Il colore dei soldi Bozza II

annuncio pubblicitario
EtnoAntropologia, 2 (1) 2014
La costruzione culturale
della vita materiale: dono
strategico, economie e relazioni
informali nei mercati pubblici
Silvia Lelli
Abstract
After a short theoretical introduction that highlights how field research in public
street markets provides a contribution to economic-anthropological theories,
street markets turn out to be characterized by a dense social interaction, and
by complex intersections of multidirectional policies: within them, the effects of
economic and administrative macro-policies imposed 'from above' are visible
and, at the same time, in reverse, we can detect here aspects of the local
social construction that from grass root level influences the exterior, both
in forms of organized resistance against disadvantageous imposed policies,
and by spontaneously shaping the social interaction pattern and the identity
of the urban neighbourhoods where markets are sited. As arenas in which
the possibility and the ability 'to negotiate' symbolic as well as economic
values is constantly reproduced, the cultural 'immaterial' component of 'material'
life is evident in public markets. As contexts in which different economies
– capitalist and non-monetary, formal and informal, where the gift is a
social and commercial strategy – are simultaneously ongoing, as spaces of
interaction between highly heterogeneous socio-economical classes, between
solidarity and exploitation, consumerism, reuse and saving, street markets are
aggregates of apparently contradictory, but complementary social qualities.
Such ‘disorder’ often makes them target of gentrification, transformation or
limitations attempts, but the complexity of their polyhedral configuration seems
to guarantee their persistence in history, as resistant forms of socioeconomical
exchange, and rare contexts of urban social construction.
Keywords
public street market; economic anthropology; urban anthropology; sociocultural interaction; social construction
76
Silvia Lelli
La teoria vista dal campo
Raccogliendo la suggestione del titolo del Convegno si può dire che il ‘colore
dei soldi’ in un mercato pubblico non è uno solo, come nel noto film di Scorsese.
I colori dei soldi in un mercato sono molti, dato l’intreccio di diverse economie,
formali e informali, sociali oltre che monetarie, che costituiscono il mercato
stesso. Uscendo dalla metafora, la complessità socioeconomica dei mercati
pubblici è molto elevata e le sfumature che l’economia assume in questi contesti
sono molte. Nei mercati pubblici la categoria ‘economia’ rende ben visibile la
sua fuzzyness [ Kosko 1995 ]: gli oggetti divengono temporaneamente merci
e simboli, vi si scambiano parole, beni materiali e immateriali, valori culturali
ed economici si fondono o si oppongono; le persone stesse vi assumono
talvolta valori economici, nel ruolo di braccia-lavoro, ma mai perdendo le
proprie qualità umane. Secondo la letteratura etnoantropologica sui mercati,
e secondo i dati di campo che ho raccolto in mercati pubblici principalmente
fiorentini dal 2007 al 2010, la varietà delle relazioni che vi hanno luogo è
amplissima [Aime 2002] : da relazioni del tutto indipendenti dalle transazioni
economiche –persone che affermano di andare al mercato per “stare tra la
gente, chiacchierare, scambiare notizie, non per fare la spesa”– a rapporti
commerciali e di dipendenza. L’esistenza di questi ultimi è comunque sempre
costruita attraverso scambi non commerciali, di parole, accordi, fiducia, sensi,
tatto, sguardi, stati d’animo [Pennacini 2010 (ed.)]. Le relazioni economiche
infatti sono costituite da componenti socioculturali, immateriali, i cui elementi,
sovrapposti nelle pratiche, possono essere distinti solo analiticamente – ragion
per cui l’antropologia economica, partendo da dati etnografici, mette in dubbio
la correttezza e l’utilità delle classiche distinzioni analitiche delle scienze
economiche [Herzfeld 2006].
È chiaro, non solo per i materialisti culturali, che non sono soltanto le
retoriche e le negoziazioni commerciali a costruire la vita materiale, bensì
l’organizzazione complessiva dell’uso e della distribuzione delle risorse [Harris
1979]. Sia la posizione materialista in antropologia che quella formalista
in economia enfatizzano il calcolo razionale, utilitarista e massimizzatore,
secondo il quale è la vita ‘materiale’ a determinare quella ‘culturale’. Questi
approcci classici –materialisti, formalisti, sostantivisti, funzionalisti– si sono
rivelati però molto parziali; interessante è invece la più recente posizione
culturalista, che sfugge a opposizioni semplici e riduttive, quali razionale/
irrazionale, simbolico/materiale, economico/culturale [Herzfeld 2006, 109 e
ss.] attraverso prospettive costruzioniste o transazioniste [Barth 1981] che
intendono ‘le economie come culture’ [non ‘le economie diverse da una cultura
all’altra’, alla maniera sostanzialista] e rendono visibili momenti di interazione
e negoziazione tra diverse componenti e classi sociali all’interno ‘di una stessa
cultura’. Tali prospettive, con approcci multimetodologici e trasversali, meglio
La costruzione culturale della vita materiale
77
restituiscono la complessità e i nodi cruciali, sociali, economici e politici, in ogni
contesto.
Secondo le teorie economico-antropologiche posteriori al dibattito formalistasostantivista [ Gudeman 1986] e secondo alcune teorie sociologiche recenti
[Bourdieu 2004; Zelizer 2009],
gli ambiti dell’economico, del sociale, del culturale, del materiale,
dell’immateriale non sono studiabili separatamente. La separazione teorica tra
questi ‘settori’ ha occultato la loro interdipendenza e ha nascosto collegamenti
che le ricerche antropologiche permettono oggi di rilevare sul fronte delle
politiche socioeconomiche, del e sul consumo, dei valori simbolici delle merci,
della costruzione sociale della vita urbana.
Così, la prospettiva economico-culturalista [Gudeman 1986; Latouche 2001]
studia la componente culturale ‘immateriale’ della costruzione della vita
‘materiale’ [Bird-David 1992, cit. in Herzfeld 2006, 113].
La complessità e la varietà delle attività che hanno luogo in un mercato pubblico
non risultano subito evidenti a chi lo frequenta, né a chi lo studia. Da un lato,
gli studi basati sulla divisione settoriale tra ambiti culturale-sociale-economicopolitico-urbano ne restituiscono immagini molto parziali; da un altro, gli studi che
cercano di comprenderlo complessivamente rischiano di risultare superficiali
e generici. Sebbene una etnografia esaustiva, anche di un solo mercato, non
sia realizzabile, è interessante cercare di comprendere la complessità che si
sviluppa in questi contesti, in tempi e spazi apparentemente limitati, ma epigoni
di forme di relazione socioeconomica di incalcolabile profondità storica e in
relazione con macro-dimensioni.
Politiche e resistenza
Nei mercati, dove oltre gli oggetti-merci sono esposte al pubblico [e tuttavia non
facili da ‘vedere’] le relazioni, le sensazioni, i saperi, sono possibili osservazioni
etnografiche trasversali rilevanti anche per le teorie. E certamente lo sono
per le pratiche, permettendo ad esempio di osservare effetti e ricadute che le
politiche economiche attuate nei macrocontesti hanno sui microcontesti della
vita urbana; ad esempio, in tempi di crisi e di misure per contrastarla, l’aumento
della clientela dei mercati, inversamente proporzionale a quella dei negozi; o
recentemente, sempre più numerosi e alcuni riuniti in associazioni, i raccoglitori
di scarti alimentari .
Ma, in senso inverso, nei mercati pubblici sono rilevabili anche aspetti della
costruzione sociale locale che influenzano l’esterno e le politiche imposte
dall’alto; ad esempio, vi si costruiscono l’identità e le forme di vita sociale
del rione, ‘esterno’ ai confini del mercato che vi è situato. Spesso vi
si costruiscono rivendicazioni verso le amministrazioni comunali, quando
emanano politiche e interventi penalizzanti per i venditori o, ancor più ‘verso
78
Silvia Lelli
l’alto e l’esterno’, vi si organizzano risposte alle politiche europee, quando
impongono, ad esempio, regolamentazioni igieniche ritenute non praticabili o
1
nuove regole amministrative, come l’applicazione della ‘Direttiva Bolkenstein’ ,
norma liberista, che espone i piccoli imprenditori-venditori ad una concorrenza
insostenibile da parte delle grandi catene di distribuzione.
Davanti a questa complessità, in tre anni di ricerca mi sono posta diversi
obiettivi, alcuni perseguiti, altri abbandonati: che potere hanno idee e richieste
costruite localmente, in modo spontaneo o organizzato, nei confronti delle
grandi istituzioni politiche [Lelli 2010]; comprendere le dinamiche locali in
relazione alla vita urbana e l’influenza che queste hanno sulla vita e l’identità
di un intero rione [Lelli 2011a]; comprendere la complessità dei rapporti
socioeconomici parzialmente visibili di cui un mercato è ‘il centro’ e individuarne
i legami con alcune dinamiche socioeconomiche globali [Lelli 2011b]; oltre le
pratiche relative a cibi e oggetti, rintracciare legami sociali, filosofie e saperi,
che possano rientrare nella definizione di ‘patrimonio culturale immateriale’;
comprendere la ‘resistenza’ di questo modello di commercio di fronte
all’emergere di forme sempre nuove, perché di fronte all’espansione di ipersuper-mercati e centri commerciali, dell’economia virtuale, della comunicazione
elettronica e dell’e-commerce, trascurati dalle amministrazioni, messi a rischio
da ‘ristrutturazioni’ snaturanti [Rosi-Bonci 2006; Fornari-Schianchi 2010; Lelli
2010], i mercati pubblici con la loro merce semplice, basilare, esposta ai
sensi, resistono. Lo mostra questo inserto minimo di antropologia visiva in cui
l’iconografia e la gestione femminile di un banco di verdura appaiono riprodotte
nei secoli:
“Erbivendola di Ostia Antica”, bassorilievo, Arte Romana Imperiale [Museo
Ostiense, Foto Scala, Firenze su concessione Ministero Beni e Attività Culturali].
Sono visibili la venditrice, la gestualità di richiamo, il banco sui cavalletti, le
cassette alzate per la mostra delle verdure, gli attrezzi, la cesta sotto il banco.
1
Per
informazioni
e
discussioni
sulla
‘Direttiva
Bolkenstein’-2006/123/
CE
si
vedano,
ad
esempio:
http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/
IDPagina/2019 http://www.unicomitalia.org/la-nuova-direttiva-sui-servizi-del-parlamento-europeorecepita-la-posizione-unicom-2/ http://www.youtube.com/watch?v=1Rr1G-ZUxo4 (parte1) e http://
www.youtube.com/watch?v=sKvwwzwHSeo (parte 2). http://pieronuciari.it/2009/12/23/le-coseche-cambieranno-con-la- direttiva-bolkestein/ - Le cose che cambieranno con la direttiva
Bolkestein.
La costruzione culturale della vita materiale
79
Firenze, Mercato di S. Ambrogio, giugno 2009: Valentina Roselli, famiglia di coltivatori
diretti, la cui genealogia di ‘comodi’ [non mezzadri] risale al 1678. [Foto Silvia Lelli].
Questo attraversare la storia sembra aver sedimentato nella semiotica dei
mercati un messaggio di ‘permanente novità’ che restituisce sensazioni
espresse in ossimori dai frequentatori: ‘stabilità in movimento’, ‘frenesia
rassicurante’, ‘affidabile caos’. Sensazioni complesse e forse per questo
soddisfacenti.
‘Valori’ e il potere sociale delle negoziazioni
Una delle questioni evidenti in un mercato è la transitorietà, della sua stessa
presenza nell’arco del giorno, e degli oggetti (cibo, abbigliamento, suppellettili,
attrezzi), che sono ‘merci’ soltanto in una fase della loro esistenza [Appadurai
1986].
Un’altra questione evidente in un mercato è il nesso tra dimensioni etiche e
dimensioni economiche del fenomeno ‘scambio’, rappresentate da due tipi di
‘valore’, diversi e interconnessi, di un oggetto-merce: quello socioculturale e
quello commerciale. Non a caso usiamo lo stesso termine, ‘valore’, per entrambi
gli ambiti di riferimento, uno pre-capitalista, con significato morale, traslato nel
linguaggio mercantile quando questa forma di organizzazione della sussistenza
inizia ad esistere e poi a prevalere su altre. Termini come ‘economia’, ‘negozio’,
dei quali a noi oggi viene in mente per primo il referente mercantile, nella storia
delle idee non lo hanno come primario: i significati etimologici sono quelli di
‘regolamentazione del domestico’, per il primo, e ‘negazione dell’ozio’, cioè
‘attività’ –senza cenni al commercio– per il secondo.
Queste etimologie nel mercato diventano ‘visibili’, inquadrabili in una categoria
fuzzy, sfumata tra il pubblico e il privato: per molti venditori il banco è
un’appendice della propria casa, una parte di vita privata esposta al pubblico,
e la loro attività commerciale in larga parte è costruzione di ‘valori’, monetari
e simbolici, attraverso scambi di parole: dai commenti sui valori qualitativi
delle merci espressi o gridati pubblicamente, alle negoziazioni sui valori/prezzi.
Elementi discorsivi e simbolici che con i loro effetti pragmatici [Yule 2002]
muovono l’economia e accompagnano gli oggetti nella loro trasformazione
temporanea in merci.
80
Silvia Lelli
Visibile e ‘udibile’ sul campo pubblico dello scambio mercantile è dunque la
circolarità nella quale il valore/prezzo è negoziato in base al valore d’uso, ma
anche al valore simbolico, indicatore di un prestigio [Bourdieu 1983] legato
all’oggetto, lontano residuo di un mana [Mauss 1965] che, ormai smaliziato,
mantiene un certo potere anche nel privato quando, portato a casa, l’oggetto
non verrà più scambiato per un lungo periodo. Valori materiali, simbolici ed etici
si fondono, ragion per cui una distinzione teorica netta appare problematica
e inutile, con-fusa con quella tra valore degli oggetti e valore dei possessori.
La distinzione tuttavia esiste nel senso comune, si manifesta, si costruisce, si
produce, riproduce e modifica nell’atto delle negoziazioni, delineando « classi
sociali di consumo » [Douglas, Isherwood 1984, 195-226].
Le analisi dei linguaggi contestualizzate nei mercati pubblici mostrano come
la funzione di questi luoghi di piazza e di strada sia la costruzione di
un ‘commercio socializzante’, nel quale diverse classi socioeconomiche
si incontrano e interagiscono negoziando i loro reciproci status, mentre
contrattano apparentemente solo semplici merci.
È interessante notare che il ‘diritto alla negoziazione’ è in via di estinzione nella
città: lo si può praticare in pochi luoghi, non in quelli della grande distribuzione,
né nei negozi, entrambi legati al potere di marchi e pubblicità. È un diritto,
quello della negoziazione, in quanto posizione attiva del cittadino, oggi ‘educato’
ad essere passivo davanti a ‘valori’ imposti da lontano e presentati come non
negoziabili; quella della negoziazione è divenuta una agency fuori moda, una
politica sempre meno in uso da parte dei consumatori, un saper fare che si
sta perdendo, che ritengo avesse un margine di ‘valore’ più alto di quello
dichiarato, la cui sparizione sta passando sotto silenzio, a scapito della capacità
di socializzazione dei cittadini, necessariamente consumatori. Nei mercati la
capacità di negoziare, questo ‘sapere sociale’, è tuttora praticato, tenuto in vita
quotidianamente.
Un’altra questione politica sui valori: è vero che i prezzi sono imposti ‘dall’alto’,
ma questa imposizione ha dei limiti: deve rientrare nel range del potere di
acquisto delle persone, per la parte monetaria, e deve tenere presenti i valori
culturali, non monetari che le persone attribuiscono alle cose. Per queste
ragioni il potere d’acquisto delle persone è un ‘potere’, sebbene sia fortemente
delimitato dalle spartizioni economiche decise dall’alto e influenzato dalla
pubblicità.
Nei mercati i commenti spontanei di venditori e clienti, relativi agli oggetti,
esprimono priorità accordate ai valori d’uso, costantemente rapportati ai valori
monetari. Tali commenti non sono chiacchiere insignificanti, ma pratiche
politiche agite nel parlare quotidiano [Duranti 1992; 2000], il prodotto agente
di ragionamenti che hanno un certo potere: infatti ‘dall’alto’ se ne deve
necessariamente tener conto, e lo si fa, sul versante commerciale, per vendere,
attraverso indagini di mercato –divenute nel tempo sempre più etnografiche,
calate nel campo– per l’elaborazione di strategie di marketing; sul versante
La costruzione culturale della vita materiale
81
politico, da parte delle istituzioni, monitorando il polso della situazione, quando
esso non si manifesti esplicitamente, con mezzi atti a rilevare feedback sulla
soddisfazione o meno dei cittadini, con indagini o con l’organizzazione di
processi partecipativi.
Gli oggetti d’uso che non sono socioculturalmente ap-prezzati o utili
difficilmente compaiono nei mercati. Piuttosto, se vi si trovano, sono abbinati
a prezzi irrisori, che ‘se la ridono’ dei prezzi imposti altrove, operando una
politica dei prezzi assolutamente locale. È questa una politica economica
pragmatica, ‘di fatto’, decisa dal popolo, possibile anche perché in questi
2
contesti gli acquirenti sono relativamente liberi da pressioni pubblicitarie dirette
–nei mercati i prodotti pubblicizzati dai media sono pochi– e questo assicura
agli acquirenti, oltre a un prezzo accessibile a molti, anche un potere di
negoziazione individuale, che diviene collettivo. Chi costruisce politiche sul
consumo è obbligato a tenere conto di queste strategie dei consumatori,
anch’esse politiche. Il fatto che i mercati sfuggano, in parte, alle influenze della
pubblicità e ai dettami del Mercato –con la M maiuscola– fa sì che essi siano
guardati con sospetto ‘dall’alto’.
Eppure essi sono sottoposti, da parte delle amministrazioni, a controlli più
organizzativi che fiscali –sebbene anche questi siano presenti– perché, ecco
l’altra faccia della medaglia, sono luoghi di traffico e liquidazione della merce
in eccesso, luoghi in cui anche i disoccupati possono acquistare qualcosa, e
sopravvivere con un margine minimo, forse illusorio, di soddisfazione. Mercati,
mercatini, mercatini dell’usato, sono necessari al mantenimento della struttura
socioeconomica mainstream. Sono uno di quei canali con una funzione
sfumatamente vicina a quella eclatante delle ‘crisi economiche’ dichiarate:
rubinetti di sfogo silenziosi e sempre aperti, necessari, come le più visibili ‘crisi’,
a mantenere in vita l’economia consumistica, quell’economia della crescita che
senza cadute e crolli, riazzeramenti ciclici non potrebbe esistere [Latouche
2005; 2006].
Relazioni sociali ed economie al plurale
Se, come sostiene Appadurai [1986], “è lo scambio che crea il valore”, è
bene ricordare che niente è più ‘culturale’ delle forme di scambio: l’economia
monetaria capitalista è una tra molte possibili ‘culture o economie dello
scambio’ e coesiste con altre. I mercati pubblici sono immersi nell’economia
capitalista, ma vi convivono diverse ‘economie’: di reciprocità, di scambio non
monetario, di baratto, di dono, legate a forme di solidarietà, ridistribuzione,
2
A quelle indirette, cioè non legate a specifici marchi, ma a categorie generiche, tipo ‘abiti alla
moda’, ‘bigiotteria’, oppure ‘mozzarelle’, ‘tonno in scatola’, veicolate da quelle dirette, non credo
possa sfuggire nessuno. Il settore ortofrutticolo invece, oltre i tentativi di appiccicare etichette alla
frutta, sfugge quasi del tutto a queste ‘marchizzazioni’.
82
Silvia Lelli
sfruttamento; economie formali e informali sono connesse in un’ampia varietà
di configurazioni ibride, non definibili in una delle due forme, ma sempre ‘in via
di’ formalizzazione o di informalizzazione - tendenza quest’ultima, molto attuale
e globale [Pavanello 2008 (ed.)].
I mercati sono configurazioni visibili di processi economici complessi, poco
visibili; sono contesti, strettamente legati a questi processi, nei quali si
costruiscono rapporti sociali e socioeconomici altrettanto complessi. Come
osserva Geertz [1978, 29-31] nei mercati ha luogo un’ « intensa » interazione
sociale, anche non legata [o solo in piccola parte] alle transazioni economiche.
La gamma di tali interazioni dà luogo a diversi tipi di relazioni sociali e produce,
riproduce o trasforma, diverse economie. L’antica relazione di clientela è
infatti una relazione socioeconomica basata su un rapporto umano di fiducia,
costituita da scambi di parole e informazioni, oltre che di oggetti-merci-denaro.
Nei mercati ‘le cose’ esposte –transitoriamente merci– assumono il ruolo non
commerciale di ‘oggetti facilitatori’delle interazioni sociali. Le conversazioni e le
negoziazioni attorno ad essi sono componenti visibili e udibili della costruzione
di duraturi rapporti tra clienti, e tra clienti e venditori, sono prova della possibilità
di tali oggetti materiali di svolgere funzioni di sussistenza sociale: questa
agency verbale ‘sposta’ pragmaticamente la funzione di tali oggetti da quella di
sussistenza a quella socio-costruttiva. Le interazioni, ripetute nel tempo ciclico
e nello stesso spazio, divengono rapporti consuetudinari, collettivi, condivisi,
vere e proprie forme di relazione che costruiscono e influenzano la qualità dei
rapporti sociali dell’area urbana circostante [Lelli 2011a].
Tra le varie economie in atto, formali e informali, si trovano esempi di reciprocità
tra venditori che si frequentano da tempo, in forma di scambi di favori,
informazioni e servizi: acquisti reciproci, acquisti all’ingrosso e trasporti per
conto di altri. Si trovano economie del dono, attuate da parte di venditori nei
confronti di clienti e, viceversa, rapporti in cui i clienti rendono doni o servizi
ai venditori, tutte definibili come ‘forme di dono strategico’ [cfr. Bird-David
1992, cit. in Herzfeld 2006, 132], cioè non prive di interessi ma onestamente
finalizzate a creare o mantenere rapporti sociali e mercantili assieme.
Compaiono economie del dono tra i venditori, quando si cede a un collega la
merce che questi non ha per accontentare un suo cliente, invece di ‘rubargli’
il cliente. Sono in atto anche economie del dono indipendenti dagli scambi
commerciali, quando si festeggiano tra i banchi compleanni e anniversari
di venditori. Vi sono forme di ridistribuzione, quando avvicinandosi l’ora di
chiusura si lasciano a disposizione di mendicanti e persone senza mezzi, ma
anche di studenti e di associazioni, casse di alimenti invenduti, forse quelli
che non arriverebbero al giorno seguente. Tra i commercianti immigrati si
riscontrano economie informali, background basati sul microcredito, rotation
credits e tontines [Gasse-Hellio s.d.] poco note agli italiani.
La costruzione culturale della vita materiale
83
Nei rapporti di lavoro –altra forma di relazione socioeconomica– tra proprietari/
gestori di banchi italiani e impiegati stranieri esistono relazioni definite in
maniera contraddittoria, di “solidarietà” da alcuni, di “sfruttamento” da altri,
che ho iniziato a trattare altrove, osservando che spesso sono gli unici mezzi
per possibili ‘integrazioni sociali’ [Lelli 2011b]; è in questi casi che anche
alle persone si attribuiscono ‘valori economici’, non proprio favorevoli, e sono
evidenti forme inique della costruzione socioeconomica attuale, non solo locali,
ma che rispecchiano la realtà globale di sfruttamento delle categorie deboli: le
relazioni di dipendenza non tutelate non sono diminuite con lo ‘sviluppo’, ma si
sono appunto ‘sviluppate’, nella società globalizzata e neo-liberista [Viti 2006
(ed.)].
Si rilevano anche pratiche di riciclaggio e riutilizzo di materiali, supporti,
cassette, attrezzi: forme di risparmio e d’impatto ambientale sostenibili,
economie alternative spontanee ereditate dal mondo contadino preindustriale
3
adattate all’attualità .
È evidente che queste economie non costituiscono categorie separate o
contrapposte, ma fuzzy, comunicanti e parzialmente coincidenti. È interessante
sottrarre queste diverse economie a classificazioni evoluzioniste, riduttiviste,
a vederle nella loro contemporaneità. Chiedersi, ad esempio, se le economie
informali di reciprocità, di dono, di baratto o di recupero e riciclaggio, in atto
e visibili nei mercati pubblici, siano da includere nell’economia capitalista, che
ultimamente non gode di buona salute, o rappresentino possibili alternative ad
essa.
Una ricerca etnografica nei mercati pubblici può apparire inattuale in un
momento storico in cui l’economia prende strade sempre più virtuali, meno
pubbliche, meno tangibili, tranne che per i loro effetti. Apparentemente
l’economia riesce a semplificarsi, a sembrare puro calcolo, mentre è fatta di
persone, necessità, sussistenza, oggetti, pratiche, valorianche non economici,
oltre che di retoriche. La ricerca nei mercati è utile a riportare l’attenzione
sulle pratiche economiche concrete, a ricordare il ruolo politico dell’agency ‘dal
basso’, a valorizzare l’interazione e la negoziazione spontanea, ‘faccia a faccia’,
come strumenti di costruzione sociale.
Reference List
Aime M. 2002, La casa di nessuno, Torino: Boringhieri.
Appadurai A. 1986, Introduction: commodities and the politics of value, in id.
(ed.) 1986. The Social Life of Things: Commodities in Cultural Perspective ,
Cambridge: Cambridge University Press, 3-63.
3
Qui si innesta il discorso sul patrimonio culturale immateriale, che è anche ‘patrimonio sociale’,
che non è possibile affrontare in questo contesto.
84
Silvia Lelli
Barth F. 1981, Process and form in social life. Selected essays of Frederic
Barth, 1, London: Routledge & Kegan Paul.
Bourdieu P., 1983, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna: il Mulino
(I ed. 1979).
–– 2004, Le strutture sociali dell'economia, Trieste: Asterios (I ed. 2000).
Douglas M., Isherwood B. 1984, Il mondo delle cose. Oggetti, valori, consumo,
Bologna: il Mulino (I ed. 1979).
Duranti A. 1992, Etnografia del parlare quotidiano, Roma: NIS.
–– 2000, Antropologia del linguaggio, Roma, Meltemi (I ed. 1997).
Fornari-Schianchi L. (ed.) 2010, Città e Mercati, Soprintendenza al Patrimonio
Storico Artistico ed Etno-antropologico di Parma e Piacenza, Parma: STEP.
Gasse-Hellio M. s.d., Le tontines dans les pays en développement, SaintQuentin-En-Yvelines: Université de Versailles http://www.gdrc.org/icm/french/
matthieu/contents.html
Geertz C. 1978, The Bazaar Economy: Information and Search in Peasant
Marketing, «The American Economic Review» , 68 (2): 28-32.
Gudeman S. 1986, Economics as Culture: models and metaphors of livelihood,
London: Routledge & Kegan Paul.
Harris M. 1979, Cultural Materialism. The Struggle for a Science of Culture,
New York: Random House
Herzfeld M. 2006, Economie, in id., Antropologia. Pratica della teoria nella
cultura e nella società, Firenze: SEID ( ed. orig. 2001), 109-143.
Kosko B.1995, Il fuzzy-pensiero. Teoria e applicazioni della logica fuzzy,
Milano: Baldini & Castoldi( I ed.1993).
Latouche S. 2001, L’invenzione dell’economia, Bologna: Arianna
–– 2005, Come sopravvivere allo sviluppo, Torino: Boringhieri, 2004)
–– 2007, La scommessa della Decrescita, Milano: Feltrinelli, (I ed. 2006)
–– 2010, Il Mercato di S. Ambrogio e il Mercato delle Pulci a Firenze:
trasferimenti di mercati, costruzione sociale, partecipazione spontanea e
organizzata, in Fornari-Schianchi L. (ed.) 2010, Città e Mercati, Soprintendenza
al Patrimonio Storico Artistico ed Etno-antropologico di Parma e Piacenza,
Parma: STEP, 110-127.
–– 2011a, Zone di transazione. Mercati come luoghi di costruzione sociale:
scambi di merci e di significati, in Atti del 1° Convegno Nazionale
ANUAC, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea,
29-31/5/2008–Matera, Roma: CISU, 433-441.
–– 2011b, Terreni della negoziazione: etnografia composita, collettiva e critica
nei mercati pubblici, in F. Lai, F. Sbardella (eds.), Etnografia italiana, Bologna:
Pàtron, 43-66.
La costruzione culturale della vita materiale
85
Mauss M. 1965, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società
arcaiche, in id. 1965, Teoria generale della magia e altri saggi, Torino: Einaudi
(I ed. 1923-24), 153-292.
Pavanello M. (ed.) 2008, Le forme dell’economia e l’economia informale, Roma:
Editori Riuniti.
Pennacini C. (ed.) 2010, La ricerca sul campo in antropologia, Roma: Carocci.
Rosi-Bonci Lorena, 19-6-2006, Area del mercato – Rupe-Pincetto: alcune
riflessioni e domande, Lettera Aperta al Consiglio Comunale, Verbali del
Consiglio, Città di Perugia.
Viti F. (ed.) 2006, Antropologia dei rapporti di dipendenza personale.
Dipendenza, lavoro, diritti, Modena: Il Fiorino.
Yule G. 2002, Pragmatics, Oxford–New York: Oxford University Press.
Zelizer V.A. 2009, Vite economiche. Valore di mercato e valore della persona,
Bologna: Il Mulino.
Scarica