare in Germania all’inizio degli anni ’90. Filoso- NOVITA' IN LIBRERIA fi, studiosi della natura, dello spirito e di scienze sociali fanno il punto sulle ricerche attuali nei rispettivi campi. Schopenhauer, Arthur L’arte di ottenere ragione trad. it. di N. Curcio e F. Volpi Adelphi, Milano ottobre 1991 pp.124, L. 12.500. In questo piccolo trattato Schopenhauer fornisce trentotto stratagemmi, leciti ed illeciti, a cui ricorrere per “ottenere” ragione: con freddezza classificatoria Schopenhauer ci indica le “vie traverse e i trucchi di cui si serve l’ordinaria natura umana per celare i suoi difetti”. Nello stesso tempo questo testo si colloca in un crocevia memorabile del pensiero moderno: negli stessi anni in cui Hegel indicava nella dialettica la via per giungere al culmine dello Spirito, Schopenhauer la raccomandava come fioretto da impugnare in quella “scherma spirituale” che è il discutere, senza badare alla verità. Severino Emanuele La filosofia moderna Rizzoli, Milano novembre 1991 pp.256, L. 12.000 Anche questo libro, come il precedente dedicato alla filosofia antica, si rivolge ad un pubblico non specializzato che non vuole avvalersi di un manuale, ma di una chiave che gli consenta di orientarsi verso le forme del pensiero moderno. Sfrisio, Maurizio Per una filosofia cristiana della storia Galleria, Padova 1991 pp.108 Lo studio si propone di enucleare la problematica concernente legittimità, campo di indagine, strumenti e limiti di una filosofia cristiana della storia. Silvermann, Hugh J. (a cura di) Gadamer and Hermeneutics Routledge, London ottobre 1991 pp.288, £ 35 Una raccolta di saggi, tra i quali uno di Gadamer stesso, sulla vita e l’opera di questo pensatore. In alcune sezioni speciali Gadamer è collocato in rapporto al lavoro di altri grandi filosofi come Heidegger, Ricouer, Barthes, Derrida e Habermas. Sono anche inclusi tre dialoghi concernenti le questioni della metafora, della scienza e del testo. Sloterdijk, P. - Macho, Th. H. (a cura di) Die Weltrevolution der Seele. Ein Gnosis-Lesebuch von der Spätantike bis zum New Age. II Vol. Artemis & Winkler Zürich sett./ott. 1991 pp.400 DM 68 Peter Sloterdijk e Thomas H. Macho in questa imponente opera aprono la storia di una rivoluzionaria tradizione di pensiero che si è difesa caparbiamente, accanto e sotto l’insegnamento filosofico religioso, dall’antichità fino ai giorni nostri. Speck, J. (a cura di) Grundprobleme der großen Philosophen. Philosophie der Neuzeit VI. Tarski, Reichenbach, Kraft, Gödel, Neurath, Schlick Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen sett./ott. 1991 pp.250, DM 27,80 Spies, Marcus Unsicheres Wissen Spektrum, Heidelberg sett./ott. 1991 pp.350, DM 44 Il sapere incerto, come le previsioni del tempo, le diagnosi mediche e il mutevole confine fra opposti come grande e piccolo vengono trattati in questo libro avvalendosi della logica Fuzzy-Set e del connettivismo. Stehr, Nico Praktische Erkenntnis Suhrkamp, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.240, DM 36 Il libro si propone di analizzare il sapere delle scienze sociali, le sue conseguenze pratiche e i risultati, ma anche i motivi della sua irrilevanza e si batte in favore di una scienza sociale orientata in senso pragmatico, indagandone le condizioni di possibilità. Stevens, Annick Posterité de l’etre: Simplicius interpreté de Parmenide Ousia, Bruxelles settembre 1991 pp.146, FF 75 Annick Stevens esamina il destino che la teoria parmenidea dell’essere subisce, quando Simplicio, nel suo commento alla “Fisica” e al “Trattato sul cielo” di Aristotele, interpreta il “Poema” come compatibile col platonismo e con l’aristotelismo. Strauss, Leo Socrate e Aristofane Il Melangolo, Genova ottobre 1991 pp.416, L. 36.000 Leo Strauss ha dedicato a Socrate più di un’opera; in questo libro esamina il rapporto tra Socrate e Aristofane nelle commedie di quest’ultimo. Grazie allo studio dei lavori teatrali che ci sono rimasti, Strauss mostra come in realtà nel confronto emerga il dissidio tra filosofia e poesia. In questo contesto Aristofane attribuisce alla poesia il ruolo di unico sapere autonomo in grado di confrontarsi con la filosofia. Sulami, Roger Deladrière La lucidité implacable Ed. Arléa, Arles settembre 1991 pp. 109, FF 95 Mistico, maesto spirituale e storico del sufismo, Sulami tratta in questo testo fondamentale della lucidità che l’uomo, per definirsi tale, deve esercitare su se stesso. Tessitore, Fulvio Introduzione allo storicismo Laterza, Bari ottobre 1991 pp.300 Thomas, H. (a cura di) Naturherrschaft. Wie Mensch und Welt sich in der Wissenschaft begegnen. Colloquium, Köln 1990 Busse Seewald, Herford sett./ott. 1991 pp.336, DM 28 Raccolta di contributi interdisciplinari con un denominatore comune per un convegno del Lindenthal- Institut di Colonia sulla filosofia delle scienze naturali (dall’11 al 13 maggio 1990). Thompson, M. P. (a cura di) John Locke und Immanuel Kant. Historische Rezeption und gegenwärtige Relevanz Duncker & Humblot, Berlin sett./ott. 1991 pp.413, DM 98 Tresmontant, Claude Problèmes de notre temps OEIL, Paris settembre 1991 pp. 578, FF 195 Rassegna e cronaca dei grandi problemi filosofici della fine del XX secolo. Tymieniecka, A.-T. (a cura di) The turning points of the new phenomenological era. Husserl’s research drawing upon the full extent of his development Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991 pp. 584, Dfl 265 Uebel, Th. E. (a cura di) Rediscovering the forgotten Vienna Circle. Austrian Studies on Otto Neurath and the Vienna Circle Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991 pp.340, Dfl 175 Università di Firenze Annali del Dipartimento di Filosofia Olschki, Firenze ott./dic. 1991 pp. 352, L. 70.000 Viale, Riccardo Metodo e scienza nella società. Fattori metodologici, sociali e cognitivi delle decisioni scientifiche Franco Angeli, Milano ottobre 1991 pp.336, L. 48.000 Von Kutschera, Franz Fondamenti dell’Etica Franco Angeli, Milano ottobre 1991 pp.398, L. 48.000 Questo volume si contraddistingue dalla vasta produzione contemporanea nel settore etico per il taglio logico-epistemologico. Vengono presentati i concetti essenziali della logica deontica e della preferenza e discussi dal punto di vista logico la legge di Hume e il postulato di generalizzabilità. Walker, J. (a cura di) Thought and faith in the philosophy of Hegel Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991 pp.204, Dfl 150 Raccolta internazionale dei saggi emersi dalla conferenza di Oxford del 1987, il cui oggetto è la dimensione rleigiosa del pensiero di Hegel, nel senso più vasto del termine. Wallace, William A. Galileo, the jesuits and the medieval Aristotle Variorum, ottobre 1991 pp.350, £ 45 La convenzionale opposizione dell’aristotelismo scolastico alla scienza umanistica è stata trattata sempre più negli ultimi anni. Questi articoli mirano a dimostrare che un progressivo aristotelismo ha in effetti fornito le basi necessarie alle scoperte scientifiche di Galileo. Weier, Winfried Brennpunkte der Gegenwartsphilosophie. Zentralthemen und Tendenzen im Zeitalter des Nihilismus Wissenschaftlich. Buchges., Darmstadt sett./ott. 1991 pp.248, DM 49 In opposizione alle visioni che liquidano la filosofia del presente come un ammasso di parole e di incerti tentativi, qui si intraprende il tentativo di riunire in una visione unitaria ciò che lega insieme gli approcci più disparati, vale a dire di scindere la concezione intellettuale di base dalla molteplicità delle sue posizioni. Weischedel, Wilhelm Il Dio dei filosofi (Vol. II) Il Melangolo, Genova ottobre 1991 pp.320, L. 40.000 Il secondo volume di quest’opera comprende la storia della teologia filosofica, dai primi segni della crisi del pensiero post-kantiano, fino al declino nei pensatori contemporanei. La ricerca affronta quindi l’analisi del rapporto tra speculazione filosofica e speculazione intorno a Dio così come si è presentato problematicamente nei diversi autori e nelle diverse correnti di pensiero. Weizsäcker, Carl Fr. von Der Mensch in seiner Gechichte Hanser, München sett./ott. 1991 pp.250, DM 39,80 Chi siamo? Da dove veniamo? Le risposte che l’autore dà a queste domande provengono da una conoscenza ampia e approfondita della moderna scienza naturale, della storia culturale, della politica, della teologia e dell’etica. Wiesing, Lambert Stil statt Wahrheit. Kurt Schwitters und Ludwig Wittgenstein über ästhetische Lebensformen Wilhelm Fink, München sett./ott. 1991 pp.148, DM 48 La sconfitta sulla verità viene ripensata attraverso lo stile, quando la verità non è considerata corrispondenza con l’idea della cosa, ma come una manifestazione della forma. Si schiudono così nuove possibilità alla filosofia estetica. Wolff, Michael Das Körper-Seele-Problem. Kommentar zu Hegel, Enzyklopädie (1830) Klostermann, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991 pp.240, DM 68 Wood, Allen W. (a cura di) Hegel: Elements of the philosophy of right Cambridge UP, Cambridge ottobre 1991 pp.300, £ 25 Un tentativo di sistematizzare teoria etica, diritto naturale, filosofia del diritto, teoria politica e sociologia dello stato moderno, nel contesto della filosofia della storia di Hegel. L’opera di Hegel è fondamentale per la tradizione comunitaria nel moderno pensiero etico, sociale e politico.