L'Orto Botanico di Padova L'Orto botanico di Padova, fondato nel 1545 su delibera del Senato della Repubblica Veneta, è il più antico Orto universitario del mondo che abbia conservato nei secoli l’ubicazione originaria e, nonostante alcune modifiche di inizio Settecento, anche le principali caratteristiche scientifiche e architettoniche. Il suo carattere eccezionale deriva da un lato dal suo elevato interesse scientifico in termini di sperimentazione, attività didattica e collezionismo botanico, e dall’altra dalla singolarità delle caratteristiche architettoniche, che nei secoli ne hanno fatto un modello per istituzioni analoghe in Italia e nel mondo: da Leida a Lisbona, passando per Uppsala e Bratislava. Questo complesso dallo straordinario valore scientifico, storico, artistico e naturalistico è ubicato nel mezzo del centro storico di Padova, tra le grandi basiliche di Sant’Antonio e di Santa Giustina, in un’area urbana che annovera nelle immediate vicinanze complessi di grande valore storico e artistico come il Prato della Valle, la Loggia e l’Odeo Cornaro, la porta Pontecorvo e la cinta muraria cinquecentesca, a poca distanza dalla sede storica dell’Università – Palazzo Bo – e dai più importanti monumenti cittadini (Cappella degli Scrovegni, Palazzo della Ragione, complesso delle Piazze e Battistero) Veduta panoramica dell’orto con la serra della palma di Goethe Fontana di Teofrasto Veduta dell’Hortus cinctus 1 - INGRESSO: a destra, fuori dal recinto in ferro, alcuni maestosi cipressi calvi (Taxodium distichum) con le caratteristiche radici respiratorie. Ai lati dell’ingresso due magnolie sempreverdi (Magnolia grandiflora) piantate nel 1800; davanti, a sinistra, un pino calabro (Pinus laricio) del 1836, dietro al quale vi è un piccolo giardino ornamentale. Proseguire davanti al gruppo dei banani (Musa basjoo), attraversare il vialetto delle palme (Trachycarpus fortunei) e la zona della Metasequoia glyptostroboides, fino a raggiungere la porta Ovest. 2 - PORTA OVEST: fuori del muro una collezione di piante del Terziario: albero di Giuda (Cercis siliquastrum), lauroceraso (Prunus laurocerasus), ecc., e un’ aiuola con specie acidofile (Rhododendron, Azalea, Camellia, Pieris, ecc.). 3 - INCROCIO DEI VIALI: al centro del giardino una vasca con diverse ninfee tropicali; la caratteristica termale dell’acqua che alimenta le vasche, proveniente da un pozzo artesiano profondo 286 metri, permette la coltivazione in piena aria anche di specie esotiche difficilmente acclimatabili. 4 - QUARTO DEL TAMARIX: vi sono 250 parcelle occupate da Monocotiledoni, in prevalenza Poacee, Liliacee, Iridacee, Amarillidacee, a fioritura precoce. Al centro un albero di tamerice (Tamarix gallica). 5 - QUARTO DEL GINKGO: circa 250 specie erbacee e arbustive, per lo più Lamiacee e Asteracee. Nell’angolo a nord ovest un colossale ginkgo (Ginkgo biloba), di sesso maschile sul quale è stato innestato un ramo femminile. All’esterno una ricca collezione di peonie (Paeonia sp. pl.), a fioritura primaverile. 6 - PIANTE RARE DEL TRIVENETO: il settore ospita un centinaio di piante endemiche, rare o minacciate di estinzione del Triveneto, quali Campanula petraea, Gypsophila papillosa, Cortusa matthioli, Moltkia suffruticosa, ecc. In corrispondenza della porta Nord, una interessante raccolta di specie tipiche delle spiagge e lagune venete, e una collezione fenologica. Lungo il muro di cinta esemplari di canforo (Cinnamomum camphora), avocado (Persea gratissima), olivo odoroso (Osmathus fragrans), kiwi (Actinidia chinensis), ecc. 7 - VASCHE CON PIANTE ACQUATICHE: sono presenti varie ninfee esotiche (Nymphaea sp.pl.) oltre al papiro egiziano (Cyperus papyrus), il fior di loto (Nelumbo nucifera), il giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes), l’euriale del Giappone (Euryale ferox), la pistia (Pistia stratiotes), ecc. 8 - PALMA DI GOETHE: dietro un’antica meridiana, in una serra ottagonale, cresce la famosa “palma di Goethe”, gigantesco esemplare di Chamaerops humilis var. arborescens, di oltre 400 anni di vita. 9 - PIANTE MEDICINALI (1): collezione di piante medicinali ed essenziere di comune impiego farmaceutico ed erboristico: valeriana (Valeriana officinalis), liquirizia (Glycyrrhiza glabra), rabarbaro (Rheum sp.pl.), assenzio (Artemisia absinthium), menta (Mentha sp.pl.), lavanda (Lavandula angustifolia), ecc.; nello stesso settore: canna da zucchero (Saccharum officinarum), tabacco (Nicotiana tabacum), lino (Linum usitatissimum),cotone (Gossypium herbaceum). Presso la porta est, durante l’estate, vengono collocati i vasi di agave (Agave sp.pl.) e altre piante grasse. 10- PIANTE MEDICINALI (2): raccolta di piante medicinali, alcune di interesse prevalentemente storico. Addossato al muro, un gruppo di bambù nero (Phyllostachys nigra), la cui ultima fioritura risale al 1932. 11 - QUARTO DELL’ALBIZIA: circa 250 Ranunculacee, Brassicacee, Rosacee, Fabacee, ecc.; all’interno un esemplare di gaggia arborea (Albizia julibrissin). 12 - QUARTO DELLA MAGNOLIA: oltre 200 piante erbacee, soprattutto Apiacee, Scrofulariacee, Boraginacee e Araliacee; al centro un’antica magnolia (Magnolia grandiflora), probabilmente la prima magnolia introdotta in Italia. 13 - FLORA DEI COLLI EUGANEI: sono presenti le piante più rappresentative dei Colli Euganei come: ruta patavina (Haplophyllum patavinum), cisto a foglia di salvia (Cistus salvifolius), erica arborea (Erica arborea), fico d’India nano (Opuntia vulgaris), ginestra (Spartium junceum), dente di cane (Erythronium dens-canis), ecc. Lungo il muro un maestoso faggio rosso (Fagus sylvatica f. purpurea). 14 - PIANTE VELENOSE: circa 50 specie velenose spontanee o coltivate per scopi ornamentali, molto comuni nel nostro territorio: colchico (Colchicum autumnale), ricino (Ricinus communis), tasso (Taxus baccata), oleandro (Nerium oleander), mughetto (Convallaria majalis), ecc. Presso la porta Ovest, nei mesi caldi, esposizione di piante succulente. 15 - ARBORETUM: anzichè raggiungere la posizione XIII, il visitatore può effettuare la variante attraverso il bosco (linea a tratto e punto) dove può osservare alcuni alberi interessanti come: platano orientale (Platanus orientalis) del 1680, olmo siberiano (Zelkova carpinifolia), leccio (Quercus ilex), noce nero (Juglans nigra), oltre ad aceri , tigli, frassini, ecc. Nello stesso settore si può ammirare anche un tronco subfossile di farnia (Quercus robur), risalente a circa 700 anni a.C., e durante la bella stagione , una collezione di piante in vaso, finalizzata alla didattica dei non vedenti. 16 - PORTA SUD: vasca con Nymphaea alba, Stratiotes aloides e Pontederia cordata. In vicinanza un gruppo di bossi delle Baleari (Buxus balearica), tassi (Taxus baccata) e un imponente pino nero (Pinus nigra). Sullo sfondo la statua di Teofrasto, sommo medico e botanico dell’antichità. 17 - ROTONDA: collina artificiale (belvedere) con numerose piante di tasso (Taxus baccata), agrifoglio (Ilex sp.pl.), aucuba (Aucuba japonica), felce maschio (Dryopteris filix-mas). Nelle vicinanze, un giovane esemplare di albero del mammut (Sequoiadendron giganteum), un cedro dell’Himalaya (Cedrus deodara) del 1828, un hyckory (Carya illinoensis) e una sequoia (Sequoia sempervirens) di oltre 100 anni di vita. 18 - PORTA EST: vasca con statua e busti allegorici (Salomone e le Quattro Stagioni); l’aiuola di sinistra ospita una ricca collezione di salici italiani. 19 - ARBUSTETO: collezione di arbusti e alberelli prevalentemente ornamentali come pruni da fiore (Prunus sp.pl.), biancospini (Crataegus sp.pl.), Spiraea, Berberis, Forsythia, Philadelphus, Chaenomeles, ecc. 20 - ROCCERA ALPINA: collezione di piante alpine e montane, coltivate su roccia calcarea o silicea; al centro un vistoso esemplare di pino mugo (Pinus mugo). A destra un ambiente di torbiera con alcune piante caratteristiche (Primula farinosa, Drosera rotundifolia, Pinguicula vulgaris, carici eriofori, sfagni ecc.). 21 - SERRA DELLE ORCHIDEE: piccola serra seminterrata, con varie collezioni di piante tropicali, in prevalenza felci e orchidee. Sul bancale di destra alcuni esemplari di piante carnivore (Nepenthes sp.pl.). 22 - ARANCERE: gruppo di serre tiepide. Nella prima sono raccolte piante succulente soprattutto Cactacee, Crassulacee, Liliacee ed Euforbiacee. Nella seconda: filodendro (Monstera deliciosa), pepe ornamentale (Piper kadsura), pelargoni odorosi (Pelargonium sp.pl.), ecc. L’ultima arancera ospita una ricca collezione di piante carnivore, piante sensitive e orchidee. Di fronte alle serre, la collezione di piante introdotte per la prima volta in Italia attraverso questo Orto Botanico. 23 - PORTA NORD: in prossimità di questo ingresso, fuori dal muro circolare, cresceva uno storico esemplare di vitice (Vitex agnus-castus), morto nel 1984 all’età di 434 anni a causa di una infezione fungina. Proseguendo lungo la facciata dell’edificio, sul cornicione dell’aula a emiciclo, busti marmorei di Linneo, Tournefort, De Jussieu e Malpighi, in mezzo ai quali vi è un busto di Francesco Bonafede, primo professore di Botanica medica all’Università di Padova. 24 - MACCHIA MEDITERRANEA: in posizione soleggiata, addossate a un muro, sono raccolte alcune delle piante che caratterizzano la macchia mediterranea: leccio (Quercus ilex), olivo (Olea europaea), corbezzolo (Arbutus unedo), lentisco (Pistacia lentiscus), asparago spinoso (Asparagus acutifolius), mirto (Myrtus communis), cisti (Cistus sp.pl.), e molte altre. L'Orto Botanico di Padova - La storia L’Orto botanico di Padova fu istituito nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, che allora costituivano la grande maggioranza dei "semplici", cioè di quei medicamenti che provenivano direttamente dalla natura. Proprio per questa ragione i primi orti botanici vennero denominati “giardini dei semplici” ovvero horti simplicium. In quel tempo era già consolidata la fama dell’Ateneo padovano nello studio delle piante, soprattutto come applicazioni della scienza medica e farmacologica: qui infatti venivano lette e commentate le opere botaniche di Aristotele e di Tefrasto; sempre qui tra gli altri avevano studiato Alberto Magno di Laningen (1193-1280), considerato il più grande cultore della materia dopo Aristotele, e Pietro D’Abano (1253-1316), che aveva tradotto in latino la terapeutica greca di Galeno. Nell’epoca in cui l’Orto fu fondato regnava grande incertezza circa l'identificazione delle piante usate in terapia dai celebri medici dell'antichità: frequenti erano gli errori e anche le frodi, con grave danno per la salute pubblica. L'istituzione di un horto medicinale, sollecitata da Francesco Bonafede che allora ricopriva la cattedra di "lettura dei semplici", avrebbe permesso agli studenti un più facile riconoscimento delle vere piante medicinali dalle sofisticazioni. Per questo scopo il primo "custode" dell'Orto, Luigi Squalermo detto Anguillara, vi fece introdurre e coltivare un gran numero di specie (circa 1800). L'Orto, per la rarità dei vegetali contenuti e per il prezzo dei medicamenti da essi ricavati, era oggetto di continui furti notturni, nonostante le gravi pene previste per chi avesse arrecato danni (multe, carcere ed esilio). Venne quindi ben presto costruito un muro di recinzione circolare (da cui anche i nomi di hortus sphaericus, hortus cinctus e hortus conclusus). L'Orto era continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo, specialmente dai paesi dove la Repubblica di Venezia aveva possedimenti o scambi commerciali; proprio per questa ragione Padova ha avuto un posto preminente nell'introduzione e nello studio di molte specie esotiche. Gli alberi - Ginkgo (Ginkgo biloba L.) Il ginkgo è la sola specie vivente del gruppo delle Ginkgophyta e senza dubbio la pianta a semi più antica. Piante molto simili ad essa erano diffuse su tutte le terre emerse nel Giurassico e nel Cretaceo, ma poi andarono progressivamente scomparendo, tranne questo grande albero che Darwin definì "fossile vivente". Originaria probabilmente della Cina interna, e considerata per molto tempo estinta allo stato spontaneo, sembra essere stata invece ritrovata in formazioni boschive naturali in una piccola zona nei pressi di Nanchino. Il ginkgo è comunque coltivato da sempre nei giardini dei templi e dei luoghi di culto in Cina e soprattutto in Giappone, venerato come "albero sacro" perché si riteneva proteggesse dai cattivi spiriti e perché rappresentava il simbolo della coincidenza tra gli opposti e dell'immutabilità delle cose. Si tratta di un albero imponente, a lento accrescimento e molto longevo, che può superare i 30 metri di altezza. Molto comune in parchi e giardini e apprezzato per la forma a ventaglio bilobato delle sue foglie che, prima di cadere in autunno, assumono un bel colore dorato, esso dimostra una particolare resistenza alle malattie, agli attacchi di funghi e di organismi fitofagi, come pure all'inquinamento atmosferico. Si tratta di una specie dioica, cioè a sessi separati, con fiori maschili e femminili portati su piante diverse. Nei giardini pubblici e nelle alberature stradali si preferiscono gli individui maschili, poiché i semi prodotti da quelli femminili emanano un odore rancido per la presenza di acido butirrico nell'involucro carnoso esterno, molto sviluppato e responsabile anche di serie dermatiti da contatto. I semi in Oriente sono usati nell'alimentazione, dopo essere stati sottoposti a fermentazione per liberarli dall'involucro esterno. Il nome del genere "Ginkgo" ha origini giapponesi e significa "albicocca d'argento" (gin=argento; kyo=albicocca) perché i semi a maturazione sembrano appunto albicocche infarinate. Il nome della specie, "biloba", si riferisce alla forma bilobata della foglia. "Ginkgo" è però un nome erroneo, causato da un errore di stampa riportato da Linneo (in Mantissa plantarum, 1767), al posto di "Ginkyo", che rappresenta la pronuncia originale del nome giapponese; questo nome però è ormai fissato dalle regole di nomenclatura. Secondo la tradizione il maestoso ginkgo situato all'interno della porta Nord nel quarto omonimo venne importato a Padova nel 1750. Si tratta di un esemplare maschile su cui, verso la metà dell'Ottocento, fu innestato a scopo didattico un ramo femminile. Ogni anno questo ramo si ricopre di ovuli, portati generalmente in coppia da brevi peduncoli, che in autunno si trasformano in semi carnosi giallastri. Il vecchio ginkgo ha perso la sua caratteristica forma a cono a causa di un fulmine; la forma tipica si può invece ammirare in un individuo più giovane situato al di fuori del muro, subito dietro alla serra che ospita la palma di Goethe e di fronte alla prima delle serre ottocentesche. Questa pianta raccoglie da sempre l'interesse di artisti e poeti di tutto il mondo: tra i più illustri Wolfgang Goethe, che le dedicò uno scritto. Il Ginkgo biloba è attualmente molto studiato in campo medico. Le sue foglie contengono infatti numerosi flavonoidi e ginkgolidi (a struttura terpenica), sostanze utili per la prevenzione e la cura di patologie del microcircolo, soprattutto di natura aterosclerotica e sostenute da aumentata aggregabilità piastrinica. E' inoltre utile nell'insufficienza cerebrovascolare con deficit cognitivo, oltre che nei disturbi auditivi e dell'equilibrio. Le sue numerose attività terapeutiche ne sconsigliano però l'uso per automedicazione: è indispensabile un controllo da parte del medico. Sono ancora da evitare associazioni con farmaci che modificano l'aggregazione piastrinica (per es. l'aspirina), per la possibilità di pericolose interazioni. GINKO BILOBA Le foglie di quest'albero dall'Oriente venuto a ornare il mio giardino celano un senso arcano che il saggio sa capire. C'è in esso una creatura che da sola si spezza? O son due che per scelta voglion essere una sola? Per chiarire il mistero ho trovato la chiave: non senti nel mio canto ch'io pur essendo uno anche duplice sono? 1815, Wolfgang Goethe Le collezioni - Piante insettivore Chiamate spesso anche carnivore, si tratta di piante che compiono una normale attività fotosintetica e che riescono a colonizzare ambienti particolarmente poveri d'azoto e di sali minerali, dove trovano una limitata competizione da parte di altre specie, integrando le carenze nutrizionali con l'utilizzo di materiale organico derivato da insetti e piccoli animali. A questo scopo, esse hanno modificato profondamente le loro foglie, che svolgono funzioni di richiamo, cattura e digestione delle prede e assorbimento dei prodotti della digestione. Le loro foglie possono così funzionare da trappole passive o attive, cioè dotate di movimenti determinati da variazioni di turgore di alcune cellule. Trappola attiva è ad esempio la foglia della trappola di Venere o pigliamosche (Dionaea muscipula Ellis), che si chiude ripiegandosi lungo la nervatura centrale, quando alcuni peli sensibili presenti sulla sua superficie intercettano un visitatore. Trappole passive sono invece le foglie delle drosere (Drosera sp.pl.) ricoperte di peli ghiandolari secernenti un liquido vischioso, ricco di enzimi idrolitici che attira le prede e le intrappola (trappola a carta moschicida). Altre trappole passive sono quelle della sarracenia e delle nepenti (Sarracenia sp.pl., Nepenthes sp.pl.), le cui foglie sono ripiegate a forma di coppa (ascidio). Sul margine dell'ascidio numerose ghiandole secernono un liquido zuccherino che attira gli insetti, che scivolano poi dentro (trappola a scivolo). Le pareti della trappola sono infatti lisce e con peli rigidi rivolti all'interno, per impedire agli insetti la risalita. Sul fondo dell'ascidio si accumula un liquido contenente enzimi proteolitici, in cui vivono batteri specializzati che contribuiscono alla digestione della preda. Queste piante trovano ospitalità nella prima delle serre ottocentesche, posta poco oltre la porta Nord, lungo il viale delle serre, dove è facile vederle anche in fiore. Trappola di Venere Drosera Gli alberi - Palma di S. Pietro (Chamaerops humilis L.) Molto comune in parchi e giardini, là dove le condizioni ambientali lo permettono, questa specie ha dimensioni piuttosto ridotte rispetto alle altre palme coltivate per ornamento e viene perciò chiamata anche palma nana. Cresce spontanea lungo le coste del Mediterraneo occidentale in formazioni a macchia piuttosto degradata, spesso anche in luoghi inaccessibili dove si è rifugiata per sfuggire all'intenso sfruttamento ed alla conseguente distruzione da parte dell'uomo, che ha utilizzato (e ancora utilizza) le sue foglie per la produzione di scope e di funi, ma soprattutto come materiale da imbottitura. Come scrive anche Cicerone un tempo in Sicilia, prima dell'introduzione del frumento, i suoi germogli venivano cotti e mangiati (usanza che persiste ancora in Algeria), mentre le parti sotterranee venivano ridotte in farina. È l'unica palma attualmente spontanea in Europa; all'inizio dell'Era Terziaria (circa 65 milioni di anni fa) in tutta l'Europa meridionale era invece diffusa una flora di tipo tropicale, grazie a condizioni climatiche completamente diverse dalle attuali. La palma di S. Pietro, messa a dimora nel 1585, è attualmente la pianta più vecchia presentenell'Orto botanico patavino ed è universalmente nota come "Palma di Goethe" da quando il grande poeta tedesco, dopo averla ammirata nel 1786, formulò la sua intuizione evolutiva nel "Saggio sulla metamorfosi delle piante" pubblicato nel 1790. Questa palma si trova all'interno dell'Hortus sphaericus, in una apposita serra ottagonale situata presso la porta Nord, nel settore delle piante medicinali. Questa protezione le ha permesso di sviluppare vari fusti che raggiungono un'altezza di circa 10 metri, per cui venne a lungo indicata come Chamaerops humilis L. var. arborescens (Pers.) Steud., varietà non più riconosciuta dalle moderne flore. Una delle caratteristiche di questa pianta che attirò l'attenzione di Goethe risiede nel fatto che le foglie basali sono intere, quelle intermedie iniziano a dividersi lungo le nervature, fino a sfrangiarsi in un ventaglio di lacinie lineari nelle foglie superiori. Gli ambienti - Roccera alpina (Alpinum) L'ambiente alpino si sviluppa normalmente al di sopra del limite degli alberi, la linea immaginaria che fissa l'altitudine massima alla quale si possono trovare queste forme di vita vegetale; esso si presenta come una distesa di detriti rocciosi, tenuti insieme proprio dalle radici particolarmente robuste delle piante che vi prosperano. Vivono qui arbusti o piccoli alberi contorti come il pino mugo (Pinus mugo Turra), vari rododendri (Rhododendron sp.pl.) e i salici nani. Le piante erbacee che vivono nell'ambiente alpino assumono spesso una forma caratteristica, a cuscinetto o a rosetta, che permette loro di resistere ai venti freddi e di raccogliere il poco calore assorbito dal substrato roccioso durante il giorno. Il settore che documenta un lembo di questo ambiente è situato di fronte alla serra tropicale (serra delle orchidee). Vi si possono ammirare molte specie dalla fioritura prolungata come le sassifraghe (Saxifraga sp.pl.), la stella alpina (Leontopodium alpinum Cass.), varie campanule e molte altre. Accanto alla roccera alpina è stato costruito un piccolo lembo di torbiera, ambiente caratterizzato da suoli acidi imbibiti di acqua, comune nelle regioni temperato fredde e artiche. La vegetazione è caratterizzata da particolari muschi: gli sfagni (Sphagnum sp.pl.), o “muschi delle torbe”. L'accumulo delle loro parti morte e parzialmente carbonizzate, assieme ai detriti vegetali e a resti di animali, costituisce la torba. Si possono qui vedere varie specie di questi ambienti: piante insettivore come la drosera (Drosera rotundifolia L.) e la pinguicola (Pinguicula vulgaris L.), eriofori (Eriophorum sp.pl.), giunchi (Juncus sp.pl.), il trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata L.) e alcuni salici (Salix sp.pl.). Genziana punteggiata Regina delle alpi Stella alpina Pennacchio Rododendro rosso Gli ambienti - Ambiente d’acqua dolce Nelle numerose vasche dell'Orto botanico vengono coltivate piante d’acqua dolce (idrofite). Quelle di maggiori dimensioni sono situate all'interno del muro, poco oltre la porta nord, e la loro fioritura nei mesi estivi rappresenta una delle attrattive dell'Orto. Altre piante acquatiche, più o meno decorative, si trovano nelle altre vasche e vaschette situate sia all'interno che all'esterno del muro circolare. Le idrofite, pur appartenendo a famiglie diverse, presentano adattamenti analoghi a causa delle condizioni determinate dall'ambiente acquatico. Alcune possono galleggiare, con le foglie in superficie e le radici immerse nell'acqua ma libere, come la lenticchia d'acqua (Lemma minor L.) o il giacinto d'acqua [Eichhornia crassipes (Mart.) Solms], dal caratteristico picciolo fogliare ingrossato, provvisto di un tessuto spugnoso (aerifero) ripieno d'aria che permette alla pianta di galleggiare. Altre invece sono ancorate al substrato, come ad esempio le ninfee (Nymphaea sp.pl.), il fior di loto indiano (Nelumbo nucifera Gaertn.), la victoria (Victoria cruziana Orbign.) dalle grandi foglie circolari a bordo rialzato e il papiro del Nilo (Cyperus papyrus L.), che veniva utilizzato già dagli antichi Egizi per ricavare dal suo midollo delle strisce che, pressate, costituivano l'antenato dell'attuale foglio di carta. La più singolare delle piante acquatiche che si coltivano in Orto è indubbiamente la minuscola wolffia [Wolffia arrhiza (L.) Horkel ex Wimm.], che si può ammirare nella piccola vasca addossata all'esterno del muro, di fronte al "teatro botanico". Si tratta della più piccola fanerogama della flora europea: la pianta, priva di radici, è costituita unicamente da una piccola foglia ovoide che raggiunge il diametro massimo di 1 millimetro. Fiore di loto Ninfea Gli ambienti - Piante succulente Conosciute anche con il nome improprio di “piante grasse”, sono piante che si sono adattate a vivere in ambienti aridi anche estremi; pur appartenendo a gruppi sistematici distanti tra loro, queste piante presentano convergenze morfologiche (riduzione delle foglie in spine, fusti che fotosintetizzano, succulenza dei tessuti) e funzionali (un particolare metabolismo fotosintetico), determinate dall'adattamento all'ambiente. Molte sviluppano tessuti specializzati in grado di accumulare l'acqua (le cellule sono dotate di vacuoli molto grandi, spesso con mucillagini che facilitano questa ritenzione), che cedono gradatamente quando la pianta non può ricavarla dal suolo. Esempi di morfologie caratteristiche sono il fico d'India [Opuntia ficus-indica (L.) Mill.], con foglie trasformate in spine e fusti appiattiti, e “il cuscino della suocera” (Echinocactus grusonii Hildm.), con grosso fusto sferico e spinoso. La collezione delle piante succulente occupa, durante i mesi invernali, la terza delle serre ottocentesche. Ogni anno, durante la stagione estiva, un ambiente desertico viene ricostruito all'aperto davanti alla palazzina nota come "casa del Prefetto", mentre altre piante della collezione sono collocate a ridosso degli edifici, tra il "teatro botanico" e le serre; altre ancora sono collocate all'interno del muro circolare, in corrispondenza delle quattro grandi porte. Euforbia obesa Echinopsis