Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di

Mensile di aggiornamento e approfondimento
in materia di
immobili, ambiente, edilizia e urbanistica
Numero 28 - gennaio 2016
n. 28 – chiuso in redazione il 18 gennaio 2015
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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APPROFONDIMENTI
PROFESSIONE E FISCO
IL VALORE AUTOMATICO NELLE COMPRAVENDITE IMMOBILIARI
Ai fini dell'imposta di registro, la base imponibile relativa ai contratti a titolo oneroso
traslativi o costitutivi di diritti reali è data dal valore del bene o del diritto alla data
dell'atto, ovvero, per gli atti sottoposti a condizione sospensiva, ad approvazione o a
omologazione, alla data in cui si producono i relativi effetti traslativi o costitutivi (art. 43
del D.P.R. 131/1986).
Consulente Immobiliare, Edizione del 15 gennaio 2016, n. 990 pag. 84-89
CONDOMINIO
AMMINISTRATORE: LA DURATA DELL'INCARICO DOPO LA RIFORMA
La nuova versione dell'art. 1129 cod. civ., come risulta dopo la modifica apportata dalla
riforma della legge 220/2012, prevede una disciplina diversa rispetto al passato per
quanto riguarda la durata dell'incarico dell'amministratore, ma le attuali disposizioni
sollevano dubbi interpretativi che hanno finalmente trovato una prima risposta in una
recente sentenza del Tribunale di Milano.
Consulente Immobiliare, Edizione del 15 gennaio 2016, n. 990, pag. 56-59
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L’ESPERTO RISPONDE
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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 Mercato immobiliare e mutui

Record di domande di mutuo, ma importo medio in calo
Il 2015 è stato l’anno che ha registrato un record nella domanda di mutui, (richieste e non
erogato), domande che però si concentrano su importi meno consistenti che in passato.
Dall’analisi Crif sul settore risulta, infatti, che l’importo medio dei mutui richiesti nel 2015 è
ulteriormente calato, attestandosi a 122.176 euro rispetto ai 124.343 euro dell’anno
precedente. Il trend in contrazione non è una novità, ma perdura da diversi anni ed è figlio
della crisi di fiducia dei potenziali compratori e della situazione economica e immobiliare che
abbiamo vissuto fino a qui.
Complessivamente, l’importo medio dei mutui richiesti nel 2015 è calato dell’11,3% rispetto ai
valori registrati nel 2008. La contrazione va ricondotta anche al continuo calo del valore degli
immobili che sono oggetto della garanzia ipotecaria, dato che i pressi negli ultimi anni (dal
2008) si sono mossi sono in discesa, e al forte incremento delle surroghe che riguardano mutui
rinegoziati sempre di importi inferiori al valore al momento della stipula.
Gli italiani, guardando i dati nel dettaglio, prediligono la fascia di importo tra 100mila e
150mila euro (scelta nel 30,2% dei casi). Il 21,2% delle domande si è rivolta a importi più
bassi (75.000-100.000 euro) e il 19,1% alla fascia 150.000-300.000 euro.
Nel corso del 2015 la domanda di mutui è salita del 53,3% (+33% a dicembre su un anno
prima), spinta dalle condizioni appetibili offerte dagli istituti di credito, grazie a tassi di
interesse ai minimi storici, e dalle surroghe.
Su base regionale la Liguria è la regione che ha fatto registrare l’incremento più consistente,
con un +72,1% rispetto all’anno precedente, seguita dal Lazio (+62,2%) e dalla Toscana
(56,9%). Relativamente agli importi medi richiesti, invece, il record spetta al Trentino Alto
Adige con 149.450 euro, in sensibile crescita rispetto all’anno precedente, seguita da Lazio,
con 140.658 euro, e da Lombardia (130mila euro), mentre fanalino di coda è risultato essere il
Molise, con un importo medio a quota 100.489 euro nonostante una crescita rispetto al 2014
pari al 37%. Dal team di Crif si aspettano un ulteriore consolidamento della domanda di mutui
nel corso dei prossimi mesi, grazie ancora una volta ai prezzi degli immobili ancora appetibili e
al clima di ritrovata fiducia.
(Paolo Dezza, Il Sole 24ORE – Casa24, 14 gennaio 2016)

Gli immigrati tornano a comprar casa (+8,3%), ma in 10 anni compravendite
ridotte a un terzo
L’aria di (timida) ripresa del mercato immobiliare spira anche per i lavoratori stranieri
immigrati in Italia. Secondo le anticipazioni del decimo Rapporto “Immigrati e casa” di Scenari
Immobiliari, nel 2015 gli acquisti di prime case sono stati circa 39mila, con un aumento
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dell'8,3% per cento rispetto all'anno precedente. Il valore complessivo degli acquisti è di circa
3,8 miliardi di euro, con un 15,1% in più in dodici mesi.
Dieci anni fa, quando è iniziata la rilevazione dell'Istituto di ricerche, gli acquisti furono
131mila, poi un calo costante. «L'inversione di tendenza – commenta Mario Breglia, presidente
di Scenari Immobiliari – è importante perché la domanda abitativa espressa dagli immigrati si
può stimare in oltre un milione di case. In assenza di una politica pubblica, la soluzione si può
trovare solo nel mercato privato».
La ripresa – secondo Scenari – è dovuta ad una maggiore facilità di accesso al credito e a
prezzi delle case più bassi, soprattutto nei piccoli centri e nelle periferie, che rendono più facile
comprare. L'incidenza degli stranieri tra gli acquisti totali di case effettuati in Italia per il 2015
è dell'8,7 per cento, incidenza comunque non omogeneamente distribuita. Anche a parità di
redditi territoriali, ci sono aree in cui la quota di acquirenti stranieri sfiora il 40% alzando la
media finale.
In contrasto all'alta concentrazione di stranieri acquirenti in alcuni territori particolari (Prato su
tutti), nella maggior parte dei capoluoghi si riscontra un cambio di zona quando le famiglie
straniere mutano situazione abitativa, passando dall'affitto alla proprietà. La maggior parte dei
residenti stranieri, infatti, vive in affitto e tende a restare in comunità con i propri connazionali,
almeno finché la permanenza in Italia è di carattere transitorio. Non appena si sceglie di
confermare con un acquisto di casa la volontà di rimanere in Italia, la tendenza è di spostarsi
dai “ghetti” verso zone più eterogenee. «Questo – notano da Scenari Immobiliari –favorisce
l'integrazione degli stranieri e aiuta a prevenire i forti attriti sociali che si verificano in altre
zone d'Europa.
Le dimensioni delle abitazioni medie comprate dagli stranieri sono in leggero aumento, intorno
ai 90 mq, in modo sostanzialmente omogeneo sul territorio nazionale. La qualità degli immobili
è bassa, quasi mai nuove costruzioni, e i pochi stranieri che ottengono il credito bancario
cercano l'occasione di potersi sistemare in una casa mediamente grande, dove accogliere tutta
la famiglia. Il 37% acquista nelle periferie del capoluogo e metà nei piccoli comuni del resto
della provincia.
(Il Sole 24ORE – Casa24, 8 gennaio 2016)

Tornano a salire i prezzi delle case: +0,2% nel terzo trimestre 2015. Ma su base
annua calo del 2,3%
Seppur lievemente, tornano a salire i prezzi delle case. Nel terzo trimestre del 2015, infatti,
l’Istat registra un incremento dello 0,2%, con il calo su base annua che si attesta al -2,3%, in
rallentamento rispetto al -3% rilevato nel secondo trimestre.
Uno scenario compatibile con il trend delle compravendite, che registrano una lenta ma
costante ripresa; e con le previsione degli operatori, che sul fronte delle quotazioni vedono la
fine della discesa nel 2015, per poi passare a un 2016 pressoché stazionario. Se la ripresa
economica si consoliderà, anche i prezzi potranno ricominciare lentamente a risalire dal 2017.
Un mercato che quindi dà i primi segnali di convalescenza, sempre tenendo presente che il
valore delle case ha mediamente perso il 20-25% negli ultimi 5-6 anni.
Più in particolare, secondo l’istituto di statistica, «nel terzo trimestre 2015, sulla base delle
stime preliminari, l'indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie sia per fini
abitativi sia per investimento aumenta dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e diminuisce
del 2,3% nei confronti dello stesso periodo del 2014».
Per la prima volta, quindi, dopo quattro anni, si registra un incremento dei prezzi su base
congiunturale. L’incremento è trainato dal rialzo dei prezzi delle abitazioni nuove (+1,4%),
mentre per l’usato si registra invece ancora un lieve calo (-0,1%).
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«La diminuzione su base annua dell'indice generale dei prezzi delle abitazioni, pur
confermandosi – nota l’Istat – continua a ridimensionarsi (-2,3% dal -2,9% del secondo
trimestre) grazie al contributo dei prezzi sia delle abitazioni nuove (-0,5% dal -1,6% del
secondo trimestre) sia di quelle esistenti (-2,9% da -3,3% del trimestre precedente)».
L'aumento congiunturale e la conferma del progressivo ridimensionamento delle flessioni
tendenziali dei prezzi delle abitazioni si manifestano in un quadro di ripresa del mercato
immobiliare residenziale in termini di numero di compravendite (+10,8% su base annua nel
terzo trimestre 2015 secondo i dati diffusi dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare
dell'Agenzia delle Entrate).
«Il differenziale in valore assoluto tra la variazione tendenziale dei prezzi delle abitazioni
esistenti e quella dei prezzi delle abitazioni nuove – specifica l’Istat – risulta pari a 2,4 punti
percentuali, tornando ad ampliarsi dopo il minimo raggiunto nel secondo trimestre quando fu
pari a 1,7».
In media, nei primi tre trimestri del 2015, i prezzi delle abitazioni diminuiscono del 2,9%
rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, sintesi di un calo dei prezzi dell'1,4% per le
abitazioni nuove e del 3,5% per quelle esistenti.
(Emiliano Sgambato, Il Sole 24ORE – Casa24, 8 gennaio 2016)

Osservatorio Assofin Crif Prometeia: per i mutui tasso di default in calo e
prospettive di ulteriore crescita
Prosegue il trend di decisa crescita del mercato dei mutui immobiliari, sia nella componente dei
mutui d'acquisto (+21,3%) sia soprattutto in quella delle surroghe (+780.6%). In lieve
miglioramento la qualità del credito, sia per i mutui sia per il credito al consumo, che
registrano flussi a doppia cifra (+13,6%), sostenuti dai finanziamenti finalizzati all’acquisto di
auto e moto e da quelli veicolati via carte rateali/opzione.
Sono le evidenze che emergono dalla trentanovesima edizione dell'Osservatorio sul credito al
dettaglio realizzato da Assofin, Crif e Prometeia, che sottolinea come «nel 2015 il mercato del
credito alle famiglie ha confermato i segnali di ripresa già registrati nella parte finale del
2014». L'aumento del reddito disponibile, la ripresa del mercato immobiliare e i bassi tassi di
interesse applicati «hanno infatti contribuito alla ripresa della domanda di credito, mentre gli
interventi di politica monetaria della Bce hanno sostenuto l'offerta».
«Le previsioni indicano che per il biennio 2016-2017 il credito alle famiglie – dice l’Osservatorio
– continuerà a crescere grazie al miglioramento delle condizioni economico-finanziarie delle
famiglie, che potrebbe favorire l'acquisto di beni durevoli e gli investimenti immobiliari in parte
rimandati durante gli ultimi anni».
Le politiche di offerta «potranno diventare più favorevoli, anche se rimarranno comunque
attente al rischio e continueranno ad essere condizionate dalla mole di nuova
regolamentazione e dall'incertezza che ad essa spesso si accompagna».
I finanziamenti per la casa
Per quel che riguarda i mutui, in particolare, le erogazioni nei primi 9 mesi del 2015
proseguono la crescita marcata iniziata lo scorso anno: «La componente dei mutui per acquisto
di abitazioni, che costituisce la parte più consistente delle nuove erogazioni, fa registrare un
incremento a doppia cifra (+21,3% rispetto allo stesso periodo del 2014), confermando il
crescente sostegno del credito alle compravendite immobiliari».
È tuttavia la componente degli “altri mutui” a mostrare la crescita più elevata (+187,1%), per
effetto dell'impennata delle surroghe (+780,6%). I mutui di surroga, che continuano a essere
molto convenienti per i bassi livelli dei tassi applicati sulle nuove operazioni, arrivano a
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rappresentare oltre un quarto dei volumi complessivamente erogati nei primi nove mesi del
2015.
Prosegue invece il trend di leggera contrazione degli importi finanziati e delle durate
contrattuali, per effetto sia dei valori di compravendita più ridotti, sia dell'aumento
dell'incidenza delle surroghe. La ripartizione delle erogazioni per fasce di importo finanziato
mostra una lieve ricomposizione verso le classi di valore fino a 100 mila euro (con una quota
pari al 32% del totale) mentre quella per durate evidenzia un'ulteriore riduzione della quota di
mutui con durata superiore a 26 anni a vantaggio dei mutui fino a 20 anni.
Inoltre, i primi nove mesi del 2015 sanciscono il “ritorno” dei mutui a tasso fisso, che arrivano
a coprire quasi la metà delle erogazioni (il 46% dei flussi totali). Si conferma infine il ruolo
primario del canale bancario tradizionale nel collocamento del mutuo, con il 79% dei flussi
erogati. A questo riguardo, sono di fondamentale importanza il rapporto diretto banca/cliente e
il servizio di consulenza che il personale di filiale è in grado di garantire nella scelta del mutuo.
La rischiosità
Nel corso del 2015 – nota l’Osservatorio – gli indicatori di rischio del credito al consumo
mostrano complessivamente una lieve riduzione rispetto alle precedenti osservazioni. Il tasso
di default (ovvero l'indice di rischio di credito di tipo dinamico che misura le nuove sofferenze e
i ritardi di 6 o più rate nell'ultimo anno di rilevazione) del credito al dettaglio nel suo complesso
(quindi mutui immobiliari più credito al consumo) si è attestato a settembre 2015 al 2.2%, in
lieve contrazione rispetto all'inizio del 2015. Nei mutui, invece, ha proseguito il lento ma
progressivo calo iniziato ormai da diversi trimestri: a settembre 2015 il tasso di default si
colloca infatti all’1,7%, livello tra i più bassi osservati negli ultimi 4 anni.
Le prospettive
«Il credito complessivo alle famiglie mostrerà una maggiore crescita delle consistenze nel
biennio 2016-2017. La ripresa dei flussi di mutui e credito al consumo, già evidente nel 2015,
sarà gradualmente meno legata a surroghe e ricontrattazioni una volta esaurito il potenziale di
crediti per cui queste operazioni risultano convenienti, fornendo così un impulso più
determinante per la crescita delle consistenze».
Nel comparto dei mutui immobiliari il miglioramento delle condizioni economiche e
dell'occupazione favorirà ulteriormente la crescita dei nuovi finanziamenti nell'ultima parte del
2015 e nel prossimo biennio.
(Il Sole 24ORE – Casa24, 16 dicembre 2016)

A settembre i tassi sui mutui per l'acquisto di case tornano sotto il 3%
I tassi sui mutui per l'acquisto di abitazioni tornano a scendere sotto il 3% a settembre. Lo
indica la Banca d'Italia. Il tasso medio, comprensivo delle spese accessorie, è indicato al
2,92% dal 3,04% di agosto. I tassi sui nuovi mutui erano già scesi sotto il 3% in maggio per
poi risalire sopra quel livello a seguito delle turbolenze sui mercati legati al caso Grecia. Stabili,
invece, i tassi sul credito al consumo all'8,23% (8,24%).
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 4 dicembre 2015)
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 Immobili & Edilizia

Ascensori: all’esterno è un «volume tecnico» e può derogare a distanze e
vedute
L’ascensore installato all’esterno di un edificio può essere considerato come «volume tecnico».
E come tale per i giudici non deve rispettare le distanze di legge. Per la Cassazione l’ascensore
è un bene ormai indispensabile. Come la giurisprudenza premia l’installazione dell’impianto di
servizio
Posizionare un ascensore all’esterno di un edificio può costituire una scelta tecnica obbligata
specie nei centri storici, dove gli immobili più antichi di solito non consentono di realizzare
l’impianto all’interno del caseggiato. Da questa scelta obbligata possono però derivare una
serie di problematiche, soprattutto in materia di distanze, di titoli abilitativi e di autorizzazioni
paesaggistiche, che la giurisprudenza ha risolto in relazione alla natura giuridica del manufatto.
Il volume tecnico
Il Tar Liguria, con la sentenza n. 1002 del 3 dicembre scorso , ha respinto il ricorso con cui un
confinante aveva impugnato il provvedimento comunale che assentiva al condominio
proprietario del palazzo di fronte la realizzazione di un ascensore esterno. I giudici liguri hanno
affermato la natura di volume tecnico del manufatto e hanno di conseguenza escluso la
violazione delle norme in tema di vedute e di distanze tra costruzioni (articoli 907 e 873 del
Codice civile). Nella sentenza si ricorda innanzitutto che per volume tecnico deve intendersi
quell’opera edilizia priva di una autonomia funzionale, anche potenziale, destinata a contenere
gli impianti serventi di una costruzione principale per soddisfarne le esigenze tecniche. In
questa nozione rientrano anche gli impianti che non possono essere ubicati all’interno della
costruzione, ma che devono considerarsi necessari per il pieno utilizzo dell’abitazione, tra cui,
appunto, l’ascensore.
La decisione condivide sul punto l’orientamento già espresso dalla Cassazione (n. 2566/2011)
secondo cui questa nozione di volume tecnico rispecchia il mutamento anche demografico della
nostra società, che ormai «considera l’ascensore come un bene indispensabile non solo alla
vita delle persone con problemi di deambulazione, ma anche di coloro che trovano sempre più
difficoltoso salire e scendere i numerosi piani di scale che li separano dalle vie pubbliche».
Il Tar ha inoltre escluso la violazione dell’articolo79, comma 2, del Dpr n. 380/2001, che
impone il rispetto delle distanze anche nel caso di opere finalizzate alla eliminazione di barriere
architettoniche, nell’ipotesi in cui tra queste ed gli altri fabbricati «non sia interposto alcuno
spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune». Viene richiamata al riguardo la pronuncia
del Consiglio di Stato n. 6253/2012 , secondo cui nell’interpretazione di tale norma va dato
rilievo al Dm n. 236/1989, ovvero il regolamento di attuazione della legge sulle barriere
architettoniche. L’articolo 2 del decreto, infatti, qualifica come spazio esterno «l’insieme degli
spazi aperti, anche se coperti, di pertinenza dell’edificio o di più edifici» e come parti comuni
dell’edificio «quelle unità ambientali che servono o che connettono funzionalmente più unità
immobiliari».
Applicando questo criterio interpretativo all’ultima parte dell’articolo 79, comma 2, appare
chiaro che il legislatore, nel far riferimento a spazi o aree «di proprietà o di uso comune», ha
inteso richiamare non solo il dato giuridico dell’esistenza di una comproprietà o di una servitù
di uso comune, ma anche il semplice elemento materiale dell’esistenza di uno spazio
comunque denominato, che per le sue caratteristiche si presti a essere impiegato dai residenti
di entrambi gli immobili confinanti. Inoltre la definizione di parte comune non presuppone che
le unità immobiliari siano parte di un medesimo edificio; anzi, dal combinato disposto con la
definizione di spazio esterno si ricava che uno spazio esterno comune può certamente
interessare anche più edifici.
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Il vincolo paesaggistico
Sempre in relazione alla natura di volume tecnico, il Tar Campania, con la sentenza n.
6431/2014, ha poi ricordato che in base all’articolo 7, comma 2 della legge n. 13/1989
sull’eliminazione delle barriere architettoniche, gli ascensori esterni ai manufatti anche se
alterano la sagoma dell’edificio sono soggetti a mera autorizzazione (oggi sostituita dalla Dia),
grazie all’articolo 48 della legge n. 457/1978.
I giudici napoletani hanno anche evidenziato come la stessa ratio che in materia urbanistica
porta a escludere i volumi tecnici dal calcolo della volumetria edificabile induce ugualmente a
escludere gli stessi dal divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria. Dunque
per i giudici gli interventi che abbiano dato luogo alla realizzazione di soli volumi tecnici, quali
gli ascensori, rientrano nell’eccezione di cui all’articolo 167, comma 4, lettera a), del Codice dei
beni culturali (Dlgs n. 42/2004) e sono pertanto suscettibili di accertamento della compatibilità
paesaggistica (anche se, in senso contrario si è espresso il Consiglio di Stato, sezione IV, con
la sentenza n. 2222 del 29 aprile 2014).
(Donato Antonucci, Il Sole24 ORE – Quotidiano Edilizia & Territorio, 18 gennaio
2016)

In calo del 10,7% i permessi di costruire nel primo semestre 2015 (per «colpa»
del decreto Fare)
L'Istat rileva che nei primi sei mesi del 2015 i permessi edilizi rilasciati hanno visto un calo del
10,7% per l'edilizia residenziale e un aumento del 6,9% per il non residenziale
Nel primo semestre del 2015 il rilascio dei permessi di costruire ha visto due andamenti
contrastanti: l'edilizia residenziale ha fatto registrare una contrazione rispetto allo stesso
periodo del 2014 (-10,7% le abitazioni e -13,8% la superficie utile abitabile) mentre l'edilizia
non residenziale ha fatto registrare invece un aumento del 6,9 per cento.
Lo dice l'Istat nel comunicato diffuso il 13 gennaio. «Il numero di abitazioni dei nuovi fabbricati
residenziali - rileva l'Istat - risulta in calo in entrambi i trimestri, presentando nel primo una
variazione tendenziale negativa dello 0,3% e nel secondo un calo del 18,9%. Stessa dinamica
segue anche la superficie utile nel confronto con gli analoghi trimestri del precedente anno: 6,1% per il primo trimestre 2015 e -20,1% per il secondo».
Anche l'edilizia non residenziale aveva cominciato l'anno con un andamento negativo nei primi
tre mesi, che però sono seguiti a una brusca inversione di tendenza nel secondo trimestre del
2015: «Nel primo trimestre del 2015 - si legge nella nota Istat - l'edilizia non residenziale
presenta una superficie in calo rispetto allo stesso periodo del 2014 (-1,9%); mentre nel
secondo trimestre registriamo un'inversione di tendenza con una variazione tendenziale
positiva a due cifre (15,1%) rispetto allo stesso trimestre del 2014, come non accadeva dal
primo trimestre 2007».
L'effetto del decreto Fare
Il calo dell'attività dei permessi di costruire registrato dall'Istat nel comparto dell'edilizia
abitativa potrebbe essere l'effetto del generalizzato calo delle nuove costruzioni e della crisi del
settore immobiliare, ma potrebbe anche esserci un altro "colpevole".
Un forte indiziato è infatti il decreto cosiddetto del Fare (n.69/2013) che è stato convertito in
legge nella seconda parte del 2014 e che ha dispiegato pienamente i suoi effetti nell'anno
successivo. Tra le tante misure del decreto Fare c'era anche un importante "pacchetto" di
semplificazioni dell'attività edilizia. Tra queste, in particolare, la misure volte a derubricare
alcuni interventi edilizi da quelli per i quali è necessario il permesso di costruire.
Di fatto, dopo il decreto Fare, alcuni interventi di manutenzione straordinaria sul patrimonio
edilizio esistente possono essere eseguiti con una comunicazione di inizio lavori (Cil o Cila)
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invece del permesso di costruire. È il caso, per esempio, delle opere per accorpamento o
frazionamento di unità immobiliari, e anche degli interventi che comportano traslazioni di
superfici o di volumi all'interno dell'edificio. In altre parole, le semplificazioni introdotte dal
decreto Fare hanno avuto un impatto su un largo numero di interventi anche significativi praticamente tutti quelli che possono essere eseguiti mantenendo inalterati involucro e
struttura esterna - che, pertanto, sono usciti "dal radar" delle rilevazioni che riguardano i
permessi di costruire. Una circostanza che - nel generale calo delle nuove costruzioni - ha
potuto condizionare il dato rilevato dall'Istat.
(Massimo Frontera, Il Sole24 ORE – Quotidiano Edilizia & Territorio, 14 gennaio
2016)
 Immobili & Fisco
 Se i metri quadri dell'abitazione non bastano resta valido il bonus per la prima
casa
Il bonus “prima casa” spetta nuovamente al contribuente, anche se ha già beneficiato
dell’agevolazione per un precedente acquisto. La condizione indispensabile, per beneficiare due
volte dello sconto fiscale previsto per l’acquisto della prima casa, è che l’immobile
precedentemente acquistato non sia idoneo a sopperire i bisogni abitativi del contribuente e
della sua famiglia. È così che la pensano i giudici della Ctp di Enna, che hanno annullato l’atto
dell’ufficio che aveva revocato le agevolazioni prima casa (sentenza 1323/2015, udienza del 6
novembre 2015, depositata il 9 novembre 2015). Ecco i fatti. Le Entrate di Enna, con atto di
recupero delle agevolazioni “prima casa”, hanno chiesto maggiori imposte dovute per 4.920
euro, più sanzioni e interessi, per un totale di circa 7mila euro. Contro l’atto di recupero
emesso dall’ufficio, il contribuente ha presentato ricorso, eccependo la nullità dell’atto e di
irrogazione sanzioni in quanto l’immobile precedentemente acquistato con le agevolazioni
prima casa non era idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a sopperire ai bisogni
abitativi del contribuente e della sua famiglia. In pratica, il contribuente aveva acquistato il
precedente immobile appena sposato e senza figli, mentre al momento del secondo acquisto,
la famiglia era costituita di 4 persone, visto che nel frattempo erano nati due figli.
Per i giudici tributari, deve essere annullato l’atto emesso dall’ufficio, in quanto la
modestissima superficie, complessivamente di metri quadrati 53, non consente in modo
assoluto di poter essere utilmente adibita ad abitazione del nucleo familiare del contribuente e
della sua famiglia, composto da quattro persone. I giudici ennesi si sono uniformati
all’orientamento espresso dalla Corte di cassazione in tema di agevolazioni tributarie e con
riguardo ai benefici per l’acquisto della prima casa. Per la Cassazione, con orientamento
univoco e consolidato, la norma di favore, nel prevedere, tra le altre condizioni per
l’applicazione dell’aliquota ridotta dell’imposta di registro del 4% in luogo del 10%, la non
possidenza di altra abitazione, si riferisce, anche alla luce della ratio della disciplina, ad una
disponibilità non meramente oggettiva, ma soggettiva, nel senso che ricorre il requisito
dell’applicazione del beneficio, anche all’ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia
concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive a sopperire ai bisogni
abitativi suoi e della famiglia (si vedano, in questo senso, Cassazione, sentenze n. 11564/06,
n. 17893/03, n. 10935/03 n. 6492/03, n. 2418/03 e ordinanza 11 febbraio 2009).
(Salvina Morina e Tonino Morina, Il Sole24ORE – Quotidiano Edilizia & Territorio, 12
gennaio 2016)
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10

Legge Stabilità: agevolazioni al canone concordato, ma il Fondo per la locazione
non viene rifinanziato
Lo sconto del 25% su Imu e Tasi per le case affittate a canone concordato è un segnale
importante, ma sul fronte degli affitti - per proprietari e inquilini - si poteva fare di più. Da un
lato, arrivando a fissare un generale tetto alle imposte municipali che gravano sugli immobili
locati a canone calmierato. Dall'altro, continuando ad alimentare e rinsaldando il Fondo di
sostegno alla locazione, a favore delle famiglie in difficoltà.
Lo sconto sulle imposte locali
Con la riduzione del 25% di Imu e Tasi per gli alloggi concessi con contratto concordato e il
divieto per i Comuni di alzare quest'anno le relative aliquote fissate nel 2015, la legge di
Stabilità porta un certo sollievo al mercato degli affitti a prezzi sostenibili. Nel complesso, si
tratta di una misura «che rappresenta quell'inversione di tendenza nella tassazione degli
immobili locati che Confedilizia chiedeva da tempo», dichiara il presidente dell'organizzazione,
Giorgio Spaziani Testa. «La consideriamo, insieme alle altre misure di riduzione delle imposte
sulla casa, un ottimo punto di partenza per un cammino, che dovrà proseguire, di graduale ma
continua correzione degli errori compiuti sull'immobiliare a partire dalla manovra Monti».
Proprio Imu e Tasi hanno d'altra parte aggravato il peso della tassazione sulle case locate. «Ma
stabilire un'aliquota agevolata fissa del 4 per mille, come avevamo proposto ed era stato
prospettato in fase di discussione del Ddl, sarebbe stato più chiaro e conveniente per tutti.
Molto - prosegue il presidente di Confedilizia - dipende infatti dalle scelte iniziali fatte dai
Comuni: se il livello è troppo alto, non basta questo sconto a rendere appetibili i “concordati”».
Le scarse agevolazioni Imu-Tasi offerte dai Comuni
Al successo della formula del concordato partecipano diversi elementi, a partire dalla revisione
e l'aggiornamento degli accordi territoriali, cui spetta delineare le fasce di oscillazione dei
canoni agevolati. E nel corso dell'ultimo anno diversi accordi sono stati svecchiati, se non
addirittura “risvegliati” da un letargo che aveva estinto i contratti concordati dal panorama
delle locazioni: come nel caso di Milano, dove a giugno 2015 si è firmato un nuovo testo (a 16
anni dal primo, inservibile), e dove agli affitti calmierati si applica un'aliquota Imu-Tasi al 7,3
per mille, al posto del 10,4 di quelli liberi. Qui sta un nodo centrale, perché la tassazione
concorre a pieno a determinare il successo della formula concordata. Ma spesso le riduzioni
offerte dai Comuni si rivelano inadeguate, e le imposte locali finiscono con l'annullare ogni
possibile vantaggio possa ad esempio derivare dall'incrocio tra canoni “equilibrati” e cedolare
secca al 10 per cento. «Siamo giunti al punto di considerare agevolate anche aliquote tra l'8 e
il 9 per mille, che superano il massimo previsto qualche anno fa (con l'Ici, ndr) e si applicano
oltretutto a una base imponibile più alta», commenta Spaziani Testa.
Basta leggere le delibere sul sito delle Finanze: se nel 2015 le città capoluogo di provincia
hanno deciso per gli “immobili diversi” un'aliquota media Imu-Tasi del 10,4 per mille, quella
sugli affitti concordati si è attestata all'8,6, dimostrandosi ancora troppo alta. In sintesi, la
legge di Stabilità porta “dall'alto” una riduzione che i Comuni - se avessero voluto spingere in
tal senso - avrebbero potuto compiere autonomamente. E a riprova si possono prendere i casi
estremi di Roma (dove l'aliquota è al massimo, all'11,4) e Bari (dove invece è stata fissata al 4
per mille).
Il mancato rifinanziamento del Fondo di sostegno alla locazione
Il tentativo del Governo di regolare la dinamica degli affitti, introducendo questo sconto dopo
aver già ridotto la cedolare secca dal 15 al 10%, è apprezzabile anche a parere del segretario
del Sunia, Daniele Barbieri. Che però lamenta l’assenza di interventi diretti per gli inquilini nella
legge di Stabilità, e in particolare il mancato rifinanziamento del Fondo nazionale di sostegno
alla locazione, istituito dalla legge 431/98 e dedicato alle famiglie meno abbienti, in difficoltà
nel pagamento dei canoni.
«Dall'azzeramento del 2013 si è passati ai 200 milioni stanziati per il 2014 e 2015, e si è
tornati al completo azzeramento per il 2016», sottolinea Barbieri. «Nonostante lo stesso
Governo qualche mese fa, rispondendo a un'interrogazione parlamentare tramite il viceministro
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Del Basso De Caro, avesse affermato la piena necessità del Fondo. La cui dote, inoltre, non
andrebbe affidata a provvedimenti una tantum come per il biennio 2014-2015: perché gli
interventi spot creano incertezza - prosegue Barbieri - e lo stesso si può dire della cedolare
secca al 10% che tornerà al 15% nel 2018, mentre insistiamo per renderla strutturale».
Anche la presenza del Fondo si lega al buon esito e allo sviluppo dei contratti concordati. A
Bologna, ad esempio, il bando del contributo per l'affitto è scaduto il 28 novembre scorso e
delle circa 3.500 domande presentate - raccontano dal Sunia – circa tre quarti si riferiscono
proprio a locazioni calmierate.
I numeri imponenti del disagio abitativo
Ma è la generale emergenza abitativa a non dover essere sottovalutata, come evidenzia uno
studio Nomisma condotto per Federcasa. Sono infatti «quasi 1,8 milioni le famiglie in locazione
che, versando oggi in una condizione di disagio abitativo (incidenza del canone sul reddito
familiare superiore al 30%), corrono un concreto rischio di scivolamento verso forme di
morosità e di possibile marginalizzazione sociale», ha spiegato il direttore generale, Luca
Dondi. Si tratta perlopiù di cittadini italiani (circa il 65%), distribuiti sul territorio nazionale in
maniera abbastanza omogenea.
«Se non vi sono dubbi che il fenomeno risulti più accentuato nei grandi centri, dall'analisi non
sembrano emergere zone franche, con una diffusione che interessa anche capoluoghi di medie
dimensioni e centri minori. In tale quadro - continua Dondi - la dotazione di edilizia
residenziale pubblica si conferma del tutto insufficiente, consentendo di salvaguardare appena
700 mila nuclei familiari, vale a dire poco più di un terzo di quelli che attualmente versano in
una situazione problematica». A fronte della vastità del problema abitativo, le risposte
pubbliche - afferma lo studio di Nomisma - sono state fino qui complessivamente inadeguate:
sia i piani di recupero e ristrutturazione degli immobili Erp inutilizzati, sia la continua
invocazione al concorso privato attraverso il sistema dei fondi immobiliari e all'intervento dalla
Cassa Depositi e Prestiti. Ma è insufficiente anche l'alleggerimento fiscale (sul reddito e sulla
proprietà) «riconosciuto ai proprietari di abitazioni concesse in locazione a canone
“concordato”, soprattutto laddove gli accordi territoriali che disciplinano tale opzione sono
talmente obsoleti da renderla di fatto inutilizzabile».
(Dario Aquaro, Il Sole 24ORE – Casa24, 6 gennaio 2015)

Tasi azzerata sulle prime case e sui fabbricati «assimilati»
Partendo dall’abolizione della Tasi per l’abitazione principale, la legge di Stabilità 2016 prevede
diversi interventi per la casa.
Le abitazioni principali
Dal 2016 saranno escluse dalla Tasi le unità immobiliari destinate ad abitazione principale del
possessore nonché dell’utilizzatore e del suo nucleo familiare, escluse quelle di lusso (categorie
catastali A/1, A/8 e A/9).
L’esenzione opera, quindi, anche per i detentori, a qualsiasi titolo (locazione, comodato) di un
fabbricato non di lusso destinato a propria abitazione principale. Per le abitazioni principali
degli utilizzatori resta però dovuta la quota a carico del possessore, nella misura stabilita dal
Comune nel 2015 (nel silenzio dell’ente 90%). Per le abitazioni di lusso, invece, continua ad
applicarsi l’Imu, con l’aliquota approvata nel 2015 e la detrazione di 200 euro.
I comodati
È abrogata la disposizione che permetteva ai Comuni di disporre con proprio regolamento
l’assimilazione all’abitazione principale delle unità immobiliari concesse in comodato a parenti.
Queste abitazioni saranno nel 2016 soggette ad aliquota ordinaria, salvo che non si rispettino
le condizioni previste per il nuovo comodato, il quale però non prevede più l’assimilazione ma
solo una riduzione al 50% della base imponibile.
FIAIP News24, numero 28 – Gennaio 2016
12
La nuova assimilazione opera per le unità immobiliari non di lusso concesse in comodato a
parenti in linea retta entro il primo grado che le usano come abitazione principale, sempre che
il contratto sia registrato e il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda
anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso Comune in cui è situato l’immobile
concesso in comodato. Il beneficio si applica anche se il comodante possiede nello stesso
Comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, sempre non di lusso.
Le «assimilazioni»
Con una modifica alla disciplina Tasi (comma 669 della legge 147/2013) si chiarisce quali sono
le ipotesi di assimilazione all’abitazione principale. Si tratta, nel rispetto delle condizioni
specificate in norma, di:
abitazioni dei residenti all’estero;
abitazioni delle cooperative a proprietà indivisa assegnate ai soci;
alloggi sociali;
ex casa coniugale assegnata dal giudice della separazione;
immobile dei militari;
se previsto dal regolamento comunale, abitazioni degli anziani o disabili che acquisiscono la
residenza in istituti di ricovero o sanitari.
A questi casi si aggiunge quello delle abitazioni di proprietà delle coop edilizie a proprietà
indivisa destinate a studenti universitari soci assegnatari, anche se non hanno la residenza
anagrafica.
Gli affitti concordati
Doppia agevolazione per gli immobili locati a canone concordato (legge 431/1998). Dal 2016
l’Imu e la Tasi, determinate applicando l’aliquota deliberata dal Comune nel 2015, sono dovute
nella misura del 75 per cento.
Lo stop ai rincari
La legge di Stabilità “sospende” le delibere che dispongono aumenti tributari per il 2016. Ciò
implica che anche gli aumenti già deliberati nel 2015, ma con effetti dal 2016, saranno
inefficaci. La sospensione, invece, non opera per la Tari.
Sono salve per il 2016 le delibere tributarie del 2015 approvate con un solo giorno di ritardo, in
seguito alla singolare sanatoria che ha disposto per legge che il «30 luglio» si interpreta come
«31 luglio». Per gli altri Comuni che hanno approvato in ritardo, nel 2016 saranno applicabili le
stesse misure del 2014.
Comunque, per il 2016 è stata mantenuta la possibilità, per i Comuni, di utilizzare la
maggiorazione Tasi dello 0,8 per mille, a condizione però che vi sia nel 2016 una espressa
deliberazione di Consiglio comunale confermativa della misura applicata per il 2015.
La tassa rifiuti
La legge di Stabilità rinvia al 2018 due importanti prescrizioni sulla Tari. La prima riguarda la
possibilità di derogare ai coefficienti di produzione, cui fanno riferimento gli allegati al Dpr
158/1999, e di non considerare, per le utenze domestiche, il numero dei componenti della
famiglia. Di fatto, un’applicazione della Tari molto simile alla Tarsu.
Il secondo rinvio riguarda la norma che avrebbe imposto ai Comuni, nella determinazione dei
costi che devono trovare copertura integrale con la tariffa, di avvalersi anche delle risultanze
dei fabbisogni standard.
(Pasquale Mirto, Il Sole 24 ORE, Norme & Tributi, 29 dicembre 2015)

La mancata registrazione riduce l’importo del canone
Conseguenze pesanti per il locatore che si sottrae all’obbligo di registrare il contratto di
locazione improrogabilmente entro 30 giorni dalla sottoscrizione. Così la modifica dell’articolo
13 della legge 431/1998, che impone al proprietario di darne comunicazione, entro i successivi
60 giorni, sia al conduttore sia all’amministratore del condominio affinché aggiorni il registro di
anagrafe condominiale.
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13
L’inquilino potrà chiedere la restituzione
La mancata registrazione del contratto entro il termine perentorio indicato, legittima il
conduttore a chiedere al giudice di ricondurre la locazione a condizioni conformi a quelle
previste per i contratti quadriennali ex articolo 2, comma 1, della legge 431/1998, o per quelli
con canone concordato. Può scattare, pertanto, la richiesta di restituzione delle maggiori
somme versate rispetto al dovuto, azione che può essere esperita in qualsiasi momento del
rapporto di locazione, e comunque entro sei mesi successivi all’effettivo rilascio del bene
locato. Sarà il giudice a determinare la misura del canone dovuto e a stabilire la restituzione
delle somme eventualmente eccedenti.
Al sicuro chi ha denunciato il «nero»
Con l’introduzione di un nuovo comma si è poi posto fine alle problematiche sorte dopo che la
Corte costituzionale, con plurimi interventi, aveva eliminato la possibilità - concessa ai
conduttori dal Dlgs 23/2011 - di penalizzare il locatore che non aveva registrato il contratto o
lo aveva fatto per importi inferiori.
Parecchi inquilini, beneficiando di questo decreto, erano usciti da una situazione di illegalità e
avevano pagato affitti molto meno pesanti: la riduzione del canone annuo a una misura pari a
tre volte la rendita catastale portava il corrispettivo della locazione a livelli addirittura al di
sotto della quantificazione imposta dalla legge dell’equo canone. Dichiarata l’incostituzionalità
della norma, per costoro si era presentato il serio rischio di dover versare le maggiori somme
non corrisposte rispetto a quelle originariamente pattuite e di vedersi risolto il contratto. Con la
sentenza 169 del 16 luglio scorso, la Corte costituzionale ha infine escluso che le agevolazioni
previste dal Dlgs 23/2011 potessero proseguire fino al 31 dicembre 2015.
Adesso il nuovo comma 5 dell’articolo 13 conferma che per tutti coloro che, in forza del Dlgs
23/2011, hanno versato un corrispettivo ridotto fino alla data di pubblicazione (appunto, il 16
luglio 2015) della sentenza che ha definitivamente dichiarato l’incostituzionalità dei commi 8 e
9 dell’articolo 3 del Dlgs 23, la misura del canone o dell’indennità di occupazione per tale
periodo è pari, su base annua, al triplo della rendita catastale dell’immobile.
Niente possibilità, dunque, per i locatori, di chiedere gli arretrati, ma la sorte dei contratti
modificati dal Dlgs 23/2011 ancora non è chiara.
(Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE, Norme & Tributi, 29 dicembre 2015)

Ristrutturazioni, altri 12 mesi con la detrazione extra-large
Via libera alla proroga fino al 31 dicembre 2016 di tutti i bonus per gli interventi di recupero
del patrimonio edilizio. A partire dalla maxi-detrazione del 50% su manutenzioni,
ristrutturazioni, restauro e risanamento conservativo, confermata dalla legge di Stabilità 2016.
La detrazione del 50%, quindi, si applica ai pagamenti effettuati dal 26 giugno 2012 al 31
dicembre 2016, al posto di quello a regime del 36%, che si applicherà dal 2017 (salve ulteriori
proroghe). È stato confermato anche il limite massimo di spesa per singola unità immobiliare,
che rimarrà di 96mila euro e dal 2017 tornerà a 48mila euro. L’importo massimo della
detrazione, dunque, sarà di 48mila euro fino al 31 dicembre 2016 e di 17.280 euro dal 2017 in
poi, sempre da dividere in dieci anni.
Fabbricati interamente ristrutturati
È detraibile al 50% anche il 25% del prezzo di acquisto di abitazioni in fabbricati interamente
ristrutturati. Va ricordato che la legge di Stabilità 2015 ha prolungato da sei a 18 mesi il
periodo, dopo la fine dei lavori, entro cui un soggetto Irpef può acquistare un’abitazione di un
fabbricato interamente ristrutturato, beneficiando di questa detrazione (con limite massimo
della detrazione a 48mila euro).
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Misure antisismiche con il 65%
La legge di Stabilità 2016, infine, prevede la proroga al 31 dicembre 2016 anche della
detrazione Irpef e Ires del 65% sulle misure antisismiche dell’abitazione principale o delle
costruzioni adibite ad attività produttive, a patto che gli edifici si trovino «nelle zone sismiche
ad alta pericolosità», zone 1 e 2 (Opcm 20 marzo 2003, n. 3274). In questi casi, per tutti i
bonifici effettuati dal 4 agosto 2013 al 31 dicembre 2016, si può beneficiare, con le regole delle
ristrutturazioni edilizie, della percentuale super-agevolata del 65 per cento. Successivamente si
passerà al 36%, con le classiche regole dell’articolo 16-bis, del Tuir, limitando, ad esempio, il
bonus alle sole abitazioni. Per questo bonus, la procedura edilizia comunale che autorizza le
misure antisismiche deve essere stata attivata dopo il 3 agosto 2013.
Negli altri casi, cioè per le misure antisismiche senza i particolari requisiti per il bonus del 65%,
si può comunque beneficiare della detrazione del 50 per cento.
Gli immobili colpiti da calamità
Inoltre, a regime sono agevolati al 50% anche il «ripristino» o la «ricostruzione» dell’immobile
«danneggiato a seguito di eventi calamitosi», anche se questi non rientrano tra gli interventi di
manutenzione, ristrutturazione o restauro conservativo. In questi casi, è necessario che «sia
stato dichiarato lo stato di emergenza, anche anteriormente» al 1° gennaio 2012 (articolo 16bis, comma 1, lettera c, del Tuir). Per la detrazione del 65 per cento, invece, non è necessario
che vi sia stato un terremoto o una calamità naturale.
(Luca De Stefani, Il Sole 24ORE – Norme & Tributi, 29 dicembre 2015)

La chance del leasing agevolato per i giovani
Dal 2016 le persone fisiche che decidono di acquistare o costruire un fabbricato abitativo da
adibire ad abitazione principale, potranno liberamente scegliere tra mutuo o leasing. Con la
legge di Stabilità, infatti, quest’ultimo contratto trova una propria disciplina.
Da un punto di vista civilistico viene, infatti, stabilito che la banca o l’intermediario finanziario
«si obbliga ad acquistare o a far costruire l’immobile su scelta e secondo le indicazioni
dell’utilizzatore» ponendo, però, a carico dell’una e dell’altra parte ben precisi obblighi.
Le condizioni
L’utilizzatore assume tutti i rischi con riferimento all’eventuale «perimento» del bene e,
ovviamente, l’obbligo di pagare regolarmente i canoni periodici. Inoltre, è tenuto al riscatto
finale dell’immobile, contrattualmente prestabilito, salvo il caso nel quale decida di non
esercitare il riscatto stesso, dandone comunicazione al concedente.
In caso di inadempimento, il concedente ha diritto di risolvere il contratto e di chiedere la
restituzione del bene, ma dovrà corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o
«altra collocazione del bene», che deve avvenire, in ogni caso, a valore di mercato e nel
rispetto dei criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore. Per determinare la
somma da corrispondere a quest’ultimo, è necessario dedurre dal prezzo di mercato percepito
dalla vendita o ricollocazione del bene, la somma dei canoni scaduti e non pagati
dall’utilizzatore e quelli futuri ancora mancanti, attualizzati, e il prezzo pattuito per l’esercizio
dell’opzione finale di acquisto.
Se da questa somma algebrica dovesse scaturire un risultato negativo, ossia una cifra a favore
del concedente, la differenza dovrà essere corrisposta dall’utilizzatore al concedente stesso.
Sul versante di quelli che possiamo definire, invece, i “diritti” dell’utilizzatore, nel testo della
norma è già prevista la possibilità per quest’ultimo di chiedere la sospensione del pagamento
dei corrispettivi periodici, in presenza di alcune precise condizioni. In particolare, è necessario
presentare una richiesta al concedente, se si verificano, alternativamente, la cessazione del
rapporto di lavoro subordinato ovvero la cessazione del rapporto di agenzia, di rappresentanza
commerciale o di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Ove ci sia tale sospensione, che può avere luogo per non più di una volta nel corso di tutta la
durata del contratto di locazione finanziaria e per un periodo massimo complessivo non
superiore a 12 mesi, il contratto di leasing sarà prorogato per un uguale periodo e le parti,
terminata la sospensione - che non deve comportare l’applicazione di alcuna commissione o
FIAIP News24, numero 28 – Gennaio 2016
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spesa di istruttoria e deve avvenire senza richiesta di garanzie aggiuntive - potranno
eventualmente rinegoziare le condizioni del contratto.
Il trattamento fiscale
Sul fronte fiscale, è prevista, per i periodi d’imposta dal 2016 al 2020, una detrazione Irpef per
i giovani che, all’atto di stipula del contratto di locazione finanziaria abbiano un’età inferiore a
35 anni, un reddito complessivo non superiore a 55mila euro e non siano titolari di diritti di
proprietà su altri immobili a destinazione abitativa. La detrazione (attualmente del 19%) va
calcolata su un ammontare massimo di canoni annuali di 8mila euro, e su un ammontare di
riscatto massimo di 20mila euro. Per i soggetti di età pari o superiore a 35 anni, la detrazione
spetta, alle stesse condizioni, su importi ridotti della metà.
In caso di trasferimento dei fabbricati alle banche o agli intermediari finanziari o in caso di
cessione del contratto di leasing, è prevista l’imposta di registro nella misura dell’1,5 per
cento.
Iva detraibile sulle case di classe A e B
Sempre sul fronte delle agevolazioni, la legge di Stabilità prevede, per il solo 2016, una
detrazione dall’Irpef pari al 50% dell’Iva dovuta sull’acquisto di unità immobiliari a
destinazione residenziale, di classe energetica A o B, se cedute dalle imprese che le hanno
costruite. La detrazione va divisa in quote costanti nell’anno di sostenimento della spesa e nei
nove periodi d’imposta successivi.
Le aree in edilizia convenzionata
È anche stabilito, come norma interpretativa dell’articolo 32, comma 2, del Dpr 601/73, che
l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali per gli atti
di trasferimento delle aree che rientrano negli interventi di edilizia convenzionata, si applicano
indipendentemente dal titolo di acquisizione della proprietà da parte degli enti locali.
(Michele Brusaterra, Il Sole 24ORE – Norme & Tributi, 29 dicembre 2015)
 Condominio

Il «decoro» della facciata va ripristinato e non ci sono danni patrimoniali
Decoro architettonico della facciate condominiali per fori di areazione: il Tribunale di Milano
ordina di ripristinare la situazione precedente ai lavoro.
Il proprietario di un appartamento sito al piano rialzato eseguiva sulle facciate condominiali
dieci fori circolari di areazione con griglie di colore bianco del diametro di circa 20–25
centimetri ciascuno, a coppie di due, al fine di dotare il predetto appartamento dell'impianto
interno di condizionamento.
Tali bocchette di aereazione venivano collocate in numero di dieci sulla facciata interna ed
esterna con perforazione delle lastre di marmo di travertino.
Il condominio diffidava il proprietario, chiedendo la rimozione dei fori circolari di areazione e il
ripristino dell'originario stato delle facciate condominiali, asserendo non soltanto la contrarietà
dell'intervento a quanto previsto dall'art. 11 del regolamento condominiale di natura
contrattuale, che espressamente vietava ai singoli proprietari qualsiasi opera esterna atta a
modificare l'architettura, l'estetica e la simmetria del fabbricato, ma paventando anche la
sussistenza della lesione del decoro architettonico dello stabile dovuta alla posa sulle facciate
comuni di coppie di fori con griglie bianche visibili dall'esterno che alteravano le linee
armoniche dell'edificio.
La domanda veniva accolta dal Tribunale di Milano, sezione XIII civile, estensore Giudice
Giacomo Rota (Sentenza n. 13202/2015 pubblicata il 24/11/2015) con riferimento ai fori
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praticati dalla convenuta L'accoglimento della domanda di ripristino dello status quo ante e
della conseguente reintegra in forma specifica a carico della convenuta, veniva considerata
satisfattiva del diritto leso, con il rigetto della ulteriore domanda di condanna della convenuta
al risarcimento del danno patrimoniale.
(Luca Bridi, Il Sole 24 ORE - Quotidiano del Condominio, 12 gennaio 2016)
 Professione
 Professioni, debutta il passaporto Ue
Cadono i confini per infermieri, farmacisti, fisioterapisti, guide alpine e agenti immobiliari. A
queste professioni spetterà, infatti, il compito di verificare sul campo cosa comporta avere la
tessera professionale europea che entra in vigore dal 18 gennaio.
L’idea che sta alla base dell’European professional card (Epc) è quella di semplificare l’esercizio
della professione all’interno della Ue.
La tessera professionale europea è stata il piatto forte della direttiva 2013/55/Ue che modifica
la 2005/36 sul riconoscimento delle qualifiche professionali e il regolamento n. 1024/2012 sulla
cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno.
La tessera funziona come un patentino e deve essere richiesta dall’interessato che intende
esercitare la stessa professione in un altro Stato membro.
L’iter procedurale è spostato nello Stato di origine con vantaggi in termini di tagli di costi e di
rapidità nell’emissione.
Le regole sono comuni in tutti gli Stati membri, grazie al regolamento di esecuzione 2015/983
sulla procedura di rilascio della tessera professionale europea e sull’applicazione del
meccanismo di allerta ai sensi della direttiva 2005/36/CE adottato il 24 giugno 2015 dalla
Commissione Ue. È lo stesso regolamento a individuare i documenti che le autorità nazionali
possono richiedere per il rilascio della tessera.
Centrale, nel sistema delle tessere professionali, il meccanismo di informazione dei punti di
contatto istituito con regolamento n. 1024/2012. Entro il 18 gennaio gli Stati membri dovranno
inserire nel sistema di Informazione del mercato interno (Imi) almeno un’autorità competente
per ciascuna delle professioni.
Lo Stato di origine può imporre il pagamento di diritti per il trattamento delle domande di
tessera professionale europea fissando un termine ragionevole per il pagamento.
La prima volta che si richiede la tessera è necessario creare un proprio account e presentare la
domanda corredata della scansione elettronica dei documenti richiesti; in questo modo viene
aperto un fascicolo che resterà valido, ciò significa che per richieste successive - l’Epc viene
rilasciata per ogni singolo Paese - non sarà necessario rifare ex novo l’intera procedura.
È possibile chiedere una tessera temporanea, che avrà una validità di 18 mesi, oppure una
tessera definitiva in caso di trasferimento in uno Stato estero.
Una volta completata la procedura di registrazione, le autorità competenti hanno una
settimana di tempo per comunicare eventuali mancanze e tre settimane per completare l'intero
controllo del dossier; il tempo sale fino a un massimo di tre mesi per chi intende trasferirsi in
pianta stabile nel Paese estero.
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Superati questi termini l’Epc viene comunque concessa a meno che non siano emerse cause
ostative.
Potrebbero essere richieste delle “misure compensative” se le autorità dello Stato membro
ospitante dovessero constatare che l’istruzione e l'esperienza professionale possedute non
corrispondono ai livelli previsti nel paese, in questo caso si dovrà scegliere tra una prova
attitudinale e un tirocinio di adattamento che può durare fino a tre anni.
L’eventuale rigetto della domanda deve essere motivato e contro questo atto è possibile
presentare ricorso.
Il Regolamento prevede che i terzi esclusi dal circuito Imi ma interessati a verificare l’effettivo
possesso dell’Epc possano farlo attraverso un sito ad hoc.
È possibile che il Paese in cui si intende svolgere la professione, dopo aver rilasciato l’Epc ma
prima di consentire al professionista di esercitare la propria attività, richieda una verifica sulla
conoscenza della lingua o l’iscrizione a un organismo professionale.
(Marina Castellaneta, Federica Micardi, Il Sole24 ORE – Norme & Tributi, 9 gennaio
2016)

L’amministratore può fare l’agente
È l’amministratore di condominio la sola attività compatibile, secondo il parere del ministero
dello Sviluppo economico (protocollo Prot. 2447 del 12 gennaio 2015), con quella dell’attività
di mediazione immobiliare, purché l’attività di amministratore non sia svolta con
organizzazione di mezzi tale da configurare attività di impresa.
Le ragioni della incompatibilità erano già state espresse in precedente nota Prot.n.0154593 del
24 settembre 2013 dello stesso Sviluppo economico, che aveva allora totalmente escluso la
possibilità di svolgere l’attività per l’agente immobiliare, vietata dall’articolo 5, comma 3,
lettera b) della legge 39/1989, come modificato dall’articolo 18 della legge 57/2001, se svolta
«con organizzazione anche minima di mezzi (quali attrezzature informatiche, eventuale
personale, linee telefoniche dedicate, eccetera) al fine di trarne un utile e secondo criteri di
professionalità».
Attività che era invece consentita qualora fosse svolta saltuariamente o a titolo di passatempo.
In questo caso «è evidente – diceva il ministero - che rientra nell’ambito di un’attività che non
interessa l’ufficio del registro delle imprese perché non può definirsi, neppure in senso lato un
attività imprenditoriale».
La motivazione era che il contratto tra il condominio e l’amministratore non è di appalto di
servizi o d’opera intellettuale ma è inquadrato nello schema del mandato, con conseguenti
adempimento di obblighi contrattuali tali da escludere, per l’amministratore la configurazione
di una attività professionale.
Argomentazione analoga aveva svolto il Consiglio Nazionale Forense a ridosso della
promulgazione della legge 220/2013, dopo una titubanza espressa in una Faq apparsa e poi
scomparsa, nel quesito n. 225, del proprio Centro Studi in merito all’attività di amministratore
di condominio svolta da iscritti all’ordine degli avvocati: «l’attività di amministratore di
condominio si riduce, alla fine, all’esercizio di un mandato con rappresentanza conferito da
persone fisiche, in nome e per conto delle quali egli agisce e l’esecuzione di mandati,
consistenti nel compimento di attività giuridica per conto ed (eventualmente) in nome altrui è
esattamente uno dei possibili modi di svolgimento dell’attività professionale forense sicché la
circostanza che essa sia svolta con continuità non aggiunge né toglie nulla alla sua legittimità
di fondo quale espressione, appunto, di esercizio della professione. (...) La legge n. 220/2012
ha innovato la figura dell’amministratore perché se ne ha ampliato, sotto certi profili, poteri e
responsabilità, non ha trasformato l’esercizio della relativa attività in professione vera e
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propria, o quanto meno in professione regolamentata, come è confermato dal fatto che non è
stato istituito né un albo, né uno specifico registro degli amministratori di condominio, mentre
il fatto che essi debbano seguire corsi di aggiornamento (come impone ora l’articolo 71 bis
delle Disposizioni di attuazione del Codice civile) non sembra sufficiente a configurare
l’esistenza di una vera e propria professione».
Lo stesso Sviluppo economico ha integrato, in applicazione della legge 4/2014, nell’elenco delle
associazioni non organizzate in albi ed elenchi, atte a produrre l’attestato di qualificazione
professionale a tutela del consumatore, diverse associazione di amministratori condominiali,
per cui chi esercita l’attività in modo non saltuario può, se lo ritiene, in quanto l’iscrizione non
è obbligatoria, qualificare la propria attività con l’adesione alle varie associazioni ivi iscritte. In
ragione di come poi l’attività è esercitata, con o senza l’organizzazione di mezzi, in forma
individuale o societaria, determinerà se sia obbligatoria l’iscrizione al registro delle imprese.
(Glauco Bisso, Il Sole24 ORE – Norme & Tributi, 5 gennaio 2016)
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LEGGE E PRASSI

(G.U. 16 gennaio 2016 n. 12)

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 12 ottobre 2015
Definizione dei termini e delle modalità di attuazione degli interventi di adeguamento
strutturale e antisismico, in attuazione dell'art. 1, comma 160, della legge 13 luglio 2015, n.
107. (15A08992)
(G.U. 3 dicembre 2015, n 282)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 8 settembre 2015
Modalità di attuazione e procedure di verifica ai sensi dell'articolo 21, comma 6, del decretolegge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre
2014, n. 164, in materia di deduzione per l'acquisto, la costruzione o la ristrutturazione di
unità immobiliari da destinare alla locazione.
(G.U. 3 dicembre 2015, n 282)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un'area costituente ex tratto del Rio di
Bacoli, con sovrastante porzione di fabbricato sito in località San Miniato Basso nel comune di
San Miniato.
(G.U. 3 dicembre 2015, n 282)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un tratto di ex alveo del torrente Quisa nel
comune di Ponte San Pietro e nel Comune di Mozzo.
(G.U. 3 dicembre 2015, n 282)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un tratto di ex alveo del Fosso del Mugnaio
sito nel comune di Roma.
(G.U. 3 dicembre 2015, n 282)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 27 novembre 2015
Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.
(G.U. 4 dicembre 2015, n 283)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERA 6 agosto 2015
Relazione sull'attivita' svolta dall'Unita' Tecnica Finanza di Progetto nell'anno 2014. (Delibera n.
92/2015).
(G.U. 4 dicembre 2015, n 283)
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CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA
DELIBERA 24 novembre 2015
Regolamento per il procedimento disciplinare nei confronti dei componenti delle commissioni
tributarie regionali e provinciali. (Delibera n. 2980/2015).
(G.U. 4 dicembre 2015, n 283)
COMMISSIONE DI GARANZIA PER L'ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO NEI
SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI
DELIBERA 30 novembre 2015
Valutazione del "Protocollo di intesa per il Giubileo straordinario della Misericordia",
sottoscritto, in data 24 novembre 2015, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dalle
Associazioni datoriali AGENS, ANAV, ASSTRA, ASSAEREO, ASSAEROPORTI, ASSOCONTROL,
ASSOHANDLERS, UNINDUSTRIA e dalle Federazioni sindacali di FILT CGIL, FIT CISL e
UILTRASPORTI (pos. 2265/15). (Delibera n. 15/337).
(G.U. 5 dicembre 2015, n 284)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Dismissione definitiva, previa sclassifica dell'aliquota demaniale di ex opere difensive in
Tarvisio
(G.U. 12 dicembre 2015, n 289)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Dismissione definitiva, previa sclassifica di un immobile in Sedegliano
(G.U. 12 dicembre 2015, n 289)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Inserimento, nell'elenco allegato al decreto n. 14/2/5/2010 del 22 novembre 2010 di un
alloggio demaniale, in Brescia.
(G.U. 12 dicembre 2015, n 289)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Dismissione definitiva, previa sclassifica di un comprensorio demaniale in Venezia
(G.U. 12 dicembre 2015, n 289)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 11 dicembre 2015
Modifica del saggio di interesse legale
(G.U. 15 dicembre 2015, n 291)
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA' CULTURALI E DEL TURISMO
DECRETO 6 ottobre 2015
Concessione in uso a privati di beni immobili del demanio culturale dello Stato.
(G.U. 18 dicembre 2015, n 294)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Dismissione definitiva, previa sclassifica, di un comprensorio demaniale, in Cordenons
(G.U. 19 dicembre 2015, n 295)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Dismissione definitiva, previa sclassifica, di alloggi demaniali, in Spoleto
(G.U. 19 dicembre 2015, n 295)
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MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Dismissione definitiva, previa sclassifica, di un immobile demaniale, in Tolfa
(G.U. 19 dicembre 2015, n 295)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 9 settembre 2015
Disposizioni per il definitivo completamento dei programmi di riqualificazione urbana a valere
sui finanziamenti di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, al
decreto 21 dicembre 1994 e alla delibera Cipe 23 aprile 1997.
(G.U. 21 dicembre 2015, n 296)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 21 dicembre 2015
Terza individuazione degli immobili di proprieta' dello Stato in uso al Ministero della difesa e
non piu' utili alle finalita' istituzionali del medesimo, ai sensi e per le finalita' dell'art. 26 del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito, con modificazioni, dalla legge 11
novembre 2014, n. 164.
(G.U. 29 dicembre 2015, n 301)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 22 dicembre 2015
Approvazione della territorialita' del livello delle locazioni immobiliari.
(G.U. 29 dicembre 2015, n 301, S.S. n. 16)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di taluni immobili ubicati nel Comune di
Chioggia.
(G.U. 2 gennaio 2016, n. 1)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'ex alveo di un corso d'acqua in Cortona.
(G.U. 4 gennaio 2016, n. 2)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di aree demaniali in Feltre
(G.U. 4 gennaio 2016, n. 2)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un ex alveo demaniale in Luino (15A09642)
(G.U. 4 gennaio 2016, n. 2)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un tratto di ex alveo del torrente Rino in
Brembate
(G.U. 5 gennaio 2016, n. 3)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'ex alveo dello scolo Tripoli, nel comune di
Porto Tolle.
(G.U. 9 gennaio 2016, n. 6)
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MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 22 dicembre 2015
Revoca e aggiornamento delle schede tecniche del meccanismo di incentivazione dei certificati
bianchi.
(G.U. 11 gennaio 2016, n. 7)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Alessandria.
(G.U. 15 gennaio 2016, n. 11)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Lipari.
(G.U. 15 gennaio 2016, n. 11)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di taluni siti in Tarvisio.
(G.U. 15 gennaio 2016, n. 11)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Genazzano.
(G.U. 15 gennaio 2016, n. 11)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'immobile «Zona Alloggi 115° Deposito
Sussidiario», in Vizzini.
(G.U. 16 gennaio 2016, n. 12)
MINISTERO DELLA DIFESA
COMUNICATO
Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'immobile «Ex 2° Gruppo Rifornimenti Area
Sicilia», in Vizzini.
(G.U. 16 gennaio 2016, n. 12)
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GIURISPRUDENZA
 Vendita e locazione immobili
 Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 10 dicembre 2015 n. 24976
Compravendita con intermediario: all'acquirente la prova del versamento del prezzo
Nel contratto di compravendita quando tra l'acquirente e il venditore ci sia un intermediario
che riceve il denaro, da corrispondere al venditore a fronte di un inadempimento da parte
dell'acquirente, l'onere probatorio e cioè dimostrare che la somma versata all'intermediario sia
stata consegnata effettivamente al venditore ricade su chi acquista. E' quanto precisa la
Cassazione con la sentenza n. 24976/2015.
I fatti - Sul tavolo della Corte è finita una vicenda assai complessa che ha visto come
protagonisti due soggetti che avevano stipulato un contratto di compravendita di un
appezzamento di terreno. Tra i due era sorto un contenzioso in quanto il venditore aveva
convenuto l'acquirente chiedendo che venisse pronunciata la risoluzione del contratto sul
presupposto che l'acquirente fosse inadempiente nel pagamento del prezzo (45 milioni di
vecchie lire) che le parti avevano pattuito dovesse essere corrisposto entro dieci anni in rate
annuali. La Corte di appello aveva ritenuto che non era stata fornita la prova che i pagamenti
erano da imputare al prezzo dichiarato nell'atto, piuttosto ad altre quote di prezzo pattuite non
dichiarate in contratto e corrisposte a nero. La vicenda era già finita in Cassazione che aveva
espresso il principio di diritto secondo cui «Nel caso in cui il debitore deduca di nulla dovere per
avere già effettuato il pagamento, il creditore attore, che neghi l'imputabilità di tale pagamento
al debito dedotto in giudizio ha l'onere di provare l'esistenza di più debiti scaduti del
convenuto, cioè ha l'onere di provare che il pagamento sia imputabile a un debito diverso da
quello oggetto del giudizio».
La Corte di appello - La Corte di Appello di Firenze - quale giudice di rinvio - aveva dichiarato la
responsabilità del convenuto acquirente in quanto non era stato dimostrato che l'intermediario
avesse agito per conto della venditrice. Pertanto il pagamento del prezzo non era stato provato
con conseguente acclarato inadempimento del convenuto. Contro tale decisione l'acquirente ha
proposto ricorso. E sul punto la Cassazione ha chiarito come la parte risultata vittoriosa cioè il
venditore non potesse impugnare la sentenza solo su una circostanza difforme per un verso (e
cioè che l'intermediario effettivamente agisse per suo conto), ma sull'intera vicenda
(considerando cioè anche il segmento censurato in cassazione dall'acquirente relativo alla
mancanza di prova che i pagamenti fossero da imputare al prezzo dichiarato nell'atto di
vendita) alla parte venditrice favorevole.
Il principio di diritto - Di qui la Corte ha espresso il seguente principio di diritto: «Qualora la
sentenza di appello abbia posto a base della decisione un accertamento fattuale complesso,
composto da due distinti segmenti, il primo dei quali difforme dalla prospettazione della parte
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risultata vittoriosa, il secondo conforme alla sua subordinata prospettazione, essendo preclusa
per carenza di interesse la possibilità per la parte vittoriosa nel giudizio di appello, di
impugnare l'accertamento del primo segmento fattuale col ricorso per cassazione, la
cassazione della sentenza del giudice del gravame relativamente al secondo segmento fattuale
per vizio della motivazione – a seguito del ricorso proposto dalla parte soccombente –
comporta la possibilità per la parte già vittoriosa di riproporre per intero la sua versione dei
fatti al giudice di rinvio e la possibilità per quest'ultimo di riesaminare per intero e nel suo
complesso la vicenda fattuale».
(Giampaolo Piagnerelli, Il Sole24ORE – Guida al Diritto online, 10 dicembre 2015)
 Condominio
 Corte di Cassazione – Sentenza 7 gennaio 2016 n. 109
Il regolamento vieta bed & breakfast e affittacamere anche se tollerati in passato
Un appartamento non può essere adibito ad affittacamere, se il regolamento di condominio non
lo permette. Tale divieto vale anche se, in passato, l'alloggio è stato adibito a tale uso: il
pregresso utilizzo dell'immobile in maniera non conforme, non giustifica infatti nuove
violazioni.
Ad affermare il principio è una recente sentenza della seconda sezione civile della Corte di
Cassazione, la n. 109 del 7 gennaio 2016. Il caso preso in esame dai giudici è quello di
un'unità immobiliare ceduta ad uso affittacamere dalla società che, per conto dei proprietari,
ne gestisce l'utilizzo, pur in presenza di un regolamento condominiale contrario e della palese
opposizione da parte del condominio, parte in causa nella vertenza.
Il pronunciamento del 7 gennaio, peraltro, ricalca quello già espresso dalla Corte di Appello di
Roma, con la sentenza 1378/2011 e fa seguito a una sentenza di primo grado con cui il
Tribunale di Roma si era espresso per l'inammissibilità della domanda, visto che all'epoca la
società conduttrice dell'immobile aveva solo espresso all'assemblea l'intenzione (e non ancora
messo in atto, cosa poi avvenuta in seguito) di destinare l'alloggio all'attività di locazione ad
uso affittacamere.
Rispetto al pronunciamento della Corte d'Appello, nel fare ricorso in Cassazione la società di
gestione dell'immobile e i proprietari dello stesso avevano eccepito, innanzitutto, l'erronea
interpretazione del regolamento condominiale, risalente al lontano 1920, nonché la circostanza
per la quale altri inquilini dello stesso stabile avevano intrapreso già in passato attività
commerciali, imprenditoriali e professionali che, a norma del regolamento, sarebbero state loro
precluse.
Una doppia interpretazione che, tuttavia, è stata rigettata dalla Corte Suprema. La quale
specifica che, considerato il tenore del regolamento condominiale - che recita: «È vietato di
destinare gli appartamenti ad uso di qualsivoglia industria o di pubblici offici, ambulanze,
sanatori, gabinetti per la cura di malattie infettive o contagiose, agenzie di pegni, case di
alloggio, come pure di concedere in affitto camere vuote od ammobiliate o di farne, comunque
un uso contrario al decoro, alla tranquillità, alla decenza ovvero al buon nome del fabbricato» la condotta contraria ad esso, tenuta nel passato da altri condomini, non può influenzare la
interpretazione e la vigenza dello stesso. Né giustificare nuove violazioni.
Del tutto infondato viene, inoltre, ritenuto il richiamo “storicizzante” del regolamento «che
vorrebbe ricondurre il divieto contenuto del testo negoziale contrattuale a quelle attività che
inciderebbero solo sul decoro, sulla tranquillità e sul buon nome del fabbricato, basato
sull'osservazione che le rigide prescrizioni stilate del 1920 non potrebbero valere nell'epoca
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attuale».
La Corte di Cassazione ha ricordato, infine, nella sentenza che la definizione di “affittacamere”,
contenuta nel regolamento regionale 16/2008 della Regione Lazio e basata sul principio della
perdurante coabitazione dei proprietari con gli ospiti, non fa venire meno l'ontologica
sovrapposizione fra l'attività di affittacamere e, in contrapposto all'uso abitativo, quella
alberghiera o di bed and breakfast. Tale attività non può dunque mai essere esercitata in un
condominio se il regolamento lo vieta.
(Matteo Rezzonico e Maria Chiara Voci, Il Sole24 ORE – Quotidiano del Condominio,
14 gennaio 2016)
 Edilizia/Immobili
 Corte d'Appello di Milano - Sezione 4 - Sentenza 4 giugno 2015 n. 2381
L'umidità tra i «gravi vizi» dell’immobile di cui risponde l'appaltatore
Ai fini della responsabilità per vizi dell'immobile (ex articolo 1669 codice civile), costituiscono
gravi difetti «non solo quelli incidenti sulla struttura e sulla funzionalità dell'opera, ma anche
quelli costruttivi che menomano apprezzabilmente il normale godimento della cosa e
impediscono che questa fornisca l'utilità cui è destinata». Lo ha stabilito la Corte d'Appello di
Milano, sentenza del 4 giugno 2015 n. 2381, condannando i soci della ormai estinta società
costruttrice al pagamento di 37mila euro perché, come accertato dalla Ctu, la «protezione delle
parti strutturali portanti» dell'abitazione non era stata realizzata «in modo corretto», per cui:
«la ventilazione del vespaio e il numero delle condotte era insufficiente per una corretta
ventilazione; lo stato dei luoghi era in lento progressivo peggioramento».
Per gli appellanti invece i difetti non erano tali da pregiudicare la funzionalità dell'immobile, e
pertanto «non potevano rientrare nel dettato dell'articolo 1669 c.c.». Gli appellati, dal canto
loro, «rimarcavano la circostanza che i locali erano insalubri perché altamente umidi e che tale
fatto menomava la loro abitabilità». Secondo la Corte territoriali, come visto, configura «grave
difetto» anche la realizzazione «con materiali inidonei e/o non a regola d'arte e anche se
incidenti su elementi secondari e accessori dell'opera - quali, impermeabilizzazione,
rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti ecc. - purché tali da compromettere la
funzionalità e l'abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e
cioè mediante opere di riparazione, rinnovazione e sostituzione». Così nel caso affrontato si
riscontravano «diffuse formazioni di muffe (su pareti e su pavimento), distacchi di intonaci
esterni, distacco di stabilitura, tanto da incidere in modo considerevole sulla funzionalità
dell'opera». A tutto ciò gli appellanti avevano risposto con «generiche contestazioni» senza
dunque fornire una «prova positiva» dell'assenza di responsabilità.
E, riguardo l'eccezione di prescrizione e decadenza, la decisione chiarisce che la legge nulla
non dice in merito alla forma della denuncia, mentre la giurisprudenza afferma che «non è
necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell'opera, che
consenta di individuare ogni anomalia di questa, essendo sufficiente ad impedire la decadenza
del committente (o dei suoi aventi causa) dalla garanzia cui è tenuto l'appaltatore una
indicazione sia pure sintetica, ben suscettibile di conservare l'azione di garanzia anche per quei
difetti che sia possibile accertare nella loro reale sussistenza solo in un momento successivo».
Pertanto, «è sufficiente anche solo una comunicazione orale dei difetti». E così era accaduto,
circostanza provata dalla deposizione dell'amministratore e dalla ripetuta presenza di uno dei
costruttori che successivamente aveva anche realizzato degli interventi che tuttavia non erano
stati risolutivi. E, continua la sentenza, nel caso in cui l'appaltatore intervenga a riparare
quanto realizzato, «si rende superflua la denuncia dei vizi stessi e si ha un nuovo rapporto
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obbligatorio, soggetto alla prescrizione ordinaria decennale».
(Francesco Machina Grifeo, Il Sole24ORE – Guida al Diritto online, 14 dicembre 2015)
 Consiglio di Stato - Sezione 6 - Sentenza 4 gennaio 2016, n. 10
Muri divisori: se costituiscono opere di scarso impatto è sufficiente la Scia
La realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della Dia
(Scia) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanisticoedilizia, occorrendo, invece, il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
La sentenza del Consiglio di Stato, sezione 6, sentenza 4 gennaio 2016, n. 10 ha confermato
l’orientamento prevalente secondo cui più che all'astratto genus o tipologia di intervento
edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi)
occorrere far riferimento all'impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul
territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova
costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi)
quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e
edilizie (Consiglio di Stato, sezione 6, sentenza 4 luglio 2014, n. 3408).
Sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell'innovazione con la preesistenza
territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l'opus
quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e
altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui
all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al
nuovo articolo 19, della legge 241/1990.
(Francesco Machina Grifeo, Il Sole24ORE – Guida al Diritto online, 14 dicembre 2015)
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PROFESSIONE
E FISCO


Il valore automatico nelle compravendite immobiliari
Consulente Immobiliare, Edizione del 15 gennaio 2016, n. 990 pag. 84-89
Ai fini dell'imposta di registro, la base imponibile relativa ai contratti a titolo oneroso traslativi
o costitutivi di diritti reali è data dal valore del bene o del diritto alla data dell'atto, ovvero, per
gli atti sottoposti a condizione sospensiva, ad approvazione o a omologazione, alla data in cui
si producono i relativi effetti traslativi o costitutivi (art. 43 del D.P.R. 131/1986). Tuttavia, se,
in linea generale, l'art. 51 del D.P.R. 131/1986 dispone che il valore dei beni o dei diritti, base
imponibile ai fini dell'imposta di registro e conseguentemente dell'imposta ipotecaria e
catastale, è costituito da quello dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o se superiore,
dal corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto, il comma 2 dello stesso art. 51
stabilisce che, per le transazioni che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari,
il valore è rappresentato dal "valore venale in comune commercio". Ebbene, laddove, con
riferimento a tali operazioni, l'Ufficio riscontri che il valore venale dei beni o dei diritti sia
superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, lo stesso, in linea di principio, provvede
alla rettifica della maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni (art. 52, comma 1, del
D.P.R. 131/1986).
Valutazione automatica
Per le transazioni immobiliari, il potere di rettifica dell’Amministrazione finanziaria è stato a
lungo inibito, in virtù della possibilità, per il contribuente, di avvalersi, nella maggior parte dei
casi, del criterio della valutazione automatica o catastale. Fino all’emanazione del D.L.
223/2006, l’accertamento in base al “valore venale” era infatti possibile esclusivamente in
talune specifiche ipotesi (per esempio, cessioni di aziende).
Più esattamente la rettificabilità della base imponibile delle cessioni di beni immobili soggette
all'imposta di registro proporzionale risultava preclusa qualora la stessa fosse stata indicata in
misura non inferiore al valore catastale dell’immobile, ottenuto moltiplicando la rendita
catastale per specifici coefficienti, salvo che tuttavia l’Ufficio fosse venuto a conoscenza
dell’occultamento di corrispettivi (art. 52, commi 4 e 5, del D.P.R. 131/1986).
Il valore automatico di un immobile, in particolare, viene determinato moltiplicando la rendita
catastale per uno dei moltiplicatori indicati nel D.M. 5646 del 14 dicembre 1991, oggetto di
recente ulteriore incremento, con esclusione della “prima casa”, a opera del D.L. 168/2014.
Con il D.L. 223/2006, è stata però esclusa dall’applicabilità del citato meccanismo di
“valutazione automatica” gran parte delle transazioni immobiliari, ripristinando di fatto in
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quest’ambito l’accertamento di valore quale regola generale in tema di attività di controllo
dell’Amministrazione finanziaria.
Il “prezzo valore”
Il comma 23-ter dell’art. 35 del D.L. 223/2006, aggiungendo il comma 5-bis all’art. 52 del
D.P.R. 131/1986, ha successivamente previsto che le sopra descritte disposizioni dei commi 4
e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da
quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge 266 del 23 dicembre 2005 e successive
modificazioni.
Ciò significa in sostanza che il meccanismo della “valutazione automatica” continua ad
applicarsi, oltre che, come precisato nella circ. n. 6/E/2007, per i trasferimenti a titolo gratuito
o mortis causa, in quanto disciplinati con una normativa autonoma, esclusivamente per le
cessioni a titolo oneroso di immobili a uso abitativo e relative pertinenze che vedono come
parti contraenti soggetti privati, intesi come persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di
attività commerciali, artistiche o professionali, e sempre che l’acquirente richieda al notaio
l’individuazione della base imponibile con riferimento al valore catastale (sistema “prezzo
valore”) e che lo stesso si sia conformato all’obbligo dell’indicazione del corrispettivo nell’atto
(art. 1, comma 497, della legge 266 del 23 dicembre 2005).
La legge 296 del 27 dicembre 2006 ha poi esteso la categoria di operazioni per le quali si
applica il descritto sistema del “prezzo valore”, individuando nel valore catastale la base
imponibile di tutte le transazioni effettuate nei confronti di soggetti privati, prescindendo quindi
dalla natura del cedente.
Pertanto la base imponibile per l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale
relativa ai trasferimenti di immobili abitativi è costituita dal valore catastale, a prescindere dal
corrispettivo pattuito, sempre che tuttavia:
1. la cessione sia posta in essere nei confronti di persone fisiche che non agiscono
nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali;
2. la cessione abbia a oggetto un immobile a uso abitativo e relative pertinenze;
3. la parte acquirente renda al notaio, all’atto della cessione, apposita richiesta circa la
possibilità di determinazione della base imponibile ai fini delle imposte di registro,
ipotecarie e catastali con criterio tabellare dettato dall’art. 52, commi 4 e 5, del TUR;
4. le parti indichino nell’atto di cessione il corrispettivo pattuito.
5.
In presenza di tutte le elencate condizioni, l’ufficio non può effettuare contestazioni di alcun
tipo circa la base imponibile relativa all’operazione, salva l’ipotesi in cui venga occultato il
corrispettivo.
Il sistema del “prezzo valore” costituisce dunque uno strumento attraverso il quale viene
quantificata in via forfetaria, secondo i criteri della valutazione automatica, la base imponibile
di alcune operazioni economiche, a prescindere dal corrispettivo concordato in atto.
La regola del “prezzo valore” prevede inoltre, come requisito oggettivo per la sua applicazione,
l’effettuazione di operazioni di cessione aventi a oggetto beni immobili a uso abitativo e
relative pertinenze, intese tuttavia in senso generico, senza cioè che vi sia un’ulteriore
qualificazione in ordine al tipo di cessione.
Pertanto la stessa si applica non solo alle tipiche operazioni di trasferimento della proprietà,
ma anche (ris. n. 141/E/2007) agli acquisti a titolo derivativo-costitutivo, agli atti traslativi
della nuda proprietà, agli atti di rinuncia e a ogni altro negozio assimilato ai trasferimenti,
come, per esempio, le divisioni con conguaglio, naturalmente aventi a oggetto immobili
abitativi, nelle quali vengono assegnati beni per un valore complessivo eccedente la quota di
diritto (con riferimento naturalmente solo alla predetta eccedenza).
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29
L’art. 34, comma 1, del D.P.R. 131/1986 prevede infatti che, ai fini dell’imposta di registro, «la
divisione, con la quale a un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo
eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla
parte eccedente».
Va evidenziato infine che il descritto sistema forfettario di determinazione della base
imponibile, utilizzabile anche in caso di permuta (ris. n. 145/E/2009), è applicabile anche con
riferimento agli atti stipulati in data successiva al 1° gennaio 2014, non potendosi ricondurre la
relativa disciplina tra le previsioni agevolative in materia di imposta di registro (circ. n.
2/E/2014).
Come noto, infatti, con l’art. 10, comma 4, del D.Lgs. 23/2011, sono state soppresse tutte le
esenzioni e le agevolazioni tributarie indicate dall’art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R.
131/1986.
Pertinenze
Il meccanismo del “prezzo valore” si applica con riferimento a una molteplicità di immobili,
sempre che (ris. n. 149/E/2008):
1. sia individuabile in modo certo il rapporto di accessorietà del bene pertinenziale rispetto
al bene principale, costituente quest’ultimo necessariamente un immobile a uso
abitativo;
2. gli immobili pertinenziali siano suscettibili di valutazione economica e quindi
posseggano una propria rendita catastale;
3. l’esistenza del vincolo pertinenziale sia esplicitata nell’atto (circ. n. 18/E/2013).
Al riguardo la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5543/2013, ha infatti affermato che «in
tema di imposta di registro, il D.P.R. 131/1986, art. 52, laddove stabilisce un limite al potere di
accertamento dell'Ufficio del registro in ordine agli atti concernenti immobili, ha come
presupposti applicativi il fatto che il cespite oggetto dell’atto da registrare sia dotato di rendita
catastale e il fatto che il contribuente abbia indicato il valore attribuito al bene così da
permettere il rapporto tra valore automatico e catastale; ne consegue che detta norma non
può trovare applicazione quando, avendo a oggetto l’atto da registrare più immobili, ad alcuni
di essi non sia stata attribuita la rendita catastale e nell’atto il contribuente abbia dichiarato un
valore complessivo per tutti i beni».
Pertanto il meccanismo del “prezzo valore” si applica anche alle cessioni di terreni agricoli
costituenti pertinenze del fabbricato abitativo (ris. n. 149/E/2008).
Lo stesso non può utilizzarsi invece per quanto concerne i terreni agricoli non costituenti
pertinenza di fabbricato abitativo (ris. n. 141/E/2007), in quanto il suo utilizzo è
espressamente limitato alle cessioni aventi a oggetto immobili a uso abitativo e relative
pertinenze (comma 497 dell’art. 1 della legge 266/2005).
Adempimenti
Pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di cui all’art. 1, comma 497, del D.P.R.
131/1986, non è possibile usufruire della regola del “prezzo valore” nel caso in cui il
trasferimento immobiliare non sia perfezionato attraverso l’intervento del notaio (ris. n.
121/E/2007).
Il comma 497 dell’art. 1 della legge 266/2005 prevede infatti che, per usufruire
dell’agevolazione in argomento, l’acquirente, all’atto della cessione, ha l’onere di richiedere in
via esclusiva al notaio l’applicazione del “prezzo valore” come regola di determinazione della
base imponibile relativa all’operazione.
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Tale richiesta deve essere formulata nell’atto di acquisto, non potendo essere contenuta in un
atto integrativo successivo al negozio traslativo (ris. n. 145/E/2009).
Conseguentemente, laddove non vi sia l’intervento del notaio, come, per esempio, nel caso di
scritture private non autenticate, la base imponibile dell’operazione sarà costituita dal valore
del bene o del diritto oggetto della transazione e la stessa potrà conseguentemente essere
sottoposta ad accertamento di valore secondo le regole ordinarie.
La preclusione dell’azione di accertamento inoltre viene in ogni caso meno nell’ipotesi in cui,
all’atto della cessione dell’immobile, non sia resa una dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà contenente l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del mediatore di cui
eventualmente ci si è avvalsi e, nel caso in cui si verifichi quest’ultima ipotesi (utilizzo di un
mediatore), delle spese, laddove sostenute, per le predette attività di mediazione, con le
analitiche modalità di pagamento e una serie di dati e informazioni concernenti l’agente
immobiliare coinvolto nell’operazione.
Al riguardo occorre anche rilevare che, con riferimento all’ipotesi di versamenti da effettuarsi
successivamente alla stipula dell’atto, l’obbligo di indicazione analitica delle modalità di
pagamento potrà essere assolto riportando nell’atto gli elementi utili a identificare gli importi, i
tempi e le modalità di versamento relativi alle somme ancora dovute (ris. n. 53/E/2014).
Va evidenziato infine che, nel caso in cui venga indicato nell’atto un valore catastale inferiore
rispetto a quello derivante dall’applicazione del criterio della valutazione automatica, non si ha
l’inapplicabilità del sistema del “prezzo valore”, per cui la maggiore imposta derivante dalla
base imponibile verrà comunque rideterminata secondo i criteri previsti dai commi 4 e 5
dell’art. 52 del TUR e non sulla base del valore venale in comune commercio (ris. n.
176/E/2009).
Altre operazioni che rientrano nel sistema valutativo automatico
Dal momento che le operazioni rientranti tra quelle cui si applica il meccanismo del “prezzo
valore” sono le sole per le quali al momento è possibile ancora utilizzare il meccanismo della
valutazione automatica, la loro individuazione diventa determinante ai fini della definizione del
campo di applicazione dell’accertamento di valore nell’ambito delle compravendite immobiliari.
TABELLA 1 – OPERAZIONI CHE NON RIENTRANO NEL SISTEMA VALUTATIVO
AUTOMATICO
1) Cessioni di immobili in cui la parte acquirente sia una persona fisica che agisce nell’esercizio
di attività commerciali, artistiche o professionali
2) Cessioni di immobili in cui la parte acquirente non sia persona fisica
3) Cessioni di terreni
4) Cessioni di fabbricati non abitativi (uffici, negozi, opifici ecc.)
5) Cessioni di pertinenze relative a fabbricati non abitativi
6) Cessioni di immobili che avvengono nell’ambito di una cessione di azienda
7) Conferimenti di immobili in società
Secondo l’Agenzia delle entrate, per le transazioni immobiliari per le quali il concetto di valore
di cui all’art. 43 del D.P.R. 131/1986 non costituisce regola generale per la determinazione
della base imponibile, non è possibile, pur in presenza del requisito soggettivo previsto dal
summenzionato comma 497 dell’art. 1 della legge 266/2005, utilizzare il sistema agevolativo
del “prezzo valore” (ris. n. 102/E/2007).
Ciò in virtù del fatto che l’agevolazione in parola è applicabile in deroga alla disciplina di cui
all’art. 43 del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, escludendo
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dunque dalla stessa le operazioni per le quali la base imponibile non è costituita dal valore del
bene o del diritto così come individuato appunto dall’art. 43 del D.P.R 131/1986.
In virtù di tale considerazione, si riteneva non applicabile il sistema del “prezzo valore” alle
fattispecie per le quali sono previsti criteri di determinazione della base imponibile diversi da
quelli di cui all’art. 43 del D.P.R. 131/1986, individuate dagli artt. da 44 a 49 dello stesso
decreto presidenziale.
Pertanto tale sistema non era ritenuto utilizzabile per le operazioni di vendita di beni immobili
eseguite nell’ambito di aste pubbliche o di beni aggiudicati in seguito a pubblico incanto e per
quelle concernenti l’espropriazione per pubblica utilità e ogni altro atto della pubblica autorità
traslativo o costitutivo della proprietà di beni immobili e di diritti reali sugli stessi (art. 44), per
le quali la base imponibile è costituita rispettivamente dal prezzo di aggiudicazione e
dall’indennizzo (ris. n. 102/E/2007).
Tuttavia, con la circolare n. 2/E/2014, la stessa Agenzia delle entrate ha successivamente
chiarito che il descritto sistema di determinazione della base imponibile (“prezzo valore”) si
applica anche con riferimento ai trasferimenti di immobili a uso abitativo e relative pertinenze
acquisiti a seguito di espropriazione forzata o di pubblico incanto.
Ciò in virtù della sentenza n. 6 del 23 gennaio 2014 della Corte Costituzionale, con la quale è
stata dichiarata l’illegittimità della disposizione di cui all’art. 1, comma 497, della legge
266/2005 laddove non prevede la possibilità di utilizzare il sistema del “prezzo valore” in
relazione all’acquisto in virtù di tali procedure.
Gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale possono essere fatti valere anche con
riferimento ai rapporti sorti precedentemente alla data di pubblicazione della stessa (è
possibile richiedere il rimborso della maggiore imposta di registro pagata), sempre che tali
rapporti non siano esauriti a tale data, ossia non sia decorso il termine di prescrizione o
decadenza previsto per l’esercizio dei relativi diritti (ris. n. 95/E/2014).
L’opzione per l’applicazione del regime del “prezzo valore” può essere effettuata con apposita
dichiarazione da rendere nell’istanza di rimborso della maggiore imposta di registro versata,
nei termini previsti dall’articolo 77 del TUR, e ciò sebbene l’atto di trasferimento sia stato già
registrato.
Operazioni imponibili IVA
Il sistema del “prezzo-valore” si applica, come descritto, soltanto per le operazioni con imposta
di registro proporzionale (operazioni tra privati o esenti da IVA ex art. 10, comma 8-bis, del
D.P.R. 633/1972).
Per le operazioni imponibili IVA, non esistono invece criteri alternativi di determinazione della
base imponibile.
Quest’ultima dovrà pertanto essere determinata in base ai criteri generali, facendo riferimento
cioè all’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente dei beni o al prestatore dei
servizi in base alle condizioni contrattuali.
Va tuttavia evidenziato che, in relazione a tali operazioni, è prevista la responsabilità solidale
dell’acquirente, anche qualora quest’ultimo non agisca nell’esercizio di imprese, arti o
professioni, in caso di divergenza tra il corrispettivo indicato nell’atto e nella relativa fattura e
quello effettivo.
Più esattamente il comma 3-bis dell’art. 60-bis del D.P.R. 633/1972 prevede che, qualora, con
riferimento alle cessioni aventi ad oggetto un immobile, l’importo del corrispettivo indicato
nell’atto e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, il cessionario, anche se non
agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni, è responsabile in solido con il cedente per il
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pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato,
nonché della relativa sanzione.
Con il termine “immobili” – lo si ricorda – si fa riferimento ai beni immobili così come
identificati dal punto di vista catastale (cioè come unità immobiliari).
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CONDOMINIO


Amministratore: la durata dell'incarico dopo la riforma
Consulente Immobiliare, Edizione del 15 gennaio 2016, n. 990, pag. 56-59
La nuova versione dell'art. 1129 cod. civ., come risulta dopo la modifica apportata dalla
riforma della legge 220/2012, prevede una disciplina diversa rispetto al passato per quanto
riguarda la durata dell'incarico dell'amministratore, ma le attuali disposizioni sollevano dubbi
interpretativi che hanno finalmente trovato una prima risposta in una recente sentenza del
Tribunale di Milano.
La durata dell'incarico
L'art. 1129, che regola la nomina, la revoca e gli obblighi dell'amministratore, fra le
disposizioni codicistiche costituisce una di quelle maggiormente modificate dalla legge di
riforma 220/2012.
Per quanto riguarda la nomina e la revoca dell'amministratore, nella sua attuale versione l'art.
1129 stabilisce (comma 10) che l'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende
rinnovato per eguale durata; e che l'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera
in ordine alla nomina del nuovo amministratore.
Nella sua precedente versione l'art. 1129 stabiliva, invece, che la durata dell'incarico
dell’amministratore era di un anno e che poteva essere revocato in ogni tempo dall’assemblea.
La differenza fra le due disposizioni è evidente: mentre in precedenza si faceva espressa
menzione a un incarico annuale adesso si fa riferimento a un incarico che ha la durata di un
anno, ma che si intende rinnovato per uguale durata.
Però risulta altrettanto evidente anche l'ambiguità della nuova formulazione: la nuova durata
dell'incarico fissata in un anno (come era peraltro previsto pure in precedenza), ma che adesso
“si intende rinnovato per uguale durata”, sembrerebbe indicare in realtà una durata di norma
biennale dell'incarico tranne che in caso di revoca deliberata da parte dell'assemblea che può
essere comunque approvata in ogni tempo, ai sensi del successivo comma 11 dell'art. 1129.
Di fatto la nuova disposizione dimostra di cercare di recepire una istanza formulata da tempo
riguardo all'opportunità di mantenere l'incarico all'amministratore – salva sempre la possibilità
di revocarlo, qualora l'assemblea ne ravvisi la necessità – consolidato per un periodo superiore
ad un solo anno, anche in considerazione del fatto che, se, alla scadenza del primo anno di
incarico non si riusciva a costituire l'assemblea oppure a raggiungere la maggioranza prevista
per la nomina dell'amministratore (per la quale il vecchio testo dell'art. 1136, comma 4,
richiedeva sempre la maggioranza stabilita dal comma 2 dello stesso articolo costituita da un
numero di voti pari alla maggioranza degli intervenuti e almeno alla metà del valore
dell'edificio), l'amministratore col mandato scaduto rimaneva in situazione di “prorogatio”, con
poteri quindi limitati alla sola ordinaria amministrazione, fino al momento dell'approvazione di
una nuova delibera che confermasse finalmente l'incarico oppure nominasse un nuovo
amministratore in sostituzione di quello precedente.
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Ma l'ambigua formulazione, peraltro tipica della riforma, della nuova disciplina ha fatto sorgere
il dubbio che essa, se vuole differire davvero dalla previsione precedente, possa prevedere una
delle seguenti situazioni:
-che l'incarico di regola duri un anno soltanto e, alla scadenza dell'anno, l'amministratore
debba essere nominato nuovamente;
-che l'incarico duri un anno con rinnovo automatico per un ulteriore secondo anno, perché l'art.
1129, comma 10, afferma adesso che l'incarico dell'amministratore «ha durata di un anno e si
intende rinnovato per uguale durata»;
-che l'incarico duri un anno, ma che, per effetto della previsione del rinnovo automatico per
una eguale durata annuale, possa protrarsi - anche in assenza di una delibera di conferma –
addirittura da un anno all'altro, fino a una eventuale revoca dell'incarico dell'amministratore
approvata dall'assemblea.
Sul punto va adesso registrata una prima decisione giurisprudenziale, secondo cui la durata in
carica dell'amministratore è di due anni, salva sempre la possibilità che l'assemblea ne deliberi,
prima della scadenza del secondo anno, la revoca (Trib. Milano, ord. 2-7 ottobre 2015).
La decisione milanese, che al momento costituisce l'unica pronunzia emessa finora in
proposito, ha avuto origine da un ricorso per la revoca dell'amministratore proposta da un
condomino sulla base, tra l'altro, del fatto che al termine del primo anno di gestione non aveva
inserito all'ordine del giorno dell'assemblea il punto relativo alla nomina dell'amministratore.
Sul punto il Tribunale ha rigettato l'istanza, rilevando che l'omesso inserimento all'ordine del
giorno dell'assemblea della nomina dell'amministratore non comporta alcuna irregolarità, ma è
conforme alla nuova disciplina sul condominio introdotta dalla legge 220/2012, la quale
prevede in sostanza la durata in carica dell'amministratore per un anno tacitamente
prorogabile per un altro anno, salvo delibera di revoca assunta dall'assemblea medesima. Dalla
decisione del Tribunale milanese consegue che quindi la nomina dell'amministratore deve
essere inserita all'ordine del giorno alla scadenza non del primo anno, ma solo del secondo
anno e così in concreto la durata dell'incarico di norma risulta, nel suo complesso, biennale. Ma
va sempre rammentato che permane in ogni caso il potere dell'assemblea di revocare
l'amministratore prima del termine annuale o biennale del suo incarico, anche in base
all'attuale disciplina.
In sostanza la durata biennale, che non è inderogabile, dell'incarico dell'amministratore deve
essere intesa come una semplificazione per i condomini nella gestione condominiale e una
facilitazione per l'attività dell'amministratore, il quale – in considerazione degli attuali
molteplici e complessi adempimenti previsti dalla normativa condominiale post-riforma – di
norma si trova nella situazione di eseguire tali adempimenti con l'aspettativa di usufruire di
tale attività preparatoria per un periodo di incarico superiore al solo anno iniziale.
La conferma dell'incarico
Giunti al termine del suo periodo di gestione, l'amministratore può essere confermato oppure
può essere revocato dall'assemblea.
Per la nomina o per la revoca dell'amministratore l'art. 1136, comma 4, richiede una
maggioranza specifica (stabilisce che le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca
dell'amministratore … devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal
secondo comma del presente articolo, il quale fa riferimento alle deliberazioni approvate con
un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore
dell'edificio). Nulla si dice invece per quanto riguarda la maggioranza necessaria per la
conferma dell'amministratore.
Per questo motivo in passato erano state emesse alcune decisioni di merito - in totale
opposizione a un principio giurisprudenziale che era sempre stato rispettato fino a quel
momento - secondo cui, per la riconferma dell'amministratore condominiale, non è necessaria
FIAIP News24, numero 28 – Gennaio 2016
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la stessa maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 4, per la nomina dell'amministratore,
trovando invece applicazione la maggioranza semplice disciplinata dagli (allora) art. 1136,
commi 2 e 3.
Le motivazioni delle due sentenze (Trib. Roma, sent. n. 10701 del 15 maggio 2009 e Trib.
Bologna 17 settembre 2009) sono quasi identiche e si basano sulla considerazione
fondamentale che la delibera che ha per oggetto la nomina dell'amministratore e la delibera
che ha invece per oggetto la riconferma dell'amministratore sono sottoposte a disposizioni
normative diverse (sempre con riferimento alla disciplina antecedente alla riforma): l'art.
1135, n. 1, sulle competenze dell'assemblea per quanto riguarda la conferma
dell'amministratore e l'art. 1136, comma 4, con la sua maggioranza qualificata per quanto
riguarda la nomina dell'amministratore, che però non menziona anche la conferma.
Partendo dall'osservazione che la nomina (o la revoca) dell'amministratore sono
espressamente menzionate nell'art. 1136, comma 4, mentre la conferma dell'amministratore
figura solo nell'art. 1135, n. 1, il Tribunale di Roma ha tratto la conseguenza, per l'unica
ipotesi della conferma dell'amministratore in carica, della sufficienza (ovviamente solo in
seconda convocazione) della maggioranza ordinaria prevista dal comma 3 dell'art. 1136,
rilevando che la conferma dell'amministratore in carica è fattispecie ben diversa da quella della
nomina e della revoca, in quanto costituisce la rielezione dello stesso nella carica
precedentemente ricoperta. A sua volta il Tribunale di Bologna, con motivazione sintetica ed
essenziale come quella brevissima del Tribunale romano, ha pure ritenuto applicabile alla
conferma dell'amministratore il disposto combinato dell'art. 1135, n. 1 e dell'art. 1136, commi
2 e 3, rilevando che la distinzione fra il concetto di conferma e di nomina dell'amministratore
non è puramente nominalistica, dato che il primo presuppone una continuità nel rapporto
fiduciario che non si riscontra nel secondo, che comporta invece una novità.
Tuttavia, come si è detto, fino alla emanazione delle due sentenze ricordate la giurisprudenza sia di legittimità sia di merito – aveva applicato sempre il principio secondo cui anche per la
riconferma dell'amministratore condominiale è necessario che la delibera raggiunga la
maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, comma 4, cod. civ. (Cass., sent. n. 71 del 5
gennaio 1980; Trib. Pavia 30 novembre 1985; Trib. Monza 19 febbraio 1986; Trib. Pavia 23
maggio 1988; Trib. Milano 17 giugno 1991; Cass., sent. n. 4269 del 4 maggio 1994).
Di recente però si è aggiunta una nuova pronunzia a favore dell'orientamento più innovativo,
emessa oltretutto nel regime post-riforma, con cui è stato deciso che è legittima la delibera
con cui viene approvata la conferma dell'amministratore con una maggioranza di soli 421
millesimi, dal momento che la conferma dell'amministratore costituisce una fattispecie diversa
da quella disciplinata dal codice civile riguardo alla nomina e alla revoca, in quanto con la
conferma si consolida un rapporto fiduciario già instaurato (Trib. Palermo 29 gennaio 2015).
FIAIP News24, numero 28 – Gennaio 2016
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CASI PRATICI
 Professione
 MEDIATORE INCOMPATIBILE CON L'ATTIVITÀ D'IMPRESA
D. L'attività di intermediario immobiliare è compatibile con quella di amministratore in una
società di capitali oppure può esserne solo socio?
----R. L’esercizio dell’attività di mediazione è incompatibile con l’esercizio di attività imprenditoriali
e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate (articolo 5, legge n.
39/1989). L’attività di agente immobiliare deve pertanto ritenersi incompatibile con quella di
amministratore di altra azienda; non appare invece, di per sé, incompatibile con la qualità di
mero socio di Srl.
(Piero Gualtierotti, Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 9 novembre 2015).
 PER IL COMPENSO È RICHIESTO UN NESSO CAUSALE
D. Dovendo cambiare casa, mi sono rivolta a un'agenzia immobiliare. L'agente mi ha fatto
visitare un appartamento una sola volta. Successivamente, un amico si è proposto di farmi
visitare un appartamento che avrebbe voluto affittare: il caso ha voluto che fosse proprio
l'appartamento visitato con l'agenzia, cosa che ho fatto subito presente al proprietario, il quale
mi ha detto di non preoccuparmi, perché ci avrebbe pensato lui. La trattativa si è conclusa
privatamente, con la registrazione del contratto di locazione. L'agenzia mi ha inviato una Pec
(messaggio di posta elettronica certificata) invitandomi a pagare quanto dovuto. Pur avendo
concluso tutto privatamente, all'agenzia immobiliare spetta comunque, da parte mia, un
compenso, e a quanto dovrebbe corrispondere?
----R. Secondo l’articolo 1755 del Codice civile, il mediatore ha diritto alla provvigione se l’affare è
concluso “per effetto” del suo intervento. È necessario, pertanto, che vi sia un nesso causale
tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare. La Corte di cassazione ha recentemente
escluso il diritto al compenso nel caso in cui una prima fase delle trattative, avviate con
l'intervento di un mediatore, non abbia dato risultato positivo e le trattative siano poi riprese
tra le parti per effetto di iniziative nuove, assolutamente non ricollegabili alle precedenti e da
queste condizionate, tali da escludere la rilevanza dell'intervento dell'originario mediatore
(Cassazione, 22 gennaio 2015, n. 1120).Anche nel caso in esame, pare che le trattative
instaurate tra le parti – che poi hanno condotto alla stipulazione del contratto di locazione –
non siano direttamente ricollegabili all’intervento del mediatore; se così fosse, egli non avrà
diritto al compenso. Quanto al compenso, che però in questo caso non parrebbe dovuto, in
assenza di una specifica pattuizione, la misura della provvigione è determinata in base gli usi;
per i contratti di locazione, generalmente è pari a una mensilità del canone.
(Piero Gualtierotti, Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 28 dicembre 2015).
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37

Certificazione energetica
 IL CERTIFICATO ENERGETICO PRECEDE IL CONTRATTO
D. Devo stipulare un contratto di locazione di un appartamento fra privati. Non è ancora pronto
il certificato energetico. Chiedo se è possibile, visto che non è obbligatorio allegarlo, dichiarare
nel contratto stesso che è in via di stesura.
----R. Salvo esame della fattispecie in concreto, secondo un’interpretazione “letterale e rigorosa”
dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 192/2005 – cui è opportuno attenersi, per non
incorrere in sanzioni - la risposta deve essere negativa. E, infatti, ancorchè nel caso di singole
unità immobiliari non sia necessaria l’allegazione al contratto di locazione dell’Ape (Attestato di
prestazione energetica), resta fermo che, per il richiamato articolo 6, comma 3, del Dlgs
192/2005: «… nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari soggetti a
registrazione è inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore dichiarano di
aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla
attestazione della prestazione energetica degli edifici ….». Si tenga presente che l’articolo 6,
comma 3, prevede una sanzione, anche per l’omessa dichiarazione (e consegna dell’attestato).
(Matteo Rezzonico, Il Sole 24ORE – Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 11 gennaio
2016).

Agevolazioni
 IL NUOVO CAMINETTO CONSENTE IL BONUS MOBILI
D. Sono proprietario di una villetta singola e ho intenzione di installare un caminetto fruendo
del bonus per risparmio energetico (50%). Dopo l'installazione del caminetto potrò fruire anche
del bonus mobili nei limiti del 50% di 10.000 euro? Esiste una scadenza per poterne
beneficiare?
----R. L’installazione del caminetto in un una villetta fruisce della detrazione del 50% (articolo 16
bis del Tuir, Dpr 917/86, articolo 1, comma 47 della legge 190/2014, guida al 50% su
www.agenziaentrate.it), in quanto intervento idoneo a conseguire risparmio energetico. Infatti,
è possibile per il contribuente beneficiare dell’agevolazione del 50% per le ristrutturazioni
edilizie, relativamente alle opere finalizzate al risparmio energetico, tra cui rientra l’acquisto
del caminetto. Per fruire della detrazione è sufficiente pagare le fatture con bonifico bancario o
postale e in dichiarazione dei redditi inserire i dati catastali dell’immobile su cui si interviene.
Occorre anche tenere a disposizione la certificazione tecnica che indichi le capacità termiche (si
deve raggiungere un rendimento, misurato con metodo diretto, non inferiore al 70%; Dm 15
febbraio 1992). In genere, basta il certificato del produttore (vedi guida al 50% su
www.agenziaentrate.it). Nel caso in cui la normativa (regolamento edilizio comunale) non
preveda alcun titolo abilitativo per la realizzazione degli interventi (in alternativa alla Cila o
Dia), il contribuente, ai fini del 50% (guida al 50% su www.agenziaentrate.it) deve comunque
predisporre e conservare (senza inviarla all’agenzia delle Entrate, ma esibendola a richiesta
dell’amministrazione) la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, resa ai sensi dell’articolo
47 del Dpr 445/2000, in cui sia indicata la data di inizio dei lavori ed attestata la circostanza
che gli interventi rientrano tra quelli agevolabili, pure se i medesimi non necessitano di alcun
titolo abilitativo, ai sensi della normativa edilizia vigente. Come intervento interno ad
abitazione di manutenzione straordinaria, si applica anche il bonus mobili (detrazione del 50%
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sino a 10.000 euro). Si precisa che la legge di stabilità 2016 (n. 208/2015) proroga tutte le
detrazioni (edilizie e bonus mobili) in misura potenziata sino al 31 dicembre 2016. Pertanto, se
anche si fosse acquistato e installato il caminetto nel 2015, si può procedere all’acquisto
dell’arredo nel 2016. Ovviamente, in tal caso, la detrazione in 10 anni per il caminetto partirà
dalla dichiarazione dei redditi 2016, mentre quella relativa al bonus mobili dalla dichiarazione
dei redditi 2017.
(Marco Zandonà, Il Sole 24ORE – Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 11 gennaio
2016).
 SENZA ACCATASTAMENTO L'EDIFICIO NON È AGEVOLATO
D. Il caso riguarda l'acquisto di un box in corso di costruzione, accatastato in categoria F3,
come pertinenza all'abitazione principale. Si chiede se è possibile fruire della detrazione del
50% in sede di acquisto (costo di costruzione attestato dall'impresa di costruzione) e/o per le
spese che verranno sostenute a completamento del box dal proprietario a mezzo imprese
terze.
----R. Nel caso di specie, l’immobile (box in corso di costruzione) è classificato nella categoria
catastale denominata «F3 - unità in corso di costruzione», alla quale non viene associata
alcuna rendita catastale. In altri termini, il fabbricato in corso di costruzione viene iscritto in
catasto con la categoria F3, ma senza attribuzione di rendita in quanto l’immobile non si può
ancora ritenere un fabbricato «abitabile o servibile all’uso cui è destinato». Come tale il 36%50% (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 1, comma 47, della legge 190/2014; si
veda anche la guida al 50% su www.agenziaentrate.it) non è applicabile in quanto limitato agli
interventi eseguiti su fabbricati già ultimati e accatastati prima dell’inizio del recupero (vedi
guida al 36% su www.agenziaentrate.it). In sostanza, l’acquisto dell’edificio che poi sarà
accatastato come box, anche se reso pertinenziale ad abitazione, non può fruire della
detrazione del 50%. Viceversa, una volta accatastato come box (C6), la detrazione in sede di
acquisto si applica senza problemi (50% delle spese di realizzazione attestate dall’impresa
costruttrice) e tutti i lavori di sistemazione esterna possono essere definiti di manutenzione e
come tali rientrare tra quelli cui si applica la detrazione del 50%, anche se di fatto si tratta di
completamento dell’edificio. Le agevolazioni del 50%-65% sono state prorogate dalla legge di
stabilità 2016 (n. 208/2015).
(Marco Zandonà, Il Sole 24ORE – Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 11 gennaio
2016).

Condominio
 L’ACQUIRENTE E’ SOLIDALE CON IL VENDITORE
D. Ho rogitato per un appartamento di nuova costruzione il 23 luglio 2014 e vi sono
fisicamente entrato il primo novembre 2014. I proprietari degli appartamenti già abitati non
hanno mai pagato al costruttore le spese di metano, elettricità e acqua. L'amministratore ha
fatto il conteggio delle spese che si devono al costruttore, ma nel mio caso ha messo pure le
spese antecedenti al mio rogito. Lo può fare?
----R. Per poter rispondere in ordine ai rapporti tra costruttore/venditore e acquirente,
occorrerebbe l’esame del rogito, che potrebbe anche contenere clausole specifiche sulla
regolamentazione delle spese tra venditore e acquirente, nonché il regolamento di condominio.
Fermo restando che, in generale, le spese relative al consumo di energia elettrica, metano e
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acqua sono, salvo patto contrario, a carico del venditore, quantomeno fino alla rogitazione. In
ogni caso, se abbiamo ben compreso - relativamente ai rapporti con il condominio (e a
prescindere dai rapporti tra costruttore/venditore e acquirente) - è opportuno evidenziare che,
dal primo atto di vendita, l’edificio (prima completamente di proprietà del
costruttore/venditore) è diventato a tutti gli effetti un condominio, a norma degli articoli 1117
e seguenti del Codice civile, con conseguente applicabilità dell’articolo 63, commi 4 e 5, delle
disposizioni di attuazione del Codice civile. Quest’ultima disposizione stabilisce che «chi
subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei
contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente. Chi cede diritti su unità immobiliari
resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui
è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del
diritto». E, dunque, sotto questo profilo il condomino/acquirente è tenuto, in via solidale (ex
articolo 1292 del Codice civile), nei confronti del condominio (e non del costruttore/venditore),
al pagamento delle spese relative all’esercizio 2014 e all’esercizio 2013, salva eventuale rivalsa
verso il costruttore/venditore (si veda Tribunale di Milano, 14 settembre 2006, numero
10141).
(Matteo Rezzonico, Il Sole 24ORE – Quotidiano del Condominio, 2 gennaio 2016).
 TERMOREGOLAZIONE IN ATTESA DI «COMPROMESSI»
D. La termoregolazione, e conseguente contabilizzazione, crea enormi iniquità tra
appartamenti, iniquità amplificate dall'assenza di obbligo alla coibentazione (almeno di piloty e
sottotetto). Quali le strade perseguibili, posto che i condomini "avvantaggiati" si rifiutano di
coibentare e i condomini "svantaggiati" hanno subito una costrizione normativa con la
termoregolazione e, soprattutto, la contabilizzazione, che ha causato un enorme danno
economico, aggravato dalla spesa dei termoregolatori? Solo la Corte costituzionale oppure
anche il legislatore sta lavorando per risolvere questa anomalia?
----R. Nell'emanare il Dlgs n. 102/2014 - di attuazione alla Direttiva 2012/27/Ue, che stabilisce un
quadro di misure per la promozione e il miglioramento dell’efficienza energetica - nel quale per
la ripartizione della spesa del riscaldamento non è prevista l’applicazione di alcun coefficiente
correttivo per mitigare eventuali “squilibri”, probabilmente il legislatore non ha tenuto in
considerazione il variegato “patrimonio” edilizio nazionale che necessita, per gli edifici più
“datati”, di un profondo e radicale rinnovamento al fine di poter migliorare ed aumentare il
risparmio energetico. Infatti, per poter contenere i consumi energetici di un singolo
appartamento, inserito a sua volta in un edificio “energivoro” (ossia che determina una elevata
dispersione energetica), è opportuno eseguire delle opere volte a migliorare sia l’efficienza
energetica dell’edificio condominiale e sia, ovviamente, quella della singola unità immobiliare.
Al riguardo, prescindendo dagli interventi (come, ad esempio i doppi infissi) che devono essere
eseguiti in autonomia dal proprietario dell’appartamento, per quelli, invece, relativi al
miglioramento del «contenimento del consumo energetico» dell’edificio condominiale e, quindi,
delle parti comuni (ad esempio piloty e sottotetto) occorrono determinate maggioranze
assembleari. Infatti, si ricordi che l’articolo 1120, 2° comma, Codice civile, prevede che per il
“contenimento del consumo energetico” degli edifici - non fondato su diagnosi energetica o su
attestato di prestazione energetica - è richiesta la maggioranza degli intervenuti in assemblea
e la metà del valore dell’edificio (ex articolo 1136, 2° comma, Codice civile). Invece, qualora
gli interventi per il contenimento del consumo energetico siano fondati su diagnosi energetica o
su attestato di certificazione energetica, sono soggetti alle maggioranze agevolate degli
intervenuti e con un numero di voti che rappresenti almeno 1/3 del valore dell’edificio (articolo
26, comma 2, legge 10/1991).Pertanto, facendo salva l’applicazione della nuova disciplina
prevista nel decreto n. 102/2014 – il cui articolo 9, comma 5, lettera d), prevede
espressamente che «la contabilizzazione dei consumi individuali e la suddivisione delle spese
connesse al consumo di calore per il riscaldamento, debba avvenire in relazione agli effettivi
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prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto,
secondo quanto previsto dalla norma UNI 10200 e successivi aggiornamenti». Inoltre, l’articolo
16, comma 8 del predetto Dlgs dispone inoltre che «la ripartizione della spesa effettuata in
maniera difforme dai principi evidenziati dalla norma UNI 10200, è sanzionabile da 500 a 2500
euro» – e valutato concretamente che «la termoregolazione e conseguente contabilizzazione
crea enormi iniquità tra appartamenti», quanto appena esposto “arricchisce” un complesso e
variegato quadro normativo che richiederà, quasi sicuramente a breve, l’intervento del
legislatore al fine di trovare una soluzione di diritto che sia equa e di compromesso.
(Paolo Pontanari, Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 21 dicembre 2015).
 SERVOSCALA INSTALLATO A SPESE DEL CONDOMINO INTERESSSATO
D. Sono un amministratore di condominio e un condomino di oltre ottant'anni chiede di
applicare il servoscale a proprie spese senza avere l'attestazione della commissione sanitaria e
invocando l'agevolazione per l'abolizione delle barriere architettoniche per quanto riguarda il
voto assembleare per l'autorizzazione all'intervento sulle scale. L'art. 1120 prevede che per le
opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche serve la maggioranza
degli intervenuti e almeno la metà del valore anziché i due terzi.
E' necessaria l'attestazione di invalidità?
----R. Per favorire l'adozione di misure idonee ad eliminare i problemi di fruibilità dell'edificio per
quei soggetti con handicap fisici o problemi di deambulazione, la legge n. 13 del 9.1.89 ha
previsto, per l'approvazione delle delibere di eliminazione delle barriere architettoniche, dei
quorum inferiori rispetto a quelli stabiliti dal codice civile in tema di innovazioni, rifacendosi alle
maggioranze di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1136 c.c.
Il condomino che abbia interesse all'installazione di un servoscala deve formulare una specifica
richiesta scritta all'assemblea affinché questa adotti la relativa delibera.
Decorsi tre mesi dalla richiesta del condomino senza che il condominio abbia proceduto alla
delibera, la legge 13/89 consente a questi di agire di propria iniziativa per predisporre a
proprie spese il servoscala o strutture affini.
Il servoscala non può essere installato solo se impedisce l'uso delle scale da parte degli altri
condomini o nel caso pregiudichi la sicurezza, la stabilità o il decoro architettonico dell'edificio.
La delibera volta a vietare o ad impedire al condomino di installare il servoscala a proprie
spese può essere impugnata per nullità.
La legge autorizza espressamente l'installazione del servoscala solo per il portatore di
handicap, il suo tutore o chi ne esercita la potestà ma la giurisprudenza ha sempre optato per
un'ampia interpretazione di tale norma aderente ai principi costituzionali di solidarietà (art.2),
di uguaglianza (art.3), di tutela del diritto alla salute (art.32) e di tendenziale funzione sociale
della proprietà (art.42).
Pur in assenza di sentenze della S. C. in tema di applicazione della l.13/89, negli anni si è
consolidato un orientamento di merito che ha esteso le agevolazioni destinate all'eliminazione
delle barriere architettoniche anche a i casi in cui nell'immobile non abiti un disabile, se queste
siano destinate a giovare ad un invalido civile non portatore di handicap o ad un soggetto
ultra-sessantacinquenne. (Tra tutte: Trib. Milano, 11 maggio 1989; Trib. Napoli, 14 marzo
1994; Trib. Napoli 15 maggio 2004).
È da segnalare però che la riforma del condominio, in vigore dal 18 giugno 2013, ha reso più
difficile l'approvazione dell'abbattimento delle barriere architettoniche.
La legge 11 dicembre 2012, n. 220 ha stabilito, infatti, un nuovo quorum deliberativo per le
decisioni dell'assemblea in seconda convocazione portandolo da un terzo a 500 millesimi.
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In particolare, dopo il primo comma dell'articolo 1120 del codice civile sono stati inseriti i
seguenti commi: «I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo
1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad
oggetto: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e
degli impianti; 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche
(…)».
Precisamente, è ora richiesto, sia in prima che in seconda convocazione, il voto favorevole
della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore
millesimale dell'edificio.
La normativa prima in vigore, invece, prevedeva che potesse essere validamente approvata la
delibera in seconda convocazione con un terzo dei partecipanti al condominio e un terzo del
valore millesimale.
Art 2 comma 1, legge 13/89: «Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare
negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27, primo
comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1, primo comma, del decreto del
Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi
attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi
all'interno degli edifici privati, sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in
seconda convocazione, con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma,
del codice civile».
Ai fini del caso in esame, però, il soggetto che abbia problemi di deambulazione può installare
a sue spese il servoscala qualora l'assemblea non provveda a deliberare in merito alla richiesta
da lui effettuata entro tre mesi.
(Gloria Gatti, Il Sole 24ORE – Esperto Risponde, 10 dicembre 2015).
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